Il Pesarese ed i suoi capolavori (Simone Cantarini 1612-1648)

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Mario Mancigotti è nato a Pesaro nel 1922 e si è laureato in lettere nel 1946 all’Università di Urbino con una tesi in Storia dell’Arte su Simone Cantarini, discussa con il prof. Pasquale Rotondi. Nel 1975, in occasione del primo cen- tenario di fondazione della Banca Popolare di Pesaro è stata pubblicata la sua prima monografia su Simone Cantarini, che ha costituito una pietra miliare per lo studio del pittore pesarese. Un testo agile ed esaustivo che colma una lacuna ina- cettabile, quella della mancanza di un testo divulgativo e di agevole lettura sulla vita e sull’opera di un artista eletto: Simone Cantarini detto “il Pesarese”. Questo testo, riccamente illustrato, ripercorre le varie tappe dell’iter biografico ed estetico del “Pesarese”, autore di originali pagine pittoriche, ma anche e soprattutto il più eccelso incisore del ‘600 ed inesauribile disegnatore. Un volume indispensabile per tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della pittura italiana. MARIO MANCIGOTTI IL PESARESE ED I SUOI CAPOLAVORI (SIMONE CANTARINI - 1612 - 1648) In copertina: “Riposo in Egitto” (particolare) olio su tela cm 41x57 Parigi, Louvre M. MANCIGOTTI IL PESARESE ED I SUOI CAPOLAVORI

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Un testo agile ed esaustivo che colma una lacuna inaccettabile, quella della mancanza di un testo divulgativo e di agile lettura, sulla vita e sull'opera di un artista eletto: Simone Cantarini detto "il Pesarese".

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Mario Mancigotti è nato a Pesaro nel 1922 e si è laureato in lettere nel 1946 all’Università di Urbino con una tesi in Storia dell’Arte su Simone Cantarini, discussa con il prof. Pasquale Rotondi.

Nel 1975, in occasione del primo cen-tenario di fondazione della Banca Popolare di Pesaro è stata pubblicata la sua prima monografia su Simone Cantarini, che ha costituito una pietra miliare per lo studio del pittore pesarese.

Un testo agile ed esaustivo che colma una lacuna ina-cettabile, quella della mancanza di un testo divulgativo e di agevole lettura sulla vita e sull’opera di un artista eletto: Simone Cantarini detto “il Pesarese”.

Questo testo, riccamente illustrato, ripercorre le varie tappe dell’iter biografico ed estetico del “Pesarese”, autore di originali pagine pittoriche, ma anche e soprattutto il più eccelso incisore del ‘600 ed inesauribile disegnatore.

Un volume indispensabile per tutti coloro che desiderano approfondire la conoscenza della pittura italiana.

MARIO MANCIGOTTI

IL PESARESEED I SUOI CAPOLAVORI

(SIMONE CANTARINI - 1612 - 1648) In copertina:

“Riposo in Egitto” (particolare)

olio su tela cm 41x57Parigi, Louvre

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A Luisa...

al mio fianco nel cammino della vita, mano nella mano, per oltre mezzo secolo ed ora un angelo di luce lassù, per sempre!

Mario

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Il Pesarese è il poeta della malinconia, che traspare non soltanto dai moti espressivi delle sue creature artistiche, ma anche dalle cadenze crepuscolari della sua tavolozza.

Mario Mancigotti

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MARIO MANCIGOTTI

I L PE SAR E S EED I SUOI CAPOLAVORI

SIMONE CANTARINI 1612-1648

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Premessa 11

Introduzione 19

Cap. I I primi passi nell’arte 29

Cap. II “Fanum Fortunae”… anche per Simone!? 47

Cap. III Il problematico rapporto Ridolfi-Cantarini 61

Cap. IV Il ritrattista 75

Cap. V Guido Reni: evoluzione di un rapporto umano ed 89artistico

Cap. VI Rinascita del vero Simone con il ritorno a Pesaro 107

Cap. VII Attività di Simone nelle Marche 123

Cap. VIII Clandestino a Roma 141

Cap. IX Infausta opzione: il rientro a Bologna 147

Cap. X Tragico epilogo a Mantova 179

Conclusione 191

Appendice: Bocciati … gli Accademici Clementini! 201

Apparati: 207

Opera pittorica - Catalogo dei dipinti 208

Opera incisa - Catalogo delle acqueforti 210

Opera grafica - Raccolte pubbliche dei disegni 210

Regesto 211Bibliografia essenziale 213

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L’editore è a disposizionedegli aventi dirittoper eventuali fonti iconografichenon individuate.

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SOMMARIO

Premessa 11

Introduzione 19

Cap. I I primi passi nell’arte 29

Cap. II “Fanum Fortunae”… anche per Simone!? 47

Cap. III Il problematico rapporto Ridolfi-Cantarini 61

Cap. IV Il ritrattista 75

Cap. V Guido Reni: evoluzione di un rapporto umano ed 89artistico

Cap. VI Rinascita del vero Simone con il ritorno a Pesaro 107

Cap. VII Attività di Simone nelle Marche 123

Cap. VIII Clandestino a Roma 141

Cap. IX Infausta opzione: il rientro a Bologna 147

Cap. X Tragico epilogo a Mantova 179

Conclusione 191

Appendice: Bocciati … gli Accademici Clementini! 201

Apparati: 207

Opera pittorica - Catalogo dei dipinti 208

Opera incisa - Catalogo delle acqueforti 210

Opera grafica - Raccolte pubbliche dei disegni 210

Regesto 211Bibliografia essenziale 213

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PREMESSA

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Anonimo “Ritratto di Simone Cantarini’’ (disegno, manoscritto Marsili n. 245)

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“Verrà qualche volta una buona giornata anche per Simone da Pesaro, uno scolaro di breve vita del più famo so Guido Reni!”È trascorso oltre mezzo secolo da questo autorevole auspicio espresso dal compianto storico e critico d’arte Francesco Arcangeli e finalmente per questo sfortunato artista la buona giornata è arrivata.1 Ed era ora! La dea bendata, a cui egli aveva dedicato un’incisione all’ac-quaforte (Bartsch n. 34) nella raffigura zione allegorica di una donna nuda che versa danaro sul mondo, gli aveva quasi sempre voltato le spalle durante la sua travaglia-ta esistenza terrena dalle botte buscate dal padre da ra-gazzo incompreso fino alla morte per avvele namento a soli trentasei anni. Lo stesso suo primo bio grafo coevo, il conte Carlo Cesare Malvasia ammise che ben presto Simone dovette constatare “quanto si pren desse di lui scherno quella Fortuna che credeva di aver saldamente afferrato per i crini...”. Ma la sorte non gli fu benigna nemmeno “post mortem” se ha dovuto attendere ben tre secoli per ottenere un ufficiale meritato ricono scimento del suo reale valore artistico. Questo processo di riva-lutazione critica ha avuto avvio con la mostra “Maestri della pittura del seicento emiliano” tenuta nel 1959 nel palazzo dell’Archiginnasio di Bologna ove Cantarini si affaccia alla ribalta della notorietà, presen tando dieci suoi dipinti.Andrea Emiliani, appassionato studioso dell’arte del Pe-sarese fin dalla discussione della tesi di laurea nel 1957 presso l’Università di Firenze con Roberto Longhi (undi-ci anni dopo, per la cronaca, l’epoca in cui nel ‘46 in con dizioni quasi proibitive, essendo da poco terminata la seconda guerra mondiale, dedicai anch’io la tesi a Simo-ne presso l’ateneo urbinate con il prof. Pasquale Rotondi) ha opportunamente evidenziato nella scheda critica del cata logo della mostra la difficoltà di “... ricostruire, alme-no in via ipotetica, i dati salienti esteriori della biografia del l’artista.”Va ricordato infatti che siamo in possesso di sole due date certe documentate: il 1637, anno della clamorosa rottura

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Stemma di Pesaroo Allegoria fluvialeacquaforteF.N.36116 del GabinettoNazionale delle Stampe Roma.

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definitiva del rapporto con il Reni ed il 1639, anno in cui è certificata la presenza di Simone a Pesaro in atto pub-blico.Da quella “griglia di partenza” da cui si snoda la progres-siva rivalutazione di Simone, ha inizio un’azione di arric-chimento del catalogo del corpus pittorico di Simone ma anche quel lavorìo di “espunzione” (ma che brutto termi-ne!) di opere a lui negate, operazione di sfrondamento spesso opinabile e confutabile. È la riprova che il giudizio attributivo non può mai essere dichiarato definitivo. Da quel fondamentale, prestigioso evento culturale tra-scorrono altri sedici anni! Nel 1975 vede la luce la mia monografia dedicata a Simone Cantarini, un signorile libro-strenna di ampie dimensioni edito dalla Banca Popolare Pesarese per festeggiare la ricorrenza del cente-nario di fondazione.Dopo cinque anni viene scandagliata la vasta produzione incisoria con la mostra allestita nella primavera 1980 nel Castello Sforzesco di Milano con tavola rotonda alla Villa Reale e successivamente trasferita nell’agosto dello stesso anno a Pesaro; in tale occasione venne pubblicato il cata logo completo delle acqueforti del Cantarini a cura del prof. Paolo Bellini.Finalmente nel luglio 1997 è stata realizzata nel Palazzo Ducale di Pesaro la mostra “Simone Cantarini nelle Marche” e nell’ottobre successivo altra mostra antologica “Simone Cantarini detto il Pesarese” allestita nella Pinacoteca Nazionale ed altre sedi di Bologna, entrambe corredate da due splendide monografie con la completa catalogazione delle opere di Simone a cura del prof. Andrea Emiliani, coadiuvato da una equipe di validi stu-diosi.Va doverosamente aggiunta a queste tappe fondamentali l’approfondita indagine sulla vasta e feconda produzione grafica di Simone iniziata da Andrea Emiliani con il cata-logo dei “Disegni del seicento emiliano nella pinacoteca di Brera” del 1959 e proseguita con i due grossi volumi “I disegni italiani nella Biblioteca Nazionale di Rio de Janerio” del 1995 a cura di Anna Maria Ambrosini e

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Stemma di Pesaroo Allegoria fluvialeacquaforteF.N.36116 del GabinettoNazionale delle Stampe Roma.

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Raffaella Morselli ed i “Disegni di Simone da Pesaro l’Album Horne”, del 1996 a cura di Marina Cellini. Ma nonostante questa puntigliosa ricognizione a tappeto sulla vita e l’opera del Pesarese qualche zona d’ombra purtroppo permane e quasi certamente avrebbe potuto dissiparla quel manoscritto mai reperito del pittore e sto-rico pesarese Giuseppe Montani “Vite dei pittori pesare-si” a cui lo stesso Malvasia rinviava il lettore, consiglio ripreso anche dal Lanzi, dall’Orlandi e dall’Olsen. A questo risveglio d’interesse per la personalità e l’arte del Pesarese voglio sperare che abbia offerto un pur modesto contributo anche la mia monografia. Nella premessa al libro dichiaravo esplicitamente: “La presente pubblicazione nasce con l’intento di offrire l’op-portunità di una più agevole indagine filologica su quasi tutta la produzione artistica cantariniana. Una raccolta antologica dunque sufficientemente ampia di opere auto-grafe o attribuite più che una completa catalogazione che in questo approccio con l’artista potrà anche rilevarsi non esaustiva; e ciò nel tentativo, si osa sperare fruttuoso, di rischiarare la figura di Simone, finora segregata nell’om-bra. L’autore confida che, nei limiti di tale finalità perse-guita, il suo modesto ma appassionato lavoro concorra, secondo l’auspicio dell’Arcangeli, ad assottigliare le fila di coloro che, nell’udire il nome di Simone Cantarini, si chiedano chi era costui”.Tale fatica, sostenuta in solitudine e direi per diletto, senza alcun supporto di collaboratori e strumenti adegua ti e senza il conforto di autorevoli giudizi critici in ambi to accademico, ha subìto una sia pur isolata recensione che ha ignorato e disatteso tale mio consapevole intento,

esplicitamente dichiarato.2Tuttavia la monografia risulta oggi introvabile e chi è riu-scito a procurarsela a suo tempo è pago di poter quanto meno soffermare lo sguardo ammirato sulle splendide riproduzioni fotografiche dei dipinti, dei disegni e delle incisioni di questo geniale figlio di Pesaro. Debbo espri-mere la mia gratitudine all’esimio prof. Andrea Emiliani che, nel saggio introduttivo del 1994 “Per la storia di

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Simone Cantarini” ha riconosciuto che “a distanza di molti anni si può dire che anche un libro come quello del Mancigotti ha aiutato a modo suo un’utile documentazio-ne ed un primo accesso all’informazione.”3

Tre anni dopo ha ribadito: “nel 1975 veniva pubblicato un librone di un appassionato amico dell’artista, Mario Mancigotti, corredato da un buon arredo di illustrazioni ed alla fine capace di sollevare con generosità una legitti-ma attesa”,4 conclusasi con le due prestigiose mostre cita te di Pesaro e Bologna.Nutro la convinzione di aver offerto un modesto contri-buto quanto meno di stimolo per la consacrazione uffi-ciale del Pesarese, avendo fra l’altro riportato sotto i riflet tori della ribalta due testi pittorici mirabili come il “Ritratto di Eleonora Albani” ed il “S. Antonio da Padova” di Cagli.Restava però, a mio sommesso avviso, l’esigenza di un volume di agevole lettura, con notizie essenziali ed in edi zione economica che consenta soprattutto ai suoi conter ranei ed agli appassionati di pittura di conoscere ed apprezzare “IL PESARESE ED I SUOI CAPOLAVORI”. E così maturata l’idea di dare alla luce questo strumento conoscitivo di più generale portata, augurandomi che sia ben accolto, grazie!

Mario Mancigotti

Note:1) “Simone Cantarini: due dipinti” sulla rivista Paragone –1950 n. 72) “A . Colombi Ferretti in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa” vol. VI, 4 1976)3) “Disegni italiani della Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro” 19954) Andrea Emiliani: “Simone Cantarini: la coscienza di un artista moderno” dal catalogo della mostra di Pesaro “Simone Cantarini nelle Marche” – 1997

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Ritratto di Francesco Maria II Della Rovere’’ F. Barocci - Firenze, Galleria degli Uffizi (foto gabinetto fotografico Uffizi, Firenze)

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L’epoca di Simone

Quando nel 1612 Simone Cantarini inizia la sua avventura terrena, la famiglia Della Rovere aveva già imboccato l’ultimo ventennio del suo dominio in declino sul Ducato di Pesaro e Urbino. Egli non ha quindi potuto fruire del generoso mecenati smo di Guidobaldo II, morto a Pesaro nel 1574 né dei favori del suo successore, il figlio Francesco Maria II, riti ratosi fin dal 1607 nella residenza di Casteldurante, l’at tuale Urbania, per dedicarsi agli studi. Chissà se il piccolo Simone di appena nove anni non ancora compiuti abbia avuto la possibilità di recarsi con il padre in Urbino per assistere ai festeggiamenti per l’ar rivo nel maggio del 1621 del nuovo regnante, Federico Ubaldo, non ancora maggiorenne, con la giovane Claudia de’ Medici, sposatisi a Firenze alla fine di aprile? Avrebbe così potuto ammirare gli apparati decorativi approntati dal pittore veronese Claudio Ridolfi, marchigiano di ado-zione.Purtroppo il 26 giugno 1623 giunge l’infausta notizia del quanto mai misterioso ritrovamento nella sua camera del Palazzo Ducale di Urbino del corpo esanime di Federico Ubaldo.L’anno precedente Claudia aveva messo al mondo una figlia, Vittoria, per cui alla morte di Francesco Maria II a Casteldurante il 18 aprile 1631, in mancanza di eredi maschi, il Ducato viene devoluto allo Stato della Chiesa. Simone non ancora ventenne è testimone di questo stori-co passaggio di poteri che inciderà notevolmente sulla storia futura di Pesaro - Urbino.

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Il Manierismo ed il Barocci

A cavallo fra i due secoli perdura in terra roveresca il filone stilistico manierista di cui vessilliferi sono i due fratelli di S. Angelo in Vado (PU), Taddeo e soprattutto Federico Zuccari che in Pesaro fu – come vedremo - il maestro di Gian Giacomo Pandolfi, il quale ebbe il meri to di intuire le singolari, promettenti doti artistiche del l’adolescente Simone. Il Pandolfi risentì parecchio della maniera zuccaresca, anche grazie a contatti diretti, come potrebbe comprovare una sua tela in S. Angelo in Vado, patria degli Zuccari, nella chiesa di S. Filippo, in cui com pare una rarissima immagine del duca Federico Ubaldo Della Rovere fanciullo.In Pesaro Federico Zuccari ha lasciato significativa impronta del proprio linguaggio estetico nella Chiesa di S. Francesco con una pala d’altare raffigurante “L’Immacolata Concezione con S. Francesco e S. Terenzio” eseguita nel 1582.Egli risulta sia stato maestro anche di altri pittori manie-risti pesaresi, presto calamitati dal fascinoso richiamo di Roma: quel Nicolò Trometta che aveva eseguito un’ “Ultima Cena” per la chiesa del SS. Sacramento, la quale si trovava nelle vicinanze del Duomo di Pesaro, opera attualmente esposta nella parrocchiale di Tavullia, databi le al 1580 circa; e forse quel Terenzio Terenzi detto il Rondolino, noto, ahimè, più per la taccia di essere un falsario di quadri che per i suoi dipinti, un “S. Terenzio” in S. Ubaldo, una “Circoncisione” nella chiesa del SS. Sacramento ed altri per la chiesa di S. Giuseppe e per la chiesetta del Corpus Domini. Ma nel panorama del manierismo montefeltresco cam peggia, potremmo dire giganteggia, la forte personalità di Federico Fiori, detto il Baroccio, da Urbino (forse la fami glia era originaria di Mombaroccio, poco lontano da Pesaro?). Egli può considerarsi il vero maestro indiretto dell’esordiente Simone, come egli stesso ebbe a confidare al Malvasia, dichiarando la sua ammirazione per la “Beata Michelina” della chiesa di S. Francesco in Pesaro,

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conquistato dall’umida trasparenza degli occhi ottenuta con la tecnica di graduali strati di velature. Ma, ahimè, il Barocci ultraottantenne esce di scena pro prio nell’anno di nascita del Pesarese. Se fosse stato anco ra vivo ed attivo agli inizi del terzo decennio quasi certa mente la mèta del nostro non sarebbe stata Bologna ma Urbino.Egli avvertiva una forte affinità elettiva con il Maestro urvbinate per la poetica di affetti sereni, riposanti, per un sentimento di intima religiosità svincolata dai precetti controriformistici, per il concetto dell’elemento luce che impregna e fa vibrare la forma sia nei dipinti che nelle acqueforti con soggetti all’aperto. Nasce dal Barocci la passione per l’incisione all’acquafor te con la tecnica delle morsure replicate che infondono tanta solarità e palpito di luce alle sue stampe. Va rilevato che entrambi erano instancabili sperimenta tori come comprova la loro feconda produzione di disegni nelle varie tecniche a matita, a penna, a carboncino, a sanguigna etc., propensione così ben evidenziata sia dalla mostra di Bologna dedicata al Barocci nel 1975 che da quelle cantariniane del 1997 di Pesaro e di Bologna.

Riflessi del caravaggismo

L’onda della riforma luministica caravaggesca si infrange sul litorale adriatico alquanto svigorita. E’ pur vero che un amico e seguace del Merisi, il pisano Orazio Gentileschi, aveva tenuto rapporti con le Marche, ma la sua attività fra il 1616 ed il 1619 si era accentrata soprat-tutto in Fabriano, (Duomo, chiesa di S. Venanzio, chiesa di S. Caterina, chiesa di S. Benedetto etc.). È comunque accertato un forte interesse di Orazio a lavo-rare a Pesaro, come attestato da una supplica rivolta al duca Francesco Maria II Della Rovere in Urbino nel 1619 per ottenere una committenza per la chiesa di S. Ubaldo, nel centro storico di Pesaro, ultimata con la cupola il 17 ottobre 1517. Ma al Gentileschi venne preferito il vene-

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“Ritratto di Federico Ubaldo’’ A. Vitali - Lucca Pinacoteca Nazionale (foto Amendola, Pistoia)

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Iziano Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane, che esegui un dipinto raffigurante S. Ubaldo, ora a S. Paolo del Brasile; del resto il duca non poteva dimenticare che il padre Guidobaldo II una decina d’anni prima della morte avvenuta a Pesaro nel 1574, aveva chiamato al proprio servizio il Negretti, affidandogli l’esecuzione di opere importanti come “L ’Annunciazione” in S. Agostino, una “S. Marta” per il Duomo ed una “S. Orsola” per la chiesa di S. Francesco oltre a copie di dipinti di Raffaello e di Tiziano per la corte urbinate. Potrebbe invece aver esercitato qualche sia pur epidermi co richiamo l’opera del caravaggesco conterraneo, Giovan Francesco Guerrieri da Fossombrone (1589-1659 circa). La conoscenza di questo pittore poco noto è stata resa possibile da una mostra dedicatagli nel 1997 nelle sedi di Fossombrone e di Fano, in felice coincidenza con la mostra di Simone a Pesaro. Si può escludere un rapporto personale fra i due artisti. Quando nel 1612 nasceva Simone, il Guerrieri celebrava il suo primo matrimonio da cui nacquero cinque figli a cui se ne aggiunsero ben altri cinque dal secondo matri monio. Inoltre il Guerrieri ha trascorso lunghi periodi a Roma. Ma è presumibile che Simone abbia visionato nella Cappella di S. Carlo Borromeo nella chiesa di Fano di S. Pietro in Valle, mentre stava dipingendo il suo capolavo ro per l’altare maggiore con “Il miracolo di S. Pietro” due tele del Guerrieri: S. Carlo Borromeo in preghiera” e soprattutto “Il miracolo del cieco nato”, stante una certa assonanza iconografica riscontrabile fra le due donne puerpere con il neonato in braccio sul lato destro dei due dipinti. A tal proposito Rodolfo Pallucchini ebbe a dichiarare “In questa temperie culturale così intinta di buon naturali smo, è agevole collocare la formazione del gusto di Simone Cantarini, che pur divenendo un allievo del Reni, rimarrà pur diverso dagli altri reniani.”1 (cfr. Andrea Emiliani “Giovan Francesco Guerrieri da Fossombrone” 1958, prefazione a pag. 5).

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“Palazzo Ducale” di Pesaro’Pesaro, da una tarsia del coro ligneo della Chiesa di S. Agostino.

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La scuola emiliana

Ma possiamo ritenere che l’influsso più incisivo non tanto a Pesaro quanto in prevalenza nella vicina Fano, allora non facente parte del Ducato dei Della Rovere, lo esercitò la scuola carraccesca. Vedremo come furono determinanti per l’educazione arti stica di Simone la lettura in Pesaro dei tre dipinti esem plari del Barocci e della Pala Olivieri per il Duomo ma anche dei due capolavori di Reni di Fano in S. Pietro in Valle.Ma una fucina di preziosi insegnamenti costituivano le due principali chiese di Fano. Nel Duomo si potevano ammirare i sedici affreschi con le “Storie della Vergine” dipinti fra il 1615 ed il ‘16 dal Domenichino, strappato ai suoi pressanti impegni romani dalla nobile famiglia fanese Nolfi per decorare la propria cappella di famiglia; lo Zampieri aveva da poco concluso la decorazione della cappella di Pierre Polet nella chiesa di S. Luigi dei Francesi, famosa per i capolavori caravag geschi. Ed in altra cappella, quella di S. Orso, sempre in Duomo, era esposta una tela di Lodovico Carracci. Nell’altra importante chiesa di S. Paterniano, patrono della città, erano esposte tele di Alessandro Tiarini, di Carlo Bonone e del Guercino, pure presente anche in S. Agostino, in S. Pietro ed a Pesaro, secondo il Becci, sopra l’altar maggiore della chiesa di S. Giovanni. La famiglia Nolfi non si fece sfuggire l’occasione rara di avere in Fano il Domenichino a cui fece eseguire per il Collegio omonimo due dipinti, il “Davide con la testa mozzata di Golia” (ora al Museo Civico di Fano) ed una “Madonna con Gesù”.

Questo è, dunque, l’humus culturale in cui affonda le sue radici l’estro artistico di Simone Cantarini ma, se pur non immune da momentanee influenze che hanno reso a volte discontinuo il suo iter estetico, il linguaggio personale ed autonomo così intimista, lirico e trepida-mente naturalista di geniale pittore, disegnatore ed inci-sore finirà sempre per emergere.

Note:1) A. Emiliani: ”Giovan Francesco Guerrini da Fossombrone” - 1958, prefazione pag. 5.

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CAPITOLO I

PRIMI PASSI NELL’ARTE

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CAPITOLO I CAPITOLO I

Pesaro scorcio di Corso XI settembre con la Chiesa di S. Cassiano Fototeca della Cassa di Risparmio di Pesaro

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Simone Cantarini venne battezzato il 21 agosto 1612 nella chiesa di San Cassiano in Pesaro, come documenta-to da atto conservato tuttora nell’archivio parrocchiale. Il primo rebus che si incontra nella biografia dell’artista, è costituito dalla località di nascita indicata da alcuni suoi antichi biografi in “Oropezza” ma nella zona suburbana di Pesaro e nelle vicinanze non si rintraccia tale toponi-mo. Lo storico concittadino Giuliano Vanzolini ha ipotiz zato che si tratti di una bizzaria etimologica: l’originaria “Pisaurum” sarebbe diventata “Aurumpesa”, poi “Oropesa” ed infine per esigenza di dolcezza fonica “Oropezza”.Era il secondogenito di tre fratelli, Francesco Maria, Vincenzo, Giovanni Antonio e della sorella Eleonora.Fu scelto per lui il nome del nonno paterno. La sua famiglia era alquanto agiata , risiedendo in una signorile dimora sul Corso, allora via dei Fondaci, quasi all’angolo con via Petrucci ed a breve distanza dalla chie sa di S. Agostino.Il padre Girolamo era un noto mercante come il caposti-pite della famiglia, Simone da Urbino, e possedeva pode-ri sul colle San Bartolo, nelle amene borgate di S. Marina e Fiorenzuola di Focara.Incertezza sulla formazione artistica giovanile di Simone scarsamente documentata e di conseguenza suscettibile di congetture ed ipotesi opinabili, sussiste tuttora. Mi sembra pertanto non siano pleonastiche alcune rifles sioni .Ritengo che si possa usare il termine di “discepolato” , come si evidenzierà in seguito, solo riferito alla perma-nenza di Simone nell’atelier del Reni. È del tutto ovvio prendere avvio dallo stringato racconto del conte Malvasia: “… primo suo direttore e maestro dicono fosse Gian Giacomo Pandolfi, a lui raccomandato da un religioso servita che protegge il ragazzo dagli ingiu sti rimproveri di suo padre e lo accompagnò in un viaggio a Venezia. Tornato a Pesaro sotto la scorta di Claudio Ridolfi detto comunemente Claudio Veronese; ma poiché,

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Pesaro nel seicento(da una stampa del 1620 di G. Blavius)

legenda1. Casa natale del “Pesarese’’2. Chiesa di S. Cassiano: “Pala di S. Barbara’’3. Chiesa di S. Agostino: “Beata Rita di Cascia’’4. Oratorio del Nome di Dio (G. G. Pandolfi e Barocci)5. Ex Oratorio di S. Andrea (Barocci)6. Chiesa dei Padri Filippini: “Maddalena” e “S. Giuseppe’’7. Chiesa e Convento di S. Domenico8. Chiesa roveresca di S. Ubaldo9. Duomo: “Pala Olivieri’’ del Reni

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presa questi la moglie e ritiratosi nelle delizie villerecce della bellissima Corinaldo, distornato da queste amenità e dalle cacce alle quali oltremodo dilettatasi, poca co-pia di sé facevasi allo scolaro, diedesi egli a proseguire l’incam minato studio sulle opere del Baroccio, altresì dalla vaghezza di quel fare a cui dal genio sentitasi ol-tremodo chiamato.”1 Tali notizie verranno poi riprese ed enfatizza te molto tempo dopo da Filippo Baldinucci2. Prendendo spunto da queste notizie occorre dunque ap-profondire la natura dei rapporti intercorsi prima con il pesarese Pandolfi e poi con il veronese Ridolfi.

Gian Giacomo Pandolfi, talent scout di Simone

Sappiamo della iniziale forte contrarietà del padre Girolamo, agiato mercante ed uomo d’affari, alla vocazio-ne artistica di Simone che spesso era vittima di rimbrotti e di botte; è pertanto verosimile che un religioso della vicina chiesa di S. Agostino, ove è esposta la sua Santa Rita, abbia preso sotto la sua protezione il ragazzo, l’ab-bia raccomandato al Pandolfi e l’abbia pure accompagna-to in un viaggio culturale e di apprendistato a Venezia, citato sia dal Malvasia che dal Baldinucci. È stato infatti appurato che il pesarese Giovan Battista Bonamini, un antenato dello storiografo Domenico , fidu cioso nelle doti di Simone e suo futuro collezionista, interpose i suoi buoni uffici affinché il ragazzo forse appe na quindicenne potesse fruire della guida del pittore veneziano tardoma-nierista Sante Peranda (1566-.1638), seguace di Palma il Giovane e ritornato dalla città degli Estensi a quella d’origine nel 1627; a tale pittore venne raccomandato dal rappresentante a Venezia del Ducato di Urbino, il pesa-rese Giovanni Diplovatazio a sua volta inte ressato dal succitato nobile concittadino Bonamini.3 Ad inculcare nel ragazzo i principi basilari di un linguaggio grafico corretto che concorreranno a forgiare uno dei più eletti e fecondi disegnatori ed incisori del secolo, fu un artista concittadino, Francesco Mingucci, (o Minguzzi), “Sogno di S. Giuseppe’’

G. G. PandolfiChiesa del Nome di Dio Pesaro

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GIOVANNI GIACOMO PANDOLFI (1567- dopo il 1636)

Si tratta dell’unica immagine conosciuta del volto del primo maestro del Pesarese; questo autoritratto dell’anziano pittore è stato dipin to nel 1631 su una striscia di tela sul lato sinistro della cantoria dell’Oratorio della Confraternita del Nome di Dio in Pesaro. Sembra quasi che il Pandolfi voglia gettare un compiaciuto sguardo panoramico verso la sua più notevole impresa artistica nelle tele del soffitto e delle pareti dell’Oratorio ruti lante di decorazioni in oro zecchino, rarissi mo connubio fra pittura e scenografia.

