Il Nuovo Quadro Regolatorio Delle Comunicazioni

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IL NUOVO QUADRO REGOLATORIO DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE Argiolas Bernardo Dir. 25-11-2009, n. 2009/136/CE Dir. 25-11-2009, n. 2009/140/CE Reg. (CE) 25-11-2009, n. 1211/2009 FONTE Giornale Dir. Amm., 2011, 2, 191 Comunicazioni elettroniche A fine 2009, nel processo di revisione periodica del quadro regolatorio del 2002, è stata introdotta una nuova disciplina comunitaria delle comunicazioni elettroniche . Tale pacchetto normativo, tra innovazione e compromesso, rafforza i meccanismi di coordinamento procedimentale e organizzativo di controllo sul settore, rimuove ulteriori ostacoli al perseguimento dell'obiettivo della convergenza e in direzione di una maggiore liberalizzazione. La visione d'insieme rivela un diritto delle comunicazioni elettroniche ancora in mezzo al guado, tra de-regulation e over regulation. Sommario: Premessa - Le prime due "generazioni" del diritto comunitario nelle comunicazioni elettroniche - Le finalità del "terzo pacchetto" comunitario delle comunicazioni elettroniche - L'organizzazione del controllo - L'armonizzazione procedimentale - Innovazione tecnologica e concorrenza nelle comunicazioni elettroniche Premessa Le comunicazioni elettroniche sono un'attività economica sottoposta a controllo da parte dei pubblici poteri. La quantità e la qualità delle regole di diritto amministrativo riguardanti il settore in questione si sono profondamente modificate nell'arco dell'ultimo secolo (1) . Come è noto, si è passati da un regime di riserva (monopolio) ad un'ampia liberalizzazione. Quest'ultima, in realtà, non ha reciso l'ancoraggio al vecchio regime di "servizio pubblico" delle comunicazioni elettroniche (prima scomposte in telecomunicazioni e radiotelevisione, pur se ancora non del tutto "convergenti"); il persistente diritto amministrativo, peraltro, assume sembianze diverse, che ricadono sotto la denominazione "regolazione" (2) . Quest'ultima, per quanto qui rileva, ha un'origine prevalentemente comunitaria, ma la concreta dimensione è largamente determinata a livello nazionale; necessita di continui aggiustamenti, in funzione di maggiore aderenza al contesto economico e tecnologico di riferimento, ma anche di correzione ai difetti del precedente quadro normativo; serve per liberalizzare, ma finisce per produrre nuove regole. In tale ambito, a fine novembre 2009, è stata introdotta una nuova disciplina comunitaria delle comunicazioni elettroniche . Essa si compone di due direttive (2009/136/Ce e 2009/140/Ce), un regolamento (Ce n. 1211/2009) e prevede l'adozione di una ulteriore raccomandazione da parte della Commissione. Tali provvedimenti, nel complesso, non mirano a costituire una nuova disciplina, inserendosi semmai in un processo di revisione periodica previsto dal precedente quadro regolatorio del 2002, al fine di assicurarne la persistente rispondenza a criteri già stabiliti dal legislatore comunitario. Le direttive - che modificano e integrano, dunque, quelle del 2002 (3) - dovranno essere trasposte negli ordinamenti interni entro il 25 maggio 2011; il regolamento è entrato in vigore il 7 gennaio 2010 (4) ; la raccomandazione citata è ancora in fase progettuale (5) . Solo alla fine di tale processo, dunque, potrà tracciarsi un definitivo bilancio dei problemi che ancora affliggono il settore, sospeso tra mancata armonizzazione, istanze di accentramento e decentramento nel controllo, incerto confine tra regolazione e concorrenza; ma caratterizzato dal più ampio livello di liberalizzazione e di tutela del cittadino-utente tra i servizi di interesse economico generale. L'obiettivo di questo scritto è quello di fornire un primo (e parziale) commento dei profili maggiormente qualificanti della nuova disciplina comunitaria, per segnalare le principali differenze rispetto al pacchetto delle direttive comunitarie del 2002 e, in definitiva, delineare le tendenze di fondo nel settore. L'esposizione si divide in cinque parti. Dopo avere fatto riferimento ai profili caratterizzanti le direttive del 2002, si descriveranno le finalità del "terzo pacchetto" (del 2009); quindi, si esporranno le modifiche che hanno riguardato i pubblici poteri che controllano il settore; si esamineranno, poi, le strategie del controllo; infine, si porranno in evidenza ulteriori significative innovazioni della regolazione in materia (spettro radio, separazione funzionale, reti tecnologicamente avanzate e servizio universale). Le prime due "generazioni" del diritto comunitario nelle comunicazioni elettroniche

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IL NUOVO QUADRO REGOLATORIO DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE

Argiolas Bernardo

Dir. 25-11-2009, n. 2009/136/CE

Dir. 25-11-2009, n. 2009/140/CE

Reg. (CE) 25-11-2009, n. 1211/2009

FONTEGiornale Dir. Amm., 2011, 2, 191

Comunicazioni elettroniche

A fine 2009, nel processo di revisione periodica del quadro regolatorio del 2002, è stata introdotta una nuova disciplina comunitaria delle comunicazioni elettroniche . Tale pacchetto normativo, tra innovazione e compromesso, rafforza i meccanismi di coordinamento procedimentale e organizzativo di controllo sul settore, rimuove ulteriori ostacoli al perseguimento dell'obiettivo della convergenza e in direzione di una maggiore liberalizzazione. La visione d'insieme rivela un diritto delle comunicazioni elettroniche ancora in mezzo al guado, tra de-regulation e over regulation.

 

Sommario: Premessa - Le prime due "generazioni" del diritto comunitario nelle comunicazioni elettroniche - Le finalità del "terzo pacchetto" comunitario delle comunicazioni elettroniche - L'organizzazione del controllo - L'armonizzazione procedimentale - Innovazione tecnologica e concorrenza nelle comunicazioni elettroniche

Premessa

Le comunicazioni elettroniche sono un'attività economica sottoposta a controllo da parte dei pubblici poteri. La quantità e la qualità delle regole di diritto amministrativo riguardanti il settore in questione si sono profondamente modificate nell'arco dell'ultimo secolo (1). Come è noto, si è passati da un regime di riserva (monopolio) ad un'ampia liberalizzazione. Quest'ultima, in realtà, non ha reciso l'ancoraggio al vecchio regime di "servizio pubblico" delle comunicazioni elettroniche (prima scomposte in telecomunicazioni e radiotelevisione, pur se ancora non del tutto "convergenti"); il persistente diritto amministrativo, peraltro, assume sembianze diverse, che ricadono sotto la denominazione "regolazione" (2). Quest'ultima, per quanto qui rileva, ha un'origine prevalentemente comunitaria, ma la concreta dimensione è largamente determinata a livello nazionale; necessita di continui aggiustamenti, in funzione di maggiore aderenza al contesto economico e tecnologico di riferimento, ma anche di correzione ai difetti del precedente quadro normativo; serve per liberalizzare, ma finisce per produrre nuove regole.

In tale ambito, a fine novembre 2009, è stata introdotta una nuova disciplina comunitaria delle comunicazioni elettroniche . Essa si compone di due direttive (2009/136/Ce e 2009/140/Ce), un regolamento (Ce n. 1211/2009) e prevede l'adozione di una ulteriore raccomandazione da parte della Commissione. Tali provvedimenti, nel complesso, non mirano a costituire una nuova disciplina, inserendosi semmai in un processo di revisione periodica previsto dal precedente quadro regolatorio del 2002, al fine di assicurarne la persistente rispondenza a criteri già stabiliti dal legislatore comunitario. Le direttive - che modificano e integrano, dunque, quelle del 2002 (3) - dovranno essere trasposte negli ordinamenti interni entro il 25 maggio 2011; il regolamento è entrato in vigore il 7 gennaio 2010 (4); la raccomandazione citata è ancora in fase progettuale (5). Solo alla fine di tale processo, dunque, potrà tracciarsi un definitivo bilancio dei problemi che ancora affliggono il settore, sospeso tra mancata armonizzazione, istanze di accentramento e decentramento nel controllo, incerto confine tra regolazione e concorrenza; ma caratterizzato dal più ampio livello di liberalizzazione e di tutela del cittadino-utente tra i servizi di interesse economico generale.

L'obiettivo di questo scritto è quello di fornire un primo (e parziale) commento dei profili maggiormente qualificanti della nuova disciplina comunitaria, per segnalare le principali differenze rispetto al pacchetto delle direttive comunitarie del 2002 e, in definitiva, delineare le tendenze di fondo nel settore. L'esposizione si divide in cinque parti. Dopo avere fatto riferimento ai profili caratterizzanti le direttive del 2002, si descriveranno le finalità del "terzo pacchetto" (del 2009); quindi, si esporranno le modifiche che hanno riguardato i pubblici poteri che controllano il settore; si esamineranno, poi, le strategie del controllo; infine, si porranno in evidenza ulteriori significative innovazioni della regolazione in materia (spettro radio, separazione funzionale, reti tecnologicamente avanzate e servizio universale).

 

Le prime due "generazioni" del diritto comunitario nelle comunicazioni elettroniche

Prima di approfondire le modifiche recenti, è opportuno fare un rapidissimo riferimento al contesto nel quale si inserisce la riforma comunitaria.

A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, il settore delle telecomunicazioni è stato interessato da un articolato processo di liberalizzazione, ispirato da direttive comunitarie (cd. di "prima generazione") di volta in volta trasposte in sede nazionale. Tale riforma è favorita dall'evoluzione delle tecnologie, che, consentendo la duplicazione delle reti (non più monopolio naturale) e l'offerta di nuovi servizi di telecomunicazione, apre la strada al progressivo allargamento dei mercati nel rispetto dell'interesse generale alla fornitura diffusa e abbordabile dei servizi basilari (il cd. servizio universale). Più in particolare, vengono aboliti i diritti speciali e esclusivi concernenti i servizi e le reti di telecomunicazioni (e dunque le leggi di riserva esistenti); si sostituisce il sistema di accesso ai mercati, basato su concessioni, con autorizzazioni non discrezionali; le funzioni di regolazione sono affidate ad un organismo indipendente dagli operatori di settore (autorità nazionale di regolazione-Anr), che vigila anche sulla fornitura dei servizi essenziali. Questi interventi hanno avuto un impatto formidabile sulla disciplina giuridica tradizionale (6), modificando i confini tra diritto pubblico e diritto privato (7).

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Negli anni più recenti, l'avvento della tecnologia digitale, attraverso la quale telefono, televisore e computer vengono supportati da un'unica piattaforma trasmissiva, rende possibile la revisione del quadro regolamentare del settore, culminato con il pacchetto delle direttive adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 7 marzo 2002, volte a definire una disciplina uniforme per tutte le reti e i servizi di " comunicazioni elettroniche " (da tale convergenza, però, resta esclusa la disciplina dei contenuti) (8). Tale complesso normativo - siamo alla "seconda generazione" di direttive comunitarie in materia (9) - ha aspirazione di stabilità, perdendo il carattere transitorio della precedente disciplina, prevalentemente attenta a liberalizzare più che a garantire il libero gioco concorrenziale (10).

Ma più che l'ispirazione complessiva di tale secondo pacchetto - nelle sue linee generali non troppo dissimile dal precedente processo normativo, che viene soprattutto razionalizzato dal punto di vista quantitativo - sono le strumentazioni che supportano il raggiungimento degli obiettivi prefissati (concorrenza, funzionamento del mercato interno, tutela dei consumatori; il tutto in maniera omogenea nel contesto comunitario) a presentare carattere innovativo. In tale direzione, va evidenziata l'introduzione di meccanismi di coordinamento procedimentale e organizzativo di controllo sul settore, e in particolare la procedura composta, alla quale prendono parte la Commissione Europea e le Anr, di analisi dei mercati (11). Con tale strumentazione, dal punto di vista regolamentare, si passa da un controllo ex post a meccanismi normativamente procedimentalizzati di controllo ex ante, ossia volti ad impedire o disincentivare determinate condotte prima che i privati le pongano in essere, ma solo in presenza di rischi concorrenziali concreti. Infine, il pacchetto del 2002 riconferma gli istituti dell'autorizzazione generale e del servizio universale.

La trasposizione di tali direttive a livello nazionale (in Italia con il d.lgs. 1 agosto 2003 , n. 259 , recante " Codice delle comunicazioni elettroniche ") e la concreta prassi regolamentare non hanno garantito integralmente i risultati sperati a livello comunitario. A tale proposito, è sufficiente citare la direttiva 2009/140/Ce stessa (di seguito anche direttiva n. 140), nella quale si evidenzia come "l'aspetto più importante da affrontare è la persistente mancanza di un mercato unico delle comunicazioni elettroniche ", in quanto "la frammentazione normativa e le discrepanze nelle attività delle varie autorità nazionali di regolamentazione mettono in pericolo non solo la competitività del settore, ma anche i significativi vantaggi che la concorrenza transnazionale può apportare ai consumatori" (considerando 2). Di qui, dunque, il tentativo di ridurre a maggiore unità normazione e azione amministrativa nelle comunicazioni elettroniche in Europa.

 

Le finalità del "terzo pacchetto" comunitario delle comunicazioni elettroniche

Con le prime due generazioni di direttive comunitarie, dunque, non appare conseguito un sufficiente livello di omogeneità del mercato europeo delle comunicazioni elettroniche . Di conseguenza, pur se le dinamiche concorrenziali, rispetto agli altri servizi pubblici a rete, risultano molto avanzate, l'incumbent - con intensità diverse nei vari paesi europei - continua a rimanere dominante nei principali mercati. Di qui la necessità di un nuovo intervento comunitario, in funzione del rafforzamento dei meccanismi di coordinamento procedimentale e organizzativo di controllo sul settore (12), oltre che di rimozione degli ulteriori ostacoli al perseguimento dell'obiettivo della convergenza e della maggiore liberalizzazione del settore (13).

Anche nel pacchetto del 2009, gli obiettivi generali rimangono gli stessi del precedente quadro normativo; tendenzialmente, anche le strumentazioni per perseguire tali finalità non cambiano rispetto al 2002 (rimane la regolamentazione ex ante, disposta su un procedimento composto Commissione-Anr), ma si tenta di ricomporle all'interno di un più omogeneo quadro amministrativo, spostando complessivamente l'equilibrio dei poteri dalla periferia al centro, rafforzando il ruolo del "direttore" nel "concerto" regolamentare europeo delle telecomunicazioni (14).

Tuttavia, tra le proposte iniziali della Commissione e i testi finali adottati vi sono significative discrasie (15), tant'è che alcune delle principali misure di riforma progettate o non hanno visto la luce (si pensi alla mancata creazione di una autorità europea per il mercato delle comunicazioni elettroniche ), o hanno fatto spazio a soluzioni compromissorie (in relazione, ad esempio, all'estensione dei poteri di veto della Commissione nelle procedure di analisi dei mercati) (16).

In tale dimensione, le principali innovazioni adottate si rinvengono nelle norme sulla organizzazione del controllo, sulla procedura di analisi dei mercati e su alcuni meccanismi volti all'ampliamento o alla garanzia della concorrenza nel settore. Vi sono poi numerose modifiche minori, volte a consolidare il mercato unico, ad accelerare i procedimenti di analisi di mercato, a rafforzare gli interessi dei consumatori e degli utilizzatori, a migliorare la sicurezza ed eliminare le disposizioni divenute obsolete.

 

L'organizzazione del controllo

Un fattore importante di disomogeneità del mercato europeo delle comunicazioni elettroniche va rinvenuto, secondo il diritto comunitario, nell'organizzazione del controllo. In tale ambito, infatti, la non completa "imparzialità di giudizio" e "incoerenza" nell'applicazione delle norme di settore è dovuta alle influenze della politica sulle Anr e all'eccessiva discrezionalità loro concessa nell'applicazione del quadro normativo (17).

Per tale motivo, la riforma comunitaria interviene sull'organizzazione amministrativa funzionalmente adibita ad attuare il quadro comunitario nel settore delle comunicazioni elettroniche , oltre che sull'attuazione stessa (di cui si parlerà nel paragrafo successivo). Tale intento viene perseguito in una duplice direzione: da un lato, vengono rafforzati i meccanismi di indipendenza delle autorità di regolazione nazionali; dall'altro, si procede a predeterminare l'azione delle Anr attraverso la creazione di apposite strutture di coordinamento collocate a livello comunitario.

Relativamente al primo aspetto, ai sensi dell'art. 3 bis della direttiva 2009/140/Ce, "le autorità nazionali di regolamentazione [...] operano in indipendenza e non sollecitano né accettano istruzioni da alcun altro organismo nell'esercizio dei compiti loro affidati ai sensi della normativa nazionale che recepisce quella comunitaria". Tale indipendenza non può essere derogata ad opera del legislatore domestico (se non in virtù del "del diritto costituzionale nazionale") e le decisioni delle Anr non possono essere sospese o confutate da soggetti politici (18).

È inoltre preclusa la revoca ad nutum dei vertici dell'autorità nazionale di regolazione: essa, infatti, è consentita soltanto nel caso in cui vengano meno le condizioni previste dalla legge per la nomina. La decisione di revoca deve essere comunque motivata e resa pubblica.

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Infine, gli Stati devono assicurare che le Anr dispongano, oltre che di un bilancio separato, di adeguate risorse finanziarie ed umane, anche per partecipare e contribuire attivamente all'Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (Berec), di cui si dirà a breve.

Il diritto comunitario, dunque, pone ora l'accento sul fatto che per gli organismi di regolazione nazionali, lungi dall'essere sufficiente la distinzione con le imprese regolate e una qualificazione in termini di (specifica) "competenza" rispetto all'apparato amministrativo generale (art. 3, c. 1, direttiva 2002/21/Ce), devono essere "indipendenti", e tale indipendenza passa attraverso apposite misure organizzative (tutela dei vertici e adeguate risorse finanziarie e umane) e funzionali (gli atti delle Anr possono essere "confutati" solo da un giudice e non da parte di un'altra pubblica amministrazione).

Relativamente al secondo aspetto, l'omogenea applicazione del diritto comunitario all'interno dei diversi Stati, oltre che dal punto di vista negativo, viene garantita con la creazione di una struttura di coordinamento nazionale-comunitaria. Infatti, il Regolamento (Ce) n. 1211/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 (di seguito regolamento) istituisce l'Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (Berec). Tale "organismo", destinato a sostituire l'Erg-European Regulatory Group (19), è chiamato a svolgere i propri compiti in modo indipendente, imparziale e trasparente.

Il Berec persegue gli stessi obiettivi assegnati alle autorità nazionali di regolamentazione e, in particolare, "contribuisce allo sviluppo e al miglior funzionamento del mercato interno delle reti e dei servizi di comunicazioni elettroniche , mirando ad assicurare un'applicazione coerente del quadro normativo dell'Unione europea per le comunicazioni elettroniche ", promuovendo principalmente "la cooperazione tra le Anr e tra queste ultime e la Commissione" (art. 1, c. 3 e 4, regolamento). Tale coordinamento, orizzontale (tra Anr) e verticale (tra Anr e Commissione), si sostanzia in poteri consultivi, pur se "le Anr e la Commissione tengono nel massimo conto i pareri, le raccomandazioni, gli orientamenti, la consulenza o la migliore prassi regolamentare adottati dal Berec" (art. 3, c. 3, regolamento). Le decisioni, in funzione di superare la limitata capacità decisionale dell'Erg (che decideva all'unanimità ed era scarsamente coinvolto nei processi di regolazione), sono assunte a maggioranza.

L'organo decisionale del Berec è il Comitato di regolatori (artt. 4 e 5, regolamento), supportato da un Ufficio dotato di personalità giuridica (art. 6), che dispone di un comitato di gestione (art. 7) e di un direttore amministrativo (artt. 8 e 9). L'organizzazione del Berec è prevalentemente controllata dalle Anr. Per il Presidente e il direttore amministrativo, però, è previsto un generale principio di indipendenza (da Stati membri, Anr, Commissione e terzi). Il funzionamento dell'Ufficio si basa su sovvenzioni comunitarie e contributi finanziari nazionali (degli Stati membri o delle loro Anr, art. 11).

I due profili di riforma ai quali si è fatto riferimento, dunque, si inseriscono nella tendenza all'integrazione organizzativa e funzionale tra Anr e Commissione europea. Le autorità nazionali di regolazione, infatti, poste maggiormente al riparo da pressioni politiche nazionali, dovrebbero essere portate ad applicare in maniera più consona allo spirito comunitario il diritto delle comunicazioni , evitando di venire catturate dalle sirene domestiche. Il rafforzamento di una struttura di composizione centralizzata, invece, mira a scongiurare la diffusa disomogeneità regolativa. In tal modo, si pongono le basi per "un contesto istituzionale volto ad omogeneizzare le preferenze degli agenti e ad allinearle progressivamente a quelle del principale" (20).

Nell'immediato, peraltro, tali riforme non appaiono particolarmente innovative. Per un verso, diversi Stati membri già da tempo hanno proceduto all'istituzione di autorità di regolazione indipendenti dagli organi di indirizzo politico. Il riferimento all'indipendenza contenuto nelle nuove norme, peraltro, segna un punto di non ritorno: i legislatori nazionali, rebus sic stantibus, non potranno ricondurre (o minacciare di farlo) all'interno del cono governativo le autorità di regolazione, pur se l'esperienza di questi anni insegna che vi sono tecniche più sottili di "deviazione" politica delle autorità indipendenti (si pensi, ad esempio, ai criteri di nomina dei vertici e all'elemento finanziario) (21). Allo stato attuale, dunque, in mancanza di un riconoscimento a livello costituzionale della possibilità di istituire organi che derogano al principio della responsabilità ministeriale, l'indipendenza delle Anr nelle comunicazioni elettroniche gode di una "copertura comunitaria", non priva di meccanismi di tutela (22), di per sé sufficiente a giustificare la loro legittimazione (23).

Per l'altro, la creazione del Berec è anche la storia della mancata introduzione di un'autorità europea per le comunicazioni elettroniche (European Electronic Communications Market Authority-Eecma), oltre che del tentativo non riuscito della Commissione di avere un ruolo più rilevante nell'organismo di coordinamento delle Anr (24). In ogni caso, l'area di intervento, i meccanismi di decisione e la stabilità organizzativa del Berec, pongono i presupposti per un ruolo certamente più incisivo del nuovo organismo rispetto al predecessore European Regulatory Group.

 

L'armonizzazione procedimentale

Altro importante ambito di intervento del nuovo pacchetto comunitario - in vista della composizione della frammentazione e della disorganicità del mercato interno delle comunicazioni elettroniche - è quello della procedura di analisi dei mercati. La soluzione individuata, in questo caso, consiste nel far ricoprire un ruolo più significativo alla Commissione in tali procedure, in modo da ridurre, appunto, le divergenze regolatorie presenti nei diversi ordinamenti nazionali (25).

Il tentativo di accentramento comunitario, in realtà, non risulta completamente riuscito, in quanto tra l'iniziale proposta della Commissione e la direttiva definitivamente approvata si è passati da un (ampliamento del) potere di veto ad un iter procedimentale dove l'ultima parola spetta comunque alle Anr.

Il nuovo art. 7 bis ("Procedura per la coerente applicazione delle misure correttive"), infatti, prevede un nuovo procedimento composto, che ha ad oggetto il contenuto delle singole misure regolatorie, in cui il potere decisorio è in capo alle Anr. Purtuttavia, le molteplici intersezioni negoziali, formali ed informali, e il regime di pubblicità al quale è sottoposto il procedimento, non escludono che la Commissione possa svolgere un'influenza decisiva nella predisposizione delle misure di regolazione. Infatti, pur mancando un'ipotesi di ritiro obbligato della misura nazionale, un prolungato "braccio di ferro" con le istituzioni comunitarie potrebbe presentarsi eccessivamente dispendioso, in termini "politici" e di accountability procedimentale, per la Anr coinvolta. Quest'ultima, proprio per tale ragione, può ritirare il progetto di misura in qualsiasi fase della procedura.

Ma veniamo alle norme. Il nuovo procedimento prevede un complicato intreccio tra fasi nazionali e fasi comunitarie (e, dunque, composte), che di seguito sinteticamente si descrivono. L'avvio coincide con la sottoposizione, da parte della Anr alla Commissione, di un "progetto di misura", che conclude il procedimento nazionale volto ad "imporre, modificare o revocare un obbligo imposto a un operatore" che detiene un significativo potere di mercato.

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Qui si innesta una fase di supervisione da parte della Commissione, che può concludersi con la sospensione del procedimento. L'amministrazione comunitaria, infatti, entro un mese, può non eccepire alcunché, per cui l'Anr adotta il progetto di misura (tenendo comunque nella massima considerazione le osservazioni formulate dalla Commissione, dal Berec o da altra autorità nazionale di regolamentazione); oppure, se la Commissione ritiene che il progetto di misura crei un ostacolo al mercato unico o dubita seriamente della sua compatibilità con il diritto comunitario, notifica all'Anr tali motivi ostativi e il procedimento subisce una sospensione di tre mesi.

In tale arco temporale è previsto un negoziato tra le diverse amministrazioni coinvolte, le quali, nell'individuazione della misura, possibilmente coerente con la "pratica regolamentare", dovrebbero tenere conto anche degli interessi privati acquisiti nell'istruttoria procedimentale nazionale.

La parte formalizzata del negoziato in questione prevede, sequenzialmente, un intervento consultivo del Berec e, successivamente, ulteriori pronunciamenti da parte dell'Anr e della Commissione.

In primo luogo, il Berec, entro sei settimane dall'inizio del periodo di tre mesi e deliberando a maggioranza dei membri che lo compongono, può, motivatamente, condividere o meno i dubbi della Commissione. Se il Berec trova fondati i dubbi della Commissione, può avanzare proposte specifiche di modifica, cooperando in ogni caso con l'autorità nazionale di regolamentazione interessata allo scopo di individuare la misura più idonea ed efficace.

In secondo luogo, l'Anr, entro i tre mesi di sospensione, può - accogliendo, in tutto o in parte, le obiezioni della Commissione (eventualmente condivise dal Berec) - modificare o ritirare l'iniziale progetto di misura, oppure ripresentare il testo iniziale.

A questo punto, entro un mese dalla fine del trimestre, la Commissione può sciogliere le iniziali riserve (presumibilmente in caso di modifica o ritiro del progetto sul quale si erano appuntati i suoi dubbi), o formulare una raccomandazione motivata (soprattutto se il Berec non ha aderito alle obiezioni della Commissione), in cui si invita nuovamente l'Anr a modificare o ritirare il progetto di misura. Si deve trattare esplicitamente di un dissenso costruttivo, in quanto la Commissione è tenuta a formulare proposte specifiche. L'ultima parola, come detto, spetta all'Anr, ma presumibilmente l'adozione della raccomandazione da parte della Commissione limiterà notevolmente possibili conclusioni unilaterali del procedimento da parte dell'Anr (si pensi, ad esempio, come la raccomandazione della Commissione sui mercati regolabili, pur trattandosi di atto di soft law, sia stata concretamente interpretata dalle Anr come vincolate) (26).

Infine, l'Autorità nazionale di regolazione adotta la decisione finale. Essa deve essere comunicata alla Commissione e al Berec entro un mese dall'ultimo intervento della Commissione (raccomandazione o ritiro delle riserve), con eventuale proroga se è necessario espletare una nuova consultazione pubblica a seguito della modificazione della proposta iniziale. La decisione dell'Anr di non modificare o ritirare il progetto di misura sulla base della raccomandazione è soggetta ad obbligo motivazionale.

In sintesi, la regolazione "composta" si estende dalla definizione dei mercati all'imposizione degli obblighi (si pensi, ad esempio, alle tariffe di accesso alle reti degli operatori dominanti, i cui livelli presentano marcate differenze nei paesi europei); la responsabilità della decisione finale rimane in capo all'Anr, ma non è priva di controlli nella sua fase formativa (anche privati, attraverso la consultazione pubblica); inoltre, il (duplice) potere della Commissione di invitare l'autorità nazionale ad emanare una nuova deliberazione, unitamente all'esercizio della sua moral suasion nel corso del lungo negoziato (nel quale è coinvolto anche il Berec), apre la strada ad una regolazione monitorata (27), suscettibile di garantire maggiore omogeneità a livello comunitario (28). Tale meccanismo di controllo procedurale, sotto altro profilo, rischia di creare frequenti tensioni tra Commissione e Anr, oltre che tendere potenzialmente verso un'ulteriore "ossificazione" dell'attività decisionale nel settore (29).

Più in generale, le innovazioni relative agli obblighi sugli operatori con notevole potere di mercato descritte confermano il principale paradosso della liberalizzazione dei servizi pubblici, in quanto al fine di far spazio al libero mercato aumentano norme e regole (30). La regolazione, dunque, difficilmente verrà integralmente sostituita a breve dal diritto dei privati (soprattutto perché gli operatori dominanti non cessano di esser tali), ma tende a migliore in qualità (la regolazione descritta è preparata da procedure negoziate, pubbliche e imparziali).

 

Innovazione tecnologica e concorrenza nelle comunicazioni elettroniche

L'obiettivo di un mercato europeo delle comunicazioni passa anche per la realizzazione di una più effettiva convergenza nel settore e per un rinnovato sviluppo della concorrenza tra i servizi, favorendo la realizzazione (e la fruizione) di reti tecnologicamente avanzate. Anche su questi aspetti è intervenuto il terzo pacchetto comunitario, affermando il principio di neutralità tecnologica in riferimento alla gestione dello spettro, introducendo il remedy della separazione funzionale della rete, avviando la riflessione sulla promozione degli investimenti per la costruzione di reti di nuova generazione e sulla realizzazione di un'effettiva società dell'informazione.

