Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua...

354
Pantaleo Carabellese Il problema teologico come filosofia www.liberliber.it Pantaleo Carabellese Il problema teologico come filosofia www.liberliber.it

Transcript of Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua...

Page 1: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Pantaleo CarabelleseIl problema teologico

come filosofia

www.liberliber.it

Pantaleo CarabelleseIl problema teologico

come filosofia

www.liberliber.it

Page 2: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il problema teologico come filosofiaAUTORE: Carabellese, PantaleoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il problema teologico come filosofia /Pantaleo Carabellese. - Roma : Tipografia del Senatodi G. Barbi, 1931. - XI, 199 p. ; 24 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 febbraio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa

2

Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il problema teologico come filosofiaAUTORE: Carabellese, PantaleoTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il problema teologico come filosofia /Pantaleo Carabellese. - Roma : Tipografia del Senatodi G. Barbi, 1931. - XI, 199 p. ; 24 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 21 febbraio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa

2

Page 3: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI013000 FILOSOFIA / Metafisica

DIGITALIZZAZIONE:Virginia Vinci, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

3

1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI013000 FILOSOFIA / Metafisica

DIGITALIZZAZIONE:Virginia Vinci, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

3

Page 4: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Page 5: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE..............................................................12CAPITOLO I.È POSSIBILE UNA METAFISICA CRITICA?..........16

1. La metafisica.........................................................162. Il problema............................................................203. Superamento storico della contraddizione: la filo-sofia trascendentale...................................................244. L'equivoco della filosofia trascendentale.............285. Possibilità della metafisica critica........................326. Il nuovo concetto di metafisica.............................377. Il nuovo concetto di Critica..................................418. La filosofia come sforzo.......................................46

CAPITOLO II.LA POSITIVITÀ DELL'OGGETTO...........................50

9. L'impostazione della Critica ed il problema dell'oggetto...............................................................5010. L'alterità non è estraneità....................................5211. L'oggetto (essere presente nella coscienza) non è alterità.......................................................................5312. Il processo di negazione dell'oggeitività formale...................................................................................5713. Il processo di negazione visto nella deduzione dell'oggettività..........................................................6314. La scoperta kantiana dell'Universale come Essere

5

Indice generale

Liber Liber......................................................................4PREFAZIONE..............................................................12CAPITOLO I.È POSSIBILE UNA METAFISICA CRITICA?..........16

1. La metafisica.........................................................162. Il problema............................................................203. Superamento storico della contraddizione: la filo-sofia trascendentale...................................................244. L'equivoco della filosofia trascendentale.............285. Possibilità della metafisica critica........................326. Il nuovo concetto di metafisica.............................377. Il nuovo concetto di Critica..................................418. La filosofia come sforzo.......................................46

CAPITOLO II.LA POSITIVITÀ DELL'OGGETTO...........................50

9. L'impostazione della Critica ed il problema dell'oggetto...............................................................5010. L'alterità non è estraneità....................................5211. L'oggetto (essere presente nella coscienza) non è alterità.......................................................................5312. Il processo di negazione dell'oggeitività formale...................................................................................5713. Il processo di negazione visto nella deduzione dell'oggettività..........................................................6314. La scoperta kantiana dell'Universale come Essere

5

Page 6: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

oggettivo in sè...........................................................69CAPITOLO III.L'ALTERITÀ COME SOGGETTIVITÀ.....................74

15. L'alterità dell'oggetto come genesi del realismo.7416. Critica della riduzione dell'alterità alla oggettività empirica kantiana......................................................7717. Critica della riduzione dell'alterità alla soggettivi-tà empirica................................................................8118. L'alterità come soggettività.................................8519. L'io individuale e la filosofia di Fichte...............8920. Mancato problema della unicità o molteplicità dell'Io........................................................................9321. Falsa riduzione del problema della individualità a problema morale.......................................................9622. Deduzione dell'io individuale (e non del tu) dalla egoità originaria........................................................9823. Critica dell'Io individuale di Fichte..................10224. L'alterità nella egoità pura................................10725. L'alterità riconosciuta nella egoità anche con l'usolinguistico...............................................................11026. Conclusione......................................................114

CAPITOLO IV.LA COSA IN SÈ.........................................................117

27. La pretesa erroneità connaturale alla coscienza comune....................................................................11728. Il concetto comune di cosa come quid unificante.................................................................................12229. Cosa ed elemento: il concetto scientifico di cosa.................................................................................125

6

oggettivo in sè...........................................................69CAPITOLO III.L'ALTERITÀ COME SOGGETTIVITÀ.....................74

15. L'alterità dell'oggetto come genesi del realismo.7416. Critica della riduzione dell'alterità alla oggettività empirica kantiana......................................................7717. Critica della riduzione dell'alterità alla soggettivi-tà empirica................................................................8118. L'alterità come soggettività.................................8519. L'io individuale e la filosofia di Fichte...............8920. Mancato problema della unicità o molteplicità dell'Io........................................................................9321. Falsa riduzione del problema della individualità a problema morale.......................................................9622. Deduzione dell'io individuale (e non del tu) dalla egoità originaria........................................................9823. Critica dell'Io individuale di Fichte..................10224. L'alterità nella egoità pura................................10725. L'alterità riconosciuta nella egoità anche con l'usolinguistico...............................................................11026. Conclusione......................................................114

CAPITOLO IV.LA COSA IN SÈ.........................................................117

27. La pretesa erroneità connaturale alla coscienza comune....................................................................11728. Il concetto comune di cosa come quid unificante.................................................................................12229. Cosa ed elemento: il concetto scientifico di cosa.................................................................................125

6

Page 7: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

30. Cosa e concetto: il concetto filosofico di cosa. 12931. Contraddittorietà di tal concetto filosofico di cosa in sè.........................................................................13332. La concezione negativa o contraddittoria della cosa in sè conseguenza della predetta concezione filo-sofica (realismo) della cosa in sè............................14233. La cosa in sè come Oggetto Puro.....................14634. Il pregiudizio dogmatico ed antidogmatico......15735. Il pregiudizio del relativismo............................164

CAPITOLO V.L'ESPERIENZA.........................................................172

36. La soppressione idealistica della esperienza in quanto realismo.......................................................17237. Opposti concetti di conoscenza nati da Kant e pre-sentati come esperienza pura; mancata critica del con-cetto di esperienza..................................................17738. La concezione realistica della esperienza; il senti-re.............................................................................18439. L'esperienza realistica e l'idealismo post-kantiano.................................................................................18840. L'alterità, carattere proprio della esperienza.....19241. L'esperienza come reciprocità..........................19542. La generalità della cosa reale: la natura............20143. Astrazione; necessità scientifica; necessità......20544. Astrazione scientifica e riflessione filosofica.. .21145. Spiegazione di pregiudizi realistici...................21747. Esperienza e coscienza concreta.......................227

CAPITOLO VI.DIO OGGETTO DELLA FILOSOFIA......................230

7

30. Cosa e concetto: il concetto filosofico di cosa. 12931. Contraddittorietà di tal concetto filosofico di cosa in sè.........................................................................13332. La concezione negativa o contraddittoria della cosa in sè conseguenza della predetta concezione filo-sofica (realismo) della cosa in sè............................14233. La cosa in sè come Oggetto Puro.....................14634. Il pregiudizio dogmatico ed antidogmatico......15735. Il pregiudizio del relativismo............................164

CAPITOLO V.L'ESPERIENZA.........................................................172

36. La soppressione idealistica della esperienza in quanto realismo.......................................................17237. Opposti concetti di conoscenza nati da Kant e pre-sentati come esperienza pura; mancata critica del con-cetto di esperienza..................................................17738. La concezione realistica della esperienza; il senti-re.............................................................................18439. L'esperienza realistica e l'idealismo post-kantiano.................................................................................18840. L'alterità, carattere proprio della esperienza.....19241. L'esperienza come reciprocità..........................19542. La generalità della cosa reale: la natura............20143. Astrazione; necessità scientifica; necessità......20544. Astrazione scientifica e riflessione filosofica.. .21145. Spiegazione di pregiudizi realistici...................21747. Esperienza e coscienza concreta.......................227

CAPITOLO VI.DIO OGGETTO DELLA FILOSOFIA......................230

7

Page 8: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

48. L'individuazione della coscienza: il concreto...23049. Critica dello storicismo: oggettività ed apriorità della filosofia..........................................................23750. Il problema di Dio nella filosofia.....................247

CAPITOLO VII.L'ESISTENZA DI DIO...............................................255

51. Il concetto realistico di religione e l'esistenza di Dio..........................................................................25552. Il problema della esistenza di Dio nella filosofia.................................................................................26153. Esistenza di Dio e misticismo...........................267

CAPITOLO VIII.LA RELIGIONE.........................................................271

54. Credenza ed esistenza.......................................27155. L'esistenza pura................................................27956. La religione come adorazione e l'esistenza pura.................................................................................284

CAPITOLO IX.IL PROBLEMA DI DIO.............................................289

57. Il presupposto della religiosità..........................28958. Il presupposto della esistenza...........................29459. Il presupposto dell'esistenza: la soggettività.....30260. L'argomento ontologico tradizionale................30661. L'argomento ontologico della metafisica critica.................................................................................314

APPENDICE..............................................................323Il problema teologico nella filosofia italiana contem-poranea....................................................................323

8

48. L'individuazione della coscienza: il concreto...23049. Critica dello storicismo: oggettività ed apriorità della filosofia..........................................................23750. Il problema di Dio nella filosofia.....................247

CAPITOLO VII.L'ESISTENZA DI DIO...............................................255

51. Il concetto realistico di religione e l'esistenza di Dio..........................................................................25552. Il problema della esistenza di Dio nella filosofia.................................................................................26153. Esistenza di Dio e misticismo...........................267

CAPITOLO VIII.LA RELIGIONE.........................................................271

54. Credenza ed esistenza.......................................27155. L'esistenza pura................................................27956. La religione come adorazione e l'esistenza pura.................................................................................284

CAPITOLO IX.IL PROBLEMA DI DIO.............................................289

57. Il presupposto della religiosità..........................28958. Il presupposto della esistenza...........................29459. Il presupposto dell'esistenza: la soggettività.....30260. L'argomento ontologico tradizionale................30661. L'argomento ontologico della metafisica critica.................................................................................314

APPENDICE..............................................................323Il problema teologico nella filosofia italiana contem-poranea....................................................................323

8

Page 9: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

PANTALEO CARABELLESE

IL

PROBLEMA TEOLOGICO

COME FILOSOFIA

9

PANTALEO CARABELLESE

IL

PROBLEMA TEOLOGICO

COME FILOSOFIA

9

Page 10: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

AGiuseppe Amato Pojero

Questo Saggio nacque nella Biblioteca filosofica diPalermo.

A Lei, sapientissimo Dottore di essa ed animatore de-gli studi filosofici, a Lei che ne promosse con l'assiduacura la nascita, esso dunque torna, ora che può andarsolo pel mondo.

E torna anche a significare il memore affetto che legame a Lei, agli amici, agli scolari della luminosa Paler-mo.

Roma; 21 aprile 1931-IX.P. C.

10

AGiuseppe Amato Pojero

Questo Saggio nacque nella Biblioteca filosofica diPalermo.

A Lei, sapientissimo Dottore di essa ed animatore de-gli studi filosofici, a Lei che ne promosse con l'assiduacura la nascita, esso dunque torna, ora che può andarsolo pel mondo.

E torna anche a significare il memore affetto che legame a Lei, agli amici, agli scolari della luminosa Paler-mo.

Roma; 21 aprile 1931-IX.P. C.

10

Page 11: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

PREFAZIONE

La metafisica critica è possibile (cap. I), perchèl'oggetto non è negazione (non io). Nè l'oggettività è al-terità (cap. II); giacchè l'alterità è sempre e soltanto sog-gettività (cap. III). Oggetto nella sua affermativa purez-za ci risulta la stessa cosa in sè (cap. IV), la quale non èquell'astratto prodotto dell'alterità, che diciamo cosa rea-le (cap. V). Essa è invece Dio stesso, il quale si chiari-sce così come assoluto Oggetto puro, e come tale costi-tuisce il problema oggettivo della filosofia (cap. VI). Daquesto chiarimento nasce la necessità di esaminare criti-camente il problema di Dio nella presentazione esisten-ziale fattane dal concetto realistico della religione (cap.VII), e di ricercare il concetto di religione prescindendodal pregiudizio realistico (cap. VIII). Si raggiunge così,con la liberazione del problema di Dio da due ingiustifi-cati presupposti, e con la rivalutazione dell'argomentoontologico in campo critico (cap. IX), la conferma posi-tiva di quella possibilità della metafisica critica che siera ottenuta sin da principio (cap. I).

11

PREFAZIONE

La metafisica critica è possibile (cap. I), perchèl'oggetto non è negazione (non io). Nè l'oggettività è al-terità (cap. II); giacchè l'alterità è sempre e soltanto sog-gettività (cap. III). Oggetto nella sua affermativa purez-za ci risulta la stessa cosa in sè (cap. IV), la quale non èquell'astratto prodotto dell'alterità, che diciamo cosa rea-le (cap. V). Essa è invece Dio stesso, il quale si chiari-sce così come assoluto Oggetto puro, e come tale costi-tuisce il problema oggettivo della filosofia (cap. VI). Daquesto chiarimento nasce la necessità di esaminare criti-camente il problema di Dio nella presentazione esisten-ziale fattane dal concetto realistico della religione (cap.VII), e di ricercare il concetto di religione prescindendodal pregiudizio realistico (cap. VIII). Si raggiunge così,con la liberazione del problema di Dio da due ingiustifi-cati presupposti, e con la rivalutazione dell'argomentoontologico in campo critico (cap. IX), la conferma posi-tiva di quella possibilità della metafisica critica che siera ottenuta sin da principio (cap. I).

11

Page 12: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Questa la semplice trama della presente indagine.Nata per mettere oralmente1 in esplicita evidenza il prin-cipio speculativo che implicitamente anima due miei la-vori storici recenti2, nella ripetuta rielaborazione e nellosviluppo, che nel tradursi nello scritto il pensiero ha pre-so, essa ha finito col precisare il fondamentale carattereteologico del problema oggettivo della filosofia. Il titoloquindi che l'indagine si è dato, si può dir nato dallo stes-so suo sviluppo, pel quale essa ha perduto l'originariocarattere occasionale e divulgativo, per divenire un con-tributo alla fondazione di quel concretismo che io riten-go debbasi sviluppare dalla Critica kantiana dopo Hegelda una parte e Rosmini dall'altra.

Credo di aver così almeno cominciato a soddisfare ta-lune sollecitazioni pubbliche e private, che mi vengonofatte perchè io esponga con sistematica unità quel pen-siero che anima i saggi teoretici o storici che vengo pub-blicando.

1 Il nucleo infatti del presente lavoro è costituito da alcuneconferenze, tenute, tra il 1927 e il 1929, alla Biblioteca filosoficadi Palermo, con i segmenti titoli: Il problema del Divino; La cosain sè; L'io individuale per Fichte; Come è possibile una metafisi-ca critica, e, al Congresso di filosofia di Roma, col titolo: L'esi-genza dell'oggettività.

2 La Filosofia di Kant. I. L'idea teologica, Firenze, Vallecchi,1927; Il problema della Filosofia da Kant a Fichte, Palermo, Tri-marchi 1929. Per il concetto della storia della filosofia moderna,si abbia ora anche presente la prolusione Il valore storico della fi-losofia moderna in Giornale critico della filosofia italiana, 1930,fasc. 3°.

12

Questa la semplice trama della presente indagine.Nata per mettere oralmente1 in esplicita evidenza il prin-cipio speculativo che implicitamente anima due miei la-vori storici recenti2, nella ripetuta rielaborazione e nellosviluppo, che nel tradursi nello scritto il pensiero ha pre-so, essa ha finito col precisare il fondamentale carattereteologico del problema oggettivo della filosofia. Il titoloquindi che l'indagine si è dato, si può dir nato dallo stes-so suo sviluppo, pel quale essa ha perduto l'originariocarattere occasionale e divulgativo, per divenire un con-tributo alla fondazione di quel concretismo che io riten-go debbasi sviluppare dalla Critica kantiana dopo Hegelda una parte e Rosmini dall'altra.

Credo di aver così almeno cominciato a soddisfare ta-lune sollecitazioni pubbliche e private, che mi vengonofatte perchè io esponga con sistematica unità quel pen-siero che anima i saggi teoretici o storici che vengo pub-blicando.

1 Il nucleo infatti del presente lavoro è costituito da alcuneconferenze, tenute, tra il 1927 e il 1929, alla Biblioteca filosoficadi Palermo, con i segmenti titoli: Il problema del Divino; La cosain sè; L'io individuale per Fichte; Come è possibile una metafisi-ca critica, e, al Congresso di filosofia di Roma, col titolo: L'esi-genza dell'oggettività.

2 La Filosofia di Kant. I. L'idea teologica, Firenze, Vallecchi,1927; Il problema della Filosofia da Kant a Fichte, Palermo, Tri-marchi 1929. Per il concetto della storia della filosofia moderna,si abbia ora anche presente la prolusione Il valore storico della fi-losofia moderna in Giornale critico della filosofia italiana, 1930,fasc. 3°.

12

Page 13: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il principio fondamentale resta sempre quello ch'iogià dal 1921 esposi facendo l'analisi critica della co-scienza, mostrando l'irriducibilità di questa ad autoco-scienza, e determinando il sapere filosofico come il mo-mento di sforzo di trascendenza oggettiva della coscien-za stessa: tal principio è la concretezza della coscienza3.

Avendo allora data la soluzione di quel che ora dicoproblema interno della filosofia, credo di aver così giàsegnata, nelle sue linee generali, la nuova Critica, cheha a suo compito proprio tal problema, e, per la specialenatura di questo, deve rimanere, come la disse Kant, fi-losofia trascendentale e cioè filosofia in quanto ha a suoproblema se stessa. Filosofia trascendentale, che, nellascoperta che fa della filosofia come trascendenza ogget-tiva, duplica il suo problema trovandosi dinanzi anchealla trascendenza soggettiva, che a mio avviso è datadalla religione: la filosofia non può vedere e risolvere ilproblema della propria trascendenza senza scoprire unproblema anche nella trascendenza religiosa. La critica è

3 Cfr. Critica dei Concreto, Pistoia, 1921; Che cosa è la filo-sofia? in Rivista di filosofia, 1921; Religione e filosofia in Annua-rio della Biblioteca filosofica di Palermo, 1923. Di questo princi-pio della concretezza della coscienza, per quanto non ancora libe-ratosi dal corrente pregiudizio della opposizione dell'essere alpensare, c'è già un germe abbastanza visibile nel mio studio suL'Essere e il problema religioso, Bari, Laterza, 1914, e un princi-pio di sviluppo in quel pur acerbissimo saggio su La coscienzamorale, Spezia, 1915 e nell'articolo aggiuntovi su La coscienzamorale come teoria della volontà in Rivista di filosofia, 1917,fasc. I°.

13

Il principio fondamentale resta sempre quello ch'iogià dal 1921 esposi facendo l'analisi critica della co-scienza, mostrando l'irriducibilità di questa ad autoco-scienza, e determinando il sapere filosofico come il mo-mento di sforzo di trascendenza oggettiva della coscien-za stessa: tal principio è la concretezza della coscienza3.

Avendo allora data la soluzione di quel che ora dicoproblema interno della filosofia, credo di aver così giàsegnata, nelle sue linee generali, la nuova Critica, cheha a suo compito proprio tal problema, e, per la specialenatura di questo, deve rimanere, come la disse Kant, fi-losofia trascendentale e cioè filosofia in quanto ha a suoproblema se stessa. Filosofia trascendentale, che, nellascoperta che fa della filosofia come trascendenza ogget-tiva, duplica il suo problema trovandosi dinanzi anchealla trascendenza soggettiva, che a mio avviso è datadalla religione: la filosofia non può vedere e risolvere ilproblema della propria trascendenza senza scoprire unproblema anche nella trascendenza religiosa. La critica è

3 Cfr. Critica dei Concreto, Pistoia, 1921; Che cosa è la filo-sofia? in Rivista di filosofia, 1921; Religione e filosofia in Annua-rio della Biblioteca filosofica di Palermo, 1923. Di questo princi-pio della concretezza della coscienza, per quanto non ancora libe-ratosi dal corrente pregiudizio della opposizione dell'essere alpensare, c'è già un germe abbastanza visibile nel mio studio suL'Essere e il problema religioso, Bari, Laterza, 1914, e un princi-pio di sviluppo in quel pur acerbissimo saggio su La coscienzamorale, Spezia, 1915 e nell'articolo aggiuntovi su La coscienzamorale come teoria della volontà in Rivista di filosofia, 1917,fasc. I°.

13

Page 14: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

perciò, in generale, riflessione sulla trascendenza e sidetermina quindi come critica della filosofia e criticadella religione.

Alla critica, immancabile nel sapere filosofico dopoKant, deve accompagnarsi la Metafisica, che dalla Criti-ca stessa non è tolta ma dimostrata possibile; metafisica,che riflette su quell'Oggetto e quei soggetti, che la Criti-ca stessa nel risolvere il suo problema ha già individuati,e diviene quindi teologia e psicologia speculativa. Diquesta metafisica linee sian pur generalissime si trovanonel presente saggio.

Resta che linee generali si diano anche per quella cheio ritengo terza parte del sapere filosofico e cioè la Teo-ria del concreto, la quale mostra come la triplice formatemporale della concretezza nasca dalla stessa indivi-duazione che dell'Oggetto di coscienza i soggetti fanno,e ciascuna di queste forme sottopone a riflessione, de-terminandosi così come Logica, Estetica ed Etica4.

4 Ed anche di ciò cenni, per quanto soltanto sommari od occa-sionali, ci sono in tutti i lavori qui prima citati, ai quali convienaggiungere La realtà dei fatti storici in Il Conciliatore, Torino,Bocca, 1915, fasc. 3-4, e La Storia nel volume Scritti filosoficiper le onoranze a B. Varisco, Firenze, Vallecchi, 1925.

14

perciò, in generale, riflessione sulla trascendenza e sidetermina quindi come critica della filosofia e criticadella religione.

Alla critica, immancabile nel sapere filosofico dopoKant, deve accompagnarsi la Metafisica, che dalla Criti-ca stessa non è tolta ma dimostrata possibile; metafisica,che riflette su quell'Oggetto e quei soggetti, che la Criti-ca stessa nel risolvere il suo problema ha già individuati,e diviene quindi teologia e psicologia speculativa. Diquesta metafisica linee sian pur generalissime si trovanonel presente saggio.

Resta che linee generali si diano anche per quella cheio ritengo terza parte del sapere filosofico e cioè la Teo-ria del concreto, la quale mostra come la triplice formatemporale della concretezza nasca dalla stessa indivi-duazione che dell'Oggetto di coscienza i soggetti fanno,e ciascuna di queste forme sottopone a riflessione, de-terminandosi così come Logica, Estetica ed Etica4.

4 Ed anche di ciò cenni, per quanto soltanto sommari od occa-sionali, ci sono in tutti i lavori qui prima citati, ai quali convienaggiungere La realtà dei fatti storici in Il Conciliatore, Torino,Bocca, 1915, fasc. 3-4, e La Storia nel volume Scritti filosoficiper le onoranze a B. Varisco, Firenze, Vallecchi, 1925.

14

Page 15: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO I.È POSSIBILE UNA METAFISICA

CRITICA?

1. La metafisica.

La filosofia o è anche metafisica, o non è.La metafisica infatti è «filosofia prima» cioè vera e

propria filosofia, filosofia sic et simpliciter.Se la filosofia fosse soltanto nei determinati problemi

che si dicono filosofici e che dividono, per cosi dire, ilterritorio del sapere filosofico, la filosofia non ci sareb-be neppure in questi, perchè mancherebbe il territoriostesso da dividere. La determinazione di tal sapere comefilosofico in tutte le eventuali sue parti è data propriodalla filosofia prima, che non è logica o etica, estetica ognoseologia, psicologia o cosmologia, ecc., ma che ènecessariamente il presupposto di tutte queste insieme,ammesso che siano ritenute filosofia, ed è quindi il cep-

15

CAPITOLO I.È POSSIBILE UNA METAFISICA

CRITICA?

1. La metafisica.

La filosofia o è anche metafisica, o non è.La metafisica infatti è «filosofia prima» cioè vera e

propria filosofia, filosofia sic et simpliciter.Se la filosofia fosse soltanto nei determinati problemi

che si dicono filosofici e che dividono, per cosi dire, ilterritorio del sapere filosofico, la filosofia non ci sareb-be neppure in questi, perchè mancherebbe il territoriostesso da dividere. La determinazione di tal sapere comefilosofico in tutte le eventuali sue parti è data propriodalla filosofia prima, che non è logica o etica, estetica ognoseologia, psicologia o cosmologia, ecc., ma che ènecessariamente il presupposto di tutte queste insieme,ammesso che siano ritenute filosofia, ed è quindi il cep-

15

Page 16: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

po unico intorno a cui tutte le cosiddette scienze filoso-fiche rampollano: senza unità non v'ha filosofia, comenon v'ha nulla.

Lo stesso problema della conoscenza, se per cono-scenza intendiamo una speciale attività spirituale, pre-suppone quella metafisica, al cui fondamento inveceesso vuol porre la propria soluzione. E se pur vogliamola spiritualità tutta porre nel conoscere, questa stessa po-sizione richiede appunto una filosofia prima, che la giu-stifichi, che la dimostri. Il problema della conoscenzacome tale non può dunque essere fondamentale rispettoalla filosofia prima. Si capisce, quindi, perchè esso,quando tale si consideri, da problema gnoseologico sitrasforma in logico e quindi in etico. Ed è così di ognideterminato problema che abbia preteso mettersi al po-sto di quello schiettamente metafisico.

«C'è una scienza, dice Aristotele (Metafisica, IV, 1),che studia l'essere in quanto essere, e le sue proprietà es-senziali». E altrove (ib., XI, 3): «La scienza del filosofoha per oggetto l'essere in quanto essere, in universale enon in particolare». Cito la definizione di Aristotile non,si intende, non per accettarla nei suoi elementi determi-nati e specifici, ma perchè si faccia presente a chi puravendo, perchè deve avere, una idea implicita di questaforma di sapere indispensabile al pensante, non abbiapel momento un esplicito concetto di riferimento.

Quel che ci è di essenziale nella citata definizione ari-stotelica di quella scienza del filosofo, che Aristotele si

16

po unico intorno a cui tutte le cosiddette scienze filoso-fiche rampollano: senza unità non v'ha filosofia, comenon v'ha nulla.

Lo stesso problema della conoscenza, se per cono-scenza intendiamo una speciale attività spirituale, pre-suppone quella metafisica, al cui fondamento inveceesso vuol porre la propria soluzione. E se pur vogliamola spiritualità tutta porre nel conoscere, questa stessa po-sizione richiede appunto una filosofia prima, che la giu-stifichi, che la dimostri. Il problema della conoscenzacome tale non può dunque essere fondamentale rispettoalla filosofia prima. Si capisce, quindi, perchè esso,quando tale si consideri, da problema gnoseologico sitrasforma in logico e quindi in etico. Ed è così di ognideterminato problema che abbia preteso mettersi al po-sto di quello schiettamente metafisico.

«C'è una scienza, dice Aristotele (Metafisica, IV, 1),che studia l'essere in quanto essere, e le sue proprietà es-senziali». E altrove (ib., XI, 3): «La scienza del filosofoha per oggetto l'essere in quanto essere, in universale enon in particolare». Cito la definizione di Aristotile non,si intende, non per accettarla nei suoi elementi determi-nati e specifici, ma perchè si faccia presente a chi puravendo, perchè deve avere, una idea implicita di questaforma di sapere indispensabile al pensante, non abbiapel momento un esplicito concetto di riferimento.

Quel che ci è di essenziale nella citata definizione ari-stotelica di quella scienza del filosofo, che Aristotele si

16

Page 17: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

preoccupò di costruire e non di denominare, è l'essere inuniversale e quindi l'assoluta unicità del suo sapere.

Universalità dell'essere, che, a chi per poco rifletta, èanche una assoluta unicità; unicità del sapere, che, a suavolta, è anche piena sua universalità. Perciò l'essere stu-diato dal filosofo è assolutamente unico, perchè univer-sale; cioè è tale che ogni quid, che in qualche modo sia,l'abbia. E corrispettivamente la forma di sapere tale es-sere, la quale dicesi filosofia, è pienamente universaleperchè unica; cioè è tale che ogni pensante, che in qual-che modo pensi, la possieda.

La metafisica così intesa diventa quindi non soloprincipio di ogni determinato sapere filosofico, ma an-che di ogni sapere, a qualunque attività spirituale questoappartenga, e qualunque sia l'essere a cui esso sia rivol-to.

È chiaro che la metafisica, così intesa, è ineliminabi-le: è in tutto ciò che è, e quindi è saputa da chi pur la piùsemplice cosa, che sia, sappia. È quindi, per l'oggettosuo, ineliminabile dall'essere, come dal sapere. Se èvero che ogni altra scienza ha un oggetto determinato, ilquale, ponendo la propria determinazione, escludel'altrui; se è veto che questo porre la propria determina-zione non si risolve (come invece suole affermarsi, cfr.p. es. Schelling) in questa esclusione dell'altrui cioè inuna pura e semplice negazione; se ciò è vero, tutte le al-tre scienze, che non siano questo sapere del filosofo, ri-guardano, ciascuna, un essere che non è quello dell'altra,ma tutte riguardano anche quell'essere cui guarda il sa-

17

preoccupò di costruire e non di denominare, è l'essere inuniversale e quindi l'assoluta unicità del suo sapere.

Universalità dell'essere, che, a chi per poco rifletta, èanche una assoluta unicità; unicità del sapere, che, a suavolta, è anche piena sua universalità. Perciò l'essere stu-diato dal filosofo è assolutamente unico, perchè univer-sale; cioè è tale che ogni quid, che in qualche modo sia,l'abbia. E corrispettivamente la forma di sapere tale es-sere, la quale dicesi filosofia, è pienamente universaleperchè unica; cioè è tale che ogni pensante, che in qual-che modo pensi, la possieda.

La metafisica così intesa diventa quindi non soloprincipio di ogni determinato sapere filosofico, ma an-che di ogni sapere, a qualunque attività spirituale questoappartenga, e qualunque sia l'essere a cui esso sia rivol-to.

È chiaro che la metafisica, così intesa, è ineliminabi-le: è in tutto ciò che è, e quindi è saputa da chi pur la piùsemplice cosa, che sia, sappia. È quindi, per l'oggettosuo, ineliminabile dall'essere, come dal sapere. Se èvero che ogni altra scienza ha un oggetto determinato, ilquale, ponendo la propria determinazione, escludel'altrui; se è veto che questo porre la propria determina-zione non si risolve (come invece suole affermarsi, cfr.p. es. Schelling) in questa esclusione dell'altrui cioè inuna pura e semplice negazione; se ciò è vero, tutte le al-tre scienze, che non siano questo sapere del filosofo, ri-guardano, ciascuna, un essere che non è quello dell'altra,ma tutte riguardano anche quell'essere cui guarda il sa-

17

Page 18: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

pere del filosofo. E che tutte riguardino anche un taleessere e che perciò la determinazione di un oggetto nonsi risolve solo nella negazione dell'altrui, è dimostratodal fatto che ciascuna scienza nel momento stesso in cuipone sè distinta dall'altra, implica necessariamentel'altra, senza della quale anch'essa svanirebbe. Non di-mostro e non esemplifico: è ovvia la ineliminabile inter-ferenza delle singole scienze particolari. Cioè ciascunascienza suppone le altre, pur avendo ciascuna come pro-prio oggetto una distinta determinazione dell'essere.Questo supporsi reciproco delle scienze, quindi, a menoche non si voglia negare in modo assoluto ogni riferi-mento del sapere all'essere (il che non fa mai nessunoscienziato e nessun uomo, per la semplice ragione chegli è impossibile farlo) vuol dire che ogni determinazio-ne dell'essere suppone, implica, richiede le altre. E que-sto supporsi l'una dell'altra importa una unità dell'esseredelle singole determinazioni. La scoperta di Spinoza èdefinitiva nella sua esigenza fondamentale: dovrà esseresempre rielaborata e quindi trasformata ed arricchitadelle nuove scoperte, ma non potrà essere cancellata.

E passando dalle determinazioni dell'essere oggettodel sapere ai singoli sapienti, e quindi al cosidetto sape-re empirico di ciascuno scienziato come persona, sapereempirico, con cui sempre si fa pratica la scienza delloscienziato, è non meno evidente che non è possibile ilsapere empirico di Tizio senza quello di Caio, e cioè cheil sapiente Tizio non è possibile senza il sapiente Caio equindi che per Tizio e Caio c'è qualcosa di universale,

18

pere del filosofo. E che tutte riguardino anche un taleessere e che perciò la determinazione di un oggetto nonsi risolve solo nella negazione dell'altrui, è dimostratodal fatto che ciascuna scienza nel momento stesso in cuipone sè distinta dall'altra, implica necessariamentel'altra, senza della quale anch'essa svanirebbe. Non di-mostro e non esemplifico: è ovvia la ineliminabile inter-ferenza delle singole scienze particolari. Cioè ciascunascienza suppone le altre, pur avendo ciascuna come pro-prio oggetto una distinta determinazione dell'essere.Questo supporsi reciproco delle scienze, quindi, a menoche non si voglia negare in modo assoluto ogni riferi-mento del sapere all'essere (il che non fa mai nessunoscienziato e nessun uomo, per la semplice ragione chegli è impossibile farlo) vuol dire che ogni determinazio-ne dell'essere suppone, implica, richiede le altre. E que-sto supporsi l'una dell'altra importa una unità dell'esseredelle singole determinazioni. La scoperta di Spinoza èdefinitiva nella sua esigenza fondamentale: dovrà esseresempre rielaborata e quindi trasformata ed arricchitadelle nuove scoperte, ma non potrà essere cancellata.

E passando dalle determinazioni dell'essere oggettodel sapere ai singoli sapienti, e quindi al cosidetto sape-re empirico di ciascuno scienziato come persona, sapereempirico, con cui sempre si fa pratica la scienza delloscienziato, è non meno evidente che non è possibile ilsapere empirico di Tizio senza quello di Caio, e cioè cheil sapiente Tizio non è possibile senza il sapiente Caio equindi che per Tizio e Caio c'è qualcosa di universale,

18

Page 19: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

qualunque sia la diversità di opinioni, la varietà di espe-rienza, l'assenza di rapporti diretti, ecc.

C'è, dunque, ripetiamo, un essere unico, perchè c'èl'essere in universale; c'è un sapere universale, perchèc'è il sapere unico. O più brevemente: c'è l'essere perchèc'è la sua universalità; c'è il sapere perchè c'è la sua uni-cità.

In un modo o in un altro quindi l'essere è quello dellametafisica; e in chi sa, c'è della metafisica. Continuare aparlare di filosofia è, fondamentalmente, parlare di me-tafisica.

2. Il problema.

Ora, perchè c' è un problema della metafisica dopo laCritica?

Per rispondere è necessario fissare, come abbiam fat-to per la metafisica, la nota fondamentale del concetto diCritica.

E per questo dobbiamo risalire non ad Aristotele ma aKant.

Kant ha, e conserva anche dopo la critica, della meta-fisica un concetto, che, spogliato degli elementi aggiuntidallo sviluppo del pensiero filosofico, può essere ripor-tato per i suoi elementi essenziali a quello aristotelico:la metafisica deve essere la scienza per eccellenza, eperciò del soprasensibile, che è l'essere, non mutevolecome quello del senso, ma immutabile, non fenomenico

19

qualunque sia la diversità di opinioni, la varietà di espe-rienza, l'assenza di rapporti diretti, ecc.

C'è, dunque, ripetiamo, un essere unico, perchè c'èl'essere in universale; c'è un sapere universale, perchèc'è il sapere unico. O più brevemente: c'è l'essere perchèc'è la sua universalità; c'è il sapere perchè c'è la sua uni-cità.

In un modo o in un altro quindi l'essere è quello dellametafisica; e in chi sa, c'è della metafisica. Continuare aparlare di filosofia è, fondamentalmente, parlare di me-tafisica.

2. Il problema.

Ora, perchè c' è un problema della metafisica dopo laCritica?

Per rispondere è necessario fissare, come abbiam fat-to per la metafisica, la nota fondamentale del concetto diCritica.

E per questo dobbiamo risalire non ad Aristotele ma aKant.

Kant ha, e conserva anche dopo la critica, della meta-fisica un concetto, che, spogliato degli elementi aggiuntidallo sviluppo del pensiero filosofico, può essere ripor-tato per i suoi elementi essenziali a quello aristotelico:la metafisica deve essere la scienza per eccellenza, eperciò del soprasensibile, che è l'essere, non mutevolecome quello del senso, ma immutabile, non fenomenico

19

Page 20: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ma in sè. Anche Kant vuole che la scienza del filosoforicerchi l'essere come essere, e che quindi sia valida perogni scienziato, sia la scienza e non, come tutte le altre,una scienza.

Ma egli, quando gli occhi di scienziato, che, seguen-do Newton, aveva scrutato il mistero dell'universo e deisuoi mondi, apre ansioso ed atterrito sull'oceano stermi-nato della filosofia, trova, a suo vedere, che egli natural-mente crede esattissimo vedere, che là dove ci deve es-sere la scienza, non c'è affatto nemmeno una scienza.Perchè scienza ci sia, bisogna che quelli che la professa-no convengano almeno nelle determinazioni fondamen-tali dell'oggetto di essa; bisogna che le nozioni di essosiano le stesse per tutti e quindi come tali universalmen-te valide, necessitanti tutti all'assenso. Tale, certo, nonritiene Kant il caso di quel sapere che va sotto il nomedi metafisica; non c'è dunque la e neppure una scienza,là dove si dice che c'è filosofia prima, metafisica.

La filosofia, dunque, fino a me, esclama, qualche vol-ta anche esplicitamente Kant, è stata soltanto in idea: unreale sapere scientifico che possa dirsi filosofia, finoranon c'è stato.

È possibile, e come, che esso ci sia? Questa domandacostituisce l'essenza della Critica. Questo il problemache la Critica vuole risolvere: che ci sia scienza e quindipossibilità di essa, per Kant è indubitabile, perchè cisono la matematica e la fisica pura. Si tratta di vedere,ricercando come queste son fatte, se e come possa esser-ci una scienza qual deve essere la metafisica.

20

ma in sè. Anche Kant vuole che la scienza del filosoforicerchi l'essere come essere, e che quindi sia valida perogni scienziato, sia la scienza e non, come tutte le altre,una scienza.

Ma egli, quando gli occhi di scienziato, che, seguen-do Newton, aveva scrutato il mistero dell'universo e deisuoi mondi, apre ansioso ed atterrito sull'oceano stermi-nato della filosofia, trova, a suo vedere, che egli natural-mente crede esattissimo vedere, che là dove ci deve es-sere la scienza, non c'è affatto nemmeno una scienza.Perchè scienza ci sia, bisogna che quelli che la professa-no convengano almeno nelle determinazioni fondamen-tali dell'oggetto di essa; bisogna che le nozioni di essosiano le stesse per tutti e quindi come tali universalmen-te valide, necessitanti tutti all'assenso. Tale, certo, nonritiene Kant il caso di quel sapere che va sotto il nomedi metafisica; non c'è dunque la e neppure una scienza,là dove si dice che c'è filosofia prima, metafisica.

La filosofia, dunque, fino a me, esclama, qualche vol-ta anche esplicitamente Kant, è stata soltanto in idea: unreale sapere scientifico che possa dirsi filosofia, finoranon c'è stato.

È possibile, e come, che esso ci sia? Questa domandacostituisce l'essenza della Critica. Questo il problemache la Critica vuole risolvere: che ci sia scienza e quindipossibilità di essa, per Kant è indubitabile, perchè cisono la matematica e la fisica pura. Si tratta di vedere,ricercando come queste son fatte, se e come possa esser-ci una scienza qual deve essere la metafisica.

20

Page 21: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

E giacchè la metafisica deve essere veramente lascienza, quella scienza da cui quindi tutte le altre, che cisiano state o ci saranno, sono fatte scienze, è chiaro cheporre tale problema è porre il problema per la stessascienza, e quindi per la conoscenza, giacchè scienza nonvuol dire che assoluta conoscenza, conoscenza che ètale sempre e per tutti.

Risolve Kant il problema che si propone? A me paredi no. Infatti nel ricercare come son fatte quelle scienzedi cui disponiamo (matematica e fisica pura) egli hascoperto come loro costitutivo il giudizio sintetico apriori, e di tal giudizio sintetico a priori ci mostra, percosì dire, il modo matematico nella costruzione dei con-cetti, e quello fisico nel loro schematismo.

Ma la stessa natura di tal giudizio sintetico a priori,matematico e fisico, importando la sintesi a priori delconcetto puro con la intuizione pura, esclude che essopossa essere anche il costitutivo di quella scienza asso-luta che deve essere la filosofia; giacchè questa, per es-sere tale, deve avere come oggetto, a dirla aristotelica-mente, l'essere come essere e kantianamente l'essere insè e quindi soprasensibile, ed invece l'intuizione, di cuil'uomo dispone, e che, anch'essa, nella sua purezza vie-ne a costituire la sintesi scientifica, è, per Kant, sempree necessariamente del sensibile.

Kant, quindi, non ci dice, e non può dirci, come sonocostituiti i giudizi sintetici a priori metafisici; giacchèegli esplicitamente pone l'essere in sè, che perciò è so-prasensibile, come inconoscibile: il sentire per Kant è

21

E giacchè la metafisica deve essere veramente lascienza, quella scienza da cui quindi tutte le altre, che cisiano state o ci saranno, sono fatte scienze, è chiaro cheporre tale problema è porre il problema per la stessascienza, e quindi per la conoscenza, giacchè scienza nonvuol dire che assoluta conoscenza, conoscenza che ètale sempre e per tutti.

Risolve Kant il problema che si propone? A me paredi no. Infatti nel ricercare come son fatte quelle scienzedi cui disponiamo (matematica e fisica pura) egli hascoperto come loro costitutivo il giudizio sintetico apriori, e di tal giudizio sintetico a priori ci mostra, percosì dire, il modo matematico nella costruzione dei con-cetti, e quello fisico nel loro schematismo.

Ma la stessa natura di tal giudizio sintetico a priori,matematico e fisico, importando la sintesi a priori delconcetto puro con la intuizione pura, esclude che essopossa essere anche il costitutivo di quella scienza asso-luta che deve essere la filosofia; giacchè questa, per es-sere tale, deve avere come oggetto, a dirla aristotelica-mente, l'essere come essere e kantianamente l'essere insè e quindi soprasensibile, ed invece l'intuizione, di cuil'uomo dispone, e che, anch'essa, nella sua purezza vie-ne a costituire la sintesi scientifica, è, per Kant, sempree necessariamente del sensibile.

Kant, quindi, non ci dice, e non può dirci, come sonocostituiti i giudizi sintetici a priori metafisici; giacchèegli esplicitamente pone l'essere in sè, che perciò è so-prasensibile, come inconoscibile: il sentire per Kant è

21

Page 22: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

essenziale al conoscere umano ed esclude l'essere in sè.Risultato dunque della Critica, di questa valutazione chela ragione fa del suo conoscere, pare che sia la incono-scibilità dell'essere in sè, pure in una netta ed esplicitaaffermazione della assoluta validità della conoscenza, equindi della esistenza della scienza come tale. Il chevuol dire che la scienza come tale non può e non deveessere di quell'in sè, di quell'essere come essere che ne èinvece la negazione.

Quell'essere, che poco fa vedemmo comune a tutti, equindi ponente in tutti un sapere metafisico, sfugge in-vece proprio noi in quanto sapienti.

Pure Kant continua ad affermare l'accennato concettodi metafisica e la certezza che di tale metafisica solodopo la critica si può avere la realizzazione. Non videquasi affatto, certo non vide chiaramente, la contraddi-zione tra il risultato, che egli dava esplicito, della Criticae questa riaffermazione della metafisica. E più sviluppa-va la prima Critica con le successive, e più la contraddi-zione si faceva profonda invece di essere superata.

Se dunque metafisica è ricerca dell'essere in sè nellasua universale unità, e Critica vuol dire irraggiungibilitàdi tale essere (sia esso ammesso positivamente come fa-ceva Kant, o senz'altro negato come fecero i suoi epigo-ni), come è mai possibile parlare di una metafisica criti-ca? Dato valore alla Critica, la metafisica va senz'altroabbandonata.

Si spiega quindi il grido antimetafisico lanciato dapretesi seguaci di Kant e dato senz'altro come la stessa

22

essenziale al conoscere umano ed esclude l'essere in sè.Risultato dunque della Critica, di questa valutazione chela ragione fa del suo conoscere, pare che sia la incono-scibilità dell'essere in sè, pure in una netta ed esplicitaaffermazione della assoluta validità della conoscenza, equindi della esistenza della scienza come tale. Il chevuol dire che la scienza come tale non può e non deveessere di quell'in sè, di quell'essere come essere che ne èinvece la negazione.

Quell'essere, che poco fa vedemmo comune a tutti, equindi ponente in tutti un sapere metafisico, sfugge in-vece proprio noi in quanto sapienti.

Pure Kant continua ad affermare l'accennato concettodi metafisica e la certezza che di tale metafisica solodopo la critica si può avere la realizzazione. Non videquasi affatto, certo non vide chiaramente, la contraddi-zione tra il risultato, che egli dava esplicito, della Criticae questa riaffermazione della metafisica. E più sviluppa-va la prima Critica con le successive, e più la contraddi-zione si faceva profonda invece di essere superata.

Se dunque metafisica è ricerca dell'essere in sè nellasua universale unità, e Critica vuol dire irraggiungibilitàdi tale essere (sia esso ammesso positivamente come fa-ceva Kant, o senz'altro negato come fecero i suoi epigo-ni), come è mai possibile parlare di una metafisica criti-ca? Dato valore alla Critica, la metafisica va senz'altroabbandonata.

Si spiega quindi il grido antimetafisico lanciato dapretesi seguaci di Kant e dato senz'altro come la stessa

22

Page 23: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

verità dimostrata da Kant: Non più metafisica. Kant in-vece non aveva nè esplicitamente nè implicitamente di-mostrata questa morte della metafisica: se mai, comeabbiam visto, si era messo in una contraddizione da cuinon era saputo uscire.

3. Superamento storico della contraddizione: la filosofia trascendentale.

Però anche coloro che non hanno elevato il grido an-timetafisico in nome del positivo fatto, e che hanno in-vece più profondamente interpretato e sviluppato il pen-siero di Kant, si sono ben guardati dal tentare una meta-fisica, e cioè una metafisica dell'essere, quale era stataaffermata da Aristotele e confermata da Kant. Il risultatocritico della inconoscibilità dell'essere si fece semprepiù esplicito in sè e nelle sue conseguenze e rese quindievidente la contraddizione in cui il pensiero kantiano sidibatteva. E il valore vitale del pensiero di Kant, si pen-sò a ragione, sta nella Critica e non nel contradditoriosforzo di costruire una metafisica dell'inconoscibile. Sideve dunque valutare la Critica e liberarla dalla contrad-dizione, in cui, coll'esplicito risultato raggiunto, era ca-duta.

La metafisica è dogmatica perchè parte dall'essereche ne è l'oggetto; essere invece, che, come puro eschietto essere, come in sè, è fuori della conoscenza. Edè quindi necessariamente fuori della scienza. E se la me-

23

verità dimostrata da Kant: Non più metafisica. Kant in-vece non aveva nè esplicitamente nè implicitamente di-mostrata questa morte della metafisica: se mai, comeabbiam visto, si era messo in una contraddizione da cuinon era saputo uscire.

3. Superamento storico della contraddizione: la filosofia trascendentale.

Però anche coloro che non hanno elevato il grido an-timetafisico in nome del positivo fatto, e che hanno in-vece più profondamente interpretato e sviluppato il pen-siero di Kant, si sono ben guardati dal tentare una meta-fisica, e cioè una metafisica dell'essere, quale era stataaffermata da Aristotele e confermata da Kant. Il risultatocritico della inconoscibilità dell'essere si fece semprepiù esplicito in sè e nelle sue conseguenze e rese quindievidente la contraddizione in cui il pensiero kantiano sidibatteva. E il valore vitale del pensiero di Kant, si pen-sò a ragione, sta nella Critica e non nel contradditoriosforzo di costruire una metafisica dell'inconoscibile. Sideve dunque valutare la Critica e liberarla dalla contrad-dizione, in cui, coll'esplicito risultato raggiunto, era ca-duta.

La metafisica è dogmatica perchè parte dall'essereche ne è l'oggetto; essere invece, che, come puro eschietto essere, come in sè, è fuori della conoscenza. Edè quindi necessariamente fuori della scienza. E se la me-

23

Page 24: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tafisica come tale, dovrà essere necessariamente scienzadell'essere in sè, metafisica e dogmatismo saranno lastessa cosa: negazione di conoscenza e di scienza. Lametafisica dell'essere in quanto necessariamente dogma-tica è condannata anche in nome dell'idealismo kantianoe non soltanto in nome dell'agnostico positivismo criti-co.

Dopo tale interpretazione del pensiero di Kant comeassertore della inconoscibilità dell'essere in sè, la scien-za divenne da una parte scienza positiva, cioè scienzadel fatto nel suo apparire, e tale anche fu proclamata lafilosofia quale suprema sintesi ed unità di questa; edall'altra idealismo trascendentale, cioè scienza dell'ioche ha fatto la critica di sè stesso. La scienza assolutache Kant aveva voluto scoprire, e in realtà aveva scoper-ta, e su cui poi evidentemente invano si affannava a co-struire una metafisica che non poteva non rinnegarla,tale scienza assoluta è la stessa Critica col proclamatosuo risultato di idealismo trascendentale, che è la carat-teristica stessa di essa, come scienza assoluta. Si spiegaquindi la netta contrapposizione che Fichte pone tra ildogmatismo metafisico di Spinoza e l'idealismo trascen-dentale di Kant, che egli professa: l'uno parte dalla cosain sè, che è inconoscibile, ed ha quindi un insostenibilepunto di partenza, non ne ha: è in verità senza principioe fondamento. L'altro parte dall'io libero che si è dimo-strato l'unico principio reale nella assolutezza inelimina-bile dell'attività etica.

24

tafisica come tale, dovrà essere necessariamente scienzadell'essere in sè, metafisica e dogmatismo saranno lastessa cosa: negazione di conoscenza e di scienza. Lametafisica dell'essere in quanto necessariamente dogma-tica è condannata anche in nome dell'idealismo kantianoe non soltanto in nome dell'agnostico positivismo criti-co.

Dopo tale interpretazione del pensiero di Kant comeassertore della inconoscibilità dell'essere in sè, la scien-za divenne da una parte scienza positiva, cioè scienzadel fatto nel suo apparire, e tale anche fu proclamata lafilosofia quale suprema sintesi ed unità di questa; edall'altra idealismo trascendentale, cioè scienza dell'ioche ha fatto la critica di sè stesso. La scienza assolutache Kant aveva voluto scoprire, e in realtà aveva scoper-ta, e su cui poi evidentemente invano si affannava a co-struire una metafisica che non poteva non rinnegarla,tale scienza assoluta è la stessa Critica col proclamatosuo risultato di idealismo trascendentale, che è la carat-teristica stessa di essa, come scienza assoluta. Si spiegaquindi la netta contrapposizione che Fichte pone tra ildogmatismo metafisico di Spinoza e l'idealismo trascen-dentale di Kant, che egli professa: l'uno parte dalla cosain sè, che è inconoscibile, ed ha quindi un insostenibilepunto di partenza, non ne ha: è in verità senza principioe fondamento. L'altro parte dall'io libero che si è dimo-strato l'unico principio reale nella assolutezza inelimina-bile dell'attività etica.

24

Page 25: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

L'idealismo trascendentale della Critica è dunque lavera e l'unica scienza. La filosofia, perciò, non è maimetafisica; è soltanto quella filosofia che Kant ha sco-perta con la Critica, e che egli, per distinguerla dallametafisica alla quale doveva servire di fondamento e dipreparazione, ha detta trascendentale, cioè tale che nonriguarda l'essere, ma il conoscere (cf. Prob. d. fil. daKant a Fichte).

La filosofia è dunque filosofia trascendentale: questanota non caratterizza più la Critica in quanto scienzapreparatoria della metafisica, ma la Critica in quanto èessa la stessa filosofia.

Però la Critica in tal modo elevata a scienza assolutaè in contraddizione con sè stessa.

Infatti essa, come critica, ha per conosciuto risultatola inconoscibilità dell'essere in sè. Quando poi si procla-ma essa stessa scienza assoluta, proclama, se scienza as-soluta significa quel che le parole dicono, che non c'èinconoscibile. Il risultato della Critica è dunque in asso-luta contraddizione con la proclamazione della propriaassolutezza come scienza. Proclamandosi dunque tale,deve liberarsi da quello che è o pare il suo più chiaro ri-sultato: l'essere inconoscibile. Il conflitto quindi tra laCritica, come tale, col suo risultato (inconoscibilitàdell'essere), il quale dà un ben determinato significato evalore alla caratteristica di trascendentale, con la qualeessa in Kant si qualifica quando dicesi filosofia, e la fi-losofia trascendentale quale assoluta dottrina dell'ideali-smo trascendentale, proclamantesi assoluta scienza.

25

L'idealismo trascendentale della Critica è dunque lavera e l'unica scienza. La filosofia, perciò, non è maimetafisica; è soltanto quella filosofia che Kant ha sco-perta con la Critica, e che egli, per distinguerla dallametafisica alla quale doveva servire di fondamento e dipreparazione, ha detta trascendentale, cioè tale che nonriguarda l'essere, ma il conoscere (cf. Prob. d. fil. daKant a Fichte).

La filosofia è dunque filosofia trascendentale: questanota non caratterizza più la Critica in quanto scienzapreparatoria della metafisica, ma la Critica in quanto èessa la stessa filosofia.

Però la Critica in tal modo elevata a scienza assolutaè in contraddizione con sè stessa.

Infatti essa, come critica, ha per conosciuto risultatola inconoscibilità dell'essere in sè. Quando poi si procla-ma essa stessa scienza assoluta, proclama, se scienza as-soluta significa quel che le parole dicono, che non c'èinconoscibile. Il risultato della Critica è dunque in asso-luta contraddizione con la proclamazione della propriaassolutezza come scienza. Proclamandosi dunque tale,deve liberarsi da quello che è o pare il suo più chiaro ri-sultato: l'essere inconoscibile. Il conflitto quindi tra laCritica, come tale, col suo risultato (inconoscibilitàdell'essere), il quale dà un ben determinato significato evalore alla caratteristica di trascendentale, con la qualeessa in Kant si qualifica quando dicesi filosofia, e la fi-losofia trascendentale quale assoluta dottrina dell'ideali-smo trascendentale, proclamantesi assoluta scienza.

25

Page 26: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Deve dunque questa filosofia trascendentale, proprio perrisolvere il problema della filosofia lasciato insoluto daKant, liberarsi del risultato ottenuto da sè stessa comeCritica e non piena e finale filosofia, deve liberarsidall'essere inconoscibile. E se ne libera proprio ricono-scendo la propria assolutezza e rinnegando la propria es-senza di Critica quale da Kant era voluta e cioè di scien-za del conoscere in quanto questo ha per oggetto l'esserein sè. Io, dice la Critica, sono scienza assoluta, ed aven-do, come Critica, a mio oggetto il conoscere, non hocome oggetto l'inconoscibile essere, ma lo stesso cono-scere. Dunque la scienza assoluta non ha un oggetto in-conoscibile, l'essere in sè: la scienza, appunto perchè as-soluta, dice qualche volta esplicitamente Fichte, nonpuò essere che scienza di sè stessa: conoscere del cono-scere. Così quell'essere in sè della Critica, perdendo lafunzione di oggetto del conoscere, perde ogni funzione:non è più riconosciuto come risultato anche della Criti-ca, ma bensì come puro presupposto dogmatico, vana edannosa appendice del conoscere, la quale, col nasceredella Critica, non ha più funzione alcuna.

E di questa vana appendice è facile liberarsi una voltariconosciuta come assoluta la conoscenza trascendenta-le. Se l'essere in sè è l'inconoscibile, è chiaro che nellaconoscenza esso non sarà che una pura e semplice nega-zione, cioè non vi sarà.

Quello che era l'esplicito risultato della Critica è tolto,pur conservandosi come scienza la Critica, la quale pro-prio come tale pareva che tale risultato avesse ottenuto.

26

Deve dunque questa filosofia trascendentale, proprio perrisolvere il problema della filosofia lasciato insoluto daKant, liberarsi del risultato ottenuto da sè stessa comeCritica e non piena e finale filosofia, deve liberarsidall'essere inconoscibile. E se ne libera proprio ricono-scendo la propria assolutezza e rinnegando la propria es-senza di Critica quale da Kant era voluta e cioè di scien-za del conoscere in quanto questo ha per oggetto l'esserein sè. Io, dice la Critica, sono scienza assoluta, ed aven-do, come Critica, a mio oggetto il conoscere, non hocome oggetto l'inconoscibile essere, ma lo stesso cono-scere. Dunque la scienza assoluta non ha un oggetto in-conoscibile, l'essere in sè: la scienza, appunto perchè as-soluta, dice qualche volta esplicitamente Fichte, nonpuò essere che scienza di sè stessa: conoscere del cono-scere. Così quell'essere in sè della Critica, perdendo lafunzione di oggetto del conoscere, perde ogni funzione:non è più riconosciuto come risultato anche della Criti-ca, ma bensì come puro presupposto dogmatico, vana edannosa appendice del conoscere, la quale, col nasceredella Critica, non ha più funzione alcuna.

E di questa vana appendice è facile liberarsi una voltariconosciuta come assoluta la conoscenza trascendenta-le. Se l'essere in sè è l'inconoscibile, è chiaro che nellaconoscenza esso non sarà che una pura e semplice nega-zione, cioè non vi sarà.

Quello che era l'esplicito risultato della Critica è tolto,pur conservandosi come scienza la Critica, la quale pro-prio come tale pareva che tale risultato avesse ottenuto.

26

Page 27: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La contraddizione, dunque, da noi prima (§ 2) notatatra Critica e metafisica è stata storicamente superata atutto vantaggio della Critica e a tutto discapito della me-tafisica. Di una metafisica dunque quale scienzadell'essere in sè (oggetto del conoscere) non pare si pos-sa più parlare. Una metafisica critica, con tale supera-mento della contraddizione, non pare possibile.

Perdutosi assolutamente l'essere in sè, perchè si è ri-conosciuto che l'oggetto del conoscere, che come essereci risultava, era lo stesso conoscere, cioè lo stesso sog-getto, la metafisica come filosofia dell'essere, e quindidell'oggetto, oggettiva, era anch'essa perduta. La filoso-fia era filosofia trascendentale, o, come anche si disse,speculativa.

4. L'equivoco della filosofia trascendentale.

Se si guarda all'essenza intima del processo che ab-biamo messo in evidenza, vediamo che esso in fondoconsiste nella sostituzione del problema interno col pro-blema oggettivo della filosofia. Certo i due problemisono strettamente connessi e tali che non si può risolve-re l'uno senza avere, sia pure implicitamente, risolutol'altro. Ma connessione non vuol dire confusione dei dueproblemi e annullamento dell'uno nell'altro.

Kant trovò, a suo avviso, che la filosofia non risolve-va come metafisica il problema oggettivo che era suocompito risolvere.

27

La contraddizione, dunque, da noi prima (§ 2) notatatra Critica e metafisica è stata storicamente superata atutto vantaggio della Critica e a tutto discapito della me-tafisica. Di una metafisica dunque quale scienzadell'essere in sè (oggetto del conoscere) non pare si pos-sa più parlare. Una metafisica critica, con tale supera-mento della contraddizione, non pare possibile.

Perdutosi assolutamente l'essere in sè, perchè si è ri-conosciuto che l'oggetto del conoscere, che come essereci risultava, era lo stesso conoscere, cioè lo stesso sog-getto, la metafisica come filosofia dell'essere, e quindidell'oggetto, oggettiva, era anch'essa perduta. La filoso-fia era filosofia trascendentale, o, come anche si disse,speculativa.

4. L'equivoco della filosofia trascendentale.

Se si guarda all'essenza intima del processo che ab-biamo messo in evidenza, vediamo che esso in fondoconsiste nella sostituzione del problema interno col pro-blema oggettivo della filosofia. Certo i due problemisono strettamente connessi e tali che non si può risolve-re l'uno senza avere, sia pure implicitamente, risolutol'altro. Ma connessione non vuol dire confusione dei dueproblemi e annullamento dell'uno nell'altro.

Kant trovò, a suo avviso, che la filosofia non risolve-va come metafisica il problema oggettivo che era suocompito risolvere.

27

Page 28: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Empirismo e razionalismo innatistico volevano, cia-scuno per sè, questa assoluta scienza, la quale, tra i dueindirizzi che se la disputavano, poneva apertamentecapo alla negazione scettica. E se e finchè, pensò Kant,questa pretesa scienza assoluta sarà affermata come pro-pria, con ragioni persuasive almeno all'apparenza, daparti opposte, essa non sarà la scienza che si cerca. Eglipropose, quindi, come problema la filosofia a sè stessa:cercò se e come mai la filosofia fosse possibile. Questoil problema della Critica.

Kant credette di averlo risoluto con la scoperta dellasintesi a priori: questa renderebbe possibile la costru-zione della scienza metafisica unica e assoluta, la qualecosì saldamente fondata non potrebbe più esser tratta daindirizzi opposti in contrarie formazioni escludentisi re-ciprocamente. La sintesi a priori infatti, scopre Kant, dàsempre l'oggetto alla scienza: deve dunque darlo a quel-la assoluta scienza che è la metafisica, o non v'ha scien-za affatto. E con la salda persuasione che scienza invecec'è, Kant si mise alla costruzione della metafisica criti-ca: morì insoddisfatto per non averla data.

E non poteva darla rimanendo nei limiti della sua cri-tica; giacchè la sintesi a priori che egli ci presentava,importava anche elementi sensibili benchè puri, e la fi-losofia invece, a suo avviso, ricercava il soprasensibile,perchè ricercava l'in sè, che, come tale, nel sensibile nonpuò trovarsi.

Con la sintesi a priori scoperta dalla Critica non si po-teva dunque costruire la metafisica, e perciò la Critica

28

Empirismo e razionalismo innatistico volevano, cia-scuno per sè, questa assoluta scienza, la quale, tra i dueindirizzi che se la disputavano, poneva apertamentecapo alla negazione scettica. E se e finchè, pensò Kant,questa pretesa scienza assoluta sarà affermata come pro-pria, con ragioni persuasive almeno all'apparenza, daparti opposte, essa non sarà la scienza che si cerca. Eglipropose, quindi, come problema la filosofia a sè stessa:cercò se e come mai la filosofia fosse possibile. Questoil problema della Critica.

Kant credette di averlo risoluto con la scoperta dellasintesi a priori: questa renderebbe possibile la costru-zione della scienza metafisica unica e assoluta, la qualecosì saldamente fondata non potrebbe più esser tratta daindirizzi opposti in contrarie formazioni escludentisi re-ciprocamente. La sintesi a priori infatti, scopre Kant, dàsempre l'oggetto alla scienza: deve dunque darlo a quel-la assoluta scienza che è la metafisica, o non v'ha scien-za affatto. E con la salda persuasione che scienza invecec'è, Kant si mise alla costruzione della metafisica criti-ca: morì insoddisfatto per non averla data.

E non poteva darla rimanendo nei limiti della sua cri-tica; giacchè la sintesi a priori che egli ci presentava,importava anche elementi sensibili benchè puri, e la fi-losofia invece, a suo avviso, ricercava il soprasensibile,perchè ricercava l'in sè, che, come tale, nel sensibile nonpuò trovarsi.

Con la sintesi a priori scoperta dalla Critica non si po-teva dunque costruire la metafisica, e perciò la Critica

28

Page 29: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

non aveva colpito al segno, non aveva risoluto il suoproblema, perchè non ci dava la possibilità della assolu-ta scienza: la scienza dell'essere in sè. Con la Criticakantiana quindi non si era risoluto neppure il problemainterno della filosofia, che essa aveva avuto il merito diporre: non si era risoluto, appunto perchè il mezzo offer-to (la sintesi a priori) per risolvere il problema oggettivosi mostrava inadeguato alla bisogna. La soluzione delproblema interno (problema critico) richiedeva la possi-bilità di una soluzione del problema oggettivo.

Comunque però Kant, con questo proporre alla filoso-fia il problema di sè stessa, aveva posto, per primo,esplicito tal problema interno della filosofia, la quale, inquesto suo problema interno, egli disse trascendentale.

Ora, quando noi senz'altro, di fronte alla proclamataimpossibilità di raggiungere l'essere in sè e quindi di ri-solvere il problema oggettivo della filosofia, dichiaria-mo che non v'ha altra filosofia che la stessa Critica inquanto filosofia trascendentale, cioè filosofia che volu-tamente ha fatto astrazione dall'essere per risolvere ilproblema del conoscere tale essere; – quando ciò dichia-riamo, non facciamo che dimenticare o sopprimere ilproblema oggettivo che la filosofia deve risolvere, di-menticarlo o sopprimerlo proprio perchè ci risulta di im-possibile soluzione. Ma non volevamo noi sapere ap-punto questo: se fosse possibile o no una metafisica?Possiamo sostituire la nostra stessa ricerca, solo perchèquesta ci ha portato invece che alla sperata e cercatapossibilità, alla impossibilità? O questa ritrovata impos-

29

non aveva colpito al segno, non aveva risoluto il suoproblema, perchè non ci dava la possibilità della assolu-ta scienza: la scienza dell'essere in sè. Con la Criticakantiana quindi non si era risoluto neppure il problemainterno della filosofia, che essa aveva avuto il merito diporre: non si era risoluto, appunto perchè il mezzo offer-to (la sintesi a priori) per risolvere il problema oggettivosi mostrava inadeguato alla bisogna. La soluzione delproblema interno (problema critico) richiedeva la possi-bilità di una soluzione del problema oggettivo.

Comunque però Kant, con questo proporre alla filoso-fia il problema di sè stessa, aveva posto, per primo,esplicito tal problema interno della filosofia, la quale, inquesto suo problema interno, egli disse trascendentale.

Ora, quando noi senz'altro, di fronte alla proclamataimpossibilità di raggiungere l'essere in sè e quindi di ri-solvere il problema oggettivo della filosofia, dichiaria-mo che non v'ha altra filosofia che la stessa Critica inquanto filosofia trascendentale, cioè filosofia che volu-tamente ha fatto astrazione dall'essere per risolvere ilproblema del conoscere tale essere; – quando ciò dichia-riamo, non facciamo che dimenticare o sopprimere ilproblema oggettivo che la filosofia deve risolvere, di-menticarlo o sopprimerlo proprio perchè ci risulta di im-possibile soluzione. Ma non volevamo noi sapere ap-punto questo: se fosse possibile o no una metafisica?Possiamo sostituire la nostra stessa ricerca, solo perchèquesta ci ha portato invece che alla sperata e cercatapossibilità, alla impossibilità? O questa ritrovata impos-

29

Page 30: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sibilità invece non ci riconduce a quello scetticismo chevolevamo superare, sia che si ammetta valida l'indaginefatta, sia che dalla constatata impossibilità sia tolto valo-re anche all'indagine stessa?

Nè ci si dica che questo essere in sè, che col suo pro-blema oggettivo la filosofia vuol cogliere, è un mito oun radicato errore della coscienza volgare, giacchè,come esplicitamente vedremo poi (cap. II), la negazionedell'essere in sè nega l'oggetto, e l'oggetto negativo negaanche la coscienza, che è innegabile.

Per ora guardiamo la cosa dal punto di vista del pro-blema interno della filosofia. E un problema interno nonc'è, se non c'è un problema oggettivo. Problema oggetti-vo che non esiste, se la filosofia si riduce alla Criticacioè all'esame della possibilità che una filosofia ci sia.

Questa riduzione doveva menare, e menò, alla disso-luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap.VI).

L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo uncompito della filosofia, ma solo in quanto essa ha giàassolto, o assolve insieme, o potrà così assolvere il suocompito oggettivo: cogliere e presentare l'essere in uni-versale, l'in sè (§ 1).

Il problema che Kant ha posto, è certo fondamentalis-sima scoperta per il progredire del pensiero speculativoattraverso la più radicale trasformazione, ma non ha di-ritto di sostituirsi sic et simpliciter al problema oggetti-vo della filosofia, senza togliere anche a sè stesso il ter-reno sotto i piedi e svanire quindi anch'esso. La Critica,

30

sibilità invece non ci riconduce a quello scetticismo chevolevamo superare, sia che si ammetta valida l'indaginefatta, sia che dalla constatata impossibilità sia tolto valo-re anche all'indagine stessa?

Nè ci si dica che questo essere in sè, che col suo pro-blema oggettivo la filosofia vuol cogliere, è un mito oun radicato errore della coscienza volgare, giacchè,come esplicitamente vedremo poi (cap. II), la negazionedell'essere in sè nega l'oggetto, e l'oggetto negativo negaanche la coscienza, che è innegabile.

Per ora guardiamo la cosa dal punto di vista del pro-blema interno della filosofia. E un problema interno nonc'è, se non c'è un problema oggettivo. Problema oggetti-vo che non esiste, se la filosofia si riduce alla Criticacioè all'esame della possibilità che una filosofia ci sia.

Questa riduzione doveva menare, e menò, alla disso-luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap.VI).

L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo uncompito della filosofia, ma solo in quanto essa ha giàassolto, o assolve insieme, o potrà così assolvere il suocompito oggettivo: cogliere e presentare l'essere in uni-versale, l'in sè (§ 1).

Il problema che Kant ha posto, è certo fondamentalis-sima scoperta per il progredire del pensiero speculativoattraverso la più radicale trasformazione, ma non ha di-ritto di sostituirsi sic et simpliciter al problema oggetti-vo della filosofia, senza togliere anche a sè stesso il ter-reno sotto i piedi e svanire quindi anch'esso. La Critica,

30

Page 31: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

col suo punto di partenza, non esclude ma richiede lametafisica. Nè può escluderla col suo punto di arrivosenza sopprimere anche il punto di partenza e quindi di-mostrare la propria vanità.

E non può neppure sostituire se stessa, come indaginecirca la possibilità del conoscere, alla metafisica; nonpuò considerarsi essa come la stessa metafisica cercata.Non può, perchè, insieme con la dimostrata soppressio-ne del problema oggettivo della filosofia, viene ad esse-re soppresso, di necessità, anche l'oggetto della cono-scenza. E l'oggetto, come vedremo nel capitolo seguen-te, non è sopprimibile. Così l'equivoco storico che ab-biamo detto di sostituzione inconsapevole del problemainterno al problema oggettivo della filosofia, trova il suocoronamento ed il suo presupposto insieme nell'annulla-mento dell'oggetto. Sono due processi che si condizio-nano a vicenda, e che hanno la fonte unica del loro erro-re in un permanere di un motivo di realismo naturalisti-co nell'indirizzo che tale realismo vuole combattere(cap. IV).

5. Possibilità della metafisica critica.

Se, adunque, la filosofia trascendentale non è una so-luzione dell'antitesi, in cui si dibatteva Kant, tra Criticae metafisica, non ci ritroviamo senz'altro in questa anti-tesi tra il risultato della Critica, l'inconoscibilità

31

col suo punto di partenza, non esclude ma richiede lametafisica. Nè può escluderla col suo punto di arrivosenza sopprimere anche il punto di partenza e quindi di-mostrare la propria vanità.

E non può neppure sostituire se stessa, come indaginecirca la possibilità del conoscere, alla metafisica; nonpuò considerarsi essa come la stessa metafisica cercata.Non può, perchè, insieme con la dimostrata soppressio-ne del problema oggettivo della filosofia, viene ad esse-re soppresso, di necessità, anche l'oggetto della cono-scenza. E l'oggetto, come vedremo nel capitolo seguen-te, non è sopprimibile. Così l'equivoco storico che ab-biamo detto di sostituzione inconsapevole del problemainterno al problema oggettivo della filosofia, trova il suocoronamento ed il suo presupposto insieme nell'annulla-mento dell'oggetto. Sono due processi che si condizio-nano a vicenda, e che hanno la fonte unica del loro erro-re in un permanere di un motivo di realismo naturalisti-co nell'indirizzo che tale realismo vuole combattere(cap. IV).

5. Possibilità della metafisica critica.

Se, adunque, la filosofia trascendentale non è una so-luzione dell'antitesi, in cui si dibatteva Kant, tra Criticae metafisica, non ci ritroviamo senz'altro in questa anti-tesi tra il risultato della Critica, l'inconoscibilità

31

Page 32: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dell'essere in sè, e l'esigenza metafisica di una scienza ditale essere?

«La filosofia trascendentale, ci si dirà, importerà for-se, come voi dite, questa equivocazione dei due proble-mi, che è poi la loro netta identificazione, ma è purl'unico possibile modo di uscire da questa contraddizio-ne, in cui la Critica come tale si chiude. Anzi questaproprio, si continuerà a dire, è la scoperta vera della Cri-tica nel suo sviluppo in idealismo trascendentale: questavalorizzazione della contraddizione che è il risultatodella Critica, affermazione della cosa in sè da una parteed esigenza assoluta della sua negazione dall'altra per ilsuo sublimarsi da Critica a metafisica. È questo dialetti-smo antitetico la scoperta vera della Critica Kant, che,con la sua residua coscienza dogmatica, sentì l'imbaraz-zo di questa contraddizione in atto e voleva uscirne, ap-punto perciò non vide e non sentì la sua vera scoperta.Kant ebbe soltanto in Hegel la sua piena coscienza. Egliebbe, sì, sempre ripugnanza per quella filosofia popola-re, che, lontana dalle profondità del pensiero critico,credeva di risolvere i più difficili problemi della specu-lazione ricorrendo al volgare senso comune; ma nonseppe affermare nettamente la logica propria del pensie-ro speculativo, elevando a legge di esso proprio quellacontraddizione, che era la scoperta e non la barriera del-la Critica, era il mare della speculazione che si apriva aquesta dinanzi, e non lo scoglio nelle cui secche dovevaessa arenare. Per arrivare a questa logica speculativa chedovevasi poi riconoscere come la logica stessa del Con-

32

dell'essere in sè, e l'esigenza metafisica di una scienza ditale essere?

«La filosofia trascendentale, ci si dirà, importerà for-se, come voi dite, questa equivocazione dei due proble-mi, che è poi la loro netta identificazione, ma è purl'unico possibile modo di uscire da questa contraddizio-ne, in cui la Critica come tale si chiude. Anzi questaproprio, si continuerà a dire, è la scoperta vera della Cri-tica nel suo sviluppo in idealismo trascendentale: questavalorizzazione della contraddizione che è il risultatodella Critica, affermazione della cosa in sè da una parteed esigenza assoluta della sua negazione dall'altra per ilsuo sublimarsi da Critica a metafisica. È questo dialetti-smo antitetico la scoperta vera della Critica Kant, che,con la sua residua coscienza dogmatica, sentì l'imbaraz-zo di questa contraddizione in atto e voleva uscirne, ap-punto perciò non vide e non sentì la sua vera scoperta.Kant ebbe soltanto in Hegel la sua piena coscienza. Egliebbe, sì, sempre ripugnanza per quella filosofia popola-re, che, lontana dalle profondità del pensiero critico,credeva di risolvere i più difficili problemi della specu-lazione ricorrendo al volgare senso comune; ma nonseppe affermare nettamente la logica propria del pensie-ro speculativo, elevando a legge di esso proprio quellacontraddizione, che era la scoperta e non la barriera del-la Critica, era il mare della speculazione che si apriva aquesta dinanzi, e non lo scoglio nelle cui secche dovevaessa arenare. Per arrivare a questa logica speculativa chedovevasi poi riconoscere come la logica stessa del Con-

32

Page 33: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

creto, bisognava, come risolutamente cominciò a farsispecialmente con Schelling, distinguere nettamente ilragionare comune da quello speculativo».

Orbene, a parte l'impossibilità di una intrinseca dimo-strazione della verità di tale dialettismo contradditorio,si può scorgere il difetto di questa sua genesi storica,quando si veda qual è il risultato vero della Critica,quando si creda più alla Critica di Kant ed alla sua inti-ma esigenza logica che a Kant stesso. Senza dubbioKant esplicitamente affermava come risultato fonda-mentale della sua Critica l'inconoscibilità dell'essere(cosa in sè). Ma è veramente questo il risultato dellaCritica? Io credo di aver dimostrato (La fil. di Kant, I)che il risultato vero della Critica, invece, è la noumeni-cità dell'essere in sè come puro oggetto, cioè la riduzio-ne della cosa in sè ad Idea. In breve, risultato della Criti-ca è la dimostrazione che l'essere in sè è l'oggetto dellacoscienza. Dimostrazione che par nulla ed è tutto; e nonè niente affatto un ritorno all'antico ontologismo realisti-co, in vista del quale Kant quasi si affrettava a cancella-re questa sua scoperta aggiungendo che tale essere, purpensabile, è assolutamente inconoscibile, in quanto èprincipio della conoscenza ma non è immanente a que-sta.

L'essere realistico è appunto l'inconoscibile kantiano;ma questo essere non è l'essere della Critica. Non aversaputo scoprire questo essere, l'aver preso come puntodi partenza l'inconoscibilità dell'essere e l'aver quindiconservata la concezione realistica dell'essere è il torto

33

creto, bisognava, come risolutamente cominciò a farsispecialmente con Schelling, distinguere nettamente ilragionare comune da quello speculativo».

Orbene, a parte l'impossibilità di una intrinseca dimo-strazione della verità di tale dialettismo contradditorio,si può scorgere il difetto di questa sua genesi storica,quando si veda qual è il risultato vero della Critica,quando si creda più alla Critica di Kant ed alla sua inti-ma esigenza logica che a Kant stesso. Senza dubbioKant esplicitamente affermava come risultato fonda-mentale della sua Critica l'inconoscibilità dell'essere(cosa in sè). Ma è veramente questo il risultato dellaCritica? Io credo di aver dimostrato (La fil. di Kant, I)che il risultato vero della Critica, invece, è la noumeni-cità dell'essere in sè come puro oggetto, cioè la riduzio-ne della cosa in sè ad Idea. In breve, risultato della Criti-ca è la dimostrazione che l'essere in sè è l'oggetto dellacoscienza. Dimostrazione che par nulla ed è tutto; e nonè niente affatto un ritorno all'antico ontologismo realisti-co, in vista del quale Kant quasi si affrettava a cancella-re questa sua scoperta aggiungendo che tale essere, purpensabile, è assolutamente inconoscibile, in quanto èprincipio della conoscenza ma non è immanente a que-sta.

L'essere realistico è appunto l'inconoscibile kantiano;ma questo essere non è l'essere della Critica. Non aversaputo scoprire questo essere, l'aver preso come puntodi partenza l'inconoscibilità dell'essere e l'aver quindiconservata la concezione realistica dell'essere è il torto

33

Page 34: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dell'idealismo postkantiano. È, come vedremo, questaconcezione realistica che mena alla negatività dell'esseree quindi alla logica contradditoria come logica del pen-siero speculativo e quindi del Concreto.

Se, adunque, la noumenicità dell'Essere in sè e cioè ilsuo costituire la ragione è il risultato vero della Critica,se cioè la ragione, istituendo questo rigoroso esame del-la sua propria possibilità, scopre che l'essere in sè nonpuò non essere immanente a lei stessa, è chiaro chequella incompatibilità che si è messa in evidenza traCritica e metafisica non esiste, e che quindi il processostorico che da questa incompatibilità è nato per risolverein un qualche modo il problema della Critica, non fa checontinuare, portandolo alle sue estreme conseguenze,quell'imbarazzo in cui la Critica veniva a trovarsi, per-chè da una parte esigeva, per il suo stesso costituirsicome Critica, il risoluto abbandono di ogni concezionerealistica dell'essere, e dall'altra, per il suo stesso porsisolo come Critica della conoscenza, e non della stessacoscienza nella sua integrità, richiedeva anche il conser-varsi di tale concezione realistica.

La cosidetta logica trascendentale come logica specu-lativa e quindi del non empirico concreto, la logica con-traddittoria non è che l'elevazione ad assoluto di questoimbarazzo: il riconoscimento, cioè, che il problema del-la Critica non è risolubile, se non dichiarandone l'insolu-bilità, cioè facendo la Critica fine a sè stessa mentre pursi conserva il suo concetto di Critica e cioè di mezzo divalutazione del potere conoscitivo che deve costruire la

34

dell'idealismo postkantiano. È, come vedremo, questaconcezione realistica che mena alla negatività dell'esseree quindi alla logica contradditoria come logica del pen-siero speculativo e quindi del Concreto.

Se, adunque, la noumenicità dell'Essere in sè e cioè ilsuo costituire la ragione è il risultato vero della Critica,se cioè la ragione, istituendo questo rigoroso esame del-la sua propria possibilità, scopre che l'essere in sè nonpuò non essere immanente a lei stessa, è chiaro chequella incompatibilità che si è messa in evidenza traCritica e metafisica non esiste, e che quindi il processostorico che da questa incompatibilità è nato per risolverein un qualche modo il problema della Critica, non fa checontinuare, portandolo alle sue estreme conseguenze,quell'imbarazzo in cui la Critica veniva a trovarsi, per-chè da una parte esigeva, per il suo stesso costituirsicome Critica, il risoluto abbandono di ogni concezionerealistica dell'essere, e dall'altra, per il suo stesso porsisolo come Critica della conoscenza, e non della stessacoscienza nella sua integrità, richiedeva anche il conser-varsi di tale concezione realistica.

La cosidetta logica trascendentale come logica specu-lativa e quindi del non empirico concreto, la logica con-traddittoria non è che l'elevazione ad assoluto di questoimbarazzo: il riconoscimento, cioè, che il problema del-la Critica non è risolubile, se non dichiarandone l'insolu-bilità, cioè facendo la Critica fine a sè stessa mentre pursi conserva il suo concetto di Critica e cioè di mezzo divalutazione del potere conoscitivo che deve costruire la

34

Page 35: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

metafisica; non è risolubile, se non concependo la Criti-ca come metafisica solo in quanto critica; non è risolu-bile, se non confondendo il problema interno col proble-ma oggettivo della filosofia, e quindi confondendol'essere in sè assoluto di quest'ultimo con l'essere con-creto nel quale esso si realizza dando luogo anche allafilosofia; non è risolubile, se non ponendo la stessa filo-sofia (e cioè la stessa Critica) come l'unico concreto.

Tutto questo vario formularsi della contraddizioneelevata a principio sommo (e quindi escludente ogniprincipio col suo contraddirsi) non è che la contraddi-zione del realismo vista nella soluzione del problema in-terno della filosofia. Perchè tutta questa formulazionefosse vera, bisognerebbe accettare come vero il realismostesso: solo se il realismo (inteso come assoluta esterio-rità dell'essere alla coscienza) fosse vero, sarebbe veroanche il dialettismo contraddittorio.

Ma proprio tale premessa la Critica ha dimostrata fal-sa. E solo con questa dimostrazione ha vinto Hume: vit-toria su Hume, di cui il dialettismo contradditorio nonspoglia la Critica, ma che invece presuppone come fon-damento del suo sviluppo.

La Critica dunque ha assolto il suo compito ponendocapo alla noumenica Idea come Essere essenziale allaragione e costitutivo unico di essa nella diversità fonda-mentale delle sue forme di coscienza.

L'essere in sè, dopo la indagine critica, è ricomparsoproprio come il τὸ ὄν ἧ ὄν di Aristotele, cioè comel'essere nella sua assoluta semplicità, principio costituti-

35

metafisica; non è risolubile, se non concependo la Criti-ca come metafisica solo in quanto critica; non è risolu-bile, se non confondendo il problema interno col proble-ma oggettivo della filosofia, e quindi confondendol'essere in sè assoluto di quest'ultimo con l'essere con-creto nel quale esso si realizza dando luogo anche allafilosofia; non è risolubile, se non ponendo la stessa filo-sofia (e cioè la stessa Critica) come l'unico concreto.

Tutto questo vario formularsi della contraddizioneelevata a principio sommo (e quindi escludente ogniprincipio col suo contraddirsi) non è che la contraddi-zione del realismo vista nella soluzione del problema in-terno della filosofia. Perchè tutta questa formulazionefosse vera, bisognerebbe accettare come vero il realismostesso: solo se il realismo (inteso come assoluta esterio-rità dell'essere alla coscienza) fosse vero, sarebbe veroanche il dialettismo contraddittorio.

Ma proprio tale premessa la Critica ha dimostrata fal-sa. E solo con questa dimostrazione ha vinto Hume: vit-toria su Hume, di cui il dialettismo contradditorio nonspoglia la Critica, ma che invece presuppone come fon-damento del suo sviluppo.

La Critica dunque ha assolto il suo compito ponendocapo alla noumenica Idea come Essere essenziale allaragione e costitutivo unico di essa nella diversità fonda-mentale delle sue forme di coscienza.

L'essere in sè, dopo la indagine critica, è ricomparsoproprio come il τὸ ὄν ἧ ὄν di Aristotele, cioè comel'essere nella sua assoluta semplicità, principio costituti-

35

Page 36: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

vo di ogni correlatività, ma non correlativo egli stessocome tale. È ricomparso con quella maggiore semplicitàe profondità insieme che, dopo tanto sviluppo di pensie-ro speculativo, solo la rivoluzione critica potè in esso di-svelare.

Ponendo capo a questo Essere, la Critica non si è resaincompatibile con la metafisica, ma ha di questa dimo-strata, come voleva, la possibilità.

6. Il nuovo concetto di metafisica.

Una metafisica critica è, dunque, possibile.Ma sarà sempre quella scienza unica ed assoluta

dell'essere, che non consente disparità e tanto meno con-trasto di vedute, quella scienza fissa ed immutabile cheinvano Kant si affannò a cercare ed a costruire?

Una scienza cosiffatta sarebbe ancora e sempre la me-tafisica dogmatica; non sarebbe critica.

Giacchè l'incompatibilità che veramente la criticakantiana scopre, pur senza che Kant se ne accorga affat-to, non è tra la Critica che ha per oggetto il conoscere ela metafisica che ha per oggetto l'essere in sè, ma tra laCritica che è sempre essenziale al conoscere come Kantper primo ha esplicitamente messo in luce, e la scientifi-cità della metafisica, scientificità che Kant ha presuppo-sto senza Critica.

Infatti la scientificità importa una duplice astrazione:1° l'astrazione della forma spirituale della conoscenza

36

vo di ogni correlatività, ma non correlativo egli stessocome tale. È ricomparso con quella maggiore semplicitàe profondità insieme che, dopo tanto sviluppo di pensie-ro speculativo, solo la rivoluzione critica potè in esso di-svelare.

Ponendo capo a questo Essere, la Critica non si è resaincompatibile con la metafisica, ma ha di questa dimo-strata, come voleva, la possibilità.

6. Il nuovo concetto di metafisica.

Una metafisica critica è, dunque, possibile.Ma sarà sempre quella scienza unica ed assoluta

dell'essere, che non consente disparità e tanto meno con-trasto di vedute, quella scienza fissa ed immutabile cheinvano Kant si affannò a cercare ed a costruire?

Una scienza cosiffatta sarebbe ancora e sempre la me-tafisica dogmatica; non sarebbe critica.

Giacchè l'incompatibilità che veramente la criticakantiana scopre, pur senza che Kant se ne accorga affat-to, non è tra la Critica che ha per oggetto il conoscere ela metafisica che ha per oggetto l'essere in sè, ma tra laCritica che è sempre essenziale al conoscere come Kantper primo ha esplicitamente messo in luce, e la scientifi-cità della metafisica, scientificità che Kant ha presuppo-sto senza Critica.

Infatti la scientificità importa una duplice astrazione:1° l'astrazione della forma spirituale della conoscenza

36

Page 37: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dalle altre forme in cui l'attività spirituale si concretizza;2° l'astrazione dell'oggetto della scienza dal soggettoche realizza la scienza col suo stesso essere e così sirende capace di farla e la fa.

Solo mercè questa duplice astrazione la scienza si faunica ed assoluta, proprio come deve essere invecel'essere in sè. Ed è appunto carattere della scienza dog-matica (cioè non critica) quello di non accorgersi di que-sta necessità di astrarre essenziale alla scienza, o, ancheaccorgendosene, di non tenere conto dell'astrattezza diciò che con la scienza raggiungiamo, o, più profonda-mente, di ciò che la scienza stessa è, cioè legge. Questalegge, anche ammesso che si sia ottenuta o possa ungiorno ottenersi una vera unicità di essa, non sarà mail'essere in sè, perchè sarà sempre l'effetto di una genera-lizzazione; sarà astratta (cfr. poi §§ 43 e 44), non sarà lostesso essere in sè, che invece la metafisica ha il compi-to di cogliere.

L'astratto non sarà mai l'in sè: questo già Kant sentechiaramente. L'essere in sè, invece, non può essere coltoche nello stesso concreto, il quale non è più concretoquando... è astratto.

Il voler trovare l'essere in sè nell'essere della scienzaha portato Kant alla affermazione della inconoscibilitàdell'essere in sè. L'essere ín sè è invece proprio vissutonella concreta coscienza: lo si potrà e lo si dovrà direquindi irriducibile a scienza, ma non lo si potrà dire nonconoscibile, se è vero, e non può non essere vero (è il ri-

37

dalle altre forme in cui l'attività spirituale si concretizza;2° l'astrazione dell'oggetto della scienza dal soggettoche realizza la scienza col suo stesso essere e così sirende capace di farla e la fa.

Solo mercè questa duplice astrazione la scienza si faunica ed assoluta, proprio come deve essere invecel'essere in sè. Ed è appunto carattere della scienza dog-matica (cioè non critica) quello di non accorgersi di que-sta necessità di astrarre essenziale alla scienza, o, ancheaccorgendosene, di non tenere conto dell'astrattezza diciò che con la scienza raggiungiamo, o, più profonda-mente, di ciò che la scienza stessa è, cioè legge. Questalegge, anche ammesso che si sia ottenuta o possa ungiorno ottenersi una vera unicità di essa, non sarà mail'essere in sè, perchè sarà sempre l'effetto di una genera-lizzazione; sarà astratta (cfr. poi §§ 43 e 44), non sarà lostesso essere in sè, che invece la metafisica ha il compi-to di cogliere.

L'astratto non sarà mai l'in sè: questo già Kant sentechiaramente. L'essere in sè, invece, non può essere coltoche nello stesso concreto, il quale non è più concretoquando... è astratto.

Il voler trovare l'essere in sè nell'essere della scienzaha portato Kant alla affermazione della inconoscibilitàdell'essere in sè. L'essere ín sè è invece proprio vissutonella concreta coscienza: lo si potrà e lo si dovrà direquindi irriducibile a scienza, ma non lo si potrà dire nonconoscibile, se è vero, e non può non essere vero (è il ri-

37

Page 38: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sultato della Critica), che l'essere in sè è vissuto nel con-creto conoscere.

Questo, Kant non lo dice esplicitamente, anzi nonvede neppure alla lontana questo risultato della Critica;ma che cos'altro può voler dire la pensabilità della cosain sè pur nella sua inconoscibilità? E si badi che Kantnon si stanca di ripetere che quella cosa in sè che noinon possiamo conoscere, possiamo e dobbiamo affer-marla col pensiero, cioè la pensiamo positivamente. Èquindi un fermarsi alla superficie di Kant il rimproverar-gli come di solito si fa, e come io stesso fino a pocotempo fa ho fatto, il rimproverargli la contraddizione trail pensare e non conoscere la cosa in sè. Là pensabilitàdella cosa in sè kantiana non è che questo vivere l'in sènella concreta coscienza; la sua inconoscibilità non èche il reciso negare che l'essere astratto della scienza sial'essere in sè. L'inconoscibilità kantiana, quindi, può edeve essere ammessa come risultato della Critica solonel senso della irriducibilità dell'essere in sè a scienza,presa questa come forma astratta della conoscenza.

È quindi da distinguere nettamente tra l'essere dellascienza che non è affatto in sè ma è proprio l'essere cor-relativo, quale viene astratto dalla relazione in cui vive equindi così (cioè in quanto astratto) generalizzato, el'essere in sè che è il vero, unico ed assoluto essere con-cretizzato da tutto ciò che è. E se carattere distintivodella metafisica è l'essere-come-essere di Aristotele, lacosa in sè di Kant, è chiaro che essa non può più essereritenuta scienza quando teniamo conto di ciò che la Cri-

38

sultato della Critica), che l'essere in sè è vissuto nel con-creto conoscere.

Questo, Kant non lo dice esplicitamente, anzi nonvede neppure alla lontana questo risultato della Critica;ma che cos'altro può voler dire la pensabilità della cosain sè pur nella sua inconoscibilità? E si badi che Kantnon si stanca di ripetere che quella cosa in sè che noinon possiamo conoscere, possiamo e dobbiamo affer-marla col pensiero, cioè la pensiamo positivamente. Èquindi un fermarsi alla superficie di Kant il rimproverar-gli come di solito si fa, e come io stesso fino a pocotempo fa ho fatto, il rimproverargli la contraddizione trail pensare e non conoscere la cosa in sè. Là pensabilitàdella cosa in sè kantiana non è che questo vivere l'in sènella concreta coscienza; la sua inconoscibilità non èche il reciso negare che l'essere astratto della scienza sial'essere in sè. L'inconoscibilità kantiana, quindi, può edeve essere ammessa come risultato della Critica solonel senso della irriducibilità dell'essere in sè a scienza,presa questa come forma astratta della conoscenza.

È quindi da distinguere nettamente tra l'essere dellascienza che non è affatto in sè ma è proprio l'essere cor-relativo, quale viene astratto dalla relazione in cui vive equindi così (cioè in quanto astratto) generalizzato, el'essere in sè che è il vero, unico ed assoluto essere con-cretizzato da tutto ciò che è. E se carattere distintivodella metafisica è l'essere-come-essere di Aristotele, lacosa in sè di Kant, è chiaro che essa non può più essereritenuta scienza quando teniamo conto di ciò che la Cri-

38

Page 39: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tica ci insegna proprio con lo studiare, com'è suo propo-sito, la possibilità della metafisica.

È risultato della Critica che la metafisica è possibile,purchè non sia più la metafisica dogmatica, cioè la me-tafisica-scienza.

Se quindi teniamo saldo all''essere in sè che vogliamoconquistare, e ci spogliamo di quella duplice astrazionecui ci sottoponiamo per fare della scienza; se ricordiamoche l'unicità ed assolutezza dell'essere come essere, intutte le forme in cui si concretizza, può e deve dirsi teo-reticità (che non è da confondersi con conoscenza); seinfine stiamo bene attenti a non confondere l'essere in sècon l'essere concreto nel quale pur tale essere in sè sirealizza; – ci risulterà: 1° il carattere teoretico ma nonscientifico della metafisica; 2° il suo carattere trascen-dente pur nella immanenza dell'essere in sè. Potremoquindi definire la metafisica critica come l'attività teori-ca della trascendenza, nella immanenza dell'Assoluto.

Questa formula sembrerà certo oscura a chi il concet-to che io propongo della filosofia, voglia conoscere soloda quello che qui ne dico e nulla sappia della esplicazio-ne che ne ho già data da tempo. Pure spero che da quan-to ora aggiungerò sull'argomento e dall'insieme delle in-dagini che in questo volume presento, l'enigma di taleformula svanirà.

39

tica ci insegna proprio con lo studiare, com'è suo propo-sito, la possibilità della metafisica.

È risultato della Critica che la metafisica è possibile,purchè non sia più la metafisica dogmatica, cioè la me-tafisica-scienza.

Se quindi teniamo saldo all''essere in sè che vogliamoconquistare, e ci spogliamo di quella duplice astrazionecui ci sottoponiamo per fare della scienza; se ricordiamoche l'unicità ed assolutezza dell'essere come essere, intutte le forme in cui si concretizza, può e deve dirsi teo-reticità (che non è da confondersi con conoscenza); seinfine stiamo bene attenti a non confondere l'essere in sècon l'essere concreto nel quale pur tale essere in sè sirealizza; – ci risulterà: 1° il carattere teoretico ma nonscientifico della metafisica; 2° il suo carattere trascen-dente pur nella immanenza dell'essere in sè. Potremoquindi definire la metafisica critica come l'attività teori-ca della trascendenza, nella immanenza dell'Assoluto.

Questa formula sembrerà certo oscura a chi il concet-to che io propongo della filosofia, voglia conoscere soloda quello che qui ne dico e nulla sappia della esplicazio-ne che ne ho già data da tempo. Pure spero che da quan-to ora aggiungerò sull'argomento e dall'insieme delle in-dagini che in questo volume presento, l'enigma di taleformula svanirà.

39

Page 40: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

7. Il nuovo concetto di Critica.

Questa stessa trasformazione del concetto di metafisi-ca importa a sua volta una trasformazione nel concettostesso di Critica. Entrambi questi concetti vengono am-pliati da una parte, limitati dall'altra sempre in base allafondamentale scoperta critica della concretezza. Concre-tezza, che è il presupposto e la scoperta della Critica:presupposto, perchè senza di essa non è possibile che laCritica si istituisca; scoperta, perchè solo con la Criticase ne ha esplicita conoscenza, dimostrazione consapevo-le.

La Critica stessa dunque, per questo nuovo concettodi metafisica a cui essa porta, non può più essere quellache Kant istituì. L'atto generativo della metafisica tra-sforma la stessa genitrice. Infatti, perchè la Critica di-mostri la possibilità della metafisica e risolva così il suoproblema, non può più essere soltanto critica della cono-scenza come era per Kant specialmente al suo inizio.Questa trasformazione di fatto comincia a compiersi conlo stesso sviluppo della Critica kantiana da critica dellaragione pura in critica del giudizio.

La Critica non può più essere critica della conoscenzae cioè valutazione del potere conoscitivo che ha la ra-gione nella sua purezza, giacchè un tale potere conosci-tivo presuppone un oggetto da conoscere, che, in quantocosa che è, e non soltanto puro oggetto, sia altro delsoggetto, distinto da esso, puramente e semplicementesia, anche se assolutamente estraneo al conoscere ed

40

7. Il nuovo concetto di Critica.

Questa stessa trasformazione del concetto di metafisi-ca importa a sua volta una trasformazione nel concettostesso di Critica. Entrambi questi concetti vengono am-pliati da una parte, limitati dall'altra sempre in base allafondamentale scoperta critica della concretezza. Concre-tezza, che è il presupposto e la scoperta della Critica:presupposto, perchè senza di essa non è possibile che laCritica si istituisca; scoperta, perchè solo con la Criticase ne ha esplicita conoscenza, dimostrazione consapevo-le.

La Critica stessa dunque, per questo nuovo concettodi metafisica a cui essa porta, non può più essere quellache Kant istituì. L'atto generativo della metafisica tra-sforma la stessa genitrice. Infatti, perchè la Critica di-mostri la possibilità della metafisica e risolva così il suoproblema, non può più essere soltanto critica della cono-scenza come era per Kant specialmente al suo inizio.Questa trasformazione di fatto comincia a compiersi conlo stesso sviluppo della Critica kantiana da critica dellaragione pura in critica del giudizio.

La Critica non può più essere critica della conoscenzae cioè valutazione del potere conoscitivo che ha la ra-gione nella sua purezza, giacchè un tale potere conosci-tivo presuppone un oggetto da conoscere, che, in quantocosa che è, e non soltanto puro oggetto, sia altro delsoggetto, distinto da esso, puramente e semplicementesia, anche se assolutamente estraneo al conoscere ed

40

Page 41: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

allo stesso pensare. Un tale presupposto non può chemetter capo alla inconoscibilità e quindi alla impossibi-lità, alla pura e semplice negatività di un tale oggetto;non può che metter capo alla contraddizione in cui sichiude il pensiero kantiano tra Critica e metafisica.

La Critica quindi per abbandonare questo presuppostoche aduggia ancora tutto il criticismo metafisico chedalla Critica si è sviluppato, deve diventare critica dellacoscienza, cioè critica della concreta attività spirituale,critica dell'essere nella sua concretezza.

Non si tratta più di sapere, se, posto un essere che nonè pensiero, possa la ragione, che è pensiero, presentarce-lo come essere, il che si direbbe conoscerlo. Questo èpresupporre gratuitamente una contraddizione e poi cer-care di risolverla senza accorgersi di averla presupposta:non si poteva venire ad altro risultato, dopo lungo svol-gersi di pensiero speculativo, che alla proclamazione delvalore assoluto della contraddizione. Però lo stesso esse-re venuti a questo risultato, che è quello logicamente ne-cessario, quello a cui si doveva pervenire posto il vec-chio principio logico dell'identità, lo stesso esservi per-venuti sta a negare il valore assoluto della contraddizio-ne, sta ad indicare che il vero dialettismo – inteso perdialettismo il vivere, lo svilupparsi del pensiero – non èquello contraddittorio.

Appunto perchè la Critica ha posto capo all'esserecome noumeno, e cioè essere che è coscienza, ha trova-ta, volendo risolvere il problema interno della filosofia,la chiave per risolverne il problema oggettivo, ha trova-

41

allo stesso pensare. Un tale presupposto non può chemetter capo alla inconoscibilità e quindi alla impossibi-lità, alla pura e semplice negatività di un tale oggetto;non può che metter capo alla contraddizione in cui sichiude il pensiero kantiano tra Critica e metafisica.

La Critica quindi per abbandonare questo presuppostoche aduggia ancora tutto il criticismo metafisico chedalla Critica si è sviluppato, deve diventare critica dellacoscienza, cioè critica della concreta attività spirituale,critica dell'essere nella sua concretezza.

Non si tratta più di sapere, se, posto un essere che nonè pensiero, possa la ragione, che è pensiero, presentarce-lo come essere, il che si direbbe conoscerlo. Questo èpresupporre gratuitamente una contraddizione e poi cer-care di risolverla senza accorgersi di averla presupposta:non si poteva venire ad altro risultato, dopo lungo svol-gersi di pensiero speculativo, che alla proclamazione delvalore assoluto della contraddizione. Però lo stesso esse-re venuti a questo risultato, che è quello logicamente ne-cessario, quello a cui si doveva pervenire posto il vec-chio principio logico dell'identità, lo stesso esservi per-venuti sta a negare il valore assoluto della contraddizio-ne, sta ad indicare che il vero dialettismo – inteso perdialettismo il vivere, lo svilupparsi del pensiero – non èquello contraddittorio.

Appunto perchè la Critica ha posto capo all'esserecome noumeno, e cioè essere che è coscienza, ha trova-ta, volendo risolvere il problema interno della filosofia,la chiave per risolverne il problema oggettivo, ha trova-

41

Page 42: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ta la concretezza dell'essere, mettendo così in evidenzal'astrattezza dell'essere scientifico, il quale diventa falsoquando nasconde la sua natura astratta e si presentacome concreto.

Scoperta la concretezza, e cioè l'immanenza dell'esse-re in sè, come puro oggetto (§ 33), ad ogni atto con cuila coscienza del soggetto si realizza, non ci basta più enon è più necessario neppure sapere come è possibileconoscere, che sarebbe ritornare al detto presuppostorealistico, ma si tratta di vedere come è possibile questaconcretezza. La Critica fondamentale che devesi istitui-re, domanda puramente e semplicemente come è possi-bile la coscienza nella sua concretezza, cioè domandacome è possibile l'essere concreto.

In tanto la Critica kantiana risolve l'enigma del cono-scere escludendo l'assurdo realistico, in quanto, propriocon questa esclusione, propone il problema integraledella coscienza, di quella coscienza che era presuppostasolo come soggetto, quando si domandava in qual modoquesto potesse conoscere. Così da una parte l'oggettoriusciva irraggiungibile, e dall'altra il soggetto sfuggivaalla Critica. Dogmatismo nel soggetto, realismonell'oggetto permangono con la impostazione puramentegnoseologica del problema critico e rendono vana la so-luzione che sotto lo stesso aspetto gnoseologico se nepuò ottenere. «Al problema kantiano: «Come è possibileconoscere?» bisogna, quindi, sostituire l'altro: «Come èpossibile essere?» Sembra un ritorno ad una vieta onto-logia dogmatica, ed è invece il logico sviluppo della

42

ta la concretezza dell'essere, mettendo così in evidenzal'astrattezza dell'essere scientifico, il quale diventa falsoquando nasconde la sua natura astratta e si presentacome concreto.

Scoperta la concretezza, e cioè l'immanenza dell'esse-re in sè, come puro oggetto (§ 33), ad ogni atto con cuila coscienza del soggetto si realizza, non ci basta più enon è più necessario neppure sapere come è possibileconoscere, che sarebbe ritornare al detto presuppostorealistico, ma si tratta di vedere come è possibile questaconcretezza. La Critica fondamentale che devesi istitui-re, domanda puramente e semplicemente come è possi-bile la coscienza nella sua concretezza, cioè domandacome è possibile l'essere concreto.

In tanto la Critica kantiana risolve l'enigma del cono-scere escludendo l'assurdo realistico, in quanto, propriocon questa esclusione, propone il problema integraledella coscienza, di quella coscienza che era presuppostasolo come soggetto, quando si domandava in qual modoquesto potesse conoscere. Così da una parte l'oggettoriusciva irraggiungibile, e dall'altra il soggetto sfuggivaalla Critica. Dogmatismo nel soggetto, realismonell'oggetto permangono con la impostazione puramentegnoseologica del problema critico e rendono vana la so-luzione che sotto lo stesso aspetto gnoseologico se nepuò ottenere. «Al problema kantiano: «Come è possibileconoscere?» bisogna, quindi, sostituire l'altro: «Come èpossibile essere?» Sembra un ritorno ad una vieta onto-logia dogmatica, ed è invece il logico sviluppo della

42

Page 43: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

concezione critica della realtà». (Critica del concr.,1921, pag. 6-7).

Così la Critica, da problema della scienza, divieneproblema della stessa coscienza.

Il dubbio di Hume circa la possibilità di una scienzadel reale provoca la soluzione critica della scienza comesintesi a priori. L'impossibilità che la sintesi a prioridella Critica kantiana ci dia la scienza metafisica, pro-voca la soluzione critica integrale della coscienza comeessere concreto.

Da questa parte, dunque, il problema critico si slargasia col portare lo stesso soggetto, presupposto nella cri-tica gnoseologica, entro la stessa critica e non postular-ne un dogmatico concetto, sia col sottoporre così tutte leforme del concreto alla valutazione critica.

Ma dall'altra parte la Critica, appunto perchè ritornaad essere consapevole del suo essere soltanto lavoropreparatorio che spiana la via alla metafisica, di fronteal concreto essere scoperto restringe ancora più di quan-to faceva con Kant le sue pretese, e da assoluta scienzafondamentale, sulla quale doveva poi sorgere la scienzametafisica, diviene soltanto un problema della filosofia,diviene il problema interno della filosofia.

Non può neppur essa, anzi tanto meno essa, continua-re ad essere quella tale scienza unica ed assoluta ed uni-versale che Kant si illudeva di avere scoperto, e di fron-te alla quale Reinhold, in conseguenza, si meravigliavache le menti tutte non fossero prone e pronte ad acco-glierne passivamente il verbo. Non può essere, perchè

43

concezione critica della realtà». (Critica del concr.,1921, pag. 6-7).

Così la Critica, da problema della scienza, divieneproblema della stessa coscienza.

Il dubbio di Hume circa la possibilità di una scienzadel reale provoca la soluzione critica della scienza comesintesi a priori. L'impossibilità che la sintesi a prioridella Critica kantiana ci dia la scienza metafisica, pro-voca la soluzione critica integrale della coscienza comeessere concreto.

Da questa parte, dunque, il problema critico si slargasia col portare lo stesso soggetto, presupposto nella cri-tica gnoseologica, entro la stessa critica e non postular-ne un dogmatico concetto, sia col sottoporre così tutte leforme del concreto alla valutazione critica.

Ma dall'altra parte la Critica, appunto perchè ritornaad essere consapevole del suo essere soltanto lavoropreparatorio che spiana la via alla metafisica, di fronteal concreto essere scoperto restringe ancora più di quan-to faceva con Kant le sue pretese, e da assoluta scienzafondamentale, sulla quale doveva poi sorgere la scienzametafisica, diviene soltanto un problema della filosofia,diviene il problema interno della filosofia.

Non può neppur essa, anzi tanto meno essa, continua-re ad essere quella tale scienza unica ed assoluta ed uni-versale che Kant si illudeva di avere scoperto, e di fron-te alla quale Reinhold, in conseguenza, si meravigliavache le menti tutte non fossero prone e pronte ad acco-glierne passivamente il verbo. Non può essere, perchè

43

Page 44: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tale scienza è il rinnegamento della essenza stessa dellaCritica che è intima valutazione, suscettibile quindi del-la diversità e sviluppo portati dalla persona, nella suastessa intimità, valutante. E non poteva già essere, anchequando si accettava e si accettasse la scientificità dellametafisica, cui deve dar luogo; giacchè non poteva nonfinire o col perdere la propria fondamentale assolutezzaper darla alla generata metafisica e quindi col perdersicome critica, o col far perdere tale assolutezza alla me-tafisica e quindi così annullarla, e per un altro versoquindi sopprimere l'esigenza critica. La Critica quindi,da fondamento della metafisica quale si vantava di esse-re con Kant, diventa invece, dissi, il problema internodella metafisica, il quale perciò assumerà anch'esso lastessa natura di questa ed importerà nella sua soluzione,almeno implicita, la soluzione del problema oggettivodella filosofia nelle varie sue forme.

E così la Critica, in quanto tale, non vorrà costruire ilconcreto e neppure ricostruirlo. Il concreto in tanto ètale, in quanto implica la Critica e si afferma autonomoin ciascuna forma dell'attività spirituale; il concreto, inquanto ha in sè la Critica, non aspetta di fuori il propriosviluppo. La Critica in quanto tale cerca soltanto di ri-spondere a questo problema: Posta la concretezza nellacoscienza, come è possibile l'affermarsi, entro la co-scienza concreta, di quella forma di coscienza che, vo-lendo cogliere l'essere come essere, vuol coglierel'Assoluto e quindi superare l'implicito ed il relativo chehanno luogo nella coscienza concreta, e senza dei quali

44

tale scienza è il rinnegamento della essenza stessa dellaCritica che è intima valutazione, suscettibile quindi del-la diversità e sviluppo portati dalla persona, nella suastessa intimità, valutante. E non poteva già essere, anchequando si accettava e si accettasse la scientificità dellametafisica, cui deve dar luogo; giacchè non poteva nonfinire o col perdere la propria fondamentale assolutezzaper darla alla generata metafisica e quindi col perdersicome critica, o col far perdere tale assolutezza alla me-tafisica e quindi così annullarla, e per un altro versoquindi sopprimere l'esigenza critica. La Critica quindi,da fondamento della metafisica quale si vantava di esse-re con Kant, diventa invece, dissi, il problema internodella metafisica, il quale perciò assumerà anch'esso lastessa natura di questa ed importerà nella sua soluzione,almeno implicita, la soluzione del problema oggettivodella filosofia nelle varie sue forme.

E così la Critica, in quanto tale, non vorrà costruire ilconcreto e neppure ricostruirlo. Il concreto in tanto ètale, in quanto implica la Critica e si afferma autonomoin ciascuna forma dell'attività spirituale; il concreto, inquanto ha in sè la Critica, non aspetta di fuori il propriosviluppo. La Critica in quanto tale cerca soltanto di ri-spondere a questo problema: Posta la concretezza nellacoscienza, come è possibile l'affermarsi, entro la co-scienza concreta, di quella forma di coscienza che, vo-lendo cogliere l'essere come essere, vuol coglierel'Assoluto e quindi superare l'implicito ed il relativo chehanno luogo nella coscienza concreta, e senza dei quali

44

Page 45: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la stessa concretezza anche svanirebbe? In breve: comeè possibile, nel concreto, la metafisica?

Questo vuol dire istituire una Critica del concreto. Equesta trova, come vedemmo, la soluzione al suo pro-blema affermando la trascendenza non più di enti cometali, che, per essere assolutamente enti, cessavano di es-sere concreti e quindi cessavano pur di essere, ma dellastessa attività spirituale, che, per conservarsi nella pie-nezza dell'essere concreto, tenta l'assoluta analisi dellasua stessa concretezza.

8. La filosofia come sforzo.

Trascendenza è l'attività come sforzo verso l'Assolu-to, verso l'oggetto puro; ma pure sforzo che è consape-vole (e appunto perciò è soltanto sforzo) di essere, purecome sforzo, un atto concreto. Donde il suo personaliz-zarsi (V. Che cosa è la fil.? in Riv. di fil., 1921). Ed èquesta la filosofia.

Attività trascendente, che però richiede a suo com-penso, quasi a integrazione della sua trascendenza, unaopposta attività trascendente; opposta allo sforzo, chenon capitalizza ma si consuma in sempre nuovo sforzo.L'attività quindi del capitalizzare le conquiste con lafede che le presenta rivelate, è l'attività trascendente chedicesi religione. È, si perdoni il bisticcio, l'attività del ri-poso; è la conservazione del conquistato. Attività chepur rinnova i suoi organismi, quando totale e radicale è

45

la stessa concretezza anche svanirebbe? In breve: comeè possibile, nel concreto, la metafisica?

Questo vuol dire istituire una Critica del concreto. Equesta trova, come vedemmo, la soluzione al suo pro-blema affermando la trascendenza non più di enti cometali, che, per essere assolutamente enti, cessavano di es-sere concreti e quindi cessavano pur di essere, ma dellastessa attività spirituale, che, per conservarsi nella pie-nezza dell'essere concreto, tenta l'assoluta analisi dellasua stessa concretezza.

8. La filosofia come sforzo.

Trascendenza è l'attività come sforzo verso l'Assolu-to, verso l'oggetto puro; ma pure sforzo che è consape-vole (e appunto perciò è soltanto sforzo) di essere, purecome sforzo, un atto concreto. Donde il suo personaliz-zarsi (V. Che cosa è la fil.? in Riv. di fil., 1921). Ed èquesta la filosofia.

Attività trascendente, che però richiede a suo com-penso, quasi a integrazione della sua trascendenza, unaopposta attività trascendente; opposta allo sforzo, chenon capitalizza ma si consuma in sempre nuovo sforzo.L'attività quindi del capitalizzare le conquiste con lafede che le presenta rivelate, è l'attività trascendente chedicesi religione. È, si perdoni il bisticcio, l'attività del ri-poso; è la conservazione del conquistato. Attività chepur rinnova i suoi organismi, quando totale e radicale è

45

Page 46: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la rielaborazione del capitale fatta con lo sforzo inces-sante del filosofare. Rinnovamento, che non uccide lafede, anzi la riporta alle sue fonti vive e la fa rinascerequando vive soltanto di formule e di riti, e quindi di vitafittizia. Solo la religione morta ha da temere della filo-sofia, non la viva. Quella ucciderà i Socrate ed i Bruno;questa capitalizzerà i Platone e gli Spinoza.

In questo ridursi a sforzo, in questo rinunziare ad es-sere, con le proprie norme, la guidatrice di ogni concretaattività spirituale, può anche vedersi, se si vuole, una li-mitazione della filosofia di fronte alla antica concezionedella filosofia-scienza, e della scienza guida dell'umanooperare. Si era già visto esplicitamente che non si può,senza cadere in un illuminismo intellettualistico e reali-stico, proclamare la scienza guida unica e sommadell'attività spirituale umana. Non si era ancora vistoche neppure la filosofia è una tale scienza; non si era an-cora visto che la filosofia adempierà tanto più e tantomeglio il suo compito di incitatrice di ogni sviluppodell'attività, quanto più si asterrà dal porsi norma espli-cita di conoscere, sentire e volere. La filosofia bisognache sia vissuta nella concreta vita spirituale, che è auto-noma nelle proprie forme; non deve proporsi essa di re-golarle. La storia o la scienza che cerchi di prender re-gola dalla logica, l'arte o la lingua che cerchi di applica-re l'estetica, la politica o la moralità che cerchi il suo im-perativo nell'etica, non saran mai storia vera, arte bella,politica buona. E non perciò la filosofia potrà e dovrà

46

la rielaborazione del capitale fatta con lo sforzo inces-sante del filosofare. Rinnovamento, che non uccide lafede, anzi la riporta alle sue fonti vive e la fa rinascerequando vive soltanto di formule e di riti, e quindi di vitafittizia. Solo la religione morta ha da temere della filo-sofia, non la viva. Quella ucciderà i Socrate ed i Bruno;questa capitalizzerà i Platone e gli Spinoza.

In questo ridursi a sforzo, in questo rinunziare ad es-sere, con le proprie norme, la guidatrice di ogni concretaattività spirituale, può anche vedersi, se si vuole, una li-mitazione della filosofia di fronte alla antica concezionedella filosofia-scienza, e della scienza guida dell'umanooperare. Si era già visto esplicitamente che non si può,senza cadere in un illuminismo intellettualistico e reali-stico, proclamare la scienza guida unica e sommadell'attività spirituale umana. Non si era ancora vistoche neppure la filosofia è una tale scienza; non si era an-cora visto che la filosofia adempierà tanto più e tantomeglio il suo compito di incitatrice di ogni sviluppodell'attività, quanto più si asterrà dal porsi norma espli-cita di conoscere, sentire e volere. La filosofia bisognache sia vissuta nella concreta vita spirituale, che è auto-noma nelle proprie forme; non deve proporsi essa di re-golarle. La storia o la scienza che cerchi di prender re-gola dalla logica, l'arte o la lingua che cerchi di applica-re l'estetica, la politica o la moralità che cerchi il suo im-perativo nell'etica, non saran mai storia vera, arte bella,politica buona. E non perciò la filosofia potrà e dovrà

46

Page 47: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dissolversi: sarà sempre quella divina ricerca dell'Asso-luto, quale già Platone chiaramente vedeva.

La scoperta concretezza ci disvela finalmente conchiarezza la natura di sforzo e non di scienza che ha lafilosofia.

Di fronte a questa limitazione della filosofia sta la suaesaltazione, la rottura di ogni limite: non trova questonell'oggetto che le stia di fronte indipendente da essa eche essa debba cercare soltanto di conoscere, non lo tro-va entro le stesse forme concrete dell'attività, giacchèessa non prende nessuna di queste nella sua determina-tezza implicita, ma vuol tutte abbracciarle nella recipro-ca loro esplicazione. La infinità, quindi, della filosofia;la sua effettiva divinità, che, nel superbo compito, che leè essenziale, di ricerca di Dio, sublima la persona del fi-losofo pur nel dargli coscienza di questo suo dissolversinell'Oggetto cercato.

È questa la metafisica che è consentita e richiesta dal-la Critica; metafisica, che se non è scienza con la preci-sa determinatezza oggettiva di leggi, non è neppure vololirico o annullamento mistico. Non è volo lirico, perchènon è affatto spiegare libere le ali della propria soggetti-va fantasia: è sacrificio, non esaltazione del soggetto inquanto tale. Non è annullamento mistico, perchèl'Oggetto che si cerca è costitutivo del soggetto ricercan-te, e non ha altro essere fuor di quanto costituisce i sog-getti. E di questo il soggetto filosofante ha e deve averecoscienza esplicita. Senza questa non si fa più filosofia

47

dissolversi: sarà sempre quella divina ricerca dell'Asso-luto, quale già Platone chiaramente vedeva.

La scoperta concretezza ci disvela finalmente conchiarezza la natura di sforzo e non di scienza che ha lafilosofia.

Di fronte a questa limitazione della filosofia sta la suaesaltazione, la rottura di ogni limite: non trova questonell'oggetto che le stia di fronte indipendente da essa eche essa debba cercare soltanto di conoscere, non lo tro-va entro le stesse forme concrete dell'attività, giacchèessa non prende nessuna di queste nella sua determina-tezza implicita, ma vuol tutte abbracciarle nella recipro-ca loro esplicazione. La infinità, quindi, della filosofia;la sua effettiva divinità, che, nel superbo compito, che leè essenziale, di ricerca di Dio, sublima la persona del fi-losofo pur nel dargli coscienza di questo suo dissolversinell'Oggetto cercato.

È questa la metafisica che è consentita e richiesta dal-la Critica; metafisica, che se non è scienza con la preci-sa determinatezza oggettiva di leggi, non è neppure vololirico o annullamento mistico. Non è volo lirico, perchènon è affatto spiegare libere le ali della propria soggetti-va fantasia: è sacrificio, non esaltazione del soggetto inquanto tale. Non è annullamento mistico, perchèl'Oggetto che si cerca è costitutivo del soggetto ricercan-te, e non ha altro essere fuor di quanto costituisce i sog-getti. E di questo il soggetto filosofante ha e deve averecoscienza esplicita. Senza questa non si fa più filosofia

47

Page 48: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

critica, – e cioè, oggi, non si fa più filosofia (cfr. § 44,49, 50, 61).

Una tale filosofia critica noi riteniamo l'erede legitti-ma del rinnovamento speculativo posto dal criticismo.

Perchè questa legittima eredità si compia, bisogna co-minciare a guardare il cammino della filosofia modernanon soltanto in quel che ha di vivo e di valido ma anchein quella che, appunto per sviluppare tale vita, fu la suadeficienza: la negazione della oggettività.

48

critica, – e cioè, oggi, non si fa più filosofia (cfr. § 44,49, 50, 61).

Una tale filosofia critica noi riteniamo l'erede legitti-ma del rinnovamento speculativo posto dal criticismo.

Perchè questa legittima eredità si compia, bisogna co-minciare a guardare il cammino della filosofia modernanon soltanto in quel che ha di vivo e di valido ma anchein quella che, appunto per sviluppare tale vita, fu la suadeficienza: la negazione della oggettività.

48

Page 49: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO II.LA POSITIVITÀ DELL'OGGETTO

9. L'impostazione della Critica ed il problema dell'oggetto.

La negazione dell'oggetto come cosa in sè è ritenuta ilrisultato ineliminabile, la conquista maggiore e miglioredi tutto il processo storico del pensiero filosofico mo-derno dopo Kant, in quello che certamente fu il suo in-dirizzo più vitale: l'idealismo trascendentale nel suo ap-purarsi come idealismo assoluto. Tutto il valore del pen-siero speculativo moderno si pone nell'aver sostituita lafilosofia del conoscere alla filosofia dell'essere, nell'avereliminato questo essere oggettivo come astrattezza, ne-gatività.

Ora io non nego che questa negazione della oggettivi-tà sia risultata con rigore logico dalla premessa kantia-

49

CAPITOLO II.LA POSITIVITÀ DELL'OGGETTO

9. L'impostazione della Critica ed il problema dell'oggetto.

La negazione dell'oggetto come cosa in sè è ritenuta ilrisultato ineliminabile, la conquista maggiore e miglioredi tutto il processo storico del pensiero filosofico mo-derno dopo Kant, in quello che certamente fu il suo in-dirizzo più vitale: l'idealismo trascendentale nel suo ap-purarsi come idealismo assoluto. Tutto il valore del pen-siero speculativo moderno si pone nell'aver sostituita lafilosofia del conoscere alla filosofia dell'essere, nell'avereliminato questo essere oggettivo come astrattezza, ne-gatività.

Ora io non nego che questa negazione della oggettivi-tà sia risultata con rigore logico dalla premessa kantia-

49

Page 50: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

na; ma affermo che questo risultato è stato dedotto da unconcetto erroneo ancora racchiuso in questa premessa.

Esso non costituisce quindi la conquista del pensieromoderno nel processo speculativo, ma ne manifesta ladeficienza: il pensiero moderno non ha saputo risolvereil problema dell'oggetto. Porre infatti l'oggetto come ne-gazione non è soddisfare l'esigenza della oggettività, maeliminarla: è ritenere che l'esigenza dell'oggettività nonsia altro che l'esigenza della negazione, è porre il pro-blema della oggettività come il problema della negazio-ne. E non sono lo stesso problema. Se siano riducibilil'uno a l'altro è da dimostrare. Se una dimostrazione sisia data, vedremo.

Il concetto erroneo da cui quella negazione è stata de-dotta, è il concetto realistico di oggetto-da-conoscerecome altro, nella sua esistenza, dalla coscienza che sene ha, intendendosi per «altro» (oggetto esistente) unqualcosa che non è assolutamente «l'uno» (coscienza ingenere) di fronte al quale si pone.

Notiamo subito che questo concetto, lungi dall'essereun concetto critico, rende impossibile la Critica. Questainfatti richiede proprio come oggetto-da-conoscere lacoscienza stessa conoscente. Se oggetto-da-conoscere èl'«altro» inteso come sopra, la coscienza conoscente nonpotrà mai essere oggetto-da-conoscere, cioè la Criticasarà impossibile. Si è eliminata questa impossibilità del-la Critica, non col correggere il concetto realistico di og-getto, ma col sopprimere l'oggetto, e lasciare soltanto lacoscienza conoscente che è soggetto, con la negazione

50

na; ma affermo che questo risultato è stato dedotto da unconcetto erroneo ancora racchiuso in questa premessa.

Esso non costituisce quindi la conquista del pensieromoderno nel processo speculativo, ma ne manifesta ladeficienza: il pensiero moderno non ha saputo risolvereil problema dell'oggetto. Porre infatti l'oggetto come ne-gazione non è soddisfare l'esigenza della oggettività, maeliminarla: è ritenere che l'esigenza dell'oggettività nonsia altro che l'esigenza della negazione, è porre il pro-blema della oggettività come il problema della negazio-ne. E non sono lo stesso problema. Se siano riducibilil'uno a l'altro è da dimostrare. Se una dimostrazione sisia data, vedremo.

Il concetto erroneo da cui quella negazione è stata de-dotta, è il concetto realistico di oggetto-da-conoscerecome altro, nella sua esistenza, dalla coscienza che sene ha, intendendosi per «altro» (oggetto esistente) unqualcosa che non è assolutamente «l'uno» (coscienza ingenere) di fronte al quale si pone.

Notiamo subito che questo concetto, lungi dall'essereun concetto critico, rende impossibile la Critica. Questainfatti richiede proprio come oggetto-da-conoscere lacoscienza stessa conoscente. Se oggetto-da-conoscere èl'«altro» inteso come sopra, la coscienza conoscente nonpotrà mai essere oggetto-da-conoscere, cioè la Criticasarà impossibile. Si è eliminata questa impossibilità del-la Critica, non col correggere il concetto realistico di og-getto, ma col sopprimere l'oggetto, e lasciare soltanto lacoscienza conoscente che è soggetto, con la negazione

50

Page 51: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

di sè, che le si pone come essenziale e che dicesi ogget-tività. Per il concetto realistico che si aveva della ogget-tività, nella Critica non ci poteva esser posto per un po-sitivo oggetto.

Quindi l'impostazione stessa della Critica importavagià la negazione dell'oggetto come tale. Negazione cheKant non vedeva. E non poteva vedere, giacchè proprioquel concetto realistico di oggetto suscitò in lui il pro-blema critico. Si fece chiara con lo svilupparsi della Cri-tica in metafisica, ed apparve quindi come un risultatodi tale sviluppo, una conquista del Criticismo metafisi-co. Era soltanto una deduzione da quel concetto in cam-po critico.

10. L'alterità non è estraneità.

Può un tale concetto accettarsi?Per rispondere bisogna cominciare dall'intendere lo

stesso concetto di alterità.Per la coscienza comune (e intendo coscienza non

nella sua incoerenza volgare, ma coscienza nella massi-ma sua coerenza che è concretezza) altro è, sì, altrodall'uno, del quale è altro, ma, appunto per essere altrodi quell'uno, è proprio come l'uno. Il che ci è confermatodall'uso linguistico: per dire che un galantuomo è statodepredato da ladri, non diciamo che egli è stato spoglia-to da altri ladri. I ladri posti come altri dall'uno chiame-rebbero anche questo in loro compagnia. In breve: alte-

51

di sè, che le si pone come essenziale e che dicesi ogget-tività. Per il concetto realistico che si aveva della ogget-tività, nella Critica non ci poteva esser posto per un po-sitivo oggetto.

