IL PROCESSO CONTRO GESÙ - studibiblici.eu Annunziata - Il processo contro Gesù.pdf · universitÀ...
Transcript of IL PROCESSO CONTRO GESÙ - studibiblici.eu Annunziata - Il processo contro Gesù.pdf · universitÀ...
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI
“FEDERICO II”
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA
in
STORIA DEL DIRITTO ROMANO
IL PROCESSO CONTRO GESÙ
Relatore Candidata
Ch.mo Prof. Daniela Annunziata
Francesco Amarelli matr. 131- 011332
ANNO ACCADEMICO 2006/2007
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
2
“Eppure Egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da Dio ed umiliato. Ma Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di Lui e per le Sue lividure, noi siamo stati guariti”.
Is. 53:4,5.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
3
INDICE
Prefazione pag. 9
Capitolo I
La giurisdizione criminale in Italia e nelle province nel primo
secolo d.C.
§ I.1. Quaestiones perpetuae e principio di legalità pag. 12
nella tarda Repubblica
§ I.2. Il sistema del Principato pag. 18
§ I.3. Governo delle province e tradizione repubblicana pag. 22 § I.4. Giurisdizione e potere disciplinare: un confine pag. 25 ambiguo già in passato
§ I.5. Augusto e la realtà provinciale pag. 27
§ I.6. Iurisdictio, ius gladii ed imperium merum pag. 31
§ I.7. Il problema della giurisdizione in Giudea pag. 33
§ I.8. Il governatore e l’ordine pubblico: limiti pag. 36 al potere governatoriale
§ I.9. I delitti religiosi: problemi di competenza pag. 39
§ I.10. Sintesi conclusiva pag. 41
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
4
Capitolo II
Fase preliminare: l’arresto di Gesù e l’interrogatorio presso Anna
§ II.1. L’arresto di Gesù nell’orto degli Ulivi: da chi pag. 45
fu compiuto e perchè § II.2. Il dibattito sugli esecutori dell’arresto e pag. 52 riflessioni sulla legalità formale di esso
§ II.3. Il dibattito sulla data del processo pag. 58
§ II.4. L’interrogatorio presso Anna: valore di inchiesta pag. 61
giuridico-preliminare o informale?
Capitolo III
Fase cognitiva: il dibattimento dinanzi al Sinedrio
§ III.1. Il sommo sacerdote Caifa ed il Sinedrio pag. 68
di Gerusalemme § III.2. Il dibattimento: le regole processuali pag. 72
§ III.3. L’interrogatorio dell’imputato e la pag. 76
condanna a morte da parte dei sinedriti
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
5
Capitolo IV
Il deferimento al tribunale del procuratore
§ IV.1. Il comportamento del procuratore romano dinanzi pag. 86 alla giustizia indigena
§ IV.2. Il perchè di due processi indipendenti pag. 88
§ IV.3. Il processo dinanzi al governatore romano: regole pag. 92 procedurali § IV.4.“Deformazione” dell’accusa da parte del Sinedrio: pag. 101
da bestemmia ad alto tradimento § IV.5. Il primo interrogatorio dell’accusato da parte pag. 105 di Pilato
Capitolo V L’invio al tetrarca di Galilea e Perea
§ V.1. La “colpa” di Pilato pag. 110
§ V.2. La possibile ratio del deferimento ad Erode pag. 112
§ V.3. Il dibattito circa la storicità del racconto di pag. 117 Luca sulla pericope di Erode: il richiamo al diritto romano
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
6
Capitolo VI
Il rinvio a Pilato ed il privilegium paschale
§ VI.1. Il privilegium paschale: origine ed aspetto pag. 124
giuridico
§ VI.2. L’imprudenza di Pilato e la scelta della folla: pag. 128
aspetti psicologici
§ VI.3. Il crimen laesae maiestatis pag. 132
§ VI.4. La lavanda delle mani pag. 134
Capitolo VII
Fase decisoria: flagellazione, “Ecce homo!” e condanna a morte
da parte di Pilato
§ VII.1. La flagellazione romana ed il dibattito sulla pag. 140
possibile ratio della flagellazione di Gesù
§ VII.2. L’ “Ecce homo!” e l’intimidazione degli pag. 143 Ebrei a Pilato
§ VII.3. Sentenza formale di condanna a morte? pag. 151
Il “bema” di Pilato
§ VII.4. L’esecuzione delle sentenze di condanna a morte pag. 157
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
7
Capitolo VIII
Fase esecutiva: la crocifissione
§ VIII.1. L’infamia della crocifissione pag. 162
§ VIII.2. La “passeggiata ignominiosa”; il vituperio e pag. 167
la morte in croce di Gesù
§ VIII.3. Il crurifragium e la sepoltura pag. 173
Appendice I
La condanna a morte di Gesù:
Colpa dei Romani o degli Ebrei?
§ I.1. La critica di Lietzmann e Cohn alla pag. 178 ricostruzione “tradizionale” del processo § I.2. Il punto di vista ebraico di Cohn pag. 186 § I.3. Confutazione delle tesi di Cohn pag. 190
§ I.4. Le fonti: il testimonium flavianum ed il processo pag. 196
di Giacomo
§ I.5. Il processo di Gesù negli Atti degli Apostoli pag. 202
§ I.6. Conclusioni pag. 205
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
8
Appendice II
Chi serve la democrazia e chi se ne serve?
Le riflessioni di Kelsen e Zagrebelsky sul processo “democratico”
contro Gesù
§ II.1. Il processo di Gesù, tragico simbolo della pag. 213
democrazia
§ II.2. La democrazia critica di Zagrebelsky pag. 218
§ II.3. Il Pilato democratico di Kelsen pag. 220
§ II.4. Cacciari su: “Che cosa è verità?” pag. 225
BIBLIOGRAFIA pag. 229
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
9
Prefazione: La sentenza che cambiò la storia
L’imputato era famoso.
Si dichiarò innocente.
Mancavano le prove, ma fu condannato per ben due volte.
Su quali basi giuridiche?
Fu uno dei processi più brevi della storia, ma in assoluto il più
celebre che si ricordi ed il più discusso, oggetto di una sterminata serie
di rievocazioni, analisi, interpretazioni, sul piano religioso, letterario e
scientifico; durò solo tre giorni e si concluse con la condanna a morte
dell’imputato; un processo la cui ricostruzione resta di altissimo
interesse per la ricerca storico-giuridica, oltre che per le peculiarità
dell’imputato e dei capi d’accusa, anche per il controverso intreccio di
due diversi sistemi penali – quello ebraico, dipendente dal Sinedrio, e
quello romano, facente capo al governatore della provincia – informati
a differenti norme e procedure.
Inoltre, tale processo ricorda come a volte aspramente conflittuale
possa essere il rapporto tra diritto e giustizia, e come le ragioni della
democrazia, del rispetto della volontà popolare, possano andare contro
quelle della verità, come sottolineò Hans Kelsen, nel famoso saggio su
“Essenza e valore della democrazia”, rievocando la scelta del popolo a
favore di Barabba. In questa sede, osiamo unicamente rilevare,
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
10
ricordando un’acuta osservazione1, che proprio la consapevolezza
della frequente, dolorosa discrasia tra ius e iustitia, esalta, nello studio
del diritto, il ruolo della memoria e, dunque, sollecita una riflessione
su cosa l’applicazione del diritto abbia significato e possa significare
nella vita degli uomini2. E poi, qualora anche si riesca ad agire
conformemente ai desideri, si tratterà soltanto di una goccia
nell’oceano. Sì! Ma, come scrisse Zagrebelsky3, che cosa d’altro ci è
dato di fare? Del resto, l’oceano non è fatto di gocce?
1 Amarelli-Lucrezi, 1999, pag. 230. 2 Amarelli-Lucrezi, 1999, pag. 244. 3 Zagrebelsky, 1995, pag. IV.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
11
Capitolo I
La giurisdizione criminale in Italia
e nelle province nel primo secolo d.C.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
12
I.1. Quaestiones perpetuae e principio di legalità
nella tarda Repubblica.
Prima di introdurre l’argomento processuale, ritengo che si
imponga, anzitutto, un discorso retrospettivo sulle forme della
giurisdizione criminale della prima età del principato, affinché meglio
si possa comprendere lo scenario giuridico del tempo, entro il quale,
poi, calare quello del processo in oggetto ed anche al fine di trattare il
fondamentale problema della competenza del Sinedrio in ordine alla
giurisdizione capitale.
Gli storici del diritto penale romano sono in massima parte
concordi nel ritenere che, verso la fine dell’età repubblicana, le
quaestiones perpetuae - tribunali permanenti presieduti dal pretore o
da un suo delegato - soppiantarono i tribunali straordinari (quaestiones
extraordinarie), presieduti per lo più dal console (attorniato dal
proprio consilium) e costituiti di volta in volta per la repressione di
determinati crimini a sfondo politico, dapprima in base a
senatusconsultum, poi in base a plebiscitum. Ciascuna legge istitutiva
di una singola quaestio, nel sanzionare come reato un determinato
comportamento, fissava la competenza di quella quaestio
(relativamente a quel solo reato) e la specifica disciplina processuale.
Conseguentemente, le nove quaestiones non procedevano secondo un
iter uniforme, sebbene in tutte, le funzioni di inchiesta e di sanzione,
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
13
spettanti al pretore, venissero tenute distinte dalla funzione giudiziaria,
attribuita ad un collegio di iudices4.
Caratteristica fondamentale del processo era la sua natura
accusatoria: esso, infatti, aveva inizio per impulso di un privato
cittadino - non necessariamente il soggetto offeso dall’illecito - che,
manifestando la propria intenzione di agire nell’interesse della
comunità contro l’autore del reato, attraverso la postulatio, chiedeva al
pretore il riconoscimento del diritto di accusare in giudizio. Nel caso
in cui vi fossero stati più aspiranti al ruolo di pubblico accusatore, il
soggetto più idoneo veniva scelto in seguito ad un’apposita procedura
preliminare, la cd. divinatio.
Alla postulatio faceva seguito la vera e propria accusa, la nominis
delatio, che sfociava nell’emanazione da parte del magistrato del
provvedimento d’iscrizione dell’accusato nella lista degli imputati, la
nominis receptio. In seguito a tale iscrizione, l’accusatore acquisiva un
preciso ruolo processuale, che gli consentiva, tra l’altro, di citare
testimoni in giudizio e di concorrere con l’accusato alla formazione
del collegio dei giudicanti.
Siffatto modello processuale (caratterizzato da tendenziale
equilibrio tra accusa e difesa; ruolo neutrale del magistrato inquirente
e dei giudici; esigenza di rapportare sempre e comunque l’illecito da
sanzionare ad un’ipotesi criminosa, preventivamente stabilita dalla
legge, cd. principio di legalità) venne ampiamente idealizzato dai
costituzionalisti del secolo XIX, i quali, sui presupposti delle ricerche
4 Venturini, 1999, pag. 4.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
14
di Th. Mommsen, individuarono nel diritto romano della tarda
repubblica, un sistema idoneo a risolvere in maniera appagante, il
delicato problema dei rapporti tra Stato ed individui. In particolare, la
facoltà concessa ad ogni cittadino di promuovere la repressione dei
crimini nell’interesse dell’intera collettività, appariva pienamente
rispondente agli ideali propugnati dal pensiero liberale. Tuttavia, alla
più recente dottrina5 tale visione è apparsa opinabile: innanzitutto, si è
osservato che il principio di legalità, che si esprime essenzialmente
nell’irretroattività della norma penale, veniva fortemente limitato
dall’esistenza in epoca postsillana (I sec.a.C.), di quaestiones non
permanenti, istituite di volta in volta per la repressione di illeciti già
da tempo consumati; inoltre, la norma penale poteva considerarsi
determinata e tassativa solo in senso improprio: sia perché la
descrizione della figura di reato da essa effettuata non era così
minuziosa da impedire che uno stesso fatto ricadesse nella
competenza di quaestiones perpetuae diverse, sia perché i collegi
giudicanti erano investiti di poteri ampiamente discrezionali, che
consentivano di assolvere o condannare senza l’obbligo di motivare la
sentenza; infine, la recente dottrina non condivide la tesi secondo cui i
poteri discrezionali dei giudici incontrassero un limite invalicabile
nella previsione legislativa di pene fisse per ogni singolo illecito: ciò
accadeva, è vero, in molti casi (comunque da non generalizzare),
estrapolando dal relativo contesto il fin troppo noto assunto
5 Venturini, 1999, pag. 5.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
15
ciceroniano “damnatio…est iudicum, …poena legis”6 - “la pronuncia
di condanna fa capo ai giudici, mentre la pena consequenziale deriva
dalla legge” - ed assolutizzandone la portata.
Un altro problema si pone allorquando, partendo da un famoso
passo di Cicerone nel quale si afferma che “nocens, nisi accusatus
fuerit, condemnari non potest”7 - “il colpevole, se sottoposto ad
accusa, non può subire condanna”- si voglia affermare che le
quaestiones perpetuae potevano operare solo a condizione che fosse
esercitata l’accusa pubblica. Suddetta affermazione, infatti, mal si
concilia con il ruolo centrale o addirittura esclusivo che
contemporaneamente si vuole attribuire alle quaestiones perpetuae nel
sistema repressivo postillano: difatti, si osserva che risulta poco
credibile che la repressione di un grave crimine, rientrante nella
competenza di una quaestio, potesse essere subordinata ad un
condizionamento del genere. In effetti, la concorde opinione della
dottrina, secondo cui in età postsillana sarebbe venuto meno
l’esercizio della funzione giudiziaria da parte del collegio dei giudici e
sarebbe divenuto impossibile l’esercizio della provocatio ad populum
contro le pronunzie delle quaestiones e contro la coercitio - potere di
incarcerazione, fustigazione, irrogazione di multe - del magistrato,
inducono ad affermare che nella tarda repubblica la repressione
d’ufficio dei crimini si effettuasse senza la previsione di idonee
garanzie per l’imputato.
6 Sull., 63.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
16
Con tale convincimento concordano i risultati di un’ approfondita
indagine del Mantovani, il quale configura, in capo ai pretori preposti
alle diverse quaestiones perpetuae, un potere-dovere di indagare e
perseguire i reati di loro competenza: l’attività di repressione, dunque,
poteva non solo essere conseguenza dell’esercizio rei publicae causa,
ma derivare anche da autonoma iniziativa del singolo magistrato,
quindi, aver luogo in forme inquisitorie corrispondenti alla tradizione
delle quaestiones “unilaterali”, operanti nel secondo secolo8. Questo
punto di vista appare in buona misura attendibile ove lo si rapporti alla
realtà del primo secolo a.C. ed al sistema complessivo delle
quaestiones perpetuae. Infatti, la lex Sempronia de capite civis del 123
a.C. richiedeva, come unico presupposto di legittimità di ogni singola
quaestio promossa contro un cittadino romano, la preventiva
emanazione di un’apposita legge di autorizzazione, non disponendo
nulla, invece, a quanto è dato sapere, circa le regole di procedura che
ciascuna doveva seguire. Ciò significa, dunque, che non veniva
intaccata la possibilità che l’inquirente, solitamente un magistrato,
iniziasse d’ufficio un procedimento che ricalcava la struttura delle
precedenti quaestiones, presiedute da consoli o da pretori muniti di
consilia – pareri forniti da insigni giuristi – e attivate in seguito a
senatusconsultum o a plebiscito.
Come ha osservato il Venturini9, sarebbe da presumere che
l’avvento delle quaestiones perpetuae, determinando la
precostituzione di figure criminose corrispondenti a stabili aree di
8 Mantovani, 1989, pag. 112. 9 Venturini, 1999, pag. 7.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
17
competenza, deferite ai singoli praetores, non sia stato valutato quale
formale ostacolo al perpetuarsi di questa disciplina: fonti fededegne10
consentono, anzi, di riscontrare nella tarda repubblica un indirizzo
orientato ad interpretare la legge istitutiva della quaestio perpetua,
quale preventivo provvedimento autorizzatorio di quaestiones che, su
sollecitazione del senato, il pretore di essa titolare poteva
autonomamente promuovere. Particolare interesse suscita, per di più,
il fatto che esse risultano qualificate come extra ordinem, ossia in
termini analoghi a quelle che ragioni di particolare urgenza
suggerivano di far svolgere, nel rispetto del rito accusatorio, con
precedenza rispetto all’ordine naturale dei processi, di regola
determinato dalla cronologia della nominis receptio.
Il sistema delle quaestiones perpetuae, dunque, non era l’unico
applicato; accanto ad esso, un’autorevole dottrina11ha posto l’accento
sull’esistenza di un’attività punitiva esercitata dai magistrati con
finalità puramente repressive: i reati comuni, soprattutto se commessi
da individui di bassa condizione sociale, venivano generalmente puniti
dai tresviri capitales, i quali esercitavano un potere di polizia che
solitamente si esauriva nell’incarceramento anche per lunghi periodi e
solo di rado sfociava in un processo. Al cittadino, vittima di abusi
magistratuali, era concesso l’unico rimedio dell’appellatio ad un altro
giudice, esercitato nella speranza che quest’ultimo l’accogliesse
favorevolmente, mentre il rimedio della provocatio ad populum -
10 Cic., Mil.14. 11 Santalucia , 1999, pag. 95; sulle funzioni di polizia giudiziaria dei tresviri capitales , si veda Cascione, 1999, pp. 157 ss.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
18
appello al popolo riunito nei comizi - era disapplicato ed il potere dei
tribuni, reintrodotto nel 70 a.C. dalla lex Pompeia Licinia, di
sanzionare gli abusi dei magistrati attivando un processo di
perduellio, era scarsamente operativo.
Da quanto finora detto sembra doversi concludere che
nell’ordinamento della tarda repubblica, il consolidarsi del sistema
delle quaestiones perpetuae si era accompagnato allo sgretolamento
del complesso di garanzie (provocatio ad populum, attività giudiziaria
delle assemblee, controllo tribunizio sull’operato dei magistrati e
possibile attivazione di processi di perduellio), chiamate a
contemperare l’attività di sanzione. Così si era costituita una sorta di
doppia area di quest’ultima: una era occupata dai collegi giudicanti
senatorio-equestri e dal processo accusatorio; al di fuori di questo
recinto giurisdizionale, l’altra si esplicava in una giustizia affidata ad
iniziative di intrinseco carattere repressivo e discrezionale, condotte in
chiave di tutela dell’ordine pubblico12.
I.2. Il sistema del principato.
Ad Augusto si deve il perfezionamento del sistema delle
quaestiones perpetuae, le quali vennero aumentate di numero e
modificate nella composizione dei collegi giudicanti, attraverso
l’esclusione dei senatori. Con la lex Iulia iudiciorum privatorum del
12 Venturini, 1999, pag. 9.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
19
17 a.C., Augusto rese l’accusa pubblica più semplice e più omogenea
tra le diverse quaestiones.
Accanto a tale sistema di giustizia, si affiancò ben presto un altro
modello processuale, denominato solitamente cognitio extra ordinem
per distinguerlo da quello vigente in precedenza denominato ordo
iudiciorum publicorum, secondo la testimonianza del giureconsulto
severiano Paolo (D.48,1,8), il quale distinse l’ordo dalla cognitio extra
ordinem in base alle modalità di accertamento (probatio) dei crimini,
evidenziando, quindi, una differenziazione basata essenzialmente sulle
modalità della procedura, oltretutto, fatta propria anche dalla
giurisprudenza successiva. Come al riguardo è stato giustamente
affermato, la circostanza è ben comprensibile, considerando che la
cognitio extra ordinem risulta essersi abbastanza presto esplicata
anche in rapporto ad illeciti rientranti nella competenza di specifiche
quaestiones perpetuae e sostanziandosi di fatto unicamente
nell’adozione di una diversa procedura13.
Al pari del processo accusatorio delle quaestiones perpetuae,
anche la cognitio extra ordinem veniva attivata in seguito all’iniziativa
di un cittadino, delator, e prevedeva l’accertamento del reato
attraverso il dibattimento. Il delator era tenuto a fornire la prova dei
fatti denunziati e poteva svilupparli, avvalendosi delle tecniche
argomentative retoriche. In giudizio l’accusa veniva sostenuta da un
pubblico accusator. Dal canto suo, l’imputato conservava il diritto alla
difesa, che svolgeva personalmente o con l’ausilio di patroni.
13Venturini, 1999, pag. 11.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
20
La nuova procedura si differenzia, dunque, dal processo
accusatorio delle quaestiones perpetuae, essenzialmente sulla base di
tre elementi, quali la mancanza di un collegio di iudices formato con il
concorso dell’accusatore e dell’imputato; la mancanza, almeno in
origine, di non derogabili regole di procedura; l’irrogazione di una
pena, da parte dell’inquirente e del suo consilium, ispirata a criteri
discrezionali.
La cognitio extra ordinem rinveniva il proprio fondamento
nell’imperium del princeps, il quale svolgeva direttamente l’attività di
cognizione dell’accusa e del giudizio oppure la delegava a magistrati
o funzionari, appositamente creati. Dunque, la politica giudiziaria
augustea in ambito italico si presentava articolata su due direttrici di
massima, costituite l’una dal protrarsi delle quaestiones perpetuae e
l’altra dalla tendenza, da parte del principe, ad occupare, colmando
un’obiettiva lacuna, il vasto spazio che questo sistema aveva lasciato
scoperto. Inoltre, tale politica giudiziaria gettò le basi di un sistema di
garanzie procedurali: mentre le pronunzie delle quaestiones perpetuae
conservavano il carattere definitivo, nell’ambito dei processi extra
ordinem si diffuse la possibilità per il condannato di proporre
un’appellatio, volta non più, come in età repubblicana, a bloccare
semplicemente l’iniziativa sanzionatrice, bensì ad investire lo stesso
princeps della cognizione dei fatti che l’avevano provocata. In tal
modo, l’appellatio assunse una funzione simile a quella svolta in età
repubblicana dalle assemblee in seguito a provocatio ad populum, a
ciò conseguendo l’interscambio tra i due termini che si riscontra nelle
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
21
fonti dell’età imperiale. Naturalmente, l’appellatio non si configurò
come un vero e proprio diritto del cittadino, dal momento che restava
a discrezione del principe accoglierla o meno.
Il fondamento giuridico delle cognitiones extra ordinem operanti a
partire dall’età augustea, si rinveniva sia nella tribunicia potestas, di
cui il princeps era stato investito a vita nel 23 a. C., sia, soprattutto,
nell’imperium, che egli poteva esplicare in ambito urbano ed
extraurbano. Infatti, come è stato acutamente osservato, il ius
tribunicium (assunto con il dichiarato proposito di valersene ad
tuendam plebem14), era fisiologicamente idoneo a consentirgli di
ricevere l’appellatio e di interporre il veto: nel caso di sanzione
disposta da funzionari, il ricorso al principe si traduceva, per di più,
nell’invocazione ad operare una verifica di merito, circa
l’espletamento di un’attività dispiegata in suo nome15.
Il ruolo di supremo garante della legalità veniva svolto dal principe
anche nei riguardi del potere di coercizione esercitato dai magistrati
da lui delegati: emblematica a tale proposito, è la lex Iulia de vi
publica et privata (19-16 a.C.), che puniva il funzionario imperiale
che avesse disposto la condanna a morte, la fustigazione o la tortura di
un cittadino romano, adversus provocationem16
, ossia senza tener
conto della provocatio (appellatio) al principe, effettuata dal cittadino
stesso17.
14 Tac., Ann. 1,2.15 Venturini, 1999, pag. 15. 16 D. 48,6,7. 17 Venturini, 1999, pag. 15.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
22
I.3. Governo delle province e tradizione repubblicana.
Narra Cassio Dione che alla divisione delle province in senatorie
ed imperiali, già presente nel 27 a.C.18, si accompagnò, nel 23 a.C., il
conferimento ad Augusto, una volta deposto il consolato, di un
imperium proconsulare maius, potere supremo, vitalizio, illimitato, di
carattere unitario, suscettibile di venire esercitato anche all’interno del
pomerio ed, a fianco ad esso, di un potere superiore a quello dei
magistrati e promagistrati operanti nelle regioni extraitaliche, fondato
essenzialmente sul comando militare19.
L’esercizio dell’imperium proconsulare maius si diversificava su
base territoriale, a seconda che si trattasse di province senatorie o di
province imperiali. Le prime continuavano ad essere governate da ex
consoli o da ex pretori che, nominati per un anno, assumevano il titolo
di proconsole e l’imperium sull’intero territorio provinciale. In queste
province, l’imperium proconsulare maius del principe si sostanziava
in un potere di controllo e di orientamento. Le province imperiali,
invece, erano governate da funzionari scelti dal principe a tempo
indeterminato, in qualità di mandatari di quest’ultimo, detti legati
Augusti pro praetore. Essi venivano personalmente insigniti
dell’imperium in occasione di eventi bellici. Particolari distretti,
confinanti con province ed a volte corrispondenti al territorio di stati
annessi, erano, invece, retti da vicari speciali di rango equestre,
denominati praefecti con riferimento alle loro competenze di carattere 18 Cass. Dio. 53,12,4-7; 53,32,5. 19 Venturini, 1999, pag. 16.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
23
militare ed, a partire - sembra - dall’età di Claudio, procuratores, con
titolatura che meglio evidenziava le concomitanti funzioni da essi
svolte in materia finanziaria. In questa situazione si trovò la Giudea,
allorché, nel 6 d.C., confinato Archelao a Vienna ed assegnati i suoi
territori al fisco imperiale20, ne assunse il governo “Coponio,
dell’ordine equestre, provvisto di ogni autorità su tutti i giudei21,
avendo ricevuto dall’imperatore poteri estesi fino a comprendere
quello di mettere a morte”22.
Analoga carica di praefectus Iudaeae rivestì, tra il 26 ed il 36 d.
C., Ponzio Pilato, da Tacito indicato come procurator, in ossequio
alla nuova denominazione corrente al suo tempo23. Compiti essenziali
del governatore di una provincia erano la tutela del suo ordine interno
e la difesa del territorio dai suoi nemici esterni. A tali scopi egli era
investito, da un lato, del comando dei contingenti militari romani o di
quelli alleati, di stanza sul territorio - utilizzabili non solo per le
campagne belliche vere e proprie, ma anche per reprimere iniziative di
carattere sovversivo o volte, comunque, a turbare gravemente l’ordine
costituito - e, dall’altro, di un’ordinaria attività di giustizia, suscettibile
di assumere forme e contenuti mutevoli. Comunque, è da ritenere che
le funzioni giurisdizionali svolte nelle province imperiali dai
governatori di nomina augustea, erano sostanzialmente simili a quelle
20 Ios. Flav., Bell. Iud 2,111. 21 Ios. Flav., Ant. Iud. 18,1,1. 22 Ios. Flav., Bell. Iud. 2,8,117.23 Tac., Ann.15,44.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
24
svolte nelle province senatorie dai proconsoli; entrambe
presumibilmente si ispiravano al sistema vigente in età repubblicana24.
Nei confronti dei cittadini romani, tuttavia, l’esercizio dell’attività
di giustizia incontrava un limite, costituito dal divieto che una lex
Porcia – probabilmente del II sec. a.C. – imponeva al magistrato di
condannarli a morte o a fustigazione: il magistrato era assolutamente
obbligato a far trasferire il colpevole a Roma, affinché ivi fosse
sottoposto a giudizio; nei confronti dei non cittadini - peregrini - è da
ritenere, in mancanza di fonti precise, che l’attività di giustizia degli
amministratori provinciali si differenziasse a seconda della lex
provinciae, della condizione della singola comunità e della sensibilità
del magistrato, sebbene quest’ultimo godesse di poteri di coercizione
in teoria illimitati25; ciò a prescindere dai casi nei quali egli non avesse
ravvisato l’esistenza di un proprio diretto intervento, teso a
salvaguardare la sicurezza della provincia. Quest’ultima circostanza,
spesso trascurata ed, in effetti, fondata su una distinzione tutt’altro che
cristallina, merita di essere approfondita.
24 Venturini, 1999, pag. 18. 25 Cic., Q. Fr.1,2,5.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
25
I.4. Giurisdizione e potere disciplinare:
un confine ambiguo già in passato.
Nelle orazioni accusatorie predisposte nel 70 a.C. da Cicerone
contro Verre, propretore di Sicilia nei tre anni precedenti, è data
notizia di procedimenti sommari, carcerazioni, crudeli torture ed
esecuzioni conseguenti ad attività delatorie ed anche a semplici
sospetti, nei confronti così di elementi servili, come di sudditi
provinciali, in ipotesi di supposta coniuratio e di affermata fellonia26.
Da un’attenta lettura delle suddette orazioni, emerge che le garanzie
previste a favore dei cittadini romani non erano effettive27.
Considerando più da vicino l’attività giurisdizionale esercitata da
Verre, va rilevato che essa presenta sia caratteristiche tipiche delle
cognizioni diffuse in ambito romano-italico prima dell’affermarsi
delle quaestiones perpetuae, sia caratteri propri di queste ultime. In
particolare, una forte analogia con la quaestio perpetua è riscontrabile
nel diffuso intervento del consilium, i cui membri erano formati a
totale discrezione del magistrato inquirente ed a volte erano investiti
di una vera e propria funzione giudicante. Figura assente era, invece,
l’accusator, quale promotore del giudizio.
Si deve, dunque, concludere nel senso dell’esistenza, nella realtà
provinciale, di giudizi criminali difficilmente riferibili ad una precisa
tipologia, ma provvisti, al contrario, di forme abbastanza varie, in
26 Verr. 2,5,10;23.27 Venturini, 1999, pag. 21.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
26
linea di massima arretrate rispetto all’evoluzione verificatasi in
materia nell’ambito urbano, ma nello stesso tempo anticipatrici, sotto
qualche profilo, del rito che sarà in seguito proprio della cognitio extra
ordinem e dipendenti in modo decisivo da scelte del governatore, il
quale, di fatto, godeva di ampia indipendenza nei confronti della lex
provinciae e delle consuetudini locali. D’altronde, l’inesperibilità
dell’intercessio nei suoi confronti, prodotta dall’assenza in loco di una
par maiorve potestas non poteva che contribuire ad accentuare la
discrezionalità delle sue scelte. A temperarla, intervenivano,
verosimilmente, la forza della prassi - di per sé tale da sconsigliare
innovazioni troppo incisive - ed una ragionevole cautela.
Come sottolineato dal Venturini, iniziative sgradite all’elemento
locale ed ai cittadini residenti nella provincia o, peggio ancora,
suscettibili di venir valutate come veri e propri abusi di potere,
potevano, infatti, rendere il governatore, una volta dimessa la carica,
bersaglio di attacchi giudiziari sul cui esito avrebbero pesato i sempre
mutevoli equilibri e disequilibri politici dell’Urbe28.
Assume, in questo senso, significato esemplare le vicenda
personale di Verre, al quale un consistente errore di valutazione in
proposito - giustificabile nel convulso contesto postsillano - valse a
conferirgli l’immagine convenzionale di immanis belua29
, ad opera
della non disinteressata oratoria ciceroniana rovesciatasi su di lui,
anche se è da chiarire che Cicerone sembra far discendere la di lui
responsabilità, non tanto dall’esecuzione in se stessa, quanto dalle sue
28 Venturini, 1999, pag. 23. 29 Verr. 2,5,109.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
27
forme, che avrebbero dovuto essere mitigate in seguito a verifica dello
status civitatis del giustiziando30.
I.5. Augusto e la realtà provinciale.
Fin dagli inizi del Principato, la giustizia criminale fu assorbita dal
governatore, al quale, in particolare, venne attribuito il potere di
infliggere le condanne capitali: circostanza, questa, peraltro sicura in
rapporto alla Giudea31, ma più incerta in rapporto a differenti
situazioni locali e, quindi, forse non generalizzabile32. Tuttavia, il
primo dei famosi editti di Augusto, indirizzati tra il 7- 6 a.C. alla
unitaria provincia di Cirenaica (odierna Libia) e Creta e scoperti nel
1926, ha reso nota l’esistenza, in quella zona, di quaestiones capitali,
che procedevano con rito accusatorio e con giudici romani. In esse, il
governatore svolgeva un ruolo analogo a quello che in Roma era
assunto dai praetores nelle quaestiones perpetuae. Con la sua riforma,
il principe dispose che il collegio giudicante fosse composto, salvo
diversa richiesta dell’accusato, per metà da non romani. Ai romani,
d’altra parte, era proibito l’esercizio dell’accusa in ordine all’omicidio
di un greco. Appare, dunque, indiscutibile l’esportazione in territorio
extra-italico di un omogeneo schema giudiziario, aperto all’iniziativa
di accusatori, sia romani che indigeni. 30 Verr. 2,5,168.
31Io. 18,31. 32 Venturini, 1999, pag. 24.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
28
Il quarto editto augusteo riservò al governatore la scelta tra il
condurre e decidere personalmente i giudizi capitali, civili o criminali,
oppure far intervenire un collegio di giudici. Tale disposizione
rappresentava una deroga alla norma generale, secondo cui la
decisione di ogni questione riguardante i greci, doveva essere deferita
dal governatore a giudici greci, purché non appartenenti alla stessa
comunità dell’attore; del convenuto; dell’accusatore o dell’accusato.
Va ad ogni modo sottolineato che l’editto non pregiudicava
l’autonomo potere del governatore di infliggere pene capitali ai
membri della popolazione greca, in quanto l’applicazione del rito
conforme dipendeva sempre da una scelta del governatore. Inoltre,
poiché quest’ultimo era da sempre titolare del potere di coercitio –
poteri di polizia, finalizzati a reprimere qualsiasi ribellione
all’imperium - è probabile che egli abbia irrogato sanzioni anche in
forma extragiudiziale, secondo una scelta che si imponeva comunque
in presenza di atti ostili nei confronti dello Stato romano e di gravi
turbative dell’ordine pubblico, ma sulla quale giocavano anche, con
ogni verosimiglianza, elementi quali la natura dell’illecito; la
manifesta colpevolezza; la situazione ambientale.
Gli editti richiamati dimostrano una già solida diffusione, nelle
province, di modelli giurisdizionali evoluti ed in armonia con quello
affermatosi a Roma. Le riforme di Augusto furono finalizzate
all’introduzione di criteri di amministrazione il più possibile uniformi
che, pur sempre nel rispetto dell’autonomia delle province, tendevano
ad assimilare proconsoli e legati Augusti, quali strumenti intermediari
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
29
di un potere superiore, sovrapposto alle varie realtà. In una tale ottica,
ben si inquadra l’estensione ai legati Augusti pro praetore ed ai loro
collaboratori, delle norme della lex Iulia repetundarum del 59 a.C., la
quale non si limitava a sanzionare gli illeciti profitti, ma prevedeva
anche un’articolata serie di obblighi e di divieti, in funzione
cautelativa del corretto esercizio delle funzioni pubbliche.
La tesi del Mommsen33, secondo cui l’avvento del governo del
Principato, più energico di quello repubblicano, avrebbe avuto come
effetto immediato l’uniforme concentrazione, in capo ai governatori,
dell’amministrazione ordinaria della giustizia penale, oggi non viene
più condivisa da gran parte della dottrina34.
Si ritiene, piuttosto, che tale processo si sia protratto, alquanto
lentamente, durante tutto il I sec. d.C., per poi assumere caratteri più
definiti nell’età successiva. Probabilmente, esso si esplicò
inizialmente attraverso l’esercizio dei normali poteri di coercitio dei
governatori, ispirati a criteri di discrezionalità. Invalse, in tal modo,
l’uso, da parte dei governatori, di soffermarsi periodicamente nei
principali centri provinciali, per rendere giustizia in occasione di
appositi e preordinati conventus, il cui ricorrere è documentato, per la
provincia d’Asia, fin da epoca repubblicana. E’ presumibile che la
giurisdizione provinciale sia venuta così ad acquisire una più precisa
disciplina, sia attraverso la ricezione di forme analoghe a quelle
proprie della cognitio extra ordinem in ambito romano-italico (da
33 Mommsen, 1899. 34 Venturini, 1999, pag. 27.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
30
essa, per taluni aspetti anticipata); sia per effetto di costituzioni
imperiali, dirette a regolare punti particolari della procedura35.
Attraverso i mandata imperiali, la medesima attività raggiunse poi,
nel II sec., (e qui ci muoviamo sul terreno delle certezze) un più
compiuto, ancorché tuttora imperfetto, regolamento, relativo così alla
competenza per materia, come al sussistere di preclusioni. La
particolare entità della pena36e la personale qualità degli imputati37
determinavano, infatti, l’obbligo di devolvere al principe la cognizione
del caso, al fine di legare al principe stesso, i ceti dirigenti delle
collettività periferiche e, nel contempo, di esternare in modo tangibile
la subordinazione delle autorità periferiche nei confronti di lui38. La
devoluzione del giudizio al principe poteva, tuttavia, venire anche
adottata spontaneamente da queste ultime, al fine di evitare di
emettere, intorno a casi complessi, a situazioni di incerta rilevanza
criminale o nei confronti di personaggi noti, compromettenti
pronunzie. In questo senso, per esempio, risulta essersi regolato il
cauto Plinio, in occasione di un complesso caso, occorsogli durante un
conventus39, ricevendo da Traiano, appropriate istruzioni.
35 Venturini, 1999, pag. 28. 36 D. 48,22,6,1. 37 D. 48,19,27,1-2. 38 Venturini, 1999, pag. 28. 39 Ep.10,58;59.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
31
I.6. Iurisdictio, ius gladii ed imperium merum.
La persistente validità della lex Porcia e la valutazione del ius
gladii, quale strumento idoneo, di per sé, a sovvertire l’intera
disciplina e ad introdurre a favore dei governatori delle provincie
imperiali e senatorie una delega della giurisdizione capitale ordinaria
facente capo al principe, fu oggetto di dubbi da parte dello stesso
Mommsen che l’aveva sostenuta40. Del resto, le fonti di cui
disponiamo lasciano intravedere una situazione normativa
ampiamente variegata41. Difatti, in alcuni casi, i governatori tennero
estremamente conto delle garanzie connesse allo status di cittadino
romano: Plinio, pur essendo provvisto del ius gladii durante il governo
in Bitinia, fu molto attento ad inviare a Roma i cristiani di cittadinanza
romana42. In altri casi, i suddetti privilegi non vennero rispettati:
Galba, durante il suo governatorato in Spagna Tarraconese, fece
crocifiggere un tutore che aveva avvelenato il pupillo, ma, non appena
fu imperatore, punì il governatore Fonteio Capitone per aver inflitto la
medesima sanzione ad un condannato senza permettergli di adire il
tribunale imperiale43.
In effetti, dalle testimonianze forniteci da Dione e da Ulpiano44,
appare plausibile che il ius gladii si sia atteggiato ad una conferma
dell’incremento dei poteri di coercitio dei governatori, suscettibile di
40 Mommsen, 1899, pp. 130-145. 41 Venturini, 1999, pp. 33-34. 42 Acta Apost. 16,37-39. 43 Cass. Dio 64,2,3. 44 Ulp. 1 de off. proc. D. 1,16,6.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
32
esplicarsi ogni qualvolta fosse necessario preservare l’ordine nella
provincia e, quindi, anche in occasione di gravi turbative ed attentati
alla sua sicurezza. In altre parole, il ius gladii era prerogativa
rientrante nel merum imperium del governatore, diverso dal potere di
giurisdizione, poiché in grado di dar vita ad un’attività sanzionatrice
diretta ed immediata nei confronti di qualsiasi facinoroso, senza
distinguere, in linea di principio, se questi fosse stato cittadino o
peregrino, cioè tale da non consentire una formale distinzione fondata
sullo status dei colpevoli.
Così stando le cose, l’invio a Roma dell’imputato prima
dell’esercizio della cognizione costituiva, con probabilità, una misura
alla quale il governatore poteva addivenire anche in rapporto a non
cittadini, non solo in presenza di situazioni che coinvolgevano
personaggi di rilievo o investiti di funzioni pubbliche, ma anche nei
casi in cui l’incertezza poteva condurlo ad intravedere nell’ossequio
scrupoloso per il privilegio dei cives Romani, una misura atta a
salvaguardare la propria persona da spiacevoli o pericolose assunzioni
di responsabilità: ipotesi, questa, alla quale sono probabilmente da
ricondurre, così il trattamento del quale beneficiò San Paolo45, come
gli scrupoli di Plinio, ma non, spiacevolmente, quello che riguardò, o
meglio, avrebbe potuto riguardare Gesù Cristo46.
45 Acta Apost.16,37-39;22,25;29. 46 Venturini, 1999, pag. 36.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
33
I.7. Il problema della giurisdizione in Giudea.
Nel 6 sec. d.C., la Giudea divenne provincia romana ed il
governatore fu, così, la suprema autorità anche in campo giudiziario,
sia per la giurisdizione penale, sia per quella civile47. Giuseppe Flavio
ci racconta che quando il territorio di Archelao fu ridotto a provincia,
vi fu mandato Coponio, un membro dell’ordine equestre dei romani,
investito da Cesare anche del poter di condannare a morte48. Tuttavia,
anche dopo che la Giudea era divenuta provincia romana, dovette
rimanere rispettato il principio di lasciare almeno la giurisdizione
civile alle autorità locali ebraiche. In particolare, in questa zona ove
Roma aveva potuto apprendere quanto cara fosse l’osservanza dei
patrioi nomoi, essa doveva aver deciso di lasciare le istituzioni
amministrative locali, i giudici ed il diritto nazionale. L’autonomia sta,
appunto, ad indicare la concessione di vivere secondo le suae leges.
Infatti, si ritiene che la Giudea sia appartenuta a quella lista di paesi
cui venne restituito il proprio diritto: leges suas reddere. Pertanto, gli
abitanti si trovavano nella situazione di peregrini qui suis legibus
utuntur: essi vivevano secundum propriae civitatis iura.
I tribunali ebraici della Iudaea dovevano avere la competenza di
giudicare nelle vertenze tra ebrei ed ebrei, così come sappiamo che in
altri luoghi le controversie tra cittadini di una stessa città, erano
devolute al magistrato locale o al iudex peregrinus. E’ da supporre che
47 Mordechai Rabello, 1999, pag. 60. 48 Ios. Flav., Bell. 11,8,1,117.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
34
tale competenza sia stata riconosciuta anche nel caso in cui si fosse
trattato di una controversia tra ebrei e stranieri. Nonostante, infatti,
una certa dose di diffidenza che si deve avere per alcuni discorsi
apologetici in Giuseppe Flavio, non sembra che vi sia serio motivo per
dubitare dell’esattezza di una situazione di fatto descritta da
quest’ultimo, in ordine al discorso di Tito, generale romano, il quale,
interrogandosi sui possibili motivi che avevano spinto gli ebrei ad una
rivolta continua “fin quando Pompeo vi assoggettò”49, arriva alla
conclusione, secondo la quale ne fu causa la stessa mitezza dei
romani, i quali avevano loro concesso di abitare quella terra e di
essere governati da re nazionali, conservando, per di più, le patrie
leggi e la libertà di regolare discrezionalmente non solo i rapporti
interni, ma anche quelli con gli stranieri50.
La giurisdizione penale spettava esclusivamente all’autorità
romana. Non sappiamo come i re della Giudea avessero svolto la
giurisdizione penale e quale fosse la divisione di prerogative tra loro
ed il Sinedrio: consesso di cittadini che, in occasione di processi, il
sommo sacerdote del Tempio convocava al suo fianco, con funzioni
consultive; in sostanza, tale termine era il corrispondente del romano
consilium.