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testimone della Pesaro seicentesca con i suoi acquerelli , di cui si ricorda uno scorcio della zona ai piedi del colle S. Bartolo oppure quello raffigurante la sontuosa “villa serenissima della duchessa”, Livia Della Rove-re, sposa di Francesco Maria II, allora eretta presso So-ria, documento conservato nella Biblioteca Vaticana.4 Che tra i due sussi stesse un legame di amicizia lo atte-sta un ritratto del Mingucci eseguito da Simone, citato nell’elenco dei qua dri lasciati in eredità al fratello Vin-cenzo e poi trasferito il 20 settembre 1738 alla proni-pote Lucia Vignoli coniu gata con Lodovico Fabbri.Ma veniamo al Pandolfi. Qualcuno mette in dubbio che ci sia stato un sia pur breve periodo di apprendistato da parte di Simone: “Forse non ebbe luogo l’esperienza di bottega presso Gian Giacomo Pandolfi…”5. Per quale motivo?Occorre inquadrare la figura del Pandolfi e tener conto del prestigio da lui conquistato nei primi decenni del sei cento.Era figlio d’arte perché anche il padre Giovanni Anto-nio era pittore assai noto, egli era considerato il pittore uffi ciale della città di Pesaro nelle cui principali chie-se erano esposti suoi dipinti come in S. Agostino, in S. Cassiano ove Simone fu battezzato, in S. Giovanni Battista, in S.Maria alla Scala al porto.Ma il Pandolfi era talmente in auge a quei tempi da esse re conteso dai vari centri rovereschi: Urbania, S. Angelo in Vado, Mercatello, Gradara etc. È del tutto credibile l’aneddoto malvasiano secondo cui la voca-zione artistica di Simone fu intuita dal Pandolfi, ormai quasi sessantenne, quando il giovane in tempo di car-nevale modellò con la neve poi ghiacciatasi una statua nel cortile della prestigiosa abitazione della famiglia Cantarini sul Corso.La notizia di questa prima prova d’arte che non mancò di suscitare ammirazione fra i concittadini visitatori non poteva non richiamare la curiosità dell’anziano maestro. Tale episodio sembra tutt’altro che fantasioso ed inatten-dibile ove solo si rifletta che la casa ove abitava Girolamo

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Cantarini con la moglie ed i cinque figli nell’allora via dei Fondaci era ubicata in uno stabile con portico, purtroppo andato distrutto a causa di un bombardamento aereo nel 1944, ma la furia bellica ha risparmiato quell’ ampio cor-tile, dalla cui uscita retrostante, nell’attuale via Bonamini all’angolo con via Petrucci, sorge lo splendido oratorio del Nome di Dio, inaugurato fin dal 1575 e voluto da una Compagnia di religiosi laici che provvedevano all’accom pagnamento funebre delle salme di diseredati nullatenenti. Ora è del tutto plausibile che l’ancora fanciullo Simone si recasse spesso ad osservare i dipinti del soffitto che il Pandolfi aveva eseguito tra il 1617 ed il 1619; e poiché presumibilmente Simone potrebbe essere partito per Bologna attorno al 1634 dopo l’arrivo della Pala Olivieri del Reni per il Duomo di Pesaro, si può supporre che egli abbia fatto in tempo ad assistere anche all’esecuzione da parte del Pandolfi del ciclo dei dieci dipinti per le pareti dell’Oratorio meditando soprattutto su due temi che egli stesso avrebbe poi ripreso “S. Pietro che risana lo storpio” (Fano, S. Pietro in Valle) e “L’angelo che rivela a Giuseppe l’immacolato concepimento di Maria” (Duomo di Camerino).Concludendo non si può certo escludere, anzi è assai attendibile, che il Pandolfi, convinto del talento del ragaz-zo e vincendo la riluttanza del padre, gli abbia impartito le regole fondamentali della tecnica pittorica ad olio ma non certo molto di più perché il gusto zuccheresco per certo manierismo accademico non lascerà alcuna impron ta significativa, a mio avviso, sull’allievo che si rivelerà presto di ben altra statura.Ma certamente soste ben più prolungate e meditate Simone avrà riservato davanti all’altare maggiore per ammirare, folgorato, quell’autentico capolavoro della pit tura del Cinquecento, raffigurante “La Circoncisione di Gesù”, ordinato fin dal 1581 al geniale pennello di Federico Barocci, opera attualmente al Louvre dopo le spoliazioni napoleoniche del 1797. Il Maestro urbinate, scomparso proprio nell’anno di nascita di Simone, può considerarsi, come vedremo, il suo vero Maestro indiretto prima del Reni.

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La Beata Rita da Cascia (Pesaro, chiesa di S.Agostino)

E la riprova delle notevoli, sorprendenti doti dell’al lievo viene offerta da un dipinto che può considerarsi tra i primi saggi pubblici dell’attivi-tà giovanile di Simone intorno ai diciotto anni ma anche prima. Si tratta della “Beata Rita da Cascia”, che ancora si può ammirare sull’altare della fami-glia pesarese Giordani sul lato sinistro della bella chiesa gotica di S. Agostino sul l’attuale Corso XI settembre, a poca distanza dalla casa della famiglia Cantarini.Simone può fruire di un rapporto privilegiato con i frati agostiniani di Pesaro e successivamente di Fano. Il suo maggior biografo, il già citato cano-nico Malvasia, che del resto è quanto mai avaro di notizie sugli inizi della carriera di Simone, non cita questo dipinto che invece è indicato nelle guide lo-cali di Pesaro, come in quella di Antonio Becci del 1783 e di Giuliano Vanzolini del 1864. Per quan-to la critica si sforzi di rintracciare riflessi cultu-rali locali dallo stesso Pandolfi al fossempronese Guerrieri, in questo dipinto l’esordiente Simone già dimo stra una propria autonomia stilistica. Egli infatti coglie la figura della mistica agostiniana, che era stata beatificata da papa Urbano VIII poco tempo prima nel 1627 (verrà poi canonizzata solo nel 1900) in uno schema di misurata semplicità e di armonioso tonali-smo, non smorzato dalla discreta presenza degli angeli. Simone già fa intravedere il suo linguaggio intimista dei colloqui silenti che la monaca esprime attraverso lo sguardo intenso, ra-pito ed estatico rivolto inginocchiata verso il croce-fisso posto sulla mensa dell’altare appena ricoperto una rustica tovaglia. È il colloquio silente che ri-troveremo fra la Madonna con il bambin Gesù nelle più liriche creazioni della maturità.

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Beata Rita a Cascia’’olio su tela cm 200 x 176 Pesaro, Chiesa di S. Agostino

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Il primo omaggio alla città di Pesarola pala di S. Barbara (Aicurzio, chiesa di S.Andrea)

Il debutto di Simone nell’attività pittorica è quasi certamente avvenuto nella chiesa di San Cassiano ove sappiamo egli venne battezzato, mentre i residenti nella Pesaro del centro-sud venivano battezzati in Duomo. Gli viene commissionata una pala d’altare in cui dovrà essere raffigurato anche il Santo Patrono di Pesaro. Stranamente quest’opera non viene citata dal Conte Carlo Cesare Malvasia nella sua opera “Felsina pittrice” (1678) pur essendo considerato il maggior biografo di Simone. Le prime tracce del dipinto si trovano nel “Catalogo delle pitture che si conservano nelle Chiese di Pesaro” del 1783 di A. Becci (ma si ritiene che il vero autore sia il pittore ed erudita pesarese Gian Andrea Lazzarini) in cui viene indicata “La Santa Barbara in San Cassiano”. L’autore riconosceva “ nella figura di San Terenzio un pentimento nella mano che tiene nel petto e che prima stava col brac-cio disteso e dicesi che Simone lo mutasse da Bologna quando ritornò in patria”. È fuor di dubbio che in origine la collocazione fosse in tale chiesa al Corso, parrocchia della famiglia Cantarini; per la precisione l’opera era esposta al primo altare a sinistra dell’entrata. Va però puntualizzato che mentre l’ubicazione era sicura, non altrettanto poteva dirsi per il soggetto: era veramen te San Terenzio quel personaggio a destra che guarda assorto il gruppo della Madonna in gloria con Gesù, allie tato da Angeli musicanti?Oggi si dà per scontata la raffigurazione di San Terenzio, patrono di Pesaro, ma allora mi domandai perché la pala veniva nelle fonti titolata genericamente “Pala di Santa Barbara” o, dato sconcertante, “La Vergine in gloria ed i Santi Barbara e Floriano”.Nel 1811 le truppe napoleoniche su ordine del Generale Eugenio Beauharnais trafugarono dalla chiesa di San Cassiano questo dipinto insieme alla pala sull’altare mag-giore “Adorazione dei Magi” del pittore pesarese Venanzi. L’opera venne trasportata a Milano, indi trafugata dal

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“Pala di S. Barbara e S. Terenzio’’ olio su tela cm 350 x 180 Aicurzio, Chiesa di S. Andrea

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magazzino delle Belle Arti, recuperata ed infine riconse gnata dalla direzione del Demanio all’attuale Pinacoteca di Brera, la quale nel 1847 la concesse in deposito alla Chiesa di Sant’Andrea di Aicurzio, Pie-ve di Vimercate. Nel “Kunster Lexicon” edito a Lip-sia nel 1911 il curato re della voce Simone Cantarini, Oscar Pollok, cita l’opera come “Una Santa Barbara” presso i padri riformati. Sappiamo che nel 1964 il di-pinto venne sottoposto a restauro, eseguito dal prof. Giuseppe Rigoni; ne diede ampia notizia sul “Bollet-tino d’Arte” la prof. Angela Ottino della Chiesa, so-vrintendente a Brera, citando l’o pera con il titolo “La Vergine in gloria e i Santi Barbara e Floriano”(?).Cinque anni dopo, nel ‘69, la predetta studiosa ha compi lato un “Inventario dei dipinti in deposito nelle Chiese di Lombardia” ma l’interrogativo non viene ri-solto: Terenzio o Floriano?Arriviamo al 1975, anno in cui viene alla luce il mio lavo ro monografico su Simone Cantarini e decisamen-te opto per San Terenzio, ma con comprensibile stu-pore mi accorgo che ancora nel “Dizionario biografico degli Italiani” edito nello stesso anno, il curatore della voce “Cantarini Simone”, D.C. Miller, cita a pag. 244 “La Santa Barbara con San Floriano”.Ma come, da chi e quando è stata fatta questa identifica-zione? Se è presumibile che la figura di Santa Barbara sia stata ordinata a Simone dal presunto committente, la Congregazione della Pia Unione di Santa Barbara che aveva allora la propria sede nella Chiesa di San Cassiano come e dove spunta questo San Floriano? Risulta che fosse un alto funzionario romano ai tempi di Diocleziano, nel Norico, martire e patrono dell’alta Austria e della Polonia. Nessun legame quindi con Pesaro! Il personaggio che fronteggia Santa Barbara ed impugna lo stendardo della città di Pesaro non può che essere senza dub-bio San Terenzio. Anche a Pesaro nel II e III secolo d.C. si verificarono persecuzioni e martiri; la Chiesa nel suo martiriologio annovera tre Santi: Terenzio

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di Pesaro, Paterniano di Fano e Crescentino di Urbino che poi divennero patroni delle rispettive città. Il corpo di San Terenzio venne traslato a Pesaro nel 251 d.C. dal primo vescovo della città, Fiorenzo, nelle catacombe del Duomo.

“L’Immacolata Concezione” (Bologna, Pinacoteca Nazionale)

La grande rassegna dedicata dalla città di Pesaro a questo suo geniale figlio per tanto tempo negletto nel 1997 ha acconsentito di includere nel periodo giovanile uno splendido gioiello pittorico attualmente esposto nella Pinacoteca Nazionale di Bologna dal titolo “L’Immacola-ta Concezione con S. Giovanni Evangelista, S. Nicola da Tolentino e S. Eufemia”.Accurate apprezzabili ricerche hanno infatti appurato che tale dipinto venne ordinato a Simone dai fratelli Girola-mo e Benedetto Gavardini, trasferitisi nel 1630 circa dal loro paese di origine, Limone di Gavardo, poco lontano da Salò sulla riva bresciana del lago di Garda a Pesaro ove poi abiteranno in un signorile palazzo nei pressi del Duomo, nell’odierna via Rossini. Pare che l’opera fosse destinata in un primo tempo ad un altare della chiesa di S. Giovan-ni privilegiata dalle nobili e agiate famiglie pesaresi ma dopo una decina d’anni sarebbe stata trasferita sull’altar maggiore della chiesa di S. Antonio di proprietà della fa-miglia in Limone di Gavardo; successivamente il dipinto fu venduto ad un col lezionista bolognese e sostituito da una copia fedele fatta eseguire da un pittore pesarese. Ciò spiega come la pala, dopo vari passaggi di proprietà, sia infine entrata in pos sesso della Pinacoteca di Bologna nei cui cataloghi è stata sempre indicata con tale soggetto. Va però evidenziato che il florido volto della Madonna con lunghi capelli biondi ondulati e fluenti sulle spalle si discosta dal modello iconografico congeniale a Simone fin dalla quasi coeva “Pala di S. Barbara”, immagine che si assocerebbe meglio ad una procace Maddalena alla quale

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“Immacolata Concezione con i S. Giovanni Evangelista, Eufemia, e Nicola da Tolentino’’olio su tela cm 244 x 140

Bologna, Pinacoteca Nazionale

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rimanderebbe anche quello specchietto impugnato da un puttino ai suoi piedi, simbolo di una “vanitas” mon-dana; di contro questa avvenente figura femminile in preghiera assisa sulle nubi nel momento in cui due an-gioletti pongo la corona glorificante sul capo, che pog-gia il piede su una falce di luna e riceve un giglio ed un ramoscello d’ulivo ci riportano all’interpretazione del soggetto comunemente accolta.Pare che Simone a volte si sbizzarrisca a procurarci tali interrogativi esegetici.A parte tale perplessità, è significativo che Simone non ancora ventenne dopo la pala per S. Cassiano sappia offri re una così sorprendente ed eclatante conferma di una raggiunta originale sintassi figurativa, ideando l’appari zione della Madonna trasfigurata al centro di un festoso girotondo di angioletti indaffarati: chi a soste-nerle il manto, chi a sorreggere a fatica quella singo-lare base d’appoggio e chi a danzare gioioso. Questa ritmica scena si raccorda con il trio di santi nel piano inferiore: a sinistra S. Giovanni Evangelista seduto in-tento a testimoniare l’evento trascendentale sul Vangelo aperto sulle ginocchia, al centro S. Nicola da Tolentino nell’ombra ed a destra slanciata signorilmente abbiglia-ta la Vergine Eufemia di Calcedonia martirizzata sotto il dominio di Diocleziano con il leone ai suoi piedi, una santa che risulta particolarmente venerata nel bresciano con chiese a lei dedicate.Incantevole questa soave figura di fanciulla eretta su un piedistallo che si rivolge a noi, osservatori della scena, con uno sguardo dolce ed un po’ enigmatico ci indica con la mano destra il verificarsi della glorificazione del-la Madonna. Il festoso moto rotatorio di angeli e putti-ni si raccorda con il piano sottostante in una melodica modu lazione di linee e forme.Tale tematica non era rara nel repertorio cantariniano; ad esempio il Giordani nel 1820 segnalava a Pesaro nel-la quadreria di Casa Bonamini altro analogo dipinto con la Madonna dell’Immacolata Concezione con S. Gio-vanni Battista.

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“Sibilla’’olio su tela cm 72 x 59

Pesaro, Banca Nazionale dell’Adriatico

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SIBILLA IN LETTURA(Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico)

Questo quadro da cavalletto, considerate le mode-ste dimensioni, è ritenuto uno dei primi saggi di Simone agli esordi, forse per un collezionista locale, anche se va rile vato che le più agiate famiglie pesaresi come i Ga-vardini, i Mosca, gli Olivieri Machirelli, i Bonamini, i Paolucci pri vilegiavano soggetti sacri, come si constata scorrendo gli inventari tramandatici. L’attribuzione al Pesarese da parte dell’Emiliani è relativamente recente, risale al 1982 e l’o pera è stata esposta nel 1987 ad una mostra a San Severino Marche dedicata al Pesarese e die-ci anni dopo alla mostra a Pesaro “Simone Cantarini nelle Marche” La giovane donna con un turbante in testa che ritrovere mo altre volte nella tipologia cantariniana, pare stia medi tando su ciò che ha appena letto sul libro aperto; è lo stes so atteggiamento pensoso che ritroviamo in un interes sante studio a sanguigna dell’Album Horne di Fi-renze (inv. 6221). Altro studio per una testa di Sibilla si trova alla Pinacoteca di Brera (inv. 55899). Non è forse ancora giunta a Pesaro la “Pala Olivieri” del Reni per il Duomo, né Simone può ancora aver preso visione delle due opere del Guerrieri in S. Pietro in Valle a Fano ma la carezzevole modulazione delle forme che risaltano nel contrasto luministico con il fondo oscuro fanno presagi-re il suo futuro linguaggio figurativo che sa coniugare la maniera di entrambi i suddetti artisti.

Note:

1) C. C. Malvasia “Felsina Pittrice” 16802) F. Baldinucci “Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua” 18463) D. Bonamini “Abbecedario degli architetti e pittori pesaresi” a cura di G. Patrignani, 19964) A. Brancati “Società ed informazione a Pesaro tra il 1860 ed il 1022-1984 5) A. Colombi Ferretti “La scuola di Guido Reni” 1995

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“FANUM FORTUNAE” ...ANCHE PER SIMONE!?

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Giulio Cesare, quando occupò Fano dopo aver supe rato il Rubicone, si recò a visitare il rinomato Tempio della Fortuna. Ed un po’ di fortuna la vicina città di Fano avrebbe riservato anche al nostro gio-vane Simone. Il conte Carlo Cesare Malvasia, quasi coetaneo del Pesarese, essendo nato nel 1616, amico e confidente del l’artista quale assiduo frequentatore del suo studio sia in Bologna che a Pesaro, ci ha tra-mandato che Simone si è portato a Fano dopo l’arrivo a Pesaro della “Pala Olivieri” per il Duomo di Pesa-ro. Facile immaginare le frequenti soste del ragazzo poco più che diciottenne davanti all’al tare della no-bile famiglia Olivieri ove era stata collocata all’incir-ca nel 1632 e raffigurante la “Madonna in gloria con i santi Tommaso e Girolamo”, opera poi trasferita a metà ottocento alla Pinacoteca Vaticana. Simone ha certamente attinto preziosi insegnamenti da stilemi congeniali al suo temperamento lirico grazie ad una lettura diretta e meditata su questa pala considerata un capolavoro del Maestro bolognese; infatti è stato l’uni co dipinto a rappresentarlo alla mostra del 1959 in Bologna “Maestri della pittura del Seicento emilia-no”. In tale occasione Gian Carlo Cavalli dichiarava: “Da que sto punto usciva in terra marchigiana la più consapevole meditazione sulla poetica del Reni, quel-la del pesarese Simone Cantarini il solo che ne seppe intendere il grado caparbiamente introverso, già for-se dai primi passi inda gato in quella “Consegna del-le chiavi”che una decina di anni prima Guido aveva mandato a Fano in S. Pietro in Valle”.1 Simone ha già dato prove convincenti del suo talento con la “Beata Rita” in S. Agostino, con la “Pala di S. Barbara e S. Terenzio” per S. Cassiano e di quel-la della “Immacolata Concezione” forse nella chiesa di S. Giovanni, in fondo all’attuale Via Passeri. Fano non poteva non suscitare una forte attrazione su Simo-ne non solo per la presenza dei due dipinti presti giosi del Reni nella chiesa di S. Pietro in Valle “Annuncia-zione” eseguita nel 1622 e “La consegna delle chia-vi a S. Pietro” del 1626 ma anche per altre testimo-

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“Copia della Pala Olivieri di Guido Reni”olio su tela cm 60 x 87Pesaro, Fondazione Cassa di Risparmio

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nianze della scuola emiliana come, ad esempio, in Duo-mo un dipinto di Ludovico Carracci e nella Cappella Nolfi gli affreschi del Domenichino, pure presente con un dipinto nella chiesa di S. Francesco in compagnia di un lavoro di Claudio Ridolfi; e poi nella chiesa di S. Pa-terniano una tela di Carlo Bonone dedicata al patrono, nella chiesa degli Apostoli Giacomo e Filippo un dipinto di Francesco Albani etc.Ma l’assillo dominante in Simone è quello di emulare il sommo Guido!La città di Fano vanta tre opere di Simone originaria-mente nella chiesa di S. Pietro in valle il capolavoro del “Miracolo di S. Pietro che guarisce uno storpio” ed in due chiese dell’ordine agostiniano, provvidenziale scudo pro tettivo per lo sprovveduto giovane, in S. Lucia “La Madonna che appare a S. Tommaso da Villanova” e nel-l’eremo di Brettino “La Madonna della Cintura con S. Agostino e S. Monica”.Li accomuniamo, prescindendo al momento dall’incerta successione cronologica.

“S.PIETRO RISANA LO STORPIO” (Fano, chiesa di S.Pietro in Valle)

Ce ne parla diffusamente Alessandro Billi in un trat-tato storico artistico per le nozze Giacobini-Rinalducci.2Val la pena riportare alcuni brani importanti: “... invaghi-to siffattamente Simone di quel nuovo stile di pittura che tutto si sacrò di emularlo, risoluto anche di vincerlo qua lora a tanto gli arridesse fortuna e valentia pittoresca. Allora fu al dire del Malvasia, che disegnando più volte e dipingendo quella tela guidesca per formarsi a quella maniera di ritrarre, cercò per sé medesimo di mettere in pratica quello stile in varie teste e mezze figure che gli riuscirono perfette a meraviglia; preso quindi maggior animo ritrattò in Pesaro una grandiosa tela da porsi entro piccola chiesa e ne acquistò lodi siffatte che lo indussero a recarsi in Fano per studiarvi le due famose nominate

Guido Reni“Consegna delle chiavi a Pietro’’

Perpignano, Museo Rigaud

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“Miracolo di S. Pietro che risana lo storpio’’ olio su tela cm 247 x 209 Fano, Chiesa di S. Pietro in Valle

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dipinture esposte alla vista di ognuno nella gaia ed orna-tissima chiesa di S. Pietro in Valle. La bramosia poi di apprendere quella nuova maniera inventata da Guido fu sì potente in lui che, dandone in Fano copiosi saggi, ne fu dato di ritrarre nel suddetto tem pio nel lato destro del maggiore altare dove il Reni aveva collocato il S. Pietro che riceve da Cristo la potestà delle chiavi, il miracolo del medesimo santo alla porta Speciosa ove così trasformossi in Guido, al dire del Lanzi, che parve lui e fino ai tempi del Malvasia, i forestieri non distinguevano la diversità della mano”.

Stando a questo verosimile racconto dunque tale autentico capolavoro con il “Miracolo di S. Pietro” sareb-be nato dopo l’arrivo a Pesaro della “Pala Olivieri” e l’e-secuzione della “Pala di S. Barbara”. Simone aveva poco più di vent’anni!Nell’altar maggiore della ricca chiesa fanese dedicata a S. Pietro allora si ammirava al centro la tela del Reni, ivi collocata fin dal 1626, sul lato sinistro la tela di Simone e su quello destro altro dipinto attribuito a Matteo Loves raffigurante S. Pietro che resuscita la Tabita. Ora, sconfessando il Billi, si è indotti a postdatare l’opera al secondo periodo marchigiano di Simone dopo la fase bolognese3 adducendo il fatto che il giovane committente, Francesco Maria Marcolini, era deceduto nel 1622, appe-na ventitreenne, ma pur ammettendosi la “storia ancora a tratti oscura di una importante e prolungata commissio-ne” tale lutto non ha impedito alla vedova Caterina nel 1634 ca. di esporre la tela del Loves. Ed allora, non potrebbe aver provveduto alla collocazione anche del dipinto di Simone, rinviando la completa decorazione dell’altare agli anni avvenire? Siamo ovviamente nel campo delle ipotesi ma poiché a Bologna lo stesso Reni si accorse subito che Simone era tutt’altro che un dilettante e ritenendo che l’ubriacatura dello stile reniano si fosse molto affievolita al ritorno a Pesaro, ci piace assegnare questa splendida pala al periodo fanese. Il dipinto, che rappresenta S. Pietro assistito da S. Giovanni e scortato da quattro apostoli mentre compie la

“S. Pietro risana lo storpio’’disegno a sanguigna mm 25,7 x 20,9

Milano, Pinacoteca di Brera

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guarigione miracolosa istantanea di uno storpio nato che chiede l’elemosina sotto il portico di Salomone, risulta una composizione ben più complessa ed articolata della vicina pala del Reni, incentrata nella figura eretta di Cristo e di S. Pietro inginocchiato. Qui, in un ritmo ben calibrato di masse, Simone ha ideato, oltre agli apostoli, attorno all’infermo seduto su un rudimentale carretto, un ragazzo appoggiato ad un bastone sulla sinistra ed una giovane puerpera seduta con il neonato in grembo, una ragazzina ed una vecchia in piedi, sulla destra. Nello squarcio di cielo dietro l’arcata dell’atrio che dà accesso alla Porta Speciosa si nota l’arco d’ingresso della villa Miralfiore alle porte di Pesaro, riconoscibile dalle tre caratteristiche “mete” roveresche e, dietro, si intravede il timpano della chiesa genghiana di S. Giovanni Battista. Stefano Tomasi Amiani nella sua guida di Fano del 1853 così commenta-va questo capolavoro cantariniano: “... non è ultima lode l’aver saputo infondere tanta vita attenen dosi strettamen-te alla sola evangelica narrazione. Non ha poi mestieri di elogi la maestria del disegno, la bella disposizione dei gruppi, la severità delle pieghe, la fran chezza del tocco, la verità insomma che brilla in quest’ope ra di somma ec-cellenza dovuta al pennello di Simon Cantarini da Pesaro e che dagli estimatori del bello e dai conoscenti dell’arte vuolsi mandata innanzi a molte e molte delle più studiate dipinture dello stesso Guido Reni di lui maestro e rivale ad un tempo”.

S.TOMMASO DA VILLANOVA (Fano, Museo Civico)

Questa pala d’altare era in origine collocata a destra dell’alar maggiore della soppressa chiesa di S. Lucia in Fano dei padri agostiniani dell’eremo di Brettino ed in seguito trasferita nel palazzo della nobile famiglia Cor-belli, proprietaria dell’opera (attualmente al Museo Ci-vico). Perplessità sono sorte sulla datazione del dipinto perché tradizionalmente la sua vicenda veniva collegata

“S. Pietro risana lo storpio”G.G. PandolfiPesaro Oratorio del Nome di Dio.

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“Apparizione della Madonna a S. Tommaso da Villanova’’olio su tela cm 240 x 155 Fano, Pinacoteca Civica

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G. F. Guerrieri da Fossombrone “Miracolo del cieco nato’’ Fano, Chiesa di S. Pietro in Valle

all’altro dipinto “Madonna della cintura” di cui si parle-rà più avanti, eseguito per la piccola chiesa di Brettino. Infatti è sempre il citato Billi a riferirci che: “... dimo-rò Simone vari mesi in Fano forse nell’abitazione del defun to zio Antonio, (si tratta di Giovanni Antonimo Battista, fratello del padre di Simone, causidico presso il Tribunale di Fano)4 . Né vi rimase ozioso perché, mentre dava l’ul tima mano allo storpio risanato dal principe de-gli aposto li..., attendeva a dipingere il mediocre S. Tom-maso... Questo dipinto, che io ne sappia, fu ignoto non-ché agli antichi e moderni descrittori di pitture ma pure al Lanzi ed al Lazzarini, non lo trovo accennato se non nel catalo go delle pitture degli uomini eccellenti che si vedono in diverse chiese di Fano, stampato per Andrea Donati nel 1765. Forse non ne fecero motto perché fu guasto per comando di un ignorante priore che volle da altra mano pennelleggiare sul capo del santo una mitra vescovile che discorda e disarmonizza con il resto del quadro piuttosto cenericcio, direbbe l’Albani, e copre metà di uno sfondo che alluminava gradatamente il vol-to del beato. Nondimeno la figura di S. Tommaso e bella e maestosa e lo sgardo è rapito nel contemplare la Ver-gine, che in atto poggia con il Bambino graziosamente sostenuto sul ginoc chio e con le mani da sembrare vivo e che rivolge giulivo i suoi occhi al santo che fervorosa-mente lo prega; la visio ne par vera e non vi aveva luogo la mitra. Ai piedi del santo da una banda avvi un fanciul-letto che con un dito indica l’estasi di Tommaso e rompe l’oscurità delle vesti e del rimanente del quadro”.Il Billi ci informa poi della vendita del dipinto al momen-to della soppressione del Convento a don Giovanni Rayn, un sacerdote noto collezionista d’arte di Fano con l’impe gno di non trasferirlo mai fuori Fano ove fu poi collocata nella chiesa del Gesù. Inoltre egli in merito al parere che il dipinto sia stato eseguito da Simone prima di recarsi alla corte del duca di Mantova, ribadisce la propria con vinzione che: “stesse occupato in essa allor-ché in Fano pingeva il miracolo di S. Pietro, imitando le tavole di Guido.”5

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Dunque cronologicamente prima di eseguire la terza opera fanese, la “Madonna della cintura” nell’eremo di Brettino.Ma in occasione della mostra antologica “Simone Can-tarini detto il Pesarese” tenuta a Bologna nel 1997, la datazione del dipinto viene spostata attorno al 1640 in base ad un accordo notarile fra i frati agostiniani di S. Lucia e tre fratelli Corbelli per la dedica alla Madon-na dell’altare a destra del maggiore alla Madonna.6

Ma quanto può essere determinante la dedicazione del l’altare a condizionare l’esecuzione del dipinto? L’opera non poteva essere già stata realizzata, come sostiene il Billi? Il quesito non pare del tutto risolto. Ai posteri...!