 

La gestione dello spettro

In primo luogo, l'intervento comunitario in materia di gestione dello spettro, affermando il principio di neutralità (tecnologica e dei servizi), è volto a liberare nuove risorse alla concorrenza. Infatti, la normativa previgente, pur prevedendo il principio secondo il quale tutti i servizi di comunicazione elettronica e le reti possono operare con un'autorizzazione generale, permetteva l'utilizzo di licenze individuali in relazione all'attribuzione di frequenze radio, prevalentemente per ragioni di natura tecnica (evitare possibili interferenze dannose). In conseguenza di ciò, gli assetti nazionali sono risultati caratterizzati da condizioni di accesso e uso delle frequenze diverse in ragione del tipo di operatore.

Allo stato attuale, i limiti tecnici del passato risultano minimizzati dall'evoluzione tecnologica, per cui il diritto comunitario mira a rendere più agevole l'accesso alle risorse dello spettro radio, indipendentemente dal servizio offerto. In tale ambito, la questione di maggiore attualità resta la possibile condivisione, da parte di diversi servizi, delle frequenze usate sinora dalla televisione. Il progressivo

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passaggio dall'analogico al digitale terrestre in ambito radiotelevisivo, infatti, moltiplica le potenzialità di trasmissione delle radiofrequenze, liberando importanti spazi di mercato (cd. dividendo digitale) (31).

Illustrate le finalità di fondo della riforma dello spettro, va fatto riferimento agli strumenti concretamente predisposti dalla direttiva n. 140 in tale ambito, soffermandosi in particolare sul tendenziale passaggio dal regime di licenza a quello di autorizzazione (32). L'attribuzione delle risorse rimane appannaggio degli Stati membri, che però assicurano che nelle bande di frequenze dichiarate disponibili possono essere utilizzati tutti i tipi di tecnologie e forniti tutti i tipi di servizi di comunicazione elettronica (art. 9, c. 3 e 4). Le procedure in questione, inoltre, si fondano su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati (art. 9, c. 1, ultimo periodo). Non viene meno, in ogni caso, la discrezionalità nel rilascio del titolo e in funzione di deroga alla neutralità dei servizi: ciò in presenza di "un obiettivo di interesse generale definito dagli Stati membri conformemente al diritto comunitario", quale, tra gli altri, "la promozione della diversità culturale e linguistica e del pluralismo dei media, ad esempio mediante prestazione di servizi di radiodiffusione o telediffusione". La normativa comunitaria, poi, nel tentativo (già avviato con il pacchetto del 2002) di garantire un'utilizzazione più efficace dello spettro, da un lato, amplia la possibilità del spectrum trading; dall'altro, assegna agli Stati membri poteri per evitare l'accumulo di frequenze, in funzione di sfruttamento efficace dei diritti d'uso (33).

Il nuovo regime è dunque caratterizzato dalla progressiva affermazione del principio di neutralità dei servizi e dalla libertà di scambi tra privati, con l'obiettivo di fondo di ricondurre l'uso delle frequenze radio alla procedura di autorizzazione generale.

Tuttavia, la previsione della concessione di diritti individuali d'uso in presenza di presupposti definiti in modo particolarmente ampio e di difficile determinazione - su tutti, "un utilizzo efficiente dello spettro", o "altri obiettivi di interesse generale definiti dagli Stati membri" pur se conformemente alla normativa comunitaria - rischia di invertire il rapporto tra principio generale (neutralità e regime di autorizzazione) ed eccezione (propensione per una tipologia di operatore nell'attribuzione dello spettro e regime concessorio). Di conseguenza, anche il processo di convergenza tecnologica, in funzione di parificazione dei regimi giuridici applicabili alla radiodiffusione televisiva e alla telefonia, passa inevitabilmente per decisioni degli Stati membri.

 

La separazione funzionale

In secondo luogo, la direttiva n. 140, nel modificare la direttiva 2002/19/Ce (direttiva accesso), prevede l'obbligo della separazione funzionale della rete di accesso dell'incumbent. Quest'ultimo, infatti, è un operatore verticalmente integrato, in quanto presente sul mercato all'ingrosso (come gestore della rete) e su quello al dettaglio (come fornitore del servizio). Di conseguenza, con tale misura - con la quale si conferiscono ad una unità commerciale (che opera in modo) indipendente tutte le attività connesse alla gestione della rete di accesso - si riproducono normali rapporti di mercato tra gli operatori concorrenti e l'impresa ex monopolista. La regolazione in questione, dunque, a differenza delle precedenti misure sullo spettro, volte prevalentemente all'apertura del mercato, tende a garantire (anche) la pluralità di operatori già nel mercato.

La disciplina introdotta nel 2009 contempla un'ipotesi di separazione obbligatoria e una volontaria. La separazione imposta è frutto di una scelta discrezionale dell'Anr, ma solo "a titolo di misura eccezionale" e dopo aver constatato il fallimento della precedente regolazione nel perseguimento dell'obiettivo concorrenziale. L'applicazione di tale obbligo si svolge sotto il controllo della Commissione, chiamata ad autorizzare la misura sulla base delle concrete condizioni di mercato (art. 13 bis).

Qualora la separazione sia frutto della libera decisione dell'operatore, l'autorità nazionale è tenuta a valutarne le conseguenze sui mercati, anche in vista dell'imposizione, del mantenimento, della modifica o della revoca di obblighi già imposti (art. 13 ter).

Potenzialmente, l'innovazione della separazione funzionale è suscettibile di attenuare la pressione regolatoria nei mercati dei servizi finali basati sullo sfruttamento delle infrastrutture in questione. L'introduzione di tale remedy, peraltro, non appare particolarmente rivoluzionaria, in quanto, da un lato, obblighi in linea con tale misura sono già stati adottati a livello nazionale, anche in forma negoziata, in vista di contenimento del potere di mercato degli ex monopolisti (34); dall'altro, la misura, diversamente dal progetto originario della Commissione, costituisce un rimedio "eccezionale", rimesso in definitiva all'ampia discrezionalità dell'Anr.

 

Le reti di nuova generazione

In terzo luogo, la realizzazione di un mercato unico delle comunicazioni elettroniche passa inevitabilmente per la realizzazione di reti tecnologicamente avanzate (cd. Next Generation Networks). In questo caso, la regolazione annette rilievo diretto allo sviluppo tecnologico, in direzione di favorire e rendere effettiva, in prospettiva, la libera concorrenza e realizzare la società dell'informazione (35). Nel breve e nel medio periodo, però, è la regolazione a fare da padrona, sia in relazione alla realizzazione della rete, che in riferimento alla successiva gestione della stessa.

In tale dimensione, in attesa del varo dell'apposita raccomandazione sul tema, il nuovo pacchetto comunitario prevede che le Anr si attivino per la promozione di "investimenti efficienti e innovazione in infrastrutture nuove e migliorate, anche garantendo che qualsiasi obbligo di accesso tenga debito conto del rischio sostenuto dalle imprese di investimento e consentendo vari accordi di cooperazione tra gli investitori e le parti che richiedono accesso onde diversificare il rischio di investimento, assicurando nel contempo la salvaguardia della concorrenza nel mercato e del principio di non discriminazione" (art. 8, par. 5, lett. d).

Inoltre, anche le modifiche alla direttiva accesso (art. 13, par. 1) confermano le possibili deroghe al normale regime dell'accesso, "per incoraggiare gli investimenti effettuati dall'operatore anche nelle reti di prossima generazione". Di conseguenza, "le autorità nazionali di regolamentazione tengono conto degli investimenti effettuati dall'operatore e gli consentono un ragionevole margine di profitto sul capitale investito, di volume congruo, in considerazione di eventuali rischi specifici di un nuovo progetto particolare di investimento nella rete" (36). Il tema dell'accesso alla rete appare dunque in mutazione, in quanto l'oggetto non è la rete tout court dell'operatore storico, ma quella di nuova generazione.

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In definitiva, da tale disciplina non si rinviene un'univoca soluzione a livello comunitario sulle reti Ngn, e spetterà alle Anr tentare di avviare (o assecondare) tale delicato processo, caratterizzato - è la principale conseguenza desumibile dalle norme comunitarie finora adottate - dalla dicotomia reti aperte (c.d. network openess) versus promozione degli investimenti.

 

Verso la società dell'informazione?

Un ultimo breve riferimento va fatto ad alcune innovazioni connesse allo sviluppo della "società dell'informazione".

Per un verso, la recente riforma comunitaria pare muovere verso la creazione di un diritto (negativo) di accesso ad Internet (37). L'art. 1, comma 1, lett. b), primo periodo, della direttiva n. 140, prevede che "I provvedimenti adottati dagli Stati membri riguardanti l'accesso o l'uso di servizi e applicazioni attraverso reti di comunicazione elettronica, da parte degli utenti finali, devono rispettare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dai principi generali del diritto comunitario". La norma, a ben vedere, non introduce niente di nuovo, in quanto gli Stati sono già tenuti a rispettare i diritti fondamentali dalla Cedu e dal diritto comunitario. Di conseguenza, affinché tale disposizione abbia una concreta valenza, è necessario che gli atti adottati dalle autorità nazionali in materia di comunicazione elettronica (introducenti, ad esempio, limitazioni all'accesso ad internet) incidano su interessi privati rientranti nella sfera di azione dei diritti fondamentali (si pensi, ad esempio, alla libertà di manifestazione del pensiero, che contempla il diritto tanto ad informare che ad essere informati).

Diversa valutazione va fatta, invece, dei meccanismi procedurali contemplati dalla norma in questione. Il penultimo periodo dell'art. 1, comma 1, lett. b), pare introdurre elementi innovativi nella misura in cui prevede per tutti i procedimenti in materia di comunicazioni elettroniche , a prescindere dal fatto che questi incidano su diritti fondamentali, l'obbligo di istituire "una procedura preliminare equa ed imparziale, compresi il diritto della persona o delle persone interessate di essere ascoltate". La novità più rilevante di tale norma, dunque, risiede non tanto nell'obbligo di rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali anche nelle comunicazioni elettroniche , ma nella previsione volta a stabilire che qualunque restrizione all'accesso e all'uso dei servizi in tale ambito deve essere preceduta da una procedura a garanzia dell'utente.

Sotto altro, ma parzialmente connesso, profilo, bisogna fare un cenno al servizio universale, ossia alla regolazione finalizzata alla generalizzata fruizione delle prestazioni "essenziali" nelle comunicazioni elettroniche (ai pubblici poteri, in questo caso, si chiede un fare). Da tempo, il dibattito si divide tra chi propende per il superamento della disciplina in questione (tali servizi, si osserva, potrebbero essere garantiti dalle regole di mercato e una disciplina derogatoria, soprattutto di compensazione degli oneri finanziari, serve solo all'operatore dominante per ritardare la concorrenza) (38), e chi vorrebbe invece rilanciarla in vista della realizzazione di una effettiva società dell'informazione (garantendo con obblighi di universalità, principalmente, una connessione internet a banda larga).

La nuova disciplina comunitaria in materia (contenuta nell'apposita direttiva 2009/136/Ce) adotta una soluzione di compromesso, rinunciando ad operare un'armonizzazione tra le diverse normative nazionali. In generale, le modifiche introdotte sono funzionali all'ammodernamento della disciplina in materia. Da segnalare, tuttavia, il nuovo ambito di servizio universale, che ricomprende financo la connessione fissa, ad una rete di comunicazione pubblica, in grado di supportare le comunicazioni vocali, facsimile e dati a velocità di trasmissione "tali da consentire un accesso efficace a Internet, tenendo conto delle tecnologie prevalenti usate dalla maggioranza degli abbonati e della fattibilità tecnologica" (art. 4, comma 2, direttiva n. 136).

La valutazione sull'"efficacia" della connessione internet, ovviamente, è rinviata al livello nazionale (così come il connesso giudizio sulla "prevalenza" e "fattibilità"), concretantesi attualmente solo in limitatissimi casi nella connessione "veloce" (solo la Finlandia, dal luglio 2010, ha ricompreso la banda larga all'interno del servizio universale e nella medesima direzione si muovono Spagna e Regno Unito). Tale ampliamento dell'ambito del servizio universale rivela, dunque, molto poco sulle prospettive dell'istituto e, quindi, sul concreto sviluppo di una società europea dell'informazione.

Inoltre, rispetto alla proposta del 2006 della Commissione, scompare nella direttiva 2009/136/Ce la previsione sulla portabilità dei numeri tra rete fissa e mobile, che avrebbe, in qualche modo, canonizzato il principio della sostituibilità tra fisso e mobile, la cui (mancata) dimostrazione ha tanto impegnato il contenzioso sul servizio universale nell'ordinamento italiano (39).

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(1) Sulle tendenze di "sistema" degli ultimi venticinque anni, L. Torchia, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 2009, in particolare p. 91 ss. sulle tendenze del diritto amministrativo nell'economia. Più generale, sulle vicende e prospettive del diritto amministrativo, anche in relazione alla componente europea e globale, non può non rinviarsi a S. Cassese, Il diritto amministrativo: storia e prospettive, Milano, 2010.

(2) Sulle caratteristiche della regolazione, S. Cassese, Regolazione e concorrenza, in G. Tesauro e M. D'Alberti (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, 2000, 11 ss.

(3) La direttiva 2009/140/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, approvata il 25 novembre 2009, apporta modifiche e integrazioni alle direttive 2002/21/Ce, 2002/19/Ce e 2002/20/Ce. La direttiva 2009/136/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 reca, invece, modifiche della direttiva 2002/22/Ce, della direttiva 2002/58/Ce e del regolamento (Ce) n. 2006/2004.

(4) Regolamento (Ce) n. 1211/2009 del Parlamento Europeo e del consiglio del 25 novembre 2009 che istituisce l'Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (Berec) e l'Ufficio.

(5) La raccomandazione ha ad oggetto l'accesso alle reti di nuova generazione cd. Ngn (Next Generation Networks).

(6) In Italia, ad esempio, una volta raggiunta la completa liberalizzazione, le attività di telecomunicazioni non costituiscono più un servizio pubblico essenziale che può essere riservato ai pubblici poteri (ai sensi dell'art. 43 cost.), ma sono svolte in regime di libertà di impresa basato sull'art. 41 cost. ed, eventualmente, sottoposte ai controlli (previsti dal c. 3 dello stesso articolo) necessari per assicurare il perseguimento dei fini sociali. Sulla trasformazioni intervenute nei servizi pubblici e, più in particolare, nelle comunicazioni elettroniche , la letteratura è oramai abbondante. Ci si limita a segnalare: S. Cassese, La trasformazione dei servizi pubblici in Italia,

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in Econ. pubbl., 1996, 5, e Dalla vecchia alla nuova disciplina dei servizi pubblici, in Rass. giur. en. elettr., 1998, 233; S. Cassese e A. Valli, Il nuovo diritto delle telecomunicazioni, in questa Rivista, 1997, 1113; M. Clarich, Servizio pubblico e servizio universale: evoluzione normativa e profili ricostruttivi, in Dir. pubbl., 1998, 181; D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999, 371; G. Berti, I pubblici servizi tra funzione e privatizzazione, in Jus, 1999, 867; R. Villata, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 1999; G. Corso, I servizi pubblici nel diritto comunitario, in Riv. giur. quadr. pubbl. serv., n. 1/1999, p. 7; F. Bonelli e S. Cassese (a cura di), La disciplina giuridica delle telecomunicazioni, Milano, 1999; N. Rangone, I servizi pubblici, Bologna, 1999; F. Salvia, Il servizio pubblico: una particolare conformazione dell'impresa, in Dir. pubbl., 2000, 535; M. Ramajoli, La tutela degli utenti nei servizi pubblici a carattere imprenditoriale, in Dir. amm., 2000, 383; G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova, 2001; R. Perez, Telecomunicazioni e concorrenza, Milano, 2002 e (a cura di), Il nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche , Milano, 2002; G. Napolitano, Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, 2005; M. Clarich e G.F. Cartei (a cura di) Il codice delle

comunicazioni elettroniche , Milano, 2004; R. Perez, Comunicazioni elettroniche , in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, II ed., Milano, 2007, Parte speciale, tomo II, 783 ss.; G. Della Cananea, Servizi pubblici, in S. Patti, (diretta da) Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, vol. III, Milano, 2007.

(7) Sulla complessa composizione tra diritto pubblico e diritto privato nel diritto amministrativo, si rinvia a B.G. Mattarella, L'attività, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, parte generale, tomo I, Milano, 699 ss.

(8) Come è noto, l'assoggettamento ad una disciplina unitaria ("tecnologicamente neutrale") dell'aspetto tecnico dell'attività radiotelevisiva non ha riguardato l'aspetto editoriale, poiché i contenuti televisivi sono stati disciplinati da altre direttive (la direttiva n. 552/89/Cee, modificata dalla direttiva n. 97/36/Ce). Peraltro, anche nell'ambito della disciplina comunitaria relativa ai mezzi si riscontrano importanti deroghe e modifiche per la radiotelevisione (come, ad esempio, nel caso della assegnazione delle frequenze, a cui si farà riferimento in seguito).

(9) Si tratta, in dettaglio, delle direttive n. 2002/19/Ce (cd. direttiva autorizzazioni), n. 2002/20/Ce (cd. direttiva accesso), n. 2002/21/Ce (cd. direttiva quadro) e n. 2002/22/Ce (cd. direttiva servizio universale). Completano, inoltre, il quadro normativo complessivo in materia altre due direttive (la direttiva privacy e la direttiva concorrenza), una decisione (la decisione radio spettro) e due strumenti interpretativi per agevolarne l'applicazione (le linee guida sulle analisi di mercato e la raccomandazione sui mercati rilevanti e relativo memorandum esplicativo).

(10) Per una descrizione e analisi critica delle direttive del 2002, si rinvia a M. Siragusa e S. Ciullo, Il nuovo quadro regolatorio delle comunicazioni e i rapporti con il diritto della concorrenza, in Mercato concorrenza e regole, 2002, 515 e ss. e, nello stesso numero della rivista, a A. Radicati di Brozolo, Il nuovo quadro delle comunicazioni elettroniche . Convergenza, concorrenza, regolazione e asimmetria, 561 ss.; si v., inoltre, gli articoli di L. Prosperetti, M. Ulbrich e R. Verrue, A. Bassanini e C. Leporelli e P. Riverberi, M. Gambero, V. Zeno Zencovich, contenuti nel n. 3/2001 de l'industria, 375 ss.

(11) Per la ricostruzione di tale modello di integrazione amministrativa nel settore delle comunicazioni elettroniche , dove si realizza una integrazione strutturale e funzionale di apparati amministrativi comuni a Stati membri e Unione europea, concepiti come sistemi composti da soggetti complementari tra loro, si rinvia a S. Cassese, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in questa Rivista, 2002, 689 ss. Un'organica ricostruzione dei meccanismi di dipendenza funzionale delle amministrazioni nazionali dalle istituzioni comunitarie, con ripetuti riferimenti anche al settore delle comunicazioni elettroniche , è contenuta in L. Saltari, Amministrazioni nazionali in funzione comunitaria, Milano, 2007. Si v. anche M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, II ed., Milano, 2004, 403 ss.; G. della Cananea, I procedimenti amministrativi composti, in F. Bignami e S. Cassese (a cura di), Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, 307 ss.; E. Chiti e G. della Cananea, L'attività amministrativa, in G. della Cananea (a cura di), Diritto amministrativo europeo. Principi e istituti, Milano, 2006, 89 ss., in part. 106-107.

(12) Sui limiti dell'assetto istituzionale del settore, si v. l'acuta analisi di G. della Cananea, I problemi istituzionali nel nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche , in G. della Cananea (a cura di), Il nuovo governo delle comunicazioni elettroniche , Torino, 2005, 9 e ss.

(13) Un'analisi complessiva del nuovo quadro normativo in materia è contenuta in G. Morbidelli e F. Donati (a cura di), La nuova disciplina delle comunicazioni elettroniche , Torino, 2009 e F. Bassan, Diritto delle comunicazioni elettroniche . Telecomunicazioni e televisione dopo la terza riforma comunitaria del 2009, Milano, 2010.

(14) La formula si deve a S. Cassese, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, cit., 689 ss. Sulle tecniche di coordinamento organizzativo e procedimentale nel settore delle comunicazioni elettroniche , riprendendo anche la ricostruzione operata da Cassese, G. Napolitano, La strategia dei controlli nella governance comunitaria delle comunicazioni elettroniche , in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, 1469 ss.

(15) Il riferimento è alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, (COM(2007) 697 - non pubblicata sulla G.U.) e alla Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 13 novembre 2007, che presenta la relazione sull'esito del riesame del quadro normativo comunitario per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica a norma della direttiva 2002/21/Ce e sintetizza le proposte di riforma del 2007 (COM(2007) 696 definitivo - non pubblicata sulla G.U.). Con riferimento alle iniziali proposte della Commissione, si v. G. Morbidelli e F. Donati (a cura di), La nuova disciplina delle comunicazioni elettroniche , cit. Simili discrasie, peraltro, avevano connotato anche, più o meno in relazione alle stesse prospettive di modifica in descrizione, anche la riforma del quadro comunitario delle comunicazioni elettroniche di "seconda generazione".

(16) La presenza di discrasie tra le iniziali proposte della Commissione e i materiali normativi successivamente adottati non implica necessariamente una complessiva valutazione negativa del nuovo pacchetto comunitario. Per un'analisi costi-benefici delle proposte della Commissione e, più ampiamente, sulle dinamiche di accentramento presenti nel diritto comunitario, di grande interesse è lo studio di G. Napolitano, La strategia dei controlli nella governance comunitaria delle comunicazioni elettroniche , cit., 2008, 1469 ss.

(17) Tali valutazioni sono chiaramente esplicitate nei considerando 13 e 18 della direttiva n. 140, dove si sottolinea l'esigenza di "indipendenza" e di maggiore "prevedibilità" delle decisioni delle autorità nazionali di regolamentazione.

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(18) Come già previsto dal precedente quadro regolamentare, le decisioni delle Anr possono essere sindacate esclusivamente da un organo "indipendente dalle parti coinvolte", "in possesso di competenze adeguate", "può essere un tribunale", le cui decisioni sono in ogni caso "impugnabili dinanzi a una giurisdizione ai sensi dell'art. 234 del trattato" (art. 4 direttiva 2002/21/Ce).

(19) L'European Regulatory Group nasce dalla confluenza di due diversi organismi informali istituiti tra il 1999 e il 2000: il primo è l'High level meeting of National Administrations and Regulatory Authorities, istituito su iniziativa della Commissione, soprattutto al fini di omogeneizzare la regolazione a livello nazionale; il secondo è l'Independent Regulators' Group, organismo associativo delle autorità nazionali di regolamentazione, creato anche con lo scopo di effettuare un'azione più incisiva di pressione e di convincimento sulla Commissione. A partire dal 2002, l'Erg, riunendo in forma stabile i vertici delle autorità nazionali di regolamentazione, definisce indirizzi e orientamenti comuni e assiste la Commissione europea nell'esercizio delle sue funzioni di iniziativa normativa, di indirizzo e di controllo sulla corretta attuazione della disciplina comunitaria. Su tali profili, si v. G. Napolitano, La strategia dei controlli nella governance comunitaria delle comunicazioni elettroniche , cit., p. 1469 ss. e G. della Cananea, I problemi istituzionali del nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche , cit., 9 ss.; più ampiamente, I. Chieffi, L'integrazione amministrativa europea nelle comunicazioni elettroniche , Torino, 2006.

(20) G. Napolitano, op. cit., 1469 ss.

(21) Si v. le osservazioni formulate da G. Napolitano, op. cit., 1469 ss., in part. note 19 e 20, sui criteri e requisiti di nomina e sulle relative conseguenze empiriche. Sulla rilevanza dell'elemento finanziario, e più ampiamente sull'altalenante vicenda delle autorità indipendenti nell'ordinamento italiano, si v. M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005, 28. Sull'esigenza di rafforzamento delle prerogative di indipendenza delle autorità indipendenti, soprattutto in un contesto di crisi dei mercati, G. Napolitano e A. Zoppini, Le autorità al tempo della crisi. Per una riforma della regolazione e della vigilanza sui mercati, Bologna, 2009

(22) È la prospettiva aperta dalla recente decisione della Corte di Giustizia delle Comunità europee, 3 dicembre 2009, causa C - 424/07, con la quale si è stabilito che le nuove disposizioni della legge tedesca in materia di telecomunicazioni ("TKG", che definisce la nozione di "nuovi mercati" e stabilisce il principio generale di deregolamentazione per tali mercati), limitando il potere discrezionale delle autorità nazionali di regolazione, contrastano con il quadro normativo comune sulle comunicazioni elettroniche .

(23) In passato una simile interpretazione era stata sostenuta da F. Merusi, Le Autorità indipendenti tra riformismo nazionale e autarchia comunitaria, in F.A. Grassini (a cura di), L'indipendenza delle Autorità, Bologna, 2001, 21.

(24) Per tale vicenda, su tutti, il rinvio d'obbligo è ancora a G. Napolitano, La strategia dei controlli nella governance comunitaria delle comunicazioni elettroniche , cit., 1469 ss.

(25) Come è noto, sulla base del combinato disposto dell'art. 7 e dell'art. 15 e ss. della direttiva quadro del 2002, per l'identificazione di un mercato rilevante e la designazione di un'impresa che detiene un potere di mercato significativo è previsto un procedimento composto tra Anr e Commissione europea, dove quest'ultima, in presenza di taluni presupposti, è dotata di un potere di veto nei confronti della misura nazionale. Dal lato comunitario, tale meccanismo "ha contribuito significativamente allo sviluppo di un approccio coerente per determinare le circostanze nelle quali è possibile applicare una regolamentazione ex ante e quelle nelle quali gli operatori sono assoggettati a tale regolamentazione", e "la Commissione può pertanto contribuire a garantire un livello più elevato di coerenza nell'adozione delle misure correttive" (considerando 19, direttiva n. 140). Da qui, dunque, il tentativo di ampliare il ruolo delle Commissione nella imposizioni di misure di regolazione nei mercati nazionali.

(26) G. De Minico, Le Direttive Ce sulle comunicazioni elettroniche dal 2002 alla revisione del 2006. Un punto fermo?, 2006, pubblicato in www.forumcostituzionale.it, 6.

(27) E la terminologia adotta da M. Clarich e R. Cassano, L'imposizione degli obblighi regolamentari ex ante nel nuovo quadro normativo delle comunicazioni elettroniche , in Dir. inf., 2008, 24 ss., in riferimento all'iniziale progetto di riforma della Commissione, che prevedeva l'estensione del potere di veto dell'amministrazione comunitaria: si ritiene, tuttavia, sulla base delle considerazioni formulate, che tale definizione possa attagliarsi anche nel nuovo quadro normativo comunitario effettivamente adottato.

(28) Oltre alle considerazioni formulate sul rispetto da parte delle autorità di regolazione nazionali della raccomandazione sui mercati regolabili, si pensi, inoltre, che solo in pochissimi casi la Commissione ha esercitato il potere di veto previsto dall'art. 7, essendo sufficiente la minaccia di esercitarlo, più che l'effettivo esercizio del veto stesso, per raggiungere gli obiettivi prefissati. Infatti, dal 2002, la Commissione ha esercitato il potere di veto solo sette volte, su circa mille notificazioni, ma in altri quaranta casi le Anr hanno ritirato le misure proposte per evitare una simile evenienza: MEMO/09/539, 7 december 2009, EU Telecoms: the Article 7 procedure, the role of the European Commission and the impact of the EU Telecoms Reforms: Frequently Asked Questions.

(29) Su tali aspetti, G. Napolitano, Regole e mercato nei servizi pubblici, cit., 113 ss. e E. Chiti, Le ambivalenze del "concerto regolamentare europeo" nel settore delle comunicazioni elettroniche , in G. della Cananea (a cura di), Il nuovo governo delle comunicazioni elettroniche , cit., 19 ss.

(30) Sulla ri-regolazione che segue la liberalizzazione, G. Majone, La Communauté européenne: un Etat régulateur, Montchrestien, Paris, 1996; B. Eberlein, L'Etat régulateur en Europe, in Revue fran¢aise de science politique, n. 2, aprile, 1999, 205 ss.; S. Cassese, Regolazione e concorrenza, cit., 15 ss.; B. Argiolas, La fenice regolatoria dei servizi pubblici, in B. Argiolas e altri, L'insegnamento in pubblico. Gli scritti giornalistici di Sabino Cassese, Milano, 2010, 212 ss.

(31) Si v. COM(2007) 700 definitivo del 13 novembre 2007, Trarre il massimo beneficio dal dividendo digitale in Europa: un approccio comune all'uso dello spettro liberato dal passaggio al digitale e la raccomandazione della Commissione, del 28 ottobre 2009, Agevolare l'utilizzo del dividendo digitale nell'Unione europea, in GUCE L 308 del 24 novembre 2009, 24. Si v. anche, più recentemente, la decisione della Commissione del 6 maggio 2010, Relativa all'armonizzazione delle condizioni tecniche d'uso della banda di frequenze 790-862 MHz per i sistemi terrestri in grado di fornire servizi di comunicazioni elettroniche nell'Unione europea, in GUCE 11 maggio 2010, L 117, 95.

(32) Più in generale, è previsto il coordinamento della pianificazione strategica (art. 8-bis) e, se del caso, percorsi di armonizzazione a livello comunitario (art. 9).

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(33) Nel primo caso, si passa da una facoltà ad un tendenziale obbligo per gli Stati membri di introdurre il trasferimento o l'affitto di diritti individuali d'uso delle radiofrequenze tra imprese; spetta, però, alla Commissione l'adozione di opportune misure di attuazione al fine di individuare le bande per le quali i diritti d'uso delle radiofrequenze possono essere trasferiti o affittati tra imprese, ma "con esclusione delle frequenze usate per la diffusione radiotelevisiva" (art. 9 ter). La trasferibilità, inoltre, potrà essere esclusa a livello nazionale per quei diritti d'uso ottenuti inizialmente a titolo gratuito. Sul secondo aspetto, "gli Stati membri possono stabilire norme volte a impedire l'accumulo di frequenze, in particolare fissando scadenze rigorose per lo sfruttamento efficace dei diritti d'uso da parte del titolare dei diritti e applicando sanzioni, comprese le sanzioni pecuniarie o la revoca dei diritti d'uso in caso di mancato rispetto delle scadenze. Tali norme sono stabilite e applicate in modo proporzionato, trasparente non discriminatorio" (art. 9 bis, c. 7).