Un altro problema importante è quello dello ius gladii: Juster51
ritenne che fosse riconosciuto al Sinedrio il potere di condannare a
morte lo straniero che fosse entrato nel Santuario di Gerusalemme,
49 Ios. Flav., Bell.. VI,6,329. 50 Ios. Flav., Bell. VI,6,333-334. 51 Juster, 1914, pag. 112.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
35
foss’egli anche cittadino romano; ma, dalle fonti risulta che esecutori
della sentenza non erano né le autorità romane, né il Sinedrio, bensì la
pena di morte veniva eseguita da chi si trovava sul posto ed aveva
assistito all’infrazione del divieto.
Secondo l’interpretazione del Mommsen, l’espressione greca usata
da Giuseppe Flavio “méchri tu ktéinein”, stava a significare che a
Coponio fosse stato riconosciuto il ius gladii, ossia la facoltà di
punire con pena capitale i soldati (cittadini romani), che si trovavano
ai suoi ordini, senza che a questi fosse concessa la possibilità di
chiedere il trasferimento del relativo processo al tribunale di Roma52.
Questa congettura, tuttavia, non è apparsa condivisibile alla dottrina
più recente53, in quanto, come si è osservato, le truppe stanziate nella
provincia di Giudea, non erano numerose e per lo più, erano costituite
da milizie ausiliarie, reclutate tra la popolazione locale (Samaritani,
Siri, Greci); non si comprende allora per quale motivo, l’imperatore
avrebbe dovuto ravvisare la necessità di attribuire al prefetto, il ius
gladii. Alla luce di ciò, deve escludersi che con le parole “méchri tu
ktéinein”, Giuseppe Flavio intendesse riferirsi al ius gladii sui soldati
cittadini romani. Quindi, i “pieni poteri” di cui si parla nelle Antichità,
corrispondono con tutta evidenza al conferimento “anche del potere di
condannare a morte” di cui è parola nella Guerra giudaica; solo che
nelle Antichità è espressamente detto che le facoltà attribuite a
Coponio riguardavano i Giudei e non i Romani. Non si trattava, vale a
dire, di una concessione del ius gladii, bensì di quell’amplissimo
52 Mommsen, 1902, pag. 153. 53 Santalucia, 1999, pag. 89.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
36
imperium sui sudditi provinciali, di cui erano investiti gli altri
governatori di province, sia imperiali che senatorie (proconsules e
legati Augusti).
Dunque, in forza dei poteri demandatigli, il prefetto di Giudea
poteva esercitare la giurisdizione capitale sugli abitanti del luogo, a
sua piena discrezione, senza il beneplacito di altre autorità: in
particolare, senza il bisogno di un’autorizzazione preventiva da parte
del legatus della vicina provincia di Siria, al quale egli era subordinato
esclusivamente dal punto di vista militare54.
I.8. Il governatore e l’ordine pubblico:
limiti del potere governatoriale.
E’ fuor di dubbio, quindi, che Coponio, in virtù dell’imperium
conferitogli dall’imperatore, avesse pieno potere di vita e di morte sui
sudditi della Giudea55. Il problema è stabilire se anche i suoi
successori al governo di tale provincia, abbiano goduto di un analogo
potere. Purtroppo, non possediamo informazioni certe ed
inequivocabili, come quelle che ci fornisce Giuseppe Flavio,
relativamente a Coponio. Tuttavia, lo stesso storico ci narra numerosi
altri episodi, da cui è possibile ricavare che i poteri dei prefetti di
54 Santalucia, 1999, pag. 90. 55 Santalucia, 1999, pag. 91.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
37
Giudea si mantennero sostanzialmente inalterati, almeno per tutta la
metà del I sec.
Racconta Giuseppe Flavio che quando nel 44 d. C. era governatore
della Giudea Cuspio Fado, scoppiò una controversia di confine tra gli
abitanti della Peréa e quelli del territorio di Filadelfia. Allora Fado
fece catturare i tre capi dell’insurrezione, condannando due di loro
all’esilio ed uno a morte56. Non di meno, il suo successore, Tiberio
Alessandro, governatore dalla Giudea dal 46 al 48 d. C., fece
crocifiggere Giacomo e Simone, figli di Giuda il Galileo, che aveva
più volte incitato il popolo alla rivolta contro i Romani57 ed analoga
durezza ebbe il successivo Gessio Floro58. Tutte queste testimonianze
lasciano dedurre che il potere di condannare a morte gli abitanti della
provincia siano stati concessi dall’imperatore, non occasionalmente al
solo Coponio, ma a tutti i governatori. Probabilmente, agli inizi, tale
concessione avvenne formalmente, ma in prosieguo di tempo non fu
neppure più richiesta, divenendo implicita.
In forza dell’imperium di cui era investito, il governatore poteva
procedere con la massima discrezionalità nei confronti di tutti i delitti
che in qualche modo erano suscettibili di turbare l’ordine della
provincia. Le leggi a tutela della quiete e dell’ordine erano molto
severe e prevedevano durissime sanzioni. Ad esempio, la lex Iulia de
vi puniva con la crocifissione, con la condanna alle belve o con la
deportazione in un’isola, gli autori ed i fomentatori di sedizioni e
56 Ios. Flav., Ant. 20,1,1.4. 57 Ios. Flav., Ant. 20,5,2.102. 58 Ios. Flav., Bell. 2,14,9.306.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
38
rivolte. Naturalmente, il condannato aveva la possibilità di proporre
appello all’imperatore, ma tali appelli raramente venivano inoltrati a
Roma, poiché il governatore, a sua discrezione, poteva decidere di non
tener conto delle impugnazioni proposte da quei condannati, che per
motivi di pubblica sicurezza, dovevano essere puniti immediatamente
(autori di sommosse; capi di fazioni; briganti).
Solo nei confronti dei Romani residenti nella provincia, il
governatore doveva rispettare l’eventuale provocatio proposta contro
i suoi atti di coercizione capitale, altrimenti incorreva nelle gravi
sanzioni previste dalla lex Iulia de vi59
. Tuttavia, non tutti e non
sempre i reati commessi nella provincia rientravano nella cognizione
del governatore: a volte, risultava opportuno non celebrare il processo
nella provincia (soprattutto per evitare rivolte popolari), ma inviare il
condannato a Roma - quasi come se fosse stato un cittadino romano -
affinché fosse giudicato dall’imperatore; altre volte, al governatore
non era addirittura consentito esercitare la repressione: egli, infatti,
conosceva di quei reati che mettevano in pericolo l’ordine pubblico o
violavano le leggi criminali romane, ma non aveva competenza per
altri reati e, meno che mai, per i delitti religiosi contemplati dalla
legge ebraica60.
59 D. 48,6,7. 60 Santalucia, 1999, pag. 94.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
39
I.9. I delitti religiosi: problemi di competenza.
La comunità ebraica godeva di una particolare posizione in tutto
l’impero romano, poiché le erano stati riconosciuti propri poteri
giudiziari, oltre alla dispensa dall’obbligo del servizio militare e del
culto all’imperatore. Il Sinedrio esercitava la giurisdizione civile - e,
limitatamente, anche in materia penale - secondo le proprie leggi61.
Negli Atti degli Apostoli si legge che Pietro e Giovanni, pochi
giorni dopo la Pentecoste, sorpresi da alcuni sacerdoti a predicare alla
gente la parola di Cristo, furono arrestati e condotti dinanzi al
Sinedrio. Questo li lasciò andare, intimando loro, però, di cessare le
predicazioni. Gli Apostoli, tuttavia, furono dal Sinedrio condannati
alla fustigazione. Anche Saulo, prima di convertirsi, perseguitò, come
inviato del Sinedrio, i seguaci della nuova fede: si trattò di una
persecuzione feroce e violenta.
Dunque, sebbene la Giudea fosse stata ridotta a provincia romana,
il Sinedrio mantenne l’antica competenza a giudicare e condannare i
delitti di carattere religioso. Non poteva, però, infliggere la pena di
morte; infatti, come già ricordato in precedenza, in un acceso discorso
reso dall’imperatore Tito ai ribelli di Gerusalemme, egli, vantando le
straordinarie concessioni fatte dai Romani agli Ebrei, chiede: “Non
abbiamo noi consentito perfino di mettere a morte chiunque avesse
oltrepassato le barriere del Tempio, anche se si fosse trattato di un
61 Santalucia, 1999, pp. 96-97.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
40
Romano?”62; frase molto significativa, perché se Tito considera la
concessione del diritto di vita e di morte frutto della disponibilità e
della benevolenza romana verso il popolo ebraico, ciò significa che,in
linea generale, agli Ebrei non era consentito applicare la pena di morte
ai trasgressori della propria legge.
Altro indizio è contenuto nel Talmud, il quale ricorda che 40 anni
prima della distruzione del Tempio, avvenuta nel 70 d.C., gli Ebrei
furono privati del diritto, che precedentemente possedevano, di
pronunciare condanne a morte, e ciò riporta proprio all’epoca in
questione63.
In definitiva, al tempo di Gesù, il Sinedrio, pur potendo giudicare
su tutti i delitti di natura religiosa, non poteva infliggere la pena
capitale. Tra le pene che poteva comminare rientravano: la
fustigazione; i ceppi; la carcerazione, ma - è bene sottolinearlo - non
la pena di morte. Tuttavia, sebbene, in linea teorica, questa
ripartizione di competenze appaia netta, nella pratica poteva dar vita a
problemi: talvolta, accadeva che un illecito di natura religiosa si
traducesse in violazione dell’ordine pubblico. In tali casi, il
governatore doveva prendere conoscenza del caso ed eventualmente
punire il trasgressore. Ciò nonostante, l’autorità romana non gradiva
intervenire in questioni del genere: trattandosi pur sempre di
controversie riguardanti la legge ebraica, era facile fare passi falsi; una
decisione non gradita al popolo ebraico poteva scatenare le ire della
folla e generare tumulti ancora più gravi di quelli che si intendeva
62 Ios. Flav., Bell. 6,2,2.126. 63 Talmud Ier., Sanhedrin I 1/18°.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
41
reprimere64. La soluzione migliore era quella di dichiarare la propria
incompetenza ed affermare che si trattava di una questione puramente
religiosa. In alcuni casi, però, il governatore era costretto ad
intervenire ed a giudicare; ciò accadeva soprattutto quando l’accusato
aveva commesso un delitto che, secondo la legge ebraica, era
passibile di pena capitale: pena che il Sinedrio non poteva comminare.
In tali ipotesi, ai membri del Sinedrio non restava che tentare di
convincere il governatore che l’accusato aveva commesso un atto che,
non solo era contrario alla religione, ma anche all’ordine pubblico, la
publica disciplina, in modo da ottenere, ad opera del governatore, la
messa a morte del colpevole.
I.10. Sintesi conclusiva.
Possiamo, a questo punto, riepilogare i risultati dell’indagine svolta
nelle pagine precedenti.
Il governatore della Giudea era investito, per speciale concessione
imperiale -concessione che divenne col tempo consueta - di pieni
poteri in materia di repressione criminale. In forza di tali poteri, egli
aveva facoltà di conoscere e di punire, anche con la morte, tutti gli atti
giudicati socialmente dannosi; tutti quei delitti che ponessero a
repentaglio la pubblica disciplina, la sicurezza e la tranquillità della
provincia da lui amministrata.
64 Santalucia, 1999, pag. 99.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
42
Solo i delitti di religione non rientravano nella sua competenza e
costituivano, per antico privilegio, oggetto di persecuzione da parte
dell’autorità ebraica. Il Sinedrio, nell’esercizio dei suoi poteri di
repressione religiosa, aveva facoltà di applicare ai trasgressori le pene
del diritto penale ebraico, esclusa, però, la pena di morte. Il fatto che,
talvolta, i processi davanti al Sinedrio si concludessero con la
dichiarazione che l’imputato era “reo di morte”, non deve trarci in
inganno: ciò, infatti, non significava che esso era “condannato” alla
pena capitale, bensì che era “ritenuto meritevole” dell’estremo
supplizio. Si trattava, in altri termini, di una solenne proclamazione di
responsabilità, non di una sentenza di condanna.
Per giungere ad una vera condanna, i membri del Sinedrio
dovevano accusare il reo dinanzi al rappresentante dell’imperatore, e
così ottenere che quest’ultimo ne decretasse, con sentenza, la messa a
morte. Naturalmente, il governatore decideva in base alla legge
romana: quindi, gli accusatori, per raggiungere il loro scopo,
dovevano dimostrare che il comportamento sottoposto al suo giudizio,
non configurava un delitto religioso - o esclusivamente religioso - ma
un delitto contro l’ordine pubblico, un atto di ribellione contro
l’autorità di Roma. Il processo di Paolo è significativo al riguardo: le
accuse di carattere religioso, inizialmente mosse all’apostolo
dall’autorità giudaica, si trasformano, nel processo davanti al
governatore, in accuse di sedizione e di violazione della pubblica
disciplina; la condanna a morte è invocata dai Sinedriti, a norma della
legge romana.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
43
In conclusione, è lecito supporre che nel processo di Gesù, i fatti
non si siano svolti in modo diverso65, proprio in quella città che
portava nel suo nome, Jerushalaim (Ir hashalom = città della pace),
l’aspirazione per la pace66.
65 Santalucia, 1999, pp. 102-103. 66 Mordechai Rabello, 1999, pag. 63.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
44
Capitolo II
Fase preliminare: l’arresto di Gesù e
l’interrogatorio presso Anna.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
45
II.1. L’arresto di Gesù nell’orto degli Ulivi:
da chi fu ordinato e perché.
Gettate le basi di questo imponente edificio, si tenterà, di qui
innanzi, una ricostruzione delle tappe fondamentali del processo
attraverso un’analisi settoriale di ciascuna di esse, al fine di ottenere
un excursus più agevole, tale da portare ogni singolo tassello ad
inserirsi nel grande mosaico.
Nella notte tra il giovedì ed il venerdì, mentre con tre dei suoi
intimi attendeva alla preghiera sul monte degli Ulivi ad est di
Gerusalemme, Gesù venne arrestato da un distaccamento mandato dal
Sinedrio e guidato da Giuda, cui erano noti i luoghi e le persone67.
Quali persone o gruppi di persone si schierarono contro Gesù?68
Giovanni parla spesso in generale dei “Giudei”, ma è ovvio che, con
ciò, egli non intende tutti gli appartenenti al popolo ebraico
dell’epoca; ciò risulta, oltre che nel Vangelo di Giovanni, anche nei
Sinottici. Vengono singolarmente citati: i farisei, gli scribi, i sommi
sacerdoti, i sadducei, così come il Sinedrio, composto di sommi
sacerdoti, scribi ed anziani; inoltre compaiono, in due circostanze, gli
erodiani.
I farisei formavano un partito religioso-politico, che teneva alla più
stretta osservanza della legge e della tradizione avita, derivata da
67 Mc.14,43-52; Mt. 26,47-56Lc.22,47-53; Io. 18,21,11.68 Blinzler, 1966, pp. 62 ss.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
46
questa. Essi avevano una grande influenza sul popolo, soprattutto sul
ceto medio, ma avevano anche una parte importante nel Sinedrio,
poiché i capi dei farisei, gli scribi di formazione teologico-giuridica,
appartenevano a tale corporazione superiore.
Anche i sadducei, il partito della nobiltà sacerdotale e laica, dei
conservatori in religione e dei filoromani in politica, comprendevano
degli scribi; ma gli scribi che compaiono nel Nuovo Testamento sono
per lo più da considerarsi di tendenza farisaica. Quando nel Nuovo
Testamento si parla di sommi sacerdoti al plurale, bisogna intendere
non solo il Sommo Sacerdote in carica ed i predecessori in tale
funzione, ma anche gli addetti ai sacrifici in servizio stabile al
Tempio: essi erano di tendenza sadducea.
Il gruppo degli Anziani era formato dai capi della nobiltà laica di
Gerusalemme. Tutti gli appartenenti alla classe dirigente del paese
erano, dunque, ostili a Gesù: dapprima essi agivano, sembra, più come
singoli o a gruppi indipendenti; più tardi intervennero in quanto
membri del Sinedrio.
Gli erodiani69, infine, erano un partito favorevole alla casa di
Erode, numeroso soprattutto in Galilea, che aveva pure adepti tra i
farisei. Assecondati dagli erodiani, i farisei cercarono apertamente di
muovere il tetrarca Erode Antipa ad un’azione contro Gesù70, ma
l’unico passo che Antipa intraprese, fu quello di far giungere a Gesù,
sul finire della missione in Galilea, una minaccia di morte che in realtà
69 Mc.3,6;12,13. 70 Mordechai Rabello, 1999, pag. 48.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
47
equivaleva ad una sorta di velata proscrizione dal paese71. E’ degno di
nota che né lui, signore di Galilea, né Pilato, procuratore di Giudea,
abbiano in qualche modo seriamente attaccato Gesù, e che tutti gli
attacchi e tutti i complotti siano provenuti, piuttosto, da parte giudaica.
Ci si domanderà che cosa mai abbia unito nella lotta contro Gesù,
le tendenze ed i partiti ebraici, altrimenti così divisi tra loro:
innanzitutto, fu la grande popolarità di Gesù, che tutti i circoli direttivi
videro con inquietudine, malumore e gelosia72. Essi temevano una
scomparsa della loro influenza sulle masse, se non si fosse ostacolata
l’attività di Gesù; parlavano del pericolo che i Romani potessero
prendere pretesto dal movimento messianico, per eliminare l’ultimo
resto d’indipendenza ebraica, rappresentato dal governo sinedrile73.
Che i membri del Sinedrio pensassero veramente che i Romani
sarebbero intervenuti contro Gesù, è cosa opinabile, ma il timore di
perdere la loro onnipotenza, timore che si esprime nella loro
argomentazione, fu certamente uno dei motivi più forti della loro
ostilità verso Gesù. Considerazioni del genere, fondate su una politica
di potere, ebbero verosimilmente una parte importante anche nei
circoli preminenti non farisei. Questa gente aveva anche un’altra
ragione per prendersela con Gesù: la lotta di quest’ultimo contro gli
abusi del Tempio (cacciata dei profanatori), minacciava di far svanire
le ricche entrate che essi traevano dai commerci organizzati in quella
sede: come la tradizione rabbinica permette di sapere, soprattutto i
71 Lc. 13,31-33. 72 Mc.11,18; Io. 4,13. 73 Io. 11,48.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
48
membri della casa di Anna si dedicavano ad un fiorente commercio di
quanto avanzava dalle offerte, dandosi da fare come speculatori, privi
di scrupoli. L’aspra animosità dei farisei contro Gesù poggiava, oltre
che su considerazioni inerenti una politica di potenza, anche sul
dogmatismo religioso; la forma di religiosità di Gesù costituiva per
loro, un mondo assolutamente sconosciuto: Egli respingeva la
tradizione degli Anziani, della quale essi si vantavano tanto74;
disprezzava a parole ed a fatti le loro interpretazioni casistiche della
legge, che per essi erano sacre quanto la legge stessa75; tollerava
intorno a sé, peccatori, pubblicani e prostitute, tutta gente con cui
nessun fedele poteva avere a che fare senza contaminarsi76; parlava di
Dio e delle proprie relazioni con Lui in termini che essi credevano di
non poter interpretare altrimenti che come bestemmie77; Egli
conduceva una lotta senza quartiere contro ogni manifestazione
superficiale di religione intesa alla lettera e contro ogni bigottismo
raggelato in formalismo religioso, intaccando così i fondamenti della
loro vita. Sete di potenza, sete di guadagno e meschino fanatismo
religioso: ecco, secondo gli Evangeli, i moventi dei nemici di Gesù78.
La tradizione evangelica permette di conoscere, in certo qual
modo, la maniera ed i mezzi con cui i nemici di Gesù agirono contro
di Lui: pare che in un primo tempo si fossero accontentati di esigere
da Lui una giustificazione del suo comportamento79; poi si misero a
74 Mc.7,1-12. 75 Mc.3,2-5;2,27. 76 Mt. 11,19. 77 Io. 5,18. 78 Mordechai Rabello, 1999, pp. 49-50. 79 Mc.7,5;2,16.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
49
distogliere il popolo da Lui: si comincia a sospettare dei suoi miracoli,
come di opera diabolica; si reclama da Lui un miracolo spettacolare,
con la speranza di comprometterlo in caso di esito negativo; si spera di
renderlo ridicolo facendogli domande astruse; si cerca di fargli
prendere posizione in una questione controversa, per suscitare così un
partito contro di lui; gli si pone un problema d’attualità, la cui
soluzione lo dovrà mettere in conflitto o con l’opinione popolare o con
le autorità d’occupazione. Ma ecco ben presto gli attacchi più
pericolosi: si minacciano i suoi adepti di esclusione dalla sinagoga ed,
infine, si prende in considerazione anche la possibilità di sopprimere
Lui stesso80. A questo piano gli avversari gerosolimitani aderirono
solo dopo la guarigione dell’infermo alla piscina di Bethesda; i nemici
galilei dopo la guarigione di un malato nella sinagoga. Se con questo
si progettasse un’uccisione illegale, una specie di linciaggio, oppure la
consegna all’autorità competente in vista di un processo capitale, non
è del tutto chiaro; forse si tenevano in considerazione entrambe le
possibilità. Così pure si spiega che vari siano stati i tentativi d’arresto:
nella festa dei Tabernacoli e nella Dedicazione del tempio, come pure
dopo la cacciata dei profanatori da questo81 - che potevano essere
preludi ad un processo formale - e che, sempre in quel tempo, si
tentasse due volte di lapidarlo82(il che avrebbe senza dubbio
configurato un atto tumultuario di vendetta popolare). La profonda
80 Mc.8,11;Lc.11,53,Io. 8,5; Mc.3,6. 81 Io. 7,3; Mc.11,18. 82 Io. 8,59;10,3; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 156.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
50
impressione che la personalità di Gesù suscitava nella massa del
popolo, impedì ogni volta l’esecuzione di questi piani.
Il piano tramato dai farisei e dagli erodiani in Galilea rimase
inattuato, presumibilmente perché il tetrarca, ammaestrato dal caso del
Battista, non se ne volle interessare seriamente. E’ probabile che il
fallito tentativo degli abitanti di Nazareth di precipitare il loro
compatriota dall’alto di una montagna, derivi piuttosto da
un’inimicizia personale e non da un complotto del partito fariseo.
Dopo la risurrezione di Lazzaro, il Sinedrio decise di fare arrestare
l’odiato predicatore e di mandarlo a morte con un procedimento
giudiziario regolare.
Nella seduta sinedriale, che aveva avuto luogo qualche tempo
prima di Pasqua, nella quale era stata decisa l’eliminazione di Gesù, al
sommo sacerdote Caifa spettò la parte principale. I farisei attirarono
l’attenzione sul pericolo che i Romani, nel caso di una diffusione
generale del movimento messianico, potessero togliere loro il dominio
del Tempio e del popolo, ma per quanto riguarda i provvedimenti da
prendersi contro Gesù, pare che fossero in un primo tempo indecisi.
Caifa, invece, freddo calcolatore e politico scaltrito, li rimproverò di
mancare di perspicacia e affermò senza remore che la morte di un solo
uomo fosse da preferirsi alla rovina di un intero popolo: naturalmente
il sommo sacerdote era soprattutto preoccupato che il potere suo e dei
suoi colleghi crollasse83.
83Io. 11,47-50.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
51
La sua opinione finì con il prevalere: due giorni prima della
Pasqua, fu convenuto che l’arresto di Gesù, per evitare disordini
popolari, dovesse avvenire di sorpresa e non “con chiassosa pompa”.
Il Vangelo di Giovanni parla anche di due altre decisioni dei sommi
sacerdoti: anche Lazzaro doveva, se possibile, venir eliminato, perché
per causa sua molti Ebrei erano passati a Gesù84; la popolazione, poi,
doveva essere invitata ad indicare il rifugio di Gesù, conoscendolo,
affinché si potesse procedere all’arresto85. Questo appello, comunque
fosse formulato, poteva in realtà significare una cosa sola: chi conosce
una possibilità di far arrestare Gesù senza dare nell’occhio, faccia il
piacere di dirlo.
Al bando di cattura ufficialmente emesso dal Sinedrio rispose uno
dei più intimi discepoli, Giuda Iscariota, il quale offrì ai membri del
Sinedrio di porre Gesù nelle loro mani, ricevendo volentieri da costoro
la promessa di una somma di denaro (secondo Mt.26,15, trenta denari
d’argento, il prezzo di uno schiavo). Giuda seppe al più tardi, giovedì
sera, che Gesù avrebbe passato la notte successiva in un giardino sul
monte degli Ulivi, ed abbandonò presto la sala della cena per
informarne quelli del Sinedrio e condurli sul luogo.
Ethelbert Stauffer non dubita che Giuda abbia tradito rivelando il
rifugio di Gesù al Getsemani, ma si domanda se in Giuda non si debba
vedere un agente segreto del Sinedrio e se non sia da pensare che
ormai da mesi avesse compiti di spia nei confronti di Gesù86. La più
84Io. 12,10. 85Io. 11,57. 86 Stauffer, 1956, pag. 320.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
52
antica tradizione accessibile a noi non sembra, tuttavia, di questo
parere: nella scena del patto87, che si svolse poco prima della Pasqua, i
membri del Sinedrio si mostrano sorpresi della proposta di Giuda;
d’altronde, le parole di Gesù durante l’ultima cena: “Uno di voi mi
tradirà”88, definiscono il tradimento di Giuda come un atto
appartenente ancora al futuro; infine, se tale interpretazione fosse
giusta, bisognerebbe attendersi una comparsa di Giuda come
testimone nel processo dinanzi al Sinedrio, cosa di cui non abbiamo il
minimo indizio.
II.2. Il dibattito sugli esecutori dell’arresto e riflessioni
sulla legalità formale di esso.
Gli Evangeli non dicono nulla sulle motivazioni giuridiche
dell’arresto di Gesù; si possono, quindi, ipotizzare come capi
d’accusa: la bestemmia; la profanazione del sabato; la divinazione e la
magia, eventualmente anche la pseudoprofezia89. Anche sui moventi
della riprovevole azione di Giuda, i resoconti tacciono. Forse Giuda si
era aspettato di vedere nel Cristo, un Messia nazionale-politico, il
restauratore del regno e del Trono di Davide, ed era stato
profondamente deluso in questa aspettativa.
87 Mc.14,1; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 161. 88 Io. 13,21. 89 Deut.13,6;18,20;Mishnà,Sanh. X.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
53
Il colpo di mano notturno si svolge secondo i piani prestabiliti:
dopo che Giuda ha indicato Gesù mediante il bacio di saluto usuale,
gli uomini armati mettono subito le mani su colui che ricercavano90.
Gesù apostrofa con una parola amaramente ironica quell’insolito
spiegamento di forze predisposto contro di Lui, come contro un
malfattore, ma non oppone resistenza. I discepoli si danno alla fuga,
senza che alcuno impedisca loro di farlo91.
Per una chiara comprensione del processo, sarebbe molto
importante sapere esattamente chi fossero le persone che arrestarono
Gesù. In base all’antefatto, ci si può aspettare che si tratti di incaricati
del Sinedrio; ciò viene confermato da Marco, il quale osserva che “gli
uomini armati di spade e bastoni” erano mandati dai sommi sacerdoti,
dagli scribi e dagli anziani92. Anche il fatto, riferito da tutti gli
evangelisti, che Gesù fu condotto immediatamente presso i capi
ebraici, lo conferma. Quando Giovanni menziona i “servi dei sommi
sacerdoti e farisei”93, intende certamente uomini che erano al servizio
del Sinedrio e che furono da questo autorizzati a procedere all’arresto.
Benché il termine “turba” usato dai sinottici significhi folla, mucchio,
massa, non bisogna immaginarsi un’accozzaglia qualsiasi di irregolari,
perché, quando si tratta di arrestare un solo individuo disarmato e
deciso a non difendersi, una pattuglia di dodici armati può già essere
definita “un mucchio” di uomini. Non si deve, quindi, sopravvalutare
la forza numerica della truppa.
90 Fabbrini, 1999, pag. 161. 91 Mc.14,50. 92 Mc.14,43. 93 Io. 18,3.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
54
Se gli “sbirri” agivano per incarico e con pieni poteri del Sinedrio,
bisogna dire che appartenevano ad una formazione, nelle cui
attribuzioni doveva rientrare l’esecuzione degli arresti. Generalmente,
si pensa che si trattasse di una sezione della guardia del Tempio. Fuori
da tale recinto, essi venivano impiegati come corpo militare solo in
momenti particolari di crisi, come ad esempio sotto l’imperatore
Claudio, durante una guerra tra Samaritani e Galilei94, e durante la
guerra di Giudea, a quanto pare, per la guardia delle mura cittadine95.
Il Nuovo Testamento lascia intendere chiaramente che, a parte la
polizia del Tempio, il Sinedrio aveva a sua disposizione anche forze
proprie: esse avevano il compito di mantenere l’ordine pubblico in
città e nelle campagne, di eseguire arresti, di condurre gli accusati
dinanzi al tribunale, di custodire i prigionieri, di eseguire le sentenze
pronunciate dal tribunale ebraico (salvo le sentenze capitali). Dunque,
tra i componenti di queste milizie, bisognerà annoverare i “servi dei
sommi sacerdoti e dei farisei”, entrati in scena nel Getsemani96.
Il quarto evangelista, però, oltre a questi, fa partecipare anche un
altro gruppo all’azione in questione: egli ci informa che, oltre ai servi
del Sinedrio, Giuda avrebbe condotto nel giardino, anche la “speira”
con il “chiliarca”, che evidentemente la comanda97. Entrambe le
denominazioni fanno pensare, in primo luogo, alla guarnigione
romana acquartierata nella fortezza Antonia, che consisteva
normalmente in una coorte agli ordini di un tribuno militare. Sta di
94 Ios. Flav., Ant.20,6,2. 95 Ios. Flav., Bell.5,6,3. 96 Blinzler, 1966, pp. 71 ss. 97 Io. 18,3-12.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
55
fatto che la partecipazione di soldati romani all’arresto di Gesù, è
alquanto inverosimile: in primo luogo, è già sorprendente che nei
Sinottici non v’è traccia di un atto così importante; in base alla loro
testimonianza, il drappello incaricato dell’arresto mosse verso il
Getsemani, dal luogo di riunione del Sinedrio o comunque per
mandato del Sinedrio, e non dall’Antonia o per mandato del
procuratore. Inoltre, una “speira” constava di circa seicento uomini:
una formazione del genere era assolutamente fuori posto al
Getsemani. Si potrebbe, bensì, tradurre tale parola anche con
“manipolo” (reparto che contava da duecento a trecento militari), ma
egualmente si sarebbe trattato di uno spiegamento di forze
francamente eccessivo per arrestare in segreto un solo uomo.
La frase di Gesù: “Ogni giorno Io stavo tra voi nel Tempio ad
insegnare, e non mi pigliaste”98, mostra che coloro a cui Egli si
rivolgeva, o almeno i più importanti tra essi, erano Ebrei. Pilato,
all’insaputa e senza il benestare del quale, la coorte non poteva essere
impiegata, secondo il racconto evangelico non sapeva nulla del caso di
Gesù prima che questi fosse portato dinanzi al suo tribunale. Inoltre -
e non meno importante - se Gesù fosse stato arrestato con la
cooperazione di soldati romani, lo si sarebbe senza dubbio rinchiuso
immediatamente in un carcere romano e non, come tutti gli Evangeli
attestano, consegnato ai gerarchi ebraici. Ancora è da osservare che i
due termini in esame ricorrono nella traduzione greca dell’Antico
Testamento, detta dei Settanta, per indicare anche formazioni militari
98 Mc.14,49.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
56
giudaiche99 ed anche Giuseppe Flavio li adopera per indicare truppe
giudaiche (per esempio, i soldati agli ordini di Archelao)100.
Per tutti questi motivi, bisogna dunque escludere che milizie
romane partecipassero all’arresto101. Tuttavia, questo non prova che
Giovanni abbia commesso un errore storico: ci si può domandare,
infatti, se con le due espressioni citate, egli abbia proprio voluto
designare soldati romani. In ogni caso è falso, o per lo meno inesatto,
ripetere continuamente che Giovanni menzioni la partecipazione di
una “coorte romana”,infatti, egli non usa affatto l’aggettivo “romana”;
inoltre, se avesse pensato a milizie romane, non si capirebbe
assolutamente come egli abbia potuto perdere completamente di vista
questo gruppo così importante, o almeno particolarmente interessante,
nel seguito del suo racconto: infatti, nel cortile del Sommo Sacerdote,
subito dopo l’arresto, si trovano solo “gli schiavi ed i servitori”102,
cioè solo personale sottoposto ai capi ebraici, ed il reparto che
conduce Gesù da Pilato è composto solo da Ebrei.
In conclusione, mentre i Sinottici presentano chiaramente il
drappello incaricato dell’arresto come inviato, vale a dire autorizzato
dal Sinedrio, senza dare particolari sulla sua composizione, Giovanni
distingue due gruppi: quello di uomini appartenenti al tribunale o alla
polizia, mandati direttamente al Getsemani, dal luogo di riunione del
Sinedrio, e quello della guardia del Tempio, comandata dal suo capo,
99 Jossa, 2002, pag. 57. 100 Ios. Flav., Ant. 17,21. 101 Fabbrini, 1999, pag. 162. 102 Io. 18,18.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
57
che, a sua volta, per ordine del Sinedrio, venne condotta al Getsemani,
dal luogo dove era di stanza nel Tempio.
Pertanto non si può dubitare della legalità formale dell’arresto: le
milizie incaricate di ciò erano al servizio del Sinedrio, la massima
autorità indigena, col cui consenso ed ai cui ordini esse agivano. Se la
legge esigeva un mandato d’arresto scritto, si può dare per ammesso,
benché i testi tacciano al riguardo, che esso sia stato steso ed affidato
ad uno dei responsabili dell’azione, ad un agente del tribunale o al
comandante la milizia del Tempio. Uno straniero che non avesse la
cittadinanza romana e fosse sospettato di un delitto poteva essere
arrestato dalle autorità ebraiche anche in regime di procura, grazie alla
loro forza di polizia autonoma, poiché i compiti di polizia civile ed, in
gran parte anche quelli di polizia criminale nei confronti degli
stranieri, spettavano di regola, nelle province romane, alle autorità
indigene103. L’affermazione che il potere di arrestare un presunto reo
di un delitto capitale fosse, nella provincia, riservato al procuratore, è
senza alcun fondamento. Né alcunché indica che nell’arresto di Gesù,
le norme del diritto penale ebraico siano state violate: né l’ora
notturna, né il fatto che gli uomini fossero armati, possono qui avere
importanza.
In conclusione, si può rilevare che l’arresto di Gesù fu iniziativa
esclusiva delle autorità ebraiche: i poteri di arresto rientravano tra le
competenze dell’autorità locale e questa si preparava ad istruire un
103 Ios. Flav., Bell. 2,14,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
58
processo104. Dunque, è il governo giudaico, non quello romano, che ha
preso l’iniziativa. Il problema di Gesù è, infatti, un problema, interno
alla società giudaica del tempo, che non coinvolge direttamente le
autorità romane. Il Vangelo di Marco è in questo assolutamente
credibile105.
Quanto a Gesù, Egli protestò bensì in certo qual modo contro
l’arresto, ma senza definirlo illegale e sottolineandone piuttosto il
carattere paradossale: “Come contro un malfattore siete venuti con
spade e bastoni per pigliarmi. Ogni giorno Io stavo tra voi nel Tempio
ad insegnare, e non mi pigliaste”106.
II.3. Il dibattito sulla data del processo.
Una questione ancora dibattuta è quella che risulta dalla seguente
domanda: il primo Venerdì Santo cadde il 15 o 14 Nisan? Tutti gli
Evangeli sono d’accordo nel dire che il giorno della morte di Gesù era
un venerdì, ma questi divergono quanto alla data di esso. Secondo i
Sinottici, Gesù celebrò la cena pasquale il giovedì sera. La legge
fissava per questo pasto, la sera del 14 Nisan, cioè l’inizio del 15
Nisan. Il giorno della morte di Gesù sarebbe, quindi, il primo giorno
della festa di Pasqua, il 15 Nisan, ma, secondo Giovanni, Gesù
104 Fabbrini, 1999, pag. 162. 105 Jossa, 2002, pag. 59. 106 Mc.14,48.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
59
sarebbe stato crocifisso il giorno in cui gli Ebrei, di sera, celebravano
la cena pasquale: dunque, il 14 Nisan.
Questa nota divergenza ha dato spunto a numerosi tentativi di
conciliazione, nessuno dei quali può dirsi soddisfacente. Una tesi
interessante è quella sostenuta da Annie Jaubert107, poi ripresa da
Barbara Fabbrini108, secondo cui l’arresto sarebbe avvenuto addirittura
nella notte del martedì, contrariamente alla generale opinione secondo
cui Gesù fu arrestato nella notte del giovedì e crocifisso il venerdì. Per
questa cosiddetta cronologia dei tre giorni, la Jaubert adduce
l’argomento secondo il quale, come appare dal libro dei Giubilei, da
quello di Enoch, dallo scritto di Damasco e da alcuni testi della prima
grotta di Qumran, al tempo di Gesù, accanto al calendario lunare
ufficiale, esisteva anche un calendario solare, su cui si regolavano la
setta di Qumran ed i circoli ad essa legati; calendario secondo il quale
la Pasqua cadeva ogni anno di mercoledì. A tale calendario si
dev’essere attenuto anche Gesù, perché così si può spiegare la
divergenza tra i Sinottici e Giovanni, circa il giorno dell’arresto e,
quindi, della morte di Gesù. Dunque, stando alla ricostruzione della
Jaubert, quando i Sinottici dichiarano che l’ultima cena fu una cena
pasquale, hanno ragione; Gesù ha veramente celebrato una cena
pasquale prima della sua morte, e precisamente secondo il calendario
di Qumran, la sera del martedì (cioè secondo il modo di contare
ebraico, al principio del mercoledì). Quando d’altra parte Giovanni
informa che Gesù è stato crocifisso alla vigilia del giorno di Pasqua,
107 Jaubert, 1957, pp. 149-163. 108 Fabbrini, 1999, pag. 165.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
60
ha altrettanto ragione: egli pensa al calendario ufficiale, secondo il
quale il primo Venerdì Santo, era un 14 Nisan. In tal modo, prendendo
come base questa cronologia prolungata, si risolvono varie difficoltà
cui l’esegesi evangelica si trovava sinora di fronte109.
L’audace teoria della Jaubert ha avuto subito un’eco assai positiva
e parecchie adesioni, tra le quali (come già ricordato) anche quella
della Fabbrini110. Altri studiosi avanzarono qualche dubbio: si deve
ammettere che la nuova ipotesi merita una seria attenzione, ma se si
esaminano criticamente tutti gli argomenti addotti, si giungerà alla
conclusione che la cronologia tradizionale della Passione, è
decisamente meglio fondata: la cronologia dei tre giorni, presentata
nella Didascalia e sostenuta dalla Jaubert, è comparsa al più presto
nel II secolo ed è ispirata dalla preoccupazione di trovare nella storia
della Passione il fondamento del tradizionale digiuno settimanale del
mercoledì e del venerdì. Senza dubbio, sia i Sinottici, sia Giovanni,
testimoniano a favore della “cronologia di un giorno solo”. Ora,
poiché il resoconto della Passione, a differenza di altre parti degli
Evangeli, ci è stato, sin dal principio, trasmesso come un racconto
coerente e continuo, la cronologia della Passione secondo gli
Evangeli, non può venire respinta alla leggera. In conclusione,
l’asserzione che la cronologia dei tre giorni elimina una quantità di
difficoltà d’interpretazione, si dimostra, ad un esame più minuto,
inesatta o discutibile.
109 Jaubert, 1957, pp. 149-163.110 Fabbrini, 1999, pag. 166.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
61
II.4. L’interrogatorio presso Anna: valore di inchiesta
giuridico-preliminare o informale?
Gesù fu incatenato e condotto dal monte degli Ulivi in città; non lo
si condusse però subito dinanzi al Sinedrio, ma, come soltanto
Giovanni riferisce111, dapprima dal sommo sacerdote Anna, figlio di
Seth, il quale viene nominato, accanto a Caifa, altre due volte nel
Nuovo Testamento come sommo sacerdote112. In Giuseppe Flavio, che
lo chiama Ananos, egli appare come una delle personalità più notevoli
dell’aristocrazia sacerdotale di quei tempi113. L’ufficio di sommo
sacerdote gli fu affidato nel 6 d.C., dal governatore siro Publio
Sulpicio Quirino e poté essere da lui esercitato sino all’anno 15.
I contemporanei giudicarono Anna un uomo prediletto dalla sorte
per tanta potenza e tanti onori, ma la tradizione ebraica non si
pronuncia sempre in termini favorevoli sulla sua stirpe: prima di tutto
le si rimproverano denunce, intrighi ed un affarismo sconveniente.
Senza dubbio, Anna dovette i suoi grandi e durevoli successi, non solo
al fatto che, essendo ricco, egli poneva senza alcuno scrupolo la
propria ricchezza al servizio dei propri piani, ma anche ad un’
inconsueta energia ed a grandi doti diplomatiche. Così si spiega
perché nel Nuovo Testamento egli compaia sovente in primo piano,
nonostante già da molto tempo fosse stato sostituito nelle sua carica.
Se d’altra parte si continua a chiamarlo sommo sacerdote, si deve
111 Io. 18,12;19,24. 112 Fabbrini, 1999, pag. 162. 113 Ios. Flav., Ant. 20,9,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
62
tener presente che tale titolo restava anche a quanti non erano più in
funzione attiva.
Anna intraprese da solo l’interrogatorio di Gesù, sia pure in
presenza di servitori e forse anche di alcuni gerarchi. Il Sinedrio, in
quanto corpo costituito, si riunì solo più tardi, sotto la presidenza di
Caifa.
Non bisogna vedere in questa scena un’inchiesta preliminare
ufficiale: una cosa del genere era manifestamente ignota alla
procedura penale ebraica. Vari storici del diritto pensano che Anna
avesse iniziato l’interrogatorio nella sua qualità di presidente di uno
dei due tribunali minori, ancora in funzione a Gerusalemme. Questi
tribunali erano competenti per i reati minimi, ed Anna, riconoscendo
l’eccezionale gravità del caso, lo avrebbe trasmesso poi al gran
Sinedrio. Ciò non è affatto esatto: proprio il Sinedrio, infatti, e non un
tribunale locale di second’ordine, aveva deciso l’arresto di Gesù e il
suo perseguimento in sede penale per mezzo di un processo capitale;
poiché Anna era, egli stesso, membro del Sinedrio, doveva essere già
informato in precedenza dell’importanza straordinaria dell’affare.
Il primo interrogatorio non costituisce, dunque, un elemento
integrante del processo vero e proprio, ma ha carattere non ufficiale.
Sembra che ci sia indicato anche dalle parole di Io.18,13, dove egli
dice, al fine di giustificare la traduzione di Gesù da Anna: “… poiché
egli era suocero di Caifa, il quale era sommo sacerdote quell’anno”.
Ciò dovrebbe significare che alla base di tale traduzione stavano
motivi più di carattere privato, che giuridico: rimettendo
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
63
provvisoriamente Gesù ad Anna, Caifa voleva ufficialmente
manifestare il suo rispetto per quest’ultimo ed, in realtà, calcolava che
l’esperienza e la scaltrezza dell’ex-sommo sacerdote, sarebbero valse
a procurargli il materiale di base per il processo dinanzi al Sinedrio114.
