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Novelle italiane dalle origini al cinquecento

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Questo e-book stato realizzato anche grazie al sostegno di:

E-textEditoria, Web design, Multimedia http://www.e-text.it/QUESTO E-BOOK: TITOLO: Novelle italiane dalle origini al cinquecento AUTORE: TRADUTTORE: CURATORE: Bellonci, Goffredo e Petrucciani, Mario NOTE: DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: Novelle italiane dalle origini al cinquecento / a cura di Goffredo Bellonci - Roma : Lucarini, \1986! - LIX, 847 p. ; 23 cm CODICE ISBN: informazione non disponibile 1 EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 30 giugno 2008 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilit bassa 1: affidabilit media 2: affidabilit buona 3: affidabilit ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Umberto Galerati, [email protected] REVISIONE: Giovanni Ferrero, [email protected] PUBBLICATO DA: Claudio Paganelli, [email protected] Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito Internet: http://www.liberliber.it/ Aiuta anche tu il "progetto Manuzio" Se questo "libro elettronico" stato di tuo gradimento, o se condividi le finalit del "progetto Manuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuo sostegno ci aiuter a far crescere ulteriormente la nostra biblioteca. Qui le istruzioni: http://www.liberliber.it/sostieni/

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NOVELLE ITALIANE DALLE ORIGINI AL CINQUECENTOINDICE PER AUTORE DAL NOVELLINOCome si paga il fumo Tirannia e bellezza di donna Incantesimo di negromanti Il novellatore di Azzelino Leffetto delle melanzane Narciso e lombra Un figlio in due mesi La petizione del cavallo Il pedaggio dei difetti La vedova senza piet Il re Meliadus e il cavaliere senza paura Re Marco sul pino La giustizia di Trajano Morta per amore Ges e il tesoro Il tradimento del falcone

DAL FIOR DI VIRTUna strana giustizia La verit al mercato La bugia perde la lingua Il puzzo della vanagloria Lincostanza e il demonio Castit eroica

FRANCESCO DA BARBERINOLindemoniata La pazienza premiata La bella e la savia La matta La romita tentata

BONVESIN DA LA RIVARitratto di Uberto Della Croce

DAI FIORETTI DI SAN FRANCESCOLuce dincendio a Santa Maria degli Angeli Il lupo di Anobio

DALLA VITA DI FRA GINEPROCome frate Ginepro fece la cucina ai frati

DOMENICO CAVALCALa leggenda di San Paolo eremita

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JACOPO PASSAVANTITestimonianze dellinferno Una visione di purgatorio Morte del peccatore Il demonio deluso Tais

ANONIMOLa donna del vergi

GIOVANNI BOCCACCIOSan Ciappelletto Abraam Giudeo Melchiesedech e i tre anelli Martellino falso storpio Lavventura di Rinaldo dEsti La novella di Landolfo Rufolo La notte di Andreuccio da Perugia Masetto da Lamporecchio si fa mutolo Costanza di Giletta di Nerbona Il vaso di basilico La tragica vicenda di Simona e Pasquino La novella degli equivoci Il casa di Ricciardo Manardi La tregenda nella pineta Federigo degli Alberghi in cerca damore La cena da Pietro in Vincioli Cisti fornaio Il cuoco Chichibio e la gru con una gamba La predica di frate Cipolla Peronella e lamante nel tino Il castigatore beffato Il marito geloso Astuzie del prete di Varlungo Calandrino in cerca dellelitropia Bruno e Buffalmacco involano il porco a Calandrino La vedova beffarda Cecco di Messer Fortarrigo Vicenda di due giovani Nobile invidia di Mitridanes Madonna Dianora La novella di Griselda

SER GIOVANNI FIORENTINOGiannetto e il mercante di Venezia La Petruccia si fa frate La vendetta di Buondelmonte Il maestro damore gabbato

FRANCO SACCHETTIParcittadino dei Linari Messer Bernab e il mugnaio Il Basso e il gioco della mosca Ser Tinaccio prete di Castello Gli ambasciatori di Casentino Ferrantino da Spoleto a Todi

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Lapaccio dorme con un morto Berto e la forese Giotto e il palvese Delluccider porci in economia Ugolotto degli Agli Lamante in croce Burle di mercanti fiorentini Giovanni e le tre romite Dante, il fabbro e il giovane Adimari Astuzie di messer Dolcibene Scalcare il cibo per grammatica Berto Folchi e la gatta ostinata Inondazione di Macerata La zuffa dei tre ciechi I porci alla dogana La frittata nei calzoni Il cavallo furioso al mercato di Firenze Bonamico e la bertuccia pittrice Gonnella buffone e la beffa dei gozzuti Le veglie di Tafo e il sonno di Bonamico Bonamico e la filatrice Lorsa campanaia Il mugnaio punito Le brache di San Francesco Un granchio fra moglie e marito Il vento sotto le lenzuola

GIOVANNI SERCAMBIIl pelliccione del nonno Un nuovo modo di rubare

FILIPPO DEGLI AGAZZARIIl diavolo nella cella Lincantatore maledetto e il fanciullo Frate Bandino, il ladro e lasino Lusuraio e i suoi tre figli La bertuccia e il mercante

ANDREA DA BARBERINOProdezze dOrlando bambino

SAN BERNARDINO DA SIENALa vedova e i maldicenti Il leone fa capitolo La scimmia si fa giustizia Le blandizie delle mezzane Lasino di comune Le astuzie del sensale Divizie, divizie

BONACCORSO PITTIUna lite alla corte di Francia

GIOVANNI MORELLIUn sogno

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LEON BATTISTA ALBERTIRitratto di una madonna del Quattrocento Ippolito e Leonora

ANTONIO MANETTILa novella del Grasso legnaiolo

GENTILE SERMINIIl gioco delle pugna Mastro Caccia da Sciano Anselmo Salimbeni e Angelica Montanini Ruberto da Camerino e Gentile Ser Meoccio ghiottone Monna Gioiosa e Smeraldo

