Il problema dell’errore nella filosofia di B. Spinoza · Adolfo Levi Il problema dell’errore...

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nella filosofia di B. Spinoza

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il problema dell'errore nella filosofia diB. SpinozaAUTORE: Levi, Adolfo <1878-1948>TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il problema dell'errore nella filosofiadi B. Spinoza / Adolfo Levi. - Palermo : IndustrieRiunite Editoriali Siciliane, 1933. - 17 p. ; 24 cm.- (Estr. da: Sophia, anno 11, aprile-giugno 1933).

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 24 gennaio 2019

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INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI009000 FILOSOFIA / Storia e Studi / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Catia Righi, [email protected]

REVISIONE:Paolo Alberti, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Catia Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4IL PROBLEMA DELL’ERRORE NELLA FILOSOFIADI B. SPINOZA.............................................................7

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ADOLFO LEVI

IL PROBLEMA DELL’ERRORENELLA FILOSOFIA DI B. SPINOZA

ESTRATTO DALLA RIVISTA “SOPHIA”APRILE-GIUGNO 1933 – A. XI.

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IL PROBLEMA DELL’ERRORENELLA FILOSOFIA DI B. SPINOZA

ESTRATTO DALLA RIVISTA “SOPHIA”APRILE-GIUGNO 1933 – A. XI.

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IL PROBLEMA DELL’ERRORENELLA FILOSOFIA DI B. SPINOZA

Nella filosofia dello Spinoza la concezione della veri-tà e dell’errore non soltanto si collega indissolubilmentecon le intuizioni metafisiche fondamentali, ma su diesse si fonda e da esse deriva il suo significato. Infatti èvero che quella filosofia, quale è sistematicamente pre-sentata nell’Ethica, sembra presupporre una ricerca gno-seologica che, accennata in alcuni punti in tale opera, èdelineata nel frammentario De intellectus emendatione,ma in effetti la gnoseologia è implicitamente contenutanelle dottrine metafisiche che costituiscono il nucleo delsistema, sicchè, per ciò che riguarda i rapporti fra le se-conde e la prima, l’Ethica rappresenta il procedimentovero del pensiero dell’autore in modo più fedele delframmento. Ora è appunto nella determinazione dellaconcezione della verità e dell’errore che appaiono i pre-supposti metafisici della gnoseologia spinozistica1.

1 La parte stampata fra virgolette riproduce, con qualche omis-sione e con insignificanti cambiamenti, alcune pagine dell’«Intro-duzione» del mio volume Il pensiero di F. Bacone (Torino, 1925:pp. 108-112) che trattano gli stessi argomenti. Ho preferito unalunga citazione a modificazioni verbali.

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IL PROBLEMA DELL’ERRORENELLA FILOSOFIA DI B. SPINOZA

Nella filosofia dello Spinoza la concezione della veri-tà e dell’errore non soltanto si collega indissolubilmentecon le intuizioni metafisiche fondamentali, ma su diesse si fonda e da esse deriva il suo significato. Infatti èvero che quella filosofia, quale è sistematicamente pre-sentata nell’Ethica, sembra presupporre una ricerca gno-seologica che, accennata in alcuni punti in tale opera, èdelineata nel frammentario De intellectus emendatione,ma in effetti la gnoseologia è implicitamente contenutanelle dottrine metafisiche che costituiscono il nucleo delsistema, sicchè, per ciò che riguarda i rapporti fra le se-conde e la prima, l’Ethica rappresenta il procedimentovero del pensiero dell’autore in modo più fedele delframmento. Ora è appunto nella determinazione dellaconcezione della verità e dell’errore che appaiono i pre-supposti metafisici della gnoseologia spinozistica1.

1 La parte stampata fra virgolette riproduce, con qualche omis-sione e con insignificanti cambiamenti, alcune pagine dell’«Intro-duzione» del mio volume Il pensiero di F. Bacone (Torino, 1925:pp. 108-112) che trattano gli stessi argomenti. Ho preferito unalunga citazione a modificazioni verbali.

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«Per lo Spinoza l’idea vera deve corrispondere al suoideato (da cui si distingue), cioè al suo oggetto, intesocome essenza intelligibile; è, cioè, l’essenza in quanto èpensata: ma questa corrispondenza è un carattere estrin-seco della idea vera che dipende dalla sua natura intrin-seca, perchè un’idea può essere vera senza che le si pos-sa assegnare in natura alcun oggetto correlativo.L’essenza della verità non ha per causa l’oggetto, madeve dipendere soltanto dalla potenza e dalla naturadell’intelletto (De intell. emend. § 33, 69, 71). Ora i ca-ratteri intrinseci dell’idea vera sono la sua chiarezza e lasua distinzione (ivi, § 62, 64, 65, 68), che appartengonoalle nozioni semplicissime (perchè non possono cono-scersi se non completamente) e a quelle che da esse sideducono (ivi, § 64, 68, 72, 85). Sono chiare e distintesoltanto le idee che provengono dalla potenza stessadell’intelletto, non da cause esterne (ivi, § 84, 91). LoSpinoza però non vuole così prescrivere soltanto di ri-solvere analiticamente tutte le conoscenze nei loro ele-menti semplici e di ricostruire le complesse: sebbene nelDe emendatione egli non chiarisca completamente il suopensiero, è possibile, se si tien conto di altri scritti, ve-dere come e perchè egli si allontani dalla concezione oraindicata. Le idee finte e false che si riferiscono alle es-senze sono confuse e perciò l’analisi che le riduce aquelle semplici di cui risultano mette in luce che questesono incompatibili (ivi, § 63-65; 68). Ma bisogna rileva-re che questa incompatibilità non si riduce alla semplicecontraddizione. Ciò che è contraddittorio è impossibile,

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«Per lo Spinoza l’idea vera deve corrispondere al suoideato (da cui si distingue), cioè al suo oggetto, intesocome essenza intelligibile; è, cioè, l’essenza in quanto èpensata: ma questa corrispondenza è un carattere estrin-seco della idea vera che dipende dalla sua natura intrin-seca, perchè un’idea può essere vera senza che le si pos-sa assegnare in natura alcun oggetto correlativo.L’essenza della verità non ha per causa l’oggetto, madeve dipendere soltanto dalla potenza e dalla naturadell’intelletto (De intell. emend. § 33, 69, 71). Ora i ca-ratteri intrinseci dell’idea vera sono la sua chiarezza e lasua distinzione (ivi, § 62, 64, 65, 68), che appartengonoalle nozioni semplicissime (perchè non possono cono-scersi se non completamente) e a quelle che da esse sideducono (ivi, § 64, 68, 72, 85). Sono chiare e distintesoltanto le idee che provengono dalla potenza stessadell’intelletto, non da cause esterne (ivi, § 84, 91). LoSpinoza però non vuole così prescrivere soltanto di ri-solvere analiticamente tutte le conoscenze nei loro ele-menti semplici e di ricostruire le complesse: sebbene nelDe emendatione egli non chiarisca completamente il suopensiero, è possibile, se si tien conto di altri scritti, ve-dere come e perchè egli si allontani dalla concezione oraindicata. Le idee finte e false che si riferiscono alle es-senze sono confuse e perciò l’analisi che le riduce aquelle semplici di cui risultano mette in luce che questesono incompatibili (ivi, § 63-65; 68). Ma bisogna rileva-re che questa incompatibilità non si riduce alla semplicecontraddizione. Ciò che è contraddittorio è impossibile,

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quindi l’idea che contiene elementi che si negano reci-procamente non corrisponde ad alcuna essenza (De int.em. § 53 [cf. 58; 64]; cf. Eth. I, pr. 11; pr. 33, sc. 1); pro-priamente anzi la chimera, quale simbolo della contrad-dizione, non può essere, nonchè pensata, nemmeno im-maginata, è soltanto un ente verbale (Cogitata metaphy-sica I, 3, § 3-4). Ma si possono formare malamente ideecomplesse, affermando di una cosa ciò che non è conte-nuto nel suo concetto: e questo avviene perchè abbiamocognizioni mutile e quasi troncate. Così posso supporreche la sfera sia generata dalla rotazione di un semicer-chio intorno al centro: ora, l’affermazione di questo mo-vimento che sarebbe falsa per sè, se fosse presa in sensoassoluto, perchè non è contenuta nell’idea del semicer-chio, nè deriva da quella di una causa che determini ilmovimento, diventa vera quando è unita al concetto del-la sfera o di qualche causa di quel moto (De int. em. §72-73). Insomma è il tutto che fonda e giustifica la veri-tà delle parti, e integrandole, toglie la falsità derivantedalla loro incompiutezza. In altro modo, i Cogitata me-taphysica esprimono un pensiero simile quando diconoche se conoscessimo l’ordine della natura, cioè le sueleggi eterne, comprenderemmo che molte cose che con-cepiamo in modo chiaro e distinto, non possono esistere(in quanto essenze, non come esseri che hanno una du-rata), perchè troveremmo in ciò la stessa impossibilitàche ora scorgiamo nel caso d’un grosso elefante chepassi per la cruna di un ago, sebbene pensiamo conchiarezza la natura dell’uno e dell’altra; perciò la loro

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quindi l’idea che contiene elementi che si negano reci-procamente non corrisponde ad alcuna essenza (De int.em. § 53 [cf. 58; 64]; cf. Eth. I, pr. 11; pr. 33, sc. 1); pro-priamente anzi la chimera, quale simbolo della contrad-dizione, non può essere, nonchè pensata, nemmeno im-maginata, è soltanto un ente verbale (Cogitata metaphy-sica I, 3, § 3-4). Ma si possono formare malamente ideecomplesse, affermando di una cosa ciò che non è conte-nuto nel suo concetto: e questo avviene perchè abbiamocognizioni mutile e quasi troncate. Così posso supporreche la sfera sia generata dalla rotazione di un semicer-chio intorno al centro: ora, l’affermazione di questo mo-vimento che sarebbe falsa per sè, se fosse presa in sensoassoluto, perchè non è contenuta nell’idea del semicer-chio, nè deriva da quella di una causa che determini ilmovimento, diventa vera quando è unita al concetto del-la sfera o di qualche causa di quel moto (De int. em. §72-73). Insomma è il tutto che fonda e giustifica la veri-tà delle parti, e integrandole, toglie la falsità derivantedalla loro incompiutezza. In altro modo, i Cogitata me-taphysica esprimono un pensiero simile quando diconoche se conoscessimo l’ordine della natura, cioè le sueleggi eterne, comprenderemmo che molte cose che con-cepiamo in modo chiaro e distinto, non possono esistere(in quanto essenze, non come esseri che hanno una du-rata), perchè troveremmo in ciò la stessa impossibilitàche ora scorgiamo nel caso d’un grosso elefante chepassi per la cruna di un ago, sebbene pensiamo conchiarezza la natura dell’uno e dell’altra; perciò la loro

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esistenza non è altro che una chimera (I, 3, 6). Ciò mo-stra che può esistere un’impossibilità non riducibile allacontraddizione che può scorgersi soltanto quando le sin-gole conoscenze, chiare e distinte per sè, sono incluse inaltre più ampie, cioè più adeguate. In tal modo lo Spino-za identifica senza riserve l’idea vera e l’adeguata (Deint. emend. § 35, 73). L’idea è vera se adeguata; ma que-sta parola deve intendersi nel suo senso proprio di cono-scenza completa, integrale: è questo il criterio dominan-te, cui quello della chiarezza e della distinzione effetti-vamente rimane subordinato.