(34) M. Clarich e R. Cassano, L'imposizione degli obblighi regolamentari ex ante nel nuovo quadro normativo delle comunicazioni elettroniche, cit., p. 31.

(35) La problematica, peraltro, è meno teorica di quanto si possa pensare. Infatti, la necessità di nuove infrastrutture con elevata capacità trasmissiva si lega anche alla (attuale) questione della "saturazione" degli spazi esistenti per la telefonia (mobile e fissa) e, conseguentemente, alla necessità di promuovere maggiormente il principio di neutralità tecnologica e una maggiore tutela degli utenti di internet. In ambito nazionale, su tali questioni si v. Agcom, Relazione annuale 2010, disponibile su www.agcom.it, 14 ss.

(36) In attesa del varo della raccomandazione, i criteri sui quali si dovrà fondare l'attività delle Anr si desumono dai considerando 55, 56 e 57 della direttiva n. 140.

(37) Si parla di "diritto di accesso ad internet", anche come contrappeso al diritto d'autore, in Agcom, Il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica. Indagine conoscitiva, disponibile su www.agcom.it, in particolare 7 ss.

(38) Sul carattere polisemico del servizio universale, strumento "bon à tout faire", S. Cassese, La retorica del servizio universale, in S. Frova (a cura di), Telecomunicazioni e servizio universale, Milano, 1999.

(39) Solo con riferimento all'esito finale di tale interminabile percorso giurisdizionale, si v. le sentenze (fotocopia) del Consiglio di Stato nn. 281, 243, 535 e 644 del 2010.

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D.Lgs. 15-03-2010, n. 44

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FONTEGiornale Dir. Amm., 2011, 2, 121

 

Sommario: La direttiva Sma - Delega legislativa, iter e struttura del d.lgs. n. 44/2010 - Ambito di applicazione e definizioni del Tusmar - Titoli abilitativi e competenze di Autorità e Ministero - Garanzie per gli utenti, Lcn e diritto di rettifica - Tutela dei minori - Diritti d'autore, eventi di particolare rilevanza e brevi estratti di cronaca - Promozione di opere europee - Comunicazione commerciale audiovisiva

La direttiva Sma

Il presente lavoro si propone di commentare le più rilevanti modifiche apportate al Testo Unico della radiotelevisione (1) dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44 (c.d. Decreto Romani, dal nome del vice-ministro proponente con competenza prevalente in materia; di seguito "Decreto"), che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2007 / 65 /Ce (2) (c.d. direttiva sui servizi di media audiovisivi; di seguito la " Direttiva ").

Come si dirà, il legislatore delegato è intervenuto estesamente sull'originario Testo Unico della radiotelevisione non solo al fine di apportarvi quelle modifiche rese necessarie dal recepimento della Direttiva , ma anche introducendo una serie di innovazioni spesso del tutto indipendenti dalle novità introdotte dalla Direttiva . Di seguito si cercherà di fornirne un quadro, per quanto possibile, sistematico, raggruppando le varie disposizioni per aree tematiche omogenee.

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Poiché il compito affidato dal Parlamento al Governo è stato quello di attuare nell'ordinamento interno la Direttiva , occorre soffermarsi brevemente sui suoi contenuti (3).

Il legislatore comunitario è intervenuto con la Direttiva emendando la precedente direttiva 89/552/Cee (c.d. direttiva Tv senza frontiere), a sua volta già modificata dalla direttiva 97/36/Ce . La successiva direttiva 2010/13/Ue (4) ha infine consolidato il testo risultante dalle varie modifiche intervenute nel tempo, contestualmente abrogando tutt'e tre le precedenti direttive. Ma, avendo il legislatore delegato tenuto presente la Direttiva , nel seguito si continuerà a far riferimento a quest'ultimo provvedimento.

Le novità introdotte dalla Direttiva possono essere distinte in due tipologie: quelle "di sistema" e quelle relative a singoli aspetti della disciplina. Nella prima tipologia deve senz'altro inquadrarsi l'introduzione della stessa nozione di " servizi di media audiovisivi" (di seguito, "Sma"), definiti dalla Direttiva come quei servizi che sono sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di Sma ed il cui obiettivo principale è l'offerta di programmi al fine di informare, intrattenere ed istruire il grande pubblico.

Come chiarito dai considerando della Direttiva , possono definirsi servizi di media audiovisivi solo i mezzi di comunicazione di massa diffusi attraverso reti di comunicazione elettronica e volti a trasmettere immagini in movimento (5) (siano esse sonore o meno), destinate ad essere ricevute da una porzione considerevole del grande pubblico, su cui potrebbero esercitare un impatto evidente. Pertanto, anche secondo il diritto comunitario (6), la "specificità" degli Sma dipende dall'influenza che tali servizi esercitano sul modo in cui il pubblico si forma le proprie opinioni (cons. 43) e dalla loro crescente importanza per la società, la democrazia, la libertà di informazione, la diversità delle opinioni, il pluralismo dei mezzi di informazione e la cultura, cosicché detti servizi hanno al contempo un rilievo culturale ed economico (7) (cons. 3).

Su queste basi, il legislatore comunitario prende atto dello sviluppo tecnologico che consente ormai di offrire, accanto alle tradizionali trasmissioni radiotelevisive, nuovi servizi di contenuti audiovisivi in relazione ai quali l'utente può, in linea di principio, esercitare una maggiore facoltà di scelta e di controllo e che pertanto hanno un diverso impatto sulla società rispetto alle trasmissioni radiotelevisive (cons. 42). Di qui, la distinzione, nell'ambito del genus degli Sma, di due species: la "radiodiffusione televisiva" (o anche "trasmissione televisiva"), cioè uno Sma che consente la visione simultanea di contenuti audiovisivi diffusi dall'emittente sulla base di un palinsesto cronologico di programmi (servizio perciò denominato dalla Direttiva anche "Sma lineare"); ed il "servizio di media audiovisivo a richiesta", cioè uno Sma che consente la visione di programmi, al momento scelto dall'utente e su sua richiesta, sulla base di un catalogo di programmi selezionati dal fornitore del servizio (perciò denominato dalla Direttiva anche "Sma non lineare"). Ne consegue che la differenza tra i servizi lineari e quelli non lineari non dipende dalla piattaforma tecnologica (etere terrestre, cavo, satellite, internet, etc.) attraverso la quale i servizi sono offerti, bensì dalle testé segnalate caratteristiche di offerta e di fruizione (8), cosicché la trasmissione online continua ed in diretta di contenuti (live streaming) e la trasmissione televisiva su internet (webcasting) ormai rientrano senza dubbio tra i servizi lineari (cons. 20) (9).

In tal modo, il principio comunitario della "neutralità tecnologica" transita dalla disciplina dei mezzi di trasmissione (contenuta nelle direttive sulle comunicazioni elettroniche) alla disciplina dei contenuti, oggetto della Direttiva . Peraltro, proprio tale scelta fa sì che - specie con riferimento agli Sma a richiesta - si sia posta al legislatore comunitario l'esigenza di distinguere questi ultimi servizi da quelli della società dell'informazione, offerti agli utenti quotidianamente su internet anche attraverso il ricorso all'utilizzo di elementi audiovisivi, come ad es. avviene per il commercio elettronico. A tal fine, nei considerando da 16 a 23 della Direttiva sono elencate ed esemplificate le numerose caratteristiche che devono cumulativamente ricorrere per poter qualificare come vero e proprio Sma un servizio online contenente elementi audiovisivi.

In proposito, a parte i criteri desumibili dalle definizioni già sopra riportate, si possono individuare - in estrema sintesi - un criterio di assimilabilità (10) (dovendo trattarsi di servizi che, per loro "natura" e "modalità di accesso", indurrebbero l'utente ad attendersi una tutela

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normativa paragonabile a quella dei tradizionali servizi televisivi), un criterio concorrenziale (dovendo trattarsi di attività precipuamente economiche, che si pongono in concorrenza con la televisione e rivolte al suo medesimo pubblico, con esclusione pertanto dei siti internet privati, dei servizi di fornitura o distribuzione di contenuti generati da utenti privati o di scambio di contenuti nell'ambito di comunità di interesse) ed un criterio funzionale (dovendo trattarsi di servizi volti ad offrire programmi al grande pubblico, quindi con esclusione dei siti internet di aziende che utilizzino in via meramente incidentale ed accessoria elementi audiovisivi per offrire prodotti o servizi di altra natura, ivi compresi i giochi d'azzardo, le lotterie, le scommesse, i giochi online, i motori di ricerca ed i messaggi di posta elettronica, ove inviati ad un numero limitato di destinatari): in una parola, occorre che si sia in presenza di servizi television-like.

Ciò posto, la Direttiva introduce un nucleo minimo di regole comuni applicabili a tutti gli Sma, sia lineari che non lineari (capo II-bis), alcune regole applicabili solo ai servizi non lineari (capo II-ter) ed un altro gruppo di regole applicabili ai soli servizi lineari, che in parte modificano ed aggiornano le norme già dettate dalla direttiva 89/552/Cee (con l'introduzione del capo II-quater e la ridenominazione dei capi, IV, V e VI) (11). Si tratta, in sostanza, delle novità relative a singoli aspetti della disciplina cui si accennava più sopra e che, per ragioni di ordine espositivo, verranno esaminati assieme alla disciplina interna di attuazione della Direttiva .

Come per il passato, anche nella Direttiva viene comunque prevista la facoltà dei singoli Stati membri di richiedere ai fornitori di Sma assoggettati alla propria giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose, purché conformi al diritto comunitario (art. 3.1).

 

Delega legislativa, iter e struttura del d.lgs. n. 44/2010

La delega per l'adozione del Decreto è stata conferita al Governo con la legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008).

A differenza di quanto avvenuto per la delega legislativa a suo tempo conferita per l'adozione del Testo unico della radiotelevisione (12), non è stato previsto che il Governo dovesse acquisire sullo schema di decreto una "previa intesa" con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (13) (di seguito "Autorità" o "Agcom"), né che lo schema dovesse essere esaminato dalla Conferenza Stato - regioni e neppure che lo schema dovesse essere nuovamente sottoposto alle Commissioni parlamentari (ed alla Conferenza) nel caso di modifiche apportate dal Governo dopo il loro parere. Anzi, è stato disposto in generale che le Commissioni parlamentari competenti avrebbero dovuto esprimere il proprio parere entro il termine di quaranta giorni, decorso il quale il decreto sarebbe stato emanato anche in mancanza del parere (14).

Quanto all'oggetto ed ai criteri e principi direttivi della delega, deve constatarsi una certa laconicità della legge. Il Parlamento ha, infatti, delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante "le norme occorrenti per dare attuazione" alla Direttiva in commento. Per quel che poi attiene specificamente ai criteri e principi direttivi che il legislatore delegato avrebbe dovuto rispettare nell'esercizio della delega (art. 76 Cost.), essi sono stati distinti in "generali" e "specifici", com'è ormai consueto nelle leggi comunitarie.

Peraltro, i criteri e principi direttivi "specifici" in realtà si sono limitati a prevedere che il Governo, da un lato, dovesse attuare la Direttiva attraverso la modifica del Testo unico della radiotelevisione e, dall'altro lato, dovesse ammettere l'"inserimento di prodotti" (v. infra) nel rispetto di tutte le condizioni ed i divieti previsti nella Direttiva (15). Tra i principi e criteri direttivi "generali" vanno, invece, segnalati il rinvio ai principi desumibili dalla stessa "direttiva da attuare" e l'attribuzione al Governo di un potere di "coordinamento" da esplicarsi attraverso l'introduzione delle "occorrenti modificazioni" alla disciplina già vigente.

Dal tenore delle disposizioni di delega si evince pertanto che il legislatore delegato avrebbe dovuto limitarsi a recepire nel Testo unico della radiotelevisione le (sole) novità introdotte dalla

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Direttiva (con esclusione, perciò, di aspetti non toccati da tali novità), contestualmente apportando le (sole) modifiche occorrenti a coordinare tali novità con la disciplina vigente. Al contrario, come si è anticipato, il Governo ha colto l'occasione per modificare il Testo unico della radiotelevisione in numerosissimi aspetti, molti dei quali del tutto estranei alle modifiche introdotte dalla Direttiva e neppure giustificabili da esigenze di coordinamento, trattandosi di innovazioni sostanziali (e non solo formali) (16) alla normativa vigente o, talvolta, di normative del tutto assenti nell'originario Testo unico: e tutto ciò in mancanza di qualsivoglia principio e criterio direttivo.

Ne consegue che molte modifiche introdotte dal decreto in commento pongono seri dubbi di incostituzionalità per eccesso di delega; alcuni di essi verranno segnalati nel commentare le singole disposizioni. Né sembra che tali perplessità possano essere superate dal fatto che alcune di queste modifiche sono state introdotte, nello schema inizialmente approvato dal Consiglio dei ministri il 17 dicembre 2009, a seguito di richieste formulate dalle competenti Commissioni parlamentari in sede di espressione del previsto parere sullo schema di decreto (17). È infatti noto che la mancata o insufficiente predeterminazione dei principi e criteri direttivi non può essere supplita dal parere delle commissioni parlamentari (18) e che, per giunta, si trattava - come detto - di parere certamente non vincolante, cosicché il Governo ben avrebbe potuto (anzi, in questo caso, dovuto) disattenderli proprio richiamando la loro inconciliabilità con l'oggetto ed i limiti della delega (19).

Ciò nonostante, il Governo ha recepito pressoché tutte le modifiche richieste dalle Commissioni, nel testo approvato definitivamente il 1° marzo 2010 ed entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (n. 73 del 29 marzo 2010).

Dal punto di vista strutturale, il Decreto si compone di un capo I, che dovrebbe contenere le disposizioni finalizzate al "recepimento della direttiva 2007 / 65 /Ce ", e di un capo II, che dovrebbe contenere le "norme di coordinamento" con il Testo unico della radiotelevisione; in realtà, come si è detto, numerose disposizioni contenute in entrambi i Capi sono assolutamente indipendenti dai contenuti della Direttiva e/o decisamente innovative.

Di seguito, nel commentare le novità introdotte dal d. lgs. n. 44/2010, per semplicità si farà riferimento agli articoli del Testo unico come modificati dallo stesso decreto, invece che alle disposizioni di quest'ultimo.

 

Ambito di applicazione e definizioni del Tusmar

Il Decreto ha innanzitutto modificato il titolo del Testo unico della radiotelevisione in "Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici" (di seguito, "Tusmar" o "Testo unico").

Pertanto, sin dal titolo si evince che - a differenza della Direttiva - il Testo unico disciplina anche l'attività radiofonica. Ciò trova senz'altro giustificazione nella circostanza che il Testo unico della radiotelevisione aveva ab origine ad oggetto anche la radiofonia. Pertanto, il legislatore delegato ha giustamente conservato, nell'esercizio dei poteri di coordinamento, la parte dedicata all'emittenza radiofonica. Tuttavia, proprio perché si trattava di mero coordinamento formale, i dubbi in merito al rispetto della delega si ripropongono ogni qualvolta il legislatore delegato ha esteso - in assenza di principi e criteri direttivi in tal senso - alla radiofonia la disciplina degli Sma, così innovando sostanzialmente la precedente normativa in materia di emittenza radiofonica.

In attuazione della Direttiva , il Governo ha inciso profondamente sulle definizioni contenute nell'originario art. 2 del Testo unico della radiotelevisione. Nel nuovo testo di tale disposizione sono state innanzitutto inserite le definizioni di "servizio di media audiovisivo" (lett. a); di "fornitore" di tali servizi (lett. b); di "servizio di media audiovisivo lineare" o "radiodiffusione televisiva" (lett. i); e di "servizio di media audiovisivo non lineare" o "a

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richiesta" (lett. m); il tutto in senso sostanzialmente conforme alle definizioni sopra esaminate della Direttiva (cui perciò si rinvia).

La conseguente (sistematica) sostituzione del termine "radiotelevisione" con la nuova locuzione " servizi di media audiovisivi" (tuttavia più ampia, come si è detto) non ha comportato particolari problemi, salvo che in almeno tre rilevanti casi. Ciò è avvenuto, in primo luogo, nell'art. 53 (intitolato "Principio di specialità") in cui l'originaria previsione derogatoria - già molto discutibile perché prevedeva un'aprioristica prevalenza delle norme nazionali del Testo unico su quelle di origine comunitaria (recepite nel nostro ordinamento con il Codice delle comunicazioni elettroniche) (20) in relazione alle "reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi radiotelevisivi" (21) - risulta ora ancor più discutibile perché, a seguito della predetta sostituzione, la deroga verrebbe addirittura estesa a ... tutte le "reti utilizzate per la diffusione di servizi di media audiovisivi". Peraltro, considerato che la nozione di Sma comprende tutti i servizi (lineari e non lineari) diffusi attraverso tutte le reti di comunicazione elettronica, la disciplina nazionale derogatoria finirebbe così - un po' paradossalmente - col risultare applicabile anche alle restanti reti sinora pacificamente disciplinate dal Codice delle comunicazioni elettroniche, "superando" del tutto la normativa del Codice.

Analogamente, la sostituzione del termine "televisione" con la locuzione " servizi di media audiovisivi" all'interno della definizione del "sistema integrato delle comunicazioni" (il famoso Sic) fa sì che risulti ulteriormente allargato il perimetro di tale nozione (già amplissima), per un verso venendo così ulteriormente indebolita la (connessa) tutela del pluralismo e della concorrenza nel sistema televisivo (22) e, per altro verso, venendo così a crearsi una distonia tra le attività che ora compongono il Sic ed i ricavi dello stesso Sic elencati nell'art. 43, c. 10, Tusmar (in cui non sono menzionati tutti i ricavi da servizi di media audiovisivi).

Alle stessa stregua, la sostituzione, nell'art. 7 del Testo unico, della locuzione "attività di informazione radiotelevisiva" con quella di "attività di informazione mediante servizio audiovisivo" comporta, tra l'altro, che anche l'attività informativa svolta attraverso Sma diffusi su internet dovrebbe ora qualificarsi come "servizio di interesse generale" (23) e dovrebbe conformarsi ai principi di cui al capo I del Titolo II del Testo unico, ancorché non alle regole di cui ai commi secondo e terzo dello stesso articolo, nei quali il riferimento rimane tuttora circoscritto alla sola informazione radiotelevisiva.

Va pure segnalato che la necessità di inserire nel Testo unico la nuova figura del "fornitore di servizi di media audiovisivi" (24) ha condotto all'eliminazione della precedente figura del "fornitore di contenuti". Quest'ultima definizione, pur richiamandosi al concetto di responsabilità editoriale (e risultando pertanto molto simile a quella di fornitore di Sma), aveva infatti il limite di riferirsi soltanto alle trasmissioni radiotelevisive digitali, via etere, via cavo e via satellite (cioè, ai soli Sma lineari, secondo la nuova terminologia) e quindi, ove conservata, sarebbe stata fonte di notevole confusione. Al suo posto, il Testo unico utilizza ora il termine "emittente", inteso come fornitore di Sma lineari diffusi esclusivamente in tecnica digitale (lett. l); mentre, allorché ci si voglia riferire alle tradizionali emittenti televisive analogiche, nel Tusmar al termine "emittente" viene ogni volta aggiunta la qualificazione "analogica" (lett. aa).

Va infine evidenziato un altro aspetto particolarmente problematico, sempre relativo alle definizioni. Invero, il legislatore delegato, pur avendo correttamente recepito (nella lett. e) la nozione comunitaria di "programma" - inteso come elemento costitutivo di un palinsesto (negli Sma lineari) o di un catalogo (in quelli non lineari) (25) - ha poi inserito una definizione di "palinsesto televisivo" non presente nella Direttiva , per giunta disponendo espressamente che, nel Tusmar, l'espressione "programmi televisivi" deve intendersi equivalente (sic) a quella di "palinsesto televisivo" (26): il che già crea un insormontabile problema per l'interprete, poiché, se il programma rappresenta, per l'appunto, una "parte" del palinsesto, non può evidentemente equivalere al "tutto". Il "cortocircuito" che viene così a crearsi tra le due nozioni (programma e palinsesto) è evidente ed è stata tempestivamente segnalata anche dal Presidente dell'Agcom (27) (peraltro senza successo), nella fase di esame parlamentare dello schema di decreto.

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Per giunta, nel Tusmar il "palinsesto televisivo" viene bensì definito come l'insieme predisposto da un'emittente, analogica e digitale, di una serie di programmi unificati da un medesimo marchio editoriale e destinato alla fruizione del pubblico, ma da tale nozione vengono espressamente escluse: la "trasmissione differita dello stesso palinsesto", le "trasmissioni meramente ripetitive" e la "prestazione, a pagamento, di singoli programmi, o pacchetti di programmi, audiovisivi lineari, con la possibilità di acquisto da parte dell'utente anche nei momenti immediatamente antecedenti all'inizio della trasmissione del singolo programma, o del primo programma, nel caso si tratti di un pacchetto di programmi" (lett. i).

Anche in questo caso, l'Autorità ha evidenziato come tale scelta del legislatore delegato sia gravida di conseguenze, tra l'altro, in merito alla (in)applicabilità a tali trasmissioni delle norme in materia di comunicazioni commerciali audiovisive, di tutela dei minori, di diritto di rettifica e di divieto di posizioni dominanti (28). In effetti, le trasmissioni differite (ad es., i canali "+1" o "+24"), quelle meramente ripetitive e le offerte pay di singoli programmi o pacchetti di programmi, pur essendo qualificate come Sma lineari dallo stesso Tusmar (per questo aspetto conformemente alla Direttiva ), non sarebbero poi assoggettabili alla disciplina della "radiodiffusione televisiva" per l'espressa esclusione prevista nel Tusmar, venendo così tali attività a rappresentare una sorta di tertium genus, rispetto agli Sma lineari ed a quelli non lineari.

Ed in realtà sembra che tale impostazione trovi una conferma anche nel reinserimento (29) della pay per view nel novero delle attività svolte dalla figura del "fornitore di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato" (lett. q), e non tra le attività proprie del fornitore di Sma (30).

Il Decreto ha inoltre inserito specifiche disposizioni anche per ciò che riguarda altri aspetti relativi all'ambito di applicazione della disciplina in esame.

Un primo aspetto problematico dell'ambito di applicazione del Tusmar che ha altresì avuto grande evidenza mediatica è certamente la prevista applicazione del Testo unico ad internet. La protesta contro una "stretta" alla libertà degli operatori e degli utenti di internet - che peraltro si è intrecciata, talvolta in maniera confusa, con altre coeve vicende relative, ad esempio, all'equo compenso su supporti ed apparecchi digitali (31), nonché alla responsabilità dei motori di ricerca e degli ISP (32) - ha sicuramente concorso al corretto inserimento nel testo definitivo del Tusmar di tutte le esclusioni previste nella Direttiva (blog, motori di ricerca, etc.). Ad ogni modo, i singoli "punti di emersione" di tale importante problematica verranno trattati di seguito commentando le singole disposizioni rilevanti (33).

Un secondo aspetto pure meritevole di segnalazione è che nel Tusmar vengono individuati i criteri da applicare per l'assoggettamento di un fornitore di Sma alla giurisdizione italiana (art. 1-bis), nonché le ipotesi e le procedure di sospensione dell'offerta di Sma da parte di fornitori non soggetti alla giurisdizione italiana (art. 1-ter).

 

Titoli abilitativi e competenze di Autorità e Ministero

L'intervenuta attrazione di numerose nuove attività nell'ambito di applicazione del Tusmar ha imposto inevitabilmente al legislatore delegato il compito di affrontare i temi della previsione (o meno) di nuovi appositi titoli abilitativi, delle tipologie di tali titoli e dell'organo pubblico competente a rilasciarli.

Sul punto, peraltro, la Direttiva aveva lasciato agli Stati membri amplissima discrezionalità, specificando nel preambolo che nessuna disposizione della Direttiva potesse essere interpretata come un incoraggiamento o, peggio, un obbligo ad introdurre nuovi sistemi nazionali di autorizzazione e, tanto meno, di concessione di licenze per gli Sma (cons. 15).

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Ciò nondimeno, il legislatore delegato ha ritenuto opportuno prevedere un certo numero di regimi abilitativi per le attività ricomprese ex novo negli Sma, ancorché "modulandoli" diversamente. Per giunta, le nuove previsioni si sono dovute confrontare con la ben nota "diarchia" (Autorità e Ministero dello sviluppo economico) che connota in Italia non solo gli Sma, ma anche la disciplina delle comunicazioni elettroniche (34). A dire il vero, l'Autorità, facendo leva sui considerando 65 (35) e 66 nonché sull'art. 23-ter della Direttiva (36), avrebbe voluto che il decreto costituisse l'occasione per attribuire all'Agcom tutti i compiti di regolazione e rilascio dei titoli abilitativi (37). Tuttavia, il "pendolo" delle competenze si è ancora una volta arrestato a metà, poiché in capo all'Autorità è stata senz'altro confermata la competenza (tendenzialmente esclusiva) a regolamentare il rilascio dei titoli abilitativi, ma la competenza al concreto rilascio degli stessi titoli è stata nuovamente suddivisa tra Autorità e Ministero.

Più precisamente, all'Autorità ora spettano - oltre alla competenza al rilascio dei titoli per fornitore di Sma lineari, anche radiofonici, via satellite, già attribuitale in passato (art. 20 Tusmar) - anche la competenza a rilasciare i titoli per l'attività di fornitore di Sma lineari su "altri mezzi" (come internet, nei casi paradigmatici del live streaming e del webcasting) (38), nonché la competenza di disciplinare con proprio regolamento il regime dell'autorizzazione generale per l'attività di fornitore di servizi di Sma a richiesta e, conseguentemente, la legittimazione dell'Autorità a ricevere da tali operatori la relativa Dia (art. 22-bis).

Il rilascio di tutti gli altri titoli - ivi incluso il rilascio dell'autorizzazione per l'attività di fornitore di Sma lineari via cavo (art. 21, c. 1) - rimane invece di competenza del Ministero dello sviluppo economico. Pertanto, considerato che anche gli Sma lineari su internet (di competenza dell'Autorità) vengono diffusi, almeno in parte, su cavi a fibre ottiche o altre reti fisse, si porrà inevitabilmente l'arduo problema di distinguere tra Sma via "cavo" che rimangono nella competenza del Ministero e Sma su "altri mezzi" (veicolati però, almeno in parte, su cavi a fibre ottiche ed altre reti fisse) di competenza dell'Autorità (39).

Inoltre, la durata dei titoli per operatore di rete sarà uniformata dal Ministero a quella dei titoli disciplinati dal Codice delle comunicazioni elettroniche (art. 15 Tusmar).

Va comunque sottolineato che la riconferma, in capo all'Autorità, dei compiti di regolamentazione di tutti i nuovi titoli (sia quelli rilasciati dall'Agcom che quelli rilasciati dal Ministero) ha fatto sì che il legislatore delegato sia ricorso con grandissima ampiezza alla delega di poteri regolamentari all'Autorità, tuttavia omettendo totalmente di dettare i relativi criteri e principi direttivi. Con il che si pongono delicati problemi sia in ordine al rispetto della riserva di legge (40) in materia di disciplina dei contenuti audiovisivi, sia per la delega "in bianco" così rilasciata all'Autorità, sia perché tale delega è stata per giunta attribuita dal ... legislatore delegato, pur in assenza di specifici criteri e principi direttivi dettati dal Parlamento.

 

Garanzie per gli utenti, Lcn e diritto di rettifica

Proseguendo nell'esame delle macro-aree del Tusmar interessate dalle modifiche apportate dal Decreto, bisogna soffermarsi su un gruppo di disposizioni che potrebbero qualificarsi come più marcatamente finalizzate alla tutela della categoria generale degli utenti.

Il Decreto è intervenuto innanzitutto sul testo dell'art. 4 del Tusmar (contenente i principi generali a garanzia degli utenti), sopprimendo numerose disposizioni ivi contenute, in parte al fine di trasferirle in altri articoli del Testo Unico (talvolta molto opportunamente, visto che non si trattava di disposizioni di principio, ma di norme puntuali di immediata applicazione), in parte per espungerle definitivamente dal Testo Unico, attraverso un utilizzo piuttosto discutibile dei poteri di coordinamento (che, come detto, avrebbe dovuto essere solo formale).

Viene, poi, in considerazione l'art. 32 del Tusmar che dovrebbe contenere le disposizioni generali a tutela dell'utenza applicabili a tutti i servizi di media audiovisivi e radiofonici (41). I commi 1, 5 e 6 recepiscono le corrispondenti disposizioni della Direttiva (42)

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prevedendo innanzitutto che i fornitori di Sma debbano offrire ai destinatari dei loro servizi un accesso facile, diretto e permanente ad una serie di informazioni che dovrebbero facilitare una presa di contatto rapida ed efficace tra l'utente ed il fornitore (come nel caso delle informazioni relative al nome, all'indirizzo geografico e di posta elettronica o del sito internet dello stesso fornitore), ovvero dovrebbero agevolare la richiesta di tutela alle autorità di garanzia degli interessi degli utenti, individuate nell'Agcom e nell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, "Agcm"), ma curiosamente non nel Garante del trattamento dei dati personali (c. 1). Nello stesso contesto, viene inoltre disposto che gli Sma non debbano contenere alcun incitamento all'odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità, non debbano ledere la dignità umana (c. 5) e che se ne debba favorire la ricezione da parte dei cittadini con disabilità sensoriali (c. 6).

