IL PLANCTON GELATINOSO E LA CAMPAGNA “OCCHIO ...braccia orali, il colore del corpo è violetto....

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IL PLANCTON GELATINOSO E LA CAMPAGNA “OCCHIO ALLA MEDUSA” Gli oceani del globo stanno sempre più mostrando un aspetto a cui non eravamo abituati. Prima erano popolati da pesci, mentre ora sono popolati da meduse. Si dice, quindi, che ci sia un cambiamento di regime. I pesci sono diminuiti per un motivo molto semplice: li abbiamo presi noi. La natura aborre il vuoto, e se un attore viene meno (in questo caso i pesci) un altro attore prende il suo posto (in questo caso le meduse). La parola meduse non descrive correttamente il fenomeno, bisognerebbe dire “il plancton gelatinoso”. Sono molto pochi gli studiosi di questa porzione della biodiversità e la presenza di plancton gelatinoso è irregolare. Non si può prevedere quando sarà presente, e questo lo rende molto difficile da studiare. Per questo motivo Ferdinando Boero, aiutato da Stefano Piraino, Cinzia Gravili e da Emanuele Prontera, ha ideato la campagna Occhio alla Medusa, nell’ambito delle attività previste nel suo ruolo di presidente del Comitato Ecosistemi Marini della Commissione per il Mediterraneo (CIESM). A questa campagna si sono associati il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) e l’associazione ambientalista Marevivo. Lo slogan Occhio alla Medusa non avrebbe avuto la stessa efficacia se fosse stato, come la terminologia scientifica richiede: Occhio al plancton gelatinoso! Centinaia e centinaia di cittadini hanno risposto all’appello di Boero, ed è stato possibile, nel 2009, ricostruire la presenza lungo le coste italiane delle principali specie di plancton gelatinoso del Mediterraneo. La scienza dei cittadini è uno strumento indispensabile per avere informazioni su eventi imprevedibili e difficili da studiare con i mezzi disponibili. La campagna ha vinto il primo premio assoluto “Best Communication Award” al salone Big Blu di Roma e il premio come miglior campagna scientifica, sempre nell’ambito della stessa iniziativa. I risultati della campagna hanno raggiunto la copertina di Time magazine e sono stati menzionati anche dal New York Times. Nel 2010 la campagna pilota, sperimentata con successo lungo gli ottomila chilometri di coste italiane, verrà estesa a tutto il bacino del Mar Mediterraneo e il manifesto, realizzato dall’artista Alberto Gennari e dal grafico Fabio Tresca (con la collaborazione del grafico Giuseppe Guarnieri), verrà tradotto in tutte le lingue dei popoli del Mediterraneo. La campagna 2010 è stata adottata dal mensile Focus, che le ha dedicato uno spazio sulla sua pagina web, per seguire in tempo reale le segnalazioni del pubblico. Nelle pagine seguenti sono descritte le meduse riportate nel poster.