DALLE FACEZIE DEL PIOVANO ARLOTTOIl Piovano e le tinche del senese Consiglio del Piovano al Grasso legnaiolo Il Piovano allosteria di Pontassieve La bandiera del Piovano Arlotto La storiella degli astronomi

MASUCCIO SALERNITANOLa bella moglie del geloso Tornese Il marito mezzano punito dalla moglie Doppia beffa a un dottore in legge La peste dellimpiccato Liberalit di messer Bertramo dAquino Lamore incognito La misera fine di due amanti Mariotto e Ganozza: gli amanti di Siena Lavventura di uno scolaro in Avignone

SABADINO DEGLI ARIENTIIl frate e il gatto Gli scolari che rubano il porco

LUIGI PULCIMorgante e Margotte

MATTEO MARIA BOIARDOLa fontana dellodio e la fontana dello amore

ANTONIO CORNAZZANONovella detta la Ducale

LEONARDO DA VINCIDi sopra per ogni cento Beffato secondo le regole Il gigante

LUDOVICO ARIOSTOLa novella di Fiammetta

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ANONIMOIstoria di due nobilissimi amanti, Ottinello e Giulia

NICOL MACHIAVELLIBelfagor

BALDESAR CASTIGLIONELe parole ghiacciate Unatroce burla Le tragiche nozze di Camma

LUIGI DA PORTOGiulietta e Romeo

MATTEO BANDELLOBeffa di una donna ad un gentiluomo ed il cambio che egli le ne rende il doppio Giulia da Gazulo, essendo per forza violata, in Oglio si getta, ove mor Beffa fatta da un contadino a la padrona e da lei al vecchio matiro che era geloso con certi argomenti ridicoli Un frate minore con nuovo inganno prende da una donna amoroso piacere, onde ne seguita la morte di tre persone ed egli se ne fugge Beffa fatta da un asino al priore di Modena e ai frati essendo egli entrato in chiesa la notte Una simia, essendo una donna portata a seppellire, si veste a modo della donna quando era inferma e fa fuggire quelli di casa. Castigo dato a Isabella Luna meretrice per la inobbedienza a li comandamenti del Governatore di Roma

GIAN FRANCESCO STRAPAROLALesperienza di Salardo La vendetta di prete Scarpacifico La fata di Biancabella Fortunio, il lupo, laquila e la formica Il re e la figlia del fornaio Luomo salvatico La mercanzia di Madonna Modesta Il mercante Ortodosso e la moglie fatata Il rubino di Violante Francesco Sforza smarrito nel bosco La disputa dei fiorentini e dei bergamaschi Il testamento dello scellerato Andrigetto La gatta senza stivali Una notte a Ferrara

PIETRO ARETINOFinse ella un sogno Del giungere che mia madre fece in Roma meco Il ladro de la catena Lo scolare maledetto La vidde un gracchia in rime Negromanzie selvatiche Loriuolo di re Luigi Sogno del monte di Parnaso

AGNOLO FIRENZUOLAUna complicata vicenda Lamante gabbato Il testamento da beffe

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Santolo e Fallalbacchio La scimmia taglialegna Il figlio della neve

ANTON FRANCESCO GRAZZINI (IL LASCA)La beffa a Neri Chiaramontesi Il falso morto Il prete ingannatore ingannato La beffa a San Simone berrettaio Il rubino di Gusparri del Calandra Linganno al fidanzato

G. B. GIRALDI (CINTIO)Il moro di Venezia Ricchezza sulla carta

ANNIBAL CAROIl capitano Coluzzo

GIORGIO VASARIIl bertuccione querelato Gli angeli con i cappucci

ANTON FRANCESCO DONIIl villano onesto Un barone geloso e la moglie arguta Favola del lone di marmo Gli amanti beffati

IL NOVELLINO COME SI PAGA IL FUMO?Qui si determina una nova quistione e sentenzia che fu data in Alessandria.

N Alessandria, la quale nelle parti di Romania, a ci che sono dodici Alessandrie le quali Alessandro fece il marzo dinanzi chelli morisse; in quella Alessandria sono le rughe ove stanno i Saracini li quali fanno i mangiari a vendere, e cerca luomo la ruga per li pi e netti mangiari e pi dilicati, s come luomo fra noi cerca de drappi. Un giorno di luned, un cuoco Saracino lo quale avea nome Fabrac, stando alla cucina sua, un povero Saracino venne alla cucina con un pane in mano. Danaio non avea da comperare da costui, tenne il pane sopra il vasello, e ricevea lo fumo che nuscia; e inebriato il pane del fumo che nuscia del mangiare, e quelli lo mordea, e cos il consum di mangiare. Questo Fabrac non vendo bene questa mattina. Reclsi a mala agura e a noja, e prese questo povero Saracino e disseli: pagami di ci che tu hai preso del mio. Il povero rispose: io non ho preso della tua cucina altro che fumo. Di ci hai preso del mio mi paga, dicea Fabrac. Tanto fu la contesa, che per la nova quistione e rozza e non mai pi avvenuta, nandaro le novelle al Soldano. Il Soldano per molta novissima cosa raun savi, e mand per costoro. Form la quistione. I Savi Saracini cominciarono a sottigliare, e chi riputava il fumo non del cuoco, dicendo molte ragioni: il fumo non si pu ricevere, e torna ad elemento, e non ha sostanzia n proprietade che sia utile; non dee pagare. Altri dicevano: lo fumo era ancora congiunto col mangiare, era in costui signoria e generavasi della sua proprietade, e luomo sta per vendere di suo mestiere, e chi ne prende usanza che paghi. Molte sentenzie vebbe. Finalmente fu il consiglio: poi chegli sta per vendere le sue derrate, tu et altri per comperare, dissero, tu, giusto Signore, fa che l facci giustamente pagare la sua derrata secondo la sua valuta. Se la sua cucina che vende dando lutile propriet, di quella suole prendere utile moneta, e ora chha venduto

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fumo, che la parte sottile della cucina, fae, Signore, sonare una moneta, e giudica che l pagamento sintenda fatto del suono chesce di quella. E cos giudic il Soldano che fosse osservato. (Novella IX)

TIRANNIA E BELLEZZA DI DONNACome uno re fece nodrire un suo figliuolo dieci anni in luogo tenebroso, e poi li mostr tutte le cose, e pi li piacque le femine.

