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Con la cultura non si mangia Giulio Tremonti (apocrifo) Numero 269 336 30 giugno 2018 Maschietto Editore Il processo del cambiamento L’ultima lettura che ho fatto... non ricordo. Se proprio ci devo pensare, ho riletto Il processo di Kafka. Quando? Mi pare tre anni fa. Perché? Perché mi piace. Certi film che mi piacciono li ho rivisti anche cinque volte. Non leggo altro da tre anni, non ho tempo per leggere per svago Lucia Borgonzoni, sottosegretario alla Cultura e al Turismo

Transcript of Il processo del cambiamento - maschiettoeditore.com · (canta molto in inglese). Ma la fortuna, si...

Con la cultura

non si mangia

Giulio Tremonti

(apocrifo)

Numero

269 336

30 giugno 2018

Maschietto Editore

Il processodel cambiamento

L’ultima lettura che ho fatto... non ricordo. Se proprio ci devo pensare, ho riletto Il processo di Kafka. Quando? Mi pare tre anni fa. Perché? Perché mi piace. Certi film che mi piacciono li ho rivisti anche cinque volte. Non leggo altro da tre anni, non ho tempo per leggere per svago

Lucia Borgonzoni, sottosegretario alla Cultura e al Turismo

dall’archivio di Maurizio Berlincioni

immagine

Vinci, 1995

La prima

Siamo a Vinci nel

1995 e questo pittore,

un’artista molto

conosciuto in Cina,

che si chiama Huang

Yong Yu è stato ritratto

nella casa della figlia

Wang Hakni. Ho

scattato l’immagine

mentre sta dando

gli ultimi ritocchi a

un mio bel ritratto

realizzato su carta seta

nel solco della migliore

tradizione cinese. Era

molto simpatico ed

era venuto in Italia in

visita alla figlia ed al

genero. Anche loro

erano delle persone

davvero colte e squisite.

E’ stato un gran piacere

averli incontrati, ma

proprio in questi giorni

mi sono reso conto che

non avevo mai fatto

incorniciare la sua

opera che mi riguarda

molto da vicino. La

presento quì con il

ritratto dell’autore, una

persona colta, simpatica

e sorridente. Ho deciso

comunque che che

devo trovare subito un

artigiano che trasferisca

il dipinto su seta per

poterlo incorniciare e

finalmente appenderlo

al muro.

Direttore

Simone SilianiRedazione

Mariangela Arnavas, Gianni Biagi, Sara Chiarello, Susanna Cressati, Carlo Cuppini, Remo Fattorini, Aldo Frangioni, Francesca Merz, Michele Morrocchi, Sara Nocentini, Sandra Salvato, Barbara Setti

Progetto Grafico

Emiliano Bacci

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www.facebook.com/cultura.commestibile

Editore

Maschietto Editore via del Rosso Fiorentino, 2/D - 50142

Firenze tel/fax +39 055 701111

Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012

Numero

269 336

30 giugno 2018

In questo numeroQuarto Paesaggio L’esperienza urbana della bellezza

di Virgilio Sieni

Il manifesto Calenda: troppo poco e troppo tardi

di Michele Morrocchi

I dati della cultura

di Tomaso Boyer

S.Felicita, il patrimonio invisibile

di M.Cristina François

David Douglas Duncan This is war!

di Danilo Cecchi

Victor Hugo, poeta

di Gabriella Fiori

Un’utopia realizzata

di Alessandro Michelucci

Disegnare la Toscana

di Andrea Ponsi

Notti in bianco

di Angela Rosi

La musica al Louvre

di Simone Zanuccoli

La madre di tutte le battaglie

di Paolo Marini

e Capino, Remo Fattorini Illustrazioni di Lido Contemori e Massimo Cavezzali

Tiziana senza Rivale

Le Sorelle MarxLa Saga del Promesso Assessore

I Cugini Engels

Riunione di famiglia

430 GIUGNO 2018

Il progetto Quarto Paesaggio. L’esperienza

urbana della bellezza nasce per intrapren-

dere un viaggio nei territori che compongo-

no Firenze e l’intorno ripensando il senso

dell’abitare come cura dell’individuo e

apertura verso nuovi linguaggi. Il proget-

to è fondato sulla relazione tra cittadino e

territorio, umano e natura e si articola per

tappe che hanno come obiettivo la rivitaliz-

zazione di luoghi unici grazie a un ciclo di

esperienze che vanno dalla natura al gesto,

dalla memoria del movimento alla creazio-

ne di nuove geografie urbane: una riscrittu-

ra intima del paesaggio declinata attraverso

pratiche, residenze artistiche, condivisione

e rigenerazione di spazi, presidi culturali,

camminamenti, ascolti e visioni.

Quarto Paesaggio è composto da quattro

Movimenti che formano un unico Progetto:

il Parco delle Cascine, con la riqualificazio-

ne della Palazzina dell’Indiano, attraverso il

progetto PIA/Palazzina Indiano Arte rap-

presenterà il raccordo innovativo tra i terri-

tori limitrofi partendo dal Quartiere 1 fino

ai Quartieri 2, 4 e 5 dove si svilupperanno i

progetti Nuovi Cantieri Culturali Isolotto,

Cenacoli Fiorentini e Le Piagge/Abitare la

democrazia, esperienze scaturite da lunghi

periodi di ricerca sulla natura del territorio,

sul senso delle periferie, sulla funzione del

cittadino e sulle pratiche del gesto quale

mezzo espressivo di conoscenza e di riap-

propriazione dell’ambiente che ci circonda.

Ciascun Movimento rappresenta un per-

corso di ricerca e scoperta di soluzioni per

abitare i luoghi, la natura e l’arte, a partire

dalla relazione tra gli individui. Nei terri-

di Virgilio Sieni

QuartoPaesaggio

Le pratiche artistiche e performative contro

il degrado e la solitudine urbana. È uno degli

obiettivi del progetto promosso e finanziato

da Fondazione CR Firenze con la direzione

artistica di Virgilio Sieni e la collaborazione

di Teatro del Maggio Musicale Fiorentino,

Scuola di Musica di Fiesole, Tempo Reale.

Col recupero della Palazzina dell’Indiano

si avviano oltre 130 eventi tra performan-

ce, concerti, incontri, laboratori, lezioni sul

gesto, centri estivi e installazioni distribuiti

nella città da giugno a settembre.

Fanno parte di Quarto Paesaggio: PIA/

Palazzina Indiano Arte, il Festival Nuovi

Cantieri Culturali Isolotto, Cenacoli Fio-

rentini_Grande adagio popolare, Le Piagge/

Abitare la democrazia

530 GIUGNO 2018

L’esperienza urbana della bellezza

tori saranno sviluppati progetti inediti per

creare un humus culturale dettato dalla

partecipazione dei cittadini nei processi ar-

tistici: residenze, pratiche rivolte a persone

di tutte le età, piantumazioni, rigenerazio-

ne, ristrutturazione e condivisione di luo-

ghi, cammini ed eventi, apertura di spazi e

gallerie, messa in posa di una scultura pub-

blica. Verranno sviluppati presidi culturali

nei territori durante tutto l’anno: gallerie

d’arte, spazi delle pratiche, luoghi di incon-

tri, azioni condivise, coinvolgimento delle

scuole in programmi scolastici.

Il territorio che Quarto Paesaggio abbrac-

cia è riplasmato, ossigenato, ricamato, im-

preziosito, grazie a gesti inediti condivisi,

aprendo così lo sguardo a metafore dense

di significato che trascendono la singola si-

tuazione e si riversano nel desiderio – uma-

nissimo – di cura e custodia di un prezioso

bene comune.

Rimodellare il territorio ricercandone i

dettagli e le tracce poetiche, i volti e i ge-

sti nell’incontro tra il luogo e la memoria,

diviene la pratica sostenibile per tornare ad

abitare il mondo.

630 GIUGNO 2018

Si sa, quando cambia un regime, si dà

l’assalto al carro per salirci. L’assalto alla

diligenza ognuno lo fa come può e con i

talenti che Madre Natura gli ha fornito.

Tiziana Rivale, al secolo Letizia Oliva, ne

aveva avuti in abbondanza: una voce dav-

vero bella, una certa fortuna festivaliera

(a quello di Sanremo del 1984 con “Sarà

quel che sarà”, titolo che sembra quasi una

premonizione dei suoi più recenti fasti),

collaborazioni illustri (da Gino Bramieri

a Walter Chiari, da Gianni Turco a Paolo

Limiti) e una vocazione internazionalista

(canta molto in inglese). Ma la fortuna,

si sa, va e viene e negli ultimi tempi per

la povera Tiziana soprattutto era andata:

qualche anno di inabissamento nell’ano-

nimato, dal 2011 al 2015, quando esce nel

solo formato digitale l’album “Babylon”.

E già questo doveva essere un sintomo

della confusione nella quale la cantante

era caduta. Tanto che sul finire del 2017

la Nostra esce con uno sfolgorante sin-

golo + video: “The Shadow of Elohim”,

dedicata all’uso della geoingegneria, con

effetti dannosi e mortali sulla natura e

sulla salute di tutti gli esseri viventi, e agli

antichi racconti degli Elohim biblici, extra

terrestri che avrebbero vissuto sul piane-

ta Terra e avrebbero fabbricato la specie

umana (gli Adamiti) per servirsene come

schiavi. La nostra signora si sarà detta:

“qui cambia il vento. Arrivano ‘sti strani

dei 5 Stelle che mi sa che sbaragliano tutti.