«Infatti, sebbene lo Spinoza dichiari che l’idea che haquesti caratteri è vera, cioè adeguata, le sue parole mo-strano che ad eccezione di ciò che riguarda le nozioniveramente semplici, non accetta completamente taleidentificazione e che ritiene che un concetto complesso,pur possedendoli, può non esser vero perchè non ade-guato (completo). Le idee finte, false e dubbie proven-gono dalla immaginazione, cioè da alcune sensazionifortuite e sconnesse che non hanno la loro origine nellastessa potenza della mente, ma in cause esterne (De int.em. § 84): in altri termini non hanno valore di verità,perchè non rientrano in un ordine più completo di cono-scenze. Il vero punto di partenza, quindi, sarà dato dallaconoscenza dei primi elementi, cioè della sorgente e ori-gine della natura, ossia di Dio che include la totalitàdell’essere. (De int. em. § 75-76). L’ordine della naturainfatti risiede in una serie di cose fisse ed eterne, cioè inun sistema di essenze intelligibili derivante da realtà su-

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esistenza non è altro che una chimera (I, 3, 6). Ciò mo-stra che può esistere un’impossibilità non riducibile allacontraddizione che può scorgersi soltanto quando le sin-gole conoscenze, chiare e distinte per sè, sono incluse inaltre più ampie, cioè più adeguate. In tal modo lo Spino-za identifica senza riserve l’idea vera e l’adeguata (Deint. emend. § 35, 73). L’idea è vera se adeguata; ma que-sta parola deve intendersi nel suo senso proprio di cono-scenza completa, integrale: è questo il criterio dominan-te, cui quello della chiarezza e della distinzione effetti-vamente rimane subordinato.

«Infatti, sebbene lo Spinoza dichiari che l’idea che haquesti caratteri è vera, cioè adeguata, le sue parole mo-strano che ad eccezione di ciò che riguarda le nozioniveramente semplici, non accetta completamente taleidentificazione e che ritiene che un concetto complesso,pur possedendoli, può non esser vero perchè non ade-guato (completo). Le idee finte, false e dubbie proven-gono dalla immaginazione, cioè da alcune sensazionifortuite e sconnesse che non hanno la loro origine nellastessa potenza della mente, ma in cause esterne (De int.em. § 84): in altri termini non hanno valore di verità,perchè non rientrano in un ordine più completo di cono-scenze. Il vero punto di partenza, quindi, sarà dato dallaconoscenza dei primi elementi, cioè della sorgente e ori-gine della natura, ossia di Dio che include la totalitàdell’essere. (De int. em. § 75-76). L’ordine della naturainfatti risiede in una serie di cose fisse ed eterne, cioè inun sistema di essenze intelligibili derivante da realtà su-

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periori, ossia da quelli che l’Ethica chiama gli attributidella sostanza divina, come ad esempio l’estensione, e imodi infiniti che ne provengono (il moto e il riposo, inquesto caso): tale ordine costituisce non una serie che sisvolge nella durata, ma una gerarchia puramente razio-nale di dipendenza (ivi, § 100-102): ora, nello stessomodo che l’idea vera deve corrispondere al suo ideatointelligibile, il nesso delle idee deve rispecchiare quellodella natura, cioè l’ordinamento sistematico delle essen-ze. Ma ciò è possibile soltanto se si parte dall’idea dacui derivano tutte le altre, perchè dal suo oggetto provie-ne ogni cosa (ivi, § 42; 99; cf. 38-39). Essa deve serviredi norma per connettere tutte le idee e ridurle a unità,cioè per formare un sistema organico che rispecchil’ordine reale della natura (ivi, § 91); e ciò permetterà difondare la loro verità».

Da quanto precede risulta che l’identificazione dellaverità e della falsità colla adeguatezza e inadeguatezzadella conoscenza, cioè colla conoscenza integrale o in-completa, significa non soltanto che la prima si può con-seguire esclusivamente quando si considerano le cosedal punto di vista del tutto, mentre una visione diversa ècausa di errore (dottrine di tal genere sono state presen-tate da pensatori che non difendono una metafisica mo-nistica simile a quella spinozistica), ma anche che oc-corre, per cogliere il vero, derivare tutte le idee da quel-la dell’essere da cui ogni cosa proviene. Il monismo me-tafisico è quindi il fondamento della gnoseologia delloSpinoza. È possibile questa derivazione?

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periori, ossia da quelli che l’Ethica chiama gli attributidella sostanza divina, come ad esempio l’estensione, e imodi infiniti che ne provengono (il moto e il riposo, inquesto caso): tale ordine costituisce non una serie che sisvolge nella durata, ma una gerarchia puramente razio-nale di dipendenza (ivi, § 100-102): ora, nello stessomodo che l’idea vera deve corrispondere al suo ideatointelligibile, il nesso delle idee deve rispecchiare quellodella natura, cioè l’ordinamento sistematico delle essen-ze. Ma ciò è possibile soltanto se si parte dall’idea dacui derivano tutte le altre, perchè dal suo oggetto provie-ne ogni cosa (ivi, § 42; 99; cf. 38-39). Essa deve serviredi norma per connettere tutte le idee e ridurle a unità,cioè per formare un sistema organico che rispecchil’ordine reale della natura (ivi, § 91); e ciò permetterà difondare la loro verità».

Da quanto precede risulta che l’identificazione dellaverità e della falsità colla adeguatezza e inadeguatezzadella conoscenza, cioè colla conoscenza integrale o in-completa, significa non soltanto che la prima si può con-seguire esclusivamente quando si considerano le cosedal punto di vista del tutto, mentre una visione diversa ècausa di errore (dottrine di tal genere sono state presen-tate da pensatori che non difendono una metafisica mo-nistica simile a quella spinozistica), ma anche che oc-corre, per cogliere il vero, derivare tutte le idee da quel-la dell’essere da cui ogni cosa proviene. Il monismo me-tafisico è quindi il fondamento della gnoseologia delloSpinoza. È possibile questa derivazione?

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«Il De emendatione mostra che lo Spinoza, quando loscriveva, credeva di potere derivare il sistema delle es-senze da principî superiori e, in ultimo, da un’idea su-prema; e la conoscenza di esso doveva permettere poi dideterminare a quali idee chiare e distinte corrispondarealmente un ideato intelligibile. Ma nel 16652 lo Spino-za dichiarava di non possedere la conoscenza di tutta lanatura e delle sue parti, cioè del sistema delle essenze.Quindi se dagli attributi divini non si può dedurre talesistema, che si dovrebbe conoscere per sapere quali par-ti di esso esistano appunto in quanto essenze, occorre ri-volgersi all’esperienza che, mostrandoci quelle che han-no esistenza fenomenica nella durata, ci garantisce chene possiedono una superiore, l’intelligibile, sebbenespetti sempre al pensiero definirne la vera natura. Perciòla filosofia dello Spinoza nell’Ethica potrà cercare diderivare analiticamente da un gruppo di definizioni chelumeggiano in vario modo l’idea della sostanza divina,ciò che essa include (per quanto, anche in questo caso,come nelle dimostrazioni matematiche, che si conside-rano puramente analitiche, il fatto stesso di connetterepiù proposizioni richieda sempre un certo processo sin-tetico): ma dovrà poi, considerando gli esseri la cui esi-stenza non è implicata dall’essenza, i modi finiti, valersidell’esperienza per sapere quali siano quelli che esisto-no; in seguito potrà ricostruirli sinteticamente e mostra-

2 Ep. 32 all’Oldenburg (20 novembre): Opera, ed. C. Geb-hardt: Heidelberg, Winter, v. IV, p. 170.

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«Il De emendatione mostra che lo Spinoza, quando loscriveva, credeva di potere derivare il sistema delle es-senze da principî superiori e, in ultimo, da un’idea su-prema; e la conoscenza di esso doveva permettere poi dideterminare a quali idee chiare e distinte corrispondarealmente un ideato intelligibile. Ma nel 16652 lo Spino-za dichiarava di non possedere la conoscenza di tutta lanatura e delle sue parti, cioè del sistema delle essenze.Quindi se dagli attributi divini non si può dedurre talesistema, che si dovrebbe conoscere per sapere quali par-ti di esso esistano appunto in quanto essenze, occorre ri-volgersi all’esperienza che, mostrandoci quelle che han-no esistenza fenomenica nella durata, ci garantisce chene possiedono una superiore, l’intelligibile, sebbenespetti sempre al pensiero definirne la vera natura. Perciòla filosofia dello Spinoza nell’Ethica potrà cercare diderivare analiticamente da un gruppo di definizioni chelumeggiano in vario modo l’idea della sostanza divina,ciò che essa include (per quanto, anche in questo caso,come nelle dimostrazioni matematiche, che si conside-rano puramente analitiche, il fatto stesso di connetterepiù proposizioni richieda sempre un certo processo sin-tetico): ma dovrà poi, considerando gli esseri la cui esi-stenza non è implicata dall’essenza, i modi finiti, valersidell’esperienza per sapere quali siano quelli che esisto-no; in seguito potrà ricostruirli sinteticamente e mostra-

2 Ep. 32 all’Oldenburg (20 novembre): Opera, ed. C. Geb-hardt: Heidelberg, Winter, v. IV, p. 170.

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re, mettendoli in rapporto col primo principio, che essipure ne debbono necessariamente provenire. È in questaparte appunto che si manifesta il carattere essenzialmen-te sintetico della filosofia spinozistica, la quale però nonvuole costruire il tutto per mezzo delle parti, bensì mo-strare come debbano essere pensati certi esseri in rela-zione col principio da cui sono condizionati»3.

La metafisica spinozistica parte dalla definizione cheil Descartes aveva dato della sostanza, per cui questa eraintesa come ciò che può esistere per sè, senza l’aiuto dinessun’altra sostanza (Quartae responsiones)4, come ciòche esiste in tal maniera che ha bisogno solamente di sèstessa per esistere (Principia philosophiae, I, 51). Però,mentre nella dottrina cartesiana questa definizione, chesi applica propriamente a Dio soltanto, perchè le creatu-re hanno d’uopo sempre della potenza divina per essereconservate (Principia, ivi), è riferita anche agli esseri fi-niti, in quella spinozistica essa è interpretata in tutto ri-gore. «Per sostanza intendo ciò che è in sè e si pensa persè; cioè ciò, il cui concetto non abbisogna del concettodi un’altra cosa, dal quale debba essere formato (Ethica,I, def. III)»; perciò la sostanza, non potendo essere pro-dotta da altro (ivi, I, prop. VI, cor.), è causa sui, ossia lasua natura non può pensarsi che come esistente (ivi, I,prop. VII; def. 1). La sostanza, che non può essere limi-tata da altre, è per necessità infinita (ivi, I, pr. VIII) e

3 V. P. MARTINETTI, La dottrina della conoscenza e del metodonella filosofia di B. Spinoza: RIV. DI FILOSOFIA, VIII (1916), p. 320.