Al contrario, i commi da 2 a 4 attribuiscono ex novo all'Autorità - in mancanza di qualsiasi disposizione in materia nella Direttiva (e quindi con forti perplessità in merito al rispetto della delega) - il compito di adottare un piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre (sia in chiaro che a pagamento) e di disciplinare le modalità di attribuzione dei numeri con proprio regolamento, da adottare secondo i principi e criteri direttivi che, in questo caso, sono stati dettati nel secondo comma della disposizione. Si tratta della disciplina del c.d. ordinamento numerico dei canali (o "Logical Channel Numbering", di seguito "Lcn"), cioè del sistema tecnico attraverso il quale i canali televisivi vengono ordinati secondo il numero progressivo loro attribuito, corrispondente a quello con cui gli utenti poi visualizzano i canali sul loro televisore (attraverso il telecomando), salvo che gli stessi utenti intervengano sul decoder in loro possesso modificando tale ordine predefinito. Com'è evidente, la disciplina dell'Lcn attiene non solo alla tutela degli interessi degli utenti, ma anche alla tutela della concorrenza e del pluralismo, poiché - come segnalato concordemente dall'Agcom (43) e dall'Agcm (44) - nella televisione digitale terrestre, a fronte di un'offerta di programmi più ampia rispetto alla televisione analogica, la maggiore facilità o rapidità di selezione del canale da parte dell'utente rappresenta intuitivamente un elemento di successo dell'emittente e, quindi, condiziona il confronto concorrenziale, oltre che l'assetto più o meno pluralistico del sistema televisivo. A quest'ultimo riguardo è, infatti, evidente che l'attribuzione di una posizione privilegiata ad un'emittente o, a fortiori, a più emittenti appartenenti ad uno stesso gruppo finisce con l'accrescere anche la sua possibilità di incidere sul modo in cui il pubblico si forma le proprie opinioni (per riprendere i considerando della Direttiva ). E questi aspetti sono da valutare con ancora più attenzione nel caso italiano, in cui la migrazione dal sistema analogico a quello digitale - offrendo per la prima volta chances di ingresso agli operatori new comers - dovrebbe rappresentare il fattore di superamento di quelle illegittimità di ordine costituzionale (45) e comunitario (46) che connotano - a tutt'oggi - l'assetto della televisione nazionale analogica ed i regimi transitori che ancora consentono agli incumbents analogici di continuare ad operare nell'assetto pregresso, così perpetuando la situazione di illegittimità, soprattutto nelle regioni non ancora completamente digitalizzate.

Ciò posto, alle esigenze di tutela della concorrenza e del pluralismo avrebbero dovuto rispondere le indicazioni dettate dal legislatore delegato all'Autorità nel senso di assicurare "condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie", nonché nel senso di suddividere ed assegnare i numeri sulla base della natura della programmazione (cioè, se generalista o tematica); mentre alle esigenze di tutela degli utenti avrebbero dovuto rispondere (anche) i criteri della garanzia di "semplicità d'uso" dell'Lcn e del rispetto delle "abitudini e preferenze degli utenti".

Tuttavia, il successivo regolamento adottato dall'Autorità (47) suscita perplessità, poiché sembra aver "combinato" i predetti criteri in modo tale da confermare anche nel nuovo ambiente digitale il vantaggio concorrenziale sin qui acquisito dagli incumbents analogici, avendo finito con il riservare a questi soggetti i primi nove posti dell'Lcn, contestualmente adottando un sistema di numerazione che parte da una cifra (1, 2, etc.) (48), con l'esito ultimo di garantire loro una facilità e rapidità di selezione dei propri programmi nettamente più favorevole rispetto agli operatori new comers (49).

Va, infine, segnalato che le modifiche apportate dal decreto alla disciplina del diritto di rettifica, da un lato, chiariscono - conformemente alla Direttiva - che tale istituto è applicabile solo agli Sma lineari e, dall'altro lato, abrogano le disposizioni disciplinanti le modalità di esercizio

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della rettifica contenute nel Regolamento di attuazione della l. n. 223/1990 (50), peraltro senza prevedere le modalità per l'adozione di una nuova normativa di dettaglio.

 

Tutela dei minori

La disciplina posta a tutela di quella particolare categoria di utenti rappresentata dai minori (51)

è ora contenuta - oltre che nell'art. 1-ter del Tusmar (v. sopra) e nelle disposizioni relative alle comunicazioni commerciali audiovisive (v. infra) - negli artt. 34 e 35 del Testo unico. Il legislatore delegato è intervenuto soprattutto sull'art. 34, riscrivendone quasi interamente il precedente testo ed apportando modifiche di disciplina per tutti gli Sma, nonostante le novità introdotte in materia dalla Direttiva abbiano riguardato soltanto gli Sma a richiesta, conseguendone, anche in questo caso, gravi dubbi in merito al rispetto della delega.

Il testo del novellato art. 34 è, peraltro, di non facile interpretazione (52). La disposizione si apre, infatti, con un divieto (apparentemente) generalizzato avente ad oggetto le "trasmissioni che, anche in relazione all'orario di diffusione, possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori", ma poi trascorre immediatamente ad enumerare una tale serie di deroghe ed eccezioni, che risulta preferibile ricostruire il contenuto della disciplina proprio partendo dalle disposizioni derogatorie.

In estrema sintesi, i "contenuti per adulti" - cioè, i film che non abbiano ottenuto il nulla osta dalla censura, i film vietati ai minori di anni 18 e gli altri programmi classificabili per adulti (53) - possono essere trasmessi solo nella fascia oraria compresa tra le ore 23.00 e le ore 7.00 del giorno successivo ed ove si tratti di Sma (sia lineari che non lineari) ad accesso condizionato, rafforzato dall'adozione di un "sistema di controllo [parentale] specifico e selettivo che vincoli alla introduzione del sistema di protezione" i predetti contenuti, secondo la disciplina di dettaglio adottata, con procedura di co-regolamentazione (54), dall'Autorità (c. 1, 3 e 5).

I film vietati ai minori di anni 14, invece, possono essere trasmessi sia in chiaro che a pagamento, nonché offerti a richiesta, solo nella fascia oraria compresa tra le ore 22.30 e le ore 7.00 del giorno successivo (c. 4). La disposizione non fa menzione della necessità di adottare sistemi di controllo: e ciò è comprensibile, visto che tali film possono essere trasmessi anche in chiaro, ove si rispetti la fascia oraria. Meno comprensibile è, invece, che la norma non prenda in considerazione la possibilità che un fornitore voglia offrirli ad accesso condizionato rafforzato (55), anche prima della fascia oraria valida per le emittenti in chiaro (e per quelle ad accesso condizionato che non adottino alcun sistema di controllo). Sembra peraltro ragionevole ammettere tale possibilità attraverso un'interpretazione sistematica delle varie norme; tanto più che, per un verso, escludere l'applicabilità della deroga (concessa per i contenuti per adulti) alla ipotesi minor dei film vietati ai minori di anni 14 darebbe luogo ad un evidente paradosso (56) e, per altro verso, che nella fascia oraria 22.30/7.00 la trasmissione dei film V.M. 14 è consentita anche in chiaro.

Ciò posto, gli altri programmi (non gravemente) nocivi per i minori possono essere trasmessi su qualsiasi piattaforma di trasmissione, a condizione che il fornitore scelga un orario oppure adotti accorgimenti tecnici tali che escludano la normale fruizione di detti programmi da parte dei minori (c. 2). Per la verità, nella disposizione non è specificato né quale sia l'orario "idoneo", né quale debbano essere le caratteristiche tecniche dei predetti accorgimenti. Sempre nel tentativo di dare una lettura sistematica alle varie norme dell'art. 34, potrebbe azzardarsi l'ipotesi che la fascia oraria sia quella compresa tra le 22.30 e le ore 7.00 del giorno successivo (visto che, come subito si dirà, nella restante fascia oraria - in mancanza dell'applicabilità delle deroghe sin qui esaminate - dovrebbe applicarsi il Codice di autoregolamentazione Media e minori) e che l'accorgimento tecnico possa consistere in un sistema parentale di controllo, ancorché non specifico e selettivo e che non vincoli all'introduzione del sistema di protezione (57).

In tutte le restanti ipotesi in cui non trovi applicazione alcuna delle deroghe sopra esaminate (58), alle emittenti televisive, anche analogiche, diffuse su qualsiasi piattaforma di trasmissione

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(ma non ai fornitori di Sma a richiesta) sembrerebbe applicabile il Codice Media e minori (c. 6).

Ad ogni modo, va detto che, nonostante i tentativi di razionalizzare le disposizioni disordinatamente inserite nell'art. 34, i dubbi in merito alla logicità della disciplina ed alla sua stessa legittimità costituzionale (per possibile contrasto con l'art. 3 Cost.) permangono, specie con riferimento all'assoggettamento alla medesima disciplina di servizi molto diversi tra loro, come ad es.: gli Sma lineari e quelli non lineari, gli Sma lineari in chiaro e quelli ad accesso condizionato e, nell'ambito di questi ultimi, quelli che adottano sistemi di controllo specifici e selettivi e quelli che non li adottano.

 

Diritti d'autore, eventi di particolare rilevanza e brevi estratti di cronaca

Com'è noto, uno dei maggiori punti di tensione tra Sma e diritti d'autore è rappresentato dalla diffusione su internet di contenuti, il cui utilizzo non sia stato autorizzato dai titolari dei diritti d'autore e dei diritti connessi (59). Detta problematica è già da tempo approdata nelle aule dei Tribunali e, proprio nei mesi di discussione dello schema del decreto in commento, ha visto l'adozione di provvedimenti cautelari favorevoli ai titolari dei (diritti connessi ai) diritti d'autore (60).

Anche in questo caso, il legislatore delegato - pur in assenza di qualsiasi previsione contenuta nella Direttiva (salvo che per le c.d. windows cinematografiche, di cui si dirà) e, quindi, con rinnovati dubbi di eccesso di delega (61) - è intervenuto inserendo ex novo nel Tusmar una previsione avente a specifico oggetto la protezione dei diritti d'autore (art. 32-bis), nonché inserendo (anche in questo caso senza alcun riscontro nella Direttiva ) il rispetto del diritto d'autore tra i "principi fondamentali" del sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (art. 3), la cui violazione potrebbe addirittura autorizzare la sospensione della ricezione o ritrasmissione di Sma, ai sensi dell'art. 1-ter, c. 8, del Tusmar.

Ad ogni modo, a parte una (probabilmente ridondante) (62) riconferma dell'applicabilità agli Sma dei diritti d'autore e connessi, le norme più rilevanti del citato art. 32-bis impongono ai fornitori di Sma, da un lato, l'obbligo di rispettare, nella trasmissione di opere cinematografiche, i periodi concordati tra i titolari dei diritti e, dall'altro lato, il divieto di trasmettere, o mettere comunque a disposizione del pubblico, programmi o loro parti senza il consenso dei titolari dei diritti d'autore e connessi, salve le disposizioni in materia di brevi estratti di cronaca (di cui si dirà subito).

Rappresentano invece eccezioni o, quantomeno, limitazioni (63) all'amplissima esclusiva riconosciuta ai titolari di diritti d'autore e connessi (nonché ai titolari di diritti di ripresa di determinati eventi) altre due previsioni: innanzitutto, quella relativa agli eventi qualificati dall'Autorità di particolare rilevanza sociale, i quali non possono essere trasmessi in esclusiva da emittenti (ad es., ad accesso condizionato) in modo da privare una parte importante del grande pubblico della possibilità di seguire tali eventi su canali liberamente accessibili (art. 32-ter); in secondo luogo, il riconoscimento ad ogni emittente televisiva del diritto di realizzare brevi estratti di cronaca di eventi di grande interesse pubblico al fine di inserirli nei propri notiziari di carattere generale, allorché un'altra emittente trasmetta detti eventi in esclusiva (art. 32-quater).

 

Promozione di opere europee

Com'è noto, l'intervento comunitario in materia di promozione delle opere europee ha trovato giustificazione (peraltro niente affatto pacifica) (64) non solo nella necessità di tutelare la "diversità culturale" europea, ma anche nella circostanza che la bilancia commerciale con le altre potenze economiche (in particolare quella statunitense) presenta in questo settore un saldo decisamente negativo (65).

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La Direttiva è, anche in questo caso, intervenuta a dettare una nuova normativa in materia solo con riferimento agli Sma a richiesta, cogliendo peraltro l'occasione per ribadire le condizioni necessarie a che un'opera possa definirsi "europea".

Per contro, il legislatore delegato - sempre in assenza di criteri e principi direttivi dettati dal Parlamento (e quindi con seri dubbi in ordine al rispetto della delega) - è intervenuto con ben maggiore ampiezza.

Ad ogni modo la definizione comunitaria di opera europea è stata recepita tra le definizioni di cui all'art. 2 (lett. cc) e, per quel che riguarda gli Sma a richiesta, è stato introdotto l'obbligo, per i fornitori di tali servizi , di promuovere "gradualmente e tenuto conto delle condizioni di mercato" la produzione delle (e l'accesso alle) opere europee, attraverso una serie di strumenti, tra i quali il contributo finanziario alla loro produzione, l'acquisizione dei relativi diritti ed il rilievo riservato a tali opere nei cataloghi del fornitore, il tutto secondo la disciplina di dettaglio dettata dall'Autorità con procedure di co-regolamentazione (art. 44, c. 4 e 7).

Per quanto riguarda invece gli Sma lineari, pur venendo sostanzialmente confermati - a carico delle emittenti, anche analogiche, e degli operatori pay per view - i previgenti obblighi in punto di riserva di tempi di trasmissione in favore delle opere europee degli ultimi cinque anni (ivi inclusi i film di espressione originale italiana) ed in punto di quota di introiti destinati alla produzione (o finanziamento, pre-acquisto, acquisto) di opere europee realizzate da produttori indipendenti, risulta invece indebolita la precedente normativa a favore dei film italiani (66).

 

Comunicazione commerciale audiovisiva

Rimane da commentare un gruppo di importanti disposizioni relative alla disciplina della neo-introdotta definizione di "comunicazione commerciale audiovisiva" (67), vale a dire la categoria generale in cui la Direttiva ha ricompreso le tradizionali forme promo-pubblicitarie della "pubblicità televisiva", della "sponsorizzazione", e della "televendita", nonché di quella nuova forma rappresentata dall'"inserimento di prodotti" (il cd. product placement).

La regolamentazione della comunicazione commerciale è, com'è noto, un aspetto cruciale del settore, da cui dipendono contestualmente la tutela degli utenti rispetto a forme di pubblicità troppo pressanti o invasive, la garanzia del corretto confronto concorrenziale tra le imprese e l'assetto più o meno pluralistico del sistema dei media (68).

Ciò nonostante, in sintonia con una tendenza emersa con particolare evidenza in una Comunicazione interpretativa adottata dalla Commissione Europea già nel 2004 (69), anche la Direttiva ha allentato sensibilmente i vincoli della precedente disciplina comunitaria in materia di pubblicità, ritenendo che l'evoluzione commerciale e tecnologica (70) conferisca agli spettatori "una scelta più ampia e maggiori responsabilità nell'uso che ne fanno" (cons. 55). Di qui, tra l'altro: la previsione anche in questo campo di un set minimo di regole per gli Sma a richiesta (71); il favor all'introduzione del product placement per tutti gli Sma; l'abolizione del limite giornaliero all'affollamento pubblicitario (con conferma del solo limite orario) per gli Sma lineari; l'alleggerimento dei vincoli alla interruzione di tutta una serie di programmi diffusi dai fornitori di Sma lineari (quali, film, telefilm, notiziari, eventi sportivi, etc.).

Il legislatore delegato, conformemente all'unico principio direttivo "specifico" contenuto nella norma di delega, ha innanzitutto recepito l'istituto dell'inserimento di prodotti (art. 40-bis). Si tratta di una forma di comunicazione commerciale il cui elemento caratterizzante (che lo distingue dalla sponsorizzazione) è che l'inserimento o il riferimento verbale ai beni o servizi

che si vogliono promuovere è effettuato all'interno (dell'intreccio) del programma (art. 2, lett. l). Ciò nondimeno, è previsto -non senza ipocrisia (72) - che il contenuto dei programmi e la loro programmazione non debbano essere influenzati in modo da compromettere l'indipendenza e la responsabilità editoriale dei fornitori di Sma e che detti programmi non debbano incoraggiare al consumo dei beni o servizi "inseriti", ovvero concedere loro indebito rilievo nel programma. L'inserimento dei prodotti può avvenire -sia dietro pagamento

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che attraverso la fornitura gratuita di beni e servizi dell'inserzionista - solo nelle opere cinematografiche, nei film e nelle serie prodotte per gli Sma, nei programmi sportivi ed in quelli di intrattenimento leggero, ma non nei programmi per bambini (anche nella forma della fornitura gratuita, in ciò diversamente da quanto sembrerebbe evincersi dalla Direttiva ) (73). Inoltre, alcuni beni o servizi non possono essere oggetto di product placement (ad es., le sigarette e gli altri prodotti a base di tabacco, i medicinali e le cure mediche disponibili esclusivamente su prescrizione) ed il fornitore di Sma è sempre tenuto ad informare i telespettatori della presenza del product placement nei programmi da lui prodotti o commissionati (74). La disciplina di dettaglio è adottata con procedure di autoregolamentazione ed il suo rispetto è verificato dall'Autorità che, in caso di violazione, applica le sanzioni direttamente indicate dalla norma di delega (75).

Un'altra forma di comunicazione commerciale disciplinata per tutti gli Sma è la sponsorizzazione, in relazione alla quale il legislatore delegato, oltre ad aver esteso la previgente disciplina a tutti i fornitori, ha ora esplicitamente vietato la sponsorizzazione dei telegiornali, radiogiornali e notiziari di carattere politico, nonché vietato di mostrare il logo di una sponsorizzazione durante i programmi per bambini, i documentari ed i programmi religiosi (art. 39).

A parte la disciplina di queste due forme più specifiche di comunicazione commerciale, si applicano sempre a tutti i fornitori di Sma quel set minimo di regole individuate dalla Direttiva e recepite dal legislatore delegato nell'attuale art. 36-bis del Tusmar. Esse sono volte, in estrema sintesi, a tutelare la dignità umana, a vietare le discriminazioni (basate su razza, sesso, religione, etc.) e l'incoraggiamento a comportamenti pregiudizievoli per la salute e la sicurezza dei telespettatori (in modo rafforzato per i minori), nonché a garantire la riconoscibilità delle comunicazioni commerciali, vietando in ogni caso l'utilizzo di tecniche subliminali.

Si applicano, invece, ai soli fornitori di Sma lineari le disposizioni relative alle televendite (che però sono in gran parte simili al sopra menzionato set di regole applicabili a tutti i fornitori di Sma), così come le disposizioni relative ai limiti "modali" e "quantitativi" applicabili alla pubblicità televisiva (76).

In particolare, quanto alle interruzioni pubblicitarie (limiti modali): gli spot isolati possono ora essere inseriti anche sistematicamente nelle trasmissioni di eventi sportivi (prima dovevano costituire un'eccezione); l'interruzione di opere cinematografiche, di telefilm - ad esclusione di serie e seriali, romanzi a puntate e documentari - e di notiziari televisivi viene consentita per ogni periodo programmato di trenta minuti (prima era di 45 minuti); viene eliminato il previgente divieto assoluto di interruzione dei cartoni animati per bambini (art. 37).

Quanto ai limiti di affollamento (limiti quantitativi), il legislatore delegato ha conservato il limite giornaliero - nonostante la Direttiva ne prevedesse l'eliminazione - ed ha altresì sostanzialmente confermato i "tetti" applicabili alla Rai ed alle emittenti in chiaro, anche analogiche. Peraltro, il legislatore delegato, da un lato, non ha recepito l'indicazione contenuta nella Direttiva , secondo la quale dovrebbe essere considerato spot pubblicitario quello avente durata sino a dodici minuti (77), dall'altro lato, ha nuovamente distinto tra telepromozioni e spot pubblicitari, specificando che il limite orario si applica solo agli spot, cosicché alle telepromozioni sembrerebbe continuare ad applicarsi il solo limite giornaliero (e così la conservazione del limite giornaliero potrebbe risolversi in un vantaggio per le emittenti).

Infine - anche in questo caso in mancanza di disposizioni sul punto nella Direttiva (e, quindi, ancora una volta con forti perplessità in ordine al rispetto della delega) - il legislatore delegato ha fissato limiti di affollamento orario sensibilmente più bassi e decrescenti nel tempo (16% nel 2010, 14% nel 2011 e 12% a decorrere dal 2012) per le emittenti a pagamento. Si tratta di un intervento innovativo che ha avuto una vasta eco mediatica, visto che il capo del Governo che ha adottato il decreto in commento è anche il socio di riferimento del gruppo televisivo privato (Mediaset) che fattura di più nella raccolta pubblicitaria da pianificare sulle emittenti in chiaro e, quindi, del gruppo in grado di trarre maggiori vantaggi da eventuali vincoli alla raccolta pubblicitaria posti alle emittenti a pagamento, anche in considerazione della crescente competizione con il gruppo maggiormente attivo nell'offerta pay satellitare

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(Sky). E, sul punto, il fatto che la disciplina sugli affollamenti pubblicitari costituisca "un intervento in qualche modo `redistributivo' di risorse che non sono infinite e perciò ha un diretto impatto concorrenziale" (78), piuttosto che risultare tranquillizzante, finisce con l'accrescere nell'interprete le perplessità in merito alla legittimità ed alle reali finalità della disposizione.

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(1) Approvato con decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per commenti a detto Testo Unico, si v. O. Grandinetti, Il Testo Unico sulla radiotelevisione, in questa Rivista, 2006, 2, 121 ss.; A. Pace - M. Manetti, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in Commentario della Costituzione (fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso), Bologna-Roma, 2006; F. Bruno - G. Nava, Il nuovo ordinamento delle comunicazioni, Milano, 2006; AA.VV., La televisione digitale: temi e problemi (a cura di A. Frignani, E. Poddighe, V. Zeno - Zencovich), Milano, 2006; AA.VV., Percorsi di diritto dell'informazione, Torino, 2006; A. Chimenti, L'ordinamento radiotelevisivo italiano, Torino, 2007 ; G. Fares, L'apertura del mercato televisivo, Torino, 2008; G. Gardini, Le regole dell'informazione, Milano, 2009; P. Caretti, Diritto dell'informazione e della comunicazione, Bologna, 2009; R. Zaccaria - A. Valastro, Diritto dell'informazione e della comunicazione, Padova, 2010.

(2) In G.U.U.E., L 332 del 18 dicembre 2007 , 27 ss.

(3) Per un commento sistematico alla direttiva , v. R. Mastroianni, La direttiva sui servizi di media audiovisivi, Torino, 2009; P. Monteleone, La direttiva servizi di

media audiovisivi, in Dir. ind., 2009, 563 ss.; nonché gli atti del Convegno su "Il recepimento della direttiva Servizi media audiovisivi ed il futuro delle televisioni digitali", tenutosi il 17 marzo 2010 presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi Roma Tre, pubblicati in Dir. inf., 2010, 1 ss. e 185 ss.

(4) Relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi ( direttiva sui servizi di media audiovisivi) - versione codificata, pubblicata in G.U.U.E., L 95 del 15 aprile 2010, 1 ss.

(5) Restano pertanto esclusi dall'applicazione della Direttiva i servizi radiofonici (cons. 22) e le versioni elettroniche di quotidiani e riviste (cons. 21).

(6) Per l'analoga impostazione della nostra Corte costituzionale riguardo alla radiotelevisione, v. quantomeno le sentenze a partire da Corte cost n. 148/1981 sino a Corte cost. n. 466/2002.

(7) Anche se, secondo G.M. Roberti - V. Zeno-Zencovich, Linee guida del d.lgs. 15 marzo 2010 ("Decreto Romani"), in Dir. inf., 2010, 23, nell'articolato della Direttiva l'aspetto economico-concorrenziale fa premio sull'aspetto culturale-pluralistico.

(8) In tal senso anche R. Mastroianni, op. cit., 72, e G.M. Roberti -V. Zeno-Zencovich, op. cit., 12.

(9) Essi, pertanto, vanno ad aggiungersi a tutti gli altri tradizionali servizi audiovisivi che già venivano ricompresi nella nozione di " servizi radiotelevisivi" (cioè, secondo la nuova terminologia, "lineari") che vanno dalla free-tv (la televisione in chiaro) alla pay-tv, compresa quella particolare modalità di fruizione della pay-tv costituita dal near-video-on-demand. Solo il vero e proprio video-on-demand (che, com'è noto, consente all'utente di fruire del contenuto disponendo delle stesse funzioni di "play", "stop", "forward" e "rewind" disponibili con il videoregistratore) era già precedentemente escluso da tale nozione ed inquadrato tra i servizi della società dell'informazione (cons. 18 della direttiva 2000/31/Ce ).

(10) Per la verità alquanto generico.

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(11) I Capi II-bis, II-ter, II-quater, IV, V, e VI corrispondono, rispettivamente, agli attuali Capi III, IV, V, VII, VIII, IX del testo consolidato della direttiva 2010/13/Ue .

(12) Art. 16, c. 1 e 3, legge 3 maggio 2004, n. 112.

(13) La circostanza è stata sottolineata anche dal Presidente dell'Agcom nella Audizione tenutasi, presso l'VIII Commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato della Repubblica, il 26 gennaio 2010, leggibile sul sito www.agcom.it.

(14) Art. 1, c. 3, l. n. 88/2009.

(15) Cfr. art. 26 l. n. 88/2009.

(16) In merito all'incostituzionalità dell'introduzione di innovazioni sostanziali nell'esercizio di una c.d. delega di coordinamento (e persino delle c.d. deleghe di riordino, riassetto o di riesame), si v., tra le altre, Corte cost. n. 354/1998, Corte cost. n. 425/ 2007 , Corte cost. n. 170/ 2007

, Corte cost. n. 112/2008, Corte cost. n. 123/2009.

(17) Cfr. i pareri, di contenuto pressoché identico, resi il 4 febbraio 2010 sullo schema (atto Governo n. 169) dalle Commissioni VII e IX della Camera e dalla Commissione VIII del Senato.

(18) Sul punto si v., tra le altre, Corte cost. n. 173/1981 e Corte cost. n. 531/1985; in dottrina, F. Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, in G. santanielle (diretto da) Trattato di diritto amministrativo, Padova, 2004, vol. 35°, 137 e nt. 46.

(19) Sulla legittimità del non adeguamento, da parte del Governo, ai pareri delle commissioni parlamentari v. V. Cerulli Irelli, Legislazione delegata e delegificazione, in Atti del XV Convegno Annuale dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, Padova, Annuario 2000, 167, pur sussistendo - secondo F. Sorrentino, op. cit., 138 - l'obbligo del Governo di adeguatamente motivare. Va in ogni caso considerato che - come avverte G. Tarli Barbieri, La grande espansione della delegazione legislativa, in Le deleghe legislative (a cura di P. Caretti e A. Ruggeri), Milano, 2003 - dopo l'introduzione del divieto di modifica dello schema di d.lgs. da parte del Governo successivamente alla trasmissione dello schema alle Camere (divieto introdotto a partire dalla XIII legislatura), è sempre più spesso lo stesso Governo a sollecitare alle Commissioni parlamentari la richiesta di modifiche in realtà "maturate" all'interno dell'Esecutivo in un momento successivo a quello della presentazione dello schema alle Camere.

(20) Decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.

(21) Sul punto, per brevità, si rinvia a O. Grandinetti, op. cit..

(22) Diversamente da quanto affermato da G.M. Roberti - V. Zeno-Zencovich, op. cit., 23, secondo i quali il Decreto Romani, "fatti salvi i necessari aggiustamenti lessicali, [ha] lasciato il previgente regime [della tutela del pluralismo e della concorrenza], nella sostanza, invariato".

(23) Sulle perplessità suscitate, anche in precedenza, da tale qualificazione si v. O. Grandinetti, Par condicio e programmi di informazione, in questa Rivista, 2008, 1157 ss; e G. Gardini, Le regole dell'informazione, Milano, 2009, 298.

(24) Inteso come la persona fisica o giuridica cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta dei contenuti e che ne determina le modalità di organizzazione, per tutti gli Sma, sia lineari che non lineari.

(25) Testualmente: una serie di immagini animate, sonore o non, che costituiscono un singolo elemento nell'ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di

media , la cui forma ed il cui contenuto sono comparabili alla forma ed al contenuto della

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radiodiffusione televisiva. Non si considerano programmi le trasmissioni meramente ripetitive o consistenti in immagini fisse (art. 2, lett. e).

(26) Si v. il combinato disposto delle lett. e), g) ed h) dell'art. 2 Tusmar.

(27) Citata Audizione tenutasi, presso l'VIII Commissione Lavori pubblici e Trasporti, il 26 gennaio 2010, 5 e 7.

(28) V. Audizione citata nella precedente nota.

(29) L'inciso "compresa la pay per view", originariamente inserito nella lett. h) dell'art. 2 del Testo Unico della radiotelevisione, era stato dapprima soppresso dall'originario schema di decreto approvato dal Governo, ma è stato poi reinserito in accoglimento del parere reso dalle commissioni parlamentari.

(30) In proposito, può aggiungersi anche la constatazione che l'estensione alla pay per view degli obblighi applicabili ai fornitori di Sma, come nel caso delle produzioni audiovisive europee (art. 44), è stata oggetto di apposita ed espressa previsione.

(31) V. il d.m. (Ministero Beni ed Attività Culturali) 10 dicembre 2009, in materia di determinazione del compenso per copia privata di fonogrammi e videogrammi, ai sensi dell'art. 71-septies l. n. 633/1941.

(32) V. l'ormai famoso procedimento penale svoltosi contro alcuni dirigenti di Google Italy su denuncia dell'Associazione "Vivi Down", poi conclusosi con la condanna degli stessi dirigenti (sent. Trib. pen. Milano, n. 1972/2010 del 24 febbraio 2010).

