Il papá della 128 coupé … e non solo - epocAuto · Modello in scala 1:5 per la BMW Serie 3...

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12 - N. 4 - 2019 di Giuliano Silli Il papá della 128 coupé … e non solo Dalla carrozzeria specializzata, alla grande industria, alla libera professione: i quarant'anni di carriera (1966-2006) di Paul Breuer. G li anni Sessanta del ‘900 so- no stati quelli che hanno visto definitivamente af- fermare l’oggettivo riconoscimen- to del primato della scuola italia- na nel design automobilistico. Es- sa ha rappresentato un forte ri- chiamo per coloro che hanno vo- luto esserne allievi, intendendo respirare il clima di una città, Tori- no, mediante la partecipazione di- retta a un processo creativo che, proprio in quegli anni, sembrava alimentato da un filone inesauri- bile. Una loro strettissima minoranza proveniva dall’estero, e tra questi c’era Paul Breuer. Belga della Val- lonia, aveva, come tutti i “predesti- nati” ad una particolare professio- ne, un pallino: quello dell’auto- mobile. Può sembrare un luogo comune, sebbene sia il sintomo più chiaro del ben noto virus che attacca sin dall’infanzia, ma il gio- vanissimo Paul disegnava auto- mobili ovunque: sui quaderni, sui giornali, sui muri … con buona pace di sua madre. In breve, dopo il liceo artistico decide di passare le vacanze estive pre-universitarie offrendosi come stagista presso uno dei “santuari” di allora: aveva inviato lettere di presentazione a Pininfarina, a Michelotti, alla OSI; quest’ultima Carrozzeria gli apre le porte nell’estate del 1966, te- nendolo con sé per un mese. Le Officine Stampaggi Industriali, una “creatura” di Luigi Segre con- cepita nel 1960 per allargare le potenzialità della Ghia, di cui Se- gre era proprietario, in quell’anno erano in gran spolvero: a Ginevra viene presentata la OSI Ford Tau- nus 20M TS, la vettura “fuoriserie” storicamente di maggior successo della Carrozzeria; a Parigi avrebbe debuttato la Scarabeo, una dream car su meccanica Alfa Romeo, e a Torino sarebbe stata presentata la Daf City, vettura minima che an- cor oggi avrebbe qualcosa da dire in termini di praticità e sicurezza. Tutti questi modelli erano opera dell’ingegner Sergio Sartorelli, uno dei pochi designer laureati del tempo, a capo dell’ufficio stile della OSI; Giacomo Bianco, anch’e- gli ingegnere, sovrintendeva l’in- tera struttura, ed altri personaggi, come ad esempio Sergio Catta- neo, che più tardi fonderà la Tesco, o il notissimo Giovanni Michelotti, come freelance, erano ricompresi nell’ambiente di via Agostino di Montefeltro. Il ventenne Paul Breuer si trova così immerso in questo habitat con gran profitto: a Sartorelli, suo interlocutore di- retto, piacevano molto le sue rap- presentazioni col disegno, ap- prezzandone la preparazione arti- stica, e alla fine della terza setti- mana – su quattro previste – l’in- gegner Bianco gli propone di ri- manere: assunzione a tutti gli ef- fetti. Ma quest’euforica stagione durò ben poco: appena due anni dopo, Sergio Sartorelli si reca al Lingotto, dall’ingegner Dante Gia- cosa, per proporgli di dare una sorta di evidenza formale all’ ufficio stile FIAT mediante l’assorbimento di tutto lo staff della OSI, prossima alla chiusura. Se per Sarto- relli l’ingresso nella Grande Strut- tura avrebbe significato pratica- mente un lunghissimo periodo di prepensionamento, per Paul Breuer sarebbe stata l’occasione Paul Breuer e il modellino, da lui realizzato, della 128 Coupé. Sul tavolo, la Megastar; anch'esso "autoprodotto". La Scarabeo, dream car concepita e realizzata da Sartorelli nel 1966 per il Salone di Parigi. Breuer produsse i disegni per la cartella- stampa di presentazione. Ipotesi per la 124 Coupé III Serie (motori Fiat 132).