Mi sembrano un po’ kitch però... sarà

quel che sarà: piatto ricco, mi ci ficco! In

fondo “Questo mondo è una baracca” e,

sai cosa, “Io sono come il sole”, molto “Più

forte” e “Con tutto l’amore che c’è” provo

a dare l’assalto al cielo”. E così si è buttata

a capofitto nel campo delle scie chimiche

(“Guarda in alto il cielo lampeggiante/

le scie di funo spesso cambiano i nostri

giorni/distruggendo la nostra vita”), in

scenari apocalittici (“L’ombra di Elohim

è qui/non c’è tempo per coprirsi gli occhi/

scoprite la verità” - “Nubi radioattive

portano piogge che avvelenano l’aria che

respiriamo giorno e notte, ovunque noi sia-

mo”) e in appelli redentori (“Svegliatevi o

gente sciocca, la presenza di Elohim è qui,

apriamo gli occhi, vogliamo essere liberi”).

Sicuramente il nuovo potere grillino

apprezzerà lo sforzo, senza rivali, della

Rivale e la chiamerà ad inaugurare il

Festival di Elohim e delle scie chimiche di

Camogli.

Le SorelleMarx Tiziana senza Rivale

primari, quelli fisiologici, (mangiare, bere,

dormire) insopprimibili; poi ci sono i bisogni

elementari, basici: la sicurezza, il lavoro,

l’autorealizzazione, l’amore, l’appartenenza.

Non c’è quindi da stupirsi se coloro (forze

politiche e sociali) che sono interessati a far

lievitare la domanda di sicurezza soffino sul

fuoco dell’immigrazione, amplificando i fatti

di cronaca, i fenomeni di criminalità, alimen-

tando la paura e la pericolosità dei migranti.

Ormai tutti dovremmo aver capito che tra

percezione e realtà non c’è differenza: ciò che

viene percepito è reale.

È così che funziona. Ed è così che il bisogno di

sicurezza, quello a 360 gradi, diventa un biso-

gno primario, mentre tutti gli altri (solidarietà

e accoglienza) scivolano all’indietro, essendo

meno urgenti.

Morale: sono proprio i ceti popolari, quelli che

con la crisi hanno perso una fetta del proprio

benessere e vivono il futuro come una minac-

cia, a guardare con indifferenza e ostilità agli

immigrati, alimentando quella che un tempo

avremmo definito la guerra fra poveri. Sono

proprio i ceti popolari a guardare con simpatia

a Salvini e a votarlo nel segreto dell’urna. Il

perché è presto detto: lui più di altri dimostra

di saperli ascoltare.

Del resto dovremmo aver imparato che il

rispetto e la solidarietà prevalgono solo all’in-

terno di comunità unite e coese, con squilibri

contenuti e dove il livello di benessere è distri-

buito equamente, in modo che ognuno possa

avere la sua opportunità.

Condannare ed etichettare questa gente come

razzista, insensibile o peggio ancora come fa-

scista non farà altro che aumentare la doman-

da di sicurezza, l’astio verso chi sta peggio e,

soprattutto, verso chi non ascolta e non capisce.

Esemplare la vicenda del circolo Arci Benassi

di Bologna, dove alcuni soci hanno espresso su

La7 apprezzamenti per le posizioni di Salvini.

Reazioni della presidente Arci: “Fuori i razzi-

sti dai nostri circoli” e il circolo chiude le porte

ai giornalisti. Tutto sommato è andata bene:

nessuno è finito in Siberia.

Segnalidi fumo

Proviamo a capire. Partiamo dal bisogno di

sicurezza. È del tutto normale che coloro che si

sentono poco protetti, minacciati, abbandonati,

incerti sul proprio futuro o su quello dei propri

figli, siano poco sensibili e poco disponibili

verso istanze altruistiche, ostili e diffidenti

verso l’accoglienza di immigrati. Tanto più

a fronte di un’attenzione insufficiente verso i

loro disagi.

Chi ha approfondito la materia - vedi Anna

Maria Testa su https://nuovoeutile.it/pirami-

de-dei-bisogni-maslow-politica/ - ci dice che i

bisogni non sono tutti uguali. Ci sono i bisogni

di Remo Fattorini

730 GIUGNO 2018

Riassunto delle precedenti puntate: per il

posto di Presidente del Consiglio Comunale

di Firenze, lasciata libera da Caterina Biti

approdata a ben più alti scranni (quello

senatoriale che, data la performance del Pd,

è stato dedicato a Santa Caterina) concor-

rono due giganti della politica fiorentina,

Andrea Ceccarelli e Massimo Fratini. La

spunta Ceccarelli, ma con la promessa

solenne di Nardella di far entrare Fratini

in Giunta. L’astuto sindaco si rende conto

però solo dopo che ha già raggiunto il nu-

mero massimo di assessori consentito dalla

legge. Ma lui, imperterrito, proclama ad

alta voce: “Qualunque aspetto che riguardi

i tempi e le modalità sarò io a deciderli e

ve le comunicherò appena sarà presa la

decisione. E non ci sarà un rimpasto ma un

avvicendamento”.

Così, il buon Fratini, dopo quasi due mesi

di silenzio del sindaco, torna alla carica. O

almeno ci prova; ma accade questo.

“Pronto, Braghero? Senti Manuele, io ho

provato mille volte a telefonare a Dario, ma

lui non mi risponde. Come si fa? Me lo puoi

passare?”

“Aspetta, Massimo, provo a sentire”. Ma,

Nardella, casualmente presente: “No, Ma-

nuele, digli che sono molto occupato: mi sta

stressando l’anima!”

“Pronto, Massimo? No, senti, Dario non

può in questo momento è molto occupato”

“Siiii, occupato a strimpellare il suo male-

detto violino! Io voglio parlarci perché mi

ha promesso di farmi assessore e cacciare

uno qualsiasi di quegli omuncoli che si è

messo in Giunta, ma per ora non ho visto

nulla! Senti, sono qui a Palazzo Vecchio:

salgo lì da voi!”

“Dario, questo viene a Buté ël cul ant la

farina. [trad. dal piemontese: Mettere il

deretano nella farina]”

“Cheeee? Non capisco”

“Voglio dire che sta venendo qua”

“Oddio, noooo. Senti io mi nascondo su nei

Quartieri monumentali dietro la maschera

di Dante. Tu tienilo occupato.”

Ma appena voltato l’angolo della scala che

porta ai Quartieri monumentali di Palazzo

Vecchio, Fratini irrompe e lo nota con la

coda dell’occhio. Inizia un inseguimento fra

turisti, custodi, anfratti, opere d’arte, fino

a quando Nardella riesce a trovare riparo

nelle stanze della collezione Loeser, di cui

Fratini ignorava l’esistenza, pensando che

si trattasse di una sponsorizzazione di una

famosa marca di biscotti. Così Nardella

Cuor di Leone riesce a guadagnare l’uscita

e a tornare nei suoi appartamenti. Ma il

Fratini, più gorpe che lione, lo attende al

varco fuori dalla porta della Sala di Cle-

mente VII così che Nardella si trova asse-

diato in ufficio. Invia il capo di gabinetto a

trattare con l’assediante. “Senti, Massimo, il

sindaco è un uomo impegnato, ma di parola

e se ha detto una cosa, la mantiene”

“Siiii, e quando? Fra poco finisce la legisla-

tura! Quello mi piglia per il sedere, ma io

non mi faccio fregare. Chiamo il Cardinale

e vediamo chi la vince!”

“Senti, ma ti se’ proprio un piciu! [trad.

pirla] Se ti ha detto che te lo fa fare, puoi

stare sicuro. E’ uomo di parola. Guarda

come è stato bravo sulla moschea: ha detto

ai musulmani che la faceva, ma a Betori gli

ha detto che potevano schiantare prima di

fargliela, e infatti... Perché, caro Massimo,

come si dice dalle mie parti Val püsè na

bóna làpa, che na bóna sàpa [trad. Vale più

avere una buona lingua, che una buona

zappa] e a chiacchiere Dario non lo batte

nessuno”.

“Appunto, lo vedi che mi piglia per il culo?

Ma andate a quel paese”

Si affaccia il sindaco: “Oh, Manuele, è

andato via? Uff, anche questa volta l’abbia-

mo sfangata. Però son furbo, eh: se va avanti

così riesco a scavallare l’estate e poi arrivare

alle elezioni è un fiat e il buon Fratini se lo

scorda il posto”

I CuginiEngels La Saga del Promesso Assessore

(continua

di Massimo Cavezzali

Il sensodella vita

830 GIUGNO 2018

Non c’è dubbio che Carlo Calenda sia stato

capace di costruirsi un ruolo e una visibilità

da personaggio politico nazionale in un tem-

po relativamente breve, così come indubbie

sono le capacità di comunicazione e dialet-

tiche dell’ex ministro. In pochissimo tempo

Calenda è diventato, forse insieme al solo

Minniti, il volto pubblico del governo Genti-

loni: infaticabile sui social non si è risparmia-

to nel dialogo coi cittadini e nelle polemiche

molto spesso con esponenti del PD, Michele

Emiliano su tutti. Iscrittosi, direttamente alla

Direzione del Partito, al PD dopo la batosta

elettorale ne è in breve diventato uno degli

esponenti più in vista del partito in disfaci-

mento ponendosi come alternativa renziente

al renzismo diroccato (e per ciò inviso a Ren-

zi e ai suoi accoliti). Da questa posizione ha

iniziato a maturare pose da padre fondatore

e, con indubbio merito e capacità, iniziato a

proporre ricette che mercoledì scorso hanno

dato vita a una specie di manifesto program-

matico pubblicato su il Foglio.