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uno Re nacque un figliuolo: i Savi strologi providero chelli stesse anni dieci che non vedesse il sole, ch perderebbe lo vedere. Allora il fece notricare e guardare in tenebrose spelonche. Dopo il tempo detto, lo fecero trarre fuori, e innanzi a lui fece mettere molte belle gioie e di molte belle donzelle, tutte cose nominando per nome e dettoli le donzelle essere domni; e poi li domandaro quale desse li fosse pi graziosa. Rispose: i domoni. Allora lo re di ci si maravigli molto dicendo: che cosa tirannia e bellore di donna! (Novella IX)

INCANTESIMO DI NEGROMANTICome tre Maestri di Nigromanzia vennero alla Corte dello mperadore Federigo.

O mperadore Federigo fue nobilissimo Signore, e la gente chavea bontade venia a lui da tutte parti perch luomo donava volentieri e mostrava belli sembianti a chi avesse alcuna speziale bont. A lui veniano sonatori, trovatori e belli favellatori, uomini darti, giostratori, schermitori, dogni maniera gente. Stando lo mperadore Federigo, e facea dare lacqua, le tavole coverte, s giunsero a lui tre Maestri di Nigromanzia con tre schiavine. Salutrlo cos di subito, et elli domand: qual il maestro di voi tre? Luno si trasse avanti, e disse: Messere, io sono. E lo mperadore il preg che giocasse cortesemente. Et elli gittaro loro incantamenti e fecero loro arti. Il tempo incominci a turbare; ecco una pioggia repente e tuoni e folgori e baleni, e parea che fondesse una gragnuola che parea coppelli dacciaio. I Cavalieri fuggiano per le camere, chi in una parte chi in unaltra. Rischiarossi il tempo. Li maestri chiesero commiato e chiesero guidardone. Lo mperadore disse: domandate. Que domandaro. Il Conte di San Bonifazio era pi presso allo mperadore. Que dissero: Messere, comandate a costui che vegna in nostro soccorso contra li nostri nemici. Lo mperadore li le comand molto teneramente. Misesi il Conte in via con loro. Menrlo in una bella cittade, Cavalieri li mostrano di gran paraggio, e bel destriere e belle arme li apprestaro, e dissero: questi sono a te ubbidire. Li nemici vennero a battaglia. Il Conte li sconfisse e franc lo paese. E poi ne fece tre delle battaglie ordinate in campo, vinse la terra. Diedergli moglie. Ebbe figliuoli. Dopo, molto tempo tenne la Signoria. Lascirlo grandissimo tempo. Poi ritornaro. Il figliuolo del Conte avea gi bene quaranta anni. Il Conte era vecchio. Li maestri tornaro e dissero che voleano andare a vedere lo mperadore e la Corte. Il Conte rispose: lo mperio fia ora pi volte mutato, le genti fiano ora tutte nuove; dove ritornerei? E maestri dissero: noi ti volemo al postutto menare. Misersi in via. Camminaro gran tempo. Giunsero in Corte. Trovaro lo mperadore e suoi Baroni chancor si dava lacqua lo quale si dava quando il Conte nand co maestri. Lo mperadore li facea contare la novella; que la contava. I ho poi moglie, figliuoli hanno quarantanni, tre battaglie di campo ho poi fatte; il mondo tutto rivolto: come va questo fatto? Lo mperadore li le fece raccontare con grandissima festa a Baroni e a Cavalieri. (Novella XXI)

IL NOVELLATORE DI EZZELINOQui conta duno novellatore di messer Azzolino.

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ESSERE Azzolino avea uno suo novellatore il quale facea favolare quanderano le notti grandi di verno. Una notte avvenne che l favolatore avea grande talento di dormire. E Azzolino il pregava che favolasse. Il favolator incominci a dire una favola duno villano chavea suoi cento bisanti, il quale and a uno mercato a comperare berbici, et ebbene due per bisante. Tornando con le sue

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pecore, uno fiume chavea passato era molto cresciuto per una grande pioggia che venuta era. Stando alla riva, vide uno pescator povero con un suo burchiello a dismisura picciolino, s che non vi capea se non il villano e una pecora per volta. Allora il villano cominci a passare con una berbice, e cominci a vogare. Lo fiume era largo. Voga e passa. E lo favolatore rest di favolare. E Azzolino disse: va oltre. E lo favolatore rispose: lasciate passare le pecore, e poi racconter il fatto. Che le pecore non sarebbero passate in un anno, s che intanto pot bene ad agio dormire. (Novella XXXI)

L EFFETTO DELLE MELANZANEQui conta del Maestro Taddeo di Bologna.

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AESTRO Taddeo, leggendo a suoi scolari in Medicina, trov che chi continovo mangiasse nove d petronciano, diverrebbe matto. E provavalo secondo la Fisica. Un suo scolare, udendo quel capitolo, propuosesi di volerlo provare. Prese a mangiare de petronciani, e in capo di nove d venne dinanzi al Maestro, e disse: Maestro, il cotale capitolo che leggeste non vero; per chio lho provato, e non sono matto. E pur alzossi, e mostrolli il culo. Scrivete, disse il maestro, che tutto questo del petronciano provato; e facciasene nuova chiosa. (Novella XXXV)

NARCISO E LOMBRAQui conta come Narcis si innamor dellombra sua.