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IL PLANCTON GELATINOSO E LA CAMPAGNA “OCCHIO ALLA MEDUSA” Gli oceani del globo stanno sempre più mostrando un aspetto a cui non eravamo abituati. Prima erano popolati da pesci, mentre ora sono popolati da meduse. Si dice, quindi, che ci sia un cambiamento di regime. I pesci sono diminuiti per un motivo molto semplice: li abbiamo presi noi. La natura aborre il vuoto, e se un attore viene meno (in questo caso i pesci) un altro attore prende il suo posto (in questo caso le meduse). La parola meduse non descrive correttamente il fenomeno, bisognerebbe dire “il plancton gelatinoso”. Sono molto pochi gli studiosi di questa porzione della biodiversità e la presenza di plancton gelatinoso è irregolare. Non si può prevedere quando sarà presente, e questo lo rende molto difficile da studiare. Per questo motivo Ferdinando Boero, aiutato da Stefano Piraino, Cinzia Gravili e da Emanuele Prontera, ha ideato la campagna Occhio alla Medusa, nell’ambito delle attività previste nel suo ruolo di presidente del Comitato Ecosistemi Marini della Commissione per il Mediterraneo (CIESM). A questa campagna si sono associati il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) e l’associazione ambientalista Marevivo. Lo slogan Occhio alla Medusa non avrebbe avuto la stessa efficacia se fosse stato, come la terminologia scientifica richiede: Occhio al plancton gelatinoso! Centinaia e centinaia di cittadini hanno risposto all’appello di Boero, ed è stato possibile, nel 2009, ricostruire la presenza lungo le coste italiane delle principali specie di plancton gelatinoso del Mediterraneo. La scienza dei cittadini è uno strumento indispensabile per avere informazioni su eventi imprevedibili e difficili da studiare con i mezzi disponibili. La campagna ha vinto il primo premio assoluto “Best Communication Award” al salone Big Blu di Roma e il premio come miglior campagna scientifica, sempre nell’ambito della stessa iniziativa. I risultati della campagna hanno raggiunto la copertina di Time magazine e sono stati menzionati anche dal New York Times. Nel 2010 la campagna pilota, sperimentata con successo lungo gli ottomila chilometri di coste italiane, verrà estesa a tutto il bacino del Mar Mediterraneo e il manifesto, realizzato dall’artista Alberto Gennari e dal grafico Fabio Tresca (con la collaborazione del grafico Giuseppe Guarnieri), verrà tradotto in tutte le lingue dei popoli del Mediterraneo. La campagna 2010 è stata adottata dal mensile Focus, che le ha dedicato uno spazio sulla sua pagina web, per seguire in tempo reale le segnalazioni del pubblico. Nelle pagine seguenti sono descritte le meduse riportate nel poster.

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Aurelia aurita Linnaeus, 1758 Aurelia vive in tutti gli oceani dell’emisfero settentrionale, dove può essere molto abbondante. L’ombrello misura fino a 30-40 cm, ha tentacoli sul margine, il corpo è discoidale, biancastro, con gonadi disposte in quattro cerchi visibili in trasparenza. Il manubrio ha quattro lunghe braccia orali. Molti canali radiali collegano il centro e la periferia dell’ombrello. Le meduse, come tutti gli cnidari, sono dotate di cnidocisti, organelli cellulari che iniettano un veleno più o meno potente quando l’animale entra in contatto con una preda o con un nemico. Il veleno di Aurelia è innocuo per l’uomo e questa medusa può essere toccata impunemente (in Cina questa medusa è un piatto molto popolare). Le meduse, però, sono molto delicate e i contatti possono danneggiarle: meglio non toccarle. Il ciclo di Aurelia può esemplificare il ciclo di molte meduse. La medusa rappresenta l’adulto e, dalla fecondazione delle uova di un individuo da parte degli spermatozoi prodotti da un altro individuo, deriva una piccola larva planctonica, detta planula. La larva nuota e poi va a insediarsi sul fondo, dove si trasforma in un polipo, un piccolo animale con il corpo sacciforme, con una bocca circondata di tentacoli, con i quali cattura i piccoli crostacei di cui si nutre. Con l’arrivo della stagione favorevole, il polipo inizia il processo di strobilazione, si forma una serie di costrizioni sul suo corpo, che assume la fisionomia di una pila di piatti. Ogni “piatto” costituisce una piccola medusa, detta efira. Le efire man mano si liberano e iniziano una vita planctonica, crescendo fino a diventare meduse. Le meduse adulte si riproducono sessualmente, e il ciclo ricomincia. Ogni fecondazione porta ad una planula e un polipo, ma ogni polipo può produrre anche centinaia di piccole meduse. Quando le meduse scompaiono, di solito sono sul fondo del mare, sotto forma di polipi. E sono i polipi a produrne a miliardi, quando il mare si riempie di meduse. Aurelia vive bene in acquario e può essere osservata negli acquari marini di tutto il mondo.