4 Ed. Adam-Tannery, v. VII, p. 226, 3-5.

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re, mettendoli in rapporto col primo principio, che essipure ne debbono necessariamente provenire. È in questaparte appunto che si manifesta il carattere essenzialmen-te sintetico della filosofia spinozistica, la quale però nonvuole costruire il tutto per mezzo delle parti, bensì mo-strare come debbano essere pensati certi esseri in rela-zione col principio da cui sono condizionati»3.

La metafisica spinozistica parte dalla definizione cheil Descartes aveva dato della sostanza, per cui questa eraintesa come ciò che può esistere per sè, senza l’aiuto dinessun’altra sostanza (Quartae responsiones)4, come ciòche esiste in tal maniera che ha bisogno solamente di sèstessa per esistere (Principia philosophiae, I, 51). Però,mentre nella dottrina cartesiana questa definizione, chesi applica propriamente a Dio soltanto, perchè le creatu-re hanno d’uopo sempre della potenza divina per essereconservate (Principia, ivi), è riferita anche agli esseri fi-niti, in quella spinozistica essa è interpretata in tutto ri-gore. «Per sostanza intendo ciò che è in sè e si pensa persè; cioè ciò, il cui concetto non abbisogna del concettodi un’altra cosa, dal quale debba essere formato (Ethica,I, def. III)»; perciò la sostanza, non potendo essere pro-dotta da altro (ivi, I, prop. VI, cor.), è causa sui, ossia lasua natura non può pensarsi che come esistente (ivi, I,prop. VII; def. 1). La sostanza, che non può essere limi-tata da altre, è per necessità infinita (ivi, I, pr. VIII) e

3 V. P. MARTINETTI, La dottrina della conoscenza e del metodonella filosofia di B. Spinoza: RIV. DI FILOSOFIA, VIII (1916), p. 320.

4 Ed. Adam-Tannery, v. VII, p. 226, 3-5.

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quindi è unica (ivi, I, pr. XIV, cor. I); perciò essa si iden-tifica con Dio, perchè questo è (ivi, I, def. VI) l’essereassolutamente infinito, cioè la sostanza costituita da in-finiti attributi (ivi, I, def. VI) che costituiscono Dio esono eterni al pari di lui (ivi, I, pr. XIX). Due soli di essinoi conosciamo, il pensiero e l’estensione (ivi, II, pp. I-II; ep. 64 del 29 luglio 1675)5, che sono soltanto dueespressioni diverse della stessa sostanza, Dio (ivi, II, pr.VII, sc.).

Da ciò segue che Dio è unico ed esiste in modo ne-cessario, perchè l’essenza ne implica l’esistenza (ivi, I,pr. XI). Siccome esiste soltanto ciò che è in sè, ossia lasostanza, e ciò che è in altro, cioè i modi (o le affezionidella prima), tutto ciò che è, è in Dio, poichè i secondinon possono essere nè venir pensati senza la prima: que-sto significa che tutto ciò che è, è in Dio (ivi, I, def.XVIII). La natura divina possiede infiniti attributi; per-ciò da essa debbono necessariamente provenire infinitecose in modi infiniti (ivi, I, pr. XVI) e senza uscire daDio, per la sola necessità della natura di questo, comedalla essenza del triangolo deriva che la somma degliangoli equivale a due retti (ivi, I, pr. XVIII, sc.). Sicco-me Dio non è persona e quindi non ha in senso proprionè intelligenza nè volontà (ivi, I, pr. XXXII e corollari),non opera teleologicamente, ma soltanto come causa ef-ficiente e necessaria: quindi tutte le cose sono necessariee perfette perchè provengono per necessità da una realtà

5 Opera, v. IV, p. 278.

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quindi è unica (ivi, I, pr. XIV, cor. I); perciò essa si iden-tifica con Dio, perchè questo è (ivi, I, def. VI) l’essereassolutamente infinito, cioè la sostanza costituita da in-finiti attributi (ivi, I, def. VI) che costituiscono Dio esono eterni al pari di lui (ivi, I, pr. XIX). Due soli di essinoi conosciamo, il pensiero e l’estensione (ivi, II, pp. I-II; ep. 64 del 29 luglio 1675)5, che sono soltanto dueespressioni diverse della stessa sostanza, Dio (ivi, II, pr.VII, sc.).

Da ciò segue che Dio è unico ed esiste in modo ne-cessario, perchè l’essenza ne implica l’esistenza (ivi, I,pr. XI). Siccome esiste soltanto ciò che è in sè, ossia lasostanza, e ciò che è in altro, cioè i modi (o le affezionidella prima), tutto ciò che è, è in Dio, poichè i secondinon possono essere nè venir pensati senza la prima: que-sto significa che tutto ciò che è, è in Dio (ivi, I, def.XVIII). La natura divina possiede infiniti attributi; per-ciò da essa debbono necessariamente provenire infinitecose in modi infiniti (ivi, I, pr. XVI) e senza uscire daDio, per la sola necessità della natura di questo, comedalla essenza del triangolo deriva che la somma degliangoli equivale a due retti (ivi, I, pr. XVIII, sc.). Sicco-me Dio non è persona e quindi non ha in senso proprionè intelligenza nè volontà (ivi, I, pr. XXXII e corollari),non opera teleologicamente, ma soltanto come causa ef-ficiente e necessaria: quindi tutte le cose sono necessariee perfette perchè provengono per necessità da una realtà

5 Opera, v. IV, p. 278.

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perfettissima. Chiedere come ne derivino le imperfezio-ni che presenta la natura significa non comprendere chela perfezione delle cose deve essere giudicata secondo laloro natura e potenza, non secondo il criterio di ciò chepiace agli uomini o è loro utile (ivi, I, pr. XXIX, pr.XXXIII e Appendice). Così lo Spinoza deve, come ognimonista coerente, negare la realtà di qualsiasi forma diimperfezione e quindi anche dell’errore.

La natura naturata include i modi infiniti (che, pureessendo tutti eterni, sono immediati se derivano imme-diatamente dalla natura assoluta di qualche attributo di-vino, mediati se ne provengono in quanto esso attributoè modificato da una modificazione infinita) e i finiti (ivi,I, pr. XXI-XXIII, XXVIII sc.). Rispondendo allo Schul-ler, che chiedeva spiegazioni in proposito, lo Spinozaoffriva come esempio dei modi infiniti immediati, perciò che riguarda l’estensione il moto e la quiete, rispettoal pensiero, l’intelletto infinito, e fra i mediati, ricordavala «facies totius Universi, quae quamvis infinitis modisvariet, manet tamen semper eadem», rimandandoall’Ethica6 (scolio del lemma VII, prima della pr. XIV).Stando allo Spinoza infatti, tutta la natura corporea è unindividuo unico che non varia affatto, sebbene le sueparti (cioè i corpi) movendosi mutino in modi infiniti,perchè la somma totale del movimento e della quiete diqueste persiste inalterata. In ciò consiste la facies totiusuniversi; la sua essenza risiede in un rapporto fisso, im-

6 Ep. 64 (29 luglio 1675): Opera, v. IV, p. 278.

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perfettissima. Chiedere come ne derivino le imperfezio-ni che presenta la natura significa non comprendere chela perfezione delle cose deve essere giudicata secondo laloro natura e potenza, non secondo il criterio di ciò chepiace agli uomini o è loro utile (ivi, I, pr. XXIX, pr.XXXIII e Appendice). Così lo Spinoza deve, come ognimonista coerente, negare la realtà di qualsiasi forma diimperfezione e quindi anche dell’errore.

La natura naturata include i modi infiniti (che, pureessendo tutti eterni, sono immediati se derivano imme-diatamente dalla natura assoluta di qualche attributo di-vino, mediati se ne provengono in quanto esso attributoè modificato da una modificazione infinita) e i finiti (ivi,I, pr. XXI-XXIII, XXVIII sc.). Rispondendo allo Schul-ler, che chiedeva spiegazioni in proposito, lo Spinozaoffriva come esempio dei modi infiniti immediati, perciò che riguarda l’estensione il moto e la quiete, rispettoal pensiero, l’intelletto infinito, e fra i mediati, ricordavala «facies totius Universi, quae quamvis infinitis modisvariet, manet tamen semper eadem», rimandandoall’Ethica6 (scolio del lemma VII, prima della pr. XIV).Stando allo Spinoza infatti, tutta la natura corporea è unindividuo unico che non varia affatto, sebbene le sueparti (cioè i corpi) movendosi mutino in modi infiniti,perchè la somma totale del movimento e della quiete diqueste persiste inalterata. In ciò consiste la facies totiusuniversi; la sua essenza risiede in un rapporto fisso, im-

6 Ep. 64 (29 luglio 1675): Opera, v. IV, p. 278.

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mutabile, eterno di movimento e di quiete. (V. Assiomi,lemmi e definizioni che seguono la pr. XIII della secon-da parte dell’Ethica). In altri termini, la legge supremadell’universo è la conservazione della stessa quantità dimovimento e di riposo.

I modi finiti del pensiero sono le idee, quellidell’estensione, i corpi; presi insieme, sono gli unici es-seri singoli che noi conosciamo (ivi, II, ass. V); da ciòderiva che un corpo e la sua idea sono due diverseespressioni della stessa cosa (ivi, II, pr. VII, sc.). Tuttigli esseri, insomma, esprimono in due maniere diversel’unica sostanza, Dio; quindi «l’ordine e la connessionedelle idee sono identici all’ordine e alla connessionedelle cose» (ivi, II, pr. VII e sc.).

Nelle cose finite (o modi) l’essenza non implica l’esi-stenza (ivi, I, pr. XXIV); però se esse non sono necessa-rie in questo senso, lo sono in quanto sottostanno a unalegge causale invincibile, perchè tutto ciò che è in natu-ra viene determinato dalla necessità della sostanza divi-na a esistere e ad agire in un certo modo (ivi, I, pr.XXIX, pr. XXXIII); ma ogni essere singolo e finito di-pende da un’altra causa dello stesso genere e cosìall’infinito (ivi, pr. XXVIII). Insomma, gli esseri finitisono niente altro che modi dell’unica sostanza, dallaquale derivano per necessità, perchè le cose sono in Dioe non escono mai da lui; quindi la credenza che posseg-gano una propria autonomia, una vera realtà sostanzialenon corrisponde al vero. Da ciò segue che l’errore, chesotto un certo rispetto non può trovar posto nel sistema

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mutabile, eterno di movimento e di quiete. (V. Assiomi,lemmi e definizioni che seguono la pr. XIII della secon-da parte dell’Ethica). In altri termini, la legge supremadell’universo è la conservazione della stessa quantità dimovimento e di riposo.