(33) In argomento, possono comunque leggersi le equilibrate riflessioni svolte dal Presidente dell'Autorità nella citata Audizione del 26 gennaio 2010, 8 ss.

(34) Sul punto, si vedano ad es. i contributi raccolti nel volume collettaneo Il nuovo governo delle comunicazioni elettroniche (a cura di G. della Cananea), Torino, 2005.

(35) Per la verità, il testo del considerando (47) della originaria proposta di direttiva COM(2005) 646 def., corrispondente all'attuale considerando ( 65 ) della Direttiva , era ancora più incisivo (richiedendo che le autorità di regolamentazione dovessero essere indipendenti anche dai governi nazionali) ed è stato poi ridimensionato in sede di approvazione finale soprattutto su richiesta della Germania. È invece rimasto il riferimento all'indipendenza, all'imparzialità ed alla trasparenza, nonché al fine della promozione del pluralismo.

(36) V. ora l'art. 30 della direttiva 2010/13/Ue .

(37) Citata Audizione del Presidente dell'Autorità, 2 e 6.

(38) Competenza transitata dal Ministero all'Autorità dopo le polemiche sorte riguardo ad internet, di cui si è già dato conto nel testo. Ai sensi dell'art. 21-bis del Tusmar, viene altresì escluso che il rilascio del titolo possa essere condizionato da considerazioni relative al contenuto dei programmi.

(39) Dovrebbero invece pacificamente rientrare nella competenza dell'Autorità gli Sma lineari diffusi su reti di telefonia mobile, non trattandosi ovviamente di "cavi".

(40) E ciò, non soltanto ove detta riserva sia considerata assoluta ai sensi dell'art. 21 Cost., così come ben potrebbe sostenersi tenendo conto che gli Sma rappresentano pur sempre forme di manifestazione del pensiero (sulla natura assoluta della riserva di legge in materia di contenuti televisivi v. Corte cost. n. 112/1993), ma anche ove si configuri la riserva come relativa, ai sensi dell'art. 41 Cost.

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(41) Cfr. l'intitolazione del Capo I del Titolo IV; in realtà, almeno il diritto di rettifica disciplinato dall'art. 32-quinquies (inserito in detto Capo) si applica solo agli Sma lineari.

(42) Si vedano gli artt. 3-bis, 3-ter e 3-quater della Direttiva .

(43) Delibera Agcom n. 122/10/CONS del 16 aprile 2010, con la quale l'Autorità ha avviato una consultazione pubblica sull'adozione del piano e del regolamento relativi all'Lcn.

(44) Segnalazione AS 661 "Ordinamento automatico dei canali televisivi", del 1° febbraio 2009.

(45) Corte cost. n. 466/2002.

(46) Corte di giustizia delle Comunità Europee, 31 gennaio 2008, C-380/05, caso "Centro Europa 7".

(47) Delibera Agcom n. 366/10/CONS dell'8-15 luglio 2010.

(48) Piuttosto che, ad es., a tre cifre (101, 102, etc.), come proposto da alcuni operatori in sede di consultazione pubblica.

(49) Sul punto, si v. anche A. Frignani, L'affollamento pubblicitario, in Dir. inf., 2010, 31-32, e G. Fares, La tutela degli utenti, ivi, 199 ss. (211).

(50) Artt. 5-9 d.P.R. 27 marzo 1992, n. 255.

(51) Per un inquadramento della problematica della tutela dei minori nel Testo Unico, v. L. Musselli, Televisione e minori, in Dir. inf., 2010, 53 ss.

(52) Nello stesso senso, L. Musselli, op. cit., 62 ss.; S. Boccalatte, I servizi audiovisivi per "adulti". Brevi osservazioni tra tutela dei minori e libertà di manifestazione del pensiero, in Dir. inf., 2010, 65 ss.

(53) In base alla classificazione adottata da ciascun fornitore di Sma sulla base dei criteri proposti dal Comitato Media e minori, d'intesa con l'Autorità, e approvati con decreto dal Ministero. L'art. 34, c. 1, fa puntuale riferimento a contenuti che presentino scene di violenza gratuita, insistita o efferata, ovvero pornografiche.

(54) Come ricorda il considerando (36) della Direttiva - mentre l'"autoregolamentazione" costituisce un'iniziativa volontaria che permette agli operatori economici, alle parti sociali, alle organizzazioni non governative di adottare fra di loro e per se stessi orientamenti comuni - la "co-regolamentazione", nella sua forma minima, fornisce un collegamento giuridico tra l'autoregolamentazione e il legislatore nazionale, consentendo però l'intervento statale qualora gli obiettivi di interesse generale da tutelare non siano conseguiti.

(55) Che, in questo caso, potrebbe consistere in un "sistema di controllo specifico e selettivo", visto che la condizione aggiuntiva che detto sistema altresì "vincoli alla introduzione del sistema di protezione" sembra essere richiesta dal c. 1 dell'art. 34 solo per l'offerta di programmi per adulti (categoria nella quale non possono ovviamente rientrare i film vietati ai minori di anni 14).

(56) Per analoghe valutazioni, v. S. Boccalatte, op. cit., 70, nota 7.

(57) Visto che tali requisiti sono richiesti per le "trasmissioni che, anche in relazione all'orario di trasmissione, possano nuocere gravemente" allo sviluppo dei minori.

(58) Che, invero, appaiono ontologicamente inconciliabili con le disposizioni contenute nel Codice Media e minori.

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(59) In materia si v. l'indagine conoscitiva svolta dall'Agcom su "Il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica", leggibile sul sito www.agcom.it; nonché A. Musso, Il rispetto dei diritti d'autore e connessi nell'attuazione italiana della direttiva n. 2007 / 65 /Ce , in Dir. inf., 2010, 215 ss., ed ivi ulteriori citazioni.

(60) Si v., ad es., ord. Trib. Civ. Roma, sez. IX, ord. 16 dicembre 2009, confermata in sede di reclamo da Trib. Civ. Roma, ord. 11 febbraio 2010, in Dir. inf., 2010, 268 ss., con nota di L. Guidobaldi, relative alla nota controversia tra RTI e You Tube e Google, per l'utilizzo non autorizzato di immagini tratte dalla decima edizione del programma "Il Grande Fratello".

(61) In tal senso, v. anche A. Musso, op. cit., 217 (e nota 5), 221, 222 (e nota 24).

(62) A. Musso, op. cit., 221.

(63) Poste, tra l'altro, a tutela del diritto all'informazione dei cittadini UE, come sottolinea C. Pinelli, I brevi estratti di cronaca, Dir. inf., 2010, 45 ss, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti.

(64) Sul punto, v. R. Mastroianni, op. cit., 99 ss.

(65) Cfr. anche il considerando (10) della Direttiva , nonché P. Sammarco, La produzione audiovisiva europea, in Dir. inf., 2010, 243 ss. (spec. 248 ss.).

(66) Infatti, la definizione della sub-quota degli introiti da destinare ai film di espressione originale italiana è stata affidata, per le emittenti diverse dalla Rai, ad un decreto interministeriale (art. 44, c. 3), per giunta, venendo così a proporsi anche in questo campo, per la prima volta, la "diarchia" tra Ministero ed Agcom (si v. le osservazioni critiche svolte sul punto dal Presidente dell'Autorità nella citata Audizione del 26 gennaio 2010).

(67) Intesa come "immagini, siano esse sonore o non, che sono destinate a promuovere, direttamente o indirettamente, le merci, i servizi o l'immagine di una persona fisica o giuridica che esercita un'attività economica e comprendenti la pubblicità televisiva, la sponsorizzazione, la televendita, l'inserimento di prodotti. Tali immagini accompagnano o sono inserite in un programma dietro pagamento o altro compenso o a fini di autopromozione" (art. 2, lett. dd).

(68) In argomento, si v. R. Mastroianni, op. cit., 68 ss. e 102 ss.

(69) Relativa a determinati aspetti delle disposizioni della direttiva "TV senza frontiere" riguardanti la pubblicità, in G.U.U.E. C 102 del 28 aprile 2004, 2; v. anche il considerando (54) della Direttiva .

(70) Ad es., i videoregistratori digitali personali (PVR) che consentono allo spettatore di evitare le interruzioni pubblicitarie.

(71) Cfr. il considerando (52) e l'art. 3-sexies della Direttiva .

(72) P. Monteleone, op. cit..

(73) In questo senso anche R. Razzante, Il product placement, Dir. inf., 2010, 33 ss. (spec. 42).

(74) Invece, in caso di product placement in opere cinematografiche prodotte o commissionate da terzi, sono costoro a dover assolvere gli obblighi di cui al d.lgs. n. 28/2004.

(75) Art. 26, lett. b), l. n. 88/2009.

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(76) Intesa come ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un'impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell'ambito di un'attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi , compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni (art. 2, lett. ee).

(77) Considerando (59) della Direttiva.

(78) In tal senso, v. A. Frignani, op. cit., 31, il quale sembrerebbe voler giustificare l'intervento del legislatore delegato nell'ottica della tutela contrattuale dell'utente della pay-tv, pur notando più sopra che "con le nuove tecnologie e soprattutto con l'aumento del numero dei canali, fra i quali far cadere la sua scelta, [l'utente] può oggi facilmente evitare di essere esposto senza volere ad una pubblicità non gradita", il che però sembrerebbe valere anche per la pay-tv.

MEDIA E AUDIOVISIVI: NOVITA' DALL'ULTIMA DIRETTIVA EUROPEA

Carraro Wanya

D.Lgs. 15-03-2010, n. 44

Dir. 11-12- 2007 , n. 2007 / 65 /CE

FONTEDir. Industriale, 2010, 5, 479

 

Sommario: Lo spirito del Decreto Romani: cenni sull'evoluzione normativa - Ambito di applicazione - Alcuni aspetti rilevanti del D.Lgs. n. 44/2010 - La comunicazione commerciale audiovisiva - Le "quote europee" - Il ruolo dell'Agcom in materia audiovisiva secondo il Decreto Romani - Conclusioni

Lo spirito del Decreto Romani: cenni sull'evoluzione normativa

Il nuovo diritto sui media audiovisivi (1) è disciplinato, in ambito comunitario, dalla nota Direttiva 2007 / 65 /CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2007 , c.d.

Direttiva dei " servizi di media audiovisivi", il cui recepimento in Italia è avvenuto di recente con il c.d. Decreto Romani. Il 30 marzo 2010 è, infatti, entrato in vigore il D.Lgs. n. 44/2010, recante l'attuazione della Direttiva 2007 / 65 con la quale, nell'ottica di una armonizzazione di massima, si è inteso adeguare la disciplina comunitaria sulla radiotelevisione al progresso tecnologico ed ai cambiamenti in corso nel mercato audiovisivo (2).

Come noto, la disciplina che ha regolamentato il sistema radiotelevisivo pubblico e privato in Italia nell'ultimo quinquennio è dettata dal Testo Unico della radiotelevisione, D.Lgs. n. 177 del 31 luglio 2005, la cui versione originaria recepiva la Direttiva europea c.d. "televisione senza frontiere" (3). Con il Testo Unico si era provveduto al coordinamento, alla semplificazione e all'armonizzazione delle norme allora vigenti, tenuto conto che lo stesso è intervenuto in una materia che aveva subìto in circa trent'anni profondi cambiamenti, non solo legislativi.

Con la Direttiva dei " servizi di media audiovisivi", che modifica la Direttiva "televisione senza frontiere", l'Europa si è posta l'obiettivo di istituire un quadro normativo moderno, flessibile e semplificato rispetto alla precedente disciplina, mirando ad evitare distorsioni nel mercato dei contenuti multimediali. Si è inteso, pertanto, armonizzare a livello comunitario l'attività del settore radiotelevisivo adeguandolo allo sviluppo tecnologico (caratterizzato dalla convergenza tra telecomunicazioni, media e tecnologia dell'informazione) e di mercato, tenendo anche conto delle novità introdotte sul piano normativo dalle direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche. Muovendo da tale

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spirito, il legislatore comunitario ha previsto una revisione della direttiva "tv senza frontiere" basata su una nuova definizione dei servizi di media audiovisivi, distinguendo tra servizi lineari (quelli tradizionali) e non lineari (quelli a richiesta), prevedendo, peraltro, una semplificazione della regolamentazione, in particolare nel settore pubblicitario e della comunicazione commerciale, con lo scopo, inoltre, di adottare per gli utenti, e in modo particolare per i minori, maggiori garanzie.

Il sistema che emerge dalla Direttiva è un sistema che si base in primo luogo su una qualifica dell'attività televisiva come attività di servizi ( servizi media audiovisivi, appunto) e, in secondo luogo, che equipara l'attività di tutti i servizi audiovisivi indipendentemente dalle piattaforme che li veicolano. La conseguenza è dunque quella di un'unica disciplina, amministrativa e contenutistica, che dovrebbe ridurre al massimo le disparità fra piattaforme e fornire, al tempo stesso, solide ragioni alle eventuali differenziazioni.

In sede di adeguamento all'attuale quadro normativo comunitario in materia di attività radiotelevisive, il legislatore nazionale ha delegato il Governo a dare attuazione alla Direttiva dei " servizi di media audiovisivi", mediante opportune modifiche al Testo Unico della radiotelevisione ed ha dettando alcuni criteri da seguire (4).

 

Ambito di applicazione

Il provvedimento che recepisce la direttiva europea sugli audiovisivi prevede una revisione del Testo Unico della radiotelevisione basata su una nuova definizione dei " servizi di media audiovisivo", intesi come quei servizi la cui finalità principale è la fornitura di programmi, al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico attraverso le reti di comunicazione elettroniche. Viene data una definizione più ampia di tali servizi (art. 4), ricomprendendovi non solo i servizi di radiodiffusione televisiva tradizionali, ma anche quelli a richiesta, quando intesi come mezzi di comunicazione di massa, compiendo pertanto una distinzione tra servizi "lineari" e servizi "non lineari". (5) I servizi a richiesta si differenziano dalle emissioni televisive lineari per quanto riguarda la possibilità di scelta e il controllo che il telespettatore può esercitare. Lo spettatore in questo caso non è utente passivo ma può interagire con il programma effettuando delle scelte (il che giustifica l'impostazione di una regolamentazione più leggera sugli stessi servizi , che dovrebbero rispettare solamente le norme di base del nuovo Decreto).

La definizione di servizi media audiovisivi dettata dal Decreto Romani è, peraltro, più ampia e specifica rispetto a quella prevista nell'art. 1, comma 2, della Direttiva europea in quanto vi fa rientrare esplicitamente "la trasmissione continua in diretta quale il live streaming, la trasmissione televisiva su Internet quale il web casting e il video quasi su domanda quale il near video on demand" (6), escludendo, inoltre, esplicitamente dalla definizione di " servizi

media audiovisivo" e, quindi, dall'ambito di applicazione del TU della radiotelevisione, una serie di servizi prestati principalmente all'interno di attività "non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva" tra i quali "i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell'ambito di comunità di interesse ". (7)

Si chiarifica, quindi, il settore che il Decreto Romani si prefigge di regolamentare, prevedendo un elenco dettagliato delle attività escluse (quali, ad esempio, i siti Internet tradizionali, i blog, i motori di ricerca, le versioni elettroniche di quotidiani e riviste e i giochi on-line). In pratica, chi diffonde su Internet veri e propri servizi di media lineari (cioè veri e propri palinsesti) con sfruttamento economico delle immagini (live streaming, web tv e Iptv), deve uniformarsi alle stesse regole delle televisioni in generale.

La nuova disciplina, inoltre, estende a tutti i servizi di media audiovisivi il principio del Paese di origine, al fine di assicurare la libera circolazione dell'informazione e dei programmi audiovisivi nel mercato interno. I fornitori di servizi , pertanto, sono tenuti a rispettare esclusivamente le disposizioni giuridiche in vigore nel loro Paese di stabilimento.

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In materia di trasmissioni transfrontaliere poi, l'art. 2, comma 4 del decreto legislativo, riflette correttamente i criteri della Direttiva per l'individuazione della giurisdizione degli Stati membri sulle emittenti extra-comunitarie che ne utilizzino servizi di up-link satellitare o di fornitura di capacità satellitare.

 

Alcuni aspetti rilevanti del D.Lgs. n. 44/2010

In base a questa differenziazione tra servizi lineari e non lineari, la nuova disciplina ammoderna e semplifica il quadro normativo per i servizi lineari e introduce norme minime per i servizi a richiesta (i cosiddetti servizi non lineari), in precedenza privi di specifica regolamentazione.

Vengono, pertanto, estese alcune norme comuni a tutti i servizi di media audiovisivi (art. 5) in materia di tutela degli utenti, e in modo particolare dei minori, in tema di prevenzione dell'odio razziale e rispetto della dignità umana, nonché di divieto della pubblicità clandestina e subliminale.

 

a) Protezione della proprietà intellettuale anche on-line

La possibilità di distribuire e scambiare contenuti attraverso nuovi canali digitali offre a chiunque l'opportunità di esaltare la creatività, consentendo di diffondere sul web opere d'ingegno. Tuttavia, le possibilità offerte dalla tecnologia pongono il rischio che si vanifichi la tutela del diritto d'autore (e quindi la remunerazione dei prodotti dell'ingegno), in quanto l'abuso di scaricare da Internet prodotti audio, audiovisivi e letterari è difficilmente reprimibile.

In tema di responsabilità sui contenuti on-line, la Direttiva sul commercio elettronico (2000/31/CE) esonera da responsabilità diretta il gestore della piattaforma web, per il contenuto generato da terzi. In altri termini, i fornitori d'infrastruttura e i fornitori d'accesso, in base a tale Direttiva , non possono essere ritenuti responsabili delle informazioni trasmesse, purché non diano origine alla trasmissione o al contenuto delle informazioni stesse. Pertanto, responsabili dei contenuti, e quindi vincolati al rispetto delle norme in materia d'autore, restano coloro che li inseriscono nel sito web.

Con l'art. 6 del decreto legislativo (che aggiunge l'art. 32-bis al Testo Unico della radiotelevisione) si è, però, dettata una disciplina specifica a tutela della proprietà intellettuale. I fornitori di servizi di media audiovisivi, infatti, devono assicurare il pieno rispetto dei princìpi e dei diritti previsti dalla legge sul diritto d'autore (L. n. 633/41 e successive modifiche), indipendentemente dalla piattaforma utilizzata per la trasmissione di contenuti audiovisivi, e devono operare nel pieno rispetto dei diritti d'autore e di quelli connessi.

Tale previsione comporta, alla luce della definizione di servizi di media audiovisivi, l'estensione degli obblighi contenuti nell'art. 6 anche a tutti i servizi di diffusione continua in diretta o live streaming, alle trasmissioni televisive su Internet o webcasting ed al video quasi su domanda o near video on demand veicolati mediante siti Internet, compreso l'obbligo di astenersi dal trasmettere programmi oggetto di diritti di proprietà intellettuale di terzi.

Viene anche chiamata l'AGcom a disporre regolamenti atti ad impedire la pubblicazione di contenuti audiovisivi di proprietà intellettuale di terzi.

Inoltre, in base all'art. 3, comma 8, in materia di trasmissioni transfrontaliere, viene riconosciuto all'AGcom il potere di sospendere la ricezione o ritrasmissione di servizi media audiovisivi e, quindi anche di quelli veicolati via web, in ipotesi di violazione dei princìpi fondamentali del sistema dei media audiovisivi, tra i quali quelli relativi alla protezione della proprietà intellettuale.

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L'AGcom, in forza di quanto disposto, per ottenere il rispetto di tali provvedimenti, può ordinare "al fornitore di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato o all'operatore di rete o di servizi sulla cui piattaforma o infrastruttura sono veicolati programmi, di adottare ogni misura necessaria ad inibire la diffusione di tali programmi o cataloghi al pubblico italiano" con facoltà di applicare, in caso di mancato adempimento di tale ordine, sanzioni amministrative che possono arrivare sino a 150.000 euro.

 

b) Eventi di particolare rilevanza e brevi estratti di cronaca

Gli artt. 7 e 8 del Decreto di recepimento introducono al TU della radiotelevisione due nuovi articoli, il 32-ter e il 32-quater, in base ai quali si stabilisce, da un lato che l'AGcom compili, con propria deliberazione, una lista degli eventi considerati di particolare rilevanza, per i quali deve essere assicurata la diffusione in chiaro. Dall'altro lato si attribuisce all'AGcom il compito di disciplinare la trasmissione da parte di un'emittente di estratti di eventi di grande interesse pubblico già trasmessi in via esclusiva da un'altra emittente televisiva. In particolare, il comma 1 dell'art. 32-quater affida la definizione delle modalità di realizzazione dei brevi estratti di cronaca ad un regolamento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

 

c) Tutela dei minori

Il decreto legislativo di recepimento contiene al suo art. 9 alcune importanti indicazioni di carattere operativo volte ad accrescere il grado di tutela dei minori. Vengono, infatti, recepite le condizioni previste dalla Direttiva europea che rafforzano la tutela dei minori - inequivocabilmente estesa a tutte le piattaforme di trasmissione - sottolineando pertanto l'importanza della protezione dei minori. Il legislatore comunitario, infatti, in tema di minori ha un approccio orientato ad una particolare protezione degli stessi in quanto li vede come soggetti deboli, non in grado di filtrare i contenuti dei messaggi, poiché non dispongono degli strumenti critici sufficienti a comprendere ed eventualmente a rifiutare i comunicati mediatici (8).

Per una maggiore tutela dei minori, sono previste, pertanto, apposite misure volte ad evitare che gli stessi possano assistere a trasmissioni che si caratterizzano per la presenza di contenuti nocivi, come prevedere l'adozione di idoneo segnale acustico o simbolo visivo che precede programmi che possono nuocere allo sviluppo dei minori.

Sono, inoltre, poste limitazioni per i programmi a carattere pornografico o violenti, e ad ogni altro programma in grado di nuocere ai minori, tranne nel caso in cui la trasmissione sia ad accesso condizionato, oggetto pertanto di misure tecniche di protezione, o se rientra in un'opportuna fascia oraria.

 

d) Le nuove regole sulla pubblicità

In ordine alla disciplina sulla pubblicità, definita agli articoli 10 (comunicazioni commerciali), 11 (interruzioni pubblicitarie) e 12 (limiti di affollamento) del Decreto di attuazione, il Governo, in assenza di specifici criteri direttivi nella legge delega, rifacendosi alla potestà riconosciuta dall'art. 3 della Direttiva agli Stati membri di adottare norme più particolareggiate o più rigorose, ha effettuato la scelta di mantenere sostanzialmente inalterato il quadro vigente per la televisione in chiaro e di prevedere tetti più restrittivi per la pubblicità sulle emittenti a pagamento (9). Vengono, in ogni caso, modernizzate e semplificate, rendendole più flessibili, le norme per l'inserimento della pubblicità nei servizi lineari e viene incoraggiata l'autoregolamentazione (10).

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La comunicazione commerciale audiovisiva

Il decreto introduce, in aggiunta alla definizione tradizionale di pubblicità televisiva e di televendita, una definizione più ampia di comunicazione commerciale audiovisiva facendovi rientrare tra le diverse forme anche le sponsorizzazioni, le televendite e gli inserimenti di prodotti.

Vengono fatte rientrare, in definitiva, tutte quelle immagini (sonore e non) destinate a promuovere direttamente o indirettamente merci, servizi o immagini di soggetti che esercitano un'attività economica. Tali immagini accompagnano o sono inserite in un programma dietro pagamento o altro compenso o a fini di autopromozione (art. 4, lett. dd)), da una impresa pubblica o privata, o anche da una persona fisica (11).

 

a) Le interruzioni pubblicitarie

Quanto alle interruzioni pubblicitarie (art. 11 che sostituisce art. 37 TU), il Decreto Romani riflette i criteri della Direttiva facendo venir meno la regola dei cosiddetti "20 minuti" (12) e confermando che gli spot isolati restano eccezioni, salvo se inseriti in eventi sportivi.

Con il decreto di recepimento, pertanto, il Governo decide di semplificare le regole sulle inserzioni concedendo alle emittenti la possibilità di scegliere il momento più adeguato per l'inserimento di messaggi pubblicitari all'interno delle trasmissioni eliminando l'obbligo di prevedere intervalli di almeno venti minuti tra le interruzioni pubblicitarie inserite in un medesimo programma. È fatta eccezione per alcune particolari categorie di programmi, come i notiziari, le opere cinematografiche o i programmi di attualità, per i quali permane un limite temporale da osservare. In questi casi, infatti, il Decreto prevede la possibilità di interrompere tali programmi una sola volta per ogni periodo programmato di almeno trenta minuti. I programmi per bambini, poi, possono essere interrotti una sola volta per ogni periodo programmato di trenta minuti, ma solamente se la durata programmata della trasmissione sia superiore a trenta minuti. Per durata programmata si intende il tempo di trasmissione compreso tra l'inizio della sigla di apertura e la fine della sigla di chiusura del programma, al lordo della pubblicità inserita, come previsto nella programmazione del palinsesto (art. 11, comma 7) (13).

Le ragioni che hanno indotto a suo tempo il legislatore comunitario ad operare tali semplificazioni si ravvisano dalla lettura di due paragrafi dei Considerando n. 55 e n. 57 (14), in base ai quali, da un lato, si ritiene che l'utente sia oggi più consapevole rispetto al passato e che non sia più un utente sprovveduto, pertanto gli si attribuisce una maggiore responsabilità. Dall'altro lato, la tecnologia e l'aumento di offerta dei canali non giustificherebbe più il mantenimento di una normativa dettagliata. In definitiva, il legislatore comunitario ha introdotto questa nuova disciplina muovendo dal presupposto che i telespettatori siano ormai maturi e capaci di effettuare le proprie scelte, anche in ragione della pluralità dei programmi offerti e quindi non più bisognosi di una regolamentazione rigida che li tuteli di fronte ai messaggi pubblicitari.

 

b) L'affollamento pubblicitario

In tema di limiti di affollamento pubblicitario (art. 12 che sostituisce l'art. 38 del Testo unico), il cd. "decreto Romani" prevede, invece, limiti più stringenti rispetto a quelli dettati dalla Direttiva media audiovisivi. In tema di limiti di affollamento pubblicitario per le televisioni in chiaro, infatti, questi sono rimasti pressoché invariati rispetto alla disciplina precedente (15). La Direttiva , invece, prevedeva l'abolizione del tetto orario giornaliero fissato in precedenza per le inserzioni pubblicitarie e gli spot di televendita in relazione al

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tempo complessivo di trasmissione di una emittente, mentre lasciava inalterata la quantità massima di spot pubblicitari e di televendita consentiti in un'ora (per un massimo di 12 minuti).

Il decreto legislativo conferma, invece, il limite giornaliero e orario per le televisioni in chiaro, ricalcando fedelmente la precedente disciplina, e introduce un nuovo limite orario per le televisioni a pagamento, mediante la previsione di un piano di riduzione progressiva in tre anni del tetto orario di affollamento della pubblicità, che passa dal 18% al 12% (16).

Il decreto legislativo, come peraltro già previsto dalla Direttiva ) esclude dal calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario gli annunci delle emittenti relativi a propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, le c.d. autopromozioni (17), le sponsorizzazioni, il product placement (art. 12, comma 13) e le finestre di televendita, purché di durata ininterrotta superiore a 15 minuti (art. 14) (18).

 

c) Le sponsorizzazioni

In tema di sponsorizzazioni (art. 13) pur ribadendo il divieto di sponsorizzare servizi di media audiovisivi o di programmi mediante promozione di specifici medicinali o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione medica, il comma 3 consente la sponsorizzazione da parte di imprese le cui attività comprendano la produzione o la vendita di medicinali e di cure mediche mediante promozione del solo nome o dell'immagine dell'impresa. Si tratta di una disposizione interessante che recepisce quanto già previsto dalla

Direttiva europea, la quale, peraltro, consente agli Stati membri di vietare o meno di mostrare il logo di una sponsorizzazione durante i programmi per bambini, i documentari e i programmi religiosi. Il nostro Governo ha scelto di vietare tali inserimenti (art. 13, comma 6).

 

d) L'inserimento di prodotti

È opinione diffusa in dottrina che il product placement possa costituire una forma di pubblicità occulta (19) violando il principio della trasparenza richiesto dalla legge e dal codice di autodisciplina della comunicazione pubblicitaria (20). L'inserimento di prodotti all'interno di programmi viene, pertanto, considerato una forma di pubblicità non trasparente (21) e particolarmente invasiva anche se fonte di finanziamento importante soprattutto per la realizzazione di opere cinematografiche.

Ora però viene emanato un chiaro quadro regolamentare per l'inserimento di prodotti nei programmi per meglio tutelare i consumatori (art. 15 che inserisce un nuovo art. 40-bis TU). Si autorizzano di fatto le emittenti televisive a scegliere liberamente la collocazione di messaggi pubblicitari all'interno dei programmi purché non ne venga pregiudicata l'integrità e a determinate condizioni. La direttiva n. 2007 / 65 , aggiungendo l'art. 3 octies alla direttiva n. 89/552, ammette l'inserimento di prodotti, purché a) la programmazione e il contenuto dei programmi non ne siano influenzati; b) non incoraggino l'acquisto; c) non diano loro indebito rilievo; d) i telespettatori ne siano debitamente informati all'inizio ed alla fine del programma e dopo ogni interruzione pubblicitaria. (22)

Sebbene la legge delega (art. 26, legge n. 88/2009) disponga che la materia venga disciplinata nel rispetto di tutte le condizioni e i divieti previsti dal citato art. 3 octies della Direttiva , il decreto di recepimento limita l'inserimento di prodotti nel caso di forniture gratuite di beni o servizi ad alcune categorie di programmi (quali opere cinematografiche, film e serie per la televisione, programmi sportivi e programmi di intrattenimento leggero). L'art. 3 octies della Direttiva infatti consente l'inserimento di prodotti in una serie di programmi, con esclusione di quelli per bambini, quali le opere cinematografiche, i film e serie per la televisione, i programmi sportivi e i programmi di intrattenimento leggero e in tutti quei programmi in cui determinati beni o servizi sono forniti gratuitamente come aiuti alla produzione.