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Pelagia noctiluca e Carybdea marsupialis Pelagia è uno scifozoo, come Aurelia, ma il suo ciclo non comprende una fase di polipo. Lo sviluppo dell’uovo fecondato porta ad una efira che poi diventerà una medusa adulta. L’ombrello misura una decina di centimetri, è armato di otto lunghi tentacoli che, estesi, possono raggiungere anche i dieci metri, la bocca è dotata di otto lunghe braccia orali, il colore del corpo è violetto. Pelagia, in piena estate, può formare dei banchi estesissimi che flagellano le coste anche per mesi, rendendo impraticabili le spiagge di lunghi tratti. La puntura è dolorosa e può lasciare segni che, col tempo, di solito scompaiono. Il veleno è termolabile, e l’applicazioni di superfici calde (sabbia o sassi riscaldati dal sole) lenisce il dolore. Non si deve mai usare acqua dolce per lavare le zone punte dalle meduse. Se il dolore persiste, meglio rivolgersi in farmacia o in un pronto soccorso balneare. Nei primi anni Ottanta Pelagia è stata molto abbondante in tutto il Mediterraneo, poi è scomparsa e riapparsa ad intervalli più o meno decennali, ma dal caldissimo 2003 la sua presenza, soprattutto nel Mediterraneo Occidentale, è quasi costante. I banchi sono molto fitti e se arrivano ad un impianto di maricoltura, i pesci in allevamento possono essere uccisi. Dato che le meduse mangiano anche uova e larve di pesci, l’impatto sugli stock ittici e sulla pesca può essere devastante. Carybdea marsupialis è un cubozoo, come le meduse mortali per l’uomo lungo le coste australiane. Il polipo non produce efire ma si trasforma totalmente in una medusa. Carybdea non ha un veleno mortale, le sue punture fanno male ma gli intensi effetti sono brevi. L’ombrello è cubico, misura pochi centimetri, è armato da quattro lunghi tentacoli. Il nuoto è molto vigoroso. Queste meduse sono attratte dalla luce e si avvicinano alla costa durante la notte. Carybdea sta diventando sempre più frequente lungo le nostre coste. Pelagia e Carybdea sono tipicamente mediterranee e sono le meduse più urticanti dei nostri mari.

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Velella velella e Physalia physalis Velella (Barchetta di San Pietro) e Physalia (Caravella portoghese) non vivono in sospensione nell’acqua, ma galleggiano sulla superficie del mare. Inoltre non sono individui singoli, come le meduse, ma sono colonie. Velella è una colonia di 4-8 cm, formata da polipi blu che, invece di vivere attaccati al fondo, come i polipi di Aurelia, sono attaccati a un galleggiante chitinoso munito di vela, che porta la colonia a spasso, con l’aiuto del vento. La colonia, verso la fine della sua vita di pochi mesi, produce meduse di pochi millimetri, gli adulti sessuati, che con la fecondazione produrranno planule da cui si svilupperanno altre colonie galleggianti di polipi. Velella può essere presente in sciami enormi, lunghi anche diversi chilometri. Inevitabilmente trovano una costa, e spiaggiano, ma questo di solito avviene alla fine del ciclo, quando le meduse si sono staccate dalle colonie. Velella è un idrozoo e produce meduse per gemmazione laterale dai polipi, rientrando per questo nelle idromeduse. Mentre gli scifozoi le producono per strobilazione (la pila di efire descritta in Aurelia). Anche Physalia è un idrozoo come Velella, ma non è un’idromedusa, è un sifonoforo. E’ formata da una colonia di forme polipoidi e medusoidi che coesistono. Una grande pneumatofora, una vescica piena di gas, fa galleggiare la colonia. Ci sono polipi dotati di bocca, che ingeriscono le prede, e polipi armati di cnidocisti dotate di un potentissimo veleno, molto efficace anche nei nostri confronti. In alcuni casi, l’incontro con Physalia può essere fatale. Velella è comune in Mediterraneo, mentre Physalia, pur essendo stata segnalata anche in passato, non si incontra di frequente. Nel 2009, però, ha colpito diverse volte nel Mediterraneo Occidentale, in Corsica, in Liguria e lungo le coste della Toscana. Alcuni bagnanti sono stati ricoverati in ospedale. La pneumatofora di Physalia può misurare 15 cm, ma i tentacoli possono raggiungere anche i 30 m, se completamente estesi. Chi viene colpito raramente vede l’animale, sente solo una fortissima scarica. Velella, invece, è innocua.