Inoltre, così si utilizzava vantaggiosamente l’intervallo di tempo
necessario per la convocazione regolare della corte di giustizia. Ad
ogni modo, il procedimento preliminare presso Anna non era motivato
dal fatto che gli Ebrei considerassero quest’ultimo, nonostante la sua
deposizione da parte dei Romani, come l’unico legittimo sommo
sacerdote; né è da pensare che Anna non volesse partecipare alla
seduta sinedriale come semplice membro, non potendo presiedere la
seduta; oppure che si volesse risparmiare al vegliardo l’uscita in una
notte fredda115. Allorché Giovanni aggiunge alla sua osservazione su
Anna: “Caifa era quello che aveva dato agli Ebrei il consiglio che era
meglio morisse un solo uomo per il popolo”116, egli vuole
manifestamente intendere che entrambi, il sommo sacerdote deposto e
quello in carica, giudicavano esser venuto il momento di passare dalle
parole, all’azione e di fare tutto il possibile per mettere Gesù, una
volta per tutte, nell’impossibilità di nuocere.
Ma lo scopo dell’udienza preliminare non fu raggiunto. Anna
interrogò il prigioniero sui suoi discepoli e sulla sua dottrina. Egli
voleva sentire dalla bocca stessa di Gesù perché quest’ultimo avesse
raccolto intorno a sé una schiera di seguaci e quali dottrine particolari
114 Blinzler, 1966, pag. 104. 115 Zahn, 1908, pag. 613. 116 Io. 18,14
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
64
propagasse. Difatti, Gesù si distingueva fondamentalmente dai soliti
insegnanti, anche per il fatto che non discuteva al pari di essi e non
diffondeva cose imparate da altri, ma, sorpassando persino i profeti
dell’Antico Testamento, annunciava in modo nuovo la volontà di Dio
e con ciò manifestava una sicurezza di sé, inconcepibile per il pensiero
ebraico, al quale tutto ciò non poteva non apparire blasfemo. Forse
Anna, in quest’occasione, cercò di strappare al prigioniero una sorta
di confessione personale che aprisse la via all’imminente processo
giudaico. Il fatto che egli si interessasse anche dei discepoli, che
tuttavia all’atto dell’arresto non erano stati disturbati, indica forse che
egli voleva indurre Gesù a dare qualche spiegazione anche sul
movimento messianico da Lui provocato; spiegazione che si sarebbe
potuta poi utilizzare davanti al foro Romano. Egli pensava o fingeva
di pensare che Gesù avesse fondato una specie di società segreta con
dottrine e fini sospetti. Gesù respinge queste insinuazioni con serena
dignità. Egli rammenta il carattere assolutamente pubblico della sua
attività: “Io ho sempre parlato palesemente al mondo. Ho sempre
insegnato nella sinagoga e nel Tempio, dove s’adunano tutti gli Ebrei,
e nulla ho detto in segreto. Perché m’interroghi? Interroga quanti
udirono ciò di cui Io parlai loro. Ecco, quelli sanno che cosa ho
detto”117. Siccome Giovanni sa benissimo che Gesù occasionalmente
ha parlato anche ad un uditorio più ristretto, egli vuol, dunque, far
capire che Gesù, con l’affermazione di non aver mai parlato in
segreto, intendeva proclamare che tutto il contenuto del messaggio
117 Io. 18,20; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 163.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
65
messianico era accessibile a chiunque e che, quindi, l’idea di una
congiura segreta o cose simili era assurda. Dal fatto che la
predicazione era pubblica, si deduce l’assoluta superfluità
dell’interrogatorio di Gesù, le cui parole sarebbero, dunque, state
accolte solo con diffidenza; poiché abbondavano i testimoni
auricolari, l’inquisizione si doveva attenere ad essi: l’audizione dei
testi fa parte di ogni interrogatorio regolare.
Un tono così libero e privo di timore era qualcosa d’inaudito nelle
aule dei tribunali ebraici. Come Giuseppe Flavio ci riferisce118, gli
imputati ebraici avevano cura di ispirare il loro atteggiamento ad un
servilismo completo. Essi si presentavano esageratamente umili e
timorosi nella parola e nel gesto, vestiti di nero e con i capelli in
disordine, cercando, in tutti i modi immaginabili, di suscitare la
compassione del giudice. Allo spirito limitato e sottomesso di un
militare di tribunale, la risposta di Gesù doveva, quindi, apparire
irriverente ed ingiuriosa. Poiché egli era sicuro di non incorrere in
nessuna ammonizione da parte del suo superiore, il soldato
schiaffeggiò con zelo servile l’imputato, dicendogli: “Così rispondi al
sommo sacerdote?”. Gesù subisce il rimprovero brutale, ma non senza
rinfacciarne con calma e chiarezza all’autore, il suo torto: “Se ho
parlato male, dimostrami il mio torto. Se ho parlato bene, perché mi
percuoti?”119. Non ci è detto come reagì all’accaduto il sommo
sacerdote.
118 Ios. Flav., Ant. 14,9,4. 119 Io. 18,23.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
66
L’interrogatorio si conclude con un nulla di fatto: Anna, che non
riesce ad acquisire alcuna prova nei confronti dell’accusato, fa
pertanto incatenare di nuovo Gesù e lo manda a Caifa, sommo
sacerdote in carica120.
120 Io. 18,24; cfr. Blinzler, 1966, pag. 106.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
67
Capitolo III
Fase cognitiva: il dibattimento dinanzi al
Sinedrio.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
68
III.1. Il sommo sacerdote Caifa ed il Sinedrio di
Gerusalemme.
Il dibattimento ebbe inizio durante la stessa notte: racconta Marco
che il personale di servizio, accampato nel cortile, manteneva acceso il
fuoco per difendersi dal freddo notturno121. A causa dell’ imminente
sorgere del sole, occorreva sbrigarsi. Del resto, di regola gli arrestati
venivano tradotti in giudizio immediatamente dopo l’arresto, poiché il
diritto penale ebraico sembra non aver conosciuto l’arresto preventivo
come istituzione normale122.
Da Caifa si trovavano “tutti i sommi sacerdoti, anziani e scribi”123,
riunite, quindi, esattamente le tre categorie che, secondo Giuseppe
Flavio, componevano il Gran Sinedrio. E’ dunque il tribunale supremo
ebraico che d’ora in poi si occupa di Gesù. Accanto al sommo
sacerdote in carica - presidente della seduta - avrebbero dovuto essere
presenti settanta membri124. L’osservazione di Marco, che “tutti” i
sinedriti erano convenuti presso Caifa, non va presa assolutamente alla
lettera: a quell’ora insolita alcuni potevano mancare; certamente, però,
la riunione raggiungeva il numero legale necessario per la validità
della decisioni: per questo scopo, secondo la Mishnà, bastava la
presenza di ventitrè membri.
Il solo partecipante all’assemblea che venga dagli Evangeli
indicato col suo nome, è, per l’appunto, il sommo sacerdote Caifa. 121 Mc.14,40. 122 Blinzler, 1966, pp. 111 ss. 123 Mc.14,53. 124 Mischnà, Sanh.1,6.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
69
Giuseppe, soprannominato Caiafa, com’è designato in Giuseppe
Flavio125, dev’essere stato un diplomatico consumato, se è vero che
egli riuscì a mantenersi al potere per 19 anni, dal 18 sino al 37 d.C.,
primato che in tutto quel secolo non fu raggiunto da alcun altro;
infatti, i procuratori romani cambiavano volentieri questi dignitari,
poiché volentieri approfittavano dell’occasione di una nuova
instaurazione per farsi offrire una gratifica dal candidato fortunato.
Anche Valerio Grato, procuratore della Giudea dal 15 sino al 26 d.C.,
e dal quale Caifa ottenne la carica e la dignità, doveva essere
corruttibile, poiché, infatti, i tre predecessori di Caifa non furono
lasciati in funzione più di un anno126.
Come Caifa127fosse solito procedere senza scrupoli contro tutto
quanto potesse minacciare la sua potenza politica, egli, tra l’altro,
mostrò nella seduta che condusse alla decisione ufficiale della
soppressione di Gesù. Di fronte ad un carattere di tal forza, il povero
figlio d’artigiano di Nazareth, non poteva imporsi, nemmeno quando
godeva ancora del favore popolare. Proprio perché minacciava di
sottrarre il popolo alla casta dominante, quest’ultimo dovette essere
sacrificato alla ragion di stato, come Caifa la intendeva.
Il collegio presieduto dal sommo sacerdote si compone di tre
gruppi: i sommi sacerdoti, gli anziani e gli scribi128.
Il primo gruppo comprende, innanzitutto, coloro che avevano
ricoperto in passato la carica di sommo sacerdote. Oltre a questi ex-
125 Ios. Flav., Ant.18,2,2. 126 Ios. Flav., Ant. 18,2,3. 127 Io. 11,50-53. 128 Blinzler, 1966, pp. 114 ss.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
70
sommi sacerdoti, almeno altri cinque grandi sacerdoti appartenevano a
questo gruppo: il capo del Tempio, il sorvegliante sacerdotale e tre
tesorieri del tempio stesso. Il più importante di questi alti funzionari
del culto era il primo: egli doveva assistere il sommo sacerdote nelle
solennità del culto ed aveva la massima autorità di polizia all’interno
del Tempio. E’ evidente che in questi ierocrati, assetati di potere,
laicizzati e senza coscienza, incapaci per ciò stesso di accostarsi al
mistero della personalità e del messaggio di Gesù, dobbiamo vedere i
suoi avversari più spietati e spregiudicati.
Il secondo gruppo del Sinedrio, gli anziani, rappresentava le
famiglie dei laici più influenti di Gerusalemme; sembra che si trattasse
soprattutto di ricchi proprietari terrieri. Uno di essi ci è noto per nome,
Giuseppe d’Arimatrea, che possedeva fuori dalla cinta della città un
terreno con giardino, dove sappiamo che egli fece seppellire Gesù.
Benché non sappiamo null’altro sui rappresentanti di questo secondo
gruppo, possiamo ammettere che l’aristocrazia laica non valesse in
media molto più di quella sacerdotale.
Il terzo gruppo, infine, era formato dai rappresentanti della
corporazione degli scribi: mentre i sommi sacerdoti e gli anziani
appartenevano tutti più o meno alla tendenza sadducea, per bocca
degli scribi, si faceva sentire nel governo la voce dei Farisei.
Quest’ultimi si erano guadagnati, con grandi lotte, l’accesso al
Sinedrio sotto la regina Alessandra-Salomè, nel 76 a.C., e, nonostante
alcuni rovesci di fortuna poco prima della morte di Erode I, avevano
saputo farvi valere sempre più la loro influenza. Se i sommi sacerdoti
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
71
e gli anziani erano i rappresentanti della classe dominante dei
plutocrati, gli scribi erano gli avvocati della piccola borghesia, da cui
uscivano i più dei Farisei. Al tempo di Gesù, questi dovevano nel
Sinedrio avere già un notevole potere, di poco inferiore a quello dei
loro avversari sadducei ed è possibile che, anzi, li superassero in
fanatismo ed energia.
Già al primo tentativo di arrestare Gesù, i Farisei costituivano la
forza motrice129. Poiché guardavano con disprezzo sconfinato la
“gentaglia che non conosceva la legge”130, essi non avrebbero avuto
altro che un supremo disprezzo per il predicatore incolto di Nazareth
ed i suoi seguaci, se la sua lotta aperta contro di loro ed il suo
crescente successo tra la popolazione non avessero tramutato il loro
disprezzo in odio rabbioso. Ma, anche tra di loro v’erano uomini nei
quali il sentimento della verità e del diritto non erano morti: uno di
questi era Nicodemo, il quale, tra l’altro, aveva cercato in un’ora
notturna, un insegnamento presso Gesù131; più tardi, nonostante la sua
mitezza, aveva osato fare appello alla coscienza dei suoi colleghi
farisei: “La nostra legge giudica mai un uomo prima di averlo
ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero bruscamente: “Sei
forse anche tu di Galilea? Indaga e vedrai: dalla Galilea non sorge
alcun profeta”132. Quest’uomo, dopo la morte di Gesù, portò grandi
offerte per una dignitosa sepoltura della salma133. Oltre a lui,
129 Io. 7,32-47; cfr. Mordechai Rabello, 1999, pag. 49. 130 Io. 7,49. 131 Io. 3,1.31. 132 Io. 7,50-52. 133 Io. 19,39.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
72
conosciamo un altro scriba fariseo, che dev’essere stato allora membro
del Sinedrio: si tratta di Gamaliele I, celebre dottore della legge,
maestro del giovane Saulo di Tarso134.
III.2. Il dibattimento: le regole processuali.
Sulle modalità di svolgimento del dibattimento dinanzi al Sinedrio,
possiamo trarre qualche informazione dalla Mishnà, che forse riflette
in questi particolari tecnici, le condizioni antiche. Secondo essa,
dunque, i sinedriti sedevano in semicerchio su seggi sopraelevati per
potersi reciprocamente vedere135. Ai due lati dinanzi ad essi stavano
due scrivani di tribunale, i quali dovevano mettere a verbale tutti gli
argomenti portati pro o contro l’accusato. In mezzo sedevano
l’imputato ed i testimoni e dietro ad essi, disposti in tre file, stavano
gli allievi scribi, seduti per terra.
Solo dopo l’esposizione delle circostanze attenuanti, potevano
essere avanzate le aggravanti.
Nei processi capitali, l’assoluzione poteva essere pronunciata in
seguito ad una sola testimonianza favorevole all’accusato, mentre la
condanna esigeva le deposizioni concordi di almeno due testi136.
134 Act. 5,34-39. 135 Mishnà, Sanh. IV 3°. 136 Mishnà, Sanh. IV Id.; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 170.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
73
Poiché quest’ultima disposizione era già fissata nell’Antico
Testamento137, essa fu certamente applicata nel processo a Gesù.
Secondo la relazione di Marco, il dibattimento contro Gesù ebbe
inizio con l’esame delle prove: “Tutto il Sinedrio cercava prove contro
Gesù per farlo morire”138. Che un verdetto di morte debba essere
emesso, è certo; invece, non è certo su che motivo esso debba basarsi.
Se non si parla di testimoni a discarico, il motivo sussiste nella
possibilità che essi mancassero del tutto, sia che non si fossero lasciati
entrare; sia che nessuno osasse prendere partito per l’accusato dinanzi
a coloro che notoriamente lo perseguitavano; sia, infine, che per
questa seduta notturna, convocata improvvisamente, non si fosse
potuto trovare un seguace di Gesù, pronto a testimoniare: i discepoli,
infatti, erano fuggiti. Se gli Evangelisti avessero saputo di qualche
testimonianza a discarico, sicuramente non l’avrebbero taciuta, poiché
una testimonianza del genere non solo avrebbe fornito un contrasto
efficace con la condanna finale, ma anche un prezioso punto di
partenza per l’apologetica cristiana.
Nel diritto processuale giudaico, che non conosceva un pubblico
accusatore, i testimoni servivano da accusa. Nonostante l’ora notturna,
essi erano già pronti: al pari dei sinedriti, essi avevano potuto esser
raggiunti facilmente, poichè l’arresto di Gesù era prevedibile almeno
dalla sera prima. Dalla loro pronta apparizione, si è dedotto, più volte,
che essi erano stati preparati o addirittura comperati dai sinedriti139;
137 Deut.17,6,19,15;Num.35,30; Ios. Flav., Ant. 4,8,15. 138 Mc. 14,55. 139 Gutzwiller, 1949, pag. 319.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
74
ciò ben si accorderebbe col ritratto di Caifa e compagni, ma non si può
provare; né si può dedurre molto dal fatto che, in conclusione, i
testimoni si rilevarono inutilizzabili per mancanza di accordo nelle
loro deposizioni: potrebbe esserci entrato anche un errore di regìa.
Si deve considerare che i testimoni dovevano rendere le proprie
testimonianze separatamente; oralmente; alla presenza dei giudici e
dell’accusato e che le loro dichiarazioni erano giudicate prive di
valore, se differivano anche nel minimo particolare.
Vennero dapprima chiamati ed ascoltati un gran numero di testi, di
cui altro non si sa, se non che le loro deposizioni furono discordanti e,
quindi, prive di validità.
A quali avvenimenti o a quali parole di Gesù questo gruppo di
testimoni si riferisse, non ci è, dunque, noto: si può pensare che si
parlasse di episodi come la cacciata dei profanatori dal Tempio o
l’ingresso in Gerusalemme o le presunte profanazioni del sabato,
oppure anche le affermazioni messianiche di Gesù stesso, ma, poiché
le fonti non ci offrono nessun elemento sicuro di partenza, è ozioso
fare ipotesi su questo punto.
Siccome i primi testimoni non avevano fatto bene la loro parte, ne
comparvero alcuni altri (secondo Matteo, due), sulla cui deposizione
siamo meglio informati, grazie ad un preciso riferimento esistente nel
Vangelo di Marco, in cui si attribuiscono loro queste affermazioni che
Gesù avrebbe pronunciato: “Io distruggerò questo tempio fatto da
mani d’uomo, ed in tre giorni ne fabbricherò un altro che non sarà
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
75
fatto da mani d’uomo”140. Effettivamente, Gesù pronunciò un giorno
queste parole o altre simili; secondo il quarto Evangelista, il solo che
le riferisce nella storia dell’attività di Gesù, esse suonavano così:
“Demolite questo tempio, ed in tre giorni lo farò risorgere”141. Questa
frase sibillina, pronunciata davanti al Tempio di Gerusalemme fu
interpretata dai discepoli come riferita al tempio del corpo di Gesù
stesso142. I testimoni vogliono, naturalmente, intenderla come una
temeraria minaccia contro il santuario nazionale ebraico.
Se il testo di Marco riporta letteralmente la deposizione dei
testimoni e quello di Giovanni le parole di Gesù, gli accusatori
diedero, di queste ultime, una versione che sottolineava ancor
maggiormente la minaccia: “Io distruggerò…”, anziché “Demolite…”.
Questa imputazione era pericolosa, com’è dimostrato da un episodio
della vita di Geremia, il secondo (dopo Isaia) dei profeti maggiori (VI
secolo a.C.) che, avendo predicato contro il Tempio, fu minacciato più
volte dai sacerdoti143. Nel caso di Gesù, vi era l’aggravante che Egli,
almeno secondo l’affermazione dei testi o di uno di essi, non si
limitava a parlare di una catastrofe ventura, ma designava
espressamente se stesso come colui che l’avrebbe provocata. La
distruzione degli edifici destinati al culto era annoverata, in tutta
l’antichità, tra i delitti più gravi. Specialmente agli Ebrei, data la
posizione unica che il Tempio assumeva nella loro vita religiosa,
anche la sola minaccia di un attentato ad esso, doveva apparire come
140 Mc.14,58; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 173. 141 Io. 2,19. 142 Io. 2,21. 143 Ier.26,1-19.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
76
un crimine degno di essere punito con la morte; un tribunale malevolo
poteva facilmente costruire su di essa un’accusa di bestemmia144. Se si
fosse giunti, in base a quest’accusa, ad un verdetto di colpevolezza, vi
sarebbe stata un’evidente ingiustizia, poiché, qualunque fosse stato in
origine il senso della frase sul Tempio, è chiaro che, durante la sua
attività pubblica, Gesù non ha certamente mai avuto l’intenzione di
distruggere o far distruggere l’edificio del Tempio. Nella profezia
riportata da Marco (13,1), Gesù non si sogna affatto di dire che Egli
stesso abbia intenzione di distruggere il Tempio.
Ma la sentenza di morte non si basò affatto su queste parole: Marco
dice espressamente che, anche in questo caso, le testimonianze erano
discordi - in che misura, non sappiamo - e che, perciò, non avevano
valore, sicché l’inchiesta dovette egualmente proseguire145.
III.3. L’interrogatorio dell’imputato e la condanna a
morte da parte dei sinedriti.
L’audizione dei testi non produce, dunque, il risultato sperato dai
giudici146; si passa, quindi, all’interrogatorio dell’imputato stesso.
Gesù deve prendere posizione di fronte alle accuse portate contro di
Lui: se Egli le riconosce fondate o ne riconosce almeno una, la
144 Lev.24,16. 145 Blinzler, 1966, pag. 121. 146 Fabbrini, 1999, pag. 174.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
77
discordanza tra le testimonianze è neutralizzata e si ha un solido punto
d’approdo per la condanna.
Il sommo sacerdote, come presidente della corte, procede
personalmente all’interrogatorio: dopo essere sceso nell’emiciclo dove
si trovano l’accusato con i testimoni, chiede all’imputato: “Non hai
nulla da rispondere a quanto questi attestano contro di te?”. Gesù non
lo degna di risposta, rifiutandosi di dare spiegazioni sui propri atti e
sulla propria dottrina, poiché le sue spiegazioni urterebbero sempre
contro l’incomprensione e l’ostilità dei presenti147. In ciò, si realizza in
pieno la profezia di Isaia: “Maltrattato ed umiliato, non aperse bocca.
Come un agnello condotto al macello, come pecora davanti ai suoi
tosatori, Egli non aperse bocca”148. Il suo ostinato silenzio toglie alla
corte la possibilità di ricavare alcunché dalle deposizioni dei testi.
Avendo constatato che il dibattimento è giunto oramai ad un punto
morto, Caifa si vede, suo malgrado, costretto a tentare di provocare
una decisione per via diretta. Dinanzi al sospetto che l’accusato
rivendicasse la dignità di Messia, il sommo sacerdote, che vuole farla
finita, pone a Gesù una domanda diretta sulla sua concezione di sé,
appunto, come Messia: “Sei tu il Messia, il figlio del Benedetto?”149.
L’espressione “figlio del Benedetto” - poiché il nome di Dio non
doveva essere pronunciato, Caifa lo sostituisce con una perifrasi - è
un’apposizione di “Messia” e ne ha, quindi, essenzialmente lo stesso
senso, cioè quello di titolo d’onore messianico. Siccome il popolo
147 Blinzler, 1966, pag. 122. 148 Is.53,7; Act.8,32. 149 Mc.14,; cfr. Jossa, 2000, pag. 90.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
78
ebraico attendeva un Messia puramente umano, la domanda di Caifa
sulla filiazione divina non può essere intesa in riferimento alla stessa
essenza divina; il sommo sacerdote vuole soltanto conoscere le pretese
messianiche di Gesù.
Il resoconto di Marco e di Matteo è disposto in modo tale che proprio
questa domanda appaia come il punto culminante del processo sino a
questo punto svoltosi; Matteo lo sottolinea facendo precedere la
domanda del sommo sacerdote da un solenne: “Io ti scongiuro pel Dio
vivo, di dirci…”150.
Non vi è dubbio che dalla risposta di Gesù dipenderà il successo o
l’insuccesso dei piani dei suoi avversari: se la risposta è “si”, essi
hanno vinto; se è “no”, possono dare un addio alle loro speranze. Ma
ciò significa che, se Marco e Matteo descrivono fedelmente
l’andamento del processo, e non v’è ragione di dubitarne, i sinedriti
erano decisi a considerare Gesù reo confesso, nel caso di risposta
affermativa; si proponevano, cioè, di considerare l’aperta e chiara
rivendicazione della dignità messianica, come un delitto capitale.
Per sfuggire a questa inevitabile conclusione, bisognerebbe
ammettere che la domanda del sommo sacerdote dovesse solo dare il
via ad un’ulteriore inquisizione, nel corso della quale si sperasse di
estorcere all’accusato qualche dichiarazione aggravante. Ma la
domanda di Caifa non dà affatto l’impressione di mirare a qualche
scopo lontano: essa non richiede nient’altro che un sì o un no. Gesù
sinora aveva taciuto; era poco probabile che si lasciasse
150 Mt.26,63.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
79
improvvisamente trascinare in un lungo dialogo. Il sommo sacerdote
cerca ora, dunque, di ottenere a forza una decisione immediata; per lui
la domanda posta all’imputato equivale alla richiesta di dichiararsi o
meno colpevole.
A quest’interpretazione si potrebbe obiettare che i sinedriti non
avrebbero avuto il diritto di prendere l’affermazione messianica di
Gesù come base per una condanna a morte; ma potremmo ragionare
in tal modo, solo se ci potessimo fondare sul presupposto che il
Sinedrio abbia pronunciato una sentenza equa ed obiettiva, vale a dire
che una questione di fatto, non può in ogni modo venir risolta con
considerazioni aprioristiche. E’ certo incontestabile che la corte
giudaica ha rispettato le forme legali nella valutazione delle
testimonianze, come affermato anche dalla Fabbrini151; ciò, però, non
significa che, anche nell’emissione della sentenza, essa si sia attenuta
alla lettera ed allo spirito della legge. Prendere per base di una
condanna a morte testimonianze nulle perché contraddittorie, sarebbe
stato un principio assai pericoloso; altro era, invece, dichiarare
l’imputato reo convinto di delitto capitale sulla base delle sue
ammissioni, qualora la legge o la consuetudine lasciassero una certa
elasticità per la definizione di siffatto reato.
Di fatto, la definizione di bestemmia, di cui si accusava Gesù, era
un qualcosa di estremamente elastico, ma il problema è ora di sapere
151 Fabbrini, 1999, pp. 172 ss.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
80
se anche la rivendicazione della dignità messianica era giudicata o
poteva essere giudicata come bestemmia152.
Varie considerazioni suggeriscono una risposta negativa: il Messia
atteso dagli Ebrei, non era un essere soprannaturale, ma un uomo; si
può, dunque, porre in dubbio che quella rivendicazione fosse sentita
già come una formale offesa a Dio. Ma, occorre soprattutto
sottolineare che gli Ebrei non intentarono un processo per bestemmia
a nessuno di coloro che in precedenza avevano rivendicato il titolo di
Messia: quest’argomento non è, dunque, del tutto convincente. Il solo
di cui sappiamo con certezza che si spacciò per Messia, Simon Bar
Kochba (132-135) visse in un’epoca in cui già il diritto penale
farisaico-mishnaico aveva cominciato a farsi strada e godette, oltre
che della simpatia del popolo, anche di quella di gran parte delle
autorità ebraiche, mentre Gesù, per la propria dottrina e la propria
azione, era entrato in conflitto insanabile con la classe dirigente.
A ciò si aggiunge un’altra circostanza: l’ebraismo attendeva dal
Messia che egli si legittimasse come tale. Un Messia prigioniero,
abbandonato dai suoi amici, ridotto all’impotenza e consegnato così
alla violenza dei suoi avversari, era, per esso, un’idea inaccettabile.
Un uomo che in simile situazione si presentava come Messia, come
detentore della massima dignità che Dio potesse conferire ad un
uomo, ai suoi occhi, non poteva essere che uno scellerato, il quale
osava schernire le grandi promesse di Dio al popolo della Sua
alleanza.
152 Blinzler, 1966, pp. 126-127.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
81
Se questo giudizio non si identificava ancora del tutto con l’accusa
di bestemmia, ne era, tuttavia, separato solo da un sottilissimo tratto
che tale tribunale era disposto a varcare senz’altro con tanto minor
difficoltà, quanto maggiori erano le sue prevenzioni contro
quell’Uomo. La domanda di Caifa è, dunque, proprio la domanda
decisiva. Tutto dipende, oramai, dalla risposta dell’imputato; dal fatto
che Egli affermi o neghi. Secondo i Sinottici, Gesù, durante tutto il
suo ministero, evitò di designarsi apertamente come Messia153; la sua
riservatezza era, evidentemente, motivata dal fatto che Egli non
voleva suscitare le speranze messianiche politico-nazionali dei suoi
contemporanei. Ora che sa di essere al compimento della Sua
missione, alla presenza dei legittimi, anche se increduli ed indegni,
reggitori del Suo popolo, Egli non esita a rispondere chiaramente alla
domanda postagli sulla Sua messianità: “Lo sono”154.
Vero è che la sua idea del Messia non aveva nulla di comune con
quella degli Ebrei, ma il sommo sacerdote non aveva posto la
domanda in riferimento ad una determinata idea di Messia, bensì
aveva semplicemente chiesto se Gesù affermasse di essere il Messia
promesso. Per Gesù, che sapeva di essere Colui che avrebbe
adempiuto le profezie messianiche, non v’era alcun motivo di ignorare
questa domanda di principio e, tanto meno, la sua autotestimonianza,
con la profezia corrispondente: “E voi vedrete il Figlio dell’uomo
assiso a destra della potenza, venire sulle nubi del cielo”155. Alludendo
153 Ps.110;Dan.7,13. 154 Mc.14,62; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 176. 155 Mc.14,62.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
82
a due testi messianici dell’Antico Testamento, Egli fa prevedere il suo
ritorno onnipotente alla destra di Dio. Con ciò Egli va incontro ad
un’obiezione non direttamente espressa, ma, come già riferito,
prevedibile: la sua rivendicazione del titolo messianico mancava di
quella legittimazione divina che avrebbe eluso ogni dubbio. Alla fine
di questo eone, allorché sulle nubi del cielo al fianco di Dio, come il
Figlio dell’uomo rivestito di potenza e magnificenza, Egli si
manifesterà come il Messia agli uomini - anche a coloro che ora lo
stanno giudicando - in maniera convincente; allora gli increduli
avranno il “segno” di cui hanno sempre deplorato la mancanza.
Poiché anche gli Ebrei attribuivano al loro Messia, concepito come
un uomo, il seggio alla destra di Dio e la venuta sulle nubi del cielo,
non si può pensare che i sinedriti intendessero dalle parole di Gesù,
qualcosa di diverso dalla rivendicazione della dignità messianica e
non avevano bisogno di trovarvi null’altro: Gesù si è apertamente e
solennemente presentato come il Messia e, con ciò, ha fornito lo stato
di cose che essi erano decisi ad interpretare come bestemmia.
Così si giunge alla tempestosa scena finale, che Marco descrive
con le parole: “E il sommo sacerdote si stracciò le vesti ed esclamò:
“Che bisogno abbiamo più di testimoni? Avete udito la bestemmia.
Che vi pare? E tutti lo condannarono come reo di morte”156. Si è
sostenuto che la violenta reazione del sommo sacerdote sarebbe stata
la migliore prova dell’onestà dei suoi propositi, poiché, se egli avesse
sospettato o soltanto desiderato la professione di messianità da parte di
156 Mc.14,63.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
83
Gesù, non sarebbe stato sconvolto al punto da stracciarsi i paramenti
sacerdotali consacrati157. Quest’argomento è del tutto falso: Caifa non
poteva, in nessun modo, tralasciare quei gesti di lutto e indignazione,
sia che la sua irritazione fosse spontanea e sincera, sia che fosse
fittizia ed ipocrita158. Inoltre, non è ammissibile che in quella seduta
egli avesse indossato le vesti solenni di sommo sacerdote, perché gli
ornamenti sacerdotali, negli anni 6-37 d.C., furono custoditi dai
Romani nella fortezza Antonia e ne venivano tratti fuori solo per le
funzioni liturgiche nei giorni di festa; precisamente, secondo Giuseppe
Flavio159, sette giorni prima della festa o, al massimo, alla vigilia.
Stracciandosi le vesti, Caifa esprime, dunque, simbolicamente che
egli considera la dichiarazione di Gesù come una bestemmia. Questa
sua opinione si manifesta, poi, anche in termini chiari: “Che bisogno
abbiamo più di testimoni? Avete udito la bestemmia”. Egli vuol dire
che tutti i presenti sono testimoni auricolari di questa dichiarazione, il
cui carattere blasfemo è incontestabile per lui, e pensa anche per gli
altri membri del Sinedrio, così che la testimonianza d’altri è superflua.
Evidentemente, nessuno dei sinedriti solleva obiezioni contro questa
interpretazione delle parole di Gesù. Così, Caifa invita i suoi colleghi
ad emettere la sentenza: “Che vi pare?”. Per la bestemmia, la legge
mosaica prevedeva la morte per lapidazione160. I sinedriti si
pronunciano all’unanimità per la condanna a morte.
157 Husband, 1916, pag. 201. 158 Blinzler, 1966, pag. 131. 159 Ios. Flav., Ant. 18,4,3. 160 Lev.24,16.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
84
Poiché il diritto penale ebraico non conosceva ricorsi in appello, la
sentenza diventava immediatamente esecutiva, ma, al tempo di Gesù,
gli Ebrei non avevano il diritto di far eseguire una sentenza di morte;
solo il procuratore romano aveva la piena giurisdizione capitale, il
cosiddetto ius gladii161
. Per compensare, in certo senso, questa
“incapacità”, alcuni degli Ebrei si misero a maltrattare brutalmente il
condannato162: gli sputarono addosso; gli bendarono gli occhi; lo
percossero sul viso e lo invitarono ironicamente a “profetare”, a
riconoscere, cioè, nonostante gli occhi bendati, chi lo maltrattava. Ai
maltrattamenti inflitti a Gesù, secondo il testo di Marco, il quale
nomina come partecipanti attivi, dapprima “alcuni”, poi
espressamente “i servitori”, sembra abbiano partecipato anche membri
del Sinedrio.
La seduta si concluse con la decisione di tutto il Sinedrio di
rimettere Gesù - naturalmente con un atto d’accusa attentamente
pensato e formulato ad hoc - al procuratore romano163. Il termine
della seduta si ebbe al sorgere del giorno164.
161 Santalucia, 1999, pag. 96. 162 Mc.14,65. 163 Fabbrini, 1999, pag. 178. 164 Mc.15,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
85
Capitolo IV
Il deferimento al tribunale del procuratore.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
86
IV.1. Il comportamento del procuratore romano
dinanzi alla giustizia indigena.
Lo ius gladii era riservato al procuratore romano come all’unico
portatore dell’imperium165. Se ai sinedriti premeva che il giudizio di
morte pronunciato contro Gesù venisse applicato, si dovevano,
dunque, per forza rivolgere al procuratore.
A questo punto, sorgono diversi problemi che chiedono un
chiarimento: che cosa faceva il procuratore in un caso del genere?
Doveva senz’altro avallare e far eseguire ogni sentenza di morte
regolarmente emessa dal tribunale ebraico?166 Evidentemente no,
poiché se i Romani concedevano alle autorità locali il diritto di
giudicare liberamente un violatore della legge, ciò non significa
ancora che essi si prestassero anche a recitare la parte di esecutori
ubbidienti ai giudici ebraici; infatti, in Io.19,10, anche Pilato dice
all’accusato - che gli Ebrei ritengono convinto di un delitto capitale
secondo la loro legge - che egli possiede il potere di farlo giustiziare o
di rilasciarlo. Senza dubbio, i Romani si riservavano il diritto di
ratificare le condanne pronunciate dal tribunale ebraico, ma l’esercizio
del diritto di ratifica, non era possibile senza che il governatore si
fosse, dapprima, orientato egli stesso sul caso in questione ed, in
questo caso, si doveva, dunque, svolgere un nuovo processo dinanzi al
tribunale romano.
165 Santalucia, 1999, pag. 89-90. 166 Blinzler, 1966, pag. 217-218.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
87
Su quale giurisprudenza si fondava tale processo: sul diritto
romano o su quello ebraico? Spesso si è sostenuto che fosse in facoltà
del procuratore scegliere l’uno o l’altro; nel caso Gesù, il magistrato si
sarebbe basato sul diritto ebraico167. Ma è estremamente inverosimile
che un giudice romano si sia curato molto di tale diritto, che oltretutto
si fondava su principi del tutto diversi da quelli del diritto romano e la
cui applicazione corrente presupponeva una formazione erudita, della
quale certo nessun procuratore di Giudea era in possesso.
Quanto poco le autorità romane si interessassero alla legge
giudaica, si evince da tre incidenti, riferiti dagli Atti degli Apostoli:
allorché Paolo fu denunziato dagli Ebrei di Corinto al proconsole
Gallione, fratello del celebre filosofo Seneca, il romano respinse
l’accusa, dichiarando: “Se si tratta di discussioni su dottrina e nomi e
sulla vostra legge, vedetevela voi! Io mi rifiuto di esser giudice in
queste cose”168; alcuni anni più tardi, il tribuno Claudio Lisias, a
Gerusalemme, prese l’Apostolo sotto la sua protezione, allorché
constatò che le accuse elevate dagli Ebrei contro quel cittadino
romano si riferivano solo a contestazioni della legge ebraica, e non ad
un delitto che meritasse la pena di morte o il carcere secondo il diritto
romano169; nello stesso modo si comportò, a Cesarea, il governatore
Festo, il quale si disinteressò del caso di Paolo, quando si convinse
che le accuse contro di lui riguardavano solo divergenze ebraiche, e
167 Mommsen, 1899, pag. 136. 168 Act.18,15. 169 Act.23,29.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
88
non un reato perseguibile dalla legge romana: Festo dichiarò
laconicamente che di queste cose non si intendeva170.
Di fronte a tutto ciò, ci si richiama, a volte, alla concessione fatta
agli Ebrei dai Romani, di punire con la morte ogni pagano, anche
cittadino romano, che varcasse le barriere del Tempio; ma si tratta
manifestamente di una legge eccezionale, che proprio in quanto tale,
prova che l’autorità romana non teneva fondamentalmente conto del
codice penale ebraico. Inoltre, il culto ebraico godeva della protezione
della Stato Romano, così che le azioni dirette contro tale culto erano
punibili anche secondo il diritto romano. Così si spiega, ad esempio,
che il procuratore Cumano fece giustiziare un soldato romano che in
atto di scherno aveva stracciato un rotolo della Thorà171.
IV.2. Il perché di due processi indipendenti.
Il crimine che i sinedriti imputavano a Gesù, la bestemmia, non
costituiva una violazione degli usi “culturali”, quindi, non apparteneva
ai delitti che la legge romana perseguiva. I sinedriti avrebbero,
dunque, avuto poche probabilità di ottenere l’esecuzione di Gesù, se
avessero elevato contro di Lui, presso Pilato, l’accusa di bestemmia.
Essi potevano riuscirci soltanto se erano in condizione di convincere il
170 Act.25,18-20; cfr. Blinzler, 1966, pp. 217-218.171 Ios. Flav., Ant.20,5,4;Bell.2,12,2.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
89
governatore che Gesù aveva commesso un delitto degno di morte
secondo la legge romana172.
Effettivamente, nel processo che seguirà da qui innanzi, l’accusa di
bestemmia non ha più nessuna parte; al suo posto compare l’accusa di
alto tradimento. Dobbiamo, dunque, distinguere due processi
indipendenti: un processo religioso, dinanzi al Sinedrio, ed uno
politico, dinanzi al procuratore. Contro l’opinione che il processo
dinanzi a Pilato, rappresenti un processo formale, si potrebbe opporre
che gli Evangelisti non parlano abbastanza chiaramente di una
condanna di Gesù da parte di Pilato; infatti, Marco chiude la sua
relazione del processo con queste parole: “ Ora Pilato,…flagellato
Gesù, lo consegnò per essere crocifisso”173. Ma si deve tener conto,
qui, del linguaggio popolare degli Evangelisti, da cui non ci si può
aspettare un’esatta terminologia giuridica; dimostreremo, più avanti,
che la parole di Marco devono essere in realtà intese come una
perifrasi per designare la condanna.
Se, dunque, il dibattimento dinanzi a Pilato deve essere considerato
come un procedimento giudiziario a sé stante, indipendente dal
processo sinedriale, si impongono delle domande: il processo ebraico
ha, dunque, avuto un senso o un’importanza qualsiasi? Perché mai i
sinedriti avevano avviato e svolto un processo contro Gesù, se
sapevano in anticipo che una loro condanna a morte non aveva
praticamente nessun valore? Non sarebbe stato più semplice e,
considerando il prevedibile risentimento dei discepoli di Gesù, più
172 Blinzler, 1966, pag. 219; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 180. 173 Mc.15,15.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
90
intelligente, sbrigare il caso esclusivamente davanti al tribunale
romano?
La prima risposta è che, proprio in quei tempi d’indipendenza
limitata, agli Ebrei stava molto a cuore di poter applicare il loro diritto
per quanto possibile, anche quando ciò avesse solo un significato
teorico, ed un giudizio di morte espresso da un tribunale ebraico non
era del tutto privo di valore pratico: esso costituiva già un mezzo di
esercitare una pressione morale sul giudice romano; ed,
effettivamente, gli Ebrei se ne servirono allorché, più tardi,
rinfacciarono a Pilato: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge
deve morire”174. In tal modo, i sinedriti potevano, per così dire,
giustificare agli occhi della loro propria coscienza, la spietatezza con
la quale sostenevano, dinanzi a Pilato, l’accusa contro Gesù,
coll’affermare che costui era, in ogni modo, un criminale, degno di
morte. Non ultimo motivo, la condanna a morte, fondata
esclusivamente sulla legge popolare locale, era un ottimo mezzo per
influire, contro Gesù, sull’opinione pubblica: il sorprendente
atteggiamento avverso che il popolo manifestò più tardi nei confronti
di Gesù, durante il processo dinanzi alla corte romana, ha
evidentemente la sua origine principale nel fatto che l’accusato,
condannato legalmente dal tribunale indigeno, non era più considerato
degno di alcun riguardo. Si vede, ancor più chiaramente, quanto fosse
importante l’influsso esercitato sulla pubblica opinione, da una
sentenza sinedriale, in quanto le grida della folla al processo romano
174 Io.19,7.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
91
sono da ritenersi acclamazioni, di cui il giudice doveva tener conto,
per quanto possibile.
La coesistenza di un processo romano e di uno ebraico, non deve
essere tacciata alla leggera di nonsenso giuridico, come hanno fatto,
per esempio, il Rosadi175 e l’Husband176. Certo, secondo il diritto
romano, nessuno poteva essere processato due volte per lo stesso
reato, ma questo principio giuridico, in sé buono, mira evidentemente
al caso normale di due istanze giuridiche entrambe romane, non
limitate nella loro competenza. Inoltre, nel caso di Gesù, il secondo
processo aveva per oggetto un reato diverso da quello del primo.
Quanto al problema del perché mai gli Ebrei abbiano intentato un
loro proprio processo a Gesù, si deve anche considerare che,
evidentemente, essi, in principio, non vedevano ben chiaro su quali
fondamenti giuridici avrebbero costruito la sentenza di morte in
itinere177. Essi tentarono, dapprima, di confonderlo per mezzo di
testimoni, alcuni dei quali riferirono le sue espressioni sul Tempio. Se
si fosse potuto provare che Egli avesse veramente minacciato un
attentato al Tempio, allora i sinedriti avrebbero potuto sperare che il
procuratore avallasse e facesse eseguire senz’altro la sentenza ebraica
basata su tale accusa, poiché, in tal caso, Gesù sarebbe stato punibile,
anche secondo la legge romana, per violazione della prescrizione sulla
protezione degli edifici cultuali. Al contrario, non si poteva prevedere
con certezza che il dibattimento dinanzi al Sinedrio avrebbe posto in
175 Rosadi, 1926, pp. 56-63. 176 Husband, 1916, pp. 79-90. 177 Blinzler, 1966, pag. 221.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
92
luce proprio una bestemmia, priva di interesse per il giudice romano,
di modo che un nuovo processo sarebbe stato necessario. Ora, gli
Ebrei hanno fatto di necessità virtù e con grande abilità hanno
trasformato i pretesi motivi religiosi, posti a base del loro processo, in
reato politico, al quale il tribunale romano non poteva restare
indifferente178. Questa trasformazione dell’accusa faceva parte,
probabilmente, della decisione di deferire Gesù a Pilato, cui Marco
allude in 15,1.