I modi finiti del pensiero sono le idee, quellidell’estensione, i corpi; presi insieme, sono gli unici es-seri singoli che noi conosciamo (ivi, II, ass. V); da ciòderiva che un corpo e la sua idea sono due diverseespressioni della stessa cosa (ivi, II, pr. VII, sc.). Tuttigli esseri, insomma, esprimono in due maniere diversel’unica sostanza, Dio; quindi «l’ordine e la connessionedelle idee sono identici all’ordine e alla connessionedelle cose» (ivi, II, pr. VII e sc.).

Nelle cose finite (o modi) l’essenza non implica l’esi-stenza (ivi, I, pr. XXIV); però se esse non sono necessa-rie in questo senso, lo sono in quanto sottostanno a unalegge causale invincibile, perchè tutto ciò che è in natu-ra viene determinato dalla necessità della sostanza divi-na a esistere e ad agire in un certo modo (ivi, I, pr.XXIX, pr. XXXIII); ma ogni essere singolo e finito di-pende da un’altra causa dello stesso genere e cosìall’infinito (ivi, pr. XXVIII). Insomma, gli esseri finitisono niente altro che modi dell’unica sostanza, dallaquale derivano per necessità, perchè le cose sono in Dioe non escono mai da lui; quindi la credenza che posseg-gano una propria autonomia, una vera realtà sostanzialenon corrisponde al vero. Da ciò segue che l’errore, chesotto un certo rispetto non può trovar posto nel sistema

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spinozistico, sotto un altro è necessario per dar ragionedell’apparente realtà indipendente delle cose finite. Perraggiungere questo scopo, lo Spinoza distingue due for-me di conoscenza, l’immaginazione, fondata sul senso,e l’intelletto (De intellectus emendatione § 84 sgg.) e af-ferma che quando si attribuisce agli esseri particolariun’esistenza propria si cede all’influsso degli errori edelle finzioni che provengono dalla conoscenza sensibi-le (Eth., II, pr.7 sc. II). Infatti per l’immaginazione, cheinclude le sensazioni, le immagini della memoria e iconcetti astratti e che offre soltanto idee inadeguate econfuse, le cose assumono l’aspetto di individui molte-plici e contingenti (ivi, II, pr. XL, sc. I e II). La cono-scenza intellettuale, che presenta idee vere e adeguate, sidivide nella ragione o conoscenza discorsiva, che proce-de deduttivamente, passando dalle nozioni comuni dellecose e delle loro proprietà (ad es., rispetto ai corpi,l’estensione e il movimento, i quali appartengono a tuttigli esseri corporei e si trovano del pari nel tutto e nelleparti) a ciò che esse implicano, e nell’intuizione, che vadall’idea adeguata di certi attributi divini alla conoscen-za adeguata dell’essenza delle cose e riconosce imme-diatamente che questa deriva da quella (ivi, II, pr. XL,sc. II; cf. pr. XXXVIII). Per sua natura la ragione consi-dera le cose non come contingenti, ma come necessarie(ivi, II, pr. XLIV): e siccome ogni cosa singola che esi-

7 Manca il riferimento nell’originale ma si tratta del pr.XXXIX. [Nota per l’edizione elettronica Manuzio]

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spinozistico, sotto un altro è necessario per dar ragionedell’apparente realtà indipendente delle cose finite. Perraggiungere questo scopo, lo Spinoza distingue due for-me di conoscenza, l’immaginazione, fondata sul senso,e l’intelletto (De intellectus emendatione § 84 sgg.) e af-ferma che quando si attribuisce agli esseri particolariun’esistenza propria si cede all’influsso degli errori edelle finzioni che provengono dalla conoscenza sensibi-le (Eth., II, pr.7 sc. II). Infatti per l’immaginazione, cheinclude le sensazioni, le immagini della memoria e iconcetti astratti e che offre soltanto idee inadeguate econfuse, le cose assumono l’aspetto di individui molte-plici e contingenti (ivi, II, pr. XL, sc. I e II). La cono-scenza intellettuale, che presenta idee vere e adeguate, sidivide nella ragione o conoscenza discorsiva, che proce-de deduttivamente, passando dalle nozioni comuni dellecose e delle loro proprietà (ad es., rispetto ai corpi,l’estensione e il movimento, i quali appartengono a tuttigli esseri corporei e si trovano del pari nel tutto e nelleparti) a ciò che esse implicano, e nell’intuizione, che vadall’idea adeguata di certi attributi divini alla conoscen-za adeguata dell’essenza delle cose e riconosce imme-diatamente che questa deriva da quella (ivi, II, pr. XL,sc. II; cf. pr. XXXVIII). Per sua natura la ragione consi-dera le cose non come contingenti, ma come necessarie(ivi, II, pr. XLIV): e siccome ogni cosa singola che esi-

7 Manca il riferimento nell’originale ma si tratta del pr.XXXIX. [Nota per l’edizione elettronica Manuzio]

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ste effettivamente non può essere pensata senza Dio cheè la sua causa, l’idea di un essere individuale qualsiasiimplica necessariamente l’eterna e infinita essenza divi-na8 (ivi, I, pr. XLV).

Da tutto ciò risulta chiaramente che nella filosofiadello Spinoza il problema dell’errore deve occupare unaposizione centrale, perchè egli è costretto dalle premes-se della sua metafisica a dar ragione insieme della com-pleta razionalità e perfezione dell’universo e della appa-rente molteplicità e autonomia degli esseri finiti, chepuò intendersi soltanto come una limitata e imperfettavisione della realtà.

Secondo lo Spinoza (come si è visto) l’errore può ri-siedere non nelle idee adeguate, chiare e distinte, masoltanto in quelle inadeguate, mutile, confuse e oscure.

La confusione delle idee deriva dal fatto che la menteconosce la cosa soltanto in parte e non distingue il notodall’ignoto, e inoltre da ciò, che rivolge contemporanea-mente l’attenzione a molti elementi contenuti in qualchecosa, senza fare alcuna distinzione. Per questo tali pen-sieri possono risultare di parti incompatibili: così, adesempio, gli uomini si formano l’opinione che gli alberiparlino, che esseri umani si mutino in pietre, che cada-veri discorrano e ragionino, che Dio inganni ecc.: in tut-ti questi casi le idee, risultando di elementi non distintidi cui la mente non riconosce la reciproca ripugnanza,

8 Per questa parte generale, riassumo la esposizione fatta inSceptica (Torino, 1921), p. 87 sgg.

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ste effettivamente non può essere pensata senza Dio cheè la sua causa, l’idea di un essere individuale qualsiasiimplica necessariamente l’eterna e infinita essenza divi-na8 (ivi, I, pr. XLV).

Da tutto ciò risulta chiaramente che nella filosofiadello Spinoza il problema dell’errore deve occupare unaposizione centrale, perchè egli è costretto dalle premes-se della sua metafisica a dar ragione insieme della com-pleta razionalità e perfezione dell’universo e della appa-rente molteplicità e autonomia degli esseri finiti, chepuò intendersi soltanto come una limitata e imperfettavisione della realtà.

Secondo lo Spinoza (come si è visto) l’errore può ri-siedere non nelle idee adeguate, chiare e distinte, masoltanto in quelle inadeguate, mutile, confuse e oscure.

La confusione delle idee deriva dal fatto che la menteconosce la cosa soltanto in parte e non distingue il notodall’ignoto, e inoltre da ciò, che rivolge contemporanea-mente l’attenzione a molti elementi contenuti in qualchecosa, senza fare alcuna distinzione. Per questo tali pen-sieri possono risultare di parti incompatibili: così, adesempio, gli uomini si formano l’opinione che gli alberiparlino, che esseri umani si mutino in pietre, che cada-veri discorrano e ragionino, che Dio inganni ecc.: in tut-ti questi casi le idee, risultando di elementi non distintidi cui la mente non riconosce la reciproca ripugnanza,

8 Per questa parte generale, riassumo la esposizione fatta inSceptica (Torino, 1921), p. 87 sgg.

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contengono affermazioni che superano il concetto dellacosa pensata (ivi, § 58; 62-63; 68). Affermando di unacosa ciò che non è contenuto nel suo concetto noi rive-liamo un difetto della nostra conoscenza, ossia mostria-mo di avere pensieri e idee mutili e incompleti (ivi, §72-73).

Ma quali idee possono essere causa di errore? Evi-dentemente, non quelle della conoscenza intellettuale,sia discorsiva che intuitiva, perchè essa include soltantoidee adeguate, chiare, distinte e quindi vere; siccomenon sono tali quelle che spettano all’immaginazione,questa soltanto è causa della falsità o dell’errore (Ethi-ca, II, pr. XLI: cf. pr. XXXIV e pr. XL, sc.; De intell.emend. § 84). Molti errori nascono dallo scambiare leimmagini con le idee (Eth. I, App.); infatti spesso, con-fondendo l’immaginazione con l’intelletto, si crede checiò che viene immaginato più facilmente, sia più chiaroe si suppone di comprendere ciò che invece si immagina(De intell. emend. § 90). Inoltre, numerosi errori hannoorigine dalle parole, che sono prodotte dall’immagina-zione, perchè grazie ad esse si costruiscono molti con-cetti sbagliati; siccome poi il linguaggio è stato formatodal volgo, i vocaboli che lo formano sono segni dellecose quali appaiono alla funzione immaginativa, nonall’intelletto. Noi affermiamo e neghiamo molte coseperchè ciò è in accordo non con la natura della realtà,ma con quella delle parole (ivi § 88-89). Spesso si erraperchè si applicano alle cose nomi non adatti: così chidice che sono disuguali le rette tirate dal centro del cir-

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contengono affermazioni che superano il concetto dellacosa pensata (ivi, § 58; 62-63; 68). Affermando di unacosa ciò che non è contenuto nel suo concetto noi rive-liamo un difetto della nostra conoscenza, ossia mostria-mo di avere pensieri e idee mutili e incompleti (ivi, §72-73).