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L'art. 26 della legge Comunitaria, pone anche dei criteri in tema di sanzioni da applicare nel caso di violazioni. Per le violazioni delle condizioni e dei divieti in tema di inserimento di prodotti è prevista la sanzione amministrativa da euro 10.329 ad euro 258.228 (art. 51, comma 1, lett. c. e comma 2, lettera a. del TU radiotelevisione). Nel caso di violazione del divieto di inserire prodotti in programmi per bambini si applica una sanzione amministrativa maggiore che va da euro 25.000 ad euro 350.000 e, nei casi più gravi, la sospensione dell'efficacia della concessione da tre a trenta giorni (art. 35, comma 2, TU radiotelevisione).

 

Le "quote europee"

In materia di produzione audiovisiva europea - tema estremamente importante in quanto il finanziamento delle produzioni si appoggia in modo rilevante sull'apporto dei broadcaster -, la disciplina prevede un obbligo di investimento del 10% (calcolato sugli introiti annui netti delle emittenti), in favore delle opere europee realizzate da produttori indipendenti.

Viene mantenuto il principio delle sottoquote in favore della cinematografia italiana, ancorché non predeterminate, ma da individuarsi nell'ambito di un regolamento ministeriale da emanarsi entro 9 mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo. Nessuna nuova norma viene dettata per le quote di investimento e trasmissione di film e serie per la televisione.

 

Il ruolo dell'Agcom in materia audiovisiva secondo il Decreto Romani

Il decreto legislativo attribuisce all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni una serie di compiti ed attività di vigilanza e sanzionatorie. Di seguito se ne evidenziano alcuni (23).

In caso di trasmissione transfrontaliera di contenuti suscettibili di ledere i princìpi fondamentali posti dalla Direttiva , quali la tutela dei minori e della dignità umana, provenienti da Stati soggetti alla giurisdizione italiana o i cui contenuti sono ricevuti direttamente o indirettamente dal pubblico italiano, all'Autorità viene conferito il potere di disporre la sospensione provvisoria della ricezione di tali trasmissioni secondo una articolata procedura indicata nell'art. 3 e, nei casi di inosservanza, può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria che può arrivare sino a 150.000 euro.

In materia di tutela dei minori il Decreto affida all'Autorità (art. 9, comma 5) il compito di adottare, con procedure di co-regolamentazione, la disciplina di dettaglio contenente l'indicazione degli accorgimenti tecnici idonei ad escludere che i minori vedano programmi classificabili a visione solo per adulti, o film, anche a pagamento, vietati ai minori di anni 18 (ciò anche sulla base del Considerando 45 della Direttiva che individua tra le misure da adottare per la tutela dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minori, l'uso di numeri di identificazione personale (PIN) e sistemi di filtraggio e identificazione). Viene affidata, inoltre, al Comitato di applicazione del Codice media e minori d'intesa con l'Autorità, e con approvazione mediante decreto ministeriale, il compito di proporre criteri per il sistema di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato che ciascun fornitore di servizi è tenuto ad adottare.

In tema di product placement gli operatori pubblicitari interessati adottano una procedura di autoregolamentazione che disciplina le modalità di applicazione dell'inserimento di prodotti che devono comunicare all'Agcom, la quale ha il compito di verificarne l'attuazione (art. 15).

Compito dell'Autorità è anche quello di adottare, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre in chiaro e a pagamento (art. 5, comma 2) e stabilire con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri che vengono poi attribuite a ciascun canale dal Ministero competente (24). Inoltre, in base all'art. 6, comma 3, l'Autorità emana le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l'osservanza dei limiti e dei divieti in

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tema di protezione del diritto d'autore (25) e, in base agli artt. 7 e 8, predispone una lista degli eventi considerati di particolare rilevanza ed emana un regolamento con il quale definire le modalità di realizzazione di brevi estratti di cronaca.

 

Conclusioni

Con il Decreto Romani viene prevista una protezione della proprietà intellettuale anche on-line ed una maggiore tutela degli utenti, con particolare riferimento ai minori. Viene, altresì, prevista una maggiore tutela della libertà d'impresa e di espressione, in un giusto equilibrio tra il bisogno dell'impresa di far conoscere il proprio marchio ed i propri prodotti, da una parte, e la necessità di garantire una informazione corretta e non ingannevole al consumatore ed in particolare ai minori, nella consapevolezza della evoluzione tecnologica e di mercato propria di questi tempi.

In assenza di specifici criteri direttivi nella legge delega - ad eccezione dell'inserimento di prodotti - il provvedimento di recepimento, rifacendosi alla potestà riconosciuta agli Stati dall'art. 3 della Direttiva di adottare norme più particolareggiate o più rigorose, ha effettuato alcune scelte difformi rispetto al testo della Direttiva .

Ad esempio, quanto alla disciplina degli affollamenti pubblicitari, il Decreto Romani è andato oltre la previsione della Direttiva , operando una distinzione tra pay tv e televisione in chiaro. Per quanto concerne gli affollamenti pubblicitari orari in capo alle televisioni nazionali, infatti, la Direttiva non fornisce alcuna indicazione riguardo alla distinzione tra emittenti free ed emittenti pay. Il Decreto, invece, interviene in materia lasciando inalterati i limiti stabiliti per la televisione in chiaro e prevedendo invece tetti più restrittivi (attraverso un meccanismo a decalage progressivo nell'arco di un triennio) per la pubblicità sulle emittenti a pagamento (26).

In tema di minori poi, la Direttiva effettua una distinzione tra programmi che nuocciono fortemente ai minori, per i quali viene posto un divieto assoluto, e quelli meno gravi ove la direttiva richiede degli accorgimenti quali una limitazione di orari o limiti tecnologici. Il Decreto Romani, sull'argomento, prevede invece un'apertura per i programmi ad accesso condizionato.

Infine, in tema di inserimento di prodotti, peraltro l'unico argomento per il quale la legge delega poneva dei criteri specifici da adottare, il nuovo art. 40-bis del TU della radiotelevisione prevede una disciplina dell'inserimento di prodotti più penalizzante rispetto a quella dettata dalla Direttiva ed alla quale rinvia la legge delega. In particolare l'inserimento gratuito di prodotti viene limitato ad alcune categorie di programmi mentre il testo della Direttiva , cui rinvia la legge delega, lo consente a tutti i programmi.

Per concludere, si osserva come alcune disposizioni del Decreto Romani potrebbero avere conseguenze ed implicazioni rilevanti, meritevoli di riflessioni e di uno specifico approfondimento.

Si pensi al tema dell'autoregolamentazione che viene incoraggiata espressamente dalla Direttiva 2007 / 65 . Come noto in Italia il sistema dell'autodisciplina ha sempre svolto un'attività deflattiva del contenzioso ma ha anche avuto un importante ruolo di disciplina su diverse materie. Questa funzione deflattiva è richiamata dalla Direttiva stessa che incoraggia appunto l'autodisciplina. Questo però presuppone un equilibrio con gli altri sistemi dello Stato e, in assenza di chiare previsioni di coordinamento e di regole di collegamento, è presumibile che si creino degli sbilanciamenti e fenomeni di interferenza fra i diversi sistemi (27).

Un secondo tema interessante è il ruolo predominante che il provvedimento di recepimento attribuisce all'AGcom, in particolar modo per la vigilanza in "rete" delle violazioni della proprietà intellettuale. Suscita, infatti, particolare curiosità il coinvolgimento di un ulteriore organo per provvedere alla tutela di diritti che sono già tutelati in ambito civilistico e

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penalistico dalla legge sul diritto d'autore che prevede, peraltro, pesanti sanzioni per violazioni della proprietà intellettuale.

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(1) Per un approfondimento sull'evoluzione normativa in tema di radiotelevisione cfr. per tutti AA.VV., La televisione digitale: temi e problemi, a cura di Frignani, Poddighe, Zeno-Zenovich, Milano, 2006.

(2) Per una disamina delle principali novità introdotte dalla Direttiva sui media audiovisivi cfr. W. Carraro, La pubblicità radiotelevisiva, in La comunicazione pubblicitaria d'impresa, a cura di A. Frignani, W. Carraro e G. D'Amico, Milano, 2009, 275 ss.

(3) Direttiva 89/552/CEE , modificata dalla Direttiva 97/36/CE .

(4) L'art. 26 della legge Comunitaria 2008, l. 7 luglio 2009 n. 88, nel delegare il Governo a dare attuazione alla Direttiva 2007 / 65 /CE attraverso le opportune modifiche al testo unico della radiotelevisione, di cui al D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, prevede che "il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) l'inserimento di prodotti è ammesso nel rispetto di tutte le condizioni e i divieti previsti dall'articolo 3-octies, paragrafi 2, 3 e 4, della direttiva 89/552/CEE , come introdotto dalla citata direttiva 2007 / 65 /CE ; b) per le violazioni delle condizioni e dei divieti di cui alla lettera a) si applicano le sanzioni previste dall'articolo 51 del testo unico di cui al D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, per la violazione delle disposizioni in materia di pubblicità, sponsorizzazione e televendite, fatto salvo il divieto di inserimento di prodotti nei programmi per bambini, per la cui violazione si applica la sanzione di cui all'articolo 35, comma 2, del medesimo D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177".

(5) Il legislatore comunitario compiendo tale distinzione fra servizi lineari e non lineari si proponeva di adottare maggiori garanzie per gli utenti, in particolare per i minori, anche al fine di evitare distorsioni di concorrenza sul mercato da parte dei servizi a richiesta a danno di quelli tradizionali. Prima della Direttiva 2007 / 65 /CE i servizi non lineari rientravano nella disciplina prevista dalla Direttiva 2000/31/CE in materia di commercio elettronico (recepita in Italia con il D.Lgs. n. 70/2003). L'avvio in Italia del processo di digitalizzazione delle reti televisive via etere terrestre che sarà completato a breve, rende meno distante il processo di convergenza tra i vari sistemi "telefono", "computer" e "televisione" in quanto consente l'accesso tramite il terminale televisivo ai contenuti già disponibili sulla rete e, soprattutto, forme di fruizione personalizzate, per l'appunto, a richiesta.

(6) L'estensione del campo di applicazione della disciplina sui servizi di media audiovisivi al web riguarda quelle attività su Internet che competono la radiodiffusione. Il Decreto, in effetti, non fa altro che recepire le indicazioni dettate dal Considerando 20 della Direttiva europea, il quale fa rientrare nella definizione di radiodiffusione televisiva - e, quindi, di servizi lineari - "La radiodiffusione televisiva attualmente comprende, in particolare, la televisione analogica e digitale, la trasmissione continua in diretta (live streaming), la trasmissione televisiva su Internet (web casting) e il video quasi su domanda (near video on demand), mentre il video su domanda (video on demand), ad esempio, è un servizio di media audiovisivo a richiesta".

(7) Tale previsione - conformemente a quanto previsto dal Considerando 16 della Direttiva europea dei " servizi di media audiovisivi" - si propone di evitare che le attività principalmente non economiche e non in diretta concorrenza con il settore radiotelevisivo rientrino nell'ambito di applicazione del Testo Unico della radiotelevisione, lasciando invece che continuino ad essere disciplinate dalle disposizioni sul commercio elettronico. Il considerando 16 della Direttiva recita infatti: "il suo ambito di applicazione dovrebbe limitarsi ai servizi definiti dal trattato, inglobando quindi tutte le forme di attività economica, comprese quelle svolte dalle imprese di servizio pubblico, ma non dovrebbe comprendere le attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di

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contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell'ambito di comunità di interesse".

(8) In questo senso è orientata la direttiva 2007 / 65 /CE (cfr. i Considerando da 44 a 47); si vedano anche: direttiva 89/552/CEE , c.d. tv senza frontiere, successivamente modificata dalla

direttiva 97/36/CEE; Racc. 98/560/CEE in tema di sviluppo della competitività dell'industria dei servizi audiovisivi e la tutela dei minori e delle dignità umana; Racc. 2006/952/CE in tema di servizi audiovisivi e informazione in linea).

(9) La direttiva sui media audiovisivi, infatti, prevedeva limiti meno stringenti per l'inserimento della pubblicità, mediante abolizione del tetto orario giornaliero fissato con la direttiva "tv senza frontiere", consentono al settore audiovisivo di tener conto dei profondi cambiamenti strutturali e di sviluppo tecnologico e di mercato propri di questo settore. Quel formalismo e rigidità che aveva caratterizzato la vecchia disciplina, viene meno proprio grazie alle nuove tecnologie oggi disponibili (v. il Considerando 54 della direttiva media audiovisivi il quale recita: "l'elaborazione di nuove tecniche pubblicitarie e di pratiche commerciali innovative ha creato nuove ed efficaci opportunità per le comunicazioni commerciali audiovisive".)

(10) Con riguardo all'autoregolamentazione si osserva che, secondo il Considerando 36 della Direttiva 65 /07, l'autoregolamentazione costituisce una iniziativa volontaria che permette agli operatori economici e alle parti sociali di adottare fra di loro per loro stessi orientamenti comuni; essa può svolgere un ruolo efficace a complemento dei meccanismi legislativi ed amministrativi in vigore.

(11) Nella precedente disciplina la definizione di "pubblicità televisiva" non prevedeva le persone fisiche ma solo le imprese.

(12) Per un approfondimento sulla regola dei "20 minuti" cfr. W. Carraro, op. cit., 285 ss.

(13) In tema di "durata programmata", oggetto in passato di dubbi interpretativi, cfr. A. Frignani, Sulla "durata programmata" delle opere audiovisive teletrasmesse quale base di computo delle interruzioni pubblicitarie, in Dir. Inf., 1998, 193-237 (in collaborazione con Gu. Rossi).

(14) Nel Considerando 55 si afferma che: "l'evoluzione commerciale e tecnologica conferisce agli utilizzatori dei servizi di media audiovisivi una scelta più ampia e maggiori responsabilità nell'uso che ne fanno". Il Considerando 57 recita: "Date le maggiori possibilità per gli spettatori di evitare la pubblicità grazie al ricorso a nuove tecnologie, quali i videoregistratori digitali e l'aumento dell'offerta dei canali, si ritiene non più giustificato il mantenimento di una normativa dettagliata in materia di inserimenti di spot pubblicitari a tutela dei telespettatori".

(15) Per la concessionaria pubblica è previsto un affollamento settimanale massimo del 4% ed un affollamento orario massimo del 12%, con la possibilità di recuperare una eventuale eccedenza, per un massimo del 2% orario, nell'ora antecedente o successiva. Il tetto massimo degli affollamenti previsto per le emittenti private in ambito nazionale è pari al 15% giornaliero (portato al 20% se comprende forme di pubblicità diverse dagli spot pubblicitari e spot di televendite) e al 18% orario, con possibilità di un eventuale recupero del 2% nell'ora antecedente o successiva. Per un approfondimento sui limiti di affollamento cfr. W. Carraro, op. cit., 282 ss.

(16) Sulle modalità di computo dell'ora d'orologio e dell'orario giornaliero si veda il comma 13 dell'art. 12, D.Lgs. 44/2010.

(17) Per un esempio di applicazione in tema di autopromozione, con particolare riferimento ai prodotti collaterali e direttamente derivati, si vedano le delibere dell'AGcom nn. 27/04/CSP e 28/04/CSP del 10 marzo 2004; si veda, inoltre, AGCM PI4420 prov. N. 13317 del 26 giugno 2004, Controcampo speciale Champions Leagues, R.T.I. S.p.A. e Press TV S.p.A.; ed anche, Giudice di Pace di Napoli, 18 marzo 2005, dep. 31 marzo 2005, n. 18090, Chiozzi Vincenzo c.

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R.T.I. S.p.A. e Mediaset S.p.A. (sentenza parzialmente cassata dalla Corte di Cassazione a s.u. con sent. 29 agosto 2008, n. 21934).

(18) In precedenza, sul punto, si era pronunciata l'AGcom con delibera n. 162/07/CSP.

(19) L'art. 4, lett. gg) del Decreto Romani nel definire le "comunicazioni commerciali audiovisive occulte" vi fa rientrale "la prestazione orale o visiva di beni, di servizi , del nome, del marchio o delle attività di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora tale prestazione sia fatta dal fornitore di servizi di media per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura. Tale prestazione si considera intenzionale, in particolare, quando è fatta dietro pagamento o altro compenso".

(20) Vedi per tutti L. Mansani, Product placement. La pubblicità nascosta negli spettacoli cinematografici e televisivi in Contratto e impresa, 1998, 904.

(21) Per alcuni casi applicativi in tema di pubblicità non trasparente all'interno di programmi televisivi, per i quali l'AGCM ha ritenuto sussistenti gli indizi per configurare ipotesi di pubblicità "non palese" per la visualizzazione di marchi, cfr. provv. AGCM PI532/95, film College-Muratti/Rai; provv. AGCM PI687/96, Il Burbero-Malboro/Rai; provv. AGCM PI1784/96, Il Maresciallo Rocca-Ford-Ms/Rai; provv. AGCM PI4643/05, Fornelli in crociera e Il Viaggiatore/Mediaset;. provv. AGCM PS2862/09, Isola dei Famosi 6-Gioielli my Mara-Europe Assistance/Rai; provv. AGCM PS2861/09, Pomeriggio Cinque e Questa Domenica-Monella vagabonda/Mediaset.

(22) Quest'ultimo requisito si trovava già per le opere cinematografiche nel D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 8 (art. 9) e nel regolamento di attuazione D.M.30 luglio 2004 (c.d. Decreto Urbani), secondo il quale tale informativa deve essere data nei titoli di coda. Si rimanda a M. Fusi, Il product placement fra divieto di pubblicità non trasparente e nuova disciplina del Cinesponsoring, in Riv.dir.ind.,2005,I, 5.

(23) Per un approfondimento sulla posizione dell'Autorità in merito allo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2007 / 65 , si veda testo dell'audizione al Senato ed alla Camera del 26 e 28 gennaio 2010 tenutesi dal Presidente dell'AGcom, reperibile sul sito www.agcom.it.

(24) Con Delibera n. 122/10/CONS l'Agcom ha avviato la Consultazione pubblica sullo schema di provvedimento recante il piano di numerazione automatica dei canali.

(25) L'AGcom, in tema di diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettroniche, ha avviato una indagine conoscitiva il cui testo è reperibile sul sito www.agcom.it.

(26) L'inserimento di limiti più severi per la pay tv andrebbe probabilmente interpretato come una sorta di tutela dell'utente della televisione a pagamento, limitando il disvalore dovuto all'interruzione pubblicitaria. Sul tema, cfr. A. Frignani, L'affollamento pubblicitario, in Dir. inf., 2010, 30.

(27) Spunto tratto dall'intervento di G. Floridia al convegno Il nuovo diritto dei media audiovisivi, Università IULM-Campus multimedia in-formazione, Milano, 24 maggio 2010.

 

LA SPONSORIZZAZIONE DI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI

Bonomo Giovanni

D.Lgs. 15-03-2010, n. 44

D.Lgs. 31-07-2005, n. 177, art. 39

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FONTEDir. Industriale, 2011, 3, 286Sponsorizzazione

Nell'attuale scenario dei servizi di media audiovisivi e radiofonici le nuove tecniche di comunicazione pubblicitaria si avvalgono sempre più di procedure informatiche e di comunicazioni interattive, ampliando la definizione di comunicazione commerciale. Ma la sponsorizzazione televisiva (sponsorship) si differenzia ancora dalla pubblicità (advertising) in quanto essa non è altro rispetto alla programmazione ma interagisce con essa, essendo parte integrante del flusso programmatico e venendo meno la separatezza tipica dei messaggi pubblicitari o spot. Oltre ai criteri e alle forme di sponsorizzazione nell'emittenza locale, nel presente contributo vengono illustrati e spiegati i divieti di sponsorizzazione dei telegiornali, radiogiornali e notiziari di carattere politico, dei programmi per bambini, dei documentari e dei programmi religiosi, accennandosi alla questione irrisolta della trasmissione di eventi esteri comprendenti sponsorizzazioni in Italia vietate.

 

Sommario: La nozione di sponsorizzazione nei servizi di media audiovisivi e radiofonici e le ragioni di una disciplina specifica - Requisiti della sponsorizzazione dei servizi di media audiovisivi o dei programmi sponsorizzati - Sponsorizzazione e prodotti "critici" - La trasmissione di eventi comprendenti sponsorizzazioni vietate - Sponsorizzazioni ed emittenza locale - Sponsorizzazioni e notiziari - Promozione di marchi e programmi per bambini, documentari e programmi religiosi

Il testo integrale del provvedimento è disponibile su: www.ipsoa.itildirittoindustriale

 

La nozione di sponsorizzazione nei servizi di media audiovisivi e radiofonici e le ragioni di una disciplina specifica

Per sponsorizzazione nel sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici deve intendersi, secondo la definizione offerta dal legislatore nel nuovo testo unico dei servizi di

media audiovisivi e radiofonici (d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177), così come integrato e modificato dal d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, "ogni contributo di un'impresa pubblica o privata o di una persona fisica, non impegnata nella fornitura di servizi o programmi di media audiovisivi al fine di promuovere il proprio nome, il proprio marchio, la propria immagine, le proprie attività o i propri prodotti" (art. 2, n. 3, lett. hh) (1).

Il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 integra ed amplia la portata normativa dell'art. 39 del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177, stabilendo i criteri ai quali devono rispondere i servizi di media audiovisivi ed i programmi sponsorizzati (2).

La definizione ribadisce i principi della normativa precedente (sin da quella dell'art. 8, comma 12, della legge 6 agosto 1990, n. 223, a sua volta ripetitivo in modo pressoché letterale dell'art. 1, lett. e), della direttiva comunitaria "Televisione Senza Frontiere" 89/552/CEE, come modificata dalla direttiva 97/36/CE ) e riprende il contenuto "socialmente tipico" più volte fatto oggetto di indagine dalla dottrina (3) del contratto di sponsorizzazione, caratterizzato dal fatto che il pagamento dello sponsor ha, quale controprestazione, non l'acquisto di uno spazio pubblicitario messo a disposizione dal titolare del mezzo di comunicazione, bensì l'abbinamento del proprio nome o dei propri segni distintivi ad una specifica attività od opera, con effetto promozionale.

Tale effetto promozionale nasce, nel campo radiotelevisivo prima e dei servizi di media audiovisivi poi, dall'abbinamento sponsor-programma; viceversa, lo spot pubblicitario è

concepito e realizzato al di fuori di qualsiasi abbinamento con uno specifico programma ed ha una propria autonoma efficacia promozionale a prescindere dal contenuto del programma che lo ospita.

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Mentre lo spot costituisce un elemento spurio ed interruttivo del flusso programmatico, il programma sponsorizzato è parte integrante della programmazione.

Nel caso dello spot la qualità del programma genera maggiore audience, e quindi maggior numero di spettatori esposti all'effetto persuasivo del messaggio, che resta indipendente dal programma.

Nel caso della sponsorizzazione, la qualità del programma diventa condizione necessaria affinché si realizzi l'effetto promozionale e generi un'audience soddisfacente in termini di numero di "contatti".

Ne consegue un evidente interesse dello sponsor verso il contenuto del programma e la necessità di limitare per via normativa l'ingerenza dello sponsor nella predisposizione dei contenuti della trasmissione a tutela dell'interesse dell'emittente alla propria autonomia, ma anche a protezione di interessi esterni alle parti del contratto, come quello del pubblico a non subire l'eccessiva invadenza dello sponsor rispetto al programma e a non trovarsi esposti a messaggi promozionali non immediatamente riconoscibili come tali.

Nel contesto digitale, tenuto presente dal codice, la sponsorizzazione potrebbe normalmente intercorrere tra fornitore di contenuti e sponsor, restando dunque terzo rispetto al contratto il fornitore di servizi di media .

 

Requisiti della sponsorizzazione dei servizi di media audiovisivi o dei programmi sponsorizzati

Il legislatore, a garanzia degli utenti, ha tracciato alcuni criteri fissati nell'art. 39 del testo unico con riguardo all'erogazione dei servizi di media audiovisivi o dei programmi sponsorizzati, stabilendo che il loro contenuto non può in nessun caso essere influenzato dallo sponsor in maniera tale da ledere la responsabilità e l'autonomia editoriale dei fornitori di servizi di media audiovisivi o della concessionaria pubblica nei confronti delle trasmissioni (lett. a); sempre per la tutela degli utenti, i servizi di media audiovisivi o i programmi sponsorizzati devono essere chiaramente riconoscibili come programmi sponsorizzati e indicare il nome e il logotipo dello sponsor all'inizio o alla fine del programma (lett. b). Da ultimo, essi non devono stimolare l'acquisto o il noleggio dei prodotti o servizi dello sponsor o di un terzo, specialmente facendo riferimenti specifici di carattere promozionale a detti prodotti o servizi (lett. c).

Il primo criterio, quello indicato alla lett. a), consegue alla stessa nozione di sponsorizzazione, in linea con quanto disposto dal legislatore comunitario, che si distingue da altre forme di comunicazione d'impresa prossime alla nozione classica di pubblicità (4).

La sponsorizzazione televisiva (sponsorship) si differenzia dalla pubblicità (advertising) in quanto, pur perseguendo uno scopo parimenti promozionale, è diverso il modo con cui tale finalità viene perseguita: nella pubblicità ciò avviene direttamente attraverso messaggi di contenuto informativo-persuasivo, nella sponsorizzazione invece avviene indirettamente, e cioè attraverso il favorevole riflesso o la positiva suggestione per l'utente che l'abbinamento con il programma o la trasmissione radiotelevisiva può creare sull'impresa sponsor e i suoi prodotti (5).

Con la disposizione in esame il legislatore si preoccupa dunque di escludere il preconfezionamento di programmi solo apparentemente frutto di un'autonoma selezione ed offerta di palinsesto, ma in realtà predisposti e realizzati per esclusivi fini pubblicitari.

Basti pensare alla relazione diretta di finanziamento che si crea tra l'impresa sponsor ed uno specifico programma per cogliere la ratio del divieto, per la prima, di influenzare il contenuto e la programmazione della trasmissione sponsorizzata: lo sponsor, secondo lo spirito della norma, deve restare un finanziatore "esterno" alla programmazione.

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Saranno quindi compresi nella nozione di sponsorizzazione di servizi di media audiovisivi o di trasmissioni radiotelevisive sia i contributi per il finanziamento di eventi artistici e culturali, sia i contributi per programmi in cui lo sponsor partecipi con predeterminate modalità di spazio e di tempo.

L'altro criterio indicato, quello rappresentato dalla lett. b), prevede che i programmi sponsorizzati siano "chiaramente riconoscibili" come tali, in ossequio al principio della trasparenza della comunicazione di impresa, già accolto per la pubblicità sin dal previgente art. 8, comma 2, della legge n. 223/1990 e, più in generale, dalla ormai consolidata disciplina sulle pratiche pubblicitarie trasfuse all'interno del codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206/2005 che include anche la disciplina sulla pubblicità ingannevole e sulle pratiche commerciali aggressive. (6)

Tale principio è anche recepito nel settore dell'autoregolamentazione, attraverso la formulazione dell'art. 7 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (7).

Va, inoltre, ricordato che l'art. 2, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 206/2005 - come già la legge 30 luglio 1998, n. 281 "Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti" - riconosce ai consumatori il diritto fondamentale "ad un'adeguata informazione e ad una corretta pubblicità" (8).

La norma in esame richiede, inoltre, che la riconoscibilità del programma sponsorizzato sia ottenuta anche mediante l'indicazione dello sponsor all'inizio oppure alla fine del programma. Sembra trattarsi di un obbligo informativo minimo, che concorre con gli altri criteri al fine di rendere ben edotti gli utenti della natura sponsorizzata del programma.

La congiunzione disgiuntiva "o" presente nel testo della norma ("il nome o il logotipo dello sponsor") significa che il criterio della riconoscibilità può essere soddisfatto con l'indicazione alternativa del nome o del logotipo, ma non esclude che possa essere soddisfatto, in modo anzi più incisivo, con l'indicazione congiunta di nome e logotipo, o anche con una presentazione attraverso una voce fuori campo.

Non essendoci, né nella normativa comunitaria né nel testo di recepimento, alcuna prescrizione di tipo quantitativo circa il numero delle citazioni del nome o del marchio dello sponsor e delle loro possibili collocazioni, la norma deve intendersi come prescrizione che tali citazioni debbano comparire almeno all'inizio o alla fine del programma (9).

Non esiste, dunque, un divieto assoluto di presenza dello sponsor nella trasmissione, potendo questi, ferma l'osservanza dei requisiti minimi di riconoscibilità, apparire in modo discreto senza ingerirsi nei contenuti della programmazione e senza ledere l'autonomia editoriale dell'emittente (10).

Tale conclusione è stata avvalorata dalla Comunicazione 2004/C 102/02 della Commissione europea interpretativa di certi aspetti delle norme sulla pubblicità televisiva nella direttiva "Televisione senza frontiere".

Nel contemplare la nuova tecnica dello c.d. "split screen", cioè della divisione dello schermo in due o più sezioni aventi contenuti audiovisivi diversi, la Commissione ebbe modo di affermare che la direttiva 89/552/CEE non proibiva l'inserimento del nome e/o del logo dello sponsor in parti diverse dall'inizio o dalla fine del programma; quindi anche l'uso della tecnica dello split screen, idonea a mostrare il logo e/o il nome dello sponsor durante la diffusione del programma sponsorizzato, alla luce dell'attuale normativa non deve ritenersi vietata (11)

Una volta resa riconoscibile con tali indicazioni la trasmissione sponsorizzata, sono gli altri due criteri della norma, attinenti al contenuto del messaggio, che rilevano a impedire ogni eccessiva influenza dello sponsor, a prescindere dal numero delle citazioni del suo nome e dei suoi logotipi (12).