IV.3. Il processo dinanzi al governatore romano:
regole procedurali.
Mentre il Sinedrio rappresentava un collegio di giudici, il
governatore romano era un giudice unico. Gli assistenti (assessores)
ed accompagnatori (comites), che per regola gli si affiancavano, non
avevano alcuna potestà giuridica e fungevano solo da consiglieri. Il
dibattimento, che per principio era pubblico, veniva introdotto, in
parte dall’accusa, presentata da un privato - danneggiato o comunque
interessato - in parte dall’inchiesta della magistratura. L’adduzione
delle prove non era legata ad un momento formale; valeva, piuttosto,
il principio della libera valutazione delle prove. Come tali, si
consideravano particolarmente le dichiarazioni dell’imputato e quelle
dei testi. Il dibattito si iniziava con l’appello delle parti: dapprima
178 Blinzler, 1966, pp. 220-221; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 180.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
93
l’accusante presentava la propria accusa; poi l’accusato, la propria
difesa. Nel processo civile, in cui mancava la deposizione delle parti,
l’accusato veniva interrogato dalla magistratura. Quando la collezione
delle prove era terminata, un araldo ne dava l’annuncio179. Dopo aver
deliberato con i suoi assistenti, il giudice “dall’alto del tribunale”,
emanava la sua sentenza, che doveva essere immediatamente eseguita.
I procuratori della provincia di Giudea, risiedevano in Cesarea
Marittima180. Quando in circostanze speciali, soprattutto nelle
solennità ebraiche, si recavano a Gerusalemme, essi scendevano al
palazzo d’Erode che si trovava nell’angolo nord-occidentale della
città. Del procuratore Gessio Floro, si sa con certezza che egli vi abitò
e rese giustizia sulla piazza pubblica, dinanzi all’edificio181. Gli
Evangeli chiamano il luogo del dibattito romano contro Gesù, “il
pretorio”, ciò che in queste circostanze può significare soltanto “la
residenza ufficiale del governatore”.
La discussa questione circa il luogo in cui si deve cercare il
pretorio di Pilato, cioè se esso sia da identificare con la fortezza
Antonia, posta a nord-ovest del Tempio o con il palazzo di Erode,
deve essere risolta in favore della seconda ipotesi. Il palazzo era stato
costruito da Erode il Grande e decorato lussuosamente. Giuseppe
Flavio, che vide l’edificio e fu testimone anche della fine di quelle
magnificenze in cenere e rovine, ne dà una particolareggiata
179 Blinzler, 1966, pag. 223. 180 Ios. Flav., Ant 18,3,1; Bell.,2,9,2. 181 Ios. Flav., Bell.2,14,8.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
94
descrizione in Bell.2,14,8. Dunque, questo palazzo fu il teatro degli
avvenimenti drammatici che condussero alla condanna finale di Gesù.
Se Pilato si trovava a Gerusalemme proprio per la Pasqua, ciò era
dovuto, innanzitutto, allo scopo di impedire o reprimere disordini o
eccessi tra le masse popolari, che in quei giorni confluivano da ogni
parte. Che Cumano ed i procuratori che lo precedettero fossero, a
questo scopo, presenti alle feste pasquali in Gerusalemme, ci viene
attestato da Giuseppe Flavio in Ant.20,5,3.
I Romani solevano iniziare i procedimenti giudiziari subito dopo il
sorgere del sole, come attestato da Seneca in De ira 2,7,3: “Haec tot
milia ad forum prima luce properantia quam turpes lites, quanto
turpiores advocatos habent!”. Questo poteva essere, per i membri del
Sinedrio, una ragione in più per protrarre il loro processo ebraico
ancora nella notte, rilevandosi, in tal modo, un ulteriore argomento da
contrapporre alla tesi della Jaubert, sulla cronologia dei tre giorni182.
Allorché, presumibilmente verso le sei del mattino, la loro seduta
fu terminata, essi fecero legare di nuovo Gesù183, poiché doveva venir
condotto per la città. Essi, che finora avevano fatto da giudici,
contavano di comparire davanti al governatore in veste di accusatori,
in parte, certo, anche di testimoni: perciò condussero essi stessi il
prigioniero alla dimora ufficiale del procuratore.
Così si giunse all’incontro tra Gesù e Pilato; incontro di importanza
storica mondiale. A differenza degli altri procuratori di Giudea, dei
quali spesso non sappiamo nulla più del loro nome, su Pilato siamo
182 Cfr. Fabbrini, 1999, pag. 166. 183 Mc.15,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
95
minuziosamente informati. Nell’anno 40 d.C., il re Erode Agrippa I
descrive in una lettera al suo imperiale amico e protettore Caligola, la
persona e l’opera di Pilato con tali parole: “Egli era di carattere
inflessibile e spietatamente duro. Al suo tempo in Giudea,
dominavano corruzione, violenza, ruberie, oppressione, umiliazione,
continue esecuzioni senza processo e sconfinata, intollerabile
crudeltà”184.
Pilato, che arrivò in Giudea nell’anno 26 come quinto procuratore
romano e che resse questo incarico per 10 anni, mostrò il pugno agli
Ebrei sin dall’arrivo. Sino a quel momento, le truppe romane avevano
evitato, per riguardo ai sentimenti religiosi degli Ebrei, di inalberare,
all’atto dell’entrata in Gerusalemme, bandiere od insegne con
l’immagine dell’imperatore. Ciò dovette sembrare una debolezza fuori
posto al nuovo funzionario, il quale fece entrare le truppe di notte con
tutte le insegne spiegate. Allorché gli abitanti di Gerusalemme e dei
dintorni, il giorno dopo videro lo spiacevole imbroglio, si posero in
grande agitazione: in vere e proprie schiere affluirono a Cesarea, dove
il romano risiedeva e lo supplicarono di togliere quei simboli dalla
città santa e di rispettare il diritto dei loro Padri. Cinque giorni e
cinque notti rimasero dinanzi al palazzo del procuratore, ma Pilato
dichiarò che li avrebbe fatti massacrare se avessero persistito nelle
loro richieste, offensive per l’imperatore. Al sesto giorno, finalmente,
egli li avviò all’ippodromo, dove teneva in segreto un reparto di
truppa sempre pronto. Quando gli Ebrei, quivi giunti, continuarono ad
184 Philo, Leg. Ad Caium 38.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
96
assalirlo con le loro suppliche, egli fece cenno ai soldati, i quali
circondarono a spade sguainate la folla; ma l’effetto fu tutt’altro
rispetto a quello che il novellino si aspettava: come seguendo una
parola d’ordine, gli Ebrei si prostrarono col viso a terra, denudarono il
collo e gridarono che preferivano essere ammazzati, piuttosto che
sopportare quella trasgressione della loro legge. Così, a Pilato non
rimase altro che cedere ed ordinare che le insegne di guerra fossero
tolte dalla città185.
Più tardi, in circostanze analoghe, egli suscitò di nuovo una
ribellione del popolo contro di lui: meno per onorare Tiberio, che per
affliggere il popolo, fece collocare nel palazzo di Erode, a
Gerusalemme, degli scudi votivi dorati che non portavano proprio
l’effigie, bensì il nome dell’imperatore. Seguirono rimostranze di
notabili ebrei, tra i quali anche quattro figli di Erode. Poiché il
procuratore rimase sordo, gli ebrei si rivolsero all’imperatore Tiberio,
il quale, dopo aver manifestato al suo testardo funzionario il proprio
malcontento, gli ordinò di togliere gli scudi da Gerusalemme e di
esporli nel tempio di Augusto a Cesarea 186. Il terzo scontro di cui ci
sono giunti i particolari, fu causato dal prelevamento di denaro dal
tesoro del Tempio, compiuto da Pilato per la costruzione di una
conduttura che portasse l’acqua a Gerusalemme. Qui, quando le
proteste si fecero più impetuose, i soldati, ad un segnale convenuto,
185 Ios. Flav., Bell.2,9,2 ; Ant.18,3,1. 186 Philo, Leg. ad Caium 38.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
97
estrassero i randelli di sotto alle tuniche e cominciarono a menarli
senza pietà sulla moltitudine, causando anche molte morti187.
Un altro fatto di sangue riferentesi a Pilato viene menzionato di
sfuggita nel Nuovo Testamento: secondo tale notizia, egli avrebbe
fatto massacrare un gruppo di Galilei nel vestibolo del Tempio,
durante il sacrificio188.
Infine, il suo brutale modo di procedere contro i Samaritani, costò
a Pilato il suo ufficio e la sua dignità: nel 36 d.C., uno pseudoprofeta
samaritano si impegnò a mostrare ai suoi adepti le sacre suppellettili
che Mosé avrebbe sepolto sul monte Garizim e perciò schiere di
Samaritani armati si riunirono ai piedi del monte. Pilato inviò subito
sul luogo un forte contingente di truppe e fece attaccare l’assemblea;
chi non fuggì, fu ucciso o fatto prigioniero ed i più ragguardevoli tra i
prigionieri, vennero, più tardi, giustiziati. I Samaritani, che non erano
per nulla ostili alla dominazione romana, si lagnarono con il legato di
Siria, Vitellio, il quale, poco dopo, chiamò il violento funzionario a
Roma, affinché si giustificasse ed affidò l’amministrazione di Giudea
ad un certo Marcello189.
Per quanto concerne l’origine di Pilato, sembra che egli
appartenesse probabilmente all’antica stirpe sannita dei Ponzii, che si
era gloriosamente distinta nelle guerre sannitiche contro Roma. Un
membro di tale famiglia, Ponzio Aquilio, aveva preso parte
all’uccisione di Cesare; altri Ponzii pervennero, sotto Tiberio, al
187 Ios. Flav., Ant.18,3,2. 188 Lc.,13,1. 189 Ios. Flav., Ant.18,4,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
98
consolato. Pilato apparteneva, dunque, per nascita alla classe dei
cavalieri. Contemporaneamente a lui, si trovava in Giudea, sua
moglie, il cui nome era Procura. Dapprima, non era permesso alle
mogli dei governatori di seguire i mariti nelle province, ma dopo
Augusto, questo divieto era caduto in disuso190.
Potrebbe sembrare strano che Tiberio avesse affidato il governo
della Giudea proprio ad un funzionario apertamente mal disposto
verso gli Ebrei. Probabilmente, dietro a questa nomina, c’era il nemico
degli Ebrei, Seiano, il quale, come onnipotente prefetto della guardia
dal 23 d.C., dirigeva la politica imperiale ed era responsabile anche di
altri provvedimenti antisemitici191.
L’orientamento antiebraico dell’imperatore finì con la caduta e
l’esecuzione di Seiano il 18 ottobre del 31. Anche per la
determinazione dell’anno di morte di Gesù, si è cercato di utilizzare la
data della caduta di Seiano. Allorché il destituito Pilato rientrò a
Roma, Tiberio era appena morto (morì, infatti, il 16 marzo del 37).
Le ulteriori vicende del giudice di Gesù restano oscure; sembra che
egli sia morto di morte non naturale (forse per suicidio, allo scopo di
sfuggire alla condanna che lo minacciava sotto Caio; o per mano del
carnefice; o, quanto meno, in terra d’esilio).
L’immagine di Pilato che ci viene dai racconti evangelici della
Passione, sembra essere in contrasto insanabile con quella che Filone
e Giuseppe Flavio ci danno del suo carattere e delle sue azioni. Se
Pilato fu veramente, come sostengono i menzionati autori, un mostro
190 Tacitus, Ann.3,33. 191 Philo, Leg. ad Caium 24.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
99
crudele e sanguinario, riesce difficile credere che egli abbia avuto
degli scrupoli a mandare al patibolo un provinciale insignificante
come Gesù; e se veramente egli era di una brutalità così inflessibile,
non si capisce bene come mai, alla fine, si sia lasciato intimidire e
indurre a pronunciare una condanna. In realtà, i due scrittori ebraici
danno di Pilato un ritratto del tutto unilaterale: se quel funzionario
fosse stato così corrotto, senza coscienza e crudele, come essi lo
descrivono, Tiberio non lo avrebbe lasciato a quel posto per dieci
anni. L’atteggiamento di Giuseppe Flavio e soprattutto di Filone nei
confronti di Pilato è senz’altro ostile: essi rievocano solo fatti ed
episodi tali da porre il procuratore in cattiva luce e gonfiano i suoi
misfatti veri o presunti.
Sarebbe tuttavia sbagliato voler intendere la narrazione evangelica
come se Pilato, nel suo tentativo di salvare Gesù, fosse guidato,
innanzitutto, da considerazioni di giustizia e di umanità. Il suo modo
d’agire era determinato, essenzialmente, proprio da quel suo
antisemitismo attestato anche da Filone e Giuseppe Flavio192. Dato che
disprezzava gli Ebrei e coglieva con piacere ogni occasione per far
loro sentire quel suo disprezzo, egli assumeva, a priori, un
atteggiamento d’opposizione ogni volta che si pretendeva di fargli
condannare e giustiziare senz’altro il prigioniero che gli veniva
rimesso. La sua resistenza e diffidenza dovettero rafforzarsi, allorché
constatò che l’accusato doveva esser messo a morte proprio per quel
delitto politico. I rappresentanti di quel popolo recalcitrante e ribelle
192 Blinzler, 1966, pag. 235; cfr. Fabbrini, 1999, pp. 190-191.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
100
volevano dargli a bere che agivano per puro lealismo verso Roma!
Pilato non aveva bisogno di molto acume per capire che la richiesta
dei Sinedriti doveva avere tutt’altri motivi: volevano liberarsi di un
individuo diventato fastidioso e lui, il funzionario romano, doveva
servire da strumento a questo scopo. Così la resistenza di Pilato alla
pretesa giudaica diventa comprensibile. Certamente, egli si dovette
confermare in questo atteggiamento, allorché, nell’interrogatorio,
conobbe un po’ meglio Gesù e dovette constatare che non aveva
nemmeno lontanamente a che fare con un mestatore politico.
Se Pilato, infine, capitolò nonostante tutto, ciò non è affatto in
contrasto con la durezza e l’ostinazione dipinte da Filone e da
Giuseppe Flavio, perché già l’esito dell’episodio delle insegne militari
ci dice che egli era capacissimo di far macchina indietro non appena
una resistenza ulteriore si dimostrasse inutile e pericolosa. I tentativi
di contrapporre il ritratto di Pilato fatto da Filone193e da Giuseppe
Flavio194, a quello dei racconti evangelici e, con ciò, di invalidare
quest’ultimi, è, quindi, inammissibile195.
193 Philo, Leg. ad Caium 38. 194 Ios. Flav., Ant.18,4,1. 195 Blinzler, 1966, pag. 235.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
101
IV.4. “Deformazione” dell’accusa da parte dei sinedriti:
da bestemmia ad alto tradimento.
Giunti davanti al pretorio, i sinedriti fecero consegnare il
prigioniero al governatore dagli uscieri del tribunale. Essi stessi non
entrarono nell’interno dell’edificio, poiché con ciò si sarebbero attirati
un’impurità che li avrebbe resi inidonei alla consumazione
dell’agnello pasquale196; allorché Pilato, cui queste particolarità rituali
degli Ebrei erano certamente familiari, uscì per incontrarli.
Tra lui ed i capi ebraici si svolse un breve dialogo, che Giovanni
riporta come segue:
- Che accusa portate contro quest’uomo?
- Se costui non fosse un malfattore, non l’avremmo rimesso nelle tue mani.
- Pigliatelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge.
- Noi non possiamo dar morte ad alcuno197.
Il procuratore, dunque, domanda, secondo la regola, in che consiste
l’accusa contro Gesù. A ciò, gli Ebrei rispondono con asprezza
sorprendente. Perché la domanda li mette a disagio? All’inizio
dell’interrogatorio di Gesù, Pilato si mostra perfettamente al corrente
del nocciolo dell’accusa, benché l’Evangelista non dica che gli Ebrei
avessero informato a riguardo, il procuratore. Se ne deve concludere
che, all’atto della consegna di Gesù, quegli era già stato informato
oralmente o per iscritto di che cosa lo si imputava. L’accusa suonava:
Egli pretende essere il re degli Ebrei; perciò, la domanda di Pilato ai
196 Io. 18,28. 197 Io. 18,29-31; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 191.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
102
sinedriti ha un senso particolare: egli vuole indurli ad esprimersi più
chiaramente sull’imputazione; si aspetta, a quanto pare, che essi citino
un reato definito, di cui il cosiddetto pretendente al trono si sia reso
colpevole. Consegnando ai Romani Gesù come “re dei Giudei”, gli
accusatori avevano formulato un’accusa che non lasciava nulla a
desiderare quanto a chiarezza e che doveva essere colta a volo da
qualunque giudice romano. Che essi mirino all’esecuzione di Gesù,
non è da loro detto subito espressamente, per quanto lo lascino
intravedere col designare Gesù come “delinquente”.
Il procuratore pensa (o finge di pensare) che non si tratti di delitto
passibile di morte ed incita gli Ebrei, quindi, a giudicare l’accusato
secondo la loro propria legge: essi potevano benissimo giudicare
liberamente in processi non capitali. Se Pilato sospettava che essi
miravano alla morte di Gesù, le sue parole avevano, naturalmente, un
sottinteso ironico: egli doveva sapere altrettanto bene quanto loro che
gli Ebrei non possedevano più lo ius gladii. Così i sinedriti sono
costretti a scoprire le carte: essi vogliono giustiziare Gesù, ma non vi
sono autorizzati, avendo perduto la pienezza della giurisdizione
capitale. Ora, dacché sa che gli Ebrei vogliono la morte di Gesù,
Pilato acconsente ad entrare nel merito del caso e comincia ad
interrogare il prigioniero.
Secondo la concorde testimonianza dei quattro Evangelisti, la
prima domanda che Pilato rivolse a Gesù fu: “Sei tu il re dei
Giudei?”198. Questa domanda mostra che, già in anticipo, il
198 Mc.15,2; Mt. 27,11;Lc. 23,3; Io. 18,33.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
103
procuratore era stato messo a conoscenza di un’accusa da parte degli
Ebrei in questo senso; ciò deve essere accaduto, come si è detto, al
momento dell’introduzione di Gesù nel pretorio199.
Luca pone all’inizio del suo resoconto sul processo, la
presentazione dell’accusa da parte dei sinedriti e, con ciò, senza
dubbio riproduce fedelmente la realtà storica dei fatti, sia ch’egli
attinga qui ad una fonte particolare, sia che chiarisca semplicemente il
racconto, più specifico, di Marco; ed ha pure senz’altro ragione nel
dare a quest’accusa un contenuto puramente politico: un’imputazione
di questo genere viene presupposta anche dagli altri Evangelisti,
allorché essi prestano a Pilato, nella sua domanda sulla pretesa di
messianità, una formulazione politico-giuridica. L’espressione “re dei
Giudei” è la forma secolarizzata, trasferita sul piano profano-politico,
per Messia o per il titolo messianico di “re di Israele”, già per suo
conto rivestito di una tinta politica un po’ più marcata. Il motivo dei
sinedriti è chiaro come il sole: al delitto religioso della bestemmia il
procuratore non si sarebbe interessato, mentre non poteva restare
indifferente all’accusa che Gesù pretendesse di essere il re dei Giudei.
Considerando l’aspirazione del popolo ebraico alla libertà ad
all’indipendenza, aspirazione ben nota ai Romani, il procuratore
doveva vedere in tale rivendicazione, un tentativo di rovesciamento
del regime, dunque, di alto tradimento.
Non dovrebbe essere necessaria nessuna prova per dimostrare che
con questa deformazione dell’accusa i sinedriti hanno coscientemente
199 Blinzler, 1966, pag. 248.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
104
compiuto un falso grossolano: essi dovevano sapere che il titolo “re
dei Giudei”, specialmente nel concetto del funzionario romano,
significava qualcosa di essenzialmente diverso dalla qualifica di
Messia che Gesù aveva per sé professata. Proprio per tale motivo, essi
lo avevano bollato come bestemmiatore, perchè la sua messianità
sembrava carente di conferme provenienti da manifestazioni esteriori
di potenza, ed era, dunque, di natura interiore, apolitica, spirituale.
Essi avevano condannato Gesù nel loro processo perché non
corrispondeva alla loro idea messianica esteriore, colorita di
nazionalismo; ora lo volevano saper condannato dal tribunale pagano
per le rivendicazioni che Egli avrebbe sollevato proprio nel senso del
loro ideale nazionale di Messia200.
Comunque si voglia giudicare l’atteggiamento dei gerarchi, nella
prima fase puramente ebraica del processo, alla tattica che essi
spiegarono davanti al tribunale del procuratore, non si può, nemmeno
con la miglior volontà, accordare la scusante della buona fede
(dovendosi, così, necessariamente dissentire dall’opinione del Cohn, il
quale, da ebreo qual era, e per questo palesemente desideroso soltanto
di scagionare le autorità giudaiche dalla responsabilità primaria della
morte di Gesù, arriva a scrivere che la dirigenza ebraica avrebbe avuto
un interesse vitale solo ad una cosa: ad impedire la crocifissione di un
ebreo ad opera dei Romani, ed, in particolare, la crocifissione di un
ebreo che godeva dell’amore e dell’attaccamento del popolo! 201).
200 Blinzler, 1966, pag. 248. 201 Cohn, 1997, pag. 151.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
105
IV.5. Il primo interrogatorio dell’accusato da parte di
Pilato.
Gesù non poteva rispondere con un puro e semplice “sì” alla
domanda del procuratore, poiché nulla era più lontano da lui che la
rivendicazione di un regno terreno e secolare; non poteva, però,
nemmeno rispondere di “no”, poiché, grazie alla coscienza della
propria messianità, Egli si sapeva, in certo senso, veramente re dei
Giudei. Perciò, rispose affermativamente, ma con una riserva che
alludeva alla particolare sua concezione della regalità: “Tu lo dici”202.
Se in questa formula vi fosse stata un’affermazione decisa, illimitata,
Pilato avrebbe dichiarato chiusa l’inchiesta e pronunciato la
sentenza203. Al contrario, con quella risposta, Pilato doveva dare la
parola agli accusatori per potersi meglio orientare: i sommi sacerdoti
colsero l’occasione per inasprire le loro accuse.
Soltanto l’Evangelista Luca ci fornisce particolari al riguardo. I
sinedriti, sin dall’inizio, presentarono tre capi d’accusa: Gesù avrebbe
sollevato il popolo; avrebbe trattenuto il popolo dal pagare la tassa
imperiale; si sarebbe spacciato per il Messia-re. Allorché Pilato, dopo
l’interrogatorio di Gesù, restava ancora indeciso, essi ritornarono sul
primo punto d’accusa: “Egli poneva in rivolta il popolo con il suo
insegnamento, avendo incominciato dalla Galilea, sino a qui”204. Dei
tre punti, il secondo è una menzogna manifesta: dopo la prova della
202 Mc.15,2. 203 Blinzler, 1966, pp. 248-249. 204 Lc.23,5.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
106
pericope del denaro dell’imposta, Gesù si è allontanato chiaramente
dagli ambienti nazionalistici, che incitavano a rifiutare il tributo205.
Anche l’accusa di sobillazione del popolo è uno svisare i fatti, in
quanto il movimento religioso provocato da Gesù non rivestiva alcun
carattere politico206.
Dopo aver sentito i sommi sacerdoti, Pilato invitò l’imputato a
prendere posizione. Con sua meraviglia, costui rinunciò a pronunciarsi
sulle accuse.
E’ cosa certa che Pilato, dopo l’interrogatorio di Gesù e
l’esposizione d’accusa dei sinedriti, non credeva ad una colpa
dell’imputato207. La cosa ci colpisce! E’ pur vero che, per Marco, il
procuratore aveva riconosciuto che i sommi sacerdoti agivano per
invidia; si potrebbe anche pensare che l’antisemita Pilato volesse
mostrare ai capi ebraici quanto poco gli importasse della loro
testimonianza; tuttavia, il comportamento del procuratore resta
enigmatico. Gesù si era proclamato, se pure con una lieve restrizione,
Messia-re; aveva rifiutato di giustificarsi quanto alle altre accuse.
Stando così le cose, era difficile per Pilato poter contestare
ostentatamente la colpa dell’imputato.
Dal fatto che Gesù desse un senso circoscritto alla sua confessione,
Pilato non poteva ancora dedurre che Egli non pensasse ad un regno
politico. Se, tuttavia, il Romano alla fine esprime la convinzione che
l’imputato non è reo di alto tradimento, ciò significa che egli deve
205 Mc.12,13-17. 206 Io. 6,15. 207 Lc.23,4;Mc.15,5,9.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
107
aver appurato qualcosa della natura particolare delle rivendicazioni
regali di Gesù. Infatti, secondo il brano giovanneo208, Gesù, nel corso
di un dialogo col proprio giudice all’interno del pretorio, gli avrebbe
spiegato la natura spirituale-religiosa della sua regalità (dialogo che
ritengo importante riportare testualmente, al fine di una maggior
comprensione dei termini, pressoché vaghi, dell’accusa romana - se di
accusa romana si possa già parlare - e di quelli della difesa). Alla
domanda se Egli fosse il re dei Giudei, Gesù rispose: “Tu lo dici da te
o altri te l’ha detto di me?”. Ribattè Pilato: “Sono forse Giudeo? La
tua gente ed i gran sacerdoti ti consegnarono a me. Che hai fatto?” Ed
ora Gesù spiega la sua rivendicazione di regalità, sotto forma
negativa: “Il regno mio non è di questo mondo. Se il mio regno fosse
di questo mondo, certo i miei ministri avrebbero combattuto perché
non fossi dato in potere de’ Giudei; ma il mio regno non è di
quaggiù”.
Pilato riconosce giustamente che Gesù, indirettamente, risponde in
modo affermativo alla sua domanda: “Dunque tu sei un re?”Gesù
risponde con un “sì” esplicito e spiega la sua idea di regalità, dal lato
positivo: “Tu lo dici, Io sono re. Io per questo sono nato e per questo
son venuto nel mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chi è dalla
verità, ascolta la mia voce”. La sua pretesa alla sovranità come re si
perfeziona nel fatto che Egli annuncia la rivelazione divina e conduce
alla vittoria la causa di Dio.
208 Io. 18,33-38; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 191.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
108
A questo punto, Pilato interrompe il colloquio con lo scettico
interrogativo: “Che cosa é verità?”. Ma, se anche non può capire
l’idea di un regno della verità, pure il procuratore è convinto che
quest’uomo non è un delinquente politico. Egli lo ritiene un sognatore
innocuo ed, in fondo, degno di compassione209. Dunque, dichiara ciò,
subito dopo, agli Ebrei: “Io per me non trovo in Lui colpa alcuna”210.
209 Blinzler, 1966, pag. 251-252. 210 Io.18,38; Lc.23,4.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
109
Capitolo V
L’invio al tetrarca di Galilea e Perea.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
110
V.1. La “colpa”di Pilato.
Dopo essersi convinto dell’innocenza dell’accusato, Pilato avrebbe
dovuto immediatamente rilasciarlo; non lo fece, e da ciò si origina la
sua colpa. Egli cercò, è vero, di liberare Gesù, ma sempre solo per vie
traverse211. Evidentemente, considerata la caparbietà mostrata dai
sinedriti, egli riteneva arrischiato prenderli di petto con un reciso
rigetto della loro denuncia. Sapeva, per esperienza, quanto spiacevole
potesse divenire, anche per uomo del suo rango, il fanatismo ebraico;
probabilmente era anche chiaramente cosciente del fatto che la sua
posizione, dopo le irregolarità già commesse, non era delle più solide.
Comunque, gli mancavano le qualità essenziali di buon giudice:
fedeltà alle proprie convinzioni, fermezza, inflessibilità.
In tutto, egli fece tre tentativi più o meno decisi per strappare Gesù
agli accusatori. Al primo tentativo fu indotto dalla dichiarazione degli
Ebrei che Gesù portava il popolo alla rivolta col suo insegnamento,
incominciato in Galilea e continuato sino ad allora. Alla parola
Galilea, Pilato s’informa se Gesù sia di lassù.
Potrebbe a questo punto esservi una contraddizione con Lc.2,1,
secondo cui Gesù nacque a Betlemme, ma Pilato s’informa del
domicilium, non dell’origo212
. Sentendo che così è, e che Gesù è
suddito del tetrarca Erode Antipa, che in occasione della Pasqua
211 Blinzler, 1966, pag. 253. 212 Blinzler, 1966, pag. 254 nt. 3.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
111
proprio in quel momento si trova a Gerusalemme, decide di deferire
l’accusato a quest’ultimo213.
Di un viaggio a Gerusalemme in occasione di una festa ebraica,
parla anche Giuseppe Flavio214. Che i motivi per cui il Tetrarca si
recava a Gerusalemme per la Pasqua dell’anno 30 fossero puramente
religiosi, è difficilmente credibile.
E’ assai più probabile un motivo politico: poiché nell’ultima festa
pasquale (29 d.C.) militari romani avevano attaccato pellegrini
galilei215, il sovrano galileo, questa volta, poteva avere ritenuta
indispensabile la sua presenza personale a Gerusalemme.
Pilato non era obbligato a compiere questo deferimento, ma vi si
decise spontaneamente, certo nella speranza di liberarsi di quello
scomodo caso giudiziario. Comunque, ne aveva il potere, poiché la
competenza di Antipa, principe di clientela romana, rivestito di alta
autorità giudiziaria, concorreva con la sua, quanto ad istanza personale
ed, almeno in parte, anche in quanto forum delicti commissi216
. Inoltre,
sembra che egli si ripromettesse da quest’atto di cortesia diplomatica,
un buon effetto sui suoi rapporti con Antipa, allora piuttosto tesi;
difatti, l’accaduto ebbe come risultato, almeno, di rendere amici da
quel giorno i due potentati217.
213 Lc.23,6-12. 214 Ios. Flav., Ant. 18,5,3. 215 Lc.13,1. 216 Mommsen, 1899. 217 Blinzler, 1966, pag. 255; cfr. Miglietta, 1999, pag. 143.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
112
V.2. La possibile ratio del deferimento ad Erode.
Che cosa si attendeva Pilato da Erode: un’assunzione diretta del
processo oppure solo un parere? Le opinioni sono discordi. Che Pilato
si aspettasse solo un parere da parte del tetrarca territoriale di Gesù,
potrebbe essere provato dal fatto che Erode difficilmente aveva il
diritto di esercitare la giustizia in una città non appartenente al suo
territorio. Se per principio era vietato ai governatori di esercitare
qualsiasi funzione di tipo ufficiale fuori dai confini della loro
provincia, secondo il giureconsulto Paolo (D. 1,18,3): “Praeses
provinciae in suae provinciae homines tantum imperium habet, et hoc
dum in provincia est: nam si excesserit, privatus est ”, si deve pensare
che anche al tetrarca di Galilea, non fosse permesso di esercitare la
giustizia nell’ambito della provincia di Giudea. Ma, si potrebbe anche
pensare che eccezioni a questa regola fossero tollerate e che il sovrano
di Galilea potesse giudicare nel suo palazzo di Gerusalemme gente del
suo territorio, se il procuratore di Giudea gliene dava espressamente
procura. Soprattutto, però, si può ammettere che Pilato contasse che
Erode volesse giudicare l’accusato dopo il suo ritorno, nella propria
provincia. Comunque, sulla base dei Vangeli, sembra più sostenibile
l’opinione che Pilato non volesse semplicemente un parere, ma
sperasse in una liquidazione della faccenda da parte di Erode218.
Il procuratore voleva, come si è già detto, liberarsi di quel
fastidioso processo; quindi, un parere, quale che fosse, gli serviva solo
218 Blinzler, 1966, pag. 255 e nt. 7.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
113
a metà. Appare decisiva, a questo proposito, una dichiarazione di
Pilato alla fine dell’episodio: allorché più tardi Gesù gli fu ricondotto,
egli dichiarò che Erode non aveva trovato in Lui alcuna colpa, visto
che glielo aveva rimandato indietro219. Dunque, dal rinvio di Gesù da
parte di Erode, Pilato desume che questi lo considera innocente; ma
Pilato non potrebbe ragionare così, se al tetrarca avesse richiesto solo
un parere, poiché, in questo caso, Gesù avrebbe dovuto essergli
comunque rimandato. Le parole del procuratore significano, dunque,
che se Erode avesse ritenuto l’accusato colpevole, non l’avrebbe
rimandato indietro, ma trattenuto per fargli - allora o più tardi - il
processo.
Se Pilato sperava che Erode facesse uso del suo potere
giurisdizionale ed avocasse a sé il processo di Gesù, ci si deve
chiedere, ulteriormente, quale sentenza il romano avrebbe potuto
aspettarsi da Erode. Sembra che egli contasse su di un’assoluzione:
egli stesso non era convinto dalle accuse ed era prevedibile che ad
Erode non si presentassero argomenti molto più solidi. Al contrario,
una difficoltà non irrilevante è in contrasto con l’ipotesi che Pilato
contasse su una condanna da parte di Erode: sarebbe stato
assolutamente sciocco, da parte del Romano, passare ad altri un
processo riguardante un preteso ribelle contro il proprio imperatore,
per di più, prevedendo, da parte del nuovo giudice (mal disposto
contro di lui), l’emissione di una sentenza di colpevolezza!
219 Lc.23,15.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
114
Miglietta220 ritiene che si sia trattato di una richiesta, da parte di
Pilato, di un parere sui fatti: Pilato intese, come giudice, venire a
conoscenza degli elementi caratterizzanti la condotta di Gesù, in
quanto l’accusa era di “sollevare il popolo, cominciando dalla
Galilea”, territorio rientrante nella iurisdictio di Erode; ed inoltre,
come politico, riconciliarsi con il proprio vicino. Egli non condivide
l’opinione secondo cui Pilato abbia voluto scaricare definitivamente la
risoluzione del caso al tetrarca di Galilea, poiché se si fosse trattato
della richiesta di un parere “definitivo”, Pilato non avrebbe poi potuto
procedere alla condanna di Gesù, ma avrebbe dovuto assolverlo, dal
momento che Erode non aveva trovato alcuna colpa a suo carico; in
fin dei conti, niente impediva a Pilato di inserire incidentalmente nel
corso del processo, la richiesta di un consulto ad Erode, circa il
fondamento delle imputazioni in capo all’accusato, giacché esistevano
certo le norme procedurali, ma l’organo di applicazione e quello di
controllo spesso coincidevano. Questo potrebbe essere il caso, in
esame, di Luc.23,6-12., senza dover in esso necessariamente scorgere
un “concorso di competenze” tra il foro della prefettura e quello della
tetrarchia; ipotesi quest’ultima che risponderebbe ad eccessiva rigidità
dogmatica. Dunque, nell’invio ad Erode, può benissimo vedersi un
“atto di cortesia” tra poteri, motivato dal tentativo di recuperare
un’amicizia221.
Dunque, dal palazzo di Erode Gesù fu condotto da un drappello di
guardie, cui si unirono anche membri del Sinedrio, al palazzo degli
220 Miglietta, 1999, pag. 124. 221 Miglietta, 1999, pp. 144-145.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
115
Asmonei, situato poco lontano, dove era solito abitare Erode Antipa
quando si tratteneva a Gerusalemme. Contro Gesù, la cui attività,
almeno agli inizi, si svolgeva nella regione del lago di Genesaret,
dunque, in territorio prevalentemente Galileo, Antipa non pervenne
mai seriamente.
Ora, per la prima ed ultima volta, sovrano e suddito s’incontrano
faccia a faccia: quello, uomo di mondo, alla soglia della vecchiaia,
indifferente dal punto di vista religioso, almeno da quando era stato
educato nella capitale del mondo pagano, amante degli edifici
sontuosi, dei banchetti opulenti e di ogni altra specie di godimento;
diplomatico astuto, tale però da essere lasciato in secca da tutta la sua
astuzia, quando lo sopraffacesse una passione sensuale. Quell’altro,
figlio di un artigiano della piccola Nazareth, giovane e serio,
apparentemente incolto ed inesperto del mondo, un suddito come tanti
altri, indegno di qualsiasi particolare attenzione se non si
raccontassero strane cose sui suoi fatti e detti. Ed ecco proprio la
caratteristica di questo principe frivolo: egli s’interessa dapprima solo
di quel fenomeno d’uomo che ha dinanzi e sembra dimenticarsi
totalmente della ragione per cui Gesù gli è stato condotto. Con un
profluvio di parole, egli lo incalza per sapere qualcosa di più sulle sue
forze misteriose e per essere, se possibile, egli stesso testimone di un
miracolo. Egli metteva Gesù sullo stesso piano dei saltimbanchi e
giocolieri, che, allora, usavano rallegrare il pubblico di corte.
Non ci si deve, dunque, immaginare questo principe come un
sinistro inquisitore, ma, piuttosto, come un individuo capriccioso,
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
116
vanaglorioso, leggero. Comunque, la sua fiumana di parole trovò
orecchie sorde: egli aveva certamente creduto che l’individuo
implicato in un processo così preoccupante, sarebbe stato subito
condiscendente, al fine di guadagnare il suo favore. Gesù rimase
freddo e muto; il suo silenzio è, anche qui, il silenzio grandioso,
sublime del servo di Dio che soffre tacitamente222.
Solo a questo punto, il tetrarca si rammentò dell’affare giudiziario
da sbrigare. Si offerse la possibilità ai sommi sacerdoti e scribi
presenti, di esporre le loro accuse; ciò che essi fecero
abbondantemente e senza alcun dubbio nel senso che ci è già noto dal
processo dinanzi al governatore. Ma su Antipa, per maldisposto che
fosse, tutto ciò non fece alcun effetto. Soltanto un capo d’accusa, egli
trovò degno d’attenzione: la pretesa di Gesù alla dignità regale223. Ciò
di cui il cupo sospettoso Erode il Grande non fu capace, riuscì al
figlio, più agilmente vivace e dotato di una vena di ironia:
quest’ultimo si divertì di quella pretesa; allorché, l’Evangelista dice
che Erode, con i suoi soldati, abbandonò Gesù al disprezzo ed allo
scherno.
La scena termina con una parodia della pretesa alla regalità di
Gesù: Erode fece rivestire Gesù di una veste pomposa e lo rinviò
conciato da re di burla a Pilato. Rinviando l’imputato, egli faceva
intendere che rifiutava di occuparsi dell’affare; mascherandolo, che
riteneva l’uomo più ridicolo, che pericoloso!
222 Is. 53,7. 223 Blinzler, 1966, pag. 258.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
117
V.3. Il dibattito circa la storicità del racconto di Luca
sulla pericope di Erode: il richiamo al diritto romano.
Poiché l’episodio di Erode viene menzionato solo dall’Evangelista
Luca, alcuni studiosi, quali Miglietta224, si sono chiesti se si tratti di un
episodio effettivamente accaduto, quindi, di un episodio storico
oppure se si tratti di un inserimento tematico, operato da Luca. A ben
vedere, la tesi della storicità dell’invio di Gesù al tetrarca di Galilea,
disposto da Pilato, parrebbe trovare un fondamento nell’ambito del
diritto criminale romano: fondamentale a tale proposito, è un responso
del giurista Celso, operante nel secondo secolo d.C., il quale, in lib.37
dig., D.48,3,11 (= Pal.*264), afferma:
“Non est dubium, quin, cuiuscumque est provinciae homo, qui ex custodia
producitur, conoscere debeat is, qui ei provinciae praeest, in qua [ provincia]
agitur. Illud a quibusdam observari solet, ut, cum cognovit et constituit, remittat
illum cum elogio ad eum, qui provinciae praeest, unde is homo est: quod [ex
causa] faciendum est ”.
Il testo inizia affermando la regola certa (“non est dubium, quin…”),
secondo cui è tenuto a giudicare di un crimen (“cognoscere debeat”),
a prescindere dalla residenza dell’imputato (“cuiuscumque est
provinciae homo”), il magistrato la cui competenza (“is, qui ei
provinciae praeest”) è data dal luogo nel quale il soggetto è stato
catturato (“homo, qui ex custodia producitur”) ed in cui si svolge il
complesso degli atti di repressione criminale (“in qua provincia
224 Miglietta, 1999, pp. 115-121.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
118
agitur”).“L’agitur” di Celso, va correttamente interpretato nel senso
di “si agisce”; “si procede processualmente alla repressione”.
Nel frammento di Celso, alla regola di diritto segue la descrizione
dell’eccezione, menzionandosi l’usanza di taluni magistrati (“a
quibusdam observari solet = taluno è solito osservare”), dopo aver
proceduto all’interrogatorio dell’imputato (“cum cognovit = quando
ha preso cognizione”) ed aver emesso la sentenza (“…et constituit = e
quando ha deciso”), di disporre il deferimento dell’accusato, al
magistrato del luogo di provenienza di quest’ultimo (“ad eum, qui,
provinciae praeest, unde is homo est = a colui che è preposto alla
provincia da cui viene l’uomo”), provvedendo ad allegare una
relazione degli atti processuali (“remittere cum elogio”). La
remissione, probabilmente, avveniva per la pena oppure per l’esigenza
di celebrare un nuovo processo per altri crimini commessi nel
territorio d’origine o per l’esecuzione di disposizioni patrimoniali.
Ciò nonostante, Miglietta225 ritiene comunque azzardato
individuare nell’invio di Gesù ad Erode, un equivalente della
“remissio” di cui parla Celso: gli elementi caratterizzanti la
“remissio”, ossia i requisiti tecnico-giuridici richiesti dal responso
celsino, mancano del tutto nel racconto di Luca. Egli afferma che,
innanzitutto, il passo di Celso richiede un’attività connessa al
“cognoscere et constituere” da parte del magistrato, per poter attuare
la remissione. Nel racconto di Luca, invece, il prefetto Pilato dispone
il rinvio di Gesù, non appena udito che questi appartiene alla
225 Miglietta, 1999, pp. 122-123.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
119
“potestas” di Erode e, quand’anche si fosse iniziata la “cognitio”,
dal Vangelo appare fuori di dubbio che non vi è stata ancora alcun
“constituere” da parte del magistrato romano: la sentenza sarà
emessa dopo il ritorno di Gesù dal palazzo di Erode e dopo il
tentativo di scambio con Barabba; in secondo luogo, Luca non fa
alcuna menzione di un “elogium” (relazione del processo), da parte
di Pilato; in terzo luogo, Luca afferma che Erode era presente
anch’egli a Gerusalemme, che era un luogo appartenente alla
“potestas” di Pilato, per cui, in tale città, il tetrarca non avrebbe
potuto esercitare alcuna forma di giurisdizione, né, tanto meno, di
giudizio e di condanna.
Sembrerebbe, allora, che Luca, affermando che Pilato inviò Gesù
ad Erode “perché anche quest’ultimo si trovava in quei giorni a
Gerusalemme”, abbia voluto dire, tra le righe, che il rinvio non ci
sarebbe stato se Erode fosse stato lontano, ossia nella terra di sua
competenza; inoltre, Erode rimanda a sua volta Gesù da Pilato, e ciò
non pare essere previsto nel responso di Celso; ancora, Miglietta
rileva che se la ratio dell’invio fosse stata da rinvenire
nell’applicazione dell’istituto celsino della “remissio”, Pilato
avrebbe dovuto attenersi alle conclusioni del tetrarca, il quale, non
riscontrando in Gesù alcuna colpa, lo rimandò nuovamente al
prefetto della Giudea e, quindi, astenersi dal pronunciare una
sentenza di condanna. Invece Pilato, che pur condivideva con Erode
la convinzione circa l’innocenza di Gesù, condannò quest’ultimo a
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
120
morte; infine, sempre secondo il Miglietta226, il diritto criminale
romano vigente prima di Celso, riconosceva la competenza
giudiziaria del governatore del luogo in cui era stato commesso il
crimine e non del luogo d’origine del reo, rifacendosi egli ad un
passo del giurista Ulpiano227, contenuto nel Digesto, in cui si riporta
un rescritto dell’imperatore Antonino Pio, che recita in tal modo:
“Idem imperator rescripsit servos ibi puniendos, ubi deliquisse
arguantur, dominumque eorum, si velit eos defendere, non posse
revocare in provinciam suam, sedi ibi oportere defendere, ubi
deliquerint”.