ARCIS fu molto buono e bellissimo Cavaliere. Un giorno avvenne chelli si riposava sopra una bellissima fontana; e dentro lacqua vide lombra sua molto bellissima, e cominci a riguardarla e rallegravasi sopra alla fonte. E cos credeva che quella ombra avesse vita, che stesse nellacqua, e non si accorgeva che fosse lombra sua. Cominci ad amare e innamorare s forte che la volle pigliare. E lacqua si tur, e lombra spario, ondelli incominci a piangere. E lacqua schiarando, vide lombra che piangea. Allora elli si lasci cadere nella fontana, s che anneg. Il tempo era di primavera; donne si veniano a diportare alla fontana. Videro il bello Narcis affogato: con grandissimo pianto lo trassero dalla fonte, e cos ritto lappoggiaro alle sponde. Onde dinanzi allo Dio dAmore and la novella. Onde lo Dio dAmore ne fece nobilissimo mandorlo molto verde e molto bene stante, e fu et il primo albero che prima fa frutto e rinnovella Amore. (Novella XLVI)

UN FIGLIO IN DUE MESIQui conta duno medico di Tolosa, come tolse per moglie una nepote dellArcivescovo di Tolosa.

N medico di Tolosa tolse per moglie una gentile donna di Tolosa nepote dellArcivescovo. Menolla. In due mesi fece una fanciulla. Il medico non mostr nullo cruccio. Anzi consolava la donna, e mostravale ragioni, secondo Fisica, che ben poteva essere sua di ragione. E con quelle parole e con belli sembianti fece s che la donna nollo puot traviare. Molto onore la donna nel parto. Dopo il parto si le disse: Madonna, io vho onorata quantio ho potuto; priegovi, per amore di me, che voi ritorniate ormai a casa di vostro padre. E la vostra figliuola io terr a grande onore. Tanto andaro le cose innanzi, che lArcivescovo sent che l medico avea dato commiato alla nepote. Mand per lui, e a ci che era grande uomo, parl sopra lui molto grandi parole mischiate con superbia e con minaccie. E quando ebbe assai parlato, il medico rispose e disse cos: Messer, io tolsi vostra nepote per moglie, credendomi della mia ricchezza poter fornire e pascere la mia fameglia; e fu mia intenzione davere unfigliuolo lanno, e non pi. Onde la donna ha cominciato a fare figliuoli in due mesi. Per la qual cosa io non sono s agiato, se l fatto dee cos andare, che li potessi nutricare; e a voi non sarebbe onore che vostro legnaggio andasse a povertade. Perchio vi cheggio mercede che voi la diate a uno pi ricco uomo chio non sono, s che a voi non sia

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disinore. (Novella XLIX)

LA PETIZIONE DEL CAVALLODuna campana che si ordin al tempo del Re Giovanni.

L tempo del re Giovanni dAcri fue ordinata una campana che chiunque ricevea un gran torto s landava a sonare, e l Re ragunava i Savi a ci ordinati a ci che ragione fosse fatta. Avvenne che la campana era molto tempo durata che la fune era venuta meno, s che una vitalba vera legata. Or avvenne che uno Cavaliere dAcri avea un suo nobile destriere lo quale era invecchiato s che sua bont era tutta venuta meno, s che per non darli mangiare il lasciava andar per la terra. Lo cavallo per la fame aggiunse con la bocca a questa vitalba per rodegarla. Tirando, la campana son. Li giudici si adunaro, e videro la petizione del cavallo che parea che domandasse ragione. Giudicarono che l Cavaliere cui elli avea servito da giovane il pascesse da vecchio. Il Re lo costrinse e comand sotto gran pena. (Novella LII)

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IL PEDAGGIO DEI DIFETTIQui conte duna grazia che lo mperadore fece a un suo Barone.

O mperadore don una grazia a un suo Barone, che qualunque uomo passasse per sua terra che li togliesse dogni magagna evidente un danaio di passaggio. Il Barone mise a la porta un suo passeggiere a ricogliere il passaggio. Un giorno avvenne che uno che avea meno uno piede venne alla porta: il pedagiere li domand un danaio. Quelli si contese azzuffandosi con lui. Il pedagiere il prese. Quelli difendendosi, trasse fuori uno suo moncherino, chavea meno luna mano. Allora il pedagiere il vide e disse: tu me ne darai due; luno per la mano, e laltro per lo piede. Allora furo alla zuffa: il cappello li cadde di capo. Quelli avea meno luno occhio. Disse il pedagiere: tu me ne darai tre. Piglirsi a capelli; lo passaggiere li puose mano in capo. Quelli era tignoso. Disse lo passaggiere: tu me ne darai ora quattro. Cos convenne a colui, che potea sanza lite passare per uno, pagasse quattro. (Novella LIII)

LA VEDOVA SENZA PIETQui conta dun gentiluomo che lo mperadore fece impendere.

EDERIGO Imperadore fece impendere, un giorno un grande gentiluomo per certo misfatto. E per fare rilucere la giustizia, s l facea guardare ad uno grande Cavaliere con comandamento di gran pena che nollo lasciasse spiccare. S che, questi non guardando bene, lo mpiccato fu portato via. S che quando quelli se navvide, prese consiglio da se medesimo per paura di perdere la testa. E istando cos pensoso in quella notte, si prese ad andare ad una badia che era ivi presso, per sapere se potesse trovare alcuno che fosse novellamente morto, a ci che l potesse mettere alle forche in colui scambio. Giunto alla badia la notte medesima, s vi trov una donna in pianto, scapigliata e scinta, forte lamentando; et era molto sconsolata e piangea un suo caro marito lo quale era morto lo giorno. Il Cavaliere la domand dolcemente: Madonna, che modo questo? E la donna rispose: io lamava tanto che mai non voglio essere pi consolata, ma in pianto voglio finire li miei d. Allora rispose il Cavaliere: Madonna, che savere questo? Volete voi morire qui di dolore? Ch per pianto n per lagrime non si pu recare a vita il corpo morto. Onde, che mattezza quella che voi fate? Ma fate cos: prendete me a marito, che non ho donna, e campatemi la persona, perchio ne sono in periglio e non so l dove mi nasconda. Ch io per comandamento del mio Signore guardava un Cavaliere impenduto per la gola. Li uomini del suo legnaggio il mhanno tolto. Insegnatemi campare che potete; e io sar vostro marito, e terrovvi onorevolmente. Allora la donna, udendo questo, sinnamor di questo Cavaliere, e disse: io far ci che tu mi comanderai, tanto lamore che io ti porto. Prendiamo questo mio marito e traiamlo fuori della sepoltura, e impicchiamlo in luogo di quello che v tolto. E lasci suo pianto: e at trarre il marito dal sepolcro, e atollo impendere per la gola cos morto. Il Cavaliere disse: Madonna, elli avea meno