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D'altra parte, ad evitare che la moltiplicazione dei riferimenti allo sponsor divenga una modalità per aggirare le limitazioni quantitative alle trasmissioni pubblicitarie, resta il divieto di riferimenti specifici a carattere promozionale ai prodotti e servizi dello sponsor contenuto nella stessa definizione di sponsorizzazione televisiva, sopra citata, ripreso dalla lett. c) della norma in commento: i programmi sponsorizzati o i servizi di media audiovisivi in genere "non devono stimolare all'acquisto o al noleggio dei prodotti o servizi dello sponsor o di un terzo specialmente facendo riferimenti specifici di carattere promozionale a detti prodotti o servizi ".

La ratio del requisito di carattere negativo relativo all'assenza di riferimenti specifici di carattere promozionale ad attività e prodotti dello sponsor è di tracciare una distinzione tra il programma sponsorizzato, che deve restare una trasmissione con contenuti non pubblicitari apprezzabili dall'utente, e il programma pubblicitario, che rappresenta solo un veicolo per la diffusione di messaggi promozionali (13).

L'impresa sponsor non deve essere né produttore di opere audiovisive, né esercente attività di radiodiffusione o fornitore di servizi di media audiovisivi, restando dunque un soggetto distinto dalle figure di broadcaster e di independent producer, come si desume dalla definizione di "sponsorizzazione" (art. 2 lett. hh) T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici).

La limitazione potrebbe essere interpretata nel senso di escludere dall'ambito di applicazione delle norme sulla sponsorizzazione i riferimenti promozionali ad altri programmi della stessa emittente, o ad altre opere dello stesso produttore; in alternativa, potrebbe alludere alla mancanza di effetto promozionale derivante dall'abbinamento del nome di un produttore al programma realizzato da un altro; ancora, potrebbe essere intesa ad evitare pericoli di confusione circa l'effettiva identità del produttore dell'opera.

Sembra tuttavia dubbio che dalla norma possa desumersi il divieto, ad esempio, per una grande impresa di produzione televisiva, di sponsorizzare le realizzazioni di un produttore indipendente, o di altra società appartenente al medesimo gruppo. Un simile divieto potrebbe essere scarsamente giustificabile, considerato che l'esigenza di evitare intromissioni eccessive dello sponsor nella determinazione dei contenuti del programma è già salvaguardata da apposito divieto.

Nel contesto digitale, la norma potrebbe essere interpretata nel senso di impedire sponsorizzazioni di programmi da parte di fornitori di servizi di media che potrebbero condizionare l'autonomia del fornitore di contenuti, o di privilegiare ingiustificatamente uno o più fornitori di contenuti rispetto ad altri, almeno nel caso in cui il fornitore di servizi di media sia soggetto ad obblighi di parità di trattamento.

Inoltre, la sponsorizzazione di un programma non può conferire allo sponsor né lo status di coproduttore né i corrispondenti diritti e doveri (14).

Analizzando nel dettaglio il terzo criterio, indicato alla lett. c) della norma (i programmi sponsorizzati "non devono stimolare all'acquisto o al noleggio dei prodotto o servizi dello sponsor o di un terzo, specialmente facendo riferimenti specifici di carattere promozionale a detti prodotti o servizi "), rileviamo che l'espressione del divieto riguarda l'azione dello "stimolare all'acquisto o al noleggio" e le modalità in cui si esprime: "facendo riferimenti specifici di carattere promozionale".

La previsione va intesa come riferita al comportamento attivo, da parte della trasmissione, di "stimolare", vale a dire ad un'effettiva esortazione di stampo reclamistico, assimilabile nella sostanza a quella tipica della pubblicità tradizionale.

Altrimenti, ove bastasse il fine promozionale, che è connaturato all'istituto, si dovrebbe pervenire all'assurda conclusione di ritenere non consentita qualsiasi forma di sponsorizzazione.

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Ne consegue che anche la mera menzione o visualizzazione dei prodotti o servizi dello sponsor, oltre la semplice menzione del nome, del marchio o del logotipo, deve considerarsi lecita quando non si accompagni ad alcuna stimolazione all'acquisto o al noleggio degli stessi (15).

La Commissione europea al riguardo ebbe a precisare, nella comunicazione interpretativa 2004/C 102/02, che l'art. 17 della direttiva 552/89/CEE non proibisce che si faccia riferimento a prodotti o servizi dello sponsor o di un terzo allorquando tali indicazioni servano solamente a identificare lo sponsor, o a rendere l'idea del collegamento tra il programma e la sponsorizzazione (16).

 

Sponsorizzazione e prodotti "critici"

Il comma 2 dell'art. 39 della norma in esame riproduce in sostanza la precedente formulazione della previgente disposizione normativa. La norma pose fine alla controversa questione dell'estensibilità del divieto di propaganda pubblicitaria dei prodotti da fumo, di cui alla legge 10 aprile 1962, n. 165 e successive modifiche, alle forme di pubblicità indiretta, come le sponsorizzazioni (17), e alla pubblicità di prodotti diversi (capi di abbigliamento, orologi, viaggi,

servizi turistici, competizioni sportive, etc.) contraddistinti da marchi di sigarette celebri.

La Corte di Cassazione, con una sentenza resa a distanza di un anno dall'approvazione della legge n. 223/1990, mutando il precedente orientamento, ritenne illecita la propaganda di marchi e simboli di prodotti da fumo anche come segni distintivi di beni o servizi diversi quando, per gli aspetti grafici o per le scritte impresse, propagandino di fatto i prodotti da fumo (18). La stessa Corte, deliberando a Sezioni Unite, confermò poi questo orientamento precisando che la propaganda pubblicitaria vietata comprendeva anche forme evocative indirette, come le sponsorizzazioni (19).

Fu un caso di puntuale allineamento del formante giurisprudenziale a quello legislativo più recente, rappresentato da una norma del settore televisivo (l'art. 8, comma 14, legge n. 223/90) contenente criteri validi per la soluzione di questioni attinenti alla pubblicità dei c.d. prodotti alibi.

Il comma in esame vieta altresì la sponsorizzazione da parte di produttori di superalcolici. Una disposizione analoga non compare nella direttiva comunitaria sui servizi di media audiovisivi, che si limita a vietare la sponsorizzazione da parte di produttori di tabacco (art. 10, dir. 2010/13/UE), ed a prevedere disposizioni contenutistiche specifiche per la pubblicità e le televendite di bevande alcoliche (art. 22 dir. 2010/13/UE) (20).

Peraltro nulla viene detto circa le bevande blandamente alcoliche, tra cui rientrano i non trascurabili, in termini di entità dei consumi, prodotti vinicoli.

Sembrerebbe, più che un'omissione da parte del legislatore, di una consapevole scelta, motivata dalla maggiore pericolosità del consumo di superalcolici, che possono comunque costituire oggetto di pubblicità, nell'osservanza della regolamentazione indicata dal testo unico (art. 37, comma 9).

Si deve sottolineare che il divieto posto dal secondo comma della norma in esame si riferisce solamente a quelle imprese che hanno come "attività principale", vale a dire prevalente, quella di fabbricazione o vendita di sigarette o di altri prodotti di tabacco o di superalcolici. Per avere comunque un criterio che consenta di avere maggiori certezze interpretative in ordine alla qualificazione e al dimensionamento della c.d. attività principale, si deve fare riferimento al comma 2 dell'art. 8, d.m. 9 dicembre 1993, n. 581 "Regolamento in materia di sponsorizzazioni di programmi radiotelevisivi e offerte al pubblico", che fa riferimento "all'incidenza del fatturato delle singole attività, intendendosi per principale quella comunque prevalente rispetto a ciascuna delle altre attività di impresa nell'ambito del territorio nazionale".

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Il comma 3 dell'articolo in esame stabilisce che la sponsorizzazione di servizi di media audiovisivi o di programmi da parte di imprese le cui attività comprendano la produzione o la vendita di medicinali e di cure mediche può riguardare la promozione del nome o dell'immagine dell'impresa, ma non può promuovere specifici medicinali o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione medica. Si tratta di un'ulteriore specificazione, presente anche nella normativa precedente, che riprende per intero il testo del comma 3 dell'art. 10 della direttiva 2010/13/UE e si riallaccia al divieto contenuto nell'art. 21 della stessa direttiva che vieta la televendita di medicinali e di cure mediche.

La sponsorizzazione è dunque limitata alla sola promozione del nome o dell'immagine dell'impresa o di prodotti farmaceutici per i quali non sia richiesta la ricetta medica.

 

La trasmissione di eventi comprendenti sponsorizzazioni vietate

Sempre con riferimento al comma 2 dell'art. 39, è di interesse affrontare la questione della trasmissione di eventi sponsorizzati da soggetti nei cui confronti la richiamata norma vieta il ricorso alla sponsorizzazione dei programmi. Sul punto specifico, la norma nulla dispone, dal momento che essa riguarda i soli programmi, e non l'evento oggetto di trasmissione televisiva; si pensi al caso di trasmissione di eventi sportivi che hanno luogo in Stati ove la pubblicità o la sponsorizzazione a favore dei prodotti c.d. critici è consentita o che non impongono la cancellazione dalla trasmissione, per lo più televisiva, dei riferimenti a tali prodotti attraverso appositi accorgimenti tecnici.

Sembrerebbe che, in assenza di uno specifico divieto, sia consentita la trasmissione di eventi sponsorizzati da soggetti che producono o vendono prodotti critici, quali ad esempio quelli a base di tabacco. Tale interpretazione appare sostenuta dalla lettura dell'art. 6, lett. c), del già citato d.m. n. 581/1993, che esclude dalla nozione di pubblicità (e indirettamente di sponsorizzazione) radiotelevisiva "la trasmissione di programmi di contenuto artistico, culturale, sportivo o comunque di intrattenimento o informazione, aventi ad oggetto la riproduzione di avvenimenti, manifestazioni o spettacoli, non dovuti ad iniziative della concessionaria e dei quali quest'ultima abbia acquisito i diritti di ripresa e/o trasmissione".

Tuttavia, va osservato che, in ambito europeo, le sponsorizzazioni di eventi di interesse pubblico ad opera di imprese del settore del tabacco sono state fatte oggetto di divieto dalla direttiva CE 2003/33, attuata dal d.lgs. 16 dicembre 2004, n. 300 (21). Ma queste disposizioni, naturalmente, non possono trovare applicazione nel caso in cui l'evento sponsorizzato abbia luogo al di fuori del contesto europeo. E questo aspetto non è considerato né dalla direttiva

, né dal suo decreto interno di recepimento.

Sempre sullo stesso tema, la Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare che né il principio generale della libera prestazione dei servizi , di cui all'art. 49 del Trattato CE, né l'art. 2-bis, comma 1, della direttiva 89/552/CEE (22), possono impedire ai legislatori nazionali di vietare la trasmissione televisiva di eventi che comprendono la ripresa di cartelloni o altri messaggi pubblicitari a favore di bevande alcoliche (23).

In sintesi, secondo la Corte, le esigenze di tutela della salute poste a fondamento del divieto prevalgono sui principi comunitari di libertà di circolazione dei servizi ed in particolare dei programmi televisivi. Benché nessuno dubiti della preminenza del diritto alla salute (24), si ritiene che una disciplina che vieti la trasmissione di eventi che si svolgono in Stati ove la pubblicità del tabacco o di altri prodotti critici è lecita, risulterebbe eccessivamente penalizzante per il diritto all'informazione e l'interesse pubblico ad esso sotteso (25).

 

Sponsorizzazioni ed emittenza locale

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Con il comma 4, l'art. 39 contiene una disposizione, uguale alla precedente formulazione, che consente alle emittenti locali di avere delle sponsorizzazioni consistenti in segnali acustici e visivi, trasmessi in occasione delle interruzioni dei programmi accompagnati dalla citazione del nome e del marchio dello sponsor.

Questa disposizione, non presente nel testo della direttiva 2010/13/UE , richiama l'art. 5, comma 1, del d.m. n. 581/1993 (in tema di sponsorizzazioni radiofoniche) sui c.d. spot-jingles, vale a dire quelle forme di sponsorizzazione minima consistenti nelle citazioni di nomi o marchi dello sponsor in forma di segnale sonoro o visivo in occasione delle interruzioni dei programmi.

Già nel d.m. 4 luglio 1991, n. 439, il primo regolamento sulla sponsorizzazione dei programmi radiotelevisivi, era presente un riconoscimento di tali "minisponsorizzazioni" alla lettera c) dell'art. 3 sulle "Forme di sponsorizzazione".

Nel successivo d.m. 9 dicembre 1993, n. 581 sulle sponsorizzazioni e offerte al pubblico, tale riconoscimento si limita alle sole forme di sponsorizzazione radiofonica (art. 5, comma 1) non facendone menzione il precedente art. 4 sulle forme della sponsorizzazione televisiva. La limitazione alla sola radiodiffusione sembra essere un'espressione di un mero favor per l'emittenza locale, difficile da giustificare nell'attuale contesto digitale, che prevede nuovi e diversi canali di trasmissione.

 

Sponsorizzazioni e notiziari

Il comma 5 dell'art. 39 stabilisce il divieto di sponsorizzare i telegiornali, i radiogiornali e i notiziari di carattere politico. Si tratta di una disposizione già presente nella direttiva 2010/13 in modo esplicito al comma 4 dell'art. 10 (ed anche al 101° considerando). La precedente formulazione normativa del d.lgs. n. 177/2005 (art. 37, comma 4) prevedeva il divieto di inserimento di pubblicità e di televendite per i notiziari di durata programmata inferiore ai trenta minuti; qualora la durata programmata fosse stata superiore ai trenta minuti, valevano le disposizioni in tema di limitazioni temporale e di genere stabilite dalla medesima norma.

Il divieto, ora assoluto, di sponsorizzazione per tali tipi di trasmissione è adottato a tutela degli utenti, in modo che non possano correre il rischio di essere influenzati o condizionati, durante la fase di apprendimento delle notizie, da messaggi di carattere promozionale; è noto, infatti, che, gli utenti, al momento dei notiziari e dei telegiornali, sono ricettori aperti di informazioni, le quali contribuiscono a formare le personali convinzioni di ciascuno e tale processo potrebbe risultare viziato dai messaggi promozionali. Si consideri inoltre che il messaggio pubblicitario, per la sua complessiva presentazione (come nei casi della c.d. pubblicità redazionale), potrebbe essere agevolmente confuso con una notizia diffusa all'interno del notiziario e generare così nell'utente un'erronea quanto voluta falsa rappresentazione della realtà al fine di alterare la sua capacità di scelta e di giudizio.

I rischi collegati alla sponsorizzazione di tali tipi di programmi televisivi sono dunque evidenti: si pensi, ad esempio, ad un messaggio di pubblicità comparativa inserito all'interno di un notiziario; in questo ambito, il messaggio pubblicitario contenente informazioni veritiere verrebbe percepito dagli utenti come un approfondimento giornalistico su alcuni prodotti all'interno di un comparto merceologico, influenzando così, in modo determinante, le loro decisioni di acquisto.

 

Promozione di marchi e programmi per bambini, documentari e programmi religiosi

A tutela del pubblico più sensibile alla stimolazione pubblicitaria, il sesto comma della norma in esame prevede il divieto di mostrare il logo di una sponsorizzazione durante i programmi per bambini. Nella disposizione comunitaria si rimandava la scelta ai singoli Stati membri se vietare

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o meno la sponsorizzazione di programmi per bambini; con il recepimento, si è scelta la via più rigorosa, sancendo il suindicato divieto.

Questo precetto trova la sua ratio nella necessità di evitare che i bambini imprimano, nel loro giovane e non ancora formato intelletto, segni distintivi propri delle imprese commerciali all'interno di comunicazioni a loro dedicate. Si tratta di una norma protettiva che, nel bilanciamento tra i diritti di iniziativa economica e quelli dei minori (ora peraltro oggetto di previsione nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) propende in favore di questi ultimi, in virtù della loro ontologica debolezza, inesperienza e credulità (26).

Va osservato, che nel suo insieme, la direttiva 2010/13, rispetto alla normativa preesistente, sembra arricchire maggiormente il sistema di protezione del minore, prevedendo disposizioni applicabili a tutti i servizi di media audiovisivi (si pensi al principio secondo cui le bevande alcoliche non devono essere rivolte specificatamente ai minori, né incoraggiare il consumo smodato di tali bevande, o il divieto di product placement nei programmi per bambini).

La stessa norma impone, altresì, il divieto di mostrare il logo di una sponsorizzazione per i documentari; tale principio era già presente nella precedente normativa di cui al d.lgs. n. 177/2005 (art. 37, comma 6) con riferimento alla pubblicità e alle televendite, e si giustifica nella volontà di evitare il rischio di confondere un'attività meramente informativa - quale è quella che si realizza mediante un documentario -con quella di natura promozionale.

Uguale divieto vige per la presentazione di un logo di una sponsorizzazione durante i programmi religiosi. Si pensi, ad esempio, alla trasmissione di una messa domenicale, o di altra funzione religiosa di festività riconosciute da una confessione religiosa. Oltre a voler evitare la commistione tra elementi e simboli propri del commercio con quelli di carattere religioso, la norma intende eliminare in radice il rischio di associazione del segno distintivo dell'impresa con la fede religiosa, in modo tale che il credente non sia, né palesemente né subliminalmente, influenzato nelle sue capacità di giudizio.

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(1) La prima definizione di "sponsorizzazione" è di fonte extrastatuale ed è offerta dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla televisione transfrontaliera del 5 maggio 1989, ratificata in Italia con legge 5 ottobre 1991, n. 327 ed entrata in vigore il 1° maggio 1993, il cui testo recitava: "partecipazione di una persona fisica o morale - non impegnata in attività di radiodiffusione o di produzione di opere audiovisive - al finanziamento diretto o indiretto di una emissione al fine di promuovere il suo nome, il suo marchio o la sua immagine" (art. 2, lett. g).

(2) Il d.lgs. n. 177/2005 (T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) di attuazione della delega ex art. 16, legge 3 maggio 2004, n. 122, è stato modificato e integrato dal d.lgs. n. 44/2010 di attuazione della dir. 2007 / 65 /CE ( direttiva servizi di media audiovisivi) la quale ho modificato la dir. 89/552/CE ( direttiva televisione senza frontiere). Il testo coordinato delle due direttive, nella versione codificata, è data dalla dir. 2010/13/UE.

(3) B. Inzitari, Sponsorizzazione, in Contr. e impr., 1985, 248; V. Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987, I, 289; M.V. De Giorgi, Sponsorizzazione e mecenatismo, Padova, 1988; M. Fusi-P. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Dir. inf., 1985, 445; A. Frignani-A. Dessi-M. Introvigne, Sponsorizzazione, Merchandising, Pubblicità, Torino, 1993.

(4) La definizione della sponsorizzazione televisiva resta ancora valida nell'attuale scenario di "convergenza" tra mezzi radio-televisivi e mezzi di telecomunicazione, in cui le nuove tecniche di comunicazione pubblicitaria si avvalgono sempre di più di procedure informatiche e di comunicazioni interattive, mettendo in discussione la nozione tradizionale di pubblicità e rendendo labili i confini con la semplice comunicazione commerciale (V.Z. Zencovich, La regolamentazione delle nuove forme di pubblicità nella revisione della direttiva "TV senza frontiere", in Dir. inf., 2002, 4). Ma già si osservava che una perfetta linea di demarcazione tra

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pubblicità e sponsorizzazione risultava problematica per l'interprete a causa dell'inevitabile deformazione concettuale che tanti anni di telesponsorizzazioni "all'italiana" avevano creato (M. Fusi, op. cit., 815). Resta il fatto che la prima definizione legale di sponsorizzazione viene offerta dal legislatore proprio nella materia radiotelevisiva, e che l'istituto giuridico ha di fatto assorbito alcuni elementi tipici del mezzo televisivo, subendo quindi una sorta di tipizzazione (G.V. Briante-G. Savorani, Il fenomeno "sponsorizzazione" nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Dir. inf.,1990, 638, e Id., Commento ai commi 12-15 della legge 6 agosto 1990, n. 223, in Roppo-Zaccaria (a cura di) Il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, Milano, 1991, 176). La rilevanza dell'audience quale condizione del contratto e la possibilità di pianificare la trasmissione del "messaggio" sarebbero gli elementi anomali della sponsorizzazione radiotelevisiva rispetto alla classica sponsorizzazione sportiva (M. Fusi-P. Testa, I contratti di sponsorizzazione, in Dir. inf. 1985, 454).

(5) L'elemento comune di pubblicità e sponsorizzazione è la finalità di accrescere la notorietà di un prodotto o di un'impresa: la differenza è che nella sponsorizzazione tale finalità viene raggiunta indirettamente, attraverso l'accostamento dell'oggetto o del soggetto da pubblicizzare ad un avvenimento, un personaggio, un'attività (V.Z. Zencovich-F. Assumma, Pubblicità e sponsorizzazioni, Padova, 1991, 101). Nella nozione estesa di "pubblicità" di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74/92 in materia di pubblicità ingannevole (e comparativa, in seguito alle integrazioni disposte con d.lgs. n. 67/2000 di attuazione della direttiva comunitaria 97/55 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa), tale da comprendere "qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi " (ora all'art. 1 lett. a d.lgs. n. 145/ 2007 di attuazione dell'art. 14 dir. 2005/29/CE che modifica la dir. 84/450/CEE sulla pubblicità ingannevole), rientra anche la sponsorizzazione. Secondo un'opinione la figura partecipa delle iniziative below the line advertising, tra le quali si annovera anche il "mailing", cioè la spedizione a mezzo posta di materiali promozionali, e la pubblicità attuata sul punto di vendita (C. Poggi, I contratti di diffusione della pubblicità e di sponsorizzazione presso le aziende sanitarie e le istituzioni scolastiche, in Dir. inf. 2004, 293).

(6) Gli artt. 20-26 del codice del consumo sono dedicati alle "pratiche commerciali scorrette", che includono le comunicazioni e le omissioni ingannevoli e le pratiche commerciali aggressive. Secondo tale disciplina, il messaggio pubblicitario deve essere corrispondente al vero ed effettivamente riconoscibile, essendo vietata ogni forma di pubblicità occulta; nel contempo, la regolamentazione sanziona anche la pubblicità ritenuta aggressiva, cioè che limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce - o è idonea ad indurlo - ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L'art. 10 della Direttiva 89/552/CEE (come l'art. 13 della Convenzione di Strasburgo), già ripreso dall'art. 8 della legge n. 223/90, stabilisce la netta separazione tra pubblicità e programma: "La pubblicità televisiva deve essere chiaramente riconoscibile come tale e deve essere nettamente distinta dal resto del programma con mezzi ottici e/o acustici". Nell'attuale testo, in seguito alle modifiche introdotte dalla dir. 2007 / 65 /CE , l'art. 10 recita: "La pubblicità televisiva e le televendite devono essere chiaramente riconoscibili e distinguibili dal contenuto editoriale. Senza pregiudicare l'uso di nuove tecniche pubblicitarie, la pubblicità televisiva e le televendite devono essere tenute nettamente distinte dal resto del programma con mezzi ottici e/o acustici e/o spaziali" (nella versione consolidata della direttiva sui servizi di media audiovisivi - dir. 2010/13/UE - l'art. 10 diventa l'art. 19). La riconoscibilità della sponsorizzazione diventa vieppiù necessaria se consideriamo che viene meno la separatezza, in quanto essa non è altro rispetto alla programmazione, come la pubblicità tabellare, ma interagisce con essa, essendo parte integrante del flusso programmatico: si spiegano così l'obbligo di riconoscibilità dello sponsor con l'indicazione del suo nome o logotipo almeno all'inizio o alla fine del programma e il divieto di ingerenza dello stesso nel contenuto della trasmissione.

(7) A tenore del quale "la comunicazione commerciale deve essere sempre riconoscibile come tale. Nei mezzi in cui, oltre alla pubblicità, vengono comunicati al pubblico informazioni e contenuti di altro genere, la pubblicità inserita deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti".

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(8) Secondo G. Rossi, La pubblicità dannosa, Milano, 2000, 156 e ss. la norma renderebbe ingiusto, e quindi risarcibile, il danno subito dal consumatore per conseguenza di violazioni della stessa.

(9) M. Fusi, op. cit., 822. In questi termini si veda anche M. Bianca, Commento all'art. 8, II, in Le nuove leggi civili commentate, 1991, 707, nonché G. V. Briante e G. Savorani, Le sponsorizzazioni, in I servizi dell'informazione, tomo II: Radiotelevisione, a cura di R. Zaccaria, vol. XV del Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, 372.

(10) Sottolinea come in Italia la sponsorizzazione avesse assunto forme atipiche, con la massiccia partecipazione dello sponsor all'interno dei programmi mediante "piazzamento" dei prodotti, allontanandosi dallo schema normativo della sponsorizzazione per avvicinarsi a quello della pubblicità tradizionale o della vendita promozionale, M. Bianca, op. cit., ibidem.

(11) Comunicazione della Commissione europea 2004/C 102/02, del 28 aprile 2004, par. 3.1.2. punto 53.

(12) La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con sentenza del 12 dicembre 1996, cause C-320/94 e altre, ebbe a precisare che la menzione dello sponsor non possa essere limitato solamente all'inizio o al termine del programma, ma può essere effettuata anche in momenti diversi.

(13) L'art. 17, comma 1, lett. c, della direttiva 89/552/CEE vieta i riferimenti specifici di carattere promozionale a prodotti e servizi dello sponsor. Tale norma non venne recepita a livello di normativa nazionale con l'art. 8, commi 12-15, legge n. 223/1990, e con il primo regolamento sulle sponsorizzazioni di cui al d.m. n. 439/1991. Tale omissione non fu casuale secondo alcuni commentatori (G.V. Briante-G. Savorani, La sponsorizzazione radiotelevisiva in Italia: una disciplina anomala e Ead., I nuovi confini della sponsorizzazione radiotelevisiva in rapporto alla pubblicità tabellare e alle televendite, entrambi in Barile e Zaccaria (a cura di), Rapporto '93 sui problemi giuridici della radiotelevisione in Italia, Torino, 1994, 156 e 544), al punto da far parlare di accomodamento del recepimento normativo alla situazione italiana e di "telesponsorizzazioni all'italiana" con riferimento alla discussa figura delle "telepromozioni", in cui venivano camuffate formule marcatamente promopubblicitarie al fine di sottrarsi ai limiti di affollamento prescritti per la pubblicità (M. Fusi, Telesponsorizzazioni, telepromozioni, televendite, in Dir. inf., 1993, 814). In effetti, il d.m. 4 luglio 1991, n. 439 "Regolamento sulle sponsorizzazioni dei programmi televisivi", emanato giusta l'art. 8, comma 15, legge n. 223/90, prevedeva, all'art. 3, lett. f, tra le "Forme di sponsorizzazione", formule marcatamente promopubblicitarie, in quanto consentiva, tra l'altro, "il coinvolgimento a scopo pubblicitario o promozionale, in modo diretto e specifico all'interno di un programma del nome, marchio o simbolo di un'impresa nonché del prodotto o servizio". L'errato recepimento fu oggetto dei rilievi critici da parte della Commissione dell'Unione Europea (con lettera 3 novembre 1992) inducendo il legislatore a intervenire con il d.l. n. 483/1992 cit. che ha modificato l'originario articolato della legge n. 223/1990 in modo da ricondurre la sponsorizzazione televisiva alla nozione accolta in sede sopranazionale: viene aggiunto il sottocomma lett. b-bis al comma 13 dell'art. 8, che introdusse il divieto di riferimenti specifici a carattere promozionale ai prodotti dello sponsor, nell'ambito dei programmi sponsorizzati. Lo stesso decreto legge eliminò il meccanismo del c.d. convertitore per il computo della sponsorizzazione, nella misura del 2%, negli indici di affollamento pubblicitario e specificò che la disciplina di dettaglio sarebbe stata affidata ad un nuovo regolamento ministeriale secondo le proposte del Garante ai fini di adeguare la normativa interna ai disposti comunitari. L'iniziativa del Garante si sostanziò nell'emanazione del d.m. 9 dicembre 1993, n. 581 "Regolamento in materia di sponsorizzazioni di programmi radiotelevisivi e offerte al pubblico" in sostituzione del precedente d.m. 4 luglio 1991, n. 439. Sulla storia e sulla ratio della disciplina comunitaria e delle norme interne sulla sponsorizzazione fino al d.l. n. 408/92 convertito in legge n. 483/92, nonché sul recepimento sostanzialmente corretto, nonostante le censure della Commissione, del primo d.m. n. 439/91 sulle sponsorizzazioni, si rinvia al dettagliato studio di A. Frignani, Sponsorizzazione dei programmi e nuove forme di promozione commerciale televisiva, in Giur. it. 1993, IV, 393 s.

(14) Il concetto viene precisato in questi termini dall'Explanatory Report, esplicativo della Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, al par. 111, secondo cui: "The reference

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to "who is not engaged in broadcasting activities or in the production of audiovisual works" is intended to exclude co-productions or the co-financing of audiovisual works between broadcasters or between broadcasters and independent producers, from being treated as a form of sponsorship. On the other hand, it is clear that the sponsorship of a programme does not confer on the sponsor the status of co-producer, nor the corresponding rights and obligations". Il modello di sponsorizzazione cui la Convenzione fa riferimento consiste quindi in una forma di finanziamento, diretto o indiretto, di un programma inteso come opera culturale. Il fenomeno è sostanzialmente affine a quella forma di intervento delle imprese nel settore culturale nota come "mecenatismo d'impresa", con la differenza che in questa figura il mecenate non sovvenziona l'evento ai fini di un proprio ritorno pubblicitario ma per mera liberalità. Si veda, sulla distinzione tra sponsorship e patronage, A. Frignani-A. Dessi-M. Introvigne, op. cit., 38.