Quindi l'impostazione stessa della Critica importavagià la negazione dell'oggetto come tale. Negazione cheKant non vedeva. E non poteva vedere, giacchè proprioquel concetto realistico di oggetto suscitò in lui il pro-blema critico. Si fece chiara con lo svilupparsi della Cri-tica in metafisica, ed apparve quindi come un risultatodi tale sviluppo, una conquista del Criticismo metafisi-co. Era soltanto una deduzione da quel concetto in cam-po critico.

10. L'alterità non è estraneità.

Può un tale concetto accettarsi?Per rispondere bisogna cominciare dall'intendere lo

stesso concetto di alterità.Per la coscienza comune (e intendo coscienza non

nella sua incoerenza volgare, ma coscienza nella massi-ma sua coerenza che è concretezza) altro è, sì, altrodall'uno, del quale è altro, ma, appunto per essere altrodi quell'uno, è proprio come l'uno. Il che ci è confermatodall'uso linguistico: per dire che un galantuomo è statodepredato da ladri, non diciamo che egli è stato spoglia-to da altri ladri. I ladri posti come altri dall'uno chiame-rebbero anche questo in loro compagnia. In breve: alte-

51

Page 52: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

rità importa moltiplicazione, non negazione e neppureestraneità.

C'è dunque un primo errore nella concezionedell'oggetto, quando si concepisce l'alterità come estra-neità. Se anche l'oggetto fosse veramente l'altro, neppu-re con tale essenza esso importerebbe schietta negazionenella coscienza, giacchè affermerebbe sempre l'omoge-neità della coscienza. Senza accorgercene, senza voler-lo, noi, per idealisti che ci professiamo, quando conce-piamo l'alterità come estraneità, accediamo alla conce-zione realistica della stessa alterità. E volendo negare,per la sua evidente assurdità, il pregiudizio realisticodella assoluta esclusione dell'oggetto come cosa dal sog-getto come coscienza, finiamo col negare anche l'ogget-tività, perchè l'identifichiamo con l'alterità in quella suarealistica concezione.

Il significato e quindi il valore positivo dell'alteritànoi vedremo nel capitolo seguente.

11. L'oggetto (essere presente nella coscienza) non è alterità.

Ma è poi veramente questo di essere altro dal sogget-to il carattere dell'oggetto?

Se noi spogliamo l'alterità della concezione realisticache l'ha deformata e camuffata, troviamo che essa indicamoltiplicazione omogenea; e, se anche non vogliamo farquistione di omogeneità od eterogeneità, troviamo che

52

rità importa moltiplicazione, non negazione e neppureestraneità.

C'è dunque un primo errore nella concezionedell'oggetto, quando si concepisce l'alterità come estra-neità. Se anche l'oggetto fosse veramente l'altro, neppu-re con tale essenza esso importerebbe schietta negazionenella coscienza, giacchè affermerebbe sempre l'omoge-neità della coscienza. Senza accorgercene, senza voler-lo, noi, per idealisti che ci professiamo, quando conce-piamo l'alterità come estraneità, accediamo alla conce-zione realistica della stessa alterità. E volendo negare,per la sua evidente assurdità, il pregiudizio realisticodella assoluta esclusione dell'oggetto come cosa dal sog-getto come coscienza, finiamo col negare anche l'ogget-tività, perchè l'identifichiamo con l'alterità in quella suarealistica concezione.

Il significato e quindi il valore positivo dell'alteritànoi vedremo nel capitolo seguente.

11. L'oggetto (essere presente nella coscienza) non è alterità.

Ma è poi veramente questo di essere altro dal sogget-to il carattere dell'oggetto?

Se noi spogliamo l'alterità della concezione realisticache l'ha deformata e camuffata, troviamo che essa indicamoltiplicazione omogenea; e, se anche non vogliamo farquistione di omogeneità od eterogeneità, troviamo che

52

Page 53: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

l'alterità importa essenzialmente moltiplicazione: l'altrorichiede essenzialmente l'uno.

Ora una tale moltiplicazione dalla schietta esigenzaoggettiva non solo non è richiamata, ma è esclusa. Og-gettività ha significato sempre consentire dei soggetticostringenti in essa la propria molteplicità, consentireche si è detto universalità, necessità o com'altro si vo-glia; oggettività ha significato sempre unica essenzialitàcostitutiva del molteplice reale. E significare, quando ilgenuino significato non sia tratto ad erronee interpreta-zioni, vuol dire appunto esprimere l'intima esigenza del-la coscienza.

Se anche qui ricorriamo alla coscienza comune, tro-viamo che comunque si sviluppi o si riduca quel concet-to di oggetto, che è tanto essenziale alla coscienza chesenza di esso questa più non ci sarebbe, l'oggetto è sem-pre l'essere in sè che è presente nella coscienza.

Pare, questa, l'oggettività del realismo ingenuo, ed èinvece, a chi ben la guardi, quella del più scaltrito idea-lismo.

«Presenza nella coscienza», e quindi interiorità nonesteriorità; «essere in sè» e quindi costitutivo anche diciò in cui è presente come essere. Costitutivo quindi an-che di quel soggetto, che, come tale, lasciato nella puraalterità, nella schietta reciprocità col tu (cfr. cap. III),non avrebbe essere, non sarebbe, come non sarebbe ilreciproco tu. Oggetto è dunque l'essere unico costitutivodi tutti questi reciproci nella loro alterità. È l'unicità;non è la molteplicità. L'oggetto non è dunque lo «spez-

53

l'alterità importa essenzialmente moltiplicazione: l'altrorichiede essenzialmente l'uno.

Ora una tale moltiplicazione dalla schietta esigenzaoggettiva non solo non è richiamata, ma è esclusa. Og-gettività ha significato sempre consentire dei soggetticostringenti in essa la propria molteplicità, consentireche si è detto universalità, necessità o com'altro si vo-glia; oggettività ha significato sempre unica essenzialitàcostitutiva del molteplice reale. E significare, quando ilgenuino significato non sia tratto ad erronee interpreta-zioni, vuol dire appunto esprimere l'intima esigenza del-la coscienza.

Se anche qui ricorriamo alla coscienza comune, tro-viamo che comunque si sviluppi o si riduca quel concet-to di oggetto, che è tanto essenziale alla coscienza chesenza di esso questa più non ci sarebbe, l'oggetto è sem-pre l'essere in sè che è presente nella coscienza.

Pare, questa, l'oggettività del realismo ingenuo, ed èinvece, a chi ben la guardi, quella del più scaltrito idea-lismo.

«Presenza nella coscienza», e quindi interiorità nonesteriorità; «essere in sè» e quindi costitutivo anche diciò in cui è presente come essere. Costitutivo quindi an-che di quel soggetto, che, come tale, lasciato nella puraalterità, nella schietta reciprocità col tu (cfr. cap. III),non avrebbe essere, non sarebbe, come non sarebbe ilreciproco tu. Oggetto è dunque l'essere unico costitutivodi tutti questi reciproci nella loro alterità. È l'unicità;non è la molteplicità. L'oggetto non è dunque lo «spez-

53

Page 54: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

zarsi in esseri distinti, di cui ciascuno è esso stesso la to-talità»; non è quindi l'«assoluta contraddizione della in-dipendenza completa del molteplice, e della dipendenzaaltresì completa della medesima indipendenza. (Hegel,Enciclop., § 194).

Nella oggettività pura non c'è lo spezzarsi e quindinon c'è la contraddizione. Se questa ci sia nel concreto,è cosa da vedere e che vedremo a suo tempo.

L'alterità adunque non è caratteristica della oggettivi-tà pura. Nella coscienza l'oggetto non è vissuto come al-tro dal soggetto.

Concepire l'oggetto come altro dal soggetto è nonrendersi conto di quel che in verità, nella concreta veritàche noi operando spiritualmente attuiamo, si concepisce.È scambiare l'oggettività con ciò che essa non è.

Ed è naturale che se ne concluda poi la negazione: ilvalore vero di questa negazione starà proprio nella di-mostrazione dello scambio che è avvenuto. La riduzionedell'oggetto a negazione, fatta dall'idealismo, è la dimo-strazione della falsità del concetto che il realismo ciaveva fornito dell'oggetto: niente più, ma neanche nientemeno che questo.

Adunque proprio per questo conservare la concezionerealistica dell'oggettività come alterità si è caduti nellaconcezione negativa dell'oggetto, la quale si è creduto ditrarre dalla Critica, mentre si traeva dal dogmatismo nonancora critico dello stesso Kant.

E mentre ciò avveniva da una parte, dall'altra questostesso processo di deduzione da un dogmatismo realisti-

54

zarsi in esseri distinti, di cui ciascuno è esso stesso la to-talità»; non è quindi l'«assoluta contraddizione della in-dipendenza completa del molteplice, e della dipendenzaaltresì completa della medesima indipendenza. (Hegel,Enciclop., § 194).

Nella oggettività pura non c'è lo spezzarsi e quindinon c'è la contraddizione. Se questa ci sia nel concreto,è cosa da vedere e che vedremo a suo tempo.

L'alterità adunque non è caratteristica della oggettivi-tà pura. Nella coscienza l'oggetto non è vissuto come al-tro dal soggetto.

Concepire l'oggetto come altro dal soggetto è nonrendersi conto di quel che in verità, nella concreta veritàche noi operando spiritualmente attuiamo, si concepisce.È scambiare l'oggettività con ciò che essa non è.

Ed è naturale che se ne concluda poi la negazione: ilvalore vero di questa negazione starà proprio nella di-mostrazione dello scambio che è avvenuto. La riduzionedell'oggetto a negazione, fatta dall'idealismo, è la dimo-strazione della falsità del concetto che il realismo ciaveva fornito dell'oggetto: niente più, ma neanche nientemeno che questo.

Adunque proprio per questo conservare la concezionerealistica dell'oggettività come alterità si è caduti nellaconcezione negativa dell'oggetto, la quale si è creduto ditrarre dalla Critica, mentre si traeva dal dogmatismo nonancora critico dello stesso Kant.

E mentre ciò avveniva da una parte, dall'altra questostesso processo di deduzione da un dogmatismo realisti-

54

Page 55: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

co che aveva, si può dire, impegnato in una esigenzanon propria il concetto, direi la funzione, della alterità,impediva che di questa si vedesse il concetto critico po-sitivo.

Il realismo, che, quando sia approfondito nelle sueconseguenze, è necessariamente sempre anche atomi-smo pluralistico, il realismo potrà e forse dovrà, in que-sto suo essenziale atomismo rinnegante ogni vera unità,continuare a ritenere l'oggetto come altro dal soggetto. Esi manifesterà così sempre più, quando diamo all'altro ilvalore che necessariamente ha, il fondamento materiali-stico di ogni dottrina realistica: l'altro, oggetto che comecosa è escluso dal soggetto come coscienza (§ 10), ri-chiamerà anche questo soggetto, dinanzi a cui esso è al-tro, ad essere il suo altro, richiamerà anche il soggettoad essere una cosa esclusa dalla coscienza.

L'oggetto, dunque, non è l'altro realistico (l'esclusodalla coscienza), non è l'altro idealistico (il non nella co-scienza): è invece, abbiam visto, l'essere presente nellacoscienza.

Ripartendo dunque, pur con tutta la consapevolezzacritica, da quella comune coscienza concreta, che la Cri-tica ha appunto il merito di averci dimostrata come lainsuperabile fonte di ogni dimostrazione, si dimostra,invece della negatività, la positività dell'oggetto.

55

co che aveva, si può dire, impegnato in una esigenzanon propria il concetto, direi la funzione, della alterità,impediva che di questa si vedesse il concetto critico po-sitivo.

Il realismo, che, quando sia approfondito nelle sueconseguenze, è necessariamente sempre anche atomi-smo pluralistico, il realismo potrà e forse dovrà, in que-sto suo essenziale atomismo rinnegante ogni vera unità,continuare a ritenere l'oggetto come altro dal soggetto. Esi manifesterà così sempre più, quando diamo all'altro ilvalore che necessariamente ha, il fondamento materiali-stico di ogni dottrina realistica: l'altro, oggetto che comecosa è escluso dal soggetto come coscienza (§ 10), ri-chiamerà anche questo soggetto, dinanzi a cui esso è al-tro, ad essere il suo altro, richiamerà anche il soggettoad essere una cosa esclusa dalla coscienza.

L'oggetto, dunque, non è l'altro realistico (l'esclusodalla coscienza), non è l'altro idealistico (il non nella co-scienza): è invece, abbiam visto, l'essere presente nellacoscienza.

Ripartendo dunque, pur con tutta la consapevolezzacritica, da quella comune coscienza concreta, che la Cri-tica ha appunto il merito di averci dimostrata come lainsuperabile fonte di ogni dimostrazione, si dimostra,invece della negatività, la positività dell'oggetto.

55

Page 56: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

12. Il processo di negazione dell'oggeitività for-male.

Ma si può forse dire: «Sia pure ammesso, che la ne-gatività dell'oggetto come cosa in sè dipenda dal conser-varsi di questi concetti che voi dite realistici, dell'ogget-to come altro, e dell'alterità come estraneità. Non vo-gliamo entrare con voi in questa disputa sottile.

C'è il fatto che la vera oggettività kantiana è quelladelle categorie, dei concetti puri. Tutto l'argomentarekantiano è valido solo se per oggetto si intende propriol'universale e necessario concetto puro.

Orbene, se questa è l'oggettività critica, essa va ridot-ta a negazione, perchè è concettualità, esse in mente, enon esse in re. Riconoscere la pura concettualitàdell'oggetto è riconoscere che quella necessità ed uni-versalità che dogmaticamente lo caratterizzano, critica-mente sono invece proprie del Soggetto, del cui attoquella concettualità è prodotto. La categoria, in quantooggettiva, non è che la negazione che il Soggetto, deter-minandosi, fa di sè come Soggetto.

Siamo per altra via, che non è quella da voi esaminatae confutata, arrivati proprio all'eliminazione dell'ogget-to, alla concezione della oggettività come negatività,giacchè le caratteristiche proprie di questa sono statedalla scoperta kantiana riconosciute invece come pro-prie del Soggetto. O l'atto sintetico a priori dell'intellet-to nella sua spontaneità non vale nulla, o il vero Univer-sale è il Soggetto, e l'oggetto non è altro che il negarsi

56

12. Il processo di negazione dell'oggeitività for-male.

Ma si può forse dire: «Sia pure ammesso, che la ne-gatività dell'oggetto come cosa in sè dipenda dal conser-varsi di questi concetti che voi dite realistici, dell'ogget-to come altro, e dell'alterità come estraneità. Non vo-gliamo entrare con voi in questa disputa sottile.

C'è il fatto che la vera oggettività kantiana è quelladelle categorie, dei concetti puri. Tutto l'argomentarekantiano è valido solo se per oggetto si intende propriol'universale e necessario concetto puro.

Orbene, se questa è l'oggettività critica, essa va ridot-ta a negazione, perchè è concettualità, esse in mente, enon esse in re. Riconoscere la pura concettualitàdell'oggetto è riconoscere che quella necessità ed uni-versalità che dogmaticamente lo caratterizzano, critica-mente sono invece proprie del Soggetto, del cui attoquella concettualità è prodotto. La categoria, in quantooggettiva, non è che la negazione che il Soggetto, deter-minandosi, fa di sè come Soggetto.

Siamo per altra via, che non è quella da voi esaminatae confutata, arrivati proprio all'eliminazione dell'ogget-to, alla concezione della oggettività come negatività,giacchè le caratteristiche proprie di questa sono statedalla scoperta kantiana riconosciute invece come pro-prie del Soggetto. O l'atto sintetico a priori dell'intellet-to nella sua spontaneità non vale nulla, o il vero Univer-sale è il Soggetto, e l'oggetto non è altro che il negarsi

56

Page 57: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che questi fa di sè, la negatività molteplice del Soggettounico e necessario nella somma assoluta sua libertà».

Orbene, rispondiamo, anche questo processo di ridu-zione dell'oggetto, criticamente concepito come oggettodi coscienza, a negazione trova il principio suo primonella presupposta negazione della cosa in sè, e quindi ilfondamento suo primo la sua giustificazione ultima neldetto concetto realistico dell'oggetto. La disputa sottilenon è eliminabile, se veramente vogliamo renderci con-to di quel che diciamo.

Infatti tutto il vostro argomentare si fonda sul non es-sere il concetto universale un «in re», perchè è un «inmente». Quindi la dimostrata negatività dell'oggetto for-male kantiano è fondata sulla precedente negazionedell'oggetto come cosa in sè (l'«in re»). Non si può dun-que prescindere dalla illegittimità di quest'ultima.

E come ingiustificata, quindi, è la negazionedell'oggetto formale, così ingiustificato è anche il trasfe-rimento delle caratteristiche dell'oggetto (universalità enecessità) nel soggetto. Questo trasferimento e quellanegazione hanno anch'essi, attraverso la negazione dellacosa in sè cui sono connessi, la loro origine prima nelfalso concetto realistico dell'oggetto. La Critica, lungidal sopprimere, giustifica e dimostra la universalità enecessità proprio nell'oggetto.

Un cenno sulla schietta posizione kantiana al riguardonon sarà forse superfluo.

La distinzione tra cosa in sè e oggetto conosciuto nonè di Kant. Essa esisteva già: era la distinzione tra la cosa

57

che questi fa di sè, la negatività molteplice del Soggettounico e necessario nella somma assoluta sua libertà».

Orbene, rispondiamo, anche questo processo di ridu-zione dell'oggetto, criticamente concepito come oggettodi coscienza, a negazione trova il principio suo primonella presupposta negazione della cosa in sè, e quindi ilfondamento suo primo la sua giustificazione ultima neldetto concetto realistico dell'oggetto. La disputa sottilenon è eliminabile, se veramente vogliamo renderci con-to di quel che diciamo.

Infatti tutto il vostro argomentare si fonda sul non es-sere il concetto universale un «in re», perchè è un «inmente». Quindi la dimostrata negatività dell'oggetto for-male kantiano è fondata sulla precedente negazionedell'oggetto come cosa in sè (l'«in re»). Non si può dun-que prescindere dalla illegittimità di quest'ultima.

E come ingiustificata, quindi, è la negazionedell'oggetto formale, così ingiustificato è anche il trasfe-rimento delle caratteristiche dell'oggetto (universalità enecessità) nel soggetto. Questo trasferimento e quellanegazione hanno anch'essi, attraverso la negazione dellacosa in sè cui sono connessi, la loro origine prima nelfalso concetto realistico dell'oggetto. La Critica, lungidal sopprimere, giustifica e dimostra la universalità enecessità proprio nell'oggetto.

Un cenno sulla schietta posizione kantiana al riguardonon sarà forse superfluo.

La distinzione tra cosa in sè e oggetto conosciuto nonè di Kant. Essa esisteva già: era la distinzione tra la cosa

57

Page 58: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

esistente e quell'atto col quale lo spirito la conosceva,tra cosa e atto rappresentativo di essa, tra l'esse in re el'esse in mente.

Ora è noto che nella scolastica e fino a Cartesio e allostesso Spinoza la caratteristica di oggettività si davaproprio all'esse in mente che rappresentava l'essenza diquell'esse in re, che pur nel suo esistere era separatodall'esse in mente. E questo esse in re si diceva realtàsoggettiva o formale.

Kant determina questo esse in re come cosa in sè, equindi anch'esso come Obiekt. Con Kant, quindi,Obiekt, oltrechè e forse più che il Gegenstand, è il Dingan sich. La caratteristica di oggettività investe più l'essein re che l'esse in mente. Quella realtà soggettiva o for-male della scolastica, se veramente vuol essere in re,deve essere l'assoluto Obiekt, il Ding an sich. Cominciail processo di chiarificazione: della esigenza del reali-smo: se l'esse in re devesi separare dall'esse in mente, ela mens è il soggetto pensante, la realtà oggettiva chedovrebbe essere l'essenza della cosa ed invece è in que-sto soggetto, non è tale essenza della cosa. È soltantol'essenza della cosa nel soggetto non è quindi il vero eproprio oggetto: è soltanto concetto, puro od empiricoche sia. La vera realtà oggettiva quindi è il non noto, lacosa in sè. Nel Gegenstand della esperienza non v'è altratraccia del Ding an sich, cioè del vero oggetto, che ilsuo fenomeno sensibile, l'apparenza, alla quale l'intellet-to dà valore di oggetto coi suoi concetti puri.

58

esistente e quell'atto col quale lo spirito la conosceva,tra cosa e atto rappresentativo di essa, tra l'esse in re el'esse in mente.

Ora è noto che nella scolastica e fino a Cartesio e allostesso Spinoza la caratteristica di oggettività si davaproprio all'esse in mente che rappresentava l'essenza diquell'esse in re, che pur nel suo esistere era separatodall'esse in mente. E questo esse in re si diceva realtàsoggettiva o formale.

Kant determina questo esse in re come cosa in sè, equindi anch'esso come Obiekt. Con Kant, quindi,Obiekt, oltrechè e forse più che il Gegenstand, è il Dingan sich. La caratteristica di oggettività investe più l'essein re che l'esse in mente. Quella realtà soggettiva o for-male della scolastica, se veramente vuol essere in re,deve essere l'assoluto Obiekt, il Ding an sich. Cominciail processo di chiarificazione: della esigenza del reali-smo: se l'esse in re devesi separare dall'esse in mente, ela mens è il soggetto pensante, la realtà oggettiva chedovrebbe essere l'essenza della cosa ed invece è in que-sto soggetto, non è tale essenza della cosa. È soltantol'essenza della cosa nel soggetto non è quindi il vero eproprio oggetto: è soltanto concetto, puro od empiricoche sia. La vera realtà oggettiva quindi è il non noto, lacosa in sè. Nel Gegenstand della esperienza non v'è altratraccia del Ding an sich, cioè del vero oggetto, che ilsuo fenomeno sensibile, l'apparenza, alla quale l'intellet-to dà valore di oggetto coi suoi concetti puri.

58

Page 59: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il dogmatico esse in re si duplica nella inconoscibilecosa in sè e nel sentito fenomeno dell'intuizione. E cosìl'Obiekt, che nel pensiero dogmatico pareva esser datosoltanto da quell'esse in mente, che misteriosamente poiveniva a costituire l'essenza delle cose nel loro essere inre, si triplica in oggetto-cosa in sè della ragione, o, me-glio, del pensiero; oggetto-fenomeno del senso; oggetto-categoria dell'intelletto.

Queste tre forme dell'oggettività sono, per Kant, tuttetre positive, proprio come oggettività, e fondano tutte laloro positività su quella della prima forma, l'oggettocome cosa in sè affermata dalla ragione.

Si sa che la meno oggettiva (Rosmini forse perciò ladisse poi soltanto extra-soggettiva) di queste tre forme èla seconda quella dell'oggetto fenomeno del senso. Que-sta, per lo stesso Kant, è empiricità molteplice e mute-vole; non ostanti le sue intuizioni pure, par che non ab-bia quella necessità ed universalità che sole varrebbero adarle valore oggettivo. Ma noi non dobbiamo qui occu-parci di questa forma di oggettività e del processo percui la sua negazione, già posta da Kant, nettamente siesplicò poi. Solo non vogliamo perder l'occasione di farnotare che anche questo processo di negazione risultinon esatto, quando si scopra – cosa che noi crediamo diaver fatto e sulla quale non ci stancheremo di richiamarel'attenzione – anche il sentire come attività spiritualeconcreta, e quindi richiedente l'oggettività come ogniconcretezza spirituale.

59

Il dogmatico esse in re si duplica nella inconoscibilecosa in sè e nel sentito fenomeno dell'intuizione. E cosìl'Obiekt, che nel pensiero dogmatico pareva esser datosoltanto da quell'esse in mente, che misteriosamente poiveniva a costituire l'essenza delle cose nel loro essere inre, si triplica in oggetto-cosa in sè della ragione, o, me-glio, del pensiero; oggetto-fenomeno del senso; oggetto-categoria dell'intelletto.

Queste tre forme dell'oggettività sono, per Kant, tuttetre positive, proprio come oggettività, e fondano tutte laloro positività su quella della prima forma, l'oggettocome cosa in sè affermata dalla ragione.

Si sa che la meno oggettiva (Rosmini forse perciò ladisse poi soltanto extra-soggettiva) di queste tre forme èla seconda quella dell'oggetto fenomeno del senso. Que-sta, per lo stesso Kant, è empiricità molteplice e mute-vole; non ostanti le sue intuizioni pure, par che non ab-bia quella necessità ed universalità che sole varrebbero adarle valore oggettivo. Ma noi non dobbiamo qui occu-parci di questa forma di oggettività e del processo percui la sua negazione, già posta da Kant, nettamente siesplicò poi. Solo non vogliamo perder l'occasione di farnotare che anche questo processo di negazione risultinon esatto, quando si scopra – cosa che noi crediamo diaver fatto e sulla quale non ci stancheremo di richiamarel'attenzione – anche il sentire come attività spiritualeconcreta, e quindi richiedente l'oggettività come ogniconcretezza spirituale.

59

Page 60: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Comunque, non è questa la negazione della oggettivi-tà che ora abbiamo di mira: il riconoscimento, fatto giàda Kant, che quella empirica è falsa oggettività, non èridurre l'oggettività a negazione, anzi è riconoscere chev'ha, positivamente, una oggettività che non è spuria.

Universali e necessarie sono invece, per Kant, le cate-gorie, e quindi pienamente ed inconfutabilmente ogget-tive. E ripetono questa inconfutabile oggettività proprioda quell'assoluto oggetto, che è la cosa in sè. Questo ame par che significhi quella decisa affermazione kantia-na del non potersi e non doversi dar ragione della possi-bilità stessa della sintesi a priori5. L'oggetto assoluto nontoglie la oggettività delle categorie, ma la condiziona:non fa che limitar il valore delle categorie soltanto allafunzionalità, non fa che renderle soltanto forma aventil'esigenza di un contenuto, che non può essere lo stessooggetto assoluto, ma che pur da questo deve essere, inqualche modo, causato.

Perciò il kantiano oggetto-categoria, che media l'asso-luto oggetto e l'apparenza sua, è la continuazione dellaoggettività scolastica con la sua essenza universale e ne-cessaria. Si è soltanto riconosciuto quel che esige l'esse-re questa essenza oggettiva un in mente e non un in re:esige che l'in re sia l'assoluto Obiekt e come tale sia in-conoscibile, e che le cose conosciute non siano l'in re.

5 Cfr. Il problema di fil. da Kant a Fichte, Palermo, 1929; pp.127-129.

60

Comunque, non è questa la negazione della oggettivi-tà che ora abbiamo di mira: il riconoscimento, fatto giàda Kant, che quella empirica è falsa oggettività, non èridurre l'oggettività a negazione, anzi è riconoscere chev'ha, positivamente, una oggettività che non è spuria.

Universali e necessarie sono invece, per Kant, le cate-gorie, e quindi pienamente ed inconfutabilmente ogget-tive. E ripetono questa inconfutabile oggettività proprioda quell'assoluto oggetto, che è la cosa in sè. Questo ame par che significhi quella decisa affermazione kantia-na del non potersi e non doversi dar ragione della possi-bilità stessa della sintesi a priori5. L'oggetto assoluto nontoglie la oggettività delle categorie, ma la condiziona:non fa che limitar il valore delle categorie soltanto allafunzionalità, non fa che renderle soltanto forma aventil'esigenza di un contenuto, che non può essere lo stessooggetto assoluto, ma che pur da questo deve essere, inqualche modo, causato.

Perciò il kantiano oggetto-categoria, che media l'asso-luto oggetto e l'apparenza sua, è la continuazione dellaoggettività scolastica con la sua essenza universale e ne-cessaria. Si è soltanto riconosciuto quel che esige l'esse-re questa essenza oggettiva un in mente e non un in re:esige che l'in re sia l'assoluto Obiekt e come tale sia in-conoscibile, e che le cose conosciute non siano l'in re.

5 Cfr. Il problema di fil. da Kant a Fichte, Palermo, 1929; pp.127-129.

60

Page 61: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non si può dunque staccare l'oggettività delle catego-rie dalla oggettività della cosa in sè. Quella resterebbecampata in aria, mentre campata in aria non è in Kant.

Solo quando si sia ridotta la cosa in sè a un mero con-cetto negativo, solo allora si potrà, anzi si dovrà neces-sariamente, ridurre a pura negazione anche l'oggetto-categoria. La forma, infatti, in cui essa consiste, rimar-rebbe da una parte senza giustificazione e dall'altra sen-za possibilità di avere un contenuto, che è pur indispen-sabile, se essa è soltanto forma.

La riduzione dunque dell'oggetto formale kantiano anegazione presuppone la concezione negativa della cosain sè.

E questa negazione presuppone i concetti realistici dioggettività e di alterità.

Si capisce così, perchè e come, solo quando si è ridot-ta la cosa in sè a non-Io e si è conservato soltanto l'iocome assoluto atto di libertà, anche quella kantianamen-te positiva oggettività delle categorie dovesse alla purfine, pur partendosi prima dal concepir queste comeazioni necessarie dell'Io (Fichte), finire con l'essere con-cepita della stessa natura (Gentile) di quella oggettivitàspuria che è la pura empiricità, che, positiva anch'essaper Kant, deve diventare, per l'idealismo, il puro negarsidell'io.

61

Non si può dunque staccare l'oggettività delle catego-rie dalla oggettività della cosa in sè. Quella resterebbecampata in aria, mentre campata in aria non è in Kant.

Solo quando si sia ridotta la cosa in sè a un mero con-cetto negativo, solo allora si potrà, anzi si dovrà neces-sariamente, ridurre a pura negazione anche l'oggetto-categoria. La forma, infatti, in cui essa consiste, rimar-rebbe da una parte senza giustificazione e dall'altra sen-za possibilità di avere un contenuto, che è pur indispen-sabile, se essa è soltanto forma.

La riduzione dunque dell'oggetto formale kantiano anegazione presuppone la concezione negativa della cosain sè.

E questa negazione presuppone i concetti realistici dioggettività e di alterità.

Si capisce così, perchè e come, solo quando si è ridot-ta la cosa in sè a non-Io e si è conservato soltanto l'iocome assoluto atto di libertà, anche quella kantianamen-te positiva oggettività delle categorie dovesse alla purfine, pur partendosi prima dal concepir queste comeazioni necessarie dell'Io (Fichte), finire con l'essere con-cepita della stessa natura (Gentile) di quella oggettivitàspuria che è la pura empiricità, che, positiva anch'essaper Kant, deve diventare, per l'idealismo, il puro negarsidell'io.

61

Page 62: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

13. Il processo di negazione visto nella deduzio-ne dell'oggettività.

Io credo che questo necessario nesso tra la negazionedell'oggettività come forma della conoscenza e la nega-zione della oggettività come cosa in sè si può vederecon chiarezza in uno schema che si faccia ravvicinandole concezioni kantiane dell'oggettività con le deduzioniche Kant stesso di questa ci dà.

In Kant infatti, si può, riguardo alla oggettività, di-stinguere il valore di essa dalla sua deduzione. I dueconcetti sono certo connessi e, sotto certo aspetto, iden-tificabili, ma possono anche e devono distinguersi.

Diciamo, per semplificare, a il valore e b la deduzio-ne dell'oggetto. Il valore dell'oggetto in Kant è duplice:a1, metafisico, (l'oggetto come cosa in sè; noumeno) a2

logico (oggettività come forma del conoscere; categoria;concetto puro).

E duplice è anche la deduzione: b1 dalla coscienza ingenerale (dalla unità sintetica appercettiva); b2 dal giu-dizio (dai diversi modi del giudizio dati dalla logica for-male).

Ora per l'intimo pensiero kantiano, o, meglio, per lalogica intima della filosofia di Kant, il valore metafisico(a1) dell'oggettività cioè l'oggetto come essere in sè, ilnoumeno, è quello che è dedotto dall'unità sintetica ap-percettiva, giacchè la vera unità sintetica appercettivanon si ha con l'intelletto ma proprio con la ragione chesola è incondizionata, così come incondizionato deve

62

13. Il processo di negazione visto nella deduzio-ne dell'oggettività.

Io credo che questo necessario nesso tra la negazionedell'oggettività come forma della conoscenza e la nega-zione della oggettività come cosa in sè si può vederecon chiarezza in uno schema che si faccia ravvicinandole concezioni kantiane dell'oggettività con le deduzioniche Kant stesso di questa ci dà.

In Kant infatti, si può, riguardo alla oggettività, di-stinguere il valore di essa dalla sua deduzione. I dueconcetti sono certo connessi e, sotto certo aspetto, iden-tificabili, ma possono anche e devono distinguersi.

Diciamo, per semplificare, a il valore e b la deduzio-ne dell'oggetto. Il valore dell'oggetto in Kant è duplice:a1, metafisico, (l'oggetto come cosa in sè; noumeno) a2

logico (oggettività come forma del conoscere; categoria;concetto puro).

E duplice è anche la deduzione: b1 dalla coscienza ingenerale (dalla unità sintetica appercettiva); b2 dal giu-dizio (dai diversi modi del giudizio dati dalla logica for-male).

Ora per l'intimo pensiero kantiano, o, meglio, per lalogica intima della filosofia di Kant, il valore metafisico(a1) dell'oggettività cioè l'oggetto come essere in sè, ilnoumeno, è quello che è dedotto dall'unità sintetica ap-percettiva, giacchè la vera unità sintetica appercettivanon si ha con l'intelletto ma proprio con la ragione chesola è incondizionata, così come incondizionato deve

62

Page 63: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

essere l'essere in sè. Se è vero che l'essere in sè deve es-sere incondizionato, se nell'umano pensare l'incondizio-nato si ha nell'unità sintetica appercettiva come ragione,cioè coscienza incondizionata, è chiaro che la deduzionedell'oggetto dalla coscienza in generale vale proprio perl'oggetto metafisico. La funzione se non unica certo fon-damentale della ragione sta per Kant proprio nell'avver-tirci essa, ed essa sola, delle cose in sè, ed evitare così loscambio del fenomeno con l'essere in sè. Senza questaesigenza dell'incondizionato che è la ragione nell'umanopensare, l'intelletto umano sarebbe secondo Kant con-dannato ad aggirarsi tra le ombre scambiandole per con-crete entità.

Il valore logico (a2), dell'oggetto invece, cioè quel va-lore per cui l'oggetto diventa forma, è quello che è de-dotto dai modi del giudizio. Le forme del conosceresono infatti i concetti intellettivi puri, che sono propriol'elevazione a concetto dei diversi modi del giudizio. Ilconoscere umano è giudicare, ci fa osservare Kant, eperciò la sua oggettività è soltanto forma. Tale il giudi-zio in cui la conoscenza si risolve, tale la forma chel'oggetto assume in quanto conosciuto.

Riepilogando dunque, per il pensiero kantiano abbia-mo a1: b1: : a2 : b2; cioè: l'oggetto come cosa in sè (valo-re metafisico) è dedotto dalla coscienza in generale,così come l'oggetto come forma del conoscere (valorelogico) è dedotto dal giudizio.

Ora, dopo Kant, che cosa avviene del valoredell'oggetto (a)? Si accettano i due valori posti da Kant?

63

essere l'essere in sè. Se è vero che l'essere in sè deve es-sere incondizionato, se nell'umano pensare l'incondizio-nato si ha nell'unità sintetica appercettiva come ragione,cioè coscienza incondizionata, è chiaro che la deduzionedell'oggetto dalla coscienza in generale vale proprio perl'oggetto metafisico. La funzione se non unica certo fon-damentale della ragione sta per Kant proprio nell'avver-tirci essa, ed essa sola, delle cose in sè, ed evitare così loscambio del fenomeno con l'essere in sè. Senza questaesigenza dell'incondizionato che è la ragione nell'umanopensare, l'intelletto umano sarebbe secondo Kant con-dannato ad aggirarsi tra le ombre scambiandole per con-crete entità.

Il valore logico (a2), dell'oggetto invece, cioè quel va-lore per cui l'oggetto diventa forma, è quello che è de-dotto dai modi del giudizio. Le forme del conosceresono infatti i concetti intellettivi puri, che sono propriol'elevazione a concetto dei diversi modi del giudizio. Ilconoscere umano è giudicare, ci fa osservare Kant, eperciò la sua oggettività è soltanto forma. Tale il giudi-zio in cui la conoscenza si risolve, tale la forma chel'oggetto assume in quanto conosciuto.

Riepilogando dunque, per il pensiero kantiano abbia-mo a1: b1: : a2 : b2; cioè: l'oggetto come cosa in sè (valo-re metafisico) è dedotto dalla coscienza in generale,così come l'oggetto come forma del conoscere (valorelogico) è dedotto dal giudizio.

Ora, dopo Kant, che cosa avviene del valoredell'oggetto (a)? Si accettano i due valori posti da Kant?

63

Page 64: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Si sa che no. Siccome infatti all'essere in sè si dà il si-gnificato della cosa in sè naturalistica, così si finisce colmostrare che l'essere in sè kantiano è pura negazione.L'oggetto dunque nel suo valore metafisico è negato.L'oggettività in questo senso è ridotta a negazione (Fich-te).

Rimane così sola l'oggettività logica cioè la forma delconoscere; a si riduce soltanto ad a2. Questo processo èchiaro in Fichte, nel quale la cosa in sè è dichiarata nonio, ma a fondamento dell'agire dell'io quasi legge dellasua libertà troviamo quelle azioni necessarie a cui sonoridotte le categorie kantiane. Ed è visibile anche inSchelling ed Hegel, in entrambi i quali le categorie con-tinuano ad avere un valore positivo, mentre l'oggettivitàdella cosa in sè è definitivamente ridotta a pura negazio-ne di coscienza, nonostante l'affermata e attuata possibi-lità di una filosofia della natura nei loro sistemi.

Riguardo poi alla deduzione dell'oggetto (b), a co-minciare già da Reinhold, non si accetta più la deduzio-ne dai giudizi, ma si dice che la vera deduzione è quelladalla unità sintetica appercettiva, dalla coscienza in ge-nerale. Cioè si nega b2 e si accetta b1; b si riduce soltan-to a b1. Si ha quindi: a = a2, b = b1; cioè: il valoredell'oggettività è soltanto formale, logico; ma la dedu-zione dell'oggetto non è quella logica ma quella metafi-sica dalla coscienza in generale.

Ora, ravvicinando le due posizioni, la kantiana e lapost-kantiana; da una parte essendo per Kant l'oggetto,nel suo valore metafisico, dedotto dalla coscienza in ge-

64

Si sa che no. Siccome infatti all'essere in sè si dà il si-gnificato della cosa in sè naturalistica, così si finisce colmostrare che l'essere in sè kantiano è pura negazione.L'oggetto dunque nel suo valore metafisico è negato.L'oggettività in questo senso è ridotta a negazione (Fich-te).

Rimane così sola l'oggettività logica cioè la forma delconoscere; a si riduce soltanto ad a2. Questo processo èchiaro in Fichte, nel quale la cosa in sè è dichiarata nonio, ma a fondamento dell'agire dell'io quasi legge dellasua libertà troviamo quelle azioni necessarie a cui sonoridotte le categorie kantiane. Ed è visibile anche inSchelling ed Hegel, in entrambi i quali le categorie con-tinuano ad avere un valore positivo, mentre l'oggettivitàdella cosa in sè è definitivamente ridotta a pura negazio-ne di coscienza, nonostante l'affermata e attuata possibi-lità di una filosofia della natura nei loro sistemi.

Riguardo poi alla deduzione dell'oggetto (b), a co-minciare già da Reinhold, non si accetta più la deduzio-ne dai giudizi, ma si dice che la vera deduzione è quelladalla unità sintetica appercettiva, dalla coscienza in ge-nerale. Cioè si nega b2 e si accetta b1; b si riduce soltan-to a b1. Si ha quindi: a = a2, b = b1; cioè: il valoredell'oggettività è soltanto formale, logico; ma la dedu-zione dell'oggetto non è quella logica ma quella metafi-sica dalla coscienza in generale.

Ora, ravvicinando le due posizioni, la kantiana e lapost-kantiana; da una parte essendo per Kant l'oggetto,nel suo valore metafisico, dedotto dalla coscienza in ge-

64

Page 65: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

nerale come ragione incondizionata, e l'oggetto nel valo-re logico dedotto dai giudizi intellettivi, l'idealismo postkantiano quando nega l'oggetto nel valore metafisicodeve necessariamente negare, per rimanere con Kant,anche la deduzione dalla coscienza in generale.

Quando poi d'altra parte nega la deduzione dai giudi-zi, deve anche negare l'oggetto nel suo valore formale,giacchè solo da questi, posti come distinti dell'esistere, èdeducibile una oggettività formale.

Devesi quindi finire col negare anche la deduzionedalla coscienza in generale (b1) insieme con quella daigiudizi intellettivi (b2); e reciprocamente negare anche ilvalore formale (a2) insieme col valore metafisico (a1).Così la riduzione a = a2, b = b1, doveva chiarirsi tuttacome negativa; tutta l'oggettività doveva esser ridotta anegazione e nel suo valore e nella sua deduzione. Lasoppressione del valore metafisico dell'oggetto dovevatrarre con sè la deduzione positiva di questo dalla co-scienza in universale. E viceversa la soppressione delladeduzione dell'oggetto formale dai giudizi logici dovevatrarre via con sè la stessa oggettività formale positiva.Doveva scomparire l'essere, scomparire le categorie; do-vevasi avere la cancellazione di tutta l'oggettività: la ri-duzione di essa, tutta, a negatività.

Dalla coscienza in generale Kant non deduceva unaoggettività soltanto formale: deduceva la cosa in sè, che,anche come noumeno, non è affatto pura forma. Diventatale, solo quando per rendersi utile nella conoscenza,non potendo avere un ufficio costitutivo, se ne assume

65

nerale come ragione incondizionata, e l'oggetto nel valo-re logico dedotto dai giudizi intellettivi, l'idealismo postkantiano quando nega l'oggetto nel valore metafisicodeve necessariamente negare, per rimanere con Kant,anche la deduzione dalla coscienza in generale.

Quando poi d'altra parte nega la deduzione dai giudi-zi, deve anche negare l'oggetto nel suo valore formale,giacchè solo da questi, posti come distinti dell'esistere, èdeducibile una oggettività formale.

Devesi quindi finire col negare anche la deduzionedalla coscienza in generale (b1) insieme con quella daigiudizi intellettivi (b2); e reciprocamente negare anche ilvalore formale (a2) insieme col valore metafisico (a1).Così la riduzione a = a2, b = b1, doveva chiarirsi tuttacome negativa; tutta l'oggettività doveva esser ridotta anegazione e nel suo valore e nella sua deduzione. Lasoppressione del valore metafisico dell'oggetto dovevatrarre con sè la deduzione positiva di questo dalla co-scienza in universale. E viceversa la soppressione delladeduzione dell'oggetto formale dai giudizi logici dovevatrarre via con sè la stessa oggettività formale positiva.Doveva scomparire l'essere, scomparire le categorie; do-vevasi avere la cancellazione di tutta l'oggettività: la ri-duzione di essa, tutta, a negatività.

Dalla coscienza in generale Kant non deduceva unaoggettività soltanto formale: deduceva la cosa in sè, che,anche come noumeno, non è affatto pura forma. Diventatale, solo quando per rendersi utile nella conoscenza,non potendo avere un ufficio costitutivo, se ne assume

65

Page 66: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

uno regolativo. Ma non è questo l'essenziale valore delnoumeno nel suo esser dedotto da quella suprema neces-sità della coscienza che è la ragione: il suo valore èquello che abbiamo detto metafisico: l'affermazionepura e semplice dell'oggetto come essere in sè. Dedurrel'oggettività, come pura forma, dalla ragione dovevaquindi portare con necessità a negare la pura formalitàdel dedotto, a far sì che anche il contenuto fosse essen-ziale a questo dedotto, a riconquistare quell'essere in sènel quale non è distinguibile forma da contenuto.

Ma proprio questo essere in sè era stato negato sulfondamento di quei concetti realistici sopra esaminati.

Quindi da una parte l'annullamento della oggettivitàcome schietta necessitante forma, la quale presupponeun contenuto al quale dare se stessa come forma, edall'altra la riduzione della forma come tale alla stessacoscienza in generale, la forma della sintesi a priori ele-vata ad autosintesi, la categoria risoluta sic et simplici-ter nella stessa coscienza pensante.

«La categoria auto-sintesi, atto immanente dell'Io, èl'unica categoria onde si pensi a parte obiecti e a partesubiecti tutto il pensabile... Checchè si pensi, quello chesi pensa è l'Io. Comunque si pensa, il modo in cui sipensa, è il modo in cui l'Io si pensa e si reclina nel suooggetto... Il pensiero pensante, con cui abbiamo identifi-cato la categoria come atto categorizzante del pensieronella sua esperienza, pensando se stesso si differenziaseco stesso come Io = non-Io. Il non-Io è (nella suaidentità immortale con l'Io) ogni pensiero: sostanza, ac-

66

uno regolativo. Ma non è questo l'essenziale valore delnoumeno nel suo esser dedotto da quella suprema neces-sità della coscienza che è la ragione: il suo valore èquello che abbiamo detto metafisico: l'affermazionepura e semplice dell'oggetto come essere in sè. Dedurrel'oggettività, come pura forma, dalla ragione dovevaquindi portare con necessità a negare la pura formalitàdel dedotto, a far sì che anche il contenuto fosse essen-ziale a questo dedotto, a riconquistare quell'essere in sènel quale non è distinguibile forma da contenuto.

Ma proprio questo essere in sè era stato negato sulfondamento di quei concetti realistici sopra esaminati.

Quindi da una parte l'annullamento della oggettivitàcome schietta necessitante forma, la quale presupponeun contenuto al quale dare se stessa come forma, edall'altra la riduzione della forma come tale alla stessacoscienza in generale, la forma della sintesi a priori ele-vata ad autosintesi, la categoria risoluta sic et simplici-ter nella stessa coscienza pensante.

«La categoria auto-sintesi, atto immanente dell'Io, èl'unica categoria onde si pensi a parte obiecti e a partesubiecti tutto il pensabile... Checchè si pensi, quello chesi pensa è l'Io. Comunque si pensa, il modo in cui sipensa, è il modo in cui l'Io si pensa e si reclina nel suooggetto... Il pensiero pensante, con cui abbiamo identifi-cato la categoria come atto categorizzante del pensieronella sua esperienza, pensando se stesso si differenziaseco stesso come Io = non-Io. Il non-Io è (nella suaidentità immortale con l'Io) ogni pensiero: sostanza, ac-

66

Page 67: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

cidente (luogo tempo, azione, passione, ecc.), causa, ne-cessità, contingenza, essere, non essere, divenire, esiste-re, fenomeno e così via» (GENTILE, Logica, Bari, 19232,p. 118-9, 122).

Ecco, come dovevasi, anche la categoria-funzione diKant, conservata dallo stesso Hegel, ridotta, con rigorelogico, a negazione: il valore schiettamente oggettivodella categoria è ridotto a pura e semplice negazione.L'unica categoria ammessa non è schietta oggettività,perchè l'oggettività è negazione dell'Io è non-Io; ma è lastessa sintesi come autosintesi che è poi l'autonegarsi. Insostanza, una volta ridotta la cosa in sè oggettiva a ne-gazione, non rimane ragione per cui dal contenuto empi-rico della coscienza debbano essere eccettuati alcuniconcetti che siano, a differenza di tutti quanti gli altri,positivamente universali e necessari.

Il valore fondamentale della speculazione del Gentilesta proprio in questa rigorosa esplicazione della logicatrascendentale dell'idealismo postkantiano. Logica tra-scendentale però, che, nel suo dialettismo, si fonda tuttasu quei concetti realistici sopraesposti. Tutta; e quindianche in questa sua estrema negazione della oggettivitàanche come forma.

Continuare ad ammettere come positiva la forma og-gettiva, quando la fondamentale oggettività, quelladell'essere in sè, era stata ridotta a negazione, era l'ulti-ma incongruenza, dalla quale Gentile ha certo il meritodi aver liberato l'idealismo trascendentale. In questo ri-durre la logica dell'idealismo post-kantiano alla massi-

67

cidente (luogo tempo, azione, passione, ecc.), causa, ne-cessità, contingenza, essere, non essere, divenire, esiste-re, fenomeno e così via» (GENTILE, Logica, Bari, 19232,p. 118-9, 122).

Ecco, come dovevasi, anche la categoria-funzione diKant, conservata dallo stesso Hegel, ridotta, con rigorelogico, a negazione: il valore schiettamente oggettivodella categoria è ridotto a pura e semplice negazione.L'unica categoria ammessa non è schietta oggettività,perchè l'oggettività è negazione dell'Io è non-Io; ma è lastessa sintesi come autosintesi che è poi l'autonegarsi. Insostanza, una volta ridotta la cosa in sè oggettiva a ne-gazione, non rimane ragione per cui dal contenuto empi-rico della coscienza debbano essere eccettuati alcuniconcetti che siano, a differenza di tutti quanti gli altri,positivamente universali e necessari.

Il valore fondamentale della speculazione del Gentilesta proprio in questa rigorosa esplicazione della logicatrascendentale dell'idealismo postkantiano. Logica tra-scendentale però, che, nel suo dialettismo, si fonda tuttasu quei concetti realistici sopraesposti. Tutta; e quindianche in questa sua estrema negazione della oggettivitàanche come forma.

Continuare ad ammettere come positiva la forma og-gettiva, quando la fondamentale oggettività, quelladell'essere in sè, era stata ridotta a negazione, era l'ulti-ma incongruenza, dalla quale Gentile ha certo il meritodi aver liberato l'idealismo trascendentale. In questo ri-durre la logica dell'idealismo post-kantiano alla massi-

67

Page 68: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ma coerenza, l'attualismo ha perfettamente ragione. Unhegelismo che voglia salvare una sintesi dei distinti ac-canto alla sintesi degli opposti, pur conservando il con-cetto fondamentale dell'idealismo trascendentale post-kantiano, non vede la logica intima della dottrina cheaccetta.

Ma il principio di tutto questo processo di negazionista sempre in quella prima negazione causata dal con-cetto realistico dell'oggetto. Aver dimostrata questa cau-sazione è quindi aver annullato tutto questo processo,aver rimesso in discussione tutto il dialettismo contrad-dittorio: e ciò proprio in nome dello stesso idealismo.

Bisogna risalire a una nuova interpretazione di Kant.

14. La scoperta kantiana dell'Universale come Essere oggettivo in sè.

Chi abbia conoscenza del processo di sviluppodell'idealismo postkantiano, si renderà conto, fissandolenelle concrete dottrine storiche, delle posizioni che noiabbiamo determinate come essenziali al processo di ri-duzione dell'oggettività a negatività.

Giacchè è appunto questo uno dei fondamentali senon il fondamentale processo ideale della speculazioneche nasce da Kant: si conserva con Kant il concetto rea-listico dell'oggetto come qualcosa che non è soggetto,perchè oggetto; e, nell'entusiasmo della scoperta che purl'oggettività vera che ci risulta è soltanto quella che ci è

68

ma coerenza, l'attualismo ha perfettamente ragione. Unhegelismo che voglia salvare una sintesi dei distinti ac-canto alla sintesi degli opposti, pur conservando il con-cetto fondamentale dell'idealismo trascendentale post-kantiano, non vede la logica intima della dottrina cheaccetta.

Ma il principio di tutto questo processo di negazionista sempre in quella prima negazione causata dal con-cetto realistico dell'oggetto. Aver dimostrata questa cau-sazione è quindi aver annullato tutto questo processo,aver rimesso in discussione tutto il dialettismo contrad-dittorio: e ciò proprio in nome dello stesso idealismo.

Bisogna risalire a una nuova interpretazione di Kant.

14. La scoperta kantiana dell'Universale come Essere oggettivo in sè.

Chi abbia conoscenza del processo di sviluppodell'idealismo postkantiano, si renderà conto, fissandolenelle concrete dottrine storiche, delle posizioni che noiabbiamo determinate come essenziali al processo di ri-duzione dell'oggettività a negatività.

Giacchè è appunto questo uno dei fondamentali senon il fondamentale processo ideale della speculazioneche nasce da Kant: si conserva con Kant il concetto rea-listico dell'oggetto come qualcosa che non è soggetto,perchè oggetto; e, nell'entusiasmo della scoperta che purl'oggettività vera che ci risulta è soltanto quella che ci è

68

Page 69: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

data nel soggetto, si conclude, tenendo conto di quel pri-mitivo concetto dell'oggetto, che non v'ha che il Sogget-to: il Soggetto è l'Assoluto.

Si ebbe quindi, inconsapevole o quasi, la dimostrazio-ne di questo sorite: l'Universale a priori che Kant hascoperto è la forma della conoscenza, la forma della co-noscenza è la stessa conoscenza, la conoscenza è lo stes-so soggetto, dunque l'Universale è il Soggetto, e così re-ciprocamente il Soggetto è l'Universale.

L'oggetto, carattere del quale pur era l'universalità, èscomparso, e, lungi dal conservare, come tale, questauniversalità e necessità che lo costituiscono, diventa ilprodotto del soggetto. Se conoscente è il Soggetto, el'oggettività è la forma della conoscenza, è chiaro chel'oggettività sarà data dal Soggetto. Fu Reinhold primoche rese questo cattivissimo servizio al pensiero kantia-no. Non vide, e, trascinato da lui, non seppe più vedereneppure lo stesso Kant, che l'universalità della categoriae quella somma del noumeno erano necessitanti per ilsoggetto come tale e non potevano quindi esserne il pro-dotto.

Ridotto l'oggetto a puro prodotto del Soggetto, non sipotrà anche in questo prodotto non producente non rico-noscere, più o meno alla lunga, soltanto il non produ-cente; non si potrà non ridurre a negazione anchel'oggetto-forma.

Per combattere l'oggettività in sè della Natura controlo Spirito, si è esclusa anche dallo spirito l'oggettività, enon si è visto che l'oggettività è proprio una esigenza

69

data nel soggetto, si conclude, tenendo conto di quel pri-mitivo concetto dell'oggetto, che non v'ha che il Sogget-to: il Soggetto è l'Assoluto.

Si ebbe quindi, inconsapevole o quasi, la dimostrazio-ne di questo sorite: l'Universale a priori che Kant hascoperto è la forma della conoscenza, la forma della co-noscenza è la stessa conoscenza, la conoscenza è lo stes-so soggetto, dunque l'Universale è il Soggetto, e così re-ciprocamente il Soggetto è l'Universale.

L'oggetto, carattere del quale pur era l'universalità, èscomparso, e, lungi dal conservare, come tale, questauniversalità e necessità che lo costituiscono, diventa ilprodotto del soggetto. Se conoscente è il Soggetto, el'oggettività è la forma della conoscenza, è chiaro chel'oggettività sarà data dal Soggetto. Fu Reinhold primoche rese questo cattivissimo servizio al pensiero kantia-no. Non vide, e, trascinato da lui, non seppe più vedereneppure lo stesso Kant, che l'universalità della categoriae quella somma del noumeno erano necessitanti per ilsoggetto come tale e non potevano quindi esserne il pro-dotto.

Ridotto l'oggetto a puro prodotto del Soggetto, non sipotrà anche in questo prodotto non producente non rico-noscere, più o meno alla lunga, soltanto il non produ-cente; non si potrà non ridurre a negazione anchel'oggetto-forma.

Per combattere l'oggettività in sè della Natura controlo Spirito, si è esclusa anche dallo spirito l'oggettività, enon si è visto che l'oggettività è proprio una esigenza

69

Page 70: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

positiva dello stesso Spirito, senza la quale la spiritualitàstessa, come senz'altro esplicitamente fu detto, si riducea negatività.

La scoperta di Kant invece riguardo all'universale fuanzitutto la riaffermazione sicura di esso di fronte allaesplicita e decisa negazione berkeleyana ed alle conse-guenze scettiche humiane, e in secondo luogo – ed èquello che qui sommamente ci importa di notare – ful'affermazione dell'universale proprio come tale nellacosa in sè, cioè nell'assoluto oggetto. Kant non ha sco-perto l'universalità formale. Questa era già scoperta daAristotele. Kant non ha soltanto scavato sotto la scoriascolastica la sostanza aristotelica della forma. Sarebbestato un chiarimento certo notevole, ma questo, sebbenecon concetti diversi, era stato già fatto da Cartesio.L'idea innata di Cartesio non è una resurrezione pura esemplice della platonica prearistotelica idea. È qualcosadi molto più: è il ringiovanimento della idea platonicaattraverso la universalità formale aristotelica. Senzaquesto valore dell'idea cartesiana, non significherebberonulla da una parte l'essenziale imprescindibile apparte-nenza dell'idea al cogito, e dall'altra l'altrettanto essen-ziale ed imprescindibile appartenenza dell'essere all'idea(argomento ontologico). E sappiamo invece, o, se non losappiamo perchè traviati dall'unilaterale interpretazionedel cartesianesimo, è ora che si cominci a saperlo, sap-piamo che queste due caratteristiche dell'idea sono ri-chieste dallo stesso cogito cartesiano.

70

positiva dello stesso Spirito, senza la quale la spiritualitàstessa, come senz'altro esplicitamente fu detto, si riducea negatività.

La scoperta di Kant invece riguardo all'universale fuanzitutto la riaffermazione sicura di esso di fronte allaesplicita e decisa negazione berkeleyana ed alle conse-guenze scettiche humiane, e in secondo luogo – ed èquello che qui sommamente ci importa di notare – ful'affermazione dell'universale proprio come tale nellacosa in sè, cioè nell'assoluto oggetto. Kant non ha sco-perto l'universalità formale. Questa era già scoperta daAristotele. Kant non ha soltanto scavato sotto la scoriascolastica la sostanza aristotelica della forma. Sarebbestato un chiarimento certo notevole, ma questo, sebbenecon concetti diversi, era stato già fatto da Cartesio.L'idea innata di Cartesio non è una resurrezione pura esemplice della platonica prearistotelica idea. È qualcosadi molto più: è il ringiovanimento della idea platonicaattraverso la universalità formale aristotelica. Senzaquesto valore dell'idea cartesiana, non significherebberonulla da una parte l'essenziale imprescindibile apparte-nenza dell'idea al cogito, e dall'altra l'altrettanto essen-ziale ed imprescindibile appartenenza dell'essere all'idea(argomento ontologico). E sappiamo invece, o, se non losappiamo perchè traviati dall'unilaterale interpretazionedel cartesianesimo, è ora che si cominci a saperlo, sap-piamo che queste due caratteristiche dell'idea sono ri-chieste dallo stesso cogito cartesiano.

70

Page 71: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

L'universale kantiano non si ferma solo a rendereesplicita la scoperta cartesiana. Fa di più: mostra chel'universalità che si riteneva costitutiva della oggettivitàsoltanto formale cioè dell'esse in mente scolastico, è in-vece anche il costitutivo della stessa cosa in sè. Se nonfosse costitutivo della cosa in sè, non potrebbe esserecostitutivo della oggettività formale della conoscenza.Questo il vero valore della dottrina kantiana del noume-no: non dunque l'inconoscibilità della cosa in sè, ma ilriconoscimento della cosa in sè nel noumeno come tale.E quando da questo angolo visuale si guardi il pensierokantiano, s'intendono tante cose, a cominciare da quellafondamentalissima della subordinazione dell'intellettoalla ragione, subordinazione sulla quale a buon dirittorichiama l'attenzione lo Iacobi. Subordinazione invece,che, per il passo falso fatto compiere al kantismo dalReinhold, fu, sì, continuata ad affermare e sviluppata,ma direi sviluppata intellettualisticamente, in quanto chefu tolto alla ragione il suo positivo punto di appoggio, ilnoumeno: le fu tolto, quando, separata la cosa in sè dalnoumeno, quella diventò una pura e semplice negazionee questo quindi si vuotò, e divenne perciò puro prodottonon più necessitante e quindi non producente, in veritànon essente: pura e semplice negazione anch'esso.

Quando Kant sia visto e sviluppato così e non nellamorta lettera dogmatica, che spesso, convengo, viene adannebbiare ed ostacolare tale visione, quando Kant siacosì visto, potremo con lui, invece che chiuderci nellaroccaforte della speculazione come contrapposto (e

71

L'universale kantiano non si ferma solo a rendereesplicita la scoperta cartesiana. Fa di più: mostra chel'universalità che si riteneva costitutiva della oggettivitàsoltanto formale cioè dell'esse in mente scolastico, è in-vece anche il costitutivo della stessa cosa in sè. Se nonfosse costitutivo della cosa in sè, non potrebbe esserecostitutivo della oggettività formale della conoscenza.Questo il vero valore della dottrina kantiana del noume-no: non dunque l'inconoscibilità della cosa in sè, ma ilriconoscimento della cosa in sè nel noumeno come tale.E quando da questo angolo visuale si guardi il pensierokantiano, s'intendono tante cose, a cominciare da quellafondamentalissima della subordinazione dell'intellettoalla ragione, subordinazione sulla quale a buon dirittorichiama l'attenzione lo Iacobi. Subordinazione invece,che, per il passo falso fatto compiere al kantismo dalReinhold, fu, sì, continuata ad affermare e sviluppata,ma direi sviluppata intellettualisticamente, in quanto chefu tolto alla ragione il suo positivo punto di appoggio, ilnoumeno: le fu tolto, quando, separata la cosa in sè dalnoumeno, quella diventò una pura e semplice negazionee questo quindi si vuotò, e divenne perciò puro prodottonon più necessitante e quindi non producente, in veritànon essente: pura e semplice negazione anch'esso.

Quando Kant sia visto e sviluppato così e non nellamorta lettera dogmatica, che spesso, convengo, viene adannebbiare ed ostacolare tale visione, quando Kant siacosì visto, potremo con lui, invece che chiuderci nellaroccaforte della speculazione come contrapposto (e

71

Page 72: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

quindi dominante quasi dal di fuori) alla ragione dellacomune coscienza, potremo con lui avvicinarci a questa,e trovare nella Critica, riguardo all'oggettività,nient'altro che l'approfondimento di quel che tale co-scienza comune ci dice e cioè (§ 11) che l'oggetto èl'essere presente nella coscienza. Presenza nella coscien-za, che la Critica di Kant ci fa capire che non può volerdire esteriorità al soggetto che ha coscienza, e una Criti-ca più approfondita e più ampia della coscienza stessacomincia a mostrare che non può neppure voler dire co-struzione che il soggetto faccia, puro prodotto di questo.

L'una e l'altra concezione portano entrambe alla og-gettività come negazione, e cioè alla presenza come as-senza; alla contraddizione.

72

quindi dominante quasi dal di fuori) alla ragione dellacomune coscienza, potremo con lui avvicinarci a questa,e trovare nella Critica, riguardo all'oggettività,nient'altro che l'approfondimento di quel che tale co-scienza comune ci dice e cioè (§ 11) che l'oggetto èl'essere presente nella coscienza. Presenza nella coscien-za, che la Critica di Kant ci fa capire che non può volerdire esteriorità al soggetto che ha coscienza, e una Criti-ca più approfondita e più ampia della coscienza stessacomincia a mostrare che non può neppure voler dire co-struzione che il soggetto faccia, puro prodotto di questo.

L'una e l'altra concezione portano entrambe alla og-gettività come negazione, e cioè alla presenza come as-senza; alla contraddizione.

72

Page 73: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO III.L'ALTERITÀ COME SOGGETTIVITÀ

15. L'alterità dell'oggetto come genesi del reali-smo.

Lo scambio del concetto di altro con quello di oggettoè l'errore fondamentale, che ha generato il realismo, eche dal realismo è perpetuato: credendosi l'oggettol'altro del soggetto, non lo si è più cercato nel soggettostesso.

La coscienza, nella sua fondamentale e semplicissimaessenza di consapevolezza che il soggetto ha dell'ogget-to in sè, è stata confusa col rapporto di reciprocità, chepresuppone nella coscienza la detta essenza e per sè in-vece costituisce la relazione dei soggetti tra loro. Rela-zione di soggetti tra loro, che è anche coscienza (cfr.cap. V) solo in quanto presuppone quella essenza.

73

CAPITOLO III.L'ALTERITÀ COME SOGGETTIVITÀ

15. L'alterità dell'oggetto come genesi del reali-smo.

Lo scambio del concetto di altro con quello di oggettoè l'errore fondamentale, che ha generato il realismo, eche dal realismo è perpetuato: credendosi l'oggettol'altro del soggetto, non lo si è più cercato nel soggettostesso.

La coscienza, nella sua fondamentale e semplicissimaessenza di consapevolezza che il soggetto ha dell'ogget-to in sè, è stata confusa col rapporto di reciprocità, chepresuppone nella coscienza la detta essenza e per sè in-vece costituisce la relazione dei soggetti tra loro. Rela-zione di soggetti tra loro, che è anche coscienza (cfr.cap. V) solo in quanto presuppone quella essenza.

73

Page 74: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

E invece per il detto scambio quella semplicissimanatura della coscienza è stata perduta di vista; e dellacoscienza è divenuto costitutivo proprio questo rapportotra soggetti, interpretato come relazione soggetto-ogget-to. L'altro soggetto è stato così scambiato con l'oggetto,con l'essere in sè, e così l'uno e l'altro soggetto cometali, nella loro coscienza, sono rimasti senza oggetto,senza essere in sè.

È naturale quindi che questo si sia ricercato al di là diogni coscienza; è naturale che si sia diventati realisti:l'essere, in quanto è in sè, è non coscienza; la coscienza,in quanto conosce, non è essere in sè. Sembra, questa,ammissione del senso più comune, ed è invece forse lapiù sottile sofisticazione che il pensare filosofico abbiadato alla coscienza volgare.

Quando ci si è poi accorti che un cosiffatto essere insè realistico non c'è, invece di riconoscere l'errore con-cettuale del realismo, si è negato l'oggetto: l'essere in sèè valso come non essere, come puro nulla.

Si è detto: l'essere in sè, oggettivo, non è. E in veritàsi doveva dire: l'essere in sè realistico non è, perchè ilconcetto realistico dell'oggetto è falso.

E si può dire che mercè questo falso concetto lo stes-so realismo aveva già negato l'oggetto, mettendo a suoposto e col suo carattere di essere in sè un altro sogget-to, che questo carattere colla sua reciprocità di soggettonegava.

Si intende quindi, come, quando si è voluto negare ilrealismo, essendosene riconosciuta la falsità, si è negato

74

E invece per il detto scambio quella semplicissimanatura della coscienza è stata perduta di vista; e dellacoscienza è divenuto costitutivo proprio questo rapportotra soggetti, interpretato come relazione soggetto-ogget-to. L'altro soggetto è stato così scambiato con l'oggetto,con l'essere in sè, e così l'uno e l'altro soggetto cometali, nella loro coscienza, sono rimasti senza oggetto,senza essere in sè.

È naturale quindi che questo si sia ricercato al di là diogni coscienza; è naturale che si sia diventati realisti:l'essere, in quanto è in sè, è non coscienza; la coscienza,in quanto conosce, non è essere in sè. Sembra, questa,ammissione del senso più comune, ed è invece forse lapiù sottile sofisticazione che il pensare filosofico abbiadato alla coscienza volgare.

Quando ci si è poi accorti che un cosiffatto essere insè realistico non c'è, invece di riconoscere l'errore con-cettuale del realismo, si è negato l'oggetto: l'essere in sèè valso come non essere, come puro nulla.

Si è detto: l'essere in sè, oggettivo, non è. E in veritàsi doveva dire: l'essere in sè realistico non è, perchè ilconcetto realistico dell'oggetto è falso.

E si può dire che mercè questo falso concetto lo stes-so realismo aveva già negato l'oggetto, mettendo a suoposto e col suo carattere di essere in sè un altro sogget-to, che questo carattere colla sua reciprocità di soggettonegava.

Si intende quindi, come, quando si è voluto negare ilrealismo, essendosene riconosciuta la falsità, si è negato

74

Page 75: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

senz'altro l'oggetto, giacchè non si è giunti a vedere lafalsità del concetto che se ne aveva. Quando si concepi-sce l'oggetto come l'altro del soggetto, da una partel'alterità diventa necessariamente eterogeneità, perchèl'oggetto non è l'altro soggetto, e dall'altra, per questaeterogeneità dell'altro, il soggetto è spogliato dell'esserein sè. E quindi, anche quando, con evidente incoerenza(giacchè l'alterità se si riconosce nell'oggetto non è piùda riconoscersi nel soggetto), si ammetta l'altro sogget-to, non si ritroverà neppure in questo l'essere in sè og-gettivo. L'oggetto è stato puramente e semplicementesoppresso; e il soggetto, non potendo ritrovare l'altro nelsoggetto, non potrà ritrovare come suo altro che il nulla.È il processo della filosofia moderna.

Dalla oggettività quindi, abbiam mostrato, bisognaeliminare il concetto di alterità, e così reciprocamente.

Ma questa eliminazione della alterità dalla oggettivitànon vuol dire assoluta eliminazione dell'alterità, cioè ri-duzione dell'altro come tale a nulla.

O ricadremmo per altra via nell'impossibile annulla-mento dell'oggetto, o cadremmo in un altrettanto impos-sibile annullamento del soggetto. L'oggettivismo puro,in cui ogni dogmatismo conseguente dovrebbe finire(nessun dogmatismo è stato forse conseguente fino a talpunto, proprio perchè nessun dogmatismo ha visto chia-ro il suo presupposto) è altrettanto assurdo quanto ilsoggettivismo assoluto.

L'alterità è nulla, quando la si fa assoluta eterogeneitàdalla coscienza, fuori della quale nulla è; e tale diventa

75

senz'altro l'oggetto, giacchè non si è giunti a vedere lafalsità del concetto che se ne aveva. Quando si concepi-sce l'oggetto come l'altro del soggetto, da una partel'alterità diventa necessariamente eterogeneità, perchèl'oggetto non è l'altro soggetto, e dall'altra, per questaeterogeneità dell'altro, il soggetto è spogliato dell'esserein sè. E quindi, anche quando, con evidente incoerenza(giacchè l'alterità se si riconosce nell'oggetto non è piùda riconoscersi nel soggetto), si ammetta l'altro sogget-to, non si ritroverà neppure in questo l'essere in sè og-gettivo. L'oggetto è stato puramente e semplicementesoppresso; e il soggetto, non potendo ritrovare l'altro nelsoggetto, non potrà ritrovare come suo altro che il nulla.È il processo della filosofia moderna.

Dalla oggettività quindi, abbiam mostrato, bisognaeliminare il concetto di alterità, e così reciprocamente.

Ma questa eliminazione della alterità dalla oggettivitànon vuol dire assoluta eliminazione dell'alterità, cioè ri-duzione dell'altro come tale a nulla.

O ricadremmo per altra via nell'impossibile annulla-mento dell'oggetto, o cadremmo in un altrettanto impos-sibile annullamento del soggetto. L'oggettivismo puro,in cui ogni dogmatismo conseguente dovrebbe finire(nessun dogmatismo è stato forse conseguente fino a talpunto, proprio perchè nessun dogmatismo ha visto chia-ro il suo presupposto) è altrettanto assurdo quanto ilsoggettivismo assoluto.

L'alterità è nulla, quando la si fa assoluta eterogeneitàdalla coscienza, fuori della quale nulla è; e tale diventa

75

Page 76: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

quando la si fa costitutiva della oggettività. Chiamarel'alterità a costituire l'oggettività è annullare oggettivitàed alterità insieme e rendere così impossibile la coscien-za, che in concreto richiede la positività sia dell'oggettoche dell'altro. Nel loro identificarsi oggettività ed alteri-tà si annullano insieme.

Distinta e resa positiva l'una, si rende positiva anchel'altra. La positività dell'oggetto richiede la positività delsoggetto. E questa risulta nell'alterità.

L'altro risulta positivamente.Dimostrare ciò è dimostrare anche come risulti e

quindi in che consista l'alterità.Questo noi tenteremo nel presente capitolo.

16. Critica della riduzione dell'alterità alla og-gettività empirica kantiana.

Abbiam visto che, quando noi spogliamo la nostra co-scienza del pregiudizio realistico (§ 10), quando liberia-mo l'alterità dal valere ciò che non significa, l'alterità ri-sulta moltiplicazione di quella coscienza che il soggettocome io afferma. È cioè quella moltiplicazione della co-scienza, che si ha con l'esigenza di questa di porre lapropria soggettività, di affermarsi come io.

È quindi, l'alterità, molteplicità di soggetti.Ma non devesi confondere, come forse finora faceva-

si, questa molteplicità di soggetti, con quella molteplici-tà con la quale la realtà appare al soggetto, il quale, di

76

quando la si fa costitutiva della oggettività. Chiamarel'alterità a costituire l'oggettività è annullare oggettivitàed alterità insieme e rendere così impossibile la coscien-za, che in concreto richiede la positività sia dell'oggettoche dell'altro. Nel loro identificarsi oggettività ed alteri-tà si annullano insieme.

Distinta e resa positiva l'una, si rende positiva anchel'altra. La positività dell'oggetto richiede la positività delsoggetto. E questa risulta nell'alterità.

L'altro risulta positivamente.Dimostrare ciò è dimostrare anche come risulti e

quindi in che consista l'alterità.Questo noi tenteremo nel presente capitolo.

16. Critica della riduzione dell'alterità alla og-gettività empirica kantiana.

Abbiam visto che, quando noi spogliamo la nostra co-scienza del pregiudizio realistico (§ 10), quando liberia-mo l'alterità dal valere ciò che non significa, l'alterità ri-sulta moltiplicazione di quella coscienza che il soggettocome io afferma. È cioè quella moltiplicazione della co-scienza, che si ha con l'esigenza di questa di porre lapropria soggettività, di affermarsi come io.

È quindi, l'alterità, molteplicità di soggetti.Ma non devesi confondere, come forse finora faceva-

si, questa molteplicità di soggetti, con quella molteplici-tà con la quale la realtà appare al soggetto, il quale, di

76

Page 77: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

quel molteplice costituirebbe, esso, l'unità, prima conl'intuire sensibile, e poi col categorico concepire intellet-tivo. Non devesi cioè intendere come alterità la fenome-nica molteplicità kantiana del mondo esterno sentita.

Senza una presupposta molteplicità dei soggetti è unagratuita ed assurda asserzione la molteplicità dell'appari-re oggettivo empirico. Non ammettere questa moltepli-cità di soggetti, e pur fermarsi ancora, come in generenell'idealismo si fa, a questa ammissione della moltepli-cità oggettiva apparente, è presentarsi ancora, senza ac-corgersene, con un grosso bagaglio realistico menatoavanti alle proprie speculazioni idealistiche e quindigravante queste col loro impaccio.

È avere un bagaglio realistico, perchè, se si esaminal'origine speculativa di tale dottrina, messa in chiaraluce da Kant, la si trova nella associazione delle rappre-sentazioni, rappresentative delle molte cose della espe-rienza; associazione di rappresentazioni, nel cui aggrup-parsi Kant, invece del puro abito determinato dal loroammucchiarsi per una estrinseca contingente contiguità(Hume e associazionisti in genere), scoprì delle leggiche sono le stesse intuizioni pure, gli stessi concetti puriche si trovano nella intimità dello stesso spirito conosci-tivo, e lo costituiscono tale. Lo spirito conoscitivo di-venne quindi lo spontaneo (spontaneo di fronte agli ele-menti raggruppati, cioè non determinato da questi madalle stesse intime leggi della propria conoscenza) lospontaneo raggruppatore delle rappresentazioni, special-mente nella superiore unificazione intellettiva.

77

quel molteplice costituirebbe, esso, l'unità, prima conl'intuire sensibile, e poi col categorico concepire intellet-tivo. Non devesi cioè intendere come alterità la fenome-nica molteplicità kantiana del mondo esterno sentita.

Senza una presupposta molteplicità dei soggetti è unagratuita ed assurda asserzione la molteplicità dell'appari-re oggettivo empirico. Non ammettere questa moltepli-cità di soggetti, e pur fermarsi ancora, come in generenell'idealismo si fa, a questa ammissione della moltepli-cità oggettiva apparente, è presentarsi ancora, senza ac-corgersene, con un grosso bagaglio realistico menatoavanti alle proprie speculazioni idealistiche e quindigravante queste col loro impaccio.

È avere un bagaglio realistico, perchè, se si esaminal'origine speculativa di tale dottrina, messa in chiaraluce da Kant, la si trova nella associazione delle rappre-sentazioni, rappresentative delle molte cose della espe-rienza; associazione di rappresentazioni, nel cui aggrup-parsi Kant, invece del puro abito determinato dal loroammucchiarsi per una estrinseca contingente contiguità(Hume e associazionisti in genere), scoprì delle leggiche sono le stesse intuizioni pure, gli stessi concetti puriche si trovano nella intimità dello stesso spirito conosci-tivo, e lo costituiscono tale. Lo spirito conoscitivo di-venne quindi lo spontaneo (spontaneo di fronte agli ele-menti raggruppati, cioè non determinato da questi madalle stesse intime leggi della propria conoscenza) lospontaneo raggruppatore delle rappresentazioni, special-mente nella superiore unificazione intellettiva.

77

Page 78: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Si tolga anche qui il fondamento realistico, si tolgacioè la rappresentazione che in tanto è tale in quanto c'èil rappresentato, si tolga questa moltitudine di precriticioggetti di rappresentazione, e tutta la costruzione crolla.

Nè vale a rimetterla in piedi, ritenere lo spirito nonsoltanto lo spontaneo raggruppatore, ma anche il creato-re libero delle rappresentazioni stesse, ridurre cioè lerappresentazioni percettive a pure imagini, e lo spiritoall'Unico imaginifico.

Giacchè la distinzione tra rappresentazione ed imagi-ne, tolta per un verso, si ripresenta dall'altro, quando sivuol dar ragione della cosiddetta realtà fantastica o disogno. Porre la distinzione in una maggiore coerenzadelle imagini reali di fronte a quelle sognate (a parte ilfatto che nell'idealismo dialettico proprio l'incoerenzamassima cioè la posizione antitetica sarebbe la realtà)prima di tutto viene così a ristabilire la distinzione traimagini e rappresentazioni, ed in secondo luogo viene,in questa distinzione, proprio a negare quello che risultacarattere distintivo del rappresentare di fronte all'imagi-nare: la conoscenza da altro, la quale per questa sua ori-gine porta sempre un che d'incoerente (superabile quan-to si voglia) nella coscienza del soggetto: è una imposi-zione.

Il problema della rappresentazione nella sua originepercettiva è tutt'altro che risoluto, quando se ne affermal'empiricità e quindi la non validità spirituale.

Quella empiricità, perchè come tale ci sia, importaquel presupposto rappresentativo, la genesi realistica del

78

Si tolga anche qui il fondamento realistico, si tolgacioè la rappresentazione che in tanto è tale in quanto c'èil rappresentato, si tolga questa moltitudine di precriticioggetti di rappresentazione, e tutta la costruzione crolla.

Nè vale a rimetterla in piedi, ritenere lo spirito nonsoltanto lo spontaneo raggruppatore, ma anche il creato-re libero delle rappresentazioni stesse, ridurre cioè lerappresentazioni percettive a pure imagini, e lo spiritoall'Unico imaginifico.

Giacchè la distinzione tra rappresentazione ed imagi-ne, tolta per un verso, si ripresenta dall'altro, quando sivuol dar ragione della cosiddetta realtà fantastica o disogno. Porre la distinzione in una maggiore coerenzadelle imagini reali di fronte a quelle sognate (a parte ilfatto che nell'idealismo dialettico proprio l'incoerenzamassima cioè la posizione antitetica sarebbe la realtà)prima di tutto viene così a ristabilire la distinzione traimagini e rappresentazioni, ed in secondo luogo viene,in questa distinzione, proprio a negare quello che risultacarattere distintivo del rappresentare di fronte all'imagi-nare: la conoscenza da altro, la quale per questa sua ori-gine porta sempre un che d'incoerente (superabile quan-to si voglia) nella coscienza del soggetto: è una imposi-zione.

Il problema della rappresentazione nella sua originepercettiva è tutt'altro che risoluto, quando se ne affermal'empiricità e quindi la non validità spirituale.

Quella empiricità, perchè come tale ci sia, importaquel presupposto rappresentativo, la genesi realistica del

78

Page 79: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

quale abbiam sopra mostrata. A spiegarla senza questopresupposto (cfr. cap. V) non ci resta altra via che porrenella stessa coscienza l'esigenza della molteplicità, econcepir questa quindi non come negazione della co-scienza e quindi pura empiricità senza valore, schiettofenomeno senza consistenza, ma come affermazioneanch'essa della coscienza che solo con essa può esserequel che deve. Tolto il numero dalla coscienza, questa siannulla.

Mediante questa molteplicità che possiamo dire tra-scendentale, giacchè ci risulta quando, mediante lo sfor-zo speculativo, scrutiamo il concreto vivere della co-scienza, con questa moltiplicità troviamo la positivitàdell'altro come soggetto, cioè troviamo nella stessa co-scienza come positiva l'alterità.

L'alterità pura non è dunque la kantiana molteplicitàfenomenica del sentito, che appaia, senza essere, al sog-getto conoscente, non è cioè la nullità di coscienza.Kant stesso era ben lontano dal credere e tanto menodall'affermare ciò. E anche la logica intima della suadottrina ciò non richiede. Alterità, nella sua purezza, èinvece proprio la positiva molteplicità dei soggetti, che,come tali, sono proprio altri, ciascuno nella propria reci-proca singolarità.

79

quale abbiam sopra mostrata. A spiegarla senza questopresupposto (cfr. cap. V) non ci resta altra via che porrenella stessa coscienza l'esigenza della molteplicità, econcepir questa quindi non come negazione della co-scienza e quindi pura empiricità senza valore, schiettofenomeno senza consistenza, ma come affermazioneanch'essa della coscienza che solo con essa può esserequel che deve. Tolto il numero dalla coscienza, questa siannulla.

Mediante questa molteplicità che possiamo dire tra-scendentale, giacchè ci risulta quando, mediante lo sfor-zo speculativo, scrutiamo il concreto vivere della co-scienza, con questa moltiplicità troviamo la positivitàdell'altro come soggetto, cioè troviamo nella stessa co-scienza come positiva l'alterità.

L'alterità pura non è dunque la kantiana molteplicitàfenomenica del sentito, che appaia, senza essere, al sog-getto conoscente, non è cioè la nullità di coscienza.Kant stesso era ben lontano dal credere e tanto menodall'affermare ciò. E anche la logica intima della suadottrina ciò non richiede. Alterità, nella sua purezza, èinvece proprio la positiva molteplicità dei soggetti, che,come tali, sono proprio altri, ciascuno nella propria reci-proca singolarità.

79

Page 80: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

17. Critica della riduzione dell'alterità alla sog-gettività empirica.

La fenomenica oggettività empirica kantiana, adun-que, se non vuole presupporre, per essere ammessacome tale, un grossolano atomismo e pluralismo realisti-co, deve invece presupporre, come positiva esigenzadella stessa coscienza, l'alterità come soggettività.

Si dica altrettanto della cosiddetta soggettività empiri-ca, che l'idealismo post-kantiano fa punto di leva per sa-lire all'empireo dell'unico soggetto assoluto.

In Kant la separazione tra oggetti empirici e soggettiempirici, si può non approvare, ma si capisce. Posta, edè per Kant fondamentale, la distinzione tra senso internoe senso esterno, gli oggetti empirici saranno la fenome-nica oggettività di questo, i soggetti empirici saranno lafenomenica soggettività – o, se si vuole, anche oggetti-vità – di quello.

La separazione non si capisce più, quando, come si èsubito cominciato a fare con l'idealismo post-kantiano,quella distinzione del senso è stata senz'altro soppressa.Sono i soggetti empirici lo stesso che gli oggetti empiri-ci, o no? Se no, quella distinzione, volere o non, si ripri-stina e si scuote tutto il processo ideale dell'idealismopost-kantiano, sia col ridar valore al senso come potenzaconoscitiva distinta e diversa dall'intelletto razionale, siacol porre in esso la distinzione detta dianzi. Se sì, non sicapisce perchè si ricorra tanto spesso a questo concettodi soggetti empirici, presupponendosi la loro diversità

80

17. Critica della riduzione dell'alterità alla sog-gettività empirica.

La fenomenica oggettività empirica kantiana, adun-que, se non vuole presupporre, per essere ammessacome tale, un grossolano atomismo e pluralismo realisti-co, deve invece presupporre, come positiva esigenzadella stessa coscienza, l'alterità come soggettività.

Si dica altrettanto della cosiddetta soggettività empiri-ca, che l'idealismo post-kantiano fa punto di leva per sa-lire all'empireo dell'unico soggetto assoluto.

In Kant la separazione tra oggetti empirici e soggettiempirici, si può non approvare, ma si capisce. Posta, edè per Kant fondamentale, la distinzione tra senso internoe senso esterno, gli oggetti empirici saranno la fenome-nica oggettività di questo, i soggetti empirici saranno lafenomenica soggettività – o, se si vuole, anche oggetti-vità – di quello.

La separazione non si capisce più, quando, come si èsubito cominciato a fare con l'idealismo post-kantiano,quella distinzione del senso è stata senz'altro soppressa.Sono i soggetti empirici lo stesso che gli oggetti empiri-ci, o no? Se no, quella distinzione, volere o non, si ripri-stina e si scuote tutto il processo ideale dell'idealismopost-kantiano, sia col ridar valore al senso come potenzaconoscitiva distinta e diversa dall'intelletto razionale, siacol porre in esso la distinzione detta dianzi. Se sì, non sicapisce perchè si ricorra tanto spesso a questo concettodi soggetti empirici, presupponendosi la loro diversità

80

Page 81: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dagli oggetti empirici, per distinguerli dal soggetto asso-luto.

Si dovrebbe senz'altro parlare sempre e soltanto dioggetti empirici. Giacchè in verità a costituire questoconcetto di soggetti empirici non c'è altro elemento chequello della negazione della vera e propria soggettività.Se soggetto è quel soggetto assoluto ed unico, i soggettiempirici, con la loro molteplicità e relatività, non sonosoggetti: sono puramente e semplicemente quella nega-zione di coscienza a cui è stata ridotta l'oggettività, eche si è detta oggettività empirica.

E quindi in ultima analisi negazione non soltanto dioggettività, ma anche di coscienza.

Questo carattere di negatività di coscienza è semprepiù esplicitamente riconosciuto alla molteplicità, manomano che l'idealismo trascendentale post-kantiano sisviluppa, ed è implicitamente posto in essa quando la sidice empiricità, sia essa empiricità di oggetti o di sog-getti.

È posto quindi anche quando si parla di soggettivitàempirica. Questa, infatti, è soggettività in cui la coscien-za è soltanto negata; a meno che non si voglia sottinten-dere una duplicità di coscienza, una empirica e l'altra as-soluta, e così rinnegare ogni fondamento a tutte le con-quiste dell'idealismo stesso. Questo suo carattere di ne-gatività di coscienza è bene subito mettere in evidenza,e si dovrebbe sempre aver presente quando si parla disoggettività empirica. Giacchè questa soggettività empi-rica, che è un po' il rifugio, con diritto di asilo, dell'idea-

81

dagli oggetti empirici, per distinguerli dal soggetto asso-luto.

Si dovrebbe senz'altro parlare sempre e soltanto dioggetti empirici. Giacchè in verità a costituire questoconcetto di soggetti empirici non c'è altro elemento chequello della negazione della vera e propria soggettività.Se soggetto è quel soggetto assoluto ed unico, i soggettiempirici, con la loro molteplicità e relatività, non sonosoggetti: sono puramente e semplicemente quella nega-zione di coscienza a cui è stata ridotta l'oggettività, eche si è detta oggettività empirica.

E quindi in ultima analisi negazione non soltanto dioggettività, ma anche di coscienza.

Questo carattere di negatività di coscienza è semprepiù esplicitamente riconosciuto alla molteplicità, manomano che l'idealismo trascendentale post-kantiano sisviluppa, ed è implicitamente posto in essa quando la sidice empiricità, sia essa empiricità di oggetti o di sog-getti.

È posto quindi anche quando si parla di soggettivitàempirica. Questa, infatti, è soggettività in cui la coscien-za è soltanto negata; a meno che non si voglia sottinten-dere una duplicità di coscienza, una empirica e l'altra as-soluta, e così rinnegare ogni fondamento a tutte le con-quiste dell'idealismo stesso. Questo suo carattere di ne-gatività di coscienza è bene subito mettere in evidenza,e si dovrebbe sempre aver presente quando si parla disoggettività empirica. Giacchè questa soggettività empi-rica, che è un po' il rifugio, con diritto di asilo, dell'idea-

81

Page 82: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

lismo, non può avere altro significato. E bisogna averlopresente, quando ci si rifugia, giacchè, è evidente, in fi-losofia diritto di asilo non è ammissibile. Noi riponiamoin discussione proprio questa pretesa empiricità, entro laquale quindi è vano rifugiarsi. Abbiamo, io credo, di-strutte le colonne del tempio: si provi a riadergerle e neriparleremo. Siano pur sommi, eccelsi i nomi che i tem-pli portano sul fronte, diritto di asilo in filosofia conce-dere non possono. Là dove si ardisce, perchè si deve,aprire gli occhi di fronte alla sfolgorante luce di Dio,non v'ha luce di persona che possa farceli chiudere ochinare per un cieco assenso.

Questa empiricità, dunque, dogmaticissima proprioperchè cristallizzato criticismo, va rimessa in esame. Vagiustificata nei suoi presupposti: quando questo si tenti,si vedrà dileguare come grossolano realismo questa em-piricità, ovvero la si vedrà richiedere nella coscienzacondizioni che essa appunto vuole escludere da questa:la si vedrà richiedere nella coscienza la molteplicità pro-prio come soggettività pura, e non come negazione diquesta.

Questi soggetti empirici, aggiungendosi dogmatismoa dogmatismo, realismo a realismo, sarebbero da unaparte quelle stesse empiriche rappresentazioni già ele-menti di associazione e che abbiam visto nate dal piùschietto realismo empirico del sentire, e dall'altra sareb-bero parziali unificazioni delle rappresentazioni stesse:parziali unificazioni, che non si sa come nate e in chedistinte da quello stesso pulviscolo insussistente della

82

lismo, non può avere altro significato. E bisogna averlopresente, quando ci si rifugia, giacchè, è evidente, in fi-losofia diritto di asilo non è ammissibile. Noi riponiamoin discussione proprio questa pretesa empiricità, entro laquale quindi è vano rifugiarsi. Abbiamo, io credo, di-strutte le colonne del tempio: si provi a riadergerle e neriparleremo. Siano pur sommi, eccelsi i nomi che i tem-pli portano sul fronte, diritto di asilo in filosofia conce-dere non possono. Là dove si ardisce, perchè si deve,aprire gli occhi di fronte alla sfolgorante luce di Dio,non v'ha luce di persona che possa farceli chiudere ochinare per un cieco assenso.

Questa empiricità, dunque, dogmaticissima proprioperchè cristallizzato criticismo, va rimessa in esame. Vagiustificata nei suoi presupposti: quando questo si tenti,si vedrà dileguare come grossolano realismo questa em-piricità, ovvero la si vedrà richiedere nella coscienzacondizioni che essa appunto vuole escludere da questa:la si vedrà richiedere nella coscienza la molteplicità pro-prio come soggettività pura, e non come negazione diquesta.

Questi soggetti empirici, aggiungendosi dogmatismoa dogmatismo, realismo a realismo, sarebbero da unaparte quelle stesse empiriche rappresentazioni già ele-menti di associazione e che abbiam visto nate dal piùschietto realismo empirico del sentire, e dall'altra sareb-bero parziali unificazioni delle rappresentazioni stesse:parziali unificazioni, che non si sa come nate e in chedistinte da quello stesso pulviscolo insussistente della

82

Page 83: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

coscienza che sarebbero quelle rappresentazioni elemen-tari.

Il concetto di soggettività empirica non può dunquenon cadere nelle stesse difficoltà in cui cade quello dioggettività empirica. E non soddisfa quindi essa l'esi-genza della alterità.

La soggettività empirica non è concepita affatto comesoggettività, ma come oggettività; tranne poi, equivo-cando, a concepire quella soggettività empirica comequalcosa di diverso dalla oggettività. Conseguenza an-che questa della indebita concezione della oggettivitàcome alterità. Questa soggettività empirica è soltanto,nella logica dell'idealismo post-kantiano, come la empi-rica oggettività, negazione di coscienza. Non soddisfaquindi quella esigenza di alterità affermata dalla co-scienza.

Se gli altri, come tali, fossero i soggetti empiricidell'idealismo postkantiano, alterità e negazione sareb-bero la stessa cosa: saremmo ancora, e sempre per lastessa ragione, nell'idealismo dialettico contraddittoriodel Soggetto assoluto. Non faremmo che dire soggettivi-tà empirica quella negazione di coscienza, a cui abbiamridotto l'oggetto. Saremmo sempre nell'altro concepitocome oggetto e quindi ridotto necessariamente, insiemecon questo, a nulla.

L'altro, dunque, mentre da una parte non è l'oggettopuro, il puro essere in sè, dall'altra non è neppure nèl'oggetto fenomenico, nè il soggetto empirico. Tutte

83

coscienza che sarebbero quelle rappresentazioni elemen-tari.

Il concetto di soggettività empirica non può dunquenon cadere nelle stesse difficoltà in cui cade quello dioggettività empirica. E non soddisfa quindi essa l'esi-genza della alterità.

La soggettività empirica non è concepita affatto comesoggettività, ma come oggettività; tranne poi, equivo-cando, a concepire quella soggettività empirica comequalcosa di diverso dalla oggettività. Conseguenza an-che questa della indebita concezione della oggettivitàcome alterità. Questa soggettività empirica è soltanto,nella logica dell'idealismo post-kantiano, come la empi-rica oggettività, negazione di coscienza. Non soddisfaquindi quella esigenza di alterità affermata dalla co-scienza.

Se gli altri, come tali, fossero i soggetti empiricidell'idealismo postkantiano, alterità e negazione sareb-bero la stessa cosa: saremmo ancora, e sempre per lastessa ragione, nell'idealismo dialettico contraddittoriodel Soggetto assoluto. Non faremmo che dire soggettivi-tà empirica quella negazione di coscienza, a cui abbiamridotto l'oggetto. Saremmo sempre nell'altro concepitocome oggetto e quindi ridotto necessariamente, insiemecon questo, a nulla.

L'altro, dunque, mentre da una parte non è l'oggettopuro, il puro essere in sè, dall'altra non è neppure nèl'oggetto fenomenico, nè il soggetto empirico. Tutte

83

Page 84: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

queste concezioni dell'idealismo post-kantiano sonoschiette negazioni, e l'alterità non è negatività.

18. L'alterità come soggettività.

L'altro che si trova (e quindi ciascuno di noi trova),nell'io consapevole, come momento essenziale della co-scienza, l'altro quindi, di cui il soggetto cosciente nonpuò non esser consapevole, è l'altro io, cioè l'altro dame, ma come me, cioè, evidentemente, il puro tu. Se èvero quel che sopra abbiamo mostrato (§ 10) che l'alteri-tà non è estraneità, non è da confondere con la diversitàe richiede invece l'omogeneità, è evidente che l'alterità,della quale non può essere spogliata la coscienza, è lastessa egoità, proprio in quanto moltiplicazione di co-scienza. Le difficoltà che questa moltiplicazione importae per sè come tale, e per la reciprocità di consapevolezzache essa richiede, non tolgono la concezione. Quelle dif-ficoltà saranno affrontate ed eliminate.

Per ora resti saldo questo che coscienza, nella suaconcretezza, importa non solo «la consapevolezzadell'essere in sè» cioè la coscienza dell'oggetto, ma im-porta anche, proprio perchè tale consapevolezza sia, cheil soggetto, che ha coscienza dell'oggetto, trovi di frontea sè l'altro, che, in quanto tale, è appunto l'altro sogget-to. In breve importa, positiva, la soggettività propriocome alterità relativa non contrapposta all'essere in sè,ma germinante proprio in questo, costituita da questo

84

queste concezioni dell'idealismo post-kantiano sonoschiette negazioni, e l'alterità non è negatività.

18. L'alterità come soggettività.

L'altro che si trova (e quindi ciascuno di noi trova),nell'io consapevole, come momento essenziale della co-scienza, l'altro quindi, di cui il soggetto cosciente nonpuò non esser consapevole, è l'altro io, cioè l'altro dame, ma come me, cioè, evidentemente, il puro tu. Se èvero quel che sopra abbiamo mostrato (§ 10) che l'alteri-tà non è estraneità, non è da confondere con la diversitàe richiede invece l'omogeneità, è evidente che l'alterità,della quale non può essere spogliata la coscienza, è lastessa egoità, proprio in quanto moltiplicazione di co-scienza. Le difficoltà che questa moltiplicazione importae per sè come tale, e per la reciprocità di consapevolezzache essa richiede, non tolgono la concezione. Quelle dif-ficoltà saranno affrontate ed eliminate.

Per ora resti saldo questo che coscienza, nella suaconcretezza, importa non solo «la consapevolezzadell'essere in sè» cioè la coscienza dell'oggetto, ma im-porta anche, proprio perchè tale consapevolezza sia, cheil soggetto, che ha coscienza dell'oggetto, trovi di frontea sè l'altro, che, in quanto tale, è appunto l'altro sogget-to. In breve importa, positiva, la soggettività propriocome alterità relativa non contrapposta all'essere in sè,ma germinante proprio in questo, costituita da questo

84

Page 85: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

come suo principio. Vedemmo già l'esigenza della posi-tività dell'oggetto (cap. II); vedremo poi l'essenza sua.

Qui dobbiamo ora occuparci della esigenza della sog-gettività nella coscienza; soggettività, che abbiamo sco-perta proprio in quella alterità che era stata invece chia-mata a soddisfare l'esigenza della oggettività.

Quando, nel precisare l'altro che troviamo essenzialeall'io consapevole, prescindiamo, facciamo astrazioneda ogni determinazione empirica, cioè cerchiamo dichiuderci in quella fondamentale esigenza della coscien-za dalla quale tutte le altre rampollano; quando ciò fac-ciamo, troviamo che l'alterità pura è proprio l'egoitàpura, la pura soggettività. Come «altro» io non trovo ilnon io, ma l'altro io il tu: alterità è egoità.

L'alterità empirica, quella cioè sottoposta a superabilicondizioni determinate, dovrà essere in qualche modoriportabile a questa alterità pura che la condiziona asso-lutamente (v. cap. V e VIII).

L'altro, adunque, non è nè estraneo nè eterogeneo allacoscienza dell'io; non è la pura negazione dell'io inquanto tale: è invece lo stesso io. Questa alterità sempreafferma chi dice io, il quale, ciò dicendo, anche trascen-dentalmente, si distingue, senza per questo separarsi as-solutamente, da un chi che riconosce di fronte a sè, enon da un che che riconosca assolutamente eterogeneo efuori di sè. Con questo chi egli afferma una relazione re-ciproca, con la quale soltanto attua l'egoità. La recipro-cità non è negazione di coscienza; ne è invece attuazio-ne.

85

come suo principio. Vedemmo già l'esigenza della posi-tività dell'oggetto (cap. II); vedremo poi l'essenza sua.

Qui dobbiamo ora occuparci della esigenza della sog-gettività nella coscienza; soggettività, che abbiamo sco-perta proprio in quella alterità che era stata invece chia-mata a soddisfare l'esigenza della oggettività.

Quando, nel precisare l'altro che troviamo essenzialeall'io consapevole, prescindiamo, facciamo astrazioneda ogni determinazione empirica, cioè cerchiamo dichiuderci in quella fondamentale esigenza della coscien-za dalla quale tutte le altre rampollano; quando ciò fac-ciamo, troviamo che l'alterità pura è proprio l'egoitàpura, la pura soggettività. Come «altro» io non trovo ilnon io, ma l'altro io il tu: alterità è egoità.

L'alterità empirica, quella cioè sottoposta a superabilicondizioni determinate, dovrà essere in qualche modoriportabile a questa alterità pura che la condiziona asso-lutamente (v. cap. V e VIII).

L'altro, adunque, non è nè estraneo nè eterogeneo allacoscienza dell'io; non è la pura negazione dell'io inquanto tale: è invece lo stesso io. Questa alterità sempreafferma chi dice io, il quale, ciò dicendo, anche trascen-dentalmente, si distingue, senza per questo separarsi as-solutamente, da un chi che riconosce di fronte a sè, enon da un che che riconosca assolutamente eterogeneo efuori di sè. Con questo chi egli afferma una relazione re-ciproca, con la quale soltanto attua l'egoità. La recipro-cità non è negazione di coscienza; ne è invece attuazio-ne.

85

Page 86: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Kant già vide ciò chiaramente, per quanto non potètrarne intera la conseguenza. Nella totalità del reciprocoegli cercò invano Dio con la sua idea teologica: Dio, ap-punto perchè principio unico della reciprocità, non è re-ciproco (e quindi neppure totalità di reciproci) e non hareciproci. Non nell'io puro era da cercare Dio: e perciòdoveva risultare introvabile.

Concludendo, l'alterità non è la soggettività empirica,perchè è la vera e propria soggettività: soggettività, ol-tre la quale non ve n'ha altra. La proposizione è perciòconvertibile: la soggettività è l'alterità.

E quindi l'io, che non è altro che riconoscimentoesplicito della soggettività, è questo esplicito riconosci-mento dell'alterità nel soggetto come tale, e quindi an-che della soggettività dell'altro come tale. Se vogliamodare un significato a quel che diciamo, quando diciamosoggetto, non possiamo dargliene altro.

L'idealismo post-kantiano, nel suo processo storico,avendo invece conservata la concezione dell'oggettocome altro dal soggetto (la dottrina schellinghianadell'identità non toglie anzi conferma questa concezio-ne), non poteva scoprire l'alterità, e non l'ha infatti sco-perta. Non poteva quindi scoprire la molteplicità comesoggettività, non poteva scoprire la positiva molteplicitàdella coscienza.

E quindi esso, come da una parte pose capo alla og-gettività come negazione, dall'altra, per le stesse ragioniche condussero a questa, doveva por capo all'assoluta

86

Kant già vide ciò chiaramente, per quanto non potètrarne intera la conseguenza. Nella totalità del reciprocoegli cercò invano Dio con la sua idea teologica: Dio, ap-punto perchè principio unico della reciprocità, non è re-ciproco (e quindi neppure totalità di reciproci) e non hareciproci. Non nell'io puro era da cercare Dio: e perciòdoveva risultare introvabile.

Concludendo, l'alterità non è la soggettività empirica,perchè è la vera e propria soggettività: soggettività, ol-tre la quale non ve n'ha altra. La proposizione è perciòconvertibile: la soggettività è l'alterità.

E quindi l'io, che non è altro che riconoscimentoesplicito della soggettività, è questo esplicito riconosci-mento dell'alterità nel soggetto come tale, e quindi an-che della soggettività dell'altro come tale. Se vogliamodare un significato a quel che diciamo, quando diciamosoggetto, non possiamo dargliene altro.

L'idealismo post-kantiano, nel suo processo storico,avendo invece conservata la concezione dell'oggettocome altro dal soggetto (la dottrina schellinghianadell'identità non toglie anzi conferma questa concezio-ne), non poteva scoprire l'alterità, e non l'ha infatti sco-perta. Non poteva quindi scoprire la molteplicità comesoggettività, non poteva scoprire la positiva molteplicitàdella coscienza.

E quindi esso, come da una parte pose capo alla og-gettività come negazione, dall'altra, per le stesse ragioniche condussero a questa, doveva por capo all'assoluta

86

Page 87: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Soggettività, all'Io assoluto, allo Spirito assoluto comeunico Soggetto.

E si spiega quindi perchè Schelling ed Hegel, mentremuovevano entrambi a Fichte l'accusa di soggettivismo,proprio essi accentuavano il valore della soggettività; edoggi è giudizio pressochè comune in campo idealisticoche «la vera filosofia moderna si fonda nel principiodella soggettività» (SPAVENTA, Rinascimento..., Venezia,1928, pag. 33); che «soggettivismo, o filosofia dello spi-rito, vuol dire filosofia vera e propria» (CROCE, Nuovisaggi di estetica, 19262, pag. 100); ecc.

Così idealismo e soggettività assoluta paiono terminiidentici. E fatto, l'Assoluto, Soggetto; ridotto l'Assolutoad Io; è naturale che si ritenga «mostruosità» l'ammette-re più soggetti; è naturale che si dica che «più io è perfi-no una sgrammaticatura» (Giorn. crit., Nov. 1928, pag.455).

La vera sgrammaticatura sta nello scambio del singo-lare con l'Unico: il singolare, come è l'io, è uno dei più,e basta.

La sgrammaticatura metafisica, che risale molto lon-tano ed ha radici profonde e varie, sta proprio nel porrel'Assoluto come Io; il che vedremo a suo luogo.

Soggettività ed egoità pura sono sempre pura alteri-tà.

87

Soggettività, all'Io assoluto, allo Spirito assoluto comeunico Soggetto.

E si spiega quindi perchè Schelling ed Hegel, mentremuovevano entrambi a Fichte l'accusa di soggettivismo,proprio essi accentuavano il valore della soggettività; edoggi è giudizio pressochè comune in campo idealisticoche «la vera filosofia moderna si fonda nel principiodella soggettività» (SPAVENTA, Rinascimento..., Venezia,1928, pag. 33); che «soggettivismo, o filosofia dello spi-rito, vuol dire filosofia vera e propria» (CROCE, Nuovisaggi di estetica, 19262, pag. 100); ecc.

Così idealismo e soggettività assoluta paiono terminiidentici. E fatto, l'Assoluto, Soggetto; ridotto l'Assolutoad Io; è naturale che si ritenga «mostruosità» l'ammette-re più soggetti; è naturale che si dica che «più io è perfi-no una sgrammaticatura» (Giorn. crit., Nov. 1928, pag.455).

La vera sgrammaticatura sta nello scambio del singo-lare con l'Unico: il singolare, come è l'io, è uno dei più,e basta.

La sgrammaticatura metafisica, che risale molto lon-tano ed ha radici profonde e varie, sta proprio nel porrel'Assoluto come Io; il che vedremo a suo luogo.

Soggettività ed egoità pura sono sempre pura alteri-tà.

87

Page 88: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

19. L'io individuale e la filosofia di Fichte.

L'adombrato concetto del soggetto puro come puroaltro risulterà più chiaro se cogliamo nella origine sua evalutiamo criticamente il concetto idealistico di soggettoempirico, che finì col ridurre la soggettività nella suamolteplicità ad oggettività insussistente, a pura e sem-plice negazione della soggettività.

La genesi prima del concetto idealistico di soggettoempirico io credo si trovi in Fichte, implicita in tutta laDottrina della scienza, esplicita nella difesa che di que-sta egli deve fare nel suo principio fondamentale l'Io,per distinguere questo dall'io singolare dei tanti che glidànno addosso. Notevolissimo mi sembra un luogo6 del-la cosiddetta Seconda Introduzione alla Dottrina dellascienza. L'esame di esso ci metterà in grado di compren-dere la genesi e la natura del concetto di soggetto empi-rico dell'idealismo post-kantiano.

Kant credeva ancora dogmaticamente alla singolaritàindividuale dei soggetti, alla loro molteplicità; non sor-geva in lui neppure il dubbio che questa dovesse esserenegata. Il dire che fa Kant empirico e quindi soltanto fe-nomenico il soggetto che ciascuno di sè stesso sente, senon è certo dimostrare la molteplicità singolare dei sog-

6 È il § 9 della Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehre, del1797 (Werke, Leipzig 1908-12, vol. III, pag. 35-102). Di tuttaquesta introduzione noi abbiam dato un riassunto nei §§ 52, 53del nostro lavoro sul Problema della filosofia da Kant a Fichte,Palermo 1929.

88

19. L'io individuale e la filosofia di Fichte.

L'adombrato concetto del soggetto puro come puroaltro risulterà più chiaro se cogliamo nella origine sua evalutiamo criticamente il concetto idealistico di soggettoempirico, che finì col ridurre la soggettività nella suamolteplicità ad oggettività insussistente, a pura e sem-plice negazione della soggettività.

La genesi prima del concetto idealistico di soggettoempirico io credo si trovi in Fichte, implicita in tutta laDottrina della scienza, esplicita nella difesa che di que-sta egli deve fare nel suo principio fondamentale l'Io,per distinguere questo dall'io singolare dei tanti che glidànno addosso. Notevolissimo mi sembra un luogo6 del-la cosiddetta Seconda Introduzione alla Dottrina dellascienza. L'esame di esso ci metterà in grado di compren-dere la genesi e la natura del concetto di soggetto empi-rico dell'idealismo post-kantiano.

Kant credeva ancora dogmaticamente alla singolaritàindividuale dei soggetti, alla loro molteplicità; non sor-geva in lui neppure il dubbio che questa dovesse esserenegata. Il dire che fa Kant empirico e quindi soltanto fe-nomenico il soggetto che ciascuno di sè stesso sente, senon è certo dimostrare la molteplicità singolare dei sog-

6 È il § 9 della Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehre, del1797 (Werke, Leipzig 1908-12, vol. III, pag. 35-102). Di tuttaquesta introduzione noi abbiam dato un riassunto nei §§ 52, 53del nostro lavoro sul Problema della filosofia da Kant a Fichte,Palermo 1929.

88

Page 89: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

getti, non è neppure condannarla. Questa rimane dog-maticamente ammessa da lui, anche se si voglia ritener-la in contrasto con la sua fondamentale concezione criti-ca della unità sintetica appercettiva della coscienza;quantunque, a mio avviso, tale contrasto sia più conl'interpretazione che l'idealismo posteriore ha data ditale coscienza in generale, che non con la genuina con-cezione kantiana, che io credo suscettibile di una più le-gittima interpretazione. Comunque, ciò ora a noi quinon importa. Anche perchè ci importa molto relativa-mente quel che sia il genuino pensiero di Kant: a noiimporta solo quello che del pensiero di Kant si può giu-stificare. Kant è un po' diventato il medioevale Aristote-le del pensiero moderno: un tale idolo di Kant noi rom-piamo con la maggior foga che ci riesce di mettere, an-che se qualche nostra espressione mal interpretata puòsuscitare legittime timorose riserve7.

7 Alludo ad un periodo della prefazione (p. XII) della mia Fi-losofia di Kant, I. Idea Teologica, nel quale dicevo della stereoti-pa figura del Kant delle categorie e dell'imperativo categorico. Orc'è qualche valente giovane (non mi preoccupo di chi non capiscaun rinnovarsi di interpretazione, anzi non ne permetta neppureuna, perchè il filosofo è... quello che è) che si adombra nel vederdefinito stereotipo anche il Kant dell'imperativo categorico (G. E.BARIÈ, Oltre la Critica, Milano, 1929, Pag. 346). Io credo e speroche il suo timore svanirà qualora egli si fermi un po' più sul miovolume e specialmente sulla terza parte di esso (Fede razionale).

Dinanzi alla nuova critica del concreto, tutto il Kant criticodella conoscenza quale da tempo ce lo hanno ammannito in tuttele salse, è stereotipo. Stereotipo in due facce opposte che si so-

89

getti, non è neppure condannarla. Questa rimane dog-maticamente ammessa da lui, anche se si voglia ritener-la in contrasto con la sua fondamentale concezione criti-ca della unità sintetica appercettiva della coscienza;quantunque, a mio avviso, tale contrasto sia più conl'interpretazione che l'idealismo posteriore ha data ditale coscienza in generale, che non con la genuina con-cezione kantiana, che io credo suscettibile di una più le-gittima interpretazione. Comunque, ciò ora a noi quinon importa. Anche perchè ci importa molto relativa-mente quel che sia il genuino pensiero di Kant: a noiimporta solo quello che del pensiero di Kant si può giu-stificare. Kant è un po' diventato il medioevale Aristote-le del pensiero moderno: un tale idolo di Kant noi rom-piamo con la maggior foga che ci riesce di mettere, an-che se qualche nostra espressione mal interpretata puòsuscitare legittime timorose riserve7.

7 Alludo ad un periodo della prefazione (p. XII) della mia Fi-losofia di Kant, I. Idea Teologica, nel quale dicevo della stereoti-pa figura del Kant delle categorie e dell'imperativo categorico. Orc'è qualche valente giovane (non mi preoccupo di chi non capiscaun rinnovarsi di interpretazione, anzi non ne permetta neppureuna, perchè il filosofo è... quello che è) che si adombra nel vederdefinito stereotipo anche il Kant dell'imperativo categorico (G. E.BARIÈ, Oltre la Critica, Milano, 1929, Pag. 346). Io credo e speroche il suo timore svanirà qualora egli si fermi un po' più sul miovolume e specialmente sulla terza parte di esso (Fede razionale).

Dinanzi alla nuova critica del concreto, tutto il Kant criticodella conoscenza quale da tempo ce lo hanno ammannito in tuttele salse, è stereotipo. Stereotipo in due facce opposte che si so-

89

Page 90: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Dice adunque Fichte: «Altri oppositori della W.1.(Wissenschaftslehre) oppongono: Nel concetto di io noinon possiamo per nostra persona pensare altro che lanostra cara persona in opposizione con altre persone. Iosignifica la mia persona determinata, come io propriomi chiamo, Caio o Sempronio, in opposizione con tuttigli altri che non si chiamano così. Ora, se io astraggo,come pretende la W.1., da questa personalità individua-le, non mi rimane proprio affatto nulla, che sia da carat-terizzarsi con io; ciò che rimane potrei ben dirlo Id(Es)».

È, evidentemente, obiezione fondamentale per la dot-trina di Fichte. Se l'Io, che la W. l. pone come proprioprincipio, perchè lo scopre principio della stessa scienza(Wissenschaft), l'Io, cioè, del principio di posizione, equindi anche di quelli di opposizione e di ragione, è ilCaio che io sono in opposizione al Sempronio che è unaltro io, nel quale, come tale, dovran pur prendere origi-ne, sostanziarsi detti principii di posizione, di opposizio-ne e di ragione, quella natura, che in Kant è ordine elegge, e che in Fichte è per gli ultimi due principii postacome non Io dall'Io, diventa il più fantasmagorico caos,nel quale, nonchè ordine e legge, è impossibile trovareperfino un punto solo nel quale questi tanti io, assoluticreatori ciascuno del proprio mondo, possano accordar-si.

gliono contrapporre l'una all'altra. Il nostro Kant è diverso, e na-turalmente crediamo sia quello che oggi possa e debba vivere.

90

Dice adunque Fichte: «Altri oppositori della W.1.(Wissenschaftslehre) oppongono: Nel concetto di io noinon possiamo per nostra persona pensare altro che lanostra cara persona in opposizione con altre persone. Iosignifica la mia persona determinata, come io propriomi chiamo, Caio o Sempronio, in opposizione con tuttigli altri che non si chiamano così. Ora, se io astraggo,come pretende la W.1., da questa personalità individua-le, non mi rimane proprio affatto nulla, che sia da carat-terizzarsi con io; ciò che rimane potrei ben dirlo Id(Es)».

È, evidentemente, obiezione fondamentale per la dot-trina di Fichte. Se l'Io, che la W. l. pone come proprioprincipio, perchè lo scopre principio della stessa scienza(Wissenschaft), l'Io, cioè, del principio di posizione, equindi anche di quelli di opposizione e di ragione, è ilCaio che io sono in opposizione al Sempronio che è unaltro io, nel quale, come tale, dovran pur prendere origi-ne, sostanziarsi detti principii di posizione, di opposizio-ne e di ragione, quella natura, che in Kant è ordine elegge, e che in Fichte è per gli ultimi due principii postacome non Io dall'Io, diventa il più fantasmagorico caos,nel quale, nonchè ordine e legge, è impossibile trovareperfino un punto solo nel quale questi tanti io, assoluticreatori ciascuno del proprio mondo, possano accordar-si.

gliono contrapporre l'una all'altra. Il nostro Kant è diverso, e na-turalmente crediamo sia quello che oggi possa e debba vivere.

90

Page 91: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

E insieme con la unità dell'ordine naturale svanisceogni possibile unicità, se gli io sono quelle molte deter-minate, distinte e distanti persone che con diversi nomisi chiamano, e che, in quanto così si chiamano, sono fraloro inconfondibili e reciprocamente escludentisi. Sva-nisce quindi ogni unità, anche quella che sarebbe datadai detti tre principii: se ciascun io pone sè liberamente,una tale posizione non ha affatto nulla di comune conl'altrui posizione, cioè il principio di posizione non dàneppur esso quella unità che si è perduta nel mondo og-gettivo posto come non-Io dall'Io. Siccome la posizionea non è per nulla affatto la posizione b, c... n, in veritànon v'ha posizione: cioè non c'è un principio di posizio-ne. E tanto meno quindi ci saranno i principi di opposi-zione e di ragione che da quello nascono.

Svanisce quindi assolutamente ogni unità: ciascun iocol proprio mondo di rappresentazioni liberamente crea-te e dentro le quali nessun Dio vi abbia messo ab intra oab extra una qualche armonia prestabilita che le mettad'accordo tra loro e con le rappresentazioni formantil'altrui mondo; ciascun io, non avendo dalla natura ilproprio posto in essa perchè ne è invece il creatore; cia-scun io, scevro di principi validi per tutti (universali),perchè universalità non può esserci dove fonte assolutadel valore sarebbe il singolare nella reciproca esclusio-ne; ciascun io vivrebbe a sè proprio e soltanto con quel-le determinazioni empiriche che appunto gli vietano in-vece questo vivere a sè. Non l'unità sistematica mal'assoluto caos sarebbe la realtà voluta dalla W. l., se l'Io

91

E insieme con la unità dell'ordine naturale svanisceogni possibile unicità, se gli io sono quelle molte deter-minate, distinte e distanti persone che con diversi nomisi chiamano, e che, in quanto così si chiamano, sono fraloro inconfondibili e reciprocamente escludentisi. Sva-nisce quindi ogni unità, anche quella che sarebbe datadai detti tre principii: se ciascun io pone sè liberamente,una tale posizione non ha affatto nulla di comune conl'altrui posizione, cioè il principio di posizione non dàneppur esso quella unità che si è perduta nel mondo og-gettivo posto come non-Io dall'Io. Siccome la posizionea non è per nulla affatto la posizione b, c... n, in veritànon v'ha posizione: cioè non c'è un principio di posizio-ne. E tanto meno quindi ci saranno i principi di opposi-zione e di ragione che da quello nascono.

Svanisce quindi assolutamente ogni unità: ciascun iocol proprio mondo di rappresentazioni liberamente crea-te e dentro le quali nessun Dio vi abbia messo ab intra oab extra una qualche armonia prestabilita che le mettad'accordo tra loro e con le rappresentazioni formantil'altrui mondo; ciascun io, non avendo dalla natura ilproprio posto in essa perchè ne è invece il creatore; cia-scun io, scevro di principi validi per tutti (universali),perchè universalità non può esserci dove fonte assolutadel valore sarebbe il singolare nella reciproca esclusio-ne; ciascun io vivrebbe a sè proprio e soltanto con quel-le determinazioni empiriche che appunto gli vietano in-vece questo vivere a sè. Non l'unità sistematica mal'assoluto caos sarebbe la realtà voluta dalla W. l., se l'Io

91

Page 92: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

di essa fosse quello individuale empirico del Caio oSempronio, nella volgare accezione del termine.

L'obiezione, dunque, è fondamentale pel sistema diFichte, e fondamentale quindi anche per tutti i sistemiche da e su quello di Fichte si sono sviluppati: l'Io dellaW. l., e quindi l'Io principio unico della filosofia e quin-di di ogni sapere e di ogni realtà, non può essere molte-plice; non può essere Caio o Sempronio.

20. Mancato problema della unicità o moltepli-cità dell'Io.

Intendere l'obiezione, esaminare la confutazione chene fa Fichte, è forse assistere alla genesi o almeno a unsaliente episodio genetico del criticato concetto di sog-getto empirico come oggettività negatrice della vera epropria soggettività.

Per intendere, in questa confutazione, la posizione fi-chtiana, bisogna aver presente che l'Io fichtiano delprincipio di posizione (e quindi anche di quelli di oppo-sizione e di ragione) è quell'io puro che Kant aveva di-mostrato doversi ammettere se si ammette l'eticità, laquale importa la libertà. L'Io di Fichte è quindi l'io libe-ro dell'etica kantiana; quell'io libero, che è tale in quantoè principio di azione: non quindi l'io sensibilmente co-nosciuto, che, come ogni conosciuto, è fenomenizzato,ma l'io eticamente agente.

92

di essa fosse quello individuale empirico del Caio oSempronio, nella volgare accezione del termine.

L'obiezione, dunque, è fondamentale pel sistema diFichte, e fondamentale quindi anche per tutti i sistemiche da e su quello di Fichte si sono sviluppati: l'Io dellaW. l., e quindi l'Io principio unico della filosofia e quin-di di ogni sapere e di ogni realtà, non può essere molte-plice; non può essere Caio o Sempronio.

20. Mancato problema della unicità o moltepli-cità dell'Io.

Intendere l'obiezione, esaminare la confutazione chene fa Fichte, è forse assistere alla genesi o almeno a unsaliente episodio genetico del criticato concetto di sog-getto empirico come oggettività negatrice della vera epropria soggettività.

Per intendere, in questa confutazione, la posizione fi-chtiana, bisogna aver presente che l'Io fichtiano delprincipio di posizione (e quindi anche di quelli di oppo-sizione e di ragione) è quell'io puro che Kant aveva di-mostrato doversi ammettere se si ammette l'eticità, laquale importa la libertà. L'Io di Fichte è quindi l'io libe-ro dell'etica kantiana; quell'io libero, che è tale in quantoè principio di azione: non quindi l'io sensibilmente co-nosciuto, che, come ogni conosciuto, è fenomenizzato,ma l'io eticamente agente.

92

Page 93: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Kant non ci dice se questo io agente è unico o si mol-tiplica nella moltiplicità degli io compienti azioni mora-li. Se lo sviluppo metafisico della sua dottrina nella piùprofonda coerenza intima importi la unicità, non stare-mo qui a ricercare. Certo è che il presupposto implicitokantiano è, a mio avviso, evidentemente quello dellamolteplicità di questi io agenti moralmente. E ciò, oltre-chè per tante altre ragioni e dimostrazioni particolari eper tanti espliciti cenni, anche perchè la distinzione trala idea noumenica di Dio e quella dell'anima, idee chenella dottrina morale di Kant acquistano tanto effettivovalore e sono ben lungi dal ridursi a quella regolatività acui sono limitate nel campo conoscitivo, quella distin-zione non è esplicabile altrimenti che mediante tale pre-supposto implicito. Questa quistione della molteplicità ounità dell'io etico Kant non se la pone; e quindi quellacontraddizione del suo sistema che per un verso ne pre-suppone la molteplicità e per un altro l'unità, egli nonsupera.

Fichte, prendendo da Kant l'io agente libero, e ponen-dolo, a ragione, principio anche della conoscenza, comedell'azione, giacchè lo stesso conoscere è anche agire, egià Kant stesso aveva riconosciuta, nella intellettivitàdell'io, la sua spontaneità, non vede la difficoltà latentenel pensiero kantiano, quindi non si pone neppure luiquesto problema dell'unità o molteplicità dell'io. Per lui,come per Kant, è certamente molteplice l'io empiricodelle intuizioni fenomeniche; l'io che risulta al senso in-terno nella intuitiva forma di tempo, l'io della fenomeni-

93

Kant non ci dice se questo io agente è unico o si mol-tiplica nella moltiplicità degli io compienti azioni mora-li. Se lo sviluppo metafisico della sua dottrina nella piùprofonda coerenza intima importi la unicità, non stare-mo qui a ricercare. Certo è che il presupposto implicitokantiano è, a mio avviso, evidentemente quello dellamolteplicità di questi io agenti moralmente. E ciò, oltre-chè per tante altre ragioni e dimostrazioni particolari eper tanti espliciti cenni, anche perchè la distinzione trala idea noumenica di Dio e quella dell'anima, idee chenella dottrina morale di Kant acquistano tanto effettivovalore e sono ben lungi dal ridursi a quella regolatività acui sono limitate nel campo conoscitivo, quella distin-zione non è esplicabile altrimenti che mediante tale pre-supposto implicito. Questa quistione della molteplicità ounità dell'io etico Kant non se la pone; e quindi quellacontraddizione del suo sistema che per un verso ne pre-suppone la molteplicità e per un altro l'unità, egli nonsupera.

Fichte, prendendo da Kant l'io agente libero, e ponen-dolo, a ragione, principio anche della conoscenza, comedell'azione, giacchè lo stesso conoscere è anche agire, egià Kant stesso aveva riconosciuta, nella intellettivitàdell'io, la sua spontaneità, non vede la difficoltà latentenel pensiero kantiano, quindi non si pone neppure luiquesto problema dell'unità o molteplicità dell'io. Per lui,come per Kant, è certamente molteplice l'io empiricodelle intuizioni fenomeniche; l'io che risulta al senso in-terno nella intuitiva forma di tempo, l'io della fenomeni-

93

Page 94: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ca successione. Ma non si deve da ciò concludere cheegli veda e voglia chiaramente affermare anche sempli-cemente la proposizione inversa che cioè l'io molteplicesia fenomenico. Egli nella fondazione del suo sistemanon vede il problema così come non lo vedeva Kant, nèseppe poi elevarsi a vederlo. Il cosiddetto secondo pe-riodo della speculazione fichtiana, se non è uno svilup-parsi, non è neppure uno invilupparsi di detta specula-zione. Questa rimane la stessa. L'Io di Fichte non è statomai lo stesso che Dio.

Questa posizione fichtiana con le sue luci e le sueombre bisogna aver presente, se si vuol intendere la di-scussione che qui fa Fichte, e non si vuol dare al suopensiero un valore che la speculazione, se mai, prenderàsolo con Hegel.

Perciò nella confutazione che Fichte fa della obbie-zione, non è esplicitamente presente questa questionedella unità o molteplicità dell'Io, come del resto non èpresente neppure nell'obbiettante. Ma neppure può esse-re esclusa, perchè è il nocciolo vero della quistione, èciò da cui soltanto l'obbiezione può avere un valore, edè quindi ciò che la confutazione per essere esaurientedovrebbe aver di mira.

94

ca successione. Ma non si deve da ciò concludere cheegli veda e voglia chiaramente affermare anche sempli-cemente la proposizione inversa che cioè l'io molteplicesia fenomenico. Egli nella fondazione del suo sistemanon vede il problema così come non lo vedeva Kant, nèseppe poi elevarsi a vederlo. Il cosiddetto secondo pe-riodo della speculazione fichtiana, se non è uno svilup-parsi, non è neppure uno invilupparsi di detta specula-zione. Questa rimane la stessa. L'Io di Fichte non è statomai lo stesso che Dio.

Questa posizione fichtiana con le sue luci e le sueombre bisogna aver presente, se si vuol intendere la di-scussione che qui fa Fichte, e non si vuol dare al suopensiero un valore che la speculazione, se mai, prenderàsolo con Hegel.

Perciò nella confutazione che Fichte fa della obbie-zione, non è esplicitamente presente questa questionedella unità o molteplicità dell'Io, come del resto non èpresente neppure nell'obbiettante. Ma neppure può esse-re esclusa, perchè è il nocciolo vero della quistione, èciò da cui soltanto l'obbiezione può avere un valore, edè quindi ciò che la confutazione per essere esaurientedovrebbe aver di mira.