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un dente della bocca, e ho paura che, se fosse venuto a rivedere, che io avesse disonore. Et ella, udendo questo, li ruppe un dente in bocca. E saltro vi fosse bisognato a quel fatto, s lavrebbe fatto. Allora il Cavaliere, vedendo quello che ella avea fatto di suo marito, disse: Madonna, s come poco v caluto di costui che tanto mostravate damare, cos vi carerebbe vie meno di me. Allora si part da lei e andossi per li fatti suoi et ella rimase con gran vergogna. (Novella LIX)

IL RE MELIADUS E IL CAVALIERE SENZA PAURADel buon Re Melladus e del Cavaliere sanza paura.

L buono Re Meliadus e l Cavaliere Sanza Paura si erano nemici mortali in campo. Andando un giorno questo Cavaliere Sanza Paura a guisa derrante Cavaliere discognosciutamente, trov suoi sergenti che molto lamavano, ma nollo conoscevano. E dissero: dinne, Cavaliere errante, per onore di Cavalleria, qual miglior Cavaliere tra il buon Cavalier Sanza Paura o l buon Re Meliadus? E l Cavalier rispose: se Dio mi dea buona ventura, lo Re Meliadus lo miglior Cavaliere che in sella cavalchi. Allora li sergenti, che voleano male al Re Meliadus per amore di loro Signore, si sorpresero questo lor Signore a tradigione, e cos armato lo levaro da destriero e miserolo a traverso duno ronzino e diccano comunemente che l voleano impendere. Tenendo lor cammino, trovaro il Re Meliadus. Trovarolo a guisa di cavaliere errante, chandava a uno torneamento, e domand i vassalli perchelli menavano quello Cavalier cos villanamente. Et elli risposero: Messer, per chelli ha bene morte servita; e se voi il sapeste, voi il menareste pi tosto di noi. Addomandatelo di suo misfatto. Il Re Meliadus si trasse avanti, e disse: Cavaliere, che hai tu misfatto a costoro che ti menano cos laidamente? E l Cavaliere rispose: niuna cosa; n misfatto ho fatto loro se non chio volea mettere il vero innanti. Disse Il Re Meliadus: ci non pu essere. Contatemi pi vostro misfatto. Et elli rispose: Sire, volentieri. Io s tenea mio cammino a guisa derrante Cavaliere; trovai questi sergenti, e que mi domandaro per la vert di Cavalleria che io dicessi qual fosse miglior Cavaliere tra l buono re Meliadus o l Cavalier Sanza Paura. E io, siccome io dissi prima, per mettere il vero avanti, dissi che l Re Meliadus era migliore, e nol dissi se non per verit dire, ancora che l re Meliadus sia mio mortal nemico e mortalmente il disamo. Io non volea mentire. Altro non ho misfatto. E per subitamente mi fanno onta. Allora il Re Meliadus cominci ad abbattere i servi, e fecelo sciogliere, e donolli un ricco destriere co la insegna sua coperta, e pregollo che non la levasse insino a suo ostello: e partitosi, e ciascuno and a suo cammino. Il Re Meliadus e sergenti e l Cavaliere giunsero la sera allostello. Lev la coverta della sella. Trov larme del Re Meliadus che li avea fatta s bella diliberanza, e donolli, et era suo mortal nemico. (Novella LXIII)

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RE MARCO SUL PINOQui conta della Reina Isotta, e di messer Tristano di Leonis.

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MANDO Messer Tristano di Cornovaglia Isotta la bionda, moglie del Re Marco si fecero tra loro un segnale damore di cotal guisa; che quando Messer Tristano le volea parlare, si andava ad un giardino del Re dovera una fontana, e intorbidava il rigagnolo che facea la fontana, e andava questo rigagnolo per lo palazzo dove stava la detta Madonna Isotta. E quando ella vedeva lacqua intorbidata, si pensava che Messer Tristano era alla fonte. Or avvenne cuno malavventurato giardiniere se navvide, di guisa che li due amanti neente il poteano credere. Quel giardiniere and a lo Re Marco e contolli ogni cosa comera. Lo Re Marco si diede a crederlo. Si ordin una caccia, e partissi da suoi Cavalieri, s come si smarrisse da loro. Li Cavalieri l cercavano erranti per la foresta; e lo Re Marco nand in su il pino che era sopra la fontana ove Messere Tristano parlava alla Reina. E dimorando la notte lo Re Marco sul pino, e Messere Tristano venne alla fontana e intorbidolla. E poco tardante, la Reina venne alla fontana. Ed a ventura le venne un bel pensiero, che guard il pino. E vide lombra pi spessa che non solea. Allora la Reina dott, e dottando ristette, e parl a Tristano in questa maniera e disse: disleale Cavaliere, io tho fatto qui venire per potermi compiangere di tuo gran misfatto, ch giammai non fu in Cavalier tanta dislealtade quanta tu hai per tue parole, ch mhai onita e lo tuo zio Re Marco che molto tamava: ch tu s ito parlando di me intra li erranti Cavalieri cose che nello mio cuore non poriano mai discendere. E innanzi darei me medesima al