LA MADONNA DELLA CINTURA (Fano, Museo Civico)

Una delle opere che concordemente è considerata fra le prime degli esordi di Simone poco più che venten-ne è la pala d’altare eseguita per la chiesetta dell’eremo di Brettino dei frati agostiniani, nell’entroterra fanese, raffi gurante la “Madonna della cintura”. Il dipinto rap-presenta la Madonna in gloria con Gesù, cir condata da angeli e da un aureola di testine di cherubini, nell’atto di consegnare a S. Monica, madre di S. Agostino da poco convertito, una cintura, simbolo dell’ordine. Lo schema compositivo a piramide e l’impronta classici-stica, derivano – come del resto nella “Pala di S. Barbara e S. Terenzio”, per la chiesa di S. Cassiano di Pesaro – dalla lezione reniana assimilata attraverso lo studio assi-duo sulla “Pala Olivieri” del Duomo di Pesaro. Questa splendida pala nasce da un forzata clausura nel-l’eremo di Brettino: non tutti i mali vengono per nuoce re! “... ed amoreggiando anche troppo licenziosamente – ci racconta ancora il Billi – sicchè gli toccò un colpo d’ar-chibugio onde campò quasi per prodigio; perciocché con

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l’aiuto di quei religiosi agostiniani, stimò bene nascon-dersi nel convento di Brettino per scansare il rumore dei rivali e dei genitori, parenti o mariti delle donzelle offe-se. Ciò si deduce anche dalle parole alquanto ambigue del Malvasia che rimprovera Simone per questo vizio che lo rendeva tardo e negligente dalle avute commis-sioni”. Per fortuna di Simone ci sono, provvidenziali a toglierlo dai guai, i buoni fraticelli agostiniani della chiesa di S. Lucia e di Brettino che gli curano la ferita e gli danno ospitalità nel loro eremo; si tratta di un sog-giorno forzato perché sarebbe molto imprudente mo-strarsi per le vie di Fano.Simone deve dunque molta riconoscenza a questi frati, al cui ordine si consacrerà in seguito anche il fratello Antonio di lui più giovane di nove anni; e così, anche per occupare il tempo, esegue questa terza opera. Una trilogia pittorica singolare per lo studio del processo di maturazione della poetica cantariniana, a prescindere da qualche perplessità nella successione cronologica dei tre dipinti.Ed è forse il rischio grave subìto e l’ostilità prodottasi nei suoi confronti che farà maturare l’idea di far le vali-gie verso la dotta Bologna.

Note:

1) Catalogo della mostra, 1959 - pag.432) cfr. A. Billi “Brettino e Simone Cantarini” - Fano 18663) A. M. Ambrosini Massari in “Simone Cantarini nelle Marche” catalogo della mostra - 19974) Spogli Almerici, Ms.1544 della Biblioteca Oliveriana di Pesaro5) S. Tomasi Amiani “Guida di Fano” - 1981 pag.1346) cfr. A. M. Ambrosini Massari Catalogo della mostra, 1997 - pag. 146

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“Madonna della cintura’’olio su tela cm 209 x 177Fano, Pinacoteca Civica

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IL PROBLEMATICO RAPPORTO RIDOLFI - CANTARINI

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Il “discepolato” di Simone con Claudio Ridolfi “Il Veronese” che presumerebbe una certa continuità e sta bilità presso una bottega d’arte lo si dà quasi per sconta to. Ma dove e quando si sarebbe realizzato? Le incertezze e discordanze d’opinioni non mancano.

Vi è chi dubita dell’ apprendistato di bottega pres-so Gian Giacomo Pandolfi… mentre al contrario quel-lo presso Claudio Ridolfi avrebbe lasciato più chiare e diffuse testi monianze…” 1; chi ritiene si sia svolto in Urbino “dove Ridolfi insegna pittura a numerosi giova-ni fra cui presu mibilmente Simone…2; vi è invece chi dichiara che “…Simone Cantarini fu allievo del Ridolfi a Pesaro…” 3 Addirittura vi è chi assurdamente scrive che “in Corinaldo fissa la sua dimora (Claudio Ridolfi) … e si sa che ivi tenne scuola e fra gli altri ne uscì il celebre Cantarini detto Simone da Pesaro”4.Il quesito non può prescindere da alcune considerazioni tra cui “in primis” la sensibile differenza di età fra i due artisti.Controverso risulta l’anno di nascita del Ridolfi: ben tre suoi biografi indicano il 1560:

l’omonimo storico veneziano Carlo Ridolfi, il quale - informa che morì a 84 anni nel 1644 5;

Bartolomeo Dal Pozzo, il quale dichiara che quando - morì il padre Fabrizio nel 1594 il figlio Claudio aveva 34 anni. 6

Diego Zannandreis, lo segnala presente in Verona nel - 1616 all’età di 56 anni. 7

Ora, teniamo presente che se davvero il Ridolfi fosse nato nel 1560, quando Simone diciottenne era agli esor-di della carriera artistica avrebbe avuto ben settant’an-ni! Rileviamo che la critica contemporanea accoglie come anno di nascita il 1560, ribadito sia in occasione della mostra dedicata al Veronese nel 1994 in Corinaldo 8, con vinzione sostenuta anche dallo studioso veronese prof. Enrico Maria Guzzo sia tre anni dopo, nel 1997 in occa sione della mostra in Pesaro “Simone Cantarini nelle Marche” 9. Questo sensibile divario di età fra i due artisti di oltre mezzo secolo è già motivo valido per contestare

. D. Campiglia“Claudio Ridolfi detto il Veronese’’

Firenze, Galleria degli Uffizi

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F. Barocci“La circoncisione di Cristo’’Pesaro, Oratorio di Nome di Gesù

un consistente rapporto di magistero del Ridolfi con il Pesarese.Dunque l’ipotizzato fugace incontro del Ridolfi con Si-mone a Pesaro, dove egli non ha mai tenuto una botte ga d’arte stabile può essere avvenuto quando era prossi mo al traguardo dei settant’anni. Prima di analizzare più avanti la vicenda della “Madonna del Rosario” di Candelara, ci preme verificare anche l’i potesi di una frequentazione di Simone alla scuola del Ridolfi in Urbino ove era giunto nel 1602, mentre Federico Barocci vi morirà nel 1612, lo stesso anno della nascita di Simone.Il Ridolfi all’epoca del matrimonio del 1610 si trasferisce a Corinaldo, e dopo la nascita dei primi due figli, lo tro-viamo per quattro anni nella città di origine Verona dal 1617 al 1621, anno in cui si trova sicuramente in Urbino, impegnato negli apparati per le nozze di Ubaldo Della Rovere con Claudia de’ Medici. Simone aveva allora ap-pena nove anni! Assolto questo gravoso impegno Ridolfi risiede con la famiglia a Corinaldo, facendo la spola con Urbino per non frequen ti visite alla scuola d’arte avviata in Ca’ Condi. Esaminiamo allora anche questa ipotesi. Il Ridolfi innanzitutto non può considerarsi un caposcuo-la non potendosi riconoscere in lui la personalità autore-vole di un innovatore; si annoverano però suoi allievi. Alla morte del Barocci egli ne prende il posto, primeg-giando fra altri pittori barocceschi come Antonio Ci-matori, Alessandro Vitali ed Antonio Viviani. Ma quali risultano essere stati suoi allievi diretti? Ricordiamo sicu-ramente Girolamo Cialdieri, pittore, inci sore ed architetto che troviamo collaboratore del Veronese nel 1621 all’età di 28 anni nell’opera pittorica degli apparati per le noz-ze di Ubaldo Della Rovere. Altro seguace fu Benedetto Marini, presto trasferitosi a Faenza e poi a Piacenza; si ricorda Alfonso Patenazzi, noto più come ceramista che come pittore oppure Giovan Battista Urbinelli ed altri. Ma se il nostro Simone, molto più giovane dei succitati

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pittori, avesse frequentato per un certo periodo tra il 1627 ed il ‘30 lo studio del Ridolfi, ove comunque la presenza del Maestro era quanto mai discontinua, possibile che non ne sarebbe rimasta qualche traccia? Possibile non abbia lasciato in Urbino qualche dipinto a documentarne la pre senza?Non si vuol qui disconoscere che nelle opere pre-re-niane di Simone non si avvertisse “la componente neo-veneta affermata soprattutto dalla stabile sensibile at-tività di Claudio Ridolfi” come afferma Emiliani (cfr. Andrea Emiliani “I Maestri della pittura del Seicento emiliano” – Simone Cantarini 1959 - pagg. 114-115). Non si può pertanto affermare un non documentato rap porto di alunnato o apprendistato di Simone presso il Ridolfi né a Pesaro né ad Urbino né a maggior ra-gione a Corinado anche se è certamente plausibile che Simone abbia potuto conoscere i dipinti che il Ridolfi ha lasciato nelle vicinanze di Pesaro come, ad esem-pio, in S. Paterniano a Fano, nella parrocchiale di S. Giovanni in Colbordolo, la “Madonna del Rosario” a Mombaroccio, a Mondolfo etc.La notorietà del Ridolfi nell’ambito pesarese deve es-sere stata comunque diffusa ed altisonante da rendere plausi bile il desiderio di Simone e del padre di ottener-ne con sigli, giudizi e protezione.Ma occorre chiedersi quale necessità e sprone po-teva nutrire Simone a girovagare per conoscere le opere del Ridolfi, seguace del geniale Federico Ba-rocci quando con tutta tranquillità aveva la possibi-lità di studiare a lungo tre capolavori del Maestro, che in larga misura ha inciso sulla sua formazione culturale giovanile, opere esposte in sedi facilmente raggiungibili. Abbiamo già accennato alla splendida “Circoncisione di Gesù”, a proposito dell’Oratorio del Nome di Dio, domi nio incontrastato del Pandol-fi; ma va anche ricordata “La vocazione dell’aposto-lo Andrea” che si trovava nell’omo nimo Oratorio poi abbattuto ma che a quei tempi era ubi cato proprio davanti alla Casa Cantarini, sul Corso, opera attual-mente al Museo di Belle Arti di Bruxelles ed infine

F.Barocci“La chiamata di S. Andrea’’

Pesaro, Oratorio di S. Andrea

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F. Barocci“La Beata Michelina’’Pesaro, Chiesa di S. Francesco

quella “Beata Michelina” ora alla Pinacoteca Vatica-na ma che allora era esposta nella chiesa di S. France-sco o Santuario di S. Maria delle Grazie. Tale opera, in base a confidenze fatte al conte Mal-vasia era privilegiata dal giovane Simone il quale studiava in essa gli occhi per la particolare tecnica a velature magi stralmente usata dall’urbinate. Mi piace concludere l’argomento con un’immagine quan to mai efficace di Simone tratteggiate dal prof. Pietro Zampetti:“…Simone Cantarini, pesarese di nascita, bologne-

se di cultura, tuttavia solitario nella sua malinconi-ca persona lità: personaggio drammatico, egli ha nel complesso mondo barocco un posto a sé stante, quasi un nuovo Caravaggio, intendo quale testimonianza di vita vissuta da girovago insoddisfatto, colto da morte precoce che lo rapi va quando aveva appena trentasei anni. Siamo ben oltre il mondo del Ridolfi!” 10

L’’ENIGMA DELLA “MADONNA DEL ROSARIO” Can-delara (Pesaro), Chiesa di S. StefanoL’attribuzione a Claudio Ridolfi e non al giovane Si-mone come proposto dallo scrivente nel 1975, della “Madonna del Rosario” della Pieve di S. Stefano a Candelara, è stata “definitivamente” consacrata nel 1994 in occasione della mostra dedicata al Veronese in Corinaldo e poi ripresa nel 1997 nella mostra “Simone Cantarini nelle Marche” in Pesaro. Preso atto di tale autorevole giudizio critico, vor-rei sol tanto proporre delle sommesse considerazioni. E’ bene innanzitutto rileggere le notizie riporta-te nel manoscritto “alcune memorie sulla parroc-chia di Candelara raccolte dall’abate Luigi Buresti” nel 1879 e custodite presso l’archivio parrocchiale. Nel documento testualmente si legge: “Il miglior quadro che questa chiesa possiede è quello del SS. Rosario a sini-stra di chi entra che si ha fondata ragione di credere che sia di mano del nostro Simone Cantarini, è una tela di m.

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4,50 x 2,50 con la cimasa in tondo. Ha tradizione che il volto della B.V., il Bambino e gli Angeli siano fatti da Claudio Ridolfi Veronese, che fu pure suo Maestro il quale, passando per Pesaro per portarsi a Loreto e trat-tenendosi in sua casa vi lasciò questa memoria. Il paese pure in fondo al quadro credesi di altra mano. Il sig. Giu-seppe Gennari, valente pittore e restauratore di quadri, di Pesaro è d’opinione che possano essere dette correzioni di Claudio Ridolfi… questa tela fu restaurata dal nomina-to Gelli e ritoccata dal prof. Pierpaoli di Fano.”Fin qui il testo autografo del Buresti, relativo al dipin-to. Val la pena fare qualche commento. Come nasce la convinta attribuzione della tela al Cantarini da parte dell’abate Buresti il quale era in stret to contatto con i tre restauratori? Ma come si concilia tale affermazione con il ritenere per tradizione di mano del Ridolfi il volto della Vergine,il bambin Gesù e perfino gli angeli, vera con-traddizione in termini? E cosa resterebbe da dipingere al giovane allievo se anche il paesaggio sarebbe opera di altro pittore? Riflettiamo un momento: il Ridolfi verso il 1630 circa, ormai prossimo al traguardo dei settant’anni’anni , passa per Pesaro, proveniente da ignota località del nord e di-retto a Loreto, molto più a sud di Corinaldo, città di sua residenza; si ignora lo scopo del viaggio, in quanto non risultano committenze per tale città. Girolamo Cantarini è ben lieto ed onorato di ospitare l’anziano Maestro per far conoscere i progressi di Simo-ne. Per quanto tempo? E’ una sosta di passaggio, la mo-glie è in trepida attesa con cinque figli in tenera età ed in atte sa della sesta, Francesca, suppongo pochi giorni! Bene, il Ridolfi presumibilmente con le ore contate è in grado di percorrere più volte il tragitto con un calesse dalla ex Via dei Fondaci per una decina di chilometri fino alla Pieve di Candelara per portare a termine una così splendida composizione!? Ed in una tela di così notevoli, rare dimensioni? Ed allora potrebbe chiarire l’equivoco lo stesso Gennari

“Studio per la Madonna delRosario e Santi’’

Parigi, Louvre

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“Madonna del Rosario’’Attribuzione incerta (Ridolfi o Cantarini) olio su tela cm 350 x 250Candelara (Pesaro), Pieve di S. Stefano

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quando parla di “correzioni”, il Maestro assiste Simone ed offre la sua collaborazione.Anche il Pierpaoli doveva essere stato di tale opinio-ne. Non pare determinante il riferimento alla Madonna raffi gurata “con nastro sui capelli divisi al centro con l’abi tuale maniera di reggere il Bambino paffuto e sfug-gente”. (cfr. Claudia Calegari “Claudio Ridolfi, pittore veronese nelle Marche del seicento” 1994 - pag.24). Il raffronto qui proposto del volto della Vergine e del pic colo Gesù con altri caratteristici della tipologia can-tari-niana mi pare possano giustificare qualche perples-sità attributiva.Si è infine suggerito l’accostamento stilistico al dipinto che il Ridolfi eseguì nel 1605 per l’allora chiesa di S. Rocco in Colbordolo, luogo di origine della famiglia di Raffaello Sanzio non lontano da Pesaro; tale opera è genericamente denominata “Madonna del Rosario” solo perché la composizione, alquanto complessa e macchino sa, rappresenta la Madonna con Gesù affian-cati da S. Giuseppe e dalla Maddalena mentre in basso si nota S. Domenico di Guzman in atteggiamento contem-plativo e S. Rocco intento a curarsi la ferita alla coscia sinistra. Ma non si avverte la poetica cantariniana della pala di Candelara ove affascina quel senso di serena, silente soli tudine in cui sono immerse le figure di Maria e Gesù con il Rosario in mano, allietati da angioletti con fiori e la corona, una poetica quanto mai desueta nelle tele sempre alquanto animate del Ridolfi. Diversa è anche la gamma cromatica più accaldata nella tela ridolfiana nelle tinte violacee e verdognole della ve-ste di Maria; ed anche lo scorcio del borgo sul fondo ha poco in comune con l’evanescente e lieve sfondo della tela di Candelara in cui pare intravedere richiami di Pe-saro (Rocca Costanza?).Potrebbe ritenersi con fondamento uno studio preparato-rio per le figure della Madonna e di Gesù il bel disegno a sanguigna conservato al Louvre inv. 7075, osservando il soave volto della Vergine lievemente inclinato verso il basso ed il braccio destro un po’ sporgente con in mano il

C. Ridolfi“Madonna in gloria e Santi’’

Colbordolo, Chiesa di S. Giovanni B.

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TIPOLOGIA CANTARINIANA DELLA MADONNA

part. “Madonna del Rosario’’ Candelara (Pesaro), Pieve di S. Stefano

part. “Riposo in Egitto’’ Milano, Pinacoteca di Brera

part. “Riposo in Egitto’’ Parigi, Museo del Louvre

part. “Sacra Famiglia’’ Roma, Galleria Colonna

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TIPOLOGIA CANTARINIANA DI GESÙ BAMBINO

part. “Madonna del Rosario’’ Candelara (Pesaro), Chiesa di S. Stefano

part. “Sacra Famiglia’’ Roma, Galleria Colonna

part. “San Tommaso di Villanova’’ Fano - Museo Civico.

part. “Pala di S. Barbara e S. Terenzio’’ Chiesa di S. Andrea, (MI) Aicurzio

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rosario ed il paffutello Bambino a cavalcione del ginoc-chio della madre, pur con qualche variante di posizio-ne ma pure lui colto nell’atto di porgere un rosario; nel dise gno sono appena accennate due figure di santi ge-nuflessi che non possiamo escludere fossero in origine progettati a completamento della pala di Candelara. Tale accostamento ci pare più pertinente rispetto al dise gno di Copenaghen di misure assai modeste a con-fronto con la maestosa pala d’altare (cfr. Enrico Maria Guzzo in “Atti del Convegno tenutosi a Corinaldo nel 1994 in occa sione della mostra dedicata a Claudio Ri-dolfi e pubblica ti nel 1997).Sappiamo che il tema della Madonna del Rosario è al-quanto ricorrente nella produzione artistica cantarinia-na. Oltre alla pala di Arcevia da pochi anni riscoper-ta, in cui il gruppo è in trono, il Giordani nelle sue note auto grafe 1866 ci ha informati di una Madonna del Rosario dipinta da Simone in Bologna per il con-te Vincenzo Brunetti che ricompensò l’autore con una collana di tren ta doppie!Il soggetto non è raro nell’attività grafica: oltre al Lou-vre troviamo suoi studi a Brera, al Museo Horne, al museo partenopeo di Capodimonte ed in raccolte pri-vate. Scrissi nel 1975 che si avverte nel capolavoro di Candelara “un ritmo musicale di immediata freschezza, in virtù anche della stupenda cornice di angeli e putti festo si” nota peculiare del lirismo del nostro artista. Ci spiace ovviamente che questa stupenda pala sia sta-ta espunta dal catalogo di Simone, estromesso anche come coautore forse per avallare un presunto rapporto di alun nato quanto mai improbabile. Anche se si prospetta un fugace contatto fra la giovane promessa ed il maturo maestro, solo Simone poteva avere consuetudine con quello scorcio panoramico che si ammira dal poggio della Pieve. La felice immediatezza dell’arioso impianto composi-tivo ed il gradevole ritmo musicale scandito dal volteg-giare degli angeli nonchè l’ovale del volto della Vergine così affine a quello dei “Riposi in Egitto” di Brera e del

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Louvre restano peculiarità del linguaggio cantariniano; al contrario ci pare che un raffronto stilistico con le pale ridolfiane di Mombaroccio e di Colbordolo così medita-te nel complesso schema compositivo evidenzi sensibili difformità formali e contenutistiche. Ma, ahimè “Ubi maior minor cessat”! Comunque l’apporto di Claudio nella formazione artisti-ca di Simone credo vada ridimensionato alla luce delle su esposte considerazioni.

Note:

1) A. Colombi Ferretti “La scuola di Guido Reni” – 19952) M. G. Calegari “Immagini di Candelara” - 19923) A. M. Ambrosini Massari “Disegni Italiani della Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro - 1995 pag. 1024) D. Zannandreis “Vite dei pittori, scultori ed architetti veronesi” – 18315) C. Ridolfi “Le meraviglie dell’arte” - 15486) B. Del Pozzo “Vite dei pittori veronesi” - 17187) D. Zannandreis “Vite dei pittori, scultori ed architetti veronesi” – 18318) M. G. Calegari “Claudio Ridolfi, un pittore veronese nelle Marche del ‘600” - catalogo della mostra, 19949) M. G. Calegari “Simone Cantarini nelle Marche” - 1997 catalogo della mostra “La Madonna del Rosario” pag. 2710) P. Zampetti “Claudio Ridolfi e gli eventi della pittura marchigiana tra manierismo, controriforma e le origini dell’arte barocca” dal catalogo della mostra del Ridolfi del 1994)

Notizie su Pierpaoli e Gennari

Giovanni Pierpaoli (1833-1911) è stato un contemporaneo del Buresti e godeva di stima incondizionata. Dopo l’attività pittorica a Roma ed a Firenze, ai tempi del restau-ro egli risiedeva a Fano fin dal 1868 ed insegnava educazione artistica presso il colle-gio-convitto Nolfi, divenendo poi titolare della cattedra di disegno nelle scuole tecniche. Egli era un appassionato della pittura emiliana tanto è vero che riprodusse due tele del Guercino, “l’Angelo custode” e lo “Sposalizio della Vergine”. Era pertanto intenditore ed apprezzava la pittura di Simone.

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Lo ricordo come valente ritrattista avendo osservato di lui il “Gioacchino Rossini”, al Museo della Scala di Milano, ed il ritratto di Terenzo Mamiani, a Pesaro. Insomma la sua attribuzione non era di poco conto. (cfr. “I pittori fanesi Giovanni Pierpaoli e Giusto Cespi” a cura di Alfredo Servolini, Milano). Altrettanto può dirsi a proposito del pittore e restauratore pesarese Giuseppe Gennari , stimato anche come intenditore d’arte, tanto è vero che Giuliano Vanzolini lo volle come collaboratore per la parte artistica nella stesura della “Guida di Pesaro”edita nel 1864 in occasione dell’inaugurazione della statua in bronzo di Gioacchino Rossini.

Precisazioni sulla biografia sul Ridolfi

Per completezza di informazione va precisato che sembrerebbe dunque più attendibile il 1570 come anno di nascita indicato dallo storico urbinate Egidio Calzini il quale reperì un documento certo dell’ “anagrafe della Contrada del Ponte della Porta in Verona” del 1594 in cui è precisata l’età di Claudio in anni 23. (E. Calzini Claudio Ridolfi in “Rassegna bibliografica” 1911).Tale ringiovanimento di un decennio è più accettabile anche per la validità documen taria dell’atto e se si tien conto del matrimonio di Claudio Ridolfi con Vittoria de’ Maschi celebrato in Urbino nel 1611 all’età più credibile di 41 anni, per mettere al mondo ben sette figli: la primogenita Leonora due anni dopo a Corinaldo e poi nell’ar co di un ventennio Francesco Luigi, Laura, Cesare Silvestro, Bernardino, Francesca nata a Fossombrone ed ultima Maria Veronica.Trovo del resto dello stesso parere il prof. Licigno Magagnato il quale ebbe a dichiara re nel 1974: “… il primo biografo in senso moderno è stato il marchigiano Egidio Calzini che nel 1911 ristabilì alcuni fatti precisi, ricorrendo alle fonti archivistiche vero nesi ed urbinati e spostò la data di nascita dal 1560 al 1570…” (cfr. “Cinquant’anni di pittura veronese: 1560 – 1630” 1974, pagg.180-181).

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IL RITRATTISTA

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Il Pesarese è stato prevalentemente un pittore della Controriforma incline a trattare temi religiosi trat-ti soprattutto dal nuovo Testamento, interprete poetico della Sacra Famiglia e dei passaggi cruciali della vita di Cristo dalla nascita e dall’esodo in Egitto alla Trasfi-gurazione sul Monte Tabor, alla morte e resurrezione. Ma non va trascurato il Simone nella veste di ritrattista di tutto rispetto.A cominciare da quel dipinto “Ritratto di una mona-ca” con il rosario in mano della Galleria Pallavicini a Roma che potrebbe risultare il primo ritratto eseguito a soli diciassette anni, se la data posta in un angolo della tela può interpretarsi 1629 (cfr. Federico Zeri “La Galleria Pallavicini” – Roma). Si tratta di una religiosa in età molto avanzata, colta con intensità psicologica, “rimessa ivi vera e spirante nuova vita dalla natura me-desima giac-chè non par certamente che l’arte possa far tanto”secon-do il giudizio del canonico pesarese Gian Andrea Lazzarini, pure pittore (“Opere di G. A. Lazza-rini” – 1806). A Pesaro Simone aveva eseguito un bel ritratto al mar-chese Gavardini, famiglia proveniente da Limone di Gavardo, località del bresciano che commissionò a Si-mone anche il dipinto “L’Immacolata Concezione” ora alla Pinacoteca di Bologna. Simone aveva anche eseguito il ritratto del marchese Baldassini, di Giovan Battista Bonamini ed altri ritratti erano segnalati in casa Zongo Hondedei, in casa Mosca etc.Anche a Bologna erano segnalati ritratti di suoi collezio nisti come il comm. Bolognini e Paris Maria Grassi. Insomma un ritrattista di primordine da far ri-tenere non credibile l’ipotesi che Simone nel 1648 sia caduto in forte depressione fino a procurarsi la morte per il dispiacere di non riuscire a cogliere le sembianze, sia pur quanto mai irregolari del duca Carlo II Gonzaga di Nevers alla corte di Mantova.

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IL CARDINAL ANTONIO BARBERINI junior (Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica)

Basterebbe soffermarsi davanti al ritratto del card. Antonio Barberini junior della Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma, ove pure si trova anche l’ “Autoritratto” di Simone.Spentasi la dominazione dei Della Rovere con la morte di Francesco Maria II a Casteldurante (ora Urbania), Pesaro con tutto il Ducato di Urbino viene sottoposta al governo papale.Siamo nel 1631, Simone non ha ancora compiuto i vent’anni. Lo storico avvenimento viene consacrato con feste ed esultanza anche perché papa Urbano VIII condo-na a Pesaro un debito di sessanta mila scudi; una lapide marmorea venne posta in segno di gratitudine nella Porta Fanestra, poi ribattezzata Porta Urbana. Nel giugno giunge a Pesaro con grandi onori il cardinale Antonio Barberini junior (da non confondersi con l’altro Antonio, fratello del Papa) nella veste di Delegato Apo-stolico, il primo di una serie di 37 Principi della Chiesa succedutisi fino al 1797. A Pesaro il giovane cardinale si deve essere trattenuto al-meno fino al ‘33, il tempo necessario per fare cono scenza di Simone e farsi ritrarre dal suo ormai noto pen nello con tanta caratterizzazione fisionomica. La protezione del cardinale risulterà preziosa per Simone sia in occasione dell’allogazione della pala con la “Tra-sfigurazione” per la chiesetta della Fortezza Urbana in Castelfranco Emilia nel 1637 sia probabilmente in occa-sione del ritorno a Bologna nel 1642

ELEONORA ALBANI(Pesaro, Banca Pesarese dell’ Adriatico)

Ho tuttora un ricordo vivido del giorno in cui il conte Albani mi invitò a Villa Miralfiore, il cui arco d’in gresso Simone raffigurò nel “Miracolo di S. Pie-tro” a Fano, onde poter ammirare lo splendido ritratto di

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“Ritrattto del Cardinale Antonio Barberini” (junior)olio su tela cm 59x47 - Roma Galleria Nazionale d’Arte Antica.

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“Ritratto di Eleonora Albani Tomasi”olio su tela cm 105x89Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

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Eleonora Albani Tomasi (oggi proprietà della Banca Popo-lare dell’Adriatico). Un magistrale testo pittorico da me proposto alla critica nel 1975 che regge il confronto con il superbo ritratto della madre eseguito dal Reni (Pinacoteca di Bologna) forse at-torno al 1632; ed è per questo che la critica è pro pensa a datare il dipinto al periodo bolognese. Eppure è facile supporre che sia stata proprio questa in-fluente nobildonna della famosa famiglia urbinate a racco-mandare Simone al cardinale Barberini. Si tratta in ogni caso di un dipinto di elevata qualità for male nell’accostamento del candore della veste con le tonalità scure circostanti e per l’intensità espressiva di accentuato verismo del volto austero. Un rapporto confidenziale nascerà poi tra la famiglia Can-tarini e la famiglia Tomasi se un figlio della nobildon-na sarà presente nel 1639 accanto a Simone in uno stu dio no-tarile di Pesaro per la trascrizione di un atto di assegnazione di dote matrimoniale alla sorella del pittore, Eleonora pure lei.

L’AUTORITRATTO(Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica)

A questi due mirabili ritratti si affianca la figura gio-vanile del loro autore, proprio lui, Simone Cantarini alias il Pesarese, dipinto da me presentato per la prima volta nel 1975. Vi sembra proprio quel personaggio altezzoso, attac-cabrighe, impenitente erotomane come ce l’hanno voluto tramandare? Un velo di malinconia, quasi di mesti zia tra-spare dai suoi occhi cerchiati che ci fa intuire un tempera-mento introverso, insicuro e molto sensibile.