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Mnemiopsis leidyi e Leucothea multicornis Gli ctenofori sono gelatinosi come gli cnidari, ma non hanno cnidocisti e, quindi, non sono velenosi. I loro tentacoli hanno i colloblasti, organelli cellulari che si attaccano alle prede senza però intossicarle. Gli ctenofori, innocui per noi, non nuotano con le pulsazioni del corpo, come fanno le meduse, ma sono dotati di otto bande ciliate che, battendo, fanno da propulsori. L’iridescenza che si vede sui loro corpi è dovuta proprio alle bande ciliate che battono come tanti piccolissimi remi. Mnemiopsis, uno ctenoforo lungo poco più di 10 cm, è arrivata in Mar Nero negli anni ottanta, portata dalle acque di zavorra delle petroliere che, dagli USA, vanno in Crimea a rifornirsi di petrolio. In Mar Nero ha proliferato e ha dato origine a popolazioni enormi. L’ecosistema, indebolito da inquinamento e sovrappesca, non ha reagito bene all’invasore che, in poco tempo, ha depauperato le risorse ittiche, mangiando le uova e le larve dei pesci, e anche le prede planctoniche delle larve stesse. La sua azione è stata sia di predazione, sia di competizione con i pesci, all’inizio del loro ciclo. Per decenni Mnemiopsis non è uscita dal Mar Nero, se non per qualche apparizione sporadica nel Mar Egeo. Nel 2009, però, è stata trovata in grandi quantità in tutto il Mediterraneo, dalle Coste di Israele al Bacino Occidentale. Non sappiamo ancora se il suo impatto sarà come quello subito dal Mar Nero. Gli effetti sono subdoli, perché questi predatori non fanno scomparire i pesci con la loro presenza, fanno scomparire i futuri pesci, e il loro effetto ci diventa evidente, sotto forma di diminuzione del pescato, quando magari questi predatori non sono più così abbondanti o sono addirittura assenti. In Mediterraneo gli ctenofori non sono inusuali, e il sistema ha una lunga storia di coesistenza con loro. Leucothea, lunga anche 20 cm, per esempio, ha caratteristiche che potrebbero renderla ecologicamente simile a Mnemiopsis ma non forma mai grandi sciami e il suo impatto per il momento è sempre stato minimo.

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Rhizostoma pulmo Le meduse più grandi del mondo misurano tre metri di diametro e arrivano a pesare 250 chili. Rhizostoma è la medusa più grande del Mediterraneo, dopo Drymonema dalmatinum, il diametro del suo ombrello può superare il mezzo metro, e può pesare fino a dieci chili. Il colore è bianco, con un orlo blu lungo il margine dell’ombrello. Il manubrio è grande, e assomiglia ad un cavolfiore bianco. Non ha una sola grande bocca, ma tante piccolissime bocche. I tentacoli sono corti e non sono armati di cnidocisti pericolose per noi. Spesso Rhizostoma diventa riparo per pesci pelagici, e ci sono granchi che vivono tra le sue braccia orali. L’uniformità della colonna d’acqua non offre ripari, ma queste grandi meduse, spesso presenti in grandissima quantità, diventano dei microcosmi utilizzati da altri organismi. Il portamento di Rhizostoma è maestoso, le pulsazioni sono lente e possenti. Una volta consci che non ci può far male, guardarla nel suo ambiente diventa uno spettacolo che ha pochi confronti, soprattutto se si osserva un banco in movimento. Sembrano astronavi aliene in navigazione spaziale. Non a caso, negli acquari di tutto il mondo, le meduse sono oramai tra le attrattive principali. Vederle nel loro ambiente è un’emozione ancora più grande. Rhizostoma è considerata edule da molti popoli, prima di tutto i Cinesi. La sua abbondanza lungo le nostre coste potrebbe diventare allora una duplice risorsa. Potrebbe diventare un’attrattiva turistica, quando dovesse affermarsi la moda del jellyfish watching, e potrebbe anche diventare una risorsa alimentare, se la cucina mediterranea saprà valorizzarne le caratteristiche. Non dimentichiamo che le meduse sono fatte in gran parte di acqua. Mangiarle, quindi, fornisce un limitato apporto nutrizionale e questo potrebbe essere un grande vantaggio, vista la ipernutrizione che caratterizza le nostre diete. Cibo naturale, con pochissimi grassi, o, in alternativa, un elegantissimo spettacolo della natura.