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fuoco, che io onissi cos nobile re come monsignore lo Re Marco. Onde io ti disfido di tutta mia forza, s come disleale Cavaliere, sanza niuno altro rispetto. Tristano udendo queste parole, dubit forte, e disse: Madonna, se malvagi Cavalieri di Cornovaglia parlan di me tutto, primamente dico che gi mai io di queste cose non fui colpevole. Merc, donna, per Dio, elli hanno invidia di me; chio giammai non feci n dissi cosa che fossi disinore di voi n del mio zio Re Marco. Ma dacch vi pur piace ubbidir a vostri comandamenti. Andronne in altre parti e finir li miei giorni. E forse, avanti chio mora, li malvagi Cavalieri di Cornovaglia avranno soffratta di me, s come elli ebbero al tempo dello Amoroldo, quando io diliverai loro e loro terre di vile e di baido servaggio. Allora si dipartiro sanza pi dire. E lo Re Marco che era sopra loro, quando ud questo molto si rallegr di grande allegrezza. Quando venne la mattina, Tristano fe sembianti di cavalcare. Fe ferrare cavalli e somieri. Valletti vegnono di gi e di su: chi porta freni, chi selle; il tremuoto era grande. Il Re sadir forte del partire di Tristano, e raun Baroni e suoi Cavalieri, e mand comandando a Tristano che non si partisse sotto pena del cuore sanza suo commiato. Tanto ordin il Re Marco, che la Reina ordin e mandolli a dire che non si partisse. E cos rimase Tristano a quel punto, e non si part. E non fu sorpreso n ingannato, per lo savio avvedimento chebbero in tra lor due. (Novella LXV)

LA GIUSTIZIA DI TRAJANOQui conta della gran giustizia di Traiano imperadore.

O mperadore Trajano fue molto giustissimo Signore. Andando un giorno con la sua grande cavalleria contra suoi nemici, una femina vedova li si fece dinanzi, e preselo per la staffa e disse: Messer, fammi diritto di quelli cha torto mhanno morto lo mio figliuolo. E lo mperadore disse: io ti soddisfar, quandio tornar. Et ella disse: se tu non torni? Et elli rispose: sodisfaratti lo mio successore. Et ella disse: e se lo tuo successore mi vien meno, tu men se debitore. E pogniamo che pure mi soddisfacesse; laltrui giustizia non liberr la tua colpa. Bene avverre al tuo successore selli liberre se medesimo. Allora lo mperadore smont da cavallo e fece giustizia di coloro chaveano morto il figliuolo di colei. E poi cavalc, e sconfisse i suoi nemici. E dopo non molto tempo dopo la sua morte, venne il Beato San Grigoro papa. E, trovando la sua giustizia, and alla statua sua e con lagrime lonor di gran lode, e fecelo disseppellire. Trovaro che tutto era tornato alla terra, salvo che lossa e la lingua. E ci dimostrava come era suto giustissimo uomo e giustamente avea parlato. E santo Grigoro or per lui a Dio. E dicesi per evidente miracolo che, per li preghi di questo Santo Papa, lanima di questo Imperadore fu liberata dalle pene dellinferno, e andonne in vita eterna; et era stato pagano. (Novella LXIX)

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MORTA PER AMOREQui conta come la damigella di Scalot mor per amore di Lancialotto de Lac.

NA figliuola dun grande Varvassore si am Lancialotto del Lac oltre misura; ma elli non le volea donare suo amore imperciocch elli lavea donato alla Reina Ginevra. Tanto am costei Lancialotto chella ne venne alla morte, e comand che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fosse arredata una ricca navicella coperta duno vermiglio sciamito, con un ricco letto ivi dentro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose. E fosse il suo corpo messo in questo letto, vestito di suoi pi nobili vestimenti, e con bella corona in cap ricca di molto oro e di molte pietre preziose, e con ricca cintura e borsa. E in quella borsa avea una lettera che era dello infrascritto tenore. Ma imprima diciamo di ci che va innanzi la lettera. La damigella mor di mal damore, e fu fatto di lei ci che disse. La navicella senza vela fu messa in mare con la donna. Il mare la guid a Camabot, e ristette alla riva. Il grido fu per la Corte. I Cavalieri e Baroni dismontaro de palazzi, e lo nobile re Art vi venne, e maravigliavasi forte chera sanza niuna guida. Il Re intr dentro; vide la damigella e larnese. Fe aprire la borsa. Trovaro quella lettera. Fecela leggere, e dicea cos: A tutti i Cavalieri della Tavola Ritonda manda salute questa damigella di Scabot, s come alla miglior gente del mondo. E se voi volete sapere perchio a mio fine sono venuta, si per lo migliore Cavaliere del mondo e per lo pi villano, cio Monsignore Messer Lanciabotto de Lac, che gi nol seppi tanto pregare damore chelli avesse di me mercede. Cos, lassa, sono morta per bene amare, come voi

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potete vedere. (Novella LXXXII)

GES E IL TESOROCome Cristo andando un giorno co discepoli suoi per un foresto luogo, videro molto grande tesoro.

NDANDO un giorno Cristo co discepoli suoi per un foresto luogo, nel quale i discepoli che veniano dietro videro lucere da una parte piastre d oro fine. Onde essi, chiamando Cristo, meravigliandosi perch non era ristato ad esso, s dissero: Signore, prendiamo quello oro che ci consoler di molte bisogne. E Cristo si volse, e ripreseli e disse: voi volete quelle cose che togliono al regno nostro la maggior parte dellanime. E che ci sia vero, alla tornata nudirete lassempro. E passaro oltre. Poco stante, due cari compagni lo trovaro, onde furo molto lieti, e in concordia andaro alla pi presso villa per menare un mulo, e laltro rimase a guardia. Ma udite opere ree che ne seguiro poscia de pensieri rei che l nemico di loro. Quelli torn col mulo, e disse al compagno: i ho mangiato alba villa, e tu di avere fame; mangia questi duo pani cos belli, e poi caricheremo. Quelli rispose: io non ho gran talento di mangiare ora; e per carichiamo prima. Allora presero a caricare. E quando ebbero presso che caricato, quelli chand per lo mulo si chin per legar la soma, e laltro li corse di dietro a tradimento con uno appuntato coltello e ucciselo. Poscia prese luno di que pani e dielbo al mulo. E laltro mangi elli. Il pane era attoscato: cadde morto elli e l mulo, innanzi che movessero di quel luogo. Il nostro Signore pass indi con suoi discepoli nel detto giorno, e mostr loro lassempro che detto avea. (Novella LXXXIII)

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IL TRADIMENTO DEL FALCONEQui conta come lo mperadore Federigo uccise un suo falcone.