In esso è stabilito che gli schiavi debbano esser processati nel luogo in
cui siano stati accusati di aver commesso il crimine e che se il loro
padrone, che risiede in un’altra provincia, intenda accollarsi l’onere
della loro difesa, non potrà ottenere l’invio del colpevole nella
provincia della propria residenza, ma dovrà difenderli recandosi nel
luogo ove si svolge il processo, cioè ove essi hanno commesso il
crimine.
Dunque, per Miglietta i dubbi circa l’autenticità o meno del
racconto di Luca permangono, a differenza di Blinzler228, il quale
ritiene che il patrimonio personale di notizie del terzo Evangelista
presenta una serie di brani, la cui attendibilità storica è assolutamente
fuori discussione.
In conclusione, vorremmo affermare che invano si cercano
tendenze apologetiche od antigiudaiche nella pericope di Erode: il
226 Miglietta, 1999, pag. 126. 227 Ulpianus, lib.7 de off.proc.,D.48,2,7,4 (=Pal.2186). 228 Blinzler, 1966, pp. 260-261.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
121
sostenere che con essa, Luca intendesse far ricadere la colpa di Pilato
su Erode, vale a dire sulla parte ebraica, è un grossolano travisamento
dello stato reale dei fatti. Quanti ritengono inverosimile che
l’Evangelista potesse aver avuto notizia di quanto era accaduto nel
palazzo gerosolimitano del tetrarca, devono tener presente che, tra i
primi cristiani, v’era più di una persona vicina alla corte del sovrano
di Galilea: tra le discepole di Galilea, vi era una Giovanna, il cui
marito, un certo Huza, era un impiegato di Antipa229; nella comunità
cristiana d’Antiochia - ben nota a Luca, poiché è probabile ch’egli
fosse di questa città - un amico di gioventù del tetrarca Erode, di nome
Manaen, ebbe un certo rilievo230.
Ancora, se si considera che l’Evangelista ha dedicato la sua opera
ad un’alta personalità, dunque particolarmente interessata alle
faccende di corte, si comprende perché, a differenza degli altri
Evangelisti, egli abbia introdotto nel suo racconto della Passione,
l’episodio di Erode, benché questo non abbia alcun significato, in
ordine al risultato finale del processo. Infine, lo stesso Luca dichiara
all’inizio del suo Vangelo, di voler attuare un’indagine accurata e
scientifica su ogni avvenimento, in modo da fornire, sin dall’inizio,
una conoscenza esatta degli eventi. Sarebbe, dunque, alquanto strano
che l’autore del Vangelo, dopo aver dichiarato il suo intendimento di
esporre la verità dei fatti, abbia, poi, inventato di sana pianta
229 Lc.8,3. 230 Act.13,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
122
l’episodio dell’invio di Gesù ad Erode, col rischio di essere
eventualmente poi smentito da qualche testimone oculare231.
231 Blinzler, 1966, pag. 260.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
123
Capitolo VI
Il rinvio a Pilato ed il privilegium paschale.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
124
VI.1. Il privilegium paschale: origine ed aspetto giuridico.
Ricondottogli Gesù e ripreso il dibattimento, Pilato era ancor meno
disposto di prima a credere nella colpa dell’imputato ed a cedere alle
insistenze degli accusatori ebrei232, ma, anziché decidere risolutamente
per la liberazione, egli cercò di nuovo di raggiungere il suo scopo per
vie traverse233.
Secondo gli Evangelisti, gli Ebrei avevano il diritto di chiedere, in
occasione della Pasqua, la liberazione di un prigioniero234. L’origine e
l’aspetto giuridico di quest’amnistia vengono spiegate variamente: per
il Mommsen e l’Husband, si doveva trattare soltanto del diritto
spettante al giudice penale, nei processi dinanzi al magistrato, di
lasciar cadere il procedimento235.
Dal fatto che i giuristi romani del terzo secolo cristiano, parlano
solo di un diritto di grazia dell’imperatore236e del senato, ma tacciono
di un simile diritto del governatore, potrebbe dedursi che il diritto
d’amnistia del procuratore doveva basarsi su una speciale facoltà
trasferitagli dall’imperatore. Ma si potrebbe, al contrario, anche
pensare che la situazione giuridica del III secolo rappresenti il risultato
di un processo di sviluppo collegato con l’espandersi della potenza
imperiale e che, al tempo di Gesù, il governatore di Giudea possedesse
ancora il pieno potere di decisione nei confronti dei sudditi provinciali
232 Lc.23,13-15. 233 Blinzler, 1966, pp. 273-275. 234 Mc.15,6;Io. 18,39. 235 Mommsen, 1899, pag. 453; Husband, 1916, pag. 270; 236 D. 48,19,31 : “Ad bestias damnatos favore populi praeses dimittere non debet: sed si eius
roboris vel artificii sint, ut digne populo Romano exhiberi possint, principem consulere debet”.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
125
passibili di pena capitale, così da poterli, a suo giudizio, far giustiziare
o liberare.
Assai spesso, d’altronde, la storicità di questo costume riferito
dagli Evangelisti, venne messa in discussione, soprattutto
richiamandosi al fatto che Giuseppe Flavio non riferisce nulla di un
uso del genere (come più volte già riferito). L’esegesi conservatrice
cercò, però - basandosi su certi paralleli giuridici - di dimostrare
almeno la possibilità di quell’uso: anzitutto, ricordò il costume
romano di togliere ai prigionieri le catene e di metterli in libertà, in
occasione della festa dei lectisternia237
. In realtà, nel caso evocato da
Livio sembra trattarsi di grazia collettiva, mentre qui ci troviamo in
presenza della liberazione di un singolo condannato; ma anche per
questo si è addotto un parallelo nel sistema giuridico romano, e
precisamente l’uso di graziare e liberare singoli prigionieri, quando il
popolo lo richiedeva a gran voce.
Tale prassi è ben illustrata da un papiro pubblicato per la prima
volta nel 1906, contenente il protocollo di un procedimento giudiziario
svoltosi dinanzi a Settimio Vegeto, governatore d’Egitto nell’86 della
nostra era. Allora Vegeto dichiarò all’imputato Fibione, che aveva
fatto arrestare il suo preteso debitore e le donne della famiglia di
costui: “Tu avresti meritato la frusta, poiché di testa tua, hai
imprigionato un uomo dabbene e donne. Ma io ti abbandonerò alla
folla e così ti tratterò umanamente”238. Se si prescinde dal fatto che qui
non si tratta di una regolare amnistia festiva, il caso è del tutto analogo
237 Livius,5,13,8. 238 Pap.flor.61,59.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
126
a quello biblico: il governatore libera un malfattore per desiderio del
popolo; le parole “io voglio abbandonarti alla folla”, indicano che il
governatore libererà l’uomo, se il popolo lo chiede.
Se questo esempio dimostra almeno come si potè arrivare
facilmente all’usanza narrata negli Evangeli, un passo sinora poco
notato nel trattato Pesachim della Mishnà, ci dà la prova del fatto che
in Gerusalemme dev’esserci effettivamente stata l’usanza di liberare
uno o più detenuti, in occasione della Pasqua239. Si tratta del trattato
mishnaico Pesachim VIII 6a; la situazione supposta nella Mishnà è la
seguente: un Israelita, il quale si trovi detenuto in un carcere romano
di Gerusalemme, ha fondati motivi di sperare, ma non di esser certo,
di venir rilasciato poco prima della sera di Pasqua. Questo caso,
essendo affiancato nel trattato Pesachim da casi d’altro genere
periodicamente ricorrenti, deve essere stato normale, tale da ripetersi
regolarmente ogni anno, prima del 15 Nisan.
Se noi riteniamo, accanto a ciò, quanto gli Evangeli riferiscono e
permettono di dedurre, ne risulta una situazione perfettamente
corrispondente: Barabba, un Israelita detenuto dai Romani a
Gerusalemme, spera di essere rilasciato ancor prima della sera di
Pasqua, poiché può contare che i suoi amici lo reclameranno a causa
dell’amnistia di Pasqua240. La liberazione, però, non è ancora sicura,
poiché non dipende semplicemente dalle suppliche degli amici del
prigioniero, ma anche dalla volontà del procuratore. Da Pesachim VIII
239 Bove, 1999, pp. 205-206. 240 Blinzler, 1966, pag. 276.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
127
6a viene, dunque, effettivamente confermata l’usanza menzionata
dagli Evangeli.
Il diritto romano conosce due forme di amnistia, la abolitio, cioè il
rilascio di un prigioniero non ancora giudicato241, e la indulgentia, la
grazia di un condannato242. Ciò che Pilato aveva in programma nel
caso di Gesù e che accordò alla fine a Barabba, corrispondeva
evidentemente alla prima forma: in quello stadio del processo, Gesù
non era ancor stato condannato dal tribunale romano, e lo stesso
sembra dovesse essere per Barabba, il quale viene indicato non come
condannato, ma semplicemente come prigioniero243.
E’ dubbio se Pilato abbia o meno precisato il carattere giuridico
dell’amnistia che intendeva concedere a Gesù, allorché egli fece la sua
proposta; forse lasciò appositamente in sospeso la questione. Ciò che
ai suoi occhi era una abolitio, dagli Ebrei poteva essere considerata
una indulgentia, vale a dire un indiretto riconoscimento del giudizio
da essi pronunciato contro Gesù; ciò spiegherebbe particolarmente
bene la speranza del procuratore di giungere, per tale via, al proprio
scopo244.
241 Codex 9,42; D. 48,16. 242 Codex 9,42. 243 Mc.15,7; Mt. 27,16; Lc. 23,19-25. 244 Blinzler, 1966, pag. 276.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
128
VI.2. L’imprudenza di Pilato e la scelta della folla:
aspetti psicologici.
Mentre Pilato trattava di nuovo con i gerarchi, una folla
proveniente dalla città bassa si radunò davanti al pretorio per fare uso
del suo diritto di supplica. Con ciò, il processo dinanzi a Pilato entrò
in una nuova fase: se sino a quel momento, accanto al romano ed
all’accusato, protagonisti dell’affare erano i sinedriti, d’ora in poi, si
fa sentire sempre più l’influenza della massa245. Dapprima, l’arrivo di
quella gente non parve inopportuno al procuratore: egli vi scorse una
nuova possibilità di salvare Gesù e cominciò ad avviare le trattative
per l’amnistia, nel senso da lui auspicato, coll’offrire alla folla, la
grazia e la liberazione di Gesù, che egli, per metà ironico e per metà
pensando al desiderio dei convenuti, chiama loro re: “Volete che io vi
dia libero il re dei Giudei?”246.
A lui non poteva sfuggire che l’insistenza della casta sacerdotale
nel voler Gesù giustiziato, non rispondeva in nessun modo ad un
improvviso lealismo nei riguardi dello Stato Romano, ma piuttosto a
motivi d’interesse puramente egoistico: poteva, perciò, sperare che il
popolo, cui tali motivi dovevano essere estranei, avrebbe seguito la
sua proposta. Tuttavia, il suo modo di procedere fu un errore carico di
conseguenze: anzitutto, Pilato non calcolò che la moltitudine,
tendenzialmente autonoma, dovendo scegliere tra un’eventualità
245 Blinzler, 1966, pp. 278-279. 246 Mc.15,9.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
129
proposta da lui ed un’altra proposta dai sinedriti, mai e poi mai
avrebbe scelto il suo partito. Inoltre, egli prese in considerazione la
possibilità che la folla, allorché si presentò a lui, si fosse, magari, già
messa d’accordo su uno dei candidati. La narrazione di Marco qui è
poco chiara; tuttavia, è probabile che si debba intendere nel senso che
la moltitudine mirasse, sin da prima, alla liberazione di Barabba.
Come già accennato, il proporre di propria iniziativa Gesù come
candidato all’amnistia, senza aver dapprima ascoltato la folla, fu, da
parte di Pilato, un’enorme malaccortezza: i sommi sacerdoti risposero
al nuovo tentativo di elusione da parte del procuratore, con
l’indirizzare immediatamente la folla contro il Nazareno ed in favore
di Barabba. Quest’ultimo si era reso colpevole di omicidio durante
una rivolta, ed era stato arrestato dai Romani insieme ai suoi complici.
Su questa rivolta, della quale Marco parla come di un fatto noto, non
abbiamo maggiori particolari.
Alcuni esegeti pongono l’avvenimento in relazione con Lc.13,1 e
lo identificano con lo scontro, riferito da Giuseppe Flavio247, che ebbe
origine dall’affare del tesoro del Tempio; ma si tratta di induzioni del
tutto arbitrarie.
Sicuramente il “brigante”248 Barabba era, nonostante il suo delitto, un
personaggio popolare, una specie di eroe della libertà, altrimenti gli
astuti sinedriti non se ne sarebbero serviti nel loro gioco contro
Gesù249. Ad ogni modo, Barabba non doveva avanzare pretese di
247 Ios. Flav., Ant. 18,3,2. 248 Io. 18,40. 249 Bove, 1999, pag. 206.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
130
messianità, altrimenti il procuratore, nella sua proposta, non avrebbe
chiamato Gesù semplicemente “il re dei Giudei”.
Grazie alla loro consapevole e previdente mobilitazione della folla,
i sinedriti riuscirono nel loro scopo: la moltitudine si decise contro
Gesù e richiese, a Pilato, Barabba. Decisione gravida di conseguenze!
Sinora soltanto i sinedriti si erano sforzati di ottenere la morte di
Gesù; ora la sua sorte era posta per un istante nelle mani del popolo;
questo lo abbandonò e si pose, con ciò, volontariamente, anche se
sotto la spinta di influenze esterne, dalla parte dei nemici mortale di
Gesù. Solo a questo punto il cerchio dei colpevoli della morte di Gesù
si allarga: dalla piccola casta di capi, ad una porzione più vasta della
popolazione di Gerusalemme.
Il brusco mutamento nella disposizione d’animo del popolo è
considerato, spesso, un problema psicologico, come trattato anche da
Zagrebelsky, nella sua opera sul tema in esame (“Il ‘Crucifige!’ e la
democrazia”)250. Come accade che quelle persone, le quali appena la
domenica precedente avevano acclamato Gesù come Messia, durante
il processo, siano d’un tratto divenute i suoi nemici dichiarati?
L’attività dei membri del Sinedrio e la popolarità di Barabba spiegano
molte cose, ma non tutte. La folla avrebbe potuto reclamare Barabba e
poi disinteressarsi di Gesù. L’invocazione “Dacci Barabba!”, non
significa ancora “Crocifiggi Gesù!”.
Come giunse, dunque, tale folla a far sua la richiesta di morte dei
sinedriti? Da varie parti si ritiene che gli osannanti della domenica
250 Zagrebelsky, 1995, pag. 93.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
131
delle palme, non fossero né gli stessi uomini, né gli stessi gruppi che il
Venerdì Santo gridarono “Crucifige!”. Allora, si sarebbe trattato
soprattutto di pellegrini Galilei giunti per la festa, ora della plebe
indifferente della metropoli. Questa distinzione potrebbe essere
essenzialmente esatta, ma poiché i pellegrini Galilei, immediatamente
prima della festa principale, si trovavano ovviamente ancora in città, e
poiché non potevano ignorare tutti il processo pubblico condotto
contro il compatriota da essi festeggiato, resta il problema di sapere
perché non c’è notizia di alcuna presa di posizione favorevole a Gesù
da parte di un gruppo del popolo251. Forse i suoi adepti erano delusi
perché Egli non poneva finalmente in atto i loro sogni messianico-
nazionalistici? Anche questo fattore può entrare in gioco, ma non è del
tutto credibile che questa delusione possa aver tramutato di colpo
l’entusiasmo precedente, in avversione mortale.
In conclusione, riteniamo che il raffreddamento radicale dell’animo
popolare, sopravvenuto durante la notte, ha la sua origine principale
nel fatto della condanna di Gesù da parte del tribunale indigeno: nel
cuore del popolo, il rispetto per la legge santa data da Dio, era troppo
radicato affinché esso potesse dare la propria simpatia ad un uomo sul
quale questa legge, tramite i suoi legittimi custodi ed interpreti, aveva
gettato l’anatema. Così, per i sinedriti fu facile guadagnare le folle alla
loro parola d’ordine spietata252.
251 Fabbrini, 1999, pag. 172. 252 Blinzler, 1966, pag. 280.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
132
VI.3. Il crimen laesae maiestatis.
Il rifiuto della sua proposta non sembra aver soltanto sorpreso, ma
veramente sconcertato il procuratore. Almeno, il suo contegno
ulteriore manca persino di quel resto di dignità ed energia di
magistrato, dimostrate sino ad allora. Per lui, ora che aveva constatato
che il popolo non avrebbe a nessun costo rinunciato a Barabba, non
v’era che una via: doveva seguire la volontà del popolo e poi, una
volta allontanatosi questo con il suo eroe, continuare e portare a
termine l’affare di Gesù come gli sembrava giusto; ma, invece di
separare nettamente le due questioni giuridiche, egli continuò a
discutere con la massa, a proposito di Gesù.
Fu così che pose alla volontà popolare, che richiedeva Barabba, la
domanda fiacca ed imbelle: “Che devo dunque fare di colui che
chiamate il re dei Giudei?”253. Egli sperava, a quanto pare, che la
massa, contrariamente alla casta dirigente, non avrebbe insistito a
reclamare la morte di Gesù, accontentandosi di qualche castigo più
mite… ma si sbagliava. La sua imprudente domanda ebbe subito in
risposta un assordante “Crocifiggilo!”254. Ciò che capi e popolo
esigono è la morte e, precisamente, la morte crudele ed ignominiosa
della croce romana; Gesù dev’essere dichiarato colpevole di alto
tradimento e punito con tutto il rigore della legge contro i traditori, la
lex Iulia maiestatis. Il reato di alto tradimento fu riconosciuto, con
253 Mc.15,12. 254 Mc.15,13.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
133
ogni probabilità, essenzialmente nella rivendicazione della dignità
regale da parte di Gesù255.
Dei molti delitti che nelle raccolte giuridiche di Giustiniano
vengono calcolati come crimen laesae maiestatis, nessuno corrisponde
in modo formalmente esatto a quello che si rimproverò a Gesù, ma
quanto fosse facile fabbricare un delitto di lesa maestà da una
rivendicazione del titolo regale, è dimostrato dai tre esempi che
seguono: “Maiestatis autem crimen illud est, quod adversus populum
Romanum, vel adversus securitatem eius committitur”256
= E’
colpevole di lesa maestà, chi in generale compie un’azione diretta
contro il popolo romano o contro la sua sicurezza; “Quive privatus
pro potestate magistratuve quid sciens dolo malo gesserit”257
= In
particolare, un privato cittadino che intenzionalmente e dolosamente
eserciti le funzioni di un impiegato statale; “… utve ex amicis hostes
populi Romani fiant”258
= Inoltre, chi, con malvagia intenzione, fa sì
che amici del popolo romano divengano nemici .
L’alto tradimento era delitto capitale e veniva punito, secondo la
condizione del reo, con la croce; con l’abbandono alle belve del circo
o con la deportazione su un’isola259. Per i provinciali privi di
cittadinanza romana, si era soliti scegliere il primo tipo di morte;
proprio nella provincia della Giudea, le esecuzioni sulla croce erano
abituali260. L’ultima grande tragedia del genere, prima della morte di
255 Bove, 1999, pag. 206. 256 Ulp. D.48,4,1; cfr. Blinzler, 1966, pp. 281-282. 257 D.48,4,3 (Marciano). 258 D.48,4,4 (Scevola). 259 D.48,19,38,2 (Paolo). 260 Cantarella, 1999, pag. 213.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
134
Gesù, ebbe luogo dopo la scomparsa di Erode il vecchio (4 a.C.); essa
fu repressa senza pietà dal legato di Siria, Quintilio Varo, il quale fece
crocifiggere duemila Ebrei261.
VI.4. La lavanda delle mani.
Coloro che gridavano “Crocifiggilo!” davanti al pretorio, devono,
quindi, essersi resi colpevoli dell’orrenda sorte a cui essi stessi
stavano per abbandonare Gesù. Per il procuratore, un tale contegno
degli Ebrei nei confronti di qualcuno della loro stessa razza era
incomprensibile. Quel funzionario, benché per nulla esemplare nel
resto, aveva tuttavia sufficiente senso giuridico per essere conscio che
una punizione deve essere proporzionale alla colpa. A malincuore,
quindi, chiede agli Ebrei di indicargli il delitto di alto tradimento che
fa meritare a quel Galileo, la più crudele di tutte le punizioni: “Che ha
fatto dunque di male?”262. Ma la plebe è già stanca di discutere;
imbaldanzita dalla visibile incertezza del giudice, essa ne ignora con
freddo disprezzo la domanda, per ripetere sempre e soltanto la propria
imperiosa richiesta: “Crocifiggilo!”263.
Ora, Pilato paga l’errore commesso nel mettersi a discutere con il
popolo; quell’imperdonabile errore tattico lo ha cacciato in una
situazione dalla quale egli non sarà in grado di uscirne. Con i sinedriti
261 Ios. Flav., Ant.17,10,10. 262 Mc.15,14a. 263 Mc.15,14; cfr.Zagrbelsky, 1995, pag. 83.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
135
avrebbe potuto liberarsene, ma col popolo eccitato non poteva lasciar
perdere e passare all’ordine del giorno. Ora non si trattava più
semplicemente del giudice, era anche e soprattutto il politico che
doveva prendere una decisione, e senza indugio.
Si è trovato strano che Pilato non abbia fatto ricorso al sistema, di
cui poteva disporre secondo la procedura romana, di un
aggiornamento del processo allo scopo di approfondire le indagini, ma
egli si era precluso da sé questa via d’uscita, con la sua infelice tattica
d’interrogare il popolo.
In definitiva, a Pilato non restava nient’altro che capitolare dinanzi
alla volontà decisa della moltitudine fanatica, così come aveva già
capitolato un tempo, nell’ippodromo di Cesarea264. Il fatto che, questa
volta, abbia ceduto passo per passo, potrebbe, tuttavia, anche
accettarsi, se proprio da ciò non risultasse ancor più chiaro il ritratto
penoso di un giudice romano, violatore del diritto per mancanza di
coraggio, di prudenza e di forza di carattere. Per accontentare la
plebaglia, egli liberò Barabba e dispose la flagellazione di Gesù265.
Matteo soltanto aggiunge, a questo punto, due piccoli episodi
drammatici: mentre Pilato, assiso sul seggio curule, trattava con gli
Ebrei per l’amnistia, ricevette un messaggio da sua moglie: “Non ti
immischiare nelle cose di quel giusto: oggi in sogno ebbi a soffrir
molto per causa di lui”266; verso la fine del brano, si dice: “Allorché
Pilato vide che non approdava a nulla e che il tumulto si faceva
264 Blinzler, 1966, pp. 282-283; cfr. Bove, 1999, pp. 208-210. 265 Mc.15,15; Io. 19,1. 266 Mt. 27,19.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
136
sempre maggiore, prese dell’acqua e si lavò le mani innanzi al popolo,
dicendo: “Io sono innocente di questo sangue; pensateci voi”. E tutto
il popolo replicò: “Il sangue di lui ricada su noi e sui nostri figli!”267.
Le due scene sono strettamente legate: se Pilato, nella prima, è
ammonito da sua moglie a non rendersi colpevole, nella seconda egli
simboleggia la sua innocenza con la parola e con il gesto. Matteo cita i
due episodi senz’altro per sottolineare, nello stesso tempo, l’innocenza
di Gesù e la colpevolezza degli Ebrei. Egli, passando dalla
presentazione storica alla valutazione storico-teologica, non usa la
parola “massa di popolo”, “moltitudine”, ma l’espressione “tutto il
popolo”, “ la nazione intera”, così riproducendo il punto di vista della
chiesa antica quanto al problema della colpevolezza: per essa, gli
Ebrei dinanzi al pretorio erano i rappresentanti di quella nazione che
aveva ripudiato il proprio Messia e con ciò stesso attirato su di sé il
giudizio di Dio.
Il racconto evangelico concernente il privilegium paschale è stato
spesso considerato dalla critica degli Evangeli, come un’aggiunta
leggendaria; “un miracolo di immaginazione”, come afferma Lucio
Bove268(il quale si è schierato “contro” tale asserzione), “poiché
nessun documento, nessuna relazione, nessuno storico dell’antichità lo
menziona mai”. Appare dubbio che tale giudizio sia giustificato, se si
riconosce che le due scene non potevano interessare altri Evangelisti
se non Matteo: infatti, i resoconti evangelici del processo di Gesù
hanno evidentemente come scopo principale, quello di mostrare i
267 Mt. 27,24. 268 Bove, 1999, pag. 203.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
137
fattori decisivi per l’esito del processo; perciò Marco e Luca (ed in
parte, per motivi spirituali, anche Giovanni), potevano esimersi dal
menzionare le scene secondarie, prive di significato a questo riguardo;
al contrario, a Matteo, che scrive per i cristiani d’origine giudaica,
importa moltissimo di chiarire ai suoi lettori la mostruosa colpa del
loro popolo.
In effetti, questi episodi non contengono nulla che sia storicamente
impensabile: si dà il caso di poter provare che ai governatori romani
dopo Augusto, era concesso di portare con sé la moglie in
provincia269, e siamo informati da altra fonte di nobili romane che
nutrivano interesse per la religione giudaica, ad esempio, Poppea,
moglie di Nerone, era una donna “timorata di Dio”270e quasi tutte le
donne, in Damasco, simpatizzavano con la religione ebraica271.
Inoltre, la cerimonia della lavanda delle mani è, sì, un costume
tipicamente ebraico, ma non era, però, sconosciuto ai pagani e si può,
inoltre, ammettere benissimo che Pilato qui si sia uniformato ad un
uso ebraico per farsi chiaramente capire da tutti gli Ebrei, che, nella
maggioranza, non capivano il greco parlato da lui, considerando anche
che egli fosse giunto oramai ad una certa conoscenza delle cerimonie
ebraiche, avendo già trascorso, al tempo del processo di Gesù, quattro
anni interi in Giudea272.
A seguito dell’analisi delle suddette fonti (evangeliche, storico-
giuridiche ed indirette), Bove giunge, con acuto inquadramento
269 Tac., Ann. 1,40.270 Ios. Flav., Ant. 20,8. 271 Ios. Flav., Bell.2,20,2. 272 Blinzler, 1966, pag. 286.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
138
dogmatico273, alla conclusione che la contestuale liberazione di
Barabba secondo la consuetudine antica e rispettata, si pose come una
rigorosamente logica conclusione dell’incidente (in senso tecnico-
processuale) introdotto (d’ufficio) da Pilato nella sua funzione di
giudice unico e definitivo 274.
273 Miglietta, 2001, pag. 490. 274 Bove, 1999, pag. 210.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
139
Capitolo VII
Fase decisoria: flagellazione, “Ecce homo!” e
condanna a morte da parte di Pilato.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
140
VII.1. La flagellazione romana ed il dibattito sulla
possibile ratio della flagellazione di Gesù.
La flagellazione romana veniva inflitta in maniera barbara: il
condannato era spogliato, legato ad un palo o colonna275, a volte anche
semplicemente gettato a terra e colpito da parecchi torturatori, sino a
che questi erano stanchi e la carne del condannato cadeva in brandelli
insanguinati276.
Nelle province, questo compito spettava ai soldati277; essi si
servivano, a questo scopo, di tre differenti arnesi di tortura: per i
liberi, si usavano le verghe; per i militari, i bastoni; per gli schiavi si
adoperavano di solito flagelli o fruste278, le cui cinghie di cuoio,
spesso, erano fornite di un pungiglione o di vari pezzi d’osso disposti
a catena o di palle di piombo279. Quest’ultimo strumento si usò per
Gesù. Contrariamente al diritto ebraico, quello romano non fissava un
numero massimo di colpi. Non c’è da meravigliarsi sentendo che
durante questa procedura, che soltanto eccezionalmente veniva inflitta
come pena capitale, spesso i disgraziati crollavano morti280.
Secondo Cicerone, Gaio Verre, governatore di Sicilia (73-71 a.C.),
faceva applicare la flagellazione in modo particolarmente disumano:
275 Plaut., Bacch.IV,7,24: “Abducite huc intro atque adstrigite ad columnam fortier”. 276 Cantarella, 1999, pp. 216-217. 277 Suet., Caligula 26.278 D.48,19,10. 279 Codex Theodos., 8,5,2.280 D.48,19,8,3: “Plerique dum torquentur deficere solent”.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
141
“Moriere virgis” (Morirai sotto le verghe), avrebbe gridato un giorno
ad un accusato, consegnandolo ai littori281.
Giuseppe Flavio riferisce che egli stesso, nella Tarichea Galilea,
fece flagellare alcuni suoi avversari fino a che le loro viscere furono
visibili282.
Anche il caso del profeta di malaugurio Jesus bar Hanan, fatto
flagellare dal procuratore Albino durante la festa dei Tabernacoli
nell’anno 62 d.C. finché apparvero le sue ossa, lascia intendere che
cosa significhi quella breve parola greca del Vangelo di Marco283.
Perché Pilato decise d’infliggere a Gesù quello spaventoso
tormento?284 I primi Evangelisti non danno alcuna risposta a tale
domanda; stando alla narrazione personale di Giovanni, invece, il
Romano si risolse a questo provvedimento, perché vedeva in esso
l’ultima possibilità di salvare Gesù.
La flagellazione aveva presso i Romani scopi diversi: si deve
distinguere la flagellazione come tortura inquisitiva285; come pena di
morte (fustuarium, prevalentemente punizione militare)286; come
castigo indipendente, decretato da organi di polizia287e come preludio
all’esecuzione capitale, a pena di morte sentenziata (flagellazione
prima della crocifissione)288. Nel caso di Gesù, la flagellazione fu
disposta da Pilato come punizione indipendente; non era una tortura
281 Philo, In Flaccum 10. 282 Ios. Flav., Bell. 2,21,5. 283 Mc.15,15. 284 Blinzler, 1966, pp. 294-295. 285 Act.22,24. 286 Horat., Sat.I 2,41: “Ille flagellis ad mortem caesus”.287 Pap. Flor. 61,59. 288 Ios. Flav., Bell.,2,14,9.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
142
per forzare una confessione, né la pena collaterale che preludeva alla
crocifissione: la condanna a morte sopravvenne solo più tardi. Pilato
aveva capito che non sarebbe riuscito a cavarsela senza dare nessun
castigo a Gesù; egli provava ancora ripugnanza all’idea della
crocifissione e così si decise per la flagellazione, nella speranza che
gli Ebrei si sarebbero accontentati di questa pena draconiana e
avrebbero receduto dalla loro pretesa.
E’ chiaro che la base giuridica di questa decisione non era l’accusa
di alto tradimento, che poteva essere punita solo con la morte e non
con una pena minore. Con quale crimen leve Pilato abbia motivato
l’ordine di eseguire la flagellazione o se, addirittura, questa
motivazione vi fu, noi non sappiamo. Bisogna escludere che il
procuratore avrebbe voluto dare agli Ebrei l’impressione di essere ora
deciso a crocifiggere Gesù, infatti, dato che egli non aveva ancora
pronunciato una condanna a morte, gli Ebrei non potevano intendere
la flagellazione come il preludio della crocifissione. Inoltre, Pilato
avrebbe dovuto sapere che dopo la flagellazione, gli Ebrei avrebbero
insistito nella loro richiesta con ancor maggior irritazione e caparbietà.
Come egli intendesse e volesse intesa questa pena, ci viene
indicato dalle parole che Luca gli attribuisce due volte: “Io gli
infliggerò un castigo e poi lo libererò”289. Ad ogni modo, se Pilato,
benché ritenesse Gesù innocente lo sottopose a quella pena crudele,
289 Lc.23,16,22.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
143
bisogna dire che egli venne imperdonabilmente meno al proprio
dovere di giudice290.
VII.2. L’ “Ecce homo!”291 e l’intimidazione degli Ebrei a
Pilato.
Gli Evangeli tralasciano la descrizione del crudele supplizio ed,
allo stesso modo, non dicono nulla di preciso sul luogo in cui questo si
svolse. Solitamente, si ammette che la flagellazione sia avvenuta sotto
gli occhi della folla, sulla piazza antistante il pretorio; proprio sulla
stessa piazza, infatti, il procuratore Gessio Floro fece fustigare,
trentasei anni dopo, gli Ebrei allora condannati; ma, in quest’ultimo
caso, le circostanze erano pur diverse292da quelle ricorrenti nel caso di
Gesù: Floro non poteva fare a meno di ritenere necessaria una
flagellazione pubblica, al fine di minacciare ed intimorire il popolo ed,
inoltre, nel suo caso, la flagellazione preludeva senza alcun dubbio
alla crocifissione293.
Allorché Gesù fu flagellato, la condanna a morte non era ancora
stata pronunciata, e Pilato non aveva alcun motivo di volere un
supplizio pubblico per intimorire la folla. Secondo la narrazione
290 Blinzler, 1966, pag. 296. 291 Io. 19,5. 292 Ios. Flav., Bell. 2,14,9. 293 Blinzler, 1966, pp. 296-299.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
144
giovannea, risulta quasi certo che Gesù non venne flagellato sulla
piazza, bensì nell’interno del pretorio294.
Nell’esecuzione del castigo, i soldati dovettero tormentare Gesù
con tutta la ferocia spietata che erano soliti porre nel loro sanguinario
ufficio: nel cammino verso il patibolo, Egli non era più in grado di
portare da sé la croce.
La fustigazione dell’uomo che si dichiarava “re dei Giudei” fece
gran colpo fra i militi della coorte acquartierata nel pretorio. Una volta
inflitta, essi colsero con gioia l’occasione di dare sfogo alla loro
grossolana arroganza verso un rappresentante eminente dell’odiato e
disprezzato popolo ebraico. Essi sapevano dal dibattimento che Egli si
pretendeva re e così si misero a schernire la sua regalità, in una
smaccata mascherata295: gli si gettò addosso un mantello rosso,
verosimilmente la clamide tolta ad un littore; gli si pose in mano una
canna e gli si cacciò in testa una corona intrecciata coi rami di una
qualche specie di acanto. Dopo che Gesù fu così mascherato da re
vassallo, i soldati presero a rendergli beffardo omaggio col gridargli:
“Salute re dei Giudei” e col prostrarsi dinanzi. Il saluto rammenta
l’“Ave, Caesar!” dei Romani; la prostrazione in segno d’omaggio, la
cosiddetta proskynesis, faceva parte dei requisiti essenziali del culto
ellenistico al sovrano; quanto agli sputi indirizzati dai soldati a Gesù,
ciò potrebbe essere stato una parodia del bacio d’omaggio in uso in
Oriente. Per pura brutalità, invece, essi maltrattarono Gesù,
percuotendolo anche con la canna e coi pugni. Benché gli Evangeli
294 Io. 19,1. 295 Mc.15,16-20; Io.19,2; cfr. Zagrebelsky, 1995, pp. 83-88.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
145
non lo dicano espressamente, si deve pensare che, durante tutta la
scena dell’oltraggio, Gesù fosse seduto: il re riceve assiso sul trono
l’omaggio dei sudditi.
Allorché Gesù, con la sua buffonesca mascheratura da re, fu
ricondotto a Pilato, il quale si era nel frattempo trattenuto nel pretorio
(forse assistendo anche alla scena del dileggio nel cortile interno),
questi uscì di nuovo verso la folla per annunciare la riapparizione
dell’accusato: “Ecco, ve lo meno fuori, affinché intendiate che io non
trovo in lui colpa alcuna”296. Ciò che egli intendesse con queste
parole, non è del tutto chiaro. Dal fatto che il procuratore fa continuare
il dibattimento, devono gli Ebrei concludere che il Romano non
intende associarsi al loro punto di vista oppure quest’ultimo vuol dire:
dal travestimento sotto cui vi mostrerò l’accusato, potete vedere che io
lo ritengo un personaggio da farsa e non un delinquente degno di
morte? La seconda interpretazione sembra da preferirsi di gran lunga:
Pilato, a quanto sembra, ha tollerato la sconveniente buffonata della
soldatesca, perché sperava, presentando Gesù nel suo costume
grottesco, di convincere la moltitudine che quest’ultimo era
assolutamente inoffensivo297. Se questa interpretazione è esatta, allora
è certo anche il senso delle parole con cui Pilato accompagnò l’uscita
di Gesù sulla piazza: Ecce homo!(Ecco l’uomo!)298. Questo non è
principalmente un appello all’umanità. Certo la vista dell’accusato
così malridotto, che portava sul corpo le tracce recenti dei sanguinari
296 Io. 19,4. 297 Blinzler, 1966, pp. 300-301. 298 Io. 19,5.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
146
maltrattamenti sofferti, doveva sconvolgere o almeno calmare un po’
gli animi divampanti di odio, ma a Pilato qui importa soprattutto
dimostrare l’innocuità del supposto pretendente al trono; egli si
aspetta che, alla vista di quella caricatura di re, la folla prenda sul
ridere anche la pretesa al trono, come pure l’accusa su di essa fondata.
Ma, di nuovo Pilato si dimostra cattivo psicologo: vi è un grado di
accanimento, nel quale si perde ogni senso di umorismo e si è
inaccessibili ad ogni moto di pietà. Lungi dall’essere impressionati
dall’aspetto di Gesù, i sommi sacerdoti ed i loro accoliti gridarono,
implacabili come prima, “Crocifiggilo, crocifiggilo!”299. Con ciò,
anche il terzo tentativo di salvataggio, fatto dal governatore, era
fallito.
Esasperato dal nuovo insuccesso, Pilato replicò agli Ebrei: “Allora
prendetelo voi e crocifiggetelo, poiché io non trovo colpa alcuna in
lui!”300. Naturalmente, il procuratore non intende seriamente
trasmettere agli Ebrei il potere di condannare e giustiziare Gesù; la
crocifissione non era affatto prevista nel diritto penale ebraico, né
Pilato si prende gioco dell’impotenza dei Giudei, ai quali era stata
sottratta la libertà di giurisdizione capitale. Le sue parole, che
ammettono formalmente una cosa inammissibile, non sono che un
rabbioso rifiuto della pretesa ebraica.
Poiché la folla ha reclamato “Crocifiggilo!”, Pilato motiva il suo
rifiuto con la propria convinzione dell’innocenza di Gesù301. Ponendo
299 Io. 19,6a. 300 Io. 19,6b. 301 Zagrebelsky, 1995, pag. 93.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
147
in discussione questa giustificazione, gli Ebrei si richiamano alla loro
legge, per la quale Gesù sarebbe un reo degno di morte: “Noi abbiamo
una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto figlio
di Dio”302. Per la prima ed unica volta, viene fuori l’accusa di
bestemmia che stava alla base della condanna loro propria. Forse
intendono lasciar cadere, come priva di ogni possibilità, la loro accusa
di delitto politico e sostituirla d’ora in poi con l’altra? Niente affatto!
Il nuovo argomento doveva solo rafforzare la loro propria accusa: se
anche il procuratore non era tenuto ad occuparsi di accuse puramente
religiose, egli doveva pur venire incontro, per quanto possibile, ai
sentimenti ed ai desideri religiosi della popolazione. Gli Ebrei
vogliono, dunque, indurre il Romano, il quale ritiene che Gesù sia un
uomo innocuo, a considerare con altri occhi la loro accusa,
provandogli che, secondo la loro legge, quell’uomo merita la morte303.
Le loro parole devono dargli la convinzione che il loro contegno è
determinato non da odio ed invidia, ma solo dallo zelo per la legge304.
La notizia che Gesù si era proclamato figlio di Dio fece una grande
impressione su Pilato: e se quell’accusato fosse veramente stato un
essere superiore? Per l’antichità pagana, il pensiero che le divinità si
manifestassero in forma umana, non era affatto irrealizzabile. La
personalità di Gesù, la sua tranquilla umiltà ed il suo silenzio avevano,
evidentemente, ispirato sinora al procuratore, non soltanto meraviglia,
302 Io. 19,7. 303 Lev. 24,16. 304 Blinzler, 1966, pag. 302; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 194.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
148
ma anche un certo qual timore. Questo senso di paura adesso
aumentava.
Così, egli ricondusse Gesù nell’interno del pretorio per interrogarlo
sul mistero della sua personalità: “Donde sei tu?”305, cioè sei di origine
terrestre o celeste? Gesù non diede risposta. Già durante il primo
interrogatorio, Egli aveva testimoniato abbastanza chiaramente al
giudice pagano la propria missione divina, senza ottenere nulla più
che una scettica alzata di spalle. Il mistero della sua personalità era
accessibile soltanto alla fede.
Il silenzio di Gesù indispose Pilato: per rompere questi indugi, egli
rammentò a Gesù che lui, il giudice, poteva disporre della vita
dell’imputato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di liberarti,
come ho il potere di crocifiggerti?”306. Di rimando, Gesù significò al
procuratore che la potestà di cui egli credeva di potersi vantare, era
una potestà di una specie particolare: “Tu non avresti alcun potere su
di me, se non ti fosse dato dall’alto”307. Queste parole non vogliono
dire, come spesso si sente spiegare, che l’autorità dello Stato è fondata
in Dio, fonte di ogni autorità (pensiero che Paolo sviluppa in Rom.
13,19); Gesù corregge, piuttosto, il sentimento ingenuo di potenza che
prova il procuratore, il quale è convinto di poter disporre della vita o
della morte di Gesù per il semplice fatto di rivestire, in quel luogo ed
in quel momento, la massima autorità. Non i diritti ed i mezzi terreni,
spettanti al detentore dell’autorità statale gli hanno dato il potere su
305 Io. 19,8-11. 306 Fabbrini, 1999, pag. 194. 307 Io. 19,11a.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
149
Gesù, ma una disposizione “dall’alto”, vale a dire la volontà
misteriosa di Dio; senza tale volontà, Pilato non sarebbe mai stato in
condizione di sedere in tribunale a giudicare il figlio di Dio. Nel piano
divino della redenzione, il funzionario romano è scelto, invece, per
mettere Cristo in croce, e se anche egli a ciò si ribella, dovrà cedere,
non potendo sottrarsi alle esigenze del piano divino e nemmeno alle
costrizioni d’ordine terreno, cioè, in questo caso, soprattutto alle
richieste degli Ebrei ed alla sua personale insufficienza308. “ …Perciò
chi mi ha consegnato nelle tue mani, ha maggior peccato”309: poiché
Pilato agisce contro Gesù non per impulso proprio, ma nell’esercizio
dei poteri particolari conferitigli da Dio, egli è meno colpevole degli
Ebrei, i quali sollecitano, solamente per odio e malvagità, la morte del
figlio di Dio.