Ma quali idee possono essere causa di errore? Evi-dentemente, non quelle della conoscenza intellettuale,sia discorsiva che intuitiva, perchè essa include soltantoidee adeguate, chiare, distinte e quindi vere; siccomenon sono tali quelle che spettano all’immaginazione,questa soltanto è causa della falsità o dell’errore (Ethi-ca, II, pr. XLI: cf. pr. XXXIV e pr. XL, sc.; De intell.emend. § 84). Molti errori nascono dallo scambiare leimmagini con le idee (Eth. I, App.); infatti spesso, con-fondendo l’immaginazione con l’intelletto, si crede checiò che viene immaginato più facilmente, sia più chiaroe si suppone di comprendere ciò che invece si immagina(De intell. emend. § 90). Inoltre, numerosi errori hannoorigine dalle parole, che sono prodotte dall’immagina-zione, perchè grazie ad esse si costruiscono molti con-cetti sbagliati; siccome poi il linguaggio è stato formatodal volgo, i vocaboli che lo formano sono segni dellecose quali appaiono alla funzione immaginativa, nonall’intelletto. Noi affermiamo e neghiamo molte coseperchè ciò è in accordo non con la natura della realtà,ma con quella delle parole (ivi § 88-89). Spesso si erraperchè si applicano alle cose nomi non adatti: così chidice che sono disuguali le rette tirate dal centro del cir-

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colo alla circonferenza intende il circolo diversamentedai matematici. Gli errori che gli uomini commettononel calcolo derivano dal fatto che i numeri pensati sonodiversi da quelli scritti, talchè nella mente non esiste in-ganno; noi crediamo che essi sbaglino perchè crediamoche questi siano uguali a quelli. Se non facessimo così,non diremmo che errano; infatti, se sento alcuno direche la sua casa è volata nella gallina del vicino, nonpenso che erri, perchè comprendo abbastanza bene ilsuo pensiero (Eth., II, XLVII, sc.). Un’altra sorgente fe-conda di errori sono i concetti astratti, i quali pure pro-vengono dall’immaginazione. Fra essi si possono ricor-dare in prima linea i cosidetti termini trascendentali,come essere (ens), cosa, ecc., i quali debbono la loroorigine al fatto che la mente, non potendo rappresentarsiinsieme un grande numero di immagini in modo distin-to, le confonde e le include sotto una di tali attribuzioni;perciò quei concetti sono idee confuse al massimo gra-do. Uguale causa ha prodotto i concetti universali, comeuomo, cavallo, ecc., che ciascuno si rappresenta inmodo diverso dagli altri (Eth., II, pr. XL, sc. I). Perciòuna fonte di errori si trova nella concezione troppoastratta delle cose: infatti, i concetti universali sonosempre pensati dall’intelletto con maggiore estensionedi quella che spetta in natura ai loro particolari. Inoltre,siccome esistono molte cose che presentano differenzetanto lievi da sfuggire alla mente, può avvenire facil-mente che questa, pensandole astrattamente, le confon-da, mentre ciò che io concepisco nel suo vero oggetto

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colo alla circonferenza intende il circolo diversamentedai matematici. Gli errori che gli uomini commettononel calcolo derivano dal fatto che i numeri pensati sonodiversi da quelli scritti, talchè nella mente non esiste in-ganno; noi crediamo che essi sbaglino perchè crediamoche questi siano uguali a quelli. Se non facessimo così,non diremmo che errano; infatti, se sento alcuno direche la sua casa è volata nella gallina del vicino, nonpenso che erri, perchè comprendo abbastanza bene ilsuo pensiero (Eth., II, XLVII, sc.). Un’altra sorgente fe-conda di errori sono i concetti astratti, i quali pure pro-vengono dall’immaginazione. Fra essi si possono ricor-dare in prima linea i cosidetti termini trascendentali,come essere (ens), cosa, ecc., i quali debbono la loroorigine al fatto che la mente, non potendo rappresentarsiinsieme un grande numero di immagini in modo distin-to, le confonde e le include sotto una di tali attribuzioni;perciò quei concetti sono idee confuse al massimo gra-do. Uguale causa ha prodotto i concetti universali, comeuomo, cavallo, ecc., che ciascuno si rappresenta inmodo diverso dagli altri (Eth., II, pr. XL, sc. I). Perciòuna fonte di errori si trova nella concezione troppoastratta delle cose: infatti, i concetti universali sonosempre pensati dall’intelletto con maggiore estensionedi quella che spetta in natura ai loro particolari. Inoltre,siccome esistono molte cose che presentano differenzetanto lievi da sfuggire alla mente, può avvenire facil-mente che questa, pensandole astrattamente, le confon-da, mentre ciò che io concepisco nel suo vero oggetto

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non posso attribuire ad un altro (De intell. emend. § 75-76). Per chiarire i pericoli delle astrazioni si può portarel’esempio dell’idea di esistenza che quanto è più genera-le tanto è più confusa e perciò tanto più facilmente sipuò attribuire ad ogni cosa; per contro, quando è intesain modo più particolare, è pensata con maggiore chia-rezza e più difficilmente può riferirsi a una cosa diversadall’essere stesso di cui si tratta (ivi § 55). Anche nelcaso delle astrazioni, l’errore è prodotto dalla confusio-ne delle idee, che fa sì che si attribuisca a un oggetto ciòche non è incluso nel concetto che ne abbiano formato.Può accadere inoltre che la mente erri perchè mescola lerappresentazioni oscure e confuse dell’immaginazionecon le idee chiare e distinte dell’intelletto. Ad esempio,gli Stoici si immaginavano in modo confuso l’anima,immaginavano e insieme comprendevano che i corpisottilissimi penetrano gli altri senza esserne penetrati, ecosì per un intreccio dell’immaginazione e dell’intellet-to, giungevano alla convinzione che la mente è un corposottilissimo, che non può dividersi ecc. (ivi § 74).

In ogni caso, dunque, l’errore deriva dalle ideedell’immaginazione che sono confuse e inadeguate: maappunto da ciò segue che l’immaginazione per sè stessanon inganna; è infatti assurdo pensare che l’anima siaquasi un Dio e che possa, creando sensazioni o idee dicose che non sono, rappresentarsi ciò che non è (ivi §60). «Le immaginazioni della mente considerate per sènon contengono affatto errore: cioè la mente non erraperchè immagina, ma soltanto in quanto è considerata

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non posso attribuire ad un altro (De intell. emend. § 75-76). Per chiarire i pericoli delle astrazioni si può portarel’esempio dell’idea di esistenza che quanto è più genera-le tanto è più confusa e perciò tanto più facilmente sipuò attribuire ad ogni cosa; per contro, quando è intesain modo più particolare, è pensata con maggiore chia-rezza e più difficilmente può riferirsi a una cosa diversadall’essere stesso di cui si tratta (ivi § 55). Anche nelcaso delle astrazioni, l’errore è prodotto dalla confusio-ne delle idee, che fa sì che si attribuisca a un oggetto ciòche non è incluso nel concetto che ne abbiano formato.Può accadere inoltre che la mente erri perchè mescola lerappresentazioni oscure e confuse dell’immaginazionecon le idee chiare e distinte dell’intelletto. Ad esempio,gli Stoici si immaginavano in modo confuso l’anima,immaginavano e insieme comprendevano che i corpisottilissimi penetrano gli altri senza esserne penetrati, ecosì per un intreccio dell’immaginazione e dell’intellet-to, giungevano alla convinzione che la mente è un corposottilissimo, che non può dividersi ecc. (ivi § 74).

In ogni caso, dunque, l’errore deriva dalle ideedell’immaginazione che sono confuse e inadeguate: maappunto da ciò segue che l’immaginazione per sè stessanon inganna; è infatti assurdo pensare che l’anima siaquasi un Dio e che possa, creando sensazioni o idee dicose che non sono, rappresentarsi ciò che non è (ivi §60). «Le immaginazioni della mente considerate per sènon contengono affatto errore: cioè la mente non erraperchè immagina, ma soltanto in quanto è considerata

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priva dell’idea che escluda la esistenza delle cose cheessa immagina presenti». Non vi sarebbe alcun difettoda notare se il pensiero, considerando come presenticose inesistenti, sapesse insieme che non esistono (Eth.,II, pr. XVII, sc.). Così, guardando il sole, ci immaginia-mo che è lontano da noi circa duecento piedi, ma il no-stro errore non risiede nella sola immaginazione, ma nelfatto che ignoriamo la vera distanza di quell’astro e lacausa di questa; infatti, anche quando abbiamo cono-sciuto quanto il primo disti dalla terra, continuiamo arappresentarcelo ugualmente vicino, perchè ciò derivanon dalla nostra ignoranza, ma dai rapporti che esistonofra il nostro corpo e l’orbe solare (ivi, II, pr. XXXV, sc.).L’immagine quindi non è propriamente un’idea falsa,ma una inadeguata e incompleta.

In conclusione, l’errore o il falso non è qualche cosadi positivo; esso (che non può consistere nè nella man-canza assoluta di conoscenza, perchè errano le menti,non i corpi, nè nella completa ignoranza, perchè ignora-re è diverso da errare) risiede in una privazione del co-noscere, implicata da idee inadeguate o mutile o confu-se: così, ad esempio, errano gli uomini che credono diagire liberamente perchè, essendo consci delle loro azio-ni, ignorano le cause che le determinano (ivi, II, pr.XXXV e sc.; cf. I, App.; De intell. emend. § 110). Nelleidee non si può trovare alcun elemento positivo per cuisi dicano false. Come può concepirsi un modo positivodi pensiero che costituisca l’essenza dell’errore o dellafalsità, se esso non può essere in Dio (perchè tutte le

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priva dell’idea che escluda la esistenza delle cose cheessa immagina presenti». Non vi sarebbe alcun difettoda notare se il pensiero, considerando come presenticose inesistenti, sapesse insieme che non esistono (Eth.,II, pr. XVII, sc.). Così, guardando il sole, ci immaginia-mo che è lontano da noi circa duecento piedi, ma il no-stro errore non risiede nella sola immaginazione, ma nelfatto che ignoriamo la vera distanza di quell’astro e lacausa di questa; infatti, anche quando abbiamo cono-sciuto quanto il primo disti dalla terra, continuiamo arappresentarcelo ugualmente vicino, perchè ciò derivanon dalla nostra ignoranza, ma dai rapporti che esistonofra il nostro corpo e l’orbe solare (ivi, II, pr. XXXV, sc.).L’immagine quindi non è propriamente un’idea falsa,ma una inadeguata e incompleta.

In conclusione, l’errore o il falso non è qualche cosadi positivo; esso (che non può consistere nè nella man-canza assoluta di conoscenza, perchè errano le menti,non i corpi, nè nella completa ignoranza, perchè ignora-re è diverso da errare) risiede in una privazione del co-noscere, implicata da idee inadeguate o mutile o confu-se: così, ad esempio, errano gli uomini che credono diagire liberamente perchè, essendo consci delle loro azio-ni, ignorano le cause che le determinano (ivi, II, pr.XXXV e sc.; cf. I, App.; De intell. emend. § 110). Nelleidee non si può trovare alcun elemento positivo per cuisi dicano false. Come può concepirsi un modo positivodi pensiero che costituisca l’essenza dell’errore o dellafalsità, se esso non può essere in Dio (perchè tutte le

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idee sono vere in quanto si riferiscono a Dio: Eth., II, pr.XXXII), fuori del quale nessun modo può esistere opensarsi (ivi, II, pr. XXXIII; cf. I, pr. XV; De intell.emend. § 110)? Siccome tutte le idee sono in Dio e ri-spetto a lui sono vere e adeguate (perchè egli vedel’infinito nesso delle cause e degli effetti dell’universo),la loro inadeguatezza e la loro confusione possono na-scere soltanto dal fatto che si riferiscono a una mente in-dividuale. Infatti, se appartiene alla natura di un essereche pensa formare idee vere o adeguate, e se in ognimente umana ve ne sono alcune di questo genere, altredi quello opposto, è certo che noi possiamo avere le ulti-me solamente perchè siamo parte di un essere pensantedi cui alcuni pensieri nella loro totalità, altri soltantoparzialmente costituiscono la nostra mente. Ma appuntoperchè si fondano in Dio le idee inadeguate e confuse siseguono con la stessa necessità di quelle chiare e distin-te (Eth., II, pr. XXXVI; III, pr. I; De intell. emend. §73); del resto, questa è soltanto un’applicazione partico-lare del principio della necessità universale che, comeabbiamo visto, costituisce uno dei fondamenti di tutta lafilosofia dello Spinoza, che è dominata da una concezio-ne rigidamente determinista.