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Phyllorhiza punctata Phyllorhiza appartiene alla stessa famiglia di Rhizostoma, in comune le due meduse hanno le dimensioni (anche più di mezzo metro) e la struttura generale. Ma mentre Rhizostoma è biancastra con un bordino blu, Phyllorhiza è biancastra-azzurra e coperta di macchie bianche, da cui il nome. Una medusa a pois. E’ originaria dell’Australia, ma da qualche anno ha iniziato a girare il mondo. E’ arrivata lungo le coste atlantiche degli Stati Uniti e ha fatto danni paragonabili a quelli che Mnemiopsis ha causato in Mar Nero. Anche Phyllorhiza, come Rhizostoma, non infligge punture dolorose e quindi non costituisce una minaccia per il turismo e per la salute umana. Però si nutre di plancton di crostacei e, probabilmente, di uova e di larve di pesci. Come Mnemiopsis, quindi, può essere sia competitore sia predatore dei pesci, interagendo negativamente con le loro larve. In concomitanza con gli sciami di Phyllorhiza, lungo le coste della Florida, il pescato è crollato. Mnemiopsis, autoctona di quel mare, non causa grandi problemi, ma una specie non coevoluta con il sistema, come Phyllorhiza, può causare flagelli. Phyllorhiza è stata segnalata qualche volta nel bacino orientale del Mediterraneo, probabilmente si trattava di esemplari entrati attraverso il canale di Suez. Nel 2009 un esemplare di Phyllorhiza è stato fotografato lungo le coste dell’isola di Tavolara, in Sardegna. E’ la prima volta che questa medusa raggiunge il Mediterraneo occidentale, e si tratta della prima volta che entra a far parte della fauna italiana. Forse non farà proprio nulla, e questo arrivo rimarrà isolato. Oppure si tratta di un avamposto che potrebbe causare gli stessi effetti che hanno colpito le coste della Florida qualche anno fa. Come Rhizostoma, anche Phyllorhiza è bellissima e commestibile. Se ci abitueremo alla sua presenza, e la apprezzeremo, magari poi ci preoccuperemo se verrà improvvisamente a mancare!

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Aequorea forskalea e Olindias phosphorica Sono entrambe idromeduse, e gemmano lateralmente da forme polipoidi che vivono fissate al fondo. Non hanno grandi dimensioni, rispetto alle scifomeduse, Aequorea raggiunge i 10 cm di diametro, Olindias arriva a 7 cm. Non formano mai banchi estesi, ma possono essere localmente abbondanti. Aequorea non è urticante, e si distingue facilmente dalle altre meduse per i tantissimi canali radiali che congiungono il centro e il margine dell’ombrello appiattito. La bocca e il manubrio sono inseriti in un bulbo gelatinoso che parte dal centro dell’ombrello e si proietta verso il basso. Aequorea victoria, una medusa molto abbondante lungo le coste pacifiche del Nord America, ha permesso l’isolamento della proteina verde fluorescente (GFP), una sostanza alla base della fluorescenza di molte meduse. La scoperta ha portato ad applicazioni in campo diagnostico, permettendo di marcare specifiche linee cellulari. Gli scopritori e sintetizzatori della GFP hanno meritato il premio Nobel per la chimica nel 2008. Le meduse ci aiutano e ci rivelano segreti utilissimi. Olindias ha un comportamento molto particolare. Dopo un periodo di riposo sul fondo, inizia a battere vigorosamente l’ombrello e sale verso la superficie, per poi lasciarsi cadere verso il fondo, con i tentacoli espansi. Durante la discesa la medusa pesca, catturando il plancton di cui si nutre. Olindias è leggermente urticante, quel tanto che basta per rovinare una giornata. Vedendole salire dal fondo si ha l’impressione che queste meduse ci stiano attaccando e che percepiscano la nostra presenza. Ma è solo un’impressione. Olindias, negli anni scorsi, è stata molto abbondante lungo le coste della Tunisia, causando notevoli problemi all’industria del turismo. Nel 2009 la presenza di queste meduse lungo le nostre coste è stata sporadica e non si sono registrati fenomeni di presenze massive.