Pilato comprese l’allusione al potere concesso dall’alto, nel suo
senso giusto, come risposta indiretta alla sua domanda donde Gesù
venisse. Così, interruppe l’interrogatorio, deciso a liberare il
misterioso prigioniero310. Ma, egli non riuscì a portare a compimento
il suo proposito, infatti, non appena gli Ebrei si accorsero che il
procuratore stava per ignorare definitivamente le loro richieste, essi
giocarono la loro ultima e più importante carta: “Se lo liberi, non sei
amico di Cesare; chiunque si fa re, si oppone a Cesare”311. Essi si
spingono, dunque, sino a minacciare Pilato apertamente di denuncia
all’imperatore.
308 Blinzler, 1999, pp. 304-305. 309 Io. 19,11b. 310 Io. 19,12a. 311 Io. 19,12b.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
150
Grottesca situazione! Il massimo funzionario imperiale di Giudea
deve lasciarsi accusare di scarsa fedeltà all’imperatore, dai
rappresentanti di una nazione nella quale covava da per tutto un odio
ardente contro la tirannide romana come in nessun’altra provincia. Per
insensata che potesse sembrare questa minaccia al governatore, egli
non poteva farsi alcuna illusione quanto alla capacità degli Ebrei di
fare sul serio: un parallelo storico, ci viene riferito da Giuseppe
Flavio, secondo il quale, il procuratore Floro temeva che gli Ebrei lo
accusassero presso l’imperatore312.
Quanto alle conseguenze fatali che questo passo avrebbe avuto per
lui, va rilevato che se il governatore fosse stato denunciato a Roma per
aver rilasciato un uomo di cui era provato che si proclamasse re dei
Giudei, egli sarebbe fatalmente caduto, presso il tribunale imperiale,
in grave sospetto di negligenza ed infedeltà, nonché di
favoreggiamento nei confronti di elementi avversi all’impero ed
all’imperatore.
Data la situazione, gli sarebbe stato difficile levarsi da quell’accusa,
così che avrebbe potuto aspettarsi di venire trattato e punito anche
come colpevole di lesa maestà313; infatti, in quel genere di cose, Roma
colpiva a fondo, senza riguardo alcuno. Proprio dell’imperatore
Tiberio, si riferisce che di nulla egli si preoccupava più seriamente,
312 Ios. Flav., Bell. 2,14,3. 313 Fabbrini, 1999, pag. 195.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
151
che della sicurezza del regime monarchico, e nulla puniva più
spietatamente che i pretesi delitti di lesa maestà314.
Così, sotto quest’infame minaccia ebraica, la resistenza di Pilato
crollò: maggiore della sua soggezione dinanzi alla personalità
ammantata di mistero dell’accusato, era la sua paura del cupo e
sospettoso imperatore; più importante dell’inviolabilità del diritto, gli
apparve la sua sicurezza personale315.
VII.3. Sentenza formale di condanna a morte? Il “bema”
di Pilato.
Pilato fece condurre fuori dal pretorio il prigioniero, salì sulla
tribuna e si assise sul seggio di giudice316per pronunciare il suo
giudizio pubblicamente, alla presenza dell’imputato e degli accusatori:
giudizio che non corrispondeva alla sua convinzione di giudice, ma
che la minaccia degli Ebrei aveva reso inevitabile.
Amareggiato per la parte infamante impostagli, egli diede, però,
alla sua sentenza una formulazione che doveva per forza ferire gli
Ebrei: anziché dire, riconoscendo la colpa dell’accusato: “Egli si è
fatto re dei Giudei”, Pilato si serve delle parole ironiche: “Ecco il
vostro re!”317. Quest’ultimo agisce, dunque, come se riconoscesse le
314 Suet., Tiberius 58: “Iudicia maiestatis atrocissime exercuit”; Tac., Ann. 3,38: “…addito
maiestatis crimine, quod tum omnium accusationum complementum erat”. 315 Blinzler, 1966, pp. 309-310. 316 Io. 19,13. 317 Io. 19,14.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
152
rivendicazioni regali di Gesù che ora deve condannare come colpevole
contro lo Stato: questo alto traditore è il vostro re. Allorché la
moltitudine inviperita gridò: “Via, via, crocifiggilo!”, il procuratore
raccolse il loro grido per imprimere a fondo nella coscienza e nella
memoria della massa, con una domanda apparentemente ironica, che
la sentenza di morte sul punto di essere pronunciata, lo era per loro
esclusiva, espressa esigenza, e, quindi, ricadeva sotto la loro
responsabilità: “Ho io da crocifiggere il vostro re?” 318. Ma anche i
gerarchi restano fedeli alla loro parte: immediatamente parano il colpo
con parole piene di significato sottinteso: “Noi non abbiamo altro re
che Cesare!” 319.
Solo allora Pilato proclamò la pena per il crimine già da lui
constatato; il crimen laesae maiestatis veniva punito con la morte e,
nelle province, di regola, con la croce. Il genere della pena di morte
doveva essere precisato dal tribunale romano. Normalmente, la
condanna alla crocifissione suonava: “Ibis in crucem!”320(Andrai sulla
croce), oppure: “Abi in crucem!”321 (Vattene in croce).
E’ vero che gli Evangelisti non dicono espressamente che Pilato
abbia pronunciato una sentenza di morte formale; da ciò, molti
studiosi hanno dedotto che la sua decisione non fosse un’emissione di
sentenza in senso proprio, ma un ordine di esecuzione, in
riconoscimento della sentenza sinedriale, o magari un abbandono
318 Io. 19,15a. 319 Io. 19,15b; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 195.320 Petronius, Sat. 137.321 Plaut., Mostell. III 2,163.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
153
dell’accusato agli Ebrei, fuori da ogni formalità322. Quest’ultima
opinione (di Rosadi), non è condivisibile, poiché si fonda sul
presupposto che negli Evangeli fossero esattamente riportati tutti i
fatti giuridici essenziali del processo, ma con ciò si misconosce
totalmente il carattere proprio di essi, che non dovevano essere una
registrazione protocollare, ma, in primo luogo, dovevano fornire la
prova del significato che quegli avvenimenti rivestono nell’economia
della salvezza323.
Nemmeno Giuseppe Flavio nelle sue opere riporta una sola volta i
termini letterali delle sentenze di condanna, e neppure il fatto della
proclamazione formale di esse. Come sarebbe erroneo dedurre da ciò
che si trattasse, in tali casi, di esecuzioni senza sentenza, altrettanto
ingiustificato è trarre una conclusione del genere, dal fatto che nei
resoconti evangelici manca una menzione espressa della sentenza di
morte nel processo dinanzi a Pilato. Dunque, se veramente, come
sostiene il Rosadi324, le ultime parole di Pilato fossero consistite nella
domanda “Ho io da crocifiggere il vostro re?”, sia l’esecuzione della
crocifissione da parte di militari romani, sia la notifica del capo
d’accusa nel cartello sopra la croce, il titulus, sarebbero
incomprensibili; da entrambe queste considerazioni, si deve per forza
dedurre che Pilato condusse la cosa sino alla fine.
Insostenibile è anche l’opinione che il procuratore abbia esaminato,
sul piano amministrativo, la precedente sentenza ebraica e ne abbia,
322 Rosadi, 1949, pag. 220. 323 Blinzler, 1966, pp. 312-313. 324 Rosadi, 1949, pag. 220.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
154
infine, semplicemente ordinato l’esecuzione: a prima vista, è vero, a
sostegno di essa si potrebbe invocare l’espressione usata da tutti gli
Evangelisti nel riferire la decisione finale di Pilato: “Egli consegnò
Gesù, perché fosse crocifisso”. Giovanni aggiunge alla parola
“consegnò”, anche il dativo di termine “loro” (agli Ebrei), mentre
Luca dice “in loro balìa”325. Come dimostra il seguito della Passione,
non gli Ebrei, ma soldati romani diedero effetto all’esecuzione: il
“consegnare” non è, dunque, inteso in senso concreto, ma traslato; ciò
che Luca lascia comprendere già con la sua aggiunta. L’espressione
“Egli consegnò” sottolinea il fatto che Pilato, con la sua decisione,
seguì il volere degli accusatori ebraici; se tale decisione fosse poi la
convalida di un giudizio ebraico oppure una sentenza indipendente, da
quell’espressione non è chiarito. Forse gli Evangelisti l’hanno scelta
apposta perché viene usata nel testo di Is. 53,6-12, a proposito delle
sofferenze mortali del servo di Dio: per la tradizione cristiana
primitiva, la prova che, in questa decisione, si era compiuta la profezia
dell’Antico Testamento326, era assai più importante che non lo stabilire
se la decisione del procuratore fosse una condanna a morte formale o
meno.
Tutto ciò premesso, non mancano, però, indizi per affermare che
Pilato pronunciò effettivamente una sentenza giudiziaria. Già le
notizie riferite da Giuseppe Flavio e da Tacito, e l’allusione alla
condanna a morte romana in Lc. 24,20, sono da intendersi piuttosto in
325 Mc. 15,15; Mt. 27,26; Io. 19,16; Lc. 23,25. 326 Is. 53,6-12.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
155
questo senso, sebbene esse non giungano per se stesse a risolvere la
questione.
Un solido sostegno ci è offerto da quanto riferisce l’Evangelista
Giovanni, secondo cui Pilato emise la sua decisione “dall’alto di una
tribuna” (“epì bèmatos”)327
. Difatti, sembra certo che i dibattimenti
dinanzi al tribunale romano costituivano un nuovo processo capitale
indipendente. In questo caso, però, la condanna a morte doveva venir
proclamata dall’alto della tribuna, mentre tutte le altre sentenze e
disposizioni potevano venir emanate de plano328
.
E’ impensabile che Pilato si sarebbe installato sul seggio curule, se
avesse dovuto soltanto convalidare il giudizio ebraico ed ordinarne
l’esecuzione. Tutti gli Evangeli mostrano chiaramente che egli
pronunciò la propria sentenza solo dopo un’aspra lotta con gli
accusatori ebraici: secondo Io.19,12, fu la massiccia minaccia ebraica
di una denuncia all’imperatore a spuntarla. In uno stato d’animo
simile, nulla dovette essere più lontano dal Romano che l’intenzione
di proclamare, con particolare solennità, una decisione che gli era stata
imposta. Se egli salì sulla sedia curule, lo fece, dunque, perché ciò era
parte essenziale della procedura; in altre parole, perché doveva
pronunciare una condanna a morte.
Che effettivamente egli vi sia salito, è attestato, oltre che dalla
chiara indicazione di Giovanni, anche da una notazione in Matteo: se
qui viene, infatti, riferito che già durante il processo il procuratore si
327 Io. 19,13. 328 Mommsen, 1899, pag. 447; cfr. Blinzler, 1966, pag. 314.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
156
era installato sul tribunale329, resta escluso che egli abbia emanato la
sentenza finale de plano. Certo, l’Evangelo di Giovanni tradisce a sua
volta lo sforzo di sminuire la parte di responsabilità dei Romani
nell’esecuzione di Gesù, ma proprio per questo egli merita fede
quando, nonostante tutto, riferisce che dall’alto della tribuna, vale a
dire in perfetta forma legale, Pilato decise che Gesù fosse messo in
croce come re dei Giudei.
A ciò si aggiunge che il capo d’accusa con cui il procedimento
termina dinanzi a Pilato, è diverso da quello su cui era basata la
sentenza ebraica: nel processo sinedriale, Gesù era stato dichiarato
colpevole del reato di bestemmia; il delitto che formò l’oggetto
dell’interrogatorio davanti al tribunale romano e di cui, infine, Gesù fu
anche dichiarato colpevole, era il reato politico di alto tradimento330.
Pilato apre il dibattimento con la domanda: “Sei tu il re dei Giudei?”.
Egli non chiede: “Sei tu il Messia, figlio di Dio?”, come sarebbe
indicato se egli dovesse riesaminare il giudizio ebraico. Nel verdetto
di colpevolezza, che Pilato emette alla fine del dibattito, egli indica
l’imputato come “re dei Giudei”, ma, quel che più conta, proprio
questo titolo di colpa politica appare nell’iscrizione sopra la croce, che
viene attestata da tutti e quattro gli Evangeli.
Mentre, dunque, nel procedimento sinedriale si fa questione solo di
un delitto religioso, il giudice romano si occupò, dal principio alla
fine, di stabilire se sussistesse un delitto politico. La diversità delle
due accuse non è annullata dal fatto che, per caso, entrambe potevano
329 Mt. 27,19; cfr. Blinzler, 1966, pag. 314. 330 Bove, 1999, pag. 206; cfr. Fabbrini, 1999, pag. 193.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
157
essere ricondotte ad un solo ed identico atto, cioè alla rivendicazione,
da parte di Gesù, della dignità di Messia, figlio di Dio: la circostanza
che il titolo di Messia aveva anche un contenuto politico era
importante nella misura in cui offriva agli Ebrei una comoda via per
portare l’accusa dinanzi a Pilato; ma il procedimento davanti a Pilato
non si sarebbe svolto altrimenti ed il rapporto reciproco tra i due affari
non andrebbe altrimenti giudicato, se il Sinedrio avesse condannato
Gesù, non per le sue affermazioni messianiche, ma per qualche altra
dichiarazione blasfema (per esempio, per aver pronunciato
sacrilegamente il nome di Dio). Se nel processo romano si trattava di
un’accusa del tutto differente da quella del processo ebraico, la
decisione del procuratore non può essere stata la convalida
amministrativa del giudizio di morte pronunciata nel procedimento
degli Ebrei, ma soltanto una sentenza indipendente, risultante da un
nuovo procedimento giudiziario, basato sul diritto romano.
VII.4. L’esecuzione delle sentenze di condanna a morte.
Da quanto esaminato, si può ritenere, dunque, che le parole “Egli
lo consegnò perché fosse crocifisso”331, vanno intese nel senso che
Pilato condannò a morte Gesù. Se gli Evangelisti si fossero interessati
al lato giuridico dell’avvenimento, avrebbero scritto: “Egli lo
331 Mc. 15,15.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
158
condannò a morire crocifisso” oppure, con discorso diretto: “Egli
proclamò: Ibis in crucem!” .
Il giudizio aveva immediatamente forza di legge e non aveva
bisogno dell’approvazione imperiale. In linea di principio, contro la
sentenza di un delegato imperiale si poteva, è vero, interporre appello
all’imperatore, ma tale possibilità era spesso, e probabilmente anche
nel caso di Gesù, esclusa a priori proprio dalla delega, che aveva
innanzitutto lo scopo di alleviare il tribunale imperiale332.
Il giudice fissava, secondo il proprio avviso, il termine di
esecuzione della pena: di regola, la sentenza veniva applicata
immediatamente dopo la sua emissione333e nelle province si saranno
probabilmente fatte poche eccezioni; nel caso di Gesù, Pilato deve
avere ritenuto inopportuno un rinvio dell’esecuzione, anche in
considerazione dell’atteggiamento minaccioso degli Ebrei. La
prescrizione di un intervallo minimo di dieci giorni tra l’emissione e
l’esecuzione di una condanna a morte, decretata dal Senato nel 21
d.C., non valeva per i processi dinanzi al governatore, ma soltanto per
le sentenze di morte, pronunciate dal Senato stesso334.
L’esecuzione era predisposta mediante l’ordine del governatore ad
un ufficiale o ai soldati di condurre via il condannato. Il distaccamento
incaricato dell’esecuzione, a cui Gesù fu affidato, era costituito da
quattro soldati, al comando di un centurione335. Poiché i procuratori
332 D. 49,2,1,4: “Interdum imperator ita solet iudicem dare, ne liceret ab eo provocare”; cfr. Venturini, 1999, pp. 14-15. 333 Tac., Ann. 3,51. 334 Tac., Ann. 3,51; Suet., Tiberius 75; Dio C., 57,20,4. 335 Io. 19,23.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
159
non disponevano di legioni, ma solo di truppe ausiliarie, poteva
trattarsi, dunque, di membri di una coorte ausiliaria. Le truppe
ausiliarie del procuratore di Giudea si reclutavano nella popolazione
non ebrea della Palestina, cioè principalmente tra i Siri ed i
Samaritani, i quali erano, per lo più, nemici accaniti degli Ebrei.
In luogo del manto di porpora che Gesù portava dalla scena
dell’oltraggio, i soldati gli restituirono le sue vesti336. Di solito, i
condannati a morte venivano condotti svestiti al luogo esecuzione,
perché, per istrada, venivano fustigati, mentre portavano le travi337.
Forse questo costume non fu seguito per Gesù, dato che questi era già
stato flagellato; ma fors’anche i Romani evitavano in ogni modo, in
Giudea, di condurre per la città, un delinquente svestito, dato che, per
gli Ebrei, ciò era indecente: un ulteriore privilegium iudaicum.
In nessun luogo si dice che la corona di spine gli sia stata tolta,
ragion per cui, già nel II-III sec., era opinione corrente che Gesù fosse
morto con la corona di spine in capo. Pilato aveva tollerato quella
mascherata solo perché sperava di poter dare, con ciò, una piega
migliore alla situazione dell’accusato338; ora la speranza era svanita, e
certamente ai soldati romani non era, d’altronde, permesso deridere
pubblicamente l’Ebreo.
Dalla flagellazione, che precedeva sempre la crocifissione, ci si
astenne, perché Gesù vi era già stato sottoposto. Una ripetizione del
supplizio avrebbe certamente causato la sua morte, ed agli Ebrei,
336 Mc. 15,20a. 337 Valerius Max., 1,7,4 : “ …verberibus mulctatus sub furca ad supplicium”; cfr. Cantarella, 1999, pag. 215. 338 Io. 19,4.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
160
invece, premeva molto che Egli morisse sulla croce, come “maledetto
da Dio!”339.
339 Deut. 21,22-23.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
161
Capitolo VIII
Fase esecutiva: la crocifissione.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
162
VIII.1. L’infamia della crocifissione.
“Nomen ipsum crucis absit non modo a corpore civium
Romanorum, sed etiam a cogitatione, oculis, auribus.”= Il nome
stesso di croce deve restare lungi, non solo dal corpo dei cittadini
romani, ma anche dai loro pensieri, dai loro occhi e dal loro orecchio:
così esclamò una volta, il massimo oratore romano, Marco Tullio
Cicerone340.
Che la crocifissione sia uno dei più orrendi castighi inventati dalla
crudeltà umana, era cosa unanimemente riconosciuta già dagli antichi.
Lo stesso Cicerone la chiama altrove “la più crudele e spaventevole
pena di morte”341; Tacito parla della “pena di morte degli schiavi”342;
Giuseppe Flavio, del “più miserando tra tutti i generi di morte”343ed il
giurista Callistrato, della “massima pena” a cui si può paragonare solo
quella d’esser bruciati vivi344.
La triste nomea di aver inventato o almeno di aver per primi
applicato ufficialmente e frequentemente questo genere d’esecuzione,
viene attribuita, a quanto pare, ai Persiani345. Forse essi si servirono di
questo metodo perché la terra consacrata ad Ormuzd non doveva
essere contaminata dal corpo di un giustiziato.
Più tardi, si trova la croce come sistema di esecuzione all’epoca di
Alessandro Magno; presso i sovrani diadochi e, soprattutto, presso i 340 Cic., Pro Rabirio 5,16; cfr. Cantarella, 1999, pag. 215. 341 Cic., In Verrem II 5,64,165. 342 Tac., Hist. 4,11. 343 Ios. Flav., Bell, 7,6,4. 344 Callistratus, Dig, 48,19,28.345 Herod. 1,128; Thuc., 1,110,3.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
163
Cartaginesi. Da Cartagine, la crocifissione venne importata a Roma,
dove veniva inflitta ai grandi criminali: ladri sacrileghi, disertori e,
soprattutto, rivoltosi e rei di alto tradimento346.
Nelle province romane, questa pena era uno dei mezzi principali
per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza e, specialmente la
storia dell’inquieta provincia di Giudea, conobbe innumerevoli
esecuzioni di questo genere: intorno al 46 d. C., il procuratore Tiberio
Alessandro, ebreo rinnegato e nipote del celebre filosofo Filone, fece
crocifiggere entrambi i figli (Giacomo e Simone) di Giuda Galileo,
capo di bande partigiane347; Ummidio Quadrato, governatore di Siria
intorno al 52-53 d. c., mise in croce tutti i sobillatori fatti prigionieri in
Samaria dal procuratore Cumano348; Giuseppe Flavio definisce
innumerevole la quantità degli insorti che il procuratore Felice inviò
sulla croce durante la sua procura dal 52 al 60 d.C.349, mentre l’ultimo
procuratore, Gessio Floro (64-66), inflisse questa pena persino a
cavalieri romani di origine giudaica350.
Durante l’assedio di Gerusalemme, cinquecento e più ebrei prigionieri
vennero giornalmente crocifissi in tutte le posizioni possibili dinanzi
alla città, tanto che, alla fine, vennero a mancare il legno per le croci e
lo spazio per innalzarle351.
346 D. 48,13,6. 347 Ios. Flav., Ant. 20,5,2. 348 Ios. Flav., Bell. 2,12,6. 349 Ios. Flav., Bell. 2,13,2, Ant. 20,6,2. 350 Ios. Flav., Bell. 2,14,9. 351 Ios. Flav., Bell. 5,11,1.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
164
Ai cittadini romani, questa pena infamante non poteva essere
inflitta352, ma ben spesso, specialmente all’epoca della decadenza
dell’impero, accadeva che governatori tirannici non si curassero del
divieto, come dimostra l’esempio di Gessio Floro oppure ancor prima,
in età repubblicana, quello ben noto del famigerato Verre, che, da
governatore di Sicilia, fece crocifiggere in riva allo stretto di Messina,
un cittadino romano con lo sguardo rivolto alla costa italiana, a
dimostrargli, con raffinata crudeltà, l’inutilità della sua cittadinanza.
Il diritto penale ebraico non conosceva la crocifissione: l’affissione
al palo, che secondo il diritto ebraico veniva applicata agli idolatri ed
ai bestemmiatori dopo la lapidazione, non era una pena di morte, ma
una pena addizionale, inflitta dopo che la morte era già sopravvenuta e
che doveva servire solo a bollare il giustiziato coma maledetto da Dio,
secondo Deut. 21,23: “Chiunque venga appeso al palo, è maledetto da
Dio”. L’ebraismo estese questa parola anche ai crocifissi; dunque, se
la crocifissione già agli occhi del mondo pagano era la pena di morte
più ignominiosa e disonorevole, per gli Ebrei dell’epoca di Gesù, chi
veniva crocifisso era per di più considerato anche maledetto da Dio.
Questa particolare concezione religiosa, deve essere presa in
considerazione, al fine di capire perché mai gli Ebrei esigessero per
Gesù proprio la morte sulla croce.
La crocifissione veniva eseguita in vari modi, secondo le
circostanze ed anche secondo il capriccio dei carnefici. L’opinione
molto diffusa, secondo cui il condannato sarebbe stato fissato sulla
352 Cic., In Verrem II 5,62,162-165; cfr. Cantarella, 1999, pag. 214.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
165
croce già pronta, è certamente inesatta. Il procedimento era il
seguente: il condannato veniva spogliato e dopo inflitta la
flagellazione - che nel caso di Gesù era già avvenuta - veniva
inchiodato con le braccia aperte, steso a terra, al legno trasversale che
egli stesso aveva dovuto portare sino al luogo del supplizio353. La
traversa veniva poi issata con il corpo ed assicurata al palo infisso
verticalmente nel terreno, e sul palo venivano poi inchiodati i piedi.
Un ceppo di legno, fissato circa a metà del palo, sosteneva il corpo
stesso; i resoconti antichi non parlano di un sostegno per i piedi, il
cosiddetto sedile.
La croce formata dal palo verticale, detto stipes, e dalla traversa,
detta patibulum, aveva la forma di una T (crux commissa) oppure di
un + (crux immissa o capitata)354
.
L’altezza della croce variava: per lo più, superava di poco l’altezza
di un uomo, così che i piedi del crocifisso quasi toccavano terra; sotto
Domiziano, la fine del famigerato bandito Laureolo, che era caduto
vittima delle belve, fu rappresentata nell’anfiteatro col far sbranare da
un orso un condannato appeso ad una vera croce355; tra le strane
passioni di Nerone, v’era quella di avvolgersi nella pelle d’una belva e
così aggredire e tormentare crudelmente persone crocifisse356. In
entrambi questi casi, la croce doveva essere bassa. Talvolta, però, per
qualche motivo speciale - sia per impedire una morte rapida provocata
dalle bestie, sia perché il delinquente fosse visibile il più lontano
353 Artemid., Oneir. 2,56. 354 Blinzler, 1966, pp. 330-332; cfr Cantarella, 1999, pag. 215. 355 Mart., Spectac. 7. 356 Suet., Nero. 29.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
166
possibile - si sceglieva una croce alta, detta sublimis; così, Cesare
Galba in Ispana, fece affiggere un assassino condannato a morte, il
quale si era appellato alla propria cittadinanza romana, ad una croce
particolarmente alta e dipinta di bianco357. Anche la croce di Gesù
dev’essere stata più alta del normale, poiché il soldato gli tese la
spugna della pozione, non con la mano, ma con una canna358. Si può,
dunque, dedurre che i piedi venissero a trovarsi circa ad un metro dal
suolo. Così si comprende anche l’apostrofe scherzevole dei sommi
sacerdoti che stavano ai piedi della croce: “Che dunque scenda adesso
dalla croce!”359; in ogni modo, Gesù fu veramente, come aveva
preannunciato, “innalzato” in croce360.
Il condannato veniva assicurato alla croce, a volte con corde, a
volte con chiodi, talora con entrambi361. Che Gesù fosse inchiodato, si
ricava dai racconti della Risurrezione, secondo i quali Gesù mostrò
agli Apostoli, i segni dei chiodi sulle sue mani362. Anche i piedi furono
inchiodati e, precisamente, ognuno separatamente363. Le sofferenze
fisiche erano, in tal caso, maggiori che non per le corde, ma di regola
duravano meno, perché la morte veniva accelerata dalla maggior
perdita di sangue. Se, a quanto dicono antiche testimonianze, alcuni
357 Suet., Galba 9. 358 Mc. 15,36. 359 Mc. 15,32. 360 Io. 3,14; 8,28; 12,32-34. 361 Sull’essenzialità e tipicità dell’uso dei chiodi, si veda Cantarella, 1999, pp. 220-222. 362 Sul dibattito concernente “Le mani o i polsi?”, si veda Cantarella, 1999, pp. 222-223. 363 Sul dibattito concernente lo stipes: “uno o due chiodi per i piedi?”, si veda Cantarella, 1999, pp. 223-225.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
167
crocifissi a volte morivano solo dopo qualche giorno, si trattava senza
dubbio, di condannati avvinti alla croce con le corde364.
Se per qualche ragione si voleva accelerare la morte di un
crocifisso, gli si spezzavano gli arti inferiori con sbarre di ferro: il
cosiddetto crurifragium365
.
VIII.2. La “passeggiata ignominiosa”; il vituperio e la
morte in croce di Gesù.
Gli avvenimenti intercorsi tra la condanna e la morte di Gesù, nella
misura in cui sono rilevanti ai fini di un giudizio sul processo, si
presentano, in base ai racconti evangelici ed a testimonianze unanimi
extrabibliche, come segue: dal pretorio, cioè dal palazzo di Erode,
Gesù, insieme a due altri condannati, fu condotto dal drappello di
esecuzione, al luogo del supplizio. Secondo il costume ebraico e
romano, le esecuzioni avevano luogo fuori dall’abitato366; il posto in
cui Gesù fu crocifisso, si trovava oltre le mura, ma vicino ad esse367 e
si chiamava Golgotha = Cranio; si trattava di un luogo che,
evidentemente, da lontano rammentava un cranio, dunque, di una
collina o di una roccia tondeggiante e nuda. La maggior parte degli
archeologi ammette che questo luogo si trovi entro l’odierna chiesa
del Santo Sepolcro. Sin laggiù, dunque, Gesù doveva portare la sua 364 Blinzler, 1966, pag. 332. 365 Mommsen, 1899, pag. 920; cfr. Cantarella, 1999, pag. 225. 366 Lev. 24,14; Num. 15,35; Bell. 4,6; Plaut., Miles glor. II 4; cfr. Cantarella, 1999, pag. 215. 367 Io. 19,20.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
168
croce, cioè la trave trasversale, il patibulum368
; e lo fece per un tratto
effettivamente, ma ben presto, i soldati costrinsero un uomo che
sopraggiungeva dalla campagna, un certo Simone di Cirene, a togliere
a Gesù quel carico ed a portarlo sino al luogo dell’esecuzione369. Se ne
deduce che Gesù era già troppo indebolito dalla flagellazione patita,
per poter trascinare Egli stesso il legno.
Sulla via del patibolo, il delinquente recava appeso sulle spalle, un
cartello, una tavoletta imbiancata a calce, il titulus, sulla quale era
iscritta la causa poenae, la motivazione della condanna, poiché chi
assisteva all’esecuzione, doveva sapere da quali comportamenti
astenersi, se voleva evitare una sorte analoga370. Sotto Marco Aurelio,
un cristiano di nome Attalo, venne condotto intorno per l’anfiteatro di
Lione, con una tavola recante le parole latine: “Hic est Attalus
christianus”371
: la colpa di quell’uomo consisteva, dunque,
nell’essersi confessato cristiano. Se l’esecuzione avveniva per croce, il
cartello con l’iscrizione della colpa, alla fine dell’esecuzione, veniva
fissato bene in vista, sulla croce stessa.
Nel caso di Gesù, il cartello fissato sulla croce, portava, in lettere
nere o rosse su un fondo bianco, l’iscrizione: “Gesù di Nazareth, re
degli Ebrei”372. Affinché fosse intesa dal maggior numero possibile di
persone, quest’iscrizione era redatta in tre lingue: aramaico, latino e
greco373. Il testo di ques’ultima era opera di Pilato, il quale voleva
368 Cantarella, 1999, pag. 217. 369 Mc. 15,21. 370 Suet., Calig. 32; Dio Cass. 54,3,7; cfr. Cantarella, 1999, pag. 217.371 Eus., Hist. Eccl. V 1,44.372 Io. 19,19. 373 Io. 19,20.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
169
irritare gli Ebrei, mediante la maligna redazione dei motivi di
condanna; ed, infatti, essi ne furono immediatamente urtati: i sommi
sacerdoti si presentarono al procuratore per ottenere che al posto di “re
degli Ebrei”, si facesse scrivere “Egli ha detto: Io sono il re degli
Ebrei”. Ma, stavolta, il Romano fu inflessibile: con un laconico “quel
che ho scritto, ho scritto”, egli congedò i postulanti374.
E così, con la carne a brandelli, il patibulum sulle spalle ed il
titulus al collo, il condannato compiva la “passeggiata ignominiosa”,
che lo conduceva al luogo dell’esecuzione375.
Al pari della flagellazione, anche la passeggiata ignominiosa
poteva essere, sia una pena autonoma, sia una pena accessoria alla
sentenza capitale. Come dice il nome con cui viene indicata, essa
consisteva in un percorso che il condannato era costretto a compiere
attraverso la città, esposto allo sguardo dei concittadini ed alla
vergogna che ne derivava. Ma, nel caso di Cristo, avvenne un fatto
straordinario: se era abituale, o quantomeno se poteva accadere, che i
condannati fossero accompagnati al patibolo dal pianto dei parenti più
stretti, la “passeggiata” di Cristo fu seguita da una vera e propria folla
di amici e seguaci: “Lo seguiva gran moltitudine di popolo e di donne
che si lamentavano e lo piangevano”, scrive Luca376.
E’ anche vero che, accanto agli amici, stavano i soldati ed un gran
numero di spettatori, tutt’altro che ben disposti nei suoi confronti377.
Per antica usanza, ai carnefici spettava quanto veniva lasciato dal
374 Io. 19,21. 375 Cantarella, 1999, pag. 218. 376 Lc. 23,27. 377 Cantarella, 1999, pag. 219.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
170
giustiziato (si intendono solo le spolia o pannicularia, cioè ciò che il
giustiziato portava indosso)378. I quattro soldati si spartirono, dunque,
le vesti di Gesù; la sottoveste, il chitone simile ad una camicia, era
tessuto in un sol pezzo e senza cuciture, ragion per cui, i soldati non la
tagliarono in quattro, ma la tirarono a sorte.
Una parte di tale folla, tra cui soprattutto membri del Sinedrio, si
diffuse in sarcasmi spietati sul Messia, appeso impotente in croce; si
alluse anche ironicamente alla frase di Gesù sul Tempio, di cui si era
discusso nel processo ebraico: “Eh! Tu che distruggi il Tempio di Dio,
ed in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso e scendi dalla croce!379.
Secondo Luca, anche i soldati ed uno dei ladroni, compagni di
crocifissione, si unirono agli scherni.
Secondo la tradizione talmudica380, donne rispettate di
Gerusalemme usavano dare ai condannati a morte, prima
dell’esecuzione, una bevanda stupefacente per renderli meno sensibili
alle sofferenze; con tale usanza caritatevole, esse si attenevano alla
parola dell’Antico Testamento: “Date una bevanda inebriante a colui
che è votato alla morte”381. Anche a Gesù, giunto sul Golgotha, venne
offerto - probabilmente da donne ebree e non dai soldati romani,
trattandosi di costume ebraico - un narcotico, nella fattispecie, vino
misto a mirra382, ma Egli lo rifiutò: voleva soffrire in piena coscienza i
tormenti che lo attendevano.
378 Blinzler, 1966, pag. 337. 379 Mc. 15,29. 380 Sanh. 43a. 381 Prov. 31,6. 382 Mc. 15,23.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
171
Gli Evangelisti non ci descrivono il comportamento di Gesù
durante le sofferenze della morte; questo è solo accennato nelle notizie
sulle estreme parole del crocifisso383. Secondo Marco e Matteo, Gesù
immediatamente prima di spirare pronunciò ad alta voce, le
sconvolgenti parole di preghiera del Salmo 22: “Eloi, Eloi! Lama
sabachthani?”- Mio Dio, mio Dio! Perché mi hai abbandonato?384. L’
attimo della morte fu, poi, preceduto da un grido inarticolato385. Luca
tramanda tre frasi di Gesù sofferente sulla croce: l’intercessione per i
suoi carnefici, formulata durante o subito dopo la crocifissione:
“Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno”; la promessa
al ladrone pentito: “In verità ti dico, oggi sarai con me in Paradiso”, ed
il grido della morte: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio Spirito!”386.
Secondo Giovanni, Gesù, dall’alto della croce, affidò l’uno all’altro
sua madre ed il discepolo prediletto; più tardi chiese da bere: “Ho
sete!” e, dopo che fu porta la spugna imbevuta di poska,
immediatamente prima di esalare lo Spirito, gridò: “Tutto è
compiuto!”387. L’esegesi tradizionale giustappone tutte queste
espressioni tramandateci, mettendo insieme così le sette ultime parole
del Cristo in croce.
Quel che è chiaro, è che Gesù restò pienamente cosciente sino
all’ultimo e che i pensieri del morente erano rivolti al Padre celeste.
Durante l’ora nona, poco dopo le tre, Gesù rese lo Spirito388.
383 Blinzler, 1966, pp. 339-340. 384 Cantarella, 1999, pag. 226. 385 Mc. 15,34-37. 386 Lc. 23,34-46. 387 Io. 19,26. 388 Mc. 15,34-37.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
172
Il medico Pierluigi Baima Bollone sostiene che la morte di Gesù fu
dovuta ad una pluralità di fattori, tra cui la fatica, il dolore, lo shock e
la disidratazione, a cui si sovrappongono l’asfissia meccanica da
crocifissione ed, alla fine, un’ischemia cardiaca terminale, del tutto
attendibile in un soggetto lungamente provato, disidratato e, quindi, in
una situazione di sangue iperdenso, iperviscoso e povero o privo di
ossigeno. Proprio un episodio ischemico di questo genere, provoca
facilmente un’intensissimo dolore, un grido ed una morte, quali quelli
descritti nei Vangeli389.
Questa morte senza precedenti (Matteo e Luca enumerano
espressamente anche i prodigi naturali che la seguirono, poiché anche
il creato era in lutto: eclisse di sole e terremoto390), fece sul centurione
romano, che stava di fronte al crocifisso a sorvegliare l’esecuzione (e
poteva perciò seguire esattamente tutte le fasi del dramma),
un’impressione così travolgente che egli esclamò: “Veramente
quest’Uomo era figlio di Dio!”391. Tali parole costituiscono il primo
giudizio emesso, dopo la conclusione del processo, sul processo
stesso, da parte non interessata: furono una solenne dichiarazione
dell’innocenza del giustiziato e, come tali, un solenne “J’accuse”
contro i suoi giudici.
389 Baima Bollone, 2003, pp. 56-70. 390 Mt. 27,54; Lc. 23,47. 391 Mc. 15,39.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
173
VIII.3. Il crurifragium e la sepoltura.
Data l’importanza che gli Ebrei annettevano alla sepoltura, non
desta meraviglia il fatto che la prima iniziativa per l’allontanamento
dei tre crocifissi dal Golgotha sia venuto da parte giudaica.
L’Evangelista Giovanni, il quale solo ce ne dà notizia, sottolinea
l’urgenza di tale misura, accennando che il sabato (dunque, il primo
giorno della festa di Pasqua, che al calar del sole stava per iniziare),
era “un grande sabato”392. Egli vuol dire che, secondo Deut. 21,23, si
temeva una “contaminazione del paese” per i cadaveri lasciati esposti
la notte; ciò che, in certi casi, avrebbe escluso parecchi Ebrei dalla
partecipazione alla festa rituale.
Gli Ebrei, cioè verosimilmente alcuni membri del Sinedrio,
presentarono, perciò, richiesta al procuratore di far eseguire sui tre
condannati, il crurifragium393
, affinché le tre salme potessero poi
essere asportate. Pilato non aveva alcun motivo per respingere la
domanda, perciò i soldati romani andarono ed uccisero entrambi i
ladroni, crocifissi insieme a Gesù, fracassando loro, con clave di ferro,
le ossa delle gambe. Ma, per Gesù, essi vi rinunciarono, avendo
constatato che era già spirato. Tuttavia, per essere più sicuri che Egli
non venisse, eventualmente, deposto dalla croce, avendo in sé ancora
una scintilla di vita, uno di essi lo trafisse vicino al cuore, con una
392 Io. 19,31. 393 Mommsen, 1899, pag. 920; cfr. Cantarella, 1999, pag. 225.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
174
lancia. La fuoriuscita di sangue ed acqua gli dimostrò che la morte era
davvero sopraggiunta394.
Secondo la concorde testimonianza dei quattro evangelisti, la
deposizione di Gesù dalla croce e la sua inumazione, furono intraprese
da un certo Giuseppe d’Arimatrea395. Di solito, quest’operazione
spettava ai parenti ed amici intimi, ma dei parenti, all’infuori di sua
madre, si trovavano allora in Gerusalemme, al massimo i “fratelli” di
Gesù ed, evidentemente, questi, proprio come gli Apostoli ed i
discepoli, ad eccezione di Giovanni, si tennero nascosti per paura396.
In questa situazione, c’era bisogno di un uomo cui non mancassero
decisione, coraggio ed influenza: Giuseppe d’Arimatrea rispondeva a
questi requisiti. Egli era membro del Sinedrio ed, inoltre, era un Ebreo
pio, in nostalgica attesa del tempo della salvezza e persino un
discepolo di Gesù, che, per verità, teneva segreta questa sua qualità
per timore degli Ebrei. Giuseppe si decise a richiedere al procuratore
romano il cadavere di Gesù, per potergli rendere gli estremi onori397.
Questa richiesta costituiva un rischio, perché sarebbe stata per forza
considerata come un’adesione alla idee del condannato-giustiziato; ma
Pilato la accolse egualmente di buon grado, mostrandosi solo sorpreso
della morte relativamente rapida di Gesù, facendo poi mettere a
disposizione la salma398. Giuseppe non agiva da solo, infatti, viene
menzionata espressamente la partecipazione di un altro membro del
394 Io. 19,32-34. 395 Mc. 15,42-46: Mt. 27,57-60; Lc. 23,50-53; Io. 19,38-42; cfr. Cantarella, 1999, pag. 226. 396 Mc. 14,50. 397 Cantarella, 1999, pag. 227. 398 Io. 19,38.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
175
Consiglio, Nicodemo, il quale portò una mistura di mirra ed aloe di
circa cento libbre ( kg. 32,7).
Dopo che il corpo di Gesù fu avvolto in panni di lino freschi, lo si
portò nel sepolcro, che, come i Sinottici ci riferiscono, era scavato in
una roccia. Il morto venne disposto su di un banco di pietra o in
un’arca di pietra e l’entrata, per metterlo al sicuro dagli animali, fu
chiusa con un grosso masso. La tomba di Gesù era nuova e non aveva,
sino ad allora, accolto alcun cadavere. Giovanni, che annetteva tanta
importanza al fatto che vita, passione e morte di Gesù si svolgessero
secondo un piano divino eterno, esprime qui questa convinzione: se
Gesù non è stato sepolto nel cimitero dei delinquenti, in una località
più discosta dalla città, ma in un dignitoso sepolcro particolare, ciò
avvenne per decreto di Dio, che aveva stabilito in modo adeguato, il
giorno e l’ora della sua morte, così, per altro, adempiendosi la
profezia di Isaia 53,9: “Gli avevano assegnato la sepoltura con gli
empi, ma alla sua morte fu posto col ricco, perché non aveva
commesso alcuna violenza e non c’era stato alcun inganno nella sua
bocca”. La ristrettezza di tempo spiega anche perché gli Ebrei non
sollevarono obiezioni contro la deposizione di Gesù in una tomba di
tutto rispetto.
Poiché, secondo le leggi del tempo, la consegna del cadavere di un
giustiziato per lesa maestà e la sua dignitosa sepoltura non erano
affatto la regola, specialmente allorché la richiesta non proveniva da
un parente, questa circostanza conferma in pieno il quadro che di
Pilato ci danno gli Evangelisti: soltanto se è esatto che Pilato non
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
176
considerava Gesù un delinquente politico e che ne aveva pronunciato
la condanna a malincuore, si spiega che egli abbia consentito alla
riconsegna del cadavere, senza porre alcuna condizione o
imposizione399.
Finisce così la storia del processo e condanna a morte di Gesù ed
inizia quella delle conseguenze di essi e delle relative ripercussioni
giuridiche, politiche e sociali.
399 Blinzler, 1966, pag. 359.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
177
Appendice I
La condanna a morte di Gesù:
Colpa dei Romani o degli Ebrei?
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
178
I.1. La critica di Lietzmann e di Cohn alla ricostruzione
“tradizionale” del processo.
Contro la ricostruzione del processo che potremmo definire
“tradizionale”, sono state mosse numerose obiezioni; quest’ultime
muovono tutte dalla constatazione inoppugnabile che Gesù è stato
messo a morte dai Romani, non dai Giudei, e riguardano non il
processo davanti a Pilato, la cui realtà - presupposto giuridico
essenziale della condanna alla crocifissione - non viene messa in
dubbio da nessuno (quella che eventualmente può essere messa in
dubbio, e lo è stata più volte, è soltanto la sua natura formale di
processo), ma il processo davanti al Sinedrio giudaico. Fu Juster400,
nel 1914, a sostenere per primo che, poiché il Sinedrio al tempo di
Gesù aveva ancora il potere di condannare a morte, se Gesù non fu
lapidato, ma crocifisso, sono stati evidentemente i Romani, non i
Giudei a processarlo e condannarlo; la narrazione del processo davanti
al Sinedrio, da parte di Marco, sarebbe, dunque, assai poco credibile.