94

Page 95: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

21. Falsa riduzione del problema della indivi-dualità a problema morale.

La quistione infatti non può e non deve, come in ulti-mo fa Fichte, essere ridotta ad una pura quistione di pre-senza od assenza di coscienza morale.

Fichte infatti, dopo aver confutata l'obbiezione nelmodo che vedremo, conclude che trattasi di incapacitàdi cogliere il concetto della Egoità (Ichheit). Incapacitàche egli volentieri concede agli avversari e che è fonda-ta «non in una particolare debolezza della loro intelli-genza (Denkkraft), ma in una debolezza di tutto il lorocarattere. Il loro io, nel senso in cui essi prendono la pa-rola cioè la loro persona individuale, è lo scopo ultimodi tutto il loro agire, e quindi anche il limite di chiarezzadel loro pensare. Questo loro io è per essi l'unica verasostanza; la ragione non ne è che un accidente. Non laloro persona è particolare espressione della ragione;bensì la ragione ci è per aiutare la loro persona nel mon-do, e se questa potesse trovarvisi bene anche senza ra-gione, noi potremmo ben farne a meno e non vi sarebbepiù ragione affatto... Nella W. l. invece vi è il rapportoproprio opposto; vi è la ragione come l'unico in sè el'individualità come soltanto accidentale; la ragione sco-po e la personalità mezzo; quest'ultima, soltanto forma(Weise) particolare di esprimere la ragione, modo parti-colare che deve sempre più perdersi nella sua forma(Form) universale» (pag. 89). Ora noi non neghiamo chemolta pretesa filosofia abbia il suo fondamento in perso-

95

21. Falsa riduzione del problema della indivi-dualità a problema morale.

La quistione infatti non può e non deve, come in ulti-mo fa Fichte, essere ridotta ad una pura quistione di pre-senza od assenza di coscienza morale.

Fichte infatti, dopo aver confutata l'obbiezione nelmodo che vedremo, conclude che trattasi di incapacitàdi cogliere il concetto della Egoità (Ichheit). Incapacitàche egli volentieri concede agli avversari e che è fonda-ta «non in una particolare debolezza della loro intelli-genza (Denkkraft), ma in una debolezza di tutto il lorocarattere. Il loro io, nel senso in cui essi prendono la pa-rola cioè la loro persona individuale, è lo scopo ultimodi tutto il loro agire, e quindi anche il limite di chiarezzadel loro pensare. Questo loro io è per essi l'unica verasostanza; la ragione non ne è che un accidente. Non laloro persona è particolare espressione della ragione;bensì la ragione ci è per aiutare la loro persona nel mon-do, e se questa potesse trovarvisi bene anche senza ra-gione, noi potremmo ben farne a meno e non vi sarebbepiù ragione affatto... Nella W. l. invece vi è il rapportoproprio opposto; vi è la ragione come l'unico in sè el'individualità come soltanto accidentale; la ragione sco-po e la personalità mezzo; quest'ultima, soltanto forma(Weise) particolare di esprimere la ragione, modo parti-colare che deve sempre più perdersi nella sua forma(Form) universale» (pag. 89). Ora noi non neghiamo chemolta pretesa filosofia abbia il suo fondamento in perso-

95

Page 96: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ne incapaci di trascendere la propria determinata perso-na dell'esperienza, e quindi non sia filosofia, che è sem-pre questo sforzo di trascendenza; ma non crediamo,che per questo debba anche affermarsi che tale incapaci-tà filosofica sia anche incapacità morale del genere diquella, cui il Fichte qui allude. Fichte ha certo ragionenel ribattere i suoi contradittori, che, confondendo l'Iopuro risultante dall'etica kantiana con l'io empirico deldogmatico pensiero precritico, del quale ultimo Kantstesso aveva mostrato la inconsistente fenomenicità, enon riuscendo a concepire l'io puro della ragion praticanella sua trascendentalità, mostravano di non aver pernulla inteso Kant e profittato del suo pensiero. Ma nonper questo risolve la quistione fondamentale, che nellaobbiezione proposta è implicitamente racchiusa, perquanto non vista nè dagli attaccanti nè dal difensore del-la W. l.

C'è a fondamento della obbiezione una difficoltà chenè la Critica di Kant nè la W. l. di Fichte aveva vista esuperata. L'Io, nella sua purezza di Io, è la stessa unicitàdi coscienza senza numero, o è proprio la molteplicità diquesta?

96

ne incapaci di trascendere la propria determinata perso-na dell'esperienza, e quindi non sia filosofia, che è sem-pre questo sforzo di trascendenza; ma non crediamo,che per questo debba anche affermarsi che tale incapaci-tà filosofica sia anche incapacità morale del genere diquella, cui il Fichte qui allude. Fichte ha certo ragionenel ribattere i suoi contradittori, che, confondendo l'Iopuro risultante dall'etica kantiana con l'io empirico deldogmatico pensiero precritico, del quale ultimo Kantstesso aveva mostrato la inconsistente fenomenicità, enon riuscendo a concepire l'io puro della ragion praticanella sua trascendentalità, mostravano di non aver pernulla inteso Kant e profittato del suo pensiero. Ma nonper questo risolve la quistione fondamentale, che nellaobbiezione proposta è implicitamente racchiusa, perquanto non vista nè dagli attaccanti nè dal difensore del-la W. l.

C'è a fondamento della obbiezione una difficoltà chenè la Critica di Kant nè la W. l. di Fichte aveva vista esuperata. L'Io, nella sua purezza di Io, è la stessa unicitàdi coscienza senza numero, o è proprio la molteplicità diquesta?

96

Page 97: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

22. Deduzione dell'io individuale (e non del tu) dalla egoità originaria.

Cerchiamo di metterla in evidenza esaminando la di-fesa fichtiana. Fichte comincia col distinguere la qui-stione di concetto da quella di parole.

Come nasce, domanda Fichte ai suoi oppositori, «laoriginaria sintesi reale del concetto di individuo (dellanostra cara persona e delle altre persone)»? Dalla vostraobbiezione pare che «in questo concetto non sia sintetiz-zato altro che il concetto di un oggetto in generale,dell'id (des Es) e la distinzione dagli altri suoi simili, iquali, perciò, sono ugualmente un id e nulla più» (pag.85-86). Ed a ragione fa considerare Fichte che «dalla di-stinzione di un oggetto dal suo simile e dunque da un al-tro oggetto non nasce che un determinato oggetto e perniente affatto una determinata persona» (pag. 86).

Ora devesi osservare subito che gli oppositori non di-cevano che l'io individuale nasce dalla sintesi dell'id conla distinzione degli altri suoi simili; dicevano soltantoche se io prescindo dall'io individuale, non mi resta chel'id. E le due affermazioni sono molto diverse; implicitoalla seconda c'è, come vedremo, un argomento moltopiù idealistico dell'idealismo stesso di Fichte. Ma essonon è visto da Fichte, e tanto meno dai suoi oppositori.L'io individuale invece (e cioè, non dimentichiamo, lanostra cara persona e le altre) nasce, secondo Fichte, daquella Egoità (Ichheit) «che è originariamente oppostaall'Id, alla pura oggettività ed il porre di questi concetti è

97

22. Deduzione dell'io individuale (e non del tu) dalla egoità originaria.

Cerchiamo di metterla in evidenza esaminando la di-fesa fichtiana. Fichte comincia col distinguere la qui-stione di concetto da quella di parole.

Come nasce, domanda Fichte ai suoi oppositori, «laoriginaria sintesi reale del concetto di individuo (dellanostra cara persona e delle altre persone)»? Dalla vostraobbiezione pare che «in questo concetto non sia sintetiz-zato altro che il concetto di un oggetto in generale,dell'id (des Es) e la distinzione dagli altri suoi simili, iquali, perciò, sono ugualmente un id e nulla più» (pag.85-86). Ed a ragione fa considerare Fichte che «dalla di-stinzione di un oggetto dal suo simile e dunque da un al-tro oggetto non nasce che un determinato oggetto e perniente affatto una determinata persona» (pag. 86).

Ora devesi osservare subito che gli oppositori non di-cevano che l'io individuale nasce dalla sintesi dell'id conla distinzione degli altri suoi simili; dicevano soltantoche se io prescindo dall'io individuale, non mi resta chel'id. E le due affermazioni sono molto diverse; implicitoalla seconda c'è, come vedremo, un argomento moltopiù idealistico dell'idealismo stesso di Fichte. Ma essonon è visto da Fichte, e tanto meno dai suoi oppositori.L'io individuale invece (e cioè, non dimentichiamo, lanostra cara persona e le altre) nasce, secondo Fichte, daquella Egoità (Ichheit) «che è originariamente oppostaall'Id, alla pura oggettività ed il porre di questi concetti è

97

Page 98: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

assoluto, non condizionato da altro porre, tetico non sin-tetico». L'egoità e l'id sono dunque originariamente, in-condizionatamente di fronte, opposti. E, se le nostrecare persone vogliono essere persone, devono nasceredall'egoità e non dall'id. Siamo alla fondamentale oppo-sizione tra pensare ed essere che continua quella schiet-tamente realistica tra spirito e materia. Opposizione fon-damentale, che resta tuttora viva nell'idealismo, e la ne-cessità del cui abbandono vengo invano da anni predi-cando.

Messa in evidenza questa eterogeneità fondamentale,per la quale l'Io non avrà mai nulla di comune con l'id,Fichte fa notare che è vero che la nostra cara persona,l'io individuale. che deve nascere dalla egoità e nondall'id al quale sarà sempre necessariamente opposto, èio e tu, ma pur, schietto dalla egoità, non nasco che io.Giacchè «il concetto dell'io che si trova in questa oppo-sizione di io e tu, e quindi è concetto dell'individuo, è lasintesi dell'Io con sè stesso». Laddove «il concetto del tunasce dall'unione dell'id e dell'Io». Giacchè «il concettodella Egoità che si trova in noi stessi, vien trasportato aqualcosa che in quel primo porre (quello tetico, non sin-tetico) è stato posto come un id, come schietto oggetto,come qualcosa fuori di noi e viene così unito sintetica-mente con questo id: da questa sintesi condizionata cinasce per la prima volta (erst) un tu» (pag. 86).

Si vede subito che, per Fichte, persona non può essereche la mia cara persona. Giacchè «il ponente sè stessonel descritto atto, ponente non in generale ma come Io,

98

assoluto, non condizionato da altro porre, tetico non sin-tetico». L'egoità e l'id sono dunque originariamente, in-condizionatamente di fronte, opposti. E, se le nostrecare persone vogliono essere persone, devono nasceredall'egoità e non dall'id. Siamo alla fondamentale oppo-sizione tra pensare ed essere che continua quella schiet-tamente realistica tra spirito e materia. Opposizione fon-damentale, che resta tuttora viva nell'idealismo, e la ne-cessità del cui abbandono vengo invano da anni predi-cando.

Messa in evidenza questa eterogeneità fondamentale,per la quale l'Io non avrà mai nulla di comune con l'id,Fichte fa notare che è vero che la nostra cara persona,l'io individuale. che deve nascere dalla egoità e nondall'id al quale sarà sempre necessariamente opposto, èio e tu, ma pur, schietto dalla egoità, non nasco che io.Giacchè «il concetto dell'io che si trova in questa oppo-sizione di io e tu, e quindi è concetto dell'individuo, è lasintesi dell'Io con sè stesso». Laddove «il concetto del tunasce dall'unione dell'id e dell'Io». Giacchè «il concettodella Egoità che si trova in noi stessi, vien trasportato aqualcosa che in quel primo porre (quello tetico, non sin-tetico) è stato posto come un id, come schietto oggetto,come qualcosa fuori di noi e viene così unito sintetica-mente con questo id: da questa sintesi condizionata cinasce per la prima volta (erst) un tu» (pag. 86).

Si vede subito che, per Fichte, persona non può essereche la mia cara persona. Giacchè «il ponente sè stessonel descritto atto, ponente non in generale ma come Io,

98

Page 99: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sono io»: laddove «il posto nello stesso atto da me, enon da se stesso, come Io, sei tu» (pag. 86). Soltanto io,pur nella mia individualità, sono egoità, giacchè non c'ènulla dell'id in me con me; nel tu c'è l'id, che viene nonsolo a turbare l'egoità ma a sopprimerla. Tu, infatti, nonsei che un id, a cui io attribuisco quel concetto di egoitàche io trovo in me stesso. Tu sei posto da me, appuntoperchè sei tu. Tu quindi non sei ego e non sei id; sei unfalso id, perchè mascherato da ego, e un mendace egoperchè costituito di id.

Io, quindi, sì, sono un prodotto sintetico, e quindi nontetico, non assoluto, non incondizionato, ma sono l'uni-co prodotto della egoità pura; egoità pura, che possoquindi raggiungere, perchè posso dividere ciò che hocombinato, analizzare ciò che ho sintetizzato, rompermicome prodotto per trovarne il fattore genetico. «Da que-sto prodotto di una sintesi rappresentativa si può sempresenza dubbio astrarre; giacchè ciò che si è spontanea-mente sintetizzato, si deve ben poter anche rianalizzare;ciò che rimane dopo questa astrazione è l'Io in generalecioè il non oggetto» (pag. 86).

Cioè, aggiungiamo noi, rimane quella Egoità incondi-zionata e tetica come l'Id a cui originariamente essa sioppone.

Non starò ad analizzarlo, ma è bene che metta in evi-denza, giacchè spesso si suole non vederlo o negarlo, ilrealismo che qui si profila nella dottrina fichtiana, e chefa questa tanto vicina al realismo critico (che è ideali-smo trascendentale) di Kant. C'è per Fichte un id, un

99

sono io»: laddove «il posto nello stesso atto da me, enon da se stesso, come Io, sei tu» (pag. 86). Soltanto io,pur nella mia individualità, sono egoità, giacchè non c'ènulla dell'id in me con me; nel tu c'è l'id, che viene nonsolo a turbare l'egoità ma a sopprimerla. Tu, infatti, nonsei che un id, a cui io attribuisco quel concetto di egoitàche io trovo in me stesso. Tu sei posto da me, appuntoperchè sei tu. Tu quindi non sei ego e non sei id; sei unfalso id, perchè mascherato da ego, e un mendace egoperchè costituito di id.

Io, quindi, sì, sono un prodotto sintetico, e quindi nontetico, non assoluto, non incondizionato, ma sono l'uni-co prodotto della egoità pura; egoità pura, che possoquindi raggiungere, perchè posso dividere ciò che hocombinato, analizzare ciò che ho sintetizzato, rompermicome prodotto per trovarne il fattore genetico. «Da que-sto prodotto di una sintesi rappresentativa si può sempresenza dubbio astrarre; giacchè ciò che si è spontanea-mente sintetizzato, si deve ben poter anche rianalizzare;ciò che rimane dopo questa astrazione è l'Io in generalecioè il non oggetto» (pag. 86).

Cioè, aggiungiamo noi, rimane quella Egoità incondi-zionata e tetica come l'Id a cui originariamente essa sioppone.

Non starò ad analizzarlo, ma è bene che metta in evi-denza, giacchè spesso si suole non vederlo o negarlo, ilrealismo che qui si profila nella dottrina fichtiana, e chefa questa tanto vicina al realismo critico (che è ideali-smo trascendentale) di Kant. C'è per Fichte un id, un

99

Page 100: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Obiekt, che è fuori della egoità pura, ed è, come questa,tetico, incondizionato, assoluto; ma l'egoità, propriocome tetica incondizionata ed assoluta è «attività rien-trante in sè, soggetto-oggettività o com'altro dir si vo-glia». L'oggettività adunque di questa attività rientrantein sè, non è l'id, l'oggetto che si pone incondizionato difronte e fuori di questa egoità. L'oggettività rappresenta-tiva non è l'oggettività in sè nella assoluta sua esclusio-ne dal soggetto; è soltanto quell'oggettività formale cheabbiam visto (§ 12) dovrà diventare negativa anch'essa,quando si sarà riconosciuto lo schietto valore negativodell'oggettività in sè.

Da questa realistica opposizione fondamentale tetica,e non sintetica, da questa opposizione che determina.quell'urto, dal quale il F. fa cominciare ogni libera attivi-tà dell'Io, sono dunque qui tratte due deduzioni:

1° Il generarsi dalla tetica ed assoluta egoità pura,che senza quell'urto sarebbe rimasta inesplicata nellasua natura di egoità, di attività rientrante in sè, il gene-rarsi della persona individuale come attuale sinteticità.

2° La determinazione di tale persona individualecome l'Io che sono io, in quanto escludo tutti i tu daquesta schietta sinteticità della persona individuale.

È quindi posto già qui, con chiarezza inequivocabile,quello che sarà poi, direi, il necessario equivoco e la dif-ficoltà fondamentale di tutto l'idealismo post-kantiano:l'inevitabile chiudersi dell'Unico Io assoluto in un io de-terminato individuale che deve di necessità scambiare lapropria determinata individualità singolare, necessaria-

100

Obiekt, che è fuori della egoità pura, ed è, come questa,tetico, incondizionato, assoluto; ma l'egoità, propriocome tetica incondizionata ed assoluta è «attività rien-trante in sè, soggetto-oggettività o com'altro dir si vo-glia». L'oggettività adunque di questa attività rientrantein sè, non è l'id, l'oggetto che si pone incondizionato difronte e fuori di questa egoità. L'oggettività rappresenta-tiva non è l'oggettività in sè nella assoluta sua esclusio-ne dal soggetto; è soltanto quell'oggettività formale cheabbiam visto (§ 12) dovrà diventare negativa anch'essa,quando si sarà riconosciuto lo schietto valore negativodell'oggettività in sè.

Da questa realistica opposizione fondamentale tetica,e non sintetica, da questa opposizione che determina.quell'urto, dal quale il F. fa cominciare ogni libera attivi-tà dell'Io, sono dunque qui tratte due deduzioni:

1° Il generarsi dalla tetica ed assoluta egoità pura,che senza quell'urto sarebbe rimasta inesplicata nellasua natura di egoità, di attività rientrante in sè, il gene-rarsi della persona individuale come attuale sinteticità.

2° La determinazione di tale persona individualecome l'Io che sono io, in quanto escludo tutti i tu daquesta schietta sinteticità della persona individuale.

È quindi posto già qui, con chiarezza inequivocabile,quello che sarà poi, direi, il necessario equivoco e la dif-ficoltà fondamentale di tutto l'idealismo post-kantiano:l'inevitabile chiudersi dell'Unico Io assoluto in un io de-terminato individuale che deve di necessità scambiare lapropria determinata individualità singolare, necessaria-

100

Page 101: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

mente non unica propria, perchè singolare, con l'Assolu-ta Unicità dell'Io.

23. Critica dell'Io individuale di Fichte.

Cerchiamo di vedere con chiarezza la insuperabiledifficoltà in cui F. si chiude con queste due deduzioni.

L'io come persona individuale non è l'Io incondizio-nato, l'Egoità pura, tetica non sintetica. La persona indi-viduale, che pur è soltanto io e non tu, non è la stessaegoità.

Devesi però, secondo quello che abbiamo riportato,distinguere tra le altre persone e la mia. Le altre personetutte quante, i tu, sono una falsificazione: falsificazione,dico, e non fenomenizzazione. Giacchè questa importail permanere dell'id come oggetto rappresentato; laddo-ve le altre persone, i tu, sono l'id posti da me come io.Solo la mia persona è l'io posto da me come io; al fondodi questa io ritrovo l'egoità pura, la quale non sonosenz'altro io che sono un sintetico prodotto per quantospontaneo.

Ora questa mia cara persona (il caro io di Kant) è per-sona individuale o no? E più precisamente questo io sin-tetico nascente dalla egoità è quel caro io di Kant,quell'io al quale Kant non vuole si accordi fiducia, per-chè fenomenico, empirico, patologico?

Se sì, è individuo, soggetto empirico, come tutte le al-tre persone, e quindi, proprio perchè nella sua singolari-

101

mente non unica propria, perchè singolare, con l'Assolu-ta Unicità dell'Io.

23. Critica dell'Io individuale di Fichte.

Cerchiamo di vedere con chiarezza la insuperabiledifficoltà in cui F. si chiude con queste due deduzioni.

L'io come persona individuale non è l'Io incondizio-nato, l'Egoità pura, tetica non sintetica. La persona indi-viduale, che pur è soltanto io e non tu, non è la stessaegoità.

Devesi però, secondo quello che abbiamo riportato,distinguere tra le altre persone e la mia. Le altre personetutte quante, i tu, sono una falsificazione: falsificazione,dico, e non fenomenizzazione. Giacchè questa importail permanere dell'id come oggetto rappresentato; laddo-ve le altre persone, i tu, sono l'id posti da me come io.Solo la mia persona è l'io posto da me come io; al fondodi questa io ritrovo l'egoità pura, la quale non sonosenz'altro io che sono un sintetico prodotto per quantospontaneo.

Ora questa mia cara persona (il caro io di Kant) è per-sona individuale o no? E più precisamente questo io sin-tetico nascente dalla egoità è quel caro io di Kant,quell'io al quale Kant non vuole si accordi fiducia, per-chè fenomenico, empirico, patologico?

Se sì, è individuo, soggetto empirico, come tutte le al-tre persone, e quindi, proprio perchè nella sua singolari-

101

Page 102: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tà si distingue da esse, è proprio come esse; io sono untu tra gli infiniti io, come tu sei un io tra gli infiniti tu. Eper un verso pare che il pensiero di Fichte sia e debbaessere proprio questo. Se il tu nella sua distinzionedall'altro è individualità, la quale in quanto tale non èl'Io e neppure io («individuo cioè la vostra cara personae le altre persone.» pag. 85), ma è soltanto una falsifica-zione dell'id, anche la mia cara persona, proprio perchècara, non può essere che individuale e quindi in fondonon essere io. L'io sintetico sarà un soggetto empiricotra i tanti soggetti empirici, cioè, in verità, non sarà Ioneppur esso, anch'esso sarà una falsificazione dell'Io edell'Id. L'Io puro, l'Egoità rimane di là dalle persone,inaccessibile anche più di quanto l'aveva posto Kant,perchè inaccessibile anche nell'azione se è vero chel'agente è l'Io nella sua concreta sinteticità di persona.La persona non è Io, anche quando si dice tale.

Se poi quell'Io sintetico che io sono, non è la mia carapersona di Kant, non è individualità falsificatrice dell'idche maschera da persona, ma è proprio il personificarsidella Egoità pura, della pura ragione; se così è, siccomeio sono una persona solo in quanto trovo di fronte a mealtre persone i tu, queste, in quanto persone, sarannoanch'esse personificazioni della Egoità pura e della ra-gione quanto e come io sono. Ed anche questo, per unaltro verso, pare che sia e debba essere il pensiero di Fi-chte. Egli infatti, non solo presentandoci il concetto diindividualità ritrova questa nell'io, cioè in ciò che ponesè come Io, e quindi è l'io puro di Kant, ma anche, quan-

102

tà si distingue da esse, è proprio come esse; io sono untu tra gli infiniti io, come tu sei un io tra gli infiniti tu. Eper un verso pare che il pensiero di Fichte sia e debbaessere proprio questo. Se il tu nella sua distinzionedall'altro è individualità, la quale in quanto tale non èl'Io e neppure io («individuo cioè la vostra cara personae le altre persone.» pag. 85), ma è soltanto una falsifica-zione dell'id, anche la mia cara persona, proprio perchècara, non può essere che individuale e quindi in fondonon essere io. L'io sintetico sarà un soggetto empiricotra i tanti soggetti empirici, cioè, in verità, non sarà Ioneppur esso, anch'esso sarà una falsificazione dell'Io edell'Id. L'Io puro, l'Egoità rimane di là dalle persone,inaccessibile anche più di quanto l'aveva posto Kant,perchè inaccessibile anche nell'azione se è vero chel'agente è l'Io nella sua concreta sinteticità di persona.La persona non è Io, anche quando si dice tale.

Se poi quell'Io sintetico che io sono, non è la mia carapersona di Kant, non è individualità falsificatrice dell'idche maschera da persona, ma è proprio il personificarsidella Egoità pura, della pura ragione; se così è, siccomeio sono una persona solo in quanto trovo di fronte a mealtre persone i tu, queste, in quanto persone, sarannoanch'esse personificazioni della Egoità pura e della ra-gione quanto e come io sono. Ed anche questo, per unaltro verso, pare che sia e debba essere il pensiero di Fi-chte. Egli infatti, non solo presentandoci il concetto diindividualità ritrova questa nell'io, cioè in ciò che ponesè come Io, e quindi è l'io puro di Kant, ma anche, quan-

102

Page 103: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

do vuole farsi intendere, non ci parla soltanto dell'oppo-sizione dell'ego all'id, ma accanto a questa pone pursempre una opposizione con gli altri. «Quando si dice:io sono il pensante in questo pensiero, io mi contrappon-go forse solo alle altre persone fuori di me o non piutto-sto a tutto il pensato» (pag. 87)? E così altrove. È verodunque, che, secondo Fichte, io, quando dico Io, micontrappongo all'oggetto più che alle altre persone, equesta contrapposizione all'oggetto caratterizza questodirmi io, ma è vero anche che la stessa distinzione tra lacontrapposizione all'oggetto e quella alle altre personeimporta che queste altre persone siano ammesse cometali. Altrimenti si avrebbe soltanto la contrapposizionetra l'io, anche nella sua sinteticità personale, e l'id. E in-vece F., per quanto ponga l'essenza dell'io nel contrap-porsi a tutto il pensato (cioè nella sua sinteticità), lopone anche come contrapponentesi ad altre contrapposi-zioni (persone) come quella che costituisce lui. Ci sonoquindi le altre persone che non sono soltanto il pensatoda me, quel pensato che è l'id ricreato in se stesso dallostesso io. E se caratteristica della persona che sono io, èil fondarsi unicamente nella egoità, contrapponendosi,come questa richiede, all'oggetto, mediante l'interiore espontanea ricreazione dell'id, è chiaro che anche questealtre persone dalle quali io mi distinguo, porranno sècon tale contrapposizione, anch'esse si contrapporrannoall'oggetto mediante una interiore e spontanea ricreazio-ne dell'id; o altrimenti persone non saranno. E non es-sendo tali, rientrando puramente e semplicemente nel

103

do vuole farsi intendere, non ci parla soltanto dell'oppo-sizione dell'ego all'id, ma accanto a questa pone pursempre una opposizione con gli altri. «Quando si dice:io sono il pensante in questo pensiero, io mi contrappon-go forse solo alle altre persone fuori di me o non piutto-sto a tutto il pensato» (pag. 87)? E così altrove. È verodunque, che, secondo Fichte, io, quando dico Io, micontrappongo all'oggetto più che alle altre persone, equesta contrapposizione all'oggetto caratterizza questodirmi io, ma è vero anche che la stessa distinzione tra lacontrapposizione all'oggetto e quella alle altre personeimporta che queste altre persone siano ammesse cometali. Altrimenti si avrebbe soltanto la contrapposizionetra l'io, anche nella sua sinteticità personale, e l'id. E in-vece F., per quanto ponga l'essenza dell'io nel contrap-porsi a tutto il pensato (cioè nella sua sinteticità), lopone anche come contrapponentesi ad altre contrapposi-zioni (persone) come quella che costituisce lui. Ci sonoquindi le altre persone che non sono soltanto il pensatoda me, quel pensato che è l'id ricreato in se stesso dallostesso io. E se caratteristica della persona che sono io, èil fondarsi unicamente nella egoità, contrapponendosi,come questa richiede, all'oggetto, mediante l'interiore espontanea ricreazione dell'id, è chiaro che anche questealtre persone dalle quali io mi distinguo, porranno sècon tale contrapposizione, anch'esse si contrapporrannoall'oggetto mediante una interiore e spontanea ricreazio-ne dell'id; o altrimenti persone non saranno. E non es-sendo tali, rientrando puramente e semplicemente nel

103

Page 104: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

pensato, non ci sarebbe più ragione perchè io mi con-trapponessi ad esse oltrechè allo stesso pensato. È chia-ro cioè che anche i tu saranno io, come io sono, e nonsaranno invece quella falsificazione dell'id, che sopraabbiam descritta. I tu non saranno teste di legno, che io,avendo ipotecato per per me tutta l'egoità, avrei vestiteda persone, per darmi l'aria di avere dei compagni coiquali discutere, e che, teste di legno come sono, natural-mente direbbero quel che io volessi far dire loro.

O dunque l'io sintetico individuale non c'è neppurecome io, perchè anche l'io sintetico è soltanto una «carapersona» e basta; e Fichte non ci avrebbe dato quella ge-nesi del concetto dell'io individuale come Io: avrebbepuramente e semplicemente negata l'individualità.L'egoità sarebbe rimasta inattingibile: io sono una falsapersona come le altre. O l'io individuale (in questo suosintetizzarsi e così opporsi al pensato, e costituire la suapersonale individualità, nascente dalla egoità), si distin-gui da altre persone, e allora queste, i tu, saranno deglialtri io, non saranno posti da me come Io.

In breve o anche io come individuo sono una falsifi-cazione insieme dell'id e della egoità (falsificazione po-sta da un maligno Dio, del quale Cartesio invano avreb-be dimostrata l'impossibilità) e sono quindi un id che micredo un ego; o tutte le altre persone che io riconoscotali, sono anch'esse io. O tutte «le individualità» sono«accidentali», tutte «le personalità» «mezzi», «modiparticolari che devono perdersi nella forma universale»,che è la sola ed unica ed assoluta egoità che da quei

104

pensato, non ci sarebbe più ragione perchè io mi con-trapponessi ad esse oltrechè allo stesso pensato. È chia-ro cioè che anche i tu saranno io, come io sono, e nonsaranno invece quella falsificazione dell'id, che sopraabbiam descritta. I tu non saranno teste di legno, che io,avendo ipotecato per per me tutta l'egoità, avrei vestiteda persone, per darmi l'aria di avere dei compagni coiquali discutere, e che, teste di legno come sono, natural-mente direbbero quel che io volessi far dire loro.

O dunque l'io sintetico individuale non c'è neppurecome io, perchè anche l'io sintetico è soltanto una «carapersona» e basta; e Fichte non ci avrebbe dato quella ge-nesi del concetto dell'io individuale come Io: avrebbepuramente e semplicemente negata l'individualità.L'egoità sarebbe rimasta inattingibile: io sono una falsapersona come le altre. O l'io individuale (in questo suosintetizzarsi e così opporsi al pensato, e costituire la suapersonale individualità, nascente dalla egoità), si distin-gui da altre persone, e allora queste, i tu, saranno deglialtri io, non saranno posti da me come Io.

In breve o anche io come individuo sono una falsifi-cazione insieme dell'id e della egoità (falsificazione po-sta da un maligno Dio, del quale Cartesio invano avreb-be dimostrata l'impossibilità) e sono quindi un id che micredo un ego; o tutte le altre persone che io riconoscotali, sono anch'esse io. O tutte «le individualità» sono«accidentali», tutte «le personalità» «mezzi», «modiparticolari che devono perdersi nella forma universale»,che è la sola ed unica ed assoluta egoità che da quei

104

Page 105: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

modi accidentali non è nè raggiunta nè attuata, perchècotesto raggiungimento è fatto da persone che non sonotali; o questo raggiungimento c'è e allora quei modi par-ticolari devono tutti, come tali, avere lo stesso valore dimezzi, tutti come tali devono essere presupposti comeindividuazioni della egoità: l'io non sarà che un tu, e nonsarà affatto unico, ogni tu sarà anche un io. O il pensaredunque è una grande, infinita menzogna in questo con-trapporsi del pensante al pensato, giacchè il pensantestesso è un pensato, un id amato come un ego; o tutti ipensanti sono io, proprio in quanto reciprocamente di-stinguentisi, e quindi negano l'unicità dell'io come tale.

Da questa ambiguità propria della dottrina kantianaFichte non esce, appunto perchè non si eleva veramentea porre il problema della individualità, che supponequello della pura alterità degli io. E quindi ancora perFichte, quantunque un pò meno che per Kant, gli io ri-mangono da una parte ammessi dogmaticamente comemolti, e dall'altra implicitamente negati come tali, inquanto non si sapeva concepire altra moltiplicità chequella che la Critica dimostrava empirica e fenomenica.Dopo Fichte non si è fatto che negare quella ammissio-ne dogmatica della molteplicità degl'io senza sapersielevare dalla stessa molteplicità fenomenica della Criti-ca alla esigenza da cui essa nasce e quindi alla giustifi-cazione critica della molteplicità di coscienza.

Fichte non ha dimostrato che era falso quello che glisi opponeva, che cioè «quando io astraggo dalla perso-

105

modi accidentali non è nè raggiunta nè attuata, perchècotesto raggiungimento è fatto da persone che non sonotali; o questo raggiungimento c'è e allora quei modi par-ticolari devono tutti, come tali, avere lo stesso valore dimezzi, tutti come tali devono essere presupposti comeindividuazioni della egoità: l'io non sarà che un tu, e nonsarà affatto unico, ogni tu sarà anche un io. O il pensaredunque è una grande, infinita menzogna in questo con-trapporsi del pensante al pensato, giacchè il pensantestesso è un pensato, un id amato come un ego; o tutti ipensanti sono io, proprio in quanto reciprocamente di-stinguentisi, e quindi negano l'unicità dell'io come tale.

Da questa ambiguità propria della dottrina kantianaFichte non esce, appunto perchè non si eleva veramentea porre il problema della individualità, che supponequello della pura alterità degli io. E quindi ancora perFichte, quantunque un pò meno che per Kant, gli io ri-mangono da una parte ammessi dogmaticamente comemolti, e dall'altra implicitamente negati come tali, inquanto non si sapeva concepire altra moltiplicità chequella che la Critica dimostrava empirica e fenomenica.Dopo Fichte non si è fatto che negare quella ammissio-ne dogmatica della molteplicità degl'io senza sapersielevare dalla stessa molteplicità fenomenica della Criti-ca alla esigenza da cui essa nasce e quindi alla giustifi-cazione critica della molteplicità di coscienza.

Fichte non ha dimostrato che era falso quello che glisi opponeva, che cioè «quando io astraggo dalla perso-

105

Page 106: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

nalità individuale, non mi rimane proprio nulla che deb-ba essere caratterizzato come io».

Tutto lo sforzo di F. per far nascere l'io sintetico, nelquale si possa riconoscere l'io puro, si è arenato controlo scoglio dei tu, che pur, con la loro presenza, stavanoad indicare chiaramente la vera natura dell'ego cometale, cioè la individualità molteplice, l'alterità pura. Ri-conoscere questa natura F. non poteva, proprio perchècominciava, d'accordo con i suoi oppositori, col porreun id al di là degli ego.

24. L'alterità nella egoità pura.

L'errore fondamentale di Fichte in questa presentazio-ne «della originaria sintesi reale del concetto di indivi-duo (la nostra cara persona e le altre)» sta proprio nelnon vedere, sotto il problema della individualità empiri-ca, il problema dell'egoità. Non può vederlo, proprioperchè non concepisce positivamente l'oggetto, e nelcampo stesso della coscienza. L'oggetto è per lui quellosconosciutissimo id dell'urto originario, che nella co-scienza dell'io diventa negazione. Quindi l'impossibilitàin cui si trova di risolvere il problema della individuali-tà: non può riportare questa, che proprio come io richie-de molteplicità di coscienza, ad un'oggettiva unità, chesia in questi io individuata. Questa oggettiva unità sa-rebbe non coscienza; e questa, per individuarsi che fac-cia, non sarà mai coscienza.

106

nalità individuale, non mi rimane proprio nulla che deb-ba essere caratterizzato come io».

Tutto lo sforzo di F. per far nascere l'io sintetico, nelquale si possa riconoscere l'io puro, si è arenato controlo scoglio dei tu, che pur, con la loro presenza, stavanoad indicare chiaramente la vera natura dell'ego cometale, cioè la individualità molteplice, l'alterità pura. Ri-conoscere questa natura F. non poteva, proprio perchècominciava, d'accordo con i suoi oppositori, col porreun id al di là degli ego.

24. L'alterità nella egoità pura.

L'errore fondamentale di Fichte in questa presentazio-ne «della originaria sintesi reale del concetto di indivi-duo (la nostra cara persona e le altre)» sta proprio nelnon vedere, sotto il problema della individualità empiri-ca, il problema dell'egoità. Non può vederlo, proprioperchè non concepisce positivamente l'oggetto, e nelcampo stesso della coscienza. L'oggetto è per lui quellosconosciutissimo id dell'urto originario, che nella co-scienza dell'io diventa negazione. Quindi l'impossibilitàin cui si trova di risolvere il problema della individuali-tà: non può riportare questa, che proprio come io richie-de molteplicità di coscienza, ad un'oggettiva unità, chesia in questi io individuata. Questa oggettiva unità sa-rebbe non coscienza; e questa, per individuarsi che fac-cia, non sarà mai coscienza.

106

Page 107: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Fichte, non avendo penetrata la concretezza scopertada Kant, non concepisce che proprio l'egoità come talepossa e debba trovare il suo essere in un oggettivo id.Vuol fondare l'egoità empirica in una egoità metempiri-ca, e non riesce ad altro che a far perdere, contraddicen-dosi, ogni carattere di egoità a quelle individuali perso-ne, per riconoscerlo solo nell'unica assoluta egoità me-tempirica, che appunto per questa sua unicità io non puòessere.

Di qui tutti gli equivoci dei cosiddetti soggetti empiri-ci nell'idealismo trascendentale ed il continuo inavverti-to passaggio dal preteso soggetto trascendentale a quelloempirico di colui che parla.

Fichte da una parte nega l'individuazione all'Io, di-stingue nettamente tra individualità ed egoità. Questa,nella sua tetica assolutezza, non è individuale e pur ri-mane egoità: una schietta contraddizione. E così Fichte,proprio mentre vuol confutare i suoi contradittori attri-buendo loro l'opinione che l'individualità personale stiain un distinto id oggettivo e non cosciente, riduce pro-prio lui tali individualità personali a questo id, quandodà al tu la natura che abbiamo vista.

La vera egoità rimane non individuale. Un Io, che,per porsi come assoluto Io, non è affatto Io. Giacchè lanatura dell'Io è proprio l'alterità che è relatività, non as-solutezza. Da un tale relativo, elevato ad assoluto, nonpotevano nascere che io che non erano più tali: io empi-rici, cioè in verità non io ma cose dell'esperienza, i co-siddetti oggetti empirici. Nella cosiddetta empiricità, ve-

107

Fichte, non avendo penetrata la concretezza scopertada Kant, non concepisce che proprio l'egoità come talepossa e debba trovare il suo essere in un oggettivo id.Vuol fondare l'egoità empirica in una egoità metempiri-ca, e non riesce ad altro che a far perdere, contraddicen-dosi, ogni carattere di egoità a quelle individuali perso-ne, per riconoscerlo solo nell'unica assoluta egoità me-tempirica, che appunto per questa sua unicità io non puòessere.

Di qui tutti gli equivoci dei cosiddetti soggetti empiri-ci nell'idealismo trascendentale ed il continuo inavverti-to passaggio dal preteso soggetto trascendentale a quelloempirico di colui che parla.

Fichte da una parte nega l'individuazione all'Io, di-stingue nettamente tra individualità ed egoità. Questa,nella sua tetica assolutezza, non è individuale e pur ri-mane egoità: una schietta contraddizione. E così Fichte,proprio mentre vuol confutare i suoi contradittori attri-buendo loro l'opinione che l'individualità personale stiain un distinto id oggettivo e non cosciente, riduce pro-prio lui tali individualità personali a questo id, quandodà al tu la natura che abbiamo vista.

La vera egoità rimane non individuale. Un Io, che,per porsi come assoluto Io, non è affatto Io. Giacchè lanatura dell'Io è proprio l'alterità che è relatività, non as-solutezza. Da un tale relativo, elevato ad assoluto, nonpotevano nascere che io che non erano più tali: io empi-rici, cioè in verità non io ma cose dell'esperienza, i co-siddetti oggetti empirici. Nella cosiddetta empiricità, ve-

107

Page 108: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

demmo, i soggetti e gli oggetti dell'esperienza devonofar uno. Tolto l'oggetto perchè lo si è sostituito col sog-getto, anche tutti i soggetti scompaiono.

Eppure Fichte voleva proprio darci «l'originaria sinte-si reale del concetto di individuo» mostrando falsa quel-la sostenuta dai suoi oppositori. E perciò si affannadall'altra parte a far nascere da questo non individuale Ioassoluto un io individuo, e non riesce che, abbiamo vi-sto, alla identificazione di un particolare io fenomenicocon la stessa assoluta egoità. L'io individuale non nasce:non può nascere, se non nasce insieme col tu, e se non siriconosce proprio all'io ed al tu quel carattere di sogget-tività pura, che abbiamo invece trasferito là dove non c'èun tu.

Fichte non vede l'egoità nella individualità moltepli-ce; riduce questa soltanto a particolare personalità empi-rica. Resta così esclusa dal campo spirituale la moltepli-cità, e dai problemi trascendentali quello della indivi-duazione.

L'individualità, in quella che Fichte direbbe «sintesireale originaria del suo concetto» e che noi più sempli-cemente diciamo individualità come tale, cioè indivi-dualità nella coscienza concreta, esige la singolarità nel-la coscienza, e appunto tale singolarità è l'io. Il proble-ma dell'individualità non possiamo risolvere, se nonsoddisfiamo questa esigenza.

L'io singolare è condizione trascendentale del con-creto tanto quanto l'oggetto universale.

108

demmo, i soggetti e gli oggetti dell'esperienza devonofar uno. Tolto l'oggetto perchè lo si è sostituito col sog-getto, anche tutti i soggetti scompaiono.

Eppure Fichte voleva proprio darci «l'originaria sinte-si reale del concetto di individuo» mostrando falsa quel-la sostenuta dai suoi oppositori. E perciò si affannadall'altra parte a far nascere da questo non individuale Ioassoluto un io individuo, e non riesce che, abbiamo vi-sto, alla identificazione di un particolare io fenomenicocon la stessa assoluta egoità. L'io individuale non nasce:non può nascere, se non nasce insieme col tu, e se non siriconosce proprio all'io ed al tu quel carattere di sogget-tività pura, che abbiamo invece trasferito là dove non c'èun tu.

Fichte non vede l'egoità nella individualità moltepli-ce; riduce questa soltanto a particolare personalità empi-rica. Resta così esclusa dal campo spirituale la moltepli-cità, e dai problemi trascendentali quello della indivi-duazione.

L'individualità, in quella che Fichte direbbe «sintesireale originaria del suo concetto» e che noi più sempli-cemente diciamo individualità come tale, cioè indivi-dualità nella coscienza concreta, esige la singolarità nel-la coscienza, e appunto tale singolarità è l'io. Il proble-ma dell'individualità non possiamo risolvere, se nonsoddisfiamo questa esigenza.

L'io singolare è condizione trascendentale del con-creto tanto quanto l'oggetto universale.

108

Page 109: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Oggetto universale, che non è affatto l'id nè dei con-tradittori di Fichte, nè di Fichte stesso, perchè è coscien-za anch'esso e non negazione di coscienza: è la coscien-za nell'assoluta sua unicità.

Io singolare, che non è il soggetto particolare risultan-te dall'esperienza, della quale invece quell'io singolare ècondizione in quanto esigenza della stessa coscienza, incui l'esperienza ha luogo.

La concretezza è coscienza, e la coscienza è consape-volezza che i soggetti hanno dell'Oggetto, il singolaredell'Universale, il molteplice dell'Unico, il relativodell'Assoluto.

Questa coscienza risultò impossibile alla Critica diKant, solo perchè si poneva l'oggetto come altro.

25. L'alterità riconosciuta nella egoità anche con l'uso linguistico.

Queste affermazioni ci aprono la via a discutere quel-la che possiamo dire la seconda interpretazione che Fi-chte fa della obiezione, e cioè che essa riguardi soltantol'uso linguistico. Ci interessa di esaminare anche questaper vedere quanto valga la ragione da Fichte addotta perribatterla. Ragione che, a nostro avviso, mette a nudo,direi, la connivenza di Fichte col realismo e naturalismodei suoi contradittori.

Non è vero, dice Fichte, che o nel linguaggio filosofi-co o in quello comune noi adoperiamo la parola io per

109

Oggetto universale, che non è affatto l'id nè dei con-tradittori di Fichte, nè di Fichte stesso, perchè è coscien-za anch'esso e non negazione di coscienza: è la coscien-za nell'assoluta sua unicità.

Io singolare, che non è il soggetto particolare risultan-te dall'esperienza, della quale invece quell'io singolare ècondizione in quanto esigenza della stessa coscienza, incui l'esperienza ha luogo.

La concretezza è coscienza, e la coscienza è consape-volezza che i soggetti hanno dell'Oggetto, il singolaredell'Universale, il molteplice dell'Unico, il relativodell'Assoluto.

Questa coscienza risultò impossibile alla Critica diKant, solo perchè si poneva l'oggetto come altro.

25. L'alterità riconosciuta nella egoità anche con l'uso linguistico.

Queste affermazioni ci aprono la via a discutere quel-la che possiamo dire la seconda interpretazione che Fi-chte fa della obiezione, e cioè che essa riguardi soltantol'uso linguistico. Ci interessa di esaminare anche questaper vedere quanto valga la ragione da Fichte addotta perribatterla. Ragione che, a nostro avviso, mette a nudo,direi, la connivenza di Fichte col realismo e naturalismodei suoi contradittori.

Non è vero, dice Fichte, che o nel linguaggio filosofi-co o in quello comune noi adoperiamo la parola io per

109

Page 110: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

indicare l'individualità pensante nella sua distinzionedall'altra individualità: l'adopriamo invece per indicarela contrapposizione del pensante all'oggetto. È io, quin-di, sia l'Io assoluto, l'Egoità assoluta nella sua teticacontrapposizione non sintetizzabile con l'Id, sia l'io sin-tetico nel suo opporre a se stesso un id che come sua ne-gazione esso pone in se stesso. Io significa coscienzapresentata come opposizione soggetto-oggetto. È il pre-supposto comune ancora a tutto l'idealismo nato daKant, anche se, come fa l'attualismo, si annulla quellaoriginaria opposizione tetica di Fichte per porre comeassoluto atto l'Io sintetico del pensante col suo pensatoin cui il pensante si nega. La coscienza è presentata pu-ramente e semplicemente come Io. La ragione nascostal'abbiam resa evidente: il non-io; l'oggetto è realistica-mente continuato a concepire come non coscienza.

Quella che per F. sarebbe quindi quistione soltanto diuso linguistico, non è affatto nè sola quistione di parole,nè problema puramente psicologico.

Comunque, è vero che, per la nostra coscienza con-creta, io, in quanto tale, vuol dire il contrapporsi delsoggetto all'oggetto, (sia questo la realtà non apparte-nente alla coscienza del realismo o il pensato non pen-sante dell'idealismo, espressioni che, per quanto diverse,rispondono alla stessa concezione dell'oggetto)?

Checchè sia questa soggetto-oggettività, contrapposi-zione o attiva inerenza, implicazione o mediazione, in-tuizione o giudizio ecc. (v. § 48), essa caratterizza la co-scienza, ma non caratterizza l'io come tale. Questo pre-

110

indicare l'individualità pensante nella sua distinzionedall'altra individualità: l'adopriamo invece per indicarela contrapposizione del pensante all'oggetto. È io, quin-di, sia l'Io assoluto, l'Egoità assoluta nella sua teticacontrapposizione non sintetizzabile con l'Id, sia l'io sin-tetico nel suo opporre a se stesso un id che come sua ne-gazione esso pone in se stesso. Io significa coscienzapresentata come opposizione soggetto-oggetto. È il pre-supposto comune ancora a tutto l'idealismo nato daKant, anche se, come fa l'attualismo, si annulla quellaoriginaria opposizione tetica di Fichte per porre comeassoluto atto l'Io sintetico del pensante col suo pensatoin cui il pensante si nega. La coscienza è presentata pu-ramente e semplicemente come Io. La ragione nascostal'abbiam resa evidente: il non-io; l'oggetto è realistica-mente continuato a concepire come non coscienza.

Quella che per F. sarebbe quindi quistione soltanto diuso linguistico, non è affatto nè sola quistione di parole,nè problema puramente psicologico.

Comunque, è vero che, per la nostra coscienza con-creta, io, in quanto tale, vuol dire il contrapporsi delsoggetto all'oggetto, (sia questo la realtà non apparte-nente alla coscienza del realismo o il pensato non pen-sante dell'idealismo, espressioni che, per quanto diverse,rispondono alla stessa concezione dell'oggetto)?

Checchè sia questa soggetto-oggettività, contrapposi-zione o attiva inerenza, implicazione o mediazione, in-tuizione o giudizio ecc. (v. § 48), essa caratterizza la co-scienza, ma non caratterizza l'io come tale. Questo pre-

110

Page 111: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

suppone quella, e ridurlo senz'altro soltanto a quella,non è darcene il concetto. Senza coscienza non v'ha io:d'accordo. Ma si vuol appunto sapere che cosa è l'io nel-la coscienza. Identificarli, abbiam visto, presuppone ta-cito il pregiudizio realistico del concetto di oggettocome non coscienza.

È quindi realistico e non idealistico il comune presup-posto dell'idealismo, della negatività (o passività, che èlo stesso) dell'oggetto. Per questo presupposto l'Io, comesoggetto che è coscienza la quale è contrappostaall'essere, viene ad essere privato di essere, non è; e l'idcome oggetto che è essere contrapposto alla coscienza,viene ad essere escluso dalla coscienza. Togliete la con-cezione realistica dell'oggetto, elevatevi a quella conce-zione che dell'oggettività la concretezza richiede, e ilconcetto della coscienza, implicando in sè anche il con-cetto dell'oggetto, non come sua negazione ma come suaaffermazione anche esso, vi costringerà a porre nella co-scienza accanto al problema dell'oggetto il problema delsoggetto. L'io allora non sarà più sic et simpliciter iden-tificabile con la coscienza. E qui trattasi di determinareproprio il valore dell'io e non quello della coscienza.

Ora, contro l'opinione di Fichte, nella coscienza co-mune chi dice io, lungi dal volersi contrapporre all'idpiù che distinguersi dalle altre persone, lungi cioè dalvoler afferrare una generica coscienza, vuole proprio af-fermare la distinzione di sè nella propria coscienza dallealtre persone. Io sta ad indicare proprio nella coscienzal'attività reciproca, e quindi la singolarità in essa. Chi

111

suppone quella, e ridurlo senz'altro soltanto a quella,non è darcene il concetto. Senza coscienza non v'ha io:d'accordo. Ma si vuol appunto sapere che cosa è l'io nel-la coscienza. Identificarli, abbiam visto, presuppone ta-cito il pregiudizio realistico del concetto di oggettocome non coscienza.

È quindi realistico e non idealistico il comune presup-posto dell'idealismo, della negatività (o passività, che èlo stesso) dell'oggetto. Per questo presupposto l'Io, comesoggetto che è coscienza la quale è contrappostaall'essere, viene ad essere privato di essere, non è; e l'idcome oggetto che è essere contrapposto alla coscienza,viene ad essere escluso dalla coscienza. Togliete la con-cezione realistica dell'oggetto, elevatevi a quella conce-zione che dell'oggettività la concretezza richiede, e ilconcetto della coscienza, implicando in sè anche il con-cetto dell'oggetto, non come sua negazione ma come suaaffermazione anche esso, vi costringerà a porre nella co-scienza accanto al problema dell'oggetto il problema delsoggetto. L'io allora non sarà più sic et simpliciter iden-tificabile con la coscienza. E qui trattasi di determinareproprio il valore dell'io e non quello della coscienza.

Ora, contro l'opinione di Fichte, nella coscienza co-mune chi dice io, lungi dal volersi contrapporre all'idpiù che distinguersi dalle altre persone, lungi cioè dalvoler afferrare una generica coscienza, vuole proprio af-fermare la distinzione di sè nella propria coscienza dallealtre persone. Io sta ad indicare proprio nella coscienzal'attività reciproca, e quindi la singolarità in essa. Chi

111

Page 112: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dice io, vuol proprio distinguersi dall'altro io cui dice tu,il che dire vuol dire proprio riconoscerlo come io, etutt'altro che un falso io messo da me come tale. Il tunon dice affatto quel che Fichte gli fa dire cioè un io chenon pone sè stesso come io ma è posto da un altro io.Per l'io invece è proprio necessitante il tu, cioè l'altro io,col quale egli è in rapporto di reciprocità.

Tu non vuol dire altro che riconoscimento esplicito diquella reciprocità sempre implicitamente affermata dachi dice io. Il tu quindi pone esplicitamente una esigen-za intrinseca dell'io, il quale così riconosce lo stesso ca-rattere di tu in se stesso: questo vuoi dire riduzionedell'egoità ad alterità di coscienza.

E questa essenza dell'io non è affatto rinnegatadall'uso comune della lingua.

Lasciamo stare l'uso filosofico, giacchè qui si trattaappunto di determinare il valore del concetto di io, e,messici su falsa strada, trarremo nell'uso filosofico a fal-sa significazione un vocabolo che in concreto è adopera-to esattamente. Fichte e tutti quelli che lo han seguito,ce ne darebbero un esempio, e non vogliamo certo con-testare loro nè il loro esser filosofi, nè il loro volere ado-perare la parola io nel senso che essi dicono. Soltantofaremmo le nostre riserve più ampie circa il conservarche essi facciano, nel loro concreto linguaggio, lo stessosignificato da loro filosoficamente attribuito all'io.

Lasciamo dunque stare l'uso filosofico. Ma è propriosicuro il F. che colui al quale il sarto sta cucendo i panniaddosso e per eccessivo zelo di precisa aderenza finisca

112

dice io, vuol proprio distinguersi dall'altro io cui dice tu,il che dire vuol dire proprio riconoscerlo come io, etutt'altro che un falso io messo da me come tale. Il tunon dice affatto quel che Fichte gli fa dire cioè un io chenon pone sè stesso come io ma è posto da un altro io.Per l'io invece è proprio necessitante il tu, cioè l'altro io,col quale egli è in rapporto di reciprocità.

Tu non vuol dire altro che riconoscimento esplicito diquella reciprocità sempre implicitamente affermata dachi dice io. Il tu quindi pone esplicitamente una esigen-za intrinseca dell'io, il quale così riconosce lo stesso ca-rattere di tu in se stesso: questo vuoi dire riduzionedell'egoità ad alterità di coscienza.

E questa essenza dell'io non è affatto rinnegatadall'uso comune della lingua.

Lasciamo stare l'uso filosofico, giacchè qui si trattaappunto di determinare il valore del concetto di io, e,messici su falsa strada, trarremo nell'uso filosofico a fal-sa significazione un vocabolo che in concreto è adopera-to esattamente. Fichte e tutti quelli che lo han seguito,ce ne darebbero un esempio, e non vogliamo certo con-testare loro nè il loro esser filosofi, nè il loro volere ado-perare la parola io nel senso che essi dicono. Soltantofaremmo le nostre riserve più ampie circa il conservarche essi facciano, nel loro concreto linguaggio, lo stessosignificato da loro filosoficamente attribuito all'io.

Lasciamo dunque stare l'uso filosofico. Ma è propriosicuro il F. che colui al quale il sarto sta cucendo i panniaddosso e per eccessivo zelo di precisa aderenza finisca

112

Page 113: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

col far uno, col proprio ago, della viva pelle e della stof-fa, è proprio sicuro il F. che il malcapitato quando grida:«Qui ci sono io», voglia soltanto contrapporsi alla stof-fa, ad un pensato non io, voglia «con questo io distin-guersi non dalle altre persone, ma dalle cose» (pag. 88)?Non consiglierei a chicchesia la prova sperimentale,giacchè è molto probabile che il «qui ci sono io» sareb-be accompagnato da un ceffone non dato alla stoffa oall'ago ma al maldestro sarto. Il «qui io» è gridato al sar-to, al quale si vuol far capire che non era precisamentequello in cui egli era caduto, di cucirgli la pelle inveceche il vestito, non era quello il rapporto di reciprocità incui si doveva essere tra loro. Vuol fargli capire, che eglisi era messo nelle mani di un sarto, e non di un chirurgo.

26. Conclusione.

Poche parole di conclusione.La dimostrazione data da F. della genesi dell'io indi-

viduale non poteva riuscire, perchè si voleva dedurre l'iomolteplice dall'Io unico. Non si vedeva, per la ragionerealistica più volte ripetuta, che l'io non può essere uni-co. La deduzione, quindi, dell'io individuale non potevariuscire ad altro che ad un esplicito rinnegamento delcarattere di io a tutti gli infiniti tu di fronte ai quali l'io sitrova. Fichte non vede ancora, che anche a quell'io, cheegli direttamente ha dedotto dalla egoità, deve essere ri-

113

col far uno, col proprio ago, della viva pelle e della stof-fa, è proprio sicuro il F. che il malcapitato quando grida:«Qui ci sono io», voglia soltanto contrapporsi alla stof-fa, ad un pensato non io, voglia «con questo io distin-guersi non dalle altre persone, ma dalle cose» (pag. 88)?Non consiglierei a chicchesia la prova sperimentale,giacchè è molto probabile che il «qui ci sono io» sareb-be accompagnato da un ceffone non dato alla stoffa oall'ago ma al maldestro sarto. Il «qui io» è gridato al sar-to, al quale si vuol far capire che non era precisamentequello in cui egli era caduto, di cucirgli la pelle inveceche il vestito, non era quello il rapporto di reciprocità incui si doveva essere tra loro. Vuol fargli capire, che eglisi era messo nelle mani di un sarto, e non di un chirurgo.

26. Conclusione.

Poche parole di conclusione.La dimostrazione data da F. della genesi dell'io indi-

viduale non poteva riuscire, perchè si voleva dedurre l'iomolteplice dall'Io unico. Non si vedeva, per la ragionerealistica più volte ripetuta, che l'io non può essere uni-co. La deduzione, quindi, dell'io individuale non potevariuscire ad altro che ad un esplicito rinnegamento delcarattere di io a tutti gli infiniti tu di fronte ai quali l'io sitrova. Fichte non vede ancora, che anche a quell'io, cheegli direttamente ha dedotto dalla egoità, deve essere ri-

113

Page 114: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

conosciuto il carattere di tu e quindi deve essere esplici-tamente negato il carattere di io.

L'io geniale del filosofo che rifà il corso, mercè una«libera imitazione» come ripeterà poi Schelling, che rifàil corso dell'assoluto Io, non è io neppur esso, perchè èsoltanto un tu anch'esso, se è vero quel che dell'egoitàpura, Fichte ci ha detto.

Fichte non ha visto adunque la necessità della ridu-zione di tutti gli io individuali, compreso l'io sinteticoche non è tu, a tu, a soggetti empirici, che, vedemmo,non sono altro che pura e semplice negazione di co-scienza.

Non l'ha visto F., perchè vederlo non poteva, pur es-sendoci per lui il rifugio dell'io nella egoità pura ed as-soluta.

Ma anche l'idealismo posteriore, quando ha credutodi vedere ciò chiaramente, e di affermare quindi, cosache F. non aveva esplicitamente fatta, la unicità assolutadel Soggetto, in verità ha continuato ad ammettere comevero e proprio Io soltanto l'io individuale di colui cheparla in prima persona singolare e in questa prima per-sona singolare racchiude quell'Io assoluto erroneamenteammesso come Io. Finchè quest'ultimo errore non sivede, quella confusione non si può chiarire. E quindi chirichiama alla concezione dei soggetti empirici, escludesempre sè, pur in questo richiamo, da questa empiricità,cioè pone sè, soggetto empirico, come Soggetto assolu-to. Senza questa esclusione quel richiamo non avrebbevalore affatto.

114

conosciuto il carattere di tu e quindi deve essere esplici-tamente negato il carattere di io.

L'io geniale del filosofo che rifà il corso, mercè una«libera imitazione» come ripeterà poi Schelling, che rifàil corso dell'assoluto Io, non è io neppur esso, perchè èsoltanto un tu anch'esso, se è vero quel che dell'egoitàpura, Fichte ci ha detto.

Fichte non ha visto adunque la necessità della ridu-zione di tutti gli io individuali, compreso l'io sinteticoche non è tu, a tu, a soggetti empirici, che, vedemmo,non sono altro che pura e semplice negazione di co-scienza.

Non l'ha visto F., perchè vederlo non poteva, pur es-sendoci per lui il rifugio dell'io nella egoità pura ed as-soluta.

Ma anche l'idealismo posteriore, quando ha credutodi vedere ciò chiaramente, e di affermare quindi, cosache F. non aveva esplicitamente fatta, la unicità assolutadel Soggetto, in verità ha continuato ad ammettere comevero e proprio Io soltanto l'io individuale di colui cheparla in prima persona singolare e in questa prima per-sona singolare racchiude quell'Io assoluto erroneamenteammesso come Io. Finchè quest'ultimo errore non sivede, quella confusione non si può chiarire. E quindi chirichiama alla concezione dei soggetti empirici, escludesempre sè, pur in questo richiamo, da questa empiricità,cioè pone sè, soggetto empirico, come Soggetto assolu-to. Senza questa esclusione quel richiamo non avrebbevalore affatto.

114

Page 115: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Bisogna cominciare col vedere nella soggettività lapura alterità. Solo così si potrà cominciare a porre ilproblema della individuazione, il quale presuppone chesia coscienza così il soggetto che l'oggetto della coscien-za stessa.

L'id, l'oggetto puro non è la non-coscienza: soloquando ciò si intenda, si potrà cominciare ad intenderecome sia possibile una individuazione, e si potrà capirequel che c'è di vero in quel che dicevano i contradditoridi F., che, quando io astraggo dalle persone individuali,non mi rimane che un id. C'è di vero, che, quando ci sisforza di superare l'alterità molteplice che è la soggetti-vità, non rimane che l'Oggetto che non è «altro» e nonha «altro».

Ma un tale Id non è nè quello della assoluta teticità fi-chtiana, nè quello dei contraddittori di Fichte. Questo èancora l'id che non è coscienza: è l'essere realistico.

115

Bisogna cominciare col vedere nella soggettività lapura alterità. Solo così si potrà cominciare a porre ilproblema della individuazione, il quale presuppone chesia coscienza così il soggetto che l'oggetto della coscien-za stessa.

L'id, l'oggetto puro non è la non-coscienza: soloquando ciò si intenda, si potrà cominciare ad intenderecome sia possibile una individuazione, e si potrà capirequel che c'è di vero in quel che dicevano i contradditoridi F., che, quando io astraggo dalle persone individuali,non mi rimane che un id. C'è di vero, che, quando ci sisforza di superare l'alterità molteplice che è la soggetti-vità, non rimane che l'Oggetto che non è «altro» e nonha «altro».

Ma un tale Id non è nè quello della assoluta teticità fi-chtiana, nè quello dei contraddittori di Fichte. Questo èancora l'id che non è coscienza: è l'essere realistico.

115

Page 116: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO IV.LA COSA IN SÈ

27. La pretesa erroneità connaturale alla co-scienza comune.

Una metafisica critica è possibile, perchè l'oggettivitàdeve ritenersi positiva, senza che per questo essa tolgadal campo della coscienza la soggettività, che, nella suamolteplicità, è positiva anch'essa.

Questo il risultato dei primi tre capitoli.Fichte nello sforzo di ricercare ed affermare l'egoità

nella sua purezza per porre la vera ed assoluta concre-tezza, credette di dover liberare questa da quell'Id, che,come oggetto, risulta invece ineliminabile.

Ne conseguì l'Assoluto come Soggetto, come Io, e l'ioindividuale come soggetto empirico, che, se non è lostesso Soggetto assoluto, non è nè soggetto, nè alcunche.

116

CAPITOLO IV.LA COSA IN SÈ

27. La pretesa erroneità connaturale alla co-scienza comune.

Una metafisica critica è possibile, perchè l'oggettivitàdeve ritenersi positiva, senza che per questo essa tolgadal campo della coscienza la soggettività, che, nella suamolteplicità, è positiva anch'essa.

Questo il risultato dei primi tre capitoli.Fichte nello sforzo di ricercare ed affermare l'egoità

nella sua purezza per porre la vera ed assoluta concre-tezza, credette di dover liberare questa da quell'Id, che,come oggetto, risulta invece ineliminabile.

Ne conseguì l'Assoluto come Soggetto, come Io, e l'ioindividuale come soggetto empirico, che, se non è lostesso Soggetto assoluto, non è nè soggetto, nè alcunche.

116

Page 117: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Ora che cosa è questo Id che Fichte non vide, perchècontinuò a vedere come tale lo stesso id in cui cieca-mente credevano i suoi contraddittori?

Per rispondere bisogna proprio cominciare da questoid dei contraddittori.

Dice Schelling8: «Oltre i pregiudizi artificiali impor-tati nell'uomo, ve n'ha di molto più originari, posti in luinon dall'insegnamento o dall'arte, ma dalla natura, pre-giudizi questi, che, all'infuori del filosofo, tengono luo-go, per tutti quanti gli altri uomini, di principi di ognisapere e valgono anzi come pietra di paragone di ogniverità per chi pensi da sè ingenuamente. Il pregiudiziofondamentale, al quale tutti gli altri si riducono, non èche questo: v'ha delle cose fuori di noi».

Il non filosofo (der blosse Selbstdenker, a dirlo conSchelling), che legga queste parole del filosofo Schel-ling, penserà subito che, checchè dica Schelling, a tener-si a quella coscienza comune che tutti ci lega nella no-stra reciproca comprensione e che non possiamo supera-re senza cadere in arbitri più o meno fantasiosi e disgre-ganti l'unità della umana ragione, a tenersi a detta co-scienza, quelle cose fuori di noi non possono non esser-ci, e perciò la credenza ad esse non è affatto un pregiu-dizio. Il filosofo, che trova pregiudizio quella credenza,esce, sic et simpliciter, da quella coscienza, e noi non lodisturberemo, pensa l'uomo comune che di questa si fa

8 SCHELLING, System des transscendentalen Ideali-smus, Einleit. § 2; Leipzig, 1924, P. 8.

117

Ora che cosa è questo Id che Fichte non vide, perchècontinuò a vedere come tale lo stesso id in cui cieca-mente credevano i suoi contraddittori?

Per rispondere bisogna proprio cominciare da questoid dei contraddittori.

Dice Schelling8: «Oltre i pregiudizi artificiali impor-tati nell'uomo, ve n'ha di molto più originari, posti in luinon dall'insegnamento o dall'arte, ma dalla natura, pre-giudizi questi, che, all'infuori del filosofo, tengono luo-go, per tutti quanti gli altri uomini, di principi di ognisapere e valgono anzi come pietra di paragone di ogniverità per chi pensi da sè ingenuamente. Il pregiudiziofondamentale, al quale tutti gli altri si riducono, non èche questo: v'ha delle cose fuori di noi».

Il non filosofo (der blosse Selbstdenker, a dirlo conSchelling), che legga queste parole del filosofo Schel-ling, penserà subito che, checchè dica Schelling, a tener-si a quella coscienza comune che tutti ci lega nella no-stra reciproca comprensione e che non possiamo supera-re senza cadere in arbitri più o meno fantasiosi e disgre-ganti l'unità della umana ragione, a tenersi a detta co-scienza, quelle cose fuori di noi non possono non esser-ci, e perciò la credenza ad esse non è affatto un pregiu-dizio. Il filosofo, che trova pregiudizio quella credenza,esce, sic et simpliciter, da quella coscienza, e noi non lodisturberemo, pensa l'uomo comune che di questa si fa

8 SCHELLING, System des transscendentalen Ideali-smus, Einleit. § 2; Leipzig, 1924, P. 8.

117

Page 118: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

forte, in questa sua solitudine filosofica ma non umananè razionale: la coscienza comune ci impone le cosefuori di noi, la cui esistenza quindi non è affatto un pre-giudizio.

Se questo il non filosofo dicesse veramente con la co-scienza comune, Schelling avrebbe ragione. Ma il vero èche il non filosofo ciò dicendo filosofeggia anche lui: lacoscienza comune è fuori causa.

Dobbiamo perciò invertire la posizione schellinghia-na: Se pregiudizio è, ed è tale veramente, il giudizio chela cosa in sè sia fuori di noi, tal pregiudizio non «l'haposto nell'uomo la stessa natura», cioè non è costitutivodello stesso animo umano in quanto tale.

Con buona pace di Schelling, se così naturalmenteimpastato di pregiudizio fosse l'animo umano, non ci sa-rebbe mai stata barba di filosofo, che avesse saputo opotuto rifarne la natura: avrebbe infatti dovuto rifarlaproprio avendo come mezzo quel tale impasto di pregiu-dizi che sarebbe l'animo umano. Sarebbe questo, in fon-do, come lo direbbe un acuto nostro filosofo scomparsoor è pochi anni, il Guastella, un sofisma a priori dellaumana ragione; e da tali sofismi a priori, non ci si salve-rebbe in nessun modo, se ci fossero; perchè non potrem-mo vederli come tali. Il vederli è appunto indizio chenon sono connaturati, non sono a priori. Ci saranno semai degli idola specus, theatri, fori, non ci possono es-sere degli idola tribus, quando questa tribus è la stessaragione.

118

forte, in questa sua solitudine filosofica ma non umananè razionale: la coscienza comune ci impone le cosefuori di noi, la cui esistenza quindi non è affatto un pre-giudizio.

Se questo il non filosofo dicesse veramente con la co-scienza comune, Schelling avrebbe ragione. Ma il vero èche il non filosofo ciò dicendo filosofeggia anche lui: lacoscienza comune è fuori causa.

Dobbiamo perciò invertire la posizione schellinghia-na: Se pregiudizio è, ed è tale veramente, il giudizio chela cosa in sè sia fuori di noi, tal pregiudizio non «l'haposto nell'uomo la stessa natura», cioè non è costitutivodello stesso animo umano in quanto tale.

Con buona pace di Schelling, se così naturalmenteimpastato di pregiudizio fosse l'animo umano, non ci sa-rebbe mai stata barba di filosofo, che avesse saputo opotuto rifarne la natura: avrebbe infatti dovuto rifarlaproprio avendo come mezzo quel tale impasto di pregiu-dizi che sarebbe l'animo umano. Sarebbe questo, in fon-do, come lo direbbe un acuto nostro filosofo scomparsoor è pochi anni, il Guastella, un sofisma a priori dellaumana ragione; e da tali sofismi a priori, non ci si salve-rebbe in nessun modo, se ci fossero; perchè non potrem-mo vederli come tali. Il vederli è appunto indizio chenon sono connaturati, non sono a priori. Ci saranno semai degli idola specus, theatri, fori, non ci possono es-sere degli idola tribus, quando questa tribus è la stessaragione.

118

Page 119: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non è mai superfluo insistere su questo, giacchè èesso un pregiudizio scettico che sotto larvate forme vienfuori, quando meno ce l'aspettiamo. È il presupposto ta-cito della odierna distinzione tra la cosiddetta coscienzadell'uomo comune e la coscienza speculativa del filoso-fo, tra la logica astratta dell'una e la logica concretadell'altra.

Dare la liberazione dal pregiudizio soltanto al filosofoin quanto tale, lasciando il pregiudizio connaturatonell'animo del non filosofo, che dispone della coscienzacomune, è un motivo più scettico di quello schietto, che,dalla natura contraddittoria della umana ragione chiusanel senso, in teoria non salvava, e ben a ragione, neppu-re quella del filosofo, quantunque di fatto il filosofoscettico, per persuaderci di ciò, si dovesse, per sè, pre-supporre salvo da questa inconcludente contraddizione.

Questa connaturale erroneità che vorrebbe contrasse-gnare la coscienza comune e così distinguerla dalla co-scienza speculativa, ha, nell'idealismo, origine da quelladialettica naturale e necessaria in cui Kant faceva caderela ragione non critica. Ma la concezione kantiana diquesta dialettica erronea del pensiero comune, sebbenegiustifichi la propria origine da una parte con la legitti-ma opposizione di Kant a quella filosofia del senso co-mune e a quel popolarismo che presentavano la propriasoma di pregiudizi filosofici acritici ed anticritici comecoscienza comune e dall'altra col nascere stesso della ra-gione critica come vera e propria e quindi universale ra-gione, questa concezione non ha più diritto di farsi vale-

119

Non è mai superfluo insistere su questo, giacchè èesso un pregiudizio scettico che sotto larvate forme vienfuori, quando meno ce l'aspettiamo. È il presupposto ta-cito della odierna distinzione tra la cosiddetta coscienzadell'uomo comune e la coscienza speculativa del filoso-fo, tra la logica astratta dell'una e la logica concretadell'altra.

Dare la liberazione dal pregiudizio soltanto al filosofoin quanto tale, lasciando il pregiudizio connaturatonell'animo del non filosofo, che dispone della coscienzacomune, è un motivo più scettico di quello schietto, che,dalla natura contraddittoria della umana ragione chiusanel senso, in teoria non salvava, e ben a ragione, neppu-re quella del filosofo, quantunque di fatto il filosofoscettico, per persuaderci di ciò, si dovesse, per sè, pre-supporre salvo da questa inconcludente contraddizione.

Questa connaturale erroneità che vorrebbe contrasse-gnare la coscienza comune e così distinguerla dalla co-scienza speculativa, ha, nell'idealismo, origine da quelladialettica naturale e necessaria in cui Kant faceva caderela ragione non critica. Ma la concezione kantiana diquesta dialettica erronea del pensiero comune, sebbenegiustifichi la propria origine da una parte con la legitti-ma opposizione di Kant a quella filosofia del senso co-mune e a quel popolarismo che presentavano la propriasoma di pregiudizi filosofici acritici ed anticritici comecoscienza comune e dall'altra col nascere stesso della ra-gione critica come vera e propria e quindi universale ra-gione, questa concezione non ha più diritto di farsi vale-

119

Page 120: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

re e tanto meno di acuire il dissidio tra coscienza comu-ne e coscienza speculativa, quando, in forza della stessaindagine critica, devesi nella ragione critica riconoscerela stessa dialettica della coscienza comune.

È vero, il non filosofo non può giudicare di filosofia,ma non perchè la sua ingenua coscienza sia, in concreto,irrimediabilmente tenuta dall'errore, ma solo perchè eglidella concretezza della propria coscienza non si è resoancora, conto fino al punto in cui il filosofo è pronto arenderglielo.

Liberata così la coscienza comune da questa accusa dierroneità che suole ancora, quantunque velatamente, es-sere portata nella caratteristica di volgarità di cui la sigratifica, ricerchiamo se è vero che la coscienza comunecome tale ammetta la cosa in sè come fuori di noi.«Fuori di noi», che è quell'id dei contraddittori di Fich-te, di cui Fichte ebbe il merito di cominciare a mostrarel'inconsistenza come cosa in sè, ma che ebbe il torto diritenere senz'altro l'unico possibile concetto di cosa insè.

Quando si veda bene che cosa tutti intendiamo per«cosa», e che per «noi» ci risulterà che la stessa co-scienza comune ci libera dal pregiudizio della cosa in sècome fuori di noi, e ci addita il concetto di quella cosain sè che nella sua concretezza essa attua.

120

re e tanto meno di acuire il dissidio tra coscienza comu-ne e coscienza speculativa, quando, in forza della stessaindagine critica, devesi nella ragione critica riconoscerela stessa dialettica della coscienza comune.

È vero, il non filosofo non può giudicare di filosofia,ma non perchè la sua ingenua coscienza sia, in concreto,irrimediabilmente tenuta dall'errore, ma solo perchè eglidella concretezza della propria coscienza non si è resoancora, conto fino al punto in cui il filosofo è pronto arenderglielo.

Liberata così la coscienza comune da questa accusa dierroneità che suole ancora, quantunque velatamente, es-sere portata nella caratteristica di volgarità di cui la sigratifica, ricerchiamo se è vero che la coscienza comunecome tale ammetta la cosa in sè come fuori di noi.«Fuori di noi», che è quell'id dei contraddittori di Fich-te, di cui Fichte ebbe il merito di cominciare a mostrarel'inconsistenza come cosa in sè, ma che ebbe il torto diritenere senz'altro l'unico possibile concetto di cosa insè.

Quando si veda bene che cosa tutti intendiamo per«cosa», e che per «noi» ci risulterà che la stessa co-scienza comune ci libera dal pregiudizio della cosa in sècome fuori di noi, e ci addita il concetto di quella cosain sè che nella sua concretezza essa attua.

120

Page 121: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

28. Il concetto comune di cosa come quid unifi-cante.

Le cose fuori di noi sarebbero le cose in sè, propriocome cose, e non le cose in quanto apprese dalla co-scienza. Il saper le cose, si dice, presuppone l'esistenzadelle cose. Quindi le cose in sè (le cose in questa loroschietta esistenza di cose; le cose proprio come tali, sicet simpliciter) sono indipendenti da questo loro esser sa-pute, e quindi fuori della coscienza che è appunto questosaperle.

Questo ragionamento si attribuisce alla coscienza co-mune, quando si dice che per essa è un insuperabile pre-giudizio l'ammissione della cosa in sè come al di fuoridi noi.

Vediamo, dunque, che cosa in verità ci è nella co-scienza comune, quando questa pensa la cosa e se pro-prio in essa, come tale, ci sia detto pregiudizio.

E non possiamo cominciare dal distinguere la cosa insè da una qualch'altra cosa, giacchè la ingenua coscien-za comune, di questa distinzione, non sa nulla.

Dobbiam dunque vedere quando per la coscienza co-mune si ha quel che dicesi cosa.

E qualunque cosa può servir d'esempio; anzi di que-sto «qualunque» è essenziale che ci si ricordi, se voglia-mo sapere l'esigenza in cui la coscienza comune ènell'affermazione delle cose.

121

28. Il concetto comune di cosa come quid unifi-cante.

Le cose fuori di noi sarebbero le cose in sè, propriocome cose, e non le cose in quanto apprese dalla co-scienza. Il saper le cose, si dice, presuppone l'esistenzadelle cose. Quindi le cose in sè (le cose in questa loroschietta esistenza di cose; le cose proprio come tali, sicet simpliciter) sono indipendenti da questo loro esser sa-pute, e quindi fuori della coscienza che è appunto questosaperle.

Questo ragionamento si attribuisce alla coscienza co-mune, quando si dice che per essa è un insuperabile pre-giudizio l'ammissione della cosa in sè come al di fuoridi noi.

Vediamo, dunque, che cosa in verità ci è nella co-scienza comune, quando questa pensa la cosa e se pro-prio in essa, come tale, ci sia detto pregiudizio.

E non possiamo cominciare dal distinguere la cosa insè da una qualch'altra cosa, giacchè la ingenua coscien-za comune, di questa distinzione, non sa nulla.

Dobbiam dunque vedere quando per la coscienza co-mune si ha quel che dicesi cosa.

E qualunque cosa può servir d'esempio; anzi di que-sto «qualunque» è essenziale che ci si ricordi, se voglia-mo sapere l'esigenza in cui la coscienza comune ènell'affermazione delle cose.

121

Page 122: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

È, dunque, cosa un fiore come un astro; l'universocome un granello di sabbia; un vivo sentimento come unorganico sistema filosofico.

Come vedesi, prescindiamo per ora, perchè prescin-dere dobbiamo nella ingenuità della coscienza comune,dal richiedere se quando il cosiddetto pensiero sia scissodalla cosiddetta natura, siano una cosa, ciascuna per sè,anche questo pensiero e questa natura, e in che entrambisian fatti cosa, che sia, cioè, per loro quel «qualunque»che appunto perchè è di qualunque cosa costituisce lacosalità stessa.

E conseguentemente prescindiamo anche dalla distin-zione tra cose e persone, che in fondo è una distinzioneentro le cose stesse, se è vero che le persone in qualchemodo sono, e se è vero che per la coscienza comune tut-to che in qualche modo è, è reale cioè appartiene a cosa,è di cosa: la realtà è anche delle persone.

Quando, dunque, per la coscienza comune si ha quelche dicesi cosa?

Se è vero che non possiamo tralasciare il «qualun-que» giacchè altrimenti non avremmo trovata la cosalitàdelle cose, per la coscienza comune si ha «cosa» quandosi ha «essere», ma essere che importi una qualsiasi uni-ficazione. Qualunque cosa è fatta cosa dal suo esserecon una unificazione di «proprietà», le quali con la lorovarietà fanno della cosa una determinata cosa.

Ora: sia che queste determinazioni, che si aggruppanosaldamente fino a fondersi in uno in ciascuna cosa, sia-no numericamente separate le une (costitutive di una

122

È, dunque, cosa un fiore come un astro; l'universocome un granello di sabbia; un vivo sentimento come unorganico sistema filosofico.

Come vedesi, prescindiamo per ora, perchè prescin-dere dobbiamo nella ingenuità della coscienza comune,dal richiedere se quando il cosiddetto pensiero sia scissodalla cosiddetta natura, siano una cosa, ciascuna per sè,anche questo pensiero e questa natura, e in che entrambisian fatti cosa, che sia, cioè, per loro quel «qualunque»che appunto perchè è di qualunque cosa costituisce lacosalità stessa.

E conseguentemente prescindiamo anche dalla distin-zione tra cose e persone, che in fondo è una distinzioneentro le cose stesse, se è vero che le persone in qualchemodo sono, e se è vero che per la coscienza comune tut-to che in qualche modo è, è reale cioè appartiene a cosa,è di cosa: la realtà è anche delle persone.

Quando, dunque, per la coscienza comune si ha quelche dicesi cosa?

Se è vero che non possiamo tralasciare il «qualun-que» giacchè altrimenti non avremmo trovata la cosalitàdelle cose, per la coscienza comune si ha «cosa» quandosi ha «essere», ma essere che importi una qualsiasi uni-ficazione. Qualunque cosa è fatta cosa dal suo esserecon una unificazione di «proprietà», le quali con la lorovarietà fanno della cosa una determinata cosa.

Ora: sia che queste determinazioni, che si aggruppanosaldamente fino a fondersi in uno in ciascuna cosa, sia-no numericamente separate le une (costitutive di una

122

Page 123: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

cosa) dalle altre (costitutive dell'altra), con la separazio-ne stessa di una determinata singolare cosa dall'altra, equindi abbiano la radice loro nella singolarità stessa del-la cosa e quindi ciascuna cosa sia, in sè stessa, singola-re; sia che invece queste determinazioni che ritroviamole stesse, in maggiore o minore grado e numero, nellesingole differenti cose, appunto per poter essere le stes-se, non siano numericamente separate, e quindi, col lorofondersi e superare la singolarità delle cose, tragganoanche queste a superare la loro singolarità, – sia nell'unoche nell'altro caso sempre, per la coscienza comune, lacosa importa quell'essere unificante che sopra abbiamdetto. È questo, della unificazione, il concetto implicitosu cui si fonda la comune distinzione tra cosa e sue pro-prietà. Questa ammissione della coscienza comune sus-siste, anche se si voglia, per un momento, attribuire adessa l'invincibile credenza ad una assoluta molteplicitàdelle cose come tali. Siano le cose, in sè, molte o unasola, sempre la cosa in sè, per esser tale, importa il dettoessere unificante, che fa sì che ciascuna cosa sia cosa.

La cosa non è dunque, per la coscienza comune, co-stituita nè dalla singolarità molteplice nè dalle determi-nate proprietà, che, pur trovandosi in tutte o in un certonumero di esse, pure sono in ciascuna variamente indi-viduate.

Cosa è, per la coscienza comune, questa attuale orga-nicità individua, unica o molteplice, identica o mutevo-le, eterna o temporanea, ecc., che pone la coscienza nel-la necessità di dire «è».

123

cosa) dalle altre (costitutive dell'altra), con la separazio-ne stessa di una determinata singolare cosa dall'altra, equindi abbiano la radice loro nella singolarità stessa del-la cosa e quindi ciascuna cosa sia, in sè stessa, singola-re; sia che invece queste determinazioni che ritroviamole stesse, in maggiore o minore grado e numero, nellesingole differenti cose, appunto per poter essere le stes-se, non siano numericamente separate, e quindi, col lorofondersi e superare la singolarità delle cose, tragganoanche queste a superare la loro singolarità, – sia nell'unoche nell'altro caso sempre, per la coscienza comune, lacosa importa quell'essere unificante che sopra abbiamdetto. È questo, della unificazione, il concetto implicitosu cui si fonda la comune distinzione tra cosa e sue pro-prietà. Questa ammissione della coscienza comune sus-siste, anche se si voglia, per un momento, attribuire adessa l'invincibile credenza ad una assoluta molteplicitàdelle cose come tali. Siano le cose, in sè, molte o unasola, sempre la cosa in sè, per esser tale, importa il dettoessere unificante, che fa sì che ciascuna cosa sia cosa.

La cosa non è dunque, per la coscienza comune, co-stituita nè dalla singolarità molteplice nè dalle determi-nate proprietà, che, pur trovandosi in tutte o in un certonumero di esse, pure sono in ciascuna variamente indi-viduate.

Cosa è, per la coscienza comune, questa attuale orga-nicità individua, unica o molteplice, identica o mutevo-le, eterna o temporanea, ecc., che pone la coscienza nel-la necessità di dire «è».

123

Page 124: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Se questo essere unificante, che per la coscienza co-mune è la cosalità di ogni cosa, sia, o no, quel che la fi-losofia ci vuol fare intendere come cosa in sè, noi anco-ra non sappiamo, perchè non vi abbiamo ancora trovatala distinzione tra cosa in sè e qualch'altra specie di coseche non siano in sè.

Nè sappiamo quindi ancora se questo quid unificanteche è la cosalità di qualunque cosa, sta, dogmaticamen-te, nelle cose in sè stesse, o, criticamente, nel soggettoche unifica. È quistione questa che ancora non ci risulta,e che, nella posizione ingenua in cui siamo, non ci ri-guarda.

Sappiamo quindi soltanto questo, che, se è vero chel'esigenza da cui la coscienza comune è costretta ad af-fermare la cosalità di qualsiasi cosa è questo quid unifi-cante, sappiamo che la cosa in sè come fuori di noi, lun-gi dall'essere un pregiudizio della coscienza comune,non risulta a questa nella affermazione che, con la suaconcretezza, essa fa della realtà. Per ora non diremo chela esclude; ma possiamo fin d'ora dire che non la esige.

29. Cosa ed elemento: il concetto scientifico di cosa.

Ma lo scienziato che legga queste sì semplici conside-razioni e rifletta quindi alla loro ingenuità, penserà edirà che queste pretese cose della coscienza comunesono le cose della volgare coscienza empirica, che, esa-

124

Se questo essere unificante, che per la coscienza co-mune è la cosalità di ogni cosa, sia, o no, quel che la fi-losofia ci vuol fare intendere come cosa in sè, noi anco-ra non sappiamo, perchè non vi abbiamo ancora trovatala distinzione tra cosa in sè e qualch'altra specie di coseche non siano in sè.

Nè sappiamo quindi ancora se questo quid unificanteche è la cosalità di qualunque cosa, sta, dogmaticamen-te, nelle cose in sè stesse, o, criticamente, nel soggettoche unifica. È quistione questa che ancora non ci risulta,e che, nella posizione ingenua in cui siamo, non ci ri-guarda.

Sappiamo quindi soltanto questo, che, se è vero chel'esigenza da cui la coscienza comune è costretta ad af-fermare la cosalità di qualsiasi cosa è questo quid unifi-cante, sappiamo che la cosa in sè come fuori di noi, lun-gi dall'essere un pregiudizio della coscienza comune,non risulta a questa nella affermazione che, con la suaconcretezza, essa fa della realtà. Per ora non diremo chela esclude; ma possiamo fin d'ora dire che non la esige.

29. Cosa ed elemento: il concetto scientifico di cosa.

Ma lo scienziato che legga queste sì semplici conside-razioni e rifletta quindi alla loro ingenuità, penserà edirà che queste pretese cose della coscienza comunesono le cose della volgare coscienza empirica, che, esa-

124

Page 125: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

minate al lume della scienza, non si appalesano come levere cose reali, le vere res costitutive della realtà. Cosavera e reale, cosa in sè non è il fiore o l'albero, l'animaleche vive e si rigenera, il cosmo pur nel fascino della suabellezza; ma la cellula che ci dà ragione della vita e chesi perpetua nell'alternarsi degli individui viventi, l'ener-gia che con la sua legge ci dà ragione dell'ordine deimondi innumerevoli anche se finiti.

E tante ed altrettali e più profonde considerazioni cifarà fare lo scienziato mano mano che si profonderà nel-la cosa. E abbandonerà poi la cellula per lo stato colloi-dale, la materia per l'energia, abbandonerà gli atomi,scoprendovi in ciascuno un sistema, e così via.

La realtà è molto più profonda del suo primo appari-re; egli ci dirà. Le cose non son dunque queste che col-piscono e dilettano i nostri sensi, son qualcosa che sottoad esse noi discopriamo. Le vere cose son queste che lascienza col tenace suo lavorio discopre, non quelle cheappaiono al senso di tutti. E perciò, dirà anche lo scien-ziato, come già il filosofo Schelling e tanti altri con lui,non dobbiamo fidarci della coscienza comune.

E certo queste cose che la scienza scopre e addita allacoscienza comune, saran forse, e il forse non è affatto dadimenticare, più reali cose di quelle che questa nella suaingenuità stima tali; ma se cose sono, bisogna che soddi-sfino a quella esigenza che la cosa come tale ha nellacoscienza comune, e cioè il detto quid unificante. Lascienza indagherà la costituzione delle cose, ma non po-trà ridur mai la cosa a ciò che non è cosa. L'assoluto ele-

125

minate al lume della scienza, non si appalesano come levere cose reali, le vere res costitutive della realtà. Cosavera e reale, cosa in sè non è il fiore o l'albero, l'animaleche vive e si rigenera, il cosmo pur nel fascino della suabellezza; ma la cellula che ci dà ragione della vita e chesi perpetua nell'alternarsi degli individui viventi, l'ener-gia che con la sua legge ci dà ragione dell'ordine deimondi innumerevoli anche se finiti.

E tante ed altrettali e più profonde considerazioni cifarà fare lo scienziato mano mano che si profonderà nel-la cosa. E abbandonerà poi la cellula per lo stato colloi-dale, la materia per l'energia, abbandonerà gli atomi,scoprendovi in ciascuno un sistema, e così via.

La realtà è molto più profonda del suo primo appari-re; egli ci dirà. Le cose non son dunque queste che col-piscono e dilettano i nostri sensi, son qualcosa che sottoad esse noi discopriamo. Le vere cose son queste che lascienza col tenace suo lavorio discopre, non quelle cheappaiono al senso di tutti. E perciò, dirà anche lo scien-ziato, come già il filosofo Schelling e tanti altri con lui,non dobbiamo fidarci della coscienza comune.

E certo queste cose che la scienza scopre e addita allacoscienza comune, saran forse, e il forse non è affatto dadimenticare, più reali cose di quelle che questa nella suaingenuità stima tali; ma se cose sono, bisogna che soddi-sfino a quella esigenza che la cosa come tale ha nellacoscienza comune, e cioè il detto quid unificante. Lascienza indagherà la costituzione delle cose, ma non po-trà ridur mai la cosa a ciò che non è cosa. L'assoluto ele-

125

Page 126: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

mento, messo anche che come tale sia pensabile, nonper questo sarà la cosa stessa: se mai, la costituirà. Loscienziato in concreto, come uomo che vive e pensa, sitroverà di fronte alle stesse cose, di fronte alle quali sitrova l'uomo non scienziato: il fulmine o la luce, l'orga-nismo vivo o il minerale, un ricinto pezzo di terra o il si-stema dell'universo. Lo scienziato mi scomporrà quellecose nei loro elementi, mi dirà di che son costituite. Cre-derà forse, additandomi questo elemento, di indicarmi ilquid unificante di un certo genere di cose o anche di tut-te quante mai le cose possibili. Ma basta che egli perpoco rifletta, perchè si accorga che l'elemento che eglisempre scopre, non è lo stesso quid unificante. Bastache egli ci dica come il preteso elemento è fatto, perchèegli presupponga l'esigenza unificatrice della cosa. Lascoperta degli elementi della cosa, non scopre la cosacome tale. Ed invano porrà, accanto agli elementi, qual-cos'altro che dica forza, energia, o com'altro si voglia,determinandola nelle sue leggi; invano ridurrà queglielementi a questa energia. Si tratterà sempre o di energiaridotta ad elementi, o di astratta energia. Le cose conti-nueranno ad esser fatte cose da questo misterioso quidunificante che la scienza non toccherà mai. E la scienzadi oggi se n'è persuasa.

La scienza quindi scoprirà. tutto quello che vuole; manon scoprirà mai la cosa come tale, che richiederà sem-pre quel quid unificante che sopra abbiam detto.

Soltanto, in questo sovrapporsi della indagine scienti-fica alla ingenua coscienza, c'è come un oscurarsi di

126

mento, messo anche che come tale sia pensabile, nonper questo sarà la cosa stessa: se mai, la costituirà. Loscienziato in concreto, come uomo che vive e pensa, sitroverà di fronte alle stesse cose, di fronte alle quali sitrova l'uomo non scienziato: il fulmine o la luce, l'orga-nismo vivo o il minerale, un ricinto pezzo di terra o il si-stema dell'universo. Lo scienziato mi scomporrà quellecose nei loro elementi, mi dirà di che son costituite. Cre-derà forse, additandomi questo elemento, di indicarmi ilquid unificante di un certo genere di cose o anche di tut-te quante mai le cose possibili. Ma basta che egli perpoco rifletta, perchè si accorga che l'elemento che eglisempre scopre, non è lo stesso quid unificante. Bastache egli ci dica come il preteso elemento è fatto, perchèegli presupponga l'esigenza unificatrice della cosa. Lascoperta degli elementi della cosa, non scopre la cosacome tale. Ed invano porrà, accanto agli elementi, qual-cos'altro che dica forza, energia, o com'altro si voglia,determinandola nelle sue leggi; invano ridurrà queglielementi a questa energia. Si tratterà sempre o di energiaridotta ad elementi, o di astratta energia. Le cose conti-nueranno ad esser fatte cose da questo misterioso quidunificante che la scienza non toccherà mai. E la scienzadi oggi se n'è persuasa.

La scienza quindi scoprirà. tutto quello che vuole; manon scoprirà mai la cosa come tale, che richiederà sem-pre quel quid unificante che sopra abbiam detto.

Soltanto, in questo sovrapporsi della indagine scienti-fica alla ingenua coscienza, c'è come un oscurarsi di

126

Page 127: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

quella che è l'esigenza schietta della cosa. Oscurarsi chenon è un perdersi, ma è un nascondersi ancora più, unrendersi ancora più implicito, appunto perchè la co-scienza esplicita è impegnata in questa nuova analitica ericostruttiva ricerca; è impegnata a scomporre e rico-struire le cose. E si spiega quindi il ricorso, da una parte,al singolarissimo elemento ingrediente di ogni cosa mai,e, dall'altra, all'universalissima legge in cui par del tuttoperduta quella singolarità.

Ma, implicitamente, nel procedere stesso delle sue ri-cerche, lo scienziato come l'uomo comune continuerà aporre la cosalità della cosa in quel quid unificante chesopra abbiam detto, quel quid in cui s'incentra la varietàdel quale.

Il concetto di cosa adunque non si muta nè progredi-sce con la scienza: rimane quello che era, pur nascon-dendosi, quasi per non dare impaccio all'indagine.

C'è soltanto nella coscienza scientifica come un pri-mo apparire di una distinzione tra la cosa proprio cometale ed un qualch'altra cosa che ne ha le apparenze, manon è veramente cosa. Ma, come alla coscienza comune,così neppure a quella scientifica risulta una cosa in sèche sia caratterizzata da questo suo essere fuori di noi.Anche la scienza, di questa distinzione, non ha ragionedi occuparsi. Nè la coscienza comune nè quella scienti-fica implicano o esigono l'affermazione che la cosa inquanto tale, la cosa in sè, sia fuori della coscienza. Di talproblema non si occupano; ed entrambe invece, occu-

127

quella che è l'esigenza schietta della cosa. Oscurarsi chenon è un perdersi, ma è un nascondersi ancora più, unrendersi ancora più implicito, appunto perchè la co-scienza esplicita è impegnata in questa nuova analitica ericostruttiva ricerca; è impegnata a scomporre e rico-struire le cose. E si spiega quindi il ricorso, da una parte,al singolarissimo elemento ingrediente di ogni cosa mai,e, dall'altra, all'universalissima legge in cui par del tuttoperduta quella singolarità.

Ma, implicitamente, nel procedere stesso delle sue ri-cerche, lo scienziato come l'uomo comune continuerà aporre la cosalità della cosa in quel quid unificante chesopra abbiam detto, quel quid in cui s'incentra la varietàdel quale.

Il concetto di cosa adunque non si muta nè progredi-sce con la scienza: rimane quello che era, pur nascon-dendosi, quasi per non dare impaccio all'indagine.

C'è soltanto nella coscienza scientifica come un pri-mo apparire di una distinzione tra la cosa proprio cometale ed un qualch'altra cosa che ne ha le apparenze, manon è veramente cosa. Ma, come alla coscienza comune,così neppure a quella scientifica risulta una cosa in sèche sia caratterizzata da questo suo essere fuori di noi.Anche la scienza, di questa distinzione, non ha ragionedi occuparsi. Nè la coscienza comune nè quella scienti-fica implicano o esigono l'affermazione che la cosa inquanto tale, la cosa in sè, sia fuori della coscienza. Di talproblema non si occupano; ed entrambe invece, occu-

127

Page 128: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

pandosi della cosa, implicitamente mostrano che questanon è estranea a loro come coscienza.

30. Cosa e concetto: il concetto filosofico di cosa.

Se lo scienziato come tale non tocca il concetto che lacoscienza comune ha della cosa, questo è invece presodi mira dal filosofo, quando si accorge di quel sempli-cissimo ma pur comprensivo atto che è il conoscere.

E quella vera cosa che lo scienziato scopre tuttora aldi sotto dell'empirica cosa comune, perchè più persisten-te e quindi più reale, più cosa, vuol farsi cosa ancora piùvera, ancora più cosa, quando il filosofo scopre la sem-plicissima distinzione che v'è tra la cosa esistente el'oggetto conosciuto, tra cosa-essere e cosa-coscienza.

La filosofia crede di scoprire così la cosa in sè. E que-sta scoperta procede per due gradi.

Si scopre prima che è da distinguersi la cosa dallesensazioni che ciascuno di noi, in quanto soggetto sen-ziente, ne ha, e che non solo sono differenti per la stessacosa, ma possono anche mancare pur permanendo lacosa. L'oggetto di coscienza di un soggetto senzientenon è dunque la cosa in se stessa.

E da Platone ed Aristotile in poi la distinzione si fissòsaldamente: la cosa in sè non è la cosa sentita.

Ma non bastava: se la cosa in sè non è l'oggetto senti-to, essa non è neppure l'oggetto concepito. Non basta di-

128

pandosi della cosa, implicitamente mostrano che questanon è estranea a loro come coscienza.

30. Cosa e concetto: il concetto filosofico di cosa.

Se lo scienziato come tale non tocca il concetto che lacoscienza comune ha della cosa, questo è invece presodi mira dal filosofo, quando si accorge di quel sempli-cissimo ma pur comprensivo atto che è il conoscere.

E quella vera cosa che lo scienziato scopre tuttora aldi sotto dell'empirica cosa comune, perchè più persisten-te e quindi più reale, più cosa, vuol farsi cosa ancora piùvera, ancora più cosa, quando il filosofo scopre la sem-plicissima distinzione che v'è tra la cosa esistente el'oggetto conosciuto, tra cosa-essere e cosa-coscienza.

La filosofia crede di scoprire così la cosa in sè. E que-sta scoperta procede per due gradi.

Si scopre prima che è da distinguersi la cosa dallesensazioni che ciascuno di noi, in quanto soggetto sen-ziente, ne ha, e che non solo sono differenti per la stessacosa, ma possono anche mancare pur permanendo lacosa. L'oggetto di coscienza di un soggetto senzientenon è dunque la cosa in se stessa.

E da Platone ed Aristotile in poi la distinzione si fissòsaldamente: la cosa in sè non è la cosa sentita.

Ma non bastava: se la cosa in sè non è l'oggetto senti-to, essa non è neppure l'oggetto concepito. Non basta di-

128

Page 129: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

stinguere la cosa dalla sensazione, bisogna anche distin-guerla dallo stesso conoscere intellettivo. L'oggetto cheio conosco, per il fatto stesso che è oggetto conosciuto,non è la cosa in se stessa. La cosa in sè, come non è lasensazione, così non è il concetto che se ne ha. Il con-cetto che io ho della cosa e che io posso anche dimenti-care, non è la cosa nel suo essere che rimane al di là diogni dimenticanza e quindi anche al di là di ogni ricor-do. E se anche tal concetto è qualcosa (intelligibile),che, in sè, non ha possibilità di oblio, resta esso pursempre un concetto che non è la cosa. «Vera idea Petriest... quid... omnino diversum ab ipso Petro» dice con lasua cristallina chiarezza Spinoza9. C'è una cosa in re, eduna cosa in mente.

Al di sotto della persistenza, cercata dallo scienziatosotto il fugace e mutevole apparire delle comuni cose,entro le quali pur lo scienziato si muove e vive, c'è da ri-cercare puramente e semplicemente la cosa stessa nelsuo essere. Il mio concetto, vede poi ancora e pensa at-tonito il filosofo, è sempre predicativo e quindi mi di-scopre, se mai, le proprietà della cosa, non mi discopre– e tanto meno è – lo stesso essere concreto della cosa.Questo essere della cosa in se stessa, di fronte al concet-to, è un «più» che nessun concetto riuscirà mai a chiu-dere nel suo processo predicativo. Questo essere in sèdella cosa è la vera cosa, dice il filosofo allo scienziato:

9 Tractatus de intellectus emendatione, in Opera Hagae Comi-tum, 1895, I, p. 11.

129

stinguere la cosa dalla sensazione, bisogna anche distin-guerla dallo stesso conoscere intellettivo. L'oggetto cheio conosco, per il fatto stesso che è oggetto conosciuto,non è la cosa in se stessa. La cosa in sè, come non è lasensazione, così non è il concetto che se ne ha. Il con-cetto che io ho della cosa e che io posso anche dimenti-care, non è la cosa nel suo essere che rimane al di là diogni dimenticanza e quindi anche al di là di ogni ricor-do. E se anche tal concetto è qualcosa (intelligibile),che, in sè, non ha possibilità di oblio, resta esso pursempre un concetto che non è la cosa. «Vera idea Petriest... quid... omnino diversum ab ipso Petro» dice con lasua cristallina chiarezza Spinoza9. C'è una cosa in re, eduna cosa in mente.

Al di sotto della persistenza, cercata dallo scienziatosotto il fugace e mutevole apparire delle comuni cose,entro le quali pur lo scienziato si muove e vive, c'è da ri-cercare puramente e semplicemente la cosa stessa nelsuo essere. Il mio concetto, vede poi ancora e pensa at-tonito il filosofo, è sempre predicativo e quindi mi di-scopre, se mai, le proprietà della cosa, non mi discopre– e tanto meno è – lo stesso essere concreto della cosa.Questo essere della cosa in se stessa, di fronte al concet-to, è un «più» che nessun concetto riuscirà mai a chiu-dere nel suo processo predicativo. Questo essere in sèdella cosa è la vera cosa, dice il filosofo allo scienziato:

9 Tractatus de intellectus emendatione, in Opera Hagae Comi-tum, 1895, I, p. 11.

129

Page 130: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

non la fuggente cosa mutevole del volgo, ma neppure lapretesa vostra invariante cosa che avete ottenuta elabo-rando il comune sentire (cioè quella fuggente cosa mu-tevole) col lambicco dei vostri strumenti e del vostropensiero associati nella bisogna. Cosa in sè invece èl'essere stesso della cosa: un assoluto «più» non solodella sensazione ma anche del concetto. Volgo, voi, io,con le cose che conosciamo, siamo irrimediabilmentenel concetto. Quando pretendiamo di uscirne, non fac-ciamo che cadere nel senso: e siamo così ancora più lun-gi dal raggiungere la cosa in sè.

È la scoperta che primo Kant ha fatto della esigenzadel realismo il «più» esistenziale, appunto perchè esi-stenziale, è al di là del concetto, è conoscitivamenteineffabile per quanto affermabile.

Su questa scoperta kantiana precritica e critica si fon-da quella intorno a cui tutta la critica si aggira; la dupli-cità dell'oggetto. C'è un oggetto-cosa che è la cosa in sè,che il pensiero afferma ma non conosce, e che perciò(per questa affermazione), fa riflettere Kant, fu giusta-mente detto dagli antichi noumeno. È il pensiero, inquesta sua sommità che dicesi filosofia, che afferma lacosa in sè, e, proprio con questa sua affermazione, la di-chiara irraggiungibile. C'è poi anche un oggetto-concet-to, che in quel «più» esistenziale della cosa in sè ha soloil suo punto di partenza; ma, per se stesso, consiste inquel moto di predicazione che è il giudicare, forma es-senziale dell'umano conoscere. Quel punto di partenzadato dall'oggetto-cosa a quell'eterno discorrere che è

130

non la fuggente cosa mutevole del volgo, ma neppure lapretesa vostra invariante cosa che avete ottenuta elabo-rando il comune sentire (cioè quella fuggente cosa mu-tevole) col lambicco dei vostri strumenti e del vostropensiero associati nella bisogna. Cosa in sè invece èl'essere stesso della cosa: un assoluto «più» non solodella sensazione ma anche del concetto. Volgo, voi, io,con le cose che conosciamo, siamo irrimediabilmentenel concetto. Quando pretendiamo di uscirne, non fac-ciamo che cadere nel senso: e siamo così ancora più lun-gi dal raggiungere la cosa in sè.

È la scoperta che primo Kant ha fatto della esigenzadel realismo il «più» esistenziale, appunto perchè esi-stenziale, è al di là del concetto, è conoscitivamenteineffabile per quanto affermabile.

Su questa scoperta kantiana precritica e critica si fon-da quella intorno a cui tutta la critica si aggira; la dupli-cità dell'oggetto. C'è un oggetto-cosa che è la cosa in sè,che il pensiero afferma ma non conosce, e che perciò(per questa affermazione), fa riflettere Kant, fu giusta-mente detto dagli antichi noumeno. È il pensiero, inquesta sua sommità che dicesi filosofia, che afferma lacosa in sè, e, proprio con questa sua affermazione, la di-chiara irraggiungibile. C'è poi anche un oggetto-concet-to, che in quel «più» esistenziale della cosa in sè ha soloil suo punto di partenza; ma, per se stesso, consiste inquel moto di predicazione che è il giudicare, forma es-senziale dell'umano conoscere. Quel punto di partenzadato dall'oggetto-cosa a quell'eterno discorrere che è

130

Page 131: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

l'oggetto-concetto, resta sempre al di fuori di questo di-scorrere; è assoluto punto di partenza, pel quale il con-cetto non sarà mai di passaggio.

Ecco qui la cosiddetta cosa fuori di noi: l'oggetto-cosa, che, pel suo essere in re, cioè in cosa, in sè, non èil concetto che da essa soltanto parte, lasciandola, ancheal momento di partire, al di là di sè: l'oggetto-cosa fuoridell'oggetto-concetto.

Kant ha additata la cosa che non è oggetto: pare abbiafinalmente compiuta la scoperta cominciata da Socrate.

Se adunque c'è un colpevole di questo radicato pre-giudizio delle cose fuori di noi e cioè fuori della co-scienza, questi è proprio il filosofo. Nè la coscienza co-mune, nè la scienza sa nulla di questa distinzionedell'essere in sè dal conoscere.

E chi avrebbe data la dimostrazione più chiara di que-sta distinzione sarebbe proprio quel Kant, dal cui pen-siero invece lo Schelling giustamente traeva quell'ideali-smo che di quel pregiudizio è a sua volta la più chiaraconfutazione. Fino a Kant si può dire che il realismonon aveva saputo esplicare se stesso; esso non avevascoperta la cosa in sè che affermava. La scopre Kant. Edè un progresso, e decisivo, che egli fa fare al pensierospeculativo. La kantiana cosa in sè non è soltanto un re-siduo dogmatico.

Fino a Kant quella distinzione che Socrate aveva sco-perta, contro il soggettivismo sofistico, tra la cosa comeoggetto di coscienza del soggetto conoscente e la cosache, nell'esser suo universale, supera questa soggettiva

131

l'oggetto-concetto, resta sempre al di fuori di questo di-scorrere; è assoluto punto di partenza, pel quale il con-cetto non sarà mai di passaggio.

Ecco qui la cosiddetta cosa fuori di noi: l'oggetto-cosa, che, pel suo essere in re, cioè in cosa, in sè, non èil concetto che da essa soltanto parte, lasciandola, ancheal momento di partire, al di là di sè: l'oggetto-cosa fuoridell'oggetto-concetto.

Kant ha additata la cosa che non è oggetto: pare abbiafinalmente compiuta la scoperta cominciata da Socrate.

Se adunque c'è un colpevole di questo radicato pre-giudizio delle cose fuori di noi e cioè fuori della co-scienza, questi è proprio il filosofo. Nè la coscienza co-mune, nè la scienza sa nulla di questa distinzionedell'essere in sè dal conoscere.

E chi avrebbe data la dimostrazione più chiara di que-sta distinzione sarebbe proprio quel Kant, dal cui pen-siero invece lo Schelling giustamente traeva quell'ideali-smo che di quel pregiudizio è a sua volta la più chiaraconfutazione. Fino a Kant si può dire che il realismonon aveva saputo esplicare se stesso; esso non avevascoperta la cosa in sè che affermava. La scopre Kant. Edè un progresso, e decisivo, che egli fa fare al pensierospeculativo. La kantiana cosa in sè non è soltanto un re-siduo dogmatico.

Fino a Kant quella distinzione che Socrate aveva sco-perta, contro il soggettivismo sofistico, tra la cosa comeoggetto di coscienza del soggetto conoscente e la cosache, nell'esser suo universale, supera questa soggettiva

131

Page 132: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

coscienza, si può dire che rimane inavvertita dominatri-ce di tutto il pensiero speculativo. E mentre si accetta esi accentua la distinzione, e su di essa si argomenta, nel-lo stesso tempo non se ne chiarisce il significato e non sivede quindi che la famosa essenza oggettiva della cosa,una volta posta la distinzione, non può essere la cosastessa. Questa confusione è la caratteristica del pensierodogmatico, e il chiarimento di essa quella del pensierocritico.

E perciò, non ostanti le confusioni e le conseguentioscurità, Kant ha ragione contro Berkeley nel difendere,con tanta intollerante acredine, il proprio realismo con-tro l'idealismo sognante. Berkeley era ancora dogmati-co. Il «fuori di noi» della kantiana cosa in sè non era daKant inteso spazialmente e forse neppure categorica-mente. È un «fuori di noi» non riducibile, per Kant, nè aintuizione, nè a concetto; non riducibile, anche se Kant,nella difesa che ne fa, ricorre all'una o all'altra di questeriduzioni.

31. Contraddittorietà di tal concetto filosofico dicosa in sè.

Però questo concetto filosofico della cosa in sè, chepare coroni due millenni di speculazione, a chi ben loguardi, è contraddittorio.

La dimostrazione storica è stata data a passi gradualidall'idealismo post-kantiano, del quale ha posto sicuro

132

coscienza, si può dire che rimane inavvertita dominatri-ce di tutto il pensiero speculativo. E mentre si accetta esi accentua la distinzione, e su di essa si argomenta, nel-lo stesso tempo non se ne chiarisce il significato e non sivede quindi che la famosa essenza oggettiva della cosa,una volta posta la distinzione, non può essere la cosastessa. Questa confusione è la caratteristica del pensierodogmatico, e il chiarimento di essa quella del pensierocritico.

E perciò, non ostanti le confusioni e le conseguentioscurità, Kant ha ragione contro Berkeley nel difendere,con tanta intollerante acredine, il proprio realismo con-tro l'idealismo sognante. Berkeley era ancora dogmati-co. Il «fuori di noi» della kantiana cosa in sè non era daKant inteso spazialmente e forse neppure categorica-mente. È un «fuori di noi» non riducibile, per Kant, nè aintuizione, nè a concetto; non riducibile, anche se Kant,nella difesa che ne fa, ricorre all'una o all'altra di questeriduzioni.

31. Contraddittorietà di tal concetto filosofico dicosa in sè.

Però questo concetto filosofico della cosa in sè, chepare coroni due millenni di speculazione, a chi ben loguardi, è contraddittorio.

La dimostrazione storica è stata data a passi gradualidall'idealismo post-kantiano, del quale ha posto sicuro

132

Page 133: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ed esplicito il fondamento Fichte anche riguardo al me-todo dialettico portato a sistematico compimento da He-gel.

Che questo concetto della cosa in sè sia contradditto-rio, è facile riconoscere: la cosa in sè, per noi che colpensiero l'affermiamo, non può essere che un concetto,o una idea, un «in noi», sempre qualcosa che è nella no-stra coscienza razionale, non mai un «più» di questa, il«più» realistico. E invece il concetto che della cosa in sèKant ha fissato, rigorosamente deducendolo dalla filoso-fia precritica, che era tutta realistica, è un concetto di unqualcosa che non solo non è concetto, ma, per essere il«più» realistico, è sempre di là dalla nostra coscienzache l'afferma. Per esser fuori della nostra coscienza,deve esserci dentro; e una volta dentro, non è più quelche deve essere.

L'affermazione noumenica della cosa in sè (pur la-sciando da parte l'intuizione sensibile), per quanto vo-gliamo distinguerla dal concetto intellettivo, resta pursempre un concetto razionale di quella cosa. E Kant nonsi sottrasse a questa necessità: la disse concetto della ra-gione, idea; e, peggio ancora, la determinò poi comeDio, anima, mondo, libertà, fine ecc.... Quell'irraggiun-gibile «più» era raggiunto; l'inconoscibile era conosciu-to. E quand'anche si ammetta una natura sui generis diquell'affermazione come atto della nostra coscienza;quand'anche si faccia da Kant cedere le armi dinanziall'aggressione di Jacobi, e gli si faccia, per ipotesi, am-mettere che quella affermazione del noumeno non è che

133

ed esplicito il fondamento Fichte anche riguardo al me-todo dialettico portato a sistematico compimento da He-gel.

Che questo concetto della cosa in sè sia contradditto-rio, è facile riconoscere: la cosa in sè, per noi che colpensiero l'affermiamo, non può essere che un concetto,o una idea, un «in noi», sempre qualcosa che è nella no-stra coscienza razionale, non mai un «più» di questa, il«più» realistico. E invece il concetto che della cosa in sèKant ha fissato, rigorosamente deducendolo dalla filoso-fia precritica, che era tutta realistica, è un concetto di unqualcosa che non solo non è concetto, ma, per essere il«più» realistico, è sempre di là dalla nostra coscienzache l'afferma. Per esser fuori della nostra coscienza,deve esserci dentro; e una volta dentro, non è più quelche deve essere.

L'affermazione noumenica della cosa in sè (pur la-sciando da parte l'intuizione sensibile), per quanto vo-gliamo distinguerla dal concetto intellettivo, resta pursempre un concetto razionale di quella cosa. E Kant nonsi sottrasse a questa necessità: la disse concetto della ra-gione, idea; e, peggio ancora, la determinò poi comeDio, anima, mondo, libertà, fine ecc.... Quell'irraggiun-gibile «più» era raggiunto; l'inconoscibile era conosciu-to. E quand'anche si ammetta una natura sui generis diquell'affermazione come atto della nostra coscienza;quand'anche si faccia da Kant cedere le armi dinanziall'aggressione di Jacobi, e gli si faccia, per ipotesi, am-mettere che quella affermazione del noumeno non è che

133

Page 134: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sentimento razionale; sempre essa rimarrà un fatto no-stro di coscienza, dal quale soltanto risulta un assoluto«più» della nostra coscienza stessa: la cosa in sè. Conquesto «risultare» della cosa in sè dalla coscienza, essanega se stessa come tale: è contraddittoria.

La distinzione kantiana tra pensare e conoscere nonriesce dunque a salvare la cosa in sè da questa sua es-senza contraddittoria, anche quando con Jacobi si neghila discorsività della ragione. Tanto meno vi riusciràquando si ricordi che la ragione per Kant non esce dallanatura discorsiva dell'intelletto, anzi ne è la sublimazio-ne.

La cosa in sè, adunque, per essere quello che è, deveessere riduzione a coscienza razionale di ciò che a co-scienza razionale è irriducibile. La cosa in sè, per essereil detto «più» realistico, non dovrebbe essere mai ogget-to; ed invece ogni affermazione che della cosa si faccia,è, per lo meno, una contaminazione di essa col razionaleoggetto: ogni affermazione di cosa è oggettiva.

Kant si può dire che vide esplicitamente questa in-compatibilità tra cosa ed oggetto soltanto per il concet-to. Quindi già per Kant della cosa in sè non si ha unconcetto; questo ci dà soltanto un oggetto, non mai unacosa. Non si accorse però che quel «più» realistico dellacosa in sè, per essere quello che deve, richiede la stessaincompatibilità con ogni forma della coscienza raziona-le; nel momento stesso in cui esso diventa un quid dipensiero non è più il «più» realistico, che in tanto ha ra-gion di essere affermato in quanto è distinto dall'oggetto

134

sentimento razionale; sempre essa rimarrà un fatto no-stro di coscienza, dal quale soltanto risulta un assoluto«più» della nostra coscienza stessa: la cosa in sè. Conquesto «risultare» della cosa in sè dalla coscienza, essanega se stessa come tale: è contraddittoria.

La distinzione kantiana tra pensare e conoscere nonriesce dunque a salvare la cosa in sè da questa sua es-senza contraddittoria, anche quando con Jacobi si neghila discorsività della ragione. Tanto meno vi riusciràquando si ricordi che la ragione per Kant non esce dallanatura discorsiva dell'intelletto, anzi ne è la sublimazio-ne.

La cosa in sè, adunque, per essere quello che è, deveessere riduzione a coscienza razionale di ciò che a co-scienza razionale è irriducibile. La cosa in sè, per essereil detto «più» realistico, non dovrebbe essere mai ogget-to; ed invece ogni affermazione che della cosa si faccia,è, per lo meno, una contaminazione di essa col razionaleoggetto: ogni affermazione di cosa è oggettiva.

Kant si può dire che vide esplicitamente questa in-compatibilità tra cosa ed oggetto soltanto per il concet-to. Quindi già per Kant della cosa in sè non si ha unconcetto; questo ci dà soltanto un oggetto, non mai unacosa. Non si accorse però che quel «più» realistico dellacosa in sè, per essere quello che deve, richiede la stessaincompatibilità con ogni forma della coscienza raziona-le; nel momento stesso in cui esso diventa un quid dipensiero non è più il «più» realistico, che in tanto ha ra-gion di essere affermato in quanto è distinto dall'oggetto

134

Page 135: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

di coscienza. Quel «più» dunque richiede e nega la co-scienza razionale: la richiede per essere affermato, lanega con l'intima essenza sua. Il ricorso alla «idea» cioèal «concetto di ragione» non salva Kant da questa con-traddizione, ma lo irretisce in nuove difficoltà nascentidalla duplicazione che così si fa della cosa in sè: unache rimane l'inesplorata radice del sentito, l'altra che èl'elaborazione somma del concepito.

La contraddizione fu vista, si può dire con esplicitachiarezza, dal Fichte, il quale però la ritenne una con-traddizione indispensabile, epperciò egli potè a ragionedirsi ancora kantiano. Ma l'umana conoscenza, egli di-mostra, non è inficiata da questa contraddizione. Nellaumana conoscenza infatti di quella contraddittoria cosain sè, non rimane che l'elemento negativo, cioè la non-coscienza. Il sì di questa non-coscienza che è la cosa insè, nella coscienza razionale non solo non risulta affatto,ma non è affatto neppure necessario. Tutta la razionalità,teoretica e pratica, è perfettamente costruibile, postocome positivo soltanto l'io. Quel «più» della cosa in sè,che in sè dovrebbe essere positivo, nella coscienza nonpuò essere che negativo. La coscienza, dunque, non èaffetta da quella contraddizione che è il costitutivo es-senziale della cosa in sè.

Fichte quindi si può dire che lasciava al suo postoquel kantiano «più», punto di partenza della conoscen-za. Il «più» realistico di Kant non è più per Fichte puntodi partenza di una rettilinea via della conoscenza; è in-vece punto che il conoscere continuamente lambisce nel

135

di coscienza. Quel «più» dunque richiede e nega la co-scienza razionale: la richiede per essere affermato, lanega con l'intima essenza sua. Il ricorso alla «idea» cioèal «concetto di ragione» non salva Kant da questa con-traddizione, ma lo irretisce in nuove difficoltà nascentidalla duplicazione che così si fa della cosa in sè: unache rimane l'inesplorata radice del sentito, l'altra che èl'elaborazione somma del concepito.

La contraddizione fu vista, si può dire con esplicitachiarezza, dal Fichte, il quale però la ritenne una con-traddizione indispensabile, epperciò egli potè a ragionedirsi ancora kantiano. Ma l'umana conoscenza, egli di-mostra, non è inficiata da questa contraddizione. Nellaumana conoscenza infatti di quella contraddittoria cosain sè, non rimane che l'elemento negativo, cioè la non-coscienza. Il sì di questa non-coscienza che è la cosa insè, nella coscienza razionale non solo non risulta affatto,ma non è affatto neppure necessario. Tutta la razionalità,teoretica e pratica, è perfettamente costruibile, postocome positivo soltanto l'io. Quel «più» della cosa in sè,che in sè dovrebbe essere positivo, nella coscienza nonpuò essere che negativo. La coscienza, dunque, non èaffetta da quella contraddizione che è il costitutivo es-senziale della cosa in sè.

Fichte quindi si può dire che lasciava al suo postoquel kantiano «più», punto di partenza della conoscen-za. Il «più» realistico di Kant non è più per Fichte puntodi partenza di una rettilinea via della conoscenza; è in-vece punto che il conoscere continuamente lambisce nel

135

Page 136: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

suo viaggio circolare, senza mai travolgerlo nella suacircolarità.

Ma non è difficile vedere che così lo stesso Fichte ri-maneva in qualche modo nella contraddizione kantiana,pure credendo di averla perfettamente superata. Il supe-ramento vero, una volta riconosciuto alla cosa in sè kan-tiana il «più» realistico, sta nel riconoscere la inelimina-bilità della contraddizione dalla stessa coscienza. Così ilpunto di partenza, proprio con la sua contraddittorietà,costituisce lo stesso moto della conoscenza: il punto dipartenza, riconoscendo la propria contraddizione, si ri-conosce esso stesso come moto: moto circolare e perciòsenza punto di partenza o con infiniti punti di partenza.La cosa in sè, proprio nella sua contraddizione, si rico-nosce come la stessa conoscenza che se ne ha. La naturacontraddittoria della cosa. in sè si impone alla stessa co-scienza che pretende conoscerla. E solo così fanno uno.La coscienza ha dovuto riconoscere in sè quella contrad-dizione in cui si era messa scoprendo essa, coscienza, lacosa in sè.

È lo sviluppo storico che poi si è avuto dalla opposi-zione fichtiana, dimenticandosene la posizione.

Si è così annullata la coscienza, ridotta soltanto ad undir di no; ma si è annullata anche la cosa in sè.

Questa, proprio mentre si voleva fissare l'essere inquanto opposto al conoscere, finiva con l'essere total-mente travolta nello stesso conoscere. Il «più» realisti-co, punto di partenza (limite) della coscienza, ma in sèpositivo, scompariva affatto, ridotto, come fu, da prima

136

suo viaggio circolare, senza mai travolgerlo nella suacircolarità.

Ma non è difficile vedere che così lo stesso Fichte ri-maneva in qualche modo nella contraddizione kantiana,pure credendo di averla perfettamente superata. Il supe-ramento vero, una volta riconosciuto alla cosa in sè kan-tiana il «più» realistico, sta nel riconoscere la inelimina-bilità della contraddizione dalla stessa coscienza. Così ilpunto di partenza, proprio con la sua contraddittorietà,costituisce lo stesso moto della conoscenza: il punto dipartenza, riconoscendo la propria contraddizione, si ri-conosce esso stesso come moto: moto circolare e perciòsenza punto di partenza o con infiniti punti di partenza.La cosa in sè, proprio nella sua contraddizione, si rico-nosce come la stessa conoscenza che se ne ha. La naturacontraddittoria della cosa. in sè si impone alla stessa co-scienza che pretende conoscerla. E solo così fanno uno.La coscienza ha dovuto riconoscere in sè quella contrad-dizione in cui si era messa scoprendo essa, coscienza, lacosa in sè.

È lo sviluppo storico che poi si è avuto dalla opposi-zione fichtiana, dimenticandosene la posizione.

Si è così annullata la coscienza, ridotta soltanto ad undir di no; ma si è annullata anche la cosa in sè.

Questa, proprio mentre si voleva fissare l'essere inquanto opposto al conoscere, finiva con l'essere total-mente travolta nello stesso conoscere. Il «più» realisti-co, punto di partenza (limite) della coscienza, ma in sèpositivo, scompariva affatto, ridotto, come fu, da prima

136

Page 137: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ed unica affermazione della res in quanto tale, a schiettae pura negazione della coscienza in quanto tale, e final-mente a pura e semplice negazione senz'altro.

Questa negazione della precritica cosa in sè da partedell'idealismo è definitiva. Invano perciò si affannano apuntellare la fortezza dogmatica della cosa in sè i reali-sti conservatori. Kant avvistò con chiarezza tale cosa insè realistica, e le artiglierie del pensiero, rese una buonavolta libere proprio dall'ingombro di essa, la demolironosenza residuo. Con tale scoperta Kant rese alla filosofiail merito di individuare e quindi far togliere di mezzo ilfantoccio di una cosa fuori della coscienza, che quellamorta filosofia che è la coscienza volgare, nella eternaparodia che fa e farà della filosofia viva e vitale, si eracreato cristallizzando gli sforzi che la filosofia da Socra-te in poi aveva fatto in questa penetrazione della cosa,che è la distinzione del suo essere universale dalla cono-scenza individuale che se ne abbia.

Quel fantoccio, abbiamo visto, non c'è nella coscien-za comune; a ricrearlo si affannano i realisti. E perciòquesta, tanto vana quanto laboriosa fatica, venga d'oltreAlpe o di oltre Oceano, o sia fatta in casa nostra10, anche

10 Per quest'ultima mi riferisco specialmente a due recenti me-morie, una del Tarozzi, L'idea di esistenza e la pensabilità delreale trascendente (presentata alla R. Accademia delle scienzedell'Istituto di Bologna Serie III, vol. I, 1926-27, ed ora ristampa-ta nei cap. II-V del vol. L'esistenza e l'anima, Bari, 1930) e l'altradel Baratono, La cosa in sè (negli Annali della Facoltà di Letteredella R. Università di Cagliari, Bologna, 1928).

137

ed unica affermazione della res in quanto tale, a schiettae pura negazione della coscienza in quanto tale, e final-mente a pura e semplice negazione senz'altro.

Questa negazione della precritica cosa in sè da partedell'idealismo è definitiva. Invano perciò si affannano apuntellare la fortezza dogmatica della cosa in sè i reali-sti conservatori. Kant avvistò con chiarezza tale cosa insè realistica, e le artiglierie del pensiero, rese una buonavolta libere proprio dall'ingombro di essa, la demolironosenza residuo. Con tale scoperta Kant rese alla filosofiail merito di individuare e quindi far togliere di mezzo ilfantoccio di una cosa fuori della coscienza, che quellamorta filosofia che è la coscienza volgare, nella eternaparodia che fa e farà della filosofia viva e vitale, si eracreato cristallizzando gli sforzi che la filosofia da Socra-te in poi aveva fatto in questa penetrazione della cosa,che è la distinzione del suo essere universale dalla cono-scenza individuale che se ne abbia.