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12 - N. 4 - 2019

di Giuliano Silli

Il papá della 128 coupé … e non solo

Dalla carrozzeria specializzata, alla grande industria, alla libera professione: i quarant'anni di carriera (1966-2006) di Paul Breuer.

Gli anni Sessanta del ‘900 so-no stati quelli che hanno visto de� nitivamente af-

fermare l’oggettivo riconoscimen-to del primato della scuola italia-na nel design automobilistico. Es-sa ha rappresentato un forte ri-chiamo per coloro che hanno vo-luto esserne allievi, intendendo respirare il clima di una città, Tori-no, mediante la partecipazione di-retta a un processo creativo che, proprio in quegli anni, sembrava alimentato da un � lone inesauri-bile. Una loro strettissima minoranza proveniva dall’estero, e tra questi c’era Paul Breuer. Belga della Val-lonia, aveva, come tutti i “predesti-nati” ad una particolare professio-ne, un pallino: quello dell’auto-mobile. Può sembrare un luogo comune, sebbene sia il sintomo più chiaro del ben noto virus che attacca sin dall’infanzia, ma il gio-vanissimo Paul disegnava auto-mobili ovunque: sui quaderni, sui giornali, sui muri … con buona pace di sua madre. In breve, dopo

il liceo artistico decide di passare le vacanze estive pre-universitarie o� rendosi come stagista presso uno dei “santuari” di allora: aveva inviato lettere di presentazione a Pininfarina, a Michelotti, alla OSI; quest’ultima Carrozzeria gli apre le porte nell’estate del 1966, te-nendolo con sé per un mese. Le O� cine Stampaggi Industriali, una “creatura” di Luigi Segre con-cepita nel 1960 per allargare le potenzialità della Ghia, di cui Se-gre era proprietario, in quell’anno erano in gran spolvero: a Ginevra viene presentata la OSI Ford Tau-nus 20M TS, la vettura “fuoriserie” storicamente di maggior successo della Carrozzeria; a Parigi avrebbe debuttato la Scarabeo, una dream car su meccanica Alfa Romeo, e a Torino sarebbe stata presentata la Daf City, vettura minima che an-cor oggi avrebbe qualcosa da dire in termini di praticità e sicurezza. Tutti questi modelli erano opera dell’ingegner Sergio Sartorelli, uno dei pochi designer laureati del tempo, a capo dell’u� cio stile

della OSI; Giacomo Bianco, anch’e-gli ingegnere, sovrintendeva l’in-tera struttura, ed altri personaggi, come ad esempio Sergio Catta-neo, che più tardi fonderà la Tesco, o il notissimo Giovanni Michelotti, come freelance, erano ricompresi nell’ambiente di via Agostino di Montefeltro. Il ventenne Paul Breuer si trova così immerso in questo habitat con gran pro� tto: a Sartorelli, suo interlocutore di-retto, piacevano molto le sue rap-presentazioni col disegno, ap-prezzandone la preparazione arti-stica, e alla � ne della terza setti-mana – su quattro previste – l’in-gegner Bianco gli propone di ri-manere: assunzione a tutti gli ef-fetti. Ma quest’euforica stagione durò ben poco: appena due anni dopo, Sergio Sartorelli si reca al Lingotto, dall’ingegner Dante Gia-cosa, per proporgli di dare una sorta di evidenza formale all’ u� cio stile FIAT mediante l’assorbimento di tutto lo sta� della OSI, prossima alla chiusura. Se per Sarto-

relli l’ingresso nella Grande Strut-tura avrebbe signi� cato pratica-mente un lunghissimo periodo di prepensionamento, per Paul Breuer sarebbe stata l’occasione

gegner Bianco gli propone di ri-manere: assunzione a tutti gli ef-fetti. Ma quest’euforica stagione durò ben poco: appena due anni dopo, Sergio Sartorelli si reca al Lingotto, dall’ingegner Dante Gia-cosa, per proporgli di dare una

Paul Breuer e il modellino, da lui realizzato, della 128 Coupé. Sul tavolo, la Megastar; anch'esso "autoprodotto".