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Chrysaora hysoscella Chrysaora è simile alla temuta Pelagia ma è molto meno urticante. Inoltre, almeno in Mediterraneo, pare non formi estesi banchi come accade, invece, per la sua cugina rossastra. L’ombrello di Chrysaora può raggiungere i 30 cm di diametro, il manubrio presenta quattro braccia orali che possono raggiungere anche un metro di lunghezza. La faccia superiore dell’ombrello è decorata con sedici bande a forma di V che partono dal centro dell’ombrello e raggiungono il margine, dove sono presenti 24 tentacoli, in gruppi di tre. Chrysaora vive in Atlantico e si spinge molto a nord, dove, ad esempio nei fiordi norvegesi, può raggiungere grandissime densità. In Mediterraneo, invece, non è mai molto abbondante, anche se è abbastanza frequente. Si tratta di un animale molto elegante, un soggetto perfetto per la fotografia subacquea. Molte specie di meduse sono a sessi separati e, quindi, possono essere o maschio o femmina. Chrysaora, invece, è ermafrodita proterandrica. Quando le efire si liberano dai polipi bentonici, per un processo di strobilazione, iniziano a crescere e diventano meduse giovanili. La prima maturità sessuale avviene precocemente, e gli esemplari di piccole dimensioni sono tutti maschi. Con l’aumentare delle dimensioni, le meduse cambiano sesso e diventano femmine. Dopo la maturità sessuale, la liberazione dei gameti e la produzione delle planule che, poi, si fisseranno al fondo e diventeranno polipi, le meduse muoiono. La loro vita è di solito di poche settimane, per le specie di piccole dimensioni, o di qualche mese per quelle più grandi. La fase più stabile è quella di polipo, che può vivere anche molti anni. Un polipo può dare origine a centinaia di meduse per molti anni di seguito. I polipi possono vivere senza produrre grandi quantità di meduse per diversi anni, per poi produrne quantità prodigiose in anni particolari. Queste esplosioni demografiche, in passato, erano relativamente rare, ma ora sono diventate la norma e le meduse faranno sempre più parte delle nostre esperienze marine.

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Cotylorhiza tuberculata E’ una delle più belle meduse del Mediterraneo, e forse del mondo. Cotylorhiza è endemica del Mar Mediterraneo, dove può essere molto abbondante, soprattutto nelle baie. Le popolazioni di queste meduse sono sostentute dalla presenza di polipi bentonici che, regolarmente, anno dopo anno, producono le meduse che popoleranno il mare circostante e che, a loro volta, alla fine del ciclo, dopo circa sei mesi, attraverso la riproduzione sessuale, produrranno altri polipi, mantenendo stabile la popolazione. L’ombrello può misurare anche 40 cm, è molto rigido e tondeggiante al centro, dove ha colorazione rossastra o gialla, mentre la parte più esterna è mobile e fa procedere la medusa con le sue vigorose pulsazioni. Sotto l’ombrello, il manubrio assomiglia a un bouquet di fiori di campo, con bottoni blu-viola, inseriti su tozze braccia. Alcuni tentacoli, anch’essi terminanti con bottoni blu, fuoriescono dal manubrio. Questa medusa è praticamente innocua per l’uomo anche se, comunque, è meglio non toccare mai il plancton gelatinoso, per non danneggiare questi delicatissimi animali. Cotylorhiza può avere microalghe simbionti nei propri tessuti, proprio come i coralli delle formazioni coralline tropicali. Funzionalmente, quindi, si può definire una pianta, anche se si può nutrire di zooplancton. Queste sue caratteristiche la rendono probabilmente innocua alla maggior parte dei pesci e, come Rhizostoma, anche Cotylorhiza è spesso associata a pesci più o meno grandi che la adottano come riparo e persino rifugio. Nel 2009 questa specie è stata frequente nei mari italiani più meridionali, quasi a mostrare una preferenza per le acque più calde. La sua distribuzione è speculare a quella di Carybdea marsupialis, presente nelle aree più settentrionali dei mari italiani.