Appunto perciò egli deve combattere la tesi cartesia-na che fa derivare l’errore da un atto libero della volon-tà. Per lo Spinoza non esiste la facoltà di volere o di in-tendere o di desiderare ecc.: le parole intelletto e volontàdesignano solamente enti metafisici astratti, che nonhanno esistenza reale, perchè questa appartiene esclusi-

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idee sono vere in quanto si riferiscono a Dio: Eth., II, pr.XXXII), fuori del quale nessun modo può esistere opensarsi (ivi, II, pr. XXXIII; cf. I, pr. XV; De intell.emend. § 110)? Siccome tutte le idee sono in Dio e ri-spetto a lui sono vere e adeguate (perchè egli vedel’infinito nesso delle cause e degli effetti dell’universo),la loro inadeguatezza e la loro confusione possono na-scere soltanto dal fatto che si riferiscono a una mente in-dividuale. Infatti, se appartiene alla natura di un essereche pensa formare idee vere o adeguate, e se in ognimente umana ve ne sono alcune di questo genere, altredi quello opposto, è certo che noi possiamo avere le ulti-me solamente perchè siamo parte di un essere pensantedi cui alcuni pensieri nella loro totalità, altri soltantoparzialmente costituiscono la nostra mente. Ma appuntoperchè si fondano in Dio le idee inadeguate e confuse siseguono con la stessa necessità di quelle chiare e distin-te (Eth., II, pr. XXXVI; III, pr. I; De intell. emend. §73); del resto, questa è soltanto un’applicazione partico-lare del principio della necessità universale che, comeabbiamo visto, costituisce uno dei fondamenti di tutta lafilosofia dello Spinoza, che è dominata da una concezio-ne rigidamente determinista.

Appunto perciò egli deve combattere la tesi cartesia-na che fa derivare l’errore da un atto libero della volon-tà. Per lo Spinoza non esiste la facoltà di volere o di in-tendere o di desiderare ecc.: le parole intelletto e volontàdesignano solamente enti metafisici astratti, che nonhanno esistenza reale, perchè questa appartiene esclusi-

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vamente alle idee e alle volizioni concrete, fuori dellequali tali facoltà sono un nulla. La volontà sta a una vo-lizione singola come l’uomo sta a Pietro o a Paolo. Sic-come con quella lo Spinoza intende la facoltà di affer-mare e di negare, le volizioni particolari (cioè gli atticoncreti con cui la mente afferma e nega) non si posso-no separare, ma soltanto distinguere dalle idee, perchèqueste non sono cose morte, come pitture di un quadro,ma processi attivi di affermazione e di negazione. Se,infatti, consideriamo una determinata volizione, peresempio un modo di pensiero con cui la mente affermache i tre angoli di un triangolo sono uguali a due retti,vediamo che questa affermazione implica l’idea della fi-gura triangolare, senza la quale non può concepirsi. In-versamente tale idea implica quell’affermazione, perchèsenza di essa non può venire pensata: ciò significa chel’atto di affermare l’equivalenza dei tre angoli a due rettiappartiene alla essenza del triangolo, non è qualche cosadi diverso da essa. Se le volizioni (o atti di affermazionee di negazione) sono identiche alle idee, e fuori delle se-conde non esistono la volontà e l’intelletto, si deve direche questi sono una stessa e identica cosa (Eth., II, pr.XLVIII, e sc.; pr. XLIX, cor. e sc.).

È completamente errata la tesi cartesiana che distin-gue la volontà dall’intelletto, affermando che questo èfinito, quella infinita, perchè se essa può ammettersiquando si identifica questo con le idee chiare e distinte,non è affatto vera allorchè lo si intende come la facoltàdi concepire, la quale non è meno estesa di quella di vo-

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vamente alle idee e alle volizioni concrete, fuori dellequali tali facoltà sono un nulla. La volontà sta a una vo-lizione singola come l’uomo sta a Pietro o a Paolo. Sic-come con quella lo Spinoza intende la facoltà di affer-mare e di negare, le volizioni particolari (cioè gli atticoncreti con cui la mente afferma e nega) non si posso-no separare, ma soltanto distinguere dalle idee, perchèqueste non sono cose morte, come pitture di un quadro,ma processi attivi di affermazione e di negazione. Se,infatti, consideriamo una determinata volizione, peresempio un modo di pensiero con cui la mente affermache i tre angoli di un triangolo sono uguali a due retti,vediamo che questa affermazione implica l’idea della fi-gura triangolare, senza la quale non può concepirsi. In-versamente tale idea implica quell’affermazione, perchèsenza di essa non può venire pensata: ciò significa chel’atto di affermare l’equivalenza dei tre angoli a due rettiappartiene alla essenza del triangolo, non è qualche cosadi diverso da essa. Se le volizioni (o atti di affermazionee di negazione) sono identiche alle idee, e fuori delle se-conde non esistono la volontà e l’intelletto, si deve direche questi sono una stessa e identica cosa (Eth., II, pr.XLVIII, e sc.; pr. XLIX, cor. e sc.).

È completamente errata la tesi cartesiana che distin-gue la volontà dall’intelletto, affermando che questo èfinito, quella infinita, perchè se essa può ammettersiquando si identifica questo con le idee chiare e distinte,non è affatto vera allorchè lo si intende come la facoltàdi concepire, la quale non è meno estesa di quella di vo-

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lere: come possiamo affermare infinite cose con la stes-sa facoltà volitiva, così possiamo percepire infiniti corpicon quella sensitiva. È errata del pari la tesi che siamoliberi di sospendere il giudizio appunto perchè possiamonegare l’assenso (grazie a un atto della volontà), perchèchi lo fa, effettivamente riconosce di non avere perce-zione adeguata delle cose: la sospensione di cui si parlaè dunque una percezione, non una volontà libera. Senell’anima è presente una sola idea, o vera o falsa, nonsorge mai il dubbio, il quale deriva sempre dall’opposi-zione tra due idee, una delle quali, quella che lo produ-ce, non è chiara e distinta tanto da farci concludere ri-spetto alla cosa di cui si dubita; così se un fanciullo siimmagina soltanto un cavallo, e non percepisce alcun-chè che ne escluda la esistenza (la quale è implicata daquella rappresentazione), non può dubitare che esso esi-sta. Del pari noi non dubiteremmo affatto dell’esistenzareale di un cavallo alato, se avessimo soltanto la sua im-magine presente e ad essa non unissimo qualche ideache escludesse la sua realtà, perchè la prima rappresen-tazione implica l’affermazione che quell’animale ha leali. Insomma, il giudizio non dipende da un’attività vo-lontaria diversa da quella intellettuale, ma è implicatodalle idee stesse che sono anche volizioni, cioè afferma-zioni o negazioni. (Eth., II, XLIX, sc.; De intell. emend.§ 78-80); l’errore quindi non proviene da un atto positi-vo di una volontà libera, ma da una conoscenza imper-fetta e inadeguata; e siccome l’idea e l’affermazione siimplicano reciprocamente, è chiaro che ciò che vale per

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lere: come possiamo affermare infinite cose con la stes-sa facoltà volitiva, così possiamo percepire infiniti corpicon quella sensitiva. È errata del pari la tesi che siamoliberi di sospendere il giudizio appunto perchè possiamonegare l’assenso (grazie a un atto della volontà), perchèchi lo fa, effettivamente riconosce di non avere perce-zione adeguata delle cose: la sospensione di cui si parlaè dunque una percezione, non una volontà libera. Senell’anima è presente una sola idea, o vera o falsa, nonsorge mai il dubbio, il quale deriva sempre dall’opposi-zione tra due idee, una delle quali, quella che lo produ-ce, non è chiara e distinta tanto da farci concludere ri-spetto alla cosa di cui si dubita; così se un fanciullo siimmagina soltanto un cavallo, e non percepisce alcun-chè che ne escluda la esistenza (la quale è implicata daquella rappresentazione), non può dubitare che esso esi-sta. Del pari noi non dubiteremmo affatto dell’esistenzareale di un cavallo alato, se avessimo soltanto la sua im-magine presente e ad essa non unissimo qualche ideache escludesse la sua realtà, perchè la prima rappresen-tazione implica l’affermazione che quell’animale ha leali. Insomma, il giudizio non dipende da un’attività vo-lontaria diversa da quella intellettuale, ma è implicatodalle idee stesse che sono anche volizioni, cioè afferma-zioni o negazioni. (Eth., II, XLIX, sc.; De intell. emend.§ 78-80); l’errore quindi non proviene da un atto positi-vo di una volontà libera, ma da una conoscenza imper-fetta e inadeguata; e siccome l’idea e l’affermazione siimplicano reciprocamente, è chiaro che ciò che vale per

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l’una si applica anche all’altra e che perciò anche la se-conda può essere non propriamente e positivamente fal-sa, ma soltanto imperfetta, al pari della prima che, comesi è visto, non include mai un elemento positivo di falsi-tà.

Si è detto che una idea inadeguata implica un’affer-mazione non meno di una adeguata e che, se non esisteun conflitto tra essa e altre, non è possibile dubitare del-la realtà dell’oggetto cui si riferisce; ma bisogna benguardarsi dall’identificare la mancanza del dubbio, chepuò unirsi all’errore, e la certezza che si unisce soltantoalla verità e non è mai implicata da un’idea falsa. Lacertezza è qualche cosa di positivo, l’assenza del dubbioè invece negativa; quando affermiamo che un uomo ri-posa nel falso e non dubita, non possiamo mai dire cheegli è certo (Eth., II, pr. XLIX, sc.). Infatti «chi haun’idea adeguata, ossia chi conosce veramente una cosa,deve insieme avere un’idea adeguata, cioè una vera co-noscenza della sua conoscenza, cioè..... deve insieme es-sere certo (ivi, pr. XLIII)». Non è possibile sapere che siè certi di qualche cosa se effettivamente non si possiedetale certezza; inoltre, non esiste una norma di verità piùchiara e più certa dell’idea vera «Sane sicut lux se ipsamet tenebras manifestat, sic veritas norma sui et falsi est(ivi, sc.)». È quindi inutile la ricerca di un criterioestrinseco del vero e del falso, perchè esso risiede nellastessa natura della verità. Tutto ciò che si può chiedere èun criterio che ci permetta di riconoscere se effettiva-mente possediamo la verità, se cioè siamo veramente

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l’una si applica anche all’altra e che perciò anche la se-conda può essere non propriamente e positivamente fal-sa, ma soltanto imperfetta, al pari della prima che, comesi è visto, non include mai un elemento positivo di falsi-tà.