Torneremo poi sulla scelta della testata,

partiamo invece dai contenuti. Il manifesto

dopo una non breve analisi delle colpe dei

progressisti nel tentare di governare la prima

globalizzazione e nel configurare un plausi-

bile scenario, lacrime e sangue, di fine del la-

voro tradizionale (scenario che ça va sans dire

vedrebbe l’Italia messa peggio di quasi tutti i

Paesi occidentali) ne evidenzia il rischio, da

noi passato ormai dalla potenza all’essere, di

una crisi profonda, forse irreversibile, della

democrazia liberale. Per impedire del tutto

questo scenario, ci dice Calenda, occorre an-

dare oltre la rappresentanza di classe e dun-

que al “semplice” campo progressista dando

vita ad una Alleanza repubblicana.

Tuttavia quello di Calenda non è un cartello

elettorale o un fronte di resistenza tempora-

neo ma un vero e proprio patto politico che

si fonda su una comunanza di alcuni temi,

a sua scelta verrebbe da dire. Vediamo qua-

li: in primis la sicurezza economica, intesa

come adesione all’Euro e al sistema europeo,

proseguendo con il “piano Minniti” per fer-

mare gli sbarchi e proteggendo gli sconfitti

rafforzando strumenti come il reddito di in-

clusione.

Naturalmente senza dimenticare i “vincen-

ti”, garantendo loro infrastrutture materiali

e immateriali, formazione e competitività,

passando poi dal ribadire l’Europa come

idea guida e dal combattere l’analfabetismo

funzionale.

Tutte cose buone e giuste sia chiaro, difficile

di Michele Morrocchiper chi non si dichiari oggi sovranista e popu-

lista non dirsi d’accordo; tuttavia col limite di

presentare un minimo comun denominatore

per un cartello elettorale e non certo un pro-

gramma di governo per una alleanza all’altez-

za delle premesse di difendere la democrazia

come l’abbiamo conosciuta nell’occidente da

settant’anni a questa parte.

Se la socialdemocrazia ha fallito nella sua

elaborazione degli anni ’90 del XX secolo nel

pensare di poter governare la globalizzazione

come tutti ormai tendono a dire (anche se il

dibattito forse avrebbe bisogno di altro respi-

ro, o almeno di un setaccio che non gettasse

Amartya Sen insieme a Tony Blair), pensare

di rifondare un pensiero progressista su que-

sti punti ha il fiato corto prima ancora di met-

tersi in marcia.

Certo nemmeno Marx è partito da il Capita-

le ma qui manca l’accuratezza e la pesantez-

za almeno dei grundgrisse, il terreno utopico

che è in grado di dare la dimensione del so-

gno, del riscatto se non per sé almeno per la

nostra prole. E se non ripartiamo dal riscatto

a partire dagli ultimi (ché chiamarli sconfit-

ti come li chiama Calenda non da’ proprio

un’idea di ottimismo), da una idea di speran-

za, come si può pensare di sconfiggere l’ege-

monia culturale della paura che oggi ha fatto

trovare casa agli ultimi, insegnando a questi a

odiare quelli ancora più ultimi?

Questo sui contenuti, ma che dire sulla pro-

posta politica che traspare dal manifesto di

Calenda? Che cultura politica rappresenta

l’ex ministro? Ecco a mio avviso siamo di

fronte a un riformismo elitario, espressione

ennesima della borghesia illuminata, intel-

lettuale e colta. Quella classe che di volta in

volta ha dato vita a felici famiglie politiche e

negli ultimi anni si è presentata come il volto

tecnico della politica.

Ecco su questo occorrerà forse aprire una

parentesi. E’ talmente introiettata in noi la

cultura della politica come degenerazione,

almeno dalla nefasta stagione apertasi nel

1992, che larga parte dei gruppi dirigenti del

Paese ha visto con piacere e rassicurazione

l’idea che siano dei tecnici a guidarci, senza

comprendere che la tecnica andava sì invoca-

ta e ricercata ma non nella capacità di essere

bravi direttori generali, ma nel formare tecni-

calità della politica, che non sarà un’arte for-

se ma è di certo mestiere, inteso qui nel senso

arcaico e artigiano del termine.

Siamo dunque arrivati al punto che non ci

sogneremo mai di far riparare il nostro im-

pianto elettrico di casa da un pescivendolo

ma non ci poniamo il problema che chi ci go-

verna abbia o meno il mestiere di governare

tra le sue capacità; stupendoci poi se questa

sfiducia nelle elites si trasla poi nei confronti

degli scienziati e dei medici.

Insomma il tecnico di per sé non è salvifico e

pure Calenda rischia la fine di Monti e Dini,

pur non augurandogliela. Sì perché il suo è

un liberalismo temperato da un po’ (invero

poca) di socialdemocrazia e molto paterna-

lismo: un partito d’azione senza il dirigismo,

con meno dottrina sociale e qualche riflessio-

ne utopistica in meno.

Culture politiche che in questo paese mai

hanno saputo raggiungere un popolo come

invece avrebbe bisogno la sinistra oggi dove

la sua estinzione non è tema da escludere a

priori. Invece vedo in Calenda il ripetersi di

vecchi errori, di quello che un tempo avrem-

mo chiamato il problema del rapporto con le

masse, escluso quasi a priori da queste cultu-

re politiche in virtù di una fede deterministi-

ca nella capacità del popolo di comprendere

che chi sa lo guiderà al meglio. Paternalismo

per l’appunto.

Infine, in questo solco, un’ultima riflessione

sul mezzo scelto. Come è noto il mezzo non

è mai neutro ma quasi sempre predefinisce

e determina il fine. Se il tema è ridare spe-

ranza, agibilità e voti al popolo di sinistra, far

pubblicare il proprio manifesto su il Foglio

(sia detto da affezionato lettore seppur orfa-

no della direzione di Giuliano Ferrara) quan-

to meno non rappresenta un inizio brillante.

Il rischio, riassumendo, è che si avesse l’am-

bizione di cambiare il mondo e ci si accorga

che al massimo si potrà ambire ad un patto

elettorale con Forza Italia. Il patto degli scon-

fitti peraltro; non proprio un augurio di buon

lavoro.

Il manifesto Calenda: troppo poco e troppo tardi

930 GIUGNO 2018

ci preme comunque segnalare il libro La mu-

sica salva la vita. Il “sistema” delle orchestre

giovanili dal Venezuela all’Italia (Feltrinelli,

2012), dove Ambra Radaelli racconta l’impe-

gno di Abbado nella diffusione del progetto

e nel suo adattamento alla realtà italiana.

Anche la settima arte rimane affascinata

dal progetto del musicista venezuelano. L’o-

maggio più esplicito è il documentario El

Sistema (2008), dove Paul Smaczny e Maria

Stodtmeier ne ricostruiscono la storia. Li-

beramente ispirato alla stessa esperienza è

il film La mélodie (2017) diretto da Rachid

Hami e ambientato a Parigi. Proprio per sot-

tolineare che el sistema può essere applicato

ovunque, soprattutto dove la gioventù cerca

nella musica un’alternativa al degrado e alla

delinquenza.

L’educazione musicale ha un valore cultura-

le e umano altissimo, ma nei paesi più svan-

taggiati può averne anche uno sociale, perché

può essere utilizzata per strappare i giovani

al degrado e alla delinquenza. Questa intu-

izione è merito di José Antonio Abreu, che

nel 1975 fonda il modello didattico chiamato

El Sistema. L’idea del musicista venezuelano

è semplice ma geniale: realizzare un sistema

di educazione musicale aperto ai bambini

di tutti i ceti sociali. Una struttura pubblica

diffusa capillarmente in tutto il Venezuela,

grande tre volte l’Italia e ricco di strade im-

pervie.

All’inizio sembra il classico sogno bello ma

irrealizzabile. Quando Abreu organizza il

primo giorno di prove, che si svolge in uno

scantinato di Caracas, si presentano soltanto

undici bambini.

Ma contrariamente a tanti innovatori, che

devono lottare per concretizzare le proprie

idee, Abreu trova quasi subito

il sostegno istituzionale senza il quale il suo

progetto resterebbe una bella utopia. Dopo

l’elezione di Hugo Chavez (1999) il suo siste-

ma didattico viene sostenuto in modo ancora

più deciso. I frutti non tardano ad arrivare.

Come piante che crescono, molti ragazzi dei

barrios si trasformano in prestigiosi diretto-

ri d’orchestra: da Diego Matheuz a Rafael

Payare, da Luis Alberto Castro a Gustavo

Dudamel. Quest’ultimo, oggi direttore del-

la Los Angeles Philharmonic, rimane molto

legato al maestro Abreu e si adopera per

promuovere ulteriormente il suo progetto

didattico.