(15) Conclusione condivisa dal TAR Lazio, Sez. II, nella sentenza 19 dicembre 1997, n. 1987, richiamata nella nota precedente. Per quanto riguarda la visualizzazione ci sembra ragionevole che debba trattarsi di inquadrature occasionali e sporadiche, in modo da evitare forme surrettizie di product placement. Si veda sul tema lo scritto di V. Franceschelli, I contratti di sponsorizzazione e la sponsorizzazione occulta (il c.d. product placement), in M. Costanza (a cura di), Atti del Convegno di Parma, 15 aprile 1988, Milano, 1989, 75 s.

(16) Comunicazione della Commissione europea 2004/C 102/02 del 28 aprile 2004, par. 3.1.2 punto 55.

(17) Sul punto, la direttiva 89/552, nel testo modificato nel 1997, appare categorica. L'art. 13 dispone infatti che "è vietata qualsiasi forma di pubblicità televisiva e di televendita di sigarette e di altri prodotti a base di tabacco".

(18) Cass., 16 ottobre 1991, n. 10906, in Giur. it., I, 1, 704, con nota di S. Sanzo, Il divieto di pubblicità dei prodotti da fumo: nuovi sviluppi normativi giurisprudenziali.

(19) Cass., S.U., 6 ottobre 1995, n. 10508, in Corr. giur. 1996, 184, con nota di V.Z. Zencovich. Secondo le parole della Suprema Corte "l'effetto propagandistico del prodotto da fumo connesso all'utilizzazione di un marchio deve essere valutato in concreto, non come semplice idoneità astratta" Vale a dire che tale effetto dovrà essere riconosciuto "se ed in quanto detta utilizzazione conservi un effetto evocativo del prodotto da fumo ed un effetto di richiamo pubblicitario sullo stesso", mentre, di contro, lo si dovrà escludere qualora il marchio abbia acquisito "la capacità di identificare con assoluta immediatezza un prodotto diverso da quello originariamente richiamato, avendo perso la potenzialità di evocare, in quanto utilizzato nel diverso settore, il prodotto originario".

(20) Limiti di contenuto analoghi criteri sono dettati dall'art. 22 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

(21) Con il d.lgs. 15 dicembre 2004, n. 300 di attuazione della direttiva 2003/33/CE in materia di pubblicità e di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco si è disposto il divieto della sponsorizzazione di un evento o di un'attività qualora si svolgano contemporaneamente in più di uno Stato membro (art. 4, comma 1) nonché della sponsorizzazione di un evento che per quanto attiene la sua organizzazione produca direttamente effetti transfrontalieri (art. 4, comma 2); di contro tali disposizioni non si applicano quando l'evento o l'attività oggetto di sponsorizzazione si svolga esclusivamente nel territorio dello Stato (coperto dal divieto di pubblicità dei prodotti da fumo).

(22) A tenore del quale: "Gli Stati membri assicurano la libertà di ricezione e non ostacolano la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva".

(23) Corte di giustizia CE, 13 luglio 2004, causa C-429/02, Bacardi France Sas c. Télévision française; Id., 13 luglio 2004, causa C-262/02, Commissione c. Repubblica francese; le due sentenze riguardano la compatibilità col diritto comunitario di una legge francese che, a tutela

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della salute pubblica, vietava la trasmissione in Francia di manifestazioni sportive svolte in altri Stati membri, se non previa eliminazione dalle riprese di ogni forma di pubblicità di bevande alcoliche.

(24) Di cui è espressione l'art. 51 ("Tutela dei diritti dei non fumatori") della l. 16 gennaio 2003, n. 3, che stabilisce il divieto, a far data dal 10 gennaio 2005, di fumare in tutti i locali diversi dalla privata abitazione ad eccezione di quelli appositamente attrezzati con gli impianti di ricambio aria. Sulla questione della ragionevolezza della disciplina limitativa della pubblicità in generale e sulle ragioni del divieto di pubblicità per alcuni prodotti si veda l'interessante scritto di V. Zeno-Zencovich, La disciplina legislativa dell'attività pubblicitaria: ragioni e contraddizioni, in Dir. inf., 1995, 801. Ci sembra condivisibile l'osservazione dell'Autore secondo cui, di fronte a prodotti di accertata pericolosità, se ne dovrebbe vietare non la pubblicità ma la stessa produzione.

(25) Sarebbe anche da chiedersi, del resto, se sia effettivamente possibile adottare accorgimenti tecnici, soprattutto con riferimento ad eventi che coinvolgono scenari in continuo movimento, come le competizioni automobilistiche, ciclistiche, ippiche, senza impedire la stessa trasmissione dell'evento.

(26) Sul punto, cfr. L. Vasselli, Tv e minori. Quale tutela?, in La televisione digitale: temi e problemi, a cura di A. Frignani-E. Poddighe-V.Z. Zencovich, Milano, 2006, 219.

TELEVISIONE E RESPONSABILITA' FRA NUOVE REGOLE E NUOVI CONTRATTI

Bartolini Francesca

D.Lgs. 15-03-2010, n. 44

FONTEDanno e Resp., 2011, 3, 229Televisione

In ambito televisivo, tecnologia e normativa percorrono due parallele vie evolutive; anche l'autonomia privata, con lo strumento contrattuale, si adegua a questo processo di sviluppo, inventando nuovi accordi adatti a servire nuovi interessi. L'Autrice, traendo dalla prassi contrattuale alcuni esempi, tenta una ricostruzione della figura della responsabilità dell'editore televisivo, introdotta con il recentissimo decreto Romani (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44) in relazione ai contratti cc.dd. di affitto di banda e di licenza di canale tv.

 

Sommario: Evoluzioni televisive - … e normative - In particolare: la responsabilità dell'editore televisivo: nuovi obblighi … - … e nuovi equilibri

Evoluzioni televisive

La tv si evolve, con fare incalzante. E ciò accade nel verso della complessità: l'incremento degli strumenti, dei sistemi, in una parola, delle possibilità, lascia spazio a una vera e propria mutazione genetica dell'offerta televisiva.

Per il telespettatore tutto è possibile giacché, da una parte, sono i suoi desideri, le sue aspettative, a indirizzare gli operatori nella confezione dell'offerta; dall'altra, egli stesso è in grado di configurare una propria tv: interagendo con lo strumento, gioca il ruolo del provider, definendo da sé il palinsesto che più lo aggrada (1).

Il motore che ha consentito a questo panorama di formarsi, e che lascia prevedere ulteriori evoluzioni, sta sul piano della tecnologia.

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Il fenomeno della c.d. digitalizzazione (2), infatti, da una parte ha creato il presupposto tecnico dell'ampliamento, permettendo a ogni frequenza di supportare un certo numero di canali televisivi, anziché uno soltanto (3), canali che spesso presentano una propria identità commerciale, connotata da un tema di riferimento (storia, arte, natura, sport etc.), e quindi adatti a un pubblico specifico. Dall'altra, ha reso possibile l'ingresso di una nuova figura caratteristica della tv contemporanea che, con gergo processualistico, potrebbe chiamarsi lo "spettatore interveniente": oltre a esprimere la propria scelta sui contenuti da visionare, egli partecipa a sondaggi, a competizioni virtuali, e così via, cliccando i tasti del suo telecomando (4).

Dunque c'è, oggi, in senso tecnico, più televisione di ieri: dal punto di vista dell'utente, più programmi, più canali, più scelta, e una scelta più personalizzata. Dal punto di vista degli operatori, anzitutto più soggetti con i quali condividere il mercato, a diversi livelli, ma poi più specializzazione, segmentazione delle funzioni, sempre più specifiche; e quindi più rapporti, e rapporti più complessi fra operatore e operatore.

Su quest'ultimo aspetto sembra utile soffermarsi: se la televisione cresce, nel senso appena evocato, l'autonomia privata si adegua, adattando la propria prassi e i propri strumenti alle novità: nuovi e vari sono infatti i contenuti televisivi in circolazione, così come lo sono i rapporti fra utenti ed emittenti, ma anche, e soprattutto, fra le imprese della produzione e della distribuzione televisiva.

L'autoregolamentazione degli interessi privati, dunque, produce una realtà fatta di rapporti inediti, cristallizzati attraverso un largo uso dello strumento contrattuale. Compaiono, così, contratti nuovi, atipici, confezionati e rodati nel tempo fino a permettere di vedersi riconosciuti, forse, come socialmente tipici (5).

Fra questi, interessa qui isolare due fattispecie che, pur con punti di contatto, presentano elementi distonici.

Il primo è il cd. affitto di banda, con il quale il produttore di contenuti televisivi, che assembla il materiale audiovisivo costruendo il contenuto unitario del canale tv, si rivolge all'operatore di rete, che gestisce bande di frequenza e, verso un corrispettivo "a tempo", ottiene di veder trasmessi i propri contenuti.

L'operatore non ha diritto (né strumenti, di solito) di intervenire su quanto deve trasmettere, restando del tutto estraneo alla confezione, e anche alla titolarità, dei contenuti, ma limitandosi, invece, a garantire un servizio di veicolazione agli utenti, disponendo del mezzo per provvedervi. Trattasi, in definitiva, di un trasportatore virtuale, un appaltatore di servizi (per l'appunto, la veicolazione delle trasmissioni su banda).

Il secondo è il contratto di licenza del canale tv (6), con il quale l'editore di un canale si spoglia di una serie di facoltà di godimento dei suoi diritti sul canale per cederli a un licenziatario il quale, corrispondentemente, acquista una licenza sul canale tv, e lo veicola sulle proprie bande.

In questa seconda ipotesi l'oggetto del trasferimento consiste in un pacchetto di diritti di utilizzo dell'opera canale tv: le parti possono poi costellare tale trasferimento di limiti e comprimere l'oggetto entro i più vari confini (con clausole di esclusiva, o di riservatezza, ad es.), ma, altrettanto, potranno decidere di consentire un'intrusione da parte del licenziatario nei contenuti concessi in licenza, veicolando un prodotto finale diverso da quello acquisito.

A tali e tante innovazioni, dalla moltiplicazione dei contenuti alla proliferazione dei rapporti e dei contratti, si accompagnano nuovi interessi meritevoli di tutela, minacciati da nuovi pericoli, rendendo opportuno, nella prospettiva del legislatore, un intervento su più piani, e con strumenti diversificati.

 

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… e normative

In primo luogo si registra una moltiplicazione delle discipline regolatrici aspetti variamente interessanti la comunicazione televisiva (7).

L'intervento riguarda anzitutto la struttura del mercato degli operatori televisivi: ne è nota l'ormai digerita trasformazione in senso concorrenziale, che supera il vecchio sistema monopolistico in favore della compresenza di operatori privati e a partecipazione statale (8); relativamente recente è, invece, la scissione fra "fornitori di contenuti" e "operatori di rete", ai quali spettano rispettivamente la confezione dei prodotti editoriali da trasmettere e la vera e propria veicolazione fino agli utenti finali (9).

La regolazione, inoltre, segna i tempi e i modi dell'evoluzione tecnica: il percorso di digitalizzazione è battuto a colpi di decreti ministeriali (10), mentre l'istituzione di nuovi fondi ne sostiene il processo (11).

Per non dire dell'enorme apparato di regole che disciplina la gestione della pubblicità televisiva con il duplice obiettivo della garanzia del pluralismo e della protezione degli utenti (12).

Ma gli interventi, lungi dall'arrestarsi alla struttura del mercato, sconfinano nel merito dei contenuti televisivi trasmessi, che interessano il legislatore su diversi piani. Per un verso, la posizione di chi produce opere televisive e di chi ne fa uso a fini commerciali è rilevante per il diritto che tutela le creazioni intellettuali, delle quali fa oggetto di protezione dal pericolo di utilizzi abusivi: e, infatti, i prodotti televisivi, dai format ai canali tematici, sono da ritenere opere dell'ingegno degne di tutela (13).

Per altro verso, e muovendo da una diversa prospettiva, il legislatore (europeo, per primo) si pone nell'angolo visuale del fruitore dei servizi , il telespettatore, interessandosi dell'incidenza che i contenuti televisivi scatenano sui suoi diritti. Da una parte si protegge il telespettatore da illegittime intrusioni nella propria sfera privata, perpetrate tramite lo sfruttamento della sua posizione interattiva (14); dall'altra si valuta il diritto a non vedersi turbato da contenuti nocivi, o viceversa, a poter fruire di certi contenuti pur se in condizioni di handicap fisico (dir. 2007 / 65 /CE (15) e 2010/13/UE (16)).

Sotto il primo profilo, i diritti che si intende proteggere sono quelli degli utenti interattivi, le cui identità sono registrate per la lavorazione dei dati in uso agli operatori del mercato dei media , e le cui preferenze commerciali sono schedate per essere seguite e soddisfatte (17); il pericolo riguarda, qui, il diritto alla propria autodeterminazione, alla privacy, e all'uso legittimo, "partecipato" e, quindi, consapevole dei dati personali (18).

Nella seconda prospettiva, che qui interessa, emergono i diritti di tutti coloro che dal contatto con i contenuti televisivi possono subire danni.

Il presupposto dell'intervento comunitario sta nella considerazione che il settore televisivo non coinvolge soli interessi commerciali, ma ruota intorno a uno strumento potente, da piegare alla tutela di interessi pubblici quali il diritto all'informazione, la diversità culturale, la tutela dei minori, l'incremento della consapevolezza civica e l'alfabetizzazione mediatica del pubblico (ottavo considerando). I servizi media audiovisivi, in quest'ottica, "sono nel contempo

servizi culturali ed economici" deputati al perseguimento di obiettivi di tutela "per la società, la democrazia, l'istruzione e la cultura" (19) (quinto considerando, dir. 2010/13).

Lo strumento deve essere, pertanto, una disciplina di tali servizi (uniforme, quantomeno negli standard minimi):

(i) idonea a renderli accessibili a disabili e anziani;

(ii) volta a proteggere l'integrità psico-fisica dei minori;

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(iii) che "non induca in tentazione", e che perciò vieti i cd. contenuti nocivi, quali le comunicazioni pubblicitarie per sigarette o alcoolici.

In nome dell'effettività del sistema, peraltro, a questo vasto e dettagliato apparato di regole deve accompagnarsi il corrispondente presidio: ed ecco comparire la "responsabilità editoriale" del fornitore di servizi media audiovisivi.

 

In particolare: la responsabilità dell'editore televisivo: nuovi obblighi …

I contenuti audiovisivi, si è accennato, attraggono il legislatore, il quale ben si figura gli effetti "risonanti" che il mezzo televisivo impone ai suoi contenuti.

Conseguentemente, cresce l'esigenza di controllare chi crea e gestisce i contenuti audiovisivi e la loro circolazione. Vi ha provveduto recentemente il legislatore nazionale, con il d.lgs. 15 marzo 2010 n. 44 (20) - cd decreto Romani -, dando attuazione pedissequa agli obblighi comunitari cui si accennava.

Il decreto disciplina "l'esercizio delle attività televisive" e trova applicazione nei riguardi di "tutti i fornitori di servizi di media audiovisivi e di radiofonia stabiliti in Italia" o collegati al territorio Italiano in base a criteri individuati legislativamente (art. 2).

Secondo l'art. 4, c. 1, lett. b), si considera fornitore di servizi media "la persona fisica o giuridica che assume la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione". Non rientra nella definizione chi si occupi "unicamente della trasmissione di programmi per i quali la responsabilità editoriale incombe a terzi".

Cosa s'intenda per responsabilità editoriale, lo si scopre alla lett. h): l'"esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive o radiofoniche, o in un catalogo, nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta".

Le aree di incidenza della disciplina si sviluppano su diverse traiettorie.

Il primo apparato di regole riguarda la protezione del diritto d'autore: il fornitore di servizi media audiovisivi è tenuto all'osservanza dei diritti di autore e dei diritti connessi (art. 6, c.

2), trasmettendo le opere nel rispetto dei limiti temporali e delle condizioni stabilite nei rapporti con il titolare dei diritti d'autore e astenendosi dall'invadere il campo della proprietà intellettuale riferibile a terzi.

In questo senso, il legislatore "rinforza" le regole dettate dall'autonomia privata regolatrice dei rapporti fra titolari dei diritti, inserendo l'Autorità Garante per le Comunicazioni fra i soggetti coinvolti nella disciplina privata della circolazione. Stabilisce, infatti, il c. 3 che l'effettiva osservanza dei suddetti limiti e divieti sarà oggetto delle disposizioni regolamentari emanate all'uopo dall'Autorità.

Un secondo strumento consiste nell'invadere incisivamente il campo dei contenuti ammessi alla riproduzione televisiva, e, pertanto, costringe entro certi limiti la libertà di configurare il canale tv.

L'obiettivo della tutela dei minori - cui è dedicato l'art. 9 del decreto -, giustifica, ad es., il divieto di trasmettere programmi nocivi per lo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori (art. 9, c. 2), o l'imposizione di certe fasce orarie per la trasmissione di programmi vietati ai minori di 14 anni (art. 9, c. 4).

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Su questo medesimo versante, numerose sono le disposizioni che vietano l'inserimento di comunicazioni commerciali inadeguate rispetto al perseguimento di fini politici quali la tutela dell'ambiente, della salute, ovvero, ancora, che obbligano il fornitore di contenuti a inserire le interruzioni pubblicitarie solo in una certa quantità (cd. limite di affollamento) o al di fuori di certe programmazioni (21).

Un terzo gruppo di regole non vieta, ma impone all'editore del canale tv certi contenuti. In ossequio alla promozione della distribuzione e della produzione di opere europee (di cui all'art. 44, Testo Unico della radiotelevisione), secondo l'art. 16, "le emittenti televisive, anche analogiche, su qualsiasi piattaforma di trasmissione, compresa la pay per view, indipendentemente dalla codifica delle trasmissioni, riservano ogni anno almeno il 10 per cento del tempo di diffusione alle opere europee degli ultimi cinque anni, incluse le opere cinematografiche di espressione originale italiana ovunque prodotte".

Per finire, il legislatore, facendosi carico di garantire gli utenti, impone non contenuti, ma modalità di fornitura dei servizi . Questi devono essere "accessibili", ovvero consentire la fruibilità anche a chi verosimilmente affronti difficoltà a integrarsi nel tessuto sociale: (disabili e anziani, ad es.): sottotitoli, audiodescrizione dei menu di navigazione e linguaggio dei segni sono esempi di strumenti pro accessibilità (22).

 

… e nuovi equilibri

Individuati, grossomodo, gli obblighi del responsabile editoriale, resta da capire chi sia, effettivamente, questo responsabile. L'esercizio, per suonar più concreto, può farsi in relazione ai due "nuovi contratti" segnalati in precedenza, tratti ad esempio della nuova complessità dei rapporti televisivi moderni.

Se è "responsabile editoriale", recita l'art. 4 del decreto Romani, chi esercita un "controllo effettivo" sulla "selezione dei programmi", allora la responsabilità si lega, sostanzialmente, alla gestione del palinsesto (23), ovvero alla configurazione di quel prodotto unitario che presenti una sua identificabilità televisiva (esempio immediato è il canale tematico, come ad es. History Channel). Chi risponde, fra "affittante" e "affittuario" della banda televisiva, dei contenuti pornografici trasmessi alle 16 su canali non criptati e, quindi, agevolmente accessibili da qualunque minore? Chi, viceversa, dell'inaccessibilità per i sordomuti, fra fornitore dei contenuti/licenziante e operatore di rete/licenziatario? Chi, dell'eccessivo affollamento pubblicitario?

A questi e simili interrogativi può rispondersi: "dipende".

Nel caso dell'affitto di banda, che può accostarsi alla figura dell'appalto di servizi , la prassi mostra di intendere l'operatore di rete come mero fornitore di un servizio tecnico. I suoi inadempimenti contrattuali sono tipicamente collocati sul piano tecnico: egli garantisce la visibilità del canale, ma è neutro rispetto al "trasmesso" (24). Tale configurazione può trovare un suo corrispondente assetto sul piano della responsabilità, che si collocherà, in linea di massima, in solo capo al fornitore di contenuti.

La licenza di canale tv è più complessa, più atipica ancora, potrebbe dirsi. Il licenziante, si è detto, trasferisce diritti di godimento sull'opera televisiva editata dietro un corrispettivo: nella confezione del regolamento contrattuale, peraltro, i limiti alla libertà di godimento possono configurarsi nei modi più vari, lasciando spazi al licenziatario per modificare il contenuto di quanto conferito in licenza, inserendo contenuti altrui, ad es., o lavorando sul piano cronologico della trasmissione (ripetendo le medesime programmazioni più volte, spostando i programmi in diverse fasce orarie, e così via), ovvero impedendo qualunque interferenza.

E allora ecco il "dipende": per individuare il responsabile, o i responsabili, della legittimità di quanto trasmesso, alla luce delle prescrizioni accennate, occorrerà valutare l'assetto contrattuale predisposto dalle parti, cercando in concreto, e prescindendo dalle qualificazioni

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operate dai contraenti, l'effettivo gestore dei contenuti e della loro organizzazione spazio-temporale.

Gli interpreti, allora, potranno trovare lumi per ancorare le proprie determinazioni a presupposti teorici che il testo della norma non offre, da una parte nella giurisprudenza comunitaria (la quale, adita per il tramite del rinvio pregiudiziale interpretativo, con obiettivi di uniformità, offrirà linee guida e spunti interpretativi); dall'altra, e soprattutto, nelle delibere e nelle comunicazioni dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (25), nel ruolo di controllore del rispetto dei principi e regole summenzionati, nonché di sanzionatore delle relative violazioni. Questi due canali costituiranno una base essenziale per la definizione effettiva della (per adesso un po') misteriosa figura.

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(1) Questo quadro è il "campo di gioco" sul quale si innesta la disciplina comunitaria di origine della normativa nazionale che sostituisce l'impianto della direttiva cd. "Televisione senza frontiere", segnalato da G.M. Roberti, V. Zeno-Zencovich, Le linee guida del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 ("decreto Romani"), in Dir. inf., 2010, 1 ss., spec. 3-6.

(2) Mentre il sistema analogico consente a una frequenza di supportare un unico programma, la tecnologia digitale permette di supportare da quattro a sei/sette programmi. Sugli effetti della digitalizzazione nell'attività televisiva possono vedersi M. Pagani, La tv nell'era digitale, Milano, 2000, ed E. Pulcini, Click tv. Come Internet e il digitale cambieranno la televisione, Milano, 2006, 109. Quest'ultimo Autore si esprime in termini di "rivoluzione dei canali" e "dei contenuti", definendo la crescente personalizzazione dell'offerta televisiva.

(3) Su un canale digitale è possibile veicolare da 5 a 7 programmi televisivi; in futuro, attraverso tecniche di compressione sempre più evolute, si arriverà al trasporto di 10 programmazioni simultanee.

(4) Personalizzazione e interattività trovano naturalmente un'immediata ricaduta sulla pubblicità televisiva: con la tv tematica, infatti, gli inserzionisti dispongono di un target di riferimento già selezionato, definito secondo preferenze commerciali specifiche, così da vedere di molto ridotto, se non eliminato, il rischio di dispersione delle risorse spese in marketing.

(5) Sulla figura del socialmente tipico nel quadro della qualificazione del contratto vedi V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, 421-427. Sui rapporti incerti fra tipico e atipico, con riferimento all'ambito televisivo, può vedersi F. Bartolini, A.M. Benedetti, Il contratto di licenza del canale televisivo: problemi di contenuto e di qualificazione, in Contratti, 2011, 95 e ss. In genere, sulla tipizzazione G. De Nova, Il tipo contrattuale, Padova, 1974.

(6) Inteso qui come prodotto televisivo che individua un particolare tema, e identificabile commercialmente da un marchio.

(7) Sul tema, vedi già V. Roppo, Relazione generale al convegno genovese La televisione fra autonomia e controlli del 7-8 aprile 1995, nell'omonimo volume dallo stesso curato, Padova, 1995, 1 ss., che identifica il fenomeno della deregulation televisiva non già come assenza di regole, ma come indice di "nuova qualità delle regole e degli strumenti" volti ad assicurare la libertà e l'autonomia degli operatori.

(8) La televisione come sistema misto pubblico e privato è regolata dalla l. 223/1990. Per un'analisi di tale disciplina, anche in prospettiva politico-culturale, vedi E. Roppo, R. Zaccaria (a cura di), Il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, Milano, 1991; sulle basi e gli effetti della liberalizzazione del sistema, può vedersi P. Barile, E. Cheli, R. Zaccaria, Radiotelevisione pubblica e privata in Italia, Bologna, 1980.

(9) Scissione prevista dal Regolamento relativo alla radiodiffusione terrestre in tecnica digitale (All. A alla del. AGC 435/01/CONS). In molti casi, peraltro, gli operatori mantengono la gestione di entrambe le attività, adeguandosi solo formalmente alla prescrizione, e costituendo quindi

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società collegate, cui si riferisce la sola fase editoriale, da un lato, e, dall'altro, la sola fase della trasmissione. La tv analogica, diversamente, si caratterizza per la gestione unitaria delle attività di fornitura di contenuti, vendita di spazi pubblicitari e trasmissione vera e propria, in capo a un unico soggetto.

(10) Il passaggio dalla tv analogica alla tecnica digitale per la diffusione radio-televisiva terrestre è scandito da una serie di discipline di origine nazionale e internazionale. Il riferimento principale va alle decisioni adottate dalla Conferenza Regionale dell'Unione Internazionale delle telecomunicazioni di Ginevra (ITU GE06), tenutasi nel Giugno 2006, con la quale si sono dettate le regole fondamentali per il processo di transizione dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale, le modalità di utilizzo dello spettro in Europa e Nord Africa, alcune regole di coordinamento internazionale, e si è stabilita la data di spegnimento definitivo delle reti analogiche (2015) e la relativa protezione dall'interferenza proveniente da paesi confinanti. A livello nazionale rilevano, ad es., i dd. mm. 6 agosto 2007 per la sperimentazione dei servizi televisivi interattivi; i dd.mm. 24 aprile 2009 sulle date degli switch-off delle aree all digital 2009, e relative modifiche di calendario, tutti reperibili in www.comunicazioni.it.

(11) Vedi ad es. il d.m. 28 febbraio 2008 che istituisce il fondo digitale 2007 destinato a sostenere le iniziative per accelerare il processo di transizione al digitale previste per il 2007

dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo RAI - Radiotelevisione Italiana spa.

(12) Con disposizioni per lo più emanate su impulso del legislatore europeo e ora raccolte nel Testo unico della radiotelevisione - d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177.

(13) Così A.M. Benedetti, Il contratto di licenza canali, in AIDA 2010.

(14) Esiste, invero, un'"identità digitale", bersaglio di pericoli e, pertanto, meritevole di protezione. Cfr. A. Ricci, Il valore economico della reputazione nel mondo digitale, in Contr. impr., 2010, 6, 1296 ss., ma spec.1304-1306.

(15) Dir. cd. sui servizi media audiovisivi, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007 , "che modifica la direttiva 89/552/CE del Consiglio [cd. direttiva Televisione senza frontiere (TSF)] relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive", in GUUE 18 dicembre 2007 , L 332/27. L'attuazione in Italia si deve al d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44, cd. decreto Romani.

(16) Versione codificata della direttiva sui servizi di media audiovisivi, in GUUE 15 aprile 2010, L 95/1.

(17) La tv interattiva consente di raccogliere dati sulle preferenze di mercato dei consumatori, condividendo con lo strumento internet l'obiettivo di sondare le attitudini commerciali. Vedi, sul punto, L. Pugliese, Next tv. La via italiana al digitale terrestre, Milano, 2003, 45.

(18) Ambito nel quale è essenziale il ruolo dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, sulla funzione e attività della quale si rinvia a C.M. Bianca, F.D. Busnelli (a cura di), Commentario alla d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, II, sub artt. 153 ss. Padova, 2007 , 1961 ss. Sulle intersezioni fra privacy e televisione si rimanda a S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, Bari, 2005, 31 ss., ma spec. 80-83.

(19) Indagano i rapporti fra televisione e democrazia, pur in prospettive diverse, S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Bari, 2004 (II ed.), e G. Sartori, Homo videns, Bari, 2004, spec. 37 ss.

(20) In vigore dal 30 marzo 2010. Sul punto, R. Chieppa, Per una televisione migliore anche a difesa dei minori (luci e ombre nel d.lgs. n. 44 del 2010 con recepimento della direttiva europea sui servizi media audiovisivi), in www.federalismi.it (n. 13/2010), segnala come l'industria televisiva italiana abbia dimostrato "talune resistenze a una leale attuazione

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della normativa in vigore", oltre a una generalmente scarsa attenzione per l'aspetto della violenza in televisione, una delle principali preoccupazioni delle istituzioni europee intenzionate ad intervenire in tema di servizi media audiovisivi.

(21) Ad es., non è possibile inserire pubblicità o televendite durante la trasmissione di funzioni religiose (art. 11, c. 5).

(22) Così il quarantaseiesimo considerando della direttiva codificata 2010/13/UE, cit.

(23) In tal senso, G.M. Roberti, V. Zeno-Zencovich, Le linee guida del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 ("decreto Romani"), cit., 14.

(24) Per l'essenziale consultazione di modelli contrattuali ringrazio sinceramente Primocanale, emittente televisiva ligure di primaria importanza nazionale nel coordinamento anche su temi connessi alla liberalizzazione del mercato televisivo delle televisioni locali.

(25) Al fianco dello strumento regolatore più strettamente normativo, si pone questo ulteriore e fondamentale elemento di equilibrio del sistema televisivo: secondo l'art. 10, c. 1, del Testo unico della radiotelevisione, l'AGCOM - Istituita con l. 31 luglio 1997, n. 249 - è tenuta ad assicurare "il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni radiotelevisive".