Si è detto che una idea inadeguata implica un’affer-mazione non meno di una adeguata e che, se non esisteun conflitto tra essa e altre, non è possibile dubitare del-la realtà dell’oggetto cui si riferisce; ma bisogna benguardarsi dall’identificare la mancanza del dubbio, chepuò unirsi all’errore, e la certezza che si unisce soltantoalla verità e non è mai implicata da un’idea falsa. Lacertezza è qualche cosa di positivo, l’assenza del dubbioè invece negativa; quando affermiamo che un uomo ri-posa nel falso e non dubita, non possiamo mai dire cheegli è certo (Eth., II, pr. XLIX, sc.). Infatti «chi haun’idea adeguata, ossia chi conosce veramente una cosa,deve insieme avere un’idea adeguata, cioè una vera co-noscenza della sua conoscenza, cioè..... deve insieme es-sere certo (ivi, pr. XLIII)». Non è possibile sapere che siè certi di qualche cosa se effettivamente non si possiedetale certezza; inoltre, non esiste una norma di verità piùchiara e più certa dell’idea vera «Sane sicut lux se ipsamet tenebras manifestat, sic veritas norma sui et falsi est(ivi, sc.)». È quindi inutile la ricerca di un criterioestrinseco del vero e del falso, perchè esso risiede nellastessa natura della verità. Tutto ciò che si può chiedere èun criterio che ci permetta di riconoscere se effettiva-mente possediamo la verità, se cioè siamo veramente

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certi: ed esso consiste, come abbiamo visto, nell’affer-mare soltanto idee semplici o composte di idee semplici;di più, si deve ricordare che il falso è rivelato dalle con-seguenze assurde che da esso derivano mentre da unconcetto vero, anche se finto, non si può dedurre se nonla verità. (De intell. emend. § 61 sgg.).

Se, come abbiamo rilevato, la teoria dell’errore costi-tuiva per lo Spinoza l’unico possibile tentativo di conci-liazione delle due esigenze contraddittorie che sopra sisono ricordate (l’una delle quali lo portava a negare larealtà di ogni forma di imperfezione e quindi anche diconoscenza errata, mentre l’altra lo costringeva a dar ra-gione dell’apparente indipendenza degli esseri finiti conuna visione imperfetta e quindi falsa, delle cose), non sipuò dire che abbia raggiunto lo scopo: effettivamentequelle due tesi sono volta a volta affermate, ma nullapermette di comprendere come siano compatibili, comela contraddizione venga tolta e superata in una sintesisuperiore.

Le idee e le affermazioni non contengono mai alcunelemento positivo di falsità o di errore, appunto perchèsi fondano in Dio: in particolare, le conoscenzedell’intelletto sono chiare e adeguate e perciò sono ne-cessariamente vere: causa di errore possono essere sol-tanto le rappresentazioni confuse e inadeguatedell’immaginazione, ma esse pure non sono propria-mente false in senso positivo, ma mutile o incomplete,non veramente imperfette, ma meno perfette delle pri-me. L’errore è sempre una privazione, cioè una imperfe-

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certi: ed esso consiste, come abbiamo visto, nell’affer-mare soltanto idee semplici o composte di idee semplici;di più, si deve ricordare che il falso è rivelato dalle con-seguenze assurde che da esso derivano mentre da unconcetto vero, anche se finto, non si può dedurre se nonla verità. (De intell. emend. § 61 sgg.).

Se, come abbiamo rilevato, la teoria dell’errore costi-tuiva per lo Spinoza l’unico possibile tentativo di conci-liazione delle due esigenze contraddittorie che sopra sisono ricordate (l’una delle quali lo portava a negare larealtà di ogni forma di imperfezione e quindi anche diconoscenza errata, mentre l’altra lo costringeva a dar ra-gione dell’apparente indipendenza degli esseri finiti conuna visione imperfetta e quindi falsa, delle cose), non sipuò dire che abbia raggiunto lo scopo: effettivamentequelle due tesi sono volta a volta affermate, ma nullapermette di comprendere come siano compatibili, comela contraddizione venga tolta e superata in una sintesisuperiore.

Le idee e le affermazioni non contengono mai alcunelemento positivo di falsità o di errore, appunto perchèsi fondano in Dio: in particolare, le conoscenzedell’intelletto sono chiare e adeguate e perciò sono ne-cessariamente vere: causa di errore possono essere sol-tanto le rappresentazioni confuse e inadeguatedell’immaginazione, ma esse pure non sono propria-mente false in senso positivo, ma mutile o incomplete,non veramente imperfette, ma meno perfette delle pri-me. L’errore è sempre una privazione, cioè una imperfe-

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Page 28: Il problema dell’errore nella filosofia di B. Spinoza · Adolfo Levi Il problema dell’errore nella filosofia di B. Spinoza . Questo e-book è stato realizzato anche grazie al

zione o, più esattamente, un minor grado di perfezione.Ora è chiaro che queste tesi rivelano una continua oscil-lazione di pensiero, che si manifesta anche nelle espres-sioni. Se tutto è perfetto, come può parlarsi di un’imper-fezione, anche se la si vuol chiamare una perfezione mi-nore? se tutte le idee sono vere, come si può dire che al-cune, essendo inadeguate, sono causa del falso? Peruscire dalle difficoltà, lo Spinoza deve sostenere che leidee inadeguate sono tali soltanto rispetto a una mentefinita che non può vedere tutte le cose nei loro rapportiuniversali; le rappresentazioni dell’immaginazione sonoquindi causa di errore perchè vengono malamente inter-pretate da un pensiero limitato che non sa intuirle nellatotalità dei loro rapporti. Ma allora le menti individuali,appunto perchè modi finiti dell’unica sostanza divina,sono (per la loro stessa natura finita) imperfette, ciò checontrasta con l’altra tesi fondamentale della metafisicaspinozistica che tutti gli esseri dell’universo non esconoda Dio, fuori del quale non possono nè esistere, nè venirpensati, e perciò sono tutti necessariamente perfetti.

Se veramente non escono da Dio, se non hanno unapropria realtà autonoma, non è possibile nemmeno quelgrado di minore perfezione e di minore verità che è laconoscenza inadeguata; se possiedono tale realtà, crollatutto il monismo spinozistico e si presenta la nuova dif-ficoltà di spiegare come i modi, in quanto tali, possanopossedere idee adeguate, perchè queste richiederebberoin ogni caso una visione di ogni singola cosa nei suoirapporti infiniti con la totalità dell’universo, che può at-

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zione o, più esattamente, un minor grado di perfezione.Ora è chiaro che queste tesi rivelano una continua oscil-lazione di pensiero, che si manifesta anche nelle espres-sioni. Se tutto è perfetto, come può parlarsi di un’imper-fezione, anche se la si vuol chiamare una perfezione mi-nore? se tutte le idee sono vere, come si può dire che al-cune, essendo inadeguate, sono causa del falso? Peruscire dalle difficoltà, lo Spinoza deve sostenere che leidee inadeguate sono tali soltanto rispetto a una mentefinita che non può vedere tutte le cose nei loro rapportiuniversali; le rappresentazioni dell’immaginazione sonoquindi causa di errore perchè vengono malamente inter-pretate da un pensiero limitato che non sa intuirle nellatotalità dei loro rapporti. Ma allora le menti individuali,appunto perchè modi finiti dell’unica sostanza divina,sono (per la loro stessa natura finita) imperfette, ciò checontrasta con l’altra tesi fondamentale della metafisicaspinozistica che tutti gli esseri dell’universo non esconoda Dio, fuori del quale non possono nè esistere, nè venirpensati, e perciò sono tutti necessariamente perfetti.

Se veramente non escono da Dio, se non hanno unapropria realtà autonoma, non è possibile nemmeno quelgrado di minore perfezione e di minore verità che è laconoscenza inadeguata; se possiedono tale realtà, crollatutto il monismo spinozistico e si presenta la nuova dif-ficoltà di spiegare come i modi, in quanto tali, possanopossedere idee adeguate, perchè queste richiederebberoin ogni caso una visione di ogni singola cosa nei suoirapporti infiniti con la totalità dell’universo, che può at-

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tribuirsi soltanto al pensiero divino. Se nel primo caso èimpossibile l’errore, nel secondo è inconcepibile la veri-tà. Effettivamente lo Spinoza non può nè accettare fran-camente l’esistenza dell’errore senza distruggere la pro-pria dottrina, nè negarla completamente, perchè, come siè già osservato, senza di esso non può più spiegare quel-la concezione di esseri finiti indipendenti da Dio che perlui è necessariamente un’imperfetta e quindi errata rap-presentazione delle cose: e così è costretto a ripetere nectecum vivere possum nec sine te e a dibattersi continua-mente nella contraddizione di dover affermare da unaparte che la conoscenza errata dipende da una imperfe-zione delle menti individuali finite e dall’altra a sostene-re che esse appaiono tali soltanto grazie a una concezio-ne inadeguata del reale e che ciò che sembra imperfezio-ne, veramente non lo è. In altri termini, senza l’errorenon si vede come si possa ammettere che i modi indivi-duali sono indipendenti dalla sostanza, mentre inversa-mente esso presuppone che siano almeno tanto fuori diDio da poter possedere una propria imperfetta visionedell’universo. In breve, il problema dell’errore è unoscoglio contro il quale deve urtare il monismo spinozi-stico quando si sforza di derivare necessariamente gliesseri finiti da Dio, pur sostenendo che non escono dalui che ne è la causa immanente.

Ma, anche prescindendo dalle sue connessioni metafi-siche, la teoria spinozistica dell’errore è tutt’altro chesoddisfacente. All’affermazione che all’idea vera devecorrispondere il suo oggetto o ideato, si può obbiettare,

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tribuirsi soltanto al pensiero divino. Se nel primo caso èimpossibile l’errore, nel secondo è inconcepibile la veri-tà. Effettivamente lo Spinoza non può nè accettare fran-camente l’esistenza dell’errore senza distruggere la pro-pria dottrina, nè negarla completamente, perchè, come siè già osservato, senza di esso non può più spiegare quel-la concezione di esseri finiti indipendenti da Dio che perlui è necessariamente un’imperfetta e quindi errata rap-presentazione delle cose: e così è costretto a ripetere nectecum vivere possum nec sine te e a dibattersi continua-mente nella contraddizione di dover affermare da unaparte che la conoscenza errata dipende da una imperfe-zione delle menti individuali finite e dall’altra a sostene-re che esse appaiono tali soltanto grazie a una concezio-ne inadeguata del reale e che ciò che sembra imperfezio-ne, veramente non lo è. In altri termini, senza l’errorenon si vede come si possa ammettere che i modi indivi-duali sono indipendenti dalla sostanza, mentre inversa-mente esso presuppone che siano almeno tanto fuori diDio da poter possedere una propria imperfetta visionedell’universo. In breve, il problema dell’errore è unoscoglio contro il quale deve urtare il monismo spinozi-stico quando si sforza di derivare necessariamente gliesseri finiti da Dio, pur sostenendo che non escono dalui che ne è la causa immanente.