All’estero Abreu può contare sul sostegno di

musicisti prestigiosi, fra i quali Claudio Ab-

bado, Daniel Barenboim e Placido Domingo.

Il primo, in particolare, fa proprio il progetto

e lo introduce in Italia con successo.

Ma Abbado non è il solo ad accogliere il si-

stema concepito dal musicista venezuelano,

che viene adottato in molte parti del mondo.

Questa meravigliosa utopia realizzata ottie-

ne vasta eco anche al di fuori dell’ambiente

strettamente musicale. Se fare un elenco

esaustivo di queste iniziative è impossibile,

di Alessandro Michelucci

MusicaMaestro Un’utopia realizzata

1030 GIUGNO 2018

che ha inserito tra le sue linee guida alcuni

aspetti fortemente innovativi: la crescita e il

consolidamento dell’impresa culturale, l’ac-

cento sulla domanda di cultura, con il lavoro

sull’audience, la sperimentazione di nuovi

processi e la creazione di reti, nazionali ed

internazionali. Questo cambio di paradigma

ha ragioni profonde che derivano da due ele-

menti storici: la progressiva e inesorabile con-

trazione dei contributi pubblici e la crescita

della domanda di partecipazione attiva alla

cultura.

Il primo elemento ha portato all’ingresso sulla

scena culturale di nuovi soggetti, provenienti

da mondi diversi (aziende private, fondazioni

di origine bancaria), spingendo gli operatori

a doversi attrezzare di strumenti nuovi. Ter-

mini prima sconosciuti sono così entrati nel

nostro lessico: sostenibilità, capacità di stare

sul mercato, pianificazione economica, pro-

grammazione a lungo termine, valutazione

del proprio lavoro, analisi della domanda, mi-

surabilità delle proprie iniziative. Sono nati

numerosissimi programmi di formazione, ac-

celerazione, incubazione e perfezionamento,

per aiutare gli operatori culturali a dotarsi del-

le skills necessarie ad affrontare le difficoltà

del mercato culturale.

Il secondo elemento ha invece portato gli

operatori a lavorare con più apertura e più at-

tenzione ai propri pubblici, ai territori e alle

comunità di riferimento, sperimentando nuo-

vi processi di coinvolgimento e partecipazio-

ne, fino a poco tempo fa sconosciuti. Anche

qui, concetti nuovi e lessici nuovi: audience

development, audience engagement, co-cre-

azione, coinvolgimento attivo del pubblico,

misurazione dell’impatto sociale delle proprie

iniziative.

La combinazione di questi due elementi ed il

modo in cui si sono reciprocamente influenza-

ti, hanno visto l’operatore culturale diventare

soggetto centrale e ibrido nel rapporto tra ca-

pitali privati e ricaduta territoriale, tra capaci-

tà aziendale e dinamiche del terzo settore, tra

valorizzazione e tutela, tra investimenti e rige-

nerazione degli spazi, tra misurazione quanti-

tativa e misurazione dell’impatto sociale.

Il mondo dell’innovazione culturale ha impa-

rato a essere sostenibile, a trovare modalità di

coinvolgimento dei privati, a diversificare le

proprie fonti di finanziamento, a professiona-

lizzarsi, ad attrarre pubblici nuovi, a trovare

l’equilibrio tra valore intrinseco e strumentale

della propria azione.

Questo valore strumentale tuttavia, non può

e non deve limitarsi al conto delle presenze,

all’aumento dei turisti o dell’indotto. Sono

questi elementi importanti, naturalmente (e

chi fa impresa culturale lo sa bene), ma non

si possono dimenticare altri dati da tenere in

considerazione e imparare a misurare: l’im-

patto sociale che le iniziative culturali gene-

rano sui territori e sulle comunità, il coinvolgi-

mento di persone fino a poco tempo fa escluse

dalla fruizione, il senso di identità e di comu-

nità, il valore civico, la restituzione di territori

depressi ai cittadini e molti altri ancora.

Esistono diverse strade, e molte ancora si stan-

no sperimentando, per misurare l’impatto

sociale delle iniziative culturali. Lo chiedono

molti investitori, lo esigono le fondazioni ban-

carie nei loro bandi, lo delinea la riforma del

terzo settore col bilancio sociale, lo certifica il

sempre più diffuso uso, in Europa e in Italia,

del termine welfare culturale.

Ognuno dei soggetti della filiera dell’industria

culturale farà la propria parte, ma è necessa-

rio che le amministrazioni, nelle loro azioni di

politiche pubbliche, conoscano, riconoscano e

sostengano il valore di questo lavoro. È essen-

ziale che partecipino a questo dibattito, per

costruire nuovi modelli e definire politiche,

che riescano sempre più a unire produzione

culturale, protezione sociale e sostenibilità

economica.

di Tomaso Boyer

Il 12 giugno Luisa Serafini, assessore al Mar-

keting territoriale e Cultura del Comune di

Genova, ha pubblicato un post con una sorta

di bilancio delle presenze primaverili a Geno-

va. Questo il testo integrale del post: “340.000

visitatori in tre mesi nei musei di Genova.

+30% rispetto allo stesso periodo dello scorso

anno, tante iniziative legate alla tecnologia e

alla promozione della città, a costo 0, che ci

hanno permesso di moltiplicare la visibilità

dei nostri tesori. Questa l’azione portata avan-

ti dal Comune a cui si aggiungeranno molti

nuovi progetti (tra questi, sistemi di pagamen-

to digitale e contenuti multimediali sostenuti

da sponsor). Il nostro Sindaco ripete spesso:

“Tutto ciò che non è misurabile è inutile”. Il

nostro approccio è esattamente questo: speri-

mentare, rinnovare, e misurare i risultati con

approccio qualitativo e quantitativo, per poter

correggere o proseguire con le nostre azioni di

politiche pubbliche. È questa la nostra #Nuo-

vaCultura”.

Pensiamo che gli argomenti presentati nel

post: cultura a costo zero, misurazione della

cultura, visibilità e incremento del pubblico,

siano temi generali delle politiche culturali

nazionali. Per questo motivo ospitiamo con

piacere un articolo di Tomaso Boyer, opera-

tore culturale che lavora tra Genova e Torino,

pubblicato su Genova.24 (che ringraziamo),

che analizza i temi dal punto di vista degli

operatori culturali e lo inserisce nel quadro

del grande cambiamento di prospettiva che i

soggetti che operano nel settore stanno affron-

tando negli ultimi anni.

Gentile assessore Serafini,

Ho letto il suo post con i dati, molto con-

fortanti, sulle presenze nei musei genovesi

nell’ultimo trimestre, con il forte accento sulla

misurabilità delle iniziative (tutto ciò che non

è misurabile è inutile). Nel mondo dell’inno-

vazione culturale si dibatte da diversi anni

intorno al grande tema della misurabilità,

cercando di definire e individuare parametri

di valutazione, non solo quantitativi, che pos-

sano essere utilizzati per valutare l’impatto di

una determinata azione.

Questo dibattito si inserisce nel contesto di

una riflessione più generale, resa necessaria

dal cambiamento epocale di prospettiva, che

sta coinvolgendo i soggetti e i processi dell’a-

zione culturale negli ultimi anni, i cui termini

mi sembra utile rapidamente delineare. Tale

mutamento ha visto la propria certificazione

nel programma Europa creativa 2014-2020,

I datidellacultura

1130 GIUGNO 2018

sua sincerità nel dolore. Spesso era solito

leggere i suoi versi “in seno all’intimità” di

pochi amici (Sainte-Beuve).

Era destinato a sconvolgere, fin dai 25

anni, quando con la Prefazione al suo

dramma Cromwell distrugge la teoria del-

le tre unità aristoteliche per serbare solo

l’unità d’azione, in un luogo e in un tempo

determinati che deve avvincere il lettore

e spiegargli il dramma dei personaggi. Il

dramma è il reale che implica sempre una

lotta per l’uomo, il cui corpo appartiene al

secolo, al mondo e l’anima al cielo, la vera

patria. Il sublime e il grottesco convivono

in contrasto nel reale: trovare la loro “ar-

monia” è compito del poeta.

Posso distinguere due aspetti principali

della sua arte che danno luogo ai due fi-

loni fondamentali: storico-drammatico-vi-

sionario; familiare, dialogico con sé stesso

e con la natura. I due si possono mischia-

re nel profondo dell’essere perché “nulla

è più intimo della poesia”. Essa parla il

linguaggio dell’anima che è espressione

dell’entusiasmo e della rêverie . Così che

il filo interiore sempre esistente passa per

L’Anima. (da Odi e Ballate, 1822-28).

“Tu, che ai dolori dell’uomo un Dio nasco-

sto invita,/Compagna sotto i cieli dell’umi-

le umanità,/Passeggera immortale, schiava

della vita/E regina dell’eternità,/Anima!-

Negli istanti felici come nelle ore luttuo-

se, /In fondo alle mie tenebre risplendi...”

(trad. di Leonello Sozzi, 2002).