Simone si è voluto rappresentare con un carboncino in mano intento a fissare su un taccuino un’invenzione gra-fica; è un modo espressivo per rivelare la sua dirompente passione per il disegno, basti pensare alle centinaia di fo-gli di disegni a matita nera, a penna, a sanguigna, a ges-setto e carboncino per schizzare di getto idee, spunti com-

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positivi, studi preparatori per opere pittoriche, spar-si in tutto il mondo dalla collezione Acqua di Brera all’Album Horne di Firenze, dalla Biblioteca Naziona-le di Rio de Janeiro al Louvre, da Londra a Monaco, a Roma, a Napoli. Quale frenetica produzione grafica di notevole interesse soprattutto per la non facile inda-gine attributi va; un sorprendente, dovizioso “corpus” grafico nono stante il breve spazio temporale, appena tre lustri, che gli ha concesso un impietoso destino, di cui forse egli era presago.Sembra che Simone abbia voluto prestare il suo volto per il San Terenzio estatico della “Pala di Santa Barba-ra” della chiesa di S. Cassiano a Pesaro o nell’aitante S. Giuliano in toga romana che con un sorrisetto am-biguo dialoga con il riguardante esterno nella tela con “Madonna in gloria e Santi” della chiesa di S. France-sco in Matelica.

IL RITRATTO DI GUIDO RENI(Pesaro, Collezione Mancini e Bologna, Pinacoteca Nazionale)

Il rapporto di Simone con il maestro che peraltro si è reso conto del suo valore tanto da farlo scende-re presto nel piano nobile dei più apprezzati seguaci è ancora sod disfacente per cui il giovane allievo ritiene opportuno ese guire il ritratto del Maestro e fargliene dono per conqui starne i favori.Simone non è alle prime armi nel ritratto, già le più nobi li famiglie pesaresi si erano rivolte a lui dagli Al-bani agli Olivieri, dai Gavardini ai Mosca, ai Baldassi-ni. Nella Pinacoteca Nazionale di Bologna si può am-mirare un piccolo tondo di appena 36 cm., quasi una miniatura, con il volto teso, accigliato del Reni; tale opera proviene dal soppresso convento di S. Giovanni Battista dei Celestini di Bologna ed è stato inventariato come “Autoritratto” agli inizi dell’ottocento. È notorio che, come ci ha rivelato il Giordani nel suo

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“Autoritatto di Simone Cantarini’’olio su tela cm 102 x 79

Roma, Galleria Nazionale d ’Arte Antica

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catalogo dei quadri conservati nella pinacoteca della Pon-tificia Accademia delle Belle Arti di Bologna (1827), fu-rono parecchi i tentativi di copie ad olio di tale dipinto di Simone che ottenne ai suoi tempi vasta popolarità, com-provata anche dalle varie incisioni che ne vennero tratte dal Cignani, dal Marchi etc. Che il soggetto rappresenti Guido Reni sembra non ci sia-no dubbi, tanta risulta la rassomiglianza con l’immagi ne del Reni con cappello a larghe tese incisa da Pio Panfili.1 Ma come mai Simone, desiderando fare un degno rega-lo al Maestro sceglie un formato così ridotto che non gli consente di rappresentare il soggetto a “mezzo busto”, formato privilegiato nella ritrattistica del seicento? Nel 1911 il dipinto venne esposto a “La scuola bolognese alla mostra del ritratto” in Bologna, ma in tale occasione lo stesso l’illustre critico Matteo Marangoni, pur esaltan-done l’intensità psicologica, non pare entusiasta della mi-nuziosità del disegno e dell’uniformità del colorito. Suscita pertanto perplessità un segno così marcato, punti-glioso, quasi calligrafico non connaturato allo stile can-tariniano.2Ed ecco che negli anni ottanta scopro a Pesaro nella col-lezione Sinistrario un altro bel “Ritratto di Guido Reni”, un tondo di misura quasi doppia di 60 cm. in formato “mezzo busto” che consente all’autore, presumibilmente Simone, di rappresentare il maestro in elegante abbiglia-mento, con un raffinato pizzo sopra il colletto candido ed un collare aureo pendente sul petto, forse un’onorificen za del cardinal Scipione Borghese. Questo secondo dipinto è stato esposto nel 1987 alla mostra dedicata a Simone dal Centro Studi Salimbeni di Sanseverino Marche, consentendo una più attenta valuta-zione stilistica.Si nota così una pennellata più fluida, sciolta, ricca di pas-saggi sfumati che dona un più intenso alito di vita al volto del Reni, infondendogli un’espressione di maturato equi-librio interiore e di pensosità, anziché di irosità impulsiva come nell’esemplare bolognese.Il “ductus” così scorrevole e tonale del dipinto pesarese

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pare più cantariniano se si raffronta con il bel ritratto di Eleonora Albani; e del resto lo stesso disegno a matita nera su carta verdastra conservato a Brera raffigurante un “volto senile” con la caratteristica barba reniana “a capra”è esente da asprezze espressive ed il segno fluisce con armoniche cadenze più congeniali al linguaggio del Pesarese. 3Un’ultima considerazione: si può escludere che il dipinto di Pesaro possa essere una copia fedele di quello di Bo-logna, un raffronto accurato fra le due versioni evi denzia diverse varianti: ad esempio nel ritratto di Bologna si nota:

una capigliatura a struttura morfologica meno compatta - e più statica;

al centro della fronte vi è un ciuffo spiovente diverso da - quello ondulato ad “S” del dipinto di Pesaro;

più incisivi i segni della cartilagine del padiglione auri-- colare; più accentuate le borse sottopalpebrali; più ag-grottate le sopraciglia; la fronte è solcata da rughe più marcate; la bocca appare più tagliente; la macchia rube-scente allo zigomo è più inclinata e più attigua alla base del naso.Ne risulta un volto più accigliato e teso con tratti somati ci più incisivi e sofferti.Riteniamo che considerazioni di pura logica e di dedu-zioni stilistiche facciano ritenere il dipinto di Pesaro il ritratto originale eseguito da Simone e quello di Bologna una delle repliche così allora richieste dai collezionisti e di cui si annoverano diversi esemplari delle stesse dimen-sioni ridotte. 4Reni deve avere molto apprezzato e gradito l’omaggio dell’allievo preferito, al quale procura importanti com-missioni.

“Ritratto di Guido Reni’’olio su tela cm 36 di diametro Bologna,

Pinacoteca Nazionale

“Ritratto virile’’ disegno Milano, Pinacoteca di Brera

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“Ritratto di Guido Reni’’ olio su tela cm 60 di diametro Pesaro, collezione Mancini

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“Ritratto di gentiluomo seduto e nobildonna con rosario in mano”olio su tela cm 120 x 103

Bologna, Collezioni d ’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

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RITRATTO DI GENTILUOMO SEDUTO E NOBILDONNA CON ROSARIO IN MANO (Bologna, Fondazione della Cassa di Risparmio)

L’elevato grado di abilità raggiunto da Simone quale ritrattista, fin dalla giovinezza, ha trovato conferma in que-sto mirabile doppio ritratto che va ad arricchire il “corpus” pittorico del Pesarese. Si tratta di un dipinto acquistato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna ad un’asta tenu-tasi a New York il 6 aprile 2006. In passato era inventariato nel Palazzo Machirelli (già Olivieri) a Pesaro, con il titolo “Due ritratti di vecchi”. Esso potrebbe raffigurare, ma è solo un’ipotesi, i coniugi Olivieri, committenti della Pala reniana per il loro altare nel Duomo Pesaro. Potrebbe quindi essere un ritratto rappresentante nobili pesaresi, come quelli del Gavardini e del marchese Baldassini. Una certa affinità somatica del volto dell’anziana nobildonna potrebbe riscon-trarsi nel ritratto della vecchia novantacinquenne, anche lei con il rosario in mano che si trova nella Galleria Pallavicini a Roma, attribuito al pesarese dallo storico d’arte Federico Zeri, lo stesso che ha confermato la paternità di Simone di questo dipinto il 18 giugno 1963, avallando l’expertise del prof. Paolo D’Ancona. Nel febbraio 2006 si sono aggiunti i pareri critici favorevoli di Daniele Benati e di Andrea Emiliani. Se si accosta quest’opera al ritratto del cardinale Antonio Barberini junior, già esaminato in precedenza, que sto bel dipinto va datato agli anni 1631/1632, anni della presenza a Pesaro del cardinale, allora legato apostolico di Pesaro, dopo la devoluzione allo Stato della Chiesa del ducato roveresco e quindi in epoca anteriore al trasferi-mento del giovane ma già affermato artista nell’atelier del Reni per il suo primo soggiorno a Bologna.

Note:

1) F. Zeri “La Galleria Pallavicini” - Roma2) “Opere di G. A. Lazzarini” - 18063) G. P. Cavazioni-Zanotti “Il Plaustro di S. Michele in Bosco” - 17764) Rivista “Arte” del 19115) Repliche di proprietà Steward Colliva, Pinacoteca di Faenza, Galleria Corsini di Roma etc.

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GUIDO RENI,EVOLUZIONE DI UN RAPPORTO

UMANO ED ARTISTICO

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Dobbiamo convincerci che l’unico vero maestro di Simone è stato il sommo Guido Reni, anche se si sono volute attribuire svariate ed a volte incomprensibili in-fluenze sulla formazione artistica giovanile del Pesare-se. Sono tentativi irrisolti di analizzare le compo nenti di una pittura che presenta una linea stilistica non sempre costante ed omogenea nel suo percorso tempora le. Ma è evidente che Simone ha attinto a piene mani soprattutto dalla lettura diretta, come si è detto, delle opere di due grandi Maestri, dapprima sui tre capolavori del Barocci di Pesaro e poi, in misura molto più coinvol gente, sulle opere in ambito pesarese del Reni la cui fama altisonan-te si era ben diffusa in terra roveresca. L’esecuzione di alcune copie della pala Olivieri, come attesta il bel dipinto della Fondazione della Cassa di Ri-sparmio di Pesaro, e di numerosi studi grafici di brani particolari, come teste di cherubini, è la riprova di quan-to il giovane si sia invaghito di tale innovativo linguag-gio artistico. Abbiamo immaginato dunque il giovane Simone presente tra la folla nel giorno solenne della be-nedizione della suddetta opera ma soprattutto successi-vamente in frequenti sedute solitarie per studiare quello stile austero e nel contempo armonioso nello schema compositivo a piramide che ritroviamo sia nella “Pala di S. Barbara e S. Terenzio” sia nella “Madonna della cintura” di Fano.Dunque il vero e fecondo magistero del Reni si svolge agli inizi senza che il discepolo debba spostarsi da Pesa-ro. Simone infatti dimostra di possedere una straordina-ria capacità di assimilazione del linguaggio reniano ove non manca di scorrere anche linfa raffaellesca. Simone, da autodidatta, assorbe rapidamente tali inse gnamenti proprio attraverso lo studio visivo sia a Pesaro che a Fano di queste tre opere fondamentali della matu rità del Maestro, il quale varcando la soglia dei sessant’anni, imbocca la strada della sua ultima maniera “argentea” così sfibrata ma ricca di trame dolcissime e sensua-li. Non resta molto tempo a Simone per fruire di una frequentazione personale con il Maestro verso il qua-le nutre entusiastica ammirazione; e così egli alquan-

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to spaesato ed intimidito giunge a Bologna presumibil-mente nel 1634 ed entra nell’atelier del Reni come uno sprovveduto principiante a cui erano destinate le camere del piano superiore.Simone nasconde il proprio valore. Falsa modestia e tatti-ca consumata oppure sincera riservatezza di un giovane inesperto sradicato dalla provincia al cospetto dell’anzia-no celebrato caposcuola? Pare che Simone non leghi molto con gli altri allievi della scuola, non frequenta il corso di nudo ove qualche volta fa capolino per dare una sbirciata alla modella e poi tornare in camera a tracciare schizzi a memoria, irritando con questo comportamento Andrea Sirani, coordinatore della scuola. Se si deve dar credito, sia pur con beneficio d’inventario alla aneddotica malvasiana, Simone non aveva soddisfat-to la richiesta del Reni di incidere su lastra alcune sue opere, dopo aver in un primo tempo aderito ma poi rin-viando alle calende greche l’esecuzione del lavoro. Mentre il Maestro agli inizi aveva assai gradito ed apprez-zato il dono di Simone del ritratto del suo volto l’atteg-giamento dell’allievo sempre più irrispettoso progressiva-mente lo irrita ed indispettisce; un episodio alquanto pro vocatorio è quello di aver abbozzato una piccola tela con la figura di S. Girolamo, ponendola sul cavalletto del Maestro con l’intento di trarre in inganno i condiscepoli. Ma è evidente che Simone è insofferente della disciplina imposta dalla scuola e se è vero che la protezione del Reni gli è servita per ottenere qualche commissione pare che a volte per far lievitare la quotazione dell’opera la firma di Simone venisse sostituita con quella del Maestro. Reni non è molto tagliato per l’attività didattica, sconcer-ta la sua nuova maniera “argentea” così sfibrata, evane-scente e sensuale delle Lucrezie e Cleopatre suicide, in definitiva si è molto affievolito il prestigio autorevole che aveva conquistato Simone al primo incontro indiretto a Pesaro. Presto Simone prende la consapevolezza alquan-to deludente di aver trovato un Reni in depressione seni-le. Ben diverso da quello che lo aveva invaghito attraver-so lo studio dei dipinti magistrali di Pesaro e di Fano.

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Dalla frequentazione quotidiana con il docente egli non avverte il fascino straordinario che aveva assorbito al cospetto dei capolavori più celebrati del Maestro nelle Chiese del capoluogo emiliano. Più che alla lezione diretta del docente, Simone preferi-sce quindi ripercorrere le tappe più significative della car riera di Guido, iniziando da quella “Incoronazione della Vergine” nella chiesa di S. Bernardo, considerata la prima opera giovanile alla fine del ‘500 al momento del passag gio dalla bottega del Calvert all’Accademia dei Carracci. Avrà poi sostato davanti alla celeberrima “Strage degli innocenti” nella chiesa di San Domenico, ove pure è esposta la “Resurrezione di Cristo” mentre in Palazzo Zambeccari, ove al suo rientro in Bologna nel ’42 allestirà il suo atelier, avrà avuto modo di visionare lo statuario “Sansone vittorioso” per finire con la “Pala della peste”, quello stendardo votivo eseguito da Guido forse nel ‘32 quindi l’opera più recente prima dell’ingresso di Simone nell’atelier, opera considerata pietra miliare nella virata stilistica verso l’ultima maniera del Maestro.L’irrequieto ed inappagato allievo avverte quindi il mar-cato divario fra il nuovo linguaggio estetico del Maestro sempre più improntato da una visione metafisica popola-ta di immagini esangui, quasi smaterializzate e la sua incalzante sintassi neoraffaellesca anelante ad un afflato lirico che rasserena ed esalta, umanizzandola, la poetica degli affetti, teneramente espressi nell’ambito della Sacra Famiglia oppure nello slancio mistico fra la fragile dimen sione terrena e quella imperitura ultraterrena.

LA TRASFIGURAZIONE DI CRISTO” per la Fortezza Urbana. (Milano, Pinacoteca di Brera e Roma, Pinacoteca Vaticana)

Ma il “casus belli” è rappresentato da un opera capi tale nel “curriculum” artistico di Simone, quella

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“Trasfigurazione di Cristo’’ studio preparatorio a sanguigna Monaco, Graphische Sammlung

“Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor” che la fami-glia romana dei principi Barberini, tra cui quel cardinal Antonio già ritratto a Pesaro da Simone, aveva allogato al Reni insieme ad altre due pale d’altare da collocare nella chiesa della Fortezza Urbana in Castelfranco Emilia nel modenese nel 1637; l’esecuzione doveva essere affidata ai tre allievi più quotati dell’atelier e furono scelti, oltre Simone, Michele Desubleo detto il Fiammingo e il fran-cese Pierre Dulauvier alias Monsù Pietro. Il dipinto di Simone era nato sotto i migliori auspici per-ché il disegno progettuale inviato ai committenti aveva suscitato entusiastico consenso, forse anche per il sospet-to che non fosse estraneo lo zampino del Maestro. A lavoro ultimato è lo stesso Simone che invita il maestro a visionarlo ed a dare un suo giudizio critico e Reni accet-ta, presentandosi accompagnato da alcuni discepoli.È davvero imperdonabile che Simone si permetta di rifiu-tare una critica sulla figura di S. Pietro, ritenuta troppo massiccia nella parte inferiore del corpo, tanto che il Reni con un gesso segna il profilo della parte eccedente. Se è vero, Simone gira il grande quadro verso il muro e volta le spalle al Maestro. E’ il colmo, la goccia che fa traboc-care il vaso! “Presuntuoso, non metterai più piede in casa mia!” tuona l’offeso, incontrastato caposcuola, ormai prossimo alla fine dei suoi giorni. E’ il momento della rottura definitiva di un rapporto uma-no ed artistico progressivamente logoratosi. Come ha scritto felicemente Andrea Emiliani, il Pesarese è “intento a formulare con tratti di autentico genio, la pro-pria difficile fisionomia, fatta da aspirazione ideale ...”. Ma sostiamo un attimo dinnanzi a questo capolavoro di Simone per unità e coerenza formale e contenutistica. Egli non poteva meglio interpretare pittoricamente lo straordinario episodio evangelico di natura preternatura le quando in Galilea sulla vetta del monte Tabor che si ele-va isolato nella pianura di Esdrecon si trasfigura “Il suo volto risplendeva come il sole e le sue vesti erano can dide come la neve”(Matteo,17,1). Tale straordinario evento fenomenico viene felicemente

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“La trasfigurazione di Cristo’’olio su tela cm 310 x 200

Milano, Pinacoteca di Brera

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colto da Simone nella unitaria sintesi compositiva in cui si raccordano i due piani distinti, quello trascendente superiore e quello umano inferiore, forse, oserei dire, in misura più aderente al tema rispetto ai precedenti esem-pi (Raffaello, Savoldo etc.). Fino al 1978 si conosceva il solo esemplare conservato, ahimè, nei depositi della Pinacoteca di Brera a Milano ove ho potuto visionare questa splendida composizione; mi impressionò come Simone fosse riuscito ad interpretare quella esplosione di energia luminosa emanata dal corpo di Cristo, quella stes sa luce prodottasi al momento dell’incarnazione nella grotta di Betlemme e trentatre anni dopo, all’atto della resurrezione da morte. È una luce radiosa così intensa, folgorante che, mentre non turba i due profeti seduti, Mosè ed Elia, che affianca-no il Cristo, terrorizza invece i tre apostoli in primo piano, così come accade ai soldati romani di guardia al sepolcro: Pietro sul lato sinistro disteso a terra, svegliato dal sonno, e Giacomo a destra già in piedi, entrambi costretti a ripa-rarsi gli occhi con la mano destra mentre Giovanni, sedu-to al centro con un grosso libro aperto, appoggiato sulle ginocchia, pare ancora immerso in un dormiveglia ma anche lui con la mano sinistra a protezione della vista. Cristo trasforma la sua fisicità in un corpo fotonico, quel corpo “tipo luce” che assumeremo dopo il trapasso all’al-tra dimensione, fornendo ai suoi seguaci la prova della verità escatologica della sopravvivenza dello Spirito nel regno dell’eternità. Tre anni dopo la pubblicazione della mia monografia si trova traccia di un secondo identico esemplare della “Trasfigurazione” presso la Pinacoteca Vaticana1 ; quattro anni dopo tale pala viene poi citata in un Bollettino dei Musei Vaticani2. Alla nostra antologica di Bologna del 1997 mi sono trovato con comprensibile sorpresa davan ti alle due opere gemelle affiancate, provenienti da Brera e dalla Vaticana. Ma ho notato nella pala da me sconosciuta come la visio-ne da solare, abbagliante diviene quasi tenebrosa, le tinte non sono più squillanti ma smorzate, scompare quel chia-

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rore diffuso che concorre a far risaltare la potente figura di Pietro e ad evidenziare quella di Giovanni,si spegne il contrasto luministico che fa vibrare di potenza sacrale tutta la scena.Un bell’enigma!La pala braidense proviene da un’abbazia di Forno poco lontano da Forlì.Quale l’originale? Quella di Brera o quella Vaticana? Oppure entrambe? E se per pura ipotesi (il “giallo” del-le due versioni della leonardesca “Vergine delle Rocce” docet!) la pala originale della Fortezza Urbana nel timore delle razzie napoleoniche di fine settecento fosse stata nascosta nell’isolata abbazia forlivese e sostituita da una copia perfetta voluta da papa Clemente XI ed in seguito dirottata in Vaticano?Forse solo lui, Simone, potrebbe sciogliere i tanti dubbi che in così breve arco di vita ha disseminato il suo iter artistico così tormentato e discontinuo ma sempre di no-tevole qualità espressiva.

“S. STEFANO MARTIRE”(Bazzano, chiesa di S. Stefano - Bologna)

Il 1637 rappresenta nella biografia di Simone l’anno fatidico, cruciale, che segna una svolta nel suo excursus estetico. In fondo l’aspro scontro con il Reni davanti alla pala della “Trasfigurazione” si dimostrerà tutto sommato salutare, pur se pagato a caro prezzo.Simone si è reso conto che era destinato negli ultimi tem-pi ad accettare le committenze non gradite al Maestro ultrasessantenne per opere da eseguire fuori Bologna; in quello stesso anno infatti si datano due altre pale d’altare. A Bazzano, nell’entroterra bolognese dipinge la figura di “S. Stefano martire” inginocchiato nell’atto di ricevere da un angelo i simboli del martirio, la palma e la corona. Tale dipinto venne ordinato da certo Marco Bianconi di Bologna per l’altare maggiore delle chiesa arcipretale del paese ed è forse l’unica opera di Simone che reca in calce

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“Santo Stefano’’ olio su tela cm 265 x 185 Bazzano (Bo), Chiesa di S. Stefano

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sul libro trascritto l’anno di esecuzione, 1637, oggi non più leggibile in quanto essa fu purtroppo danneggiata da un bombardamento del 1945. La figura del primo martire della Chiesa mediante lapi-dazione, come viene richiamato da una pietra posata sul libro, campeggia isolata e monumentale nel dipinto con le braccia allargate in segno di accettazione del proprio sacrificio, come del resto si può notare in altre figure di santi, il S. Giuseppe di Pesaro ed il S. Giacomo di Rimi-ni. Una luminosità perlacea avvolge la scena. Il volto sereno del santo è quello di un adolescente imber-be, lo stesso modello, direi, del S. Antonio di Cagli o della sottodescritta pala di Stufflone. Simone appare il cantore del dialogo silente, esaltante, appassionato fra la dimen sione umana e quella invisibile, misteriosa della trascen denza.

MADONNA DI MONSERRATOSTUFFLONE (MO),chiesa di S. Maria delle Grazie

Nello stesso anno Simone esegue a Stufflone, picco lo paese poco distante da Crevalcore quasi al confine del territorio modenese con Ferrara, una pala d’altare nella chiesa di S. Maria delle Grazie. Si tratta di un’opera già citata dal Malvasia ma rintraccia-ta soltanto nel 1982 ed esposta al pubblico in occasione della mostra antologica dedicata al Pesarese a Bologna nel 1997 (l’opera era stata da me segnalata a Crevalcore fra le opere disperse).Tale pala era stata ordinata alla scuola del Reni dal nobi le bolognese Girolamo Bolognini quale ex-voto per la mira-colosa guarigione del figlioletto Francesco Maria attribuita alla “Madonna di Monserrato” venerata nel dipinto da S. Giuseppe, S. Antonio da Padova e S. Francesco da Paola.

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“Madonna di Monserrato’’olio su tela cm 246 x 164Sufflone (Mo), Chiesa di S. Maria delle Grazie

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SACRA FAMIGLIA (Madrid, Museo del Prado) Si tratta di un quadro da stanza di modeste dimen-sioni con ogni probabilità eseguito da Simone dopo il divorzio dal Reni per il nobile bolognese Cesare Lo-catelli, collezionista ed estimatore dell’artista che lo prese sotto la sua protezione nel mometo di difficoltà; infatti nella sua collezione risulta un dipinto dal tito-lo “Madonna con putto in braccio e S. Giuseppe che legge un libro del Pesarese...”. Potrebbe quindi essere datato nel 1638 od agli inizi del secondo periodo bo-lognese. Il dipinto si trovava in origine nella collezione reale dell’Escorial ove era citato in un inventario del 1779 e fu poi acquistato da Carlo IV appassionato col-lezionista sul mercato italiano. Non più una luce che, palpitando attorno alle forme, ne stempera i contorni, come nei “Riposi” ma una luce quasi violenta che li incide, modula i piani plastici ed immobi lizza la figura della Vergi-ne che volge lo sguardo verso lo spettatore, come nella S. Eufemia nella pala dell’ “Immacolata” mentre il piccolo Gesù e S. Giuseppe inten to alla lettura appena emergono dalle tenebre del fondo.

LOT E LE FIGLIE(Bologna – collezione privata )

La vicenda attributiva di questo dipinto si pre-senta quanto mai movimentata. Infatti nel 1954 esso venne esposto alla mostra di Guido Reni tenutasi al Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna a cura di Giancarlo Cavalli. Nella relativa scheda del catalo-go critico a pag.123 venne considerata “fra le opere più elette della tarda attività di Guido, cioè dopo il 1635 (Simone era già ospite dell’a telier del Reni) e quasi certamente da identificare con quella citata in un catalogo del 1847 “Collezione di qua dri esposti sot-to il portico laterale della chiesa di S. Bartolomeo… la domenica 6 luglio 1847” al n. 42 come “Loth con le figlie, bozzo di Guido Reni, di proprietà di

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“Sacra Famiglia’’ olio su tela cm 72 x 55 Madrid, Museo del Prado

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“Lot e le figlie’’olio su tela cm 109 x 149

Bologna, collezione privata

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un certo P. L. Cocchi, entro una trasparente serenità che pare alludere alla metafisica vita degli dei dell’Olimpo”, “Guido escogita gamme paradisiache, contrappunti sem-pre più trepidi di tocco, digitazioni sempre più lievi ed è allora che i suoi vecchi eremiti sembrano immaginazioni da valle di Giosafat, vecchie larve in aria d’argento ...3 ” Si parla di “bozzo” ed infatti si notano parti non finite. Anche Bernard Berenson in una recensione alla mostra considerava questo dipinto un tipico esempio dell’ultima maniera reniana, in cui il Maestro tende a smorzare la lucentezza dell’impasto ed a “renderlo più caldo ed unito fin quasi ad ottenere un risultato monocromo”. Se non che nel 1959 in occasione della mostra “Disegni del Sei-cento emiliano a Brera” viene offerta ad Andrea Emiliani l’opportunità di riconsiderare l’attribuzione al Reni e di avanzare il nome del suo più dotato allievo, Simone Can-tarini in virtù dell’accostamento stilistico ed iconografico al dipinto di due disegni dello stesso sogget to n. 511 e 515 d’inv.L’episodio biblico del nipote di Abramo, il vecchio Lot, che, sfuggito all’incendio di Sodomia, subisce un rappor-to incestuoso con le figlie, non risulta estraneo al reperto-rio cantariniano: mi limito a citare un dipinto nella qua-dreria Boschi (Ms. Campori 1879) ed altro nella raccol ta Aldrovandi (Ms. Oretti B. 104). Ma l’interesse di Simone per tale soggetto emerge anche dalla produzione grafica: segnalo due disegni a sanguigna dell’ Album Horne a Firenze (inv. 6189 e 6213) ed altro a matita nera nella collezione Witt al Courtald Institute di Londra.Nel 1975, coinvolto in questo appassionante dilemma, meditai a lungo in casa dell’avvocato Neri, proprietario del dipinto in Bologna davanti a questa suggestiva pagina pittorica ma la bilancia, ahimè, mi sembrò ancora oscilla-re fra i due contendenti.Mi rese perplesso un dettaglio forse di poco conto la capi-gliatura della figura femminile centrale con quel ciocco di capelli annodato alla sommità del capo, che ricordavo di aver notato nelle figure reniane delle Ore dell’Aurora

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“Il ratto d’Europa”acquaforte

Bologna, coll. privata

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Rospigliosi, nella “Scuola di cucito” dell’Ermitage o nella “Fanciulla con corona” della Pinacoteca Capito-lina. Non posso che rallegrarmi che la critica abbia incluso il bel dipinto nel catalogo dell’opera pittorica del Pesare-se, presentandolo alla mostra antologica bolognese del 1997.Quanto tempo si sarà ancora trattenuto Simone in Bo-logna? Penso proprio poco, il tempo per rendersi conto di quanto l’ambiente felsineo gli abbia voltato le spalle a cominciare dai suoi ex-condiscepoli nella casa-scuola del Reni, come il Desubleo e Monsù Pietro che lo ave-vano affiancato alla Fortezza Urbana, come Ercolino da S. Giovanni, il Brunetti, il Bolognini e naturalmente Andrea Sirani dopo il suo rifiuto alla proposta di fre-quentare la scuola dell’Ospedale della Morte. È di breve durata l’illusione di aver trovato validi protet-tori in due personaggi influenti della Bologna bene, il medico Orazio Zamboni ed il sig. Bernardino Locatelli che si dimostreranno presto solo sfruttatori. È un momento critico per Simone anche per difficoltà finanziarie. Amara esperienza si rivelerà quella vissu-ta con un insospettabile noto personaggio, il letterato Giovanni Battista Manzini che gli offre vitto ed allog-gio in cambio di qualche dipinto ma che infine riesce a carpir gli un gruzzolo di piastre fiorentine faticosamente rispar miate, a titolo di prestito per far fronte ad un debi-to di gioco, somma non più restituita. Si approssima il momen to del commiato dalla ingrata Bologna!