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Rhopilema nomadica Il genere Rhopilema è tipico dell’Indopacifico e non ha rappresentanti atlantici nè tantomeno mediterranei. Una specie di Rhopilema, negli anni ottanta, è diventata improvvisamente molto abbondante lungo le coste israeliane del Mediterraneo. Gli zoologi che studiarono questa specie si resero conto che si trattava di una medusa mai osservata prima, una specie nuova per la scienza. Rhopilema nomadica può raggiungere i 60 cm di diametro dell’ombrello, è fortemente urticante, e forma sciami estesissimi. Difficilmente sarebbe rimasta inosservata, se fosse stata presente in Mediterraneo. Gli autori che la descrissero, quindi, ipotizzarono che fosse migrata all’interno del Mediterraneo a partire dal Mar Rosso, attraverso il Canale di Suez. Da qui il nome di nomadica. In effetti, comunque, in Mar Rosso non era mai stata vista. Dalla sua comparsa, Rhopilema ha causato moltissimi danni nel bacino orientale del Mediterraneo. Uno sciame è stato addirittura risucchiato dall’impianto di raffreddamento di una centrale elettrica israeliana, provocando un surriscaldamento che ha messo in pericolo la funzionalità della centrale. Notevolissimi sono i danni alla pesca e al turismo. Rhopilema non è mai arrivata nei mari italiani, probabilmente perché le temperature non sono abbastanza alte per questa specie tropicale, non è però escluso che, come altre specie tropicali, possa colonizzare anche i nostri mari. Studi fisiologici di tolleranza alle temperature hanno mostrato che Rhopilema non sopravvive a temperature simili a quelle del Mediterraneo occidentale. Il riscaldamento globale, però, potrebbe spianare la strada all’espansione di questa medusa anche nei nostri mari. Le dimensioni non la fanno certamente passare inosservata, e neppure gli effetti negativi che la sua sola presenza può causare. Potrebbe essere confusa con Rhizostoma ma, oltre ad essere fortemente urticante, mentre Rhizostoma è innocua, Rhopilema non ha il caratteristico bordo blu dell’ombrello.

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Salpa democratica Il macroplancton gelatinoso non è rappresentato solo da carnivori, siano essi cnidari o ctenofori. Ci sono anche molte forme erbivore, i taliacei, appartenenti al nostro stesso Phylum: i cordati. Questi animali filtrano l’acqua marina attraverso le loro branchie coperte di muco. E’ proprio il muco ad intrappolare il fitoplancton e i batteri che, quindi, vengono ingeriti assieme al muco che li ha inglobati. Salpa democratica si chiama così perché può formare lunghe catene di zooidi a forma di barilotto, con una evidente macchia arancione ben visibile in trasparenza. Le catene possono essere lunghe anche sei metri. Le salpe possono formare banchi estesissimi che, di solito, si sviluppano lontano dalla costa. Le esplosioni demografiche di questi animali sono improvvise e durano solo pochi giorni. In questi giorni, però, il microplancton viene filtrato in modo efficientissimo, e poco rimane per i crostacei filtratori che sono alla base delle reti alimentari che arrivano ai pesci e poi anche a noi. I taliacei, quindi, competono con i crostacei per utilizzare la componente microscopica del plancton. Invece di essere nutrimento per altri anelli della catena trofica marina, come avviene invece per i crostacei che sono mangiati dalle larve dei pesci, i taliacei muoiono, dopo essersi riprodotti, e vengono aggrediti dai batteri che li decompongono mentre sono ancora in sospensione nell’acqua. Poi cadono sul fondo e diventano detrito che viene utilizzato dal benthos, gli animali che vivono direttamente a contatto con il fondo. I taliacei non hanno né cnidocisti né colloblasti, sono assolutamente innocui per noi ma possono danneggiarci perché la loro presenza impoverisce il mare, almeno per quel che riguarda il soddisfacimento delle nostre necessità alimentari.