Risuona questa supplica nel commento del

suo diario “Cose viste” per la morte del fi-

glio Charles, 13 marzo 1871. Alla chiusu-

ra della bara per cui il corpo sparisce “per

l’eternità” Hugo esclama : “Se non credessi

all’anima, non vivrei un’ora di più”.

Noto in tutto il mondo di allora (anche

in Italia, quanti bambini nella campagna

toscana intorno a Pescia furono chiamati

Vittorugo!) ebbe funerali di Stato, seguiti

da un milione di persone e fu sepolto al

Pantheon di Parigi.

Per noi oggi è bello ricordate che, nel

1852-1854, Hugo parlò insistentemente

della necessità di una unione europea con

una moneta unica.

Per una prima lettura di Hugo poeta, con-

siglio Victor Hugo, Poesie, Oscar classici

Mondadori, 2002; curatore il francesista

Lionello Sozzi, oggi scomparso.

Incoraggiata dalla domanda di una rivista

che amo su cosa è per me la poesia, mi sono

messa alla ricerca dei poeti che hanno con-

tato in età della mia vita.

Per primo trovo Victor Hugo (Besançon,

1802- Paris, 1885). Avevo sei anni, mia

madre per insegnarmi il francese mi face-

va imparare a memoria le poesie più facili

e più interessanti per una bambina della

sua raccolta dedicata ai nipotini Georges e

Jeanne (1868-1869), figli del figlio Char-

les (1826-1871), morto prematuramente.

Ricordo Jeanne songeait sur l’herbe assi-

se, grave et rose (Jeanne sognava-pensava

seduta sull’erba, grave e rosea). Al tenero

avo che le chiede cosa desideri, finisce per

rispondere levando il mignolo a indicare

la lune immense (la luna immensa). L’Art

d’etre grand père (L’arte di essere nonno) è

un tenero libro che Hugo scrisse a 75 anni;

egli ha una vera adorazione per l’infanzia,

dice : L’uomo è rame e piombo; il bambi-

no è oro. A Hauteville House Guernaisey

– 1856, seconda fase dell’esilio, un terzo

delle spese andava in doni, fra questi un

pranzo per 40 bambini poveri del luogo.

Evoca la propria infanzia fin dalla nasci-

ta cui, troppo delicato, “una chimera”, te-

mevano non sopravvivesse. Fu la madre

“ostinata” a salvarlo, la madre il cui amore

è “Pane meraviglioso che un dio spartisce

e moltiplica!”perché tutti e ciascuno ne

abbiano in parti uguali. Questo esclama

nel 1831 per la sua prima raccolta poetica

volutamente intima, Feuilles d’automne

(Foglie d’autunno) che vuole rivolgersi all’

“uomo tutto intero” perché “le rivoluzioni

trasformano tutto salvo l’uomo”; e c’era

stata quella del 1830.

Data la ricchezza multiforme della sua

opera di drammaturgo, romanziere, poe-

ta, saggista, libellista, oratore politico, di-

segnatore suggestivo e fotografo, non mi

resta che sfiorarlo. Per la sua capacità di

esaltare e di intenerire, per la sua vitalità

nei sentimenti (la moglie Adèle Foucher,

sposata in segreto nel 1822, dopo la mor-

te della madre, ebbero 4 figli e rimasero

amici tutta la vita; l’amante della vita dal

1833, la bellissima attrice Juliette Drouet,

più impaziente di Adèle riguardo alle altre

relazioni di Hugo), nella ricerca, nell’os-

servazione e nella lealtà politica verso la

propria evoluzione da legittimista, a bo-

napartista a liberale, egli, sempre medita-

tivo sulla morte, ma attento alla sua “vita

prossima”, non deprime mai, anche per la

di Gabriella Fiori

Victor Hugo, poeta

1230 GIUGNO 2018

Si è spento alla venerabile età di 102 anni il

fotografo americano David Douglas Duncan

(DDD) (1916-2018), noto per le immagini di

guerra scattate al seguito dell’esercito ameri-

cano durante la seconda guerra mondiale, la

guerra di Corea e la guerra del Vietnam, ma

anche per i numerosi ritratti di Picasso, scattati

nell’intimità delle sue abitazioni e dei suoi labo-

ratori. Nato a Kansas City nel Missouri, DDD

studia archeologia, zoologia e spagnolo, laure-

andosi nel 1938. Appassionato di fotografia, si

arruola dopo Pearl Harbour nel corpo dei Ma-

rines e viene inviato, con il grado di tenente e

con mansioni di fotografo, nel sud del Pacifico,

dove partecipa in prima linea a numerosi com-

battimenti, compresa la battaglia di Okinawa.

Le sue immagini di guerra vengono diffuse

dalla stampa americana, e sono talmente effica-

ci che al termine del conflitto viene contattato

e poi assunto dalla prestigiosa rivista Life, per

conto della quale fotografa all’inizio degli anni

Cinquanta la guerra di Corea, firmando molte

copertine. In seguito viene inviato in Turchia,

Europa Orientale, Africa e Medio Oriente, e

nel 1967 va a fotografare la guerra del Vietnam.

Diversamente dalle immagini della propaganda

militare, generalmente piene di retorica, truppe

e mezzi schierati ordinatamente, bandiere che

garriscono al vento, possenti navi che solcano

i mari ed aerei che solcano i cieli, le immagini

di DDD vengono scattate dal punto di vista dei

soldati in prima linea, mostrano il volto degli uo-

mini e dei commilitoni, il coraggio e la paura, la

determinazione e le esitazioni, le lunghe attese

e le azioni rapide, le avanzate e gli arretramenti.

Condividendo gomito a gomito le giornate, le

esperienze, i timori ed i disagi dei soldati ameri-

cani, DDD mostra la guerra da un punto di vi-

sta non convenzionale, non parla di eroismo e di

patriottismo, non parla di orgoglio e di vittoria,

parla di sopravvivenza e di solidarietà, di ostina-

zione e di fragilità, di forza e di umanità. Quelli

che compaiono sulle copertine e sulle pagine di

Life sono i volti e gli sguardi dei soldati, le loro

espressioni, i loro gesti, il loro essere degli uomi-

ni proiettati in una situazione paradossale, dove

si gioca in ogni istante con la vita e con la morte,

dove ogni certezza viene cancellata, dove ogni

momento può rivelarsi decisivo, ogni esitazione

può diventare fatale. Ad un anno esatto dall’i-

nizio della guerra di Corea, DDD pubblica nel

giugno del 1951 il libro “This is war!” organiz-

zato in tre parti, “Collina - Città - Ritirata/in-

ferno”, ciascuna delle quali è introdotta da un

testo scritto dallo stesso DDD ed è illustrata da

fotografie prive di didascalie. Il libro, ripubbli-

cato più volte, non vuole mostrare la guerra in

di Danilo Cecchi

David Douglas Duncan This is war!

sé, ma come la guerra cambia le persone, quello

che la guerra può fare agli uomini che ne vengo-

no coinvolti. Il suo punto di vista sulla guerra si

precisa ancora meglio quando decide di tornare

in prima linea per documentare la guerra del

Vietnam, la più lunga delle guerre che hanno

impegnato gli Stati Uniti nel Novecento, an-

cora più disastrosa della guerra di secessione di

un secolo prima. Nel 1968 pubblica il libro “I

Protest!” sui giorni dell’assedio di Khe Sanh, e

nel 1970 pubblica il libro “War without hero-

es”. “Ho voluto mostrare quello che un uomo

sopporta quando il suo paese decide di andare

in guerra, con o senza il suo accordo personale

sulla giustizia della causa. Ho voluto mostra-

re il cameratismo che lega gli uomini quando

combattono un pericolo comune, il modo in cui

vivono e muoiono, l’agonia, la sofferenza, la ter-

ribile confusione, l’eroismo che è moneta quo-

tidiana tra quegli uomini che in realtà sparano

con dei fucili puntati su altri uomini, conosciuti

solo come “il nemico”. Dopo avere documenta-

to una guerra vinta contro il Giappone ed una

guerra mai dichiarata e pareggiata contro la Co-

rea del Nord, nel documentare la guerra perdu-

ta contro il Vietnam del Nord, DDD abbando-

na la sua imparzialità e critica apertamente la

gestione della guerra da parte del governo degli

Stati Uniti. Con le sue vigorose immagini anco-

ra prima che con le sue parole.

1330 GIUGNO 2018

di Andrea Ponsi

Immagine del paesaggio nella sua massima astrazione, le Crete Senesi ci im-

mergono in un’ atmosfera surreale, metafisica. I campi coltivati a giropoggio e

a tagliapoggio in inverno diventano solchi d’aratro tracciati da un pettine gi-

gante, in primavera soffici tappeti verdi; d’estate, onde di grano.Le Crete sono

il centro simbolico della Toscana, il suo cuore, l’elemento primario, originale

e riconoscibile del suo territorio.

**************

I nastri colorati delle colture scivolano nella fluidità acquosa del declivio. I

cipressi ombreggiano la villa e fanno da palizzata ai venti. Più in là, adagiati

su cucuzzoli a controllare il territorio, altri casali, anch’essi riconoscibili dalla

presenza delle querce e dei cipressi.