Quel fantoccio, abbiamo visto, non c'è nella coscien-za comune; a ricrearlo si affannano i realisti. E perciòquesta, tanto vana quanto laboriosa fatica, venga d'oltreAlpe o di oltre Oceano, o sia fatta in casa nostra10, anche

10 Per quest'ultima mi riferisco specialmente a due recenti me-morie, una del Tarozzi, L'idea di esistenza e la pensabilità delreale trascendente (presentata alla R. Accademia delle scienzedell'Istituto di Bologna Serie III, vol. I, 1926-27, ed ora ristampa-ta nei cap. II-V del vol. L'esistenza e l'anima, Bari, 1930) e l'altradel Baratono, La cosa in sè (negli Annali della Facoltà di Letteredella R. Università di Cagliari, Bologna, 1928).

137

Page 138: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

questa certo non inferiore a quella, non può non rimane-re senza efficacia filosofica, solo ai margini della cor-rente viva del pensiero nel migliore dei casi.

È dunque imbattibile la posizione idealistica in questapura e semplice negazione della cosa che non sia co-scienza in quanto è in sè.

Entrambi tentano una difesa del realismo, cercando di giustifi-care un ontologismo realistico, che però, nella stessa difesa che sene fa, diventa logico nell'uno, psicologico nell'altro.

Diventa logico nel Tarozzi, giacchè non voglio fargli il torto dicredere che egli veramente concepisca il pensiero come l'ago ca-lamitato della bussola, o come la bussola stessa, dalla quale è fuo-ri la stella polare, come sarebbe fuori del pensiero il «pensato» inquanto «inferito logicamente» (p. 32). Se tal «inferito logicamen-te» è pensato, se si concede al Tarozzi che «per natura sua il pen-siero cerca ciò che non è pensiero» (p. 31), e se quel pensato èquesto «non pensiero» cercato dal pensiero, non vede il T. chesiamo proprio a quel concetto della cosa in sè come non io cheFichte credette di trarre da Kant, e da cui necessariamente si svol-ge la dialettica contraddittoria di Hegel? Quando il T. dice che«se vi è qualche cosa di pensabile, è precisamente e per eccellen-za la realtà trascendente, perchè noi la pensiamo tutte le volte chepensiamo l'esistenza» (p. 8), non si accorge che si ripone ingenua-mente in quella contraddizione intrinseca del realismo, che giàKant, preparato da Hume e da Berkeley, aveva messa in evidenzaanche senza volerlo, e rimanere nella quale è o voler ignorare lascoperta kantiana e rimanere in pieno dogmatismo dopo due se-coli di critica, o riconoscere come legge del pensiero la contrad-dittorietà e dover quindi passare al dialettismo contraddittorio?

Certo più scaltrita ma altrettanto vana a me pare la difesa delBaratono. Per lui il reale è il sensibile, e la sensazione non è «unarealtà di natura esclusivamente psicologica, o primo fatto co-

138

questa certo non inferiore a quella, non può non rimane-re senza efficacia filosofica, solo ai margini della cor-rente viva del pensiero nel migliore dei casi.

È dunque imbattibile la posizione idealistica in questapura e semplice negazione della cosa che non sia co-scienza in quanto è in sè.

Entrambi tentano una difesa del realismo, cercando di giustifi-care un ontologismo realistico, che però, nella stessa difesa che sene fa, diventa logico nell'uno, psicologico nell'altro.

Diventa logico nel Tarozzi, giacchè non voglio fargli il torto dicredere che egli veramente concepisca il pensiero come l'ago ca-lamitato della bussola, o come la bussola stessa, dalla quale è fuo-ri la stella polare, come sarebbe fuori del pensiero il «pensato» inquanto «inferito logicamente» (p. 32). Se tal «inferito logicamen-te» è pensato, se si concede al Tarozzi che «per natura sua il pen-siero cerca ciò che non è pensiero» (p. 31), e se quel pensato èquesto «non pensiero» cercato dal pensiero, non vede il T. chesiamo proprio a quel concetto della cosa in sè come non io cheFichte credette di trarre da Kant, e da cui necessariamente si svol-ge la dialettica contraddittoria di Hegel? Quando il T. dice che«se vi è qualche cosa di pensabile, è precisamente e per eccellen-za la realtà trascendente, perchè noi la pensiamo tutte le volte chepensiamo l'esistenza» (p. 8), non si accorge che si ripone ingenua-mente in quella contraddizione intrinseca del realismo, che giàKant, preparato da Hume e da Berkeley, aveva messa in evidenzaanche senza volerlo, e rimanere nella quale è o voler ignorare lascoperta kantiana e rimanere in pieno dogmatismo dopo due se-coli di critica, o riconoscere come legge del pensiero la contrad-dittorietà e dover quindi passare al dialettismo contraddittorio?

Certo più scaltrita ma altrettanto vana a me pare la difesa delBaratono. Per lui il reale è il sensibile, e la sensazione non è «unarealtà di natura esclusivamente psicologica, o primo fatto co-

138

Page 139: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

O infatti si ritiene valido il principio di contraddizio-ne, e allora tale cosa in sè, che è la contraddizione piùcomprensiva possibile, sarà eliminata dal principio stes-so di contraddizione: il realista che tal principio ammet-ta, quando di ciò sia veramente consapevole, si accorge-rà che egli, quando crede di pensare la cosa in sè, non

sciente e perciò soggettivo, il che posto non c'è più alcun modo diuscire dal solipsismo per forza di ragionamento» (p. 13). Ed ioconcedo volentieri al B., per quanto la concessione possa parerescandalosa, che la sensazione (io direi il sentire, ma per l'attualediscussione non importa) non sia un fatto soltanto soggettivo. Manon è un fatto di coscienza sol perchè non è un fatto soltanto sog-gettivo? Lo scambio del concetto di soggetto con quello di co-scienza è un errore che io da tempo ho denunziato e che anche gliidealisti hanno preso, senza discernimento, dal realismo dogmati-co. La dimostrazione che il B. dovrebbe dare per dimostrare lasua tesi è che la sensazione non sia coscienza, cioè la sensazionenon si senta. Il poterla considerare come fatto fisico o come fattopsichico (p. 14) non vuol dire anche escludere quel consideratofatto fisico dalla coscienza. E l'appartenenza della sensazione allacoscienza non vuol dire che essa non sia reale, anzi è la condizio-ne perchè reale sia. Che cosa poi voglia dire «io non posso essereassolutamente certo che di ciò che sento» (p. 20), se non si inclu-de nel campo della certezza e quindi della coscienza quello chesento, io non intendo. E quando si sia intesa questa ineliminabilitàdella sensazione dalla coscienza, la tesi del B. si ridurrebbe a vo-ler costruire la coscienza logica su quella psicologica, il pensierosul senso ancora empiricamente inteso e non portato, come deve-si, nel campo stesso del pensiero; si riduce ad un psicologismoche fu sempre storicamente ed è logicamente l'anticameradell'idealismo. Rifletta il B. sui cenni, che, sul sentire come formaconcreta di spiritualità razionale, io ho dato qua e là certo in for-

139

O infatti si ritiene valido il principio di contraddizio-ne, e allora tale cosa in sè, che è la contraddizione piùcomprensiva possibile, sarà eliminata dal principio stes-so di contraddizione: il realista che tal principio ammet-ta, quando di ciò sia veramente consapevole, si accorge-rà che egli, quando crede di pensare la cosa in sè, non

sciente e perciò soggettivo, il che posto non c'è più alcun modo diuscire dal solipsismo per forza di ragionamento» (p. 13). Ed ioconcedo volentieri al B., per quanto la concessione possa parerescandalosa, che la sensazione (io direi il sentire, ma per l'attualediscussione non importa) non sia un fatto soltanto soggettivo. Manon è un fatto di coscienza sol perchè non è un fatto soltanto sog-gettivo? Lo scambio del concetto di soggetto con quello di co-scienza è un errore che io da tempo ho denunziato e che anche gliidealisti hanno preso, senza discernimento, dal realismo dogmati-co. La dimostrazione che il B. dovrebbe dare per dimostrare lasua tesi è che la sensazione non sia coscienza, cioè la sensazionenon si senta. Il poterla considerare come fatto fisico o come fattopsichico (p. 14) non vuol dire anche escludere quel consideratofatto fisico dalla coscienza. E l'appartenenza della sensazione allacoscienza non vuol dire che essa non sia reale, anzi è la condizio-ne perchè reale sia. Che cosa poi voglia dire «io non posso essereassolutamente certo che di ciò che sento» (p. 20), se non si inclu-de nel campo della certezza e quindi della coscienza quello chesento, io non intendo. E quando si sia intesa questa ineliminabilitàdella sensazione dalla coscienza, la tesi del B. si ridurrebbe a vo-ler costruire la coscienza logica su quella psicologica, il pensierosul senso ancora empiricamente inteso e non portato, come deve-si, nel campo stesso del pensiero; si riduce ad un psicologismoche fu sempre storicamente ed è logicamente l'anticameradell'idealismo. Rifletta il B. sui cenni, che, sul sentire come formaconcreta di spiritualità razionale, io ho dato qua e là certo in for-

139

Page 140: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

pensa nulla, perchè, se qualcosa pensasse, penserebbeuna contraddizione, negherebbe il principio che egli am-mette. L'idealismo, adunque, in tal caso è inattaccabile:gli attaccanti devono servirsi di armi (principio di noncontraddizione) che sono rese inservibili proprio dallostesso principe (detta cosa in sè) al cui servizio sono, eche è, in sè, contraddizione. Che il principio di non con-traddizione sia, nell'essenza sua, dogmaticamente reali-stico, è ancora da dimostrare. Eppure è questo il presup-posto su cui tanto idealismo si fonda nel condannarlosenz'altro. Può darsi invece che esso sia proprio il prin-cipio che condanna il realismo.

Se poi il realista tal principio di non contraddizionenon ritiene valido proprio per salvare questa contraddit-toria cosa in sè, se non vorrà rimanere in un grosso era-clitismo e rinnegare cosi come suo pensiero quel motocontraddittorio che egli pur, pensando la cosa in sè, af-ferma, si sentirà subito trasportato di peso nel dialetti-smo hegeliano, il quale appunto, come abbiamo accen-nato, non è che l'elevazione a sistema spirituale dellacontraddittoria cosa in sè scoperta da Kant come realtà.Sarà, cioè, portato nel più pieno idealismo.

ma ancora molto sommaria ma pur in intima coerenza col concet-to di concreto che vengo sviluppando, e trarrà, io spero, da quellaesigenza del sentire, nella cui soddisfazione egli trova motivi diampia ed acuta riflessione (cfr. i suoi studi sulla Critica del Giu-dizio di Kant), sviluppi ben più profondi di quel psicologismo nelquale ora, senza volerlo, il B. si chiude.

140

pensa nulla, perchè, se qualcosa pensasse, penserebbeuna contraddizione, negherebbe il principio che egli am-mette. L'idealismo, adunque, in tal caso è inattaccabile:gli attaccanti devono servirsi di armi (principio di noncontraddizione) che sono rese inservibili proprio dallostesso principe (detta cosa in sè) al cui servizio sono, eche è, in sè, contraddizione. Che il principio di non con-traddizione sia, nell'essenza sua, dogmaticamente reali-stico, è ancora da dimostrare. Eppure è questo il presup-posto su cui tanto idealismo si fonda nel condannarlosenz'altro. Può darsi invece che esso sia proprio il prin-cipio che condanna il realismo.

Se poi il realista tal principio di non contraddizionenon ritiene valido proprio per salvare questa contraddit-toria cosa in sè, se non vorrà rimanere in un grosso era-clitismo e rinnegare cosi come suo pensiero quel motocontraddittorio che egli pur, pensando la cosa in sè, af-ferma, si sentirà subito trasportato di peso nel dialetti-smo hegeliano, il quale appunto, come abbiamo accen-nato, non è che l'elevazione a sistema spirituale dellacontraddittoria cosa in sè scoperta da Kant come realtà.Sarà, cioè, portato nel più pieno idealismo.

ma ancora molto sommaria ma pur in intima coerenza col concet-to di concreto che vengo sviluppando, e trarrà, io spero, da quellaesigenza del sentire, nella cui soddisfazione egli trova motivi diampia ed acuta riflessione (cfr. i suoi studi sulla Critica del Giu-dizio di Kant), sviluppi ben più profondi di quel psicologismo nelquale ora, senza volerlo, il B. si chiude.

140

Page 141: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

32. La concezione negativa o contraddittoria della cosa in sè conseguenza della predetta con-cezione filosofica (realismo) della cosa in sè.

Dunque la cosa in sè, in quanto cosa distinta da quelladella coscienza e quindi ineffabilmente fuori di questa, opuramente e semplicemente non è, o è la stessa contrad-dizione dialettica con la quale essa è affermata.

In entrambi i casi, se ricordiamo (§ 30) che la cosa insè che la filosofia ha voluto distinguere dall'oggetto co-nosciuto, è lo stesso essere nel suo esistere sic et simpli-citer, in entrambi i casi veniamo a dire che l'essere è nonessere, che l'essere non è.

Questa conseguenza, si sa, è stata storicamente trattadall'esame del concetto di cosa in sè kantiano. E quindiquella logica trascendentale, mediante la quale Kant pri-mo iniziò la individuazione critica del concetto di cosain sè, si sviluppò come dialettica contraddittoria, e sipresentò in tal veste come la vera logica, che tollera an-cora accanto a sè la logica dell'essere, la logica del noncontraddittorio, ma soltanto come logica di quella co-scienza comune nella quale si annida inestirpabile l'erro-re dell'essere in sè positivo.

Dinanzi a questo duplice risultato: 1) l'essere in sènon è, 2) la logica dell'essere, che è quella della coscien-za comune, è una logica inferiore, astratta, erronea, irra-zionale, quella coscienza comune ingenua che della cosacome distinta dall'oggetto, abbiam visto, non sa nulla econtinua a non sapere nulla, sente di dover giustificare

141

32. La concezione negativa o contraddittoria della cosa in sè conseguenza della predetta con-cezione filosofica (realismo) della cosa in sè.

Dunque la cosa in sè, in quanto cosa distinta da quelladella coscienza e quindi ineffabilmente fuori di questa, opuramente e semplicemente non è, o è la stessa contrad-dizione dialettica con la quale essa è affermata.

In entrambi i casi, se ricordiamo (§ 30) che la cosa insè che la filosofia ha voluto distinguere dall'oggetto co-nosciuto, è lo stesso essere nel suo esistere sic et simpli-citer, in entrambi i casi veniamo a dire che l'essere è nonessere, che l'essere non è.

Questa conseguenza, si sa, è stata storicamente trattadall'esame del concetto di cosa in sè kantiano. E quindiquella logica trascendentale, mediante la quale Kant pri-mo iniziò la individuazione critica del concetto di cosain sè, si sviluppò come dialettica contraddittoria, e sipresentò in tal veste come la vera logica, che tollera an-cora accanto a sè la logica dell'essere, la logica del noncontraddittorio, ma soltanto come logica di quella co-scienza comune nella quale si annida inestirpabile l'erro-re dell'essere in sè positivo.

Dinanzi a questo duplice risultato: 1) l'essere in sènon è, 2) la logica dell'essere, che è quella della coscien-za comune, è una logica inferiore, astratta, erronea, irra-zionale, quella coscienza comune ingenua che della cosacome distinta dall'oggetto, abbiam visto, non sa nulla econtinua a non sapere nulla, sente di dover giustificare

141

Page 142: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la propria logica e quindi negare la negazione dell'esse-re. Ma a giustificare questo negare la negazionedell'essere non sa fare altro che mettersi in quella distin-zione di cosa ed oggetto che la filosofia stessa le avevagià prima imposta: si ribella alla filosofia, ponendosi inun momento già morto di questa, accampando contro lafilosofia viva una filosofia morta. E diventa così co-scienza volgare: coscienza in cui si vive come filosofiaun riconosciuto errore di questa.

La coscienza comune non può giustificare le proprieesigenze eventualmente misconosciute dall'indagine fi-losofica, se non elevandosi alla filosofia, cioè conti-nuando la stessa indagine filosofica. Di qui la necessitàche la filosofia da una parte non si chiuda soltanto nellasua storia, e la coscienza comune dall'altra non creda dipoter giudicare della filosofia e delle sue affermazioni,ignorandola nella sua storia. Nell'un caso la filosofia di-venta incapace di riconoscere i propri errori e così pro-gredire; nell'altro la coscienza comune finisce di esseretale senza sapersi elevare a filosofia: diventa coscienzavolgare11.

Non possiamo, dunque, stando nella viva filosofia,accettare questa pretesa difesa che la coscienza comunefaccia della cosa in sè fuori della coscienza e quella pre-tesa condanna che, in base a questa difesa, essa faccia

11 Cfr. al prop. La storia nel vol. Scritti filosofici in onore diB. Varisco, Firenze, Vallecchi, 1925, e l'Introduz. del cit. vol. Ilprobl. d. fil. da Kani a Fichte.

142

la propria logica e quindi negare la negazione dell'esse-re. Ma a giustificare questo negare la negazionedell'essere non sa fare altro che mettersi in quella distin-zione di cosa ed oggetto che la filosofia stessa le avevagià prima imposta: si ribella alla filosofia, ponendosi inun momento già morto di questa, accampando contro lafilosofia viva una filosofia morta. E diventa così co-scienza volgare: coscienza in cui si vive come filosofiaun riconosciuto errore di questa.

La coscienza comune non può giustificare le proprieesigenze eventualmente misconosciute dall'indagine fi-losofica, se non elevandosi alla filosofia, cioè conti-nuando la stessa indagine filosofica. Di qui la necessitàche la filosofia da una parte non si chiuda soltanto nellasua storia, e la coscienza comune dall'altra non creda dipoter giudicare della filosofia e delle sue affermazioni,ignorandola nella sua storia. Nell'un caso la filosofia di-venta incapace di riconoscere i propri errori e così pro-gredire; nell'altro la coscienza comune finisce di esseretale senza sapersi elevare a filosofia: diventa coscienzavolgare11.

Non possiamo, dunque, stando nella viva filosofia,accettare questa pretesa difesa che la coscienza comunefaccia della cosa in sè fuori della coscienza e quella pre-tesa condanna che, in base a questa difesa, essa faccia

11 Cfr. al prop. La storia nel vol. Scritti filosofici in onore diB. Varisco, Firenze, Vallecchi, 1925, e l'Introduz. del cit. vol. Ilprobl. d. fil. da Kani a Fichte.

142

Page 143: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dei due sopraccennati risultati dell'annullamento dellacosa in sè.

La coscienza comune non parla a nome proprio, nondifende cosa propria. Chi parla è soltanto la coscienzavolgare: un tessuto di morte posizioni filosofiche. Lacoscienza comune protesterà soltanto dinanzi aquell'annullamento della cosa, che essa invece esigecome quel quid unificante che abbiam visto.

Questo annullamento dovrà esser tolto, quei risultatidovranno essere riveduti, ma soltanto in sede filosofica:la coscienza comune, ripeto, non sa nulla di cose fuoridella coscienza.

Donde, dunque, dipende quell'annullamento dellacosa in sè, che l'idealismo post-kantiano ha fatto, e che,mentre par che sopprima la scoperta maggiore di cuiKant si gloriava, abbiamo detto è ineliminabile?

Dipende dal fatto semplicissimo che l'idealismo postkantiano ha concluso a qualcosa di più o, meglio, di di-verso da quello a cui il processo, che Kant stesso avevaintentato al realismo dogmatico, l'autorizzava a conclu-dere.

Questo processo autorizzava a concludere con la con-futazione e l'abbandono del concetto realistico di cosain sè, ma non con la riduzione del concetto stesso dicosa in sè a negazione.

Con questa riduzione non si faceva che dar ragione alrealismo, accettandone il concetto di essere. Se questoconcetto di essere, per la coscienza comune, e quindianche per quella filosofica, dovesse essere altro da quel-

143

dei due sopraccennati risultati dell'annullamento dellacosa in sè.

La coscienza comune non parla a nome proprio, nondifende cosa propria. Chi parla è soltanto la coscienzavolgare: un tessuto di morte posizioni filosofiche. Lacoscienza comune protesterà soltanto dinanzi aquell'annullamento della cosa, che essa invece esigecome quel quid unificante che abbiam visto.

Questo annullamento dovrà esser tolto, quei risultatidovranno essere riveduti, ma soltanto in sede filosofica:la coscienza comune, ripeto, non sa nulla di cose fuoridella coscienza.

Donde, dunque, dipende quell'annullamento dellacosa in sè, che l'idealismo post-kantiano ha fatto, e che,mentre par che sopprima la scoperta maggiore di cuiKant si gloriava, abbiamo detto è ineliminabile?

Dipende dal fatto semplicissimo che l'idealismo postkantiano ha concluso a qualcosa di più o, meglio, di di-verso da quello a cui il processo, che Kant stesso avevaintentato al realismo dogmatico, l'autorizzava a conclu-dere.

Questo processo autorizzava a concludere con la con-futazione e l'abbandono del concetto realistico di cosain sè, ma non con la riduzione del concetto stesso dicosa in sè a negazione.

Con questa riduzione non si faceva che dar ragione alrealismo, accettandone il concetto di essere. Se questoconcetto di essere, per la coscienza comune, e quindianche per quella filosofica, dovesse essere altro da quel-

143

Page 144: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

lo che il realismo dogmatico aveva coniato, l'idealismopost kantiano non si domandava, appunto perchè si erachiuso nella roccaforte della propria logica speculativa,dalla quale escludeva, come erronea per natura, la co-scienza comune.

E si è quindi avuto questo paradosso che l'idealismodialettico postkantiano è la deduzione della premessarealistica, non è la dimostrazione della falsità del reali-smo: è l'accettazione delle conseguenze cui mena il con-cetto realistico dell'essere, non è il deciso ripudio diquesto concetto e delle sue conseguenze. Il dialettismocontraddittorio è, dunque, ancora una conseguenza delrealismo.

Il concetto realistico dell'essere infatti è l'oggetto cosacome fuori della coscienza, perchè opposto al soggetto-io che è coscienza. Abbiamo visto (cap. II) che da que-sto concetto contraddittorio si deduce necessariamentel'oggetto in quanto tale come pura e semplice negazione,e il soggetto come atto del contraddirsi. Questa contrad-dizione che si fa costitutiva del soggetto e quella nega-zione in cui si riduce l'oggetto sono quindi la conse-guenza dell'accettazione di quel concetto.

Quel concetto dell'essere è l'ultimo e più recesso rifu-gio dogmatico del realismo, che l'idealismo dialetticopost kantiano non ha saputo scovare, perchè trattodall'urgente necessità di costruire quella scienza cheall'opera di Kant era mancata, e che pareva dovesse es-sere il necessario coronamento di quell'opera (cap. I).

144

lo che il realismo dogmatico aveva coniato, l'idealismopost kantiano non si domandava, appunto perchè si erachiuso nella roccaforte della propria logica speculativa,dalla quale escludeva, come erronea per natura, la co-scienza comune.

E si è quindi avuto questo paradosso che l'idealismodialettico postkantiano è la deduzione della premessarealistica, non è la dimostrazione della falsità del reali-smo: è l'accettazione delle conseguenze cui mena il con-cetto realistico dell'essere, non è il deciso ripudio diquesto concetto e delle sue conseguenze. Il dialettismocontraddittorio è, dunque, ancora una conseguenza delrealismo.

Il concetto realistico dell'essere infatti è l'oggetto cosacome fuori della coscienza, perchè opposto al soggetto-io che è coscienza. Abbiamo visto (cap. II) che da que-sto concetto contraddittorio si deduce necessariamentel'oggetto in quanto tale come pura e semplice negazione,e il soggetto come atto del contraddirsi. Questa contrad-dizione che si fa costitutiva del soggetto e quella nega-zione in cui si riduce l'oggetto sono quindi la conse-guenza dell'accettazione di quel concetto.

Quel concetto dell'essere è l'ultimo e più recesso rifu-gio dogmatico del realismo, che l'idealismo dialetticopost kantiano non ha saputo scovare, perchè trattodall'urgente necessità di costruire quella scienza cheall'opera di Kant era mancata, e che pareva dovesse es-sere il necessario coronamento di quell'opera (cap. I).

144

Page 145: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La confutazione del realismo quindi si può dire chenon è stata ancora data, perchè questo ha saputo costrin-gere l'idealismo ad assumere una forma voluta da unconcetto realistico. Forma, che, a non considerare perora la contraddittorietà del Soggetto, costringe alla ne-gazione dell'essere come oggettività. Vedemmo chel'oggettività come tale si impone con una insopprimibileesigenza di affermazione. E per soddisfare a questa esi-genza, abbiam visto, siamo costretti a riguadagnarel'oggettività, ma non col riabbracciare il contraddittorioconcetto realistico della cosa in sè che non è coscienza,concetto il quale ci rimenerebbe alle stesse conseguenzedialettiche che vogliamo abbandonare, ma col rivedereil concetto di oggetto alla luce della coscienza comune,pur tenendo conto di tutte le scaltrezze della filosofianel lungo lavorio fatto intorno ad esso.

33. La cosa in sè come Oggetto Puro.

Può dunque la cosa in sè non essere contraddittoria?Abbandonare il realismo è cadere nella indistinta ed

ingenua cosa della coscienza comune, e quindi abbando-nare la cosa in sè.

Conservare la cosa in sè è conservare la distinzionetra oggetto che è nella coscienza del soggetto e cosa insè, cioè è cadere nel realismo, cioè avere il concettocontraddittorio di cosa in sè.

145

La confutazione del realismo quindi si può dire chenon è stata ancora data, perchè questo ha saputo costrin-gere l'idealismo ad assumere una forma voluta da unconcetto realistico. Forma, che, a non considerare perora la contraddittorietà del Soggetto, costringe alla ne-gazione dell'essere come oggettività. Vedemmo chel'oggettività come tale si impone con una insopprimibileesigenza di affermazione. E per soddisfare a questa esi-genza, abbiam visto, siamo costretti a riguadagnarel'oggettività, ma non col riabbracciare il contraddittorioconcetto realistico della cosa in sè che non è coscienza,concetto il quale ci rimenerebbe alle stesse conseguenzedialettiche che vogliamo abbandonare, ma col rivedereil concetto di oggetto alla luce della coscienza comune,pur tenendo conto di tutte le scaltrezze della filosofianel lungo lavorio fatto intorno ad esso.

33. La cosa in sè come Oggetto Puro.

Può dunque la cosa in sè non essere contraddittoria?Abbandonare il realismo è cadere nella indistinta ed

ingenua cosa della coscienza comune, e quindi abbando-nare la cosa in sè.

Conservare la cosa in sè è conservare la distinzionetra oggetto che è nella coscienza del soggetto e cosa insè, cioè è cadere nel realismo, cioè avere il concettocontraddittorio di cosa in sè.

145

Page 146: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

O dunque annullare due millenni di speculazione nelmotivo fondamentale del suo svilupparsi, la distinzionetra la soggettiva coscienza e l'oggettivo essere; ovverorendersi conto della contraddizione realistica e afferma-re l'assoluta dialettica contraddittoria dell'essere comenon essere.

Nel primo caso, ci saremmo persuasi che non la co-scienza comune sia per natura soggetta ad errore, bensìproprio quella filosofica nella impossibile costituzionesua, vana tentatrice della intimità dell'essere, pretesa in-terprete della coscienza comune, interprete erronea per-chè impotente a darne piena ed esatta esplicazione. Mal'indagine filosofica, quale che sia, nasce proprio da esi-genze della coscienza comune, e annullarla quindi sa-rebbe annullare anche questa. La quale perciò ci ripro-porrà con implacabile tenacia e fermezza quella esigen-za, nella cui interpretazione nacque l'errore. Non potre-mo dunque cancellare senz'altro l'elaborazione filosoficadel concetto di cosa: essa nacque per qualche cosa e tor-nerebbe a nascere se assolutamente annullabile oggi fos-se. Ma rientrare oggi nella ingenua coscienza comuneche non sa nulla di cosa in sè, ma sa soltanto la cosa,non ci è neppure possibile, una volta che sulla cosa in sèci hanno aperto gli occhi.

Non è dunque possibile la prima soluzione.Nel secondo caso riconosceremmo che non fu vano il

lavorio filosofico: ci portò alla scoperta dell'essenza in-tima della coscienza, il contraddirsi. L'antinomia, sco-perta da Kant nella coscienza razionale umana quasi a

146

O dunque annullare due millenni di speculazione nelmotivo fondamentale del suo svilupparsi, la distinzionetra la soggettiva coscienza e l'oggettivo essere; ovverorendersi conto della contraddizione realistica e afferma-re l'assoluta dialettica contraddittoria dell'essere comenon essere.

Nel primo caso, ci saremmo persuasi che non la co-scienza comune sia per natura soggetta ad errore, bensìproprio quella filosofica nella impossibile costituzionesua, vana tentatrice della intimità dell'essere, pretesa in-terprete della coscienza comune, interprete erronea per-chè impotente a darne piena ed esatta esplicazione. Mal'indagine filosofica, quale che sia, nasce proprio da esi-genze della coscienza comune, e annullarla quindi sa-rebbe annullare anche questa. La quale perciò ci ripro-porrà con implacabile tenacia e fermezza quella esigen-za, nella cui interpretazione nacque l'errore. Non potre-mo dunque cancellare senz'altro l'elaborazione filosoficadel concetto di cosa: essa nacque per qualche cosa e tor-nerebbe a nascere se assolutamente annullabile oggi fos-se. Ma rientrare oggi nella ingenua coscienza comuneche non sa nulla di cosa in sè, ma sa soltanto la cosa,non ci è neppure possibile, una volta che sulla cosa in sèci hanno aperto gli occhi.

Non è dunque possibile la prima soluzione.Nel secondo caso riconosceremmo che non fu vano il

lavorio filosofico: ci portò alla scoperta dell'essenza in-tima della coscienza, il contraddirsi. L'antinomia, sco-perta da Kant nella coscienza razionale umana quasi a

146

Page 147: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

segnare il limite della potenza di questa, sarebbe invecel'essenza stessa della razionalità.

Ma anche questa via ci è preclusa per la ragione sem-plicissima che affermare è... affermare e non contraddir-si, e l'affermazione dell'assoluta dialettica contradditto-ria vuol essere una affermazione. Una volta quindi rico-nosciuta la contraddittorietà del realismo – il primo afarcela sentire con evidenza fu il Berkeley – dobbiamocercare di uscirne e non rimanervi elevando a legge as-soluta quella sua intima essenza contraddittoria dallaquale avevamo pur dedotta la sua falsità. L'antinomismokantiano non è la legge della coscienza: è solo la condi-zione in cui questa sarebbe se il realismo potesse esseredottrina vera.

Non l'una dunque, nè l'altra soluzione ci è consentita.L'una e l'altra finiscono col render nulla ogni consape-volezza, ogni razionalità, ogni concretezza.

Il vero è che non è stata ancora dichiarata la falsitàdel realismo (soggetto come coscienza; oggetto comenon coscienza), perchè se ne sono implicitamente accet-tati questi concetti fondamentali, secondo i quali è statainterpretata la distinzione filosofica della cosa. Procla-mata la falsità del realismo, perchè Kant ci ha fatto ac-corgere della spiritualità della concretezza, questa di-stinzione, finora realisticamente interpretata, va inveceapprofondita nei suoi motivi fondamentali, perchè se nescopra, nella coscienza comune, l'esigenza da cui nac-que.

147

segnare il limite della potenza di questa, sarebbe invecel'essenza stessa della razionalità.

Ma anche questa via ci è preclusa per la ragione sem-plicissima che affermare è... affermare e non contraddir-si, e l'affermazione dell'assoluta dialettica contradditto-ria vuol essere una affermazione. Una volta quindi rico-nosciuta la contraddittorietà del realismo – il primo afarcela sentire con evidenza fu il Berkeley – dobbiamocercare di uscirne e non rimanervi elevando a legge as-soluta quella sua intima essenza contraddittoria dallaquale avevamo pur dedotta la sua falsità. L'antinomismokantiano non è la legge della coscienza: è solo la condi-zione in cui questa sarebbe se il realismo potesse esseredottrina vera.

Non l'una dunque, nè l'altra soluzione ci è consentita.L'una e l'altra finiscono col render nulla ogni consape-volezza, ogni razionalità, ogni concretezza.

Il vero è che non è stata ancora dichiarata la falsitàdel realismo (soggetto come coscienza; oggetto comenon coscienza), perchè se ne sono implicitamente accet-tati questi concetti fondamentali, secondo i quali è statainterpretata la distinzione filosofica della cosa. Procla-mata la falsità del realismo, perchè Kant ci ha fatto ac-corgere della spiritualità della concretezza, questa di-stinzione, finora realisticamente interpretata, va inveceapprofondita nei suoi motivi fondamentali, perchè se nescopra, nella coscienza comune, l'esigenza da cui nac-que.

147

Page 148: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Allora, da una parte, la distinzione acquisterà nuovosignificato e si riaffermerà con nuovo valore: libereràquindi la cosa in sè dalla sua contraddizione e la scopri-rà nella stessa coscienza comune al più alto punto dellasua elaborazione filosofica. Dall'altra, della coscienzarazionale si scoprirà più profonda e più semplice l'inti-ma essenza di pura e semplice coscienza.

Non presupponiamo, dunque, quello che non ci risul-ta, che cioè dei due termini della coscienza, l'uno, il sog-getto, sia coscienza, cioè affermazione di coscienza,l'altro, l'oggetto, sia non coscienza, cioè negazione dicoscienza.

Presupponiamo soltanto ciò che ci risulta, la coscien-za razionale: il soggetto che è consapevole dell'oggetto.

Come ci si presenta allora, nella sua genesi e nel suosviluppo, questa distinzione con cui la coscienza filoso-fica par che abbia elaborata quella semplice coralità chela coscienza comune afferma?

Che c'è di valido in quella esplicazione, che Socratecominciò a fare contro il soggettivismo sofistico e Kantperfezionò contro l'equivoca cosa empiristica e raziona-listica, in quella esplicazione della cosa in sè come nonriducibile alla cosa della coscienza del soggetto?

A chi ben guardi, c'è questo: la validità universaledella cosa come tale; validità universale, che, per Kant,l'intelletto raggiunge parzialmente entro date determina-zioni che lo costituiscono (categorie), e la ragione poiafferma nella sua assolutezza, non solo, come già faceval'intelletto, riguardo ai singoli soggetti, la cui singolarità

148

Allora, da una parte, la distinzione acquisterà nuovosignificato e si riaffermerà con nuovo valore: libereràquindi la cosa in sè dalla sua contraddizione e la scopri-rà nella stessa coscienza comune al più alto punto dellasua elaborazione filosofica. Dall'altra, della coscienzarazionale si scoprirà più profonda e più semplice l'inti-ma essenza di pura e semplice coscienza.

Non presupponiamo, dunque, quello che non ci risul-ta, che cioè dei due termini della coscienza, l'uno, il sog-getto, sia coscienza, cioè affermazione di coscienza,l'altro, l'oggetto, sia non coscienza, cioè negazione dicoscienza.

Presupponiamo soltanto ciò che ci risulta, la coscien-za razionale: il soggetto che è consapevole dell'oggetto.

Come ci si presenta allora, nella sua genesi e nel suosviluppo, questa distinzione con cui la coscienza filoso-fica par che abbia elaborata quella semplice coralità chela coscienza comune afferma?

Che c'è di valido in quella esplicazione, che Socratecominciò a fare contro il soggettivismo sofistico e Kantperfezionò contro l'equivoca cosa empiristica e raziona-listica, in quella esplicazione della cosa in sè come nonriducibile alla cosa della coscienza del soggetto?

A chi ben guardi, c'è questo: la validità universaledella cosa come tale; validità universale, che, per Kant,l'intelletto raggiunge parzialmente entro date determina-zioni che lo costituiscono (categorie), e la ragione poiafferma nella sua assolutezza, non solo, come già faceval'intelletto, riguardo ai singoli soggetti, la cui singolarità

148

Page 149: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

non turba l'assolutezza di essa, ma anche riguardo aquelle stesse determinazioni (concetti puri) entro le qua-li la cosa in sè, cioè quella assoluta universalità, non puòessere chiusa: è questa la inconcepibilità kantiana dellacosa in sè.

Ed è questa assolutezza dell'universale (il valido perogni soggetto) la cosa in sè kantiana.

Se Kant ce la presenta anche come il «fuori di noi»affermato da noi, lo fa in quanto ancora soggetto,anch'egli, alla interpretazione realistica della coscienza,anch'egli che di questa interpretazione minava le basi. Ein quanto ciò fa, par che alle volte pretenda affermareesservi una cosa in sè sotto ciascuna cosa empirica sen-tita, e par che così moltiplichi all'infinito quell'Universa-le, di cui afferma l'inseità.

Che cosa possa esserci di vero e di valido anche inquesto, vedremo nel capitolo seguente.

Ora conviene mettere bene in chiaro che questa kan-tiana – e forse più degli immediati seguaci di Kant, chedi Kant stesso – confusione del noumenico Assoluto colcausante del sentito, nella stessa idea di cosa in sè togliequel chiarimento che egli vuol portare e porta alla di-stinzione filosofica del concetto comune di cosa. Giac-chè quel chiarimento non può essere l'assoluta separa-zione dell'oggetto di coscienza dalla cosa lanciata fuoridella coscienza stessa – lancio che è escluso dalla affer-mazione che se ne fa – ma deve essere, e in parte già è,la chiarificazione dell'oggetto puro, come termine dellacoscienza, nella sua distinzione da una oggettività che

149

non turba l'assolutezza di essa, ma anche riguardo aquelle stesse determinazioni (concetti puri) entro le qua-li la cosa in sè, cioè quella assoluta universalità, non puòessere chiusa: è questa la inconcepibilità kantiana dellacosa in sè.

Ed è questa assolutezza dell'universale (il valido perogni soggetto) la cosa in sè kantiana.

Se Kant ce la presenta anche come il «fuori di noi»affermato da noi, lo fa in quanto ancora soggetto,anch'egli, alla interpretazione realistica della coscienza,anch'egli che di questa interpretazione minava le basi. Ein quanto ciò fa, par che alle volte pretenda affermareesservi una cosa in sè sotto ciascuna cosa empirica sen-tita, e par che così moltiplichi all'infinito quell'Universa-le, di cui afferma l'inseità.

Che cosa possa esserci di vero e di valido anche inquesto, vedremo nel capitolo seguente.

Ora conviene mettere bene in chiaro che questa kan-tiana – e forse più degli immediati seguaci di Kant, chedi Kant stesso – confusione del noumenico Assoluto colcausante del sentito, nella stessa idea di cosa in sè togliequel chiarimento che egli vuol portare e porta alla di-stinzione filosofica del concetto comune di cosa. Giac-chè quel chiarimento non può essere l'assoluta separa-zione dell'oggetto di coscienza dalla cosa lanciata fuoridella coscienza stessa – lancio che è escluso dalla affer-mazione che se ne fa – ma deve essere, e in parte già è,la chiarificazione dell'oggetto puro, come termine dellacoscienza, nella sua distinzione da una oggettività che

149

Page 150: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

diremo impura, valida entro certi limiti e per certi sog-getti. Oggetto puro intraducibile in termini di oggettivitàimpura, cioè di realtà di esperienza (§ 42): ecco l'inco-noscibilità kantiana della cosa in sè; ecco la distinzionedella cosa in sè dall'oggetto empirico.

Togliete la confusione in cui Kant è caduto, non vifermate al concetto realistico di cosa in sè come lo spe-cifico causante di ciascun sentito nella sua diversità, mabensì a quello idealistico di Assoluto noumenico, eavrete tolta la contraddittorietà del concetto kantiano dicosa in sè, senza togliere la stessa cosa in sè ed annulla-re così tutta l'elaborazione, che, del concetto di cosa, lacoscienza filosofica ha tentata.

E si chiarisce allora l'importanza della scoperta kan-tiana della cosa in sè in questa elaborazione.

Allora, infatti, intendiamo che l'eliminazionedell'assurdo del realismo, mostrato da Kant, richiedeva,non che fosse negata la cosa in sè, in quanto fuori di noi,e lasciato soltanto l'oggetto conosciuto in quanto è ilsolo che è in noi; ma che invece fosse riconosciuto,come cosa in sè, l'oggetto di coscienza proprio nella suapurezza oggettiva.

Negare senz'altro la cosa in sè è accettare il valorerealistico della distinzione tra cosa ed oggetto, caderenel concetto contraddittorio di cosa in sè e finire col ne-gare ogni oggettività, e non soltanto quella della cosafuori di noi.

E Kant, invece, della oggettività, se non dimostrò, al-meno cominciò:a dimostrare l'assolutezza. Egli, senza

150

diremo impura, valida entro certi limiti e per certi sog-getti. Oggetto puro intraducibile in termini di oggettivitàimpura, cioè di realtà di esperienza (§ 42): ecco l'inco-noscibilità kantiana della cosa in sè; ecco la distinzionedella cosa in sè dall'oggetto empirico.

Togliete la confusione in cui Kant è caduto, non vifermate al concetto realistico di cosa in sè come lo spe-cifico causante di ciascun sentito nella sua diversità, mabensì a quello idealistico di Assoluto noumenico, eavrete tolta la contraddittorietà del concetto kantiano dicosa in sè, senza togliere la stessa cosa in sè ed annulla-re così tutta l'elaborazione, che, del concetto di cosa, lacoscienza filosofica ha tentata.

E si chiarisce allora l'importanza della scoperta kan-tiana della cosa in sè in questa elaborazione.

Allora, infatti, intendiamo che l'eliminazionedell'assurdo del realismo, mostrato da Kant, richiedeva,non che fosse negata la cosa in sè, in quanto fuori di noi,e lasciato soltanto l'oggetto conosciuto in quanto è ilsolo che è in noi; ma che invece fosse riconosciuto,come cosa in sè, l'oggetto di coscienza proprio nella suapurezza oggettiva.

Negare senz'altro la cosa in sè è accettare il valorerealistico della distinzione tra cosa ed oggetto, caderenel concetto contraddittorio di cosa in sè e finire col ne-gare ogni oggettività, e non soltanto quella della cosafuori di noi.

E Kant, invece, della oggettività, se non dimostrò, al-meno cominciò:a dimostrare l'assolutezza. Egli, senza

150

Page 151: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che forse nè egli nè i suoi continuatori si siano accortidella grandezza della scoperta, dimostrò chiaramenteche l'oggettività in sè è proprio l'universalità. Contro lanegazione berkeleyana, egli riaffermò in modo nuovol'universale: l'universale come legge intima della co-scienza, e così, proprio con l'essere questa legge intima,costitutivo della oggettività.

Oggettività, che raggiunge la sua purezza, diventacioè cosa in sè, puro oggetto, quando è affermata nellasua assolutezza dalla ragione, quando da concettualitàdiventa somma noumenicità: esigenza suprema della co-scienza, Universale sommo e quindi Unico, al di là diogni confronto e di ogni possibile relazione nella suaUnicità.

La Critica cioè dimostra – si voglia ammettere chequesta dimostrazione sia già implicita in Kant o in que-sto non ci sia affatto e sia propria soltanto della Criticaquale noi la presentiamo – la Critica dimostra che l'uni-versale che ci risulta come oggettivo è proprio la stessacosa in sè senza residui e senza deficienze.

Prima di Kant e con Kant stesso solo l'oggetto di co-scienza, in quanto tale, era riconosciuto come universa-le, e, per quanto non se ne sapesse dedurre la unicità,pure lo si sapeva ridurre all'Essere, all'astratto Esserearistotelico e scolastico; ma la cosa in sè, che si ritenevaconcreta, era data dalla cosa nella sua singolarità, dalquesto e dal quello.

Platone ed Aristotele portano entrambi la colpa diquesta falsificazione della universalità socratica. Il pri-

151

che forse nè egli nè i suoi continuatori si siano accortidella grandezza della scoperta, dimostrò chiaramenteche l'oggettività in sè è proprio l'universalità. Contro lanegazione berkeleyana, egli riaffermò in modo nuovol'universale: l'universale come legge intima della co-scienza, e così, proprio con l'essere questa legge intima,costitutivo della oggettività.

Oggettività, che raggiunge la sua purezza, diventacioè cosa in sè, puro oggetto, quando è affermata nellasua assolutezza dalla ragione, quando da concettualitàdiventa somma noumenicità: esigenza suprema della co-scienza, Universale sommo e quindi Unico, al di là diogni confronto e di ogni possibile relazione nella suaUnicità.

La Critica cioè dimostra – si voglia ammettere chequesta dimostrazione sia già implicita in Kant o in que-sto non ci sia affatto e sia propria soltanto della Criticaquale noi la presentiamo – la Critica dimostra che l'uni-versale che ci risulta come oggettivo è proprio la stessacosa in sè senza residui e senza deficienze.

Prima di Kant e con Kant stesso solo l'oggetto di co-scienza, in quanto tale, era riconosciuto come universa-le, e, per quanto non se ne sapesse dedurre la unicità,pure lo si sapeva ridurre all'Essere, all'astratto Esserearistotelico e scolastico; ma la cosa in sè, che si ritenevaconcreta, era data dalla cosa nella sua singolarità, dalquesto e dal quello.

Platone ed Aristotele portano entrambi la colpa diquesta falsificazione della universalità socratica. Il pri-

151

Page 152: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

mo con l'elevare ad universale idea la determinata cosa,il secondo col far riconoscere in questa singolare deter-minazione la stessa concretezza.

Quindi il dissidio profondo, l'abisso incolmabile traqueste cose singolari e determinate che pur così sareb-bero in sè, e quegli oggetti conosciuti, universali edastratti: per sforzi che si facessero non si poteva certoriuscire a far combaciare quelle con questi: la tomisticaadaequatio era la più inadeguata che mai si potesse con-cepire. Kant per primo ci fa capire questo abisso di ina-dequazione.

Finchè la cosa in sè non è l'oggetto stesso, la verità èpuramente e semplicemente impossibile: ciò Cartesiointravide soltanto, non vide con chiarezza. Nè la si con-quista negando l'oggettività della cosa in sè; ma proprioquesta affermando.

Così la distinzione tra cosa in sè come oggetto fuoridi noi ed oggetto di coscienza come cosa in noi si chia-risce invece come distinzione tra oggetto puro, assoluto,universale, unico, (cosa in sè che è l'esigenza sommadella coscienza, ineffabile e quindi non espressa maicompiutamente) e oggetto della esperienza che trova li-miti alla sua universalità, tra apriori ed aposteriori.

Entrambi risultanti alla coscienza comune, la cui esi-genza perciò l'indagine filosofica ha, col suo lavorio,esplicata. Esigenza della coscienza comune che ha lasua origine prima in quella che è la sua fondamentalissi-ma esigenza: la distinzione, entro di essa, tra soggetti eoggetto.

152

mo con l'elevare ad universale idea la determinata cosa,il secondo col far riconoscere in questa singolare deter-minazione la stessa concretezza.

Quindi il dissidio profondo, l'abisso incolmabile traqueste cose singolari e determinate che pur così sareb-bero in sè, e quegli oggetti conosciuti, universali edastratti: per sforzi che si facessero non si poteva certoriuscire a far combaciare quelle con questi: la tomisticaadaequatio era la più inadeguata che mai si potesse con-cepire. Kant per primo ci fa capire questo abisso di ina-dequazione.

Finchè la cosa in sè non è l'oggetto stesso, la verità èpuramente e semplicemente impossibile: ciò Cartesiointravide soltanto, non vide con chiarezza. Nè la si con-quista negando l'oggettività della cosa in sè; ma proprioquesta affermando.

Così la distinzione tra cosa in sè come oggetto fuoridi noi ed oggetto di coscienza come cosa in noi si chia-risce invece come distinzione tra oggetto puro, assoluto,universale, unico, (cosa in sè che è l'esigenza sommadella coscienza, ineffabile e quindi non espressa maicompiutamente) e oggetto della esperienza che trova li-miti alla sua universalità, tra apriori ed aposteriori.

Entrambi risultanti alla coscienza comune, la cui esi-genza perciò l'indagine filosofica ha, col suo lavorio,esplicata. Esigenza della coscienza comune che ha lasua origine prima in quella che è la sua fondamentalissi-ma esigenza: la distinzione, entro di essa, tra soggetti eoggetto.

152

Page 153: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Intesa così la distinzione filosofica come distinzionetra oggetto puro ed oggetto di esperienza, essa non è piùidentificabile col realismo; e la cosa in sè non è piùquella contraddittoria cosa che, ineliminabile com'è, co-stringerebbe anche noi a contraddirci continuamente.

E si rientra così nella coscienza comune, che, abbiamvisto, lungi dall'essere l'inesausta e inesauribile sorgentedell'errore realistico, non sa nulla di una distinzione tracosa dentro e cosa fuori della coscienza. Ma se non sanulla di una cosiffatta distinzione che le si vuol far cre-dere, non per questo non ha, invece, implicita in sè l'esi-genza da cui nasce l'indagine stessa filosofica. E se, di-nanzi alla distinzione filosofica ancora realistica, quelquid unificante, in cui, vedemmo, la coscienza comuneripone la cosalità, non può esser ritenuto nè cosa in sè,perchè sarebbe fuori di noi, nè oggetto conosciuto, per-chè non sarebbe cosa nella sua realtà; dinanzi alla di-stinzione filosofica come sopra chiarita, quel quid unifi-cante, costitutivo di ogni cosa perchè è la cosalità stessa,ci si presenta proprio come la cosa in sè. L'unificazioneassoluta si risolve necessariamente in quella unicità, chenon è una numerica unità, ma il principio fondamentaledi ogni numero e quindi di ogni singolarità. Il quid uni-ficante, in cui la coscienza comune pone la cosalità diogni cosa non può essere un singolare: ogni unificazioneverrebbe a mancare. Questo l'indagine filosofica esplicadalla coscienza comune e le fa capire. E proprio questoassoluto Unico è quell'assoluto Universale che dall'inda-gine kantiana è risultato come cosa in sè.

153

Intesa così la distinzione filosofica come distinzionetra oggetto puro ed oggetto di esperienza, essa non è piùidentificabile col realismo; e la cosa in sè non è piùquella contraddittoria cosa che, ineliminabile com'è, co-stringerebbe anche noi a contraddirci continuamente.

E si rientra così nella coscienza comune, che, abbiamvisto, lungi dall'essere l'inesausta e inesauribile sorgentedell'errore realistico, non sa nulla di una distinzione tracosa dentro e cosa fuori della coscienza. Ma se non sanulla di una cosiffatta distinzione che le si vuol far cre-dere, non per questo non ha, invece, implicita in sè l'esi-genza da cui nasce l'indagine stessa filosofica. E se, di-nanzi alla distinzione filosofica ancora realistica, quelquid unificante, in cui, vedemmo, la coscienza comuneripone la cosalità, non può esser ritenuto nè cosa in sè,perchè sarebbe fuori di noi, nè oggetto conosciuto, per-chè non sarebbe cosa nella sua realtà; dinanzi alla di-stinzione filosofica come sopra chiarita, quel quid unifi-cante, costitutivo di ogni cosa perchè è la cosalità stessa,ci si presenta proprio come la cosa in sè. L'unificazioneassoluta si risolve necessariamente in quella unicità, chenon è una numerica unità, ma il principio fondamentaledi ogni numero e quindi di ogni singolarità. Il quid uni-ficante, in cui la coscienza comune pone la cosalità diogni cosa non può essere un singolare: ogni unificazioneverrebbe a mancare. Questo l'indagine filosofica esplicadalla coscienza comune e le fa capire. E proprio questoassoluto Unico è quell'assoluto Universale che dall'inda-gine kantiana è risultato come cosa in sè.

153

Page 154: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Così e per la riduzione della cosa in sè alla stessa og-gettività di coscienza, anzi alla assoluta purezza di essa,e per la constatazione, in questo oggetto puro che è lacosa in sè, della assoluta Universalità che è o megliosuppone l'assoluta Unicità, dalla indagine filosoficarientriamo pienamente nelle implicite ammissioni dellacoscienza comune, che come costitutivo assoluto dellaoggettiva realtà richiede l'essere nella sua semplice as-soluta unicità.

L'essere non è, per la coscienza comune, opposto alconoscere.

Se si è dovuto passare per questo millenario erroreper illuminare alla coscienza comune la cosa in sè nellasua oggettiva purezza, ciò non fu certo senza vantaggio.

La distinzione dunque da Kant chiaramente ripresen-tata tra cosa in sè e oggetto, tra Ding an sich selbst e Ge-genstand, e da lui primo fatta vedere esplicitamente nel-la difficoltà della concezione realistica è stata necessariaa farci finalmente capire, con esplicita dimostrazione,l'ammissione implicita della coscienza comune che lacosa in sè, la cosa da cui ogni cosa è fatta cosa (cioèogni cosa in qualche modo è) non può stare nel questo enel quello che ci troviamo di fronte ed in rapporto reci-proco con ciascuno di noi, considerato a sua volta comeun questo in reciprocità con ciascuno di essi; ma tal cosain sè è nè più e nè meno che l'Unicità di quella coscien-za in cui e per cui tutte le cose si affermano, sia che sicerchi di vederle nella loro singolarità, sia che si salgaall'ideale loro universalità specifica di Platone.

154

Così e per la riduzione della cosa in sè alla stessa og-gettività di coscienza, anzi alla assoluta purezza di essa,e per la constatazione, in questo oggetto puro che è lacosa in sè, della assoluta Universalità che è o megliosuppone l'assoluta Unicità, dalla indagine filosoficarientriamo pienamente nelle implicite ammissioni dellacoscienza comune, che come costitutivo assoluto dellaoggettiva realtà richiede l'essere nella sua semplice as-soluta unicità.

L'essere non è, per la coscienza comune, opposto alconoscere.

Se si è dovuto passare per questo millenario erroreper illuminare alla coscienza comune la cosa in sè nellasua oggettiva purezza, ciò non fu certo senza vantaggio.

La distinzione dunque da Kant chiaramente ripresen-tata tra cosa in sè e oggetto, tra Ding an sich selbst e Ge-genstand, e da lui primo fatta vedere esplicitamente nel-la difficoltà della concezione realistica è stata necessariaa farci finalmente capire, con esplicita dimostrazione,l'ammissione implicita della coscienza comune che lacosa in sè, la cosa da cui ogni cosa è fatta cosa (cioèogni cosa in qualche modo è) non può stare nel questo enel quello che ci troviamo di fronte ed in rapporto reci-proco con ciascuno di noi, considerato a sua volta comeun questo in reciprocità con ciascuno di essi; ma tal cosain sè è nè più e nè meno che l'Unicità di quella coscien-za in cui e per cui tutte le cose si affermano, sia che sicerchi di vederle nella loro singolarità, sia che si salgaall'ideale loro universalità specifica di Platone.

154

Page 155: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Nel primo caso non si comincia neppure a salire; nelsecondo ci si ferma a mezzo della salita, perchè dopotanto affannarci nel salire, sentiamo di essere nel vuoto,e troviamo, sempre che più in alto andiamo, più irrespi-rabile l'aria, e dubitiamo che non abbian ragione coloroche non han mosso piede dalla terraferma delle cose sin-golari in cerca di una universalità che ci priva di quellesenza concedersi essa stessa. La verità è che han ragionei primi a non muoversi, perchè abbandonare la singola-rità è rendere impossibile ogni altra scoperta; han ragio-ne i secondi, perchè fermarsi al singolare non è affattopossedere la cosa, quella cosa, per cui ogni cosa è cosa.La verità è dunque che non convien salire ma rimanere.Ma non rimanere standomene aspettando che la cosa misi riveli dal di fuori, starmene quindi negando così me equindi negando tutto; ma rimanere scoprendo quellacosa proprio in me con l'attività che mi esplica. In que-sta scoperta il vero salire il vero rimanere.

È quella che si dice immanenza. Immanenza dellacosa in sè come tale fattasi riconoscere come l'Oggettopuro.

Concludendo, quella via senza uscita nella quale ilrealismo, con la sua contraddizione, ci aveva cacciati, èabbandonabile e deve essere abbandonata. Abbandona-ta, la coscienza comune torna ad essere soddisfatta dallaindagine filosofica ed illuminata da essa; la coscienza fi-losofica torna ad essere esplicazione intima e vitale del-la coscienza comune e non sovrapposizione di superiore

155

Nel primo caso non si comincia neppure a salire; nelsecondo ci si ferma a mezzo della salita, perchè dopotanto affannarci nel salire, sentiamo di essere nel vuoto,e troviamo, sempre che più in alto andiamo, più irrespi-rabile l'aria, e dubitiamo che non abbian ragione coloroche non han mosso piede dalla terraferma delle cose sin-golari in cerca di una universalità che ci priva di quellesenza concedersi essa stessa. La verità è che han ragionei primi a non muoversi, perchè abbandonare la singola-rità è rendere impossibile ogni altra scoperta; han ragio-ne i secondi, perchè fermarsi al singolare non è affattopossedere la cosa, quella cosa, per cui ogni cosa è cosa.La verità è dunque che non convien salire ma rimanere.Ma non rimanere standomene aspettando che la cosa misi riveli dal di fuori, starmene quindi negando così me equindi negando tutto; ma rimanere scoprendo quellacosa proprio in me con l'attività che mi esplica. In que-sta scoperta il vero salire il vero rimanere.

È quella che si dice immanenza. Immanenza dellacosa in sè come tale fattasi riconoscere come l'Oggettopuro.

Concludendo, quella via senza uscita nella quale ilrealismo, con la sua contraddizione, ci aveva cacciati, èabbandonabile e deve essere abbandonata. Abbandona-ta, la coscienza comune torna ad essere soddisfatta dallaindagine filosofica ed illuminata da essa; la coscienza fi-losofica torna ad essere esplicazione intima e vitale del-la coscienza comune e non sovrapposizione di superiore

155

Page 156: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

verità speculativa a insanabile infermità della coscienzacomune.

34. Il pregiudizio dogmatico ed antidogmatico.

A questa scoperta della cosa in sè come lo stesso Og-getto puro della coscienza sono stati finora ostacolo gra-ve due pregiudizi opposti: il pregiudizio del dogmati-smo dualistico e quello del relativismo pluralistico.

«Tutto bene, si dirà; ma voi dimenticate un principiofondamentale, sul quale, appunto, è basata quella distin-zione di oggetto e cosa che voi condannate, il principioche io non sono cosa e la cosa non è io. Questo duali-smo è ineliminabile, senza di esso è impossibile la stes-sa coscienza, in nome della quale voi parlate, e che voiponete come lo stesso concreto. E se io non sono lacosa, la quale pur mi risulta, devo ammettere un oggettoconosciuto che è tal cosa in quanto risultante a me, chesono io e non cosa. Mi si ripresenta quindi la cosa in sè,che non è l'oggetto in me».

A confutare questa distinzione tra io e cosa nella suagrossolanità realistica, io non voglio qui fermarmi. Mirimetto a quanto altra volta ne scrissi (Critic. del concr.,1921, cap. IV).

Qui soltanto dirò che la volgare distinzione tra cosa epersona, lungi dall'essere una esigenza della coscienza,la rende impossibile, la contraddice.

156

verità speculativa a insanabile infermità della coscienzacomune.

34. Il pregiudizio dogmatico ed antidogmatico.

A questa scoperta della cosa in sè come lo stesso Og-getto puro della coscienza sono stati finora ostacolo gra-ve due pregiudizi opposti: il pregiudizio del dogmati-smo dualistico e quello del relativismo pluralistico.

«Tutto bene, si dirà; ma voi dimenticate un principiofondamentale, sul quale, appunto, è basata quella distin-zione di oggetto e cosa che voi condannate, il principioche io non sono cosa e la cosa non è io. Questo duali-smo è ineliminabile, senza di esso è impossibile la stes-sa coscienza, in nome della quale voi parlate, e che voiponete come lo stesso concreto. E se io non sono lacosa, la quale pur mi risulta, devo ammettere un oggettoconosciuto che è tal cosa in quanto risultante a me, chesono io e non cosa. Mi si ripresenta quindi la cosa in sè,che non è l'oggetto in me».

A confutare questa distinzione tra io e cosa nella suagrossolanità realistica, io non voglio qui fermarmi. Mirimetto a quanto altra volta ne scrissi (Critic. del concr.,1921, cap. IV).

Qui soltanto dirò che la volgare distinzione tra cosa epersona, lungi dall'essere una esigenza della coscienza,la rende impossibile, la contraddice.

156

Page 157: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Bisogna cominciare a veder questo nuovo e pur tantovecchio concetto di cosa in sè come oggetto puro percomprendere che a scoprire questa cosa in sè come tale,bisogna proprio che io mi profondi in me, nella mia og-gettività.

La cosa in sè importa interiorità e non esteriorità: ilquid per cui ciascuna cosa è cosa non è negazione edesteriorità ma affermazione ed interiorità.

Per ricercare adunque la cosa in sè, non deve la co-scienza personale cercar di uscir di sè come coscienza,ma deve invece penetrare intimamente in sè. Non si ca-pisce perchè mai quando io voglia ricercare l'assolutacosa, la cosa cioè che non è questa o quella cosa, ma cheè la cosa, unica ed assoluta appunto perchè in sè, io deb-ba cercar di uscir di me, come se io non avessi anche un«in sè» e cioè un essere, come se io punto non fossi.Siamo sempre all'antitesi schiettamente realistica, enient'affatto dataci dalla coscienza comune, dell'io, che,perchè sono coscienza, non sono, e della cosa, che, per-chè è, non appartiene alla coscienza. L'una e l'altra pro-posizione, lungi dall'essere pregiudizi connaturati alpensiero, sono schiettamente respinte dalla coscienzacomune quando sia schiettamente interrogata ed appro-fondita.

Quel quid unificante che è la cosa in sè, deve esserein me come in ogni cosa. E che io sotto questo aspettosia anche cosa, non deve farmi spavento. Lo spaventonasce dall'opposizione che il dualismo vuole imporre alpensiero tra persona e cosa: persona che pensa e cosa

157

Bisogna cominciare a veder questo nuovo e pur tantovecchio concetto di cosa in sè come oggetto puro percomprendere che a scoprire questa cosa in sè come tale,bisogna proprio che io mi profondi in me, nella mia og-gettività.

La cosa in sè importa interiorità e non esteriorità: ilquid per cui ciascuna cosa è cosa non è negazione edesteriorità ma affermazione ed interiorità.

Per ricercare adunque la cosa in sè, non deve la co-scienza personale cercar di uscir di sè come coscienza,ma deve invece penetrare intimamente in sè. Non si ca-pisce perchè mai quando io voglia ricercare l'assolutacosa, la cosa cioè che non è questa o quella cosa, ma cheè la cosa, unica ed assoluta appunto perchè in sè, io deb-ba cercar di uscir di me, come se io non avessi anche un«in sè» e cioè un essere, come se io punto non fossi.Siamo sempre all'antitesi schiettamente realistica, enient'affatto dataci dalla coscienza comune, dell'io, che,perchè sono coscienza, non sono, e della cosa, che, per-chè è, non appartiene alla coscienza. L'una e l'altra pro-posizione, lungi dall'essere pregiudizi connaturati alpensiero, sono schiettamente respinte dalla coscienzacomune quando sia schiettamente interrogata ed appro-fondita.

Quel quid unificante che è la cosa in sè, deve esserein me come in ogni cosa. E che io sotto questo aspettosia anche cosa, non deve farmi spavento. Lo spaventonasce dall'opposizione che il dualismo vuole imporre alpensiero tra persona e cosa: persona che pensa e cosa

157

Page 158: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che è. Opposizione che è la conseguenza di quell'altragià esaminata (cap. II) tra soggetto e oggetto.

Concepito l'essere oggettivo come l'assolutamenteeterogeneo al soggetto, e non come il suo stesso essere,la cosa in sè che dà oggettività ad ogni cosa, non saràmai ritrovabile nel soggetto stesso. Opposizione, che,volendo nobilitare la persona, la sopprime, perchè le to-glie l'essere, e volendo far più reale la cosa la rende con-traddittoria dandole col pensiero un essere che non èpensiero.

Nella coscienza concreta non ci sono io e cose; cisono bensì soggetti ed oggetto. Soggetti nella molteplicecorrelatività reciproca della coscienza; oggetto nellaunità di questa. Nè a vincere il dualismo realistico bastanegare le cose; bisogna ricercare l'esigenza cui esse ri-spondono, che è l'oggettività. Ritrovata questa, si inten-de come le molte, infinite cose che paiono in sè proprioin questa loro infinita molteplicità, sono invece in sènella unità loro, che è la loro vera ed unica oggettività.

Il non essere io, uomo ragionevole, questa penna ocome questa penna con cui scrivo, l'essere cioè io unapersona e questa penna una cosa, vedremo nel capitoloseguente che cosa significhi. Qui diciamo subito checiò, lungi dal richiedere l'opposizione esclusiva tra per-sone e cose come contrastanti entità metafisiche origina-rie, richiede invece che siano portate entrambenell'ambito della coscienza.

158

che è. Opposizione che è la conseguenza di quell'altragià esaminata (cap. II) tra soggetto e oggetto.

Concepito l'essere oggettivo come l'assolutamenteeterogeneo al soggetto, e non come il suo stesso essere,la cosa in sè che dà oggettività ad ogni cosa, non saràmai ritrovabile nel soggetto stesso. Opposizione, che,volendo nobilitare la persona, la sopprime, perchè le to-glie l'essere, e volendo far più reale la cosa la rende con-traddittoria dandole col pensiero un essere che non èpensiero.

Nella coscienza concreta non ci sono io e cose; cisono bensì soggetti ed oggetto. Soggetti nella molteplicecorrelatività reciproca della coscienza; oggetto nellaunità di questa. Nè a vincere il dualismo realistico bastanegare le cose; bisogna ricercare l'esigenza cui esse ri-spondono, che è l'oggettività. Ritrovata questa, si inten-de come le molte, infinite cose che paiono in sè proprioin questa loro infinita molteplicità, sono invece in sènella unità loro, che è la loro vera ed unica oggettività.

Il non essere io, uomo ragionevole, questa penna ocome questa penna con cui scrivo, l'essere cioè io unapersona e questa penna una cosa, vedremo nel capitoloseguente che cosa significhi. Qui diciamo subito checiò, lungi dal richiedere l'opposizione esclusiva tra per-sone e cose come contrastanti entità metafisiche origina-rie, richiede invece che siano portate entrambenell'ambito della coscienza.

158

Page 159: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Chi ancora testè vedeva12 in questa opposizione tracosa e persona uno e forse il fondamentale «dilemmadella metafisica pura», non aveva ancora conquistata laconcretezza additataci da Kant, pur mostrandone qua elà come un'oscura esigenza. Tal dilemma non è che ilpregiudizio realistico della opposizione tra soggetto cheè coscienza ed oggetto che non è coscienza. Opposizio-ne tra soggetto ed oggetto reciprocamente escludentisi,che non risulta affatto alla comune coscienza concreta.Ed è naturale quindi che il dilemma così posto sia inso-lubile: ci rimanderà continuamente dall'uno all'altrocapo dell'alternativa, dalla quale non potremo uscire senon con un atto di irrazionale libertà personale, cherompa quella petizione di principi che è racchiusa nelladimostrazione di ciascuna delle opposte tesi fondamen-tali (ib., p. 277-8).

Il pregiudizio del dogmatismo realistico dell'oggettocome non coscienza, e quindi della cosa come esclusadal campo di chi ha coscienza, e così reciprocamente,nasce dalla esigenza dei termini (soggetti-oggetto) dellacoscienza ed è poi determinato dalla constatazione chela soggettività razionale è egoità, laddove egoità non èla razionale oggettività, la pura cosalità. Il soggetto ra-zionale e (o dice, che è lo stesso) io, laddove non dice iol'oggetto come tale, che appunto perciò è cosa in sè. Ciòche non si vede, nella trasformazione in pregiudizio di

12 RENOUVIER, Les dilemmes de la Mètaphisique pure, nouv.ed., Paris, 1927.

159

Chi ancora testè vedeva12 in questa opposizione tracosa e persona uno e forse il fondamentale «dilemmadella metafisica pura», non aveva ancora conquistata laconcretezza additataci da Kant, pur mostrandone qua elà come un'oscura esigenza. Tal dilemma non è che ilpregiudizio realistico della opposizione tra soggetto cheè coscienza ed oggetto che non è coscienza. Opposizio-ne tra soggetto ed oggetto reciprocamente escludentisi,che non risulta affatto alla comune coscienza concreta.Ed è naturale quindi che il dilemma così posto sia inso-lubile: ci rimanderà continuamente dall'uno all'altrocapo dell'alternativa, dalla quale non potremo uscire senon con un atto di irrazionale libertà personale, cherompa quella petizione di principi che è racchiusa nelladimostrazione di ciascuna delle opposte tesi fondamen-tali (ib., p. 277-8).

Il pregiudizio del dogmatismo realistico dell'oggettocome non coscienza, e quindi della cosa come esclusadal campo di chi ha coscienza, e così reciprocamente,nasce dalla esigenza dei termini (soggetti-oggetto) dellacoscienza ed è poi determinato dalla constatazione chela soggettività razionale è egoità, laddove egoità non èla razionale oggettività, la pura cosalità. Il soggetto ra-zionale e (o dice, che è lo stesso) io, laddove non dice iol'oggetto come tale, che appunto perciò è cosa in sè. Ciòche non si vede, nella trasformazione in pregiudizio di

12 RENOUVIER, Les dilemmes de la Mètaphisique pure, nouv.ed., Paris, 1927.

159

Page 160: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ciò che è esigenza della coscienza comune, è che la co-scienza razionale non richiede soltanto che si dica io,ma bensì anche che ci sia una cosalità (essere in sè, cioèassoluta unicità di coscienza), della quale chi dice io af-ferma l'appartenenza alla coscienza anche sua.

La coscienza importa non soltanto l'egoità, ma anchela cosalità; richiede l'io ma anche la cosa in sè, nellostesso preciso atto concreto di coscienza. Cosa in sè,quindi, che nel suo concretarsi non esclude ma richiedel'io, non gli si oppone, ma lo sostanzia; io che nel suo at-tuarsi non si rivolge in se stesso, scindendosi dalla cosain sè dopo l'urto con essa (Fichte), ma attua proprio que-sta perchè è la sua stessa sostanza.

L'io, che certo è coscienza razionale, nella sua purez-za di io non è più cosa in sè: l'ha attuata nella alterità. Lacosa in sè, che è l'oggetto di quella stessa coscienza dicui l'io è soggetto, nella sua assoluta inseità non è alteri-tà, della quale pur è principio sostanziale.

La concretezza, da Kant additataci, significa propriol'abolizione di questa opposizione persona-cosa: la sin-tesi kantiana è impossibile se l'in sè non è nell'io, purnon essendo l'io come tale. Questa concretezza kantiananon è stata ancora intesa, appunto perchè non è stata an-cora eliminata la cosa in sè realistica.

Non è stata eliminata, abbiam in parte già visto, nep-pure dal più risoluto idealismo antirealistico. Al pregiu-dizio del dogmatismo realistico si è sostituito il pregiu-dizio dell'antidogmatismo, cioè dell'assoluto antioggetti-

160

ciò che è esigenza della coscienza comune, è che la co-scienza razionale non richiede soltanto che si dica io,ma bensì anche che ci sia una cosalità (essere in sè, cioèassoluta unicità di coscienza), della quale chi dice io af-ferma l'appartenenza alla coscienza anche sua.

La coscienza importa non soltanto l'egoità, ma anchela cosalità; richiede l'io ma anche la cosa in sè, nellostesso preciso atto concreto di coscienza. Cosa in sè,quindi, che nel suo concretarsi non esclude ma richiedel'io, non gli si oppone, ma lo sostanzia; io che nel suo at-tuarsi non si rivolge in se stesso, scindendosi dalla cosain sè dopo l'urto con essa (Fichte), ma attua proprio que-sta perchè è la sua stessa sostanza.

L'io, che certo è coscienza razionale, nella sua purez-za di io non è più cosa in sè: l'ha attuata nella alterità. Lacosa in sè, che è l'oggetto di quella stessa coscienza dicui l'io è soggetto, nella sua assoluta inseità non è alteri-tà, della quale pur è principio sostanziale.

La concretezza, da Kant additataci, significa propriol'abolizione di questa opposizione persona-cosa: la sin-tesi kantiana è impossibile se l'in sè non è nell'io, purnon essendo l'io come tale. Questa concretezza kantiananon è stata ancora intesa, appunto perchè non è stata an-cora eliminata la cosa in sè realistica.

Non è stata eliminata, abbiam in parte già visto, nep-pure dal più risoluto idealismo antirealistico. Al pregiu-dizio del dogmatismo realistico si è sostituito il pregiu-dizio dell'antidogmatismo, cioè dell'assoluto antioggetti-

160

Page 161: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

vismo, del soggettivismo puro. Al dogmatismo realisti-co si è opposto l'egoismo assoluto (absit iniuria verbo).

Il dogmatico parte dalla cosa in sè, come a sè stantedi là dall'io; l'idealista trascendentale parte dall'io chenon esige cosa in sè.

Si è sostituito un pregiudizio all'altro. E la ragionedella sostituzione sta appunto nel non essersi visto quelche abbiamo testè dimostrato: il riconoscimento dellacosa in sè nell'oggetto.

Senza questo riconoscimento non è possibile portare,come è pur necessario, la cosalità (la Dinglichkeit), cioèl'essere in sè, nella persona, e non è possibile quindi eli-minare davvero il pregiudizio del realismo, che non stanell'ammissione della cosa in sè ma nella falsa conce-zione di tal cosa, falsa concezione che genera il dogma-tismo realistico. Correggete tal concezione, riportatela aquella che veramente la coscienza comune richiede, eavrete da una parte vinto il realismo, e dall'altra ritrova-to un nuovo concetto del dualismo, che vi mostrerà checosa ci sia di vero in questo dualismo che così tenace-mente si ripresenta contro tutti gli sforzi speculativi fattiper superarlo (§ 48).

Il dogmatismo oggettivo, contro il quale Kant giusta-mente manifestava tutta la sua intolleranza, nega la criti-ca, in quanto esso è realismo. Che questo realismo di-venti ontologismo, che la cosa in sè si riconoscanell'oggetto puro, e allora un dogmatismo assoluto, seper dogmatismo fichtianamente intendiamo una filoso-fia che abbia come suo punto di partenza l'oggettività,

161

vismo, del soggettivismo puro. Al dogmatismo realisti-co si è opposto l'egoismo assoluto (absit iniuria verbo).

Il dogmatico parte dalla cosa in sè, come a sè stantedi là dall'io; l'idealista trascendentale parte dall'io chenon esige cosa in sè.

Si è sostituito un pregiudizio all'altro. E la ragionedella sostituzione sta appunto nel non essersi visto quelche abbiamo testè dimostrato: il riconoscimento dellacosa in sè nell'oggetto.

Senza questo riconoscimento non è possibile portare,come è pur necessario, la cosalità (la Dinglichkeit), cioèl'essere in sè, nella persona, e non è possibile quindi eli-minare davvero il pregiudizio del realismo, che non stanell'ammissione della cosa in sè ma nella falsa conce-zione di tal cosa, falsa concezione che genera il dogma-tismo realistico. Correggete tal concezione, riportatela aquella che veramente la coscienza comune richiede, eavrete da una parte vinto il realismo, e dall'altra ritrova-to un nuovo concetto del dualismo, che vi mostrerà checosa ci sia di vero in questo dualismo che così tenace-mente si ripresenta contro tutti gli sforzi speculativi fattiper superarlo (§ 48).

Il dogmatismo oggettivo, contro il quale Kant giusta-mente manifestava tutta la sua intolleranza, nega la criti-ca, in quanto esso è realismo. Che questo realismo di-venti ontologismo, che la cosa in sè si riconoscanell'oggetto puro, e allora un dogmatismo assoluto, seper dogmatismo fichtianamente intendiamo una filoso-fia che abbia come suo punto di partenza l'oggettività,

161

Page 162: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sarà tanto ammissibile quanto un assoluto criticismo, seper criticismo assoluto intendiamo una filosofia che ab-bia come suo punto di partenza la soggettività. L'uno el'altro portano all'annullamento della indagine filosofica:per l'uno questa si risolverà nella rivelazione religiosa,per l'altro in un contingente attivismo storicistico.

La verità è che non l'uno nè l'altro può essere punto dipartenza: questo è dato sempre dalla coscienza razionalenella sua concretezza, da quella che ho detto coscienzacomune, e che, se ha in sè come suo momento essenzia-le l'indagine filosofica, non si risolve in questa: o la con-cretezza o la filosofia svanirebbe (§ 50).

Se adunque, dopo Kant, non possiamo tornare al dog-matismo puro, anche se idealistico, non possiamo nep-pure fermarci al criticismo puro anche se antirealistico.Dopo la scoperta kantiana si impone come filosofia unconcretismo che non chiuda sè soltanto nella sua storia,ma riveda sè costantemente nella coscienza comune: lafilosofia, che si chiuda nella sua storia, è tanto chiusa aquella esplicazione del concreto che deve costituirla,quanto la filosofia che ogni sua storia rinneghi, in quan-to già in possesso definitivo del vero.

Quando questo si intenda, il dogmatico Spinoza puòben essere messo sullo stesso piano dell'idealista tra-scendentale Fichte: si integreranno a vicenda. Spinoza,costrettovi da Fichte, non solo toglierà dalla sua sostan-za la extensio come attributo collaterale della cogitatioper fonderla in questa, ma anche, costrettovi dallo stessoapprofondimento della sostanza, toglierà ogni ambiguità

162

sarà tanto ammissibile quanto un assoluto criticismo, seper criticismo assoluto intendiamo una filosofia che ab-bia come suo punto di partenza la soggettività. L'uno el'altro portano all'annullamento della indagine filosofica:per l'uno questa si risolverà nella rivelazione religiosa,per l'altro in un contingente attivismo storicistico.

La verità è che non l'uno nè l'altro può essere punto dipartenza: questo è dato sempre dalla coscienza razionalenella sua concretezza, da quella che ho detto coscienzacomune, e che, se ha in sè come suo momento essenzia-le l'indagine filosofica, non si risolve in questa: o la con-cretezza o la filosofia svanirebbe (§ 50).

Se adunque, dopo Kant, non possiamo tornare al dog-matismo puro, anche se idealistico, non possiamo nep-pure fermarci al criticismo puro anche se antirealistico.Dopo la scoperta kantiana si impone come filosofia unconcretismo che non chiuda sè soltanto nella sua storia,ma riveda sè costantemente nella coscienza comune: lafilosofia, che si chiuda nella sua storia, è tanto chiusa aquella esplicazione del concreto che deve costituirla,quanto la filosofia che ogni sua storia rinneghi, in quan-to già in possesso definitivo del vero.

Quando questo si intenda, il dogmatico Spinoza puòben essere messo sullo stesso piano dell'idealista tra-scendentale Fichte: si integreranno a vicenda. Spinoza,costrettovi da Fichte, non solo toglierà dalla sua sostan-za la extensio come attributo collaterale della cogitatioper fonderla in questa, ma anche, costrettovi dallo stessoapprofondimento della sostanza, toglierà ogni ambiguità

162

Page 163: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dal concetto modale dei soggetti, ponendo le «mentes»come centri reciproci di quell'attività che è la stessa suasostanza. E reciprocamente Fichte, costrettovi da Spino-za, saprà veramente trovare l'io nella sua purezza, senzascambiarlo, equivocando, con quella oggettiva sostanzache egli pur vuol rinnegare. Fusione alla quale, enell'uno e nell'altro dei due pensatori, siamo pur tantovicini.

Concludendo, al pregiudizio del dogmatismo realisti-co che oppone alle persone che conoscono, le cose in sèche dovrebbero essere conosciute, si è opposto il pregiu-dizio dell'idealismo trascendentale che ha creduto vince-re il primo togliendo la cosa in sè e ponendo come prin-cipio unico l'io. Intendere la cosa in sè come oggettopuro, è, a mio avviso, vincere l'uno e l'altro pregiudizio,esplicare più profondamente quella esigenza della co-scienza comune alla quale il realismo voleva soddisfare:l'oggettività della coscienza.

35. Il pregiudizio del relativismo.

L'altro pregiudizio, pel quale non si vede la cosa in sènell'oggetto puro di coscienza, è il pluralismo relativisti-co.

Ci si può, infatti, dire: «Voi, con Kant, intendete percosa in sè, l'essere in sè, cioè l'essere incondizionato,l'essere sic et simpliciter, che con altra parola può dirsil'assoluto, se per assoluto intendesi, come devesi, ciò

163

dal concetto modale dei soggetti, ponendo le «mentes»come centri reciproci di quell'attività che è la stessa suasostanza. E reciprocamente Fichte, costrettovi da Spino-za, saprà veramente trovare l'io nella sua purezza, senzascambiarlo, equivocando, con quella oggettiva sostanzache egli pur vuol rinnegare. Fusione alla quale, enell'uno e nell'altro dei due pensatori, siamo pur tantovicini.

Concludendo, al pregiudizio del dogmatismo realisti-co che oppone alle persone che conoscono, le cose in sèche dovrebbero essere conosciute, si è opposto il pregiu-dizio dell'idealismo trascendentale che ha creduto vince-re il primo togliendo la cosa in sè e ponendo come prin-cipio unico l'io. Intendere la cosa in sè come oggettopuro, è, a mio avviso, vincere l'uno e l'altro pregiudizio,esplicare più profondamente quella esigenza della co-scienza comune alla quale il realismo voleva soddisfare:l'oggettività della coscienza.

35. Il pregiudizio del relativismo.

L'altro pregiudizio, pel quale non si vede la cosa in sènell'oggetto puro di coscienza, è il pluralismo relativisti-co.

Ci si può, infatti, dire: «Voi, con Kant, intendete percosa in sè, l'essere in sè, cioè l'essere incondizionato,l'essere sic et simpliciter, che con altra parola può dirsil'assoluto, se per assoluto intendesi, come devesi, ciò

163

Page 164: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che è in sè e da sè e quindi è l'incondizionato assoluto. Evolete voi, seguendo Agostino, ricercare in voi stessotale essere, perchè voi dite: io sono.

Ma voi stesso ammettete: l'egoità è alterità.Ora o questo altro da me che siete voi, è assolutamen-

te separato da me, e, quando voi cercherete e magari tro-verete in voi stesso tale essere incondizionato, non tro-verete certo anche l'incondizionato che è in me. E do-vrete quindi o concludere per l'incondizionatezza vostrasoltanto (solipsismo), o ammettere che quell'essere insè, che vi sta di fronte almeno in me, è irraggiungibile(agnosticismo).

Ovvero questo altro da me che siete voi, pur essendoaltro, non è assolutamente separato da me, ed allora,come esplicitamente ci avete già detto, ammettete la no-stra correlatività; e nel relativo vostro essere, che, ap-punto perchè relativo, dipende anche da me, non ritrove-rete certo quell'essere in sè incondizionato che andatecercando. Il relativismo è insuperabile: la scoperta dellaCritica è la dimostrazione definitiva che il pensieroumano è nel relativo.

Nell'uno e nell'altro caso vedrete entro voi stesso ri-comparirvi davanti un oggetto che non è la cosa, unconcetto che non è l'essere. Oggetto nella sua apparte-nenza alla coscienza del soggetto, ed essere in sè nellasua esigenza di estraneità a tale coscienza torneranno adistinguersi».

Non ci fermeremo sulla prima proposizione dell'alter-nativa, perchè spero che la falsità del supposto in essa

164

che è in sè e da sè e quindi è l'incondizionato assoluto. Evolete voi, seguendo Agostino, ricercare in voi stessotale essere, perchè voi dite: io sono.

Ma voi stesso ammettete: l'egoità è alterità.Ora o questo altro da me che siete voi, è assolutamen-

te separato da me, e, quando voi cercherete e magari tro-verete in voi stesso tale essere incondizionato, non tro-verete certo anche l'incondizionato che è in me. E do-vrete quindi o concludere per l'incondizionatezza vostrasoltanto (solipsismo), o ammettere che quell'essere insè, che vi sta di fronte almeno in me, è irraggiungibile(agnosticismo).

Ovvero questo altro da me che siete voi, pur essendoaltro, non è assolutamente separato da me, ed allora,come esplicitamente ci avete già detto, ammettete la no-stra correlatività; e nel relativo vostro essere, che, ap-punto perchè relativo, dipende anche da me, non ritrove-rete certo quell'essere in sè incondizionato che andatecercando. Il relativismo è insuperabile: la scoperta dellaCritica è la dimostrazione definitiva che il pensieroumano è nel relativo.

Nell'uno e nell'altro caso vedrete entro voi stesso ri-comparirvi davanti un oggetto che non è la cosa, unconcetto che non è l'essere. Oggetto nella sua apparte-nenza alla coscienza del soggetto, ed essere in sè nellasua esigenza di estraneità a tale coscienza torneranno adistinguersi».

Non ci fermeremo sulla prima proposizione dell'alter-nativa, perchè spero che la falsità del supposto in essa

164

Page 165: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

risulti chiara a chi abbia presente il capitolo che all'alte-rità abbiamo dedicato. La molteplicità come assoluta èun concetto contraddittorio, perchè nega senz'altro la co-scienza, della quale, se vuol essere un concetto, è unatto. Nega la coscienza, perchè coscienza, come risultada quanto abbiamo detto qui ed altrove, importa appun-to quella unificazione del molteplice, unificazione che èla sua oggettività.

Più persuasiva sembra invece l'altra proposizionedell'alternativa: il relativismo. Per sfuggire a questol'idealismo finora non ha saputo che negare il correlati-vismo dei soggetti, per affermare l'assoluta unità dell'Io.Così si è liberato dalla irraggiungibile cosa in sè, libe-randosi però anche dall'oggetto di coscienza. Ha acco-munato nella negazione cosa in sè ed oggetto. E pareche, se si voglia sfuggire a questa negazione, sia ineli-minabile il relativismo.

Eppure una considerazione semplicissima salva la di-mostrata identificazione positiva dell'oggetto con la cosae ci libera da una parte dall'idealismo negativo della og-gettività e dall'altra dal relativismo.

Considerazione che sarà sviluppata nei capitoli se-guenti, ma che qui è necessario accennare.

L'assoluto, si dice, non sta nel relativo, perchè gli sicontrappone.

È un errore di concetti, che dipende dal pregiudiziodella trascendenza nella sua accezione realistica. Erroredi concetti, che sta nel credere alla opposizione tra asso-luto e relativo, credendosi così quello, l'assoluto, di là da

165

risulti chiara a chi abbia presente il capitolo che all'alte-rità abbiamo dedicato. La molteplicità come assoluta èun concetto contraddittorio, perchè nega senz'altro la co-scienza, della quale, se vuol essere un concetto, è unatto. Nega la coscienza, perchè coscienza, come risultada quanto abbiamo detto qui ed altrove, importa appun-to quella unificazione del molteplice, unificazione che èla sua oggettività.

Più persuasiva sembra invece l'altra proposizionedell'alternativa: il relativismo. Per sfuggire a questol'idealismo finora non ha saputo che negare il correlati-vismo dei soggetti, per affermare l'assoluta unità dell'Io.Così si è liberato dalla irraggiungibile cosa in sè, libe-randosi però anche dall'oggetto di coscienza. Ha acco-munato nella negazione cosa in sè ed oggetto. E pareche, se si voglia sfuggire a questa negazione, sia ineli-minabile il relativismo.

Eppure una considerazione semplicissima salva la di-mostrata identificazione positiva dell'oggetto con la cosae ci libera da una parte dall'idealismo negativo della og-gettività e dall'altra dal relativismo.

Considerazione che sarà sviluppata nei capitoli se-guenti, ma che qui è necessario accennare.

L'assoluto, si dice, non sta nel relativo, perchè gli sicontrappone.

È un errore di concetti, che dipende dal pregiudiziodella trascendenza nella sua accezione realistica. Erroredi concetti, che sta nel credere alla opposizione tra asso-luto e relativo, credendosi così quello, l'assoluto, di là da

165

Page 166: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

questo. Ciò implicitamente ammettendo ed esplicita-mente dicendo, non si vede che si nega gratuitamentequella unicità che è essenziale alla coscienza e ne costi-tuisce l'oggettività. Se non si vuole infatti cadere nellacontraddizione del dogmatismo realistico, dianzi (§ 34)esaminata, quell'assoluto di là dalla coscienza relativache afferma quel di là, deve essere coscienza. E se, dauna parte, si ammette la contrapposizione tra assoluto erelativo, e, dall'altra, è vera la unicità della coscienza,questa correlativa coscienza affermante non è più co-scienza: la vera e propria coscienza è quel di là. Delquale, peraltro, mancherebbe l'affermazione, se la corre-lativa coscienza affermante non è coscienza.

Se, adunque, perchè sia valida, la coscienza deve es-sere anche unicità, o la coscienza, in quanto affermantenella sua correlativa soggettività, si unifica con l'Assolu-to, e allora vien tolta l'opposizione tra assoluto e relati-vo; o invece l'Assoluto vien ritenuto assoluta coscienza,e allora quella correlativa coscienza affermante poneimplicitamente sè come falsa coscienza anche in questaaffermazione che fa di quell'assoluto.

La contrapposizione, adunque, tra l'Assoluto ed il re-lativo è impensabile. Concependo in questa contrapposi-zione l'Assoluto, noi veniamo a farne proprio un relati-vo. E questo, poi, proprio perchè sia tale, ha bisogno diavere immanente in sè e non contrapposto a sè l'Assolu-to. Senza questa immanenza, l'Assoluto diventa, per suoconto, relativo, e il relativo diventa impossibile come re-lativo. Giacchè in tanto è possibile relazione, in quanto

166

questo. Ciò implicitamente ammettendo ed esplicita-mente dicendo, non si vede che si nega gratuitamentequella unicità che è essenziale alla coscienza e ne costi-tuisce l'oggettività. Se non si vuole infatti cadere nellacontraddizione del dogmatismo realistico, dianzi (§ 34)esaminata, quell'assoluto di là dalla coscienza relativache afferma quel di là, deve essere coscienza. E se, dauna parte, si ammette la contrapposizione tra assoluto erelativo, e, dall'altra, è vera la unicità della coscienza,questa correlativa coscienza affermante non è più co-scienza: la vera e propria coscienza è quel di là. Delquale, peraltro, mancherebbe l'affermazione, se la corre-lativa coscienza affermante non è coscienza.

Se, adunque, perchè sia valida, la coscienza deve es-sere anche unicità, o la coscienza, in quanto affermantenella sua correlativa soggettività, si unifica con l'Assolu-to, e allora vien tolta l'opposizione tra assoluto e relati-vo; o invece l'Assoluto vien ritenuto assoluta coscienza,e allora quella correlativa coscienza affermante poneimplicitamente sè come falsa coscienza anche in questaaffermazione che fa di quell'assoluto.

La contrapposizione, adunque, tra l'Assoluto ed il re-lativo è impensabile. Concependo in questa contrapposi-zione l'Assoluto, noi veniamo a farne proprio un relati-vo. E questo, poi, proprio perchè sia tale, ha bisogno diavere immanente in sè e non contrapposto a sè l'Assolu-to. Senza questa immanenza, l'Assoluto diventa, per suoconto, relativo, e il relativo diventa impossibile come re-lativo. Giacchè in tanto è possibile relazione, in quanto

166

Page 167: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

c'è unicità. Unicità che è appunto l'Assoluto. E questo,perciò, essendo l'unità del relativo, non è la totalità delrelativo, come dopo Kant si viene ripetendo da alcuneforme dell'idealismo immanentistico.

È questa della identificazione dell'Assoluto con la to-talità del relativo un'altra conseguenza della negazionedell'oggettività.

Si può dunque e si deve, pur non identificandol'Assoluto con la totalità del relativo, concepirlo imma-nente al relativo.

Difetto comune agli assolutisti, ai relativisti ed a que-gli idealisti che identificano l'Assoluto con il concreto èla non chiara visione del concreto; visione, del resto,della quale siamo soltanto agli albori. Non sappiamo an-cora vedere l'essere in noi stessi; siamo ancora sotto ilpeso del problema della conoscenza ancora intellettuali-sticamente impostato da Kant. È questa impostazioneche bisogna rompere.

Tornando alla obiezione che si discute, rispondiamodunque che è proprio nelle intime viscere del relativoche bisogna ricercare l'Assoluto.

L'essere oggettivo che io ritroverò in me, non è solociò per cui io dipendo da voi e voi da me, l'essere cioèreciproco, ma è l'essere pel quale unicamente siamo io evoi, l'Essere unico, ineffabile, che noi, concretizzando lenostre singolarità, esprimiamo nella reciproca nostra at-tività.

L'alternativa è, dunque, falsa. In entrambe le proposi-zioni di essa si annida un pregiudizio: a vederne la falsi-

167

c'è unicità. Unicità che è appunto l'Assoluto. E questo,perciò, essendo l'unità del relativo, non è la totalità delrelativo, come dopo Kant si viene ripetendo da alcuneforme dell'idealismo immanentistico.

È questa della identificazione dell'Assoluto con la to-talità del relativo un'altra conseguenza della negazionedell'oggettività.

Si può dunque e si deve, pur non identificandol'Assoluto con la totalità del relativo, concepirlo imma-nente al relativo.

Difetto comune agli assolutisti, ai relativisti ed a que-gli idealisti che identificano l'Assoluto con il concreto èla non chiara visione del concreto; visione, del resto,della quale siamo soltanto agli albori. Non sappiamo an-cora vedere l'essere in noi stessi; siamo ancora sotto ilpeso del problema della conoscenza ancora intellettuali-sticamente impostato da Kant. È questa impostazioneche bisogna rompere.

Tornando alla obiezione che si discute, rispondiamodunque che è proprio nelle intime viscere del relativoche bisogna ricercare l'Assoluto.

L'essere oggettivo che io ritroverò in me, non è solociò per cui io dipendo da voi e voi da me, l'essere cioèreciproco, ma è l'essere pel quale unicamente siamo io evoi, l'Essere unico, ineffabile, che noi, concretizzando lenostre singolarità, esprimiamo nella reciproca nostra at-tività.

L'alternativa è, dunque, falsa. In entrambe le proposi-zioni di essa si annida un pregiudizio: a vederne la falsi-

167

Page 168: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tà basta passare dal concetto atomistico a quello spiri-tualistico della molteplicità.

Concludendo, quando avremo sgombrata la coscienzadi questi due pregiudizi (§§ 34, 35), che dottrine filoso-fiche accolte nella loro morta stasi ci importano, vedre-mo allora con chiarezza che l'essere in sè, che invanoandremo ricercando fuori o di là da noi, è in noi stessi, ementre è in noi come essere presente nella coscienza(oggetto), appunto perciò è quel quid unificante che lacoscienza ci attesta essere l'essere in sè. E ci appare al-lora anche chiaro perchè l'oggetto si manifesti alla co-scienza come universalità: si manifesta tale, appuntoperchè è l'essere stesso nella sua assoluta unicità.

Quando io quindi ricerco in me la cosa in sè, è chiaroche non potrò trovare che quella stessa cosa in sè chevoi in voi stesso ritroverete. Quel quid unificante che facosa ogni cosa, o, se si vuole, che fa essere ogni ente,deve essere in me, come in ogni cosa; essa sarà quelquid unificante di me con ogni cosa come di ogni cosa,sarà quell'essere unico di coscienza che già ci risultavaessere l'oggetto.

È l'essere che giustamente Cartesio vide implicito nelcogito, proprio come quella oggettiva idea essenziale alcogito, dal quale egli non fece che dedurla. E il suo sumperciò non è nè, come in fondo il Cartesio realista vole-va, un salto del cogitans in un mondo di essere che nonè la stessa idea, nè una vana e sciocca ripetizione delcogito, che, come giustamente è stato visto ma ingiusta-mente gli è stato rimproverato, chiuderebbe Cartesio,

168

tà basta passare dal concetto atomistico a quello spiri-tualistico della molteplicità.

Concludendo, quando avremo sgombrata la coscienzadi questi due pregiudizi (§§ 34, 35), che dottrine filoso-fiche accolte nella loro morta stasi ci importano, vedre-mo allora con chiarezza che l'essere in sè, che invanoandremo ricercando fuori o di là da noi, è in noi stessi, ementre è in noi come essere presente nella coscienza(oggetto), appunto perciò è quel quid unificante che lacoscienza ci attesta essere l'essere in sè. E ci appare al-lora anche chiaro perchè l'oggetto si manifesti alla co-scienza come universalità: si manifesta tale, appuntoperchè è l'essere stesso nella sua assoluta unicità.

Quando io quindi ricerco in me la cosa in sè, è chiaroche non potrò trovare che quella stessa cosa in sè chevoi in voi stesso ritroverete. Quel quid unificante che facosa ogni cosa, o, se si vuole, che fa essere ogni ente,deve essere in me, come in ogni cosa; essa sarà quelquid unificante di me con ogni cosa come di ogni cosa,sarà quell'essere unico di coscienza che già ci risultavaessere l'oggetto.

È l'essere che giustamente Cartesio vide implicito nelcogito, proprio come quella oggettiva idea essenziale alcogito, dal quale egli non fece che dedurla. E il suo sumperciò non è nè, come in fondo il Cartesio realista vole-va, un salto del cogitans in un mondo di essere che nonè la stessa idea, nè una vana e sciocca ripetizione delcogito, che, come giustamente è stato visto ma ingiusta-mente gli è stato rimproverato, chiuderebbe Cartesio,

168

Page 169: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

persona pensante, in sè come singolo, che solo un mira-colo di armonia prestabilita metterebbe in rapporto congli altri. Il sum di Cartesio è, a dirla con termini rosmi-niani, l'ideale esse che è nel reale ego.

E tolta l'ipotesi dell'assoluto pluralismo, sono tolte ledue posizioni entro le quali invano mi dibatterei: il so-lipsismo da una parte, il relativismo dall'altra.

Nè il valore della formula cartesiana sta in una affer-mazione di autocoscienza, come dagli idealisti si suoleripetere per il loro gran padre. Il concetto di autoco-scienza, che scaturì da Kant attraverso Hegel, non èconcetto cartesiano. Il valore, che Cartesio non vide,della sua formula, sta nel passaggio dalla soggettivitàalla oggettività che le è immanente, dall'io all'Id, dal sin-golo all'Uno. Il valore vero della sintesi cartesiana chebisogna con più profondo sguardo riscoprire, sta perciòproprio in quell'ergo che lo stesso Cartesio teneva quasia far dimenticare.

Questo oggettivo essere in sè, la cui scoperta si è giàtante volte affacciata imperiosamente al pensiero specu-lativo, noi riscopriamo in questa identificazione dellacosa in sè con l'oggetto puro.

Essere in sè, che fu già implicitamente scoperto daKant: la cosa in sè come l'essere noumenico, imprescin-dibile necessità della ragione nella sua assoluta unicità:non oggetto puramente pensato (passivo) quindi schiettanegazione dell'attivo soggetto, ma cosa in sè. L'assolutooggetto è la cosa in sè. La nostra scoperta è già in Kant.

169

persona pensante, in sè come singolo, che solo un mira-colo di armonia prestabilita metterebbe in rapporto congli altri. Il sum di Cartesio è, a dirla con termini rosmi-niani, l'ideale esse che è nel reale ego.

E tolta l'ipotesi dell'assoluto pluralismo, sono tolte ledue posizioni entro le quali invano mi dibatterei: il so-lipsismo da una parte, il relativismo dall'altra.

Nè il valore della formula cartesiana sta in una affer-mazione di autocoscienza, come dagli idealisti si suoleripetere per il loro gran padre. Il concetto di autoco-scienza, che scaturì da Kant attraverso Hegel, non èconcetto cartesiano. Il valore, che Cartesio non vide,della sua formula, sta nel passaggio dalla soggettivitàalla oggettività che le è immanente, dall'io all'Id, dal sin-golo all'Uno. Il valore vero della sintesi cartesiana chebisogna con più profondo sguardo riscoprire, sta perciòproprio in quell'ergo che lo stesso Cartesio teneva quasia far dimenticare.

Questo oggettivo essere in sè, la cui scoperta si è giàtante volte affacciata imperiosamente al pensiero specu-lativo, noi riscopriamo in questa identificazione dellacosa in sè con l'oggetto puro.

Essere in sè, che fu già implicitamente scoperto daKant: la cosa in sè come l'essere noumenico, imprescin-dibile necessità della ragione nella sua assoluta unicità:non oggetto puramente pensato (passivo) quindi schiettanegazione dell'attivo soggetto, ma cosa in sè. L'assolutooggetto è la cosa in sè. La nostra scoperta è già in Kant.

169

Page 170: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La dialettica negazione dell'essere è superata. Comevuole la coscienza comune, l'essere è. Questa non è unaproposizione vuota che ci costringa a completarla hege-lianamente dicendo: l'essere è il non essere. Questocompletamento è dovuto, abbiam visto, al permaneredel concetto realistico dell'essere; togliete questo, e dellacontraddizione non avrete più bisogno. La logica tra-scendentale si porrà come l'approfondimento della logi-ca comune: L'essere è.

170

La dialettica negazione dell'essere è superata. Comevuole la coscienza comune, l'essere è. Questa non è unaproposizione vuota che ci costringa a completarla hege-lianamente dicendo: l'essere è il non essere. Questocompletamento è dovuto, abbiam visto, al permaneredel concetto realistico dell'essere; togliete questo, e dellacontraddizione non avrete più bisogno. La logica tra-scendentale si porrà come l'approfondimento della logi-ca comune: L'essere è.

170

Page 171: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO V.L'ESPERIENZA

36. La soppressione idealistica della esperienza in quanto realismo.

Risultato del capitolo precedente è la riduzione dellacosa in sè, cioè della cosa proprio in quanto tale,all'oggetto puro della coscienza, all'oggetto che di que-sta costituisce la validità universale e l'assoluta unicità.

Si nega il realismo, scoprendolo come pregiudizio fi-losofico; pur si afferma l'oggettività scoprendola comeesigenza della coscienza comune.

La distinzione filosofica dell'oggetto (§ 30), che pare-va giustificare il realismo, tendeva invece ad appurare laschietta oggettività nella sua assolutezza. Aveva ragioneKant: la ragione sta ad avvertirci che non si confonda lacosa in sè con l'apparenza sua.

171

CAPITOLO V.L'ESPERIENZA

36. La soppressione idealistica della esperienza in quanto realismo.

Risultato del capitolo precedente è la riduzione dellacosa in sè, cioè della cosa proprio in quanto tale,all'oggetto puro della coscienza, all'oggetto che di que-sta costituisce la validità universale e l'assoluta unicità.

Si nega il realismo, scoprendolo come pregiudizio fi-losofico; pur si afferma l'oggettività scoprendola comeesigenza della coscienza comune.

La distinzione filosofica dell'oggetto (§ 30), che pare-va giustificare il realismo, tendeva invece ad appurare laschietta oggettività nella sua assolutezza. Aveva ragioneKant: la ragione sta ad avvertirci che non si confonda lacosa in sè con l'apparenza sua.

171

Page 172: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Si può opporre: «L'oggettività che voi così ci regala-te, non soddisfa la coscienza comune, perchè questa habisogno della cosa indipendente dalla coscienza. Senzatale cosa infatti è inesplicabile l'esperienza; e la espe-rienza, se anche non si vuole ritenere la sola certezzache ci dà la coscienza, è indubbiamente richiesta comeuna fonte della conoscenza dalla coscienza comune.Una teoria della coscienza che non dia conto della espe-rienza, non può quindi soddisfarla; e la teoria idealisticanon ne può render conto».

La base dell'obbiezione sta nel riportare l'esperienza,posta come esigenza ineliminabile della coscienza, allostesso realismo che abbiamo dimostrato essere un pre-giudizio. Se pregiudizio è il realismo, ci si dice, pregiu-dizio sarà anche l'esperienza; e allora, quando purl'esperienza, con tutta la fatica e i pericoli che essa co-sta, ci ha resi padroni del mondo, riposiamoci invecetranquillamente, evitando quella fatica e quei pericoli,nelle tranquille acque dell'essere pensato, e navighiamo,con lievi burchielli, nel serenissimo mare platonico, che,scevro di tempeste, ci darà sempre approdo tra le infini-te immobili e cristalline isole delle idee, di cui è disse-minato; saremo cosa in un mare di cristallo, cioè nonnavigheremo affatto.

Niente platonismo intellettualistico, rispondo; maneppure identificazione del pregiudizio realistico conl'esperienza.

Che l'esperienza, come specifica forma di coscienza,sia ineliminabile esigenza di questa, ammetto e da tem-

172

Si può opporre: «L'oggettività che voi così ci regala-te, non soddisfa la coscienza comune, perchè questa habisogno della cosa indipendente dalla coscienza. Senzatale cosa infatti è inesplicabile l'esperienza; e la espe-rienza, se anche non si vuole ritenere la sola certezzache ci dà la coscienza, è indubbiamente richiesta comeuna fonte della conoscenza dalla coscienza comune.Una teoria della coscienza che non dia conto della espe-rienza, non può quindi soddisfarla; e la teoria idealisticanon ne può render conto».

La base dell'obbiezione sta nel riportare l'esperienza,posta come esigenza ineliminabile della coscienza, allostesso realismo che abbiamo dimostrato essere un pre-giudizio. Se pregiudizio è il realismo, ci si dice, pregiu-dizio sarà anche l'esperienza; e allora, quando purl'esperienza, con tutta la fatica e i pericoli che essa co-sta, ci ha resi padroni del mondo, riposiamoci invecetranquillamente, evitando quella fatica e quei pericoli,nelle tranquille acque dell'essere pensato, e navighiamo,con lievi burchielli, nel serenissimo mare platonico, che,scevro di tempeste, ci darà sempre approdo tra le infini-te immobili e cristalline isole delle idee, di cui è disse-minato; saremo cosa in un mare di cristallo, cioè nonnavigheremo affatto.

Niente platonismo intellettualistico, rispondo; maneppure identificazione del pregiudizio realistico conl'esperienza.

Che l'esperienza, come specifica forma di coscienza,sia ineliminabile esigenza di questa, ammetto e da tem-

172

Page 173: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

po vado ripetendo. Che di questa esigenza almeno da al-cuni se non da tutti gli indirizzi idealistici, non si facciail dovuto esame, concedo. Ma ciò nè vuol dire chel'esperienza debba salvare il realismo, nè viceversa cheil realismo travolga nella sua rovina l'esperienza.

Un esame particolareggiato del problema dell'espe-rienza, ognuno vede che mi porterebbe molto in lungo emi allontanerebbe da quella che è la linea del saggio chequì presento. Devo ora quindi limitarmi a porne i trattiessenziali, che, richiesti dalla struttura stessa di questaindagine, fanno per loro conto chiara e distinta la conce-zione fondamentale che a nostro avviso può e deveaversi dell'esperienza.

Il difetto degli indirizzi idealistici post-kantiani nelnon porre e non risolvere il problema della esperienzarisale allo stesso Kant.

Questi, attratto dal problema della scienza, non videchiaramente e non pose esplicitamente il problema dellaesperienza come tale. «La possibilità delle proposizionisintetiche aposteriori, dice egli stesso (Prolegomeni, §5), cioè di quelle attinte dalla esperienza, non ha neppurbisogno di alcuna speciale spiegazione». La scienza, lavera ed assoluta scienza per Kant, si fa a priori. Il pro-blema è come mai sia possibile che una tale conoscenzaa priori sia sintetica, di quella stessa sinteticità che ri-scontriamo nella esperienza; come, cioè, sia possibileche la scienza sia confermata dalla esperienza. Kant cri-tico quindi continua a credere ad una esperienza chevenga non certo a convalidare la scienza, che di tale

173

po vado ripetendo. Che di questa esigenza almeno da al-cuni se non da tutti gli indirizzi idealistici, non si facciail dovuto esame, concedo. Ma ciò nè vuol dire chel'esperienza debba salvare il realismo, nè viceversa cheil realismo travolga nella sua rovina l'esperienza.

Un esame particolareggiato del problema dell'espe-rienza, ognuno vede che mi porterebbe molto in lungo emi allontanerebbe da quella che è la linea del saggio chequì presento. Devo ora quindi limitarmi a porne i trattiessenziali, che, richiesti dalla struttura stessa di questaindagine, fanno per loro conto chiara e distinta la conce-zione fondamentale che a nostro avviso può e deveaversi dell'esperienza.

Il difetto degli indirizzi idealistici post-kantiani nelnon porre e non risolvere il problema della esperienzarisale allo stesso Kant.

Questi, attratto dal problema della scienza, non videchiaramente e non pose esplicitamente il problema dellaesperienza come tale. «La possibilità delle proposizionisintetiche aposteriori, dice egli stesso (Prolegomeni, §5), cioè di quelle attinte dalla esperienza, non ha neppurbisogno di alcuna speciale spiegazione». La scienza, lavera ed assoluta scienza per Kant, si fa a priori. Il pro-blema è come mai sia possibile che una tale conoscenzaa priori sia sintetica, di quella stessa sinteticità che ri-scontriamo nella esperienza; come, cioè, sia possibileche la scienza sia confermata dalla esperienza. Kant cri-tico quindi continua a credere ad una esperienza chevenga non certo a convalidare la scienza, che di tale

173

Page 174: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

convalidazione non deve aver bisogno, ma quasi a ren-derle omaggio con la propria concordanza con essa;continua a credere ad una esperienza che non è la stessascienza, ma è pur conoscenza sintetica, e che in questasua sinteticità non ha bisogno di alcuna spiegazione,non è un problema.

Che l'esperienza, proprio come tale, sia inoppugnabi-le è da Kant presupposto.

E la soluzione kantiana del problema della scienza èconforme a tal presupposto. La scienza è possibile, per-che è soltanto formale: la scienza con le sue leggi è laforma della conoscenza. Di quella natura, che ci è datadalla esperienza, la legge è data dalla scienza; la leggedi natura è categorica funzione conoscitiva, non è mate-riale realtà meccanica.

Resta, per Kant, una realtà fuori di tal legge, o megliocon una sua propria inattingibile legge assoluta; realtà, ilcui esserci spiega la esperienza, cioè spiega l'esserci diun contenuto entro quella forma conoscitiva che è con-cetto e poniamo come legge di natura.

Or in questa concezione kantiana della conoscenza, sisa, e non starò qui a ricercare e precisare il come ed ilperchè, che il concetto kantiano di esperienza oscilla trauna schietta esperienza, mancante di universalità e quin-di informe, e pur stante a sè indipendentemente da que-sta legislazione intellettiva cui essa dà un contenuto, euna esperienza che possiam dire intellettiva, in quantoin essa c'è quella necessità portata dalle categorie, unaesperienza quindi che è concreta conoscenza.

174

convalidazione non deve aver bisogno, ma quasi a ren-derle omaggio con la propria concordanza con essa;continua a credere ad una esperienza che non è la stessascienza, ma è pur conoscenza sintetica, e che in questasua sinteticità non ha bisogno di alcuna spiegazione,non è un problema.

Che l'esperienza, proprio come tale, sia inoppugnabi-le è da Kant presupposto.

E la soluzione kantiana del problema della scienza èconforme a tal presupposto. La scienza è possibile, per-che è soltanto formale: la scienza con le sue leggi è laforma della conoscenza. Di quella natura, che ci è datadalla esperienza, la legge è data dalla scienza; la leggedi natura è categorica funzione conoscitiva, non è mate-riale realtà meccanica.

Resta, per Kant, una realtà fuori di tal legge, o megliocon una sua propria inattingibile legge assoluta; realtà, ilcui esserci spiega la esperienza, cioè spiega l'esserci diun contenuto entro quella forma conoscitiva che è con-cetto e poniamo come legge di natura.

Or in questa concezione kantiana della conoscenza, sisa, e non starò qui a ricercare e precisare il come ed ilperchè, che il concetto kantiano di esperienza oscilla trauna schietta esperienza, mancante di universalità e quin-di informe, e pur stante a sè indipendentemente da que-sta legislazione intellettiva cui essa dà un contenuto, euna esperienza che possiam dire intellettiva, in quantoin essa c'è quella necessità portata dalle categorie, unaesperienza quindi che è concreta conoscenza.

174

Page 175: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Quel che a noi ora importa è che per Kant non si haesperienza, nell'uno o nell'altro senso, se non si ha quel-la realtà stante a sè, fuori della legge conoscitiva umana,e provocatrice del contenuto in questa legge, cioè delsottoposto alla legge di conoscenza.

L'annullamento puro e semplice di questa realtà fuoridella legge conoscitiva, di questo essere fuori del pen-siero, non risolve il problema della esperienza, comeesigenza della coscienza, ma puramente e semplicemen-te lo sopprime non tenendo conto di questa. E spiega lasoppressione così: la vera e propria conoscenza è lascienza, quella scienza di cui appunto Kant ci ha mo-strata la possibilità. Ma tale spiegazione non tiene contodel punto di partenza e cioè che la scienza kantiana èformale. E invece la scienza idealistica non vuole esse-re, ed ha ragione, schiettamente formale (cfr., già ancheprima di Hegel, Fichte e Schelling): vuole risolvere in sèanche il suo proprio contenuto. E tale risoluzione persforzi dialettici che si sono fatti, non è mai riuscita.

Così la mancanza del problema critico della esperien-za da parte di Kant è diventata la soppressione pura esemplice della stessa esperienza nell'idealismo che hacontinuato o ha creduto di continuare il pensiero kantia-no. L'idealismo post-kantiano ignora l'esigenza specificadella esperienza nella coscienza.

175

Quel che a noi ora importa è che per Kant non si haesperienza, nell'uno o nell'altro senso, se non si ha quel-la realtà stante a sè, fuori della legge conoscitiva umana,e provocatrice del contenuto in questa legge, cioè delsottoposto alla legge di conoscenza.

L'annullamento puro e semplice di questa realtà fuoridella legge conoscitiva, di questo essere fuori del pen-siero, non risolve il problema della esperienza, comeesigenza della coscienza, ma puramente e semplicemen-te lo sopprime non tenendo conto di questa. E spiega lasoppressione così: la vera e propria conoscenza è lascienza, quella scienza di cui appunto Kant ci ha mo-strata la possibilità. Ma tale spiegazione non tiene contodel punto di partenza e cioè che la scienza kantiana èformale. E invece la scienza idealistica non vuole esse-re, ed ha ragione, schiettamente formale (cfr., già ancheprima di Hegel, Fichte e Schelling): vuole risolvere in sèanche il suo proprio contenuto. E tale risoluzione persforzi dialettici che si sono fatti, non è mai riuscita.

Così la mancanza del problema critico della esperien-za da parte di Kant è diventata la soppressione pura esemplice della stessa esperienza nell'idealismo che hacontinuato o ha creduto di continuare il pensiero kantia-no. L'idealismo post-kantiano ignora l'esigenza specificadella esperienza nella coscienza.

175

Page 176: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

37. Opposti concetti di conoscenza nati da Kant e presentati come esperienza pura; mancata cri-tica del concetto di esperienza.

La distinzione kantiana di contenuto e forma della co-noscenza ha il suo fondamento primo nella detta (§ 30)distinzione filosofica tra cosa in sè e cosa conosciuta,oggetto-cosa e oggetto-idea.

Si spiega quindi come proprio dal maturarsi della po-sizione data da Kant al problema della conoscenza sianosorte due opposte concezioni di questa, ciascuna dellequali, ignorando, come ho sopra detto, la specifica esi-genza della esperienza come tale, e proclamando sè ilsolo e l'unico concetto possibile di conoscenza, si ritieneautorizzata a porsi come l'esperienza pura, cioè la vera epropria esperienza, che è vera e propria e sola conoscen-za.

Così si ha in ciascuna di esse un fondamentale errore:lo scambio della conoscenza concreta con l'esperienza.Questa così non può esser vista nella specifica esigenzasua. Cioè il problema critico della esperienza, come nonfu posto da Kant, così continua a non esser posto.

Per la prima di queste concezioni, continuandosi losviluppo del problema, che assillava Kant, della scienzanella assoluta sua universalità e necessità, la kantianaforma assorbe in sè il contenuto, e quindi, riconoscendo-si non più come pura forma della esperienza, pone sècome concreta conoscenza e si proclama vera e propriaesperienza, esperienza pura. È il processo dell'idealismo

176

37. Opposti concetti di conoscenza nati da Kant e presentati come esperienza pura; mancata cri-tica del concetto di esperienza.

La distinzione kantiana di contenuto e forma della co-noscenza ha il suo fondamento primo nella detta (§ 30)distinzione filosofica tra cosa in sè e cosa conosciuta,oggetto-cosa e oggetto-idea.

Si spiega quindi come proprio dal maturarsi della po-sizione data da Kant al problema della conoscenza sianosorte due opposte concezioni di questa, ciascuna dellequali, ignorando, come ho sopra detto, la specifica esi-genza della esperienza come tale, e proclamando sè ilsolo e l'unico concetto possibile di conoscenza, si ritieneautorizzata a porsi come l'esperienza pura, cioè la vera epropria esperienza, che è vera e propria e sola conoscen-za.

Così si ha in ciascuna di esse un fondamentale errore:lo scambio della conoscenza concreta con l'esperienza.Questa così non può esser vista nella specifica esigenzasua. Cioè il problema critico della esperienza, come nonfu posto da Kant, così continua a non esser posto.

Per la prima di queste concezioni, continuandosi losviluppo del problema, che assillava Kant, della scienzanella assoluta sua universalità e necessità, la kantianaforma assorbe in sè il contenuto, e quindi, riconoscendo-si non più come pura forma della esperienza, pone sècome concreta conoscenza e si proclama vera e propriaesperienza, esperienza pura. È il processo dell'idealismo

176

Page 177: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

kantiano, dalla pura sua forma trascendentale aderente aKant fino all'idealismo assoluto di Hegel ed al suo cul-mine attualistico.

L'universalità già da Socrate in poi riconosciutaall'oggetto-idea e già con Aristotele divenuta forma del-la conoscenza stessa, viene esplicitamente vista comeconoscenza pura nella piena sua attualità non bisognosadi altro, e così viene intesa anche come l'unica possibilerealtà, e quindi come l'unica possibile esperienza.

L'esperienza nella sua specifica caratteristica è tacita-mente negata, o almeno ignorata, quando si identificanosenz'altro conoscenza pura ed esperienza pura.

In fondo si dà ragione a chi pensa che l'esperienzacome esigenza specifica della coscienza debba esser tra-volta anch'essa dalla fine del realismo: l'esperienza,come tale, la si concepisce ancora realisticamente, e lasi sopprime. Non c'è realtà esterna e quindi non c'è biso-gno di esperienza con cui coglierla. La realtà è la stessaconoscenza e quindi questa è la stessa esperienza.

Per l'altra concezione, invece, si fa più profonda edimperiosa l'esigenza del kantiano contenuto della cono-scenza, pur riconoscendosi in questo non già una precri-tica realtà naturalistica indipendente dalla coscienza, maun contesto psichico di rappresentazioni necessariamen-te soggettive e come rappresentazioni e come loro con-testo. Tal contenuto, quindi, risolvendo in sè la stessasoggettività conoscitiva, che dal criticismo è ritenutafonte della formale necessità della conoscenza, risolvein sè anche questa formale necessità.

177

kantiano, dalla pura sua forma trascendentale aderente aKant fino all'idealismo assoluto di Hegel ed al suo cul-mine attualistico.

L'universalità già da Socrate in poi riconosciutaall'oggetto-idea e già con Aristotele divenuta forma del-la conoscenza stessa, viene esplicitamente vista comeconoscenza pura nella piena sua attualità non bisognosadi altro, e così viene intesa anche come l'unica possibilerealtà, e quindi come l'unica possibile esperienza.

L'esperienza nella sua specifica caratteristica è tacita-mente negata, o almeno ignorata, quando si identificanosenz'altro conoscenza pura ed esperienza pura.

In fondo si dà ragione a chi pensa che l'esperienzacome esigenza specifica della coscienza debba esser tra-volta anch'essa dalla fine del realismo: l'esperienza,come tale, la si concepisce ancora realisticamente, e lasi sopprime. Non c'è realtà esterna e quindi non c'è biso-gno di esperienza con cui coglierla. La realtà è la stessaconoscenza e quindi questa è la stessa esperienza.

Per l'altra concezione, invece, si fa più profonda edimperiosa l'esigenza del kantiano contenuto della cono-scenza, pur riconoscendosi in questo non già una precri-tica realtà naturalistica indipendente dalla coscienza, maun contesto psichico di rappresentazioni necessariamen-te soggettive e come rappresentazioni e come loro con-testo. Tal contenuto, quindi, risolvendo in sè la stessasoggettività conoscitiva, che dal criticismo è ritenutafonte della formale necessità della conoscenza, risolvein sè anche questa formale necessità.

177

Page 178: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Siamo quindi alle dottrine relativistiche ed empiristi-che d'ogni sorta: dall'associazionismo del Mill alla con-cezione economica della conoscenza del Mach o delPoincaré, dal positivismo dell' Ardigò al fenomenismodel Guastella, dal pluralismo del Renouvier al pragmati-smo del James o all'intuizionismo del Bergson, dall'irra-zionalismo vecchio e nuovo di ogni sorta all'empiriocri-ticismo dell'Avenarius, ecc.

In tutti questi ultimi indirizzi e i tanti altri affini che sipotrebbero ricercare ed elencare, la esperienza vien pre-sa nel suo realizzarsi nel soggetto singolare, e questaesperienza realizzata in tal soggetto, come l'unica vera-mente risultanteci indipendentemente da ogni ammissio-ne dogmatica di una causale realtà, vien presa come lastessa conoscenza concreta che la Critica ci ha scoperta.Quindi proprio quella informe esperienza pura fenome-nica sarebbe l'unica possibile conoscenza risultante dallaCritica, secondo la dimostrazione datane dall'Avenarius,il quale ha certo il merito di aver messo in evidenza ilprincipio fondamentale di ogni empirismo dopo Kant;principio, dal quale può logicamente egli concludere che«il concetto naturale del mondo deve essere ammessocome l'universale concetto puro (der naturliche Weltbe-griff dürfte demmach als der reine Universalbegriff an-zunehmen sein)». (Der menschliche Weltbegriff, 1891,2a ed. post., Leipzig, 1905, p. 115).

La kantiana esperienza ha abbandonata anche qui,come nell'idealismo, la sua provenienza da una esternacosa in sè, provenienza, mediante la quale soltanto essa

178

Siamo quindi alle dottrine relativistiche ed empiristi-che d'ogni sorta: dall'associazionismo del Mill alla con-cezione economica della conoscenza del Mach o delPoincaré, dal positivismo dell' Ardigò al fenomenismodel Guastella, dal pluralismo del Renouvier al pragmati-smo del James o all'intuizionismo del Bergson, dall'irra-zionalismo vecchio e nuovo di ogni sorta all'empiriocri-ticismo dell'Avenarius, ecc.

In tutti questi ultimi indirizzi e i tanti altri affini che sipotrebbero ricercare ed elencare, la esperienza vien pre-sa nel suo realizzarsi nel soggetto singolare, e questaesperienza realizzata in tal soggetto, come l'unica vera-mente risultanteci indipendentemente da ogni ammissio-ne dogmatica di una causale realtà, vien presa come lastessa conoscenza concreta che la Critica ci ha scoperta.Quindi proprio quella informe esperienza pura fenome-nica sarebbe l'unica possibile conoscenza risultante dallaCritica, secondo la dimostrazione datane dall'Avenarius,il quale ha certo il merito di aver messo in evidenza ilprincipio fondamentale di ogni empirismo dopo Kant;principio, dal quale può logicamente egli concludere che«il concetto naturale del mondo deve essere ammessocome l'universale concetto puro (der naturliche Weltbe-griff dürfte demmach als der reine Universalbegriff an-zunehmen sein)». (Der menschliche Weltbegriff, 1891,2a ed. post., Leipzig, 1905, p. 115).

La kantiana esperienza ha abbandonata anche qui,come nell'idealismo, la sua provenienza da una esternacosa in sè, provenienza, mediante la quale soltanto essa

178

Page 179: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dava contenuto, e soltanto questo, alla conoscenza. Si èquindi posta essa, proprio nella sua mancanza di univer-salità e di forma, si è posta essa come la stessa cono-scenza concreta.

Un tale empirismo però, con questo misterioso mon-do psichico originario, mondo psichico da una partechiuso nella singolarità del soggetto, e dall'altra com-pendiante in sè la natura e l'essere (cfr. le due serie, E,R, nella Critica dell'esperienza pura di Avenarius) taleempirismo, annullata quella provenienza, perde la suastessa ragion d'essere e da una parte non spiega affattol'esperienza ma la sopprime anch'esso, mentre dall'altraè costituzionalmente incapace di darci ragione della co-noscenza nella sua universalità e necessità, cioè nellasua unicità, nella sua oggettività. L'empirismo criticopost-kantiano ha perduto il mondo dell'essere oggettivoe non ha guadagnato quello della empirica natura sog-gettiva.

Siamo, con questi indirizzi empiristici, in una posi-zione opposta a quella dell'idealismo post kantiano. Inquesto la pura logicità del concetto nella sua universalitàassorbe in sè la psichicità delle rappresentazioni;nell'empirismo post-kantiano di ogni genere questa psi-chicità invece vuoi mostrarsi generatrice dello stessoconcetto nella sua universalità.

Al logicismo puro si contrappone un psichicismopuro. E quindi, fermo restando il principio che dalla co-scienza uscire non si può, si proclama da una parte chesolo il concetto universale puro, nel suo autoconcepirsi

179

dava contenuto, e soltanto questo, alla conoscenza. Si èquindi posta essa, proprio nella sua mancanza di univer-salità e di forma, si è posta essa come la stessa cono-scenza concreta.

Un tale empirismo però, con questo misterioso mon-do psichico originario, mondo psichico da una partechiuso nella singolarità del soggetto, e dall'altra com-pendiante in sè la natura e l'essere (cfr. le due serie, E,R, nella Critica dell'esperienza pura di Avenarius) taleempirismo, annullata quella provenienza, perde la suastessa ragion d'essere e da una parte non spiega affattol'esperienza ma la sopprime anch'esso, mentre dall'altraè costituzionalmente incapace di darci ragione della co-noscenza nella sua universalità e necessità, cioè nellasua unicità, nella sua oggettività. L'empirismo criticopost-kantiano ha perduto il mondo dell'essere oggettivoe non ha guadagnato quello della empirica natura sog-gettiva.

Siamo, con questi indirizzi empiristici, in una posi-zione opposta a quella dell'idealismo post kantiano. Inquesto la pura logicità del concetto nella sua universalitàassorbe in sè la psichicità delle rappresentazioni;nell'empirismo post-kantiano di ogni genere questa psi-chicità invece vuoi mostrarsi generatrice dello stessoconcetto nella sua universalità.

Al logicismo puro si contrappone un psichicismopuro. E quindi, fermo restando il principio che dalla co-scienza uscire non si può, si proclama da una parte chesolo il concetto universale puro, nel suo autoconcepirsi

179

Page 180: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

logico, ci dà il concetto del mondo nella sua molteplici-tà, e si proclama dall'altra che solo questo concetto delmondo, nella fondamentale sua psichicità, genera, comeeconomica sua espressione, quel concetto logico.L'esperienza pura è logicità, si proclama dagli uni; la lo-gicità è esperienza pura si contrappone dagli altri.

Quest'annullamento della esperienza nella logica, equesta sublimazione della esperienza come pura logica,sono entrambi fatti fondandosi sul precritico concetto diesperienza che richiede una realtà contrapposta al con-cetto.

E quindi, insieme con tale realtà esterna, si toglie,nell'idealismo, l'esperienza stessa; laddove nell'empiri-smo, lasciato l'oggetto-cosa solo nel modo in cui ci ri-sulta, cioè nella psichica impressione fenomenica che neabbiamo, proprio l'esperienza, misteriosa portatrice enegatrice della realtà esterna, della oggettiva natura, èposta come la stessa oggettività.