Note:1) H. Bristocher “Catalogo della Galleria Nazionale di Glasgow” – 19782) C. Pietrangeli “La Pinacoteca Vaticana di Pio VI”- 1982.3) R. Longhi “Momenti della pittura bolognese” in Archiginnasio – XXX pag.111

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RINASCITA DEL VERO SIMONE CON IL RITORNO A PESARO

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Simone è depresso, scoraggiato ed in lui sta matu-rando il proposito di ritornare alla sua terra d’origine, dove è documentata la presenza nel 1639 in un atto nota rile per l’assegnazione della dote nuziale alla sorel-la Eleonora, ma è presumibile che abbia lasciato Bolo-gna già nel corso del ‘38.Acuta è la nostalgia dell’aria trasparente delle dolci colli ne del Montefeltro, dei venticelli primaverili che incre spano il suo Adriatico, della valle verdeggiante che si comincia a scorgere dopo Cattolica in vista della Rocca di Gradara e che rinfranca l’animo esacerbato. Là l’attendono gli affetti famigliari e la stima dei concitta dini. Là non ha più bisogno dell’ala protettrice dell’onni potente Reni, può affrancarsi dalle opprimenti regole accademiche e riconquistare la libertà. Simone rinasce al contatto diretto con la natura; avvalo-rerebbe l’ipotesi di una non breve permanenza a Pesaro la notizia, se davvero attendibile, che Simone avrebbe intrecciato una relazione amorosa con una avvenente gio vane pesarese dalla quale sarebbero nati figli natura-li, ideali modelli per i suoi leggiadri putti e cherubini.1

Certamente Simone ha portato avanti l’apprendimento della non facile tecnica dell’incisione all’acquaforte nella bottega del Reni, divenendo presto un vero specia-lista, ammirato dal Maestro, che invano aspirava a ser-virsene come riproduttore delle sue opere, sia dagli altri discepo li come il Loli, il Grimaldi e lo stesso Sirani. E’ sempre alto il livello qualitativo delle sue lastre per la levità e morbidezza del tratteggio, e la scaltrezza nel repli care le morsure per graduare i piani prospettici dei suoi paesaggi, infondendo alle sue stampe solarità ed afflato poetico.Ma si reputa che al periodo reniano appartengano le acqueforti con soggetti allegorici, come “La Fortuna”o mitologici come “Marte e Venere” “Venere ed Adone” “Il ratto d’Europa” ed altre.Nasce invece in coincidenza con la rinascita post-renia-na la mirabile serie di creazioni pittoriche ed incisorie dedi cate al tema del riposo durante la fuga in Egitto.

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“Riposo in Egitto’’ acquaforte

F. Barocci“Il Riposo nella fuga in Egitto’’acquaforte Piobbico, chiesa S. Stefano

Non si può escludere che Simone si sia spinto da Pesaro fino a Piobbico per ammirare nella chiesa di S. Stefano la versione del Barocci di tale suggestivo soggetto. Ed in fondo nelle vene di Simone scorre lo stesso sangue del sommo Urbinate, il Sanzio, dai cui gruppi piramidali della Madonne con Gesù e S. Giovannino all’aperto del periodo fiorentino coglie quel senso di musicalità fluente e di dolci cadenze formali che esaltano il lirico intimismo dei “Riposi”.Il dramma umano dell’angoscia opprimente del pericolo corso durante la fuga in occasione della strage dei fan ciulli innocenti ora si scioglie, si dissolve in terra d’Egitto sotto l’ombra di una palma in un intenso, rasserenante rapporto d’amore. L’incrociarsi silente di sguardi, il batti to di una fronda di palma, il dono di datteri al piccolo Gesù, tutto concorre a spiritualizzare la scena familiare in una felice sintesi di forma e contenuto. Ed anche Simone ritrova serenità, dimentica i condizio-namenti imposti dall’insegnamento accademico, si sente inebriato dalla riconquistata libertà per donarci il suo più genuino, spontaneo canto all’amore ed alla speranza. L’interesse di Simone per il tema della sacra Famiglia, non limitato all’episodio evangelico della fuga dalla Pale-stina, è del resto certificata dalla vasta produzione grafica ed incisoria. Disegni preparatori o di studio di particolari si trovano conservati nelle varie raccolte sia in Italia come agli Uffizi (inv. 4152 S) ed a Brera (inv. 496) sia all’este-ro come nella collezione reale di Windsor Castle (inv. 3276.3414), al Louvre (inv. 7078 - 79) all’Art Museum di Princeton (inv. 48659), alla Galleria Albertina di Vienna (inv. 2035) etc.Feconda anche l’attività incisoria dedicata in prevalenza al dramma umano di questa famiglia che, superato il peri-colo, si rasserena nell’effusione scambievole di amore condiviso. Sono una decina le incisioni all’acquaforte che Simone ci ha lasciato in diverse invenzioni che mostra-no varianti soprattutto nella figura di Giuseppe colto nel sonno o in lettura o nell’atto di donare datteri a Gesù o di indicare la mèta raggiunta in lontananza oppure si nota la

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“Riposo in Egitto’’olio su tela cm 65 x 59

Pesaro, Fondazione Cassa di Risparmio

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presenza del S. Giovannino o di sua madre Elisabetta. Il soggetto fu replicato anche in pittura per collezionisti privati, ad esempio era inventariato a Bologna nella qua-dreria Boschi.

“Riposo in Egitto con S. Elisabetta’’ acquaforte cm 12,4 x 19,2

“RIPOSO IN EGITTO” (Parigi, Museo del Louvre e Pesaro, Fondazione della Cassa di Risparmio)

È notorio dunque che il tema del “Riposo in Egitto” costituisse il “leit motiv” della più autonoma e singolare poetica del Pesarese, il quale ad esso ha dedicato sette belle acqueforti oltre a numerosi studi grafici. Il dipinto è gemello dell’altra versione del “Riposo” del Louvre di identiche dimensioni ed era ed aveva in origi ne forma ovale per poi modificarsi nell’attuale per servi re da “pendant”. Nel ‘600 i due dipinti appartenevano alla qua-dreria parigina Du Vaux e Pasquier ma poi si verifica rono diversi passaggi di proprietà fino all’acquisto da parte del Louvre nel 1785, ben descritti nel 1996. 2

Questa versione con il Bambin Gesù a braccia spalancate, disteso sul grembo della madre che lo guarda amorevol-mente, mentre Giuseppe seduto in secondo piano osserva la scena, è identica all’incisione Bartsch n. 6 ma è in con-troparte e quindi derivata in tempo successivo dal dipin-to.Tale incisione fa parte senza ombra di dubbio del catalo-go di Simone acquafortista, segnalato dal Malvasia, dal Bartsch, dal Negler ed accolta da Paolo Bellini in “L’ope-ra incisa di Simone Cantarini” del 1980. Ora sappiamo – come ci ha raccontato il Malvasia – quan to Simone fosse riluttante in modo irremovibile ad inci dere lastre del Reni e di altri artisti; egli aveva dichia-rato di non voler incidere soggetti di altri quando poteva benissimo farlo con i suoi.Ora Simone non poteva derivare l’incisione se non dal suo stesso dipinto e non si comprende per quali motiva-zioni questo dipinto non viene accolto nel catalogo del-l’opera pittorica del Pesarese, specialmente se si conside-

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“Riposo in Egitto’’olio su tela cm 41 x 57

Parigi, Louvre

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“Riposo in Egitto’’acquaforte cm 14,8x 19,7Bologna, collezione privata (cat. Bellini n.15)

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“Riposo in Egitto”olio su tela cm 225 x 135

Milano, Pinacoteca di Brera

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“Riposo in Egitto’’ acquaforte mm 7,8 x 12,5

ra l’enorme popolarità di tale versione del soggetto come attestato dalle numerose copie e repliche: collezione Ugo-lini di Roma, collezione Matozzi di Firenze e del mar-chese Exeter di Stanford. Un bel esemplare di cm 46,5 x 59 è stato esposto alla mostra dedicata al Pesarese nel 1987 in S. Severino Marche, proveniente dalla quadre-ria della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro.3 La composizione si articola in un sciolto ritmo musica-le che sottolinea l’afflato idilliaco del gruppo famigliare mentre incipienti luci vespertine si diffondono in un cielo imbronciato. Il dipinto di Pesaro di dimensioni poco più ampie (cm 41,5 x 59) potrebbe essere l’originale ed il di-pinto del Louvre una replica, ma un giudizio definitivo rimane azzardato.

L’altro “RIPOSO IN EGITTO” (Parigi, Museo del Louvre)

Ricca di fascino è anche l’altra idilliaca versione del Louvre, pur se di più modeste dimensioni in cui Giu-seppe è colto nel sonno, sfinito per la fatica fisica e le appren sioni della fuga, mentre la Madonna, una soave fanciulla dai lineamenti purissimi guarda con intensa te-nerezza il suo pargoletto vivace sulle sue ginocchia. Una luce dorata avvolge e ravviva questo intimo, silente duetto d’amore. Sullo sfondo si apre un tipico paesaggio marchigiano. Da questa intimistica composizione è deri-vata un’acquaforte in controparte di forma ottagonale (Bartsh n. 7) che in parte si richiama ad altra tela della Galleria Doria Pamphili di Roma di discussa attribuzione.

IL “RIPOSO IN EGITTO” (Milano, Pinacoteca di Brera)

Mirabile ed originale anche questo dipinto di dimensio-ni molto maggiori, una vera pala d’altare la cui forma verti-cale consente a Simone di sviluppare lo schema composi-

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“Sacra Famiglia con S. Giovannino”Olio su tela cm 96 x 73 Replica con varianti

Milano, Pinacoteca di Brera

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“Sacra Famiglia con S. Giovannino’’ acquaforte

tivo su una diagonale, Giuseppe al vertice superiore or-mai rinfrancato ha colto datteri con l’aiuto di due angio-letti che ricurvano una fronda della palma, per donarli a Gesù che tende le mani mentre la madre gli dedica un intenso sguardo d’amore. Anche in questo caso esiste un’incisione in controparte, eseguita quindi in tempo suc-cessivo. La testa e la mano mozzate di una sta tua alludo-no alla profezia di Isaia della caduta degli idoli all’arrivo del Messia in terra d’Egitto; nel frammento di architrave si legge il monogramma “SPC”. La scena colta “en plain air” emana un afflato lirico ed una serenità idil liaca che richiama la poetica raffaellesca. Nel 1811, anno già menzionato per l’incetta di opere d’ar te da parte delle truppe napoleoniche, il dipinto è stato prelevato dalla chiesa delle suore Mater Domini di Bergamo e consegnato alla Regia Accademia di Brera a Milano.

SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO (Milano Pinacoteca di Brera e Roma, Galleria Borghese)

Si conoscono due esemplari di questa felice inven-zione conservati nella Pinacoteca di Brera a Milano ed alla Galleria Borghese di Roma di identiche misure (cm 96x73). Non è unanime la datazione dei due dipinti con propensione al secondo soggiorno bolognese; siamo co-munque di fronte ad una composizione certamente ade-rente al linguaggio intimista di Simone post - reniano. Simone diviene il cantore di comunicazioni non verbali quanto mai eloquenti ed intense fra i protagonisti della scena a cui assistono silenti ma lo sguardo che ci rivolge Gesù esprime efficacemente la letizia del suo spirito nel-l’ascolto del bacio che il cuginetto gli pone sulla mani-na. Il gruppo ben bilanciato dei quattro personaggi ispira un’intima religiosità in virtù della modulazione della luce che, stemperando i contorni, fluisce sulla fronte corruga ta di Giuseppe, sul volto stupendo di Gesù soffuso di gra-

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“Sacra Famiglia con S. Marta’’olio su tela cm 95 x 72

Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

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zia idilliaca mentre si abbandona sulle braccia materne ed infine sul profilo stagliato della Madonna raffigurata con un turbante orientale in testa nonché sulle spalle del pic colo Giovannino genuflesso.

SACRA FAMIGLIA CON SANTA MARTA (Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico)

Questo dipinto era sconosciuto fino al 1986, anno in cui fu esposto alla mostra “Nell’era del Correggio e dei Carracci” tenutasi in Bologna.4 La mostra “Simone Can-tarini nelle Marche” del 1997 a Pesaro ha consentito una più meditata lettura di questa splendida tela, ora apparte-nente alla quadreria della Banca Popolare dell’Adriatico di Pesaro.

Immediato è l’accostamento alle due versioni della “Sa-cra Famiglia con S. Giovannino” di Brera e della Galleria Borghese. La Madonna è ritratta con o stesso tur bante orientaleggiante, il volto di Giuseppe appare nella pe-nombra come fulcro di bilanciamento delle figure in pri-mo piano mentre al posto del S. Giovannino genufles so si slancia la figura di S. Marta, identificata dalla pre senza del drago al guinzaglio ai suoi piedi, addomesticato secondo la leggenda, con il getto di acqua benedetta, ser vendosi dell’aspersorio tenuto dalla manina destra di Gesù, per cui non si tratta di S. Caterina, come da altri ipotizzato.5 Ma anche qui si avverte la stessa serenità inti mistica di derivazione baroccesca, lo stesso ritmo melodi co di for-me che infonde alla scena un intenso afflato liri co. E’ la poetica degli affetti famigliari “l’unica vera cifra distin-tiva del linguaggio cantariniano affermato oltre i maestri ed oltre i mutamenti alterni ed imprevedibilidello stile”6

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“Sacra Famiglia’’olio su tela cm 65 x 52

Roma, Galleria Colonna

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La “SACRA FAMIGLIA”(Roma, Galleria Colonna e museo di Palazzo Venezia)

Anche di questa fortunata invenzione cantariniana sono noti due esemplari di dimensioni quasi identiche conser vati alla Galleria Colonna e in Palazzo Venezia, entrambi a Roma. Va però evidenziato che, mentre il primo citato è colto all’aperto sotto una palma come nei riposi in Egitto, S. Giuseppe appoggia la mano sinistra su un bastone pre senta un cromatismo brillante assai simile al “Riposo” di Brera, la seconda versione è rappresenta-ta all’interno sotto un pesante tendaggio e con tinte più smorzate e dif fuso tonalismo crepuscolare.Simone si afferma come l’interprete della poesia degli af-fetti famigliari con un linguaggio aggraziato e vagamen te malinconico.Sono invece identici la posa di Gesù che porge un fiore e della madre che regge un piccolo libro con la mano de-stra.

Note:

1) L. Marzocchi “Scritti originali del conte C. Malvasia spettanti alla Felsina pittrice” - 1993 2) S. Loire “ Scuola italiana del XVII secolo in Bologna” Parigi - 1996. 3) P. Bellini, Catalogo della mostra, 1987 fig. 3/c pag.37 4) A. Mazza – catalogo, pag. 399 5) C. Ferretti “La scuola di Guido Reni” - 1995 6) A. M. Ambrosini Massari “Simone Cantarini nelle Marche” – catalogo della mostra a pag. 70 – 1997

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L’ATTIVITÀ DI SIMONE NELLE MARCHE

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Simone era partito da Pesaro come una timida matricola e vi fa ritorno come un provetto maestro. Dobbiamo presumere che la sua permanenza nella città natale si sia protratta forse per il quadriennio 1638-41, interrotto soltanto dal viaggio a Roma. Egli apre uno stu dio d’arte ove accorrono per attingere ai suoi insegna menti pittori concittadini in giovane età come Giovanni Maria Luffoli, Giovanni Peruzzini e quasi certamente anche Giovanni Venanzi. Di una prolungata permanenza di Simone a Pesaro ove crea una scuola, potrebbe costi tuire un indizio il fatto che il canonico conte Malvasia, rimastogli fedele amico e grande estimatore, gli fece visi ta nello studio di Pesaro e nell’occasione l’artista “gli fece vedere la testa di un bellissimo vecchio, modellata più volte che fu poi sempre l’effige domestica per i suoi S. Giuseppe, Lot e simili. La fatica che poi faceva nell’acco-modare modellini di creta e su quelli stendere ed aggiu stare panni di carta sono indicibili. Tutto ciò conferma che Simone ebbe a Pesaro uno stu dio attrezzato per architettare le sue composizioni con l’aiuto di manichini da lui stesso approntati. Infatti – pro-segue il suo biografo: cento e più di questi trovassimo nella sua stanza in casa del Castellini dopo la sua morte... Quindi è che l’andare delle pieghe del Pesarese sono ancora alla vita troppo rassettate e danno nel tritume, ancorché poi si ben fatti non si osservino quelle piazze grandi e quelle magnificenze che egli disse sempre invi-diare a Guido e lodò fra gli altri nel Tiarini.

LA MADDALENA E SAN GIUSEPPE (Pesaro, Museo Civico)

Purtroppo la città di Pesaro non conserva molte opere di Simone: nel Museo Civico si possono ammirare le due grandi tele concepite in pendant, provenienti dalla scomparsa chiesa di S. Filippo nel cui presbiterio risulta-vano collocate ai lati dell’altar maggiore. Tale chiesa dei padri Filippini si trovava sul lato destro dell’attuale via Petrucci ove poi sorse il teatro-cinema Eleonora Duse.

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“Maddalena penitente’’ olio su tela cm 178 x 211 Pesaro, Museo Civico

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“S. Giuseppe’olio su tela cm 174 x 204

Pesaro, Museo Civico

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Sappiamo che nella chiesa di S. Agostino è esposta la “Beata Rita da Cascia” mentre lo splendido ritratto di Eleonora Albani Tomasi fa parte della quadreria della Banca Popolare dell’Adriatico e la “Pala di S. Barbara” si spera torni presto, almeno in prestito temporaneo nella città d’origine.Luigi Serra era invaghito del dipinto della Maddalena pe-nitente colta in una posizione quasi distesa che taglia in diagonale il quadro.Ella medita sulla precarietà della vita terrena osservan-do un teschio ma un alone di trasognante malinconia che ovatta il bel volto, incorniciato da lunghi, fluenti capelli e addolcito da penombre crepuscolari, il modellato ebur-neo del braccio sinistro e la mano destra che preme sul seno, perfino le gambe accavallate che si intuiscono sotto quel panneggio scarlatto concorrono a rendere sensuale la figura della peccatrice redenta. Nel fondo un cielo imbrattato da sfilacci di nubi è squar-ciato da un chiarore opalino che si frange con forte con-trasto contro uno sperone di roccia ebano. Ma passiamo ora ad esaminare il dipinto gemello del S. Giuseppe rappresentato non più all’aperto ma in ambien-te chiuso molto buio.Il soggetto di questo dipinto è sempre stato identificato come “San Giuseppe penitente” dagli storiografi locali come il Becci, il Bonomini, il Vanzolini ed il Vaccai ed il riferimento all’azione della penitenza è evidente nella presenza del teschio e della clessidra,posati su una panca alla sinistra del santo, elementi figurativi che sono, a volte associati ad una candela che si sta consumando, simboli della “vanitas”, in conformità allo stimolo controriformi-stico a meditare sulla precarietà e fugacità della vita ter-rena di fronte alla vita eterna che ci attende. Un invito a conculcare i nostri egoismi e convertirsi alla legge cristica dell’amore perché “mors imminet atra”. Ma perché il padre putativo di Gesù dovrebbe far peni-tenza? Non ha forse portato in salvo Gesù dalle atrocità di Erode? Non ha educato il ragazzo e gli ha insegnato il mestiere di provetto falegname? Non si è dedicato alla

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famiglia con amore incondizionato? Anche in questo caso,come per la Madonna-Maddalena dell’“Immacolata Concezione” della Pinacoteca di Bolo-gna, nasce il dilemma iconologico. Il pentimento ben più si addice alla meretrice ravveduta Maddalena ed a San Pietro, pentito per aver rinnegato per tre volte il Messia. Ed in effetti nella produzione pit torica e grafica cantariniana ricorre spesso tale soggetto, come nel dipinto della Galleria Doria Pamphili di Roma, già at-tribuito a Simone, un volto implorante rivolto al cielo. Ed un dipinto di S. Pietro in atteggiamento analogo con le mani congiunte veniva segnalato tra i dipinti di proprietà della nobile famiglia Cattani di Pesaro. A parte tale rebus interpretativo, va evidenziato che quel-lo spiovere incisivo di linee rigide e stagliate che scendo-no dal capo del presunto S. Giuseppe lungo le spalle e le braccia aperte, trovano armonioso raccordo nello scorre-re delle pieghe dure del manto cadente e della tunica, do-nando al dipinto quasi una drammatica severità.

VISIONE DI S.ANTONIO DA PADOVA (Milano, Basilica di S. Lorenzo)

Del tutto insperato è stato il ritrovamento nella basi-lica di S. Lorenzo in Milano di un dipinto importante nato nella provincia di Pesaro, rappresentante l’apparizione di Gesù a S. Antonio da Padova, collocata in origine nella chiesa di S. Francesco dei frati conventuali di Cagli. Lo segnalava in tale sede il manoscritto Antaldi, il già citato Kunster Lexicon ad vocem ed altre fonti: ma nel primo altare a destra dedicato al santo il dipinto era sparito. An-che questo dipinto fu razziato nel giugno 1811 dalle trup-pe napoleoniche unitamente alla “Pala di S. Barbara” di Pesaro, e con tante altre.Va ricordato che nel 1797 Napoleone Bonaparte si era impossessato delle città di Pesaro, Fano e Senigallia e solo nel 1815 venne restaurato lo Stato Pontificio nelle Marche.

“S. Antonio di Padova’’sanguigna

Milano, Castello sforzesco

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“Sant’Antonio da Padova’’ olio su tela cm 333 x 225 Milano, Basilica di S. Lorenzo

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Purtroppo questa parentesi di diciotto anni fu sufficiente ai dominatori francesi per razziare notevoli opere d’arte e dirottarle ovviamente a Milano, capitale della Repubbli-ca Cisalpina fin dal 1797; il S. Antonio venne consegnato alla Reale Galleria (ora Pinacoteca di Brera). Ma dove era poi finito il dipinto di Cagli? Le mie ricerche iniziali si rivelarono infruttuose e purtroppo nell’inventa-rio delle opere di proprietà di Brera, concessa in deposi-to nelle chiese della Lombardia la pala era sfuggita alla ricognizione della sovrintendente Ottino Della Chiesa mentre veniva citata la pala di S. Barbara di Pesaro. “Rimasto ignorato per tanto tempo è stato riproposto alla nostra attenzione nel 1975” (pag. 95 del catalogo della mostra “Simone Cantarini nelle Marche” del 1997 a cura di Marina Cellini) è uscito dalla clausura di una sacrestia inaccessibile al pubblico ove quasi per caso riuscii a sco-prirlo accanto alla statua di S. Antonio. Ma è ora di ammirare questo dipinto. Un fascio di luce dorata spiove dall’alto sul lato sinistro, investendo il cor-po del piccolo Gesù eretto che accarezza il volto rapito del santo che lo fronteggia con un ginocchio appoggiato ad uno sgabello.La scena risulta movimentata dal girotondo di angioletti in alto: tre sono avvinti e graziosamente dialogano, altri due contemplano la scena dell’apparizione sulla destra mentre un sesto par giunga rapido in volo per assistere a tale evento preternaturale; si ammiri il brano delizioso delle cinque testine ricciolute di cherubini, uno dei quali si offre come piedistallo al piedino destro di Gesù. Siamo davanti ad un capolavoro di armonico tonalismo ed elevata spiritualizzazione, una vena melodica che coin volge e conquista.Ad attestare l’assoluta originalità di questa creazione arti stica vi è la preparazione grafica con ben sette disegni conservati a Brera ed al Castello Sforzesco di Milano, agli Uffizi di Firenze, al National Museum di Stoccolma, nella Galleria di Capodimonte di Napoli ed infine altri due nella collezione della Biblioteca Nazionale di Rio de Ja-neiro, oltre all’acquaforte nello stesso verso Bartsh n. 25.

“S. Antonio di Padova’’disegno

Firenze, Uffizzi

“S. Antonio di Padova’’ acquaforte Bartsch 25

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“S. Antonio, Gesù Bambino e Giovanni Battista’’ (studio) Stoccolma, Nazional Museum

A me sommessamente pare che cercare influenze ed acco stamenti stilistici finisca per infirmare la piena auto-nomia raggiunta dal linguaggio estetico cantariniano, or-mai completamente svincolato dall’esperienza renianana. E’ una svolta che trova origine da una sincera ispirazione religiosa.Contatti con la pittura del Lanfranco, di Mattia Preti o del Cerrini?1 E’ appena il caso di ricordare che il parmense Lanfranco ha lasciato nelle Marche una sola traccia in un dipinto a Macerata e negli anni quaranta viveva la sua estrema stagione artistica a Roma, Mattia Preti, calabrese non mi risulta abbia mai messo piede nelle Marche men-tre il perugino Giovanni Domenico Cerrini se non vado errato ha lasciato un solo dipinto nella lontana Ascoli Pi-ceno.Godiamoci dunque questa autentica, originale creazio-

ne di un rinnovellato Simone!

S.GIACOMO IN GLORIA (Rimini, Museo Civico)

Con ogni probabilità Simone dopo aver dipin-to il “S. Giuseppe” per la chiesa dei Filippini di Pesaro si è porta to nella vicina Rimini per eseguire questo “S. Giacomo”attualmente esposto nel locale museo civi-co ma allora commissionato dallo scomparso Orato-rio della omonima confraternita; lo induce a supporlo l’analogia dell’atteggiamento dei due santi nonché la scelta stilistica. Qui l’apostolo campeggia al centro del-la tela ed ha lo sguardo rapito, il volto è ombreggiato con morbide sfu mature cre ben si intonano con l’aure-ola di testine di che rubini che si affacciano da una col-tre di nubi. La composizione risulta cromaticamente ravvivata in modo desueto sia dal manto di uno squil-lante blu oltre mare sia da qul lembo di panneggio ros-sastro di quell’ angelo in basso a destra, ma si ammiri soprattutto l’in cantevole volto dell’angelo di sinistra. Siamo al cospetto di un testo pittorico in cui una medita-

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“S. Giacomo in Gloria”olio su tela cm 215 x 143

Rimini, Museo civico

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ta eleganza formale ben si coniuga con uno schietto fer-vore naturalistico.Concludo con il conciso giudizio critico della Ravaioli che scrisse: “Un’espressione del talento di questo pit-tore che dell’arte del Reni seppe intendere e trasfigu-rare in lin guaggio proprio gli intendimenti di cristiano e rammo-dernato classicismo, irrobustendo l’idealiz-zata nobiltà figurativa di quello in un nuovo furgore naturalistico”2

Giuseppe Ebreo e la moglie di Putifarre(Dresda, Staatliche kunstsammlungen Gemaldegalerie)

Non è molto frequente che il Pesarese trovi ispira-zione da un episodio veterotestamentario come questo tratto dalla Genesi.Si ritiene che il dipinto vada riferito al periodo di perma nenza dell’artista nelle Marche per un più ac-centuato richiamo al naturalismo ma è anche plausibi-le che la pro babile committenza in ambito bolognese possa giustifica re la postdatazione al ritorno nel centro felsineo. L’interpretazione cantariniana dell’episodio si contrappo ne a quella originale ma poco probabile adot-tata dal Tintoretto nel dipinto della serie di sei “storie bibliche” di Madrid, museo del Prado, ove la lasciva giovane sposa per adescare Giuseppe si fa trovare com-pletamente nuda, distesa sul letto mentre tenta di tratte-nere il fedele ammi nistratore quanto mai sconvolto ed imbarazzato, afferran dolo per il mantello.Invece in questo dipinto i due personaggi si fronteg-giano ben bilanciati e potenziati da una luce radente di matrice caravaggesca: la piacente moglie tentatrice di Putifarre, ministro del faraone d’Egitto, è colta di profilo, seduta sul letto, nell’atto di bloccare il giovane schiavo che cerca di svincolarsi e porre resistenza. Il Pesarese risolve la vicenda sul piano psicologico: è l’in-contro fra il tormentoso ma trattenuto desiderio dei sensi che si sprigiona dallo sguardo intenso e penetrante della giovane sposa e l’atteggiamento pudico di Giuseppe che si

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“Giuseppe Ebreo e la moglie di Putifarre’’olio su tela cm 138 x 170

Dresda, Staatliche kunstsammlungen Gemaldegalerie

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ritrae sorpreso ed imbarazzato. La composizione si ac-costa in parte alle versioni del sog getto di Guido Reni che, a dire del Malvasia, era attratto da tale tema.

RIVELAZIONE DELL’IMMACOLATOCONCEPIMENTO(Camerino, Duomo)

Si conoscono due dipinti con lo stesso titolo generi-co “Sogno di San Giuseppe’’ e (oltre ad un terzo non reperito, già appartenente alla collezione Ulisse Aldo-vrandi di Bologna) ma riguardanti due diversi even ti preternaturali, cronologicamente distinti avvenuti pri-ma e dopo la nascita di Gesù. Nel Duomo di Camerino e precisamente nell’ultima cappella a destra consacrata a S. Giuseppe è esposta una pala di ampie dimensioni ese guita da Simone e rappresentante l’apparizione di un angelo in sogno al padre putativo di Gesù durante il fidanzamento con Maria e quindi, secondo i Giudei, già sposo di diritto se non di fatto fino al momento della coa bitazione.Sappiamo che Giuseppe era intenzionato a lasciare segre tamente la fanciulla quando – come ci racconta l’evange lista Matteo (1.18) – “mentre stava ripensan-do a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore che gli disse “Giuseppe, figlio di Davide, non aver timore a pren derti in moglie Maria perché quel che è nato in lei è opera dello Spirito Santo. Ella darà alla luce un figlio che chia merai Gesù perché salverà il suo popolo”. La presenza in lontananza nel margine sinistro del dipin to della soave figura in preghiera di Maria, ingi-nocchiata e con le mani incrociate sul petto in atteggia-mento di umile accettazione del volere divino avvalora il riferi mento a tale avvenimento.La composizione è incentrata sulla figura dominante del-l’angelo che ad ali spiegate compare alle spalle del ve-gliardo dormiente, come messaggero che punta l’indice

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“Sogno di S. Giuseppe’olio su tela cm 183 x 130

Camerino, Duomo

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della mano destra verso la sfera trascendente; una luce radente fa emergere i due personaggi dal fondo tenebro-so, potentemente trasfigurandole. Va precisato che il duomo di Camerino venne distrutto dal terremoto del 1799 e ricostruito nel periodo 1806-32, epoca in cui il dipinto venne regalato alla nuova chiesa metropolitana dai fratelli Cardinale Mario Mattei e Nico-la Mattei, allora arcivescovo di Camerino. Si ignora l’origine del dipinto prima dell’acquisizione da parte della famiglia Mattei ma è convinzione che l’opera sia stata realizzata da Simone in terra marchigiana, for-se dopo il viaggio romano per la propensione ad effetti lumi nistici alquanto inediti.