Disegnare la Toscana Crete Senesi

1430 GIUGNO 2018

gerarchi dei regimi autoritari, ma anche l’on-

nipotenza concessa ai reggitori delle demo-

crazie moderne, che sono divenute subdoli,

inaspettati modelli di distruzione della mol-

teplicità e della ricchezza individuale, della

libertà e del diritto.

Filosofia è uno stile di vita, necessario a ri-

prendere/mantenere la consapevolezza e il

controllo della propria individualità, della

qualità del rapporto con gli altri.

Non ci sono autorità da compiacere o a cui

chinare la testa: non i filosofi del passato (per

quanto, evidentemente, giovi alquanto in-

dagarli, studiarli, soprattutto per l’apprezza-

mento compiuto del ‘metodo’ filosofico); né (a

maggior ragione) quelli contemporanei; non

gli intellettuali o i maître à penser, sovente

troppo paghi delle mance riscosse per non

disturbare i manovratori; tantomeno i mano-

vratori, che per diventare tali hanno abbrac-

ciato il culto del possesso, un’idea nichilista,

mortifera.

La conoscenza non è, del resto, un prodotto.

Ma un processo, una realtà in continuo dive-

nire.

C’è un punto fermo da non smarrire mai nel

cammino di buoni cercatori: la propria co-

scienza.

E, per coloro cui sta a cuore, c’è un Dio da

cercare, da scoprire, da gustare ogni giorno: il

Tesoro più importante della vita.

di Paolo Marini La filosofia è la madre di tutte le battaglie.

Governa ogni nostra scelta, anche senza che

ce ne accorgiamo.

E’ puerile affermarne l’astrattezza, la lonta-

nanza dalle questioni concrete dell’uomo:

vecchio pregiudizio, duro a morire, che non è

frutto di ignoranza ma forse di una cosa peg-

giore dell’ignoranza: la mancanza di un (qual-

sivoglia) desiderio di conoscenza.

Questa forma di indifferenza o di neghittosità

rischia di trasformare l’uomo in un vegetale.

Bisogna tuttavia sostenere, per un minimo di

coerenza, come anche tale inedia potrebbe

essere frutto di una decisione riconducibile

ad una filosofia: non certo quella del “so di

non sapere”, semmai quella del “non me ne

frega di sapere”. Più spesso, almeno in appa-

renza, è una scelta neppure riflessa. In ogni

può rivelarsi, nel breve termine, assai comoda

e/o conveniente.

Ma alla lunga non si può vivere addormentati

da forze compulsive - che spingono in recessi

oscuri, nel dominio della tecnologia, dell’ide-

ologia dell’habeo ergo sum, di un culto della

superficie che appiattisce e chiude ogni fe-

nomeno, ogni momento dell’esistenza, in un

cupo grigiore - senza finire impantanati in

uno pericoloso stagno esistenziale.

Una proattività intellettuale, il tentativo di

interpretare ciò che ci circonda, il porsi conti-

nuamente delle domande e l’elaborazione di

idee, sono il pane di un’esistenza.

La scelta del vegetale porta in un vicolo cieco.

E’ la fine della individualità, di ogni bellezza:

anche una grande disponibilità di mezzi può

risultare vana se il loro impiego avviene sen-

za la benché minima direzione, senza un pro-

getto. E non solo: con la scelta del vegetale si

finisce per accettare ciò che viene propinato

quale unica chance a disposizione. E’ il pre-

supposto della massificazione, la dismissione

sistematica di quella coscienza (critica) che

aiuta a individuare le trappole, le certezze fa-

sulle, a smascherare quei sistemi che schiac-

ciano la personalità, l’individualità. E’ quin-

di il viatico ad un potere illimitato di pochi,

che non è necessariamente o solo quello dei

La madre di tuttele battaglie

1530 GIUGNO 2018

a cura di Aldo Frangioni

Immagini di bellezza

Una sola volta abbiamo

ripetutamente riso di

fronte ad un riporto: lo

abbiamo fatto ogni vol-

ta che, in TV, appariva l’immagine seriosa

di Schifani “prima maniera”.

Ma se (come l’Italia ha fatto con colui che,

per anni, era – forse a sua stessa insaputa

- la seconda carica dello Stato), cancellia-

mo la prima sillaba della parola “riporto”,

pensiamo a tutte le immagini che ci vengo-

no alla mente ogni volta che pronunciamo

quelle due sillabe, sole o associate ad altre

espressioni.

Sono tutte immagini di sconfinata libertà,

di bontà e di bellezza:

- “porto di mare”, non si usa forse, per in-

dicare un luogo dove è bello arrivare as-

sieme a tanti altri, o veder arrivare perso-

ne diverse, lì confluite magari con le più

diverse caratterizzazioni, motivazioni e

attese?

- il Porto è un buonissimo vino liquoroso...

portoghese;

- quanta bellezza evoca il solo nome di

Portofino, uno dei più begli approdi del

Golfo del Tigullio;

- “Portobello”, non fa ricordare forse i sim-

patici sforzi prodotti da altri per farci per-

cepire gli incerti vocalizzi di un pappagal-

lo che sapevamo esser variopinto, anche se

dal monitor che osservavamo dal divano di

casa ci appariva in varie tonalità di grigio?

- e l’udire poche parole da chi hai invitato

a cena, precedute da “io porto...”, non ti dà

immediatamente la riprova che l’invito è

stato gradito e la certezza che la tavola sarà

ancora più ricca?

- “supporto” non è forse un sostegno, un

aiuto, che appare gradito, ed a volte, essen-

ziale?

Insomma, come si permette uno che ha

giurato sulla Costituzione non solo di ipo-

tizzare quel tragico ossimoro, mai udito

fino a qualche settimana fa, che risuona:

“la chiusura dei porti”?

Per quanto tempo ancora, assisteremo

disorientati ed increduli ad una violenza

lessicale che sottende, e forse ne è premo-

nitrice, tentativi sempre più “arditi” di

perpetrare, ai nostri danni, furti ben più

corposi?

E quanto tempo ancora dovrà passare pri-

ma che si oda una autorevole voce di dis-

senso?

E speriamo proprio che non sia (magari da

sola) quella della Accademia della Crusca.

Sarebbe un segnale triste se dalla Villa

Medicea di Castello si potesse solo soffer-

marsi sul dito e non sulla Luna... vistosa-

mente calante, verso cui quel dito invita

ad indirizzare un preoccupato sguardo.

I pensieri di Capino

Mikael Ohanjanyan, armeno classe ‘76, ha

vinto il Premio Enrico Marinelli Contem-

porary Art Award con un’opera dal titolo

La Soglia è la Sorgente, che sarà presentata

al pubblico il prossimo ottobre, e sarà rea-

lizzata in Toscana avvalendosi di artigiani

locali; la scultura verrà poi esposta tempo-

raneamente nel Museo dell’Opera del Duo-

mo per un periodo di sei mesi.

Agli artisti in gara era stato chiesto di pre-

sentare un rendering in 3D della loro opera,

accompagnato da una descrizione dettaglia-

ta, ispirata al tema della ‘Speranza’ che è

descritta da Timothy Verdon, direttore del

Museo dell’Opera del Duomo e membro

del comitato tecnico del premio: “La Spe-

ranza è una virtù teologica, la speranza in

Dio e nella sua salvezza. Oggi, anche quan-

do essa ha ancora un contenuto religioso, la

speranza riguarda le persone e le situazioni

concrete, e soprattutto il loro potenziale di

cambiare. Gli artisti del concorso potevano

orientarsi su problematiche e aspirazioni

del nostro tempo: l’immigrazione, la pace,

la prosperità umana”.

Le motivazioni espresse dalla giuria - com-

posta da Micol Forti, direttrice della Col-

lezione di Arte Contemporanea dei Musei

Vaticani, David Stuart Elliott, vice diret-

tore e curatore senior presso il RMCA di

Guangzhou, Antonio Natali, consigliere

dell’Opera di S. Maria del Fiore, Christian

Oxenius, scrittore e curatore indipendente

della Kunsthalle di Osnabrück, Denys Za-

charopoulos, direttore artistico della Galle-

ria Municipale, Museo e Collezione della

Città di Atene, e presieduta dalla curatrice

di fama internazionale Adelina Von Fur-

stenberg - sono le seguenti:

“La comprensione teorica, sociale e umana

di Mikayel Ohanjanyan verso la nozione

contemporanea di Speranza, è molto con-

vincente e coraggiosa. Tuttavia Ohanjanyan

offre alla Speranza una consapevolezza che,

traversando la memoria e gli elementi del-

la realtà, ci porta alla materialità della sua

trasformazione nella fusione con la pietra

vulcanica. Quest’opera si riferisce a una

linea ben precisa delle arti contemporanee,

passando dalla Land Art e dall’Arte Povera

a Joseph Beuys, considerando la memoria e

la natura dei materiali come vettori di vita e

cambiamento”.