Entrambi questi opposti indirizzi di pensiero specula-tivo non risolvono dunque, il problema dell'esperienza.Hanno uno stesso peccato di origine: la mancanza dellacritica del concetto di esperienza, critica a cui il risultatognoseologico e metafisico della dottrina kantiana nonsolo ci autorizzava, ma che anche ci imponeva.

Senza questa critica, dopo Kant, il problemadell'esperienza non si poteva, nonchè risolvere, porreneppure. Con la cosa in sè come oggettività pura, il pre-cedente concetto della esperienza risulta falso: ragionenon per eliminarlo nella sua specifica esigenza, ma per

180

logico, ci dà il concetto del mondo nella sua molteplici-tà, e si proclama dall'altra che solo questo concetto delmondo, nella fondamentale sua psichicità, genera, comeeconomica sua espressione, quel concetto logico.L'esperienza pura è logicità, si proclama dagli uni; la lo-gicità è esperienza pura si contrappone dagli altri.

Quest'annullamento della esperienza nella logica, equesta sublimazione della esperienza come pura logica,sono entrambi fatti fondandosi sul precritico concetto diesperienza che richiede una realtà contrapposta al con-cetto.

E quindi, insieme con tale realtà esterna, si toglie,nell'idealismo, l'esperienza stessa; laddove nell'empiri-smo, lasciato l'oggetto-cosa solo nel modo in cui ci ri-sulta, cioè nella psichica impressione fenomenica che neabbiamo, proprio l'esperienza, misteriosa portatrice enegatrice della realtà esterna, della oggettiva natura, èposta come la stessa oggettività.

Entrambi questi opposti indirizzi di pensiero specula-tivo non risolvono dunque, il problema dell'esperienza.Hanno uno stesso peccato di origine: la mancanza dellacritica del concetto di esperienza, critica a cui il risultatognoseologico e metafisico della dottrina kantiana nonsolo ci autorizzava, ma che anche ci imponeva.

Senza questa critica, dopo Kant, il problemadell'esperienza non si poteva, nonchè risolvere, porreneppure. Con la cosa in sè come oggettività pura, il pre-cedente concetto della esperienza risulta falso: ragionenon per eliminarlo nella sua specifica esigenza, ma per

180

Page 181: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ricercare quale è il vero che bisogna sostituirgli. Solocosì può riporsi e risolversi il problema della esperienza.

La critica della conoscenza, istituita da Kant, nono-stante tutto lo sviluppo che l'idealismo le ha dato, non siè mai veramente elevata a critica dei concetti. Tantomeno questa critica dei concetti è stata posta negli indi-rizzi empiristici.

Il concetto di esperienza, han ragione gli oppositori, èfino ad oggi legato al concetto di realismo e deve quindistare o cadere con questo. E se il realismo, nella sua pre-tesa realtà al di là di ogni coscienza, è oggi solo un pre-giudizio filosofico che ha avuto la sua realtà vera solo inun approfondimento, tutt'altro che realistico, del concet-to di oggettività (cap. IV), pregiudizio filosofico dovràessere anche la esperienza. Pregiudizio filosofico quindiquella esperienza che vanta un Galilei ed un Newton, odanche un Darwin ed un Pasteur; esperienza, che non ècerto quella conoscenza che si rivela nel pensiero specu-lativo di un Platone come di un Kant, di un Agostino,come di uno Spinoza!

Il vero è che siamo ancora al concetto realistico ed in-tellettualistico di esperienza. Donde o la sua assoluta su-blimazione empiristica, o il suo annullamento nella cele-brazione di questa assoluta unità della coscienza.

L'una e l'altro negano l'esperienza quale risulta daKant: mondo psichico, contenuto di conoscenza, nellasua oscura provenienza da una inattinta cosa in sè.L'empirismo è, quanto il logicismo, lontano, e più an-

181

ricercare quale è il vero che bisogna sostituirgli. Solocosì può riporsi e risolversi il problema della esperienza.

La critica della conoscenza, istituita da Kant, nono-stante tutto lo sviluppo che l'idealismo le ha dato, non siè mai veramente elevata a critica dei concetti. Tantomeno questa critica dei concetti è stata posta negli indi-rizzi empiristici.

Il concetto di esperienza, han ragione gli oppositori, èfino ad oggi legato al concetto di realismo e deve quindistare o cadere con questo. E se il realismo, nella sua pre-tesa realtà al di là di ogni coscienza, è oggi solo un pre-giudizio filosofico che ha avuto la sua realtà vera solo inun approfondimento, tutt'altro che realistico, del concet-to di oggettività (cap. IV), pregiudizio filosofico dovràessere anche la esperienza. Pregiudizio filosofico quindiquella esperienza che vanta un Galilei ed un Newton, odanche un Darwin ed un Pasteur; esperienza, che non ècerto quella conoscenza che si rivela nel pensiero specu-lativo di un Platone come di un Kant, di un Agostino,come di uno Spinoza!

Il vero è che siamo ancora al concetto realistico ed in-tellettualistico di esperienza. Donde o la sua assoluta su-blimazione empiristica, o il suo annullamento nella cele-brazione di questa assoluta unità della coscienza.

L'una e l'altro negano l'esperienza quale risulta daKant: mondo psichico, contenuto di conoscenza, nellasua oscura provenienza da una inattinta cosa in sè.L'empirismo è, quanto il logicismo, lontano, e più an-

181

Page 182: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che, dal porre e risolvere il problema della esperienza:accetta e nega insieme il concetto kantiano.

E sempre per questa mancata critica del concetto, an-che quegli indirizzi idealistici che pur da questi oppostieccessi dicono volersi tener lontani, finiscono solo colfare una concessione al realismo, la quale mette i lorosistemi in una fondamentale contraddizione, ma non sal-va nè spiega affatto l'esperienza.

E si hanno così oggi quei pseudo-idealismi, tipo Eu-ken da una parte, o Boutroux o James dall'altra, che pro-prio da questa concessione al realismo sono indotti arinnegare almeno in parte quell'immanentismo che è purla condizione fondamentale della coerenza di ogni dot-trina idealistica.

Platone, Agostino, Anselmo, Cartesio, Kant hanno inquesta ammessa esigenza realistica il motivo che limitainsieme il loro idealismo immanentistico e il valore del-la loro dottrina.

L'esigenza vera che essi, tutti, entro questo ammessorealismo, ripetono dalla coscienza comune è quella dellaesperienza, che, sempre per lo stesso pregiudizio reali-stico, viene scambiata con l'esigenza di una cosa estra-nea alla coscienza.

Concludendo, la cosiddetta esperienza pura dell'idea-lismo assoluto e dell'assoluto empirismo, entrambe,nonchè risolvere il problema dell'esperienza, risponden-do alla obbiezione che in nome di questa si muove con-tro ogni riduzione, idealistica od empiristica che sia,

182

che, dal porre e risolvere il problema della esperienza:accetta e nega insieme il concetto kantiano.

E sempre per questa mancata critica del concetto, an-che quegli indirizzi idealistici che pur da questi oppostieccessi dicono volersi tener lontani, finiscono solo colfare una concessione al realismo, la quale mette i lorosistemi in una fondamentale contraddizione, ma non sal-va nè spiega affatto l'esperienza.

E si hanno così oggi quei pseudo-idealismi, tipo Eu-ken da una parte, o Boutroux o James dall'altra, che pro-prio da questa concessione al realismo sono indotti arinnegare almeno in parte quell'immanentismo che è purla condizione fondamentale della coerenza di ogni dot-trina idealistica.

Platone, Agostino, Anselmo, Cartesio, Kant hanno inquesta ammessa esigenza realistica il motivo che limitainsieme il loro idealismo immanentistico e il valore del-la loro dottrina.

L'esigenza vera che essi, tutti, entro questo ammessorealismo, ripetono dalla coscienza comune è quella dellaesperienza, che, sempre per lo stesso pregiudizio reali-stico, viene scambiata con l'esigenza di una cosa estra-nea alla coscienza.

Concludendo, la cosiddetta esperienza pura dell'idea-lismo assoluto e dell'assoluto empirismo, entrambe,nonchè risolvere il problema dell'esperienza, risponden-do alla obbiezione che in nome di questa si muove con-tro ogni riduzione, idealistica od empiristica che sia,

182

Page 183: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

della cosa reale esterna ed in sè ad essere della coscien-za, nonchè risolverlo, non lo pongono neppure.

E l'esperienza invece, proprio nella sua specificità, èesigenza della coscienza: finchè essa non sarà dichiaratapossibile in modo diverso da quello realistico, i realisti,in nome di essa, ci imporranno la loro cosa in sè.

Essi, sì, si contraddiranno; ma noi, che vogliamochiuderci nella coscienza, non sapremo far altro che farnostra la loro contraddizione: saremo realisti anche noiallo stesso loro titolo: la contraddizione.

38. La concezione realistica della esperienza; il sentire.

Che cosa dunque richiede il concetto realistico diesperienza? In che esso contravviene alla genuina esi-genza che la coscienza ci dà in quel che diciamo espe-rienza?

Rispondiamo alla prima domanda in questo paragra-fo; risponderemo poi (§ 40) alla seconda, ricercando talegenuina esigenza.

Il concetto realistico di esperienza richiede da unaparte una mente, un soggetto di coscienza, che qualcosagià sa, o che, se ancora non sa nulla nella sua bianca pu-rezza di foglio tutto ancora da vergare (Locke), è giàpronto come mente a qualcosa sapere, è mente (Leib-niz); dall'altra la cosa (Tatsache) che si fa, essa, cono-scere, cosa, che, nel suo esser reale, è estranea alla co-

183

della cosa reale esterna ed in sè ad essere della coscien-za, nonchè risolverlo, non lo pongono neppure.

E l'esperienza invece, proprio nella sua specificità, èesigenza della coscienza: finchè essa non sarà dichiaratapossibile in modo diverso da quello realistico, i realisti,in nome di essa, ci imporranno la loro cosa in sè.

Essi, sì, si contraddiranno; ma noi, che vogliamochiuderci nella coscienza, non sapremo far altro che farnostra la loro contraddizione: saremo realisti anche noiallo stesso loro titolo: la contraddizione.

38. La concezione realistica della esperienza; il sentire.

Che cosa dunque richiede il concetto realistico diesperienza? In che esso contravviene alla genuina esi-genza che la coscienza ci dà in quel che diciamo espe-rienza?

Rispondiamo alla prima domanda in questo paragra-fo; risponderemo poi (§ 40) alla seconda, ricercando talegenuina esigenza.

Il concetto realistico di esperienza richiede da unaparte una mente, un soggetto di coscienza, che qualcosagià sa, o che, se ancora non sa nulla nella sua bianca pu-rezza di foglio tutto ancora da vergare (Locke), è giàpronto come mente a qualcosa sapere, è mente (Leib-niz); dall'altra la cosa (Tatsache) che si fa, essa, cono-scere, cosa, che, nel suo esser reale, è estranea alla co-

183

Page 184: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

scienza con cui la mente ne è consapevole. Questa con-sapevolezza della mente è, nella coscienza che dicesiesperienza, provocata, posta non dalla mente ma dallacosa stessa che si fa conoscere.

E quando si pensi che la mente nel suo contrapporsialla cosa che si fa conoscere da essa, è pur essa in qual-che modo, cioè è anch'essa un qualche cosa che avràben diritto di farsi conoscere anch'essa, si spiega la di-stinzione di cosiffatta esperienza in esterna ed interna.

Con tale distinzione non mutiamo ma confermiamol'esposto concetto realistico di esperienza. Giacchè unatale esperienza, anche se interna, suppone sempre lacosa di cui si ha esperienza, di là dalla coscienza con cuise ne è consapevoli. Anche nella esperienza interna, in-fatti, si presuppone, come nella esterna, la realtà dellacosa sperimentata, sia pur questa lo spirito. Se realtà èl'una (la cosa esterna) e realtà è l'altra (lo spirito), seesperienza si ha dell'una ed esperienza si ha dell'altra, sela realtà in quanto tale è o importa estraneità all'atto diconoscenza di essa, se l'esperienza, infine, è conoscenzadeterminata ab extra da questo quid estraneo che è ilreale in quanto tale, è chiaro che anche nella esperienzache diciamo interna non facciamo che presupporre quel-la estraneità (spirito come cosa reale) e quella capacitàdi determinazione.

Se ciò non vogliamo, dobbiamo alla realtà ed allaesperienza dare un significato diverso, anche quando di-ciamo, questa, esterna. La concezione realistica dellaesperienza come rapporto mente-cosa non può venir

184

scienza con cui la mente ne è consapevole. Questa con-sapevolezza della mente è, nella coscienza che dicesiesperienza, provocata, posta non dalla mente ma dallacosa stessa che si fa conoscere.

E quando si pensi che la mente nel suo contrapporsialla cosa che si fa conoscere da essa, è pur essa in qual-che modo, cioè è anch'essa un qualche cosa che avràben diritto di farsi conoscere anch'essa, si spiega la di-stinzione di cosiffatta esperienza in esterna ed interna.

Con tale distinzione non mutiamo ma confermiamol'esposto concetto realistico di esperienza. Giacchè unatale esperienza, anche se interna, suppone sempre lacosa di cui si ha esperienza, di là dalla coscienza con cuise ne è consapevoli. Anche nella esperienza interna, in-fatti, si presuppone, come nella esterna, la realtà dellacosa sperimentata, sia pur questa lo spirito. Se realtà èl'una (la cosa esterna) e realtà è l'altra (lo spirito), seesperienza si ha dell'una ed esperienza si ha dell'altra, sela realtà in quanto tale è o importa estraneità all'atto diconoscenza di essa, se l'esperienza, infine, è conoscenzadeterminata ab extra da questo quid estraneo che è ilreale in quanto tale, è chiaro che anche nella esperienzache diciamo interna non facciamo che presupporre quel-la estraneità (spirito come cosa reale) e quella capacitàdi determinazione.

Se ciò non vogliamo, dobbiamo alla realtà ed allaesperienza dare un significato diverso, anche quando di-ciamo, questa, esterna. La concezione realistica dellaesperienza come rapporto mente-cosa non può venir

184

Page 185: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

meno nella cosiddetta esperienza interna, se prima nonsi abbandona la stessa concezione realistica nella cosid-detta esperienza esterna. Risolvere nell'attività consape-vole lo spirito, che è la realtà della esperienza interna ri-chiede che si risolva in essa anche la cosa che è la realtàdella esperienza esterna. Finchè questo non si fa, la con-cezione della esperienza rimane la stessa, rapporto dellamente alla cosa nella sua estraneità al rapporto stesso,anche nella cosiddetta esperienza interna.

La duplicazione dunque della esperienza in esterna edinterna è l'immediata conseguenza della sua interpreta-zione realistica, e non può quindi essere, se non rinne-gandosi, il superamento di questa interpretazione.

Nè si può credere di aver superato il concetto realisti-co, lasciando sola la cosiddetta esperienza interna e ab-bandonando al suo destino quella esterna. Giacchè cosìl'esperienza interna rimane senza una giustificazione,che ad essa è data solo dall'esperienza esterna, come diquesta esperienza esterna la giustificazione è data dallacosa reale, in quanto di là dall'atto conoscitivo.

Posta dunque l'esperienza come rapporto tra una cosareale che determina, essa, nella sua estraneità alla co-scienza, uno stato di coscienza, e la coscienza stessanella sua integrità, è necessario trovare un mediatore traquesti termini stanti ciascuno a sè.

Ed ecco quindi la funzione, attribuita al senso, di ri-cettività mentale delle impressioni provenienti dallecose, e la concezione di una natura quasi neutra di essoin quanto posto tra la coscienza spirituale della mente e

185

meno nella cosiddetta esperienza interna, se prima nonsi abbandona la stessa concezione realistica nella cosid-detta esperienza esterna. Risolvere nell'attività consape-vole lo spirito, che è la realtà della esperienza interna ri-chiede che si risolva in essa anche la cosa che è la realtàdella esperienza esterna. Finchè questo non si fa, la con-cezione della esperienza rimane la stessa, rapporto dellamente alla cosa nella sua estraneità al rapporto stesso,anche nella cosiddetta esperienza interna.

La duplicazione dunque della esperienza in esterna edinterna è l'immediata conseguenza della sua interpreta-zione realistica, e non può quindi essere, se non rinne-gandosi, il superamento di questa interpretazione.

Nè si può credere di aver superato il concetto realisti-co, lasciando sola la cosiddetta esperienza interna e ab-bandonando al suo destino quella esterna. Giacchè cosìl'esperienza interna rimane senza una giustificazione,che ad essa è data solo dall'esperienza esterna, come diquesta esperienza esterna la giustificazione è data dallacosa reale, in quanto di là dall'atto conoscitivo.

Posta dunque l'esperienza come rapporto tra una cosareale che determina, essa, nella sua estraneità alla co-scienza, uno stato di coscienza, e la coscienza stessanella sua integrità, è necessario trovare un mediatore traquesti termini stanti ciascuno a sè.

Ed ecco quindi la funzione, attribuita al senso, di ri-cettività mentale delle impressioni provenienti dallecose, e la concezione di una natura quasi neutra di essoin quanto posto tra la coscienza spirituale della mente e

185

Page 186: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la materialità corporea delle cose13. E la sua doppia fac-cia, quindi, per cui lo si ritiene capace di cogliere colsenso interno l'inesteso, e con quello esterno l'esteso:mediatore sempre tra la cosa reale e la mente conoscen-te. Infine da questa introduzione di un elemento media-tore che spesso finì con l'assorbire in sè le funzioni stes-se di tutta l'esperienza, la caratteristica che da Aristotelein poi fu spesso ripetuta come propria dell'esperienza: laparticolarità o singolarità della conoscenza che essa ciprocura (singularium cognitio degli scolastici). Così ilsenso era concepito quasi come la facoltà dell'esperien-za; facoltà, che ci dava la cognizione del determinato«questo» esistente, facoltà che partecipava della duplicenatura dei termini da collegare: lo spirito nel suo sapere,la cosa nella sua realtà, facoltà dell'immediatezza.

13 «Io trovo in me», dice con chiarezza Cartesio (Medit. meta-ph., ediz. Flammarion, p. 122, medit. 6a), pur senza accorgersidelle gravi difficoltà in cui si involge, «trovo in me diverse facol-tà di pensare che hanno ciascuna una loro propria particolare ma-niera; p. es., trovo in me le facoltà di immaginare e di sentire,senza le quali pur io posso concepire, chiaramente e distintamen-te, me tutto intero, ma non reciprocamente esse facoltà senza dime, cioè senza una sostanza intelligente, a cui esse sian legate(attachèes), o a cui esse appartengano». E poco prima (ib., p. 117)«Questa facoltà (vertu) di immaginare che è in me, in quanto dif-ferisce dalla facoltà (puissance) di concepire, non è in alcunmodo necessaria alla mia natura o alla mia essenza, cioè all'essen-za del mio spirito».

Cioè, in termini poveri, nello spirito intelligente c'è qualcosache non è spirito.

186

la materialità corporea delle cose13. E la sua doppia fac-cia, quindi, per cui lo si ritiene capace di cogliere colsenso interno l'inesteso, e con quello esterno l'esteso:mediatore sempre tra la cosa reale e la mente conoscen-te. Infine da questa introduzione di un elemento media-tore che spesso finì con l'assorbire in sè le funzioni stes-se di tutta l'esperienza, la caratteristica che da Aristotelein poi fu spesso ripetuta come propria dell'esperienza: laparticolarità o singolarità della conoscenza che essa ciprocura (singularium cognitio degli scolastici). Così ilsenso era concepito quasi come la facoltà dell'esperien-za; facoltà, che ci dava la cognizione del determinato«questo» esistente, facoltà che partecipava della duplicenatura dei termini da collegare: lo spirito nel suo sapere,la cosa nella sua realtà, facoltà dell'immediatezza.

13 «Io trovo in me», dice con chiarezza Cartesio (Medit. meta-ph., ediz. Flammarion, p. 122, medit. 6a), pur senza accorgersidelle gravi difficoltà in cui si involge, «trovo in me diverse facol-tà di pensare che hanno ciascuna una loro propria particolare ma-niera; p. es., trovo in me le facoltà di immaginare e di sentire,senza le quali pur io posso concepire, chiaramente e distintamen-te, me tutto intero, ma non reciprocamente esse facoltà senza dime, cioè senza una sostanza intelligente, a cui esse sian legate(attachèes), o a cui esse appartengano». E poco prima (ib., p. 117)«Questa facoltà (vertu) di immaginare che è in me, in quanto dif-ferisce dalla facoltà (puissance) di concepire, non è in alcunmodo necessaria alla mia natura o alla mia essenza, cioè all'essen-za del mio spirito».

Cioè, in termini poveri, nello spirito intelligente c'è qualcosache non è spirito.

186

Page 187: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non mi trattengo ad esporre le falsità e gli equivoci diquesta concezione del senso e quale invece io credo chesia la vera funzione spirituale del senso. Dirò soltantoche è gratuita e falsa l'affermazione del senso sia comefacoltà conoscitiva, sia come facoltà conoscitiva del sin-golare. Questa concezione del senso è quella richiestadalla esperienza realistica, che, in questa contrapposi-zione di due generi sommi di essere deve poi ridurreciascuno di questi generi ad un infinito cumulo di entisingolari senza rapporti costitutivi tra loro, mancanza dirapporti che rende impossibile, nella loro unità, e cia-scun genere e la loro reciproca coesistenza.

Da queste concezioni della realtà, della esperienza edel senso nacque la concezione del concreto come sin-golare e a sè stante nella sua singolarità.

39. L'esperienza realistica e l'idealismo post-kantiano.

Siffatta concezione realistica dell'esperienza cometale è conservata dall'idealismo post-kantiano.

Si sa infatti qual è la soluzione che del problemadell'esperienza esso dà. L'esperienza empirica implica,come soggetto conoscente che esperimenti la cosa realecausante la sua esperienza, come soggetto quindi che èpassivo di fronte a tal cosa, implica un soggetta singola-re e determinato, che non è affatto soggetto; giacchèquesto, in quanto Spirito, deve essere unico ed universa-

187

Non mi trattengo ad esporre le falsità e gli equivoci diquesta concezione del senso e quale invece io credo chesia la vera funzione spirituale del senso. Dirò soltantoche è gratuita e falsa l'affermazione del senso sia comefacoltà conoscitiva, sia come facoltà conoscitiva del sin-golare. Questa concezione del senso è quella richiestadalla esperienza realistica, che, in questa contrapposi-zione di due generi sommi di essere deve poi ridurreciascuno di questi generi ad un infinito cumulo di entisingolari senza rapporti costitutivi tra loro, mancanza dirapporti che rende impossibile, nella loro unità, e cia-scun genere e la loro reciproca coesistenza.

Da queste concezioni della realtà, della esperienza edel senso nacque la concezione del concreto come sin-golare e a sè stante nella sua singolarità.

39. L'esperienza realistica e l'idealismo post-kantiano.

Siffatta concezione realistica dell'esperienza cometale è conservata dall'idealismo post-kantiano.

Si sa infatti qual è la soluzione che del problemadell'esperienza esso dà. L'esperienza empirica implica,come soggetto conoscente che esperimenti la cosa realecausante la sua esperienza, come soggetto quindi che èpassivo di fronte a tal cosa, implica un soggetta singola-re e determinato, che non è affatto soggetto; giacchèquesto, in quanto Spirito, deve essere unico ed universa-

187

Page 188: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

le. Ora questo soggetto sperimentante una tal cosa, dallaquale è impressionato, è anch'esso proprio nient'altroche una cosa; una cosa-fenomeno, proprio come quellatale cosa, alla quale egli, falsamente credendola in sè,attribuisce quella attività di cui crede di sentire in sèl'effetto passivo. La passività è, sì, proprio di lui, maproprio in quanto cosa-fenomeno anche lui, ed ugualequindi a quella cosa-fenomeno impressionante, la quale,perciò, come puro fenomeno, non può essere fonte veradi attività. Dove c'è attività vera, c'è libertà, c'è spirito.Cosa impressionante e soggetto impressionato sono,l'una e l'altro, fenomeno, passività, negarsi dell'attivitàdel soggetto, non coscienza. Ecco l'esperienza: questanegazione fenomenica che sono i molti soggetti empiricicome le molte cose empiriche (cap. III).

Così l'esperienza è negata nella attività spirituale.Quella esigenza specifica che la coscienza ha in quelche dicesi esperienza è non già soddisfatta, ma soppres-sa. Soppressione, che ancora una volta, e sempre per lastessa ragione, costringe poi a concepire lo spirito comenegatività. Ora questa soppressione è dovuta al dettoconcetto realistico di esperienza, che è conservato insie-me col concetto realistico di cosa. Il primo dovevasimantenere perchè si manteneva il secondo. Infatti lacosa realistica è l'assoluto «altro» dal soggetto, l'assolu-tamente eterogeneo a questo, e quindi il negarsi di que-sto; e la coscienza d'altra parte (§ 40) ci presenta comeesperienza proprio quella sua forma nella quale essa èdeterminata da «altro» che non sia il soggetto stesso del-

188

le. Ora questo soggetto sperimentante una tal cosa, dallaquale è impressionato, è anch'esso proprio nient'altroche una cosa; una cosa-fenomeno, proprio come quellatale cosa, alla quale egli, falsamente credendola in sè,attribuisce quella attività di cui crede di sentire in sèl'effetto passivo. La passività è, sì, proprio di lui, maproprio in quanto cosa-fenomeno anche lui, ed ugualequindi a quella cosa-fenomeno impressionante, la quale,perciò, come puro fenomeno, non può essere fonte veradi attività. Dove c'è attività vera, c'è libertà, c'è spirito.Cosa impressionante e soggetto impressionato sono,l'una e l'altro, fenomeno, passività, negarsi dell'attivitàdel soggetto, non coscienza. Ecco l'esperienza: questanegazione fenomenica che sono i molti soggetti empiricicome le molte cose empiriche (cap. III).

Così l'esperienza è negata nella attività spirituale.Quella esigenza specifica che la coscienza ha in quelche dicesi esperienza è non già soddisfatta, ma soppres-sa. Soppressione, che ancora una volta, e sempre per lastessa ragione, costringe poi a concepire lo spirito comenegatività. Ora questa soppressione è dovuta al dettoconcetto realistico di esperienza, che è conservato insie-me col concetto realistico di cosa. Il primo dovevasimantenere perchè si manteneva il secondo. Infatti lacosa realistica è l'assoluto «altro» dal soggetto, l'assolu-tamente eterogeneo a questo, e quindi il negarsi di que-sto; e la coscienza d'altra parte (§ 40) ci presenta comeesperienza proprio quella sua forma nella quale essa èdeterminata da «altro» che non sia il soggetto stesso del-

188

Page 189: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la coscienza. Il concetto di esperienza rimane quindiquello di conoscenza procurata da cosa che non è nellacoscienza. Insieme con questa cosa rimane soppressaquella conoscenza, appunto perchè se ne ha tal concetto.

Conoscenza (e sempre l'intellettualismo realistico fa-ceva dir conoscenza invece di coscienza), che si dicevagià da molto tempo aposteriori14, con significato più omeno vago fino a che Kant, con l'impostazione del pro-blema della scienza e quindi dell'universale e necessariocome apriori, non venne a dare così anche al concetto diaposteriori un valore sia distintivo dell'origine della co-

14 Per l'origine ed il significato di queste due espressioni«apriori aposteriori» cfr. EUCKEN, Les grands courants de la pen-sée contemporaine (1878), traduz. francese sulla quarta edizionetedesca, Paris, 1912, p. 110 e sgg.

Vedasi ivi stesso a pp. 153, 163, il modo in cui l'E. crede diconciliare le esigenze del pensiero e dell'esperienza, cadendo inquella incoerenza che sopra (§ 37) ho notata.

Per una prima (e credo fondamentale per l'idealismo post-kan-tiano) confutazione della distinzione kantiana tra apriori ed apo-steriori, cfr. l'Annotazione generale alla terza epoca, con la qualelo Schelling chiude la sezione terza (sistema di filosofia teoretica)del suo System d. tr. Id. (ed. cit., p. 320): «Tutto quest'arruffio sirisolve con questa sola proposizione, che, cioè, la nostra cono-scenza originariamente sia tanto poco apriori quanto a posteriori,essendo tutta questa distinzione fatta puramente e semplicementeriguardo alla coscienza filosofica».

Come si possa, tolto l'aposteriori, conservare l'empirico, perseppellirvi tutti i problemi che non si sanno risolvere, è quistioneche sottopongo a coloro che il loro antiempirismo fan consisterein una specie di bagagliaio... empiristico.

189

la coscienza. Il concetto di esperienza rimane quindiquello di conoscenza procurata da cosa che non è nellacoscienza. Insieme con questa cosa rimane soppressaquella conoscenza, appunto perchè se ne ha tal concetto.

Conoscenza (e sempre l'intellettualismo realistico fa-ceva dir conoscenza invece di coscienza), che si dicevagià da molto tempo aposteriori14, con significato più omeno vago fino a che Kant, con l'impostazione del pro-blema della scienza e quindi dell'universale e necessariocome apriori, non venne a dare così anche al concetto diaposteriori un valore sia distintivo dell'origine della co-

14 Per l'origine ed il significato di queste due espressioni«apriori aposteriori» cfr. EUCKEN, Les grands courants de la pen-sée contemporaine (1878), traduz. francese sulla quarta edizionetedesca, Paris, 1912, p. 110 e sgg.

Vedasi ivi stesso a pp. 153, 163, il modo in cui l'E. crede diconciliare le esigenze del pensiero e dell'esperienza, cadendo inquella incoerenza che sopra (§ 37) ho notata.

Per una prima (e credo fondamentale per l'idealismo post-kan-tiano) confutazione della distinzione kantiana tra apriori ed apo-steriori, cfr. l'Annotazione generale alla terza epoca, con la qualelo Schelling chiude la sezione terza (sistema di filosofia teoretica)del suo System d. tr. Id. (ed. cit., p. 320): «Tutto quest'arruffio sirisolve con questa sola proposizione, che, cioè, la nostra cono-scenza originariamente sia tanto poco apriori quanto a posteriori,essendo tutta questa distinzione fatta puramente e semplicementeriguardo alla coscienza filosofica».

Come si possa, tolto l'aposteriori, conservare l'empirico, perseppellirvi tutti i problemi che non si sanno risolvere, è quistioneche sottopongo a coloro che il loro antiempirismo fan consisterein una specie di bagagliaio... empiristico.

189

Page 190: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

noscenza, sia della qualità di questa. Con quella sop-pressione idealistica dell'esperienza l'aposteriorità scom-pare. Nè questa scomparsa è giustificata dal fare scom-parire anche l'apriorità, soggiungendo che «la nostraesperienza.... non è aposteriori, ma non è neanche aprio-ri»15. Così non facciamo che confondere l'esperienzacome specifica esigenza della coscienza con la concretaconoscenza (§ 37). L'esperienza, se è tale, è quel che di-ciamo aposteriori. Parlare di esperienza che non è apo-steriori, è non parlare più di esperienza, anche se ag-giungiamo che essa non è apriori.

L'idealismo post-kantiano, adunque, nega l'esperienzanella sua specificità proprio perchè conserva di essa ilconcetto realistico. Bisogna non confondere la negazio-ne di questo concetto con la negazione della esperienzastessa come esigenza specifica della coscienza. La nega-zione di quel concetto come falso ci impone invecel'esame critico della esigenza da cui quel concetto nac-que, e il conseguente rinnovamento di questo a soddi-sfazione di quella. Bisogna dunque negare quel concettoper soddisfare l'esigenza della esperienza; l'idealismopost-kantiano invece ha negata questa esigenza per con-servare quel concetto.

15 GENTILE, L'esperienza pura e la realtà storica, Firenze,1915, pag. 25.

190

noscenza, sia della qualità di questa. Con quella sop-pressione idealistica dell'esperienza l'aposteriorità scom-pare. Nè questa scomparsa è giustificata dal fare scom-parire anche l'apriorità, soggiungendo che «la nostraesperienza.... non è aposteriori, ma non è neanche aprio-ri»15. Così non facciamo che confondere l'esperienzacome specifica esigenza della coscienza con la concretaconoscenza (§ 37). L'esperienza, se è tale, è quel che di-ciamo aposteriori. Parlare di esperienza che non è apo-steriori, è non parlare più di esperienza, anche se ag-giungiamo che essa non è apriori.

L'idealismo post-kantiano, adunque, nega l'esperienzanella sua specificità proprio perchè conserva di essa ilconcetto realistico. Bisogna non confondere la negazio-ne di questo concetto con la negazione della esperienzastessa come esigenza specifica della coscienza. La nega-zione di quel concetto come falso ci impone invecel'esame critico della esigenza da cui quel concetto nac-que, e il conseguente rinnovamento di questo a soddi-sfazione di quella. Bisogna dunque negare quel concettoper soddisfare l'esigenza della esperienza; l'idealismopost-kantiano invece ha negata questa esigenza per con-servare quel concetto.

15 GENTILE, L'esperienza pura e la realtà storica, Firenze,1915, pag. 25.

190

Page 191: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

40. L'alterità, carattere proprio della esperien-za.

Ma c'è proprio una esigenza specifica della coscienza,che possa e debba dirsi esperienza, e non sia quella stes-sa che il realismo da millenni ci presenta?

Chi ci ha seguito nella nostra indagine sul concetto dialterità e sulla netta separazione di questo da quello dioggettività, intenderà in che noi crediamo di scoprire ildifetto della concezione realistica della esperienza, e lavera esigenza che invece la coscienza comune presentaquando dice che c'è esperienza.

Posti i concetti sopraesposti di «cosa in sè» e di «al-tro» possiamo noi conservare il vecchio realistico con-cetto di esperienza come rapporto tra soggetto di co-scienza impressionato e cosa impressionante?

Che all'esperienza, per realisti che che si voglia esse-re, sia essenziale il soggetto di coscienza, non v'è chipossa dubitare. Se alcuno ne dubita, non sa quel che sidice. E che sia ad essa anche essenziale un riferimento,un rapporto, è evidente a chi per poco guardi ed esplichiquel che di implicito c'è quando parliamo di esperienzacome uno stato od atto speciale della nostra coscienza:nell'esperienza io ho coscienza di non porre da me, e ri-cevere invece da altro, quello di cui pur io sono consa-pevole. Esso mi è imposto: io ho coscienza, chiara di-rebbe Cartesio, di questo iniziarsi del mio atto di co-scienza da altro. Anzi questo atto di coscienza sta pro-prio in questo.

191

40. L'alterità, carattere proprio della esperien-za.

Ma c'è proprio una esigenza specifica della coscienza,che possa e debba dirsi esperienza, e non sia quella stes-sa che il realismo da millenni ci presenta?

Chi ci ha seguito nella nostra indagine sul concetto dialterità e sulla netta separazione di questo da quello dioggettività, intenderà in che noi crediamo di scoprire ildifetto della concezione realistica della esperienza, e lavera esigenza che invece la coscienza comune presentaquando dice che c'è esperienza.

Posti i concetti sopraesposti di «cosa in sè» e di «al-tro» possiamo noi conservare il vecchio realistico con-cetto di esperienza come rapporto tra soggetto di co-scienza impressionato e cosa impressionante?

Che all'esperienza, per realisti che che si voglia esse-re, sia essenziale il soggetto di coscienza, non v'è chipossa dubitare. Se alcuno ne dubita, non sa quel che sidice. E che sia ad essa anche essenziale un riferimento,un rapporto, è evidente a chi per poco guardi ed esplichiquel che di implicito c'è quando parliamo di esperienzacome uno stato od atto speciale della nostra coscienza:nell'esperienza io ho coscienza di non porre da me, e ri-cevere invece da altro, quello di cui pur io sono consa-pevole. Esso mi è imposto: io ho coscienza, chiara di-rebbe Cartesio, di questo iniziarsi del mio atto di co-scienza da altro. Anzi questo atto di coscienza sta pro-prio in questo.

191

Page 192: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non è eliminabile dunque nè il soggetto, nè il rappor-to, nè l'inizio di questo da altro che non è il soggetto chedi esso ha coscienza (§ 42).

Eliminabile soltanto è quella cosa con la quale lamente del soggetto sarebbe passivamente in relazione. Enon solo eliminabile, ma da eliminare, se è vero che ilprincipio della determinazione di coscienza del soggettoche ha esperienza, è invece «l'altro», che, abbiam visto,non può essere che l'altro soggetto.

L'esperienza è rapporto, cioè è coscienza nella sua re-latività. E, giacchè relazione non è essere in sè, l'espe-rienza non è essere in sè, e neppure relazione con l'esse-re in sè. Con l'essere in sè non v'ha relazione possibile:si è o non si è. E perciò non è relazione quella dei sog-getti con l'oggetto: i soggetti sono puramente e sempli-cemente costituiti dall'oggetto; l'oggetto non è il loro al-tro (§ 47, 48).

L'esigenza della coscienza comune nella esperienza èsoddisfatta dunque dalla alterità e non dalla oggettività.

Il rapporto che il soggetto sente di avere, è, comedeve, con l'altro non con l'oggetto. Quando io dico di sa-pere qualcosa aposteriori e non apriori, con l'esperienzae non col pensiero puro, indico che l'atto determinato, dicui sono consapevole per esperienza, ha il suo principioin «altro» che non sono io solo come soggetto puro: lamia singolarità riconoscesi nel suo rapporto con l'altrosingolare.

L'esperienza pura, dunque, da una parte non è la stes-sa concretezza della coscienza, che è l'implicita oggetti-

192

Non è eliminabile dunque nè il soggetto, nè il rappor-to, nè l'inizio di questo da altro che non è il soggetto chedi esso ha coscienza (§ 42).

Eliminabile soltanto è quella cosa con la quale lamente del soggetto sarebbe passivamente in relazione. Enon solo eliminabile, ma da eliminare, se è vero che ilprincipio della determinazione di coscienza del soggettoche ha esperienza, è invece «l'altro», che, abbiam visto,non può essere che l'altro soggetto.

L'esperienza è rapporto, cioè è coscienza nella sua re-latività. E, giacchè relazione non è essere in sè, l'espe-rienza non è essere in sè, e neppure relazione con l'esse-re in sè. Con l'essere in sè non v'ha relazione possibile:si è o non si è. E perciò non è relazione quella dei sog-getti con l'oggetto: i soggetti sono puramente e sempli-cemente costituiti dall'oggetto; l'oggetto non è il loro al-tro (§ 47, 48).

L'esigenza della coscienza comune nella esperienza èsoddisfatta dunque dalla alterità e non dalla oggettività.

Il rapporto che il soggetto sente di avere, è, comedeve, con l'altro non con l'oggetto. Quando io dico di sa-pere qualcosa aposteriori e non apriori, con l'esperienzae non col pensiero puro, indico che l'atto determinato, dicui sono consapevole per esperienza, ha il suo principioin «altro» che non sono io solo come soggetto puro: lamia singolarità riconoscesi nel suo rapporto con l'altrosingolare.

L'esperienza pura, dunque, da una parte non è la stes-sa concretezza della coscienza, che è l'implicita oggetti-

192

Page 193: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

vità del soggetto: essa è invece l'esplicita relazione delsoggetto con altro, è l'astratto rapporto soggetto-sogget-to. E, d'altra parte, proprio in quanto schietto e perciòastratto rapporto soggetto-soggetto, si contrappone aquella che dicesi apriorità. pensiero puro, che è oggetti-vità assoluta di coscienza, che può dirsi, se si vuole, im-mediatezza che ha bisogno di esplicazione. L'intuito ro-sminiano è molto più vicino al vero della hegeliana im-mediatezza.

L'esperienza, dunque, non è apriorità, ma non è nep-pure concretezza. In questa, è vero, apriorità e aposte-riorità scompaiono, ma non perchè in essa non ci sial'esigenza di entrambe queste faccie della coscienza, masolo perchè sono entrambe vissute insieme pur con laloro specifica caratteristica.

Passarsi della distinzione è rendere inesplicabile lacoscienza concreta, e porre questa o in una dogmaticaapriorità, anche se la si chiama esperienza pura, o,all'opposto, in una relativistica esperienza, anche se la sichiama sapere assoluto. La concretezza, appunto perchèè oggettività dei soggetti, non può non richiedere unaimmanente sua apriorità, una astratta sua aposteriorità.

In questa, nell'esperienza, la coscienza afferma sol-tanto la propria alterità, che le è tanto essenziale quantol'oggettività.

Alterità non dalla coscienza in generale, che non si-gnificherebbe nulla. ma alterità dal soggetto della espe-rienza. E dire «alterità dal» è anche dire «alterità del»

193

vità del soggetto: essa è invece l'esplicita relazione delsoggetto con altro, è l'astratto rapporto soggetto-sogget-to. E, d'altra parte, proprio in quanto schietto e perciòastratto rapporto soggetto-soggetto, si contrappone aquella che dicesi apriorità. pensiero puro, che è oggetti-vità assoluta di coscienza, che può dirsi, se si vuole, im-mediatezza che ha bisogno di esplicazione. L'intuito ro-sminiano è molto più vicino al vero della hegeliana im-mediatezza.

L'esperienza, dunque, non è apriorità, ma non è nep-pure concretezza. In questa, è vero, apriorità e aposte-riorità scompaiono, ma non perchè in essa non ci sial'esigenza di entrambe queste faccie della coscienza, masolo perchè sono entrambe vissute insieme pur con laloro specifica caratteristica.

Passarsi della distinzione è rendere inesplicabile lacoscienza concreta, e porre questa o in una dogmaticaapriorità, anche se la si chiama esperienza pura, o,all'opposto, in una relativistica esperienza, anche se la sichiama sapere assoluto. La concretezza, appunto perchèè oggettività dei soggetti, non può non richiedere unaimmanente sua apriorità, una astratta sua aposteriorità.

In questa, nell'esperienza, la coscienza afferma sol-tanto la propria alterità, che le è tanto essenziale quantol'oggettività.

Alterità non dalla coscienza in generale, che non si-gnificherebbe nulla. ma alterità dal soggetto della espe-rienza. E dire «alterità dal» è anche dire «alterità del»

193

Page 194: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

soggetto che ha esperienza, se noi abbiamo presentequel che «l'altro» importa.

Carattere proprio, dunque, della esperienza in quantotale non è la determinazione della coscienza del sogget-to da parte della cosa, ma determinazione della coscien-za nella alterità.

41. L'esperienza come reciprocità.

Così abbiamo, nella esperienza, criticamente ricono-sciuta e conservata la seguente caratteristica: il principiodell'atto di coscienza che dicesi esperienza è in altro dalsoggetto solo che sperimenta.

Pare quindi che anche noi conserviamo, nel concettodi esperienza, quell'assurdo, che, riconosciuto o non, èstato fin oggi proprio del concetto stesso: la passivitàdello spirito.

Da Platone in poi, una volta affermata l'idealitàdell'essere e la conseguente sua piena appartenenza almondo intellettivo, il concetto realistico dell'esperienzanon poteva essere ammesso se non fingendo di non ve-dere, o non vedendo, come di fatto avveniva, la contrad-dizione in cui con esso si cadeva. Pur, realisti o idealistiche si fosse, una esperienza la si continuava ad ammet-tere, la si viveva: si viveva di fatto qualcosa di diversodal concetto che se n'aveva.

Cartesio, in fondo, con l'attaccare al cogito, attraversol'espediente della veracità divina, un mondo esterno,

194

soggetto che ha esperienza, se noi abbiamo presentequel che «l'altro» importa.

Carattere proprio, dunque, della esperienza in quantotale non è la determinazione della coscienza del sogget-to da parte della cosa, ma determinazione della coscien-za nella alterità.

41. L'esperienza come reciprocità.

Così abbiamo, nella esperienza, criticamente ricono-sciuta e conservata la seguente caratteristica: il principiodell'atto di coscienza che dicesi esperienza è in altro dalsoggetto solo che sperimenta.

Pare quindi che anche noi conserviamo, nel concettodi esperienza, quell'assurdo, che, riconosciuto o non, èstato fin oggi proprio del concetto stesso: la passivitàdello spirito.

Da Platone in poi, una volta affermata l'idealitàdell'essere e la conseguente sua piena appartenenza almondo intellettivo, il concetto realistico dell'esperienzanon poteva essere ammesso se non fingendo di non ve-dere, o non vedendo, come di fatto avveniva, la contrad-dizione in cui con esso si cadeva. Pur, realisti o idealistiche si fosse, una esperienza la si continuava ad ammet-tere, la si viveva: si viveva di fatto qualcosa di diversodal concetto che se n'aveva.

Cartesio, in fondo, con l'attaccare al cogito, attraversol'espediente della veracità divina, un mondo esterno,

194

Page 195: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

non fece che mettere a nudo, non volendo anzi volendoil contrario, l'incapacità del platonismo (e nella sua si-stematica purezza e in tutte le dottrine speculative che,anche combattendolo, l'avevano assorbito nella sua par-te sostanziale) a dar conto della esperienza. La mettevaa nudo, esplicando una dottrina dell'esperienza quale ilplatonismo, anche soltanto in quella parte che era pre-supposto comune del pensiero speculativo, consentiva.

Egli, Cartesio, non ne vide la contraddittorietà. Nonla videro neppure i suoi continuatori che la venivanomano mano esplicando: Malebranche con l'annullamen-to di ogni attività nel reale, Spinoza col suo acosmismopuro, Berkeley con la passività (percipi) del suo esse,che, in quanto percipi era pur un modo di coscienza.

Tutti questi ultimi, in modo diverso, trasportaronol'attività che il reale doveva esercitare per farsi speri-mentare, dalla realtà stessa in Dio, ma non tolsero lacontraddizione da parte dello spirito finito sperimentan-te. Questo di necessità doveva esser passivo; laddove èimplicito in ogni concetto di spiritualità, infinita o finitache sia, l'attività, e già Berkeley aveva questo fatto sen-tire chiaramente ed esplicitamente.

La «passione» cartesiana si mostrava impossibile,mentre non vi era esperienza, a stare al concetto che sen'aveva, senza una tale passione.

Kant sentì la difficoltà, vide la sconcordanza tra l'atti-vità dello spirito, che Berkeley deduceva dalla fusionedi Cartesio con Locke, e l'esserci in esso di una espe-

195

non fece che mettere a nudo, non volendo anzi volendoil contrario, l'incapacità del platonismo (e nella sua si-stematica purezza e in tutte le dottrine speculative che,anche combattendolo, l'avevano assorbito nella sua par-te sostanziale) a dar conto della esperienza. La mettevaa nudo, esplicando una dottrina dell'esperienza quale ilplatonismo, anche soltanto in quella parte che era pre-supposto comune del pensiero speculativo, consentiva.

Egli, Cartesio, non ne vide la contraddittorietà. Nonla videro neppure i suoi continuatori che la venivanomano mano esplicando: Malebranche con l'annullamen-to di ogni attività nel reale, Spinoza col suo acosmismopuro, Berkeley con la passività (percipi) del suo esse,che, in quanto percipi era pur un modo di coscienza.

Tutti questi ultimi, in modo diverso, trasportaronol'attività che il reale doveva esercitare per farsi speri-mentare, dalla realtà stessa in Dio, ma non tolsero lacontraddizione da parte dello spirito finito sperimentan-te. Questo di necessità doveva esser passivo; laddove èimplicito in ogni concetto di spiritualità, infinita o finitache sia, l'attività, e già Berkeley aveva questo fatto sen-tire chiaramente ed esplicitamente.

La «passione» cartesiana si mostrava impossibile,mentre non vi era esperienza, a stare al concetto che sen'aveva, senza una tale passione.

Kant sentì la difficoltà, vide la sconcordanza tra l'atti-vità dello spirito, che Berkeley deduceva dalla fusionedi Cartesio con Locke, e l'esserci in esso di una espe-

195

Page 196: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

rienza: sia di tal passione dello spirito causa la realtà oDio stesso, non se ne toglie mai l'incoerenza.

Non la superò: questa passione, sia pur ridotta solo alcaotico contenuto assolutamente privo di ogni forma disenso, o di intelletto, o di ragione, impronta di sè lo spi-rito. E questo invano cercherà di liberarsi da questa im-pronta, ordinando a suo modo, con le sue forme quelcontenuto. Queste sue forme ripeteranno l'origine loroda questo originario caos della spiritualità, se veramentene sono forme. Anche queste saranno passione dellospirito come il contenuto loro. Saranno, dirò con Hume,passione abituale; non attività libera, e neppure «azioninecessarie» dello spirito, come le aveva qualificate Fi-chte.

Donde, per affermare la piena assoluta attività dellospirito, la totale, per quanto gradualmente ottenuta, libe-razione dello spirito da ogni categoria, da ogni sua«azione necessaria».

Crede così l'idealismo assoluto post-kantiano di averesuperata la difficoltà. Non s'accorge che resta come pas-sione dello spirito tutto l'informe caotico contenuto infi-nito che esso stesso dice empiria. Se il cosiddetto conte-nuto empirico nella sua caoticità è creazione dello spiri-to, lo spirito crea il caos e non l'ordine. Se lo spirito nonlo pone da sè; allora lo subisce: siamo alla passione kan-tiana dell'empirico.

Negare l'esperienza nella sua specificità, abbiam visto(§ 37), è la via d'uscita: ma così, da una parte, non si dàragione dell'empirico cui tanto spesso si ricorre,

196

rienza: sia di tal passione dello spirito causa la realtà oDio stesso, non se ne toglie mai l'incoerenza.

Non la superò: questa passione, sia pur ridotta solo alcaotico contenuto assolutamente privo di ogni forma disenso, o di intelletto, o di ragione, impronta di sè lo spi-rito. E questo invano cercherà di liberarsi da questa im-pronta, ordinando a suo modo, con le sue forme quelcontenuto. Queste sue forme ripeteranno l'origine loroda questo originario caos della spiritualità, se veramentene sono forme. Anche queste saranno passione dellospirito come il contenuto loro. Saranno, dirò con Hume,passione abituale; non attività libera, e neppure «azioninecessarie» dello spirito, come le aveva qualificate Fi-chte.

Donde, per affermare la piena assoluta attività dellospirito, la totale, per quanto gradualmente ottenuta, libe-razione dello spirito da ogni categoria, da ogni sua«azione necessaria».

Crede così l'idealismo assoluto post-kantiano di averesuperata la difficoltà. Non s'accorge che resta come pas-sione dello spirito tutto l'informe caotico contenuto infi-nito che esso stesso dice empiria. Se il cosiddetto conte-nuto empirico nella sua caoticità è creazione dello spiri-to, lo spirito crea il caos e non l'ordine. Se lo spirito nonlo pone da sè; allora lo subisce: siamo alla passione kan-tiana dell'empirico.

Negare l'esperienza nella sua specificità, abbiam visto(§ 37), è la via d'uscita: ma così, da una parte, non si dàragione dell'empirico cui tanto spesso si ricorre,

196

Page 197: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dall'altra gratuitamente si nega una delle più imperioseesigenze della coscienza.

All'idealismo post-kantiano per porre e risolvere ilproblema della esperienza è mancata la posizione delproblema della molteplicità nello spirito. Solo attraversoquesta si arriva al concetto della pura alterità che da unaparte rende possibile l'esperienza, e dall'altra ci apre, piùprofondo e coerente, il concetto di immanenza.

Ma abbiamo noi veramente, pur con questo concettodell'alterità, superata la difficoltà? Essa pare, dicevo,che rimanga: rimane infatti il principio di coscienza inaltro dal soggetto che sperimenta: la coscienza inquest'ultimo pare passiva.

L'apparenza è dovuta al permanere dell'antico concet-to di alterità come oggettività. Laddove questa alterità,che caratterizza l'esperienza, è, sappiamo, la pura sog-gettività di coscienza nella sua singolarità. E questa sin-golarità, intesa appunto nella sua essenza di alterità, nonè altro che omogenea moltiplicazione relativa dell'unicoOggetto di coscienza. E quindi il soggetto che sperimen-ta, nella sua essenza di altro singolare, richiede lui, pro-prio per potersi affermare nella propria singolarità,l'altro da sè. Questo altro, da lui stesso richiesto, è ilprincipio della sua coscienza nella esperienza. In breveesperienza è lo spirito non nella passività, ma nella reci-procità di coscienza.

Per intendere il concetto di reciprocità bisogna benpersuadersi di questo: che non vi può essere un assolutoaltro, che l'altro, cioè, è sempre relativo.

197

dall'altra gratuitamente si nega una delle più imperioseesigenze della coscienza.

All'idealismo post-kantiano per porre e risolvere ilproblema della esperienza è mancata la posizione delproblema della molteplicità nello spirito. Solo attraversoquesta si arriva al concetto della pura alterità che da unaparte rende possibile l'esperienza, e dall'altra ci apre, piùprofondo e coerente, il concetto di immanenza.

Ma abbiamo noi veramente, pur con questo concettodell'alterità, superata la difficoltà? Essa pare, dicevo,che rimanga: rimane infatti il principio di coscienza inaltro dal soggetto che sperimenta: la coscienza inquest'ultimo pare passiva.

L'apparenza è dovuta al permanere dell'antico concet-to di alterità come oggettività. Laddove questa alterità,che caratterizza l'esperienza, è, sappiamo, la pura sog-gettività di coscienza nella sua singolarità. E questa sin-golarità, intesa appunto nella sua essenza di alterità, nonè altro che omogenea moltiplicazione relativa dell'unicoOggetto di coscienza. E quindi il soggetto che sperimen-ta, nella sua essenza di altro singolare, richiede lui, pro-prio per potersi affermare nella propria singolarità,l'altro da sè. Questo altro, da lui stesso richiesto, è ilprincipio della sua coscienza nella esperienza. In breveesperienza è lo spirito non nella passività, ma nella reci-procità di coscienza.

Per intendere il concetto di reciprocità bisogna benpersuadersi di questo: che non vi può essere un assolutoaltro, che l'altro, cioè, è sempre relativo.

197

Page 198: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Perciò nella forma che la coscienza assume nel sog-getto che si dice sperimentante, è escluso che il princi-pio di essa sia un qualcosa che pur non essendo suscetti-bile di coscienza produca uno stato di questa: non sa-remmo più nella alterità. Cioè il soggetto sperimentantenon è passivo, ma esperimenta, cioè attua esplicitamentela soggettività nella sua relatività con altri; non è solo.

Quando Fichte, volendo dimostrare che la «dottrinadella scienza è realistica» (Dott. d. Scienza, tr. it. Bari,1910, p. 231) dimostra che «il principio ultimo di ognirealtà per l'Io è una originaria reciprocità d'azione tral'Io ed una qualche cosa posta al di fuori di lui, dellaquale non si può dire null'altro che questo: che essa deveessere affatto opposta all'Io» (ibid. p. 230); quando per-ciò dimostra (ibid. passim) che l'esperienza è inelimina-bile per il realizzarsi dell'Io e che per essa è indispensa-bile l'urto con qualcosa di assolutamente opposto all'Io,ha delle felici intuizioni, di cui non vede la portata, per iconcetti realistici insistenti nel suo pensiero e inattaccatidalla critica. Non vede che quella reciprocità d'azionenon può essere con «una qualche cosa posta al di fuori»di ogni coscienza, perchè al di fuori dell'Io; madev'essere con quell'«altro» che l'io in quanto tale postu-la di fronte a sè nella coscienza. E pone quindi quella«qualche cosa» non come «altro» necessariamente omo-geneo all'altro con cui è in reciprocità, ma come l'asso-lutamente eterogeneo, cioè come l'assoluto altro. El'assoluto altro, sappiamo, non dice nulla: è soltanto unassurdo che crede di avere e non ha una espressione. E

198

Perciò nella forma che la coscienza assume nel sog-getto che si dice sperimentante, è escluso che il princi-pio di essa sia un qualcosa che pur non essendo suscetti-bile di coscienza produca uno stato di questa: non sa-remmo più nella alterità. Cioè il soggetto sperimentantenon è passivo, ma esperimenta, cioè attua esplicitamentela soggettività nella sua relatività con altri; non è solo.

Quando Fichte, volendo dimostrare che la «dottrinadella scienza è realistica» (Dott. d. Scienza, tr. it. Bari,1910, p. 231) dimostra che «il principio ultimo di ognirealtà per l'Io è una originaria reciprocità d'azione tral'Io ed una qualche cosa posta al di fuori di lui, dellaquale non si può dire null'altro che questo: che essa deveessere affatto opposta all'Io» (ibid. p. 230); quando per-ciò dimostra (ibid. passim) che l'esperienza è inelimina-bile per il realizzarsi dell'Io e che per essa è indispensa-bile l'urto con qualcosa di assolutamente opposto all'Io,ha delle felici intuizioni, di cui non vede la portata, per iconcetti realistici insistenti nel suo pensiero e inattaccatidalla critica. Non vede che quella reciprocità d'azionenon può essere con «una qualche cosa posta al di fuori»di ogni coscienza, perchè al di fuori dell'Io; madev'essere con quell'«altro» che l'io in quanto tale postu-la di fronte a sè nella coscienza. E pone quindi quella«qualche cosa» non come «altro» necessariamente omo-geneo all'altro con cui è in reciprocità, ma come l'asso-lutamente eterogeneo, cioè come l'assoluto altro. El'assoluto altro, sappiamo, non dice nulla: è soltanto unassurdo che crede di avere e non ha una espressione. E

198

Page 199: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

perciò egli toglie quella reciprocità proprio mentre lapone, e non fa quindi che contraddirsi quando proclamail realismo della dottrina della scienza. Non fa che porsinella contraddizione del realismo, vedere la quale saràcerto merito di Hegel, che non ebbe però anche quellodi vincerla: proclamare la realtà come la stessa contrad-dittorietà dialettica è proclamare l'insolubilità della diffi-coltà del realismo, non risolverla.

Non so se la coerenza di Hegel sia maggiore di quelladi Berkeley. Questi vide ed espresse esplicitamente lacontraddittorietà del realismo e della cosa da esso affer-mata (Trattato, § 4): credè salvarsi dalla contraddizioneammettendo come sostanza soltanto lo spirito. Non ri-cercò che mai e come mai lo spirito potesse essere, unavolta che l'«esse» era stato da lui risoluto nel «percipi»,cioè in una passività. Hegel, e forse più ancora l'hegeli-smo, risolve la sostanza spirituale di Berkeley in quellacontraddittorietà della cosa. L'indagine mancata a Ber-keley sull'essenza della spiritualità pare che l'hegelismoabbia fatta ma trasportandovi in questa la stessa contrad-dittorietà della cosa realistica, condotto e aiutatodall'aver lo stesso Kant scoperta nello spirito una natura-le e necessaria dialettica, cioè una logica antinomica,contraddittoria. Non è superfluo aggiungere che, però,per Kant questa era, proprio in quanto antinomica, unalogica apparente, non vera. L'hegelismo da una partenon salva nè la cosa in sè, nè lo spirito; dall'altra nonpuò render conto della esperienza.

199

perciò egli toglie quella reciprocità proprio mentre lapone, e non fa quindi che contraddirsi quando proclamail realismo della dottrina della scienza. Non fa che porsinella contraddizione del realismo, vedere la quale saràcerto merito di Hegel, che non ebbe però anche quellodi vincerla: proclamare la realtà come la stessa contrad-dittorietà dialettica è proclamare l'insolubilità della diffi-coltà del realismo, non risolverla.

Non so se la coerenza di Hegel sia maggiore di quelladi Berkeley. Questi vide ed espresse esplicitamente lacontraddittorietà del realismo e della cosa da esso affer-mata (Trattato, § 4): credè salvarsi dalla contraddizioneammettendo come sostanza soltanto lo spirito. Non ri-cercò che mai e come mai lo spirito potesse essere, unavolta che l'«esse» era stato da lui risoluto nel «percipi»,cioè in una passività. Hegel, e forse più ancora l'hegeli-smo, risolve la sostanza spirituale di Berkeley in quellacontraddittorietà della cosa. L'indagine mancata a Ber-keley sull'essenza della spiritualità pare che l'hegelismoabbia fatta ma trasportandovi in questa la stessa contrad-dittorietà della cosa realistica, condotto e aiutatodall'aver lo stesso Kant scoperta nello spirito una natura-le e necessaria dialettica, cioè una logica antinomica,contraddittoria. Non è superfluo aggiungere che, però,per Kant questa era, proprio in quanto antinomica, unalogica apparente, non vera. L'hegelismo da una partenon salva nè la cosa in sè, nè lo spirito; dall'altra nonpuò render conto della esperienza.

199

Page 200: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Invece già lo stesso Fichte, quando avesse approfon-dito il dianzi notato concetto di reciprocità, che anche daKant del resto era stato messo in modo tanto fecondo,avrebbe trovata la via per uscire dal realismo da unaparte, e pur così spiegare dall'altra l'esperienza. Avrebbevisto che l'io, proprio come io, nel suo urtare richiedeproprio l'altro io che gli si oppone, e non l'impensabilenon io; il soggetto richiede l'altro soggetto, il puntual-mente singolare l'altro singolare con cui fare uno. La re-ciprocità non è, solo perchè implica molteplicità, unpuro concetto intellettualistico riguardante una realtàfuori della coscienza: non significa l'impossibile concet-to di una concreta causalità meccanica. È questo un altropregiudizio corrente nel campo idealistico; pregiudiziofondato sull'altro che molteplicità importi senz'altro ne-gazione di spiritualità.

Concludendo, si ha, nella esperienza, non passiva co-scienza dello spirito, ma reciproca attività dei soggetti,che conviene in un risultato unico, che è attività dell'unoe dell'altro dei soggetti insieme.

42. La generalità della cosa reale: la natura.

L'esperienza, in quanto reciprocità, è dunque questoconvenire dei molti nel produrre.

Come senza molteplicità, non v'è adunque esperienzaanche senza unità.

200

Invece già lo stesso Fichte, quando avesse approfon-dito il dianzi notato concetto di reciprocità, che anche daKant del resto era stato messo in modo tanto fecondo,avrebbe trovata la via per uscire dal realismo da unaparte, e pur così spiegare dall'altra l'esperienza. Avrebbevisto che l'io, proprio come io, nel suo urtare richiedeproprio l'altro io che gli si oppone, e non l'impensabilenon io; il soggetto richiede l'altro soggetto, il puntual-mente singolare l'altro singolare con cui fare uno. La re-ciprocità non è, solo perchè implica molteplicità, unpuro concetto intellettualistico riguardante una realtàfuori della coscienza: non significa l'impossibile concet-to di una concreta causalità meccanica. È questo un altropregiudizio corrente nel campo idealistico; pregiudiziofondato sull'altro che molteplicità importi senz'altro ne-gazione di spiritualità.

Concludendo, si ha, nella esperienza, non passiva co-scienza dello spirito, ma reciproca attività dei soggetti,che conviene in un risultato unico, che è attività dell'unoe dell'altro dei soggetti insieme.

42. La generalità della cosa reale: la natura.

L'esperienza, in quanto reciprocità, è dunque questoconvenire dei molti nel produrre.

Come senza molteplicità, non v'è adunque esperienzaanche senza unità.

200

Page 201: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Questa unità dell'esperienza è quella che diciamocosa dell'esperienza, cosa reale.

La cosa reale, adunque, è l'essere in cui conviene lasoggettività come tale; un essere quindi soggettivo, unsingolare che si è generalizzato. Quando io dico che nel-la esperienza mi risulta questo tavolo con la sua solidità,colore, forma ecc., dico che la mia coscienza è determi-nata in un certo modo nel quale convengono quanti que-sto tavolo affermano come tale. Il tavolo sperimentatoda me vuol dire il tavolo, oltrecchè fuori del corpo mio,comune, come coscienza singolare (soggetto) a tanti chesoggetti sono.

Può così capirsi senza eccessivo sforzo anche da chialla riflessione filosofica non sia adusato, come la cosaempirica, appunto perchè tale, debba essere nella co-scienza dei soggetti; sempre, anche se (dall'entrare siapure con un semplice cenno in tale quistione qui miastengo: è, si vede di leggieri da chi il mio pensiero co-nosca, quistione connessa con la mia concezione delconcreto e con la triplice diversa forma che la concretez-za esige ponendo così l'implicito e quindi l'infinita suaesplicazione), anche se debbasi ammettere una diversitàdi esperienza e quindi ordini diversi di soggetti in corri-spondenza della diversità di forme della oggettività. Ledeterminate cose che in questi ordini diversi di esperien-za si verranno sperimentando non saranno mai questi or-dini stessi che della formale oggettività sarebbero il ri-flesso.

201

Questa unità dell'esperienza è quella che diciamocosa dell'esperienza, cosa reale.

La cosa reale, adunque, è l'essere in cui conviene lasoggettività come tale; un essere quindi soggettivo, unsingolare che si è generalizzato. Quando io dico che nel-la esperienza mi risulta questo tavolo con la sua solidità,colore, forma ecc., dico che la mia coscienza è determi-nata in un certo modo nel quale convengono quanti que-sto tavolo affermano come tale. Il tavolo sperimentatoda me vuol dire il tavolo, oltrecchè fuori del corpo mio,comune, come coscienza singolare (soggetto) a tanti chesoggetti sono.

Può così capirsi senza eccessivo sforzo anche da chialla riflessione filosofica non sia adusato, come la cosaempirica, appunto perchè tale, debba essere nella co-scienza dei soggetti; sempre, anche se (dall'entrare siapure con un semplice cenno in tale quistione qui miastengo: è, si vede di leggieri da chi il mio pensiero co-nosca, quistione connessa con la mia concezione delconcreto e con la triplice diversa forma che la concretez-za esige ponendo così l'implicito e quindi l'infinita suaesplicazione), anche se debbasi ammettere una diversitàdi esperienza e quindi ordini diversi di soggetti in corri-spondenza della diversità di forme della oggettività. Ledeterminate cose che in questi ordini diversi di esperien-za si verranno sperimentando non saranno mai questi or-dini stessi che della formale oggettività sarebbero il ri-flesso.

201

Page 202: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Le cose dell'esperienza saranno sempre cose in cuitanti, proprio con la attiva molteplicità loro, converran-no. Quando affermiamo nella esperienza l'inizio del rap-porto di coscienza, in cui essa consiste «da altro che nonè il soggetto che di esso ha coscienza» (§ 40), il «non»non riguarda il soggetto nella sua alterità, ma il suo es-ser solo. Esperienza è negazione della solitudine delsoggetto sperimentante. Di questa negazione della soli-tudine l'aspetto positivo è la cosa reale.

Lo sperimentante non sta dunque, mai, solo egli conla sua cosa. Se egli solo fosse, neppure questa ci sareb-be. Perciò la cosa della esperienza non è chiusa nella co-scienza singolare di un singolo sperimentante, in modoche essa sia soltanto cosa per me e non per te.

Eppure questo è il concetto che dell'esperienza è ri-sultato all'idealismo corrente dalla scoperta berkeleyanae kantiana della appartenenza della cosa di esperienzacome tale alla coscienza. Questo, per l'idealismo post-kantiano, vuol dire coscienza empirica: un mondo di so-gni inconsistenti perchè appartenenti soltanto alla co-scienza di un soggetto nella schietta e sola sua singolari-tà. Ed è questo infatti il presupposto della fenomenicitàkantiana: questo rivivere della cosa in sè nella solitudinedel soggetto cosciente in quanto chiuso dal sentire neisuoi invalicabili confini.

Se è vero, invece, quanto abbiam detto, va dunque ab-bandonato e il concetto critico della fenomenicità, equello idealistico della empiricità. Sono il secondo con-seguenza del primo, e il primo conseguenza del concetto

202

Le cose dell'esperienza saranno sempre cose in cuitanti, proprio con la attiva molteplicità loro, converran-no. Quando affermiamo nella esperienza l'inizio del rap-porto di coscienza, in cui essa consiste «da altro che nonè il soggetto che di esso ha coscienza» (§ 40), il «non»non riguarda il soggetto nella sua alterità, ma il suo es-ser solo. Esperienza è negazione della solitudine delsoggetto sperimentante. Di questa negazione della soli-tudine l'aspetto positivo è la cosa reale.

Lo sperimentante non sta dunque, mai, solo egli conla sua cosa. Se egli solo fosse, neppure questa ci sareb-be. Perciò la cosa della esperienza non è chiusa nella co-scienza singolare di un singolo sperimentante, in modoche essa sia soltanto cosa per me e non per te.

Eppure questo è il concetto che dell'esperienza è ri-sultato all'idealismo corrente dalla scoperta berkeleyanae kantiana della appartenenza della cosa di esperienzacome tale alla coscienza. Questo, per l'idealismo post-kantiano, vuol dire coscienza empirica: un mondo di so-gni inconsistenti perchè appartenenti soltanto alla co-scienza di un soggetto nella schietta e sola sua singolari-tà. Ed è questo infatti il presupposto della fenomenicitàkantiana: questo rivivere della cosa in sè nella solitudinedel soggetto cosciente in quanto chiuso dal sentire neisuoi invalicabili confini.

Se è vero, invece, quanto abbiam detto, va dunque ab-bandonato e il concetto critico della fenomenicità, equello idealistico della empiricità. Sono il secondo con-seguenza del primo, e il primo conseguenza del concetto

202

Page 203: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

realistico di esperienza come rapporto tra mente del sog-getto singolare e cosa in sè singolare anch'essa.

Ma quando invece si sia ben capita la soggettivitàcome alterità, e si sia intesa l'esperienza proprio comel'attività reciproca dell'altro, si capirà che le cose speri-mentate, come stati di coscienza, non possono, non de-vono essere, non sono, stati di coscienza assolutamentechiusi nella solitudine di un singolo. Il singolare nume-rico, si dica ancora una volta, non è, non può essere as-soluto, perchè è relativo. La singolarità non è solitudine:singolarità vuol dire relatività, perchè vuol dire alterità.

Lo sperimentante solo è dunque un errore: la coscien-za comune non lo commette; non può commetterlo.Esso è un'altra conseguenza del pregiudizio filosoficodel realismo. Bisogna che nello sperimentare ci sia l'unoe l'altro insieme. E questo loro essere insieme è la cosasperimentata. Anche lo scienziato, chiuso nel suo gabi-netto con i suoi strumenti, può riprodurre l'esperienzacon i suoi esperimenti, solo in quanto c'è già tutta l'espe-rienza che egli ha vissuto e vive con gli altri: quegli al-tri, il cui consenso alla esperienza che egli vien facendo,è indispensabile, perchè, questa, esperienza sia.

Questo essere insieme, che è perciò valido per ciascu-no di coloro che insieme stanno, proprio con questa suavalidità comune a tutti loro, costituisce la cosa dellaesperienza.

Queste cose della esperienza si compenetrano tutte traloro e quindi si includono reciprocamente ampliandosiall'infinito e restringendosi all'infinitesimo ma sempre

203

realistico di esperienza come rapporto tra mente del sog-getto singolare e cosa in sè singolare anch'essa.

Ma quando invece si sia ben capita la soggettivitàcome alterità, e si sia intesa l'esperienza proprio comel'attività reciproca dell'altro, si capirà che le cose speri-mentate, come stati di coscienza, non possono, non de-vono essere, non sono, stati di coscienza assolutamentechiusi nella solitudine di un singolo. Il singolare nume-rico, si dica ancora una volta, non è, non può essere as-soluto, perchè è relativo. La singolarità non è solitudine:singolarità vuol dire relatività, perchè vuol dire alterità.

Lo sperimentante solo è dunque un errore: la coscien-za comune non lo commette; non può commetterlo.Esso è un'altra conseguenza del pregiudizio filosoficodel realismo. Bisogna che nello sperimentare ci sia l'unoe l'altro insieme. E questo loro essere insieme è la cosasperimentata. Anche lo scienziato, chiuso nel suo gabi-netto con i suoi strumenti, può riprodurre l'esperienzacon i suoi esperimenti, solo in quanto c'è già tutta l'espe-rienza che egli ha vissuto e vive con gli altri: quegli al-tri, il cui consenso alla esperienza che egli vien facendo,è indispensabile, perchè, questa, esperienza sia.

Questo essere insieme, che è perciò valido per ciascu-no di coloro che insieme stanno, proprio con questa suavalidità comune a tutti loro, costituisce la cosa dellaesperienza.

Queste cose della esperienza si compenetrano tutte traloro e quindi si includono reciprocamente ampliandosiall'infinito e restringendosi all'infinitesimo ma sempre

203

Page 204: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

con quella unificazione che le fa cose. E perciò v'è,dell'esperienza, una cosa che sperimentiamo fondamen-tale e comprensiva rispetto a tutte le altre; una cosa uni-ca in cui essa si compendia: la natura. Quella natura incui e di cui tutti i giorni tutti viviamo, e sappiamo di vi-vere. La presupponiamo tutti, non possiamo non presup-porla come la realtà unica della esperienza: tutti, grandie piccini, ignoranti e dotti, poeti o scienziati dobbiamofare i conti con essa. Con essa, nella incessante sua ge-nerazione individuale, ma pur con le sue leggi nella lorounità, senza della quale non si può dir che vi sia natura;e perciò quindi con la sua unica legge che la cose quellecose che in esse si generano. Legge empirica, che è ilquid unificante della realtà d'esperienza: è la cosalitàdella esperienza. È, dunque, la natura, con la sua legge,quell'una immensa cosa in cui tutta la realtà sperimenta-ta si compendia.

43. Astrazione; necessità scientifica; necessità.

Se la cosa reale è dunque questa comunità di coscien-za reciproca, per essere nella cosa reale bisogna che cia-scun sperimentante sappia vedere questa comunità, sap-pia cioè, proprio per porsi in questo comune atto reci-proco, astrarre da quanto in ciascuno di essi c'è oltrequesto atto comune.

Ecco quindi come si pone e si risolve, nel campo del-la esperienza, e soltanto in questo, il problema della

204

con quella unificazione che le fa cose. E perciò v'è,dell'esperienza, una cosa che sperimentiamo fondamen-tale e comprensiva rispetto a tutte le altre; una cosa uni-ca in cui essa si compendia: la natura. Quella natura incui e di cui tutti i giorni tutti viviamo, e sappiamo di vi-vere. La presupponiamo tutti, non possiamo non presup-porla come la realtà unica della esperienza: tutti, grandie piccini, ignoranti e dotti, poeti o scienziati dobbiamofare i conti con essa. Con essa, nella incessante sua ge-nerazione individuale, ma pur con le sue leggi nella lorounità, senza della quale non si può dir che vi sia natura;e perciò quindi con la sua unica legge che la cose quellecose che in esse si generano. Legge empirica, che è ilquid unificante della realtà d'esperienza: è la cosalitàdella esperienza. È, dunque, la natura, con la sua legge,quell'una immensa cosa in cui tutta la realtà sperimenta-ta si compendia.

43. Astrazione; necessità scientifica; necessità.

Se la cosa reale è dunque questa comunità di coscien-za reciproca, per essere nella cosa reale bisogna che cia-scun sperimentante sappia vedere questa comunità, sap-pia cioè, proprio per porsi in questo comune atto reci-proco, astrarre da quanto in ciascuno di essi c'è oltrequesto atto comune.

Ecco quindi come si pone e si risolve, nel campo del-la esperienza, e soltanto in questo, il problema della

204

Page 205: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

astrazione. Astrarre è esser consapevoli di questa comu-nanza dei singolari nella cosa sperimentata.

L'astrazione è dunque, checchè ne pensi Berkeley chenon supponeva neppure un possibile problema nella po-sitiva dogmatica ammissione di una molteplicità di spi-riti finiti, l'astrazione è essenziale alla esperienza: senzaastrazione non v'è cosa reale.

Giacchè questa cosa reale, quando veramente voglia-mo stare a quello che la coscienza ci impone, non è lasingolare imagine determinata in un singolare spirito(sia Dio che la «vuole» o lo spirito finito che la percepi-sce): questa è sogno o fantasia se non ne sentiamo la co-strizione; è allucinazione se vi ci sentiamo costretti.Questo pregiudizio della singolarità della cosa speri-mentata suggeriva poi a Leibniz l'espediente della armo-nia prestabilita, perchè la realtà delle cose, nel suo esse-re comune, fosse salva.

Questa realtà, dunque, e non il concetto che si diceastratto, vana entità della quale Berkeley giustamente hamostrata l'inconsistenza, questa realtà ha in sè il proces-so di astrazione: ne è costituita. Infatti nella esperienza,proprio come tale, non c'è il singolo sperimentante, as-solutamente chiuso nella sua singolarità; c'è una comu-nità di sperimentanti. E questa comunità è condizionatadalla astrazione.

Risultato di questa, quindi, non è quella unicità ogget-tiva che ci si presenta come assoluta universalità. La co-munità di esperienza, quand'anche sia la massima possi-bile (natura), non è mai assoluta universalità; la si può

205

astrazione. Astrarre è esser consapevoli di questa comu-nanza dei singolari nella cosa sperimentata.

L'astrazione è dunque, checchè ne pensi Berkeley chenon supponeva neppure un possibile problema nella po-sitiva dogmatica ammissione di una molteplicità di spi-riti finiti, l'astrazione è essenziale alla esperienza: senzaastrazione non v'è cosa reale.

Giacchè questa cosa reale, quando veramente voglia-mo stare a quello che la coscienza ci impone, non è lasingolare imagine determinata in un singolare spirito(sia Dio che la «vuole» o lo spirito finito che la percepi-sce): questa è sogno o fantasia se non ne sentiamo la co-strizione; è allucinazione se vi ci sentiamo costretti.Questo pregiudizio della singolarità della cosa speri-mentata suggeriva poi a Leibniz l'espediente della armo-nia prestabilita, perchè la realtà delle cose, nel suo esse-re comune, fosse salva.

Questa realtà, dunque, e non il concetto che si diceastratto, vana entità della quale Berkeley giustamente hamostrata l'inconsistenza, questa realtà ha in sè il proces-so di astrazione: ne è costituita. Infatti nella esperienza,proprio come tale, non c'è il singolo sperimentante, as-solutamente chiuso nella sua singolarità; c'è una comu-nità di sperimentanti. E questa comunità è condizionatadalla astrazione.

Risultato di questa, quindi, non è quella unicità ogget-tiva che ci si presenta come assoluta universalità. La co-munità di esperienza, quand'anche sia la massima possi-bile (natura), non è mai assoluta universalità; la si può

205

Page 206: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dire generalità. Quand'anche, invero, non sia contraddet-ta di fatto da alcuno, essa non esclude mai una tale con-traddizione. La comunanza di fatto non è mai universa-lità di diritto. E nell'esperienza, con l'astrazione, rag-giungiamo tale comunanza di fatto: l'universalità è im-plicita e presupposta. Questa non può tradursi mai pie-namente in fatto: negherebbe il suo essere.

E perciò l'astrazione non sarà mai capace di produrrel'universale.

Quando di questo la si vuol far capace, sorge a ragio-ne la negazione radicale, nominalistica berkeleyana oscettica che sia, di ogni universale. Berkeley ha ragione;l'astrazione non ci darà mai l'universale, non ci darà cheil generale: generale, sotto il quale ritroveremo sempre imolti singolari di cui consta e che ne negano l'assolutaunicità che dalla vera e propria universalità è richiesta.

L'universale perchè sia tale deve essere assolutamenteunico e quindi trovarsi nella sua infinita unicità in cia-scuno dei tutti per i quali vale (universale = valido pertutti). L'universale unico non può constare di molti sin-golari, anche quando questi non realizzino che quello.Anzi questo stesso realizzare non è possibile se non apatto che quell'universale sia unico, cioè non consti dimolti. E perciò l'universalità non ci sarà mai data dallatotalità: questo della identificazione del tutto con l'Uni-co e quindi del concreto con l'immanente è un altro pre-giudizio corrente oggi nella filosofia e specialmentenell'idealismo (§ 60).

206

dire generalità. Quand'anche, invero, non sia contraddet-ta di fatto da alcuno, essa non esclude mai una tale con-traddizione. La comunanza di fatto non è mai universa-lità di diritto. E nell'esperienza, con l'astrazione, rag-giungiamo tale comunanza di fatto: l'universalità è im-plicita e presupposta. Questa non può tradursi mai pie-namente in fatto: negherebbe il suo essere.

E perciò l'astrazione non sarà mai capace di produrrel'universale.

Quando di questo la si vuol far capace, sorge a ragio-ne la negazione radicale, nominalistica berkeleyana oscettica che sia, di ogni universale. Berkeley ha ragione;l'astrazione non ci darà mai l'universale, non ci darà cheil generale: generale, sotto il quale ritroveremo sempre imolti singolari di cui consta e che ne negano l'assolutaunicità che dalla vera e propria universalità è richiesta.

L'universale perchè sia tale deve essere assolutamenteunico e quindi trovarsi nella sua infinita unicità in cia-scuno dei tutti per i quali vale (universale = valido pertutti). L'universale unico non può constare di molti sin-golari, anche quando questi non realizzino che quello.Anzi questo stesso realizzare non è possibile se non apatto che quell'universale sia unico, cioè non consti dimolti. E perciò l'universalità non ci sarà mai data dallatotalità: questo della identificazione del tutto con l'Uni-co e quindi del concreto con l'immanente è un altro pre-giudizio corrente oggi nella filosofia e specialmentenell'idealismo (§ 60).

206

Page 207: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La generalità dell'esperienza, invece, è sempre pro-pria della totalità; risulta dal numerico, non è mai asso-luta unicità; non è in sè, ma proprio e sempre nell'altro;non è assoluta ma relativa.

Pure questa generalità spiega la scienza.Caratteristica infatti della scienza è proprio il rigore

di questa generalità. Scienziato è quindi l'uomo empiri-co, ma rigorosamente astraente. Il quale perciò com-prende che ciò che l'esperienza, che egli fa, gli insegna,non è la cosa singolare (Hume ha ragione quando dimo-stra che la prevedibilità scientifica del particolare fattonon è oggettivamente fondata), ma la legge delle coseinnumerevoli, legge che l'uomo empirico riconosce giànel fatto stesso di riconoscere una cosa dell'esperienzacome tale. Che lo scienziato faccia all'uomo empiricocambiare il contenuto della legge, non vuol dire che lageneralità raggiunta dalla legge scientifica sia di naturadiversa. Il rigore dello scienziato sta nella rigorosità del-la astrazione, dalla quale appunto abbiamo visto che ri-sulta la generalità della cosa empirica.

Perciò la necessità scientifica sarà sempre una neces-sità astratta. E quindi non necessità pura, ma necessitàrelativa, pseudo-necessità. La necessità pura è lo stessoessere nella assoluta sua unicità in quanto conoscenza;necessità pura è l'oggettività conoscitiva. E non saràquindi dell'essere relativo che unifica in un prodotto lapropria collaborante relazione. Anche quando questoprodotto sia il sommo, quello che pare unico: la stessanatura nel nesso e quindi nella unificazione delle sue

207

La generalità dell'esperienza, invece, è sempre pro-pria della totalità; risulta dal numerico, non è mai asso-luta unicità; non è in sè, ma proprio e sempre nell'altro;non è assoluta ma relativa.

Pure questa generalità spiega la scienza.Caratteristica infatti della scienza è proprio il rigore

di questa generalità. Scienziato è quindi l'uomo empiri-co, ma rigorosamente astraente. Il quale perciò com-prende che ciò che l'esperienza, che egli fa, gli insegna,non è la cosa singolare (Hume ha ragione quando dimo-stra che la prevedibilità scientifica del particolare fattonon è oggettivamente fondata), ma la legge delle coseinnumerevoli, legge che l'uomo empirico riconosce giànel fatto stesso di riconoscere una cosa dell'esperienzacome tale. Che lo scienziato faccia all'uomo empiricocambiare il contenuto della legge, non vuol dire che lageneralità raggiunta dalla legge scientifica sia di naturadiversa. Il rigore dello scienziato sta nella rigorosità del-la astrazione, dalla quale appunto abbiamo visto che ri-sulta la generalità della cosa empirica.

Perciò la necessità scientifica sarà sempre una neces-sità astratta. E quindi non necessità pura, ma necessitàrelativa, pseudo-necessità. La necessità pura è lo stessoessere nella assoluta sua unicità in quanto conoscenza;necessità pura è l'oggettività conoscitiva. E non saràquindi dell'essere relativo che unifica in un prodotto lapropria collaborante relazione. Anche quando questoprodotto sia il sommo, quello che pare unico: la stessanatura nel nesso e quindi nella unificazione delle sue

207

Page 208: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

leggi. Queste leggi e quel nesso non saranno l'Esserenella sua forma di necessità immanente nel concreto.

Boutroux ha perciò perfettamente ragione, a parte ilmetodo di dimostrazione, nel quale si può non conveni-re, ha ragione quando mostra la contingenza di tutte leleggi e quindi l'assenza di necessità assoluta. Ma ha tor-to quando da questa dimostrazione della contingenzadelle leggi di natura si crede autorizzato a concluderealla contingenza dell'Essere. In questa affrettata conclu-sione non si tiene conto – e del resto non se ne tieneconto neppure dai più legittimi figli del pensiero kantia-no – non si tiene conto che conseguenza diretta dellascoperta kantiana, che natura è natura pensata, e quindileggi di natura sono le stesse leggi del pensiero (catego-rie), è l'altra forse più grande scoperta che in tal modoquella necessità, che prima si riteneva meccanica inquanto caratteristica della bruta natura nel cieco nessoafinale di cause ed effetti, è portata nella stessa spiritua-lità. Devesi da questa escludere la necessità, il non poternon essere, solo perchè, pel pregiudizio realistico, intale necessità si riconosceva soltanto una meccanicabruta causalità? Non v'è anche, per usare una efficaceespressione di Malebranche16, una «resistenza delleidee»? E non dobbiamo quindi ritenere invece che quel-la necessità che diciamo di natura, non ha assolutezza,ci appare quindi come contingenza, proprio perchè non

16 Entretiens sur la Métaphysique, Paris, 1922, vol. I, p. 36.

208

leggi. Queste leggi e quel nesso non saranno l'Esserenella sua forma di necessità immanente nel concreto.

Boutroux ha perciò perfettamente ragione, a parte ilmetodo di dimostrazione, nel quale si può non conveni-re, ha ragione quando mostra la contingenza di tutte leleggi e quindi l'assenza di necessità assoluta. Ma ha tor-to quando da questa dimostrazione della contingenzadelle leggi di natura si crede autorizzato a concluderealla contingenza dell'Essere. In questa affrettata conclu-sione non si tiene conto – e del resto non se ne tieneconto neppure dai più legittimi figli del pensiero kantia-no – non si tiene conto che conseguenza diretta dellascoperta kantiana, che natura è natura pensata, e quindileggi di natura sono le stesse leggi del pensiero (catego-rie), è l'altra forse più grande scoperta che in tal modoquella necessità, che prima si riteneva meccanica inquanto caratteristica della bruta natura nel cieco nessoafinale di cause ed effetti, è portata nella stessa spiritua-lità. Devesi da questa escludere la necessità, il non poternon essere, solo perchè, pel pregiudizio realistico, intale necessità si riconosceva soltanto una meccanicabruta causalità? Non v'è anche, per usare una efficaceespressione di Malebranche16, una «resistenza delleidee»? E non dobbiamo quindi ritenere invece che quel-la necessità che diciamo di natura, non ha assolutezza,ci appare quindi come contingenza, proprio perchè non

16 Entretiens sur la Métaphysique, Paris, 1922, vol. I, p. 36.

208

Page 209: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

è la necessità pura che la coscienza esige, ma è di questasoltanto la relativa e così reale manifestazione?

Io credo quindi che vada mutata l'antica precriticaconcezione della spiritualità come libertà in opposizionealla natura come necessità. E va mutata, non conservatanell'antitesi libertà = necessità come fa l'hegelismo.Questa conservazione non è la richiesta rielaborazionecritica del concetto di spiritualità, in seguito alla scoper-ta che si è fatta in essa della stessa necessità, ma è ele-vare a concretezza la stessa antitesi precritica proprioper poter conservare intatti i precritici concetti di spiritocome libertà e natura come necessità. Tutto l'hegelismoè una codificazione della contraddizione che il concettorealistico dell'essere aveva importata nella coscienza.Ma la contraddizione è del realismo, non della coscien-za. Il dialettismo contraddittorio è fondato tutto su que-sto scambio.

La necessità della scienza è dunque astratta, se perscienza intendiamo, e altro intendere non si deve, la co-noscenza teoretica dell'oggetto reale.

Della conoscenza, come una specifica forma dellaspiritualità, è propria la necessità: questo vedesi chiara-mente quando quella necessità, di cui ritenevasi caratte-re costitutivo la meccanicità realistica, è portata nellaspiritualità17.

17 Cfr. al riguardo i miei lavori precedenti e specialmente laCritica del concreto e La Storia.

209

è la necessità pura che la coscienza esige, ma è di questasoltanto la relativa e così reale manifestazione?

Io credo quindi che vada mutata l'antica precriticaconcezione della spiritualità come libertà in opposizionealla natura come necessità. E va mutata, non conservatanell'antitesi libertà = necessità come fa l'hegelismo.Questa conservazione non è la richiesta rielaborazionecritica del concetto di spiritualità, in seguito alla scoper-ta che si è fatta in essa della stessa necessità, ma è ele-vare a concretezza la stessa antitesi precritica proprioper poter conservare intatti i precritici concetti di spiritocome libertà e natura come necessità. Tutto l'hegelismoè una codificazione della contraddizione che il concettorealistico dell'essere aveva importata nella coscienza.Ma la contraddizione è del realismo, non della coscien-za. Il dialettismo contraddittorio è fondato tutto su que-sto scambio.

La necessità della scienza è dunque astratta, se perscienza intendiamo, e altro intendere non si deve, la co-noscenza teoretica dell'oggetto reale.

Della conoscenza, come una specifica forma dellaspiritualità, è propria la necessità: questo vedesi chiara-mente quando quella necessità, di cui ritenevasi caratte-re costitutivo la meccanicità realistica, è portata nellaspiritualità17.

17 Cfr. al riguardo i miei lavori precedenti e specialmente laCritica del concreto e La Storia.

209

Page 210: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non v'ha dunque concreta conoscenza senza necessi-tà.

Ma questa necessità che noi dobbiamo ritrovare, e ri-troviamo nello spirito, non è quella scientifica, se è veroche questa necessità scientifica è astratta, soltanto gene-rale non universale.

La necessità pura, se è vero che la conoscenza è unaforma insopprimibile della spiritualità, è propria dellacosa in sè come tale.

Sforzarsi verso questa necessità intraducibile in con-cetti nella sua integrale purezza, è logica pura, il cui og-getto è la schietta necessità. È questa la logica criticache deve compendiare in sè il carattere oggettivo dellalogica aristotelica e quello trascendentale dell'idealismocritico.

Senza la positività della cosa in sè come oggetto puro,e la sua distinzione dalla cosa reale come astratto pro-dotto di esperienza, una tale logica ed ogni logica è in-concepibile.

44. Astrazione scientifica e riflessione filosofica.

Questo carattere sperimentale della scienza, che tro-vasi in tutte le scienze particolari appunto perchè è pro-prio della scienza e quindi proprio anche della più uni-versale scienza, come la matematica, esclude che lascienza possa avere per oggetto la cosa in sè. E si vedequindi sotto altra luce la giustezza della scoperta kantia-

210

Non v'ha dunque concreta conoscenza senza necessi-tà.

Ma questa necessità che noi dobbiamo ritrovare, e ri-troviamo nello spirito, non è quella scientifica, se è veroche questa necessità scientifica è astratta, soltanto gene-rale non universale.

La necessità pura, se è vero che la conoscenza è unaforma insopprimibile della spiritualità, è propria dellacosa in sè come tale.

Sforzarsi verso questa necessità intraducibile in con-cetti nella sua integrale purezza, è logica pura, il cui og-getto è la schietta necessità. È questa la logica criticache deve compendiare in sè il carattere oggettivo dellalogica aristotelica e quello trascendentale dell'idealismocritico.

Senza la positività della cosa in sè come oggetto puro,e la sua distinzione dalla cosa reale come astratto pro-dotto di esperienza, una tale logica ed ogni logica è in-concepibile.

44. Astrazione scientifica e riflessione filosofica.

Questo carattere sperimentale della scienza, che tro-vasi in tutte le scienze particolari appunto perchè è pro-prio della scienza e quindi proprio anche della più uni-versale scienza, come la matematica, esclude che lascienza possa avere per oggetto la cosa in sè. E si vedequindi sotto altra luce la giustezza della scoperta kantia-

210

Page 211: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

na della cosidetta inconoscibilità della cosa in sè. Dissigià che il problema di Kant era il problema della scien-za, scienza, che, nella sua fissazione di leggi alla cosareale della esperienza, egli riteneva la vera e propria co-noscenza.

Perciò, per Kant, la proclamata inconoscibilità dellacosa in sè, nonostante la non meno proclamata sua pen-sabilità, voleva dire la irriducibilità della cosa in sè en-tro gli estremi della scienza, voleva dire che l'astrattogenerale, cui la scienza arriva, non può essere la stessacosa in sè, che è l'Oggetto unico assoluto. Kant certonon vide questo che era implicito al suo pensiero e per-ciò tentò di costruire una metafisica proprio con le leggifisiche ritenute apriori proprio quando egli le mutuavadalla fisica; metafisica che perciò non poteva riuscirgli:rimaneva irrimediabilmente fisica nella sua forma scien-tifica.

Nè poteva riuscire quando si precisava idealistica-mente con Schelling ed Hegel come filosofia della natu-ra accanto a una filosofia trascendentale o dello spirito;poteva riuscir ancor meno, perchè, se non altro, in Kanti famosi principi metafisici della fisica in fondo erano lafisica da lui detta e creduta pura e apriori; nell'idealismoinvece non erano nè fisica nè filosofia, o meglio eranouna fisica mascherata da filosofia, mascheramento in cuise non ci faceva bella figura la scienza mascherata comesi presentava, peggior figura ancora faceva la filosofiaridotta a maschera.

211

na della cosidetta inconoscibilità della cosa in sè. Dissigià che il problema di Kant era il problema della scien-za, scienza, che, nella sua fissazione di leggi alla cosareale della esperienza, egli riteneva la vera e propria co-noscenza.

Perciò, per Kant, la proclamata inconoscibilità dellacosa in sè, nonostante la non meno proclamata sua pen-sabilità, voleva dire la irriducibilità della cosa in sè en-tro gli estremi della scienza, voleva dire che l'astrattogenerale, cui la scienza arriva, non può essere la stessacosa in sè, che è l'Oggetto unico assoluto. Kant certonon vide questo che era implicito al suo pensiero e per-ciò tentò di costruire una metafisica proprio con le leggifisiche ritenute apriori proprio quando egli le mutuavadalla fisica; metafisica che perciò non poteva riuscirgli:rimaneva irrimediabilmente fisica nella sua forma scien-tifica.

Nè poteva riuscire quando si precisava idealistica-mente con Schelling ed Hegel come filosofia della natu-ra accanto a una filosofia trascendentale o dello spirito;poteva riuscir ancor meno, perchè, se non altro, in Kanti famosi principi metafisici della fisica in fondo erano lafisica da lui detta e creduta pura e apriori; nell'idealismoinvece non erano nè fisica nè filosofia, o meglio eranouna fisica mascherata da filosofia, mascheramento in cuise non ci faceva bella figura la scienza mascherata comesi presentava, peggior figura ancora faceva la filosofiaridotta a maschera.

211

Page 212: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La cosa in sè di Kant è quindi l'irriducibile a scienza.E intesa in tal senso l'inconoscibilità kantiana è giustifi-cabilissima, e lo sviluppo posteriore della scienza è ve-nuto sempre più dando ragione a Kant.

I continuatori di Kant che si erano con lui fissati nellavecchia dogmatica idea della metafisica come scienzaassoluta, non seppero far di meglio che buttar via, pro-prio per salvare la metafisica come scienza pura, buttarvia la cosa in sè con la sua oggettività. Non s'accorseroche così negavano l'oggetto che invece tutti affermava-no, scacciavano via come falsa scienza quella che tuttiintendevano come scienza; ma pur con tutto questo nonsolo non riuscivano a salvare il carattere scientifico del-la metafisica, ma finivano col buttare a mare, propriocon gli adoperati mezzi di salvezza, anche la metafisica,insieme con l'oggetto dal quale questa non poteva di-staccarsi, e insieme con la scienza, della quale essa nonsapeva e non poteva presentare concetto diverso daquello condannato. Doveva venir quindi, prima o poi, ilmomento che proprio dagli eredi di siffatti salvatori del-la metafisica si proclamasse in un modo o in un altro,esplicitamente o implicitamente, che la metafisica cosìsalvata non ci era più. Più salva di così non poteva esse-re. Ma liberatela dal mezzo che avete escogitato per sal-varla (la negazione dell'oggetto puro); date a lei il carat-tere che dalle scoperte da lei fatte le compete, ed ecco-vela di nuovo davanti a testimoniare che voi pretesi sal-vatori le avevate, gettandola nel mare del concreto, lega-to il piombo al piede per farla affondare (§ 49).

212

La cosa in sè di Kant è quindi l'irriducibile a scienza.E intesa in tal senso l'inconoscibilità kantiana è giustifi-cabilissima, e lo sviluppo posteriore della scienza è ve-nuto sempre più dando ragione a Kant.

I continuatori di Kant che si erano con lui fissati nellavecchia dogmatica idea della metafisica come scienzaassoluta, non seppero far di meglio che buttar via, pro-prio per salvare la metafisica come scienza pura, buttarvia la cosa in sè con la sua oggettività. Non s'accorseroche così negavano l'oggetto che invece tutti affermava-no, scacciavano via come falsa scienza quella che tuttiintendevano come scienza; ma pur con tutto questo nonsolo non riuscivano a salvare il carattere scientifico del-la metafisica, ma finivano col buttare a mare, propriocon gli adoperati mezzi di salvezza, anche la metafisica,insieme con l'oggetto dal quale questa non poteva di-staccarsi, e insieme con la scienza, della quale essa nonsapeva e non poteva presentare concetto diverso daquello condannato. Doveva venir quindi, prima o poi, ilmomento che proprio dagli eredi di siffatti salvatori del-la metafisica si proclamasse in un modo o in un altro,esplicitamente o implicitamente, che la metafisica cosìsalvata non ci era più. Più salva di così non poteva esse-re. Ma liberatela dal mezzo che avete escogitato per sal-varla (la negazione dell'oggetto puro); date a lei il carat-tere che dalle scoperte da lei fatte le compete, ed ecco-vela di nuovo davanti a testimoniare che voi pretesi sal-vatori le avevate, gettandola nel mare del concreto, lega-to il piombo al piede per farla affondare (§ 49).

212

Page 213: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La filosofia deve dunque, come abbiamo già per altrevie dimostrato (cap. I), abbandonare la scientificità persalvare insieme con la propria oggettività quella stessadell'essere. La filosofia, appunto perchè è lo sforzo cheil soggetto razionale concreto compie per ricercarel'Essere immanente, continuerà ad essere, come semprese vera filosofia fu, riflessione. Ma riflessione che non èl'astrazione in cui consiste la scienza.

La stessa matematica col suo numero e col suo spazioè la somma astrazione dell'esperienza, non è affatto ri-flessione. Su questo fondamento va rimessa e ridiscussaquella quistione che divideva Kant da Hume: la sinteti-cità o analiticità della matematica. E daremmo forsenuova luce al pensiero kantiano: Kant ha ragionenell'affermarne la sinteticità; ma quella sinteticità non èapriori.

Fichte vide chiaramente, e non fu certo il primo, que-sta natura riflessiva della filosofia, vide cioè che l'io, perfilosofare, non doveva che volgere lo sguardo entro disè per ricercarvi l'essere che lo costituiva, invece di di-strarlo tra le tante cose che egli in comunanza di attivitàcon l'infinita moltitudine dei soggetti realizza e chiamamondo; vide che la filosofia doveva essere sforzo intimoed apriori di comprensione e non visione dogmatica edempirica delle cose; ma ebbe il torto di confondere que-sta riflessione con l'astrazione scientifica per fare cosìdella filosofia la somma delle scienze. E invece, da unaparte, in quello che il fichtismo ha di valido, non v'èscienza: non vi ritroviamo infatti legge reale; e dall'altra

213

La filosofia deve dunque, come abbiamo già per altrevie dimostrato (cap. I), abbandonare la scientificità persalvare insieme con la propria oggettività quella stessadell'essere. La filosofia, appunto perchè è lo sforzo cheil soggetto razionale concreto compie per ricercarel'Essere immanente, continuerà ad essere, come semprese vera filosofia fu, riflessione. Ma riflessione che non èl'astrazione in cui consiste la scienza.

La stessa matematica col suo numero e col suo spazioè la somma astrazione dell'esperienza, non è affatto ri-flessione. Su questo fondamento va rimessa e ridiscussaquella quistione che divideva Kant da Hume: la sinteti-cità o analiticità della matematica. E daremmo forsenuova luce al pensiero kantiano: Kant ha ragionenell'affermarne la sinteticità; ma quella sinteticità non èapriori.

Fichte vide chiaramente, e non fu certo il primo, que-sta natura riflessiva della filosofia, vide cioè che l'io, perfilosofare, non doveva che volgere lo sguardo entro disè per ricercarvi l'essere che lo costituiva, invece di di-strarlo tra le tante cose che egli in comunanza di attivitàcon l'infinita moltitudine dei soggetti realizza e chiamamondo; vide che la filosofia doveva essere sforzo intimoed apriori di comprensione e non visione dogmatica edempirica delle cose; ma ebbe il torto di confondere que-sta riflessione con l'astrazione scientifica per fare cosìdella filosofia la somma delle scienze. E invece, da unaparte, in quello che il fichtismo ha di valido, non v'èscienza: non vi ritroviamo infatti legge reale; e dall'altra

213

Page 214: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la scienza con la realtà delle sue leggi è perduta, perchèl'astrazione è posta soltanto in quella riflessione, chenon è propria della scienza e non può costituirla. L'astra-zione importa la relazione reciproca da cui astrarre il ge-nerale; la riflessione richiede senso intimo dell'universa-le Unico in sè da rendere in concetti.

Questa riflessione, dopo la scoperta kantiana dellaconcretezza ottenuta mercè la critica della conoscenza,richiede, vedemmo (cap. I), che questa si trasformi incritica del concreto. Soltanto con questa la riflessione fi-losofica può affermarsi nella sua purezza di riflessione edistinguersi così dalla scienza.

Solo infatti con una critica del concreto potremo otte-nere quella critica dei concetti, che è il fondamento dauna parte di ogni sviluppo dell'indagine metafisica, edall'altra di quel progressivo chiarimento che questadeve portare in ogni campo della concretezza spirituale.

La critica kantiana della conoscenza accetta, senzacritica, i concetti fondamentali che si credono della co-scienza comune e sono invece della filosofia dogmatica;la critica del concreto ricerca sotto il concetto dogmati-co l'esigenza cui questo, solo dogmaticamente, soddisfa,e rinnova criticamente in conformità di essa il concettostesso. Ogni filosofia, si dica pur soltanto filosofia dellospirito, resta naturalistica finchè non cerca in questa piùprofonda e più ampia critica il proprio fondamento.

Perchè la rivoluzione filosofica iniziata da Kant sisvolga, bisogna istituire la critica di quella concretezza,alla quale egli ci menò.

214

la scienza con la realtà delle sue leggi è perduta, perchèl'astrazione è posta soltanto in quella riflessione, chenon è propria della scienza e non può costituirla. L'astra-zione importa la relazione reciproca da cui astrarre il ge-nerale; la riflessione richiede senso intimo dell'universa-le Unico in sè da rendere in concetti.

Questa riflessione, dopo la scoperta kantiana dellaconcretezza ottenuta mercè la critica della conoscenza,richiede, vedemmo (cap. I), che questa si trasformi incritica del concreto. Soltanto con questa la riflessione fi-losofica può affermarsi nella sua purezza di riflessione edistinguersi così dalla scienza.

Solo infatti con una critica del concreto potremo otte-nere quella critica dei concetti, che è il fondamento dauna parte di ogni sviluppo dell'indagine metafisica, edall'altra di quel progressivo chiarimento che questadeve portare in ogni campo della concretezza spirituale.

La critica kantiana della conoscenza accetta, senzacritica, i concetti fondamentali che si credono della co-scienza comune e sono invece della filosofia dogmatica;la critica del concreto ricerca sotto il concetto dogmati-co l'esigenza cui questo, solo dogmaticamente, soddisfa,e rinnova criticamente in conformità di essa il concettostesso. Ogni filosofia, si dica pur soltanto filosofia dellospirito, resta naturalistica finchè non cerca in questa piùprofonda e più ampia critica il proprio fondamento.

Perchè la rivoluzione filosofica iniziata da Kant sisvolga, bisogna istituire la critica di quella concretezza,alla quale egli ci menò.

214

Page 215: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La critica della conoscenza è fondata sul presuppostodogmatico, che la conoscenza sia la via che mena il sog-getto che è coscienza, alla oggettività dell'essere chenon è coscienza. Conservare il concetto di critica dellaconoscenza e su esso costruire la filosofia, sia idealisticaquanto si voglia, è conservare quel concetto strumentaledella conoscenza, per negare il quale non sapremo e nonpotremo far altro che negare l'oggettività.

Il vero è che fermandoci nel concetto di critica dellaconoscenza non abbiamo neppure cominciato a scoprirequella concretezza che è la scoperta vera della rivoluzio-ne kantiana.

Per scoprir questa bisogna cominciare dal dimenticareassolutamente l'antitesi realistica dell'oggetto, che, per-chè cosa reale in sè, non è soggetto, e soltanto così hal'essere, e del soggetto, che, perchè coscienza, si opponeall'oggetto, non è oggetto, e perciò non ha essere, non è.

Su questo, che è terreno realistico e non idealistico, lafilosofia non si affaccerà neppure alla concretezza spiri-tuale e continuerà, per affermarsi in un qualche modo, anegare l'esperienza; su quel terreno l'esperienza conti-nuerà a concepirsi realisticamente e sarà quindi inespli-cabile. Non farà che porci in contraddizione con noistessi.

215

La critica della conoscenza è fondata sul presuppostodogmatico, che la conoscenza sia la via che mena il sog-getto che è coscienza, alla oggettività dell'essere chenon è coscienza. Conservare il concetto di critica dellaconoscenza e su esso costruire la filosofia, sia idealisticaquanto si voglia, è conservare quel concetto strumentaledella conoscenza, per negare il quale non sapremo e nonpotremo far altro che negare l'oggettività.

Il vero è che fermandoci nel concetto di critica dellaconoscenza non abbiamo neppure cominciato a scoprirequella concretezza che è la scoperta vera della rivoluzio-ne kantiana.

Per scoprir questa bisogna cominciare dal dimenticareassolutamente l'antitesi realistica dell'oggetto, che, per-chè cosa reale in sè, non è soggetto, e soltanto così hal'essere, e del soggetto, che, perchè coscienza, si opponeall'oggetto, non è oggetto, e perciò non ha essere, non è.

Su questo, che è terreno realistico e non idealistico, lafilosofia non si affaccerà neppure alla concretezza spiri-tuale e continuerà, per affermarsi in un qualche modo, anegare l'esperienza; su quel terreno l'esperienza conti-nuerà a concepirsi realisticamente e sarà quindi inespli-cabile. Non farà che porci in contraddizione con noistessi.

215

Page 216: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

45. Spiegazione di pregiudizi realistici.

Il rinnovato concetto di esperienza che noi abbiamoesplicato dalla esigenza della alterità nella coscienza co-mune, ci mette in grado di intendere la genesi degli er-rori che il realismo commette nell'esplicare la forma dicoscienza che dicesi esperienza.

Il concetto che il realismo ci dava della esperienza, hala sua origine nella presenza della cosa reale nella espe-rienza. L'altro che con l'uno è fattore della cosa reale,appunto per questo, non è, e giustamente, ritenutol'oggetto della esperienza: esso tale non è. Oggetto dellaesperienza è la cosa reale.

Ma la riflessione filosofica, siccome non aveva anco-ra esplicata l'alterità come la condizione trascendentaledella esperienza, commise, nella spiegazione di questa,un duplice errore.

Da una parte pose questa cosa reale proprio comel'altro, del quale c'è l'esigenza nella coscienza di espe-rienza. Altro, che, con la sua necessità di costituita cosa,con la sua necessitante essenza, si imponeva come taleallo sperimentante il quale non poteva fare altro che su-birla. Quindi la concezione della cosa reale come undato della esperienza, il quale, mentre è un dato, pur im-prime esso nello sperimentante la propria forma.

Noi abbiam visto invece che la cosa, che è presentenella esperienza, non è che l'oggetto-idea che è non ildato, ma il prodotto della reciproca attività unificantedei soggetti.

216

45. Spiegazione di pregiudizi realistici.

Il rinnovato concetto di esperienza che noi abbiamoesplicato dalla esigenza della alterità nella coscienza co-mune, ci mette in grado di intendere la genesi degli er-rori che il realismo commette nell'esplicare la forma dicoscienza che dicesi esperienza.

Il concetto che il realismo ci dava della esperienza, hala sua origine nella presenza della cosa reale nella espe-rienza. L'altro che con l'uno è fattore della cosa reale,appunto per questo, non è, e giustamente, ritenutol'oggetto della esperienza: esso tale non è. Oggetto dellaesperienza è la cosa reale.

Ma la riflessione filosofica, siccome non aveva anco-ra esplicata l'alterità come la condizione trascendentaledella esperienza, commise, nella spiegazione di questa,un duplice errore.

Da una parte pose questa cosa reale proprio comel'altro, del quale c'è l'esigenza nella coscienza di espe-rienza. Altro, che, con la sua necessità di costituita cosa,con la sua necessitante essenza, si imponeva come taleallo sperimentante il quale non poteva fare altro che su-birla. Quindi la concezione della cosa reale come undato della esperienza, il quale, mentre è un dato, pur im-prime esso nello sperimentante la propria forma.

Noi abbiam visto invece che la cosa, che è presentenella esperienza, non è che l'oggetto-idea che è non ildato, ma il prodotto della reciproca attività unificantedei soggetti.

216

Page 217: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

D'accordo nel ritenere reale ciò che all'esperienza ri-sulta. Ma appunto il risultare della cosa reale alla espe-rienza esclude che essa sia il dato come reale già primaed indipendentemente da ogni esperienza (cosa realisti-ca).

Cosa reale è dunque quella che risulta alla esperien-za, perchè risulta dalla esperienza.

Presupposto trascendentale della esperienza, quindi,non è il misterioso dato, ma la singolare molteplicitàspirituale, che dicesi soggettività. Presupposto è che nonpossa assolutamente mai parlarsi di un solo sperimen-tante, ma sempre e necessariamente di sperimentanti.Solo così è possibile l'esperienza e si ha come risultatola cosa sperimentata.

Quando noi dunque abbiam raggiunto nella reciproci-tà spirituale il concetto metafisico di esperienza – nonspaventi questa metafisicità del concetto di esperienza:in metafisica tutto è metafisico, e chi ricordi la conce-zione che abbiam presentata della metafisica, dovrebbecomprendere che cosa ciò importi – raggiunto dunquetal concetto, possiamo anche spiegare perchè l'esperien-za appaia e sia stata interpretata come rapporto dellacosa data con la mente che ne ha coscienza. Si spogliquesto stesso rapporto cosa-mente del pregiudizio reali-stico, pel quale si pensa che la realtà debba, per essertale, negare la mente, e la mente debba, per esser tale,non avere realtà, e di quello atomistico pel quale si cre-dono i reali delle entità assolutamente scisse l'una

217

D'accordo nel ritenere reale ciò che all'esperienza ri-sulta. Ma appunto il risultare della cosa reale alla espe-rienza esclude che essa sia il dato come reale già primaed indipendentemente da ogni esperienza (cosa realisti-ca).

Cosa reale è dunque quella che risulta alla esperien-za, perchè risulta dalla esperienza.

Presupposto trascendentale della esperienza, quindi,non è il misterioso dato, ma la singolare molteplicitàspirituale, che dicesi soggettività. Presupposto è che nonpossa assolutamente mai parlarsi di un solo sperimen-tante, ma sempre e necessariamente di sperimentanti.Solo così è possibile l'esperienza e si ha come risultatola cosa sperimentata.

Quando noi dunque abbiam raggiunto nella reciproci-tà spirituale il concetto metafisico di esperienza – nonspaventi questa metafisicità del concetto di esperienza:in metafisica tutto è metafisico, e chi ricordi la conce-zione che abbiam presentata della metafisica, dovrebbecomprendere che cosa ciò importi – raggiunto dunquetal concetto, possiamo anche spiegare perchè l'esperien-za appaia e sia stata interpretata come rapporto dellacosa data con la mente che ne ha coscienza. Si spogliquesto stesso rapporto cosa-mente del pregiudizio reali-stico, pel quale si pensa che la realtà debba, per essertale, negare la mente, e la mente debba, per esser tale,non avere realtà, e di quello atomistico pel quale si cre-dono i reali delle entità assolutamente scisse l'una

217

Page 218: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dall'altra18, e allora, vedendosi tali cose, che con l'espe-rienza proviamo, nascere proprio in questa reciprocità disingolari con cui siamo a contatto quando diciamo disperimentare, si intende come la mente razionale, consi-derandosi nella singolarità del soggetto sperimentante,si dica informata, determinata da questa cosa, che è in-vece il prodotto di questo convenire di attività singolari.

Strettamente connesso con questo errore della cosareale come un dato, è l'altro errore realistico della asso-luta singolarità della cosa reale e in sè e nella esperienzache se ne ha.

È questo un vecchio pregiudizio, pel quale si è credu-to e si continua da molti a credere che l'oggetto concretofosse in sè e fosse proprio il questo e il quello singolare,e l'oggettività fosse concreta e stesse proprio in questapluralità, fatta, per ritenerla in sè, irrelativa: pluralità ir-relativa che sono soltanto due parole messe insieme, mache non formano così un concetto. Ritenuta l'oggettivitàquesto essere altro dalla coscienza (identificata col sog-getto) e fuori di questa, l'alterità nella sua molteplicitàera fatta sinonimo di non coscienza, materia, e cometale era vista in una moltitudine infinita e caotica di og-getti stanti a sè ciascuno per suo conto nella propria in-seità.

18 Senza una tale concezione fondamentale si crede di non po-ter poi neppure concepire le relazioni che eventualmente uniscanotali entità. Non ci si accorge che invece proprio quando si pongo-no come reali tali entità separate, riesce impossibile concepire larelazione che, si voglia o non, è negazione di questa separazione.

218

dall'altra18, e allora, vedendosi tali cose, che con l'espe-rienza proviamo, nascere proprio in questa reciprocità disingolari con cui siamo a contatto quando diciamo disperimentare, si intende come la mente razionale, consi-derandosi nella singolarità del soggetto sperimentante,si dica informata, determinata da questa cosa, che è in-vece il prodotto di questo convenire di attività singolari.

Strettamente connesso con questo errore della cosareale come un dato, è l'altro errore realistico della asso-luta singolarità della cosa reale e in sè e nella esperienzache se ne ha.

È questo un vecchio pregiudizio, pel quale si è credu-to e si continua da molti a credere che l'oggetto concretofosse in sè e fosse proprio il questo e il quello singolare,e l'oggettività fosse concreta e stesse proprio in questapluralità, fatta, per ritenerla in sè, irrelativa: pluralità ir-relativa che sono soltanto due parole messe insieme, mache non formano così un concetto. Ritenuta l'oggettivitàquesto essere altro dalla coscienza (identificata col sog-getto) e fuori di questa, l'alterità nella sua molteplicitàera fatta sinonimo di non coscienza, materia, e cometale era vista in una moltitudine infinita e caotica di og-getti stanti a sè ciascuno per suo conto nella propria in-seità.

18 Senza una tale concezione fondamentale si crede di non po-ter poi neppure concepire le relazioni che eventualmente uniscanotali entità. Non ci si accorge che invece proprio quando si pongo-no come reali tali entità separate, riesce impossibile concepire larelazione che, si voglia o non, è negazione di questa separazione.

218

Page 219: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Questa grossolana concezione della inseità di cosesingolari cominciò Kant a scalzare, proclamando da unaparte la empiricità soggettiva di tali cose singolari, cioèil loro ridursi a stati di coscienza di un determinato sog-getto senziente, e dall'altra la inconoscibilità di quell'insè che prima di lui si riteneva che esse costituissero. Maperchè essa sia del tutto distrutta dalle sue fondamentabisogna riconoscere nell'oggetto ideale proprio lo stessoessere in sè e nell'oggetto reale l'essere non in sè ma re-lativo.

Il concreto non sta nè in quell'Oggetto in sè nè in que-sto oggetto relativo.

La concretezza non è oggettività, e non è neppure sin-golarità, che sarebbe proprio quella soggettività, che, in-debitamente scacciata dalla concretezza, si vendica colsostituirsi pienamente, nel regno del concreto, alla usur-patrice oggettività.

Però, dicevo, e della concretezza e della inseità dellecose singolari come tali, cominciò già Kant a dare espli-cita condanna.

Ma anche accettata questa condanna, ed anche ridottala cosa della esperienza alla empiricità kantiana, è anco-ra oggi tacita ammissione comune, indiscussa e presup-posta senz'altro come indubitabile, che della esperienzacome tale sia oggetto proprio la cosa singolare, il questoe il quello.

Ora questa ammissione è ancora uno strascicodell'errore realistico delle cose concrete come in sè ecome singolari, ed è come il corrispondente oggettivo

219

Questa grossolana concezione della inseità di cosesingolari cominciò Kant a scalzare, proclamando da unaparte la empiricità soggettiva di tali cose singolari, cioèil loro ridursi a stati di coscienza di un determinato sog-getto senziente, e dall'altra la inconoscibilità di quell'insè che prima di lui si riteneva che esse costituissero. Maperchè essa sia del tutto distrutta dalle sue fondamentabisogna riconoscere nell'oggetto ideale proprio lo stessoessere in sè e nell'oggetto reale l'essere non in sè ma re-lativo.

Il concreto non sta nè in quell'Oggetto in sè nè in que-sto oggetto relativo.

La concretezza non è oggettività, e non è neppure sin-golarità, che sarebbe proprio quella soggettività, che, in-debitamente scacciata dalla concretezza, si vendica colsostituirsi pienamente, nel regno del concreto, alla usur-patrice oggettività.

Però, dicevo, e della concretezza e della inseità dellecose singolari come tali, cominciò già Kant a dare espli-cita condanna.

Ma anche accettata questa condanna, ed anche ridottala cosa della esperienza alla empiricità kantiana, è anco-ra oggi tacita ammissione comune, indiscussa e presup-posta senz'altro come indubitabile, che della esperienzacome tale sia oggetto proprio la cosa singolare, il questoe il quello.

Ora questa ammissione è ancora uno strascicodell'errore realistico delle cose concrete come in sè ecome singolari, ed è come il corrispondente oggettivo

219

Page 220: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

del sopranotato pregiudizio della assoluta singolaritàdello sperimentante chiuso nella propria esperienza: pre-giudizio dovuto all'insufficiente critica del concetto disingolarità che si riteneva dovesse escludere la comu-nanza, mentre la richiede, perchè richiede alterità equindi reciprocità.

L'esperienza, abbiam visto, importa proprio reciproci-tà tra singolari; ma la cosa di cui si ha esperienza e chedi questa è prodotto, non è certo il singolare con cui si èin reciprocità. È questo l'inganno in cui ci tira il soprac-cennato pregiudizio atomistico, pel quale non sappiamospogliarci della credenza che il questo sia sempre asso-lutamente di là del quello, e che quindi, se l'esperienza èesigenza della singolarità, lo sperimentato sia propriosingolare. Così tal singolare della esperienza sarebbefattura dello sperimentante, e quindi scomparirebbecome singolare di cui c'è l'esigenza nella coscienza dasoddisfarsi proprio con l'esperienza. Cioè proprio se losperimentato fosse il singolare, l'esigenza della singola-rità non sarebbe soddisfatta ma tolta dalla esperienza.Questo errore dell'annullamento della singolarità è erro-re in cui cade anche l'idealismo, appunto perchè conser-va come proprio della specifica esperienza il concettodogmatico della singolarità atomistica, concetto assurdoche dobbiamo negare proprio per affermare la singolari-tà. Negare la singolarità atomistica non deve essere ne-gare la singolarità, ma salire al concetto critico di que-sta. Se no, l'esperienza tornerebbe ad essere, come ab-

220

del sopranotato pregiudizio della assoluta singolaritàdello sperimentante chiuso nella propria esperienza: pre-giudizio dovuto all'insufficiente critica del concetto disingolarità che si riteneva dovesse escludere la comu-nanza, mentre la richiede, perchè richiede alterità equindi reciprocità.

L'esperienza, abbiam visto, importa proprio reciproci-tà tra singolari; ma la cosa di cui si ha esperienza e chedi questa è prodotto, non è certo il singolare con cui si èin reciprocità. È questo l'inganno in cui ci tira il soprac-cennato pregiudizio atomistico, pel quale non sappiamospogliarci della credenza che il questo sia sempre asso-lutamente di là del quello, e che quindi, se l'esperienza èesigenza della singolarità, lo sperimentato sia propriosingolare. Così tal singolare della esperienza sarebbefattura dello sperimentante, e quindi scomparirebbecome singolare di cui c'è l'esigenza nella coscienza dasoddisfarsi proprio con l'esperienza. Cioè proprio se losperimentato fosse il singolare, l'esigenza della singola-rità non sarebbe soddisfatta ma tolta dalla esperienza.Questo errore dell'annullamento della singolarità è erro-re in cui cade anche l'idealismo, appunto perchè conser-va come proprio della specifica esperienza il concettodogmatico della singolarità atomistica, concetto assurdoche dobbiamo negare proprio per affermare la singolari-tà. Negare la singolarità atomistica non deve essere ne-gare la singolarità, ma salire al concetto critico di que-sta. Se no, l'esperienza tornerebbe ad essere, come ab-

220

Page 221: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

biamo visto che è per il realismo, contradditoria ed im-possibile.

La più empirica dunque delle cose non può spogliarsidella generalità; se ne toglierebbe infatti ogni essenza,cioè non si sperimenterebbe nulla.

Come l'esser dato così la singolarità della cosa realeci si chiarisce come un pregiudizio nato dalla insuffi-ciente elaborazione critica del concetto di esperienza,nella evidente esigenza che questa ha di singolarità dauna parte, di cose reali dall'altra.

Noi abbiam detto che tutta la realtà d'esperienza si as-somma in quella comprensiva, somma cosa reale che di-ciamo natura.

Ora noi possiamo moltiplicar questa fin che voglia-mo: da una parte non raggiungeremo mai la numericasingolarità dei soggetti producenti, dall'altra non perde-remo mai la legge che unifica.

La cosa d'esperienza non mi risulterà mai assoluta-mente singolare, per sforzi ch'io faccia per farmela risul-tare tale; non mi risulterà mai, perchè sarà pur sempreuna cosa.

E ciò, non perchè io aggiunga con l'intelletto purol'idea pura della cosa che ne costituisce l'essenza e cheio non potrei che aver tratto dall'iperuranio, ma perchèla cosa dell'esperienza, appunto perchè in qualche modocosa, è pur sempre unificazione.

Scendere dalla generalissima cosa che diciamo naturaalla più determinata cosa nella sua propria esistenza,questa pietra o questo animale o questo uomo, non è af-

221

biamo visto che è per il realismo, contradditoria ed im-possibile.

La più empirica dunque delle cose non può spogliarsidella generalità; se ne toglierebbe infatti ogni essenza,cioè non si sperimenterebbe nulla.

Come l'esser dato così la singolarità della cosa realeci si chiarisce come un pregiudizio nato dalla insuffi-ciente elaborazione critica del concetto di esperienza,nella evidente esigenza che questa ha di singolarità dauna parte, di cose reali dall'altra.

Noi abbiam detto che tutta la realtà d'esperienza si as-somma in quella comprensiva, somma cosa reale che di-ciamo natura.

Ora noi possiamo moltiplicar questa fin che voglia-mo: da una parte non raggiungeremo mai la numericasingolarità dei soggetti producenti, dall'altra non perde-remo mai la legge che unifica.

La cosa d'esperienza non mi risulterà mai assoluta-mente singolare, per sforzi ch'io faccia per farmela risul-tare tale; non mi risulterà mai, perchè sarà pur sempreuna cosa.

E ciò, non perchè io aggiunga con l'intelletto purol'idea pura della cosa che ne costituisce l'essenza e cheio non potrei che aver tratto dall'iperuranio, ma perchèla cosa dell'esperienza, appunto perchè in qualche modocosa, è pur sempre unificazione.

Scendere dalla generalissima cosa che diciamo naturaalla più determinata cosa nella sua propria esistenza,questa pietra o questo animale o questo uomo, non è af-

221

Page 222: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

fatto perdere l'unificazione: l'esser pietra o animale ouomo come cose reali, cioè nella loro oggettività d'espe-rienza, non può che esser legge d'esperienza: deve cioèsuperare la singolarità del questo e del quello.

E se volessimo raggiungere il puro questo o puroquello, ci sforzeremmo di superare l'esperienza, comeappunto noi stiamo facendo, per intenderla: non speri-menteremmo, speculeremmo.

Questa intrinsecità di leggi alla esperienza, questopossesso di una essenza da parte delle cose reali speri-mentate, non si è finora chiaramente visto, perchèl'uomo, mentre nella effettiva esperienza non fa che git-tarsi con tutto il suo essere nella feconda lotta creativadel reale, nello sforzo metafisico che fa per intendere,nelle sue condizioni fondamentali originarie, questa suaesperienza, nella riflessione che fa su di essa, non sa ve-dersi in questa universale comunione che è l'esperienza,e scambia la propria singolarità spirituale con la realtàd'esperienza. E si pone, in quanto sperimentante, comecosa assolutamente singolare: e così singolarizza ilmondo, rompe in tante cose singole, che invano cerche-rà poi di raccapezzare, quella natura, di cui egli, pur conla propria esperienza, vive l'unità.

La cosa reale non è dunque un dato singolare: è sem-pre convenire di molti.

Ma non è neppure l'assoluta unicità. Quindi, vedem-mo, la mobilità dei limiti: la cosa dello scienziato diver-sa da quella dell'uomo volgare.

222

fatto perdere l'unificazione: l'esser pietra o animale ouomo come cose reali, cioè nella loro oggettività d'espe-rienza, non può che esser legge d'esperienza: deve cioèsuperare la singolarità del questo e del quello.

E se volessimo raggiungere il puro questo o puroquello, ci sforzeremmo di superare l'esperienza, comeappunto noi stiamo facendo, per intenderla: non speri-menteremmo, speculeremmo.

Questa intrinsecità di leggi alla esperienza, questopossesso di una essenza da parte delle cose reali speri-mentate, non si è finora chiaramente visto, perchèl'uomo, mentre nella effettiva esperienza non fa che git-tarsi con tutto il suo essere nella feconda lotta creativadel reale, nello sforzo metafisico che fa per intendere,nelle sue condizioni fondamentali originarie, questa suaesperienza, nella riflessione che fa su di essa, non sa ve-dersi in questa universale comunione che è l'esperienza,e scambia la propria singolarità spirituale con la realtàd'esperienza. E si pone, in quanto sperimentante, comecosa assolutamente singolare: e così singolarizza ilmondo, rompe in tante cose singole, che invano cerche-rà poi di raccapezzare, quella natura, di cui egli, pur conla propria esperienza, vive l'unità.

La cosa reale non è dunque un dato singolare: è sem-pre convenire di molti.

Ma non è neppure l'assoluta unicità. Quindi, vedem-mo, la mobilità dei limiti: la cosa dello scienziato diver-sa da quella dell'uomo volgare.

222

Page 223: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

In ultimo si intende ancora come, posta una realtàcomposta di dati singolari, quei singolari soggetti, chenella loro purezza sono la condizione trascendentaledella esperienza, si presentassero, nel realismo,anch'essi come nient'altro che dati singolari.