“LA MADONNA DEL ROSARIO” (Arcevia, chiesa collegiata di S. Medardo)

Fino al 1994, cioè solo tre anni prima della mostra a Pesaro del ’97 “Simone Cantarini nelle Marche” tale dipinto di Arcevia veniva ritenuto la penultima opera del-l’ultraottantenne Claudio Ridolfi, se possiamo considera-re ultima il dipinto “Visita di re Clotario a S. Medardo” sempre per la medesima chiesa e rimasta incompiuta a causa della morte del Veronese avvenuta in Corinaldo il 26 novembre 1644, così come sostenuto da Marisa Baldelli,3 e prima di lei da Egidio Calzini 4 e da Ansel-mo Anselmi di Arcevia.5 E’ merito del dott. Paolo San-tini, pre sidente del Centro di Studi Arceviesi, se è stata rivendica ta per tale dipinto la paternità del Pesarese; tale nuova variazione attributiva al Pesarese si basa su un atto repe rito nel 1984 presso l’Archivio di Stato di Arcevia (Santini, Caldari Giovanelli, Cellini).Il documento del 2 marzo 1642 ci informa che l’organi-smo preposto a sovrintendere ai lavori della fabbrica di S. Medardo propone di “fare il quadro di S. Medardo per mano del sign. Claudio Veronese, pittore celebre, stante che anche la Compagnia del Rosario ha stabilito di fare il suo di mano del sign. Cantarini da Pesaro”, quasi a voler

“Madonna del Rosario’’ (studio)

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“Madonna del Rosario e Santi’’olio su tela cm 291 x 200

Arcevia, Chiesa di S. Medardo

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provocare un confronto fra l’anziano maestro, onusto di gloria ed il trentenne astro nascente pesarese, assai poco noto in zona, tanto da presumere che la decisione sia stata caldeggiata ed avallata da un arceviese di prestigio, certo Flaminio Mannelli, nipote per linea materna della nobile pesarese Eleonora Albani Tomasi, ritratta con maestria da Simone agli esordi.Si tratta forse dell’ultima opera pittorica di Simone du-rante la permanenza in terra marchigiana e portata a ter-mine entro l’anno 1642.Lo schema compositivo deve essere stato suggerito dal committente in quanto ci propone la Madonna assisa su un trono marmoreo ed il Bambin Gesù in piedi sorretto dalla madre, soluzione non riscontrabile in Simone, la cui poetica è caratterizzata da una concezione della Madonna non già regale bensì umanizzata nel ruolo di madre tene-ramente affettuosa come ci appare nei “Riposi” oppure immersa nella luce radiosa dei cieli infiniti, circondata da angioletti festanti.Ma a fugare ogni perplessità attributiva soccorre il bel disegno a sanguigna n.7073 d’inv. conservato nel Museo del Louvre e che può considerarsi lo studio preparatorio ultimativo in quanto sono ben definite sia la Madonna in trono ed il Bambin Gesù in pieidi sia le figure dei due Santi Domenico e Caterina nonché i tre angioletti in volo con la corona ed il cesto di frutta. Questo dipinto, che dopo il restauro mostra tutto il suo splendore, rappresenta un’incursione del Pesarese in quella riserva di caccia del Ridolfi in Arcevia, a poca di-stanza da Corinaldo, sua residenza, e le città a lui devo te di Ostra, Ostra Vetere, Barbara e Pergola.

Note:

1) A. Colombi Ferretti in “La scuola di Guido Reni”- 19952) C. Ravaioli in “Storia della pittura a Rimini” - 1952 catalogo della mostra3) M. Baldelli in “Claudio Ridolfi il Veronese, un pittore nelle Marche” - 1978 pag.78 4)4) E. Calzini “Claudio Ridolfi” nella “Rassegna Marchigiana” - 19115) A. Anselmi “Claudio Ridolfi, il Veronese” in “Il Raffaello” - 1881

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CLANDESTINO A ROMA

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Sulla portata e sui riflessi di un viaggio a Roma sulla poetica di Simone si è dissertato forse fin troppo. Di tale viaggio ce ne parla il conte Malvasia e non vi è alcun motivo per dubitarne ma le sue parole vanno rimeditate. Egli scrive: “Fuggitosene al paese (Pesaro) di nascosto portatosi a Roma e postosi fuori dell’abitato in casa di certa vecchierella, diedesi ad osservare di soppiatto e di copiare di nascosto le più belle opere di Raffaello… sca-ricandole per lo più, giunto a casa, di memoria per eser-citarla, trovandosene debole e per non poter fare ciò alla libera, non volendosi dare a conoscere”. Dunque è chiaro che Simone è a Roma in incognito, teme ancora rappresaglie a distanza da parte dell’ambiente ma-levolo lasciato alle sue spalle a Bologna, sceglie di iso larsi nell’estrema periferia dell’Urbe ed evita di conse guenza contatti ufficiali con l’ambiente artistico-culturale come l’Accademia di San Luca ed il mercato dell’arte. Ciò spiega come mai a Roma non si trovano opere di Simone presso chiese o collezionisti privati. Va tenuto presente che l’artista aveva già dimostrato la propria riluttanza a recarsi a Roma quando a Bologna aveva rifiutato l’offerta del suo protettore Bernardino Locatelli di un viaggio completamente spesato, pro-posta da lui considerata come l’inizio di un umiliante “noviziato”.1 Si tratta quindi di un ripensamento ma nella massi ma riservatezza, attratto dal mito del suo sommo maestro conterraneo.E se tale attrazione riesce a far superare i timori della vigilia, significa quanto debba considerarsi inattendibile l’aneddoto malvasiano secondo il quale in occasione di una visita di Salvator Rosa a Bologna egli avrebbe criti-cato il dipinto “Santa Cecilia” di Raffaello che allora era esposto nella cappella della chiesa di S. Giovanni in Monre, evidente calunnia propalata dai suoi detrattori; tale falso pettegolezzo procurò grande sconforto nell’ani-mo di Simone, come ha testimoniato allo Zanotti il suo miglior allievo, Lorenzo Pasinelli che disse: “… sono del parere che a niuno più che a lui piacesse a quel tempo l’o pera del suddetto primo pittore del mondo”2.

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CAPITOLO VIII CAPITOLO VIII

Possiamo quindi immaginare Simone sostare ammirato davanti agli affreschi raffaelleschi delle Stanze Vaticane e, perché no, anche davanti ai capolavori del Caravaggio in San Luigi dei Francesi, forse memore delle tracce lascia te nelle Marche da quel caravaggesco “sui generis” che fu G. F. Guerrieri da Fossombrone .Tale viaggio non è documentato ma se si propende a rite-nere di non breve durata la permanenza di Simone a Pe-saro, potrebbe essersi verificato a scadenza ravvicinata al momento della riconciliazione con l’ambiente bologne se, cioè nel corso del 1641.Non ci pare il caso di arrovellarsi nel quesito se Simone abbia avuto tempo e modo di inserirsi “nella vasta e varia cultura della Roma internazionale.”3 Per le motivazioni su esposte non lo crediamo ed è per tale motivo che nel 1975 abbiamo appena sfiorato i nomi del Mola e del Testa. Pier Francesco Mola, coetaneo di Simone, dopo il disce-polato presso il cavalier D’Arpino, si formò in ambito neo veneto della generazione romana di Pietro da Cortona; lo troviamo, segno di una polarizzazione verso la scuola car-raccesca, alla Fortezza Urbana di Castelfranco Emilia nel 1633 quando però Simone non aveva ancora fatto il suo ingresso nell’atelier del Reni ed infatti sappiamo che l’in carico a Simone della pala della “Trasfigurazione” pro prio per la chiesa della Fortezza su commissione dei Barberini verrà affidato solo quattro anni dopo, nel 1637.Si può escludere un contatto diretto fra i due artisti anche se il Mola potrebbe essere stato presente a Roma attorno al 1641. Per quanto concerne Pietro Testa, Simone lo ha conosciuto quando gli ha fatto visita a Lucca nel 1637 ma il sentire eroico, austero, spesso gelido del Lucchesino non ha minimamente scalfito il linguaggio cantariniano, cui non viene mai meno il gusto di cadenze carezzevoli e duttili, calate in un ordito scopertamente naturalistico. Altra considerazione: mentre durante il breve soggiorno romano Simone ha preferito alloggiare in periferia, il Te-sta abitava nel centro storico nei pressi della chiesa di S. Vincenzo e di S. Anastasio ove sorge la fontana di Trevi ed a due passi dall’Accademia di San Luca nei cui registri

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figura il suo nome.4 Del resto il Testa era considerato un incisore di talento ma un pittore mediocre “che scambiòil pennello per il bulino”5.Infine va precisato che quando Simone giunge a Roma il gusto neoveneto, sviluppatosi nel decennio 1625-35 si era ormai esaurito. Più plausibile pare una qualche in-fluenza di Andrea Sacchi, transitato a Bologna nel 1635 quando Simone si trovava già nell’atelier del Reni; ma il suo acca demismo classicheggiante, intriso di un colori-smo vivace d’impronta neoveneta può aver lasciato un segno molto epidermico in Simone.E poi attorno al 1640, ricorda la Colombi Ferretti “quel nodo culturale che aveva raggruppato personalità diverse e distanti si era ormai sciolto” (Colombi Ferretti – op. cit. 1976). Le stesse considerazioni valgono per esclude-re qualsiasi occasione di un rapporto diretto od indiretto con Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, fin dal 1621 con resi denza stabile in Roma nel quartiere della chiesa di S. Maria del Popolo, di caravaggesco richiamo, sposato con nobildonna romana.Attorno al 1640 era al culmine della notorietà, “princeps” dell’Accademia di San Luca e membro autorevole della Pontificia Accademia dei virtuosi del Pantheon. Non è Simone che guarda al Turchi ma se mai è vero il contrario ove si prenda atto della importante notizia for-nitaci dal Dal Pozzo,6 secondo cui “il Turchi interruppe la sua permanenza a Roma per recarsi appositamente a Pesaro per studiare le opere del celebre Simone Cantari-ni”, episodio che conferma l’interesse del pittore verone-se nei confronti del Pesarese. Concludendo si può escludere che questa fugace espe-rienza romana abbia prodotto una qualche virata del lin-guaggio lirico, intimista, naturalista di Simone, semmai un rinvigorimento della sua poetica contagiata da una carica stimolante di neo-raffaellismo. Pertanto resta ar-duo stabilire quali opere del periodo marchigiano siano state eseguite dopo il viaggio a Roma, probabilmente il “Riposo in Egitto” di Brera o le due “Sacre Famiglie” conservate a Roma ed altre ma ci pare un problema che

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non assume molta rilevanza.Simone ritorna a Pesaro inebriato dalla visione della sola-rità, dell’impeccabile armonia compositiva, della serena soavità delle immagini della poetica raffaellesca.

Note:

1) L. Marzocchi “Scritti originali del conte C. C. Malvasia spettanti alla Felsina Pittrice” - 1983 2) G. P. Zanotti “Nuovo fregio di gloria a Felsina sempre pittrice nella vita di Lorenzo Pasinelli” - 1703 3) A. Colombi Ferretti - opera citata - 19764) P. Bellini “L’opera incisa di Pietro Testa” - 1976 pag.235) Lo Presti in “Arte” - 1921, pag. 816) B. Dal Pozzo “Le vite dei pittori, scultori ed architetti veronesi” - 1718, pag. 164

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UN’OPZIONE FATALE, IL RIENTRO A BOLOGNA

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Simone vive in serenità ed appagamento la sua sta-gione pesarese, circondato dagli affetti famigliari, Nono-stante l’ancor giovane età, è appena trentenne, si è già conquistata la qualifica di Maestro. Infatti il suo atelier è frequentato, come si è detto, da pro-mettenti allievi, quali Giovanni Venanzi, che troverà glo-ria alla corte dei Farnese a Parma e Giovanni Peruzzini che si farà onore in Piemonte, apprezzato dai Savoia. I concittadini erano orgogliosi di Simone del quale pote-vano ammirare le opere, nelle principali chiese come la “Beata Rita” a S. Agostino e la “Pala di S. Terenzio e S. Barbara” in S. Cassano, entrambe ubicate nel Corso, le due tele di “S. Giuseppe” e della “Maddalena penitente”, allora nella chiesa dei Filippini nell’attuale via Petrucci, ed altre opere disperse come tre tele nella chiesa e nel convento di S. Domenico all’inizio di via Branca ed un “S. Giovanni della Marca” nella chiesa di S. Giovanni nell’at tuale via Passeri ed infine la perduta tela “S. Giu-seppe morente assistito da Gesù e dalla Madonna” che si trova va nella chiesa di S. Francesco nell’omonima via (oggi santuario della Madonna delle Grazie). Ma il maggior fascino era esercitato dal suo capolavoro, quel “Miracolo di S. Pietro” nella sontuosa chiesa di S. Pietro in Valle nella vicina Fano oltre alle altre due tele nelle chiese di S. Lucia e di Brettino. Tale notorietà era del resto certificata dall’ambita presen-za dei suoi dipinti assai contesi nelle collezioni private delle più nobili e notabili famiglie cittadine come i Mo-sca, i Gavardini, i Bonamni, i Mamiani, gli Olivieri, i Paolucci, gli Zanucchi etc. Dunque Simone non avrebbe dovuto avere motivi per lamentarsi.Senonchè il 6 agosto 1642 giunge anche a Pesaro la noti-zia della morte del suo maestro-rivale Guido Reni a 66 anni non ancora compiuti.Si dissolve un mito, è la fine di un dominio incontrastato. La salma viene esposta al popolo con la veste di cappuc-cino nella chiesa di S. Domenico in Bologna e successiva-mente tumulata nella tomba di famiglia del senatore Guidotti che accoglierà 23 anni dopo anche le spoglie di

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Elisabetta Sirani.La tentazione di replicare l’esperienza artistica nel centro felsineo, ora che il campo è libero, è davvero pressante. Concorrono condizioni favorevoli quali la nomina nel dicembre dello stesso anno a legato apostolico per la dio cesi di Bologna del cardinale Antonio Barberini jr. lo stes so a cui Simone in giovane età aveva eseguito il ritratto a Pesaro.Si ritiene che tale influente autorità ecclesiastica abbia personalmente assistito alla realizzazione delle tre pale per l’altare della chiesa della Fortezza Urbana in Castelfranco e quindi abbia ripreso contatti con Simone, autore della “Trasfigurazione”. Il conte Malvasia ci conferma che il cardinale ha spiana-to la strada a Simone, interponendo i suoi buoni uffici presso Giovanni Battista Manzini, che fu suo protettore dopo la rottura con il Reni ma che poi provocò la preci-pitosa fuga del pittore a Pesaro. Pace fatta anche con i due collezionisti d’arte Locatelli e Zamboni per cui il Pesarese è allettato ad accettare l’invi-to a ritornare a Bologna, presumibilmente nei primi mesi del 1643 e ad aprire uno studio “dietro il Reno in casa dei signori Zambeccari – come ci informa il Malvasia – appli candosi con qualche maggior sodezza ed assiduità alla professione.”Tale datazione, anche se non documentata ed indicata entro l’anno 1642, è unanimemente accettata ed è stata autorevolmente ribadita in occasione della mostra antolo-gica di Bologna del 19971 “Il ritorno nella città felsinea è tradizionalmente indicato nel 1642; è questo l’anno in cui muore Guido Reni ed il Pesarese si appresta a riprendere quel posto che in Bologna gli era stato negato dall’anta-gonismo del maestro”.Ragionevolmente ritengo che il momento del rientro di Simone a Bologna vada collocato verso la primavera del 1643 nella presunzione che il cardinal Barberini, presen te in città dal dicembre 1642, abbia assunto in pieno le sue prerogative e completata la sua azione di riconcilia zione verso l’ambiente ostile a Simone.

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Ciò premesso e puntualizzato, all’arrivo di Simone in Bologna pare che tutto proceda per il meglio, valenti allievi frequentano l’atelier come il prediletto Lorenzo Pasinelli, Flaminio Torre che raccoglierà allori presso gli Estensi di Modena, Giulio Cesare Milani e Girolamo Rossi, ottimo incisore. La prospettiva di una rapida affer-mazione dello studio si presenta incoraggiante; la notizia del l’inizio della sua attività artistica in Bologna si sparge rapidamente tra le famiglie nobili e borghesi del centro felsineo e presto suoi antichi estimatori come i Mellara, i Pepoli, i Cattani, i Marchesini, lo speziale Machiavelli ed altri collezionisti prendono contatto con l’artista per com missioni.Ma ahimè, la decisione presa si rivelerà infausta. Il sogno di divenire capo-scuola, ruolo resosi vacante con la scomparsa del Reni, aveva conquistato anche il Guer-cino che si sposta da Cento; ma con ben altro desti no perché mentre per il Barbieri avrà inizio un’intensa atti-vità artistica di ben ventiquattro anni, per l’infelice Pesa-rese, come vedremo, resteranno soltanto sei anni di vita. Testimoniano la raggiunta maturità complesse composi-zioni di largo respiro che affrontano temi religiosi di forte impegno come l’incoronazione della Vergine, la resurre-zione di Cristo e l’adorazione dei re Magi”.

“L’INCORONAZIONE DELLA VERGINE”(Gandino - Brescia, basilica di S. Maria Assunta)

L’ancona riproducente “L’incoronazione della Ver-gine venerata da S. Vincenzo da Saragozza e da San Benedetto” è stata recuperata da pochi anni alla pater-nità del Pesarese, ove si pensi che il dipinto nel 1987 era espo sto alla mostra del seicento a Bergamo “come opera di un modesto pittore, certo Pietro Paolini”. Eppure tale pala collocata in un altare della Basilica di S. Maria Assunta di Gandino, località del bergamasco, nella cappella dei baroni Giovannelli, che in origine commis-sionarono l’opera a Simone, è stata sempre molto cele-

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“Incoronazione della Vergine e Santi’’olio su tela cm 295 x 181Gandino, Basilica di S. Maria Assunta

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brata in passato come autentico capolavoro. L’impagina-zione si fa più ardita e doviziosa soprattutto nella parte superiore con uno schema originale a W con la Vergine al centro in atteggiamento umile in attesa di ricevere la tiara sul capo, posata da Cristo e dal Padre Eterno ai suoi fianchi e dalla colomba dello Spirito Santo. Ai suoi piedi una corona di deliziose testine di cherubini in cui Simone era davvero maestro, come si è avuto modo di ammirare, ad esempio, nel S. Giacomo in gloria di Rimini.Nella parte inferiore si fronteggiano i due santi estasia-ti dalla radiosa visione intessuta di morbide, dorate luci vespertine.

“RESURREZIONE DI CRISTO” (Boston, Collezione Seibel)

Nel luglio 1647 Simone era riuscito a portare a ter mine, dopo una laboriosa progettazione attestata da parecchi studi grafici preparatori, la “Resurrezione di Cristo” che gli era stata ordinata fin dal 1644 dalla Com-pagnia della Grotta di Urbino per collocarla nel pro prio Oratorio ubicato nella cripta del Duomo. L’opera venne esposta nel giorno del venerdì Santo, 10 aprile 1648, vale a dire pochi mesi prima della scompar sa dell’artista.Purtroppo tale importante testo pittorico era rimasto sot tratto alla conoscenza ed allo studio della critica fin quan do nel 1980 non è comparso ad un’asta promossa da Sotheby’s ed entrata a far parte di una raccolta privata di Boston. Il trasferimento di Simone dal disteso, rilassante e lirico panorama della riviera pesarese alla turrita dotta Bologna risveglia un forte richiamo alla tradizione carra-cesca e reniana. Lo schema compositivo diviene comples-so ed articolato in diversi piani prospettici: la possente figura centrale del Cristo trionfatore sulla morte che si libra in un cielo rischiarato dai primi bagliori dell’alba, forma il vertice di un triangolo la cui base è formata dai “Risurezione di Cristo’’ (studio)

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“Resurrezione di Cristo’’ olio su tela cm 223 x 170 Boston, Collezione Seibel

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corpi seminudi dei due soldati romani immersi nel sonno con le gambe quasi accavallate. Si tratta di una invenzione figurativa quanto mai elabora-ta ed inedita che ha comportato vari studi grafici prepa-ratori (raccolte di Brera, Stoccarda, Budapest etc.).

“ADORAZIONE DEI MAGI” (Bologna, UniCredit Banca)

Ma il più splendido capolavoro dell’ultima stagione artistica di Simone è “L’adorazione dei re Magi” a lungo appartenente alla collezione della marchesa Andrèe Tor-rigiani Salina e di recente passata in proprietà di Unicre-dit di Bologna.Non più il ristretto gruppo famigliare della Sacra Fa-miglia ma ora la composizione si arricchisce di diversi personag gi, diviene più complessa e costruita su diversi piani. In primo piano i tre re venuti dall’Oriente, Gaspare, Mel-chiorre e Baldassarre, offrono i loro doni, oro, incen so e mirra quali simboli della regalità, della divinità e della passione al piccolo Gesù, seduto sulle ginocchia di Ma-ria, alle cui spalle si protende in avanti Giuseppe per os-servare questa straordinaria scena di adorazione. Altre figure comprimarie presenziano al rito, tra cui sulla sinistra si affaccia il volto espressivo di un bimbo rivolto verso il riguardante mentre sulla destra due ragazzi sono arrampicati sul cornicione di un palazzo. Mirabile è la calibrata armonia del ritmo compositivo ed i vespertini accordi cromatici in un gradevole tonalismo smorzato. Si avverte un certo influsso di modi neoveneti, una sintassi più solenne e meditata che Simone lascerà in eredità al giovane Pasinelli.Dopo il ritorno a Bologna possono assegnarsi anche i due grandi dipinti: S. Antonio da Padova e S. Francesco da Paola (Bologna, Pinacoteca Nazionale), S. Giuseppe e S. Domenico (Bologna, Pinacoteca Nazionale).

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“Adorazione dei Magi’’ olio su tela cm 212 x 158 Bologna, UniCredit Banca

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S.ANTONIO DA PADOVA E S.FRANCESCO DA PAOLA (Bologna, Pinacoteca Nazionale)

S. GIUSEPPE E S. DOMENICO (Bologna, Pinacoteca Nazionale)

Si tratta di una coppia di dipinti d’identica misura (cm 276 x 184), attualmente esposti nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, in origine nella soppressa chiesa di S. Tommaso del Mercato in Bologna, poi passati alla Pinacoteca dai cui depositi vennero trasferiti nel 1950 nel Tempio Malatestiano di Rimini. Essi rappresentano il momento della virata stilistica di Simone al ritorno nel centro felsineo, secondo l’autorevo-le parere condivisibile di Francesco Arcangeli che dedicò alle due opere un giudizio critico nel 19502, databili quin-di al periodo 1643-48.I dipinti erano stati commissionati dalla famiglia bologne-se Grassi che si era già avvalsa del pennello di Simone per il ritratto di Paris Grassi ed inoltre possedeva due dipinti dell’artista rappresentanti l’allegoria della pittura e dell’a stronomia.I due grandi quadri erano destinati alle pareti laterali della loro cappella nella succitata chiesa bolognese, poi soppressa.Pare che il Pesarese abbia voluto richiamarsi allo stile grandioso del Reni e del Cavedoni del secondo decennio del secolo.Colpiscono le figure imponenti e statuarie dei quattro santi a figura intera, il cui aspetto monumentale viene accentuato dal taglio prospettico “sottinsù”. Si tratta di un linguaggio insolito ed innovativo per Simone; pare che l’impronta reniana, pur nutrita di vena naturalistica, voglia sostituirsi al rapimento estatico di intensa spiritualità che abbiamo avvertito nei santi a brac-cia allargate e sguardo al cielo, come nel “S. Giacomo” di Rimini, nel “S. Stefano” di Bazzano o nel “S. Giuseppe” di Pesaro.

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“S. Giuseppe e S. Domenico’’ olio su tela cm 276 x 184 Bologna, Pinacoteca Nazionale

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“S. Francesco da Paola e S. Antonio da Padova’’olio su tela cm 276 x 184

Bologna, Pinacoteca Nazionale

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Il S. Antonio, alquanto simile alla pala di Cagli (ora in S. Lorenzo a Milano), è colto di prospetto in un momen-to d’intensa meditazione mentre S. Francesco di Paola è assorto nella lettura evangelica; nell’altro dipinto si nota S. Giuseppe di profilo in ascolto di S. Domenico predi-cante, avvolto in una candida tunica le cui pieghe marca te accentuano lo slancio verticalistico della figura. Alle spalle dei personaggi si intravede uno squarcio di cielo imbronciato pretemporalesco. Si ipotizza che il romagnolo Guido Cagnacci, già allievo del Reni ed abitante nello stesso quartiere parrocchiale di Bologna, abbia potuto meditare davanti a questi due dipinti prima della sua partenza per Vienna.

S.MATTEO E L’ANGELO (ROMA, Museo di Palazzo Venezia)

Questo quadro da cavalletto proviene dalla ricca collezione del cardinale Tommaso Ruffo e raffigura S. Matteo, il pubblicano collettore di imposte che divenne l’autore del primo Vangelo in aramaico poi tradotto in greco. Si suppone che esso facesse parte di una serie di quadri in pendant dedicati ai quattro evangelisti; infatti a Bologna il conte Uguccione Pepoli annoverava nella pro pria quadreria i dipinti dei quattro evangelisti mentre nel convento di S. Domenico di Pesaro venivano citati due quadri con S. Giovanni e S. Matteo. Il Pesarese co-glie con felice immediatezza un momento di dialogo del vegliardo con l’angioletto visto di profilo al quale sembra voglia confidare il segreto di una scrittura ispirata dalla dimen sione trascendente riportata nel librone aperto sul tavolo. Splendido il volto assorto di Matteo con folta ca-pigliatura fluente il cui archetipo, secondo il Malvasia, era costitui to da un modello in creta ideato in studio dallo stesso arti sta.Dal fondo monocromo emerge la possente figura del san-to potenziata da un caldo fascio di luce che non turba il gradevole tonalismo dell’insieme. Si colloca tale opera

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“S. Matteo e l’Angelo’’olio su tela cm 84 x 70

Roma, Museo di Palazzo Venezia

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S. Andrea Apostolo’’ olio su tela cm 102 x 69 Firenze, Palazzo Pitti

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al secondo periodo bolognese Altro dipinto con lo stesso soggetto viene attribuito al Pesarese nella National Gallery di Washington ma vie-ne rappresentato lo stesso momento psicologico quanto l’e vangelista è intento alla lettura mentre un angelo vi-sto di spalle sorregge una ciotola d’inchiostro con intin-ta una penna d’oca.

S.ANDREA APOSTOLO(Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti)

Il dipinto rappresenta a mezza figura il primo disce polo di Gesù, fratello di Simon Pietro, come lui pescato re, attività a cui alludono i pesci argentei che pendono dalla mano destra; anche la croce a forma di “X” detta anche “croce di S. Andrea” è elemento di identificazione del soggetto in quanto si richiama al martirio dell’aposto lo che fu appeso a tal croce per due giorni. Si ritiene possa essere il dipinto senza titolo donato da un collezionista bolognese nel 1699, certo Giovan Bat-tista Belluzzi, al Gran principe Ferdinando de’ Medici, figlio del Granduca Cosimo.Tale dipinto è sempre stato associato ad altro dipinto raf figurante S. Isidoro in mistico raccoglimento, opera con siderata autografa di Simone, tanto che furono en-trambe esposte alla mostra “pittori bolognesi del sei-cento nelle gallerie di Firenze” del 1975 (poi quattro anni dopo asse gnata al pittore fiorentino di origine fiam-minga Giovanni Biliver).Pur trattandosi di un quadro da stanza non troppo impe-gnativo, da datarsi al secondo soggiorno bolognese, esso evidenzia la maestria di Simone nel valorizzare l’elemen to luce che batte sul volto rude ed accigliato dell’aposto lo, ricorrente nella tipologia cantariniana, e sul braccio muscoloso che sorregge la pesante croce li-gnea, il tutto colto con spiccato senso naturalistico.

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“Premonizione della fuga in Egitto’’ olio su tela cm 103 x 70 Roma, Cassa Depositi e Prestiti

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PREMONIZIONE DELLA FUGA IN EGITTO (Roma, Cassa Depositi e Prestiti)

Il soggetto è analogo ma non identico al dipinto già esaminato “Il sogno di S. Giuseppe” del Duomo di Camerino, ma qui si tratta di un quadro da collezionismo di misure ridotte di proprietà della quadreria della Cassa Depositi e Prestiti di Roma, nei cui cataloghi risulta inventariato dal 1857.Anche in questo caso si ignorano i vari passaggi di pro-prietà nei due secoli precedenti. Si ipotizza comunque che possa trattarsi del dipinto che figurava nel 1782 nella raccolta del conte Gian Francesco Aldrovandi in Bologna e con tutta probabilità eseguito da Simone nel suo atelier personale verso il 1644 circa. Rispetto alla pala di Camerino la figura di Giuseppe dor-miente si presenta in controparte con alcune varianti nella posizione assunta in quanto il braccio destro è appoggia-to alla base di una colonna spezzata ed il sinistro è disteso in abbandono su un libro chiuso sopra il ginoc chio.L’assenza della figura di Maria in preghiera e lo stesso gestire dell’angelo con entrambe le braccia distese vol-te ad indicare un cammino da intraprendere rimandano al secondo sogno profetico di Giuseppe dopo la nascita di Gesù. Partiti i Re Magi – ci racconta ancora Matteo (2.13) – un angelo del Signore apparve in sogno a Giu-seppe, dicendogli “Levati, prendi il bambino e la madre sua e fuggi in Egitto, là ti fermerai finché io non ti avvisi perché Erode cercherà il bambino per farlo morire”. Questo dipinto è dunque la premessa di quella tematica del riposo durante la fuga in Egitto che tanto avvince-rà Simone, nella splendida serie di saggi grafici, incisori e pittorici dedicata a questo momento di quiete dopo la tempesta. In un riscontro analogico fra la drammatica vi-cenda neo testamentaria ed il travagliato excursus biogra-fico-estetico del irrequieto e tormentato giovane artista. Quest’opera “è uno dei risultati più sottili del pittore, ove

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un nuovo affettuoso naturalismo che sommuove la frigida idealizzazione formale della poetica reniana, perviene nel bellissimo nodo figurale del vecchio dormiente e dell’efe-bo alato, nella breve veduta prospettica sulla destra di una silenziosa strada di provincia ad un calore di sentimenti umanoidi toccante sincerità” Italo Faldi “Catalogo della Quadreria – 1956”.Tale autorevole quanto lusinghiero giudizio critico è, ov-viamente, estensibile alla pala di Camerino.