A Ohanjanyan il Premio Enrico Marinelli

1630 GIUGNO 2018

In previsione di un ordinamento dei dipinti

di S.Felicita (tele, tavole, affreschi staccati)

di norma non visibili e al fine di razionaliz-

zare lo stato presente di queste opere nate

dalla secolare devozione di committenti e

artisti, e che sono attualmente senza un luo-

go dove risultino stabilmente depositate,

propongo qui un loro Elenco. Al 6 maggio

2016 tali dipinti si trovavano sparsi in più

ambienti del complesso ecclesiale. In que-

sto Elenco sono comprese anche le opere in

appoggio pertinenti S.Jacopo sopr’Arno

[Cu.Co. n.258, pp.28-29]. In relazione a

ognuno di questi dipinti, segnalo, dove esso

esiste, il numero di Inventario della Sovrin-

tendenza, versione cartacea, redatto nel

1980 [Inv.S.] nonché il numero dell’ultimo

Inventario della Curia, versione digitale,

redatto nel 2013 [Inv.C.]. Le opere non

sono state tutte inventariate. Le loro misure

non sempre sono a corredo delle schede. In

mancanza di documentazione e/o di attri-

buzione l’autore è da considerarsi ignoto.

Non ho preso in considerazione le stampe

anche se storiche. Al di là di un loro effetti-

vo valore artistico, queste stampe sono utili

per lo studio della devozione, del culto e

delle liturgie. L’Elenco è il seguente: 1 -

“Vecchio Profeta”, affresco staccato e ri-

montato su tela, cm 55x48, 1388 ca., attri-

buito a Niccolò di Pietro Gerini [Inv.S.

n.160 - Inv.C. n.4541]; risulta mancante

dall’agosto/settembre 2012. 2 - “Giovane

Profeta”, affresco staccato e rimontato su

tela, cm55x48, 1388 ca., attribuito a Nic-

colò di Pietro Gerini [Inv.S. n.159 - Inv.C.

n.4751]. 3 - “Assunta”, tavola centinata al-

luvionata trasferita su tela, cm285x162,

XVI secolo; proviene da S.Jacopo. 4 - “Bat-

tesimo di Gesù”, olio su tela, cm150x110,

II metà XVI secolo, con cornice; proviene

dalla Compagnia del SS.mo Sacramento di

S.Felicita [Inv.S. n.198 - Inv.C. n.4940-

41]. 5 - “Incontro di Gesù con S.Giovanni-

no”, olio su tela, cm150x110, II metà XVI

secolo, con cornice; proviene dalla Compa-

gnia del SS.mo Sacramento di S.Felicita

[Inv.S. n.197 - Inv.C. n.4946-47]. 6 - “Sa-

cra Famiglia con S.Giovannino”, tempera

su tavola, cm78x63, XVI secolo; proviene

da S.Jacopo [Inv.S. n.152]. 7 - “Adorazione

dei Magi”, olio su tela, cm.172x230, post

1590, anno di immatricolazione all’Acca-

demia delle Arti del Disegno del pittore

Francesco Curradi; proviene da S.Jacopo. 8

- “Cena in Emmaus”, olio su tela,

cm102x128, XVII secolo; scomparso dopo

il 1980 data della sua inventariazione, pro-

veniva dalla Compagnia del SS.mo Sacra-

mento di S.Felicita, [Inv.S. n.151]. 9 - “Ad-

dolorata”, olio su tela, cm100x50, I metà

del XVII secolo, maniera di Francesco Cur-

di M.Cristina François

S.Felicita

1730 GIUGNO 2018

radi [Inv.S. n.161 - Inv.C. n.4942]; risulta

mancante dall’agosto-settembre 2012. 10 -

“S.Francesco adorante il Crocefisso”, olio

su tela, cm77x64, inizi XVII secolo, da Lu-

dovico Cigoli; proviene da S.Jacopo [Inv.C.

n.4654]. 11 - “Il miracolo dell’indemoniata

guarita da un Santo Vescovo” detta anche

“l’Ossessa”, olio su tela, cm263x189, XVII

secolo; proviene da S.Jacopo. 12 - “Nostra

Signora dell’Orto”, olio su tela, XVIIs., con

sua cornice. 13 - “S.Cecilia che suona con

gli Angeli”, sipario dell’organo di G.B. Con-

tini, tempera su tela, XVIII secolo, docu-

mentato da chi scrive come opera di Pier

Dandini. 14 - “Martirio di S.Bartolomeo”,

olio su tela, cm116x87, XVII secolo; pro-

viene da S.Jacopo [Inv.C. n.4655]. 15 -

“Cristo mostra la piaga del costato”, olio su

tela, XVII secolo, con cornice, dal Volterra-

no; potrebbe provenire da S.Jacopo. 16 -

“Compianto su Cristo morto”, olio su tela,

XVII secolo, con cornice e cartiglio recante

la scritta “Sic Deus dilexit nos”; potrebbe

provenire da S.Jacopo. 17 - “Compianto”,

tavola per paliotto della Settimana Santa,

XVII secolo, con sua cornice. 18 - “Cristo

morto”, olio su tela per paliotto della Setti-

mana Santa, XVIIs. [Inv.C. n.0970]. 19 -

“San Jacopo”, olio su tela di forma ovata,

XVII-XVIII secolo; potrebbe provenire da

S.Jacopo. 20 - “Arcangelo Raffaele e Tobio-

lo”, olio su tela, cm110x98, XVII-XVIII se-

colo, con cornice, da F.Morandini detto il

Poppi; proviene da S.Jacopo [Inv.S. n.146

- Inv.C. n.5004-05]. 21 - “Sacra Famiglia

con S.Giovannino”, olio su tavola?,

cm73x63?, XVI-XVII secolo, con sua cor-

nice a cassetta [Inv.C. n.4657-58]. 22 -

“S.Francesco da Paola”, olio su tela di forma

ovata, XVII-XVIII secolo, con sua cornice

alla salvadora; potrebbe identificarsi con

opera che apparteneva a S.Jacopo sia per il

soggetto che per il formato, ma le misure

non corrispondono [Inv.C. n.4924-25]. 23

- “Preghiera nell’Orto del Getsemani”, olio

su tela, cm144x94,5, datato al 1722 come

opera di Pietro Maria Paolini grazie a un

documento d’archivio rintracciato da chi

scrive. 24 - “Albero genealogico delle Mo-

nache di S.Felicita”, tela dipinta a grisaille,

non sono conosciute le misure esatte, ma

l’ingombro è notevole (lunga oltre m.7 e

alta circa m.4), 1738, di Giovan Battista

Dei. 25 - “Madonna del Buon Consiglio”,

olio su tavola, metà XVIII secolo, con sua

cornice, a partire da documenti coevi è rife-

ribile a Violante Beatrice Siries Cerruoti

[Inv.C. dal n.4637 al n.4647]. 26 - “Tra-

sporto al sepolcro” dalla Via Crucis Stazio-

ne XIV, olio su tela, documentato da chi

scrive al 1749, con sua cornice [Inv.C.

n.4520]. 27 - “La Visitazione”, olio su tela,

XVIII secolo, con sua cornice. 28 - “Lo Spi-

rito Santo”, tempera su tela; costituiva il

‘cielo’ del pulpito del Predicatore della

Compagnia del SS.mo Sacramento di S.Fe-

licita, XVIII secolo? 29 - “S.Maria Madda-

lena de’ Pazzi”, olio su tavola, XVIII-XIX

secolo, con sua cornice, alla maniera di F.

Curradi [Inv.C. n.4951-52]; proviene da

S.Jacopo. 30 - “S.Maria Maddalena de’

Pazzi”, olio su tela, XVIII secolo, da F.Cur-

radi [Inv.C. n.4769]. 31 - “Immacolata del-

la Schola de’ Cherici”, tempera su tela, rita-

gliata e riportata a découpage su altra tela

ottocentesca, XVIII secolo, con cornice [In-

v.C. n.5261-62]. 32 - “S.Domenico”, olio su

tela, XVIII-XIX secolo, da un prototipo nel-

la Sagrestia della Chiesa di S. Marco a Fi-

renze. 33 - “Immacolata”, tempera su rame,

XIX secolo, con sua cornice [Inv.C. n.4746-

47]. 34 - “San Stanislao Khosta”, olio su

tela, XIX secolo. 35 - “Sacra Famiglia con

S.Giovannino e S.Elisabetta”, olio su tavola,

XVIII-XIX secolo, dal dipinto di Raffaello

oggi al Louvre, con sua cornice [Inv.C.

n.5621-22]. 36 - “Il Redentore con Sacro

Cuore”, tempera su tavola alla maniera del

Beato Angelico (per uno sportello di taber-

nacolo); le ‘balaustrine’ lignee del manufat-

to sono mancanti dal 2011(?); grazie a un

documento reperito da chi scrive la tempe-

ra è di Gaetano Gaglier, 1841 [Inv.C.

n.5571]. 37 - “Volto Santo”, olio su tela,

cm63,2x49,1, II metà del XIX secolo, docu-

mentato dalla scrivente come opera di An-

tonio Ciseri, con sua cornice alla salvadora

[Inv.C. n.5007-08]. 38 - “Il Giudizio fina-

le”, tempera su tavola monocroma, XIX se-

colo, proviene da uno dei pannelli della

“macchina da morti” [Inv.C. n.0965]. 39 -

“Visione di Ezechiele: la valle delle ossa

inaridite”, tempera su tavola monocroma,

XIX secolo, proviene da uno dei pannelli

della “macchina da morti” [Inv.C. n.0971].

40 - “Mater Dei con Gesù Bambino e S.