Quindi l'impossibilità di ogni effettivo produrre.Quei singolari, invece, sono; cioè hanno una attività

che intrinsecamente li costituisce. E perciò non sono deipuri dati. Essi fanno: il concreto è realizzazione (cioèimplicita attuazione) dell'Oggetto da parte dei soggettiche ne sono costituiti.

46. La distinzione filosofica della cosa come distin-zione tra cosa in sè e cosa reale.

Chiarito, così, come si possa e si debba dar ragionedella esigenza che la coscienza comune ci presenta nellaesperienza, senza per questo ricorrere alla cosa in sè rea-listica, intendiamo con maggiore chiarezza quella distin-zione filosofica che pareva intrinsecamente realistica, eche noi abbiamo già giustificata come essenzialmenteidealistica (§§ 30, 33).

Il valore della distinzione pare rovesciato: la cosa insè (l'oggetto-cosa) è proprio non realtà ma oggetto purodella coscienza; la cosa conosciuta (oggetto-idea) è nonpura oggettività di coscienza ma realtà.

Così intendiamo come si possa parlare di realtà senzauscire dalla coscienza; e si possa parlare di coscienzapur affermando l'oggettività.

La distinzione vera non è tra oggetto-cosa e oggetto-idea, ma tra cosa in sè e cosa reale. Quella distinzione

223

In ultimo si intende ancora come, posta una realtàcomposta di dati singolari, quei singolari soggetti, chenella loro purezza sono la condizione trascendentaledella esperienza, si presentassero, nel realismo,anch'essi come nient'altro che dati singolari.

Quindi l'impossibilità di ogni effettivo produrre.Quei singolari, invece, sono; cioè hanno una attività

che intrinsecamente li costituisce. E perciò non sono deipuri dati. Essi fanno: il concreto è realizzazione (cioèimplicita attuazione) dell'Oggetto da parte dei soggettiche ne sono costituiti.

46. La distinzione filosofica della cosa come distin-zione tra cosa in sè e cosa reale.

Chiarito, così, come si possa e si debba dar ragionedella esigenza che la coscienza comune ci presenta nellaesperienza, senza per questo ricorrere alla cosa in sè rea-listica, intendiamo con maggiore chiarezza quella distin-zione filosofica che pareva intrinsecamente realistica, eche noi abbiamo già giustificata come essenzialmenteidealistica (§§ 30, 33).

Il valore della distinzione pare rovesciato: la cosa insè (l'oggetto-cosa) è proprio non realtà ma oggetto purodella coscienza; la cosa conosciuta (oggetto-idea) è nonpura oggettività di coscienza ma realtà.

Così intendiamo come si possa parlare di realtà senzauscire dalla coscienza; e si possa parlare di coscienzapur affermando l'oggettività.

La distinzione vera non è tra oggetto-cosa e oggetto-idea, ma tra cosa in sè e cosa reale. Quella distinzione

223

Page 224: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

filosofica, che fu tratta a formula sintetica di schiettorealismo, non fa invece che esplicare il genuino concet-to di cosa che troviamo nella coscienza comune. Essainfatti ci dice che la cosa in sè, in quanto oggetto puro,non è da scambiarsi con la cosa reale che risultaall'esperienza. Questa è relativa, quella è assoluta; que-sta è la cosa nel suo generarsi, quella è il principio stes-so immanente alla generazione; quella è Dio, questa ènatura.

La distinzione, che la filosofia scopre entro la cosa,rimane, pur non rimanendo il realismo col quale quelladistinzione era stata interpretata e falsificata: rifattasi in-genua nella coscienza comune, la filosofia corregge esviluppa sè stessa.

Se infatti la cosa in sè, scopertasi come l'oggetto purodella coscienza, non solo non è fuori della coscienza mane è l'essere costitutivo, è la stessa spiritualità, la cosareale della esperienza in quanto tale non finisce affattodi essere quell'oggetto-idea che la filosofia distinguevadall'oggetto-cosa. Non finisce affatto di essere tale, per-chè, abbiamo visto, è proprio la cosa risultante nella co-scienza dei soggetti dalla soggettività stessa.

Quando così si veda, con chiarezza finora mai rag-giunta, la cosa reale come lo stesso oggetto-idea nellasua distinzione dalla cosa in sè, si intenderà meglio lagrande scoperta di Berkeley della appartenenza, alla co-scienza razionale, di tutte le cose dell'esperienza proprioin quanto cose di esperienza, cose reali. Scoperta chegià essa pone virtualmente fine a tutto quel gran batta-

224

filosofica, che fu tratta a formula sintetica di schiettorealismo, non fa invece che esplicare il genuino concet-to di cosa che troviamo nella coscienza comune. Essainfatti ci dice che la cosa in sè, in quanto oggetto puro,non è da scambiarsi con la cosa reale che risultaall'esperienza. Questa è relativa, quella è assoluta; que-sta è la cosa nel suo generarsi, quella è il principio stes-so immanente alla generazione; quella è Dio, questa ènatura.

La distinzione, che la filosofia scopre entro la cosa,rimane, pur non rimanendo il realismo col quale quelladistinzione era stata interpretata e falsificata: rifattasi in-genua nella coscienza comune, la filosofia corregge esviluppa sè stessa.

Se infatti la cosa in sè, scopertasi come l'oggetto purodella coscienza, non solo non è fuori della coscienza mane è l'essere costitutivo, è la stessa spiritualità, la cosareale della esperienza in quanto tale non finisce affattodi essere quell'oggetto-idea che la filosofia distinguevadall'oggetto-cosa. Non finisce affatto di essere tale, per-chè, abbiamo visto, è proprio la cosa risultante nella co-scienza dei soggetti dalla soggettività stessa.

Quando così si veda, con chiarezza finora mai rag-giunta, la cosa reale come lo stesso oggetto-idea nellasua distinzione dalla cosa in sè, si intenderà meglio lagrande scoperta di Berkeley della appartenenza, alla co-scienza razionale, di tutte le cose dell'esperienza proprioin quanto cose di esperienza, cose reali. Scoperta chegià essa pone virtualmente fine a tutto quel gran batta-

224

Page 225: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

gliare delle opposte scuole circa il provenire della cono-scenza dalle cose che non sono coscienza, o dalla co-scienza stessa. Portate le cose nella coscienza, il terrenodella lotta si sprofondava sotto i piedi dei contendenti.

Il che solo Kant capì profondamente e fece sentire,facendo però sentire anche quella che era la maggior de-ficienza di Berkeley: l'annullamento della cosa in sècome tale, implicito nell'annullamento dell'universale. Esi sforzò quindi di ridar valore alla detta distinzione filo-sofica della cosa: l'esigenza della cosa in sè si ripresen-tava, nonostante l'appartenenza della cosa empirica allacoscienza. Kant non seppe però giustificarla appieno:concetti realistici in lui persistenti glielo impedivano; ri-cadeva quindi al di sotto di Berkeley proprio con quelconcetto con cui doveva superarlo e integrarlo.

Noi crediamo di aver data questa giustificazione chemancò a Kant. E perciò, per questa distinzione che noiconserviamo e giustifichiamo, traiamo, da quella appar-tenenza della empiricità alla coscienza, conseguenze di-verse da quelle che lo sviluppo dell'idealismo trascen-dentale kantiano aveva tratte. Questo aveva annullataquella empiricità, perchè non vide l'essenziale moltepli-cità dei soggetti, dei quali non seppe neppure porre ilproblema; l'aveva annullata, perchè la considerava anco-ra realisticamente: negazione del Soggetto vero, quellounico ed assoluto. Noi l'affermiamo nella sua positività:la natura, proprio come natura, non è negazione dellaspiritualità.

225

gliare delle opposte scuole circa il provenire della cono-scenza dalle cose che non sono coscienza, o dalla co-scienza stessa. Portate le cose nella coscienza, il terrenodella lotta si sprofondava sotto i piedi dei contendenti.

Il che solo Kant capì profondamente e fece sentire,facendo però sentire anche quella che era la maggior de-ficienza di Berkeley: l'annullamento della cosa in sècome tale, implicito nell'annullamento dell'universale. Esi sforzò quindi di ridar valore alla detta distinzione filo-sofica della cosa: l'esigenza della cosa in sè si ripresen-tava, nonostante l'appartenenza della cosa empirica allacoscienza. Kant non seppe però giustificarla appieno:concetti realistici in lui persistenti glielo impedivano; ri-cadeva quindi al di sotto di Berkeley proprio con quelconcetto con cui doveva superarlo e integrarlo.

Noi crediamo di aver data questa giustificazione chemancò a Kant. E perciò, per questa distinzione che noiconserviamo e giustifichiamo, traiamo, da quella appar-tenenza della empiricità alla coscienza, conseguenze di-verse da quelle che lo sviluppo dell'idealismo trascen-dentale kantiano aveva tratte. Questo aveva annullataquella empiricità, perchè non vide l'essenziale moltepli-cità dei soggetti, dei quali non seppe neppure porre ilproblema; l'aveva annullata, perchè la considerava anco-ra realisticamente: negazione del Soggetto vero, quellounico ed assoluto. Noi l'affermiamo nella sua positività:la natura, proprio come natura, non è negazione dellaspiritualità.

225

Page 226: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Entro la stessa coscienza va dunque distinta la cosareale dalla cosa in sè.

La cosa reale non sarà mai, come tale, la cosa in sè;non sarà quel quid unificante unico e semplicissimo,quell'Oggetto assoluto che ci è risultato come tale.

Questo ciascuno sente in sè proprio e solo quando,dalla reciprocità che è l'esperienza, cerca di levarsi oprofondarsi alla condizione immanente di essa nella suapurezza, al suo principio unico assoluto. È quel che hansentito i grandi spiriti, quando, esperienza o non espe-rienza, alla voce interiore, unica ed assoluta si son ri-chiamati: Agostino, Cartesio, Spinoza, Fichte insegnino.

47. Esperienza e coscienza concreta.

L'esigenza della esperienza sarà dunque soddisfattaproprio da quella realtà, la cui essenza non sta nel nega-re la coscienza, ma nell'attuarne i rapporti, sarà soddi-sfatta proprio dalla soggettività intesa come positiva al-terità di coscienza nella sua molteplicità.

Ma perchè ciò sia, non deve l'alterità come tale esau-rire la coscienza: cioè l'alterità deve essere soltanto rap-porto tra soggetti, e non rapporto tra soggetti ed oggetto.Un tale rapporto non è rapporto; non c'è. Concepire an-che in questo ultimo modo l'alterità è negarla, perchè èrendere impossibili gli «altri»: l'alterità chiama l'unonello stesso ambito e natura dell'altro. Perciò non puòneppure reciprocamente l'essere in sè (oggetto) essere

226

Entro la stessa coscienza va dunque distinta la cosareale dalla cosa in sè.

La cosa reale non sarà mai, come tale, la cosa in sè;non sarà quel quid unificante unico e semplicissimo,quell'Oggetto assoluto che ci è risultato come tale.

Questo ciascuno sente in sè proprio e solo quando,dalla reciprocità che è l'esperienza, cerca di levarsi oprofondarsi alla condizione immanente di essa nella suapurezza, al suo principio unico assoluto. È quel che hansentito i grandi spiriti, quando, esperienza o non espe-rienza, alla voce interiore, unica ed assoluta si son ri-chiamati: Agostino, Cartesio, Spinoza, Fichte insegnino.

47. Esperienza e coscienza concreta.

L'esigenza della esperienza sarà dunque soddisfattaproprio da quella realtà, la cui essenza non sta nel nega-re la coscienza, ma nell'attuarne i rapporti, sarà soddi-sfatta proprio dalla soggettività intesa come positiva al-terità di coscienza nella sua molteplicità.

Ma perchè ciò sia, non deve l'alterità come tale esau-rire la coscienza: cioè l'alterità deve essere soltanto rap-porto tra soggetti, e non rapporto tra soggetti ed oggetto.Un tale rapporto non è rapporto; non c'è. Concepire an-che in questo ultimo modo l'alterità è negarla, perchè èrendere impossibili gli «altri»: l'alterità chiama l'unonello stesso ambito e natura dell'altro. Perciò non puòneppure reciprocamente l'essere in sè (oggetto) essere

226

Page 227: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

l'uno, il cui altro sia soggetto: in tal modo si ottienecome altro «quello che meramente mai non è» come di-ceva Platone, e Rosmini ci ricorda e torna a dire (Teoso-fia, I, 677); e quindi anche l'uno (l'essere in sè) è neces-sariamente tratto nel non essere dell'altro. L'alterità èsemplicemente negata, ed è insieme negato tutto. L'alte-rità invece è sempre e soltanto positiva: dell'Unico nonc'è altro. Il puro nulla non è altro dall'essere; ma pura-mente e semplicemente non è. Il nulla come parola, perquanto come tale nulla significhi, pure non è già più ilpuro nulla.

Con questo approfondimento del concetto di altro econ questa soddisfazione della sua esigenza è connessoun importantissimo chiarimento del concetto stesso dicoscienza concreta. Se il rapporto, in generale, importariferimento, relazione, e se la relazione esige necessaria-mente l'alterità, non può più concepirsi la coscienzaconcreta come un rapporto dei soggetti con l'oggetto.

O l'oggetto è l'altro dei soggetti, o la coscienza non èrelazione soggetto-oggetto.

Se accettiamo che l'oggetto sia l'altro dei soggetti sia-mo nella contraddizione del realismo o in quelladell'idealismo dialettico, che sono, nonostante la pretesaloro opposizione, la stessa contraddizione. Dobbiamoinferirne che la coscienza concreta non è relazione: rela-zione è soltanto l'astratta coscienza che dicesi esperien-za. La coscienza concreta infatti non è rapporto; è atto,di cui il rapporto, la relatività, è solo un aspetto: quelloche dicesi esperienza. Il rovescio della quale è quella

227

l'uno, il cui altro sia soggetto: in tal modo si ottienecome altro «quello che meramente mai non è» come di-ceva Platone, e Rosmini ci ricorda e torna a dire (Teoso-fia, I, 677); e quindi anche l'uno (l'essere in sè) è neces-sariamente tratto nel non essere dell'altro. L'alterità èsemplicemente negata, ed è insieme negato tutto. L'alte-rità invece è sempre e soltanto positiva: dell'Unico nonc'è altro. Il puro nulla non è altro dall'essere; ma pura-mente e semplicemente non è. Il nulla come parola, perquanto come tale nulla significhi, pure non è già più ilpuro nulla.

Con questo approfondimento del concetto di altro econ questa soddisfazione della sua esigenza è connessoun importantissimo chiarimento del concetto stesso dicoscienza concreta. Se il rapporto, in generale, importariferimento, relazione, e se la relazione esige necessaria-mente l'alterità, non può più concepirsi la coscienzaconcreta come un rapporto dei soggetti con l'oggetto.

O l'oggetto è l'altro dei soggetti, o la coscienza non èrelazione soggetto-oggetto.

Se accettiamo che l'oggetto sia l'altro dei soggetti sia-mo nella contraddizione del realismo o in quelladell'idealismo dialettico, che sono, nonostante la pretesaloro opposizione, la stessa contraddizione. Dobbiamoinferirne che la coscienza concreta non è relazione: rela-zione è soltanto l'astratta coscienza che dicesi esperien-za. La coscienza concreta infatti non è rapporto; è atto,di cui il rapporto, la relatività, è solo un aspetto: quelloche dicesi esperienza. Il rovescio della quale è quella

227

Page 228: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che dicesi apriorità, pensiero puro che culmina nellosforzo speculativo.

L'esperienza è astrazione; la speculazione è sforzo.Niuna delle due è concretezza (§ 48): entrambe ne sonoinvece condizioni essenziali, perchè rispondenti alle duecondizioni trascendentali della coscienza: la soggettivitàe l'oggettività. Questa duplicità di condizioni, che non èaffatto un due numerico, ha fatto credere alla coscienzacome relazione che è un concetto realistico anch'esso:nasce dal ritenere la coscienza come qualcosa di fronte aqualcos'altro che non è coscienza. Abbandonate sul se-rio questo dualismo realistico e non concepirete più lacoscienza come relazione tra soggetti ed oggetto, rela-zione che idealisticamente finisce col risolversi in unanegazione perchè il termine di cui si dispone è soltantola coscienza. La concezione dialettica contraddittoriadella coscienza dipende adunque anch'essa dal concettorealistico della coscienza come relazione.

Come i concetti di soggetti e di oggetto così anche ilconcetto stesso di coscienza l'idealismo post-kantianonon ha saputo sottoporre a critica e coerentemente rin-novare. A questa critica del concetto di coscienza eramolto vicino l'atto puro gentiliano; non l'ha raggiunta,perchè mancava la richiesta critica dei concetti di sog-getti ed oggetto.

228

che dicesi apriorità, pensiero puro che culmina nellosforzo speculativo.

L'esperienza è astrazione; la speculazione è sforzo.Niuna delle due è concretezza (§ 48): entrambe ne sonoinvece condizioni essenziali, perchè rispondenti alle duecondizioni trascendentali della coscienza: la soggettivitàe l'oggettività. Questa duplicità di condizioni, che non èaffatto un due numerico, ha fatto credere alla coscienzacome relazione che è un concetto realistico anch'esso:nasce dal ritenere la coscienza come qualcosa di fronte aqualcos'altro che non è coscienza. Abbandonate sul se-rio questo dualismo realistico e non concepirete più lacoscienza come relazione tra soggetti ed oggetto, rela-zione che idealisticamente finisce col risolversi in unanegazione perchè il termine di cui si dispone è soltantola coscienza. La concezione dialettica contraddittoriadella coscienza dipende adunque anch'essa dal concettorealistico della coscienza come relazione.

Come i concetti di soggetti e di oggetto così anche ilconcetto stesso di coscienza l'idealismo post-kantianonon ha saputo sottoporre a critica e coerentemente rin-novare. A questa critica del concetto di coscienza eramolto vicino l'atto puro gentiliano; non l'ha raggiunta,perchè mancava la richiesta critica dei concetti di sog-getti ed oggetto.

228

Page 229: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO VI.DIO OGGETTO DELLA FILOSOFIA

48. L'individuazione della coscienza: il concre-to.

Positività, dunque, dell'Essere unico in sè; positivitàdell'altro, molteplice, relativo, reciproco.

O dualismo, dunque, ci si dirà, e quindi realismo; oproprio quella dialettica contraddittoria, contro la qualetante volte vi siete scagliato. Nè l'uno, nè l'altra, rispon-do. Chi dinanzi a questo bivio mi pone, o si pone, nonriflette che l'Essere unico, la cosa in sè è l'Oggetto, cioèl'essere in sè di quel molteplice relativo che sono i sog-getti; Oggetto e soggetti di quella coscienza che è l'atti-vità concreta, che è il concreto.

Che non sia dualismo, facilmente forse mi si crederà,ma facendomi pagare la concessione a prezzo della con-traddizione dialettica e mia; anche mia, giacchè se lo

229

CAPITOLO VI.DIO OGGETTO DELLA FILOSOFIA

48. L'individuazione della coscienza: il concre-to.

Positività, dunque, dell'Essere unico in sè; positivitàdell'altro, molteplice, relativo, reciproco.

O dualismo, dunque, ci si dirà, e quindi realismo; oproprio quella dialettica contraddittoria, contro la qualetante volte vi siete scagliato. Nè l'uno, nè l'altra, rispon-do. Chi dinanzi a questo bivio mi pone, o si pone, nonriflette che l'Essere unico, la cosa in sè è l'Oggetto, cioèl'essere in sè di quel molteplice relativo che sono i sog-getti; Oggetto e soggetti di quella coscienza che è l'atti-vità concreta, che è il concreto.

Che non sia dualismo, facilmente forse mi si crederà,ma facendomi pagare la concessione a prezzo della con-traddizione dialettica e mia; anche mia, giacchè se lo

229

Page 230: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Spirito è questo contraddirsi dialettico, io stesso lo attuosolo in quanto mi contraddico. Nè basta contraddirsisolo negando la propria finitezza per l'Infinito; giacchènon abbiamo raggiunto questo, se non ci conserviamonella contraddizione e quindi non rinneghiamo la nostragià precedentemente determinata finitezza, cioè se nonci contraddiciamo noi stessi proprio come determinatifilosofi.

Comunque, noi non accettiamo il prezzo del riscatto.Non lo accettiamo; perchè riscattarci dobbiamo anzitut-to dal realismo, e non è riscattarsi da questo conservarnedogmaticamente i concetti e proclamare la contraddizio-ne che lo sostanzia, la stessa legge della coscienza. Equesto, abbiamo visto (§ 32), è il processo intimodell'idealismo dialettico contraddittorio: il realismo nonè tolto, è conservato. Non lo accettiamo, perchè la con-traddizione dialettica importa che la coscienza sia rap-porto di negazione tra i suoi termini, il che noi escludia-mo. Non rapporto adunque tra soggetti ed oggetto, etanto meno loro reciproca negazione. Negare il rapportonon vuol dire porlo contradditorio: vuol dire salire alprincipio del rapporto, cioè alla coscienza concreta, allaspiritualità. Il rapporto, come tale, è astratto; l'abbiamodimostrato nel capitolo precedente.

Dualismo, adunque? No; o almeno non certo quelloche meni al vecchio realismo. Nulla, infatti, si oppone oè assolutamente di là dal concreto, che è spiritualità.Oggetto e soggetti non significano nulla fuori del con-

230

Spirito è questo contraddirsi dialettico, io stesso lo attuosolo in quanto mi contraddico. Nè basta contraddirsisolo negando la propria finitezza per l'Infinito; giacchènon abbiamo raggiunto questo, se non ci conserviamonella contraddizione e quindi non rinneghiamo la nostragià precedentemente determinata finitezza, cioè se nonci contraddiciamo noi stessi proprio come determinatifilosofi.

Comunque, noi non accettiamo il prezzo del riscatto.Non lo accettiamo; perchè riscattarci dobbiamo anzitut-to dal realismo, e non è riscattarsi da questo conservarnedogmaticamente i concetti e proclamare la contraddizio-ne che lo sostanzia, la stessa legge della coscienza. Equesto, abbiamo visto (§ 32), è il processo intimodell'idealismo dialettico contraddittorio: il realismo nonè tolto, è conservato. Non lo accettiamo, perchè la con-traddizione dialettica importa che la coscienza sia rap-porto di negazione tra i suoi termini, il che noi escludia-mo. Non rapporto adunque tra soggetti ed oggetto, etanto meno loro reciproca negazione. Negare il rapportonon vuol dire porlo contradditorio: vuol dire salire alprincipio del rapporto, cioè alla coscienza concreta, allaspiritualità. Il rapporto, come tale, è astratto; l'abbiamodimostrato nel capitolo precedente.

Dualismo, adunque? No; o almeno non certo quelloche meni al vecchio realismo. Nulla, infatti, si oppone oè assolutamente di là dal concreto, che è spiritualità.Oggetto e soggetti non significano nulla fuori del con-

230

Page 231: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

creto. Hanno valore e significato solo in questo e daquesto.

In breve: noi crediamo di scendere più a fondo diquanto finora si sia fatto nello svelare la natura intimadello spirito; scendere più a fondo, mettendo in eviden-za l'equivoco fondamentale che ciò finora ha vietato:l'identificazione di oggettività con alterità. Conserviamotutta la conquista critica e idealistica fino ad oggi. Nontorniamo al vecchio realismo; anzi abbiam la pretesa discalzarlo dalle fondamenta istituendo la critica del con-creto: solo con questa finisce il realismo e il materiali-smo, che, si voglia o non, ne è il presupposto.

Dinanzi alla riduzione della spiritualità a negatività,riduzione alla quale l'idealismo è stato mano mano por-tato, noi crediamo si debba invece affermare la pienapositività dello spirito.

È stato proprio in Italia dimostrato – questo a me pareil valore storico fondamentale della speculazione delVarisco di fronte all'attualismo del Gentile – con chia-rezza e rigore, che, proprio perchè il dualismo soggetto-oggetto sia superato dalla Critica, bisogna ammettere unrapporto soggetto-soggetto e cioè importare nella spiri-tualità una pluralità di coscienza, che non rinnega laconcretezza spirituale scoperta da Kant mediante la Cri-tica, ma ne è invece condizione indispensabile.

Ora io ritengo che questa affermazione della moltepli-cità, che non può essere se non alterità e quindi rappor-to, richieda a sua volta una unicità oggettiva che non è

231

creto. Hanno valore e significato solo in questo e daquesto.

In breve: noi crediamo di scendere più a fondo diquanto finora si sia fatto nello svelare la natura intimadello spirito; scendere più a fondo, mettendo in eviden-za l'equivoco fondamentale che ciò finora ha vietato:l'identificazione di oggettività con alterità. Conserviamotutta la conquista critica e idealistica fino ad oggi. Nontorniamo al vecchio realismo; anzi abbiam la pretesa discalzarlo dalle fondamenta istituendo la critica del con-creto: solo con questa finisce il realismo e il materiali-smo, che, si voglia o non, ne è il presupposto.

Dinanzi alla riduzione della spiritualità a negatività,riduzione alla quale l'idealismo è stato mano mano por-tato, noi crediamo si debba invece affermare la pienapositività dello spirito.

È stato proprio in Italia dimostrato – questo a me pareil valore storico fondamentale della speculazione delVarisco di fronte all'attualismo del Gentile – con chia-rezza e rigore, che, proprio perchè il dualismo soggetto-oggetto sia superato dalla Critica, bisogna ammettere unrapporto soggetto-soggetto e cioè importare nella spiri-tualità una pluralità di coscienza, che non rinnega laconcretezza spirituale scoperta da Kant mediante la Cri-tica, ma ne è invece condizione indispensabile.

Ora io ritengo che questa affermazione della moltepli-cità, che non può essere se non alterità e quindi rappor-to, richieda a sua volta una unicità oggettiva che non è

231

Page 232: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

nè tal rapporto, nè lo stesso concreto, ma solo il princi-pio immanente in questo.

Così il dualismo soggetto-oggetto non è soltanto su-perato dalla Critica; ma, visto nella esigenza da cui na-sce, è riportato al suo vero valore di individuazione del-la coscienza, e genera le nuove concezioni di soggetti edoggetto, come non più spirito e materia, ovvero mente econcetto, ma singolarità e unicità di coscienza che sonole condizioni trascendentali di tale individuazione. Solocosì comincia a vedersi la possibilità della concretezzascoperta da Kant.

La negazione del dualismo realistico fu il merito, laconquista dell'idealismo post-kantiano, ma fatta con unmezzo che ne compromette fortemente il valore: la ne-gazione della oggettività, che importa poi la riduzioneanche della coscienza a negazione.

Però per tornare alla coscienza come affermazionenon basta la positiva molteplicità dei soggetti. L'oggettorimarrebbe materia o concetto (puro pensato) e cioè ne-gativo, e ci ricondurrebbe necessariamente alla coscien-za dialettica cioè alla sua negatività. Dovremmosenz'altro rifare il processo speculativo nato da Kant, ilquale anch'egli ammetteva, checchè si dica in contrario,la positiva molteplicità dei soggetti. Se l'unicità sta neirapporti dei soggetti tra loro cioè nella loro alterità, ilsoggetto diventa esso questa unicità: la molteplicità èperduta, è negata, e questa negazione si dirà coscienza.

232

nè tal rapporto, nè lo stesso concreto, ma solo il princi-pio immanente in questo.

Così il dualismo soggetto-oggetto non è soltanto su-perato dalla Critica; ma, visto nella esigenza da cui na-sce, è riportato al suo vero valore di individuazione del-la coscienza, e genera le nuove concezioni di soggetti edoggetto, come non più spirito e materia, ovvero mente econcetto, ma singolarità e unicità di coscienza che sonole condizioni trascendentali di tale individuazione. Solocosì comincia a vedersi la possibilità della concretezzascoperta da Kant.

La negazione del dualismo realistico fu il merito, laconquista dell'idealismo post-kantiano, ma fatta con unmezzo che ne compromette fortemente il valore: la ne-gazione della oggettività, che importa poi la riduzioneanche della coscienza a negazione.

Però per tornare alla coscienza come affermazionenon basta la positiva molteplicità dei soggetti. L'oggettorimarrebbe materia o concetto (puro pensato) e cioè ne-gativo, e ci ricondurrebbe necessariamente alla coscien-za dialettica cioè alla sua negatività. Dovremmosenz'altro rifare il processo speculativo nato da Kant, ilquale anch'egli ammetteva, checchè si dica in contrario,la positiva molteplicità dei soggetti. Se l'unicità sta neirapporti dei soggetti tra loro cioè nella loro alterità, ilsoggetto diventa esso questa unicità: la molteplicità èperduta, è negata, e questa negazione si dirà coscienza.

232

Page 233: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Bisogna dunque affermare, insieme con la molteplici-tà dei soggetti, la non materialità, la non passività, la po-sitività spirituale dell'oggetto.

Soggetti ed oggetto sì, dunque, ma pur non più quelladualità, cui il realismo soddisfaceva a suo modo, scam-biandola con l'alterità.

Scambio che l'idealismo conservava. La natura perHegel, si sa, è l'Idea nel suo alienarsi da sè, nel suo esse-re altro «in ihrem Anderssein» (Enciclop. 18, 247).

E non richiamerò mai abbastanza l'attenzione di chimi legge sul dato concetto di alterità. Questa è assoluta-mente impossibile come rapporto con l'Essere, perchè è,per sua natura, rapporto nell'Essere. È questo dell'alteri-tà, cosa concepita, l'assurdo fondamentale di tutta la fi-losofia fino ad oggi. È l'assurdo su cui è fondato, comeil trascendentismo di qualunque sorta, così il dialetti-smo; è l'assurdo che sarà scoperto sempre più come tale,quanto più, con la riflessione filosofica, scopriamo leesigenze di quel concreto in cui siamo.

Col ripresentarsi nella coscienza dei soggetti edell'Oggetto nella loro positività riscopriamo la sempli-cissima cosa che sempre la coscienza si è ritenuta: con-sapevolezza che i soggetti hanno dell'oggetto, atto di af-fermazione che i soggetti fanno dell'oggetto, e non rap-porto di alterità, o, senz'altro, rapporto che i soggettihanno con l'Oggetto come altro da loro.

In tanto dunque noi possiamo uscire dal pregiudiziorealistico senza cadere nel dialettismo contraddittorio, inquanto riscopriamo nei soggetti la positiva molteplicità

233

Bisogna dunque affermare, insieme con la molteplici-tà dei soggetti, la non materialità, la non passività, la po-sitività spirituale dell'oggetto.

Soggetti ed oggetto sì, dunque, ma pur non più quelladualità, cui il realismo soddisfaceva a suo modo, scam-biandola con l'alterità.

Scambio che l'idealismo conservava. La natura perHegel, si sa, è l'Idea nel suo alienarsi da sè, nel suo esse-re altro «in ihrem Anderssein» (Enciclop. 18, 247).

E non richiamerò mai abbastanza l'attenzione di chimi legge sul dato concetto di alterità. Questa è assoluta-mente impossibile come rapporto con l'Essere, perchè è,per sua natura, rapporto nell'Essere. È questo dell'alteri-tà, cosa concepita, l'assurdo fondamentale di tutta la fi-losofia fino ad oggi. È l'assurdo su cui è fondato, comeil trascendentismo di qualunque sorta, così il dialetti-smo; è l'assurdo che sarà scoperto sempre più come tale,quanto più, con la riflessione filosofica, scopriamo leesigenze di quel concreto in cui siamo.

Col ripresentarsi nella coscienza dei soggetti edell'Oggetto nella loro positività riscopriamo la sempli-cissima cosa che sempre la coscienza si è ritenuta: con-sapevolezza che i soggetti hanno dell'oggetto, atto di af-fermazione che i soggetti fanno dell'oggetto, e non rap-porto di alterità, o, senz'altro, rapporto che i soggettihanno con l'Oggetto come altro da loro.

In tanto dunque noi possiamo uscire dal pregiudiziorealistico senza cadere nel dialettismo contraddittorio, inquanto riscopriamo nei soggetti la positiva molteplicità

233

Page 234: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

di coscienza che fu sempre in essi vista dalla coscienzacomune, e nell'oggetto scorgiamo quella unicità di co-scienza, che il pregiudizio realistico ci impediva di ve-dere.

L'oggetto è positivo, proprio perchè non è nè la reali-stica natura, che abbiam visto essere il prodotto dellasoggettiva alterità, nè l'idealistico «pensato» nella suapassività cioè negatività, ma quell'Unico che costituiscei singoli soggetti pensanti ed è quindi, insieme con lamolteplicità di questi, condizione della concreta co-scienza.

Non, dunque, la dialettica contraddittoria di unascienza speculativa che si riconosca difforme dalla co-scienza comune, ma coscienza comune, come consape-volezza che i soggetti hanno dell'oggetto; non dualismorealistico falsificatore della alterità, ma individuazionedella coscienza, individuazione che la coscienza stessariconosce essenziale alla propria concretezza.

Il realismo doveva e voleva rispondere a questa esi-genza di individuazione della coscienza, e invece for-mulò una separazione tra i soggetti che hanno coscienzae le cose che sono fuori della coscienza stessa. E così laconcretezza di questa fu perduta. Di più: proprio mentrevoleva soddisfare questa esigenza intrinseca alla stessacoscienza, mentre questo voleva fare, finiva necessaria-mente col non poter, dal mondo esistente di là dalla co-scienza, far venire fuori questo lucidissimo e pur miste-rioso atto del sapere, e quindi finiva in un monismo ma-

234

di coscienza che fu sempre in essi vista dalla coscienzacomune, e nell'oggetto scorgiamo quella unicità di co-scienza, che il pregiudizio realistico ci impediva di ve-dere.

L'oggetto è positivo, proprio perchè non è nè la reali-stica natura, che abbiam visto essere il prodotto dellasoggettiva alterità, nè l'idealistico «pensato» nella suapassività cioè negatività, ma quell'Unico che costituiscei singoli soggetti pensanti ed è quindi, insieme con lamolteplicità di questi, condizione della concreta co-scienza.

Non, dunque, la dialettica contraddittoria di unascienza speculativa che si riconosca difforme dalla co-scienza comune, ma coscienza comune, come consape-volezza che i soggetti hanno dell'oggetto; non dualismorealistico falsificatore della alterità, ma individuazionedella coscienza, individuazione che la coscienza stessariconosce essenziale alla propria concretezza.

Il realismo doveva e voleva rispondere a questa esi-genza di individuazione della coscienza, e invece for-mulò una separazione tra i soggetti che hanno coscienzae le cose che sono fuori della coscienza stessa. E così laconcretezza di questa fu perduta. Di più: proprio mentrevoleva soddisfare questa esigenza intrinseca alla stessacoscienza, mentre questo voleva fare, finiva necessaria-mente col non poter, dal mondo esistente di là dalla co-scienza, far venire fuori questo lucidissimo e pur miste-rioso atto del sapere, e quindi finiva in un monismo ma-

234

Page 235: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

terialistico, il quale rinnegava lo stesso dualismo, e pelquale la coscienza diveniva un assurdo.

Oggetto e soggetti, adunque, cioè Idealità e realtà nel-la coscienza. Se questa individuazione della coscienzavuol dirsi dualismo idealistico, passi pure, purchè peròsi intenda bene che tal dualismo non ha niente che farecol numero due, il quale importa rapporto di due altri traloro. Lo si dirà forse meglio concretismo, purchè delconcreto teniam lontano quel concetto realistico di sin-golarità oggettiva che abbiam confutato. Il concreto èquell'organicità spirituale in cui noi viviamo, è l'atto cheè il nostro essere, è l'individuazione molteplice di quelquid unificante, mercè la quale ciascuno crea il suo rap-porto con gli altri.

Il realismo, adunque, mentre vuol soddisfare l'esigen-za di individuazione della coscienza, la nega. L'ideali-smo contraddittorio, mentre riconosce questa esigenzacome l'esigenza organica della stessa coscienza, riducequesta organicità a negazione e quindi a negazione lastessa coscienza.

Nella positiva coscienza invece noi troviamo un Og-getto che è ideale proprio perchè oggetto; e dei soggetti,che, proprio perchè consapevole spiritualità, sono reali.Questi soggetti realizzano l'Oggetto ideale; quell'Ogget-to sostanzia i soggetti reali, giacchè è l'Essere in sè.

L'Essere in sè, con la sua ideale oggettività, è il prin-cipio costitutivo dell'essere relativo con la sua reale sog-gettività, ecco quel che ci dice la coscienza concreta,

235

terialistico, il quale rinnegava lo stesso dualismo, e pelquale la coscienza diveniva un assurdo.

Oggetto e soggetti, adunque, cioè Idealità e realtà nel-la coscienza. Se questa individuazione della coscienzavuol dirsi dualismo idealistico, passi pure, purchè peròsi intenda bene che tal dualismo non ha niente che farecol numero due, il quale importa rapporto di due altri traloro. Lo si dirà forse meglio concretismo, purchè delconcreto teniam lontano quel concetto realistico di sin-golarità oggettiva che abbiam confutato. Il concreto èquell'organicità spirituale in cui noi viviamo, è l'atto cheè il nostro essere, è l'individuazione molteplice di quelquid unificante, mercè la quale ciascuno crea il suo rap-porto con gli altri.

Il realismo, adunque, mentre vuol soddisfare l'esigen-za di individuazione della coscienza, la nega. L'ideali-smo contraddittorio, mentre riconosce questa esigenzacome l'esigenza organica della stessa coscienza, riducequesta organicità a negazione e quindi a negazione lastessa coscienza.

Nella positiva coscienza invece noi troviamo un Og-getto che è ideale proprio perchè oggetto; e dei soggetti,che, proprio perchè consapevole spiritualità, sono reali.Questi soggetti realizzano l'Oggetto ideale; quell'Ogget-to sostanzia i soggetti reali, giacchè è l'Essere in sè.

L'Essere in sè, con la sua ideale oggettività, è il prin-cipio costitutivo dell'essere relativo con la sua reale sog-gettività, ecco quel che ci dice la coscienza concreta,

235

Page 236: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

quando ci mette in evidenza la necessità della sua indi-viduazione.

49. Critica dello storicismo: oggettività ed apriorità della filosofia.

La scoperta kantiana della noumenicità della cosa insè come tale ha reso possibile questo concetto del con-creto, il quale, a sua volta, riapre la possibilità di porrenella loro distinzione e risolvere nella loro coerenza ilproblema interno ed il problema oggettivo della filoso-fia (cap. I e § 44); la filosofia, col suo oggetto, si pre-senta possibile entro il concreto.

Il mancato riconoscimento di tale distinzione, invece,nello sviluppo dato alla dottrina kantiana da una partecon l'elevazione della Critica a metafisica (problema in-terno della filosofia confuso col problema oggettivo) edall'altra con l'annullamento della cosa in sè, dovevaportare la filosofia prima a chiudersi in se stessa, privadel suo problema oggettivo, e poi quindi al proprio an-nullamento. L'eliminazione del problema oggettivo, chea Fichte pareva dovesse rendere possibile la soluzionedel problema interno della filosofia, non può invece farealtro che condurre alla eliminazione anche di questo, equindi al completo annullamento della filosofia. Il vuo-tare dell'oggetto la filosofia con la negazione della cosa

236

quando ci mette in evidenza la necessità della sua indi-viduazione.

49. Critica dello storicismo: oggettività ed apriorità della filosofia.

La scoperta kantiana della noumenicità della cosa insè come tale ha reso possibile questo concetto del con-creto, il quale, a sua volta, riapre la possibilità di porrenella loro distinzione e risolvere nella loro coerenza ilproblema interno ed il problema oggettivo della filoso-fia (cap. I e § 44); la filosofia, col suo oggetto, si pre-senta possibile entro il concreto.

Il mancato riconoscimento di tale distinzione, invece,nello sviluppo dato alla dottrina kantiana da una partecon l'elevazione della Critica a metafisica (problema in-terno della filosofia confuso col problema oggettivo) edall'altra con l'annullamento della cosa in sè, dovevaportare la filosofia prima a chiudersi in se stessa, privadel suo problema oggettivo, e poi quindi al proprio an-nullamento. L'eliminazione del problema oggettivo, chea Fichte pareva dovesse rendere possibile la soluzionedel problema interno della filosofia, non può invece farealtro che condurre alla eliminazione anche di questo, equindi al completo annullamento della filosofia. Il vuo-tare dell'oggetto la filosofia con la negazione della cosa

236

Page 237: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

in sè era quindi un inconsapevole tentativo di uccisionedi essa19.

Tale dissoluzione della filosofia ha implicita in sèquell'assoluto storicismo, al quale, condotti da Hegel,oggi si è pervenuti, attraverso una sublimazione di Vico,che, sotto qualche aspetto, a me pare invece una mutila-

19 Il Croce oggi in Italia proclama trionfalmente ed esplicita-mente come suo specifico atto di vita quella uccisione (Critica,1930, fasc. 3°). Ciò proclamando – e del resto vi era già stato im-mediatamente prima un «Crepuscolo dei filosofi» e chi sa quantialtri mai ce ne sono stati nella storia – si mostra solo di non senti-re quelli che veramente sono i «problemi morti» della filosofia ecioè le erronee posizioni in cui essa è incorsa nell'attuare una de-terminata conquista. È farsi sopraffare e travolgere da queste sen-za vederle. La filosofia viva si ride di questi affossatori.

Già molti anni fa (Che cosa è la filosofia? in Riv. di fil., n. 3del 1921,) io denunziai questa conseguenza dell'idealismo post-kantiano nelle due dottrine che in Italia rappresentavano tale idea-lismo: la crociana filosofia dello spirito e il gentiliano attualismo.Allora un giovane seguace di questo protestò, molto inintelligen-temente, ma pur protestò (Giorn. crit. d. fil., 1922, fasc. 2°) con-tro questa accusa Oggi invece da qualcuno che vuol essere ocula-to e rigido guardiano dell'attualismo, si accetta per proprio contocome vero questo annullamento e si sostiene che per far della fi-losofia bisogna far... del diritto o della medicina. Io non so checosa farebbe, se medicina o diritto, l'amico Gentile nel caso chequesta critica di concetti ch'io vengo facendo, voglia esaminare.

Lo stesso Croce poi, che allora, nella cortese risposta che mifece, in fondo ripudiava detto annullamento, perchè esso riguar-dava «la filosofia che si costruisca una volta per sempre, come si-stema definitivo» ed ammetteva invece «che la filosofia è perpe-tua e necessaria» e che v'ha quindi una «filosofia in senso stretto,

237

in sè era quindi un inconsapevole tentativo di uccisionedi essa19.

Tale dissoluzione della filosofia ha implicita in sèquell'assoluto storicismo, al quale, condotti da Hegel,oggi si è pervenuti, attraverso una sublimazione di Vico,che, sotto qualche aspetto, a me pare invece una mutila-

19 Il Croce oggi in Italia proclama trionfalmente ed esplicita-mente come suo specifico atto di vita quella uccisione (Critica,1930, fasc. 3°). Ciò proclamando – e del resto vi era già stato im-mediatamente prima un «Crepuscolo dei filosofi» e chi sa quantialtri mai ce ne sono stati nella storia – si mostra solo di non senti-re quelli che veramente sono i «problemi morti» della filosofia ecioè le erronee posizioni in cui essa è incorsa nell'attuare una de-terminata conquista. È farsi sopraffare e travolgere da queste sen-za vederle. La filosofia viva si ride di questi affossatori.

Già molti anni fa (Che cosa è la filosofia? in Riv. di fil., n. 3del 1921,) io denunziai questa conseguenza dell'idealismo post-kantiano nelle due dottrine che in Italia rappresentavano tale idea-lismo: la crociana filosofia dello spirito e il gentiliano attualismo.Allora un giovane seguace di questo protestò, molto inintelligen-temente, ma pur protestò (Giorn. crit. d. fil., 1922, fasc. 2°) con-tro questa accusa Oggi invece da qualcuno che vuol essere ocula-to e rigido guardiano dell'attualismo, si accetta per proprio contocome vero questo annullamento e si sostiene che per far della fi-losofia bisogna far... del diritto o della medicina. Io non so checosa farebbe, se medicina o diritto, l'amico Gentile nel caso chequesta critica di concetti ch'io vengo facendo, voglia esaminare.

Lo stesso Croce poi, che allora, nella cortese risposta che mifece, in fondo ripudiava detto annullamento, perchè esso riguar-dava «la filosofia che si costruisca una volta per sempre, come si-stema definitivo» ed ammetteva invece «che la filosofia è perpe-tua e necessaria» e che v'ha quindi una «filosofia in senso stretto,

237

Page 238: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

zione (per troppo storicizzare abbiamo perduto il con-cetto di storia).

Oggi pochi intendono che sostituire, come filosofia, ilfatto umano, nella sua vivente determinata realtà, al fat-to naturale è uscire dal positivismo per cadere in un psi-

lavoro più propriamente del filosofo» (Critica, 1922, fasc. 2°),ora vuol essere giudicato come colui che questo «Filosofo» hafatto morire (tralascio le spiritosaggini, che pur, motivate psicolo-gicamente come sono, sarebbero forse ottimo spunto per conti-nuarle; ma esse non depongono a favore della finezza di spiritodel Croce, non la darebbero a chi le continuasse), e si è reso quin-di «procuratore di morte», in quanto «con una nuova orientazionedata alla filosofia, cavata col tirar le somme delle speculazioniprecedenti», ha dimostrato che «l'unico e supremo problema... erainsolubile perchè non sussisteva, e non sussisteva perchè, attenta-mente considerato, si scopriva nient'altro che la confusa totalitàdegli infiniti problemi particolari, ciascuno solubile ed esauribileper sè, ma inesauribili in quella totalità, ossia esauribili soloall'infinito, nella infinità della vita e del pensiero» (Critica, 1930,fasc. 3°).

Il Croce sa che io alla sua filosofia non obietto il «far valere ladistinzione nell'unità» nè «l'inettitudine della filosofia a determi-nare la vita pratica» (ibid.); credo anzi di affermare questi caratte-ri della filosofia anche con maggior nettezza e rigore. Nè gli ri-corderò che l'unità nella quale si deve far valere la distinzione,non è la totalità; nè gli domanderò che cosa sia questa unità nellaquale la distinzione deve valere; non voglio in questa nota entrarein merito del problema, che è discusso ampiamente nel testo e neimiei lavori precedenti.

Gli ricorderò soltanto qualcosa che credo aver già detto altravolta: Egli a questa concezione è venuto «tirando delle somme».

238

zione (per troppo storicizzare abbiamo perduto il con-cetto di storia).

Oggi pochi intendono che sostituire, come filosofia, ilfatto umano, nella sua vivente determinata realtà, al fat-to naturale è uscire dal positivismo per cadere in un psi-

lavoro più propriamente del filosofo» (Critica, 1922, fasc. 2°),ora vuol essere giudicato come colui che questo «Filosofo» hafatto morire (tralascio le spiritosaggini, che pur, motivate psicolo-gicamente come sono, sarebbero forse ottimo spunto per conti-nuarle; ma esse non depongono a favore della finezza di spiritodel Croce, non la darebbero a chi le continuasse), e si è reso quin-di «procuratore di morte», in quanto «con una nuova orientazionedata alla filosofia, cavata col tirar le somme delle speculazioniprecedenti», ha dimostrato che «l'unico e supremo problema... erainsolubile perchè non sussisteva, e non sussisteva perchè, attenta-mente considerato, si scopriva nient'altro che la confusa totalitàdegli infiniti problemi particolari, ciascuno solubile ed esauribileper sè, ma inesauribili in quella totalità, ossia esauribili soloall'infinito, nella infinità della vita e del pensiero» (Critica, 1930,fasc. 3°).

Il Croce sa che io alla sua filosofia non obietto il «far valere ladistinzione nell'unità» nè «l'inettitudine della filosofia a determi-nare la vita pratica» (ibid.); credo anzi di affermare questi caratte-ri della filosofia anche con maggior nettezza e rigore. Nè gli ri-corderò che l'unità nella quale si deve far valere la distinzione,non è la totalità; nè gli domanderò che cosa sia questa unità nellaquale la distinzione deve valere; non voglio in questa nota entrarein merito del problema, che è discusso ampiamente nel testo e neimiei lavori precedenti.

Gli ricorderò soltanto qualcosa che credo aver già detto altravolta: Egli a questa concezione è venuto «tirando delle somme».

238

Page 239: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

cologismo, che è positivismo confuso e parziale anchese più profondo.

È questa oscura posizione il peccato fondamentale delproclamato storicismo idealistico. Non lo sa, non vuolesaperlo, non se lo confessa, anzi lo respinge; ma esso ècostretto a divenire storicismo psicologistico, cioè a far

È proprio obbligatorio stare alle somme tirate da lui? È una nuovarivelazione dogmatica, assolutamente infallibile e indiscutibilequesta al contrario di ogni altra precedente, quella che con talsomma egli ci ha data? Se tale non è, ed è quindi consentito di-scuterla, questo discuterla sarà un ricercare se eventualmente nonci debba essere nella filosofia quella caratteristica unità di oggettoe di problema, che il Croce non vede. Io credo di aver mostratocome la somma, tirata dal Croce, sia errata, soprattutto perchè itermini sommati mancano di quell'esame critico che possa farceliaccettare come validi. Lo traggo, invitandolo a tale esame, inquella eternità del filosofare che darebbe valore al suo personalepensiero, proprio perchè esso non avrebbe, in quanto personale,una assoluta conclusione? Non so che farci. Se la sbrighi lui, se citiene, come dice, alla filosofia, e si scaglia contro di essa solo inquanto trova inconcludente il filosofo nella sua singolarità. È ap-punto quella inconcludenza che fa l'eternità della filosofia, nonl'occasionale pragmatismo o la comoda dichiarazione dogmaticadella inesistenza dei problemi.

«Perdurano, conclude il Croce (ib.), queste ed altre personifi-cazioni della vecchia figura del “Filosofo”; ma che perciò? Sem-brano vive, e vive non sono nel mondo del pensiero, che è quellodel progresso del pensiero». Ora una tale figura del filosofo comeperfetto idiota, quale il Croce, prima di queste parole riportate, cela dipinge, non ci fu mai, e quindi non «perdura»; essa non è, nonfu, non sarà mai viva come filosofo, anche se ci sono degli idiotitra i sedicenti filosofi, come in ogni categoria di persone, ed in

239

cologismo, che è positivismo confuso e parziale anchese più profondo.

È questa oscura posizione il peccato fondamentale delproclamato storicismo idealistico. Non lo sa, non vuolesaperlo, non se lo confessa, anzi lo respinge; ma esso ècostretto a divenire storicismo psicologistico, cioè a far

È proprio obbligatorio stare alle somme tirate da lui? È una nuovarivelazione dogmatica, assolutamente infallibile e indiscutibilequesta al contrario di ogni altra precedente, quella che con talsomma egli ci ha data? Se tale non è, ed è quindi consentito di-scuterla, questo discuterla sarà un ricercare se eventualmente nonci debba essere nella filosofia quella caratteristica unità di oggettoe di problema, che il Croce non vede. Io credo di aver mostratocome la somma, tirata dal Croce, sia errata, soprattutto perchè itermini sommati mancano di quell'esame critico che possa farceliaccettare come validi. Lo traggo, invitandolo a tale esame, inquella eternità del filosofare che darebbe valore al suo personalepensiero, proprio perchè esso non avrebbe, in quanto personale,una assoluta conclusione? Non so che farci. Se la sbrighi lui, se citiene, come dice, alla filosofia, e si scaglia contro di essa solo inquanto trova inconcludente il filosofo nella sua singolarità. È ap-punto quella inconcludenza che fa l'eternità della filosofia, nonl'occasionale pragmatismo o la comoda dichiarazione dogmaticadella inesistenza dei problemi.

«Perdurano, conclude il Croce (ib.), queste ed altre personifi-cazioni della vecchia figura del “Filosofo”; ma che perciò? Sem-brano vive, e vive non sono nel mondo del pensiero, che è quellodel progresso del pensiero». Ora una tale figura del filosofo comeperfetto idiota, quale il Croce, prima di queste parole riportate, cela dipinge, non ci fu mai, e quindi non «perdura»; essa non è, nonfu, non sarà mai viva come filosofo, anche se ci sono degli idiotitra i sedicenti filosofi, come in ogni categoria di persone, ed in

239

Page 240: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

suo punto di partenza ed oggetto di riflessione non,come dice, il pensiero, ma quell'uomo che nato ieri mor-rà domani, anche se tra l'ieri e il domani correranno mi-gliaia di secoli.

Errore questo, in cui cadono molti timorosi di fare, al-trimenti, perdere alla filosofia il contatto col concreto e

ogni tempo. I filosofi, della cui filosofia Croce ha tirate le som-me, sono anch'essi, della stessa natura di siffatte perduranti vec-chie figure? Se sì, la somma, omogenea in qualità ai termini som-mati, non avrebbe che il valore nullo di questi; è... vecchia figuraanch'essa. Se no, di chi mai il Croce si rende «procuratore di mor-te»? Di quegli idioti... che mai non fur vivi? Non valeva propriola pena che una vita come quella del Croce fosse sprecata perquesto; ma per fortuna essa ha un valore diverso. Se poi si vuolsolo colpire al presente, bisogna andar cauti nel giudicare,all'ingrosso, che siffatte personificazioni, «che sembrano vive»,«vive non sono nel mondo del pensiero». Giacchè del contribuiread un vero «progresso del pensiero» non si ha mai pronto e sicurol'indizio e tanto meno la prova: l'immediato successo di opere,che sembrano di pensiero, nel moltiplicarsi dei volumi, delle edi-zioni, delle traduzioni, o al contrario la loro esiguità di mole o dinumero, il loro rimanere, nascendo, nascoste ed ignorate, il loronon divenir mai di comune lettura non sono certo prova sicura odinfallibile dell'esserci o non di tale contributo. Se oggi ci sonopersone vive ovvero ombre nel mondo del pensiero, e dove le uneo le altre, vedranno poi: ora non si può e non si deve che esami-nare e discutere quanto nel cammino del pensiero si viene aggiun-gendo. Non è certo ad un uomo della immensa dottrina del Croceche convien ricordar queste cose; ma come si fa quand'egli mo-stra di dimenticarle?

Concludo: l'annullamento della filosofia come tale e cioè comeavente un proprio fondamentale oggetto e problema, dal quale

240

suo punto di partenza ed oggetto di riflessione non,come dice, il pensiero, ma quell'uomo che nato ieri mor-rà domani, anche se tra l'ieri e il domani correranno mi-gliaia di secoli.

Errore questo, in cui cadono molti timorosi di fare, al-trimenti, perdere alla filosofia il contatto col concreto e

ogni tempo. I filosofi, della cui filosofia Croce ha tirate le som-me, sono anch'essi, della stessa natura di siffatte perduranti vec-chie figure? Se sì, la somma, omogenea in qualità ai termini som-mati, non avrebbe che il valore nullo di questi; è... vecchia figuraanch'essa. Se no, di chi mai il Croce si rende «procuratore di mor-te»? Di quegli idioti... che mai non fur vivi? Non valeva propriola pena che una vita come quella del Croce fosse sprecata perquesto; ma per fortuna essa ha un valore diverso. Se poi si vuolsolo colpire al presente, bisogna andar cauti nel giudicare,all'ingrosso, che siffatte personificazioni, «che sembrano vive»,«vive non sono nel mondo del pensiero». Giacchè del contribuiread un vero «progresso del pensiero» non si ha mai pronto e sicurol'indizio e tanto meno la prova: l'immediato successo di opere,che sembrano di pensiero, nel moltiplicarsi dei volumi, delle edi-zioni, delle traduzioni, o al contrario la loro esiguità di mole o dinumero, il loro rimanere, nascendo, nascoste ed ignorate, il loronon divenir mai di comune lettura non sono certo prova sicura odinfallibile dell'esserci o non di tale contributo. Se oggi ci sonopersone vive ovvero ombre nel mondo del pensiero, e dove le uneo le altre, vedranno poi: ora non si può e non si deve che esami-nare e discutere quanto nel cammino del pensiero si viene aggiun-gendo. Non è certo ad un uomo della immensa dottrina del Croceche convien ricordar queste cose; ma come si fa quand'egli mo-stra di dimenticarle?

Concludo: l'annullamento della filosofia come tale e cioè comeavente un proprio fondamentale oggetto e problema, dal quale

240

Page 241: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

farla divenire vaporosa o dogmatica affermazione di unmondo di là. E invece proprio così, con questo volerrendersi utile, con questo voler vivere la vita del giorno,la filosofia perde in realtà il contatto col concreto, giac-chè vaporizza questo, o, ciò non potendo, vaporizza sè,e pretende dissolversi. È da anni ch'io vado invano pre-dicando questo austero ritorno (o arrivo, se si vuole)

tutti gli altri rampollano, consegue dallo sviluppo parziale ed er-roneo dato alla posizione kantiana, e dai concetti dogmatici, an-che se presi da Kant, adoperati in questo sviluppo (cfr. Il probl. d.fil. da K. a F.). Croce e Gentile (cfr. Appendice) che tali concettihanno impliciti nelle loro dottrine, abbiano pazienza; li vaglinocriticamente. Non so se potranno lasciare immutate le loro rispet-tive posizioni.

Il Gentile, nega detto annullamento con lo stesso contributoche il suo pensiero speculativo porta alla soluzione del problemametafisico, e ho ragione di ritenere che come persona nettamentelo ripudi. E ne son lieto. Ma non vedo come sia conciliabile conquelle posizioni di pensiero (l'assoluto storicismo; l'identificazio-ne di filosofia e concretezza), dalle quali quell'annullamento ri-sulta, e alle quali appunto io lo addebitavo come loro intrinsecaed insuperabile difficoltà.

Il Croce dirà che, anche con siffatte discussioni critiche, si faràdella «metodologia della storia». Si ammetta per un momento.Vuol dire che sarà questo il problema specifico della filosofia. Manoi pur veniam mostrando che questo problema ha il suo princi-pio in un altro più profondo, senza risolvere il quale il problemadella metodologia rimane campato in aria. Con esso forse la filo-sofia diventa... teologizzante; ma dimostra anche così che può, edeve, esser tale, pur senza essere una fideistica chiosa nè dellaBibbia nè di alcun'altra rivelazione scritta, compresa, se mai, an-che quella apocalitticamente antiteologica del Croce.

241

farla divenire vaporosa o dogmatica affermazione di unmondo di là. E invece proprio così, con questo volerrendersi utile, con questo voler vivere la vita del giorno,la filosofia perde in realtà il contatto col concreto, giac-chè vaporizza questo, o, ciò non potendo, vaporizza sè,e pretende dissolversi. È da anni ch'io vado invano pre-dicando questo austero ritorno (o arrivo, se si vuole)

tutti gli altri rampollano, consegue dallo sviluppo parziale ed er-roneo dato alla posizione kantiana, e dai concetti dogmatici, an-che se presi da Kant, adoperati in questo sviluppo (cfr. Il probl. d.fil. da K. a F.). Croce e Gentile (cfr. Appendice) che tali concettihanno impliciti nelle loro dottrine, abbiano pazienza; li vaglinocriticamente. Non so se potranno lasciare immutate le loro rispet-tive posizioni.

Il Gentile, nega detto annullamento con lo stesso contributoche il suo pensiero speculativo porta alla soluzione del problemametafisico, e ho ragione di ritenere che come persona nettamentelo ripudi. E ne son lieto. Ma non vedo come sia conciliabile conquelle posizioni di pensiero (l'assoluto storicismo; l'identificazio-ne di filosofia e concretezza), dalle quali quell'annullamento ri-sulta, e alle quali appunto io lo addebitavo come loro intrinsecaed insuperabile difficoltà.

Il Croce dirà che, anche con siffatte discussioni critiche, si faràdella «metodologia della storia». Si ammetta per un momento.Vuol dire che sarà questo il problema specifico della filosofia. Manoi pur veniam mostrando che questo problema ha il suo princi-pio in un altro più profondo, senza risolvere il quale il problemadella metodologia rimane campato in aria. Con esso forse la filo-sofia diventa... teologizzante; ma dimostra anche così che può, edeve, esser tale, pur senza essere una fideistica chiosa nè dellaBibbia nè di alcun'altra rivelazione scritta, compresa, se mai, an-che quella apocalitticamente antiteologica del Croce.

241

Page 242: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

della filosofia alla sua propria essenza, ai suoi problemi:è l'unico modo in cui veramente essa possa vivere nelconcreto.

Far oggetto della speculazione o ritenere speculazionel'esperienza umana detta tutta storia contemporanea, èsempre chiudersi in un fatto e quindi porsi nella impos-sibilità di raggiungere l'universale: è psicologismo, am-pio quanto si voglia, ma pur sempre psicologismo, con-tro il quale son sempre da ricordare gli ammonimenti diKant.

Il gran padre di questo errore dello storicismo assolu-to è Hegel con la sua concezione della «filosofia comepensiero del proprio tempo». Concezione, per la quale«la forma particolare di una filosofia è sincrona con unacostituzione particolare del popolo presso il quale essaappare, con le sue istituzioni, con le sue forme di gover-no, con la sua moralità, con la sua vita sociale, con le at-titudini, abitudini e preferenze, con i suoi tentativi e pro-dotti artistici e scientifici, con la sua religione, con i suoisuccessi guerreschi, con tutte le circostanze esterne, nonmeno che con la decadenza degli Stati nei quali questoprincipio particolare aveva imposta la sua supremazia ocol formarsi e progredire di nuovi stati nei quali sorge esi sviluppa un principio più alto. La filosofia è una for-ma di questi molteplici aspetti,... lo spirito del tempocome spirito presente e pensante sè stesso»20.

20 HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia. Introduzione;trad. it., Laterza, Bari, 1925, P. 75.

242

della filosofia alla sua propria essenza, ai suoi problemi:è l'unico modo in cui veramente essa possa vivere nelconcreto.

Far oggetto della speculazione o ritenere speculazionel'esperienza umana detta tutta storia contemporanea, èsempre chiudersi in un fatto e quindi porsi nella impos-sibilità di raggiungere l'universale: è psicologismo, am-pio quanto si voglia, ma pur sempre psicologismo, con-tro il quale son sempre da ricordare gli ammonimenti diKant.

Il gran padre di questo errore dello storicismo assolu-to è Hegel con la sua concezione della «filosofia comepensiero del proprio tempo». Concezione, per la quale«la forma particolare di una filosofia è sincrona con unacostituzione particolare del popolo presso il quale essaappare, con le sue istituzioni, con le sue forme di gover-no, con la sua moralità, con la sua vita sociale, con le at-titudini, abitudini e preferenze, con i suoi tentativi e pro-dotti artistici e scientifici, con la sua religione, con i suoisuccessi guerreschi, con tutte le circostanze esterne, nonmeno che con la decadenza degli Stati nei quali questoprincipio particolare aveva imposta la sua supremazia ocol formarsi e progredire di nuovi stati nei quali sorge esi sviluppa un principio più alto. La filosofia è una for-ma di questi molteplici aspetti,... lo spirito del tempocome spirito presente e pensante sè stesso»20.

20 HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia. Introduzione;trad. it., Laterza, Bari, 1925, P. 75.

242

Page 243: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Quanto siamo lontani con questo psicologismo hege-liano dalla austera trascendentalità kantiana. Chè, se èpsicologismo ricercare la genesi ed il valore di uno sfor-zo filosofico nella singolare persona che lo compie, psi-cologismo è anche ricercarli nei popoli che li compiono,o anche nello stesso «spirito del tempo» come «radicecomune, e della filosofia e di questi altri suoi prodotti»(ib., pag. 76). È confondere l'umanità reale con la razio-nalità: l'esperienza non cessa di essere esperienza anchequando sia strettamente umana.

Lo «spirito del tempo» lo vivano artisti e politici, loindaghino e lo svelino giuristi e sociologi, meteorologidi questo speciale tempo umano; il filosofo faccia il do-ver suo di trascendere questo spirito per disvelare l'eter-no Tempo che si manifesta nei tempi. E ciò anche per-chè in quel tempo, in cui, come con Hegel e più oggicon Gentile in Italia, noi avremmo riconosciuto che il ri-conoscere la filosofia come lo «spirito del tempo» è lospirito del nostro tempo, qual sia questo spirito del no-stro tempo più non sapremmo. Cioè la filosofia comespirito del tempo sarebbe impossibile; torneremmo, peraltra via, alla impossibilità della filosofia. Impossibilitàche ci costringe a rivederne l'errore, non ci autorizza aproclamarne la morte.

E l'errore ci si è reso manifesto; conquistato il concet-to del concreto, si deve distinguere da questo l'oggettoche pur è immanente nel concreto stesso. Riguadagnarel'essere in sè nella noumenica oggettività è, in via prin-cipale, soddisfare una fondamentale esigenza che la co-

243

Quanto siamo lontani con questo psicologismo hege-liano dalla austera trascendentalità kantiana. Chè, se èpsicologismo ricercare la genesi ed il valore di uno sfor-zo filosofico nella singolare persona che lo compie, psi-cologismo è anche ricercarli nei popoli che li compiono,o anche nello stesso «spirito del tempo» come «radicecomune, e della filosofia e di questi altri suoi prodotti»(ib., pag. 76). È confondere l'umanità reale con la razio-nalità: l'esperienza non cessa di essere esperienza anchequando sia strettamente umana.

Lo «spirito del tempo» lo vivano artisti e politici, loindaghino e lo svelino giuristi e sociologi, meteorologidi questo speciale tempo umano; il filosofo faccia il do-ver suo di trascendere questo spirito per disvelare l'eter-no Tempo che si manifesta nei tempi. E ciò anche per-chè in quel tempo, in cui, come con Hegel e più oggicon Gentile in Italia, noi avremmo riconosciuto che il ri-conoscere la filosofia come lo «spirito del tempo» è lospirito del nostro tempo, qual sia questo spirito del no-stro tempo più non sapremmo. Cioè la filosofia comespirito del tempo sarebbe impossibile; torneremmo, peraltra via, alla impossibilità della filosofia. Impossibilitàche ci costringe a rivederne l'errore, non ci autorizza aproclamarne la morte.

E l'errore ci si è reso manifesto; conquistato il concet-to del concreto, si deve distinguere da questo l'oggettoche pur è immanente nel concreto stesso. Riguadagnarel'essere in sè nella noumenica oggettività è, in via prin-cipale, soddisfare una fondamentale esigenza che la co-

243

Page 244: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

scienza ci disvela quando riflettiamo su di essa; e inconseguenza, poi, è anche da una parte ridare, con que-sto Essere in sè, il problema oggettivo alla filosofia edall'altra rendere così possibile anche la posizione e so-luzione del problema interno di questa.

La mancanza della distinzione tra concreto ed oggettopuro, come rendeva impossibile la soluzione del proble-ma interno della filosofia, e faceva finir questa in un im-possibile storicismo, così ne falsava anche il problemaoggettivo e causava quella riduzione, che si disse eleva-mento, della coscienza razionale ad autocoscienza. Quelche c'è di vero in questa riduzione, che non è solo unariscoperta idealistica, ma è vecchia quanto «il conosci testesso», è l'escludere che la schietta oggettività, l'esserein sè sia soltanto il relativo essere della esperienza, lacosiddetta natura. Il salto da questa esclusione al concet-to dialettico di autocoscienza è determinato dalla falsaidentificazione della oggettività con l'alterità (§ 11).

Mostrata falsa la riduzione della coscienza all'autoco-scienza, riscoperto l'essere in sè come oggetto puro nelcampo della coscienza, da una parte si riscopre anche lasoggettività nel suo vero valore e si spiega quindi l'espe-rienza, dall'altra si rifà chiaro, nel campo della concre-tezza spirituale, quell'apriorità, col cui carattere la filo-sofia si è sempre affermata e continuerà ad affermarsinel concreto sapere.

La speculazione riacquista, col suo problema oggetti-vo, il suo carattere intrinseco.

244

scienza ci disvela quando riflettiamo su di essa; e inconseguenza, poi, è anche da una parte ridare, con que-sto Essere in sè, il problema oggettivo alla filosofia edall'altra rendere così possibile anche la posizione e so-luzione del problema interno di questa.

La mancanza della distinzione tra concreto ed oggettopuro, come rendeva impossibile la soluzione del proble-ma interno della filosofia, e faceva finir questa in un im-possibile storicismo, così ne falsava anche il problemaoggettivo e causava quella riduzione, che si disse eleva-mento, della coscienza razionale ad autocoscienza. Quelche c'è di vero in questa riduzione, che non è solo unariscoperta idealistica, ma è vecchia quanto «il conosci testesso», è l'escludere che la schietta oggettività, l'esserein sè sia soltanto il relativo essere della esperienza, lacosiddetta natura. Il salto da questa esclusione al concet-to dialettico di autocoscienza è determinato dalla falsaidentificazione della oggettività con l'alterità (§ 11).

Mostrata falsa la riduzione della coscienza all'autoco-scienza, riscoperto l'essere in sè come oggetto puro nelcampo della coscienza, da una parte si riscopre anche lasoggettività nel suo vero valore e si spiega quindi l'espe-rienza, dall'altra si rifà chiaro, nel campo della concre-tezza spirituale, quell'apriorità, col cui carattere la filo-sofia si è sempre affermata e continuerà ad affermarsinel concreto sapere.

La speculazione riacquista, col suo problema oggetti-vo, il suo carattere intrinseco.

244

Page 245: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

E si capisce quindi il solitario ma pur vero, il perso-nale ma pur severo e non fantasioso lavoro del filosofo,che, pur chiuso nel suo pensiero, non servendosi, per lasua riflessione, come dei lambicchi del naturalista cosìneppure dei calcoli del matematico, non fondandosi sul-le leggi di natura, e neppure sulle soggettive condizionistoriche dei popoli e delle loro formazioni anche cultu-rali, ma pur conoscendole, sia pur solo per andar piùprofondo di esse; chiuso, dicevo, nel pensiero, trae daquesto, esplicandola, la linea maestra, che rimane fonda-mentale, che sostanzia la concretezza spirituale, di cuisono astratte manifestazioni le attività di cui sopra. Èora di proclamare netta l'apriorità del sapere speculativodi fronte alla aposteriorità di ogni scienza, della natura odell'uomo; apriorità distinta come da questa così dallaconcretezza di cui esplica l'essenza oggettiva.

Sta in questo la vera trascendentalità del sapere filo-sofico, che, mentre così soddisfa uno degli aspetti dellaesigenza spirituale della trascendenza, elimina una voltaper sempre il trascendente concepito come un supercon-creto, che in un modo o in un altro ridurrebbe sempre anulla il concreto.

Così la filosofia rimane nella intimità vitale della con-cretezza, e non è quindi per niente affatto intellettualisti-ca, non vive in un'atmosfera sua assolutamente scissa daquella della spirituale concretezza, giacchè essa tentaproprio l'oggettività immanente a questo concreto. Eciononostante e anzi appunto perciò rimane filosofianella speciale intraducibile e insopprimibile forma di sa-

245

E si capisce quindi il solitario ma pur vero, il perso-nale ma pur severo e non fantasioso lavoro del filosofo,che, pur chiuso nel suo pensiero, non servendosi, per lasua riflessione, come dei lambicchi del naturalista cosìneppure dei calcoli del matematico, non fondandosi sul-le leggi di natura, e neppure sulle soggettive condizionistoriche dei popoli e delle loro formazioni anche cultu-rali, ma pur conoscendole, sia pur solo per andar piùprofondo di esse; chiuso, dicevo, nel pensiero, trae daquesto, esplicandola, la linea maestra, che rimane fonda-mentale, che sostanzia la concretezza spirituale, di cuisono astratte manifestazioni le attività di cui sopra. Èora di proclamare netta l'apriorità del sapere speculativodi fronte alla aposteriorità di ogni scienza, della natura odell'uomo; apriorità distinta come da questa così dallaconcretezza di cui esplica l'essenza oggettiva.

Sta in questo la vera trascendentalità del sapere filo-sofico, che, mentre così soddisfa uno degli aspetti dellaesigenza spirituale della trascendenza, elimina una voltaper sempre il trascendente concepito come un supercon-creto, che in un modo o in un altro ridurrebbe sempre anulla il concreto.

Così la filosofia rimane nella intimità vitale della con-cretezza, e non è quindi per niente affatto intellettualisti-ca, non vive in un'atmosfera sua assolutamente scissa daquella della spirituale concretezza, giacchè essa tentaproprio l'oggettività immanente a questo concreto. Eciononostante e anzi appunto perciò rimane filosofianella speciale intraducibile e insopprimibile forma di sa-

245

Page 246: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

pere che essa rappresenta. Quando questa forma essasmarrisce, non è più nè filosofia nè altra concreta attivi-tà: non è nulla.

50. Il problema di Dio nella filosofia.

La filosofia dunque non si esaurisce nel problema disè stessa. Ha anche il suo problema oggettivo, perchè èpositivo l'essere in sè, che essa tenta; ricompare l'anticoed eterno problema che non finirà mai di essere tale, purcon tutti gli innegabili sviluppi che le sue soluzioni at-tuano. La distinzione però del problema interno da quel-lo oggettivo della filosofia importa anche (ed è questo, amio avviso, un altro vantaggio della Critica posta daKant) che si distingua il principio della filosofia dal suooggetto. Senza questa distinzione risulta impossibile laCritica, e quindi impossibile la filosofia di cui questavuol darci la possibilità.

Principio della filosofia non può essere che il concre-to. Questo vuol dire il nostro continuo richiamarci allacoscienza comune. Ritrovare in questo principio la ra-gione della filosofia nel suo sviluppo è risolvere il pro-blema interno della filosofia, giacchè è vedere come nelconcreto possa e debba esserci il filosofare, è dar ragio-ne della riflessione filosofica (§§ 7, 8, 44).

Ma la riflessione non è tale, cioè la filosofia non è fi-losofia, se suo oggetto rimane quello che è soltanto ilsuo principio: il concreto. Il concreto come tale non può

246

pere che essa rappresenta. Quando questa forma essasmarrisce, non è più nè filosofia nè altra concreta attivi-tà: non è nulla.

50. Il problema di Dio nella filosofia.

La filosofia dunque non si esaurisce nel problema disè stessa. Ha anche il suo problema oggettivo, perchè èpositivo l'essere in sè, che essa tenta; ricompare l'anticoed eterno problema che non finirà mai di essere tale, purcon tutti gli innegabili sviluppi che le sue soluzioni at-tuano. La distinzione però del problema interno da quel-lo oggettivo della filosofia importa anche (ed è questo, amio avviso, un altro vantaggio della Critica posta daKant) che si distingua il principio della filosofia dal suooggetto. Senza questa distinzione risulta impossibile laCritica, e quindi impossibile la filosofia di cui questavuol darci la possibilità.

Principio della filosofia non può essere che il concre-to. Questo vuol dire il nostro continuo richiamarci allacoscienza comune. Ritrovare in questo principio la ra-gione della filosofia nel suo sviluppo è risolvere il pro-blema interno della filosofia, giacchè è vedere come nelconcreto possa e debba esserci il filosofare, è dar ragio-ne della riflessione filosofica (§§ 7, 8, 44).

Ma la riflessione non è tale, cioè la filosofia non è fi-losofia, se suo oggetto rimane quello che è soltanto ilsuo principio: il concreto. Il concreto come tale non può

246

Page 247: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

divenire puro oggetto di checchesia o di chi si voglia.Abbiam visto che la filosofia che voglia porlo cometale, necessariamente annulla sè. La causa di questo er-rore della elevazione del concreto ad oggetto di scienzao di altro che si voglia, sta sempre nella concezione in-tellettualistica del concreto come oggetto. Oggetto dellafilosofia rimane quello che è sempre stato, anche se nonvisto esplicitamente: l'essere in sè. E il problema ogget-tivo della filosofia sta appunto nel vedere come possaesserci nel concreto, da cui essa si dispicca, un essere insè che di quel concreto è la universale oggettività. Que-sto vuol dire essere la filosofia teoria del concreto: non,avere ad oggetto puro il concreto; ma, avere come suoproprio oggetto l'oggettività pura del concreto. E si spie-ga poi quindi anche il determinarsi della filosofia in spe-ciali trattazioni dedotte dalla esigenza stessa dell'oggettoimmanente al concreto. Ma di ciò non qui. Ora ci impor-ta solo vedere che, se oggetto della filosofia è l'essere insè, e l'essere in sè noi abbiamo ritrovato come oggettopuro, oggetto della filosofia è l'oggetto puro, cioèl'oggetto per eccellenza. Ogni altro sapere non è cosìschiettamente oggettivo, come pretende di essere la filo-sofia. La coscienza che questa sua è una pretesa dà allafilosofia da una parte il suo incontrastabile valore,dall'altra l'ineliminabile suo moto. Per riguadagnare ilproblema oggettivo della filosofia, dobbiamo renderciesatto conto di questo: che l'essere in sè è l'oggetto dellafilosofia, in quanto è in sè stesso oggetto puro e nonconcretezza.

247

divenire puro oggetto di checchesia o di chi si voglia.Abbiam visto che la filosofia che voglia porlo cometale, necessariamente annulla sè. La causa di questo er-rore della elevazione del concreto ad oggetto di scienzao di altro che si voglia, sta sempre nella concezione in-tellettualistica del concreto come oggetto. Oggetto dellafilosofia rimane quello che è sempre stato, anche se nonvisto esplicitamente: l'essere in sè. E il problema ogget-tivo della filosofia sta appunto nel vedere come possaesserci nel concreto, da cui essa si dispicca, un essere insè che di quel concreto è la universale oggettività. Que-sto vuol dire essere la filosofia teoria del concreto: non,avere ad oggetto puro il concreto; ma, avere come suoproprio oggetto l'oggettività pura del concreto. E si spie-ga poi quindi anche il determinarsi della filosofia in spe-ciali trattazioni dedotte dalla esigenza stessa dell'oggettoimmanente al concreto. Ma di ciò non qui. Ora ci impor-ta solo vedere che, se oggetto della filosofia è l'essere insè, e l'essere in sè noi abbiamo ritrovato come oggettopuro, oggetto della filosofia è l'oggetto puro, cioèl'oggetto per eccellenza. Ogni altro sapere non è cosìschiettamente oggettivo, come pretende di essere la filo-sofia. La coscienza che questa sua è una pretesa dà allafilosofia da una parte il suo incontrastabile valore,dall'altra l'ineliminabile suo moto. Per riguadagnare ilproblema oggettivo della filosofia, dobbiamo renderciesatto conto di questo: che l'essere in sè è l'oggetto dellafilosofia, in quanto è in sè stesso oggetto puro e nonconcretezza.

247

Page 248: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Ora questo oggetto puro, noi abbiamo dimostrato adesuberanza anche in lavori precedenti, è l'idea pura dellaragione; giacchè per idea intendiamo, ed altro intenderenon si può, proprio l'oggettività schietta di coscienza. Lasvalutazione astrattistica dell'idea è nata dal contrappor-re tale oggettività di coscienza ad altra oggettività nondi coscienza. L'idea riacquista il suo valore, quandol'oggettività è posta a suo luogo, entro la concreta co-scienza, come esigenza di questa; la si vede allora entroi soggetti, costitutiva di questi. L'essere in sè, dunque,che abbiamo scoperto come lo stesso oggetto puro, pro-prio in quanto assoluto, ci si presenta, appunto perciò,come l'Idea. Idea quindi che costituisce l'in sè nel con-creto; è essa quindi l'in sè di ogni alterità e di ogni realeprodotto di questa, quando stiano nel concreto. L'Ideaperciò dev'essere quel quid unificante e quindiquell'assoluto Unico che abbiam visto dover essere lacosa in sè, quando se ne sia scoperta la sua essenza dioggettività pura.

Or questa idea pura che come cosa in sè ci risulta so-stanziare il concreto, e che è l'oggetto della filosofia, èDio, o no?

A che sia lo stesso Dio non si oppone certo il suo es-sere la cosa in sè, quando questa cosa in sè si sia intesa:non è certo, abbiam ripetuto a sufficienza, il fuori dellacoscienza e perciò il non-coscienza. Una tale cosa in sècerto non sarebbe Dio: l'essenza spirituale dell'essere sicominciò a scoprire proprio vedendosene l'esigenza an-zitutto in Dio. Porre quindi un Dio non spirituale, un

248

Ora questo oggetto puro, noi abbiamo dimostrato adesuberanza anche in lavori precedenti, è l'idea pura dellaragione; giacchè per idea intendiamo, ed altro intenderenon si può, proprio l'oggettività schietta di coscienza. Lasvalutazione astrattistica dell'idea è nata dal contrappor-re tale oggettività di coscienza ad altra oggettività nondi coscienza. L'idea riacquista il suo valore, quandol'oggettività è posta a suo luogo, entro la concreta co-scienza, come esigenza di questa; la si vede allora entroi soggetti, costitutiva di questi. L'essere in sè, dunque,che abbiamo scoperto come lo stesso oggetto puro, pro-prio in quanto assoluto, ci si presenta, appunto perciò,come l'Idea. Idea quindi che costituisce l'in sè nel con-creto; è essa quindi l'in sè di ogni alterità e di ogni realeprodotto di questa, quando stiano nel concreto. L'Ideaperciò dev'essere quel quid unificante e quindiquell'assoluto Unico che abbiam visto dover essere lacosa in sè, quando se ne sia scoperta la sua essenza dioggettività pura.

Or questa idea pura che come cosa in sè ci risulta so-stanziare il concreto, e che è l'oggetto della filosofia, èDio, o no?

A che sia lo stesso Dio non si oppone certo il suo es-sere la cosa in sè, quando questa cosa in sè si sia intesa:non è certo, abbiam ripetuto a sufficienza, il fuori dellacoscienza e perciò il non-coscienza. Una tale cosa in sècerto non sarebbe Dio: l'essenza spirituale dell'essere sicominciò a scoprire proprio vedendosene l'esigenza an-zitutto in Dio. Porre quindi un Dio non spirituale, un

248

Page 249: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Dio materia, non significherebbe nulla, se anche qualco-sa significasse un essere materiale. Non si oppone nep-pure il suo essere assoluta idea, quando si pensi chel'idea nella sua assoluta purezza non è un qualunque fat-to psicologico fattura del soggetto nella sua relatività,ma è la stessa assolutezza di coscienza che costituisce ilsoggetto e che così può imporsi alla sua astratta singola-rità. L'idea pura non è nè dato nè prodotto dal soggetto:è l'universalità della coscienza, cioè l'oggetto che il sog-getto afferma. Tanto meno l'idea pura è quella idea inna-ta, che presuppone non viva spiritualmente l'idea e pre-costituito il vivente come tale perchè si faccia ricettivodell'idea.

Si oppone il fatto della distinzione, che pare, ed è ef-fettivamente richiesta, tra quel che come Dio intendia-mo e l'universo sia pur preso nella somma e massimacomplessità sua e comprensivo quindi anche della spiri-tuale opera umana. Questa distinzione fa in generale ri-tenere ancora oggi da coloro che il problema di Dio sipongono, che non possa Dio essere ridotto a questa spe-cie di sostanza spirituale che è l'idea come essere delmondo. Dio diverrebbe la natura stessa; e con questoavremmo perduto Dio e la spiritualità.

Ma di questa distinzione tra Dio e mondo, io credo sipossa dar ragione (cap. V, VIII). Tutto sta a vedere laprima volta questo concreto, portandola Critica, al di làdella semplice conoscenza, nel cuore stesso della con-cretezza.

249

Dio materia, non significherebbe nulla, se anche qualco-sa significasse un essere materiale. Non si oppone nep-pure il suo essere assoluta idea, quando si pensi chel'idea nella sua assoluta purezza non è un qualunque fat-to psicologico fattura del soggetto nella sua relatività,ma è la stessa assolutezza di coscienza che costituisce ilsoggetto e che così può imporsi alla sua astratta singola-rità. L'idea pura non è nè dato nè prodotto dal soggetto:è l'universalità della coscienza, cioè l'oggetto che il sog-getto afferma. Tanto meno l'idea pura è quella idea inna-ta, che presuppone non viva spiritualmente l'idea e pre-costituito il vivente come tale perchè si faccia ricettivodell'idea.

Si oppone il fatto della distinzione, che pare, ed è ef-fettivamente richiesta, tra quel che come Dio intendia-mo e l'universo sia pur preso nella somma e massimacomplessità sua e comprensivo quindi anche della spiri-tuale opera umana. Questa distinzione fa in generale ri-tenere ancora oggi da coloro che il problema di Dio sipongono, che non possa Dio essere ridotto a questa spe-cie di sostanza spirituale che è l'idea come essere delmondo. Dio diverrebbe la natura stessa; e con questoavremmo perduto Dio e la spiritualità.

Ma di questa distinzione tra Dio e mondo, io credo sipossa dar ragione (cap. V, VIII). Tutto sta a vedere laprima volta questo concreto, portandola Critica, al di làdella semplice conoscenza, nel cuore stesso della con-cretezza.

249

Page 250: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Soddisfare quindi si può quella esigenza, senza perquesto dover ammettere al di là di quell'Assoluto che ri-sulta l'oggettività del concreto, un Assoluto stante di làdal concreto e quindi quasi con una concretezza sua pro-pria, che toglierebbe ogni valore anche di concretezza aquella di cui noi sentiamo di vivere anche quando e so-prattutto quando affermiamo Dio. L'Unico deve essereunico. O il concreto, e noi in esso con tutto il nostropensiero, è un assoluto caos in cui non v'è unicità; oquell'Unico che sostanzia il concreto è il solo ed assolu-to Unico.

E questo non ci sarebbe bisogno che fosse riaffermatoancora oggi dopo Plotino, Agostino, Anselmo, Cartesio,Malebranche, Spinoza. Non ce ne sarebbe bisogno, sefino ad oggi il falso concetto dell'alterità non avesse resainsufficiente ogni dimostrazione dell'unicità dell'Assolu-to: si è creduto il relativo come l'altro dell'Assoluto. Efinchè questo si crede, la relatività della natura saràsempre saldo argomento per mettere al di là di questorelativo, come altro di questo, l'Assoluto. Ed allora il ri-conoscimento esplicito dell'Assoluto come Unico Esserein sè, sarà sempre una negazione del relativo, giacchèl'altro dell'Essere non v'ha. Quindi l'acosmismo, che puòdirsi attuale in Spinoza, è virtuale negli stessi Malebran-che e Cartesio. Quella distinzione tra Dio e il mondo, dacui siam mossi ad affermare la trascendenza di Dio, vie-ne annullata proprio da questa trascendenza, la qualesopprime un termine della distinzione stessa.

250

Soddisfare quindi si può quella esigenza, senza perquesto dover ammettere al di là di quell'Assoluto che ri-sulta l'oggettività del concreto, un Assoluto stante di làdal concreto e quindi quasi con una concretezza sua pro-pria, che toglierebbe ogni valore anche di concretezza aquella di cui noi sentiamo di vivere anche quando e so-prattutto quando affermiamo Dio. L'Unico deve essereunico. O il concreto, e noi in esso con tutto il nostropensiero, è un assoluto caos in cui non v'è unicità; oquell'Unico che sostanzia il concreto è il solo ed assolu-to Unico.

E questo non ci sarebbe bisogno che fosse riaffermatoancora oggi dopo Plotino, Agostino, Anselmo, Cartesio,Malebranche, Spinoza. Non ce ne sarebbe bisogno, sefino ad oggi il falso concetto dell'alterità non avesse resainsufficiente ogni dimostrazione dell'unicità dell'Assolu-to: si è creduto il relativo come l'altro dell'Assoluto. Efinchè questo si crede, la relatività della natura saràsempre saldo argomento per mettere al di là di questorelativo, come altro di questo, l'Assoluto. Ed allora il ri-conoscimento esplicito dell'Assoluto come Unico Esserein sè, sarà sempre una negazione del relativo, giacchèl'altro dell'Essere non v'ha. Quindi l'acosmismo, che puòdirsi attuale in Spinoza, è virtuale negli stessi Malebran-che e Cartesio. Quella distinzione tra Dio e il mondo, dacui siam mossi ad affermare la trascendenza di Dio, vie-ne annullata proprio da questa trascendenza, la qualesopprime un termine della distinzione stessa.

250

Page 251: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

L'essere in sè adunque o è l'Unico o non è assoluta-mente. Dal riconoscimento dei due esseri, Dio e mondo,era fatale ed inevitabile la caduta in un assoluto relativi-smo.

Quella cosa in sè, adunque, che è l'Oggetto puro, es-sendo, come tale, assoluta Unicità di coscienza, è quelloche da tutti intendesi come Spirito assoluto: è Dio.

E se oggetto della filosofia è l'essere in sè, Dio saràoggetto della filosofia; e questo infatti fu e sarà sempreil problema fondamentale della filosofia. Noi non abbia-mo fatto altro che riscoprirlo come tale. Questo perdersinella ricerca di Dio è la riflessione filosofica. In quellosforzo «nostro intelletto si profonda tanto che retro lamemoria non può ire», sforzo che non è dunque ripetibi-le. Ricordarlo e ripeterlo è perderlo, è passare dalla vivafilosofia alla coscienza volgare, illusione di filosofia, fi-losofia morta, che purtroppo spesso si dice buon senso.Se questo nostro sforzo ha quindi un valore, da esso sipotrà o si dovrà prender le mosse, non ripeterlo: ripeter-lo non è riviverlo, è ucciderlo. Con questa coscienza noiriprendiamo e trattiamo gli sforzi finora fatti: sia dettoquesto per qualche coscienza più timorata dei filosofiche della filosofia.

Oggi, in campo filosofico, è raro sentir porre il pro-blema di Dio. Non che lo si risolva negativamente: sa-rebbe sempre un porlo sia pure per additare le ragioniper cui Dio deve essere negato. Anzi raramente si trovachi si professa ateo o materialista.

251

L'essere in sè adunque o è l'Unico o non è assoluta-mente. Dal riconoscimento dei due esseri, Dio e mondo,era fatale ed inevitabile la caduta in un assoluto relativi-smo.

Quella cosa in sè, adunque, che è l'Oggetto puro, es-sendo, come tale, assoluta Unicità di coscienza, è quelloche da tutti intendesi come Spirito assoluto: è Dio.

E se oggetto della filosofia è l'essere in sè, Dio saràoggetto della filosofia; e questo infatti fu e sarà sempreil problema fondamentale della filosofia. Noi non abbia-mo fatto altro che riscoprirlo come tale. Questo perdersinella ricerca di Dio è la riflessione filosofica. In quellosforzo «nostro intelletto si profonda tanto che retro lamemoria non può ire», sforzo che non è dunque ripetibi-le. Ricordarlo e ripeterlo è perderlo, è passare dalla vivafilosofia alla coscienza volgare, illusione di filosofia, fi-losofia morta, che purtroppo spesso si dice buon senso.Se questo nostro sforzo ha quindi un valore, da esso sipotrà o si dovrà prender le mosse, non ripeterlo: ripeter-lo non è riviverlo, è ucciderlo. Con questa coscienza noiriprendiamo e trattiamo gli sforzi finora fatti: sia dettoquesto per qualche coscienza più timorata dei filosofiche della filosofia.

Oggi, in campo filosofico, è raro sentir porre il pro-blema di Dio. Non che lo si risolva negativamente: sa-rebbe sempre un porlo sia pure per additare le ragioniper cui Dio deve essere negato. Anzi raramente si trovachi si professa ateo o materialista.

251

Page 252: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Di solito o si relega il problema tra gli insolubili enig-mi, che l'uomo non ha proprio nessun interesse a risol-vere, o all'opposto si ritiene che il problema sia com-prensivo di tutti quanti gli altri nei quali si risolve. equindi non può porsi distintamente, o, infine, lo si di-chiara senz'altro un problema inesistente.

Problema inesistente, solo perchè si è dimostratal'insufficienza o l'erroneità di una precedente soluzioneche importava una precedente posizione. E così conquesta dichiarazione ci si dispensa dal vedere, di quelladimostrazione, i concetti o dogmaticamente assunti o er-roneamente presupposti e, di fronte al problema, le con-seguenze della correzione o eliminazione di essi unavolta riconosciutane la dogmaticità o erroneità; ci si di-spensa dal vedere del problema l'esigenza da cui nasceanche nella sua inesatta e quindi superabile posizione.

Ma così ci si dispensa insieme dal filosofare: si pon-gono a questo delle barriere insormontabili, proprio innome di quella Critica, che, se ha un valore, ha proprioquello di voler vedere, di aver visto le barriere e di avercon ciò posta la necessità di sormontarle. Dichiarareinesistente quella esigenza, solo perchè si sono ricono-sciute false la posizione e la soluzione del problema chene era nato, è chiudere gli occhi per non vedere, o appli-carsi irremovibili paraocchi per non esser distratti dallapropria strada come si fa o si faceva per vivaci destrieriattaccati al cocchio, cui le briglie disciplinavano e me-navano: non è necessario che essi si guardino a fianco,ne sarebbero disturbati e si adombrerebbero: c'è chi pen-

252

Di solito o si relega il problema tra gli insolubili enig-mi, che l'uomo non ha proprio nessun interesse a risol-vere, o all'opposto si ritiene che il problema sia com-prensivo di tutti quanti gli altri nei quali si risolve. equindi non può porsi distintamente, o, infine, lo si di-chiara senz'altro un problema inesistente.

Problema inesistente, solo perchè si è dimostratal'insufficienza o l'erroneità di una precedente soluzioneche importava una precedente posizione. E così conquesta dichiarazione ci si dispensa dal vedere, di quelladimostrazione, i concetti o dogmaticamente assunti o er-roneamente presupposti e, di fronte al problema, le con-seguenze della correzione o eliminazione di essi unavolta riconosciutane la dogmaticità o erroneità; ci si di-spensa dal vedere del problema l'esigenza da cui nasceanche nella sua inesatta e quindi superabile posizione.

Ma così ci si dispensa insieme dal filosofare: si pon-gono a questo delle barriere insormontabili, proprio innome di quella Critica, che, se ha un valore, ha proprioquello di voler vedere, di aver visto le barriere e di avercon ciò posta la necessità di sormontarle. Dichiarareinesistente quella esigenza, solo perchè si sono ricono-sciute false la posizione e la soluzione del problema chene era nato, è chiudere gli occhi per non vedere, o appli-carsi irremovibili paraocchi per non esser distratti dallapropria strada come si fa o si faceva per vivaci destrieriattaccati al cocchio, cui le briglie disciplinavano e me-navano: non è necessario che essi si guardino a fianco,ne sarebbero disturbati e si adombrerebbero: c'è chi pen-

252

Page 253: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sa a guidarli. Ma, non è superfluo ripeterlo, la filosofiacon paraocchi non è più filosofia, sia quando questi pa-raocchi siano imposti da un dogmatismo tradizionale,sia quando siano formati di un antropologismo o antro-pomorfismo sia pur nato dalla Critica.

Se si esclude a ragione che possano servire da imper-scrutabile lume di verità concetti tradizionali o rivelati,si ritengano venerabili quanto si voglia, tanto più devesia ragione escludere che di siffatte bende ci si possa ser-vire eliminando i problemi con la comoda dichiarazionedella loro inesistenza.

Noi dunque non ci sentiamo di profittare di questa di-chiarazione, perchè non ci sentiamo di usufruire di nes-suna di quelle dispense. Sarà così teologizzante la nostrafilosofia, perchè pone esplicito il problema di Dio, pro-blema metafisico che una filosofia che voglia esser mo-derna non deve porre? Sia pure teologizzante: anzi la fi-losofia non è, e non può essere fondamentalmente cheteologismo. Me ne dispiace per i teologi che non voglia-no saper nulla di filosofia; ma me ne dispiace anche perchi crede di costruire una filosofia dello spirito, dichia-rando inesistente il problema di Dio. La filosofia, sequalcosa è nell'essenza sua, è proprio Dio nella sua pro-blematicità. Problematicità, che vuol dire bisogno di di-mostrazione.

Come va dunque posto, oggi, in filosofia il problemadi Dio?

Per rispondere a questa domanda bisogna prima libe-rare il terreno dalla impostazione tradizionale del pro-

253

sa a guidarli. Ma, non è superfluo ripeterlo, la filosofiacon paraocchi non è più filosofia, sia quando questi pa-raocchi siano imposti da un dogmatismo tradizionale,sia quando siano formati di un antropologismo o antro-pomorfismo sia pur nato dalla Critica.

Se si esclude a ragione che possano servire da imper-scrutabile lume di verità concetti tradizionali o rivelati,si ritengano venerabili quanto si voglia, tanto più devesia ragione escludere che di siffatte bende ci si possa ser-vire eliminando i problemi con la comoda dichiarazionedella loro inesistenza.

Noi dunque non ci sentiamo di profittare di questa di-chiarazione, perchè non ci sentiamo di usufruire di nes-suna di quelle dispense. Sarà così teologizzante la nostrafilosofia, perchè pone esplicito il problema di Dio, pro-blema metafisico che una filosofia che voglia esser mo-derna non deve porre? Sia pure teologizzante: anzi la fi-losofia non è, e non può essere fondamentalmente cheteologismo. Me ne dispiace per i teologi che non voglia-no saper nulla di filosofia; ma me ne dispiace anche perchi crede di costruire una filosofia dello spirito, dichia-rando inesistente il problema di Dio. La filosofia, sequalcosa è nell'essenza sua, è proprio Dio nella sua pro-blematicità. Problematicità, che vuol dire bisogno di di-mostrazione.

Come va dunque posto, oggi, in filosofia il problemadi Dio?

Per rispondere a questa domanda bisogna prima libe-rare il terreno dalla impostazione tradizionale del pro-

253

Page 254: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

blema stesso, impostazione che rende questo contraddit-torio e quindi insolubile.

254

blema stesso, impostazione che rende questo contraddit-torio e quindi insolubile.

254

Page 255: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO VII.L'ESISTENZA DI DIO

51. Il concetto realistico di religione e l'esisten-za di Dio.

Qual'è, dunque, la impostazione tradizionale del pro-blema di Dio?

Eccola quale a me appare nelle sue linee essenzialicome risultato delle concezioni realistiche, ancora persi-stenti, come abbiam visto, anche nel più deciso ideali-smo.

Il problema di Dio è, nel pensiero tradizionale, essen-zialmente connesso alla religione: Dio starebbe o ca-drebbe con questa. Più forse ancora problema teologicoe problema religioso di solito sono identificati. Ma quelche a noi importa è che il problema teologico è posto al-meno fondamentalmente come problema religioso, anzicome il problema della stessa religione.

255

CAPITOLO VII.L'ESISTENZA DI DIO

51. Il concetto realistico di religione e l'esisten-za di Dio.

Qual'è, dunque, la impostazione tradizionale del pro-blema di Dio?

Eccola quale a me appare nelle sue linee essenzialicome risultato delle concezioni realistiche, ancora persi-stenti, come abbiam visto, anche nel più deciso ideali-smo.

Il problema di Dio è, nel pensiero tradizionale, essen-zialmente connesso alla religione: Dio starebbe o ca-drebbe con questa. Più forse ancora problema teologicoe problema religioso di solito sono identificati. Ma quelche a noi importa è che il problema teologico è posto al-meno fondamentalmente come problema religioso, anzicome il problema della stessa religione.

255

Page 256: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il concetto tradizionale della religione è ancora, cometanti altri, realistico anche nelle più risolute concezioniidealistiche. Anche per la religione è avvenuto quelloche abbiam dimostrato per l'oggetto: invece di ricercareil nuovo concetto di religione che la concretezza con-sente e richiede, si è svalutata la religione come tale inbase al vecchio concetto che il realismo ce ne presenta-va, e si è ritenuta religiosa in verità soltanto la posizionespeculativa: la religione è stata tolta (soppressa e solle-vata a) in filosofia.

Ora il concetto realistico della religione presupponel'esistenza di un Essere che bisogna adorare. In questoconcetto si scambia, come vedremo nel capitolo seguen-te, l'Essere in sè, oggetto di adorazione proprio perchèoggetto puro, con l'esistenza che è invece la soggettivitàdi colui che adora.

E quindi si finisce col far cadere nel nulla il soggettoadorante proprio in quanto tale; si finisce col riconosce-re il suo nulla pur nel più vivo fervore della sua fede at-tuosa. Data l'esistenza a Dio, non ce n'è altra residua perlo stesso credente, la cui fede da esistenza, che in veritàè, fu ritenuta invece annullamento, fu ritenuta il cupiodissolvi. Tal cupio però rinnega del tutto la dissoluzione,quando è fede viva e non impotente o egoistica brama dibeatitudine.

Questa esistenza dell'Essere, che si deve adorare, e ilconseguente cadere della esistenza (e quindi della fede)di colui che adora, nel nulla proprio per l'esistere

256

Il concetto tradizionale della religione è ancora, cometanti altri, realistico anche nelle più risolute concezioniidealistiche. Anche per la religione è avvenuto quelloche abbiam dimostrato per l'oggetto: invece di ricercareil nuovo concetto di religione che la concretezza con-sente e richiede, si è svalutata la religione come tale inbase al vecchio concetto che il realismo ce ne presenta-va, e si è ritenuta religiosa in verità soltanto la posizionespeculativa: la religione è stata tolta (soppressa e solle-vata a) in filosofia.

Ora il concetto realistico della religione presupponel'esistenza di un Essere che bisogna adorare. In questoconcetto si scambia, come vedremo nel capitolo seguen-te, l'Essere in sè, oggetto di adorazione proprio perchèoggetto puro, con l'esistenza che è invece la soggettivitàdi colui che adora.

E quindi si finisce col far cadere nel nulla il soggettoadorante proprio in quanto tale; si finisce col riconosce-re il suo nulla pur nel più vivo fervore della sua fede at-tuosa. Data l'esistenza a Dio, non ce n'è altra residua perlo stesso credente, la cui fede da esistenza, che in veritàè, fu ritenuta invece annullamento, fu ritenuta il cupiodissolvi. Tal cupio però rinnega del tutto la dissoluzione,quando è fede viva e non impotente o egoistica brama dibeatitudine.

Questa esistenza dell'Essere, che si deve adorare, e ilconseguente cadere della esistenza (e quindi della fede)di colui che adora, nel nulla proprio per l'esistere

256

Page 257: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dell'Essere adorato21, sono inevitabili nella concezionerealistica. Per questa parlare di Dio come oggetto diadorazione e non farlo esistente, sarebbero termini con-traddittori: l'esistenza deve esser posseduta dall'Essereche è adorato, se l'adorazione è qualcosa che risponde averità e quell'Essere non è una menzogna o una falsità, ouna illusione.

Questo concetto della religione pone questa in neces-sario contatto con la superstizione.

21 Questa conseguenza vorrebbe forse eliminare l'Otto (Il Sa-cro, trad. it., 1926, p. 10-14; per una esposizione critica di questovolume, che in Germania ha già raggiunto la 17a ediz., cfr. l'arti-colo di Martinetti in Riv. di fil, 1931, I), quando cerca di trasfor-mare il carattere della dipendenza che egli trova posto daSchleiermacher come proprio della religiosità, in quello che eglidice «creaturale»; ma anche con questa trasformazione egli con-ferma l'annullarsi del credente: «sentimento di essere creatura, ilsentimento della creatura che s'affonda nella propria nullità, chescompare al cospetto di ciò che sovrasta ogni creatura». E invanoegli cerca poi di limitare il valore di questa proposizione, giacchèdovrebbe proprio cambiare quello che egli dice sentimento crea-turale. Chi adora, non si annulla nel puro sentimento di creatura:sente invece di essere, con la spontaneità del suo spirito adorante,un agente della creazione. Il sentimento creaturale finisce nel pin-zoccherismo; il sentimento che potremmo dire creazionistico, fi-nisce nelle grandi azioni storiche, nella santità operosa. Per uncenno di tale forma spirituale, che forse mal si dice sentimento,cfr. il § 57; ma notisi che è soltanto un cenno. Io non ho volutoqui fare della filosofia della religione, ma solo liberare il pensierospeculativo dagli errori, che, anche da parte della religione, osta-colano la posizione del problema di Dio.

257

dell'Essere adorato21, sono inevitabili nella concezionerealistica. Per questa parlare di Dio come oggetto diadorazione e non farlo esistente, sarebbero termini con-traddittori: l'esistenza deve esser posseduta dall'Essereche è adorato, se l'adorazione è qualcosa che risponde averità e quell'Essere non è una menzogna o una falsità, ouna illusione.

Questo concetto della religione pone questa in neces-sario contatto con la superstizione.

21 Questa conseguenza vorrebbe forse eliminare l'Otto (Il Sa-cro, trad. it., 1926, p. 10-14; per una esposizione critica di questovolume, che in Germania ha già raggiunto la 17a ediz., cfr. l'arti-colo di Martinetti in Riv. di fil, 1931, I), quando cerca di trasfor-mare il carattere della dipendenza che egli trova posto daSchleiermacher come proprio della religiosità, in quello che eglidice «creaturale»; ma anche con questa trasformazione egli con-ferma l'annullarsi del credente: «sentimento di essere creatura, ilsentimento della creatura che s'affonda nella propria nullità, chescompare al cospetto di ciò che sovrasta ogni creatura». E invanoegli cerca poi di limitare il valore di questa proposizione, giacchèdovrebbe proprio cambiare quello che egli dice sentimento crea-turale. Chi adora, non si annulla nel puro sentimento di creatura:sente invece di essere, con la spontaneità del suo spirito adorante,un agente della creazione. Il sentimento creaturale finisce nel pin-zoccherismo; il sentimento che potremmo dire creazionistico, fi-nisce nelle grandi azioni storiche, nella santità operosa. Per uncenno di tale forma spirituale, che forse mal si dice sentimento,cfr. il § 57; ma notisi che è soltanto un cenno. Io non ho volutoqui fare della filosofia della religione, ma solo liberare il pensierospeculativo dagli errori, che, anche da parte della religione, osta-colano la posizione del problema di Dio.

257

Page 258: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Se, infatti, il Dio che adoriamo, esiste, dobbiamo inqualche modo averne la prova. Degli altri che esistono,abbiamo la prova nelle cose reali che la esperienza ci of-fre. E, invece, dell'esistenza di Dio non avremmo altraprova, all'infuori della adorazione, la quale pur finirebbecon l'annullare se stessa. Non la si ha certo nella comu-ne esperienza, le cui cose reali possiamo e dobbiamo ri-portare a quella alterità, della quale noi stessi facciamparte ed entro la quale nessuno degli esistenti si presentacome Dio; anche nella concreta creazione dei valori spi-rituali, si tratti pur di Dante o Beethowen, Mosé o Napo-leone, Aristotele o Newton ecc., non troviamo certoDio.

Per questa necessità di provare l'esistenza di Dio chenoi affermiamo con la nostra adorazione, la religione èquasi spinta a trasformare il puro intimo adorare delsoggetto esistente, la schietta fede che essenzialmente lacostituisce, in una speciale esperienza, l'esperienza chesi ha di Dio. Si importa quindi nella religione, per ladetta esigenza realistica, questa nota della sperimentali-tà, che pone a contatto la religiosità nel suo vero valorecon quella sua degenerazione che è la superstizione.

Se infatti è superstizione dare valore soprannaturale aciò che è natura, superstizione in sè necessariamente in-volge questo porre nella esperienza una speciale espe-rienza di Dio. Questa esperienza, in quanto tale, si risol-ve infatti in una natura denaturata o deformata che sidice soprannatura. In questa superstiziosa soprannaturapuò vivere, anzi vive di certo, il valore vero della reli-

258

Se, infatti, il Dio che adoriamo, esiste, dobbiamo inqualche modo averne la prova. Degli altri che esistono,abbiamo la prova nelle cose reali che la esperienza ci of-fre. E, invece, dell'esistenza di Dio non avremmo altraprova, all'infuori della adorazione, la quale pur finirebbecon l'annullare se stessa. Non la si ha certo nella comu-ne esperienza, le cui cose reali possiamo e dobbiamo ri-portare a quella alterità, della quale noi stessi facciamparte ed entro la quale nessuno degli esistenti si presentacome Dio; anche nella concreta creazione dei valori spi-rituali, si tratti pur di Dante o Beethowen, Mosé o Napo-leone, Aristotele o Newton ecc., non troviamo certoDio.

Per questa necessità di provare l'esistenza di Dio chenoi affermiamo con la nostra adorazione, la religione èquasi spinta a trasformare il puro intimo adorare delsoggetto esistente, la schietta fede che essenzialmente lacostituisce, in una speciale esperienza, l'esperienza chesi ha di Dio. Si importa quindi nella religione, per ladetta esigenza realistica, questa nota della sperimentali-tà, che pone a contatto la religiosità nel suo vero valorecon quella sua degenerazione che è la superstizione.

Se infatti è superstizione dare valore soprannaturale aciò che è natura, superstizione in sè necessariamente in-volge questo porre nella esperienza una speciale espe-rienza di Dio. Questa esperienza, in quanto tale, si risol-ve infatti in una natura denaturata o deformata che sidice soprannatura. In questa superstiziosa soprannaturapuò vivere, anzi vive di certo, il valore vero della reli-

258

Page 259: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

giosità; ma è difficile depurarlo dalla sua soprastruttura,che lo nasconde e si manifesta in sua vece. Donde l'utili-tarismo miracolistico che è certo tutt'altra cosa che lapura coscienza religiosa e tutt'altra cosa anche che laconcezione della sostanziale spiritualità del divenire (edil miracolismo non ha di vero che quest'ultima). Dondeanche il significato realistico della rivelazione, che sipone come quella ancor più determinata esperienza, nel-la quale Dio stesso manifesta direttamente, con insegna-menti o comandi, la propria esistenza. Siamo così in unaspeciale realtà, pur sempre originata nell'alterità: Dioesistente, ma nascosto e lontano, si manifesta per pocotra gli esistenti, conviene con loro a creare esperienze.Senza le tavole e senza Mosè non v'è possibilità di rive-lazione; non v'è rivelazione senza voce che parli edorecchie che ascoltino, senza figura che si manifesti edocchi che vedano, senza quelle che dicemmo cosedell'esperienza, cose reali (§ 42).

Ma proprio quando questa prova sperimentale dellaesistenza di Dio si è raggiunta, perchè Dio stesso nellasua singolare esistenza è intervenuto in quella esperien-za in cui gli esistenti si realizzano, proprio allora da unaparte si perde la possibilità che tutta l'esistenza agente erisultante nella esperienza si appunti in Dio, giacchè Diosi manifesta solo in una specialissima esperienza, edall'altra non si guadagna neppure questa speciale deter-minata prova, perchè, per particolare e determinata chesia questa esperienza, essa è pur sempre esperienza, equesta è fatta tale, vedemmo, dal convenire dei più e dal

259

giosità; ma è difficile depurarlo dalla sua soprastruttura,che lo nasconde e si manifesta in sua vece. Donde l'utili-tarismo miracolistico che è certo tutt'altra cosa che lapura coscienza religiosa e tutt'altra cosa anche che laconcezione della sostanziale spiritualità del divenire (edil miracolismo non ha di vero che quest'ultima). Dondeanche il significato realistico della rivelazione, che sipone come quella ancor più determinata esperienza, nel-la quale Dio stesso manifesta direttamente, con insegna-menti o comandi, la propria esistenza. Siamo così in unaspeciale realtà, pur sempre originata nell'alterità: Dioesistente, ma nascosto e lontano, si manifesta per pocotra gli esistenti, conviene con loro a creare esperienze.Senza le tavole e senza Mosè non v'è possibilità di rive-lazione; non v'è rivelazione senza voce che parli edorecchie che ascoltino, senza figura che si manifesti edocchi che vedano, senza quelle che dicemmo cosedell'esperienza, cose reali (§ 42).

Ma proprio quando questa prova sperimentale dellaesistenza di Dio si è raggiunta, perchè Dio stesso nellasua singolare esistenza è intervenuto in quella esperien-za in cui gli esistenti si realizzano, proprio allora da unaparte si perde la possibilità che tutta l'esistenza agente erisultante nella esperienza si appunti in Dio, giacchè Diosi manifesta solo in una specialissima esperienza, edall'altra non si guadagna neppure questa speciale deter-minata prova, perchè, per particolare e determinata chesia questa esperienza, essa è pur sempre esperienza, equesta è fatta tale, vedemmo, dal convenire dei più e dal

259

Page 260: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

necessitare tutti. E nella pretesa speciale esperienza reli-giosa invece, in cui Dio è un esistente, comincia già conl'essere annullato lo stesso credente a cui la rivelazionedeve esser fatta: non v'è possibilità di rapporto reciprococon Dio. Fuori di Lui, non c'è nulla. Ma, anche se non sitenga conto di questo annullamento del credente appun-to perchè credente, di fronte a tale speciale esperienzarealistica, e solo di fronte ad essa, c'è il miscredente cheoppone alla esistenza del Dio adorato dal credente, lasua propria esistenza, che egli realizza nella comuneesperienza con la realtà di se stesso e delle opere sue,realtà nella quale lo stesso credente convenire deve, selo ascolta, gli parla, convive e collabora con lui. Laddo-ve il miscredente, proprio perchè tale, non conviene inquella realtà di Dio nella quale il credente dovrebbeavere il potere di farlo convenire, perchè questa speri-mentata realtà fosse prova della esistenza di Dio.L'esperienza, qualunque essa sia, deve essere sperimen-tabile. Una volta provato Dio con l'esperienza, non sipuò più poi ricorrere alla pura fede per avvalorare que-sta esperienza. L'esperienza è avvalorabile solo con altraesperienza, non altrimenti. E invece la comune esperien-za, l'esperienza residua da quella religiosa, in tanto con-tinua ad essere sperimentabile, in quanto, lungi dal con-fermare quella religiosa, si contrappone ad essa.

La speciale esperienza religiosa, come determinata eavente caratteri suoi propri, ma pur sempre esperienza,non è confermabile, cioè non è esperienza. Essa non fache mettere nella natura una soprannatura, la quale però

260

necessitare tutti. E nella pretesa speciale esperienza reli-giosa invece, in cui Dio è un esistente, comincia già conl'essere annullato lo stesso credente a cui la rivelazionedeve esser fatta: non v'è possibilità di rapporto reciprococon Dio. Fuori di Lui, non c'è nulla. Ma, anche se non sitenga conto di questo annullamento del credente appun-to perchè credente, di fronte a tale speciale esperienzarealistica, e solo di fronte ad essa, c'è il miscredente cheoppone alla esistenza del Dio adorato dal credente, lasua propria esistenza, che egli realizza nella comuneesperienza con la realtà di se stesso e delle opere sue,realtà nella quale lo stesso credente convenire deve, selo ascolta, gli parla, convive e collabora con lui. Laddo-ve il miscredente, proprio perchè tale, non conviene inquella realtà di Dio nella quale il credente dovrebbeavere il potere di farlo convenire, perchè questa speri-mentata realtà fosse prova della esistenza di Dio.L'esperienza, qualunque essa sia, deve essere sperimen-tabile. Una volta provato Dio con l'esperienza, non sipuò più poi ricorrere alla pura fede per avvalorare que-sta esperienza. L'esperienza è avvalorabile solo con altraesperienza, non altrimenti. E invece la comune esperien-za, l'esperienza residua da quella religiosa, in tanto con-tinua ad essere sperimentabile, in quanto, lungi dal con-fermare quella religiosa, si contrappone ad essa.

La speciale esperienza religiosa, come determinata eavente caratteri suoi propri, ma pur sempre esperienza,non è confermabile, cioè non è esperienza. Essa non fache mettere nella natura una soprannatura, la quale però

260

Page 261: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

non è fatta che di natura. Siamo ad un altro aspetto dellacontraddizione, in cui il realismo sempre finisce.

Il realismo, adunque, col porre nella religione l'esi-genza della esistenza di Dio, deforma prima la religionecol trasformare la pura ed intima adorazione che la co-stituisce in speciale sperimentabilità di Dio. E poi quin-di da una parte pone la religione stessa così deformata incondizione di non raggiungere il suo compito e di mani-festarsi cosi come superstizione e dall'altra allontanal'esperienza, nella sua integrità, da quell'intima essenzadi religiosità che è il suo vero valore.

52. Il problema della esistenza di Dio nella filo-sofia.

A salvare quindi la religione nella sua purezza di fedeintima non traducibile in esperienza, quella provadell'esistenza di Dio viene chiesta alla filosofia. Questa,come riflessione su ogni forma di coscienza, deve sapertrovare di ogni esistenza la prova nella coscienza che sene ha. Con questa richiesta la religione quasi si libera daquesta spinta verso la superstizione che il realismo le dà.Conserva come propria questa esigenza della esistenzadi Dio, e quindi conserva il concetto realistico che glieladà; ma addossa ad altra attività il compito di soddisfarla.Posto che l'adorazione religiosa postuli Dio come esi-stente, la filosofia deve saper mostrare la giustezza di

261

non è fatta che di natura. Siamo ad un altro aspetto dellacontraddizione, in cui il realismo sempre finisce.

Il realismo, adunque, col porre nella religione l'esi-genza della esistenza di Dio, deforma prima la religionecol trasformare la pura ed intima adorazione che la co-stituisce in speciale sperimentabilità di Dio. E poi quin-di da una parte pone la religione stessa così deformata incondizione di non raggiungere il suo compito e di mani-festarsi cosi come superstizione e dall'altra allontanal'esperienza, nella sua integrità, da quell'intima essenzadi religiosità che è il suo vero valore.

52. Il problema della esistenza di Dio nella filo-sofia.

A salvare quindi la religione nella sua purezza di fedeintima non traducibile in esperienza, quella provadell'esistenza di Dio viene chiesta alla filosofia. Questa,come riflessione su ogni forma di coscienza, deve sapertrovare di ogni esistenza la prova nella coscienza che sene ha. Con questa richiesta la religione quasi si libera daquesta spinta verso la superstizione che il realismo le dà.Conserva come propria questa esigenza della esistenzadi Dio, e quindi conserva il concetto realistico che glieladà; ma addossa ad altra attività il compito di soddisfarla.Posto che l'adorazione religiosa postuli Dio come esi-stente, la filosofia deve saper mostrare la giustezza di

261

Page 262: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

questa esigenza, o saper liberare la coscienza dalla ne-cessità stessa della religione.

La religione, quindi, trovasi così a ripetere dalla filo-sofia la soluzione del problema della esistenza di Dio.

Questo atteggiamento della religione verso la filoso-fia, si sa che è esplicitamente affermato dal sistematoreclassico della dottrina cattolica della religione cristiana,Tommaso d'Aquino.

Che l'esistenza di Dio sia fede, «opinio manifeste fal-sa apparet», giacchè è «rationibus irrefragabilibus etiama philosophis probatum». Inoltre «Deum esse non est ar-ticulus fidei, sed praecedens articulum fidei»22.

L'esistenza di Dio è, dunque, un problema risolubile erisoluto dalla filosofia a servizio della religione e comepresupposto di questa (praecedens articulum fidei): èdebito che la filosofia deve assolvere, e, in modo direttoo indiretto, ha sempre assolto, verso la religione.

È naturale che in questa forma non potesse esser vistocome il problema dello stesso oggetto della filosofia e sipresentasse soltanto come il problema quasi diun'appendice della filosofia, comunque essa la si dica.Esso era limitato nella sua origine al di là della filosofia,e determinato nella sua forma da tale sua estranea origi-ne: si trattava di risolvere un problema nato dalla reli-gione realisticamente interpretata e perciò richiedenteuna dimostrazione della esistenza di Dio.

22 Quaestiones disputatae. De veritate, q. 10, a 12; in Opus. etesti filosofici a cura di B. Nardi, Bari 1917, vol. II, pp. 485, 489.

262

questa esigenza, o saper liberare la coscienza dalla ne-cessità stessa della religione.

La religione, quindi, trovasi così a ripetere dalla filo-sofia la soluzione del problema della esistenza di Dio.

Questo atteggiamento della religione verso la filoso-fia, si sa che è esplicitamente affermato dal sistematoreclassico della dottrina cattolica della religione cristiana,Tommaso d'Aquino.

Che l'esistenza di Dio sia fede, «opinio manifeste fal-sa apparet», giacchè è «rationibus irrefragabilibus etiama philosophis probatum». Inoltre «Deum esse non est ar-ticulus fidei, sed praecedens articulum fidei»22.

L'esistenza di Dio è, dunque, un problema risolubile erisoluto dalla filosofia a servizio della religione e comepresupposto di questa (praecedens articulum fidei): èdebito che la filosofia deve assolvere, e, in modo direttoo indiretto, ha sempre assolto, verso la religione.

È naturale che in questa forma non potesse esser vistocome il problema dello stesso oggetto della filosofia e sipresentasse soltanto come il problema quasi diun'appendice della filosofia, comunque essa la si dica.Esso era limitato nella sua origine al di là della filosofia,e determinato nella sua forma da tale sua estranea origi-ne: si trattava di risolvere un problema nato dalla reli-gione realisticamente interpretata e perciò richiedenteuna dimostrazione della esistenza di Dio.

22 Quaestiones disputatae. De veritate, q. 10, a 12; in Opus. etesti filosofici a cura di B. Nardi, Bari 1917, vol. II, pp. 485, 489.

262

Page 263: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Dimostrare l'esistenza si doveva e quindi, richiamatedalla essenza intima della dimostrazione, sorsero le ri-sposte razionali. Dimostrare è servirsi della ragione. Masi tratta di dimostrare l'esistenza. E la soluzione quindi,pur razionale sempre, si duplica.

Da una parte si accentua l'esigenza di ciò che devesidimostrare, l'esistenza. Quindi l'esperienza riprende do-minio: quella stessa esistenza che l'esperienza ci prova,può darci e bene esaminata ci dà, perchè deve darci, an-che l'esistenza di Dio. E si ricorre quindi alle prove apo-steriori. In questo genere di prove si cerca di trarre dallastessa esperienza comune quella esistenza di Dio, chel'interpretazione realistica della religione aveva posta inquesta col darle una sua speciale esperienza. Non si escequindi da tale interpretazione realistica. Non si vede chel'esistenza di Dio non è richiesta dalla genuina essenzadella religione come pura fede, ma dalla superstiziosasovrapposizione di una sperimentata realtà di fede. Purnon ci si fonda su questa sperimentata realtà di fede;anzi par che la si abbandoni, mentre ne è il tacito pre-supposto. Non si presuppone la genuina fede; si presup-pone la religione realisticamente interpretata.

Il Dio esistente quindi si pone principio supremodell'esperienza. È questa l'essenza profonda del cosid-detto argomento cosmologico. La realtà del mondo ri-chiede l'esistenza di Dio. La prova fisico-teologica equella morale possono essere riportate alla stessa provacosmologica. Aggiungono a questa l'una l'ordine essen-ziale dell'universo, l'altra l'esserci nell'universo di esseri

263

Dimostrare l'esistenza si doveva e quindi, richiamatedalla essenza intima della dimostrazione, sorsero le ri-sposte razionali. Dimostrare è servirsi della ragione. Masi tratta di dimostrare l'esistenza. E la soluzione quindi,pur razionale sempre, si duplica.

Da una parte si accentua l'esigenza di ciò che devesidimostrare, l'esistenza. Quindi l'esperienza riprende do-minio: quella stessa esistenza che l'esperienza ci prova,può darci e bene esaminata ci dà, perchè deve darci, an-che l'esistenza di Dio. E si ricorre quindi alle prove apo-steriori. In questo genere di prove si cerca di trarre dallastessa esperienza comune quella esistenza di Dio, chel'interpretazione realistica della religione aveva posta inquesta col darle una sua speciale esperienza. Non si escequindi da tale interpretazione realistica. Non si vede chel'esistenza di Dio non è richiesta dalla genuina essenzadella religione come pura fede, ma dalla superstiziosasovrapposizione di una sperimentata realtà di fede. Purnon ci si fonda su questa sperimentata realtà di fede;anzi par che la si abbandoni, mentre ne è il tacito pre-supposto. Non si presuppone la genuina fede; si presup-pone la religione realisticamente interpretata.

Il Dio esistente quindi si pone principio supremodell'esperienza. È questa l'essenza profonda del cosid-detto argomento cosmologico. La realtà del mondo ri-chiede l'esistenza di Dio. La prova fisico-teologica equella morale possono essere riportate alla stessa provacosmologica. Aggiungono a questa l'una l'ordine essen-ziale dell'universo, l'altra l'esserci nell'universo di esseri

263

Page 264: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

morali, ma sempre anch'esse partono dalla esperienza,come del resto Kant ha già messo chiaramente in evi-denza (cfr. il cap. III della Dialettica trascendentale nellaCrit. d. ragion pura).

Un tal genere di prove, però, è inficiato anzitutto dalpresupposto della speciale esperienza religiosa, che ab-biam visto conservata, proprio mentre le si vuol dare unfondamento. Fondamento del quale essa non avrebbe bi-sogno, se veramente avesse quella natura di esperienzache le si vuole attribuire. E toltale questa natura di espe-rienza, perchè contraddittoria con l'esperienza stessa,non ci sarebbe più luogo a ricercare un esistente. Ol'esperienza religiosa con la sua rivelazione ed i suoi mi-racoli è veramente esperienza, e allora alla filosofia nonc'è da chieder nulla; o esperienza non è, perchè la reli-gione è al di là di ogni esperienza, ed allora la comuneesperienza non potrà darci mai quell'Esistente trascen-dente tutti gli altri esistenti, del quale andiamo in cerca.La dimostrazione aposteriori o postula anche per Diol'esistenza come sperimentabile (che vuol dire appuntoaposteriorità, esperienza e niente altro) e sarebbe essastessa superflua; o non la postula perchè vuol inveceraggiungerla solo essa e non la raggiungerà mai, perchèl'esistente, eventualmente raggiunto con una dimostra-zione fondata sulle cose reali, sarà quell'esistente molte-plice che abbiam visto presupposto della esperienza.

La necessità di evitare il cosiddetto processo all'infi-nito, da una parte, è soltanto un comodo pretesto per so-stituire alle difficoltà di tale processo una difficoltà certo

264

morali, ma sempre anch'esse partono dalla esperienza,come del resto Kant ha già messo chiaramente in evi-denza (cfr. il cap. III della Dialettica trascendentale nellaCrit. d. ragion pura).

Un tal genere di prove, però, è inficiato anzitutto dalpresupposto della speciale esperienza religiosa, che ab-biam visto conservata, proprio mentre le si vuol dare unfondamento. Fondamento del quale essa non avrebbe bi-sogno, se veramente avesse quella natura di esperienzache le si vuole attribuire. E toltale questa natura di espe-rienza, perchè contraddittoria con l'esperienza stessa,non ci sarebbe più luogo a ricercare un esistente. Ol'esperienza religiosa con la sua rivelazione ed i suoi mi-racoli è veramente esperienza, e allora alla filosofia nonc'è da chieder nulla; o esperienza non è, perchè la reli-gione è al di là di ogni esperienza, ed allora la comuneesperienza non potrà darci mai quell'Esistente trascen-dente tutti gli altri esistenti, del quale andiamo in cerca.La dimostrazione aposteriori o postula anche per Diol'esistenza come sperimentabile (che vuol dire appuntoaposteriorità, esperienza e niente altro) e sarebbe essastessa superflua; o non la postula perchè vuol inveceraggiungerla solo essa e non la raggiungerà mai, perchèl'esistente, eventualmente raggiunto con una dimostra-zione fondata sulle cose reali, sarà quell'esistente molte-plice che abbiam visto presupposto della esperienza.

La necessità di evitare il cosiddetto processo all'infi-nito, da una parte, è soltanto un comodo pretesto per so-stituire alle difficoltà di tale processo una difficoltà certo

264

Page 265: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

non minore, quella di far fermare il processo stesso, edall'altra è un dimenticare che tale processo è condizio-nato dalla reciprocità, la quale di questo è capace di darragione.