La Scarabeo, dream car concepita e realizzata da Sartorelli nel 1966 per il Salone di Parigi. Breuer produsse i disegni per la cartella-stampa di presentazione.

Ipotesi per la 124 Coupé III Serie (motori Fiat 132).

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Prototipo 128 CoupéNotare il paraurti a scudo e la maschera "Versione S" abbinata ai doppi fari della "Versione SL". In produzione fu tolto il de� ettore al � nestrino e aggiunte le tre feritoie nere parallele alla linea del lunotto. Il pannello posteriore era l'unico riferimento alla concorrente tedesca, poi sostituito nella forma conosciuta. Lo scudo paraurti venne scartato.

per realizzare ciò cui ogni giovane stilista aspira: la messa in produ-zione di un modello tutto suo. Non senza qualche momento di suspense: l’essere uno straniero non permetteva l’immediata as-sunzione, che sarebbe giunta do-po ben due mesi di indagini sulle qualità morali dello Stilista belga. Resisi conto che si trattava di un “bravo ragazzo”, Paul Breuer entrò a far parte del neo costituito Cen-tro Stile FIAT, ancora guidato da Giampaolo Boano. Il caso volle che, in un u� cio a parte, lavorasse Pio Manzú che, sia per la vicinanza con casa Agnelli sia per l’e� ettiva e provata capacità progettuale, godeva internamente di una no-tevole autonomia: dopo pochi mesi di osservazione, Breuer vie-ne “prestato” a Manzú, e da questa congiunzione sarebbero nate, tra il 1969 e il 1971, le FIAT di maggior successo estetico di quegli anni.

Pur essendo stilizzata da Manzú, la 127 del ’69 ha “un pezzetto” di Breuer: il frontale, con la mascheri-na staccata dai fari, anch’essi rettangolari, che ben si adattano al cofano con apertura � n sopra la ruota (idea di Manzú). E poi, ispirati da bozzetti di Breuer eseguiti in prece-

denza, il frontale della 125 II Serie e quello della 124 Special T (en-trambe del 1970). E � nalmente la 128 Coupé. L’uscita, nel 1969, del-la Ford Capri fu, per la FIAT, una spina nel � anco; non tanto per la gamma motori (1300, 1500, 1700, 2000, 2300, 2600 cm3), quanto per il prezzo d’attacco del model-lo-base, ancor più appetibile se commisurato alla qualità tedesca (prodotte sia in Germania che in Gran Bretagna, le Capri per l’Italia erano quelle di Colonia). La 124 Coupé stava rapidamente invec-chiando, sebbene ancora ideale come auto per famiglie, ma con ben poca sportività. Nel 1969 si cominciò quindi a pensare ad un coupé 1300 sulla meccanica più recente: quella della 128. L’anti-Capri doveva avere un cofano lun-go, e così fu, sebbene il passo fos-se più corto di oltre 20 centimetri (e la carrozzeria di circa 4) rispetto alla berlina. Le immagini mostra-no la bontà del prototipo che, sal-vo alcuni dettagli, dopo quasi due anni andò in produzione senza nessuna modi� ca strutturale. Ciò che più somigliava alla concorren-te anglosassone, il posteriore con i fanalini rettangolari, nel modello di serie venne “verticalizzato” dan-do alla vettura una � sionomia in-confondibile, apprezzata ancor

Nella foto a colori, la 128 Coupé di serie.La parte posteriore ha una personalità riconoscibile ancora oggi.

Il restyling per la De Tomaso Pantera (disegno del 1973).

Per la Open Design di Aldo Sessano, Paul Breuer propose, tra l'altro, questa berlina su Alfa Romeo... e questa Jaguar, anticipando la berlina "S-Type" degli anni Novanta.

La proposta di Paul Breuer per la Ford Fiesta (1975, qui denominata "Manx).

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La concept Megastar del 1977 (base Ford Granada) proponeva un nuovo concetto di vivibilità interna/esterna dell'automezzo.