AGAR ED ISMAELE SALVATI DALL’ANGELO (Fano, Fondazione della Cassa di Risparmio)

Il dipinto di modeste dimensioni rappresenta l’ange-lo Michele, inviato da Dio per soccorrere nel deserto di Betsabea sia Agar, la schiava egiziana di Sara, la moglie del vecchio patriarca Abramo, sia il piccolo figlio natura-le Ismaele da lei concepito prima della nascita del figlio legittimo Isacco.La donna, ripudiata da Sara e cacciata nel deserto insie-me al bambino, è all’estremo delle forze per la mancanza di cibo ma soprattutto di acqua. L’angelo, protagonista dell’evento preternaturale, è la figura centrale ricorrente nella tipologia cantariniana; lo ritroviamo, ad esempio, nelle due tele del “Sogno di San Giuseppe” oppure nella incisione all’acquaforte “L’Angelo Custode” (Bartsch n. 28). Il suo intervento è provviden ziale, perché indica alla donna sfinita per la sete un pozzo miracoloso ove attin-gere acqua per lei e per il figlio al quale viene predetto il fausto destino di fondatore della tribù araba degli israe-liti.Nel 1975 segnalavo con lo stesso soggetto una tavolet-ta ad olio di formato più piccolo (cm. 30 x 43) appar-tenente alla collezione Cranstoun a Corehouse (La-nark) ma ne fu messa in dubbio l’autografia. Siamo a conoscenza – grazie ad informazione fornita dal conte Malvasia (cfr. “Felsina pittrice”, 1678 pag. 380) che si-curamente Simone ha dipinto un “Agar ed Ismaele” su

“Angelo Custode’’ acquaforte

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“Agar ed Ismaele salvati dall’angelo”olio su tela cm 59 x 77

Fano, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano

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supporto in rame acquistato da un nobile mercante di Ve-nezia, mentre una copia con alcune varianti ordinata dal suo protettore bolognese, il nobile Matteo Machiavelli, dopo vari passaggi di proprietà che ne hanno fatto lievi-tare il prezzo, è finito nel museo Sampieri in Strada Mag-giore a Bologna.Un bel disegno di Simone a sanguigna si trova nella rac-colta dell’Accademia statale di Dusseldorf ma esso è dedi cato ad altro episodio della vicenda, cioè la sottomis-sione della schiava Agar a Sara.Il dipinto potrebbe assegnarsi verso la fine del soggiorno nelle Marche od al momento della ripresa di attività nel suo atelier in palazzo Zambeccari a Bologna. Un dipinto con lo stesso titolo “Agar e Ismaele” veniva segnalato dal Giordani nella collezione di Luigi Franchini in Bologna, esposto il 5 giugno 1842 nel cortile dei Padri Serviti per la festa della parrocchia di S. Caterina in Stra-da Maggiore, forse la stessa opera proveniente dal Museo Sampieri. Altro dipinto con lo stesso titolo era pos seduto dal marchese Bovio; altro in Roma nella collezio ne Za-gato.Queste diverse versioni dell’episodio dimostrano quan-to favore abbia riscosso l’interpretazione di Simone, impron tata sulla poesia dell’incrociarsi dello sguardo rassicuran te dell’angelo salvatore con quello interrogati-vo e quasi rassegnato della soave fanciulla.

ALLEGORIA DELLA PITTURA(San Marino, Fondazione della Cassa di Risparmio)

Questo dipinto è stato acquistato al catalogo del Pesarese recentemente nel 2000 e proviene dal mercato antiquario bolognese. Va premesso che risulta peculiare nella cultu-ra artistica degli inizi del seicento il gusto di rappresenta-re per mezzo di personificazioni allusive le arti come la pittura, la poesia e la musica oppure le scienze come

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l’astronomia. È un metodo ideativo aderente allo spiri-to della Controriforma, tanto è vero che quel singolare repertorio-dizionario dedicato alla “Iconologia” del Pe-rugino Cesare Ripa risale al 1593. Tale tendenza alla metafora figurativa viene accolta an-che dal Pesarese. Il dipinto si può accostare all’analogo sog getto che si trova nel Museo Statale Norodowew di Varsavia che è di dimensioni quasi doppie (cm. 111 x 99 contro cm 78 x 52) ma raffigurante la stessa giovinetta ri-volta verso di noi nell’atto di dipingere ma in contro parte. Secondo alcuni questa pittrice potrebbe rappresen tare il ritratto di Elisabetta Sirani della Scuola di Guido Reni. Alquanto notevoli ci sembrano le affinità del volto con la scriminatura al centro della fronte. In questo dipin to manca l’angioletto ispiratore che è presente nel dipin to di Varsavia, citato sia nel catalogo del museo del 1969 sia in quello della mostra “Maestri della pittura del sei cento emiliano” del 1959; pertanto la sua autografia viene oggi rafforzata dalla conoscenza di questo bel dipin to di S. Marino oltre che da un disegno a sanguigna con servato nella Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro (foglio 55 v. verso).La circostanza che questo dipinto provenga dall’ambien-te bolognese ove veniva citata altra opera cantrinina con lo stesso titolo di proprietà Bianchetti, esposto il 4 giu-gno 1882 in occasione della processione del SS. Sacra-mento nella parrocchia di S. Maria dei Servi, induce a far rite nere che esso vada datato al periodo post reniano, mar chigiano od al massimo agli inizi dell’attività dopo il rien tro a Bologna.L’altra “Allegoria della pittura” era segnalata nella raccol-ta Mosca a Pesaro (manoscritto Giordani); inoltre a Bolo-gna il conte Camillo Grassi possedeva due mezze figure allegoriche rappresentanti la pittura e l’astronomia. Nel catalogo della quadreria della Fondazione della Cassa di Risparmio di S. Marino si legge il giudizio critico auto-revole di Andrea Emiliani “Aleggiava nel dipinto un natu-ralismo cortese che si nutre di molti ricordi barocceschi,

“Allegoria della pittura”disegno a sanguigna

Rio de Janeiro, Biblioteca Nazionale

“Allegoria della pittura’’olio su tela cm 111 x 94

Varsavia, Museum Narodowe

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“Allegoria della Pittura’’olio su tela cm 78 x 52San Marino, Fondazione S. Marino Cassa di Risparmio

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oltre che la consueta attitudine raffaellesca”. Forse per un’incertezza ideativa appare, al centro del fondo oscu-ro, un altro volto molto velato e quasi imper cettibile.

ALLEGORIA DELLA MUSICA (Milano, collezione privata)

Questo dipinto di singolare eleganza formale ven-ne esposto, su suggerimento di Francesco Arcangeli, alla mostra “Maestri della pittura del seicento emiliano” tenu tasi a Bologna nel 1959: in quella occasione Andrea Emiliani, curatore delle schede critiche riguardanti il Pe-sarese, così scrisse “È questo un momento di sensibile e delicata purezza formale e disegnativa, mutuato in gran parte dall’esperienza grafica” (pag.126 del catalogo).L’attribuzione infatti viene avvalorata da uno splendido disegno preparatorio a matita rossa conservato presso la Pinacoteca di Brera (inv. 289). Tale opera viene assegnata al periodo marchigiano post-reniano o ai primi tempi del rientro in Bologna. Simone coglie con maestria l’espressione trasognata di questa giovinetta a mezzo busto dallo sguardo sperduto, assorta nell’ascolto degli accordi melodici che sgorgano dalla sua mandola.Si ritiene che questa figura abbia fatto parte di una tetra-logia allegorica comprendente anche la pittura, la poesia e l’astronomia; lo stesso soggetto era segnalato dalle fon-ti in Bologna nelle collezioni Cospi-Girotti ed in quella Cagnoni.

ALLEGORIA DELLA MUSICA (Pesaro Banca Popolare dell’Adriatico)

Questo dipinto, facente parte della serie delle figure allegoriche, venne attribuito al Pesarese fin dal 1978 da Andrea Emiliani, tale parere trova conferma nella consta-tazione che si tratta della stessa modella utilizzata anche

“Allegoria della musica’’disegno a matita rossa

Milano, Pinacoteca di Brera

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“Allegoria della musica” olio su tela cm 114 x 92 Milano, Cooperazione Pasquinucci

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per l’ “Allegoria della Poesia”, con analoghe fattezze fisio nomiche ed espressione pensosa della giovinetta. Esso è stato esposto nel 1987 ad una mostra dedicata al Pesarese a San Severino Marche pubblicato nel catalogo a cura di Paolo Bellini.E’ interessante il ritrovamento a Roma nella collezione privata Dominici da parte di Paolo Santini di analogo di-pinto di figura femminile con violino ma con la varian te della mancanza del mantello che nel dipinto di Pesaro ricopre la spalla destra e circonda l’avanbraccio sinistro; ma la sorpresa è costitita dalla scritta apposta nel retro della tela “Originale del sign. Simone Cantarini (di o da) Pesaro 1640” che orienterebbe a collocare i due dipinti all’epoca del viaggio romano.

ALLEGORIA DELLA POESIA (Collezione privata)

Questo dipinto da stanza rappresenta una delle ultime acqui sizioni al corpus pittorico cantariniano in quanto è stato espertizzato dal prof. Daniele Benati nel maggio 1998 dopo le mostre di Pesaro e di Bologna e venduto il 12 ottobre 2004 durante un’asta indetta da Porro & C. La figura allegorica della “Poesia” viene rappresentata da una giovanetta dal volto poco effeminato accostabile alla tipologia della moglie di Putifarre; ella ha il capo corona-to di alloro è avvolta da una veste alquanto trasparente azzurra che le lascia scoperto il seno sinistro. La mano sinistra magistralmente realizzata e lievemente appoggia-ta su un libro aperto mentre la destra sorregge la penna d’oca in attesa d’ispirazione. I due strumenti musicali sim boleggiano la poesia lirica il violino e quella pastorale il flauto. Va ribadito che il tema allegorico della poesia, della pittura, della musica e dell’astronomia è stato assai frequente nella produzione sia pittorica che grafica di Simone, rappresentate da figure femminili plasmate da un’avvolgente onda di luce ed emergenti da un fondo oscuro brunastro.

“Allegoria della musica’’dipinto ad olio su tela, inedito

Roma, collezione privata Prof. Dominici

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“Allegoria della musica’’olio su tela cm 90 x 80Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

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“Allegoria della poesia’’olio su tela cm 113 x 80

Milano, collezione privata

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Si ignora la provenienza di origine del dipinto ma il Malvasia ci ha segnalato una “Poesia” nella collezione Ballantino di Bologna, inoltre ci è noto che mons. Fa-bio degli Abati Olivieri, poi divenuto cardinale nel 1715 della nobile famiglia pesarese possedeva diversi quadri del Pesarese, tra cui una “Poesia” che inviò in prestito a Roma nel 1706 insieme a due altri dipinti, una “Pietà” ed un “S. Giacomo in gloria” per essere esposti in S. Salva-tore in Lauro. 4

“S. GIOVANNI BATTISTA PREDICANTE NEL DESERTO” (Bologna, Pinacoteca Nazionale)

Ed ora un cenno ad un’estrema opera, “S. Giovan-ni Battista predicante nel deserto” lasciata incompiuta al momento della partenza per Mantova, attualmente espo-sta alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, proveniente dalla raccolta Zambeccari. Campeggia il santo a figura intera, un efebo con volto un po’ accigliato in una tra-ma di verdi slavati e notazioni rosate nel palpito di luci vespertine. È evidente il richiamo al modello reniano di Londra al Dulwich College Gallery. Forse si è prestato come modello quel bellissimo suo gio-vane allievo, Girolamo Rossi, secondo il Malvasia predi-letto da Simone.Nella vasta produzione grafica lasciataci, vi è un disegno a sanguigna dal caratteristico segno volatile, rapido che po-trebbe essere studio preparatorio, stante l’assonanza ico-nografica del volto incorniciato da una folta capigliatura arricciata (Oxford, Christ Church); altro disegno che po-trebbe collegarsi al dipinto ma condotto con finitezza ac-cademica pregevole si trova a al Metropolitan Museum di New York. Questo giovane che grida nel deserto potrebbe rappresentare l’anima lacerata, tormentata del Pesarese nel momento della feroce violenza subita che gli ha tron-cato l’esistenza terrena nel fiore della giovinezza, quando gli arrideva l’aspettativa di una luminosa carriera artistica.

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“S. Giovanni Battista predicante nel deserto’’olio su tela cm 220 x 140

Bologna, Pinacoteca Nazionale

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“Nudo maschile’’New York, Metropolitan Museum of ArtDisegno a sanguigna di mm 330 x 256 n. 6.91 d’inv. proveniente dal fondo Rogers nel 1969. Trattasi di un foglio preparatorio di un dipinto (un S. Giovanni Battista predi cante?) in cui il segno grafico, solitamente così sprezzante nelle figure abbozzate, lascia il posto ad una perfetta finitezza accademica. Attraverso le notizie tramandateci dal Conte Malvasia, sappiamo che Simone aveva predilezione, fra gli amici, per l’allievo Girolamo Rossi “bellissimo giovane, del quale continuamente e dimesticamente servi-vasi della sua bella effige, che ritraeva più volte, e bella simmetria di corpo”.

Note:1) M. Cellini in “Simone Cantarini detto il Pesarese” Catalogo - 1997 pag. 4132) F. Arcangeli “Paragone” - 19503) A. M. Ambrosini Massari in “Disegni italiani nella Biblioteca Nazionale di Rio De Janeiro” - 1995 4) M. Cellini: “Disegni di Simone da Pesaro, l ’Albo Horne” - 1996, pag. 120

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IL TRAGICO EPILOGO A MANTOVA

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Simone si ritiene soddisfatto del traguardo raggiunto e da tempo desiderato di poter disporre di un proprio ate-lier nel centro felsineo frequentato da promettenti allievi di poco più giovani di lui: Flaminio Torri aveva poco più di vent’anni e Lorenzo Pasinelli era ancora un imberbe ragazzo quattordicenne quando verrà convocato nel 1648 alla corte del Ducato dei Gonzaga a Mantova. È un segno del destino che potrebbe rappresentare una svolta signifi-cativa nella carriera dell’artista? Un fulmine a ciel sereno, Simone non è ancora riuscito a ter minare la tela “Madonna con Gesù adorati da S. Filip-po Benizi” che gli avevano commissionato i frati serviti della chiesa di S. Giorgio in Bologna (opera ora esposta alla Pinacoteca Nazionale di Bologna) dopo aver com-pletato le due figure principali della Vergine e del santo, opera che verrà poi terminata dopo la sua morte da Fran-cesco Albani.E si trovava in stato di avanzato abbozzo quel dipinto – forse il suo canto del cigno – raffigurante “ Il carro di Apollo e le Ore”, forse l’estremo omaggio al suo sommo Maestro Guido Reni in un momento di tardiva resipi-scenza, nel forte richiamo al famoso capolavoro reniano realizzato, guarda caso, proprio nell’anno di nascita di Simone nella loggetta del casinò Rospigliosi Pallavicini in Roma e pure raffigurante il dio Apollo che guida il car-ro del Sole, circondato dalle Ore e preceduto dall’Aurora. Tale opera incompiuta, ora alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, proveniente dalla collezione Zambeccari, mo-stra il gruppo in controparte cioè avanzante verso il lato sinistro.Ma ben ha evidenziato Andrea Emiliani che “il modo sti-listico rivela che in quest’opera Simone si è posto in cre-scente opposizione a quel classicismo ormai lontano. Fra le ultime prove di Simone lascia affiorare a pochi mesi dalla morte sintomi di espressività pittorica accentuata, vere varianti di valore estetico e di stile che, ormai, non avranno purtroppo pieno sviluppo”.1 Raggiunta la maggiore età, il duca Carlo II Gonzaga di Nevers aveva assunto nell’ottobre 1647 il governo dello

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“Carlo II Gonzaga di Nevers’’ IX Duca di Mantova (1637 - 1654) autore ignoto Milano, Collezione Privata

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Stato di Mantova, dopo un decennio di reggenza della madre, principessa Maria di Savoia. Purtroppo il mese successivo una grave calamità naturale colpisce la città con il contemporaneo straripamento dei fiumi Po, Mincio e Secchia per cui occorre soccorrere i cittadini gravemente danneggiati dalla furia delle acque. Ma superata questa emergenza, nella primavera del 1648 il giovane ed ambizioso duca rivolge il suo interesse verso l’arte, seguendo la tradizione rinascimentale del Mantegna in Palazzo Ducale ed assume la protezione dell’Accademia dei Timidi.Libertino e dissipatore, il Duca vuole tramandare ai po-steri la sua immagine e decide quindi di farsi ritrarre dal miglior pittore uscito dalla scuola del celeberrimo Guido Reni e la scelta cade, su consiglio dei suoi dignita ri, pro-prio sul Pesarese.Simone è preso alla sprovvista, non può recare con sé la giovane amante di modesta estrazione sociale e quindi l’affida ad un suo amico ed estimatore, un certo Martini, gestore di una bottega di tintoria. Propone al Pasinelli di accompagnarlo ma poi preferisce incaricarlo di curare lo studio ed avvalersi dell’aiuto di un suo ex-allievo a Pesa-ro, certo Spadarino soprannominato “Lo Zoppo”, venuto a trovarlo a Bologna.2 Si racconta che Simone, giunto alla corte gonzaghesca, si sia comportato con iattanza e prosopopea, osando proffe-rire giudizi negativi perfino sul miglior allievo di Raffa-ello, quel Giulio Romano portato a Mantova in palmo di mano per i suoi celebrati affreschi in Palazzo Te. Ma sarà proprio vero? Proprio lui che era così invaghito dell’arte sublime del conterraneo urbinate? Certo, un atteggiamento prudente, non provocatorio ed un po’ diplomatico non è purtroppo nelle prerogative di Simone e lo si è constatato nel rapporto burrascoso con il Reni.Sta di fatto che la sua intromissione nella corte dei Gonzaga non può non provocare risentite invidie e gelo-sie nei pittori di corte, specie in quel pittore fiammingo, Daniele van der Dyck, finora nelle grazie del Duca che lo

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aveva nominato direttore della quadreria ducale e non po-teva certo aver digerito la scelta del Pesarese. E qui inizia il mistero della infausta vicenda di Simone. Dunque egli avrebbe dedicato parecchie sedute all’esecu-zione del ritratto con risultati sempre insoddisfacenti nel cogliere i tratti somatici del volto del Duca che in effetti erano quanto mai singolari e disarmonici, come ci appa-iono in tre dipinti di autore ignoto esposti nel 1939 nella “Mostra iconografica gonzaghesca” in Palazzo Ducale.Ma si stenta a credere a tale débacle improvvisa per un ritrattista del valore di Simone, come si è constatato nello splendido ritratto di Eleonora Albani o di Guido Reni, del cardinale Antonio Barberini Jr. o nell’Autoritratto! Da qui prendono corpo due versioni contrastanti sulla vi-cenda della causa della prematura morte dell’artista. Se-condo l’ipotesi avanzata dal Malvasia, il Duca assai spa-zientito revoca l’incarico al Pesarese che di conseguenza cade in uno stato di profonda depressione, umiliato per lo smacco subito, fino al punto di ammalarsi gravemente. Il ritratto sarebbe poi stato eseguito da pittore non iden-tificato veneziano di passaggio o convocato dal Duca o secondo alcuni mantovano o genovese come il Grechetto. Ma non si è riusciti a comprovare la presenza in Mantova nel 1648 di un pittore rinomato degno di tale principesca commissione.Si contrappone a tale versione poco attendibile quella tra mandata dalla tradizione e da fonti pesaresi, come lo sto riografo locale Olivieri3, ne è garante il nipote di Si-mone, il religioso Girolamo Cantarini, figlio del fratel-lo Vincenzo il quale avrà poi la procura di recuperare la produzione artistica lasciata in eredità, dipinti, stampe e soprattutto i disegni; secondo tale versione si ammetto-no le iniziali difficoltà nel cogliere fedelmente il volto del Duca ma poi si rivela che Simone riuscì a portare a ter mine un mirabile ritratto con piena sua soddisfazio-ne e soprattutto del committente e dei dignitari di corte. Si fa quindi strada l’ipotesi tutt’altro che azzardata per quei tempi dell’avvelenamento durante un pranzo di

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“Madonna con Gesù e S. Filippo Benzi’’

olio su tela cm 3=v41 x 204 Bologna, Pinacoteca Nazionale

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Simone e del suo aiutante “Lo Zoppo” provocato da un pittore cortigiano umiliato al cospetto del Duca: è la stes sa tragica sorte subita dal Domenichino a Napoli nel 1641.E del resto sappiamo quanto sia stato poco convincente Giorgio Vasari quando ha attribuito l’improvvisa mor-te di Raffaello ad eccessi di carattere erotico, avvenuta proprio nella ricorrenza del suo trentasettesimo comple-anno il 6 aprile 1520!Il giorno successivo Alfonso D’Este veniva informato con lettera del suo procuratore Paolucci che “Raphael de Urbino ... è morto di una febbre continua ed acuta”: ed a chi intendeva riferirsi Sebastiano Del Piombo nella lette ra del 12 aprile indirizzata a Michelangelo “... et Dio li perdoni!”?Quindi anche per Raffaello come per Simone il sospetto di una morte procurata da rivali risulta quanto mai con-sistente.Non si muore a soli trentasei anni per un dispiacere che pur procura profonda prostrazione morale. Simone attribuisce il suo grave malessere al clima malsa no della paludosa Mantova, pensa di cambiar aria e si tra scina faticosamente a Verona dove sa di poter fare affida mento sulla benevolenza dei frati agostiniani del Convento di S. Eufemia, già suoi protettori a Pesaro ed a Fano e dove potrà avvalersi dell’assistenza affet-tuosa del fratello Giovanni Antonio, di lui più giovane di nove anni, “Venne a mancare poco a poco di una len-ta ma continua dissenteria” come riferisce il Malvasia, sintomatologia che avvalora il sospetto dell’avvelena-mento. La morte sopraggiunge l’11 ottobre 1648 e la salma ver-rà tumulata nel Convento.La ferale notizia giunge inattesa nell’ambito bolognese, gettando nella disperazione soprattutto il Pasinelli assai affezionato al maestro e la giovane amante; poi giunge a Pesaro nella cerchia dei famigliari, degli amici e dei col lezionisti fedeli, provocando un’onda di sgomento gene rale.

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Guido Reni“L’Aurora”

Roma, Casino Rospigliosi Pallavicini

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“Il Carro di Apollo e le Ore’’ olio su tela cm 188 x 277 Bologna, Pinacoteca Nazionale

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Lo storico locale Giuliano Vanzolini gli dedicò questa epi grafe: “Chi più di te onorò Pesaro, o Simone Cantarini, che quantunque morto a trentasei anni, di sommo pittore avesti grido e soprannome di Pesarese.” 4

Note:1) Catalogo della mostra “Simone Cantarini detto il Pesarese” Bologna - 19972) Manoscritto Antaldo Antaldi 3) Manoscritto Antaldo Antaldi4)“Gli illustri pesaresi rinomati in ogni tempo” - Pesaro, 1881

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PROFILO DELL’UOMO

È facile intuire che, se un destino più benevolo avesse concesso al Pesarese almeno un ventennio ancora di vita terrena, certamente avrebbe conquistato nella sto ria dell’arte italiana del seicento una posizione di ben mag-giore prestigio.Una esistenza meno irrequieta, disseminata di contrasti, in parte provocati dal suo stesso carattere descritto come altezzoso, irruente, carente di umiltà gli avrebbe consen-tito nella piena maturità di conquistare più ambiti tra-guardi in campo nazionale, grazie a probabili committen-ze importanti con l’intercessione della potente famiglia Barberini.Lo Zanotti, suo indiretto allievo per il tramite del Pasinel-li, era convinto che certi giudizi malevoli nei suoi con-fronti fossero alquanto gonfiati e che egli avesse vali de attenuanti a sua difesa.Simone era per natura incline alla generosità e lo com-provano la dote nuziale a favore della sorella Eleonora, il prestito a quel suo sleale sedicente protettore bolog-nese di piastre fiorentine faticosamente risparmiate, la preoc cupazione di assicurare alla sua amica del cuore in Bologna un sufficiente mantenimento al momento della partenza per la corte dei Gonzaga a Mantova; ma, ahimè, non mancavano i profittatori ed i giustificati risentimenti del giovane artista.Si vociferava che suoi dipinti fossero entrati nel circu-ito del mercato dei collezionisti con la firma del Reni, il quale ambiva che il valente discepolo riproducesse su lastra le sue più famose invenzioni pittoriche, dato che il Pesarese era senza alcun dubbio considerato il più abile nell’esecuzione di incisioni all’acquaforte. Era ritenuto un impenitente cacciatore di conquiste amorose, non prive di rischi, come dimostrato dall’aneddoto della archibugiata sparatagli presumibilmente da un rivale tradito in Fano, ma nel contempo la frequentazione dei frati agostiniani di Pesaro e di Fano disposti a chiudere un occhio sulle sue scappatelle ci induce a pensare ad un Simone anelante a

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“Madonna contempla Gesù con un fiore’’ tela ad olio cm 127 x 97 Principato di Monaco, coll. Privata (ora Museo della Cappella della Visitazione).

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spingere lo sguardo verso la dimensione soprannaturale, come comprova la prediletta tematica religiosa delle soa-vi “Sacre Famiglie”, degli idilliaci “Riposi in Egitto” e dei suoi estatici Santi.Nel dna artistico del Pesarese si era memorizzato quell’a-lone di quiete atarassica che impronta la serie mirabile dei gruppi piramidali dedicati alla Sacre Famiglia ideati dal sommo Raffaello del periodo fiorentino a lui accomu-nato dallo stesso destino di una morte precoce. Ma il Pesarese umanizza quei celestiali personaggi, filtra-ti anche dal linguaggio più affocato di un altro celebre conterraneo, Federico Barocci, esaltando la poetica degli affetti famigliari.Abbiamo buoni motivi per ritenere che il vero volto del Pesarese non sia quello tramandatoci. Dallo sguardo che ci rivolge dall’Autoritratto traspare una conturbante nota di malinconia, che poi si trasferisce quasi sempre - ed è questa la sigla più caratterizzante e singolare della sua sintassi figurativa – nei silenti dialoghi fra la madre del Cristo ed il suo pargoletto; lo sguardo di Maria così penetrante ed indagatore da celare il presa-gio di un tragico destino di portata epocale che l’attende, così come evidenziano soprattutto i “Riposi in Egitto” del Louvre e di Brera.Sono scene avvolte da incipienti penombre crepusco-lari che dolcemente accarezzano le forme , avvalorando l’ap pellativo di “pittor cenericcio” affibbiato a Simone dall’Albani.Questa vena malinconica a volte struggente ci fa pensare ad un artista non già spavaldo ma inquieto, incompreso, carente di affetti appaganti, soprattutto vulnerabile di fronte alle diuturne trame di egoismi e slealtà. Siamo al cospetto di una poetica che si avvale di accordi cromatici smorzati privi di accenti squillanti, salve rare eccezioni, quasi una trama melodica in sordina, carezze-vole e riposante. Si intuisce il travaglio di una forte per-sonalità di artista, consapevole della propria potenzialità creativa, supportata da un esauriente bagaglio tecnico, soffocata da non previsti giochi di potere.

“Madonna con Gesùe l’uccellino’’

acquaforte

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PROFILO DELL’ARTISTA

Un forse troppo insistito scandaglio dell’humus cul-turale in cui potrebbe essersi innestata l’educazione gio-vanile di Simone, si è rivelato a volte distraente a coglie re la vera, autentica ed originale personalità dell’artista. Per esempio, non si comprende il suggerimento di un inter-esse del Pesarese verso Giovan Francesco Nagli detto il Centino, dalla città natale, di cui quasi nulla si conosce sia della vicende umane, pare allievo del Guercino, sia della produzione pittorica, ma è assodato che fu avulso dal fer-vore artistico bolognese, essendo sempre stato rele gato in un fazzoletto di terra riminese fra il 1635 (Simone era già inserito nell’atelier del Reni) ed il 1665. I suoi rari dipinti conosciuti, dei quali non vi è traccia a Pesaro, rivelano una vena arcaicizzante ed un linguaggio scabro, rigido che nulla hanno in comune con lo spiccato senso di modulazione formale riscontrabile nella pittura e grafica cantariniana (cfr. A. Colombi Ferretti, opera cita-ta, 1976).Giustamente ci si è chiesto quale apporto nella formazio-ne culturale giovanile del Pesarese abbiano potuto influi-re l’esperienza del viaggio a Venezia nonché le testimo-nianze artistiche della pittura veneta riscontrabili in Pesaro; ad esempio Simone non può non aver meditato nella chiesa di S. Agostino davanti all’“Annunciazione” dipinta da Palma il Giovane oltre mezzo secolo prima della sua “Beata Rita da Cascia” quando l’artista veneto si trovava al servizio del duca Guidubaldo II della Rov-ere. A parte l’indiscutibile fascino esercitato dalle tre tele pe-saresi del Barocci, di cui si è già parlato, Simone non può aver tralasciato di osservare il dipinto “Madonna in trono e Santi” del Savoldo nella chiesa pesarese di S. Domeni-co ove si trovava un dipinto di sua mano raffigu rante il santo patrono ed altri due lodati dipinti collocati nelle stanze interne del convento. Certamente la feconda attività del Ridolfi sia pur indiret tamente avrà influenzato l’esordiente pittore an-cora alla scoperta della sua vocazione.