Da allora, molte altre obiezioni sono state avanzate contro il
racconto di Marco; le più forti rimangono ancor oggi, quelle poste
dallo storico berlinese della chiesa antica Hans Lietzmann, nell’ormai
lontano 1931401, ma riprese più volte ed in vario modo, soprattutto da
una storiografia ebraica “comprensibilmente desiderosa di scagionare
le autorità giudaiche dalla responsabilità primaria della morte di
400 Juster, 1914, pag. 102. 401 Lietzmann, 1931, pp. 313-322.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
179
Gesù”, così scrive - con mia piena condivisione - Giorgio Jossa402. Tra
gli esponenti di questo indirizzo storiografico, ricordiamo Winter, che
si basa su un’analisi accuratissima - ma troppo rigida e radicale - dei
testi evangelici, dal punto di vista esclusivo della storia delle forme, e
sulla sua scia, più di recente, Chaim Cohn403, il quale si rifà ad un
largo - e senz’altro discutibile - riferimento alla letteratura rabbinica
ed alle sue regole procedurali, ma, come affermato da Remo Martini,
dando l’impressione di discutere di processo romano, senza
un’adeguata conoscenza dei vari sistemi processuali, che oltretutto si
susseguirono nel corso del tempo404.
Siffatte obiezioni sono, sostanzialmente, quattro: anzitutto, si rileva
che al processo di Gesù davanti al Sinedrio, non ha assistito alcuno dei
suoi discepoli. Come Marco stesso deve ammettere, solo Pietro ha
seguito il Maestro nella casa del sommo sacerdote, rimanendo, però,
in cortile con i servi, ma nessun discepolo ha visto e sentito quel che
succedeva all’interno del Sinedrio. Il racconto di Marco non potrebbe,
quindi, ritenersi attendibile, perché non poggia su una testimonianza
oculare o auricolare.
La seconda obiezione poggia sulla considerazione che il testo in
esame405è incastonato in quello del rinnegamento di Pietro. Sembra,
dunque, suggerire un’inserzione successiva da parte dell’Evangelista;
questo carattere “redazionale” del testo, toglierebbe credibilità alla sua
402 Jossa, 2002, pag. 63. 403 Cohn, 1997, pp. 147-160; per le tesi di Cohn, si vedano §I.2; §I.3. 404 Martini, 2003, pag. 543 ss; cfr. Jossa, 2002, pag. 72. 405 Mc.14,55-65.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
180
narrazione, che non appare fondata su una tradizione storica vicina
agli avvenimenti406.
Altra obiezione è che Mc.15,1 accenna ad una riunione mattutina
del Sinedrio, in cui si doveva solo decidere la consegna di Gesù ai
Romani e che non presenta, quindi, il carattere di procedimento
giudiziario, rispetto a cui, quella notturna narrata in Mc.14,55-65,
appare come un doppione. Ciò confermerebbe il carattere di
inserzione tardiva del racconto precedente del processo, che potrebbe
essersi sviluppato a partire, appunto, da questa scarna notizia, fornita
dalla tradizione.
Infine, più importante di tutto, non sarebbe vero (come sostenuto
da Juster407) che all’epoca del processo contro Gesù (circa il 30 d.C.),
il Sinedrio non aveva più il potere di mettere a morte408. Molti
elementi (primi tra tutti, l’uccisione del cristiano “ellenista” Stefano
per ordine del Sinedrio, narrata da Luca negli Atti degli Apostoli409, ed
il privilegio concesso ai Giudei dai Romani di uccidere lo straniero
che oltrepassasse le barriere del Tempio), provano il contrario. Se,
quindi, i sinedriti avessero veramente processato e condannato Gesù,
come vuole Marco, non lo avrebbero consegnato al prefetto romano,
per la crocifissione, ma lo avrebbero messo a morte essi stessi (con la
pena della lapidazione).
Ciascuna di queste obiezioni è apparsa confutabile: che i discepoli
di Gesù non abbiano assistito al processo davanti al Sinedrio, anche se
406 Jossa, 2002, pag. 64. 407 Juster, 1914, pag. 113. 408 Jossa, 2002, pag. 64. 409 Act.7,54.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
181
vero, è probante, giacché ben avrebbero potuto informarsi,
sicuramente conoscendo qualcuno dei sinedriti (si ricorda il già
menzionato Giuseppe d’Arimatrea); per loro, era troppo importante
sapere come si erano svolti realmente gli avvenimenti, perché non
facessero ogni sforzo in questo senso.
La seconda obiezione non ha maggior valore: che il racconto del
processo davanti al Sinedrio sia incorniciato da quello del
rinnegamento di Pietro, non vuole dire che costituisca un’inserzione
tardiva. L’incastro degli episodi trasmessi dalla tradizione appartiene
alla tecnica letteraria di Marco, il quale spesso interrompe una
narrazione per inserirne un’altra, volendo evidentemente contrapporre,
con questa tecnica compositiva ed in quella sede, la debolezza di
Pietro alla forza di Gesù. Se di un episodio si volesse contestare la
storicità, questo sarebbe, in effetti, il rinnegamento di Pietro, non il
processo di Gesù. Ma non c’è motivo di negare la realtà di nessuno dei
due fatti410.
Le altre due obiezioni, anche se più rilevanti, neppure sembrano
molto fondate. Non è vero, infatti, che Mc.15,1 faccia apparire
Mc.14,55-65, come un doppione e confermi, quindi, il carattere di
inserzione tardiva del racconto del processo. Nella sua forma attuale,
il passo di Marco non parla, infatti, di un’altra riunione del Sinedrio,
ma soltanto dell’esito di quella notturna. Secondo Jossa, l’espressione
del Vangelo va tradotta, non “tenuto consiglio”, ma “preparata una
410 Jossa, 2002, pag. 65.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
182
decisione”, “approntata una delibera”411. Dunque, per Marco, si tratta
della conclusione del processo tenuto dai sinedriti nel corso della notte
e protrattosi fino all’alba. Certo, con quell’ “E subito”, la sutura con il
brano precedente appare molto labile e tipicamente marciana. Rivela,
quindi, la mano dell’Evangelista: Marco vuole riprendere il filo del
racconto, interrotto col rinnegamento di Pietro. Dunque, non è detto
che il racconto del processo notturno sia stato costruito da Marco sulla
base di un’interpretazione erronea dei dati della tradizione, bensì
significa soltanto che Marco ha dato unità e continuità ad episodi che
potevano avere in origine (cioè nella tradizione raccolta da Marco),
natura e collocazione diverse. Una maggior distinzione tra una fase
istruttoria, condotta personalmente dal sommo sacerdote Anna nella
sua abitazione, ed una fase propriamente processuale, dinanzi a “tutto
il Sinedrio” e nel suo luogo abituale di riunione (che dovrebbe essere
comunque sempre nel palazzo di Caifa, nella città alta), è certamente
possibile, ma non cambia la sostanza della cose, perché almeno da
Mc.14,60 (cioè la prima domanda del sommo sacerdote, fatta da Caifa,
levandosi “in mezzo” all’assemblea, quindi, evidentemente nel
Sinedrio disposto in circolo, come prescrive la Mishnà per i
procedimenti dinanzi alla corte rabbinica di giustizia e come doveva
essere regola per il Sinedrio già al tempo di Gesù), si evince che
quello è stato di certo un processo (che si conclude per lui, con un
giudizio di condanna).
411 Jossa, 2002, pag. 66.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
183
L’obiezione più seria (ma, in realtà, neppure essa decisiva) rimane
quella relativa ai poteri giudiziari del Sinedrio giudaico nel periodo
della dominazione diretta dei Romani, quindi, dal 6 al 66 d.C., (già in
parte trattata al capitolo I ). In effetti, l’incompetenza del Sinedrio di
Gerusalemme ad emettere, o almeno ad eseguire, sentenze capitali,
non è affermata soltanto da Gv.18,31 (“A noi non è consentito mettere
a morte nessuno”), ma anche da Giuseppe Flavio, il quale, nelle sue
due opere maggiori, scrive che, quando, nel 6 d.C., la Giudea divenne
provincia romana, vi fu mandato da Augusto un procuratore (in realtà
sappiamo dall’iscrizione di Cesarea, che si trattava di un prefetto)
dell’ordine equestre, di nome Coponio, con tutti i poteri, compreso
quello di “mettere a morte412. Questo sembra significare che, con la
riduzione della Giudea a provincia romana, la competenza sui reati
capitali commessi dai sudditi non era più del tribunale locale del
Sinedrio, ma del governatore romano413. E’ vero che l’affermazione di
Giuseppe riguarda soltanto il momento dell’istituzione della nuova
provincia ed i poteri del suo primo prefetto, Coponio, ma non abbiamo
alcun motivo per pensare che le stesse prerogative non siano state
riconosciute anche ai successivi prefetti. Il potere di mettere a morte di
questi magistrati provinciali, non è altro, infatti, che un aspetto di
quell’imperium sui sudditi che essi esercitavano, in quanto governatori
per delega del principe414. Ciò trova conferma in quello che sappiamo
dalle fonti dell’organizzazione normale delle province, dove, se è vero
412 Ios. Flav., Bell. 2,117; Ant. 18,2. 413 Jossa, 2002, pag. 66. 414 Venturini, 1999, pag. 34; Santalucia, 1999, pag. 103.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
184
che i romani usavano lasciare una certa autonomia agli organi locali di
governo, è anche vero che non rinunciavano mai al loro potere di
controllo, riservandosi, in generale, il diritto di condannare a morte. I
pochi casi che si citano in contrario hanno tutti una spiegazione: oltre
al privilegio concesso ai giudei di mettere a morte lo straniero che
oltrepassasse le barriere del Tempio, che non riguarda comunque la
competenza del Sinedrio, ricordiamo l’uccisione di Stefano, il leader
dei cosiddetti ellenisti della comunità primitiva di Gerusalemme, che,
per quello che si può capire dal racconto degli Atti degli Apostoli, non
sembra l’esecuzione di una condanna emessa dal Sinedrio dopo un
regolare processo, ma è, quasi certamente, un caso di giustizia
sommaria da parte della folla.
Ulteriori conferme dell’incompetenza del Sinedrio in materia
capitale provengono invece da altre tre testimonianze, quali il racconto
dell’esecuzione, che ebbe luogo nel 62 approfittando dell’assenza del
governatore romano, di Giacomo, fratello di Gesù, da parte del
Sinedrio, presieduto da Anano415; esecuzione che, secondo Giuseppe
Flavio, provocò le rimostranze dei farisei presso il re Agrippa II ed il
procuratore romano Albino e la destituzione, da parte del re Agrippa,
del sommo sacerdote, perché evidentemente proprio ritenuta illegale;
ancora, l’affermazione del cosiddetto Rotolo del Digiuno, Megillat
Ta’anit (un elenco di giorni particolarmente lieti per i Giudei ed in cui,
perciò, ad Israele è proibito digiunare), secondo cui “il 22 del mese di
Elul, cioè all’inizio della guerra giudaica, si riprese ad uccidere i
415 Ios. Flav., Ant.20,200-203.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
185
malfattori”416, diritto che, quindi, in precedenza i Giudei avevano
evidentemente perduto. Abbiamo, infatti, un’ulteriore testimonianza
documentata del fatto che il Sinedrio del tempo di Gesù non aveva il
diritto di esecuzione capitale: quella del Talmud di Gerusalemme,
secondo cui “40 anni prima della distruzione del Tempio di
Gerusalemme417, il diritto di pronunciare le sentenze capitali è stato
tolto agli israeliti”.
Sembra a questo punto abbastanza debole l’ipotesi del Cohn,
secondo cui il Sinedrio non avrebbe processato Gesù, ma avrebbe
cercato di salvarlo, convincendolo a non manifestare le sue pretese
messianiche, in quanto basata su una sfiducia pregiudiziale
sull’attendibilità dei Vangeli (salvo a valersi spesso, e per particolari
insignificanti, di Giovanni al solo scopo di opporlo a Marco) e sul
ricorso costante alla documentazione rabbinica418. La ratio che
sostiene il Cohn nell’ affermare la tesi della competenza del Sinedrio è
quella di dimostrare che, giacché siffatta corte aveva tutti i presupposti
giuridici per condannare Gesù e non lo ha fatto, allora il suo intento
era quello, per l’appunto, di salvarlo, e da qui, negare la responsabilità
storica degli Ebrei, per addossarla pienamente ai Romani, da lui
definiti, “carnefici”419.
Se le cose stanno così, si rivela esatta la conclusione a cui pervenne
Blinzler nella sua fondamentale monografia, secondo la quale
mancherebbero testimonianze significative ed inoppugnabili in favore
416 Megillat Ta’anit, cap.6. 417 Sanh.1,18a;7,24b. 418 Jossa, 2002, pag. 72. 419 Cohn, 2000, pag. 111.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
186
della libertà di giudizio degli Ebrei, negli ultimi sei decenni del
secondo Tempio. Tutto quanto sappiamo, è una conferma, in parte
sicura, in parte verosimile, della dipendenza del Gran Consiglio dai
Romani, esattamente com’è presupposto dagli Evangeli420.
I.2. Il punto di vista ebraico di Cohn.
Pertanto il lavoro, cui si è fatto richiamo, del Cohn merita qualche
ulteriore approfondimento: si tratta di una ponderata ricerca che si è
venuta ad aggiungere alla già lunga lista di scritti apparsi, anche negli
ultimi decenni, sul processo contro Gesù. In particolare, l’opera di
Cohn rientra nel filone di contributi ispirati alla “comprensibile”
preoccupazione di scagionare il popolo ebraico dalla responsabilità
che, sulla scia dei Vangeli, gli è stata storicamente addossata per
quella condanna a morte e per quella crocifissione. Autorevole
magistrato ebraico, Chaim Cohn, recentemente scomparso, giurista e
storico del diritto, pubblicò già nel 1968 una prima monografia in
lingua ebraica, cui seguì, tre anni dopo, con molti ampliamenti, una
seconda in inglese, di cui, solo nel 2000, è apparsa una versione
italiana, a cura di Gustavo Zagrebelsky, dal titolo “Processo e morte di
Gesù. Un punto di vista ebraico”.
Secondo il Cohn, non ci sarebbe stato alcun processo ebraico, ma
solo un processo promosso e celebrato dai romani per il crimen laesae
420 Blinzler, 1966, pag. 214; cfr. Santalucia, 1999, pp. 98-102.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
187
maiestatis; un processo che si concluse con la condanna a morte di
Gesù, eseguita dai romani stessi. Gli ebrei - capi dei sacerdoti, anziani,
farisei, dottori della legge, gente comune di Gerusalemme - non
svolsero, perché non avrebbero comunque potuto svolgere, alcuna
parte nel processo romano, né per accusare Gesù, né per costringere
Pilato a condannarlo. Di conseguenza, il processo si svolse
regolarmente, come tutti i processi romani di allora, nei quali era in
gioco la vita di un uomo sospetto di sedizione nei confronti
dell’autorità costituita. Il Sinedrio, riunito la notte precedente nella
casa del sommo sacerdote, convocato in modo del tutto inusuale, per
uno scopo altrettanto straordinario e non di natura giudiziaria, svolse
in extremis il tentativo di convincere Gesù - contro il quale non aveva
motivi e, meno che mai, motivi mortali di inimicizia - ad abbandonare
le sue rivendicazioni messianiche, al fine di rendere difendibile la sua
posizione, altrimenti irrimediabilmente compromessa, nel processo
che si sarebbe celebrato la mattina seguente, davanti al governatore
romano421.
Zagrebelsky scrive422che tali conclusioni, ad apprenderle così, sono
sorprendenti; trova applicazione il metodo, definito da Christian
Wiese (autore della Postfazione) della contestualizzazione, consistente
nell’incentrare l’analisi dei materiali di informazione storica sulla loro
attendibilità, alla luce dell’ambiente culturale, religioso e politico nel
quale e per il quale i Vangeli sono stati scritti e sulle finalità che
muovevano gli Evangelisti. Qui, l’uso che se ne fa è radicale, più che
421 Zagrebelsky, 2000, pp. XIV-XV. 422 Zagrebelsky, 2000, pp. XV-XVI.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
188
meramente interpretativo - come usato dagli autori che accettano la
veridicità delle fonti evangeliche - e porta a rigettare, come prive di
attendibilità sul piano storico, quelle tradizioni che, nel contesto in cui
sono venute a formarsi, appaiono dettate da cause o da fini esterni e
sopravvenuti, che alterano il carattere dei Vangeli come
documentazione storicamente attendibile. In questo modo, vengono
ritenute prive di fondamento storico, e quindi accantonate, le notizie
che si dimostrano essere proiezioni retrospettive di norme ed usi
giudiziari seguiti al tempo e nei luoghi in cui gli Evangelisti
scrivevano, ma non al tempo e nel luogo in cui gli avvenimenti si
svolsero. Si passano al setaccio, con particolare severità, da un lato, i
passi evangelici in cui si manifesta un pregiudiziale atteggiamento
antiebraico, che in Gesù, certamente non esisteva - atteggiamento
attribuito alle prime esigenze fondative di un’identità cristiana
alternativa all’ebraismo - e, dall’altro, quelli in cui traspare l’esigenza
politica delle prime comunità cristiane, nel mondo romano, di
alleggerire, o negare - colpevolizzando gli Ebrei - le responsabilità di
Pilato, nella messa a morte del fondatore della loro fede.
Questo è talora un modo di procedere sul filo del rasoio, che
potrebbe portare in sé il rischio di scartare ingiustificatamente
elementi della narrazione evangelica, sulla base di una sorta di petitio
principii: il loro contenuto antiebraico potrebbe, infatti, essere effetto,
ma anche causa della nuova fede. Su questo piano, la tesi espressa con
grande nettezza da Cohn - che, per la verità, anche nell’intenzione,
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
189
resa palese dal titolo apposto alla seconda parte del libro (Che cosa
potrebbe effettivamente essere accaduto) - è piuttosto solo un’ipotesi!
I rapporti tra ebraismo e cristianesimo possono uscirne trasformati,
ma non è dato sapere come: se con esiti amichevoli o nuovamente
ostili tra le due religioni. Nel mondo ebraico è prevalente la tesi che
l’ebraismo basti a se stesso, che non ci sia bisogno del cristianesimo
affinché esso sappia chi è; ma non si potrebbe escludere che si
verifichi una “riappropriazione” ebraica, che, a sua volta, comporti
un’espropriazione alla rovescia, attraverso il trasferimento integrale
della figura e della predicazione di Gesù, dal campo cristiano, al
campo ebraico. Tale libro, come non deve togliere validità alle
proposizioni della fede cristiana sul piano che è loro proprio, così non
attribuisce un plusvalore alla contestazione di esse che provenga dal
mondo ebraico e se accadesse di dover ammettere che le sue rationes
siano irrinunciabili, non ci sarebbe altro da fare che concludere per il
suo carattere inesorabilmente anti-cristiano.
La conclusione cui giunge Zagrebelsky è quella secondo cui
l’unica cosa che davvero rileva è andare continuamente ridefinendosi
alla luce della verità che si assume di possedere e da cui ci si sente
posseduti. In questo procedere, la storia non assegna parti di vincitore
e di vinto, perché c’è sempre e solo un posto per una figura che
appartiene ad un mondo completamente diverso: quella di chi
continuamente si interroga e si mette in discussione. E se si vuole che
ciò valga per il mondo cristiano, allora deve valere, altrettanto, per
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
190
quello ebraico, alla luce di quanto stupendamente dice il Salmo 62: “
Una parola ha detto l’Eterno, due ne ho udite”423.
I.3. Confutazione delle tesi di Cohn.
Nell’accingerci ad una valutazione critica dei risultati della ricerca
del Cohn, giova premettere che tale indagine cerca abilmente di
valorizzare il Vangelo di Giovanni rispetto ai Sinottici, al fine di
scagionare il popolo ebraico dalla responsabilità della condanna di
Gesù, giacché in esso non si farebbe alcun cenno al processo davanti
al Sinedrio.
Va anche detto che il Cohn esagera nello sfruttare una singola
espressione greca, spèira, adoperata nel medesimo IV Vangelo a
proposito di coloro che sarebbero venuti ad arrestare Gesù, intesa
secondo uno solo dei suoi possibili significati, quello di coors,
indicante un’unità dell’esercito romano, al fine di ricavare la tesi
secondo la quale l’arresto stesso sarebbe stato eseguito dai Romani, e
ciò in quanto preordinato e voluto dagli stessi; il che sarebbe tanto più
credibile, in quanto, appunto, non potuto nascondere da un
Evangelista, pur così preoccupato di incolpare gli Ebrei.
Partendo da tale assunto, non meraviglia che egli arrivi, addirittura,
ad ipotizzare424che il Sinedrio, avendo avuto soltanto in consegna
423 Zagrebelsky, 2000, pag. XXXII. 424 Cohn, 2000, nt. 66.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
191
provvisoriamente Gesù dai soldati romani, si sarebbe, sì, riunito nella
notte, ma semplicemente per cercare di convincere il medesimo a
trovare il modo di sfuggire alla minaccia che gli proveniva da parte
romana, senza peraltro riuscirci, donde il celebre gesto del sommo
sacerdote che si sarebbe strappato le vesti. Il Cohn, infatti, arriva a
sostenere che la dirigenza ebraica avrebbe avuto un interesse vitale
solo ad una cosa: impedire la crocifissione di un ebreo che godeva
dell’amore e dell’attaccamento del popolo. Per essa era, quindi,
essenziale poter assecondare l’opinione pubblica e convincere il
popolo di non aver avuto la minima parte in tutta la faccenda, ma,
anzi, di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per evitare la tragedia.
L’unica via attraverso la quale il Sinedrio poteva forse impedire che
Gesù fosse condotto a morte, consisteva nell’ottenere un’assoluzione
o una sospensione della pena, sotto riserva della sua buona condotta.
Per arrivare ad una siffatta assoluzione, era necessario convincere
Gesù a non riconoscersi colpevole secondo l’accusa e, quindi, cercare
testimoni che potessero provare la sua innocenza. Quanto alla
sospensione della pena per il caso in cui fosse stato riconosciuto
colpevole, lo si doveva convincere a promettere che non si sarebbe
mai più immischiato in attività che costituivano tradimento. Il
Sinedrio non aveva altre possibilità, poiché Gesù era stato dato in
custodia al sommo sacerdote, solo in base alla promessa che lo si
sarebbe consegnato la mattina dopo per il processo romano. Se Gesù
fosse stato consegnato nelle mani del governatore romano, ciò avrebbe
significato un’ammissione di fallimento da parte del Sinedrio ed il
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
192
riconoscimento della sua incapacità di garantire il diritto e di
mantenere l’ordine425.
Cohn spiega la riunione notturna del Sinedrio, ritenendo che se una
qualsiasi cosa poteva essere fatta per salvarlo, la si doveva fare
immediatamente, perciò bisognava interessarsene anche di notte ed
anche in un giorno di festa. Che venissero, dunque, per favore,
immediatamente; ed essi vennero tutti, immancabilmente426.
Inoltre, secondo Cohn, se il Sinedrio respinse i testimoni come
falsi, era perché mosso dall’intento di salvare Gesù, e quindi dotarlo
dell’accertamento giudiziale della sua innocenza, almeno per
insufficienza ed inammissibilità di prove; ergo: “se il sommo
sacerdote quella notte si tracciò la vesti, fu a causa del dolore di non
riuscire a far comprendere a Gesù, il suo punto di vista e, dunque,
della sua afflizione, poiché Gesù ostentatamente si rifiutava di
collaborare e risolutamente si incamminava verso il suo rovinoso
destino. In realtà, il sommo sacerdote tutto voleva, fuorché una
confessione dell’accusato, desiderando, al contrario, che Gesù
rinunciasse alle sue pretese messianiche o almeno assumesse un
atteggiamento reticente in proposito. Ottenne esattamente l’opposto e
questo fu il motivo del suo dolore. I sinedriti conoscevano il loro
governatore e non si facevano illusioni. Dovendo Gesù comparire
davanti al giudice, poiché non avrebbe abiurato formalmente e
solennemente alle sue rivendicazioni, non c’era alcuna speranza che
scampasse la morte; non in forza di una condanna da parte loro, ma
425 Cohn, 2000, pp. 151-154-155. 426 Cohn, 2000, pp. 156-157.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
193
soltanto sulla base della decisione che il governatore avrebbe preso
contro di lui. Così solo si spiegherebbe il grido improvviso: “E’ reo di
morte!”; esso è la naturale e spontanea reazione alle parole
pronunciate da Gesù, poiché esse suggellavano il suo destino nel
processo imminente, dal quale nessuno scampo sembrava oramai più
fattibile427.
Il Cohn, tra l’altro, non solo mette in dubbio la veridicità storica
della condanna di Gesù da parte del Sinedrio per bestemmia, ma anche
la ricostruzione evangelica del processo svoltosi davanti al
governatore romano, nel quale si sforza di negare ogni coinvolgimento
degli Ebrei.
Lasciando comunque da parte le sue argomentazioni in proposito,
specie per quanto riguarda l’affermazione secondo cui Gesù non
avrebbe pronunciato alcuna “bestemmia secondo la legge ebraica”428,
il Martini429 si ritiene costretto a segnalare come il Cohn dia
l’impressione di discutere di processo romano, senza un’adeguata
conoscenza dei vari sistemi processuali, che oltretutto si susseguirono
nel corso del tempo: pare evidente, infatti, che quando (volendo
escludere che il Sinedrio avesse svolto un interrogatorio “su
commissione dei Romani”), afferma che “nel procedimento penale, il
diritto romano non prevedeva alcun interrogatorio preliminare,
neanche nei giudizi per i delitti capitali”430, e cita in appoggio il
Mommsen, egli non si rende conto che quest’ultimo stava parlando
427 Cohn, 2000, pp. 174-176. 428 Cohn, 2000, pag. 169. 429 Martini, 2003, pag. 545. 430 Cohn, 2000, pag. 146 e nt. 57.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
194
del processo ordinario delle giurie popolari (quaestiones) difficilmente
applicabile in provincia, dove si era andata sviluppando, già con
Augusto, la cd. cognitio extra ordinem, nella quale il governatore non
solo interrogava, ma cercava e valutava le prove e poi condannava o
assolveva l’imputato. Così, egli arriva ad attribuire al Mommsen, un’
opinione erronea al riguardo431.
Lo stesso dicasi di quando il Cohn scrive che un collegio di
accusatori o accusatori plurimi non erano ammessi, basandosi su un
testo di Ulpiano, relativo alle “actiones populares”, che non
riguardavano il processo criminale432; oppure quando egli fa
riferimento alle pene previste per gli accusatori nel caso in cui
quest’ultimi non riuscissero a far condannare gli accusati, trascurando
il fatto che esse erano state introdotte molto più tardi da Costantino433.
Anche più avanti, del resto, il Cohn crede di poter affermare
un’altra regola: quella per cui i governatori avrebbero sempre
giudicato in segreto; uso che, a suo dire, solo nel IV e V secolo gli
imperatori avrebbero cercato di abolire, e ciò in conflitto esplicito con
l’interpretazione mommseniana secondo cui, come sembra oramai
certo, quegli imperatori avevano semplicemente ribadito il principio
della trattazione pubblica dei processi, o meglio, si potrebbe dire con
Santalucia, avevano cercato di limitare l’abbandono del medesimo
principio nella prassi del tardo impero434.
431 Cohn, 2000, pag. 147 e nt. 59. 432 Cohn, 2000, pag. 147 e nt. 61. 433 Cohn, 2000, pag. 148 e nt. 63. 434 Mommsen, 1889, pag. 259; Santalucia, 1991, pag. 283.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
195
Pur dovendosi rinunciare ad ogni discussione incentrata sulle fonti
talmudiche, riteniamo di dover segnalare l’importanza del testo di una
barayta - cioè gli insegnamenti e dicta del periodo mishnadico che non
furono inclusi nella Mishnà, della metà del II sec. d.C., dallo stesso
Cohn menzionato435 - contenente per lo meno il ricordo, ancorché
generico ed ambiguo, di un “Gesù (il nazareno), che, avendo traviato e
sedotto Israele, venne appeso la vigilia di Pasqua”. Di esso il Cohn
cerca, naturalmente, di sbarazzarsi, perché potrebbe implicare
un’esecuzione di Gesù da parte degli Ebrei.
Tra le ultime asserzioni di Cohn, vi è, addirittura, quella di spiegare
con il “loro amore per Gesù”, la preoccupazione degli Ebrei di
chiedere a Pilato (e questo è per il Cohn, l’unico momento nel quale
affrontarono il governatore nella vicenda di Gesù) l’autorizzazione a
spezzare le gambe al crocifisso, per abbreviarne compassionevolmente
le sofferenze: “ …e così gli Ebrei, andando in processione a supplicare
Pilato solo per Gesù, avevano in mente un atto di grazia e di pietà”436.
Potremmo rispondere: ma se fosse stato vero cotanto amore per Gesù,
allora perché oggi, come doveva essere al tempo del processo, gli
Ebrei non si dicono, nella gran parte di essi, cristiani ed, invece, lo
siamo più noi, “romani-gentili”?
Conclusivamente, riteniamo che le tesi del Cohn non sono in grado
di resistere ad un’analisi critica ed accurata; ritornando all’assunto
espresso al principio di questo intervento, esse si dimostrano essere
mosse dalla “comprensibile” (ma, non giustificabile, se a discapito
435 Cohn, 2000, pag. 160. 436 Cohn, 2000, pag. 282.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
196
della verità e della verità storica) preoccupazione di scagionare il
popolo ebraico, dalla responsabilità che gli è stata storicamente
addossata per quella condanna e per quella croce!
I.4. Le fonti: il testimonium flavianum ed il processo di
Giacomo.
E’ irrinunciabile soffermarci su alcune fonti che potrebbero
consentirci qualche considerazione circa il problema della
responsabilità ebraica o romana per la condanna di Gesù, e che si
possono desumere da una fonte storica quasi coeva, cui, ovviamente,
non manca di far riferimento, per altri aspetti, anche il Cohn. Si tratta
degli scritti (Guerra Giudaica ed Antichità Giudaiche) del famoso
storico ebreo che, accanto al nome originario di Giuseppe, aveva
assunto anche quello romano di Flavio, per aver conseguito la
cittadinanza romana, dopo essere caduto prigioniero dei Romani, al
tempo di Vespasiano (a più riprese, già citato nel corso di siffatta
redazione)437.
437Martini, 2003, pp. 543 ss; Martini ha rilevato che l’analisi delle fonti in esame si presenta tanto
più necessaria, se si considera che, sulla base anche di esse, il medesimo Cohn, alla fine del
capitolo XII da lui dedicato alle “Fonti non cristiane”, arriva a dichiarare “nullo” il risultato
complessivo al quale le medesime porterebbero sul processo e sulla crocifissione di Gesù,
ancorché allo scopo di potervi fondare l’irragionevole affermazione, secondo cui:
“Accidentalmente o deliberatamente, la strada risultò spalancata per l’affermarsi di un monopolio
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
197
In effetti, neppure da una storia come quella di Giuseppe Flavio,
dove pure si danno anche notizie spicciole al livello quasi di cronaca,
si ricava molto di più, in modo diretto, circa il processo di Gesù, di
quanto in modo scarno, come al solito, ci dice lo storico romano
Tacito438, il quale, sul finire del I secolo, accennava, parlando di
Nerone, ad una setta di fanatici portatori di una rovinosa superstitio, il
cui fondatore Cristo sarebbe stato crocifisso dal governatore Ponzio
Pilato, al tempo di Tiberio. Nel libro XVIII delle Antichità Giudaiche,
si viene, infatti, a fare un discorso un po’ più circostanziato, ma
sempre molto sintetico, intorno a Gesù, della cui genuinità per di più,
si è fortemente dubitato da parte di molti studiosi, secondo i quali in
tale famigerato testimonium flavianum, sarebbero state operate diverse
manipolazioni, in quanto non sarebbe possibile credere che Giuseppe
Flavio, il quale, come attestato da Origene, non ammetteva la divinità
di Gesù, possa aver scritto i paragrafi che un centinaio d’anni più tardi
sarebbero stati letti dal biografo di Costantino, il vescovo Eusebio di
Cesarea, nei quali, a proposito di Gesù, dopo una già significativa
allusione implicita alla sua divinità, contenuta nella frase “un uomo,
ammesso che si possa chiamare uomo”, si afferma a tutte lettere che
“Egli era il Cristo” (o christòs outos en), e si aggiunge che i suoi
seguaci, già presentati come “amanti della verità”, non lo avevano
abbandonato neppure dopo la sua condanna a morte, essendo Egli
“riapparso vivo nel terzo giorno” (trìten ècon emèran pàlin zòn).
cristiano di tutte le testimonianze, di tutti i resoconti e loro trasmissione, insieme agli obiettivi
dettati dalla politica e dal pregiudizio cristiano”. 438 Tac., Ann. 15.44.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
198
Orbene, per quanto riguarda il processo di Gesù, in questo
discutissimo passaggio delle Antichità, c’è solo un veloce accenno, in
una proposizione dipendente, che si sostanzia di due attestazioni: una
relativa alla condanna alla croce da parte di Pilato (che trova riscontro
nel già ricordato testo di Tacito) ed una, invece, che sembrerebbe
alludere quanto meno alla denuncia (tale essendo il significato di
endeixis nel linguaggio giuridico greco) da parte degli Ebrei. Come è
evidente, questo accenno, ancorché molto schematico, avrebbe una
notevole importanza, qualora la frase in cui è contenuto, che in sé e
per sé non parrebbe ispirata a qualche particolare preconcetto, fosse da
riportare ad uno storico ebreo, come Giuseppe Flavio.
Sempre nelle Antichità giudaiche, al libro XX, si narra
un’interessante vicenda processuale che, nel 62 d.C., avrebbe
riguardato Giacomo, “fratello di Gesù, detto il Cristo” (tou legomenou
Christoù), e che, sia pure di riflesso, è utile anche per ricostruire il
vero e proprio processo di Gesù439. Qui, si parla del nuovo gran
sacerdote, Ananos, uomo temerario e ardito di temperamento,
appartenente per di più alla setta dei Sadducei, più duri di tutti quando
dovevano giudicare qualcuno, il quale era stato nominato alla sua alta
carica nel momento di passaggio tra il precedente governatore della
Palestina Festo ed il successore Albino. Approfittando proprio del
fatto che il previo procuratore era morto ed il nuovo non aveva ancora
preso possesso della sua carica (era ancora per strada: eti katà ten
odòn), Ananos aveva, infatti, riunito il Sinedrio e condotto davanti ad
439 Jossa, 2002, pp. 131-140.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
199
esso il già ricordato Giacomo insieme ad altri ed, avendo promosso
contro costoro l’accusa di atti contrari alla legge (paranomesànton
kategorìan), li aveva mandati a morte per lapidazione (parèdoke
leusthesomènous). Allora, ci viene riferito che quanti erano tra le
persone più assennate ed osservanti della legge, si erano
profondamente indignati per questa vicenda ed avevano fatto
segretamente ricorso al re Erode Agrippa II - re appunto dal 50 al 93
d.C. - affinché impedisse ad Ananos di tenere per il futuro un simile
comportamento, ma anche che altri si erano rivolti al nuovo
procuratore Albino, informandolo che Ananos non aveva il potere di
convocare il Sinedrio senza il suo consenso. Mentre Albino aveva
scritto ad Ananos, minacciandolo in modo generico di fargli pagare il
suo comportamento, il problema era stato ad ogni modo risolto dallo
stesso re Agrippa, rimuovendo costui dalla carica di sommo sacerdote
e nominando al suo posto, un altro che - si osservi - si chiamava
anch’egli Gesù, figlio di Damnaeo.
Orbene, se è vero che questo Giacomo di cui si parla, era
effettivamente il capo della comunità cristiana di Gerusalemme, dal 44
d.C. (come ammette anche il Cohn440), par verosimile che qui si
avesse a che fare con un processo intentato, appunto, contro alcuni
seguaci di Gesù, ed è interessante constatare che costoro erano stati
mandati a morte dal Sinedrio, anche se contro questa condanna alcuni
avevano protestato, al punto da provocare la deposizione del sommo
sacerdote.
440 Cohn, 2000, pag. 300.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
200
Dalla fonte in esame emerge che, mentre alcuni si erano rivolti al
re, lamentando un’irregolarità che non ci appare chiaramente, altri si
erano rivolti al governatore, adducendo un motivo preciso, ossia
l’illegittimità della riunione del Sinedrio senza il suo consenso, motivo
la cui fondatezza sembrerebbe oltretutto confermata dalla circostanza
che il sommo sacerdote aveva, in effetti, approfittato del fatto che
ancora non era arrivato il nuovo governatore e che quello vecchio era
morto, per procedere direttamente contro Giacomo e gli altri (come ci
attesta, senza commenti, lo storico, il che potrebbe comportare che
anch’egli ritenesse irrituale una tale procedura in un momento come
quello).
Questa vicenda non è senza importanza, poiché potrebbe
rappresentare una conferma dell’incompetenza del Sinedrio ad
emettere ed eseguire, da solo, sentenze di condanna a morte;
incompetenza affermata da autorevole dottrina (Blinzler, Martini e
Santalucia, a tal punto che quest’ultimo parla del caso di Giacomo,
come di un abuso di potere) che ha creduto, per questa strada (e
basandosi, tra l’altro, sull’attestazione di Giovanni 18,21, che fa dire
agli Ebrei: “A noi non è consentito mettere a morte nessuno”), di poter
attribuire la condanna di Gesù, solo formalmente ai Romani,
riconducendola sostanzialmente agli Ebrei, che, per l’appunto, si
sarebbero avvalsi del governatore come braccio esecutivo. Per ora
quel che conta è rilevare che il sommo sacerdote Ananos aveva
trovato il modo di accusare e far condannare dal Sinedrio, alcuni
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
201
discepoli di Gesù, anche se trentadue anni dopo il famoso processo
che vide coinvolto quest’ultimo.
Quali sono le considerazioni che possono trarsi dall’analisi di
questi vari paragrafi della opere storiche di Giuseppe Flavio? La prima
riguarda l’importanza che avrebbe l’accenno, pur molto sommario, ad
una condanna di Gesù da parte di Ponzio Pilato, su iniziativa degli
Ebrei. Anche a prescindere da ciò, è lecita una seconda
considerazione, ossia che, probabilmente, sempre gli Ebrei, se
avessero potuto farlo, avrebbero provveduto a processare direttamente
Gesù, come il loro sommo sacerdote arrivò a fare, trent’anni più tardi,
con Giacomo ed i suoi compagni, per quanto la lapidazione di costoro,
disposta dal Sinedrio, possa essere andata incontro, sia a censure per
vizi di forma, dal punto di vista dei Romani, o per meglio dire, di
alcuni Ebrei che si appoggiavano ai Romani, sia a critiche nel merito,
da parte dei più sensibili tra i medesimi Ebrei; critiche che portarono
alla destituzione dello stesso sommo sacerdote, da parte del re
Agrippa. La terza considerazione è che, sicuramente, Gesù era stato
condotto davanti a Pilato, in seguito ad una “denuncia” da parte degli
Ebrei, i quali, inoltre, sempre trent’anni più tardi, non ebbero difficoltà
a portare davanti al governatore Albino, senza nemmeno averlo
processato per proprio conto, un altro Gesù, figlio di Anania, il quale
aveva procurato loro fastidi molto minori, ripetendo il grido profetico
“Guai a Gerusalemme”; in tale vicenda, il governatore, senza subire
evidentemente alcuna pressione da parte sia dei “capi” del popolo, che
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
202
dei “magistrati” locali, chiuse tutta la faccenda, liberando il profeta di
sventura.
Infine, non si può certo mettere completamente da parte - anche se
dispiace - un coinvolgimento, nella responsabilità della condanna a
morte di Gesù, almeno di alcuni tra gli Ebrei del tempo, non essendo
sufficiente ad escluderlo riconoscere con il Cohn, che si trattò di “una
condanna penale romana, eseguita da carnefici romani”441.
I.5. Il processo di Gesù negli Atti degli Apostoli.
Negli Atti degli Apostoli, generalmente, come responsabili della
morte di Gesù vengono indicati gli Ebrei. Si concede che questi non
abbiano proceduto essi stessi all’esecuzione, ma si siano serviti degli
“empi”, ossia dei Romani pagani. Si lascia anche ripetutamente
intendere che la decisione finale circa l’esecuzione o il rilascio, era
nelle mani di Pilato. Se si rimprovera la morte di Gesù a gruppi
determinati nell’ambito del popolo ebraico, si tratta soprattutto dei
membri del Sinedrio: essi hanno crocifisso Gesù, lo hanno infisso alla
croce ed in tal modo ucciso; essi furono i traditori ed assassini di Gesù
e sono a conoscenza del fatto che anche gli Apostoli li fanno
responsabili di tutto ciò. Ma, il cerchio dei colpevoli è maggiore:
insieme ai capi ebraici, per due volte, negli Atti degli Apostoli,
vengono posti sullo stesso piano, gli abitanti di Gerusalemme e, talora,
441 Cohn, 2000, pag. 231.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
203
contro questi ultimi soltanto si arriva a lanciare l’accusa che essi
abbiano crocifisso ed ucciso Gesù442.
Solo allorché il predicatore paleocristiano ha dinanzi a sé un
uditorio pagano, come, per l’appunto, Pietro a Cesarea, egli parla degli
Ebrei in generale come di coloro che affissero e giustiziarono Gesù in
croce. Ma, in tal passo, neppur si annette importanza al fatto che
fossero gli Ebrei i responsabili della morte di Gesù: l’affermazione
“essi lo hanno giustiziato” è generica e potrebbe anche essere tradotta
con “Egli fu giustiziato”; soltanto il contesto induce a ritenere gli
Ebrei come soggetto della frase. Quest’ultima osservazione aiuta a
valutare esattamente la frequenza e, talora, la durezza delle accuse
sollevate dagli Apostoli contro gli Ebrei. Queste accuse non sono
certo espressione di un atteggiamento fondamentalmente antisemita,
altrimenti avrebbero, anche e soprattutto, una parte nell’istruzione dei
pagani. D’altronde, tutti gli Apostoli provenivano essi stessi
dall’ebraismo e ne erano fieri. Le loro parole severe e spesso taglienti
sulle lista del debito d’Israele, si devono, piuttosto, interpretare come
una parte della missione presso gli Ebrei. Il missionario
paleocristiano, il quale voleva conquistare l’ebraismo incredulo,
doveva, per primissima cosa, portare i Giudei a riconoscere la loro
grande colpa storica. Egli predicava, dunque, la penitenza e doveva,
perciò, servirsi di formule efficaci e penetranti. Così, si comprende
come gli Apostoli, convinti della principale colpevolezza morale dei
circoli ebraici nella crocifissione di Gesù, dichiarassero, ignorando la
442 Blinzler, 1966, pp. 409-411.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
204
parte di colpa dei Romani: “Voi, sinedriti, voi, abitanti di
Gerusalemme, avete crocifisso, ucciso, giustiziato, assassinato Gesù di
Nazareth”443. Ma proprio perché ai predicatori premette convertire il
popolo ebraico e non respingerlo, conquistarlo per Cristo e non
diffamarlo dinanzi al mondo, essi trovavano talora anche parole
concilianti: non solo dinanzi al popolo di Gerusalemme, ma persino
dinanzi ai sinedriti, viene detto che essi hanno agito per ignoranza, che
essi non hanno riconosciuto Gesù.