Ma, anche prescindendo dalle sue connessioni metafi-siche, la teoria spinozistica dell’errore è tutt’altro chesoddisfacente. All’affermazione che all’idea vera devecorrispondere il suo oggetto o ideato, si può obbiettare,

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come a molte dottrine realistiche, che, pur restando sulterreno del realismo, nulla prova la necessità che gli og-getti si conformino alle esigenze del nostro pensiero; eperciò si può sempre dubitare del valore oggettivo delleconoscenze chiare e adeguate che per lo Spinoza sononecessariamente vere. Rispetto a quest’ultima tesi, si ègià osservato che, propriamente, implicherebbe la im-possibilità per le menti finite di cogliere il vero, perchèun’idea può dirsi adeguata cioè completa nel senso spi-nozistico soltanto se presenta la cosa nel suo nesso uni-versale di cause e di effetti, che evidentemente non puòessere intuito o afferrato dal nostro pensiero, il qualeperciò dovrebbe aggirarsi sempre nell’errore. E non sipuò nemmeno interpretare la dottrina dello Spinoza nelsenso che le conoscenze presentano un grado di veritàcorrispondente a quello della loro sistemazione, sicchèquanto più le cose sono viste nei loro rapporti tanto piùla mente è vicina al vero, perchè questa pretesa non haalcuna giustificazione: può avvenire infatti che una con-cezione sia altamente sistematica appunto perchè fonda-ta su presupposti arbitrari e non legittimati (come avvie-ne proprio nel caso della filosofia spinozistica); alloranon si potrà sostenere che essa sia vera nel senso checorrisponde alla realtà. Che se poi per l’adeguatezza diuna dottrina si intende la sua capacità di spiegare tutti ifatti dell’esperienza, si può ricordare l’obbiezione fattaprecedentemente, che nulla prova che alle costruzionidella nostra mente debba corrispondere la realtà; di più,

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come a molte dottrine realistiche, che, pur restando sulterreno del realismo, nulla prova la necessità che gli og-getti si conformino alle esigenze del nostro pensiero; eperciò si può sempre dubitare del valore oggettivo delleconoscenze chiare e adeguate che per lo Spinoza sononecessariamente vere. Rispetto a quest’ultima tesi, si ègià osservato che, propriamente, implicherebbe la im-possibilità per le menti finite di cogliere il vero, perchèun’idea può dirsi adeguata cioè completa nel senso spi-nozistico soltanto se presenta la cosa nel suo nesso uni-versale di cause e di effetti, che evidentemente non puòessere intuito o afferrato dal nostro pensiero, il qualeperciò dovrebbe aggirarsi sempre nell’errore. E non sipuò nemmeno interpretare la dottrina dello Spinoza nelsenso che le conoscenze presentano un grado di veritàcorrispondente a quello della loro sistemazione, sicchèquanto più le cose sono viste nei loro rapporti tanto piùla mente è vicina al vero, perchè questa pretesa non haalcuna giustificazione: può avvenire infatti che una con-cezione sia altamente sistematica appunto perchè fonda-ta su presupposti arbitrari e non legittimati (come avvie-ne proprio nel caso della filosofia spinozistica); alloranon si potrà sostenere che essa sia vera nel senso checorrisponde alla realtà. Che se poi per l’adeguatezza diuna dottrina si intende la sua capacità di spiegare tutti ifatti dell’esperienza, si può ricordare l’obbiezione fattaprecedentemente, che nulla prova che alle costruzionidella nostra mente debba corrispondere la realtà; di più,

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che cosa ci garantisce che la esperienza debba sempreconformarsi alle nostre interpretazioni?

Il criterio dell’adeguatezza della conoscenza può ave-re soltanto valore negativo; ossia una teoria che non per-mette di spiegare tutti i fatti è condannata; ma non sipuò sostenere senz’altro che sia vera quella che li spie-ga, perchè come tale (in sede non scientifica, ma filoso-fica) può considerarsi soltanto se risulta necessariamen-te dalle esigenze fondamentali della conoscenza.

L’affermazione che le idee dell’intelletto sono semprevere è puramente tautologica, perchè questo, per defini-zione, include solamente conoscenze chiare e adeguate,ossia vere: quindi, se pare che l’errore si incontri anchenella sfera propriamente intellettuale, lo Spinoza puòsempre rispondere che si tratta non di idee appartenentia questa, ma di rappresentazioni dell’immaginazione. Ilprocedimento è senza dubbio molto facile e molto co-modo, ma non si può giudicare troppo utile, perchè ilproblema vero che si tratta di risolvere è quello di sape-re come e perchè noi scambiamo le idee di un generecon quelle di un altro nei casi in cui sembra che il pen-siero funzioni con le sole sue forze. Che la tesi spinozi-stica sia accettabile è tutt’altro che chiaro: si pensi, adesempio, alle discussioni sorte fra i matematici a propo-sito del calcolo infinitesimale, a quelle più vicine a noitra i logicisti e il Poincaré sulla natura del ragionamentoproprio della loro scienza, alle polemiche recentissimesulla teoria dell’Einstein e poi si dica se è possibile am-mettere con lo Spinoza che coloro che errano sono tra-

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che cosa ci garantisce che la esperienza debba sempreconformarsi alle nostre interpretazioni?

Il criterio dell’adeguatezza della conoscenza può ave-re soltanto valore negativo; ossia una teoria che non per-mette di spiegare tutti i fatti è condannata; ma non sipuò sostenere senz’altro che sia vera quella che li spie-ga, perchè come tale (in sede non scientifica, ma filoso-fica) può considerarsi soltanto se risulta necessariamen-te dalle esigenze fondamentali della conoscenza.

L’affermazione che le idee dell’intelletto sono semprevere è puramente tautologica, perchè questo, per defini-zione, include solamente conoscenze chiare e adeguate,ossia vere: quindi, se pare che l’errore si incontri anchenella sfera propriamente intellettuale, lo Spinoza puòsempre rispondere che si tratta non di idee appartenentia questa, ma di rappresentazioni dell’immaginazione. Ilprocedimento è senza dubbio molto facile e molto co-modo, ma non si può giudicare troppo utile, perchè ilproblema vero che si tratta di risolvere è quello di sape-re come e perchè noi scambiamo le idee di un generecon quelle di un altro nei casi in cui sembra che il pen-siero funzioni con le sole sue forze. Che la tesi spinozi-stica sia accettabile è tutt’altro che chiaro: si pensi, adesempio, alle discussioni sorte fra i matematici a propo-sito del calcolo infinitesimale, a quelle più vicine a noitra i logicisti e il Poincaré sulla natura del ragionamentoproprio della loro scienza, alle polemiche recentissimesulla teoria dell’Einstein e poi si dica se è possibile am-mettere con lo Spinoza che coloro che errano sono tra-

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viati dalla immaginazione solamente e confondono leimmagini con le idee. Ma, anche se ciò venisse accorda-to, si ripresenterebbe la difficoltà già indicata: come maila mente può essere tanto accecata da cedere all’imma-ginazione, mentre è convinta di procedere in modo pu-ramente razionale? e come è possibile evitare l’errore,se esso può nascondersi sotto l’aspetto della conoscenzapiù altamente e rigorosamente intellettuale?

È ben vero che lo Spinoza può credere di risolvere ladifficoltà affermando «veritas norma sui et falsi est»,talchè verità e certezza si identificano; ma anche questaè una pura e vana tautologia, finchè non si sa come, inun caso determinato, si possa distinguere la certezza chedeve esser propria soltanto della conoscenza veradall’assenza di dubbio, che può accompagnare anchel’errore. Dire che si tratta di due stati ben diversi, positi-vo l’uno, negativo l’altro, non serve a nulla, perchè chi èconvinto di una tesi che altri giudica falsa è certo di es-sere nel vero. Voi potete dirgli che la sua non è certezza,ma egli, per conto suo, è ben sicuro che è tale e che in-vece, date le vostre premesse, siete voi che non la posse-dete. Effettivamente allo Spinoza sfugge il carattere es-senziale dell’errore, quello di venire accompagnato dal-la convinzione di essere nella verità; si comprende,quindi che la sua teoria non possa offrire una soluzionedel problema.

E ciò non basta: stando al determinismo spinozistico,tutto è necessario e quindi anche l’errore: del resto, nonsi legge forse nell’Ethica che le idee confuse e inade-

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viati dalla immaginazione solamente e confondono leimmagini con le idee. Ma, anche se ciò venisse accorda-to, si ripresenterebbe la difficoltà già indicata: come maila mente può essere tanto accecata da cedere all’imma-ginazione, mentre è convinta di procedere in modo pu-ramente razionale? e come è possibile evitare l’errore,se esso può nascondersi sotto l’aspetto della conoscenzapiù altamente e rigorosamente intellettuale?

È ben vero che lo Spinoza può credere di risolvere ladifficoltà affermando «veritas norma sui et falsi est»,talchè verità e certezza si identificano; ma anche questaè una pura e vana tautologia, finchè non si sa come, inun caso determinato, si possa distinguere la certezza chedeve esser propria soltanto della conoscenza veradall’assenza di dubbio, che può accompagnare anchel’errore. Dire che si tratta di due stati ben diversi, positi-vo l’uno, negativo l’altro, non serve a nulla, perchè chi èconvinto di una tesi che altri giudica falsa è certo di es-sere nel vero. Voi potete dirgli che la sua non è certezza,ma egli, per conto suo, è ben sicuro che è tale e che in-vece, date le vostre premesse, siete voi che non la posse-dete. Effettivamente allo Spinoza sfugge il carattere es-senziale dell’errore, quello di venire accompagnato dal-la convinzione di essere nella verità; si comprende,quindi che la sua teoria non possa offrire una soluzionedel problema.

E ciò non basta: stando al determinismo spinozistico,tutto è necessario e quindi anche l’errore: del resto, nonsi legge forse nell’Ethica che le idee confuse e inade-

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Page 33: Il problema dell’errore nella filosofia di B. Spinoza · Adolfo Levi Il problema dell’errore nella filosofia di B. Spinoza . Questo e-book è stato realizzato anche grazie al

guate si seguono tanto necessariamente quanto le loroopposte? Ma allora, quale speranza rimane di evitarle ecome si può avere la convinzione fondata di cogliere ilvero? Se ciò che io penso, lo penso per una necessitàineluttabile, se non posso pensare diversamente, nullami garantisce che ciò cui la mia mente aderisce più for-temente sia il vero: e se la stessa metafisica spinozisticaera imposta al suo autore da un determinismo universaleinflessibile, egli avrebbe pur dovuto almeno provare ilsospetto che fosse errata da capo a fondo. Così, per lesue stesse premesse, lo Spinoza doveva essere portato ariconoscere che non si è mai certi di evitare l’errore.

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guate si seguono tanto necessariamente quanto le loroopposte? Ma allora, quale speranza rimane di evitarle ecome si può avere la convinzione fondata di cogliere ilvero? Se ciò che io penso, lo penso per una necessitàineluttabile, se non posso pensare diversamente, nullami garantisce che ciò cui la mia mente aderisce più for-temente sia il vero: e se la stessa metafisica spinozisticaera imposta al suo autore da un determinismo universaleinflessibile, egli avrebbe pur dovuto almeno provare ilsospetto che fosse errata da capo a fondo. Così, per lesue stesse premesse, lo Spinoza doveva essere portato ariconoscere che non si è mai certi di evitare l’errore.

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