O mperadore Federigo andava una volta a falcone, e aveane uno molto sovrano che lavea caro pi duna cittade. Lasciollo a una grua; quella mont alta. Il falcone si mise alto molto sopra lei. Videsi sotto unaguglia giovane; percossela a terra, e tanto la tenne che luccise. Lo mperadore corse, credendo che fosse una grua: trov comera. Allora con ira chiam il giustiziere, e comand chal falcone fosse tagliato il capo perch avea morto lo suo Signore. (Novella XC)

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FIOR DI VIRT UNA STRANA GIUSTIZIAELLA Vita de Santi Padri si legge, che un romito avea fatto penitenza grandissimo tempo, e avendo una malattia molto grave, della quale egli non poteva guarire, si cominci a lamentare forte dIddio, e un Angiolo gli venne in forma duomo, e chiam il romito, e dissegli: Io ti voglio mostrare gli occulti giudizi di Dio. Allora il romito e lAngelo si mossono, e andarono insieme per un cammino; e quando ebbero camminato il d infino alla sera, capitarono a un buon uomo che li ricevette ad albergo molto volentieri, e fece loro grandissimo onore, e misegli nel suo letto. Quando venne in su la mezza notte, lAngelo si lev pianamente, e sconficc un forziere, e tolse una coppa che vera dentro. E la mattina levati, si partirono da quello buon uomo; e camminando, gli giunse un pessimo tempo da non potere camminare, e capitati a una casa chiesero albergo per Dio, a quali fu risposto senza compassione: e non volendogli ricevere furono accomiatati. Onde il romito tanto ripreg quel reo uomo, che gli lasci stare in una sua stalla, non dando loro n bere n mangiare; e di ci lo romito molto sattristava. E quando si vennero a partire la mattina, lAngelo gitt in casa quel reo uomo quella coppa, e andando per cammino giunsero a una fonte; ed avendo sete, il romito chiese la coppa per bere, e lAngelo disse: Io la donai a colui con cui noi stemmo iersera. Allora il romito tutto turbato disse allAngelo: Se tu il diavolo? Io non voglio venire pi teco; imperocch chi fa a noi male, e tu fai bene; e chi ci ha fatto bene, e tu hai fatto male. E ragionando cos, pervennero a un monasterio

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ove era un santissimo abate, il quale fece loro grandissimo onore: e quando si vennero a partire, lAngelo di Dio mise fuoco in una casa della badia: e essendo dilungati dalla badia, il romito sentendo gridare si volse addietro, e vedendo quel fuoco domand lAngelo quello chera, ed egli rispose: fuoco chio misi in una casa della badia. Poi arrivarono ad una casa, e lAngelo uccise un fanciullo chera in una culla, e poi si volt al romito, e disse: vedi chio sono venuto a te mandato da Dio per farti vedere i divini giudizi; per cagione che tu mormoravi contro Dio della tua debole infermit, imputando non fosse giustizia. Ora sappi, che quello chio ho fatto, tutto ho fatto per divina giustizia. E prima, la coppa chio tolsi a colui ci fece onore, s fu che quanto avea era bene acquistato, salvo che quella; e per a lui la tolsi, e diedila a colui che non avea nessuna cosa altro che male acquistata: ed il perch misi fuoco nella casa della badia, si fu perch egli hanno certi danari che vogliono spendere in murare, e non sono in concordia, di che vogliono fare la ragione; onde per quella azione verranno a concordia: ed il perch io uccisi il fanciullo, si fu, perocch il padre suo, poi che lebbe, si diede a prestare a usura; onde, essendo morto il fanciullo, e ito al paradiso, quel padre attender a vivere giustamente. E cos tu, non avendo la malattia che tu hai, non saresti al servigio di Dio. E per sii certo che Iddio sempre permette il meno male, e a fine di bene, e i suoi giudizi sono irreprensibili; ma le persone non possono conoscere i suoi segreti. E ci udendo il romito, torn a fre penitenza pi che prima.

LA VERIT AL MERCATOELLA verit si conta nella Storia de Santi Padri che un cavaliere avea lasciato di grandi ricchezze al mondo per andare al servigio dIddio in un monastero di monaci. Un d, credendo lAbate che egli fusse pi savio nelle cose del mondo che gli altri monaci, s lo mand un d a un mercato per vendere certi asini del monastero che erano vecchi, e per comperare de giovani; e questo monaco non volle dire di no per la ubbidienza; ma pure malvolentieri vand. E stando nel mercato, la gente lo domandava: sono buoni questi tuoi asini? Ed egli rispondeva: Credete voi che l nostro monistero sia giunto a tanta povert che se fussono buoni, noi gli vendessimo? E udendo ci, s l domandavano: Perch hanno eglino s pelata la coda? E l monaco dicea: Egli sono vecchi, e si caggiono molto spesso sotto gli pesi, sicch si convengono pigliare per la coda; e per lhanno s pelata. E l monaco, non potendogli vendere, s se ne torn a casa con essi. E un converso che era andato seco s lo accus allAbate di ci che egli avea detto. E lo Abate mand per lui, a cominciollo forte a riprendere delle parole che egli avea detto al mercato. Rispose il monaco: Credete voi chio venissi qui per ingannare altrui con bugie? Certo io lasciai assai pecore e possessioni per venire a Colui ch Verit, e per uscire dalle bugie del mondo: e siate di questo certo, chio non le usai mai infino chi era al mondo, s mi dispiaceano le bugie. E udendo ci lAbate si strinse e non seppe pi che si dire.