Giovannino”, sipario/arazzo dipinto a tem-

pera, di grandi dimensioni, fine XIX secolo,

alla maniera di Bouguereau. 41 - “Madon-

na della medaglia”, stendardo dipinto a

tempera su tela, 1860 termine post quem:

questa iconografia nacque con le “Figlie di

Maria e di sant’Agnese” istituite la prima

volta in Italia in quell’anno nella chiesa ro-

mana di S.Giovanni dei Fiorentini [Inv.C.

n.4649]. La quantità delle opere qui elen-

cate e l’impossibilità di verificarne ad oggi

la consistenza materiale (tavola o tela? olio o

tempera? misure) rendono necessaria una

revisione puntuale in caso di riutilizzo, da

parte degli addetti ai lavori, delle informa-

zioni consegnate in questa lista. Nella spe-

ranza che i dipinti abbiano una loro conso-

na collocazione alla quale l’odierno storico

dell’arte, lo studioso di opere e manufatti

sacri, e il devoto possano riferirsi con cer-

tezza ho qui inserito [fig.1, contrassegnati

con asterisco i locali in questione] a titolo

d’esempio una pianta del 1820 dove si con-

sidera il primo piano della Canonica e que-

gli ambienti dove un tempo erano appunto

degnamente depositati gli arredi e le opere

prive di sede fissa. Anche adesso questi spa-

zi potrebbero essere adibiti alla collocazio-

ne ordinata dei dipinti elencati. Si tratta

della “Stanza della Guardaroba del Priore”,

della “Guardaroba degli Operai dell’Ope-

ra” (detta più recentemente “Stanza del Te-

soro”), della Biblioteca/Archivio (in via di

trasferimento per una sua visibilità e fruibi-

lità) e di altri ambienti attigui che non han-

no al presente funzione specifica. Per le at-

tribuzioni di questo articolo ringrazio A. N.

che considero mio Maestro.

Il patrimonio invisibile

1830 GIUGNO 2018

Ambarabà ciccì coccò, Notti InColore 2018,

ci vestiamo di bianco per entrare in questa

notte perché il colore di oggi è il bianco e i

negozi di Certaldo l’omaggiano con per-

formance artistiche a “cielo aperto” e nelle

vetrine. Il colore bianco lascia spazio agli

abbracci temporanei perché l’abbraccio in

questo momento storico ha un significato

particolare, di accoglienza, di sostegno e

contenimento, di affetto e tanto altro. So-

pra i nostri abiti bianchi vestiamo le maglie

relazionali dell’artista Manuela Mancioppi

“Temporary relation ships second skin” e an-

diamo per le strade di Certaldo a coinvolgere

e abbracciare le persone. Le loro difese cado-

no facilmente e spesso non scappano anzi ci

accolgono con sorrisi e ringraziamenti. Non

sempre è facile abbracciare e farsi abbraccia-

re, soprattutto da estranei. L’abbraccio porta

in sé significati profondi, fiducia nell’altro,

lasciarsi andare, far cadere le nostre barrie-

re e stasera sembra che i limiti siano elastici

come lo sono le maglie di Manuela. Il nego-

zio Guardaroba ospita Manuela e le sue ma-

glie sono in vetrina, alcune persone sono en-

trate per comprarle senza rendersi conto che

le maniche della maglieria sono unite le une

alle altre perché questi abiti hanno una par-

ticolarità, devono essere indossati minimo

da due persone. La second skin, dello stesso

di Angela Rosi

colore della pelle, ci unisce in relazioni tem-

poranee che esistono nel tempo della per-

formance. Indossiamo maglie da sei, poi da

tre e infine da due persone, gli abbracci alle

persone sono brevi, il nostro intervento è cir-

coscritto ma lascia spazio al coinvolgimento

emotivo e al sorriso, a far abbracciare coppie

anziane e coppie giovani con bimbi piccoli.

Tra la folla alle volte percepiamo il bisogno

di essere abbracciati e lo facciamo così, in-

sieme, senza dirsi niente. Chissà le maglie

di Manuela hanno il potere di farci sentire

un unico essere per un tempo limitato. Qui

ognuno di noi mette in condivisione la sua

personalità in una relazione che unisce e tra-

smette il senso di accoglienza e soprattutto la

possibilità di aprire i nostri confini agli altri

in un periodo dove, purtroppo, i confini de-

gli individui e dei paesi si stanno chiudendo

sempre più con la propaganda della paura e

dell’intolleranza.

Sono grata a “Temporary relation ships se-

cond skin” perché ci insegna ad incontrare il

mondo senza paura dell’altro disponibili ad

uno scambio creativo.

L’evento Ambarabà ciccì coccò, Notti InCo-

lore 2018, è curato dall’artista Gloria Cam-

priani, la performance è di Manuela Man-

cioppi con la collaborazione di Angela Rosi

e Elisa Prati, le foto sono di Pietro Schillaci.

Notti in bianco

1930 GIUGNO 2018

L’accademico Francoise Benhamou, spe-

cialista in economia della cultura, ne è

entusiasta “è riuscito in pochissimi giorni

a raggiungere un numero di persone infi-

nitamente superiore a quelle che visitano

il museo in un anno e, attraverso un cana-

le non convenzionale, arrivare a un nuovo

pubblico più giovane. Un incredibile colpo

pubblicitario”. Parla naturalmente della

clip di 6 minuti Apeshit, con 30 milioni

di visualizzazioni nei primi 5 giorni, che i

cantanti Beyoncé e Jay-Z hanno girato nel-

le sale più famose del Louvre per lanciare

sul mercato il nuovo album Every thing

is love. Alcuni sono rimasti entusiasti

dell’iniziativa della veneranda istituzione

parigina, residenza dei re di Francia dal

XIV secolo e simbolo del potere (sfruttato

in tal senso da Emmanuel Macron la sera

della vittoria alle elezioni presidenziali).

Il New York Time ha interpretato questa

clip come una rivendicazione razziale: non

a caso i primi piani isolano personaggi di

colore come ne Le nozze di Cana del Ve-

ronese o Il ritratto di una negra di Marie

Guellemine Benoist. La coppia nera di

cantanti vuole rappresentare, secondo il

giornale americano, in un luogo simbolo,

tutti quelli esclusi dalla storia che attraver-

so il loro talento ne diventano partecipi.

Altri hanno gridato alla profanazione e ne

hanno criticato la volgarità perchè, anche

se il museo non è nuovo a queste iniziati-

ve, forse questa volta la logica commerciale

è stata spinta all’estremo. Le riprese con

cantanti e ballerini si sono svolte in grande

segreto nelle notti del 31 maggio e il pri-

mo giugno. Il Louvre si rifiuta di rivelare

quanto ha incassato ma è facile dedurre,

secondo le tariffe in vigore, che dovrebbe

trattarsi di una cifra, anche modesta per il

contesto, attorno ai 40.000 euro. L’utilizzo

di musei come set di cinema, pubblicità o

eventi commerciali non è una novità dopo

i tagli delle sovvenzioni pubbliche, ma il

Louvre è stato un precursore già dagli anni

60 con la famosa serie Belphégor con Ju-

liette Greco. Un ufficio apposito fornisce

a produttori cinematografici, fotografi di

pubblicità, sfilate di moda, feste private...

il tariffario degli affitti degli spazi esterni

(più economici) del Jardin des Tuileriers

e Carrousel, e di quelli interni offerti di

martedì, giorno di chiusura al pubblico, o

di sera, e anche del parcheggio dei veicoli

che contengono le attrezzature necessarie.

di Simonetta Zanuccoli

La musica al LouvreC’è anche la possibilità di accordi diversi

come quello con la Citroen alla quale è sta-

to permesso di girare 3 spot pubblicitari in

cambio di un investimento nelle collezioni

del museo o con il cantante Will.i.am dei

Black Eyed Peas che per una clip nelle sale

del museo ha accettato di girare un breve

documentario per promuovere, insieme al

curatore, l’apertura di una nuova sezione.

Comunque dopo il fulminante successo di

Apeshit, Jean-Luc Martinez, direttore del

Louvre dal 2013 e appena riconfermato

fino al 2021, ha già pensato di creare in

tempi brevi un percorso di visita ispirato

al videoclip che si affianca a quello già esi-

stente e di grande successo che ripercorre

i luoghi del museo dove sono state girate

alcune scene del film Codice da Vinci.

Il fattore economico è entrato in maniera

preponderante nella gestione dei musei

francesi per sanare le perdite della cadu-

ta di frequentazioni di questi ultimi anni

macchiati da diversi attentati. Il Ministe-

ro della Cultura sta pensando di sfruttare

la fama mondiale di alcuni musei come

il D’Orsay, il Beauborg e lo stesso Lou-

vre offrendone ad altri paesi, partendo da

quelli emergenti come la Cina e l’India, il

marchio e il know-how. Un’agenzia appo-

sitamente creata sarà responsabile della ri-

cerca di progetti in tutto il mondo e fornirà

oltre al nome e il prestigio di un grande

museo anche la competenza di architetti,

curatori, restauratori, allestitori... Il denaro

delle licenze dovrebbe contribuire a pagare

alcuni dei costi di manutenzione, finanzia-

re acquisizioni e sviluppare nuovi progetti.

Qualcuno, malignamente, ha scritto pa-

rafrasando la pubblicità di Master card:

prendi possesso della storia, non ha prezzo.