La filosofia, infine, per la stessa sua natura non puòfondare mai le sue dimostrazioni sulla esperienza. Nellapura riflessione, in cui la filosofia consiste, essa esplicale esigenze della concreta coscienza, e così si ponecome pura ragione. E perciò come non può una espe-rienza determinata, così non può neppure tutta l'espe-rienza essere fondamento alla filosofia: la filosofia nonpuò essere empirismo, cioè sapere fondato sulla espe-rienza. Ma, si badi, non è empirismo, cioè fondarsi sullaesperienza, dar ragione della esperienza. Se mai, è pro-prio fondare l'esperienza non fondarsi su di essa. Ciò siadetto per chi vede, con buono o torvo sguardo dell'empi-rismo nel mio speculare: è non averlo compreso affatto.

Queste «irrefragabili ragioni», dunque, per le quali lafilosofia conclude alla esistenza di Dio indipendente-mente dalla fede, se mai ci sono, non sono certo questeaposteriori, nelle quali soltanto pure lo stesso Tommasoquelle ragioni trova. Le prove aposteriori in filosofianon hanno diritto d'asilo per qualunque problema; tantomeno lo hanno per il problema di Dio.

La cosa reale esistente ci mena sempre ad un'altracosa reale. Dell'esperienza e dell'esistenza delle cosereali che in essa e da essa soltanto risulta, potremo, edovremo, riconoscere l'astrattezza. Ma tale astrattezzanon sarà colmata da un'altra cosa astratta, quale necessa-

265

non minore, quella di far fermare il processo stesso, edall'altra è un dimenticare che tale processo è condizio-nato dalla reciprocità, la quale di questo è capace di darragione.

La filosofia, infine, per la stessa sua natura non puòfondare mai le sue dimostrazioni sulla esperienza. Nellapura riflessione, in cui la filosofia consiste, essa esplicale esigenze della concreta coscienza, e così si ponecome pura ragione. E perciò come non può una espe-rienza determinata, così non può neppure tutta l'espe-rienza essere fondamento alla filosofia: la filosofia nonpuò essere empirismo, cioè sapere fondato sulla espe-rienza. Ma, si badi, non è empirismo, cioè fondarsi sullaesperienza, dar ragione della esperienza. Se mai, è pro-prio fondare l'esperienza non fondarsi su di essa. Ciò siadetto per chi vede, con buono o torvo sguardo dell'empi-rismo nel mio speculare: è non averlo compreso affatto.

Queste «irrefragabili ragioni», dunque, per le quali lafilosofia conclude alla esistenza di Dio indipendente-mente dalla fede, se mai ci sono, non sono certo questeaposteriori, nelle quali soltanto pure lo stesso Tommasoquelle ragioni trova. Le prove aposteriori in filosofianon hanno diritto d'asilo per qualunque problema; tantomeno lo hanno per il problema di Dio.

La cosa reale esistente ci mena sempre ad un'altracosa reale. Dell'esperienza e dell'esistenza delle cosereali che in essa e da essa soltanto risulta, potremo, edovremo, riconoscere l'astrattezza. Ma tale astrattezzanon sarà colmata da un'altra cosa astratta, quale necessa-

265

Page 266: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

riamente sarebbe il Dio esistente che ricerchiamo. Rico-noscere l'astrattezza della esperienza non è cercare altraesistenza, oltre quella che in essa risulta; con questa ri-cerca rimaniamo nell'astrattezza. Il vero è che chi ricor-re a questi argomenti aposteriori, non riconosce comeastratta l'esperienza, perchè non ha guadagnata ancora lavisione del concreto.

Perciò, anche senza rendersi conto esplicito di questaragione profonda della insufficienza delle prove aposte-riori, si è sempre, accanto a questa soluzione aposterioridel problema, affermata anche una soluzione apriori.Partire dall'esistenza del mondo, si è giustamente pensa-to, non basta; questo non ci darà mai il punto d'appoggioper saltare nell'infinito Assoluto; seguiremo sempre lesue vie relative e finite e tale sarà sempre ciò a cui giun-geremo. Bisogna porsi di lancio nell'Infinito; bisognanon toccar terra, se si vuole veramente dimostrare Dio.

È evidente che qui la dimostrazione, con la sua intimaessenza razionale, prende il sopravvento sulla esistenzache invece è da dimostrare.

È di questo tipo il famoso argomento ontologico. Perraggiungere Dio bisogna partire solo dall'idea, non dallacosa reale.

Ma era facile opporre, e fu subito opposto, che l'ideanon mi darà mai la cosa; e l'esistenza è della o nella cosareale. La contraddittorietà, in cui sono i negatori

266

riamente sarebbe il Dio esistente che ricerchiamo. Rico-noscere l'astrattezza della esperienza non è cercare altraesistenza, oltre quella che in essa risulta; con questa ri-cerca rimaniamo nell'astrattezza. Il vero è che chi ricor-re a questi argomenti aposteriori, non riconosce comeastratta l'esperienza, perchè non ha guadagnata ancora lavisione del concreto.

Perciò, anche senza rendersi conto esplicito di questaragione profonda della insufficienza delle prove aposte-riori, si è sempre, accanto a questa soluzione aposterioridel problema, affermata anche una soluzione apriori.Partire dall'esistenza del mondo, si è giustamente pensa-to, non basta; questo non ci darà mai il punto d'appoggioper saltare nell'infinito Assoluto; seguiremo sempre lesue vie relative e finite e tale sarà sempre ciò a cui giun-geremo. Bisogna porsi di lancio nell'Infinito; bisognanon toccar terra, se si vuole veramente dimostrare Dio.

È evidente che qui la dimostrazione, con la sua intimaessenza razionale, prende il sopravvento sulla esistenzache invece è da dimostrare.

È di questo tipo il famoso argomento ontologico. Perraggiungere Dio bisogna partire solo dall'idea, non dallacosa reale.

Ma era facile opporre, e fu subito opposto, che l'ideanon mi darà mai la cosa; e l'esistenza è della o nella cosareale. La contraddittorietà, in cui sono i negatori

266

Page 267: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dell'argomento ontologico, non toglie la contraddizioneche questi scoprono in esso23.

Dinanzi al problema dell'esistenza di Dio la ragionequindi con le due vie tentate non è riuscita alla soluzio-ne. E nel provare la impossibilità di tal soluzione, Kantha ragione.

53. Esistenza di Dio e misticismo.

Ma non c'era bisogno di aspettare Kant, perchè nellaintimità della coscienza religiosa si fosse sentita tuttal'inadeguatezza della soluzione razionale del problemadato a risolvere alla filosofia.

Contro questa dimostrazione di un problema necessa-riamente soggetta, nelle sue pur progressive argomenta-zioni determinate, ad opposizione, a fallacia, ad insuffi-cienza, dimostrazione che pur dovrebbe essere incon-cussa ed inconfutabile per porsi come principio dellafede religiosa, questa non può non protestare procla-mando la superfluità di una tale dimostrazione comeprincipio, come «praecedens articulum fidei». Non puòla coscienza religiosa porre la sua base prima sulle argo-mentazioni siano esse pure di un Aristotele o di un An-selmo. Pare, questa, ribellione contro la filosofia con lesue dimostrazioni razionali ed è inconsapevole ribellio-ne contro la concezione realistica della religione. Incon-

23 Cfr. la mia Fil. di Kant, I L'idea teologica, §§ 18, 49 e pas-sim. Cfr. poi il cap. seg.

267

dell'argomento ontologico, non toglie la contraddizioneche questi scoprono in esso23.

Dinanzi al problema dell'esistenza di Dio la ragionequindi con le due vie tentate non è riuscita alla soluzio-ne. E nel provare la impossibilità di tal soluzione, Kantha ragione.

53. Esistenza di Dio e misticismo.

Ma non c'era bisogno di aspettare Kant, perchè nellaintimità della coscienza religiosa si fosse sentita tuttal'inadeguatezza della soluzione razionale del problemadato a risolvere alla filosofia.

Contro questa dimostrazione di un problema necessa-riamente soggetta, nelle sue pur progressive argomenta-zioni determinate, ad opposizione, a fallacia, ad insuffi-cienza, dimostrazione che pur dovrebbe essere incon-cussa ed inconfutabile per porsi come principio dellafede religiosa, questa non può non protestare procla-mando la superfluità di una tale dimostrazione comeprincipio, come «praecedens articulum fidei». Non puòla coscienza religiosa porre la sua base prima sulle argo-mentazioni siano esse pure di un Aristotele o di un An-selmo. Pare, questa, ribellione contro la filosofia con lesue dimostrazioni razionali ed è inconsapevole ribellio-ne contro la concezione realistica della religione. Incon-

23 Cfr. la mia Fil. di Kant, I L'idea teologica, §§ 18, 49 e pas-sim. Cfr. poi il cap. seg.

267

Page 268: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sapevole, perchè, anche in questa ribellione, si continuapur sempre, anzi ancora più, ad ammettere la religionecome speciale esperienza; la ribellione non è rivolta,come dovrebbe, contro questa realistica concezione. E siha quindi il rifugio mistico dell'anima religiosa ma sem-pre come soluzione di fatto del problema cui le dimo-strazioni filosofiche non riescono a dare adeguata solu-zione. Non la ragione ma il sentimento individuale nelprofondo abisso della coscienza ci testimonia l'esisten-za: ivi si sperimenta Dio veramente. A questa esistenzanon c'è dimostrazione che possa arrivare. L'esistenza diDio è raggiunta nella fede, che sola ce la testimonia. Equindi di fronte alla fides quaerens intellectum (p. es.Anselmo e Malebranche) con i suoi vani tentatividell'intelletto per risolvere il problema propostogli dallafede, si leva sempre forte il grido: Credo quia absurdum(p. es. Bernardo di Chiaravalle e Pascal). È il ritornoalla ingenuità della fede, è il ritiro di ogni credenziale amessaggeri di fede nel campo di filosofia o viceversa; èl'abisso tra religione e filosofia: in questa la dimostra-zione inconcludente, in quella l'esistenza inconcussa.

La filosofia, quindi, quando essa afferma la soluzionemistica del problema dell'esistenza, non fa che contrad-dire sè stessa, mettere sè, da sè, al bando.

E lo stesso chiudersi della religione in sè, quando an-che, come tale chiudersi, non voglia esser consideratofilosofia nè punto nè poco, ma schietto atteggiamentoreligioso, pure nel proclamare questa pura sua essenzadi fede testimoniante l'esistenza di Dio, accetta il con-

268

sapevole, perchè, anche in questa ribellione, si continuapur sempre, anzi ancora più, ad ammettere la religionecome speciale esperienza; la ribellione non è rivolta,come dovrebbe, contro questa realistica concezione. E siha quindi il rifugio mistico dell'anima religiosa ma sem-pre come soluzione di fatto del problema cui le dimo-strazioni filosofiche non riescono a dare adeguata solu-zione. Non la ragione ma il sentimento individuale nelprofondo abisso della coscienza ci testimonia l'esisten-za: ivi si sperimenta Dio veramente. A questa esistenzanon c'è dimostrazione che possa arrivare. L'esistenza diDio è raggiunta nella fede, che sola ce la testimonia. Equindi di fronte alla fides quaerens intellectum (p. es.Anselmo e Malebranche) con i suoi vani tentatividell'intelletto per risolvere il problema propostogli dallafede, si leva sempre forte il grido: Credo quia absurdum(p. es. Bernardo di Chiaravalle e Pascal). È il ritornoalla ingenuità della fede, è il ritiro di ogni credenziale amessaggeri di fede nel campo di filosofia o viceversa; èl'abisso tra religione e filosofia: in questa la dimostra-zione inconcludente, in quella l'esistenza inconcussa.

La filosofia, quindi, quando essa afferma la soluzionemistica del problema dell'esistenza, non fa che contrad-dire sè stessa, mettere sè, da sè, al bando.

E lo stesso chiudersi della religione in sè, quando an-che, come tale chiudersi, non voglia esser consideratofilosofia nè punto nè poco, ma schietto atteggiamentoreligioso, pure nel proclamare questa pura sua essenzadi fede testimoniante l'esistenza di Dio, accetta il con-

268

Page 269: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

cetto realistico della religione e crea, con questo, delledifficoltà a sè stessa. Fa rimanere in sè l'esigenza di det-ta esistenza dell'Assoluto, esigenza importata solo dallainterpretazione realistica e non richiesta dalla genuinaessenza della religione. Ed è quindi non veramente purareligione, ma anche falsa filosofia che involge la religio-ne sempre in quella insufficienza, dalla quale appuntol'abbiam vista costretta a chiedere alla filosofia la provadel suo principio, come esistenza. Se la fede non è (cfr.cap. seg.), essa stessa, esistenza ma documento, ci saràsempre chi vorrà leggere e interpretare tal documento, evi troverà esistenza diversa da quella che essa pretendedocumentare. Entro e sotto l'esperienza sento l'alteritàche è propria dell'esistenza e costituisce la fede; nel rifu-gio mistico che la filosofia, negandosi, mi addita, questaalterità o mi sfugge senz'altro e mi sfugge quindi anchel'esistenza in un vuotarsi della fede, o costringe me allanegazione di me stesso, e toglie ancora così l'alterità, etoglie quindi con la mia esistenza anche l'esistenza diDio.

Anche nel rifugio mistico, dunque, l'esistenza di Diomi risulta impossibile. E quanto più la ribellione misticasi sente ribellione non solo contro la dimostrazione filo-sofica, ma anche contro il restringersi della religiosità inquella speciale forma di esperienza, tanto più essa si av-vicina a toccare quello che è il principio giustificativodella sua ribellione, l'impossibilità di attribuire a Diol'esistenza. Ma a quella consapevolezza essa mai nongiunge appieno, perchè anch'essa è sostanziata dal reali-

269

cetto realistico della religione e crea, con questo, delledifficoltà a sè stessa. Fa rimanere in sè l'esigenza di det-ta esistenza dell'Assoluto, esigenza importata solo dallainterpretazione realistica e non richiesta dalla genuinaessenza della religione. Ed è quindi non veramente purareligione, ma anche falsa filosofia che involge la religio-ne sempre in quella insufficienza, dalla quale appuntol'abbiam vista costretta a chiedere alla filosofia la provadel suo principio, come esistenza. Se la fede non è (cfr.cap. seg.), essa stessa, esistenza ma documento, ci saràsempre chi vorrà leggere e interpretare tal documento, evi troverà esistenza diversa da quella che essa pretendedocumentare. Entro e sotto l'esperienza sento l'alteritàche è propria dell'esistenza e costituisce la fede; nel rifu-gio mistico che la filosofia, negandosi, mi addita, questaalterità o mi sfugge senz'altro e mi sfugge quindi anchel'esistenza in un vuotarsi della fede, o costringe me allanegazione di me stesso, e toglie ancora così l'alterità, etoglie quindi con la mia esistenza anche l'esistenza diDio.

Anche nel rifugio mistico, dunque, l'esistenza di Diomi risulta impossibile. E quanto più la ribellione misticasi sente ribellione non solo contro la dimostrazione filo-sofica, ma anche contro il restringersi della religiosità inquella speciale forma di esperienza, tanto più essa si av-vicina a toccare quello che è il principio giustificativodella sua ribellione, l'impossibilità di attribuire a Diol'esistenza. Ma a quella consapevolezza essa mai nongiunge appieno, perchè anch'essa è sostanziata dal reali-

269

Page 270: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

smo e proprio il bisogno di affermare, al di là di ogni di-mostrazione, l'esistenza di Dio fomenta e nutre la sua ri-bellione. Anche il misticismo, quindi, più che religioneè filosofia della religione che porta nel suo seno la con-traddizione realistica. La fede, che, pur tornata nel suocampo, porta sempre con sè il bagaglio realistico, si ri-trova senz'altro in quella contraddizione con l'esperien-za, che l'aveva costretta a formulare il problema e a ri-correre alla filosofia. E quindi anche dopo la ribellionemistica l'esistenza di Dio o non risulta o continuerà a ri-sultare, se mai, solo in quella speciale esperienza reli-giosa, che non è affatto il religioso chiudersi della fedeentro sè stessa, ma è invece specifica rivelazione este-riore, miracolistico contatto materiale con Dio. E quella,abbiam visto, chiede proprio essa alla filosofia che le sidimostri l'esistenza di Colui che così si rivela.

L'esistenza di Dio, adunque, è problema che da unaparte non si dimostra, dall'altra non si sopprime.

Il problema si ritrova così irresoluto e pur bisognosodi soluzione. Nè la ragione con le sue due vie, nè il sen-timento col preteso suo ritorno alla pura fede han potutodarne una.

270

smo e proprio il bisogno di affermare, al di là di ogni di-mostrazione, l'esistenza di Dio fomenta e nutre la sua ri-bellione. Anche il misticismo, quindi, più che religioneè filosofia della religione che porta nel suo seno la con-traddizione realistica. La fede, che, pur tornata nel suocampo, porta sempre con sè il bagaglio realistico, si ri-trova senz'altro in quella contraddizione con l'esperien-za, che l'aveva costretta a formulare il problema e a ri-correre alla filosofia. E quindi anche dopo la ribellionemistica l'esistenza di Dio o non risulta o continuerà a ri-sultare, se mai, solo in quella speciale esperienza reli-giosa, che non è affatto il religioso chiudersi della fedeentro sè stessa, ma è invece specifica rivelazione este-riore, miracolistico contatto materiale con Dio. E quella,abbiam visto, chiede proprio essa alla filosofia che le sidimostri l'esistenza di Colui che così si rivela.

L'esistenza di Dio, adunque, è problema che da unaparte non si dimostra, dall'altra non si sopprime.

Il problema si ritrova così irresoluto e pur bisognosodi soluzione. Nè la ragione con le sue due vie, nè il sen-timento col preteso suo ritorno alla pura fede han potutodarne una.

270

Page 271: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO VIII.LA RELIGIONE

54. Credenza ed esistenza.

La Critica kantiana ha posto fine al teologismo nellasua impostazione e soluzione tradizionale. Essa stessaperò ci fa scorgere che quando perciò la filosofia si di-spensi del problema teologico, finisce col vuotarsi delsuo oggetto; ci fa scorgere cioè che l'essere in sè, ogget-to della filosofia, e Dio non possono non essere unum etidem. Se quindi la metafisica come filosofia prima, è an-cora possibile, il problema di Dio deve poter essere po-sto e risoluto.

Non porlo e così dispensarsi dal risolverlo è costruireuna filosofia senza unità, il cui disagio spinge poi a ne-gare senz'altro la filosofia, perchè non si sia costretti,dopo tanto aperta proclamazione di chiara visione idea-listica delle cose, di piena soluzione di ogni problema,ad una dichiarazione di scetticismo, che pur sarebbe cer-

271

CAPITOLO VIII.LA RELIGIONE

54. Credenza ed esistenza.

La Critica kantiana ha posto fine al teologismo nellasua impostazione e soluzione tradizionale. Essa stessaperò ci fa scorgere che quando perciò la filosofia si di-spensi del problema teologico, finisce col vuotarsi delsuo oggetto; ci fa scorgere cioè che l'essere in sè, ogget-to della filosofia, e Dio non possono non essere unum etidem. Se quindi la metafisica come filosofia prima, è an-cora possibile, il problema di Dio deve poter essere po-sto e risoluto.

Non porlo e così dispensarsi dal risolverlo è costruireuna filosofia senza unità, il cui disagio spinge poi a ne-gare senz'altro la filosofia, perchè non si sia costretti,dopo tanto aperta proclamazione di chiara visione idea-listica delle cose, di piena soluzione di ogni problema,ad una dichiarazione di scetticismo, che pur sarebbe cer-

271

Page 272: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tamente più franca e meno riprovevole dello sciocco ri-piego della negazione della filosofia.

Dobbiamo dunque non abbandonare il problema, cosaimpossibile in sè, quand'anche lo si voglia; ma risaliredalla impostazione tradizionale alla esigenza fondamen-tale da cui il problema nasce, e da essa trarre la nuovaimpostazione, spogliando il problema degli errori cheavevano falsificata quella esigenza e reso impossibilequesto problema.

Quale sia l'esigenza fondamentale da cui nasce il pro-blema di Dio, noi, in fondo, abbiam già visto. Si puòdire che è l'anima di tutta questa nostra indagine, anchequando par che si sia diffusa in altri problemi.

È l'esigenza della oggettività nella coscienza.Scoprire nel genuino suo valore questa esigenza è

scoprire le falsificazioni dei problemi ai quali l'interpre-tazione realistica di essa ha dato luogo, e aprire la viaalla nuova impostazione del problema di Dio come pro-blema dell'essere in sè, oggetto della filosofia.

Questa esigenza della oggettività non fu vista comequella che proponeva il problema di Dio; perchè l'ogget-to fu, come vedemmo, scambiato con la natura concepi-ta come non-coscienza, non-spiritualità, materia, e Dio,invece, si vide sempre come spiritualità. Di qui, da unaparte: la necessità che l'insopprimibile problema di Diotrovasse l'origine sua solo nella presentazione che ne fa-ceva la religione, e si credesse quindi estraneo ad ognialtra esigenza spirituale e nato solo da quella religiosa.Dall'altra parte: la sopraesaminata falsificazione realisti-

272

tamente più franca e meno riprovevole dello sciocco ri-piego della negazione della filosofia.

Dobbiamo dunque non abbandonare il problema, cosaimpossibile in sè, quand'anche lo si voglia; ma risaliredalla impostazione tradizionale alla esigenza fondamen-tale da cui il problema nasce, e da essa trarre la nuovaimpostazione, spogliando il problema degli errori cheavevano falsificata quella esigenza e reso impossibilequesto problema.

Quale sia l'esigenza fondamentale da cui nasce il pro-blema di Dio, noi, in fondo, abbiam già visto. Si puòdire che è l'anima di tutta questa nostra indagine, anchequando par che si sia diffusa in altri problemi.

È l'esigenza della oggettività nella coscienza.Scoprire nel genuino suo valore questa esigenza è

scoprire le falsificazioni dei problemi ai quali l'interpre-tazione realistica di essa ha dato luogo, e aprire la viaalla nuova impostazione del problema di Dio come pro-blema dell'essere in sè, oggetto della filosofia.

Questa esigenza della oggettività non fu vista comequella che proponeva il problema di Dio; perchè l'ogget-to fu, come vedemmo, scambiato con la natura concepi-ta come non-coscienza, non-spiritualità, materia, e Dio,invece, si vide sempre come spiritualità. Di qui, da unaparte: la necessità che l'insopprimibile problema di Diotrovasse l'origine sua solo nella presentazione che ne fa-ceva la religione, e si credesse quindi estraneo ad ognialtra esigenza spirituale e nato solo da quella religiosa.Dall'altra parte: la sopraesaminata falsificazione realisti-

272

Page 273: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ca (cap. VII) della religione, donde la sua presentazionedel problema di Dio come problema di esistenza.

Quindi i due presupposti della impostazione tradizio-nale: la schietta religiosità del problema di Dio; l'esi-stenza come l'incognita da trovare nel problema stesso.Hanno essi una radice unica: la mancata visione dellaoggettività. La loro critica non porta solo alla loro elimi-nazione, ma anche alla eliminazione della interpretazio-ne realistica della religione, dalla quale interpretazioneabbiam visto che nasce la forma esistenziale del proble-ma di Dio.

La religione non proporrà più alla filosofia il proble-ma della esistenza di Dio, nè morrà col morire di questaforma del problema. Dal rinnovarsi di questo, trarrà an-cora vita anche lei.

Per vedere quindi come si possano e si debbano eli-minare questi due presupposti della religiosità ed esi-stenzialità del problema filosofico di Dio, dobbiamo co-minciar dal correggere il concetto realistico di religione,risalendo alla esigenza da cui questa nasce, e cercandoalmeno di abbozzare di essa un concetto che sia confor-me a questa esigenza.

Costitutivo fondamentale della religione è la fede:Religiosità è fede: fede come atteggiamento o atto spiri-tuale, non come contenuto dottrinario.

Le dimostrazioni, i nessi logici di concetti o le espli-cite connessioni di atti spirituali in genere, che troviamoin qualunque forma di attività spirituale (sia conoscitivache volitiva, e anche, almeno a mio avviso, estetica) e

273

ca (cap. VII) della religione, donde la sua presentazionedel problema di Dio come problema di esistenza.

Quindi i due presupposti della impostazione tradizio-nale: la schietta religiosità del problema di Dio; l'esi-stenza come l'incognita da trovare nel problema stesso.Hanno essi una radice unica: la mancata visione dellaoggettività. La loro critica non porta solo alla loro elimi-nazione, ma anche alla eliminazione della interpretazio-ne realistica della religione, dalla quale interpretazioneabbiam visto che nasce la forma esistenziale del proble-ma di Dio.

La religione non proporrà più alla filosofia il proble-ma della esistenza di Dio, nè morrà col morire di questaforma del problema. Dal rinnovarsi di questo, trarrà an-cora vita anche lei.

Per vedere quindi come si possano e si debbano eli-minare questi due presupposti della religiosità ed esi-stenzialità del problema filosofico di Dio, dobbiamo co-minciar dal correggere il concetto realistico di religione,risalendo alla esigenza da cui questa nasce, e cercandoalmeno di abbozzare di essa un concetto che sia confor-me a questa esigenza.

Costitutivo fondamentale della religione è la fede:Religiosità è fede: fede come atteggiamento o atto spiri-tuale, non come contenuto dottrinario.

Le dimostrazioni, i nessi logici di concetti o le espli-cite connessioni di atti spirituali in genere, che troviamoin qualunque forma di attività spirituale (sia conoscitivache volitiva, e anche, almeno a mio avviso, estetica) e

273

Page 274: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che diciamo ragione, nella forma spirituale della religio-sità, se intervengono, intervengono solo in maniera con-dizionata; in ogni modo non ne sono la caratteristicaspecifica.

Pare quindi che la religiosità, in quanto fede, sia ri-nunzia alla razionalità, o come piena e totale rinunziaalla ragione (misticismo), o come esplicita sottomissio-ne di questa alle proprie affermazioni dogmatiche (sco-lasticismo in genere) e quindi rinunzia alla essenza stes-sa della ragione, l'autonomia.

Vedremo quel che veramente sia questa rinunzia.Per ora notiamo che in questo atteggiamento dello

spirito che diciamo religione, v'è, oltre questa rinunziache è negazione o limitazione, un aspetto schiettamentepositivo, un atto spirituale, una affermazione, la qualeperò è cosiffatta che trae con sè impone esplicitamentela detta negazione, questa rinunzia alla autonoma dimo-stratività della ragione.

Ora se noi ci fermiamo su questo aspetto negativodell'atteggiamento religioso, non tarderemo ad accorger-ci che esso non è caratteristico soltanto della religiosità,ma lo ritroviamo ancora in un altro atteggiamento dellospirito, che, a tutta prima, ci par ben lontano da quelloreligioso.

Non c'è, infatti, bisogno di lunghi discorsi per dimo-strare che anche nella esperienza l'esplicita ragione sitrova davanti a tale limitazione: si pensi all'alterità chela costituisce ed alla cosa reale nel suo essere originatadall'alterità stessa. Questa limitazione della ragione dà a

274

che diciamo ragione, nella forma spirituale della religio-sità, se intervengono, intervengono solo in maniera con-dizionata; in ogni modo non ne sono la caratteristicaspecifica.

Pare quindi che la religiosità, in quanto fede, sia ri-nunzia alla razionalità, o come piena e totale rinunziaalla ragione (misticismo), o come esplicita sottomissio-ne di questa alle proprie affermazioni dogmatiche (sco-lasticismo in genere) e quindi rinunzia alla essenza stes-sa della ragione, l'autonomia.

Vedremo quel che veramente sia questa rinunzia.Per ora notiamo che in questo atteggiamento dello

spirito che diciamo religione, v'è, oltre questa rinunziache è negazione o limitazione, un aspetto schiettamentepositivo, un atto spirituale, una affermazione, la qualeperò è cosiffatta che trae con sè impone esplicitamentela detta negazione, questa rinunzia alla autonoma dimo-stratività della ragione.

Ora se noi ci fermiamo su questo aspetto negativodell'atteggiamento religioso, non tarderemo ad accorger-ci che esso non è caratteristico soltanto della religiosità,ma lo ritroviamo ancora in un altro atteggiamento dellospirito, che, a tutta prima, ci par ben lontano da quelloreligioso.

Non c'è, infatti, bisogno di lunghi discorsi per dimo-strare che anche nella esperienza l'esplicita ragione sitrova davanti a tale limitazione: si pensi all'alterità chela costituisce ed alla cosa reale nel suo essere originatadall'alterità stessa. Questa limitazione della ragione dà a

274

Page 275: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tal cosa l'apparenza di dato. L'esperienza come tale èanch'essa rinunzia alla autonoma dimostrazione raziona-le.

Ma una volta fatti accorti di questo ritrovarsi, nellaesperienza, di quello che è l'aspetto negativo della fede,non tarderemo ad accorgerci che deve esserci anchequello positivo.

Ora quest'aspetto positivo dell'atto negativo di ragio-ne nella esperienza non è altro che ciò che dicesi esi-stenza.

È identificabile questa esistenza che troviamo nellaesperienza come aspetto positivo di quella stessa rinun-zia alla ragione, che troviamo nella religiosità, è identi-ficabile, dico, con l'aspetto positivo, che questa rinunziaha nella religiosità, cioè la fede?

L'esistenza può essere ritenuta fede?Il problema, per nuovo e strano che possa parere a

qualcuno, non è affatto nuovo.Fu posto, per non andar ricercando in pensieri più re-

moti, da Berkeley, quando, a distanza di millenni da Pla-tone, ridusse ad idee non soltanto l'essere in sè, comeaveva fatto Platone, ma anche le cose nella cosiddettaloro sensibilità.

Con questa presentazione delle cose sensibili, nellaloro esistenza, come unità di idee e quindi di imagini,Berkeley aprì il problema della esistenza, insospettatoanche da lui stesso, che tentò ma non riuscì a dar ragio-ne della differenza tra il percepire che richiede l'esisten-za, e l'imaginare che la esclude.

275

tal cosa l'apparenza di dato. L'esperienza come tale èanch'essa rinunzia alla autonoma dimostrazione raziona-le.

Ma una volta fatti accorti di questo ritrovarsi, nellaesperienza, di quello che è l'aspetto negativo della fede,non tarderemo ad accorgerci che deve esserci anchequello positivo.

Ora quest'aspetto positivo dell'atto negativo di ragio-ne nella esperienza non è altro che ciò che dicesi esi-stenza.

È identificabile questa esistenza che troviamo nellaesperienza come aspetto positivo di quella stessa rinun-zia alla ragione, che troviamo nella religiosità, è identi-ficabile, dico, con l'aspetto positivo, che questa rinunziaha nella religiosità, cioè la fede?

L'esistenza può essere ritenuta fede?Il problema, per nuovo e strano che possa parere a

qualcuno, non è affatto nuovo.Fu posto, per non andar ricercando in pensieri più re-

moti, da Berkeley, quando, a distanza di millenni da Pla-tone, ridusse ad idee non soltanto l'essere in sè, comeaveva fatto Platone, ma anche le cose nella cosiddettaloro sensibilità.

Con questa presentazione delle cose sensibili, nellaloro esistenza, come unità di idee e quindi di imagini,Berkeley aprì il problema della esistenza, insospettatoanche da lui stesso, che tentò ma non riuscì a dar ragio-ne della differenza tra il percepire che richiede l'esisten-za, e l'imaginare che la esclude.

275

Page 276: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il problema fu risoluto da Hume con l'esplicita ridu-zione della esistenza, di cui si è consapevoli nel percepi-re, al sentimento di credenza. È un esplicito riconosci-mento della fede nella cosiddetta esistenza24.

Pare quindi che proprio il filosofo classico dello scet-ticismo ci abbia data la dimostrazione che quel momen-to positivo che dicesi esistenza nella esperienza, non èche credenza, proprio come quella fede che è il momen-to positivo della religione.

Hume ha dimostrato, infatti, che il documento giusti-ficativo unico della esistenza della cosa che si sperimen-ta, è proprio la credenza: sentimentale affermazione, cheprescinde da ogni dimostrazione, giacchè ogni argomen-tare successivo o precedente ci dirà tutto quello che sivuole, non l'esistenza; non ci dirà l'esistenza, perchèl'esistenza non si dice. Essa è l'ineffabile «ecco qua»,che non ammette discussioni.

Anche la stessa cosa reale, nella cui essenza abbiamodovuto riconoscere (§ 42) una generalità predicativa, inquanto la si considera esistente, si sottrae ad ogni proce-dimento discorsivo. L'astronomo che provi, medianteuna serie di calcoli e di ragionamenti, l'esistenza di unastro non scoperto fino a lui, non avrà l'esistenza di essofino a che non pervenga a quell'«ecco qua», che è l'esi-stenza stessa. Non è mai escluso in modo assoluto chetutto il suo argomentare e calcolare possa essere spiega-

24 Questo valore fideistico della credenza di Hume fu già mes-so in evidenza da Jacobi nel suo dialogo, David Hume über denGlauben oder Idealismus und Realismus (1787).

276

Il problema fu risoluto da Hume con l'esplicita ridu-zione della esistenza, di cui si è consapevoli nel percepi-re, al sentimento di credenza. È un esplicito riconosci-mento della fede nella cosiddetta esistenza24.

Pare quindi che proprio il filosofo classico dello scet-ticismo ci abbia data la dimostrazione che quel momen-to positivo che dicesi esistenza nella esperienza, non èche credenza, proprio come quella fede che è il momen-to positivo della religione.

Hume ha dimostrato, infatti, che il documento giusti-ficativo unico della esistenza della cosa che si sperimen-ta, è proprio la credenza: sentimentale affermazione, cheprescinde da ogni dimostrazione, giacchè ogni argomen-tare successivo o precedente ci dirà tutto quello che sivuole, non l'esistenza; non ci dirà l'esistenza, perchèl'esistenza non si dice. Essa è l'ineffabile «ecco qua»,che non ammette discussioni.

Anche la stessa cosa reale, nella cui essenza abbiamodovuto riconoscere (§ 42) una generalità predicativa, inquanto la si considera esistente, si sottrae ad ogni proce-dimento discorsivo. L'astronomo che provi, medianteuna serie di calcoli e di ragionamenti, l'esistenza di unastro non scoperto fino a lui, non avrà l'esistenza di essofino a che non pervenga a quell'«ecco qua», che è l'esi-stenza stessa. Non è mai escluso in modo assoluto chetutto il suo argomentare e calcolare possa essere spiega-

24 Questo valore fideistico della credenza di Hume fu già mes-so in evidenza da Jacobi nel suo dialogo, David Hume über denGlauben oder Idealismus und Realismus (1787).

276

Page 277: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

to in modo diverso che non sia l'esistenza di quell'astro.Ma quando l'astro si presenta, si pone come credenza,allora non v'ha più dubbio.

L'esistenza è dunque questo «ecco qua», questa cre-denza, questa assoluta immediatezza indimostrabile;questo «più» al di là del concetto. E perciò a chi vede,ogni dimostrazione che non esista il veduto e cioè cheegli non veda, è assolutamente vana; si dica quel che sivoglia, continuerà a vedere, esisterà il veduto. E così an-che inversamente: a chi non vede, invano dimostrereteche c'è ciò che egli non vede in alcun modo. Crederà, semai, a voi e alla vostra buona fede per lui c'è l'esistenzavostra, per voi c'è l'esistenza del quid che egli non vede.L'esistenza è sempre immediatezza.

Già con Hume perciò si può dire che abbiamo ritrova-ta la stessa fede, caratteristica della religiosità, anchenella esperienza.

Nè vale distinguere gli oggetti cosiddetti sensibili diquesta dall'oggetto intelligibile di quella; l'atteggiamen-to spirituale è lo stesso e sta in una affermazione indi-mostrabile. Non per nulla Berkeley ha ridotto ad ideaanche il cosiddetto sentito.

Ma lo stesso Hume, nel dare questa dimostrazione,presentava la credenza proprio soltanto come documen-to giustificativo della esistenza creduta nella esperienza,e non come l'esistenza stessa. E perciò, lungi dal salvarela religione insieme con l'esperienza, condannava l'espe-rienza insieme con la religione.

277

to in modo diverso che non sia l'esistenza di quell'astro.Ma quando l'astro si presenta, si pone come credenza,allora non v'ha più dubbio.

L'esistenza è dunque questo «ecco qua», questa cre-denza, questa assoluta immediatezza indimostrabile;questo «più» al di là del concetto. E perciò a chi vede,ogni dimostrazione che non esista il veduto e cioè cheegli non veda, è assolutamente vana; si dica quel che sivoglia, continuerà a vedere, esisterà il veduto. E così an-che inversamente: a chi non vede, invano dimostrereteche c'è ciò che egli non vede in alcun modo. Crederà, semai, a voi e alla vostra buona fede per lui c'è l'esistenzavostra, per voi c'è l'esistenza del quid che egli non vede.L'esistenza è sempre immediatezza.

Già con Hume perciò si può dire che abbiamo ritrova-ta la stessa fede, caratteristica della religiosità, anchenella esperienza.

Nè vale distinguere gli oggetti cosiddetti sensibili diquesta dall'oggetto intelligibile di quella; l'atteggiamen-to spirituale è lo stesso e sta in una affermazione indi-mostrabile. Non per nulla Berkeley ha ridotto ad ideaanche il cosiddetto sentito.

Ma lo stesso Hume, nel dare questa dimostrazione,presentava la credenza proprio soltanto come documen-to giustificativo della esistenza creduta nella esperienza,e non come l'esistenza stessa. E perciò, lungi dal salvarela religione insieme con l'esperienza, condannava l'espe-rienza insieme con la religione.

277

Page 278: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

È infatti su questa distinzione, tra documento giustifi-cativo della esistenza ed esistenza, fondato, ed a ragio-ne, lo scetticismo di Hume. Se dell'esistere non nostronon abbiamo altra documentazione che il nostro credere,e se questo credere rimane irrimediabilmente soltantonostro, senza poter divenire mai, esso stesso, esistenzia-le, la nostra cecità è inguaribile, è costituzionale. Nonpossiam vedere nulla di nulla in qual campo che sia: diquesto o dell'altro mondo non c'è visione per noi chiusinella nostra invalicabile soggettività.

Non siamo dunque alla riduzione dell'esistere, checonstatiamo nella esperienza, al credere che abbiamonella religione; siamo invece alla distinzione anzi allaassoluta separazione tra il credere che troviamo nellaesperienza come nella religione, e l'esistere che rimaneingiustificato di là da questo nostro credere sia nella re-ligione che nella esperienza. È la netta separazione tral'esistente e il sapiente, tra il cosiddetto oggetto e il sog-getto.

Hume trae la conseguenza dall'idealismo berkeleyanosenza accettarne le premesse. Si spiega così come l'uno,Berkeley, creda di finire in una luminosa fede, l'altro,Hume, si senta autorizzato al più rigoroso scetticismo.Hume continuava a partire da una concezione realistica.E quindi, mentre risolveva con questo sentimento dellacredenza il problema lasciato insoluto da Berkeley (e in-solubile nella dottrina berkeleyana) della distinzione trala percezione e l'imaginazione, chiudeva irrimediabil-mente in sè stesso il soggetto, che costruiva così il suo

278

È infatti su questa distinzione, tra documento giustifi-cativo della esistenza ed esistenza, fondato, ed a ragio-ne, lo scetticismo di Hume. Se dell'esistere non nostronon abbiamo altra documentazione che il nostro credere,e se questo credere rimane irrimediabilmente soltantonostro, senza poter divenire mai, esso stesso, esistenzia-le, la nostra cecità è inguaribile, è costituzionale. Nonpossiam vedere nulla di nulla in qual campo che sia: diquesto o dell'altro mondo non c'è visione per noi chiusinella nostra invalicabile soggettività.

Non siamo dunque alla riduzione dell'esistere, checonstatiamo nella esperienza, al credere che abbiamonella religione; siamo invece alla distinzione anzi allaassoluta separazione tra il credere che troviamo nellaesperienza come nella religione, e l'esistere che rimaneingiustificato di là da questo nostro credere sia nella re-ligione che nella esperienza. È la netta separazione tral'esistente e il sapiente, tra il cosiddetto oggetto e il sog-getto.

Hume trae la conseguenza dall'idealismo berkeleyanosenza accettarne le premesse. Si spiega così come l'uno,Berkeley, creda di finire in una luminosa fede, l'altro,Hume, si senta autorizzato al più rigoroso scetticismo.Hume continuava a partire da una concezione realistica.E quindi, mentre risolveva con questo sentimento dellacredenza il problema lasciato insoluto da Berkeley (e in-solubile nella dottrina berkeleyana) della distinzione trala percezione e l'imaginazione, chiudeva irrimediabil-mente in sè stesso il soggetto, che costruiva così il suo

278

Page 279: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

mondo con le non spontanee associazioni delle sue im-pressioni, cui egli con la sua fede erigeva a realtà.

Siamo, dunque, con Hume a questo punto: l'esistenzain sè, sia essa della esperienza che della religione, nongiustificata, assurda, appunto perchè giustificata solo daun soggettivo sentimento, la credenza.

55. L'esistenza pura.

Il problema fu ripreso, e da una parte fatto tornarealla grossolanità realistica, dall'altra approfondito, daKant, con la individuazione della esistenza in un «più»del concetto; «più», da cui ogni concetto ed ogni cono-scenza deve partire. Fatto tornare alla grossolanità reali-stica, perchè egli crede, di poter con questo «più» nonsolo risalire al di là di Hume con la sua credenza, maanche al di là specialmente di Berkeley con quella suariduzione delle cose ad idee. Crede di poter fissare la se-parazione supposta ancora da Hume tra esistere e saperein qual forma che sia, presentando non più un fideisticodocumento giustificativo dell'esistere, ma lo stesso esi-stere.

Nel suo valore vero invece questo «più» di Kant ciavvia a spogliare l'esistenza della sua falsificazione rea-listica. Senza questo «più» di Kant saremmo ancoraall'ingenuo senso comune di Reid, al quale lo stessoGioberti si attacca, proprio per non aver visto questo«più» di Kant. «Più», che non è stato visto neppure fin

279

mondo con le non spontanee associazioni delle sue im-pressioni, cui egli con la sua fede erigeva a realtà.

Siamo, dunque, con Hume a questo punto: l'esistenzain sè, sia essa della esperienza che della religione, nongiustificata, assurda, appunto perchè giustificata solo daun soggettivo sentimento, la credenza.

55. L'esistenza pura.

Il problema fu ripreso, e da una parte fatto tornarealla grossolanità realistica, dall'altra approfondito, daKant, con la individuazione della esistenza in un «più»del concetto; «più», da cui ogni concetto ed ogni cono-scenza deve partire. Fatto tornare alla grossolanità reali-stica, perchè egli crede, di poter con questo «più» nonsolo risalire al di là di Hume con la sua credenza, maanche al di là specialmente di Berkeley con quella suariduzione delle cose ad idee. Crede di poter fissare la se-parazione supposta ancora da Hume tra esistere e saperein qual forma che sia, presentando non più un fideisticodocumento giustificativo dell'esistere, ma lo stesso esi-stere.

Nel suo valore vero invece questo «più» di Kant ciavvia a spogliare l'esistenza della sua falsificazione rea-listica. Senza questo «più» di Kant saremmo ancoraall'ingenuo senso comune di Reid, al quale lo stessoGioberti si attacca, proprio per non aver visto questo«più» di Kant. «Più», che non è stato visto neppure fin

279

Page 280: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

oggi dalla parte idealistica, per tema che si dovesse ri-nunziare all'autonomia della ragione e quindi alla ragio-ne. E perciò l'idealismo post-kantiano ha conservato deitre valori (noumeno, «più del concetto», categoria) chel'esistenza ha in Kant, soltanto quello di categoria trannepoi a condannarlo ed abbandonarlo insieme con tutte lealtre categorie. E quindi l'assenza di un vivo problemadell'esistenza in detto idealismo.

Da conservarsi invece come valore esistenziale risultaproprio questo «più», con la sua affermazione entro lacoscienza, dopo che si è vista la concretezza risultantedalla Critica.

L'esistenza, infatti, proprio come il «più» kantianovuole, non si dimostra; ma non la si può per questo ne-gare. Non la si dimostra, perchè anche della dimostra-zione che la riguarda, essa è solo il cominciamento.

Questo deve significare l'essere il «più» al di là delconcetto. Quando Kant pone anche l'esistenza comeconcetto puro rinnega quello che fu l'inizio della scoper-ta critica e nel quale Kant era stato già preceduto daGassendi, rinnega l'impredicabilità dell'esistere, la qualeinvece continua ad avere importanza fondamentalenell'organismo critico. Quando questo si veda, si intendecome Kant, con questo suo «più» esistenziale, non fissòla detta separazione humiana come egli pur credeva difare; ma proprio cercò di ficcar lo viso a fondo di questoesistere. Egli sa che cosa è questo esistere: è il «più» delconcetto. Non siamo più soltanto al documento giustifi-cativo: pare che da questo siam saltati nella cosa giusti-

280

oggi dalla parte idealistica, per tema che si dovesse ri-nunziare all'autonomia della ragione e quindi alla ragio-ne. E perciò l'idealismo post-kantiano ha conservato deitre valori (noumeno, «più del concetto», categoria) chel'esistenza ha in Kant, soltanto quello di categoria trannepoi a condannarlo ed abbandonarlo insieme con tutte lealtre categorie. E quindi l'assenza di un vivo problemadell'esistenza in detto idealismo.

Da conservarsi invece come valore esistenziale risultaproprio questo «più», con la sua affermazione entro lacoscienza, dopo che si è vista la concretezza risultantedalla Critica.

L'esistenza, infatti, proprio come il «più» kantianovuole, non si dimostra; ma non la si può per questo ne-gare. Non la si dimostra, perchè anche della dimostra-zione che la riguarda, essa è solo il cominciamento.

Questo deve significare l'essere il «più» al di là delconcetto. Quando Kant pone anche l'esistenza comeconcetto puro rinnega quello che fu l'inizio della scoper-ta critica e nel quale Kant era stato già preceduto daGassendi, rinnega l'impredicabilità dell'esistere, la qualeinvece continua ad avere importanza fondamentalenell'organismo critico. Quando questo si veda, si intendecome Kant, con questo suo «più» esistenziale, non fissòla detta separazione humiana come egli pur credeva difare; ma proprio cercò di ficcar lo viso a fondo di questoesistere. Egli sa che cosa è questo esistere: è il «più» delconcetto. Non siamo più soltanto al documento giustifi-cativo: pare che da questo siam saltati nella cosa giusti-

280

Page 281: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ficata. In verità, siccome questo salto è impossibile, nonabbiam fatto che identificare il documento con la cosa.Il «più» di Kant è l'esistenza realistica riconosciuta nellacredenza humiana. È il primo contatto dei due mondi.Dopo questo primo contatto non resta che riconoscere latrasformazione che in esso devono i due mondi subire;non resta che, per uscir di metafora, fare la critica deiconcetti di credenza soggettiva, di esistenza oggettiva.

Questa critica che rimaneva da fare per inverare Kant,l'idealismo post-kantiano non fece. E quindi invece diapprofondire Kant soppresse anche la scoperta di Hume.Origine dell'errore realistico persistente in Kant e dellamancata correzione di esso è sempre il falso concettodella oggettività come altro. L'altro non poteva che essersoppresso, e con esso doveansi sopprimere insiemel'esperienza, l'esistenza, la fede.

Quando si pensi invece che l'altro non è l'oggettopuro di coscienza, l'essere in sè, ma proprio il soggettocioè la coscienza nella sua molteplicità, si intende alloracome l'esistere non è che il puro trovarsi dell'altro difronte all'uno, l'esistere non è che la reciprocità pura dicoscienza, pura cioè astraente anche da quella cosa realein cui essa realizza la propria attività. Questo è il «più»esistenziale, questo altro in cui ciascuno sente di porcapo. Altro inesplicato come tale ma esplicabile nei suoiprodotti, e sentito proprio in questa sua esplicabilità.

Esistenza e credenza vengono cosí a coincidere pie-namente in questa alterità pura di coscienza, che non èl'esperienza ma il fondamento di essa.

281

ficata. In verità, siccome questo salto è impossibile, nonabbiam fatto che identificare il documento con la cosa.Il «più» di Kant è l'esistenza realistica riconosciuta nellacredenza humiana. È il primo contatto dei due mondi.Dopo questo primo contatto non resta che riconoscere latrasformazione che in esso devono i due mondi subire;non resta che, per uscir di metafora, fare la critica deiconcetti di credenza soggettiva, di esistenza oggettiva.

Questa critica che rimaneva da fare per inverare Kant,l'idealismo post-kantiano non fece. E quindi invece diapprofondire Kant soppresse anche la scoperta di Hume.Origine dell'errore realistico persistente in Kant e dellamancata correzione di esso è sempre il falso concettodella oggettività come altro. L'altro non poteva che essersoppresso, e con esso doveansi sopprimere insiemel'esperienza, l'esistenza, la fede.

Quando si pensi invece che l'altro non è l'oggettopuro di coscienza, l'essere in sè, ma proprio il soggettocioè la coscienza nella sua molteplicità, si intende alloracome l'esistere non è che il puro trovarsi dell'altro difronte all'uno, l'esistere non è che la reciprocità pura dicoscienza, pura cioè astraente anche da quella cosa realein cui essa realizza la propria attività. Questo è il «più»esistenziale, questo altro in cui ciascuno sente di porcapo. Altro inesplicato come tale ma esplicabile nei suoiprodotti, e sentito proprio in questa sua esplicabilità.

Esistenza e credenza vengono cosí a coincidere pie-namente in questa alterità pura di coscienza, che non èl'esperienza ma il fondamento di essa.

281

Page 282: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Alterità di coscienza, per cui è vano domandarci sel'esistere è il credere che il soggetto fa all'altro che gli èpresente, o l'esser creduto di questo altro come tale. Do-mandarci questo è non avere ancora penetrata l'alteritàche vive come tale in ciascuno, e si dice esisterenell'altro e credenza nell'uno; il quale uno però èanch'esso altro, come l'altro è uno.

E quindi e perciò credenza ed esistenza si identificanoin questa alterità pura. Ritenere l'esistere soltanto un es-ser creduto è rifiutare l'esistenza a chi crede e tornare oal concetto realistico di esistenza fuori della coscienza,o a quello idealistico di esistenza come negazione di co-scienza e quindi pura e semplice negazione.

Esistere, abbiam visto, è credere, come credere è esi-stere: in perfetta identità.

La duplicità della parola sta ad indicare il necessarioduplicarsi astratto dei termini della coscienza nella con-cretezza di questa. L'esistere è l'aspetto creduto oggetti-vo di ciò di cui si ritiene di indicare nel credere l'aspettosoltanto soggettivo. Esistente è il soggetto puro cosìcome ci è risultato in quanto esigenza della concreta co-scienza. Soggetto puro che si dice esistente per questainesplicata implicazione di coscienza con cui si presen-ta, e che è ritenuta oggettività, perchè è la stessa capaci-tà realizzatrice della esperienza.

In tal modo io credo si possa render ragione di quelladistinzione tra l'essere e l'esistere, sulla quale giusta-mente fermava la sua attenzione il Gioberti, per quanto

282

Alterità di coscienza, per cui è vano domandarci sel'esistere è il credere che il soggetto fa all'altro che gli èpresente, o l'esser creduto di questo altro come tale. Do-mandarci questo è non avere ancora penetrata l'alteritàche vive come tale in ciascuno, e si dice esisterenell'altro e credenza nell'uno; il quale uno però èanch'esso altro, come l'altro è uno.

E quindi e perciò credenza ed esistenza si identificanoin questa alterità pura. Ritenere l'esistere soltanto un es-ser creduto è rifiutare l'esistenza a chi crede e tornare oal concetto realistico di esistenza fuori della coscienza,o a quello idealistico di esistenza come negazione di co-scienza e quindi pura e semplice negazione.

Esistere, abbiam visto, è credere, come credere è esi-stere: in perfetta identità.

La duplicità della parola sta ad indicare il necessarioduplicarsi astratto dei termini della coscienza nella con-cretezza di questa. L'esistere è l'aspetto creduto oggetti-vo di ciò di cui si ritiene di indicare nel credere l'aspettosoltanto soggettivo. Esistente è il soggetto puro cosìcome ci è risultato in quanto esigenza della concreta co-scienza. Soggetto puro che si dice esistente per questainesplicata implicazione di coscienza con cui si presen-ta, e che è ritenuta oggettività, perchè è la stessa capaci-tà realizzatrice della esperienza.

In tal modo io credo si possa render ragione di quelladistinzione tra l'essere e l'esistere, sulla quale giusta-mente fermava la sua attenzione il Gioberti, per quanto

282

Page 283: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

poi finisse col fare l'Ente esistente anch'esso propriocome Ente.

Che nella concreta coscienza c'è anche l'implicito, eche non è possibile concretezza senza implicazione,questo la ragione stessa afferma quando riconosce nellaesistenza un «più» del suo discorsivo concetto.

Questa affermazione dell'implicito è stata interpretatacome rinunzia alla razionalità.

Limitazione infatti della ragione dimostrativa e affer-mazione di un di là di questa dimostrazione costituisco-no l'esistenza.

La costituiscono dovunque di questa si parli, nella re-ligione come nella esperienza, nella conoscenza comenella volontà o nel sentimento. Esistere è credere al di làdel limite che sentesi nelle dimostrazioni della ragione,la quale è, per sua natura, negazione di ogni limite, equindi di ogni negazione, cioè assoluta affermazione.Ragione quindi che con la fede, con questa affermazioneal di là del limite, non condanna ma fa intendere ancorauna volta la necessità della propria assoluta autonomianella affermazione. Essa stessa, nel suo esplicarsi, rico-nosce il limite; ma essa stessa afferma qualcosa al di làdi questo, cioè riconosce l'inesplicato, l'implicito. Maquesto riconoscimento pone nell'implicito la possibilitàdella esplicazione: l'inesplicato è esplicabile. Perciò nonè l'atto supremo della ragione la pascaliana rinunzia cheessa fa a sè stessa, ma è bensì la propria affermazioneoltre le esplicazioni già date.

283

poi finisse col fare l'Ente esistente anch'esso propriocome Ente.

Che nella concreta coscienza c'è anche l'implicito, eche non è possibile concretezza senza implicazione,questo la ragione stessa afferma quando riconosce nellaesistenza un «più» del suo discorsivo concetto.

Questa affermazione dell'implicito è stata interpretatacome rinunzia alla razionalità.

Limitazione infatti della ragione dimostrativa e affer-mazione di un di là di questa dimostrazione costituisco-no l'esistenza.

La costituiscono dovunque di questa si parli, nella re-ligione come nella esperienza, nella conoscenza comenella volontà o nel sentimento. Esistere è credere al di làdel limite che sentesi nelle dimostrazioni della ragione,la quale è, per sua natura, negazione di ogni limite, equindi di ogni negazione, cioè assoluta affermazione.Ragione quindi che con la fede, con questa affermazioneal di là del limite, non condanna ma fa intendere ancorauna volta la necessità della propria assoluta autonomianella affermazione. Essa stessa, nel suo esplicarsi, rico-nosce il limite; ma essa stessa afferma qualcosa al di làdi questo, cioè riconosce l'inesplicato, l'implicito. Maquesto riconoscimento pone nell'implicito la possibilitàdella esplicazione: l'inesplicato è esplicabile. Perciò nonè l'atto supremo della ragione la pascaliana rinunzia cheessa fa a sè stessa, ma è bensì la propria affermazioneoltre le esplicazioni già date.

283

Page 284: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

In questo senso credere è affermare la razionalità al dilà del limite che la ragione riconosce nelle sue dimostra-zioni. L'apparente rinunzia alla ragione è una promessa,un impegno della ragione: è riconoscere l'inesplicatoesplicabile. Questa credenza appunto è l'esistenza.

Non porre mente a questa natura della esistenza fu laragione per cui, scisse l'una dall'altra l'esistenza e lafede, furono entrambe dichiarate irrazionali. Questa di-chiarazione di irrazionalità entro (fede) e fuori (esisten-za) della coscienza era però da una parte non porre nulladi positivo con la fede e con l'esistenza ridotte a pura esemplice negazione di ragione, dall'altra negare anche lastessa ragione. Di fronte al razionalismo non può esserciche l'irrazionalismo. La ragione non divide il suo campodell'essere con niente e con nessuno: o domina, o, sup-posto che vi sia altro campo dell'essere oltre quello suo,è relegata in questo, incatenata, priva di luce e di moto:è nel nulla, è nulla.

Ammettere esistenza e fede entro la razionale co-scienza concreta è salvare le une con una piena loroidentificazione, senza compromettere l'altra nella suacapacità dimostrativa.

284

In questo senso credere è affermare la razionalità al dilà del limite che la ragione riconosce nelle sue dimostra-zioni. L'apparente rinunzia alla ragione è una promessa,un impegno della ragione: è riconoscere l'inesplicatoesplicabile. Questa credenza appunto è l'esistenza.

Non porre mente a questa natura della esistenza fu laragione per cui, scisse l'una dall'altra l'esistenza e lafede, furono entrambe dichiarate irrazionali. Questa di-chiarazione di irrazionalità entro (fede) e fuori (esisten-za) della coscienza era però da una parte non porre nulladi positivo con la fede e con l'esistenza ridotte a pura esemplice negazione di ragione, dall'altra negare anche lastessa ragione. Di fronte al razionalismo non può esserciche l'irrazionalismo. La ragione non divide il suo campodell'essere con niente e con nessuno: o domina, o, sup-posto che vi sia altro campo dell'essere oltre quello suo,è relegata in questo, incatenata, priva di luce e di moto:è nel nulla, è nulla.

Ammettere esistenza e fede entro la razionale co-scienza concreta è salvare le une con una piena loroidentificazione, senza compromettere l'altra nella suacapacità dimostrativa.

284

Page 285: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

56. La religione come adorazione e l'esistenza pura.

Noi ritroviamo, adunque, come carattere proprio co-stitutivo della religione la fede. È quel che si intendedire, quando si dice che la religione è sentimento.

Sforzarsi di dimostrare, come fa, p. es., Hegel, che lareligione non è sentimento puro, perchè è anch'essa me-diazione, è perdere la caratteristica specifica della reli-gione e quindi confonderla con la filosofia. Nel suo tec-nicismo, che pare ed a principio è così determinato, nonv'ha forse pensatore che sia meno rigoroso di Hegel perquel suo voler sottrarre ad ogni costo a ciascun atteggia-mento spirituale il suo specifico carattere. La religionenon è «coscienza del vero in sè e per sè»; non è «verarealtà dell'autocoscienza», non è «essa soltanto il verosapere assoluto»25, ecc.

La religione è costituita proprio e soltanto dalla fede,il che non vuol dire affatto che essa viva perciò in unasua propria sfera inattinta e inattingibile da ogni altraforma di coscienza. Questo è concepire la coscienza cheha fede, come fuori della concretezza, e la fede solocome una enigmatica prova della esistenza e non comel'esistenza stessa. Laddove, come abbiam visto, fede èesistenza, ed in questo sta il valore della religione cheappunto è fede.

25 HEGEL, Vorlesungen über die Philos. d. Religion, in Werke(voll. 15 e 16, Stuttgart, 1928), vol. 15°, pp. 119 e 104.

285

56. La religione come adorazione e l'esistenza pura.

Noi ritroviamo, adunque, come carattere proprio co-stitutivo della religione la fede. È quel che si intendedire, quando si dice che la religione è sentimento.

Sforzarsi di dimostrare, come fa, p. es., Hegel, che lareligione non è sentimento puro, perchè è anch'essa me-diazione, è perdere la caratteristica specifica della reli-gione e quindi confonderla con la filosofia. Nel suo tec-nicismo, che pare ed a principio è così determinato, nonv'ha forse pensatore che sia meno rigoroso di Hegel perquel suo voler sottrarre ad ogni costo a ciascun atteggia-mento spirituale il suo specifico carattere. La religionenon è «coscienza del vero in sè e per sè»; non è «verarealtà dell'autocoscienza», non è «essa soltanto il verosapere assoluto»25, ecc.

La religione è costituita proprio e soltanto dalla fede,il che non vuol dire affatto che essa viva perciò in unasua propria sfera inattinta e inattingibile da ogni altraforma di coscienza. Questo è concepire la coscienza cheha fede, come fuori della concretezza, e la fede solocome una enigmatica prova della esistenza e non comel'esistenza stessa. Laddove, come abbiam visto, fede èesistenza, ed in questo sta il valore della religione cheappunto è fede.

25 HEGEL, Vorlesungen über die Philos. d. Religion, in Werke(voll. 15 e 16, Stuttgart, 1928), vol. 15°, pp. 119 e 104.

285

Page 286: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Fede, la quale, proprio per questo suo essere esistenzanella sua schietta, inesplicata alterità, è anche fonda-mento della esperienza.

Il che è confermato dalla tradizionale opinione filoso-fica che indica, senza vederla chiaramente, nel sentire laradice unica della religione e della esperienza, dicendo,la prima, sentimento, e la seconda sensazione. quel chec'è di vero in questa opinione, quando la si stacchi dalsentire per dare a questo quella concretezza spiritualecui ha diritto, quel che c'è di vero è questa radice unicadella religione e della esperienza in quella che fu dettaimmediatezza, ed è pura singolarità di coscienza, l'esi-stenza.

L'alterità è principio del dogmatismo nell'esperienza,come nella religione, si dica, essa, fede in questa, ed inquella esistenza; V'ha fede nella esperienza, come v'haesistenza nella religione. Ma la fede della esperienza di-cesi esistenza, proprio perchè si traduce nella cosa reale,nella realtà sperimentata. Cosa reale, che, generata dallaalterità di coscienza, è provata da questa sua stessa ge-nerazione (§ 42, 45). E da questa prova appunto procedela confusione che si fa tra l'essenza e l'esistenza. Si pro-va l'essenza della cosa, e si crede di aver provata l'esi-stenza che è il presupposto, il principio generatore dellacosa anzichè la cosa stessa. All'opposto l'esistenza nellareligione dicesi fede, proprio perchè, non traducendosiin cosa reale, manca di ogni prova, non è dimostrabilecome esistenza.

286

Fede, la quale, proprio per questo suo essere esistenzanella sua schietta, inesplicata alterità, è anche fonda-mento della esperienza.

Il che è confermato dalla tradizionale opinione filoso-fica che indica, senza vederla chiaramente, nel sentire laradice unica della religione e della esperienza, dicendo,la prima, sentimento, e la seconda sensazione. quel chec'è di vero in questa opinione, quando la si stacchi dalsentire per dare a questo quella concretezza spiritualecui ha diritto, quel che c'è di vero è questa radice unicadella religione e della esperienza in quella che fu dettaimmediatezza, ed è pura singolarità di coscienza, l'esi-stenza.

L'alterità è principio del dogmatismo nell'esperienza,come nella religione, si dica, essa, fede in questa, ed inquella esistenza; V'ha fede nella esperienza, come v'haesistenza nella religione. Ma la fede della esperienza di-cesi esistenza, proprio perchè si traduce nella cosa reale,nella realtà sperimentata. Cosa reale, che, generata dallaalterità di coscienza, è provata da questa sua stessa ge-nerazione (§ 42, 45). E da questa prova appunto procedela confusione che si fa tra l'essenza e l'esistenza. Si pro-va l'essenza della cosa, e si crede di aver provata l'esi-stenza che è il presupposto, il principio generatore dellacosa anzichè la cosa stessa. All'opposto l'esistenza nellareligione dicesi fede, proprio perchè, non traducendosiin cosa reale, manca di ogni prova, non è dimostrabilecome esistenza.

286

Page 287: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Parlo della esigenza pura della religione nella più altacoscienza, non parlo del tradursi della fede nel miracoli-smo superstizioso, il quale appunto è l'appagamento diquesta fede, che vuol riconoscersi come esistenza, e,non sapendo elevarsi alla esistenza pura, profitta dellavolgare confusione tra esistenza e cosa reale nella espe-rienza, e speciali cose reali si finge come sua propriaesperienza. E si finisce poi in una pseudo filosofia empi-rica a riconoscere tale miracolismo come speciale espe-rienza religiosa. E perciò si parla di «esperienza religio-sa», e si crede di trovare in questa la conferma del valo-re religioso. Non si fa che perdere l'esistenza pura, in cuicon la religione la coscienza si acqueta, senza guada-gnare affatto quella realtà sperimentale in cui l'esistenzasi realizza. Non starò ad indagare se sia totalmente eli-minabile il miracolismo dalla religione: l'essenziale èche la religione non si riduca solo a particolare specificaesperienza.

La religione non si sperimenta, proprio perchè essa èl'acquiescenza nella pura condizione trascendentale del-la esperienza. James sperimenta la religione e diventaspiritista; Agostino o Francesco d'Assisi la vivono comepura fede e si perdono nell'amoroso afflato della france-scana vita della natura tanto intima quanto l'interiorevoce agostiniana. La francescana esistenza è l'agostinia-na fede.

Dunque la religione è fede, e fede è esistenza che nonsi sperimenta nella sua purezza.

287

Parlo della esigenza pura della religione nella più altacoscienza, non parlo del tradursi della fede nel miracoli-smo superstizioso, il quale appunto è l'appagamento diquesta fede, che vuol riconoscersi come esistenza, e,non sapendo elevarsi alla esistenza pura, profitta dellavolgare confusione tra esistenza e cosa reale nella espe-rienza, e speciali cose reali si finge come sua propriaesperienza. E si finisce poi in una pseudo filosofia empi-rica a riconoscere tale miracolismo come speciale espe-rienza religiosa. E perciò si parla di «esperienza religio-sa», e si crede di trovare in questa la conferma del valo-re religioso. Non si fa che perdere l'esistenza pura, in cuicon la religione la coscienza si acqueta, senza guada-gnare affatto quella realtà sperimentale in cui l'esistenzasi realizza. Non starò ad indagare se sia totalmente eli-minabile il miracolismo dalla religione: l'essenziale èche la religione non si riduca solo a particolare specificaesperienza.

La religione non si sperimenta, proprio perchè essa èl'acquiescenza nella pura condizione trascendentale del-la esperienza. James sperimenta la religione e diventaspiritista; Agostino o Francesco d'Assisi la vivono comepura fede e si perdono nell'amoroso afflato della france-scana vita della natura tanto intima quanto l'interiorevoce agostiniana. La francescana esistenza è l'agostinia-na fede.

Dunque la religione è fede, e fede è esistenza che nonsi sperimenta nella sua purezza.

287

Page 288: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

E perciò nella religione si adora. Adorare è questopuro esistere; è questa puntuale consapevolezza implici-ta che il singolare soggetto ha del principio divino anchedi se stesso; non è volgere, o cercar di volgere, come sipretende, l'esperienza con le sue cose reali a proprioprofitto. Il che non vuol dire che si adori l'esistenza ol'esistente. Vuol dire che l'esistente sente implicitol'essere in sè, che lo costituisce e lo rende capace di rea-lizzarsi nella esperienza, di attuarsi nel concreto, diesplicarsi nella riflessione (§ 57).

Si adora dunque l'essere in sè che è Dio.Dio, che non troviamo in reciprocità con noi in nes-

sun tu; Dio che non sentiamo realizzato come tale innessuna cosa di natura e neppure in tutta la stessa infini-ta natura; Dio che non troviamo tra le cose d'esperienzain nessuna forma di concretezza, del Bene, come delVero e del Bello.

Questa irreperibilità di Dio determinato nello stessocampo del Bene è la più difficile a riconoscere. Fu rico-nosciuta nel Bello, fin da quando si riconobbe che Dionon si sentiva, come una imagine o una cosa. Fu ricono-sciuta nel Vero, quando si riconobbe l'inconoscibilità diDio; che Egli non era un concetto o un fatto. Non sivuol riconoscere nel Bene, perchè par che così mutilia-mo da una parte la nostra moralità, e poniamo dall'altraDio fuori del Bene. Il vero è che Dio è immanente a tut-te queste forme di concretezza nella essenziale loro im-plicazione.

288

E perciò nella religione si adora. Adorare è questopuro esistere; è questa puntuale consapevolezza implici-ta che il singolare soggetto ha del principio divino anchedi se stesso; non è volgere, o cercar di volgere, come sipretende, l'esperienza con le sue cose reali a proprioprofitto. Il che non vuol dire che si adori l'esistenza ol'esistente. Vuol dire che l'esistente sente implicitol'essere in sè, che lo costituisce e lo rende capace di rea-lizzarsi nella esperienza, di attuarsi nel concreto, diesplicarsi nella riflessione (§ 57).

Si adora dunque l'essere in sè che è Dio.Dio, che non troviamo in reciprocità con noi in nes-

sun tu; Dio che non sentiamo realizzato come tale innessuna cosa di natura e neppure in tutta la stessa infini-ta natura; Dio che non troviamo tra le cose d'esperienzain nessuna forma di concretezza, del Bene, come delVero e del Bello.

Questa irreperibilità di Dio determinato nello stessocampo del Bene è la più difficile a riconoscere. Fu rico-nosciuta nel Bello, fin da quando si riconobbe che Dionon si sentiva, come una imagine o una cosa. Fu ricono-sciuta nel Vero, quando si riconobbe l'inconoscibilità diDio; che Egli non era un concetto o un fatto. Non sivuol riconoscere nel Bene, perchè par che così mutilia-mo da una parte la nostra moralità, e poniamo dall'altraDio fuori del Bene. Il vero è che Dio è immanente a tut-te queste forme di concretezza nella essenziale loro im-plicazione.

288

Page 289: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Si adora dunque Dio con questa forma di esistenzapura che è la religiosità.

289

Si adora dunque Dio con questa forma di esistenzapura che è la religiosità.

289

Page 290: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO IX.IL PROBLEMA DI DIO

57. Il presupposto della religiosità.

Intesa così la religione nella sua pura essenza, e libe-ratala dalla sovrastruttura superstiziosa che il realismole impone, possiamo liberarci dai due presupposti (§ 54)della religiosità ed esistenzialità che rendevano insolubi-le il problema filosofico di Dio.

E cominciamo da quello della religiosità.È il problema di Dio soltanto un problema religioso?Che non vi sia religione senza Dio non v'ha dubbio.

Ma il problema di Dio è, come tale, proposto alla filoso-fia dalla religione e dalla religione soltanto? Ammettereciò è dire o che la religione come tale esaurisca tuttal'attività spirituale, o che vi sia una attività spiritualedalla quale possa essere assente Dio.

È, almeno a mio avviso, evidente che l'impostazionetradizionale tacitamente ammette questo secondo signi-

290

CAPITOLO IX.IL PROBLEMA DI DIO

57. Il presupposto della religiosità.

Intesa così la religione nella sua pura essenza, e libe-ratala dalla sovrastruttura superstiziosa che il realismole impone, possiamo liberarci dai due presupposti (§ 54)della religiosità ed esistenzialità che rendevano insolubi-le il problema filosofico di Dio.

E cominciamo da quello della religiosità.È il problema di Dio soltanto un problema religioso?Che non vi sia religione senza Dio non v'ha dubbio.

Ma il problema di Dio è, come tale, proposto alla filoso-fia dalla religione e dalla religione soltanto? Ammettereciò è dire o che la religione come tale esaurisca tuttal'attività spirituale, o che vi sia una attività spiritualedalla quale possa essere assente Dio.

È, almeno a mio avviso, evidente che l'impostazionetradizionale tacitamente ammette questo secondo signi-

290

Page 291: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ficato del presupposto; l'ammette senza esplicarselo (ilpresupposto non può avere un significato esplicito dachi lo ha come presupposto). La religione, infatti, quan-do propone alla ragione dimostrativa il problema di Dioche a lei interessa, non si presenta come una indetermi-nata forma spirituale, o come tutta l'attività spirituale; sipresenta, vedemmo, come fede. E per di più come fedeche esige che si risolva il problema della esistenza diDio, cioè come fede intesa quale specifica esperienza diDio. E se di Dio è forma spirituale specifica, propriocome sua speciale esperienza, soltanto quella religiosa,Dio non caratterizzerà nessun'altra attività spirituale. Orbasta anche soltanto che questo presupposto esca dallasua forma di presupposto e si faccia esplicitamente pre-sente, perchè se ne veda tutta la fallacia in questo suosecondo significato. Quella attività spirituale da cui Diofosse assente, rinnegherebbe il concetto stesso di Dio,che richiede, comunque lo si interpreti, che Egli siaprincipio di ogni essere, di ogni attività e più ancoraquindi di ogni spiritualità. Basta ammettere una sola for-ma di attività spirituale, da cui sia assente Dio perchèDio sia in tutto e per tutto negato.

E quando ciò si consideri, a voler ancora conservarequel presupposto, bisognerebbe dargli il primo significa-to e vedere nella forma spirituale della religiosità l'unicaforma concreta di spiritualità: la religione sarebbe attivi-tà spirituale, tutta ed intera. Ma cosa non avremmo cheannullata la religione nella sua specifica forma di fede,di certezza quindi che non consente problematicità. Di-

291

ficato del presupposto; l'ammette senza esplicarselo (ilpresupposto non può avere un significato esplicito dachi lo ha come presupposto). La religione, infatti, quan-do propone alla ragione dimostrativa il problema di Dioche a lei interessa, non si presenta come una indetermi-nata forma spirituale, o come tutta l'attività spirituale; sipresenta, vedemmo, come fede. E per di più come fedeche esige che si risolva il problema della esistenza diDio, cioè come fede intesa quale specifica esperienza diDio. E se di Dio è forma spirituale specifica, propriocome sua speciale esperienza, soltanto quella religiosa,Dio non caratterizzerà nessun'altra attività spirituale. Orbasta anche soltanto che questo presupposto esca dallasua forma di presupposto e si faccia esplicitamente pre-sente, perchè se ne veda tutta la fallacia in questo suosecondo significato. Quella attività spirituale da cui Diofosse assente, rinnegherebbe il concetto stesso di Dio,che richiede, comunque lo si interpreti, che Egli siaprincipio di ogni essere, di ogni attività e più ancoraquindi di ogni spiritualità. Basta ammettere una sola for-ma di attività spirituale, da cui sia assente Dio perchèDio sia in tutto e per tutto negato.

E quando ciò si consideri, a voler ancora conservarequel presupposto, bisognerebbe dargli il primo significa-to e vedere nella forma spirituale della religiosità l'unicaforma concreta di spiritualità: la religione sarebbe attivi-tà spirituale, tutta ed intera. Ma cosa non avremmo cheannullata la religione nella sua specifica forma di fede,di certezza quindi che non consente problematicità. Di-

291

Page 292: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

remmo religione la stessa spiritualità attiva, ma in veritàdi religione non si parlerebbe più: dove tutto è religione,nulla è religione. E anche in tal caso quindi il presuppo-sto svanisce: la religione, annullata come specifica co-scienza di Dio, non avrebbe, in questo suo annullamen-to, da proporne problema.

Il problema di Dio, adunque, come problema, non na-sce dalla esigenza religiosa: nasce dalla esigenza ogget-tiva della coscienza nella riflessione filosofica. Come èpossibile che nella coscienza ci sia l'essere in sè? Èquindi porre tutto il problema della oggettività spiritua-le, tutto il problema dell'essere in sè.

Quando il problema di Dio liberiamo da questa subor-dinazione alla religione, allora anche vediamo confer-mata la natura della religione come pura adorazione.

Finchè la filosofia ripeterà dalla religione il problemadi Dio, la religione sarà concepita come speciale espe-rienza inadeguata a provare l'esistenza del principio dacui proviene. Il riconoscere che la filosofia faccia cheessa pone il problema di Dio, perchè Dio è il suo ogget-to, rende possibile alla religione l'abbandonare quel suoconcetto realistico e il profondarsi e purificarsi nella suapropria essenza. E si può vedere allora con chiarezzache nella fede, il credente, pur chiuso nella propria sin-golarità spirituale (è questa, ch'io altra volta26 dissi prati-cità della religione, l'essenza di questa; ed è opera vana

26 Religione e Filosofia, in Annuario della Bibl. fil. di Paler-mo, 1923.

292

remmo religione la stessa spiritualità attiva, ma in veritàdi religione non si parlerebbe più: dove tutto è religione,nulla è religione. E anche in tal caso quindi il presuppo-sto svanisce: la religione, annullata come specifica co-scienza di Dio, non avrebbe, in questo suo annullamen-to, da proporne problema.

Il problema di Dio, adunque, come problema, non na-sce dalla esigenza religiosa: nasce dalla esigenza ogget-tiva della coscienza nella riflessione filosofica. Come èpossibile che nella coscienza ci sia l'essere in sè? Èquindi porre tutto il problema della oggettività spiritua-le, tutto il problema dell'essere in sè.

Quando il problema di Dio liberiamo da questa subor-dinazione alla religione, allora anche vediamo confer-mata la natura della religione come pura adorazione.

Finchè la filosofia ripeterà dalla religione il problemadi Dio, la religione sarà concepita come speciale espe-rienza inadeguata a provare l'esistenza del principio dacui proviene. Il riconoscere che la filosofia faccia cheessa pone il problema di Dio, perchè Dio è il suo ogget-to, rende possibile alla religione l'abbandonare quel suoconcetto realistico e il profondarsi e purificarsi nella suapropria essenza. E si può vedere allora con chiarezzache nella fede, il credente, pur chiuso nella propria sin-golarità spirituale (è questa, ch'io altra volta26 dissi prati-cità della religione, l'essenza di questa; ed è opera vana

26 Religione e Filosofia, in Annuario della Bibl. fil. di Paler-mo, 1923.

292

Page 293: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

volernela spogliare), sente, vive come costitutivo diquesta, implicito, inespresso nella reciproca attività al-terna, quell'assoluto Spirito che da tutti si intende comeDio, e in questo riposa, non bramoso che gli se ne dimo-stri l'esistenza, ma sublimandosi, amoroso e timoroso, inquesta assoluta inseità, da cui pur sente che parte quellaalterità in cui egli vive con qualunque opera che eglifaccia, costituito, com'è, di assoluta essenza. E persuasodi questo, non andrà ricercando tra gli altri o al di là de-gli altri Dio, per distinguerlo da essi e porsi in rapportodi alterità solo con lui. Il soggetto che vive la fede nonsente l'alterità, mentre pur si chiude strettamente in essa.È questa la trascendenza religiosa: è esistenza che vivenell'assoluto il proprio principio; e perciò è certezza, èriposo, è beatitudine.

Certezza, riposo, beatitudine che non è concretezza,ma condizione trascendentale di questa.

Non l'esistenza di Dio, che l'inabisserebbe nel nulla,sente il credente, ma l'esistenza pura dell'io, costituita daquell'unico assoluto oggetto, che è in sè, e che perciònon ha una sua propria esistenza. Il credente sentenell'io l'inseità e si bea in questa trascendenza. Scambia-re quell'inseità sentita nell'io con un tu che costringe anegarsi, non è essere nella religione, è fare una falsa fi-losofia della religione. E da questa falsa filosofia non sipuò uscire fino a che il problema di Dio non sia impo-stato come problema filosofico.

Questo, quindi, ci fa intendere meglio la filosofia ol-trechè la religione.

293

volernela spogliare), sente, vive come costitutivo diquesta, implicito, inespresso nella reciproca attività al-terna, quell'assoluto Spirito che da tutti si intende comeDio, e in questo riposa, non bramoso che gli se ne dimo-stri l'esistenza, ma sublimandosi, amoroso e timoroso, inquesta assoluta inseità, da cui pur sente che parte quellaalterità in cui egli vive con qualunque opera che eglifaccia, costituito, com'è, di assoluta essenza. E persuasodi questo, non andrà ricercando tra gli altri o al di là de-gli altri Dio, per distinguerlo da essi e porsi in rapportodi alterità solo con lui. Il soggetto che vive la fede nonsente l'alterità, mentre pur si chiude strettamente in essa.È questa la trascendenza religiosa: è esistenza che vivenell'assoluto il proprio principio; e perciò è certezza, èriposo, è beatitudine.

Certezza, riposo, beatitudine che non è concretezza,ma condizione trascendentale di questa.

Non l'esistenza di Dio, che l'inabisserebbe nel nulla,sente il credente, ma l'esistenza pura dell'io, costituita daquell'unico assoluto oggetto, che è in sè, e che perciònon ha una sua propria esistenza. Il credente sentenell'io l'inseità e si bea in questa trascendenza. Scambia-re quell'inseità sentita nell'io con un tu che costringe anegarsi, non è essere nella religione, è fare una falsa fi-losofia della religione. E da questa falsa filosofia non sipuò uscire fino a che il problema di Dio non sia impo-stato come problema filosofico.

Questo, quindi, ci fa intendere meglio la filosofia ol-trechè la religione.

293

Page 294: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La religione con la sua certezza non ha in sè proble-mi, e non ha quindi da proporne. Chi propone il proble-ma traendolo dalla stessa coscienza concreta, dalla stes-sa attività spirituale nelle varie sue forme quali che essesieno, è la stessa filosofia, che, proprio con questa pro-posizione del problema, integra con la propria trascen-denza quella della religione. Perchè coscienza concretaci sia, bisogna che la certezza di questa trovi riscontronella problematicità e nella dimostrazione di quella.Non è vero quindi che «oggetto della religione è, comequello della filosofia, la spiegazione di Dio»; non è veroche «la filosofia è, in fatto, anch'essa adorazione di Dio(Gottesdienst), anch'essa religione»27.

La religione invero non è spiegazione di Dio; la filo-sofia non è adorazione di Dio. Tutti i dubbi che giusta-mente travagliano il filosofo circa quest'oggetto di cui ilsoggetto è consapevole e in cui si sostanzia la sua co-scienza: se quell'oggetto sia materia o spirito; se si op-ponga o non a lui come soggetto; se basti questa costri-zione che egli come soggetto par che dall'oggetto subi-sca, per affermare di questo la necessità e l'assolutezza;o se invece l'assolutezza stia proprio nel soggetto chel'afferma; se una tale assolutezza possa veramente essermai colta o posta dal soggetto o in che stia quest'atto delcogliere o porre l'assoluto; se l'assolutezza vuol direeterno stare o libera attività ecc...; tutti questi dubbi, conle conseguenti indagini e dimostrazioni, non riguardano

27 HEGEL, Ph. d. rel., cit., p. 37.

294

La religione con la sua certezza non ha in sè proble-mi, e non ha quindi da proporne. Chi propone il proble-ma traendolo dalla stessa coscienza concreta, dalla stes-sa attività spirituale nelle varie sue forme quali che essesieno, è la stessa filosofia, che, proprio con questa pro-posizione del problema, integra con la propria trascen-denza quella della religione. Perchè coscienza concretaci sia, bisogna che la certezza di questa trovi riscontronella problematicità e nella dimostrazione di quella.Non è vero quindi che «oggetto della religione è, comequello della filosofia, la spiegazione di Dio»; non è veroche «la filosofia è, in fatto, anch'essa adorazione di Dio(Gottesdienst), anch'essa religione»27.

La religione invero non è spiegazione di Dio; la filo-sofia non è adorazione di Dio. Tutti i dubbi che giusta-mente travagliano il filosofo circa quest'oggetto di cui ilsoggetto è consapevole e in cui si sostanzia la sua co-scienza: se quell'oggetto sia materia o spirito; se si op-ponga o non a lui come soggetto; se basti questa costri-zione che egli come soggetto par che dall'oggetto subi-sca, per affermare di questo la necessità e l'assolutezza;o se invece l'assolutezza stia proprio nel soggetto chel'afferma; se una tale assolutezza possa veramente essermai colta o posta dal soggetto o in che stia quest'atto delcogliere o porre l'assoluto; se l'assolutezza vuol direeterno stare o libera attività ecc...; tutti questi dubbi, conle conseguenti indagini e dimostrazioni, non riguardano

27 HEGEL, Ph. d. rel., cit., p. 37.

294

Page 295: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

il credente come tale. Che il credente sia anche un con-creto soggetto, non basta a dimostrare che il credere siasenz'altro questa concretezza: è questo l'equivoco fonda-mentale di tutta la filosofia della religione di Hegel. Ilcredente adora, non discute; il filosofo discute, non ado-ra.

La religione è adorazione, perchè è certezza; la filo-sofia è dimostrazione, perchè è problema.

58. Il presupposto della esistenza.

La presupposta religiosità del problema di Dio, dun-que, è conseguenza del falso concetto realistico di reli-gione, il quale chiude questa in una speciale esperienzadi Dio. Il non aver visto questo con chiarezza e l'averquindi soppressa la religione nella sua specificità invecedi ricercarne il più profondo concetto, ha portato, attra-verso la identificazione di religione e filosofia, al conse-guente svanire di entrambe ridotte alla stessa concretez-za, e allo svanire quindi del problema di Dio insiemecon ogni problema: l'oggettività è dispersa in uno scetti-co relativismo o negata in un assolutistico attivismosoggettivo.

Ora, come non è stata vista ancora con chiarezzal'indipendenza del problema teologico dalla religione,così, e proprio per questa mancata visione, non è statavista la non esistenzialità di esso.

295

il credente come tale. Che il credente sia anche un con-creto soggetto, non basta a dimostrare che il credere siasenz'altro questa concretezza: è questo l'equivoco fonda-mentale di tutta la filosofia della religione di Hegel. Ilcredente adora, non discute; il filosofo discute, non ado-ra.

La religione è adorazione, perchè è certezza; la filo-sofia è dimostrazione, perchè è problema.

58. Il presupposto della esistenza.

La presupposta religiosità del problema di Dio, dun-que, è conseguenza del falso concetto realistico di reli-gione, il quale chiude questa in una speciale esperienzadi Dio. Il non aver visto questo con chiarezza e l'averquindi soppressa la religione nella sua specificità invecedi ricercarne il più profondo concetto, ha portato, attra-verso la identificazione di religione e filosofia, al conse-guente svanire di entrambe ridotte alla stessa concretez-za, e allo svanire quindi del problema di Dio insiemecon ogni problema: l'oggettività è dispersa in uno scetti-co relativismo o negata in un assolutistico attivismosoggettivo.

Ora, come non è stata vista ancora con chiarezzal'indipendenza del problema teologico dalla religione,così, e proprio per questa mancata visione, non è statavista la non esistenzialità di esso.

295

Page 296: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Se da una parte, come con l'Ente giobertiano e l'Esse-re ideale rosminiano, si è intravista l'incompatibilità tral'essenza di Dio e l'esistenza, dall'altra si è sempre poicercato di non perdere in Dio anche l'esistenza (Giober-ti) o la sussistenza (Rosmini) e così si è rinnegato per unverso quel che dall'altro si era conquistato.

La verità è che senza portare la Critica, rinnovandolacosì profondamente, verso quello stesso concreto che fuscoperto dalla Critica kantiana, non è possibile sentire ilvalore profondo dell'immanentismo, le sue esigenze, ilconseguente rinnovamento di tutti i problemi metafisici,e di tutte le concezioni della vita umana nel suo specifi-co agire.28

28 La filosofia contemporanea anche nei più decisi indirizziattivistici, come la filosofia dell'azione e l'intuizionismo in Fran-cia, l'attualismo in Italia, il relativismo in Germania ecc..., rimaneancora intellettualistica, non ostante ogni esplicita condanna di talcarattere. Si presuppone l'uomo: ed è di tal presupposto che biso-gna cominciare a spogliarsi. Ne pareva spoglio l'antico dogmati-smo precritico, perchè pareva dar ragione dell'uomo: in verità nedava ragione solo con un grossolano antropomorfismo che pre-supponeva tutto intero l'uomo di natura al di là di ogni spiegazio-ne. Fece nascere il problema Kant con la Critica che pose il nudouomo di ragione dinanzi alla ragione stessa. Rioffuscarono il pro-blema senza risolverlo l'idealismo post-kantiano, da una parte, colritrovare il nudo uomo della ragione kantiana nella storia che eglise n'era costruita, e col cadere così in uno storicismo senza princi-pio, e gli indirizzi acritici e precritici dall'altra, o col proclamareuna cieca attività dogmatica individuale, spogliando l'uomodell'uso di ragione e proclamando l'irrazionalismo, o col riporrel'uomo ragione dinanzi ad un fatto chiuso in sè e sostanziato di se

296

Se da una parte, come con l'Ente giobertiano e l'Esse-re ideale rosminiano, si è intravista l'incompatibilità tral'essenza di Dio e l'esistenza, dall'altra si è sempre poicercato di non perdere in Dio anche l'esistenza (Giober-ti) o la sussistenza (Rosmini) e così si è rinnegato per unverso quel che dall'altro si era conquistato.

La verità è che senza portare la Critica, rinnovandolacosì profondamente, verso quello stesso concreto che fuscoperto dalla Critica kantiana, non è possibile sentire ilvalore profondo dell'immanentismo, le sue esigenze, ilconseguente rinnovamento di tutti i problemi metafisici,e di tutte le concezioni della vita umana nel suo specifi-co agire.28

28 La filosofia contemporanea anche nei più decisi indirizziattivistici, come la filosofia dell'azione e l'intuizionismo in Fran-cia, l'attualismo in Italia, il relativismo in Germania ecc..., rimaneancora intellettualistica, non ostante ogni esplicita condanna di talcarattere. Si presuppone l'uomo: ed è di tal presupposto che biso-gna cominciare a spogliarsi. Ne pareva spoglio l'antico dogmati-smo precritico, perchè pareva dar ragione dell'uomo: in verità nedava ragione solo con un grossolano antropomorfismo che pre-supponeva tutto intero l'uomo di natura al di là di ogni spiegazio-ne. Fece nascere il problema Kant con la Critica che pose il nudouomo di ragione dinanzi alla ragione stessa. Rioffuscarono il pro-blema senza risolverlo l'idealismo post-kantiano, da una parte, colritrovare il nudo uomo della ragione kantiana nella storia che eglise n'era costruita, e col cadere così in uno storicismo senza princi-pio, e gli indirizzi acritici e precritici dall'altra, o col proclamareuna cieca attività dogmatica individuale, spogliando l'uomodell'uso di ragione e proclamando l'irrazionalismo, o col riporrel'uomo ragione dinanzi ad un fatto chiuso in sè e sostanziato di se

296

Page 297: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non devo qui fare l'esame storico delle fugaci intui-zioni che pur sempre si sono avute di questa incompati-bilità tra Dio e l'esistenza. Dirò soltanto che quella im-postazione moralistica del problema di Dio che va daKant a Blondel o a Le Roy e che è il rimodernamento diuna esigenza tradizionale, mentre da una parte è l'oscurosenso di questa incompatibilità tra l'esistere ed esserDio, dall'altra riman sempre problema esistenziale diDio29.

stesso e quindi impenetrabile, se anche ricostruibile, dalla ragio-ne.

Dobbiamo dimenticare di essere uomini che vogliamo cono-scere l'essere, per essere veramente, per essere cioè concreti, purcon tutto questo bisogno, che nella concretezza stessa si origina,di goderlo nella serena pace religiosa della coscienza che tutto saperchè nulla ricerca, e scandagliarlo nella sconcertante ansia filo-sofica della ragione che tutto ricerca perchè tutto gli riman da sa-pere.

29 Lo stesso Lagneau, non ostanti le sue suggestive e profondeindagini (quel che di lui i discepoli ci vengono facendo conosce-re, ci rende sempre più dolorosa l'immatura sua perdita), non ave-va neppur lui a sufficienza approfondita la concretezza scopertada Kant, pur sentendone viva e in pieno sviluppo l'esigenza. Eperciò in quel volumetto breve ma denso di pensieri, che i disce-poli han tratto da un suo corso di lezioni, «De l'existence deDieu» (Alcan, Paris, 1925) egli mentre giustamente dice che larealtà di Dio non potrebbe consistere in una esistenza» (p. 45),nega poi a Dio anche l'essere (p. 48 e segg.), e affermato che «v'èun ordine superiore di realtà che non consiste nè nell'essere nènell'esistere» (p. 57), lo afferma proprio di Dio, giacchè «dobbia-mo concepire un modo di realtà superiore all'esistenza, che non

297

Non devo qui fare l'esame storico delle fugaci intui-zioni che pur sempre si sono avute di questa incompati-bilità tra Dio e l'esistenza. Dirò soltanto che quella im-postazione moralistica del problema di Dio che va daKant a Blondel o a Le Roy e che è il rimodernamento diuna esigenza tradizionale, mentre da una parte è l'oscurosenso di questa incompatibilità tra l'esistere ed esserDio, dall'altra riman sempre problema esistenziale diDio29.

stesso e quindi impenetrabile, se anche ricostruibile, dalla ragio-ne.

Dobbiamo dimenticare di essere uomini che vogliamo cono-scere l'essere, per essere veramente, per essere cioè concreti, purcon tutto questo bisogno, che nella concretezza stessa si origina,di goderlo nella serena pace religiosa della coscienza che tutto saperchè nulla ricerca, e scandagliarlo nella sconcertante ansia filo-sofica della ragione che tutto ricerca perchè tutto gli riman da sa-pere.

29 Lo stesso Lagneau, non ostanti le sue suggestive e profondeindagini (quel che di lui i discepoli ci vengono facendo conosce-re, ci rende sempre più dolorosa l'immatura sua perdita), non ave-va neppur lui a sufficienza approfondita la concretezza scopertada Kant, pur sentendone viva e in pieno sviluppo l'esigenza. Eperciò in quel volumetto breve ma denso di pensieri, che i disce-poli han tratto da un suo corso di lezioni, «De l'existence deDieu» (Alcan, Paris, 1925) egli mentre giustamente dice che larealtà di Dio non potrebbe consistere in una esistenza» (p. 45),nega poi a Dio anche l'essere (p. 48 e segg.), e affermato che «v'èun ordine superiore di realtà che non consiste nè nell'essere nènell'esistere» (p. 57), lo afferma proprio di Dio, giacchè «dobbia-mo concepire un modo di realtà superiore all'esistenza, che non

297

Page 298: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il quale perciò in questa sua forma non è il problemateologico nato dall'oggetto puro come oggetto della filo-sofia, ma è soltanto una falsificazione del problema diDio, della quale abbiam vista l'origine.

Se, infatti, Dio è essere in sè, e l'esistere invece è es-sere in relazione, dire che Dio come tale esiste, comun-que si intenda l'esistere, è pronunciare verbalmente sol-tanto una contraddizione, ma non dire nulla: affermarel'esistenza di Dio è negare Dio.

Questo non vedeva Gioberti, quando, pur dopo averdistinto tra ente ed esistente ed aver posto quest'ultimocome concreto, individuale e singolare, cercava di di-mostrare queste proprietà nello stesso Ente reale assolu-to, il quale «è adunque astratto e concreto, generale eparticolare, individuale ed universale ad un tempo» (In-trod. allo studio della filos., Libro I, cap. IV; ediz. diCapolago, 1846, vol. II, pag. 170).

Questo non vedeva neppure Rosmini, quando, rinne-gando la logica intima della sua dottrina che era propriosulla via di questa nuova scoperta speculativa di Dio,potrebbe tradursi nell'idea dell'essere e che apparterebbe a Dio»(p. 142). Il ridurre Dio all'essere sarebbe ridurlo «a una pura ne-cessità, cioè ad una pura astrazione. E avere l'essere d'una puraastrazione non è essere reale» (p. 53) Chi abbia presente il cap.IV di questo saggio vedrà, spero, con chiarezza come questo rite-nere l'essere una pura astrazione sia ancora una deficienza di svi-luppo del concetto di concretezza, deficienza di sviluppo per laquale noi stessi siamo passati, e che ha la sua ragion d'essere nelnon identificare l'essere in sè proprio come tale con l'oggettopuro.

298

Il quale perciò in questa sua forma non è il problemateologico nato dall'oggetto puro come oggetto della filo-sofia, ma è soltanto una falsificazione del problema diDio, della quale abbiam vista l'origine.

Se, infatti, Dio è essere in sè, e l'esistere invece è es-sere in relazione, dire che Dio come tale esiste, comun-que si intenda l'esistere, è pronunciare verbalmente sol-tanto una contraddizione, ma non dire nulla: affermarel'esistenza di Dio è negare Dio.

Questo non vedeva Gioberti, quando, pur dopo averdistinto tra ente ed esistente ed aver posto quest'ultimocome concreto, individuale e singolare, cercava di di-mostrare queste proprietà nello stesso Ente reale assolu-to, il quale «è adunque astratto e concreto, generale eparticolare, individuale ed universale ad un tempo» (In-trod. allo studio della filos., Libro I, cap. IV; ediz. diCapolago, 1846, vol. II, pag. 170).

Questo non vedeva neppure Rosmini, quando, rinne-gando la logica intima della sua dottrina che era propriosulla via di questa nuova scoperta speculativa di Dio,potrebbe tradursi nell'idea dell'essere e che apparterebbe a Dio»(p. 142). Il ridurre Dio all'essere sarebbe ridurlo «a una pura ne-cessità, cioè ad una pura astrazione. E avere l'essere d'una puraastrazione non è essere reale» (p. 53) Chi abbia presente il cap.IV di questo saggio vedrà, spero, con chiarezza come questo rite-nere l'essere una pura astrazione sia ancora una deficienza di svi-luppo del concetto di concretezza, deficienza di sviluppo per laquale noi stessi siamo passati, e che ha la sua ragion d'essere nelnon identificare l'essere in sè proprio come tale con l'oggettopuro.

298

Page 299: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

questo non vedeva quando diceva che ciò che distingueDio dall'essere è la sussistenza, giacchè «il concetto diDio importa un subietto personale» (Teosofia IV, pag.11). Il fondamento di questo errore è sempre il pregiudi-zio che possa esserci una alterità di fronte all'assolutoessere. Di questo non ci può essere altro, perchè ogni al-tro è in esso, cioè non è altro di fronte ad esso.

Che questa esistenza, che di Dio vogliamo affermareper poter affermarlo, non possa essere il realistico di làdalla coscienza e quindi non coscienza, a cui riduconol'esistere il realismo dogmatico accettandolo, e l'ideali-smo trascendentale negandolo, è chiaro già da tuttoquanto abbiamo detto. E la ragione è semplicissima:l'esistere, quell'esistere che la coscienza comune ci dà,non è cotesto. L'esistere non è una negazione. E tantomeno questa negazione (negazione di coscienza) potreb-be attribuirsi a Dio, del quale riconosciamo come essen-za la spiritualità, cioè l'essere in coscienza.

Chiedere, dunque, che Dio abbia questa realistica esi-stenza, che esaminata da vicino si risolve in un puro esemplice non senso più ancora che in un assurdo, è nonsapere quello che si dice.

Nè si esce dal non-senso, come si crede, quando siduplica l'esistenza così intesa, in esistenza della materia,ed esistenza dello spirito. Non si fa così che duplicare ilnon-senso. Da una parte, dicendo esistenza della mate-ria, si duplica, col preteso concetto realistico di materia,la negazione in cui si fa consistere l'esistenza; dall'altra,dicendo esistenza dello spirito, si nega quel che si vuole

299

questo non vedeva quando diceva che ciò che distingueDio dall'essere è la sussistenza, giacchè «il concetto diDio importa un subietto personale» (Teosofia IV, pag.11). Il fondamento di questo errore è sempre il pregiudi-zio che possa esserci una alterità di fronte all'assolutoessere. Di questo non ci può essere altro, perchè ogni al-tro è in esso, cioè non è altro di fronte ad esso.

Che questa esistenza, che di Dio vogliamo affermareper poter affermarlo, non possa essere il realistico di làdalla coscienza e quindi non coscienza, a cui riduconol'esistere il realismo dogmatico accettandolo, e l'ideali-smo trascendentale negandolo, è chiaro già da tuttoquanto abbiamo detto. E la ragione è semplicissima:l'esistere, quell'esistere che la coscienza comune ci dà,non è cotesto. L'esistere non è una negazione. E tantomeno questa negazione (negazione di coscienza) potreb-be attribuirsi a Dio, del quale riconosciamo come essen-za la spiritualità, cioè l'essere in coscienza.

Chiedere, dunque, che Dio abbia questa realistica esi-stenza, che esaminata da vicino si risolve in un puro esemplice non senso più ancora che in un assurdo, è nonsapere quello che si dice.

Nè si esce dal non-senso, come si crede, quando siduplica l'esistenza così intesa, in esistenza della materia,ed esistenza dello spirito. Non si fa così che duplicare ilnon-senso. Da una parte, dicendo esistenza della mate-ria, si duplica, col preteso concetto realistico di materia,la negazione in cui si fa consistere l'esistenza; dall'altra,dicendo esistenza dello spirito, si nega quel che si vuole

299

Page 300: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

affermare, lo spirito. E quando si creda di non aver ne-gato lo spirito, ma di averlo affermato come tale ponen-done uno come assoluto di là dal mio atto di coscienzache l'afferma, e quindi di là dal mio spirito e pur semprespirito e Spirito assoluto, allora nel momento in cui fac-ciamo Dio esistente proprio come Dio, come Spirito as-soluto di là da me, in quel momento stesso, oltrechè lanatura, anche tutti gli spiriti finiti finiscono immediata-mente di esistere. Tutto diviene prodotto di Dio, e, inquanto tale, passivo o almeno inattivo. Inattivo prodotto,e quindi non spiritualità, sia che lo si consideri berke-leyanamente come labile mutevole idea, sia che lo siconsideri spinoziamente come res fixa et aeterna. Inva-no Berkeley cercò di salvare gli spiriti finiti, quandoebbe ridotto l'essere ad idea soltanto di Dio. O gli spiritifiniti sono anch'essi, in quanto sono, idea di Dio e ca-dranno nella mutevolezza, nella passività di questa idea;o essi sono veramente spirito, e non possono non esseresostanziati di Dio.

Affermare dunque l'esistenza di Dio è negare Dio,rendendo impossibile uno spirito che lo affermi.

Non dunque l'esistenza realistica è quella che potrem-mo ritrovare mai in Dio: Dio sarebbe la pura e semplicenegazione, l'assurda cosa in sè precedente causale delsentire, non la cosa in sè quale dalla Critica del concretorisulta. L'assurdo della esistenza realistica si moltiplicaall'infinito, quando vogliamo anche di Dio trovare taleesistenza.

300

affermare, lo spirito. E quando si creda di non aver ne-gato lo spirito, ma di averlo affermato come tale ponen-done uno come assoluto di là dal mio atto di coscienzache l'afferma, e quindi di là dal mio spirito e pur semprespirito e Spirito assoluto, allora nel momento in cui fac-ciamo Dio esistente proprio come Dio, come Spirito as-soluto di là da me, in quel momento stesso, oltrechè lanatura, anche tutti gli spiriti finiti finiscono immediata-mente di esistere. Tutto diviene prodotto di Dio, e, inquanto tale, passivo o almeno inattivo. Inattivo prodotto,e quindi non spiritualità, sia che lo si consideri berke-leyanamente come labile mutevole idea, sia che lo siconsideri spinoziamente come res fixa et aeterna. Inva-no Berkeley cercò di salvare gli spiriti finiti, quandoebbe ridotto l'essere ad idea soltanto di Dio. O gli spiritifiniti sono anch'essi, in quanto sono, idea di Dio e ca-dranno nella mutevolezza, nella passività di questa idea;o essi sono veramente spirito, e non possono non esseresostanziati di Dio.

Affermare dunque l'esistenza di Dio è negare Dio,rendendo impossibile uno spirito che lo affermi.

Non dunque l'esistenza realistica è quella che potrem-mo ritrovare mai in Dio: Dio sarebbe la pura e semplicenegazione, l'assurda cosa in sè precedente causale delsentire, non la cosa in sè quale dalla Critica del concretorisulta. L'assurdo della esistenza realistica si moltiplicaall'infinito, quando vogliamo anche di Dio trovare taleesistenza.

300

Page 301: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Ancor meno di tale esistenza realistica, può convenirea Dio quella che abbiamo trovata propria della cosa rea-le della esperienza, e che, abbiamo visto, presupponel'esistenza invece di possederla. È cotesta quella empiri-cità, a cui l'idealismo post-kantiano crede di aver ridottal'esistenza stessa; è la realistica esistenza contingentedel dogmatismo precritico.

E non c'è bisogno di ripetere oggi quello che da Pla-tone in poi tutti coloro che han cercato di veder chiaronel massimo dei problemi, hanno, in un modo o in unaltro, affermato, che cioè non troveremo mai Dio comeuna cosa reale tra cose reali, e neppure come la somma ecomprensiva cosa reale, l'universo, la natura o com'altrodir si voglia. E nei più alti sforzi speculativi fatti per di-vinizzare la natura, che preludevano alla scoperta dellaimmanenza, come in Bruno o in Spinoza, sempre il Dionon era la natura naturata, questa contingente realtà chesperimentiamo, ma la natura naturans che sfugge adogni esperienza, ma pur vi costringe all'assenso nella ri-flessione speculativa.

Non c'è bisogno di ripeter ciò; ma c'è pur bisogno dirichiamarvi su l'attenzione, perchè, dopo la dimostrazio-ne, della quale certo il merito maggiore è di Hegel, chela trascendenza assoluta è un non-senso, non si cadanell'opposto non-senso che cioè lo stesso Tutto con lesue relazioni, con le sue partizioni primitive (Urtheilun-gen) sia lo stesso Assoluto, e che cioè l'Assoluto sia latotalità del relativo. È, questo, negare la distinzione spi-noziana senza vedere quel Concreto che quella distin-

301

Ancor meno di tale esistenza realistica, può convenirea Dio quella che abbiamo trovata propria della cosa rea-le della esperienza, e che, abbiamo visto, presupponel'esistenza invece di possederla. È cotesta quella empiri-cità, a cui l'idealismo post-kantiano crede di aver ridottal'esistenza stessa; è la realistica esistenza contingentedel dogmatismo precritico.

E non c'è bisogno di ripetere oggi quello che da Pla-tone in poi tutti coloro che han cercato di veder chiaronel massimo dei problemi, hanno, in un modo o in unaltro, affermato, che cioè non troveremo mai Dio comeuna cosa reale tra cose reali, e neppure come la somma ecomprensiva cosa reale, l'universo, la natura o com'altrodir si voglia. E nei più alti sforzi speculativi fatti per di-vinizzare la natura, che preludevano alla scoperta dellaimmanenza, come in Bruno o in Spinoza, sempre il Dionon era la natura naturata, questa contingente realtà chesperimentiamo, ma la natura naturans che sfugge adogni esperienza, ma pur vi costringe all'assenso nella ri-flessione speculativa.

Non c'è bisogno di ripeter ciò; ma c'è pur bisogno dirichiamarvi su l'attenzione, perchè, dopo la dimostrazio-ne, della quale certo il merito maggiore è di Hegel, chela trascendenza assoluta è un non-senso, non si cadanell'opposto non-senso che cioè lo stesso Tutto con lesue relazioni, con le sue partizioni primitive (Urtheilun-gen) sia lo stesso Assoluto, e che cioè l'Assoluto sia latotalità del relativo. È, questo, negare la distinzione spi-noziana senza vedere quel Concreto che quella distin-

301

Page 302: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

zione ci trasforma e ci fa comprendere mostrandocil'esigenza, da cui nasce. E da tal pericolo non ha certosaputo salvarsi Hegel.

Non aver visto che l'esistere non è quel di là negativodi coscienza, in cui lo pone il realismo, ma ha, invece,proprio come esistere, un valore nella coscienza, ha fat-to sì che insieme con l'esistere fosse cacciato dalla co-scienza anche il problema di Dio, e si finisse quindi,quando imperiosa la coscienza poneva di questo l'esi-genza, col vedere Dio come lo stesso Concreto, col fareassoluto il concreto, e così tutto confondere. DistinguereDio dal concreto non è, checchè pensi Hegel, cadere,come egli dice, nel Dio astratto dei teologi, impenetrabi-le nella sua essenza, di là da questo nostro mondo di co-scienza. È invece vivere, da una parte, la positivitàdell'esistere come tale, del nostro esistere, e sentire,dall'altra, l'unicità dell'Essere nella assolutezza sua, chenon è la negazione, l'opposto del relativo esistere, mabensì il principio immanente, che nell'esistere non sinega, ma si moltiplica.

Moltiplicazione (numero) che non è negazione di uni-cità; ma... moltiplicazione (§ 48): l'Unico come tale nonnega il numero; il numero non nega l'Unico. L'antitesitra finito e infinito Hegel la prende di peso dall'anticodogmatismo e nessuna forma di hegelismo ancora riescea liberarsene.

È forse incalcolabile la confusione di cui fu innocentecreatore Fichte con quella intromissione di quel suo me-

302

zione ci trasforma e ci fa comprendere mostrandocil'esigenza, da cui nasce. E da tal pericolo non ha certosaputo salvarsi Hegel.

Non aver visto che l'esistere non è quel di là negativodi coscienza, in cui lo pone il realismo, ma ha, invece,proprio come esistere, un valore nella coscienza, ha fat-to sì che insieme con l'esistere fosse cacciato dalla co-scienza anche il problema di Dio, e si finisse quindi,quando imperiosa la coscienza poneva di questo l'esi-genza, col vedere Dio come lo stesso Concreto, col fareassoluto il concreto, e così tutto confondere. DistinguereDio dal concreto non è, checchè pensi Hegel, cadere,come egli dice, nel Dio astratto dei teologi, impenetrabi-le nella sua essenza, di là da questo nostro mondo di co-scienza. È invece vivere, da una parte, la positivitàdell'esistere come tale, del nostro esistere, e sentire,dall'altra, l'unicità dell'Essere nella assolutezza sua, chenon è la negazione, l'opposto del relativo esistere, mabensì il principio immanente, che nell'esistere non sinega, ma si moltiplica.

Moltiplicazione (numero) che non è negazione di uni-cità; ma... moltiplicazione (§ 48): l'Unico come tale nonnega il numero; il numero non nega l'Unico. L'antitesitra finito e infinito Hegel la prende di peso dall'anticodogmatismo e nessuna forma di hegelismo ancora riescea liberarsene.

È forse incalcolabile la confusione di cui fu innocentecreatore Fichte con quella intromissione di quel suo me-

302

Page 303: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

todo dialettico della contraddizione, così germanica-mente sviluppato fino alla soffocazione da Hegel.

59. Il presupposto dell'esistenza: la soggettività.

Resta che Dio possa avere quella esistenza, la cui po-sitività noi abbiamo salvata dalla distruzione del reali-smo. Tale esistenza, abbiam mostrato, è la stessa sogget-tività, chiaritasi come alterità. Esistenza è questa alteritànella coscienza e non opposta alla coscienza.

Dio sarebbe proprio l'altro da noi, l'assoluto Altro, ilquale, appunto perchè «Altro» sia pure assoluto, è in re-ciprocità con noi. E così appunto Egli esiste come Dio.

Ora certo chi non si rende conto di questa reciprocitàe vuol non essere nel pregiudizio realistico, non dicenulla, quando afferma l'esistenza di Dio. Giacchè o negala sua propria esistenza anche nella affermazione che fadi tale esistenza di Dio, e naturalmente non esiste nep-pure questa affermazione; o afferma questa sua propriaesistenza con quella affermazione, e, se tale esistenzanon è la sopraddetta reciprocità, questo suo esistere conquesta sua affermazione è il Dio che esiste: cioè non esi-ste veramente Dio ma io che ne affermo l'esistenza. Inentrambi i casi dunque l'esistenza di Dio non è afferma-ta.

Se si vuol dare dunque un significato a questa esisten-za di Dio, bisogna veder Dio come soggetto in recipro-cità con me. In questo rapporto di alterità Dio allora ri-

303

todo dialettico della contraddizione, così germanica-mente sviluppato fino alla soffocazione da Hegel.

59. Il presupposto dell'esistenza: la soggettività.

Resta che Dio possa avere quella esistenza, la cui po-sitività noi abbiamo salvata dalla distruzione del reali-smo. Tale esistenza, abbiam mostrato, è la stessa sogget-tività, chiaritasi come alterità. Esistenza è questa alteritànella coscienza e non opposta alla coscienza.

Dio sarebbe proprio l'altro da noi, l'assoluto Altro, ilquale, appunto perchè «Altro» sia pure assoluto, è in re-ciprocità con noi. E così appunto Egli esiste come Dio.

Ora certo chi non si rende conto di questa reciprocitàe vuol non essere nel pregiudizio realistico, non dicenulla, quando afferma l'esistenza di Dio. Giacchè o negala sua propria esistenza anche nella affermazione che fadi tale esistenza di Dio, e naturalmente non esiste nep-pure questa affermazione; o afferma questa sua propriaesistenza con quella affermazione, e, se tale esistenzanon è la sopraddetta reciprocità, questo suo esistere conquesta sua affermazione è il Dio che esiste: cioè non esi-ste veramente Dio ma io che ne affermo l'esistenza. Inentrambi i casi dunque l'esistenza di Dio non è afferma-ta.

Se si vuol dare dunque un significato a questa esisten-za di Dio, bisogna veder Dio come soggetto in recipro-cità con me. In questo rapporto di alterità Dio allora ri-

303

Page 304: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sulta un io come me. È coerente quindi chi affermandol'esistenza di Dio, l'afferma come soggetto. Pare cosìche con questa posizione idealistica di Dio come Sog-getto assoluto in rapporto di soggettività con gli altrisoggetti, siano suscettibili di soluzione insieme le qui-stioni della esistenza, della personalità, della trascenden-za di Dio. L'esser soggetto di Dio infatti sarebbe la suastessa esistenza, come il mio esistere è proprio il mio es-ser soggetto. Inoltre quel rapporto di alterità che Dioavrebbe con me spiegherebbe da una parte l'immanenzadi Lui in me e dall'altra la sua trascendenza. Avremmoquella trascendenza relativa, di cui si è fatto sostenitoreil Varisco.

Ma si può veramente accettare una tale soggettività diDio, cioè una sua reciprocità con me? Certo, eliminato ilrealismo, esistenza e soggettività di Dio devono stare ocadere insieme.

Questa affermazione, che pur è tanto nuova, par vec-chia quanto la stessa speculazione: ripete il motivo dellaessenziale spiritualità di Dio. La sua novità dipendedall'aver visto che l'oggetto è tutt'altro che negazione dispiritualità, e il soggetto non è lo spirito, ma l'esisteredella spiritualità.

Si può, dunque, accettare questa posizione di Dio inreciprocità con me?

Qualcuno può risolutamente dir di sì, a condizioneche l'Altro che è Dio di fronte a me, sia l'assoluto Altro.Questo assoluto Altro, proprio per questa assolutezzadella sua alterità, sarebbe l'Altro di tutti, l'«ἕτερος τῶν

304

sulta un io come me. È coerente quindi chi affermandol'esistenza di Dio, l'afferma come soggetto. Pare cosìche con questa posizione idealistica di Dio come Sog-getto assoluto in rapporto di soggettività con gli altrisoggetti, siano suscettibili di soluzione insieme le qui-stioni della esistenza, della personalità, della trascenden-za di Dio. L'esser soggetto di Dio infatti sarebbe la suastessa esistenza, come il mio esistere è proprio il mio es-ser soggetto. Inoltre quel rapporto di alterità che Dioavrebbe con me spiegherebbe da una parte l'immanenzadi Lui in me e dall'altra la sua trascendenza. Avremmoquella trascendenza relativa, di cui si è fatto sostenitoreil Varisco.

Ma si può veramente accettare una tale soggettività diDio, cioè una sua reciprocità con me? Certo, eliminato ilrealismo, esistenza e soggettività di Dio devono stare ocadere insieme.

Questa affermazione, che pur è tanto nuova, par vec-chia quanto la stessa speculazione: ripete il motivo dellaessenziale spiritualità di Dio. La sua novità dipendedall'aver visto che l'oggetto è tutt'altro che negazione dispiritualità, e il soggetto non è lo spirito, ma l'esisteredella spiritualità.

Si può, dunque, accettare questa posizione di Dio inreciprocità con me?

Qualcuno può risolutamente dir di sì, a condizioneche l'Altro che è Dio di fronte a me, sia l'assoluto Altro.Questo assoluto Altro, proprio per questa assolutezzadella sua alterità, sarebbe l'Altro di tutti, l'«ἕτερος τῶν

304

Page 305: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

ἄλλων», per dirla con una frase, che qui si manifesta ac-concia, forse del pitagorico Filolao30.

Ma, dopo tutta l'indagine fatta, forse non ho bisognodi spendere molte parole per far comprendere che que-sto rapporto di alterità, o senz'altro il rapporto non puòessere con l'Assoluto. Dire l'Altro assoluto è ancora unnon senso, giacchè la reciprocità richiesta dalla alterità ènecessariamente bilaterale, e perciò se Dio, in quanto al-tro da me, condiziona me, io, in quanto altro da Dio, do-vrei condizionare Dio. Porre adunque Dio nella recipro-cità è negarne la incondizionatezza, cioè l'assolutezza.La soggettività è alterità; Dio, proprio perchè assoluto,non può essere soggetto, non può esistere.

Si ricordi tutto quello che abbiamo detto circa l'alteri-tà, e si vedrà chiaro che Dio non può essere «altro», ecosì esistere, senza entrare anche lui nella molteplicità,cessando di essere l'Unico, e diventando uno fra tanti,anche se di fronte a tutti gli altri.

E perciò è, o mi sbaglio, anche fittizia l'immanenza diDio in me, quando Egli sia un soggetto come me e per-ciò altro da me. Il principio immanente a me deve costi-tuire me e non essere l'altro da me, col quale devo con-venire o urtarmi: io non sono, nel mio essere, costituitodall'altro, col quale ho rapporto. Questo rapporto anzi ri-chiede che l'altro che è il tu come tale, non costituisca ilme che sono io, altro da quel «tu».

30 Framm. 20, in DIELS. Die Fragmente der Vorsokratiker,Berlin, 19224; I, 318.

305

ἄλλων», per dirla con una frase, che qui si manifesta ac-concia, forse del pitagorico Filolao30.

Ma, dopo tutta l'indagine fatta, forse non ho bisognodi spendere molte parole per far comprendere che que-sto rapporto di alterità, o senz'altro il rapporto non puòessere con l'Assoluto. Dire l'Altro assoluto è ancora unnon senso, giacchè la reciprocità richiesta dalla alterità ènecessariamente bilaterale, e perciò se Dio, in quanto al-tro da me, condiziona me, io, in quanto altro da Dio, do-vrei condizionare Dio. Porre adunque Dio nella recipro-cità è negarne la incondizionatezza, cioè l'assolutezza.La soggettività è alterità; Dio, proprio perchè assoluto,non può essere soggetto, non può esistere.

Si ricordi tutto quello che abbiamo detto circa l'alteri-tà, e si vedrà chiaro che Dio non può essere «altro», ecosì esistere, senza entrare anche lui nella molteplicità,cessando di essere l'Unico, e diventando uno fra tanti,anche se di fronte a tutti gli altri.

E perciò è, o mi sbaglio, anche fittizia l'immanenza diDio in me, quando Egli sia un soggetto come me e per-ciò altro da me. Il principio immanente a me deve costi-tuire me e non essere l'altro da me, col quale devo con-venire o urtarmi: io non sono, nel mio essere, costituitodall'altro, col quale ho rapporto. Questo rapporto anzi ri-chiede che l'altro che è il tu come tale, non costituisca ilme che sono io, altro da quel «tu».

30 Framm. 20, in DIELS. Die Fragmente der Vorsokratiker,Berlin, 19224; I, 318.

305

Page 306: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il dare dunque all'esistenza il valore che dalla indagi-ne critica le risulta di alterità entro la coscienza, nonsolo non giustifica la posizione del problema di Diocome problema di esistenza, ma ce ne fa capire l'impos-sibilità. E perciò il porre il problema di Dio come il pro-blema della soggettività di Lui se da una parte è certo unprogresso di fronte alla impostazione tradizionale giac-chè almeno ci fa abbandonare l'esistenza nella grossola-na sua accezione realistica, dall'altra non è che un modo,certo più progredito, di continuare a porre il problema diDio nella sua forma esistenziale. Per il problema di Dionon si tratta di distinguere tra esistenza realistica ed esi-stenza critica o concretistica: qualunque esistenza nonpuò essere di Dio come tale. E perciò anche l'esistenzacritica come già quella realistica, attribuita a Dio, nenega l'immanenza. E a noi invece Dio è risultato taleche non può non essere immanente: è lo stesso essere insè.

Quando dunque noi ci siamo affacciati a quella con-cretezza che la critica del concreto ci ha scoperta e sap-piamo quel che voglian dire soggetti ed oggetto, vedia-mo che proprio il falso presupposto della esistenza diDio ha posta l'esigenza della sua soggettività. Quando sivede invece che dando a Dio l'esistenza, lungi dall'affer-marlo, lo si nega come Dio, si comprenderà anche chenon si può porre il problema di Dio affermandone lapersonalità soggettiva: bisogna risolutamente affermar-ne l'oggettività pura. Porne la soggettività è ricadere nel-

306

Il dare dunque all'esistenza il valore che dalla indagi-ne critica le risulta di alterità entro la coscienza, nonsolo non giustifica la posizione del problema di Diocome problema di esistenza, ma ce ne fa capire l'impos-sibilità. E perciò il porre il problema di Dio come il pro-blema della soggettività di Lui se da una parte è certo unprogresso di fronte alla impostazione tradizionale giac-chè almeno ci fa abbandonare l'esistenza nella grossola-na sua accezione realistica, dall'altra non è che un modo,certo più progredito, di continuare a porre il problema diDio nella sua forma esistenziale. Per il problema di Dionon si tratta di distinguere tra esistenza realistica ed esi-stenza critica o concretistica: qualunque esistenza nonpuò essere di Dio come tale. E perciò anche l'esistenzacritica come già quella realistica, attribuita a Dio, nenega l'immanenza. E a noi invece Dio è risultato taleche non può non essere immanente: è lo stesso essere insè.

Quando dunque noi ci siamo affacciati a quella con-cretezza che la critica del concreto ci ha scoperta e sap-piamo quel che voglian dire soggetti ed oggetto, vedia-mo che proprio il falso presupposto della esistenza diDio ha posta l'esigenza della sua soggettività. Quando sivede invece che dando a Dio l'esistenza, lungi dall'affer-marlo, lo si nega come Dio, si comprenderà anche chenon si può porre il problema di Dio affermandone lapersonalità soggettiva: bisogna risolutamente affermar-ne l'oggettività pura. Porne la soggettività è ricadere nel-

306

Page 307: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

la esistenza, che in quanto attribuita a Dio non fa chenegarlo.

60. L'argomento ontologico tradizionale.

Il problema di Dio, adunque, perchè possa rimanereavendo un significato, deve spogliarsi della religiositàcome unico principio da cui esso nasca, e dell'esistenzadi Dio come l'incognita che dalla sua soluzione debbaessere provata.

Pure vi è un argomento, col quale si è sempre risolutoil fondamentale problema di Dio, e col quale si è semprecreduto di provare proprio l'esistenza di Dio: l'argomen-to ontologico.

Esso, è vero, ha suscitato sempre vive opposizioni (§52); ma queste non si sono certo mostrate meno debolidello stesso argomento, il quale perciò da esse non è sta-to mai completamente annullato. Ontologismo ed anti-ontologismo potrebbero ben costituire una antinomia,della quale nessun Kant ancora ha data la formulazioneprecisa e il modo di soluzione. Nella prova dell'antion-tologismo lo stesso Kant non ci fa una bella figura contutti i suoi talleri.

L'argomento ontologico, dunque, con la sua provadell'esistenza di Dio presenta, anch'esso, il presuppostodell'esistenza e quello, connesso, della religiosità nelproblema di Dio. Contro esso quindi devono esser vali-de le dimostrazioni date della inamissibilità di questi

307

la esistenza, che in quanto attribuita a Dio non fa chenegarlo.

60. L'argomento ontologico tradizionale.

Il problema di Dio, adunque, perchè possa rimanereavendo un significato, deve spogliarsi della religiositàcome unico principio da cui esso nasca, e dell'esistenzadi Dio come l'incognita che dalla sua soluzione debbaessere provata.

Pure vi è un argomento, col quale si è sempre risolutoil fondamentale problema di Dio, e col quale si è semprecreduto di provare proprio l'esistenza di Dio: l'argomen-to ontologico.

Esso, è vero, ha suscitato sempre vive opposizioni (§52); ma queste non si sono certo mostrate meno debolidello stesso argomento, il quale perciò da esse non è sta-to mai completamente annullato. Ontologismo ed anti-ontologismo potrebbero ben costituire una antinomia,della quale nessun Kant ancora ha data la formulazioneprecisa e il modo di soluzione. Nella prova dell'antion-tologismo lo stesso Kant non ci fa una bella figura contutti i suoi talleri.

L'argomento ontologico, dunque, con la sua provadell'esistenza di Dio presenta, anch'esso, il presuppostodell'esistenza e quello, connesso, della religiosità nelproblema di Dio. Contro esso quindi devono esser vali-de le dimostrazioni date della inamissibilità di questi

307

Page 308: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

presupposti (§ 57, 58, 59); e noi ne avevamo già mostra-ta (§ 52) la insufficienza.

Lo si deve, dunque, abbandonare?Devesi abbandonare, rispondo, la forma tradizionale

dell'argomento ontologico, proprio per metterne in valo-re l'ontologismo.

La forma tradizionale continua a parlare di provadell'esistenza di Dio anche in pensatori come Spinoza edHegel. Continua questi, infatti, a dire che, a differenza«dei cento talleri e di qualsiasi altro concetto particola-re» e quindi di tutte le isole, e dello stesso universo(Kant, oltrechè dei talleri, si servì anche «come esem-pio» del mondo concepito come tutto) «Dio bisogna cheespressamente sia ciò che soltanto “come esistente pen-sato” può essere; ciò, in cui il concetto chiude in sèl'essere. Questa unità del concetto e dell'essere costitui-sce appunto il concetto di Dio» (Enciclopedia, ediz. del1830, § 51). Ora egli ha certo ragione quando poi diceche «tutte le arie di superiorità verso la cosiddetta provaontologica e verso la determinazione del perfetto data daAnselmo non approdano a nulla; giacchè questa idea èriposta nell'ingenuo buon senso e torna in ogni filosofia,senza che si sappia e senza che si voglia» (ib. § 193).Ma non sa neppur lui ancora vedere, nè, parmi, altri nelsuo campo l'ha vista, qual è la ragione profonda per cui,teisti o atei che si sia, questa prova dell'esistenza di Dioha sempre suscitata diffidenza o aperto rifiuto; non havisto il pregiudizio che sostanzia non la prova di taleesistenza, ma il concetto stesso dell'esistenza di Dio.

308

presupposti (§ 57, 58, 59); e noi ne avevamo già mostra-ta (§ 52) la insufficienza.

Lo si deve, dunque, abbandonare?Devesi abbandonare, rispondo, la forma tradizionale

dell'argomento ontologico, proprio per metterne in valo-re l'ontologismo.

La forma tradizionale continua a parlare di provadell'esistenza di Dio anche in pensatori come Spinoza edHegel. Continua questi, infatti, a dire che, a differenza«dei cento talleri e di qualsiasi altro concetto particola-re» e quindi di tutte le isole, e dello stesso universo(Kant, oltrechè dei talleri, si servì anche «come esem-pio» del mondo concepito come tutto) «Dio bisogna cheespressamente sia ciò che soltanto “come esistente pen-sato” può essere; ciò, in cui il concetto chiude in sèl'essere. Questa unità del concetto e dell'essere costitui-sce appunto il concetto di Dio» (Enciclopedia, ediz. del1830, § 51). Ora egli ha certo ragione quando poi diceche «tutte le arie di superiorità verso la cosiddetta provaontologica e verso la determinazione del perfetto data daAnselmo non approdano a nulla; giacchè questa idea èriposta nell'ingenuo buon senso e torna in ogni filosofia,senza che si sappia e senza che si voglia» (ib. § 193).Ma non sa neppur lui ancora vedere, nè, parmi, altri nelsuo campo l'ha vista, qual è la ragione profonda per cui,teisti o atei che si sia, questa prova dell'esistenza di Dioha sempre suscitata diffidenza o aperto rifiuto; non havisto il pregiudizio che sostanzia non la prova di taleesistenza, ma il concetto stesso dell'esistenza di Dio.