Espressioni di tal sorta possono quasi essere intese come se esse
dovessero assolvere gli Ebrei almeno dalla colpa soggettiva; ma si
pensa certo, qui, ad un’ignoranza colpevole, poiché d’altra parte si
sottolinea che Gesù era stato accreditato presso gli Ebrei da parte di
Dio mediante atti di potenza, miracoli e segni, che Iddio aveva
compiuto per sua mano, in mezzo a loro444. La concessione
dell’ignoranza è ancora in funzione del discorso penitenziale: deve far
intendere chiaramente che, nonostante tutto, la via alla remissione è
ancora aperta. In certo senso, ciò vale anche per le dichiarazioni che
parlano della croce voluta da Dio, in quanto esse la caratterizzano
come parte essenziale del piano di salvezza eterna o come conforme
alla Scrittura. Anche queste constatazioni non vogliono negare la
colpa storica degli Ebrei che vi parteciparono, ma solo aprire loro la
strada alla penitenza.
A mezzo delle argomentazioni succitate, abbiamo, inoltre, altre
risposte alle congetture del Cohn, il quale ha qualificato “come
443 Act. Apost 4,10. 444 Blinzler, 1966, pag. 415.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
205
tendenzioso e con intento sostanzialmente antisemita”445 lo scrivere
degli Evangelisti, ritenendo che costoro si sarebbero preoccupati di
non far adirare di più i Romani nei confronti dei cristiani, sicché
sarebbero stati indotti a scagionare questi ultimi, addossando agli
Ebrei la responsabilità della condanna di Gesù. In tal modo,
intendiamo respingere tali ulteriori riflessioni apologetiche dell’autore
ebreo.
I.6. Conclusioni.
Dunque, giungiamo conclusivamente alla domanda di cui al titolo
di questo capitolo: la condanna a morte di Gesù si può ritenere ‘colpa’
dei Romani o degli Ebrei? Chi si applica a giudicare il processo di
Gesù in quanto evento storico-giuridico, quale esso si può ricostruire
dai resoconti evangelici della Passione, giunge al medesimo risultato
dei predicatori paleocristiani: la responsabilità principale cade sugli
Ebrei446. Bisogna, tuttavia, finirla con un’accusa che sino ai nostri
tempi viene ancor sempre sollevata contro i giudici ebraici di Gesù.
Non si può provare, anzi, è del tutto inverosimile, che il Sinedrio nel
procedimento contro Gesù abbia violato le forme legali: tanto
l’arresto, quanto il dibattimento furono manifestamente in completo
accordo con la legge allora vigente.
445 Cohn, 2000, pag. 319. 446 Blinzler, 1966, pag. 417.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
206
E’ opinabile solo che la condanna pronunciata dal Sinedrio sia stata
giuridicamente ineccepibile, vale a dire che i sinedriti, col dichiarare
blasfema l’autoaffermazione messianica di Gesù, abbiano emesso un
giudizio corrispondente alla loro convinzione ed al codice penale in
vigore. Si ritiene che una corte che giudicasse con coscienza e
spassionatamente, anche non prestando fede alle rivendicazioni
messianiche di Gesù, avrebbe almeno dovuto avere dei dubbi sulla
reale sussistenza del fatto delittuoso. Se, nonostante ciò, tutto o
almeno quasi tutto il Sinedrio votò per la colpevolezza, si arriva a
concludere circa una forte prevenzione dei giudici contro l’accusato.
Inoltre, l’attitudine malevola dei sinedriti appare chiaramente nel
successivo sviluppo degli eventi. Essi hanno accusato Gesù dinanzi al
procuratore romano come re degli Ebrei, cioè come pretendente al
trono ebraico. Quest’accusa non era semplicemente una “traduzione”,
ma una deformazione cosciente posta alla base della loro sentenza.
Riconoscendo che con l’accusa di bestemmia davanti al tribunale del
governatore non avrebbero ottenuto nulla, essi diedero a questa una
forma politica, benché non potessero ignorare che Gesù non aveva
mai connesso alcuna idea di sovversione politica al suo ideale
messianico; né la sua autoaffermazione dinanzi al Sinedrio, né il suo
atteggiamento altrove dava appiglio ad un’insinuazione del genere.
Infine, che agli avversari ebrei di Gesù, non il diritto, sia pure
falsamente inteso, stesse a cuore, ma l’eliminazione di Gesù, si deduce
dalla loro premura intesa ad evitare da parte di Pilato, una sentenza
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
207
libera e conforme all’ordine, intimidendolo con minacce e
costringendolo, quindi, a pronunciare una sentenza di condanna.
Gli Ebrei colpevoli constano di due gruppi: i membri del Sinedrio e
la massa dei manifestanti contro Gesù. Se ci si chiedono i motivi della
implacabile inimicizia del primo gruppo contro Gesù, negli Evangeli
si trovano tre risposte: in primo luogo, i capi ebraici videro nella
popolarità di Gesù un pericolo per la loro propria autorità sul popolo;
essi, e soprattutto elementi sadducei del Sinedrio, credevano di dover
temere, nel caso di un’ulteriore diffusione del movimento di Gesù, un
intervento dei Romani e, con ciò, la perdita della relativa indipendenza
che restava alla nazione; Gesù si era guadagnato l’avversione e l’odio
dei sinedriti e, specialmente, degli scribi di tendenza farisaica, con
l’originalità del suo messaggio religioso. L’inimicizia mortale contro
Gesù da parte dei circoli ebraici dominanti ha, dunque, motivi
egoistici di potere politico, nazionali e religiosi.
La folla popolare fece causa comune con i sinedriti dinanzi al
tribunale romano, chiedendo tumultuosamente l’esecuzione di Gesù.
Evidentemente, si trattava soltanto di abitanti di Gerusalemme; la loro
colpa è minore di quella dei sinedriti, poiché essi intervennero nel
processo, non spontaneamente, ma solo sotto la pressione dei loro
capi. Ad ogni modo, che la loro complicità non sia tuttavia cosa da
nulla, si deduce dal fatto che, senza di essi, non si sarebbe pur giunti
ad una condanna da parte di Pilato. Ciò che spinse la massa a
sollevarsi contro Gesù, dovette essere soprattutto il rispetto della legge
nazionale, che aveva bollato l’accusato come criminale degno di
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
208
morte. Se nelle prediche apostoliche si concede agli Ebrei di
Gerusalemme ed ai loro capi, l’attenuante di aver agito per ignoranza,
con ciò si vuol dire solamente che, se gli Ebrei avessero saputo che
Gesù era il Messia ed il Figlio di Dio nel vero senso della parola, essi
non avrebbero promosso il suo annientamento. Con questo essi non
vengono assolti da ogni colpa, perché la loro ignoranza era sintomo di
incredulità ed incredulità nonostante l’esperienza di “atti di potenza,
miracoli e segni” equivale, secondo la dottrina del Nuovo Testamento,
a colpa e peccato.
Accanto agli Ebrei, il procuratore romano Ponzio Pilato è
responsabile dell’esecuzione di Gesù447. Il suo modo di trattare l’affare
di Barabba potrà, bensì, esser qualificato di malaccortezza e non come
un modo d’agire propriamente colpevole; ma colpevole egli si rese,
per il fatto che, nonostante la sua convinzione dell’innocenza
dell’accusato, lo fece flagellare ed, infine, lo condannò persino alla
croce. Come attenuante, ha la circostanza che egli compì entrambe
queste cose, sotto la pressione dei fanatici Ebrei, per quanto il giudice
debba porre il diritto al di sopra del proprio interesse personale.
Stanno a suo discarico, anche i ripetuti sforzi intesi ad ottenere la
liberazione di Gesù. Benché egli abbia proclamato la condanna di
Gesù, che portava con sé l’esecuzione immediata, la sua colpa è, tutto
sommato, minore di quella degli Ebrei; opinione questa che
447 Blinzler, 1966, pag. 419.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
209
l’Evangelista Giovanni mette già in bocca a Gesù stesso: “…perciò
chi mi ha consegnato nelle tue mani, ha maggior peccato”448.
Se si indaga solo sulla partecipazione giuridica formale degli Ebrei
e dei Romani all’esecuzione di Gesù, si deve, dunque, rispondere che
entrambi i gruppi ebbero parte press’a poco uguale nella cosa, perché
dagli uni come dagli altri fu pronunciata una condanna a morte;
quanto alla misura della colpa rispettiva, quella degli Ebrei, da quanto
si è detto, è certo preponderante. La morte di Gesù sul Golgotha, vista
storicamente, non fu, dunque, il risultato inevitabile di certe
circostanze tragiche, non un semplice errore giudiziario e nemmeno
un “assassinio formalmente privato”449, come afferma il Rosadi, ma
“un assassinio giudiziario”450, come definito da Blinzler oppure, se si
vuole, si può parlare di un “assassinio politico-religioso, mediante
abuso di giustizia”.
Si è parlato spesso di deicidio. Si deve notare che il Nuovo
Testamento non rivolge un’accusa di questo genere né al Sinedrio, né
al procuratore. Poiché i nemici di Gesù mancavano della capacità di
penetrare profondamente nel mistero dell’essenza di Gesù, la loro
azione non fu il delitto formale di deicidio. La colpa, secondo la legge
eterna, porta con sé giudizio e castigo. Il Nuovo testamento parla
spesso del futuro giudizio di Dio sui responsabili della morte di Gesù.
Non è sempre chiaro se si tratti di un giudizio nel tempo o del giudizio
448 Io. 19,11. 449 Rosadi, 1904, pag. 222. 450 Blinzler, 1966, pag. 420.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
210
alla fine dei tempi451. Tra coloro sui quali cadrà il giudizio che causerà
la loro rovina sono nominati i capi ebraici452, così come gli abitanti di
Gerusalemme in quel tempo ed i loro figli453. La distruzione di
Gerusalemme fu almeno una parte di questa condanna454. Pur tuttavia
Gesù, durante la sua agonia, pregò per il perdono dei suoi carnefici:
“Padre, perdona loro, perché non sanno quel che fanno!”455. Anche
questa preghiera parla dell’ignoranza dei nemici di Gesù, ma non dice
che essi abbiano agito erroneamente senza colpa; se non vi fosse stata
colpa, non vi sarebbe stata necessità d’intercessione. La preghiera
presuppone la colpa dei responsabili della morte di Gesù, ma si
appella alla misericordia di Dio per ottenere il perdono dei colpevoli.
Ed ora ci azzardiamo a dare un parere sulla richiesta moderna di
una revisione del processo di Gesù, da parte dell’Ebraismo odierno (di
cui è stato destinatario, appunto, anche Chaim Cohn): la richiesta avrà
ottime intenzioni, ma è completamente senza senso. Essa riposa, come
si è stabilito, sul presupposto che la condanna a morte pronunciata dal
Sinedrio fosse giuridicamente invalida a causa d’innumerevoli errori
di forma, e che proprio questo giudizio avesse portato
immediatamente all’esecuzione del Signore. Entrambi i presupposti
sono, come si è visto, inesatti. Una revisione del processo da parte
degli Ebrei dovrebbe muoversi su tutt’altro terreno che quello
giuridico e, precisamente, sul terreno della fede456. Con ciò tocchiamo,
451 I Thess. 2,16; Apoc. 1,7. 452 Mc. 12,9. 453 Lc. 23,28; Mt. 27,25. 454 cfr. Mt. 22,7. 455 Lc. 23,34. 456 Blinzler, 1966, pag. 421; cfr. Fusco, 2000, pp. 604-606.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
211
però, un problema, che è già fuori dal punto di vista storico-giuridico,
il solo che qui deve essere trattato. E’ comunque opportuno
sottolineare che il punto di vista puramente storico, per giustificato e
necessario che sia, resta superficiale ed unilaterale, se non è
completato da quello teologico-spirituale. Alla luce della fede nella
Redenzione, il tragico evento del Golgotha prende dimensioni e
profondità completamente nuove e, soprattutto, la questione sulla
colpevolezza diventa una domanda rivolta alla propria coscienza.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
212
Appendice II
Chi serve la democrazia e chi se ne serve?
Le riflessioni di Kelsen e Zagrebelsky sul
processo “democratico”contro Gesù.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
213
II.1. Il processo di Gesù, tragico simbolo della
democrazia.
Gustavo Zagrebelsky si occupò del processo contro Gesù,
pubblicando, nel 1995, un oramai famoso libro457, nel quale trattò,
specificamente, il significato dell’episodio del grido della folla dinanzi
a Pilato, quando questi chiese chi, la stessa folla, volesse che fosse
liberato, profittando del privilegium paschale, in occasione, per l’
appunto, della festa di Pasqua: Gesù o Barabba? La folla, inviperita
dall’ennesimo tentativo del Romano di liberare Gesù - anche se
sempre per vie traverse - e, soprattutto, strumentalizzata dai gerarchi
ebraici, attraverso l’autorevolezza che da essi e dallo stesso diritto
ebraico, emanato da Dio, si rifletteva sul popolo, gridò, dicendo:
“Crucifige!”458 (“Crocifiggilo, crocifiggilo!”), preceduto da: “A morte
costui, e liberaci Barabba”459.
Da qui egli ha tratto spunto per una riflessione sul processo a Gesù
quale tragico simbolo di come si possa strumentalizzare la decisione
popolare e, conseguentemente, sull’essenza e significato della
democrazia, ed in specie dei suoi limiti. In questa occasione
l’eminente costituzionalista richiama e mette in discussione molte
delle affermazioni che Hans Kelsen aveva espresso nel suo saggio,
titolato “Essenza e valore della democrazia”460.
457 Zagrebelsky, 1995, pp. 93-97; cfr. Bove, 1999, pp. 208-210. 458 Lc. 23,21. 459 Lc. 23,18. 460 Kelsen, 1920, pp. 55-56.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
214
Fin dall’inizio del suo fortunato opuscolo, l’Autore si pone e pone
a noi stessi una domanda discriminante: la democrazia è un fine o un
mezzo? Chi la ritiene un fine, la serve; chi un mezzo, se ne serve,
finché gli serve.
La distinzione è qui chiara in astratto, ma subdola in concreto: il falso
amico, l’approfittatore pericoloso è, infatti, sempre l’avversario e
l’accusa è sempre ritorta.
La posta è grande, la questione è reale, ma per renderla intelligibile
e produttiva, lo Zagrebelsky si rifà a categorie precise, da lui stesso
proposte, allo scopo di poter uscire dal moralismo e dalla confusione
che il moralismo sempre fomenta nelle cose politiche. Le tre visioni
della democrazia, da lui qualificate rispettivamente come dogmatica,
scettica e critica, vorrebbero essere un contributo a questa
chiarificazione. Ad esse, corrispondono tre mentalità, tre visioni del
mondo, che hanno una grande importanza per le cose politiche e
costituzionali: il dogmatico non vede che la verità alla quale tutti
devono aderire; lo scettico, la realtà alla quale bisogna piegarsi; il
critico, invece, si fa strada responsabilmente tra le possibilità. A
questo punto, possiamo rispondere all’interrogativo iniziale: solo
coloro che hanno una visione critica della democrazia, la
concepiscono come fine. Gli altri non possono che considerarla come
mezzo e non sono, perciò, suoi veri amici!
Per chiarire le sue asserzioni, Zagrebelsky fa riferimento a ciò che
egli definisce “uno dei grandi simboli, un simbolo tragico della
democrazia: il processo di Gesù e la sua condanna in seguito ad un
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
215
pronunciamento popolare”, sostenendo che il contenuto paradigmatico
della narrazione di quell’evento è particolarmente utile in una
discussione sulla democrazia come mezzo e come fine: in testi tra i
più grandiosi, commoventi e, nella loro solo apparente semplicità,
densi di contenuto della letteratura di tutti i tempi, troviamo, infatti,
descritti vividamente gli atteggiamenti strumentali che possono tenersi
nei confronti della decisioni popolari.
Egli ricorda che si era determinato un conflitto tra Pilato, il
procuratore romano della Giudea, ed il Gran Sinedrio di
Gerusalemme, la massima autorità ebraica. La posta in gioco era la
vita di Gesù. Tra l’imposizione di una decisione unilaterale, la
liberazione di Gesù con un atto d’imperio che al procuratore era
certamente consentito, e la resa ai notabili del Sinedrio che
chiedevano la conferma della condanna a morte da essi già
pronunciata, Pilato scelse un’altra possibilità ed aprì una procedura
“democratica”, appellandosi al popolo”461. La decisione finale fu presa
nel crescendo impressionante di fanatismo del “Crucifige!”, urlato
dalla folla.
Che cosa vedere in questo grido? Per lo spirito dogmatico, un
argomento insormontabile contro la democrazia: la verità non può
essere lasciata alla determinazione del numero; lo spirito scettico,
invece, non vi vede nulla, resta indifferente: solo così, egli dice, la
democrazia, cioè l’accettazione del responso popolare, è possibile.
461 Zagrebelsky, 1995, pag. 3.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
216
Secondo Zagrebelsky, sia il dogmatico, sia lo scettico possono
convivere con la democrazia, ma solo servendosene, non servendola.
Nella narrazione evangelica, il Sinedrio rappresenta lo spirito
dogmatico: Gesù deve morire, perché minaccia la fede e le istituzioni
ebraiche: “Un uomo solo muoia per la nazione”462, aveva sentenziato
Caifa, ben prima che si aprisse il processo. Una difesa di Gesù non vi
poteva essere, perché Egli era condannato già prima di comparire
davanti al Sinedrio; la sua soppressione era richiesta dal dogma, ma
per eseguire la condanna, occorreva la cooperazione dell’autorità
romana, di Pilato. Quest’ultimo, però, esitava; anzi, si pronunciava
chiaramente per il prigioniero, non riuscendogli di vedere dove fosse
la sua colpa, ma era minacciato dal Sinedrio: “se liberi costui - che si è
proclamato Re ed incita a non pagare le imposte - non sei amico di
Cesare”463. Inoltre, la folla premeva; l’ordine pubblico era in pericolo;
era in forse la stessa autorità del procuratore; occorreva trovare una
via d’uscita. Il Sinedrio, per vincere l’avversione di Pilato; Pilato, per
conoscere quale era l’umore della folla, provocarono il plebiscito. Il
primo, per dogmatismo; il secondo, per realismo, cioè per
opportunismo, dunque per opposti motivi: Coincidentia
oppositorum464
. Il Sinedrio voleva piegare le resistenze di Pilato,
scatenando la forza della folla contro di lui; Pilato, alla fine, voleva
sapere da che parte portasse quella forza, per potervisi adeguare ed
462 Io. 11,50. 463 Io. 19,12. 464 Zagrebelsky, 1995, pag. 79.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
217
evitare di assumere posizioni impopolari e pericolose per sé
medesimo.
Noi conosciamo questi usi strumentali della democrazia. Li
vediamo all’opera, sia quando la volontà popolare viene scagliata
contro l’avversario per tacitarlo, sia quando la si “sonda”, per meglio
neutralizzarla. Insomma, chiamando il popolo ad esprimersi, in
entrambi i casi, non lo si fa nel suo interesse, ma in quello di chi lo usa
e, per blandirlo, dice “vox populi, vox dei”465
: una formula che, solo
apparentemente, è il massimo omaggio alla democrazia, perché
nasconde sempre la volontà di approfittarne.
Se riflettiamo sulle caratteristiche di questo popolo, scopriamo che
esso è instabile: pochi giorni prima, ha acclamato Gesù come Re dei
Giudei ed adesso vuole crocifiggerlo. Inoltre, questo popolo è privo di
qualunque convinzione fondamentale ed è mosso solo dal suo
interesse immediato (i miracoli, che, però, Gesù da qualche tempo gli
nega). Si tratta di una folla non che agisce, ma che reagisce ed, inoltre,
è aizzata; di una folla omogenea come un’anima sola, che non conosce
dissenso perché i potenziali oppositori sono privi di mezzi per
esprimersi o sono troppo terrorizzati per farlo. Ancora, è una folla
priva di discussione, perché il responso deve essere immediato e,
perciò, emozionale e non razionale. Probabilmente, non è nemmeno a
conoscenza dei termini della questione e degli interessi in questione:
non sa di fare il gioco d’altri.
465 Zagrebelsky, 1995, pag. 103.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
218
Possiamo allora dire che quello non era un popolo, era una massa,
una plebe e, da qui, dobbiamo interrogarci su noi stessi, popolo della
nostra democrazia: l’instabilità, la seduzione dell’interesse, la
manovrabilità, la carenza di regole e di rispetto per la diversità,
l’emotività, l’alienazione - tutte caratteristiche negative delle società
di massa, studiate da gran tempo - non sono divenute oggi, si chiede
Zagrebelsky466, più evidenti che mai? E, con questo, non è più
presente che mai il rischio di una democrazia che si riduce a semplice
strumento di chi meglio sa utilizzare, come già fu nella crisi
democratica degli anni ’20 e ’30, quando divenne la strada spianata
per veri totalitarismi?
II.2. La democrazia critica di Zagrebelsky.
Il contrario di tutto questo dovrebbe essere la democrazia critica,
in quanto la democrazia non dovrebbe essere un mezzo in mano ad
altri, ma un fine, una condizione di tutti i cittadini. Quella che
Zagrebelsky definisce, per l’appunto, “critica” non è tronfia, sicura di
sé; è circospetta, rifiuta ogni lusinga alla sua infallibilità come un
tentativo interessato di seduzione e, quindi, è sempre pronta a ritornare
sulle sue decisioni per correggerle, a fare autocritica per imparare dai
suoi errori; rifugge dalle decisioni irreversibili467 (come la condanna a
morte di qualcuno), perché da queste non si potrà tornare indietro; è 466 Zagrebelsky, 1995, pp. 104-105. 467 Zagrebelsky, 1995, pag. 108.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
219
attenta alle regole ed ai diritti di tutti, perché crede che tutti abbiano
qualcosa da poter portare nella comune ricerca delle possibilità; non
considera il governo della maggioranza, né come privilegio della
verità, né come sopraffazione della forza, ma come l’onere cui i
cittadini chiamano col voto, dicendo: “Ti sei candidato al governo?
Dai prova di quel che sai fare”.
Chi difenderà una democrazia siffatta dalle sue
strumentalizzazioni? Non principalmente i governanti. L’arena della
politica è quella del potere e delle ideologie (oggi, più del potere, che
delle ideologie), cioè dell’uso strumentale del governo. Coloro i quali
si impegnano in politica, lo fanno per questo. E’ difficile che la pianta
della democrazia critica cresca da quelle parti. Tenere le mani sulla
democrazia come valore è il compito di quanti non vivono né di, né
per la politica, ma sono, tuttavia, interessati alla sua qualità. E’ il
compito della società civile e, perciò, non deve stupire se le forze
intellettuali che essa produce, siano per natura orientate alla diffidenza
nei confronti dei governanti; di tutti i governanti di turno, in quanto in
tutti sussiste la medesima vocazione opportunistica - esplicita o
implicita - nei confronti della democrazia.
Dopo averne fatto l’elogio, dobbiamo chiederci se la democrazia
critica ci assicura contro le aberrazioni, le decisioni di cui dovremmo
pentirci, come quella dell’anno 33 dopo Cristo? Per nulla, ma almeno
ci impone di essere guardinghi e - cosa molto importante - aiuta tutti
ad evitare di credersi infallibili, come in una repubblica di angeli che
contemplano la verità.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
220
D’altra parte, però, ci impedisce anche di cadere nell’indifferenza
nichilista di una repubblica di demoni che, non credendo in nulla, si
ritengono autorizzati a tutto. Vorremmo forse di più, ma è già
qualcosa. Forse è il massimo a cui può aspirare chi non è angelo e non
vuol diventare diavolo468.
II.3. Il Pilato democratico di Kelsen.
La teorizzazione del Pilato democratico è di un maestro di filosofia
del diritto e della politica: Hans Kelsen469. Essa muove, soprattutto,
dal celeberrimo passo del Vangelo di Giovanni470, che narra del
dialogo tra Gesù e Pilato sulla verità e di cui lo stesso Kelsen scrisse
che tale narrazione, nella sua lapidaria semplicità, è tra le cose più
grandiose che la letteratura mondiale abbia prodotto e che, senza
volerlo, diventa un tragico simbolo dell’antagonismo tra assolutismo e
relativismo471: Gesù, l’assolutista, perché conosceva - anzi, era - la
verità; Pilato, il relativista, perché l’ignorava.
L’episodio narrato da Giovanni, ripetutamente invocato dal
pensiero antidemocratico per dimostrare a quale scandalo si può
468 Zagrebelsky, 1995, pag. 108. 469 Kelsen, 1920, pp. 55-56. 470Io. 18,37-38: “Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per rendere
testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli disse Pilato: “Che
cos’è la verità?”. Detto questo, (senza attendere una risposta, che considerava, in ogni caso,
insensata), uscì di nuovo dai Giudei”.471 Kelsen, 1920, pag. 55.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
221
arrivare rimettendosi alla forza dei numeri (l’assassino Barabba
preferito al figlio di Dio; la libertà per il primo ed la croce per il
secondo), viene da Kelsen rovesciato nel suo significato, divenendo
l’apologia della democrazia, in quanto egli scrisse che Pilato, poiché
era un relativista scettico e non sapeva che cosa fosse la verità - la
verità assoluta in cui quell’uomo credeva - agì in modo democratico,
con assoluta coerenza, rimettendo la decisione del caso, al voto del
popolo. Secondo Kelsen, per coloro che credono nel figlio di Dio e re
dei Giudei come testimone della verità assoluta, questo plebiscito è
certamente un serio argomento contro la democrazia, ma gli scienziati
della politica (che Kelsen afferma di rappresentare), invece, saranno
costretti ad accettare quest’argomento solo ad una condizione: di
essere tanto sicuri della propria verità politica, da imporla, se
necessario, con lacrime e sangue; di essere tanto sicuri di tale verità,
quanto lo era il Figlio di Dio”472.
Dunque, secondo Kelsen, l’interpretazione tradizionale di Pilato,
simbolo della codardia dell’uomo di governo, e quella di Pilato,
simbolo della democrazia, non sono alternative. Al contrario: sono
perfettamente compatibili l’una con l’altra. Anzi, si può affermare che
il Pilato democratico fornisce la base ed, addirittura, nobilita il Pilato
codardo. Se non esiste la verità e se la logica della democrazia è solo
quella dei numeri, come potremmo rimproverare a Pilato di essersi
piegato all’urlo dei più? Di non aver ordinato di sgombrare la piazza?
Di non aver salvato Gesù? La codardia di Pilato in questa logica
472 Kelsen, 1920, pag. 56.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
222
“democratica”, ci appare diversamente: non vizio, ma virtù. L’unica
“verità”, per uno spirito scettico, è la forza della realtà; nella specie, la
folla che grida. E così, l’ipocrisia della lavanda delle mani diventa
simbolo veritiero dell’essenza del comportamento politico
autenticamente democratico. “Non io, ma voi l’avete voluto, ed io
sono al vostro servizio. Che volete di più?”.
Zagrebelsky obiettando alle riflessione di Kelsen, osserva che non
c’è bisogno di dire quanto questa “visione autentica della
democrazia”, sia ripulsiva; una visione per la quale non varrebbe la
pena non solo di sacrificare se stessi, ma nemmeno di sacrificare un
poco del proprio tempo. Eppure, si potrebbe facilmente negare che
essa sia un atteggiamento che si è largamente fatto strada nelle nostre
società? Non è vero che la “democrazia di Pilato” sta facendo scuola
ed appare, anzi, fonte strategica d’ispirazione per uomini singoli e
gruppi politici?473.
Carenza d’idee direttive (per non dire d’ideali o d’ideologie),
presentata come lo strumento per mettersi democraticamente in
sintonia, in realtà per più facilmente blandire ed ottenere il favore
degli elettori e, così, conquistare o mantenere il potere; eliminazione
dalla contesa politica, d’ogni elemento simbolico d’identificazione
sociale e programmatica e sostituzione con vuoti segni, puramente
emotivi; liquidazione dei centri stabili d’elaborazione politica, quali
partiti, e sostituzione con più volatili strutture culturali di stampo
giornalistico, adatte per la cosiddetta comunicazione politica
473 Zagrebelsky, 1995, pag. 113.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
223
(comunicazione di cosa?), sono tutti passaggi per ottenere la massima
plasticità del ceto “politico”, nell’adeguarsi agli “umori” che salgono
dalla società, costantemente tenute sotto osservazione, tramite
moderne tecniche demoscopiche.
Conclusivamente, quest’adattabilità viene esibita come la massima
dote democratica e, se non è piena, si denuncia un difetto di
democrazia. Nulla per Pilato alla fine sarebbe valso tanto da mettere a
rischio la propria tranquillità, la propria fortuna, il favore della folla, la
benevolenza dei potenti. In una parola: il proprio interesse. La legge
fondamentale di Pilato, come della scettico in generale, è proprio
questa: l’interesse, come fine e le circostanze (anche la vita degli altri,
come semplice “circostanza”), come mezzi. Il potere ed il governo,
intesi come fini, non possono che richiedere la relativizzazione di tutto
il resto. In questo senso, Pilato che volta le spalle a chi potrebbe dirgli
qualcosa sulla verità, non è privo di una sua coerenza, perfino di una
certa grandezza.
Non sarebbe giusto, allora dire con Kelsen, che per Pilato una cosa
valeva un’altra e ch’egli si è comportato da democratico, proprio
perché non ha preso alcun partito e si è rimesso al popolo. Egli ha
preso partito, solo che la vita di Gesù valeva quanto quella di Barabba,
cioè niente, perché al di sopra dell’una e dell’altra, c’erano le esigenze
superiori del potere e del governo: ecco il suo partito.
Pilato può, allora, esser visto come colui che impersona l’ethos
essenziale di ogni comportamento autenticamente ed integralmente
ispirato alle ragioni dell’uomo di Stato, consapevole dei suoi doveri e
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
224
capace di far tacere se medesimo, di fronte a quelli. Anch’egli può,
dunque, essere accomunato a tutti gli altri personaggi del dramma che
rappresentano la propria parte, la propria vocazione e che meritano il
riconoscimento che è dovuto a chi sta con integrità nel ruolo che gli è
assegnato. Cosicché, l’attenzione non dovrebbe concentrarsi sui
caratteri morali di Pilato, ma sui caratteri del ruolo di procuratore: non
l’uomo, ma il funzionario, è qui in questione. Contro la
rappresentazione usuale dell’uomo tiepido, debole, vile e legato al suo
meschino interesse, può stare la comprensione di Pilato, come il
politico puro, quello per cui il potere ed il governo sono il fine e tutto
il resto, verità e giustizia, scadono a puri mezzi, utili, inutili o dannosi,
a seconda delle circostanze474. Quasi un machiavellico ante litteram:
“Pilato adunque, volendo soddisfare alla moltitudine, liberò loro
Barabba. E, dopo aver flagellato Gesù, lo diede loro in mano, per
essere crocifisso”475. “Volendo soddisfare alla moltitudine”: ecco,
forse, l’elemento essenziale per questa comprensione politica di
Pilato. Soddisfare alla moltitudine era, in quel momento, una necessità
per non tradire il compito che gli era assegnato come procuratore in
Giudea476.
Ancora si ripropone l’interrogativo: Pilato democratico? Per nulla.
Per andare dietro al favore popolare ed assecondare il popolo, non è
affatto necessario essere dei democratici. Si può, all’opposto, essere
dei perfetti autocrati. Alla fine, Pilato è più vicino allo spirito
474 Zagrebelsky, 1995, pag. 78. 475 Mc. 15,15. 476 Zagrebelsky, 1995, pag. 79.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
225
popolare, di quanto non lo sia Gesù, come profeta: i profeti che
vengono a “mettere il fuoco in terra”477, sono messi a morte dalla
folla, a preferenza degli autocrati che si sforzano di blandirla.
II.4. Cacciari su: “Che cosa è verità?”478.
Massimo Cacciari, sollecitato nel corso di un’intervista pubblicata
di recente a rispondere all’interrogativo su quale sia il “valore” della
verità479, interpreta la domanda che Pilato rivolse a Gesù, riportataci
da Io.18,38, come se lo stesso Pilato si interrogasse e dicesse:
Insomma, come posso giungere alla “verità”? Cacciari sostiene che
questo sia il primo significato da attribuire alla celeberrima frase di
Pilato; significato che emerge con evidenza solo se si fa mente alla
situazione in cui essa viene pronunciata (un processo) ed alla cultura
di chi la pronuncia.
Vera è la rappresentazione adeguata al fatto o alla natura delle cose
e Pilato non può accettare quale “realtà” abbia il regno di quello strano
ebreo (tanto meno, se Egli sia Figlio di Dio!). Ma, qui avviene il
corto-circuito fatale: la domanda di Pilato muove da un’idea di verità,
cui nessuna parola di Gesù potrebbe corrispondere! I Giudei che lo
accusano possono, invece, comprendere la natura della sua parola, ma
ne vedono anche, in uno, il carattere “eversivo” rispetto alla tradizione
477 Lc. 12,4; cfr. Zagrebelsky, 1995, pag. 79. 478 Io. 18,38. 479 Cacciari, 2007, pp. 28-29.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
226
che ritengono propria missione difendere. Il fondamento comune da
cui partono questi “fratelli divisi”, è il senso biblico del termine
“verità”: vera è la Parola di Dio, vera è la sua promessa,
intramontabile la sua fedeltà al popolo che ha eletto; vero è l’agire
conforme a quella parola. La verità viene fatta; il credente agisce
secondo la verità, facendola, cioè obbedendo a ciò che la Verità ha
ordinato. Così, la parola di Gesù stesso è vera, poiché viene dalla
Verità, e non perché sia una “forma”che si adegua ad un fatto, che lo
rappresenta compiutamente. Se si fosse limitato a testimoniare questo,
Gesù non sarebbe mai stato trascinato di fronte al giudizio
(impossibile) di Roma. Egli non afferma soltanto che il Logos del
Padre è la Verità, né che la Sua Verità va fatta; Egli non predica
soltanto tutto ciò che predicano anche i suoi successori (e che è
incomprensibile a Pilato, ma non costituisce per lui, alcun motivo di
condanna); Egli non si limita a rendere testimonianza della Verità, né
pretende solo di conoscerla. Certo che anche la conosce, certo che
anche l’ha ascoltata dal Padre ed ora l’annuncia, ma la “misura” di
questa conoscenza e di questo annuncio è straordinaria ed affatto
“scandalosa”.
Con perfetta consapevolezza, il Gesù di Giovanni afferma di essere
la Verità, che la Verità coincide con la sua realtà storica ed umana.
“Aletheia” è la sua stessa persona; la Verità si è pienamente svelata,
nella pienezza dei tempi, facendosi carne. Il Padre lo si adora (e,
anzi, lo si vede) in questo volto, nella verità del suo apparire, del suo
manifestarsi, del suo Evento. L’ora escatologica promessa è questa!
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
227
“Io sono”, ripete continuamente il Gesù di Giovanni: la Verità del
Padre esiste in me e chi crede che Io sia la Verità (non che la
testimonio soltanto, non solo che la “rappresento”), sarà salvo, ossia
vivrà, potrà dire “che è”, come lo dice il Figlio, come lo dice Colui
che ha vinto la morte!480. Ed, allora, la giusta domanda di Pilato
sarebbe stata : “Chi” e non “cosa” è verità?
Riassumendo i contributi degli autori esaminati, possiamo dire
conclusivamente che il popolo entrò in scena solo quando e come altri
decisero, in una vicenda che, ad esso, sfuggiva integralmente, perché
mossa da fuori. Non solo: l’autorità aristocratica del Sinedrio e quella
autocratica di Pilato, che prima della consultazione popolare,
traballavano, ne furono rafforzate. Si trattò, dunque, di una
mobilitazione popolare a favore dei detentori del potere, di una partita
in cui il popolo giocava una parte nell’interesse altrui. Non era un
attore, era una pedina, anche se, forse, si illudeva addirittura d’essere
il protagonista. Questo è, per l’appunto, l’uso strumentale della
“democrazia”481.
La vicenda di Gesù dimostra come possa esserci un’alleanza,
apparentemente impossibile, tra l’assolutismo del dogma ed il
nichilismo della scepsi, e come questa alleanza possa assumere
esteriormente un aspetto “democratico”. Al dogma (il Sinedrio),
interessa la sostanza della decisione, rivestita della forza popolare; al
potere scettico (Pilato), alla fine, interessa solo la forza popolare, per
poterla blandire, adeguandosi. Finché non la si metta in discussione, la
480 Cacciari, 2007, pag. 29. 481 Zagrebelsky, 1995, pag. 81.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
228
sostanza della decisione non interessa: scetticamente, una decisione
popolare vale l’altra. Per entrambi - il dogma e la scepsi - vi sono
molte possibilità d’intendersi, quando si tratta di ingannare il popolo.
Qui, c’è probabilmente un significato paradigmatico universale della
vicenda di Gesù. Non, dunque, la rinuncia alla verità, che conduce
solo a vacuo potere, ma nemmeno l’opposto, il governo della verità,
che porta a tronfia intolleranza. Nella rappresentazione evangelica,
Pilato ci ammonisce dei rischi della scetticismo; Gesù, che rompe il
silenzio solo per proclamare di essere la Verità482, ma di non essere
venuto per regnare in questo mondo483, ci ammonisce del rischio del
contrario: di pretendere noi di fare quello che neppure Lui volle fare.
A ciascuno e, soprattutto, all’uomo politico, spetterebbe la ricerca
della verità, alimentata dal dubbio; la ricerca umile, tenace, paziente e
circospetta di chi sa bene che non ci sarà dato, in questa vita terrena,
di svelarla e, tanto meno, di realizzarla integralmente.
Allora, è d’obbligo ripetere l’interrogativo: Chi è il democratico?
Gesù o Pilato? Alla fine di questa ricostruzione, noi vorremo dire, in
condivisione con Zagrebelsky, che l’amico della democrazia - della
democrazia critica, quella nobile, così come intesa da quest’ultimo - è
piuttosto Gesù, colui che, silente fino alla fine, invita al dialogo ed al
ripensamento484; Gesù che tace, aspettando “fino alla fine”, è per noi
la Verità!
482 Io. 18,37. 483 Io. 18,36. 484 Zagrebelsky, 1995, pp. 119-120.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
229
BIBLIOGRAFIA
Amarelli-Lucrezi, 1999
Amarelli F.- Lucrezi F.(edd.), Il processo contro Gesù, Napoli 1999.
Baima Bollone, 2003
Baima Bollone P., Gli ultimi giorni di Gesù, Firenze 2003.
Besnier, 1950
Besnier R., Le procès du Christ, RHD 1950.
Blinzler, 1966
Blinzler J., Il processo di Gesù, Brescia 1966.
Bove, 1999
Bove L., “Chi volete che vi liberi, Barabba o Gesù?”(Matth. 27,17): il
privilegium paschale, in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.), Il processo contro Gesù,
Napoli 1999.
Torno, 2007
Torno A., Un colloquio con Massimo Cacciari, in A.Torno (ed.), Ponzio Pilato;
Che cos’è la verità?, Milano 2007.
Cascione, 1999
Cascione C., Tresviri capitales. Storia di una magistratura minore, Napoli 1999.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
230
Cohn, 2000
Cohn C., Processo e morte di Gesù; Un punto di vista ebraico (1997), trad.it.
Torino 2000.
Cantarella, 1999
Cantarella E., Fatto flagellare Gesù, lo diede nelle loro mani, affinché fosse
crocifisso (Matth. 27,26): il supplizio, in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.), Il processo
contro Gesù, Napoli 1999.
Fabbrini, 1999
Fabbrini B., I capi dei sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano una falsa
testimonianza (Matth. 26,59): le accuse e le prove, in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.),
Il processo contro Gesù, Napoli 1999.
Fusco, 2000
Fusco S.A., Gerusalemme: il processo a Gesù ovvero l’indagine storica agli
albori del terzo millennio, in Studia et documenta historiae et iuris, 66 (2000) 603
ss.
Gutzwiller, 1949
Gutzwiller R., Jesus der Messias, Berlino 1949.
Husband, 1916
Husband R.W., The prosecution of Jesus. Its Date, History and Legality,
Princeton 1916.
Jaubert, 1957
Jaubert A., La date de la Cène, Parigi 1957.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
231
Jossa, 2002
Jossa G., Il processo di Gesù, Brescia 2002.
Juster, 1914
Juster J., Les Juifs dans l’empire romain, Parigi 1914.
Kelsen,2004
Kelsen H., Essenza e valore della democrazia (1920), trad.it. Torino 2004.
Lietzmann, 1931
Lietzmann H., Der prozess Jesu, Berlino 1931.
Mantovani, 1989
Mantovani D., Il problema d’origine dell’accusa popolare. Dalla “quaestio”
unilaterale alla “quaestio” bilaterale, Padova 1989.
Martini, 2003
Martini R., La condanna a morte di Gesù fra Colpa degli Ebrei e Responsabilità
dei Romani, in Studia et documenta historiae et iuris, 69 (2003) 543 ss.
Miglietta, 1999
Miglietta M., Domandò se l’uomo fosse galileo e, venuto a sapere che ricadeva
sotto la ‘potestas’ di Erode, lo fece tradurre presso Erode (Luc. 23,6-7): l’invio al
tetrarca di Galilea e Perea, in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.), Il processo contro
Gesù, Napoli 1999.
Miglietta, 2001
Miglietta M., Una recente indagine storico-giuridica sul processo “contro” Gesù,
in Archivio giuridico 221 (2001) 473 ss.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
232
Mommsen, 1899
Mommsen Th., Romisches Strafrecht, Leipzig 1899.
Mommsen, 1902
Mommsen Th., Die Pilatus-Acten, Berlino 1902.
Mordechai Rabello, 1999
Mordechai Rabello A., E Gesù venne in Gerusalemme ed entrò nel Tempio (Marc.
11,11): assetto socio-politico di Gerusalemme e funzione istituzionale del Tempio,
in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.), Il processo contro Gesù, Napoli 1999.
Piattelli, 1999
Piattelli D., Lo portarono da Caifa, sommo sacerdote (Matth. 24,57): la
giurisdizione del Sinedrio, in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.), Il processo contro
Gesù, Napoli 1999.
Rosadi, 1919
Rosadi G., Il processo di Gesù, Firenze 1919.
Santalucia, 1998
Santalucia B., Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano 1998.
Santalucia, 1999
Santalucia B., Lo portarono via e lo consegnarono al governatore Ponzio Pilato
(Matth. 27,2): la giurisdizione del prefetto di Giudea, in F.Amarelli-F.Lucrezi
(edd.), Il processo contro Gesù, Napoli 1999.
Schofield, 1965
Schofield G., Why was he kelled?, Londra 1965.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
233
Stauffer, 1956
Stauffer E., Geschichte Jesu, Monaco 1956.
Venturini, 1999
Venturini C., Nota introduttiva: la giurisdizione criminale in Italia e nelle
province nel primo secolo, in F.Amarelli-F.Lucrezi (edd.), Il processo contro
Gesù, Napoli 1999.
Wenger, 1946
Wenger L., Uber erste Beruhrungen des Christentums, Berlino 1946.
Winter, 1961
Winter P., On the Trial of Jesus, Berlino 1961.
Zagrebelsky, 1995
Zagrebelsky G., Il “Crucifige!” e la democrazia, Torino 1995.
Zahn, 1908
Zahn Thomas, Das Evangelion des Johannes, Berlino 1908.
Daniela Annunziata Il processo contro Gesù
www.studibiblici.eu
234