“Madre allattante’’ disegno a sanguigna Milano, Pinacoteca di Brera

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Ma occorre chiedersi fino a che punto le suggestioni magiche del colore della scuola veneta abbiano lasciato una traccia profonda nella sensibilità di Simone. Ed in fondo un contagio sia pur a livello epidermico può aver prodotto in un temperamento così duttile e ricettivo anche la presenza in ambito pesarese di quel caravagge-sco “sui generis”che fu il conterraneo, Giovan Francesco Guerrieri da Fossombrone;1 il pensiero ricorre agli effetti luministici rilevabili, ad esempio, nelle due versioni de “Il sogno di San Giuseppe”.Nella produzione artistica così essenziale Simone mostra di prediligere personaggi singoli, isolati come la serie di figure di santi in atteggiamento di rapimento estatico come il S. Antonio già a Cagli e la S. Rita di Pesaro, oppu re di glorificazione, come il S. Giacomo di Rim-ini ed il S. Stefano di Bazzano o di pentimento, come nel caso della Maddalena di Pesaro o il S. Girolamo di Urbino, medita bondi davanti ad un teschio, richiamo alla “mors imminet atra”.Sono anime proiettate verso una dimensione trascenden-tale in un raggiunto superamento delle irrequietudini e delusioni esistenziali.Ma anche quando Simone affronta composizioni sacre non affastella la scena con troppi personaggi, riducibili al minimo indispensabile, privilegiando schemi essenziali e calibrando in modo esemplare protagonisti e comprimari dello scenario, frutto di scrupolosi studi grafici preparato-ri dell’insieme e dei dettagli.Se ne può prendere debito atto, ammirando i suoi capo-lavori, quali “Il miracolo di S. Pietro” di Fano le due ver-sioni della “Trasfigurazione” di Brea e della Pinacoteca Vaticana o la “Madonna di Monserrat” di Stufflone.In queste stupende pale d’altare emerge all’evidenza come il linguaggio cantariniano rifugge da effettismi d’impronta barocca, nutrendosi di linfa classicista che affonda nel tessuto naturalistico congeniale alla terra montefeltresca.Ma dobbiamo in chiusura ammettere che non è possibile tracciare un profilo univoco e lineare dell’artista perché

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in lui si alternano due distinte anime e di conseguenza due diversificati linguaggi estetici. L’aspetto più emer-gente è quello che si configura nell’or bita classicista di Guido Reni sia pur infuso di linfa natu ralistica e eviden-zia una sintassi austera, solenne e medi tata, sono visioni quasi sempre colte in ambiente alquan to tenebroso da cui emergono le forme in virtù di effetti luministici tar-docaravaggeschi, forse contagiati, come si è già fatto cenno, dal Guerrieri. È insomma il Pesarese sbocciato in gioventù all’ombra della reniana “Pala Olivieri” di Pesaro, opera che, senza voler enfatizzare l’e pisodio, si ritiene abbia avuto una incisiva risonanza per le scelte ideologiche dell’artista, forgiato poi a Fano e matu-rato nella irrequieta esperienza vissuta nell’ atelier del sommo Maestro bolognese. Ma ci affascina l’impronta più originale ed autentica del l’artista generato dal filone del Sanzio e più da vicino delle testimonianze pesaresi del Barocci, un linguaggio lirico, intimista che tende a coinvolgere affettivamente lo spettatore e caratterizzato da una luminosità chiara, dif fusa e quasi sempre pre-crepuscolare e da un segno sciol to, immediato, vibrante che prorompe nella produzione grafica ed incisoria.È soprattutto il Pesarese dei “Riposi in Egitto” e delle “Sacre Famiglie”.Forse a livello inconscio Simone presagiva che un des-tino avverso non gli avrebbe concesso una lunga esist-enza, perché pochi come lui ci hanno lasciato in un assai breve lasso di tempo di appena tre lustri una così vasta messe di disegni a matita, a penna, a sanguigna, a volte acquerella ti o completati con gessi, come documenta-to in raccolte pubbliche dalla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro alla Pinacoteca di Brera, dal Louvre agli Uffizi, dall’Album Horne alla Raccolta Reale di Wind-sor Castle, da Capodimonte al Gabinetto della Pinacote-ca di Bologna.Abbiamo notato che nell’autoritratto egli non appare con tavolozza e pennelli in mano ma con un taccuino ed una matita, simboli di un disegnatore insaziabile.

“Madonna con Gesù ’’ (studio) disegno a sangigna cm 17, 5 x 23,5 Collection Janos Scholtz, New York

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LA CONSACRAZIONE E L’EREDITA’

Il linguaggio estetico del Pesarese, pur non presen-tandosi sempre coerente ed univoco nel sia pur breve iter temporale, esprime costantemente un alto livello qualita tivo.Ciò giustifica qualche perplessità attributiva e la dif-ficoltà di ricostruire una sicura cronologia delle opere pittoriche in carenza di una rigorosa ed esaustiva docu-mentazione probatoria.Finalmente le grandi mostre del 1997 nella città na-tale ed in quella adottiva hanno reso giustizia a questo emerito figlio di Pesaro, consentendo di poter disporre di una visione panoramica a tutto campo sul “corpus” pittorico, grafico ed acquafortistico di Simone. Oggi il Pesarese è considerato il più importante protago-nista di quel cambiamento che gli storici rilevano nella cultura italiana di metà del secolo XVII. “Egli e non Guido Reni – ha detto giustamente l’Emiliani – rappresenta la cerniera che intercorre tra il “barocco” di ispirazione idealistica neoplatonica ed il “Secondo sei cento” che oltr’alpe prende il nome di “rococò”. Purtroppo le vicende esistenziali così avverse hanno im-pedito a Simone di lasciare in eredità in chiese impor-tanti della città felsinea opere capitali ed esemplari. Fanno eccezione le sole due chiese di S. Tommaso del Mercato e di S. Giorgio al Poggiale. Ciononostante l’influsso del linguaggio naturalistico ed intimista del Pesarese nel percorso artistico della sec-onda metà del Seicento e ben oltre è stato quanto mai notevo le, grazie anche alla fonte inesauribile della pro-duzione grafica.Innanzitutto va citato il suo affezionatissimo allievo diret to, Lorenzo Pasinelli (1629-1700), il quale non celò il suo sconforto filiale quando giunse a Bologna l’inattesa noti zia della scomparsa del Maestro, poi l’altro allievo, Flaminio Torri (1621-1661), poi di riflesso il discepolo del Pasinelli, Donato Creti (1671-1749).

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CONCLUSIONE

Ma la sintassi cantariniana lascia il segno anche in Giuseppe Maria Crespi, detto “Lo Spagnolo” (1660-1747) che sappiamo compì un viaggio proprio a Pesaro. “Da Pasinelli a Creti, da Franceschini a Cignani, al Gra-ziani, a Gaetano Gandolfi il grande sogno della Felsina sarà interamente, dichiaratamente cantariniano” 2. È un elogio non da poco e così autorevole espresso dal prof. Andrea Emiliani che – come più inadeguatamente ma certo con passione viscerale è stato per lo scrivente – ha intuito fin dagli anni dell’immediato dopo guerra il valore autentico di questo inquieto e fino a pochi anni fa ingiustamente negletto figlio geniale di Pesaro.

Note:

1) A. Emiliani: “G.F. Guerrieri da Fossombrone - 19912) A. Emiliani :“Disegni emiliani della Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro” .- 1995

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APPENDICE

BOCCIATI... GLI ACCADEMICI CLEMENTINI!

CONCLUSIONE

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APPENDICE

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Nel 1710 nasceva a Bologna una prestigiosa istitu-zione che resterà attiva per quasi un secolo fino al 1803: l’Accademia Clementina nel nome di papa Clemente XI. Scopo principale di tale Ente era quello di racco-gliere l’e redità della grande pittura bolognese del sei-cento. Va ricordato che il promotore di tale prestigiosa associa-zione artistico-culturale fu il pittore Giampietro Zanotti (1674-1765) che fu poi nominato segretario generale in stretta collaborazione con i vertici statutari, Carlo Ci-gnani “principe” di sedici anni più giovane di Simone e Marcantonio Franceschini, quale “vice-principe”, suo allievo prediletto.Lo Zanotti è stato anche lo storiografo dell’Accademia dalle origini fino al 17571 ma soprattutto è stato il bio-grafo del suo maestro Lorenzo Pasinelli (1629-1700) il quale a sua volta fu discepolo, insieme al Torri, del nostro Simone nella bottega aperta in Bologna dal 1643 fino al momen to della imprevista e precoce morte del Pesarese nel ‘48 ed al quale risulta essere affezionato più di un figlio. 2 È pertanto di tutta evidenza che lo Zanotti conoscesse ed apprezzasse molto l’opera cantariniana e quindi po-teva considerarsi il più autorevole esperto per dare un giudi zio attributivo su un dipinto ritenuto di sua mano. Perché tali considerazioni? Per introdurre al discor-so su un dipinto con soggetto “Susanna e i vecchioni” acquista to per conto dello Stato da Cesare Gnudi per la Pinacoteca Nazionale di Bologna nel 1968 al prezzo di quattro milioni e mezzo.3 L’insigne storico dell’arte e sovrintendente della Pinacoteca bolognese partiva sul sicuro.Innanzitutto il dipinto proveniva dall’ambito pesarese, appartenente da tempo fin dall’origine a collezionista privato di Fano, ma soprattutto per il fatto che il dipinto è corredato da una expertise rilasciata proprio dall’Ac-cademia Clementina a firma del pittore e decorato re bolognese Vittorio Bigari (1692-1776), in stretti rap-porti con lo Zanotti e profondo conoscitore dell’opera di Simone. Tre anni dopo l’acquisto, nel settembre 1971 Andrea

APPENDICE

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APPENDICE APPENDICE

Emiliani così scriveva: “Il dipinto presenta tratti stilistici e virtuosità esecutive tipici dell’attività breve ma incal-zante di Simone Cantarini, nel catalogo del quale anzi esso si colloca come opera di singolare prestigio, preci-sando posizioni culturali fino a ieri solo immaginate oggi invece confortate da prove evidenti.” Ed aggiunge più avanti che “la paternità del quadro era insospettabile per i periti dell’Accademia Clementina che nella seconda metà del settecento sottoscrivevano di esso una “experti-se” senza incertezze. Si trattava del resto di artisti (primo fra tutti il Bigari) che ben conoscevano l’opera del Can-tarini.4 Lo stesso Emiliani ha citato un disegno a san-guigna della collezione di Brera5 raffigurante Susanna ed un vecchio, quale prima idea di altro disegno conserva to nella Collezione Albertina di Vienna. Altro studio a san-guigna nella collezione di Rio de Janeiro. Che entrambi i due illustri studiosi abbiano preso un so-lenne abbaglio? Gnudi dichiarò che questa tela “riflet te un atteggiamento tipico ma anche raro, della figura sti-listica sempre così complessa del pittore pesarese”. Avrei dovuto ignorare tale dipinto splendido nella mia monografia del 1975? Mi aveva allora colpito “la gam-ma cromatica più accesa ed il vibrante tocco luministi-co che evidenzia mirabilmente il nudo muliebre che ci richiama no alla memoria il capolavoro quercinesco di identico soggetto conservato al Prado”. Ma ecco la doccia gelata! Nonostante gli autorevoli pare-ri di Gnudi che ha autorizzato la spesa e di Emiliani che l’ha avallata, nel 1976 con comprensibile stupore prendo atto che “la Susanna della Pinacoteca di Bologna, pur es-sendo un bel quadro, non regge la qualità della mano di Simone; la si dovrà dunque considerare una buona copia antica”(!?).6 Giudizio alquanto sbrigativo e disinvolto di un progetto palesemente preconcetto ma che comunque ha purtroppo concorso ad epurare dalle mostre cantari-niane del 1997 di Pesaro e di Bologna questa eccelsa, ori ginale pagina pittorica. Bizzarrie inconcepibili ma fre quenti nel cammino della storia dell’arte!

“Susanna ed i vecchioni’’ (studio) 169 mm x 194 mm Stokholm, Nationalmuseum

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“Susanna ed i vecchioni’’ Bologna, Pinacoteca Nazionale

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APPENDICE

Note:1) G. Zanotti: “Storia dell’Accademia Clementina in Bologna” - 17592) G. Zanotti: “Nuovo fregio di gloria a Felsina sempre pittrice nella pittura di Lorenzo Pasinelli” - 17733) C. Gnudi: “Acquisti della Pinacoteca Nazionale di Bologna” in Bollettino d ’Arte - 19684) A. Emiliani: “Catalogo della mostra delle nuove acquisizioni per i musei dello Stato, 1966-71” - Bologna 19715) “Catalogo della mostra dei disegni del seicento emiliano nella pinacoteca di Brera” - 19596) A. Colombi Ferretti: “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa” - 1976

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APPARATI

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SACRA FAMIGLIA CON SANTA MARTA Olio su tela cm 95 x 72 Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO Olio su tela cm 96 x 73 Roma, Galleria Borghese

SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO Replica con varianti cm 96 x 73 Milano, Pinacoteca di Brera

SACRA FAMIGLIA CON LIBRO E ROSA Olio su tela cm 75 x 62 Pesaro, collezione privata

SACRA FAMIGLIA Olio su tela cm 72 x 55 Madrid, Museo del Prado

SACRA FAMIGLIA CON S. ANNA E S. GIOVANNINO Olio su tela cm 41 X 51 Mosca, Museo Puskin

SACRA FAMIGLIA Olio su tela cm 208 x 132 Pedrengo (BG) Chiesa di S. Evasio

RIPOSO IN EGITTO Olio su tela cm 41 x 57 Parigi, Louvre

RIPOSO IN EGITTO Olio su tela cm 225 x 135 Milano, Pinacoteca di Brera

RIPOSO IN EGITTO lio su tela cm 46,5 x 59 Pesaro, Fonda-zione della Cassa di Risparmio

SACRA FAMIGLIA Olio su tela cm 64 x 52 Roma, Galleria Colonna

SACRA FAMIGLIA Olio su tela cm 59 x 51 Roma, Palazzo Venezia

MADONNAOlio su tela cm 127 x 95Reggio Emilia, collezione privata

OPERA PITTORICA: CATALOGO DEI DIPINTILA SACRA FAMIGLIA SACRA FAMIGLIA

cm 75 x 62Pesaro, collezione privata

MADONNA CON GESU’ Olio su tela cm 116,5 x 94 Pesaro, Fondazione della Cassa di Risparmio

FIGURE DI SANTIBEATA RITA DA CASCIA Olio su tela cm 200 x 176 Pesaro, chiesa di S. Agostino

SAN GIOVANNI EVANGELISTA Olio su tela cm 222 x 139 Bondeno, Pinacoteca Ciivica

SANTO STEFANO Olio su tela cm 265 x 185 Bazzano, (BO), chiesa di S. Stefano

S. GIROLAMOOlio su tela cm 100 x 70Bologna, collezione privata

S. GIROLAMOOlio su tela cm 125 x 95Milano, collezione privata

SAN GIROLAMO IN LETTURA Olio su tela cm 117 x 88 Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

SAN GIROLAMO CON TESCHIO Olio su tela cm 100 x 94 Bologna, collezione privataSAN GIACOMO IN GLORIA Olio su tela cm 215 x 143 Rimini, Musei comunali.

MADDALENA PENITENTE Olio su tela cm 178 x 211 Pesaro, Musei Civici,

SAN GIUSEPPE (?) Olio su tela cm 174 x 204 Pesaro, Musei Civici

SAN GIOVANNI EVANGELISTA Olio su tela cm 128 x 102 Bologna, collezione privata

SAN GIROLAMO NEL DESERTO Olio su tela, cm 85 x 60Pesaro, collezione privata

SAN GIROLAMO NEL DESERTO Olio su tela cm 71 x 58 Bologna, collezione privata.

SAN MATTEO E L’ANGELO Olio su tela cm 84 x 70 Roma, museo di Palazzo Venezia

SAN GIUSEPPE CON BAMBIN GESÙ Olio su tela cm 187 x 120 Cervia, Cattedrale

SAN GIOVANNI BATTISTAPREDICANTEOlio su tela cm 210 x 140Bologna, Pinacoteca Nazionale

APPARIZIONE DI GESÙ A S. ANTONIO DA PADOVA Olio su tela cm 333 x 225 Milano, Basilica di S. Lorenzo

S. ANTONIO DA PADOVA E S. FRANCESCO DI PAOLA Olio su tela cm 276 x 184 Bologna, Pinacoteca Nazionale,

S. GIUSEPPE E S. DOMENICO Olio su tela cm 276 x 184 Bologna, Pinacoteca Nazionale

IL SOGNO DI SAN GIUSEPPE Olio su tela cm 103 x 70 Roma, Cassa Depositi e Prestiti

SOGNO DI SAN GIUSEPPE Olio su tela cm 183 x 130 Camerino, Duomo

SANT’ANDREA APOSTOLO Olio su tela cm 102 x 69 Firenze, Palazzo Pitti

RINNEGAMENTO DI SAN PIETRO Olio su tela cm 101 x 80 Pesaro, collezione privata

COMPOSIZIONI SACRE E PROFANE

PALA DI SANTA BARBARA E S. TERENZIO Olio su tela cm 350 x 180 Aicurzio, chiesa di S. Andrea

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IMMACOLATA CONCEZIONE CON I SANTI GIOVANNI EVANGELISTA, EUFEMIA E NICOLA DA TOLENTINO Olio su tela, cm 244x 140 Bologna, Pinacoteca Nazionale

MADONNA DELLA CINTURA Olio su tela cm 209 x 177 Fano, Pinacoteca Civica

APPARIZIONE DELLA MADONNA CON GESÙ A S. TOMMASO DA VILLANOVA Olio su tela cm 240 x 155 Fano, Pinacoteca Civica

TRASFIGURAZIONE DI CRISTOOlio su tela cm 310 x 200 Roma, Pinacoteca Vaticana

TRASFIGURAZIONE DI CRISTOOlio su tela cm 310 x 200 Milano, Pinacoteca di Brera

VERGINE DI MONSERRATO E SANTI Olio su tela cm 245 x 164 Sufflone (MO), chiesa di S. Maria delle Grazie

MADONNA DEL ROSARIO Olio su tela cm 51 x 40 Brescia, Musei civici.

LOT E LE FIGLIE Olio su tela cm 109 x 149 Bologna, collezione privata

AGAR ED ISMAELE Olio su tela cm 59 x 77 Fano, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano

GIUSEPPE E LA MOGLIE DI PUTIFARRE Olio su tela cm 138 X 170 Dresda, Staatliche kunstsammlungen Gemaldegalerie

SAN PIETRO RISANA LO STORPIO Olio su tela cm 309 x 366 Fano, Chiesa di S. Pietro in Valle

COPIA DELLA PALA OLIVIERI DEL RENI Olio su tel a cm 87 x 50 Pesaro, Fondazione della Cassa di Risparmio

MADONNA DEL ROSARIO E SANTIOlio su tela cm 291 x 205 Arcevia, chiesa di S. Medardo

INCORONAZIONE DELLA VERGINE E SANTI Olio su tela cm 295 x 181 Gandino, Basilica di S. Maria Assunta

LA S. TRINITÀ CON CRISTO MORTO Olio su tela cm 190 x 126 Edimburgo, National Gallery

ALLEGORIA DELLA TRINITÀ’ E DELLA SACRA FAMIGLIA Olio su tela cm 121 x 103 Pesaro, Fondaz. Cassa di Risparmio

RESURREZIONE DI CRISTO Olio su tela cm 223 x 170 Boston, collezione Seibel

IL GIUDIZIO DI PARIDE Olio su tela cm 94 x 125 Parigi, collezione privata

MADONNA CON GESÙ E S. FILIPPO BENIZI Olio su tela cm 341 x 204 Bologna, Pinacoteca Nazionale

SIBILLA IN LETTURA Olio su tela cm 72 x 569 Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

ASSUERO DORMIENTE Olio su tela cm 128 x 88 collezione privata

IL CARRO DI APOLLO E LE ORE Olio su tela cm 188 x 277 Bologna, Pinacoteca Nazionale

ERMINIA TRA I PASTORI Olio su tela cm 167 X 134 Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

ADORAZIONE DEI RE MAGI Olio su tela cm 212 x 158 Bologna, UniCredit Banca (ex Rolo Banca)

ALLEGORIA DELLA MUSICA Olio su tela cm 114 x 92 Milano, collezione privata (ex Pasquinucci)

ALLEGORIA DELLA PITTURA Olio su tela cm 111 x 99 Varsavia, Norodowew Muzeum

ALLEGORIA DELLA PITTURA Olio su tela cm 78 x 52 San Marino, Fondazione San Marino della Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino

ALLEGORIA DELLA POESIA Olio su tela di cm 113 x 84 Milano, collezione privata (asta Porro & C.)

RITRATTIRITRATTO DEL CARDINALE ANTONIO BARBERINI jr. Olio su tela cm 59 x 47 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica

RITRATTO DEL CARDINALE ANTONIO BARBERINI jr. Olio su tela cm 64 x 80 Roma, collezione privata

AUTORITRATTO Olio su tela cm 102 x 79 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica

RITRATTO DI GUIDO RENI Olio su tela cm 37 di diametro Bologna, Pinacoteca Nazionale

RITRATTO DI GUIDO RENI Olio su tela cm 60 di diametro Pesaro, collezione Mancini

RITRATTO DI GENTILUOMO Olio su tela cm 68 x 58 Pesaro, collezione privata

RITRATTO DI ELEONORA ALBANI TOMASI Olio su tela cm 105 x 89 Pesaro, Banca Popolare dell’Adriatico

RITRATTO DI GENTILUOMO E NOBILDONNA CON ROSARIO Olio su tela cm 120 x 103 Bologna, collezione d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

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OPERA INCISA: CATALOGO DELLE ACQUEFORTI

1 Sacra Famiglia

2 Il piccolo S. Giovanni Battista

3 Giuseppe nella prigione interroga i sogni

4 La Vergine con Gesù Bambino ed un uccellino

5 Figura allegorica della Fortuna

6 Il ratto d’Europa

7 Riposo in Egitto con Giuseppe in lettura

8 S. Famiglia con S. Giovannino

9 Marte che spoglia Venere e Amore

10 S. Benedetto libera un indemoniato

11 S. Famiglia con S. Elisabetta e S. Giovannino

12 Venere ed Adone

13 La caduta di cristo sotto la croce

14 Frontespizio per “Le Grazie Rivali”

15 Riposo in Egitto con S. Giuseppe che indica la meta vicina

16 Riposo in Egitto con S. Giuseppe dormiente. (ottagonale)

17 S. Giovanni Battista nel deserto

18 Adamo ed Eva

19 Riposo in Egitto con S. Giuseppe che osserva la Vergine con Gesù

20 Il piccolo S. Antonio

21 Sacra Famiglia con S. Elisabetta e S. Giovannino

22 Riposo in Egitto con S. Giuseppe che dona un dattero a Gesù

23 Riposo in Egitto con un angelo ch e piega la fronda di una palma

24 Vergine in gloria con Gesù

25 S. Sebastiano

26 Apparizione di Gesù a S. Antonio da Padova

27 Allegoria del fiume Foglia di Pesaro con lo stemma roveresco della città

28 Incoronazione della Vergine

29 Angelo custode

30 Riposo in Egitto

31 Sacra Famiglia con Gesù che accarezza la Madonna

32 Sacra Famiglia con il Rosario

33 Famigli sotto un tendaggio

34 Sacra Famiglia con S. Giovannino che bacia la manina di Gesù

35 Giove, Nettuno e Plutone rendono omaggio allo stemma della Famiglia Barberini

36 Frontespizio di un libro per nozze

37 Mercurio ed Argo

È stata riportata la numerazione asse-gnata dal prof. Paolo Bellini nel catalogo “ L’opera incisa di Simone Cantarini” edita dal Comune di Milano nel 1980.

OPERA GRAFICA: RACCOLTE PUBBLICHE DEI DISEGNI

BESANCON Musee des Beaux Arts

BLOOMINGTONIndiana University Art Museum

BOLOGNAPinacoteca Nazionale – Gabinetto disegni e stampe

BRUNSWICK Bowdoin College Museum

BUDAPEST SzepMuveszet Muzeum

CAMBRIDGE (USA) Foggart Museum Harvard University

CHICAGO The Art Institute

DIGIONEMusèe des Beaux Arts

DUSSELDORF Staatlkiche Kunst Akademie

EDIMBURGONational Gallery of Scotland

FIRENZE Museo Horne Galleria degli Uffizi Gabinetto dei Disegni

HAARLEM Teylers Stchting San Pietroburgo Museo dell’Ermitage

LONDRA British Museum Courtauld Institute of Art Victoria ad Albert Museum

MILANOMuseo del Castello SforzescoPinacoteca di Brera

MODENA Galleria Estense

NAPOLIGalleria Nazionale diCapodimonte

NEW YORK Metropolitan Museum

PARIGI Musèe du Louvre

RIO DE JANEIRO Biblioteca Nazionale

ROMAGabinetto Nazionale delleStampe

STOCCOLMA National Museum

WINDSOR CASTLE Royal Library

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REGESTO

Simone viene battezzato il 21 agosto nella chiesa parroc-chiale di S. Cassiano in Pesaro

Festeggiamenti in Urbino per le nozze di Federico Ubaldo della Rovere con Claudia de’ Medici.

Prima prova d’arte: modella nel cortile della sua casa, una statua di neve. Presumibile incontro con il pittore G. G. Pandolfi.

Esecuzione della pala di “S. Barbara e di S. Terenzio’’ per la chiesa di S. Cassiano e della “Beata Rita da Cas-cia’’ per la chiesa di S. Agostino in Pesaro.

Arrivo a Pesaro della “Pala Olivieri’’ di G. Reni per il Duomo. Claudio Ridolfi è ospitato dalla famiglia Can-tarini in Pesaro. Enigma della “Madonna del Rosario’’ di Candelara (Pesaro).

Soggiorno a Fano ed attività nelle chiese di S. Pietro in Valle e di S. Lucia e nell’eremo di Brettino ove è assisti to dai frati agostiniani per la ferita da archibugio. Esegue la “Madonna della cintura’’.

Arrivo a Bologna ed ingresso nell’atelier di G. Reni.

Esecuzione della pala “Trasfigurazione’’ per la Fortezza Urbana di Castelfranco (Emilia). Rottura clamorosa del rapporto con il Reni. Esecuzione di “S. Stefano’’ di Bazzano (BO) scontro con i condisciepoli per il suo rifiuto a frequentare la scuola di nudo presso “l’ospedale della morte’’ di Bologna. Protezione da parte di Bernardino Locatelli ed Orazio Zamboni. Ospitalità da parte del letterato marchese

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Giovan Battista Manzini, autore di un volumetto “Le Grazie Rivali’’con frontespizio inciso da Simone che è costretto ritornare a Pesaro.

Simone sottoscrive a Pesaro un atto notarile con l’impe gno di una dote nuziale a favore della sorella Eleonora.

Breve soggiorno a Roma per studiare le opere di Raffaello.

Il 2 marzo la Compagnia del Rosario della Collegiata di S. Medardo in Arcevia delibera di affidare a Simone l’esecuzione della “Madonna del Rosario’’. Il 6 agosto muore a Bologna G. Reni

Nei primi mesi Simone fa ritorno a Bologna ed apre un proprio studio in Palazzo Zambeccari. Incisione di Simone per il libretto di nozze di Girolamo Giordani ed Ortensia Borghese, sorella del Card. Pier Maria Borghese.

Il primo Agosto la Compagnia della morte di Urbino affida a Simone l’esecuzione della pala d’altare con “La Resur-rezione di Cristo’’.

18 marzo Simone si trova a Pesaro per l’acquisto di un podere a Novilara. L’otto ottobre è terminata “L’incoronazione della Vergine’’ per la Basilica di S. Maria Assunta di Gandino (BG) commisionata dalla famiglia Giovanelli.

Simone viene convocato a Mantova per eseguire il ritratto del duca Carlo II Gonzaga di Nevers. Si ammala grave-mente e si trascina fino a Verona tormentato da grave dissenteria con sospetto di avvelenamento e viene accolto ed assistito nel monastero di S. Eufemia dei frati agostiniani tra cui il fratello Giovanni Antonio. Muore ed è ivi sepolto il 15 ottobre.

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1678 C. C. Malvasia 1703 G. Zanotti 1783 A. Becci

1789 L. Lanzi1806 G. Lazzarini O. Pollak1950 F. Arcangeli1952 Arcangeli, Gnudi, Ravaioli1959 A. Emiliani1959 A. Emiliani

1975 M. Mancigotti 1980 P . Bellini1982 A. Colombi Ferretti

1983 L. Marzocchi 1986 A. Mazza 1989 D. Benati1991 D. Benati1992 A. Colombi Ferretti1995 A. M. Ambrosini Massari

1996 M. Cellini1997 Testi a cura di: Aandrea Emiliani, A. M. Ambrosini Massari, M. Cellini, R. Morsellini 1997 T esti a cura di: A. Mazza, A. M. Ambrosini Massari, M. Cellini, R. Morsellini

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Felsina PittriceNuovo fregio di gloria a Felsina PittriceCatalogo delle pitture che si conservanonelle chiese di PesaroStoria pittorica d’ItaliaOpereAgemeiner Kunster Lexicon (ad vocem)

Simone Cantarini: due dipinti nella rivista “Paragone”Mostra della pittura del seicento a Rimini (catalogo)Maestri della pittura del seicento emiliano (catalogo)Mostra dei disegni del seicento emiliano alla pinacotecadi BreraSimone CantariniL’opera incisa di Simone CantariniSimone Cantarini: dalla marca baroccescaalla bassa padanaScritti originali del conte MalvasiaNell’età del Correggio e dei CarracciLa pittura italiana del Seicento (ad vocem)Disegni emiliani: Sei e SettecentoLa scuola di Guido Reni: Simone CantariniDisegni italiani alla Biblioteca Nazionaledi Rio de Janeiro

Disegni di Simone da Pesaro: l’Album HorneSimone Cantarini nelle Marche (catalogo della mostra)

Simone Cantarini detto “Il Pesarese”

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