308

Page 309: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Non l'ha visto, perchè egli non ha visto con chiarezzal'essere nel pensiero, ma è ancora alla contrapposizionerealistica di essere e pensare, che, ripetiamo, egli non hafatto che elevare a sistema nella sua contraddittorietà.

Non l'ha visto, perchè dà all'essere in sè come talel'esistenza, non riuscendo a scoprire nell'essere non piùl'astratto essere dell'aristotelismo scolastico, ma l'esserein sè immanente in ogni esistente e in ogni forma diconcretezza. E perciò mentre pur annette tanto valore aquesta «unità del concetto con l'essere» da farla,senz'altro, costitutiva del concetto di Dio, proprio perquesto avere in sè l'essere, trova poi «strano... che laconcreta totalità che è Dio, non fosse neppure tanto ric-ca da contenere una così povera determinazione qual èl'essere, che è anzi la più povera di tutte, la più astratta»(ib. § 51). È dunque perchè al concetto di Dio, a diffe-renza di quello della cosa finita, si aggiunge questa po-verissima determinazione astratta che è l'essere, chequel concetto diventa concetto di Dio? Il vero è che He-gel così non esce dal concetto scolastico dell'essere ari-stotelico ma pur sente nella esigenza idealistica che eglieredita da Cartesio, da Kant, da Fichte, da Iacobi,l'importanza di quell'argomento per la soddisfazione diquesta esigenza.

A individuare tal pregiudizio si oppone anche la man-cata visione del valore soggettivo e positivo dell'alterità,che però non può contrassegnare, essa, la coscienzacome tale nella sua concretezza, e tanto meno la co-scienza oggettiva (Dio) nella sua assolutezza. Ed è que-

309

Non l'ha visto, perchè egli non ha visto con chiarezzal'essere nel pensiero, ma è ancora alla contrapposizionerealistica di essere e pensare, che, ripetiamo, egli non hafatto che elevare a sistema nella sua contraddittorietà.

Non l'ha visto, perchè dà all'essere in sè come talel'esistenza, non riuscendo a scoprire nell'essere non piùl'astratto essere dell'aristotelismo scolastico, ma l'esserein sè immanente in ogni esistente e in ogni forma diconcretezza. E perciò mentre pur annette tanto valore aquesta «unità del concetto con l'essere» da farla,senz'altro, costitutiva del concetto di Dio, proprio perquesto avere in sè l'essere, trova poi «strano... che laconcreta totalità che è Dio, non fosse neppure tanto ric-ca da contenere una così povera determinazione qual èl'essere, che è anzi la più povera di tutte, la più astratta»(ib. § 51). È dunque perchè al concetto di Dio, a diffe-renza di quello della cosa finita, si aggiunge questa po-verissima determinazione astratta che è l'essere, chequel concetto diventa concetto di Dio? Il vero è che He-gel così non esce dal concetto scolastico dell'essere ari-stotelico ma pur sente nella esigenza idealistica che eglieredita da Cartesio, da Kant, da Fichte, da Iacobi,l'importanza di quell'argomento per la soddisfazione diquesta esigenza.

A individuare tal pregiudizio si oppone anche la man-cata visione del valore soggettivo e positivo dell'alterità,che però non può contrassegnare, essa, la coscienzacome tale nella sua concretezza, e tanto meno la co-scienza oggettiva (Dio) nella sua assolutezza. Ed è que-

309

Page 310: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

sto aspetto, che può dirsi ontologico negativo, il valorenascosto e profondo che la filosofia di Iacobi rappresen-ta di fronte alla filosofia non solo di Kant, ma anche del-lo stesso Hegel, che, mentre mostrava di intuirne il valo-re ponendola come terza posizione del pensiero (Enc. §61-78) dopo quella critica, non seppe veramente ricercarquel valore e ricostruirla idealisticamente.

Hegel continuò a vedere la coscienza come alterità trail soggetto e l'oggetto.

E proprio per questo persistere della esistenzialitàdella prova ontologica anche in Hegel, egli sostiene che«il difetto della argomentazione di Anselmo – difettoche del resto è partecipato da Cartesio, da Spinoza, non-chè dal principio del sapere immediato – è che questaunità, la quale è enunciata come il perfettissimo, o an-che soggettivamente come il vero sapere, viene presup-posta, vale a dire è presa solo come unità in sè..., cheperciò è astratta». (Enc. § 193). Difetto, a correggere ilquale Hegel non vede altra via se non «mostrare che ilfinito è un non-vero» (ib.). Ed è non vero, perchè «laconcreta totalità» è Dio (Enc. § 51), nella sua assolutez-za ed infinità; Dio, che «non può chiamarsi spirito senon in quanto si sa, mediandosi con se stesso. Solo cosìè concreto, vivente, spirito». (Enc. § 74). Or se Dio,come Dio, è concreto, per noi, che, come noi, Dio nonsiamo, non c'è posto nella concretezza. Là dove c'è con-cretezza di Dio, non c'è altra concretezza.

Non è quello notato da Hegel, cioè l'affermazionedella pura inseità di Dio, il difetto dell'argomento onto-

310

sto aspetto, che può dirsi ontologico negativo, il valorenascosto e profondo che la filosofia di Iacobi rappresen-ta di fronte alla filosofia non solo di Kant, ma anche del-lo stesso Hegel, che, mentre mostrava di intuirne il valo-re ponendola come terza posizione del pensiero (Enc. §61-78) dopo quella critica, non seppe veramente ricercarquel valore e ricostruirla idealisticamente.

Hegel continuò a vedere la coscienza come alterità trail soggetto e l'oggetto.

E proprio per questo persistere della esistenzialitàdella prova ontologica anche in Hegel, egli sostiene che«il difetto della argomentazione di Anselmo – difettoche del resto è partecipato da Cartesio, da Spinoza, non-chè dal principio del sapere immediato – è che questaunità, la quale è enunciata come il perfettissimo, o an-che soggettivamente come il vero sapere, viene presup-posta, vale a dire è presa solo come unità in sè..., cheperciò è astratta». (Enc. § 193). Difetto, a correggere ilquale Hegel non vede altra via se non «mostrare che ilfinito è un non-vero» (ib.). Ed è non vero, perchè «laconcreta totalità» è Dio (Enc. § 51), nella sua assolutez-za ed infinità; Dio, che «non può chiamarsi spirito senon in quanto si sa, mediandosi con se stesso. Solo cosìè concreto, vivente, spirito». (Enc. § 74). Or se Dio,come Dio, è concreto, per noi, che, come noi, Dio nonsiamo, non c'è posto nella concretezza. Là dove c'è con-cretezza di Dio, non c'è altra concretezza.

Non è quello notato da Hegel, cioè l'affermazionedella pura inseità di Dio, il difetto dell'argomento onto-

310

Page 311: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

logico tradizionale. Da questa pura inseità, che Hegeldice astratta, Anselmo e Cartesio tengono invece,anch'essi, lontano il proprio argomento. Nell'idea di An-selmo e di Cartesio c'è l'esistenza; per essi, senza questa,l'Idea non sarebbe l'idea dell'«Id quo maius cogitari ne-quit». Cioè anche l'Idea di Anselmo e Cartesio non èsoltanto in sè, ma anche per sè, come Hegel richiede.Sta in essi, come in Hegel, un eccesso anzichè un difet-to: non si afferma come dovevasi, pura e schietta l'insei-tà di Dio, e quindi dell'Idea come tale; si aggiungeall'inseità l'esistenza. Hegel, si può dire, che esasperaquesto vizio di eccesso richiedendolo esplicitamente adifferenza di quanto avevan già fatto Anselmo e Carte-sio. E proprio questa esplicita richiesta della esistenzia-lità dell'in sè come tale mena Hegel alla identificazionedi Dio col concreto, e quindi ad una assoluta trascenden-za sotto l'apparenza di una integrale immanenza. ControHegel il miscredente si ripresenterà ricondotto da unnuovo Gaunilone o da un nuovo Kant: opporrà la suaconcretezza alla concretezza che gli si presenta comeDio, e nella quale egli non si ritrova, o non lo ritrova. Econtinueranno ad aver ragione, e ad essere insieme cia-scuno contradditorio in se stesso, Hegel da una parte e ilnuovo miscredente dall'altra.

Dio non è dunque concreto.Ma non perciò l'Idea, che è Dio, è soltanto rappresen-

tazione.

311

logico tradizionale. Da questa pura inseità, che Hegeldice astratta, Anselmo e Cartesio tengono invece,anch'essi, lontano il proprio argomento. Nell'idea di An-selmo e di Cartesio c'è l'esistenza; per essi, senza questa,l'Idea non sarebbe l'idea dell'«Id quo maius cogitari ne-quit». Cioè anche l'Idea di Anselmo e Cartesio non èsoltanto in sè, ma anche per sè, come Hegel richiede.Sta in essi, come in Hegel, un eccesso anzichè un difet-to: non si afferma come dovevasi, pura e schietta l'insei-tà di Dio, e quindi dell'Idea come tale; si aggiungeall'inseità l'esistenza. Hegel, si può dire, che esasperaquesto vizio di eccesso richiedendolo esplicitamente adifferenza di quanto avevan già fatto Anselmo e Carte-sio. E proprio questa esplicita richiesta della esistenzia-lità dell'in sè come tale mena Hegel alla identificazionedi Dio col concreto, e quindi ad una assoluta trascenden-za sotto l'apparenza di una integrale immanenza. ControHegel il miscredente si ripresenterà ricondotto da unnuovo Gaunilone o da un nuovo Kant: opporrà la suaconcretezza alla concretezza che gli si presenta comeDio, e nella quale egli non si ritrova, o non lo ritrova. Econtinueranno ad aver ragione, e ad essere insieme cia-scuno contradditorio in se stesso, Hegel da una parte e ilnuovo miscredente dall'altra.

Dio non è dunque concreto.Ma non perciò l'Idea, che è Dio, è soltanto rappresen-

tazione.

311

Page 312: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Questa, per sè, sarebbe astratta; per universale che lasi dica, sarebbe sempre generalizzazione dell'esperienza(§ 42) non unicità di coscienza.

La rappresentazione non ha, per sè sola, unità col suoessere reale, che essa vuole rappresentare, e che, abbiamvisto (§ 42), è il prodotto solido della esperienza comereciproca attività dei soggetti.

Ora provare, come si fa con la forma tradizionaledell'argomento ontologico, l'esistenza di Dio col porrel'esistenza come propria dell'idea di Dio e di essa soltan-to, non è che dapprima concepire Dio in una rappresen-tazione, e perciò dare anche all'idea di Dio tale naturarappresentativa, e poi voler negare l'essenza rappresen-tativa di questa. Ed è quindi, anche sotto quest'aspetto,porsi, già col solo affermare l'idea dell'«Id quo maius»,in quella contraddizione che toglie ogni valore alla no-stra affermazione. Perciò quella unità di essenza e diesistenza, in cui l'argomento di Anselmo si è precisatocon Cartesio, con Spinoza, con Hegel, è solo una conse-guenza dell'esistenzialità della forma tradizionaledell'argomento. È non senso come il negare l'esistenzadi Dio, così l'affermarla.

L'idea quindi, punto di partenza dell'argomento onto-logico, perchè questo possa concludere, deve essere ideaassoluta, e cioè oggettività pura della coscienza, che, ab-biam visto (§ 33), è essere in sè; non deve, invece, esse-re una rappresentazione che abbia in sè anche la realtàcui come rappresentazione si riferisce. Porre come nu-cleo sostanziale dell'argomento ontologico detta unità di

312

Questa, per sè, sarebbe astratta; per universale che lasi dica, sarebbe sempre generalizzazione dell'esperienza(§ 42) non unicità di coscienza.

La rappresentazione non ha, per sè sola, unità col suoessere reale, che essa vuole rappresentare, e che, abbiamvisto (§ 42), è il prodotto solido della esperienza comereciproca attività dei soggetti.

Ora provare, come si fa con la forma tradizionaledell'argomento ontologico, l'esistenza di Dio col porrel'esistenza come propria dell'idea di Dio e di essa soltan-to, non è che dapprima concepire Dio in una rappresen-tazione, e perciò dare anche all'idea di Dio tale naturarappresentativa, e poi voler negare l'essenza rappresen-tativa di questa. Ed è quindi, anche sotto quest'aspetto,porsi, già col solo affermare l'idea dell'«Id quo maius»,in quella contraddizione che toglie ogni valore alla no-stra affermazione. Perciò quella unità di essenza e diesistenza, in cui l'argomento di Anselmo si è precisatocon Cartesio, con Spinoza, con Hegel, è solo una conse-guenza dell'esistenzialità della forma tradizionaledell'argomento. È non senso come il negare l'esistenzadi Dio, così l'affermarla.

L'idea quindi, punto di partenza dell'argomento onto-logico, perchè questo possa concludere, deve essere ideaassoluta, e cioè oggettività pura della coscienza, che, ab-biam visto (§ 33), è essere in sè; non deve, invece, esse-re una rappresentazione che abbia in sè anche la realtàcui come rappresentazione si riferisce. Porre come nu-cleo sostanziale dell'argomento ontologico detta unità di

312

Page 313: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

essenza e di esistenza, è conservare all'idea, anche se diDio, una natura rappresentativa e quindi non elevarsi aquella Idea assoluta, che non rappresenta più Dio, soloperchè non è più rappresentazione, ma Dio stesso.

Finchè nel mondo spirituale non vediamo che rappre-sentazioni il problema della filosofia non è solubile. Edecco perchè esso come non è risoluto da Spinoza, non èneppure risoluto da Hegel. Per Spinoza la realtà resta dilà dall'idea e perciò col mondo ideale saremo sempre inun mondo rappresentativo, in cui l'ordo e la connexiosaranno idem ac nel mondo reale, ma l'idea non sarà mainè la cosa nè della cosa: quella corrispondenza è miste-riosa. Per Hegel Dio è l'Idea ma in quanto ha anche real-tà, in sè e per sè, perchè senza di questa rimarrebbe purarappresentazione. Nè l'uno nè l'altro colgono ancora ilnucleo sostanziale dell'argomento ontologico. Hegel hacontinuato a non vedere, come non vedevano Anselmo eGaunilone, Cartesio e Kant, che se il rappresentare èanch'esso sapere, non per questo il sapere è senz'altro esoltanto rappresentare. Sapere è coscienza dell'oggetto,e solo a questa condizione anche il rappresentare acqui-sta valore, rientra nel sapere.

Non è dunque quello notato da Hegel il difetto verodell'argomento ontologico in tutte le sue formulazioni. Ildifetto vero rimane ancora in Hegel, il quale non ha fat-to che trarre la legittima conseguenza dell'argomento colsuo difetto: la identificazione del concreto con Dio stes-so.

313

essenza e di esistenza, è conservare all'idea, anche se diDio, una natura rappresentativa e quindi non elevarsi aquella Idea assoluta, che non rappresenta più Dio, soloperchè non è più rappresentazione, ma Dio stesso.

Finchè nel mondo spirituale non vediamo che rappre-sentazioni il problema della filosofia non è solubile. Edecco perchè esso come non è risoluto da Spinoza, non èneppure risoluto da Hegel. Per Spinoza la realtà resta dilà dall'idea e perciò col mondo ideale saremo sempre inun mondo rappresentativo, in cui l'ordo e la connexiosaranno idem ac nel mondo reale, ma l'idea non sarà mainè la cosa nè della cosa: quella corrispondenza è miste-riosa. Per Hegel Dio è l'Idea ma in quanto ha anche real-tà, in sè e per sè, perchè senza di questa rimarrebbe purarappresentazione. Nè l'uno nè l'altro colgono ancora ilnucleo sostanziale dell'argomento ontologico. Hegel hacontinuato a non vedere, come non vedevano Anselmo eGaunilone, Cartesio e Kant, che se il rappresentare èanch'esso sapere, non per questo il sapere è senz'altro esoltanto rappresentare. Sapere è coscienza dell'oggetto,e solo a questa condizione anche il rappresentare acqui-sta valore, rientra nel sapere.

Non è dunque quello notato da Hegel il difetto verodell'argomento ontologico in tutte le sue formulazioni. Ildifetto vero rimane ancora in Hegel, il quale non ha fat-to che trarre la legittima conseguenza dell'argomento colsuo difetto: la identificazione del concreto con Dio stes-so.

313

Page 314: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il difetto della formulazione dell'argomento ontologi-co da Anselmo ad Hegel non sta, come quest'ultimovuole, nell'essere l'unità di essenza e di esistenza affer-mata solo in sè e non anche per sè, cioè nel non esseretale unità attuata in concreta esistenza come Dio, ma staproprio in questa affermazione di Dio come unitàdell'essenza con l'esistenza. La quale unità, concepitacome Dio, proprio essa toglie quell'in sè, al quale Ansel-mo si sarebbe fermato; nega l'unicità di Dio facendo aLui, come tale, essenziale anche la molteplicità dell'esi-stente; rende impossibile l'immanenza di Dio nel con-creto, in quanto gli dà l'esistenza che lo singolarizza;rende necessaria la contraddizione come legge del con-creto, mentre il non contraddirsi è il fondamentodell'argomento stesso; infine annulla il concreto, nellaintima essenza del quale invece l'argomento stesso ritro-va Dio.

Tutte le confutazioni che si son fatte dell'argomentoontologico volevano sempre negare questo come provadell'esistenza di Dio. E in questa negazione esse non fa-cevano che confermare il valore essenziale di esso. Gliontologisti riconoscevano nell'oggettività della coscien-za l'affermazione di Dio; gli antiontologisti negavanoche questa affermazione fosse affermazione di esistenza.I primi non ponevano mente al valore del loro argomen-to e non si accorgevano quindi che lo negavano quandoparlavano di esistenza; i secondi, viceversa, non si ac-corgevano del lato positivo della loro negazionedell'argomento come prova di esistenza, non si accorge-

314

Il difetto della formulazione dell'argomento ontologi-co da Anselmo ad Hegel non sta, come quest'ultimovuole, nell'essere l'unità di essenza e di esistenza affer-mata solo in sè e non anche per sè, cioè nel non esseretale unità attuata in concreta esistenza come Dio, ma staproprio in questa affermazione di Dio come unitàdell'essenza con l'esistenza. La quale unità, concepitacome Dio, proprio essa toglie quell'in sè, al quale Ansel-mo si sarebbe fermato; nega l'unicità di Dio facendo aLui, come tale, essenziale anche la molteplicità dell'esi-stente; rende impossibile l'immanenza di Dio nel con-creto, in quanto gli dà l'esistenza che lo singolarizza;rende necessaria la contraddizione come legge del con-creto, mentre il non contraddirsi è il fondamentodell'argomento stesso; infine annulla il concreto, nellaintima essenza del quale invece l'argomento stesso ritro-va Dio.

Tutte le confutazioni che si son fatte dell'argomentoontologico volevano sempre negare questo come provadell'esistenza di Dio. E in questa negazione esse non fa-cevano che confermare il valore essenziale di esso. Gliontologisti riconoscevano nell'oggettività della coscien-za l'affermazione di Dio; gli antiontologisti negavanoche questa affermazione fosse affermazione di esistenza.I primi non ponevano mente al valore del loro argomen-to e non si accorgevano quindi che lo negavano quandoparlavano di esistenza; i secondi, viceversa, non si ac-corgevano del lato positivo della loro negazionedell'argomento come prova di esistenza, non si accorge-

314

Page 315: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

vano che solo essi toglievano quella negazionedell'argomento, che gli ontologisti facevano quando lopresentavano come prova di esistenza.

L'essenza dell'argomento ontologico sta proprio nellanegazione della singolarità e rappresentatività di Dio(negazione, dalla quale l'inconoscibilità kantiana non èlontana). Nessuna idea di isola, o di altro che sia mai, ri-spondeva già Anselmo a Gaunilone, è da assomigliarsialla idea di Dio. La determinazione esplicativa, chedell'argomento si è cominciato a fare con Cartesio, me-diante la distinzione e l'identificazione, nella stessa idea,dell'essenza e dell'esistenza, se da una parte lo ha svoltoed approfondito, dall'altra lo ha allontanato dal suo verovalore.

Per raggiunger questo bisogna riconoscere questa im-plicita essenza negativa dell'argomento nella sua formatradizionale, e da questa passare alla forma che diquell'essenza negativa esprima invece l'aspetto positivo.

Il che è impossibile finchè l'argomento resti nella suaforma esistenziale.

61. L'argomento ontologico della metafisica cri-tica.

Bisogna dunque abbandonare la forma tradizionaledell'argomento ontologico, se si vuole salvare l'ontologi-smo che ne costituisce l'eterno valore. Bisogna tornare aquello che dovette essere il balenio primo dell'argomen-

315

vano che solo essi toglievano quella negazionedell'argomento, che gli ontologisti facevano quando lopresentavano come prova di esistenza.

L'essenza dell'argomento ontologico sta proprio nellanegazione della singolarità e rappresentatività di Dio(negazione, dalla quale l'inconoscibilità kantiana non èlontana). Nessuna idea di isola, o di altro che sia mai, ri-spondeva già Anselmo a Gaunilone, è da assomigliarsialla idea di Dio. La determinazione esplicativa, chedell'argomento si è cominciato a fare con Cartesio, me-diante la distinzione e l'identificazione, nella stessa idea,dell'essenza e dell'esistenza, se da una parte lo ha svoltoed approfondito, dall'altra lo ha allontanato dal suo verovalore.

Per raggiunger questo bisogna riconoscere questa im-plicita essenza negativa dell'argomento nella sua formatradizionale, e da questa passare alla forma che diquell'essenza negativa esprima invece l'aspetto positivo.

Il che è impossibile finchè l'argomento resti nella suaforma esistenziale.

61. L'argomento ontologico della metafisica cri-tica.

Bisogna dunque abbandonare la forma tradizionaledell'argomento ontologico, se si vuole salvare l'ontologi-smo che ne costituisce l'eterno valore. Bisogna tornare aquello che dovette essere il balenio primo dell'argomen-

315

Page 316: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

to nella mente di Anselmo: bisogna abbandonare l'esi-stenza, cioè la singolarità di Dio. Finchè così non si fac-cia, sarà sempre nella contraddizione così chi affermaDio, come chi lo nega.

Al più si potrà con Hegel passare dal Dio trascenden-te di Anselmo e di Cartesio al Dio concreto. Ma Dio,come tale, non è concreto; e questa pretesa concretezzadi Dio non ci fa affatto uscire dalla assurda trascenden-za.

Ritenere non vero il finito (§ 59) non è aprirsi la viaalla immanenza, ma chiudersela in modo assoluto.L'immanenza non vuol dir niente, se non è una menzo-gna, là dove il finito è non vero. Proclamare ad alte vocil'immanenza non significa nulla: le voci stesse che laproclamano sono un non vero. Dire che Dio è concreto,è negare Dio e annullare il mondo.

Nè negare che Dio sia concreto è affermarne l'astrat-tezza: è soltanto porre la condizione prima per poternericonoscere l'immanenza. L'astratto si integra conl'astratto, il che è impossibile se non c'è un principiounico immanente. Dio è questo principio immanente delconcreto; non può dunque essere il concreto stesso. Dio,in quanto si distingue dal concreto, è immanente, nonastratto31.

31 Sento il bisogno di ripetere qui esplicitamente questo, per-chè al primo apparire di questa concezione che vengo mano manosvolgendo di Dio come assoluto Oggetto (Critica del Concreto,1921), dissi Dio, astratto termine della coscienza.

Ho poi già mostrato (Filosofia di Kant) che l'immanenza è

316

to nella mente di Anselmo: bisogna abbandonare l'esi-stenza, cioè la singolarità di Dio. Finchè così non si fac-cia, sarà sempre nella contraddizione così chi affermaDio, come chi lo nega.

Al più si potrà con Hegel passare dal Dio trascenden-te di Anselmo e di Cartesio al Dio concreto. Ma Dio,come tale, non è concreto; e questa pretesa concretezzadi Dio non ci fa affatto uscire dalla assurda trascenden-za.

Ritenere non vero il finito (§ 59) non è aprirsi la viaalla immanenza, ma chiudersela in modo assoluto.L'immanenza non vuol dir niente, se non è una menzo-gna, là dove il finito è non vero. Proclamare ad alte vocil'immanenza non significa nulla: le voci stesse che laproclamano sono un non vero. Dire che Dio è concreto,è negare Dio e annullare il mondo.

Nè negare che Dio sia concreto è affermarne l'astrat-tezza: è soltanto porre la condizione prima per poternericonoscere l'immanenza. L'astratto si integra conl'astratto, il che è impossibile se non c'è un principiounico immanente. Dio è questo principio immanente delconcreto; non può dunque essere il concreto stesso. Dio,in quanto si distingue dal concreto, è immanente, nonastratto31.

31 Sento il bisogno di ripetere qui esplicitamente questo, per-chè al primo apparire di questa concezione che vengo mano manosvolgendo di Dio come assoluto Oggetto (Critica del Concreto,1921), dissi Dio, astratto termine della coscienza.

Ho poi già mostrato (Filosofia di Kant) che l'immanenza è

316

Page 317: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Affermare dunque bisogna di Dio soltanto l'inseità, eaffermarla bisogna soltanto di Dio: Dio è soltanto in sè,non è un singolare esistente; il cosiddetto mondo non èin sè nè come tutto, nè nella singolarità degli esistentiche lo costituiscono.

A queste condizioni il problema di Dio ci fa usciredalla trascendenza e ci mena alla dimostrazione dellaimmanenza; senza di esse non si potrebbe nonchè risol-vere neppure porre.

L'inseità, dunque, è solo di Dio.Tutto ciò che esiste, non è in sè, perchè l'esistenza sta

proprio nella reciprocità, che è alterità e non inseità. Eimmanenza di Dio non vuol dire altro che questa inseitàdi Dio; non vuol dire altro se non che una buona volta siponga sì il problema di Dio, ma si riponga nella formain cui Dio, del quale si tratta, consente che si ponga; nonvuol dire altro se non che quella falsa impostazione delproblema di Dio, derivata da concetti dogmatici al valo-re dei quali non si pensava, sia tolta di mezzo e sostitui-ta con una che alla esigenza profonda, da cui il proble-ma di Dio nasce, risponda con le stesse conquiste dellaspeculazione, che non sono mai una negazione di Dio,ma la più profonda affermazione di Lui pur nella pro-gressiva problematicità con cui si presentano.

Così Dio è veramente l'Unico e non uno dei singoli,con i quali Egli non sarà soltanto in rapporto, perchè netutt'altra cosa dall'astrattezza. Quando di questa parlavo, non miero ancora del tutto liberato dalla concezione idealistica post-kan-tiana della opposizione dell'essere al pensiero.

317

Affermare dunque bisogna di Dio soltanto l'inseità, eaffermarla bisogna soltanto di Dio: Dio è soltanto in sè,non è un singolare esistente; il cosiddetto mondo non èin sè nè come tutto, nè nella singolarità degli esistentiche lo costituiscono.

A queste condizioni il problema di Dio ci fa usciredalla trascendenza e ci mena alla dimostrazione dellaimmanenza; senza di esse non si potrebbe nonchè risol-vere neppure porre.

L'inseità, dunque, è solo di Dio.Tutto ciò che esiste, non è in sè, perchè l'esistenza sta

proprio nella reciprocità, che è alterità e non inseità. Eimmanenza di Dio non vuol dire altro che questa inseitàdi Dio; non vuol dire altro se non che una buona volta siponga sì il problema di Dio, ma si riponga nella formain cui Dio, del quale si tratta, consente che si ponga; nonvuol dire altro se non che quella falsa impostazione delproblema di Dio, derivata da concetti dogmatici al valo-re dei quali non si pensava, sia tolta di mezzo e sostitui-ta con una che alla esigenza profonda, da cui il proble-ma di Dio nasce, risponda con le stesse conquiste dellaspeculazione, che non sono mai una negazione di Dio,ma la più profonda affermazione di Lui pur nella pro-gressiva problematicità con cui si presentano.

Così Dio è veramente l'Unico e non uno dei singoli,con i quali Egli non sarà soltanto in rapporto, perchè netutt'altra cosa dall'astrattezza. Quando di questa parlavo, non miero ancora del tutto liberato dalla concezione idealistica post-kan-tiana della opposizione dell'essere al pensiero.

317

Page 318: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

costituisce invece l'essere. Se Egli in rapporto fosse conquesti singoli, irrimediabilmente diverrebbe uno di loro,non sarebbe più l'Unico; diverrebbe un singolo, sia infi-nito quanto si voglia, tra singoli; Dio non sarebbe piùDio.

Non v'ha dunque Dio senza immanenza: non la tra-scendenza è la caratteristica di Dio, ma l'immanenza.

Ora perchè Dio sia tale Essere Unico immanente, siala inseità di me e di ogni altro, bisogna che sia, per ladata dimostrazione della identità di Dio con l'Essere insè, e dell'Essere in sè con l'Oggetto (cap. IV), bisognache Egli sia la stessa oggettività della mia coscienza,che, sappiamo, è l'unicità richiesta dalla coscienza miacome da ogni alterità della coscienza.

Dio è l'Oggetto puro della coscienza.E se l'Oggetto della coscienza è, senza residuo, l'Idea

nella sua assolutezza che non consente alterità, Dio ètale assoluta Idea (§ 50). Giudizio questo che può e deveesser ridotto all'altro: Dio è; giacchè questo «è» è l'asso-luta Idea. Deve esser quindi ridotto al termine unicosemplicissimo «Dio» che vuol dire Idea costitutiva diogni mente, Idea, tolta la quale niuna mente è. Idea,quindi, tolta la quale è tolto il pensare.

Ed è questo termine semplicissimo quello in cui siprofonda l'anima religiosa adorando; quello che il pen-siero speculativo ha per oggetto quando esplica l'ogget-tività del concreto da cui esso parte; quello che la co-scienza attua nelle sue forme concrete di verità, bellez-za, bontà.

318

costituisce invece l'essere. Se Egli in rapporto fosse conquesti singoli, irrimediabilmente diverrebbe uno di loro,non sarebbe più l'Unico; diverrebbe un singolo, sia infi-nito quanto si voglia, tra singoli; Dio non sarebbe piùDio.

Non v'ha dunque Dio senza immanenza: non la tra-scendenza è la caratteristica di Dio, ma l'immanenza.

Ora perchè Dio sia tale Essere Unico immanente, siala inseità di me e di ogni altro, bisogna che sia, per ladata dimostrazione della identità di Dio con l'Essere insè, e dell'Essere in sè con l'Oggetto (cap. IV), bisognache Egli sia la stessa oggettività della mia coscienza,che, sappiamo, è l'unicità richiesta dalla coscienza miacome da ogni alterità della coscienza.

Dio è l'Oggetto puro della coscienza.E se l'Oggetto della coscienza è, senza residuo, l'Idea

nella sua assolutezza che non consente alterità, Dio ètale assoluta Idea (§ 50). Giudizio questo che può e deveesser ridotto all'altro: Dio è; giacchè questo «è» è l'asso-luta Idea. Deve esser quindi ridotto al termine unicosemplicissimo «Dio» che vuol dire Idea costitutiva diogni mente, Idea, tolta la quale niuna mente è. Idea,quindi, tolta la quale è tolto il pensare.

Ed è questo termine semplicissimo quello in cui siprofonda l'anima religiosa adorando; quello che il pen-siero speculativo ha per oggetto quando esplica l'ogget-tività del concreto da cui esso parte; quello che la co-scienza attua nelle sue forme concrete di verità, bellez-za, bontà.

318

Page 319: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Perciò se faticosamente il filosofo esplica Dio dal co-mune pensare e cerca di presentarne apriori un concetto,se il credente, nella sua pura fede rivelatrice, sente Dionella coscienza, e vi si chiude, forte della sua intuizione,contro ogni contrario assalto, non per questo l'afferma-zione di Dio sta solo in quella dimostrazione del filoso-fo, o in questa intuizione del credente. La fondamentaleaffermazione di Dio è l'oggettività implicita di ogni attodi pensiero: il concetto del filosofo, l'intuizione del cre-dente traggono il loro valore solo da questa.

E perciò l'Idea che è Dio non può essere chiusa e de-terminata in uno specifico atto di pensiero. Il che nonvuol dire che Dio sia inconoscibile, ma soltanto che Eglinon è rappresentabile, proprio perchè è Dio, e sostanziaogni rappresentante ed ogni rappresentazione.

Solo a queste condizioni, ripeto, e cioè l'inseità di Dioe soltanto di Lui, si può porre il problema di Dio ched'altronde non possiamo non porre.

Ci si può opporre: «Con questa posizione del proble-ma salverete forse l'immanenza dell'essere in sè, ma per-derete definitivamente quell'argomento ontologico, delquale invano ricercate una forma inconfutabile. Giac-chè, infatti, se il difetto fondamentale dell'argomento staproprio nell'affermare quella esistenza, alla quale si con-clude partendo dall'Idea che deve necessariamente rac-chiuderla, la contraddizione, e quindi il nullismo di pen-siero, in cui il miscredente è, vien tolta. E vien tolto cosìtutto l'argomento, che fa punto di leva proprio su quella

319

Perciò se faticosamente il filosofo esplica Dio dal co-mune pensare e cerca di presentarne apriori un concetto,se il credente, nella sua pura fede rivelatrice, sente Dionella coscienza, e vi si chiude, forte della sua intuizione,contro ogni contrario assalto, non per questo l'afferma-zione di Dio sta solo in quella dimostrazione del filoso-fo, o in questa intuizione del credente. La fondamentaleaffermazione di Dio è l'oggettività implicita di ogni attodi pensiero: il concetto del filosofo, l'intuizione del cre-dente traggono il loro valore solo da questa.

E perciò l'Idea che è Dio non può essere chiusa e de-terminata in uno specifico atto di pensiero. Il che nonvuol dire che Dio sia inconoscibile, ma soltanto che Eglinon è rappresentabile, proprio perchè è Dio, e sostanziaogni rappresentante ed ogni rappresentazione.

Solo a queste condizioni, ripeto, e cioè l'inseità di Dioe soltanto di Lui, si può porre il problema di Dio ched'altronde non possiamo non porre.

Ci si può opporre: «Con questa posizione del proble-ma salverete forse l'immanenza dell'essere in sè, ma per-derete definitivamente quell'argomento ontologico, delquale invano ricercate una forma inconfutabile. Giac-chè, infatti, se il difetto fondamentale dell'argomento staproprio nell'affermare quella esistenza, alla quale si con-clude partendo dall'Idea che deve necessariamente rac-chiuderla, la contraddizione, e quindi il nullismo di pen-siero, in cui il miscredente è, vien tolta. E vien tolto cosìtutto l'argomento, che fa punto di leva proprio su quella

319

Page 320: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

contraddizione. Riconoscete adunque con Kant che il fa-moso argomento è tutto un assurdo».

Rispondo: La sostanza dell'argomento si riduce a direche non ci può essere verità senza Dio, come, in qualchepunto, esplicitamente fa intendere lo stesso Cartesio. Ein tale suo valore sostanziale esso non nasce con Ansel-mo, che per primo lo formulò, ma risale ad Agostino aPlatone a Socrate ed anche più in là, per considerare sol-tanto il nostro pensiero occidentale. Con tale suo valoreesso si ripresenta non ostante ogni confutazione.

Ora avendo presente questo valore, e togliendo l'esi-stenza dall'Idea che è principio dell'argomento ontologi-co, non solo non si elimina la contraddizione di chi ne-ghi questo principio, ma solo allora la si pone rigorosa-mente.

Nella forma tradizionale dell'argomento, infatti, nonc'è solo la contraddizione del negatore, ma c'è già primala contraddizione dell'affermatore. Anselmo è tanto con-traddittorio quanto Gaunilone (La fil. di Kant, I, § 18),perchè è contraddittorio il concetto di Dio esistente: Dioè unicità ed assolutezza; esistenza è molteplicità ed alte-rità. Perciò il contraddirsi di Gaunilone negando, nonrende valido l'affermare di Anselmo contraddicendosi.

Togliendo invece l'esistenza, la contraddizione, dissi,ha luogo solo per il negatore e quindi si pone con rigorel'argomento. Infatti pensare è pensare oggettivamente;chi nega Dio col suo pensiero, nega l'oggettività delpensiero, con un atto di pensiero, che, come tale, preten-de essere oggettivo; cioè pensa e non pensa insieme; si

320

contraddizione. Riconoscete adunque con Kant che il fa-moso argomento è tutto un assurdo».

Rispondo: La sostanza dell'argomento si riduce a direche non ci può essere verità senza Dio, come, in qualchepunto, esplicitamente fa intendere lo stesso Cartesio. Ein tale suo valore sostanziale esso non nasce con Ansel-mo, che per primo lo formulò, ma risale ad Agostino aPlatone a Socrate ed anche più in là, per considerare sol-tanto il nostro pensiero occidentale. Con tale suo valoreesso si ripresenta non ostante ogni confutazione.

Ora avendo presente questo valore, e togliendo l'esi-stenza dall'Idea che è principio dell'argomento ontologi-co, non solo non si elimina la contraddizione di chi ne-ghi questo principio, ma solo allora la si pone rigorosa-mente.

Nella forma tradizionale dell'argomento, infatti, nonc'è solo la contraddizione del negatore, ma c'è già primala contraddizione dell'affermatore. Anselmo è tanto con-traddittorio quanto Gaunilone (La fil. di Kant, I, § 18),perchè è contraddittorio il concetto di Dio esistente: Dioè unicità ed assolutezza; esistenza è molteplicità ed alte-rità. Perciò il contraddirsi di Gaunilone negando, nonrende valido l'affermare di Anselmo contraddicendosi.

Togliendo invece l'esistenza, la contraddizione, dissi,ha luogo solo per il negatore e quindi si pone con rigorel'argomento. Infatti pensare è pensare oggettivamente;chi nega Dio col suo pensiero, nega l'oggettività delpensiero, con un atto di pensiero, che, come tale, preten-de essere oggettivo; cioè pensa e non pensa insieme; si

320

Page 321: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

contraddice; è in quel che dissi nullismo di pensiero:non pensa. La contraddizione mostrata dall'argomentoontologico nella negazione di Dio è questo affermare enegare l'oggettività del proprio pensiero, quando si negaDio.

Io penso, dunque affermo Dio; se tu neghi Dio, nonpensi. Ecco l'argomento ontologico nella sua forma po-sitiva e in quella negativa. Il «dunque» è fondato sullaoggettività del pensiero col valore che la concretezzacominciata a scoprire da Kant esige che le si attribuisca.

Questa forma dell'argomento presuppone il problemadi Dio come il problema stesso della oggettività dellacoscienza, come il problema stesso dell'essere in sè. Ecosì va oggi posto il problema teologico, se non voglia-mo rinnegare (e anche volendo non possiamo) la con-quistata concezione del concreto. Il problema di Dio,posto nell'argomento ontologico (ineliminabilità di Diodal pensiero), si chiarisce come il problema stessodell'essere in sè (immanenza dell'Assoluto nel concre-to); l'essere in sè è l'Unico, e questo non può essere ma-teria. Scopriamo insieme nell'essere la legge fondamen-tale del pensiero come attiva identità (cfr. L'Essere e ilproblema religioso, Bari, 1914), e non contraddizione, enell'Idea pura della coscienza lo stesso Assoluto che èquell'essere stesso, il quale, perchè coscienza, è Dio. Es-sere e Idea che si confermano a vicenda perchè sonounum et idem. L'argomento ontologico è la scopertaesplicita dell'immanenza di Dio come oggetto della co-

321

contraddice; è in quel che dissi nullismo di pensiero:non pensa. La contraddizione mostrata dall'argomentoontologico nella negazione di Dio è questo affermare enegare l'oggettività del proprio pensiero, quando si negaDio.

Io penso, dunque affermo Dio; se tu neghi Dio, nonpensi. Ecco l'argomento ontologico nella sua forma po-sitiva e in quella negativa. Il «dunque» è fondato sullaoggettività del pensiero col valore che la concretezzacominciata a scoprire da Kant esige che le si attribuisca.

Questa forma dell'argomento presuppone il problemadi Dio come il problema stesso della oggettività dellacoscienza, come il problema stesso dell'essere in sè. Ecosì va oggi posto il problema teologico, se non voglia-mo rinnegare (e anche volendo non possiamo) la con-quistata concezione del concreto. Il problema di Dio,posto nell'argomento ontologico (ineliminabilità di Diodal pensiero), si chiarisce come il problema stessodell'essere in sè (immanenza dell'Assoluto nel concre-to); l'essere in sè è l'Unico, e questo non può essere ma-teria. Scopriamo insieme nell'essere la legge fondamen-tale del pensiero come attiva identità (cfr. L'Essere e ilproblema religioso, Bari, 1914), e non contraddizione, enell'Idea pura della coscienza lo stesso Assoluto che èquell'essere stesso, il quale, perchè coscienza, è Dio. Es-sere e Idea che si confermano a vicenda perchè sonounum et idem. L'argomento ontologico è la scopertaesplicita dell'immanenza di Dio come oggetto della co-

321

Page 322: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

scienza, la quale si contraddice quando nega questa im-manenza.

Perciò oggi ad una mancata posizione del problema diDio come tale corrisponde la mancata posizione del pro-blema dell'essere in sè. Sono lo stesso problema. E per-ciò, quando manca il problema di Dio, rimane senzaproblema e senza oggetto anche la filosofia, che ridottaa tal punto non può che dichiarare la propria morte. Èlogico quindi che una tale dichiarazione sia già venuta eproprio da parte hegeliana. Questa non si accorge, inquesta sua dichiarazione, che, a meno di non proclamareun aperto ed assoluto ateismo cioè uno schietto materia-lismo, viene a lasciar libero il campo alla più dogmaticae alla più superstiziosa concezione di Dio. La filosofianon teologizzante non toglie ma legittima il teologismosuperstizioso.

Con le dette identificazioni invece di Dio con l'ogget-to puro e di questo con l'oggetto della filosofia, questada una parte frena e corregge, se non elimina, il teologi-smo superstizioso e prepara il rinnovamento religioso, edall'altra si rende consapevole di ciò che essa è semprestata: riflessione pura dell'essere in sè. Si matura cosìuna più ampia e profonda posizione del problema ogget-tivo, una più chiara consapevolezza del problema inter-no della filosofia.

Risolvere questo problema della filosofia nella orga-nica integrità della sua forma fondamentale e dei proble-mi particolari nascenti, nella esplicazione del concreto,

322

scienza, la quale si contraddice quando nega questa im-manenza.

Perciò oggi ad una mancata posizione del problema diDio come tale corrisponde la mancata posizione del pro-blema dell'essere in sè. Sono lo stesso problema. E per-ciò, quando manca il problema di Dio, rimane senzaproblema e senza oggetto anche la filosofia, che ridottaa tal punto non può che dichiarare la propria morte. Èlogico quindi che una tale dichiarazione sia già venuta eproprio da parte hegeliana. Questa non si accorge, inquesta sua dichiarazione, che, a meno di non proclamareun aperto ed assoluto ateismo cioè uno schietto materia-lismo, viene a lasciar libero il campo alla più dogmaticae alla più superstiziosa concezione di Dio. La filosofianon teologizzante non toglie ma legittima il teologismosuperstizioso.

Con le dette identificazioni invece di Dio con l'ogget-to puro e di questo con l'oggetto della filosofia, questada una parte frena e corregge, se non elimina, il teologi-smo superstizioso e prepara il rinnovamento religioso, edall'altra si rende consapevole di ciò che essa è semprestata: riflessione pura dell'essere in sè. Si matura cosìuna più ampia e profonda posizione del problema ogget-tivo, una più chiara consapevolezza del problema inter-no della filosofia.

Risolvere questo problema della filosofia nella orga-nica integrità della sua forma fondamentale e dei proble-mi particolari nascenti, nella esplicazione del concreto,

322

Page 323: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

da questa pura ed assoluta oggettività di Dio che abbia-mo messo in evidenza, è dovere che rimane a compiere.

Qui non volevo che riaprire le porte del problema del-la filosofia nella intransigente purezza di sforzo di ri-flessione sull'essere in sè: la metafisica critica è possibi-le.

323

da questa pura ed assoluta oggettività di Dio che abbia-mo messo in evidenza, è dovere che rimane a compiere.

Qui non volevo che riaprire le porte del problema del-la filosofia nella intransigente purezza di sforzo di ri-flessione sull'essere in sè: la metafisica critica è possibi-le.

323

Page 324: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

APPENDICE32

Il problema teologico nella filosofia italianacontemporanea.

Se ha valore quel rinnovamento del pensiero filosofi-co, che da una parte culmina in Kant e dall'altra comin-cia da lui, mi par fuori di dubbio che il pensiero italianosia in prima linea nel campo speculativo.

La filosofia che oggi prescinde dalla Critica è comeun'astronomia che voglia prescindere da Copernico o daGalileo. Una tale astronomia acopernicana muove subi-to un sorriso di compatimento verso chi la faccia; una fi-losofia acritica continua a farsi senza suscitare ira o di-sdegno. Continua a farsi, perchè bene o male anzi benee male un po' di filosofia fanno tutti e ciascuno la fa a

32 Credo opportuno ripubblicare in Italia questo breve artico-lo, comparso nel volume Omagiu lui Ramiro Ortiz, (Bucuresti,1929), raccolta di scritti varî per festeggiare il 25° anno di inse-gnamento del nostro Ortiz nella Università di Bucarest.

324

APPENDICE32

Il problema teologico nella filosofia italianacontemporanea.

Se ha valore quel rinnovamento del pensiero filosofi-co, che da una parte culmina in Kant e dall'altra comin-cia da lui, mi par fuori di dubbio che il pensiero italianosia in prima linea nel campo speculativo.

La filosofia che oggi prescinde dalla Critica è comeun'astronomia che voglia prescindere da Copernico o daGalileo. Una tale astronomia acopernicana muove subi-to un sorriso di compatimento verso chi la faccia; una fi-losofia acritica continua a farsi senza suscitare ira o di-sdegno. Continua a farsi, perchè bene o male anzi benee male un po' di filosofia fanno tutti e ciascuno la fa a

32 Credo opportuno ripubblicare in Italia questo breve artico-lo, comparso nel volume Omagiu lui Ramiro Ortiz, (Bucuresti,1929), raccolta di scritti varî per festeggiare il 25° anno di inse-gnamento del nostro Ortiz nella Università di Bucarest.

324

Page 325: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

suo modo; e non è detto che sempre chi specificamenteprofessa filosofia, sia il più adatto a farla. Notava già ilnostro Dante (Paradiso, VIII, v. 145 e seg.).

voi torcete alla religioneTal, che fia nato a cingersi la spada;E fate re di tal, ch'è da sermone:Onde la traccia vostra è fuor di strada.

Se adunque non seguiamo coloro, la cui traccia è fuordi strada, e ci mettiamo invece nel cammino classicodella speculazione, troviamo, come dissi, ai posti avan-zati il pensiero filosofico italiano.

E lo troviamo, a mio avviso, con un problema, che,per poco oscuratosi come l'essenza stessa della filosofia,si viene sempre più ridimostrando tale con maggioreconsapevolezza e profondità: il problema teologico.

La Critica non rimase e non poteva rimanere quellache essa fu per Kant.

Il criticismo divenne idealismo che fu detto assolutocon Hegel. Ma mentre esso in Germania accentuò sem-pre più nel suo processo l'aspetto soggettivistico, in Ita-lia, con quella gloriosa triade di pensatori, Galluppi, Ro-smini, Gioberti, fioriti quasi contemporaneamente nellaprima metà del secolo decimonono, e il cui valore spe-culativo ancora non viene a sufficienza valutato ed uti-lizzato nel corrente pensiero filosofico sia storico che si-stematico, in Italia il criticismo divenne oggettivismoidealistico con l'ideologismo rosminiano e l'ontologismo

325

suo modo; e non è detto che sempre chi specificamenteprofessa filosofia, sia il più adatto a farla. Notava già ilnostro Dante (Paradiso, VIII, v. 145 e seg.).

voi torcete alla religioneTal, che fia nato a cingersi la spada;E fate re di tal, ch'è da sermone:Onde la traccia vostra è fuor di strada.

Se adunque non seguiamo coloro, la cui traccia è fuordi strada, e ci mettiamo invece nel cammino classicodella speculazione, troviamo, come dissi, ai posti avan-zati il pensiero filosofico italiano.

E lo troviamo, a mio avviso, con un problema, che,per poco oscuratosi come l'essenza stessa della filosofia,si viene sempre più ridimostrando tale con maggioreconsapevolezza e profondità: il problema teologico.

La Critica non rimase e non poteva rimanere quellache essa fu per Kant.

Il criticismo divenne idealismo che fu detto assolutocon Hegel. Ma mentre esso in Germania accentuò sem-pre più nel suo processo l'aspetto soggettivistico, in Ita-lia, con quella gloriosa triade di pensatori, Galluppi, Ro-smini, Gioberti, fioriti quasi contemporaneamente nellaprima metà del secolo decimonono, e il cui valore spe-culativo ancora non viene a sufficienza valutato ed uti-lizzato nel corrente pensiero filosofico sia storico che si-stematico, in Italia il criticismo divenne oggettivismoidealistico con l'ideologismo rosminiano e l'ontologismo

325

Page 326: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

giobertiano. L'uno e l'altro sotto l'apparente antitesi alcriticismo e all'idealismo tedesco, nascondono un pro-fondo e sostanziale sviluppo della Critica kantiana pro-prio nel problema fondamentale, che la Critica si dichia-rava metafisicamente impotente a risolvere: il problemadi Dio. E l'accusa di panteismo che i due filosofi reci-procamente si lanciavano, e sotto la quale entrambi sog-giacquero da parte della Chiesa, sta appunto ad indicaretale sviluppo critico che con loro assumeva il pensierospeculativo italiano.

Sviluppo critico, che, invece di risolversi in una tra-sformazione del «cogito» cartesiano nell'autocoscienzadell'Io assoluto di Fichte e di Hegel metteva in evidenzal'immanenza dell'Essere assoluto (Ente del Gioberti, oEssere ideale del Rosmini) nella spiritualità umana, edava così al problema di Dio una impostazione eminen-temente critica e tutta diversa da quella tradizionale.

Questo nuovo apporto del pensiero italiano al pro-gresso speculativo non fu visto: fu senz'altro condannatocome panteismo dagli uni, negato come vecchio ontolo-gismo dagli altri.

E si cadde così nel positivismo scientifico, che cre-dette salvarsi dal vuoto della dogmatica metafisica pre-critica ed anticritica, attenendosi strettamente al fatto, enon concedendo nulla al puro pensiero, senza accorgersiche proprio così la concretezza stessa del fatto gli sfug-giva.

326

giobertiano. L'uno e l'altro sotto l'apparente antitesi alcriticismo e all'idealismo tedesco, nascondono un pro-fondo e sostanziale sviluppo della Critica kantiana pro-prio nel problema fondamentale, che la Critica si dichia-rava metafisicamente impotente a risolvere: il problemadi Dio. E l'accusa di panteismo che i due filosofi reci-procamente si lanciavano, e sotto la quale entrambi sog-giacquero da parte della Chiesa, sta appunto ad indicaretale sviluppo critico che con loro assumeva il pensierospeculativo italiano.

Sviluppo critico, che, invece di risolversi in una tra-sformazione del «cogito» cartesiano nell'autocoscienzadell'Io assoluto di Fichte e di Hegel metteva in evidenzal'immanenza dell'Essere assoluto (Ente del Gioberti, oEssere ideale del Rosmini) nella spiritualità umana, edava così al problema di Dio una impostazione eminen-temente critica e tutta diversa da quella tradizionale.

Questo nuovo apporto del pensiero italiano al pro-gresso speculativo non fu visto: fu senz'altro condannatocome panteismo dagli uni, negato come vecchio ontolo-gismo dagli altri.

E si cadde così nel positivismo scientifico, che cre-dette salvarsi dal vuoto della dogmatica metafisica pre-critica ed anticritica, attenendosi strettamente al fatto, enon concedendo nulla al puro pensiero, senza accorgersiche proprio così la concretezza stessa del fatto gli sfug-giva.

326

Page 327: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Entro l'impero quasi assoluto e certo intransigente –come è ogni posizione astratta che non si renda contodella propria astrattezza – del fatto nel preteso suo op-porsi ed imporsi al pensiero, si levò, proprio al comin-ciare del secolo XX, si levò chiara ed alta la voce delCroce con la sua Memoria (18 marzo e 6 maggio 1900)sulle: Tesi fondamentali di un'Estetica come scienzadell'espressione e linguistica generale, memoria che poidivenne il primo volume della Filosofia dello Spirito, lagiustamente famosa Estetica. Con questa filosofia dellospirito e con tutta la sua opera storica e critica, il Crocecontinuando e fondendo in armonica unità la vena cri-tico-letteraria del sommo De Sanctis e quella politico-speculativa degli Spaventa nello spirito hegeliano comu-ne a tutti loro, riuscì nello stesso tempo a far rinascere ilgusto del problema speculativo per sè, e a portar questonello spirito vivo del pensiero italiano, cercando di farlopenetrare attraverso la letteratura e la storia. Fu, questo,indiscutibile merito di Benedetto Croce, cui quindi devemoltissimo il rinnovamento della italiana cultura.

Ma il Croce proprio mentre, rinnovando Hegel, risco-priva la filosofia dello Spirito, e, limitandolo, mostravanon poterci essere altra filosofia che quella dello Spirito,faceva dello Spirito stesso concepito in un determinatomodo che non era forse quello speculativamente più ma-turo e più critico, faceva di tale Spirito una specie dibarriera alla indagine filosofica, che non doveva guarda-re al di là di esso, perchè non vi avrebbe ritrovato cheproblemi morti. Sotto questi problemi morti Croce non

327

Entro l'impero quasi assoluto e certo intransigente –come è ogni posizione astratta che non si renda contodella propria astrattezza – del fatto nel preteso suo op-porsi ed imporsi al pensiero, si levò, proprio al comin-ciare del secolo XX, si levò chiara ed alta la voce delCroce con la sua Memoria (18 marzo e 6 maggio 1900)sulle: Tesi fondamentali di un'Estetica come scienzadell'espressione e linguistica generale, memoria che poidivenne il primo volume della Filosofia dello Spirito, lagiustamente famosa Estetica. Con questa filosofia dellospirito e con tutta la sua opera storica e critica, il Crocecontinuando e fondendo in armonica unità la vena cri-tico-letteraria del sommo De Sanctis e quella politico-speculativa degli Spaventa nello spirito hegeliano comu-ne a tutti loro, riuscì nello stesso tempo a far rinascere ilgusto del problema speculativo per sè, e a portar questonello spirito vivo del pensiero italiano, cercando di farlopenetrare attraverso la letteratura e la storia. Fu, questo,indiscutibile merito di Benedetto Croce, cui quindi devemoltissimo il rinnovamento della italiana cultura.

Ma il Croce proprio mentre, rinnovando Hegel, risco-priva la filosofia dello Spirito, e, limitandolo, mostravanon poterci essere altra filosofia che quella dello Spirito,faceva dello Spirito stesso concepito in un determinatomodo che non era forse quello speculativamente più ma-turo e più critico, faceva di tale Spirito una specie dibarriera alla indagine filosofica, che non doveva guarda-re al di là di esso, perchè non vi avrebbe ritrovato cheproblemi morti. Sotto questi problemi morti Croce non

327

Page 328: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

riusciva a scoprire l'esigenza, da cui essi nacquero vivi,e che in nuova vita li riproponeva. E non sentì quindi,pur in questa integrale affermazione dello Spirito,l'essenza vera e fondamentale del problema filosofico.La filosofia ridusse a una specie di disciplina prammati-ca della umana cultura, disciplina che egli poi disse me-todologia della storia. Non sentì, nello Spirito, il proble-ma di Dio ed ebbe buon giuoco nel classificare, tra irri-dendo e compatendo, come filosofia teologizzante ecioè morta filosofia ogni pensiero che di quel problemasentisse la gravità. Ebbe buon gioco, perchè, pur da chital problema sentiva, non si sapeva uscire dalla vecchiaimpostazione di esso superata col nascere del Critici-smo.

Nato invece dalla diretta fonte hegeliana, nutrito fon-damentalmente e prevalentemente di sapere filosoficonel suo processo storico, apertosi alla vita dello spiritocon una viva profonda esigenza metafisica, il pensierodi Giovanni Gentile, pur parendo sulle prime che non sidistinguesse dalla crociana filosofia dello spirito, a dif-fondere la quale egli sin dal primo momento vivamentecontribuì con la sua fondamentale collaborazione allaCritica, portò sempre invece, fin dal primo suo apparire(Rosmini e Gioberti, 1898), nella trattazione dei proble-mi filosofici un profondo senso del Divino.

E, io penso, prevalentemente da questo egli fu spintoa quella Riforma della Dialettica hegeliana (1913), che,sviluppando e in parte trasformando la presentazione

328

riusciva a scoprire l'esigenza, da cui essi nacquero vivi,e che in nuova vita li riproponeva. E non sentì quindi,pur in questa integrale affermazione dello Spirito,l'essenza vera e fondamentale del problema filosofico.La filosofia ridusse a una specie di disciplina prammati-ca della umana cultura, disciplina che egli poi disse me-todologia della storia. Non sentì, nello Spirito, il proble-ma di Dio ed ebbe buon giuoco nel classificare, tra irri-dendo e compatendo, come filosofia teologizzante ecioè morta filosofia ogni pensiero che di quel problemasentisse la gravità. Ebbe buon gioco, perchè, pur da chital problema sentiva, non si sapeva uscire dalla vecchiaimpostazione di esso superata col nascere del Critici-smo.

Nato invece dalla diretta fonte hegeliana, nutrito fon-damentalmente e prevalentemente di sapere filosoficonel suo processo storico, apertosi alla vita dello spiritocon una viva profonda esigenza metafisica, il pensierodi Giovanni Gentile, pur parendo sulle prime che non sidistinguesse dalla crociana filosofia dello spirito, a dif-fondere la quale egli sin dal primo momento vivamentecontribuì con la sua fondamentale collaborazione allaCritica, portò sempre invece, fin dal primo suo apparire(Rosmini e Gioberti, 1898), nella trattazione dei proble-mi filosofici un profondo senso del Divino.

E, io penso, prevalentemente da questo egli fu spintoa quella Riforma della Dialettica hegeliana (1913), che,sviluppando e in parte trasformando la presentazione

328

Page 329: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che già Bertrando Spaventa aveva fatta del pensiero he-geliano, riduce questo alla sua massima coerenza nellafondamentale dialetticità dell'atto spirituale nella sua in-finita sempre rinnovantesi assolutezza.

E da questa riforma, che egli fissò come sua propriadottrina nella Teoria generale dello Spirito come attopuro (1916), fu indotto a vedere ed a sviluppare tutta lafilosofia come Logica (1917, 1923), che, cogliendol'atto spirituale nella sua concretezza, non esclude da sènessuna forma, di attività spirituale e si attua quindi an-che e, direi, specialmente come assoluta Etica che viveil Divino e non ha bisogno di andarlo ricercando fuori disè.

È quindi tutta l'opera filosofica di Giovanni Gentileuna continua celebrazione di Dio, fatta con fede profon-da negli umani destini che l'uomo con la sua stessa atti-vità spirituale viene continuamente formando a se stessoattraverso l'assoluta dedizione del singolare finito e tem-poraneo allo Spirito infinito ed eterno, che è semprepensiero. Pensiero, si badi, che non è schietta intellet-tualistica conoscenza, ma ricomprende in sè, nella asso-luta libertà del proprio atto, ogni diversa forma in cuivoglia ripartirsi o distinguersi l'attività spirituale. La fi-losofia, così, viene ad essere, proprio come filosofia, lastessa celebrazione della divina attività spirituale nelsuo concretarsi nel vivente pensiero umano.

Così, a mio avviso, è certo merito grande del Gentileavere, se non posto esplicitamente, certo fatto sentirepotentemente il problema di Dio come la stessa essenza

329

che già Bertrando Spaventa aveva fatta del pensiero he-geliano, riduce questo alla sua massima coerenza nellafondamentale dialetticità dell'atto spirituale nella sua in-finita sempre rinnovantesi assolutezza.

E da questa riforma, che egli fissò come sua propriadottrina nella Teoria generale dello Spirito come attopuro (1916), fu indotto a vedere ed a sviluppare tutta lafilosofia come Logica (1917, 1923), che, cogliendol'atto spirituale nella sua concretezza, non esclude da sènessuna forma, di attività spirituale e si attua quindi an-che e, direi, specialmente come assoluta Etica che viveil Divino e non ha bisogno di andarlo ricercando fuori disè.

È quindi tutta l'opera filosofica di Giovanni Gentileuna continua celebrazione di Dio, fatta con fede profon-da negli umani destini che l'uomo con la sua stessa atti-vità spirituale viene continuamente formando a se stessoattraverso l'assoluta dedizione del singolare finito e tem-poraneo allo Spirito infinito ed eterno, che è semprepensiero. Pensiero, si badi, che non è schietta intellet-tualistica conoscenza, ma ricomprende in sè, nella asso-luta libertà del proprio atto, ogni diversa forma in cuivoglia ripartirsi o distinguersi l'attività spirituale. La fi-losofia, così, viene ad essere, proprio come filosofia, lastessa celebrazione della divina attività spirituale nelsuo concretarsi nel vivente pensiero umano.

Così, a mio avviso, è certo merito grande del Gentileavere, se non posto esplicitamente, certo fatto sentirepotentemente il problema di Dio come la stessa essenza

329

Page 330: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

della filosofia, ed avere così scosse le coscienze, accen-dendole di quella sacra fiamma che si suscita, sempre-chè si faccia concretamente riflettere l'uomo sulla pro-pria essenza divina. E ingrati certo sono verso di luiquanti dicendosi mossi da amore di Dio e zelo di reli-gione, gli rinfacciano come ateismo la sua dottrina, dellaquale mostrano di avere un sacro orrore. Sacro orrore,che certo non sentirebbero, se non fossero animati, piùche da ricerca del Divino, disinteressata e profondacome dovrebbe sempre essere, da bisogno di salvare po-sizioni dogmatiche che si fondono e confondono con lostesso organismo ecclesiastico, entro il quale si cerca dicostringere l'Assoluto, e dal quale questo vien quasi ga-rentito.

Ma se questo suscitare mediante la filosofia il sensodel Divino nelle coscienze è indiscutibile merito delGentile, d'altra parte la identificazione piena ed esplicitadella concretezza spirituale con la filosofia fa sì chequel problema di Dio che si sente come il problema pro-prio della filosofia, viene a perdere la sua propria indivi-duazione di problema, e così la filosofia stessa viene aperdere la sua propria forma. Per troppo abbracciare lafilosofia come tale si disperde, e il problema di Dio nul-la può ricercare intorno a Dio. Filosofia, Concretezza,Divinità sono unum et idem; unum et idem che è attuatoin ogni nostra opera dal più fugace dei nostri pensieri opropositi alla più costante delle nostre azioni.

330

della filosofia, ed avere così scosse le coscienze, accen-dendole di quella sacra fiamma che si suscita, sempre-chè si faccia concretamente riflettere l'uomo sulla pro-pria essenza divina. E ingrati certo sono verso di luiquanti dicendosi mossi da amore di Dio e zelo di reli-gione, gli rinfacciano come ateismo la sua dottrina, dellaquale mostrano di avere un sacro orrore. Sacro orrore,che certo non sentirebbero, se non fossero animati, piùche da ricerca del Divino, disinteressata e profondacome dovrebbe sempre essere, da bisogno di salvare po-sizioni dogmatiche che si fondono e confondono con lostesso organismo ecclesiastico, entro il quale si cerca dicostringere l'Assoluto, e dal quale questo vien quasi ga-rentito.

Ma se questo suscitare mediante la filosofia il sensodel Divino nelle coscienze è indiscutibile merito delGentile, d'altra parte la identificazione piena ed esplicitadella concretezza spirituale con la filosofia fa sì chequel problema di Dio che si sente come il problema pro-prio della filosofia, viene a perdere la sua propria indivi-duazione di problema, e così la filosofia stessa viene aperdere la sua propria forma. Per troppo abbracciare lafilosofia come tale si disperde, e il problema di Dio nul-la può ricercare intorno a Dio. Filosofia, Concretezza,Divinità sono unum et idem; unum et idem che è attuatoin ogni nostra opera dal più fugace dei nostri pensieri opropositi alla più costante delle nostre azioni.

330

Page 331: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

E quindi Bernardino Varisco che alla indagine filoso-fica fu condotto proprio da una inestinguibile sete delDivino, non trovò nel pensiero del Gentile una rispostaadeguata alla sua ansia profonda, pur essendosi avvici-nato ad esso con intelletto d'amore, pur sentendone ilvivo afflato religioso, pur vivendone i più intimi motivi,con la viva simpatia di chi è spinto solo dalla disinteres-sata ricerca del Divino, e non solo da un precostitituitointeresse da difendere.

Non la trovò, perchè non sentì impostato nettamentenei suoi termini il problema di Dio, quel problema di cuisentiva prepotente il bisogno della soluzione, che eglinon trovava nelle forme, siano pur rigorose come quellematematiche, del pensiero scientifico, e che non era riu-scito a trovare neppure quando, superando i limiti dellescienze parziali, era assurto a quella che era o voleva es-sere la scienza somma comprensiva, alla filosofia. Man-canza di soluzione che, per lui, da una parte non toglie-va il problema, e dall'altra non infirmava i risultati dellascienza: fu questa la prima risposta (Scienza e opinioni,1901) che dalla filosofia ebbe alla sua ansia il Varisco.

Pur questo trarre a parte Dio, rifugiandolo nel sicuroporto del sentimento, questo trarlo a parte dalle costru-zioni scientifiche siano pur somme e comprensive e ren-dano pur conto esatto ed integrale della realtà, era purun passo verso il problema del Divino, anche se questonon era impostato e tanto meno era risoluto.

E questo passo primo, quando il pensiero del Variscovenne a più immediato vivo e vissuto contatto con la

331

E quindi Bernardino Varisco che alla indagine filoso-fica fu condotto proprio da una inestinguibile sete delDivino, non trovò nel pensiero del Gentile una rispostaadeguata alla sua ansia profonda, pur essendosi avvici-nato ad esso con intelletto d'amore, pur sentendone ilvivo afflato religioso, pur vivendone i più intimi motivi,con la viva simpatia di chi è spinto solo dalla disinteres-sata ricerca del Divino, e non solo da un precostitituitointeresse da difendere.

Non la trovò, perchè non sentì impostato nettamentenei suoi termini il problema di Dio, quel problema di cuisentiva prepotente il bisogno della soluzione, che eglinon trovava nelle forme, siano pur rigorose come quellematematiche, del pensiero scientifico, e che non era riu-scito a trovare neppure quando, superando i limiti dellescienze parziali, era assurto a quella che era o voleva es-sere la scienza somma comprensiva, alla filosofia. Man-canza di soluzione che, per lui, da una parte non toglie-va il problema, e dall'altra non infirmava i risultati dellascienza: fu questa la prima risposta (Scienza e opinioni,1901) che dalla filosofia ebbe alla sua ansia il Varisco.

Pur questo trarre a parte Dio, rifugiandolo nel sicuroporto del sentimento, questo trarlo a parte dalle costru-zioni scientifiche siano pur somme e comprensive e ren-dano pur conto esatto ed integrale della realtà, era purun passo verso il problema del Divino, anche se questonon era impostato e tanto meno era risoluto.

E questo passo primo, quando il pensiero del Variscovenne a più immediato vivo e vissuto contatto con la

331

Page 332: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

speculazione idealistica nata da Kant, questo passo pri-mo si concretò nel formulare la insoddisfazione del suobisogno metafisico da parte della soluzione idealistica ingenere del problema di Dio. Questo Soggetto assolutoadombrato con la coscienza in generale nel pensierokantiano, e che si è venuto man mano sviluppando finoa farsi riconoscere come Dio stesso, io non so bene chesoggetto sia, pensa il V., giacchè a quella esperienza chedel soggetto io ho, non corrisponde affatto. «Non tutto èchiaro, egli scriveva nel 1907, nella filosofia della tra-scendenza; ma in quella dell'immanenza c'è pur molto dioscuro. Vi si dà, p. es., il nome di soggetto a qualchecosa, che non sarebbe una persona, quindi non un sog-getto secondo l'accezione comune del termine, e di chenessuno sa indicare i caratteri; mentre poi, equivocando,si traggono delle conclusioni dall'identità del nome»33.

E da questa prima formulazione egli giunge poi con iMassimi Problemi (1910) e il Conosci te stesso (1912) auna decisa impostazione del problema di Dio, come pro-prio della filosofia: Questa, con tutte le sue indagini, ar-riva, deve arrivare a Dio. Da questo punto di arrivo, cheè l'impostazione del veramente massimo ed unico pro-blema, ricevono valore ed hanno significato tutti gli altriproblemi posti e risoluti con l'indagine filosofica. Non sicondannano quindi senz'altro tutta quella psicologia, fi-losofia della natura, gnoscologia ed etica che costituiva-

33 Prefazione al mio saggio critico su La teoria della perce-zione intellettiva di A. Rosmini (Bari, 1907), p. VIII.

332

speculazione idealistica nata da Kant, questo passo pri-mo si concretò nel formulare la insoddisfazione del suobisogno metafisico da parte della soluzione idealistica ingenere del problema di Dio. Questo Soggetto assolutoadombrato con la coscienza in generale nel pensierokantiano, e che si è venuto man mano sviluppando finoa farsi riconoscere come Dio stesso, io non so bene chesoggetto sia, pensa il V., giacchè a quella esperienza chedel soggetto io ho, non corrisponde affatto. «Non tutto èchiaro, egli scriveva nel 1907, nella filosofia della tra-scendenza; ma in quella dell'immanenza c'è pur molto dioscuro. Vi si dà, p. es., il nome di soggetto a qualchecosa, che non sarebbe una persona, quindi non un sog-getto secondo l'accezione comune del termine, e di chenessuno sa indicare i caratteri; mentre poi, equivocando,si traggono delle conclusioni dall'identità del nome»33.

E da questa prima formulazione egli giunge poi con iMassimi Problemi (1910) e il Conosci te stesso (1912) auna decisa impostazione del problema di Dio, come pro-prio della filosofia: Questa, con tutte le sue indagini, ar-riva, deve arrivare a Dio. Da questo punto di arrivo, cheè l'impostazione del veramente massimo ed unico pro-blema, ricevono valore ed hanno significato tutti gli altriproblemi posti e risoluti con l'indagine filosofica. Non sicondannano quindi senz'altro tutta quella psicologia, fi-losofia della natura, gnoscologia ed etica che costituiva-

33 Prefazione al mio saggio critico su La teoria della perce-zione intellettiva di A. Rosmini (Bari, 1907), p. VIII.

332

Page 333: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

no il mondo ideale di Scienza ed opinioni, ma tutte rifu-se in base a questa essenza dell'indagine filosofica, chenon avrebbe ragion di essere se non fosse ricerca di Dio,servono tutte, nelle parti che in questo approfondimentorimangono vere, servono tutte alla dimostrazione delsommo problema, Dio.

E al punto in cui l'indagine filosofica è nel suo svilup-po storico, dimostra il Varisco, una cosa è certa, che,cioè, a Dio si arriva; ed è quindi non soltanto escluso loscetticismo, ma escluso anche quel salvaguardare Dionel sentimento, insoddisfatti dall'indagine anche filoso-fica. Ma, al punto in cui si è, a Dio si arriva senza vede-re ancora a fondo nella essenza: Dio ci risulta, ma nonsappiamo ancora se è solo l'Essere spirituale principioimmanente di ogni accadere, o se è, anche Lui, una per-sona, che, se è, col suo atto, nell'accadere, rimane anche,come Persona, di là da questo. La filosofia ci mena aDio che non sappiamo ancora, se solo celebrare hegelia-namente nel Panteismo, o, cattolicamente, adorare an-che nel Teismo. Al sentimento rimane ancora un tesoroda conservare e difendere: la personalità di Dio.

A liberare questo tesoro dal chiuso scrigno del senti-mento che ha valore solo per la persona in cui è, e ren-derlo fruttifero nel mondo della umana attività medianteuna dimostrazione valida per tutti, si può dire che giovòal Varisco quella riduzione dell'hegelismo ad attualismocompiuta dal Gentile. Di fronte a questo il Varisco di-fende strenuamente la concretezza reale delle personecosiddette empiriche, e mostra poi che, se la coscienza,

333

no il mondo ideale di Scienza ed opinioni, ma tutte rifu-se in base a questa essenza dell'indagine filosofica, chenon avrebbe ragion di essere se non fosse ricerca di Dio,servono tutte, nelle parti che in questo approfondimentorimangono vere, servono tutte alla dimostrazione delsommo problema, Dio.

E al punto in cui l'indagine filosofica è nel suo svilup-po storico, dimostra il Varisco, una cosa è certa, che,cioè, a Dio si arriva; ed è quindi non soltanto escluso loscetticismo, ma escluso anche quel salvaguardare Dionel sentimento, insoddisfatti dall'indagine anche filoso-fica. Ma, al punto in cui si è, a Dio si arriva senza vede-re ancora a fondo nella essenza: Dio ci risulta, ma nonsappiamo ancora se è solo l'Essere spirituale principioimmanente di ogni accadere, o se è, anche Lui, una per-sona, che, se è, col suo atto, nell'accadere, rimane anche,come Persona, di là da questo. La filosofia ci mena aDio che non sappiamo ancora, se solo celebrare hegelia-namente nel Panteismo, o, cattolicamente, adorare an-che nel Teismo. Al sentimento rimane ancora un tesoroda conservare e difendere: la personalità di Dio.

A liberare questo tesoro dal chiuso scrigno del senti-mento che ha valore solo per la persona in cui è, e ren-derlo fruttifero nel mondo della umana attività medianteuna dimostrazione valida per tutti, si può dire che giovòal Varisco quella riduzione dell'hegelismo ad attualismocompiuta dal Gentile. Di fronte a questo il Varisco di-fende strenuamente la concretezza reale delle personecosiddette empiriche, e mostra poi che, se la coscienza,

333

Page 334: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

che è pur costitutiva dalla realtà, si esaurisse nella con-cretezza di quelle, diverrebbe contradditoria per la sub-coscienza che in esse è innegabile. Questa contraddizio-ne si elimina e si spiega quindi la possibilità dell'errorenei soggetti particolari, se si ammette un Soggetto uni-versale unico, che, mentre è il principio essenziale ditali soggetti particolari, ha pure una personalità sua pro-pria, con la quale li trascende nella loro singolarità e nelloro insieme, è il Dio personale della tradizione cristia-na. È il risultato cui il Varisco è giunto con gli ultimisuoi lavori, dei quali i più notevoli al riguardo sonoUnità e molteplicità (1920) e Linee di filosofia critica(1925).

Così il Varisco ha indiscutibile il merito di aver postonettamente, su terreno critico, il problema di Dio comedistinto, per quanto strettamente connesso, da quellodella concretezza stessa.

Ma riusciamo veramente così, con tale affermazionedella personalità unica ed assoluta di Dio, distinto, pro-prio come persona, come soggetto, dai soggetti partico-lari in cui anche si attua, riusciamo veramente a risolve-re il problema di Dio, non rinunciando affatto alle con-quiste speculative della Critica, anzi riempiendo le lacu-ne di questa e istituendo una critica integrale della cono-scenza?

Io credo che per rispondere a questa domanda biso-gna istituire la critica del concetto stesso di persona, evedere se per caso nella affermazione che noi crediamo

334

che è pur costitutiva dalla realtà, si esaurisse nella con-cretezza di quelle, diverrebbe contradditoria per la sub-coscienza che in esse è innegabile. Questa contraddizio-ne si elimina e si spiega quindi la possibilità dell'errorenei soggetti particolari, se si ammette un Soggetto uni-versale unico, che, mentre è il principio essenziale ditali soggetti particolari, ha pure una personalità sua pro-pria, con la quale li trascende nella loro singolarità e nelloro insieme, è il Dio personale della tradizione cristia-na. È il risultato cui il Varisco è giunto con gli ultimisuoi lavori, dei quali i più notevoli al riguardo sonoUnità e molteplicità (1920) e Linee di filosofia critica(1925).

Così il Varisco ha indiscutibile il merito di aver postonettamente, su terreno critico, il problema di Dio comedistinto, per quanto strettamente connesso, da quellodella concretezza stessa.

Ma riusciamo veramente così, con tale affermazionedella personalità unica ed assoluta di Dio, distinto, pro-prio come persona, come soggetto, dai soggetti partico-lari in cui anche si attua, riusciamo veramente a risolve-re il problema di Dio, non rinunciando affatto alle con-quiste speculative della Critica, anzi riempiendo le lacu-ne di questa e istituendo una critica integrale della cono-scenza?

Io credo che per rispondere a questa domanda biso-gna istituire la critica del concetto stesso di persona, evedere se per caso nella affermazione che noi crediamo

334

Page 335: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

di fare della personalità in Dio, non rinneghiamo, pro-prio con questa affermazione, Dio stesso nel suo caratte-re fondamentale di Unico assoluto. Se le persone sonoconcrete nella loro singolarità, nella quale diventano dinecessità correlative, in questa correlatività verrebbeineluttabilmente a porsi anche Dio se fosse persona. E inquesta correlatività perderebbe di necessità l'assolutez-za.

È vero: l'idealismo post-kantiano in tutte le sue formedi progressivo sviluppo non dà ragione della singolaritàdei soggetti e quindi della subcoscienza (o coscienzaimplicita) essenziale a questi e della conseguente possi-bilità di errori. Tutte queste deficienze dell'idealismopost-kantiano risalgono tutte e si compendiano anchenella identificazione della concretezza con l'Assoluto,identificazione che Gentile ha il merito di aver vistochiaramente come logica intima del processo storicoidealistico, e di aver messo, con chiarezza di idee e calo-re di fede, in evidenza. Fede nel Dio vivente nella inti-mità della coscienza illuminata e sostenuta dalla ragio-ne, alla quale la mente non può e non deve rinunziare;fede, che accomuna il Varisco a Gentile e che spiegaquel saldo nesso di affettuosa amicizia, che, sin dal pri-mo scontrarsi dei due pensatori nel campo speculativo,si strinse e si saldò sempre più anche nella contesa circala soluzione del problema che sta a cuore ad entrambi.

Ma quella identificazione è, a mio avviso, suscettibiledi revisione, senza che per questo si rinunzi a quellache, almeno fino ad ora, è la conquista fondamentale di

335

di fare della personalità in Dio, non rinneghiamo, pro-prio con questa affermazione, Dio stesso nel suo caratte-re fondamentale di Unico assoluto. Se le persone sonoconcrete nella loro singolarità, nella quale diventano dinecessità correlative, in questa correlatività verrebbeineluttabilmente a porsi anche Dio se fosse persona. E inquesta correlatività perderebbe di necessità l'assolutez-za.

È vero: l'idealismo post-kantiano in tutte le sue formedi progressivo sviluppo non dà ragione della singolaritàdei soggetti e quindi della subcoscienza (o coscienzaimplicita) essenziale a questi e della conseguente possi-bilità di errori. Tutte queste deficienze dell'idealismopost-kantiano risalgono tutte e si compendiano anchenella identificazione della concretezza con l'Assoluto,identificazione che Gentile ha il merito di aver vistochiaramente come logica intima del processo storicoidealistico, e di aver messo, con chiarezza di idee e calo-re di fede, in evidenza. Fede nel Dio vivente nella inti-mità della coscienza illuminata e sostenuta dalla ragio-ne, alla quale la mente non può e non deve rinunziare;fede, che accomuna il Varisco a Gentile e che spiegaquel saldo nesso di affettuosa amicizia, che, sin dal pri-mo scontrarsi dei due pensatori nel campo speculativo,si strinse e si saldò sempre più anche nella contesa circala soluzione del problema che sta a cuore ad entrambi.

Ma quella identificazione è, a mio avviso, suscettibiledi revisione, senza che per questo si rinunzi a quellache, almeno fino ad ora, è la conquista fondamentale di

335

Page 336: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tutto il pensiero moderno: l'immanenza di Dio come as-soluta Unicità spirituale nella concreta attività reale. Èsuscettibile di revisione proprio quando poniamo mente,istituendone la critica, a quel che significa concretezza enotiamo che l'Assoluto come tale, contrariamente a quelche si è creduto di derivare da Kant, non può significare,totalità del relativo (del cosiddetto condizionato). Que-sta concezione è un residuo realistico, pel quale ancorauna volta in questo sforzo per assurgere all'Assoluto dalconcreto in cui è, la mente dimentica l'Assoluto che è inlei stessa. Quando a questo si ponga mente, si potrà di-stinguere l'Assoluto immanente dal concreto in cui essoè immanente, senza che per questo nè tutto il concretostesso possa dirsi assoluto, nè possa esserci Assolutofuori del concreto in cui è immanente. E questo Spiritoassoluto immanente allora non ci si potrà presentare piùcome persona; giacchè o diverrebbe, come ciascuna per-sona in concreto è, parte infinitamente correlativa delconcreto, e quindi certo non Dio, o l'Unica possibilepersona, per ammetter la quale – non ci pare che ci siavia di mezzo – o dovremo in sostanza, insieme con lepiù coerenti concezioni trascendentiste, negaresenz'altro la nostra personalità, o dovremo ricadere inquella identificazione di concreto ed assoluto, che, ab-biam visto, è merito del Varisco avere, almeno implici-tamente, confutata.

Non potremo, dunque, dire Dio soggetto assoluto, maAssoluto, e perciò Oggetto puro. Di tale affermazione siscandalizzerà solo chi è rimasto alla concezione

336

tutto il pensiero moderno: l'immanenza di Dio come as-soluta Unicità spirituale nella concreta attività reale. Èsuscettibile di revisione proprio quando poniamo mente,istituendone la critica, a quel che significa concretezza enotiamo che l'Assoluto come tale, contrariamente a quelche si è creduto di derivare da Kant, non può significare,totalità del relativo (del cosiddetto condizionato). Que-sta concezione è un residuo realistico, pel quale ancorauna volta in questo sforzo per assurgere all'Assoluto dalconcreto in cui è, la mente dimentica l'Assoluto che è inlei stessa. Quando a questo si ponga mente, si potrà di-stinguere l'Assoluto immanente dal concreto in cui essoè immanente, senza che per questo nè tutto il concretostesso possa dirsi assoluto, nè possa esserci Assolutofuori del concreto in cui è immanente. E questo Spiritoassoluto immanente allora non ci si potrà presentare piùcome persona; giacchè o diverrebbe, come ciascuna per-sona in concreto è, parte infinitamente correlativa delconcreto, e quindi certo non Dio, o l'Unica possibilepersona, per ammetter la quale – non ci pare che ci siavia di mezzo – o dovremo in sostanza, insieme con lepiù coerenti concezioni trascendentiste, negaresenz'altro la nostra personalità, o dovremo ricadere inquella identificazione di concreto ed assoluto, che, ab-biam visto, è merito del Varisco avere, almeno implici-tamente, confutata.

Non potremo, dunque, dire Dio soggetto assoluto, maAssoluto, e perciò Oggetto puro. Di tale affermazione siscandalizzerà solo chi è rimasto alla concezione

336

Page 337: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

dell'oggetto come natura materiale, e non sa assurgerealla vera concezione critica dell'Oggettività: Unicità as-soluta della coscienza.

337

dell'oggetto come natura materiale, e non sa assurgerealla vera concezione critica dell'Oggettività: Unicità as-soluta della coscienza.

337

Page 338: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

INDICE-SOMMARIO

CAPITOLO I.È POSSIBILE UNA METAFISICA CRITICA?

1. La metafisicaLa metafisica come filosofia prima. – Universalità

dell'essere, unicità del sapere, e loro nesso. – Ineliminabilitàdella metafisica.

2. Il problemaGenesi del problema critico. – Mancata soluzione di esso

da parte di Kant. – Contraddizione in cui egli è.

3. Superamento storico della contraddizione: la filo-sofia trascendentale

Il criticismo come idealismo trascendentale. – Contrad-dittorio elevarsi della Critica a scienza assoluta.

4. L'equivoco della filosofia trascendentaleIl processo dell'idealismo trascendentale come sostitu-

zione del problema interno al problema oggettivo della filo-sofia.

338

INDICE-SOMMARIO

CAPITOLO I.È POSSIBILE UNA METAFISICA CRITICA?

1. La metafisicaLa metafisica come filosofia prima. – Universalità

dell'essere, unicità del sapere, e loro nesso. – Ineliminabilitàdella metafisica.

2. Il problemaGenesi del problema critico. – Mancata soluzione di esso

da parte di Kant. – Contraddizione in cui egli è.

3. Superamento storico della contraddizione: la filo-sofia trascendentale

Il criticismo come idealismo trascendentale. – Contrad-dittorio elevarsi della Critica a scienza assoluta.

4. L'equivoco della filosofia trascendentaleIl processo dell'idealismo trascendentale come sostitu-

zione del problema interno al problema oggettivo della filo-sofia.

338

Page 339: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

5. Possibilità della metafisica criticaSe il dialettismo contraddittorio sia l'unica soluzione

possibile della contraddizione kantiana. – La noumenicitàdell'essere in sè come risultato della Critica. – Conseguenteinesistenza della incompatibilità tra Critica e metafisica. –La logica trascendentale come insolubilità del problema cri-tico. – La contraddittorietà del realismo nella logica tra-scendentale.

6. Il nuovo concetto di metafisicaLa duplice astrazione della scienza. – La inconoscibilità

dell'essere in sè kantiano come irriducibilità a scienza. – Lametafisica critica come attività teorica della trascendenza.

7. Il nuovo concetto di CriticaAmpliamento della critica della conoscenza a critica del-

la coscienza. – Limitazione della Critica e problema internodella filosofia. – La Critica implicita nel concreto.

8. La filosofia come sforzoLa duplice trascendenza della filosofia e della religione.

– Limitazione della filosofia a puro sforzo nella autonomiadel concreto. – Infinità della filosofia in questo sforzo.

CAPITOLO II.LA POSITIVITA DELL'OGGETTO

9. L'impostazione della Critica ed il problemadell'oggetto

339

5. Possibilità della metafisica criticaSe il dialettismo contraddittorio sia l'unica soluzione

possibile della contraddizione kantiana. – La noumenicitàdell'essere in sè come risultato della Critica. – Conseguenteinesistenza della incompatibilità tra Critica e metafisica. –La logica trascendentale come insolubilità del problema cri-tico. – La contraddittorietà del realismo nella logica tra-scendentale.

6. Il nuovo concetto di metafisicaLa duplice astrazione della scienza. – La inconoscibilità

dell'essere in sè kantiano come irriducibilità a scienza. – Lametafisica critica come attività teorica della trascendenza.

7. Il nuovo concetto di CriticaAmpliamento della critica della conoscenza a critica del-

la coscienza. – Limitazione della Critica e problema internodella filosofia. – La Critica implicita nel concreto.

8. La filosofia come sforzoLa duplice trascendenza della filosofia e della religione.

– Limitazione della filosofia a puro sforzo nella autonomiadel concreto. – Infinità della filosofia in questo sforzo.

CAPITOLO II.LA POSITIVITA DELL'OGGETTO

9. L'impostazione della Critica ed il problemadell'oggetto

339

Page 340: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

La riduzione dell'oggetto a negazione è negazione, nonsoddisfazione dell'esigenza dell'oggettività. – Il concetto dioggetto come «altro» fondamento di questa negazione. –Impossibilità della Critica.

10. L'alterità non è estraneitàLa moltiplicazione e non l'estraneità come esigenza della

alterità.

11. L'oggetto (essere presente nella coscienza) non èalterità

L'oggettività pura esclude la moltiplicazione e quindil'alterità. – L'oggettività come essere presente nella coscien-za. – Realismo della concezione dell'oggetto come alterità.– Positività critica dell'oggetto.

12. Il processo di negazione dell'oggettività formaleObbiezione: autonoma riduzione dell'oggettività formale

kantiana a negazione. – Si nega tale autonomia. – Genesidel formalismo oggettivo di Kant. – La triplicitàdell'Obiekt. – Senso ed oggettività. – Nesso essenziale tral'oggettività delle categorie e l'oggettività della cosa in sè, equindi tra la negazione dell'una e la negazione dell'altra.

13. Il processo di negazione visto nella deduzionedell'oggettività

Valore e deduzione dell'oggettività in Kant. – Duplicità(metafisica e logica) dell'uno e dell'altra. – Scambio post-kantiano del valore logico con quello metafisico e della de-duzione metafisica con quella logica. – Conseguente nega-zione sia del valore che della deduzione della oggettività.

340

La riduzione dell'oggetto a negazione è negazione, nonsoddisfazione dell'esigenza dell'oggettività. – Il concetto dioggetto come «altro» fondamento di questa negazione. –Impossibilità della Critica.

10. L'alterità non è estraneitàLa moltiplicazione e non l'estraneità come esigenza della

alterità.

11. L'oggetto (essere presente nella coscienza) non èalterità

L'oggettività pura esclude la moltiplicazione e quindil'alterità. – L'oggettività come essere presente nella coscien-za. – Realismo della concezione dell'oggetto come alterità.– Positività critica dell'oggetto.

12. Il processo di negazione dell'oggettività formaleObbiezione: autonoma riduzione dell'oggettività formale

kantiana a negazione. – Si nega tale autonomia. – Genesidel formalismo oggettivo di Kant. – La triplicitàdell'Obiekt. – Senso ed oggettività. – Nesso essenziale tral'oggettività delle categorie e l'oggettività della cosa in sè, equindi tra la negazione dell'una e la negazione dell'altra.

13. Il processo di negazione visto nella deduzionedell'oggettività

Valore e deduzione dell'oggettività in Kant. – Duplicità(metafisica e logica) dell'uno e dell'altra. – Scambio post-kantiano del valore logico con quello metafisico e della de-duzione metafisica con quella logica. – Conseguente nega-zione sia del valore che della deduzione della oggettività.

340

Page 341: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

14. La scoperta kantiana dell'Universale come Esse-re oggettivo in sè

Il sorite del soggettivismo post-kantiano. – L'oggettopuro prodotto e quindi pura negazione. – La vera scopertakantiana dell'Universale in sè e non soltanto formale. –Confutazione della posizione berkeleyana. – L'ontologismodi Cartesio, e inveramento di esso con la concezione kantia-na del noumeno. – Accordo tra filosofia e coscienza comu-ne nella concezione dell'oggetto come essere presente nellacoscienza.

CAPITOLO III.L'ALTERITÀ COME SOGGETTIVITÀ

15. L'alterità dell'oggetto come genesi del realismoConfusione della coscienza con la reciprocità. – Conse-

guente realismo. – Negazione del realismo diversa dalla ne-gazione dell'oggetto. – Eliminazione dell'alterità dall'ogget-to puro. – L'alterità come positiva.

16. Critica della riduzione dell'alterità alla oggettivi-tà empirica kantiana

Bagaglio realistico del concetto idealistico di oggettivitàempirica. – Insolubilità del problema della percezione conla dottrina idealistica dello spirito creatore di imagini. –Esigenza della molteplicità nella coscienza.

17. Critica della riduzione dell'alterità alla soggetti-vità empirica

L'equivoco della distinzione tra soggetti ed oggetti empi-rici nell'idealismo post-kantiano. – Riduzione della sogget-

341

14. La scoperta kantiana dell'Universale come Esse-re oggettivo in sè

Il sorite del soggettivismo post-kantiano. – L'oggettopuro prodotto e quindi pura negazione. – La vera scopertakantiana dell'Universale in sè e non soltanto formale. –Confutazione della posizione berkeleyana. – L'ontologismodi Cartesio, e inveramento di esso con la concezione kantia-na del noumeno. – Accordo tra filosofia e coscienza comu-ne nella concezione dell'oggetto come essere presente nellacoscienza.

CAPITOLO III.L'ALTERITÀ COME SOGGETTIVITÀ

15. L'alterità dell'oggetto come genesi del realismoConfusione della coscienza con la reciprocità. – Conse-

guente realismo. – Negazione del realismo diversa dalla ne-gazione dell'oggetto. – Eliminazione dell'alterità dall'ogget-to puro. – L'alterità come positiva.

16. Critica della riduzione dell'alterità alla oggettivi-tà empirica kantiana

Bagaglio realistico del concetto idealistico di oggettivitàempirica. – Insolubilità del problema della percezione conla dottrina idealistica dello spirito creatore di imagini. –Esigenza della molteplicità nella coscienza.

17. Critica della riduzione dell'alterità alla soggetti-vità empirica

L'equivoco della distinzione tra soggetti ed oggetti empi-rici nell'idealismo post-kantiano. – Riduzione della sogget-

341

Page 342: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

tività empirica a negazione di coscienza. – Il diritto d'asilodel soggetto empirico. – Necessità di riesame di questo.

18. L'alterità come soggettivitàL'egoità come moltiplicazione di coscienza. – La co-

scienza importa oggettività ed egoità. – Alterità pura e reci-procità. – Smarrirsi dell'alterità nell'idealismo post-kantia-no. – La sgrammaticatura dei più io. – La sgrammaticaturametafisica del singolare come Unico.

19. L'io individuale e la filosofia di FichteLa singolarità individuale dei soggetti in Kant. – Obbie-

zione alla dottrina fichtiana dell'Io, e sua importanza.

20. Mancato problema della unicità o molteplicitàdell'Io

L'Io fichtiano come l'Io etico kantiano. – Fichte non vedeil problema implicito (molteplicità o unicità) nell'io etico diKant. – Ineliminabilità di tal problema.

21. Falsa riduzione del Problema della individualitàa problema morale

Incapacità di trascendere la propria persona. – Incapacitàfilosofica o incapacità morale? – Il nocciolo vero della ob-biezione.

22. Deduzione dell'Io individuale (e non del tu) dallaegoità originaria

Posizione tetica dell'egoità e dell'id. – Loro assoluta reci-proca esclusione. – Genesi dell'io individuale dalla egoità. –

342

tività empirica a negazione di coscienza. – Il diritto d'asilodel soggetto empirico. – Necessità di riesame di questo.

18. L'alterità come soggettivitàL'egoità come moltiplicazione di coscienza. – La co-

scienza importa oggettività ed egoità. – Alterità pura e reci-procità. – Smarrirsi dell'alterità nell'idealismo post-kantia-no. – La sgrammaticatura dei più io. – La sgrammaticaturametafisica del singolare come Unico.

19. L'io individuale e la filosofia di FichteLa singolarità individuale dei soggetti in Kant. – Obbie-

zione alla dottrina fichtiana dell'Io, e sua importanza.

20. Mancato problema della unicità o molteplicitàdell'Io

L'Io fichtiano come l'Io etico kantiano. – Fichte non vedeil problema implicito (molteplicità o unicità) nell'io etico diKant. – Ineliminabilità di tal problema.

21. Falsa riduzione del Problema della individualitàa problema morale

Incapacità di trascendere la propria persona. – Incapacitàfilosofica o incapacità morale? – Il nocciolo vero della ob-biezione.

22. Deduzione dell'Io individuale (e non del tu) dallaegoità originaria

Posizione tetica dell'egoità e dell'id. – Loro assoluta reci-proca esclusione. – Genesi dell'io individuale dalla egoità. –

342

Page 343: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il tu come falso id e mendace ego. – L'io individuale comeprodotto sintetico dalla egoità. – Realismo di Fichte. – Lededuzioni di Fichte e l'equivoco dell'idealismo: l'Io assolutonell'io singolare.

23. Critica dell'Io individuale di FichteL'io sintetico individuale di Fichte come il «caro io» di

Kant e suo svanire nella empiricità. – L'io sintetico comepersonificazione dell'egoità e conseguente ammissione deitu in questa personificazione. – O annullamento dell'io sin-tetico o moltiplicazione dell'egoità. – Ambiguità della dot-trina kantiana e fichtiana dell'io.

24. L'alterità nella egoità puraLa mancata visione del problema dell'egoità come errore

fondamentale di Fichte. – L'egoità tetica fichtiana come nonindividuale. – L'io singolare come condizione trascendenta-le della coscienza.

25. L'alterità riconosciuta nella egoità anche conl'uso linguistico

L'io è contrapposizione al pensato o agli altri pensanti? –L'oggettività caratteristica della coscienza e non dell'io. – Ilproblema dell'io nella coscienza. – L'egoità come reciproci-tà tra pensanti riconosciuta anche nell'uso linguistico.

26. ConclusioneL'io geniale del filosofo come un tu. – Perpetuarsi

dell'equivoco fichtiano dell'io individuale come Io assoluto.– L'oggetto puro nella coscienza.

343

Il tu come falso id e mendace ego. – L'io individuale comeprodotto sintetico dalla egoità. – Realismo di Fichte. – Lededuzioni di Fichte e l'equivoco dell'idealismo: l'Io assolutonell'io singolare.

23. Critica dell'Io individuale di FichteL'io sintetico individuale di Fichte come il «caro io» di

Kant e suo svanire nella empiricità. – L'io sintetico comepersonificazione dell'egoità e conseguente ammissione deitu in questa personificazione. – O annullamento dell'io sin-tetico o moltiplicazione dell'egoità. – Ambiguità della dot-trina kantiana e fichtiana dell'io.

24. L'alterità nella egoità puraLa mancata visione del problema dell'egoità come errore

fondamentale di Fichte. – L'egoità tetica fichtiana come nonindividuale. – L'io singolare come condizione trascendenta-le della coscienza.

25. L'alterità riconosciuta nella egoità anche conl'uso linguistico

L'io è contrapposizione al pensato o agli altri pensanti? –L'oggettività caratteristica della coscienza e non dell'io. – Ilproblema dell'io nella coscienza. – L'egoità come reciproci-tà tra pensanti riconosciuta anche nell'uso linguistico.

26. ConclusioneL'io geniale del filosofo come un tu. – Perpetuarsi

dell'equivoco fichtiano dell'io individuale come Io assoluto.– L'oggetto puro nella coscienza.

343

Page 344: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

CAPITOLO IV.LA COSA IN SÈ

27. La pretesa erroneità connaturale alla coscienzacomune

Risultato dei primi tre capitoli. – La cosa in sè fuori dinoi come naturale pregiudizio comune. – Critica di questogiudizio di Schelling. – Sua origine dalla dialettica naturalee necessaria di Kant.

28. Il concetto comune di cosa come quid unificanteAssenza della cosa in sè come tale dalla coscienza comu-

ne. – La cosalità come essere con unificazione, sia nel casodella molteplicità che in quello dell'unità della cosa. – Talecosalità non esige nella cosa il carattere di «fuori di noi».

29. Cosa ed elemento: il concetto scientifico di cosaLa protesta dello scienziato: anche la coscienza scientifi-

ca pretende essere la vera di fronte a quella comune. – Cri-tica di questa pretesa: la cosalità comune presupposta anchedalla scienze. – La cosa reale di fronte all'elemento ed allalegge della scienza. – Permanenza del concetto comune dicosa, ed apparire di una prima distinzione della cosa in sèdalla cosa apparente.

30. Cosa e concetto: il concetto filosofico di cosaLa distinzione filosofica tra cosa esistente ed oggetto co-

nosciuto: l'affermazione della cosa in sè come assoluto«più» del concetto. – Duplicità dell'oggetto. – Comparsa del«fuori di noi» come carattere della cosa in sè. – Individua-zione fatta da Kant di questo carattere della cosa in sè,

344

CAPITOLO IV.LA COSA IN SÈ

27. La pretesa erroneità connaturale alla coscienzacomune

Risultato dei primi tre capitoli. – La cosa in sè fuori dinoi come naturale pregiudizio comune. – Critica di questogiudizio di Schelling. – Sua origine dalla dialettica naturalee necessaria di Kant.

28. Il concetto comune di cosa come quid unificanteAssenza della cosa in sè come tale dalla coscienza comu-

ne. – La cosalità come essere con unificazione, sia nel casodella molteplicità che in quello dell'unità della cosa. – Talecosalità non esige nella cosa il carattere di «fuori di noi».

29. Cosa ed elemento: il concetto scientifico di cosaLa protesta dello scienziato: anche la coscienza scientifi-

ca pretende essere la vera di fronte a quella comune. – Cri-tica di questa pretesa: la cosalità comune presupposta anchedalla scienze. – La cosa reale di fronte all'elemento ed allalegge della scienza. – Permanenza del concetto comune dicosa, ed apparire di una prima distinzione della cosa in sèdalla cosa apparente.

30. Cosa e concetto: il concetto filosofico di cosaLa distinzione filosofica tra cosa esistente ed oggetto co-

nosciuto: l'affermazione della cosa in sè come assoluto«più» del concetto. – Duplicità dell'oggetto. – Comparsa del«fuori di noi» come carattere della cosa in sè. – Individua-zione fatta da Kant di questo carattere della cosa in sè,

344

Page 345: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

come conclusione del processo speculativo della duplicitàdell'oggetto.

31. Contraddittorietà di tal concetto filosofico dicosa in sè

Contraddittorietà della cosa in sè in quanto risultantedalla coscienza. – Kant la riconosce in parte, ma non si sal-va da essa. – La contraddizione indispensabile per Fichte. –Annullamento dialettico della cosa in sè con la scomparsadel «più» esistenziale. – Inattaccabilità della posizionedell'idealismo dialettico da parte del realismo: contraddizio-ne o non contraddizione?

32. La concezione negativa o contraddittoria dellacosa in sè, conseguenza della predetta concezione filo-sofica (realismo) della cosa in sè

L'essere come non essere. – Protesta della coscienza co-mune e rifugio nel realismo. – Coscienza comune, coscien-za volgare e filosofia. – L'idealismo dialettico come dedu-zione del realismo e non confutazione di questo. – L'essererealistico conservato come oggetto dell'idealismo.

33. La cosa in sè come Oggetto puroLe due vie possibili: 1° abbandono della cosa in sè col

conseguente scetticismo filosofico. – 2° la contraddittorietàcome legge fondamentale della coscienza. – Impossibilitàdi seguire l'una o l'altra. – Necessità di una interpretazioneidealistica della distinzione filosofica. – Esplicito abbando-no del presupposto realistico. – La cosa in sè come assolu-tezza dell'universale. – Confusione kantiana tra il noumeni-co Assoluto e il causante sentito. – L'inconoscibilità kantia-

345

come conclusione del processo speculativo della duplicitàdell'oggetto.

31. Contraddittorietà di tal concetto filosofico dicosa in sè

Contraddittorietà della cosa in sè in quanto risultantedalla coscienza. – Kant la riconosce in parte, ma non si sal-va da essa. – La contraddizione indispensabile per Fichte. –Annullamento dialettico della cosa in sè con la scomparsadel «più» esistenziale. – Inattaccabilità della posizionedell'idealismo dialettico da parte del realismo: contraddizio-ne o non contraddizione?

32. La concezione negativa o contraddittoria dellacosa in sè, conseguenza della predetta concezione filo-sofica (realismo) della cosa in sè

L'essere come non essere. – Protesta della coscienza co-mune e rifugio nel realismo. – Coscienza comune, coscien-za volgare e filosofia. – L'idealismo dialettico come dedu-zione del realismo e non confutazione di questo. – L'essererealistico conservato come oggetto dell'idealismo.

33. La cosa in sè come Oggetto puroLe due vie possibili: 1° abbandono della cosa in sè col

conseguente scetticismo filosofico. – 2° la contraddittorietàcome legge fondamentale della coscienza. – Impossibilitàdi seguire l'una o l'altra. – Necessità di una interpretazioneidealistica della distinzione filosofica. – Esplicito abbando-no del presupposto realistico. – La cosa in sè come assolu-tezza dell'universale. – Confusione kantiana tra il noumeni-co Assoluto e il causante sentito. – L'inconoscibilità kantia-

345

Page 346: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

na come intraducibilità dell'Oggetto puro in termini di og-gettività impura. – La cosa in sè come l'universale Oggettopuro di coscienza. – L'abisso di inadeguazione prekantiano.– La distinzione filosofica come distinzione tra Oggettopuro ed oggetto empirico. – Ritorno alla coscienza comune:il quid unificante come cosa in sè; l'essere nel conoscere. –Immanenza. – Accordo tra coscienza comune e filosofia.

34. Il pregiudizio dogmatico ed antidogmaticoIl pregiudizio del dogmatismo dualistico: la distinzione

tra l'io e la cosa. – Intimità della cosa all'io. – La pretesa op-posizione come il fondamentale dilemma della metafisicapura. – L'esigenza della coscienza e la sua trasformazionein pregiudizio. – La concretezze kantiana come abolizionedella opposizione cosa-persona. – L'idealismo trascendenta-le come pregiudizio antidogmatico. – Dogmatismo assolutoe criticismo assoluto come annullanti la filosofa. – La con-creta coscienza come punto di partenza. – Il concretismoidealistico: fusione di Fichte e Spinoza.

35. Il pregiudizio del relativismoL'obbiezione relativistica con le sue due ipotesi. – Con-

futazione dell'assoluto pluralismo. – Confutazione del rela-tivismo: si esclude l'opposizione tra assoluto e relativo. –Conclusione: l'allontanamento dei pregiudizi ci fa scoprirela cosa in sè.

CAPITOLO V.L'ESPERIENZA

36. La soppressione idealistica della esperienza inquanto realismo

346

na come intraducibilità dell'Oggetto puro in termini di og-gettività impura. – La cosa in sè come l'universale Oggettopuro di coscienza. – L'abisso di inadeguazione prekantiano.– La distinzione filosofica come distinzione tra Oggettopuro ed oggetto empirico. – Ritorno alla coscienza comune:il quid unificante come cosa in sè; l'essere nel conoscere. –Immanenza. – Accordo tra coscienza comune e filosofia.

34. Il pregiudizio dogmatico ed antidogmaticoIl pregiudizio del dogmatismo dualistico: la distinzione

tra l'io e la cosa. – Intimità della cosa all'io. – La pretesa op-posizione come il fondamentale dilemma della metafisicapura. – L'esigenza della coscienza e la sua trasformazionein pregiudizio. – La concretezze kantiana come abolizionedella opposizione cosa-persona. – L'idealismo trascendenta-le come pregiudizio antidogmatico. – Dogmatismo assolutoe criticismo assoluto come annullanti la filosofa. – La con-creta coscienza come punto di partenza. – Il concretismoidealistico: fusione di Fichte e Spinoza.

35. Il pregiudizio del relativismoL'obbiezione relativistica con le sue due ipotesi. – Con-

futazione dell'assoluto pluralismo. – Confutazione del rela-tivismo: si esclude l'opposizione tra assoluto e relativo. –Conclusione: l'allontanamento dei pregiudizi ci fa scoprirela cosa in sè.

CAPITOLO V.L'ESPERIENZA

36. La soppressione idealistica della esperienza inquanto realismo

346

Page 347: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Risultato del capitolo precedente. – L'obbiezione reali-stica: inesplicabile l'esperienza. – Nè platonismo, nè identi-ficazione del realismo con l'esperienza. – Mancato proble-ma dell'esperienza e presupposto della esperienza come rea-listica in Kant. – Annullamento del realismo e dell'esperien-za insieme da parte dell'idealismo.

37. Opposti concetti di conoscenza nati da Kant epresentati come esperienza pura; mancata critica delconcetto di esperienza

La distinzione kantiana di forma e contenuto e conse-guente duplice concezione della conoscenza come esperien-za. – Fondamentale errore dell'una e dell'altra. – La conce-zione idealistica. – La concezione empiristica. – Logicismoe psichicismo contrapposti. – Loro incapacità a risolvere ilproblema della esperienza, perchè ne conservano il concettorealistico. – Insufficienza dei pseudo-idealismi. – Conclu-sione: l'esigenza comune della esperienza è insoddisfatta.

38. La concezione realistica della esperienza: il sen-tire

Il rapporto mente-cosa come concetto realistico dellaesperienza. – Realismo della distinzione tra esperienzaesterna ed interna. – Il senso come mediatore. – Conseguen-te concezione della singolarità dell'esistente concreto.

39. L'esperienza realistica e l'idealismo post-kantia-no

Soluzione idealistica del problema della esperienza: laempiricità. – Conservazione dei concetti realistici di cosa edi esperienza. – Soppressione dell'aposteriorità come esi-

347

Risultato del capitolo precedente. – L'obbiezione reali-stica: inesplicabile l'esperienza. – Nè platonismo, nè identi-ficazione del realismo con l'esperienza. – Mancato proble-ma dell'esperienza e presupposto della esperienza come rea-listica in Kant. – Annullamento del realismo e dell'esperien-za insieme da parte dell'idealismo.

37. Opposti concetti di conoscenza nati da Kant epresentati come esperienza pura; mancata critica delconcetto di esperienza

La distinzione kantiana di forma e contenuto e conse-guente duplice concezione della conoscenza come esperien-za. – Fondamentale errore dell'una e dell'altra. – La conce-zione idealistica. – La concezione empiristica. – Logicismoe psichicismo contrapposti. – Loro incapacità a risolvere ilproblema della esperienza, perchè ne conservano il concettorealistico. – Insufficienza dei pseudo-idealismi. – Conclu-sione: l'esigenza comune della esperienza è insoddisfatta.

38. La concezione realistica della esperienza: il sen-tire

Il rapporto mente-cosa come concetto realistico dellaesperienza. – Realismo della distinzione tra esperienzaesterna ed interna. – Il senso come mediatore. – Conseguen-te concezione della singolarità dell'esistente concreto.

39. L'esperienza realistica e l'idealismo post-kantia-no

Soluzione idealistica del problema della esperienza: laempiricità. – Conservazione dei concetti realistici di cosa edi esperienza. – Soppressione dell'aposteriorità come esi-

347

Page 348: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

genza della coscienza. – Necessità di negare il concetto rea-listico per conservare l'esperienza.

40. L'alterità, carattere proprio della esperienzaElementi che si devono conservare nel concetto di espe-

rienza: soggetto di coscienza, rapporto, principio in altro. –Conservazione dell'altro, e non dell'oggetto. – Distinzionedell'esperienza dalla apriorità e dalla concretezza.

41. L'esperienza come reciprocitàL'assurdo della passività dello spirito come proprio della

esperienza. – Soluzione della difficoltà nel concetto di reci-procità. – La reciprocità in Fichte. – Affermazione e nega-zione di essa. – La contraddittorietà in Berkeley ed in He-gel. – La reciprocità come concetto critico.

42. La generalità della cosa reale: la naturaL'unità della esperienza come cosa reale. – La cosa reale

come coscienza di molti. – Lo sperimentante non è solo. –Conseguente abbandono del concetto critico di fenomenici-tà, e idealistico di empiricità. – Compenetrarsi delle cosereali e loro unità. – La natura.

43. Astrazione; necessità scientifica; necessitàLa comunità di coscienza degli sperimentanti e l'astra-

zione. – La comunità di esperienza non è unicità, perchèimplica il numero. – Empiricità della scienza e sua necessi-tà astratta. – Necessità spirituale e contingentismo. – Insuf-ficienza della soluzione hegeliana. – La necessità pura nellalogica pura.

348

genza della coscienza. – Necessità di negare il concetto rea-listico per conservare l'esperienza.

40. L'alterità, carattere proprio della esperienzaElementi che si devono conservare nel concetto di espe-

rienza: soggetto di coscienza, rapporto, principio in altro. –Conservazione dell'altro, e non dell'oggetto. – Distinzionedell'esperienza dalla apriorità e dalla concretezza.

41. L'esperienza come reciprocitàL'assurdo della passività dello spirito come proprio della

esperienza. – Soluzione della difficoltà nel concetto di reci-procità. – La reciprocità in Fichte. – Affermazione e nega-zione di essa. – La contraddittorietà in Berkeley ed in He-gel. – La reciprocità come concetto critico.

42. La generalità della cosa reale: la naturaL'unità della esperienza come cosa reale. – La cosa reale

come coscienza di molti. – Lo sperimentante non è solo. –Conseguente abbandono del concetto critico di fenomenici-tà, e idealistico di empiricità. – Compenetrarsi delle cosereali e loro unità. – La natura.

43. Astrazione; necessità scientifica; necessitàLa comunità di coscienza degli sperimentanti e l'astra-

zione. – La comunità di esperienza non è unicità, perchèimplica il numero. – Empiricità della scienza e sua necessi-tà astratta. – Necessità spirituale e contingentismo. – Insuf-ficienza della soluzione hegeliana. – La necessità pura nellalogica pura.

348

Page 349: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

44. Astrazione scientifica e riflessione filosoficaL'inconoscibilità kantiana delle cose in sè come irriduci-

bilità a scienza. – Uccisione della metafisica per salvarlacome scienza. – Distinzione tra riflessione ed astrazione. –La filosofia come riflessione pura esige la critica del con-creto.

45. Spiegazione di pregiudizi realisticiLa presenza della cosa reale nell'esperienza come origine

dell'errore realistico. – La cosa reale come un dato. – Lasingolarità della cosa reale. – Spiegazione di questo singo-larizzare realistico. – Il soggetto singolare non è un dato.

46. La distinzione filosofica della cosa come distin-zione tra cosa in sè e cosa reale.

Rovesciamento della distinzione realistica. – La distin-zione tra cosa in sè e cosa reale. – Permanenza di entrambenella coscienza. – Scoperta di Berkeley riguardo alla cosareale. – Scoperta di Kant riguardo alla cosa in sè. – Conse-guenza della ammissione di entrambe.

47. Esperienza e coscienza concretaInsufficienza della alterità ad esaurire la coscienza. – La

coscienza concreta non è relazione– Esperienza e specula-zione di fronte alla concretezza. – Rinnovarsi dei concettodi coscienza.

CAPITOLO VI.DIO OGGETTO DELLA FILOSOFIA

48. L'individuazione della coscienza: il concreto

349

44. Astrazione scientifica e riflessione filosoficaL'inconoscibilità kantiana delle cose in sè come irriduci-

bilità a scienza. – Uccisione della metafisica per salvarlacome scienza. – Distinzione tra riflessione ed astrazione. –La filosofia come riflessione pura esige la critica del con-creto.

45. Spiegazione di pregiudizi realisticiLa presenza della cosa reale nell'esperienza come origine

dell'errore realistico. – La cosa reale come un dato. – Lasingolarità della cosa reale. – Spiegazione di questo singo-larizzare realistico. – Il soggetto singolare non è un dato.

46. La distinzione filosofica della cosa come distin-zione tra cosa in sè e cosa reale.

Rovesciamento della distinzione realistica. – La distin-zione tra cosa in sè e cosa reale. – Permanenza di entrambenella coscienza. – Scoperta di Berkeley riguardo alla cosareale. – Scoperta di Kant riguardo alla cosa in sè. – Conse-guenza della ammissione di entrambe.

47. Esperienza e coscienza concretaInsufficienza della alterità ad esaurire la coscienza. – La

coscienza concreta non è relazione– Esperienza e specula-zione di fronte alla concretezza. – Rinnovarsi dei concettodi coscienza.

CAPITOLO VI.DIO OGGETTO DELLA FILOSOFIA

48. L'individuazione della coscienza: il concreto

349

Page 350: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Alternativa tra il dualismo realistico e l'idealismo con-traddittorio. – Positività dello spirito. – Il rapporto soggetto-soggetto esige la positività dell'oggetto. – L'individuazionedella coscienza concreta. – Il realismo non soddisfa questaesigenza. – Idealità e realtà nella coscienza.

49. Critica dello storicismo: oggettività ed aprioritàdella filosofia

Il concetto del concreto e la distinzione del problema og-gettivo della filosofia da quello interno. – L'annullamentodella filosofia conseguente alla mancata distinzione. – Criti-ca dello storicismo: psicologismo della filosofia concepitacome «spirito del tempo»; implicito suo annullamento. –Critica della coscienza come autocoscienza. – Riconquistadel problema oggettivo della filosofia; apriorità di questa.

50. Il problema di Dio nella filosofiaIl concreto come principio e l'essere in sè come oggetto

della filosofia. – L'essere in sè come Idea pura. – L'Ideacome Dio e la distinzione tra Dio ed universo. – L'Unico. –Il problema di Dio come fondamentale problema oggettivodella filosofia. – I tre modi di porte il problema di Dio. –Dogmatismo critico nel dichiarare insussistenti i problemi.– La filosofia come la problematicità di Dio.

CAPITOLO VII.L'ESISTENZA DI DIO

51. Il concetto realistico di religione e l'esistenza diDio

350

Alternativa tra il dualismo realistico e l'idealismo con-traddittorio. – Positività dello spirito. – Il rapporto soggetto-soggetto esige la positività dell'oggetto. – L'individuazionedella coscienza concreta. – Il realismo non soddisfa questaesigenza. – Idealità e realtà nella coscienza.

49. Critica dello storicismo: oggettività ed aprioritàdella filosofia

Il concetto del concreto e la distinzione del problema og-gettivo della filosofia da quello interno. – L'annullamentodella filosofia conseguente alla mancata distinzione. – Criti-ca dello storicismo: psicologismo della filosofia concepitacome «spirito del tempo»; implicito suo annullamento. –Critica della coscienza come autocoscienza. – Riconquistadel problema oggettivo della filosofia; apriorità di questa.

50. Il problema di Dio nella filosofiaIl concreto come principio e l'essere in sè come oggetto

della filosofia. – L'essere in sè come Idea pura. – L'Ideacome Dio e la distinzione tra Dio ed universo. – L'Unico. –Il problema di Dio come fondamentale problema oggettivodella filosofia. – I tre modi di porte il problema di Dio. –Dogmatismo critico nel dichiarare insussistenti i problemi.– La filosofia come la problematicità di Dio.

CAPITOLO VII.L'ESISTENZA DI DIO

51. Il concetto realistico di religione e l'esistenza diDio

350

Page 351: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

Il concetto realistico di religione e l'esistenza dell'Enteadorato. – Annullamento dell'adorante. – La religione comespeciale esperienza. – La prova sperimentale dell'esistenzadi Dio e l'opposta esperienza del miscredente. – Mancatoraggiungimento della prova.

52. Il problema della esistenza di Dio nella filosofiaRicorso della religione alla filosofia: la dimostrazione ra-

zionale della esistenza di Dio. – Insufficienza della provaaposteriori. – Insufficienza della dimostrazione apriori (ar-gomento antologico).

53. Esistenza di Dio e misticismoSoluzione mistica del problema e sua inadeguatezza. –

Permanenza ed insolubilità del problema.

CAPITOLO VIII.LA RELIGIONE

54. Credenza ed esistenzaInsopprimibilità del problema di Dio: mancata visione

della esigenza oggettiva come fonte del problema. – Conse-guenti due presupposti (religiosità ed esistenza) della impo-stazione tradizionale connessi al concetto realistico di reli-gione. – Critica del concetto di religione: La religione comefede. – Aspetto negativo della fede come rinunzia alla ra-zionalità. – La stessa rinunzia nella esperienza. – L'esisten-za come l'aspetto positivo di tale rinunzia nella esperienza.– Il problema della esistenza fatto nascere da Berkeley esua soluzione con la credenza di Hume. – Indimostrabilitàed immediatezza della esistenza. – La credenza come docu-

351

Il concetto realistico di religione e l'esistenza dell'Enteadorato. – Annullamento dell'adorante. – La religione comespeciale esperienza. – La prova sperimentale dell'esistenzadi Dio e l'opposta esperienza del miscredente. – Mancatoraggiungimento della prova.

52. Il problema della esistenza di Dio nella filosofiaRicorso della religione alla filosofia: la dimostrazione ra-

zionale della esistenza di Dio. – Insufficienza della provaaposteriori. – Insufficienza della dimostrazione apriori (ar-gomento antologico).

53. Esistenza di Dio e misticismoSoluzione mistica del problema e sua inadeguatezza. –

Permanenza ed insolubilità del problema.

CAPITOLO VIII.LA RELIGIONE

54. Credenza ed esistenzaInsopprimibilità del problema di Dio: mancata visione

della esigenza oggettiva come fonte del problema. – Conse-guenti due presupposti (religiosità ed esistenza) della impo-stazione tradizionale connessi al concetto realistico di reli-gione. – Critica del concetto di religione: La religione comefede. – Aspetto negativo della fede come rinunzia alla ra-zionalità. – La stessa rinunzia nella esperienza. – L'esisten-za come l'aspetto positivo di tale rinunzia nella esperienza.– Il problema della esistenza fatto nascere da Berkeley esua soluzione con la credenza di Hume. – Indimostrabilitàed immediatezza della esistenza. – La credenza come docu-

351

Page 352: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

mento giustificativo della esistenza e conseguente scettici-smo.

55. L'esistenza puraIl problema ripreso da Kant e risoluto col «più» esisten-

ziale. – Il «più» di Kant non visto dall'idealismo post-kan-tiano. – Il «più» impredicabile come il riconoscimento dellaesistenza nella stessa credenza di Hume. – Esistenza e cre-denza identificate nella pura alterità. – La pura esistenzacome fondamento della esperienza. – Esistere è credere enon soltanto esser creduto. – L'implicito affermato dalla ra-gione come esistenza. – Esplicabilità dell'implicito: l'auto-nomia della ragione come implicita fede ed esplicita dimo-strazione.

56. La religione come adorazione e l'esistenza puraLa religione come sentimento. – La fede nella esperien-

za. – La cosa reale come prova della esistenza nella espe-rienza. – Intraducibilità della fede religiosa in cosa reale. –L'esistenza pura come adorazione: contatto della religionecon la superstizione miracolistica.

CAPITOLO IX.IL PROBLEMA DI DIO

57. Il presupposto della religiositàDuplice significato possibile del presupposto dell'essen-

za religiosa del problema di Dio. Suo annullamento. – Posi-zione del problema dovuto alla filosofia. – Conseguente pu-rificarsi e approfondirsi del concetto di religione come puraadorazione. – Distinzione tra religione e filosofia. – Chiarir-

352

mento giustificativo della esistenza e conseguente scettici-smo.

55. L'esistenza puraIl problema ripreso da Kant e risoluto col «più» esisten-

ziale. – Il «più» di Kant non visto dall'idealismo post-kan-tiano. – Il «più» impredicabile come il riconoscimento dellaesistenza nella stessa credenza di Hume. – Esistenza e cre-denza identificate nella pura alterità. – La pura esistenzacome fondamento della esperienza. – Esistere è credere enon soltanto esser creduto. – L'implicito affermato dalla ra-gione come esistenza. – Esplicabilità dell'implicito: l'auto-nomia della ragione come implicita fede ed esplicita dimo-strazione.

56. La religione come adorazione e l'esistenza puraLa religione come sentimento. – La fede nella esperien-

za. – La cosa reale come prova della esistenza nella espe-rienza. – Intraducibilità della fede religiosa in cosa reale. –L'esistenza pura come adorazione: contatto della religionecon la superstizione miracolistica.

CAPITOLO IX.IL PROBLEMA DI DIO

57. Il presupposto della religiositàDuplice significato possibile del presupposto dell'essen-

za religiosa del problema di Dio. Suo annullamento. – Posi-zione del problema dovuto alla filosofia. – Conseguente pu-rificarsi e approfondirsi del concetto di religione come puraadorazione. – Distinzione tra religione e filosofia. – Chiarir-

352

Page 353: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

si dell'essenza problematica e dimostrativa della filosofia difronte alla essenza di certezza soggettiva della religione.

58. Il presupposto della esistenzaL'esistenza di Dio e il persistente intellettualismo con-

temporaneo. – La contraddizione della esistenza di Dio. –Equivoco di Gioberti e Rosmini. – Il non-senso dell'esisten-za realistica di Dio. – Assurdo dell'esistenza empirica diDio come natura o come Tutto; distinzione di Dio dal con-creto; fallacia dell'antitesi dialettica.

59. Il presupposto dell'esistenza: la soggettivitàL'esistenza di Dio come soggettività di Dio. – Impossibi-

lità di Dio come ἕτερος τῶν ἄλλων. – Impossibilitàdell'immanenza di Dio se è soggetto. – Conclusione:L'oggettività di Dio.

60. L'argomento ontologico tradizionaleL'argomento ontologico come prova della esistenza. – Il

presupposto della esistenzialità anche in Hegel. – Ragioniper cui neppure Hegel ha vista la vera deficienza dell'argo-mento tradizionale. – Difetto notato da Hegel: l'unità in sècome astratta. – Correzione hegeliana di tal difetto con laconcretezza di Dio. – Permanere della erronea forma tradi-zionale (unità di essenza ed esistenza) anche in Hegel. – Sa-pere non è soltanto rappresentare. – Il nucleo dell'argomen-to non è l'unità di essenza ed esistenza (Spinoza, Hegel). –Negazione della rappresentatività di Dio. – L'unità di essen-za ed esistenza come Dio, vero difetto dell'argomento onto-logico tradizionale.

353

si dell'essenza problematica e dimostrativa della filosofia difronte alla essenza di certezza soggettiva della religione.

58. Il presupposto della esistenzaL'esistenza di Dio e il persistente intellettualismo con-

temporaneo. – La contraddizione della esistenza di Dio. –Equivoco di Gioberti e Rosmini. – Il non-senso dell'esisten-za realistica di Dio. – Assurdo dell'esistenza empirica diDio come natura o come Tutto; distinzione di Dio dal con-creto; fallacia dell'antitesi dialettica.

59. Il presupposto dell'esistenza: la soggettivitàL'esistenza di Dio come soggettività di Dio. – Impossibi-

lità di Dio come ἕτερος τῶν ἄλλων. – Impossibilitàdell'immanenza di Dio se è soggetto. – Conclusione:L'oggettività di Dio.

60. L'argomento ontologico tradizionaleL'argomento ontologico come prova della esistenza. – Il

presupposto della esistenzialità anche in Hegel. – Ragioniper cui neppure Hegel ha vista la vera deficienza dell'argo-mento tradizionale. – Difetto notato da Hegel: l'unità in sècome astratta. – Correzione hegeliana di tal difetto con laconcretezza di Dio. – Permanere della erronea forma tradi-zionale (unità di essenza ed esistenza) anche in Hegel. – Sa-pere non è soltanto rappresentare. – Il nucleo dell'argomen-to non è l'unità di essenza ed esistenza (Spinoza, Hegel). –Negazione della rappresentatività di Dio. – L'unità di essen-za ed esistenza come Dio, vero difetto dell'argomento onto-logico tradizionale.

353

Page 354: Il problema teologico come filosofia - liberliber.it · luzione della filosofia pur nella sua esaltazione (cap. VI). L'essere la filosofia oggetto a sè stessa è certo un compito

61. L'argomento ontologico dalla metafisica criticaNon concretezza ma immanenza di Dio. – L'inseità pura

di Dio e soltanto di Dio condizioni di tale immanenza. –Dio come l'assoluta Idea. – Oggettività del pensare ed affer-mazione di Dio in ogni forma di pensare. – Obbiezione cir-ca l'esistenzialità dell'argomento ontologico. – L'ontologi-smo come valore dell'argomento. – Eliminazione della for-ma esistenziale e conseguente eliminazione della contraddi-zione in chi afferma l'argomento ontologico. – Formula po-sitiva e negativa dell'argomento ontologico. – La posizionedel problema di Dio nel problema oggettivo della filosofia.– Possibilità della metafisica critica.

APPENDICEIl problema teologico

nella filosofia italiana contemporanea

354

61. L'argomento ontologico dalla metafisica criticaNon concretezza ma immanenza di Dio. – L'inseità pura

di Dio e soltanto di Dio condizioni di tale immanenza. –Dio come l'assoluta Idea. – Oggettività del pensare ed affer-mazione di Dio in ogni forma di pensare. – Obbiezione cir-ca l'esistenzialità dell'argomento ontologico. – L'ontologi-smo come valore dell'argomento. – Eliminazione della for-ma esistenziale e conseguente eliminazione della contraddi-zione in chi afferma l'argomento ontologico. – Formula po-sitiva e negativa dell'argomento ontologico. – La posizionedel problema di Dio nel problema oggettivo della filosofia.– Possibilità della metafisica critica.

APPENDICEIl problema teologico

nella filosofia italiana contemporanea

354