Tipico dell'epoca, l'interno o� riva una abitabilità superiore alla già elevata classe della vettura.

Il disegno della vetratura laterale fu ripreso in questa Megastar II, su base Ford Taunus, del 1978.

La Ghia Lucano del 1978 (base Ford Escort) sarebbe stata, seppur in versione chiusa, un'ottima concorrente della futura Mazda Miata.

Nel 1991 la OPAC costruì questa one-o� Spider Maserati (base Biturbo), valida alternativa alla vettura di serie.La linea a cuneo dello Spider è � glia del modello ipotizzato per la BMW Serie 3.

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presenta la quintessenza della vi-vibilità all’interno della vettura. “La macchina si vive da dentro, quindi dev’essere comoda e si de-ve vedere bene ciò che accade all’esterno”. Ecco spiegati i motivi stilistici sulle � ancate, con le su-per� ci vetrate che scendono � n sotto i sedili anteriori; il tutto inse-rito in linee piuttosto squadrate e sviluppantisi in larghezza: una vettura da salone, ma con idee in-novative e proponibili ancor oggi. Nel 1978 Aldo Sessano lo chiama in qualità di Capo u� cio car-styling della sua Open Design, studio di industrial design entro il quale si operava per lo più su commissione: molti i progetti per Mitsubishi, con diverse varianti di modello nate per speci� ci pianali (Lancer, Starion, etc.). In� ne, dalla seconda metà degli anni Ottanta e per un ventennio, la libera pro-fessione: non solo automobili, ma anche disegno industriale, gra� -ca, corsi per illustratori d’immagi-ni; il tutto permeato da logica e semplicità, i migliori ingredienti per poter apprendere le basi di un mestiere o di una professione. Nel tempo libero costruisce modellini in scala e modelli reali come “Ma Pomme”, la “Mia Mela”, un’auto-mobile tuttofare con meccanica Renault 4, la sua prima macchina, acquistata a Torino.

oggi. Dopo questo successo, Breuer fu “promosso” venendo trasferito all’U� cio Studi Futuri che, forse proprio a causa del no-me, non aveva nessun tipo di rela-zione, nemmeno � sica, con l’ap-parato produttivo vero e proprio. Le dimissioni di Breuer non si fece-ro attendere, con l’occasione crea-ta da un vuoto lasciato nell’orga-nigramma del Ford Design Studio con sede a Bruino (località appena fuori Torino). Lo Studio, dipenden-te nel 1972 da Ford Europa, era di-retto da Filippo Sapino, assieme al quale operava anche Ercole Spa-da, che aveva lasciato Zagato pro-prio ad inizio anni ’70. Dopo nem-meno un anno, lo sta� di Bruino passò nella vecchia sede della Ghia di via Montefeltro (di fronte alla OSI), poiché De Tomaso aveva venduto la Ghia alla Ford: ecco che la nuova Ghia Operations, di-pendendo direttamente da Dear-born – Michigan, sarebbe diven-tata “il più europeo” centro stile americano della Ford. Paul Breuer lo ricorda come un periodo felice: una realtà più aperta, molto più spazio per le idee, un ambiente molto più creativo. E’ qui che lo Stilista belga esprime liberamente il suo concetto di automobile: do-po diversi prototipi di vetture sportive, vede portare ai saloni la Megastar (base Granada - 1977), una berlina due volumi che rap-

Modello in scala 1:5 per la BMW Serie 3 (1990).

Sulla scia della Spider OPAC, nel 1993 Breuer disegna una Maserati Coupé, espressione della classicità del Marchio del Tridente.

Sempre negli anni '90, ecco una razionale interpretazione degli interni per un Taxi di medio-piccole dimensioni.

Questa "New Beetle" sportiva, prevista col V6 della Volkswagen Corrado, fu molto vicina ad essere prodotta (1994).

Pensata � n dal 1985, ma mai entrata in produzione, "Ma Pomme" ripropone il tema dell'auto "tuttofare", realizzabile al minimo costo.

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