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Cassiopea andromeda E’ entrata in Mediterraneo dal Canale di Suez e attualmente sta risalendo lungo le coste turche. All’inizio del 2010 è stata segnalata a Malta, e quindi è arrivata alle porte di casa nostra. Di solito si trova su fondi sabbiosi, ma può essere presente anche su quelli rocciosi. Piccola, massimo 30 cm, vive posata sul fondo marino. L'ombrello è rivolto verso il basso, mentre bocca e tentacoli verso l’alto: per questo Cassiopea viene chiamata in inglese "medusa al contrario". Sta rivolta verso l’alto perché possiede alghe unicellulari come quelle dei coralli delle formazioni coralline che vivono in simbiosi con la medusa e che quest'ultima deve esporre alla luce che filtra nell'acqua. Non è pericolosissima, ma è meglio non toccarla perché produce muco nel quale sono presenti le cellule urticanti, e se si entra in contatto con quest'ultimo, si possono avere irritazioni. Le campagne di avvistamento di meduse hanno lo scopo di chiedere aiuto ai cittadini per ricostruire la distribuzione delle meduse e dell'altro plancton gelatinoso nei nostri mari, ma stanno anche portando alla segnalazione di specie nuove per le acque italiane, come è avvenuto per Mnemiopsis e per Phyllorhiza. Cassiopea, proprio come Rhopilema, non è ancora stata trovata nelle nostre acque, e forse non ci arriverà mai. E' però arrivata molto vicino a noi e quindi potrebbe farci visita presto. La probabilità che un esperto di meduse riesca ad incontrarla sin dalle sue prime visite è bassa. E' per questo che l'aiuto dei cittadini diventa essenziale.

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Drymonema dalmatinum Heckel, un grande naturalista tedesco, la descrisse per la prima volta nel 1880: una grande medusa nelle coste della Dalmazia, in Adriatico, e la chiamò Drymonema dalmatinum. Per molti anni quella descrizione fu l'unica testimonianza della esistenza di questa specie, ma nel 1940 un altro ricercatore (Stiasny) la ritrovò, sempre sulle coste orientali dell'Adriatico. Poi più nulla, per decenni. Fino a quando Drymonema non diventò un flagello, per qualche tempo, lungo le coste di Puerto Rico. Ora è riapparsa lungo le coste croate e quindi potrebbe facilmente arrivare in acque italiane. Drymonema è una specie molto rara, molto simile alla medusa più grande del mondo, la Cyanea capillata dei mari nordici che raggiunge anche i 2 metri. Anche Drymonema è di notevoli dimensioni: può arrivare fino a 1 metro di diametro ed è la più grande medusa del Mediterraneo. Come è possibile che un animale così grande possa passare inosservato per decenni? Probabilmente trascorre questi lunghi periodi sul fondo del mare, in forma di piccoli polipi attaccati alle rocce. I polipi possono vivere (come piccoli coralli) per decenni e poi, all'improvviso, produrre meduse. A volte poche, quel tanto che basta per formare nuovi polipi con i processi riproduttivi. Ma se le condizioni diventano favorevoli, le meduse possono diventare miliardi. E’ fortemente urticante e pericolosa anche a causa delle sue grandi dimensioni.

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