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LA BUGIA PERDE LA LINGUAELLE bugie si legge nelle storie romane duna chavea nome Lemma, figliuola dello imperatore Anastagio, la quale sinnamor duno suo donzello chavea nome Amantino; e l donzello non vogliendo acconsentirle per paura dello imperadore, costei si pens di farlo morire. Sicch passando un d dinnanzi alluscio della figliuola del re, dovella giacea, ella cominci a gridare: Accorrete, accorrete ch Amantino mha voluta sforzare. E incontanente fu preso il donzello, e menato dinanzi allo imperadore, e fu domandato se era vero quello che dicea la donzella; ed egli rispose di no. E lo imperadore, si mand per la figliuola, e domand come era stato il fatto; ed ella non rispose niente. Ancora la domand, ed ella niente rispond. Ed essendo domandata pi volte e niente rispondendo, disse un barone con modo di beffa: Ellaver forse perduta la lingua. E lo imperadore si meravigli forte di ci, e felle cercare in bocca e trovossi avere perduta la lingua. E lo imperadore, veggendo questo miracolo, si fe lasciare il donzello; e allora torn la lingua di subito alla donzella ed ella manifest la verit in presenza dogni uomo. Poi riconoscendosi peccatrice e del pericolo corso e del beneficio ricevuto sentendosi a Dio molto tenuta, entr in un monistero; e qui fin la sua vita al servigio dIddio.

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IL PUZZO DELLA VANAGLORIAELLA vanagloria si legge ne libri de Santi Padri che una volta saccompagn uno Angiolo a forma duomo con un romito, e andando per la via si trovarono un cavallo morto che putiva molto forte; e il romito cominci forte a strignersi il naso, e lAngiolo parea che non lo curasse. E andando pi innanzi si trovarono una bella donna in un giardino con molte belle robe, e con ogni modo di vanagloria. Allora lAngiolo si cominci a stringere il naso; e il romito guarda, e fanne beffe, e grande maraviglia. E avendo sospetto di lui disse: Dimmi, perch tu ti strignesti il naso per cos bella cosa, come questa donna, e non lo ti strignesti per la carogna che noi trovammo innanzi? LAngiolo disse: Perch pute pi a Dio la vanagloria che tutte le carogne del mondo. E detto questo, subito gli spar dinanzi. E allora conobbe il romito che egli era amico di Dio, e suo messo.

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L INCOSTANZA E IL DEMONIOEL vizio della incostanza si legge nella Vita de Santi Padri, che un ladro, chavea fatto tutti i mali del mondo, si and a confessarsi da un romito; e quando egli gli venne a dare penitenza, il ladro diceva che non la potrebbe fare perch non saprebbe adorare e non potrebbe digiunare, n fare alcuna penitenza. E allora disse lo romito: Farai questo, che a ogni Croce che tu truovi, inginocchiati e falle riverenza. E il ladro promise bene di far questo; e il romito gli perdon tutti gli suoi peccati. E partendosi questo ladro dal romito, certi suoi nimici lebbono incontrato; e il ladro vide in uno scudo de suoi nimici dipinta la croce, e ricordandosi della penitenza che gli era data, singinocchi dinanzi alla croce: e in questo mezzo gli suoi nimici luccisono. Essendo morto il ladro, il romito vide due Angioli che ne portavano lanima sua in cielo; sicchegli si cominci forte a disdegnare, pensando che costui chavea fatto tanto male, ora se nera portato in cielo per cos piccola cosa. E cos sopra pensando deliber di volere ancora egli de diletti del mondo, perch il paradiso sacquista molto di leggero; e lasci il romitorio per andare al mondo. E allora il demonio incontanente prese podest sopra di lui, e mise una ritorta nella via, e preselo per lo piede, e fecelo cadere giuso dun sasso, in tal maniera chegli mor, e portonne lanima sua allo inferno, perocchegli non persever nel suo buono cominciamento. Per Cristo dice: Non chi comincia, ma quale persevera infino alla fine, quegli sar salvo.

CASTIT EROICAELLA virt della castit si conta nella Vita de Santi Padri duna monaca, della quale si era innamorato il signore della terra l dovera questa monaca nel monastero: e avendola fatta richiedere pi volte damore, ed ella sempre negando, il signore si lev un d a furore, e s and a questo monastero, e trassela fuori per forza per volerla menare a casa sua. Veggendo la monaca che niente le valeva il chiedere misericordia, domand lo signore il perch faceva tanta forza pi a lei che a nessuna dellaltre, essendovene pi belle di lei nel monastero. Rispose lo signore: Io lo faccio per gli occhi tuoi, che sono cotanto belli. Allora disse la monaca: Da che io veggio pure che questo vi piace, io ve ne lascer saziare a vostro senno; lasciatemi tornare nella mia cella per mie cose, e poi verr l dove voi vorrete. Allora il signore la lasci andare, ed essa and nella sua cella, e cavossi gli occhi, e poi fece chiamare il signore, e a lui disse: Poich voi siete si vago dei miei occhi, toglieteveli, e fatene ci che voi volete. Allora si part lo signore tutto quanto smarrito e forte turbato; e la monaca salv la sua castit volendo innanzi perdere gli occhi; secondo che dice il Vangelio.

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FRANCESCO DA BARBERINO L INDEMONIATA

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NA si mostrava indemoniata, ed era molto bella, e i suoi capelli avea molto cari, e certo di ci non mi maraviglio, che molto gli avea belli. Dur gran tempo, e il padre e madre non naveano pi, e tutto di piangeano; e scongiuri ed altre cose aveano fatte assai, e non valea. Andovvi uno mio caro amico in compagnia duno suo cugino, vide sua maniera, ed ebbe conosciuta sua mattezza. Pens di guarilla: trassesi in parte col padre, e dissegli il vero. Accordossi col padre e colla madre di fare ogni vista che potesse, non venendo ai fatti, perocch troppo nerano teneri. Acciocch facesse loro vedere che dicea vero, tenne questa via in presenza di loro due, e di lei, e di me. Disse: Questi diavoli, che costei ha in corpo sono di s fatta generazione, che non andranno se non per fuoco: fatemi portare una conca grande di fuoco, e uno ferro sottile, e leghiamo lei in su questo desco,e col ferro caldo le foriamo la testa. Dissi io: El ci sana forse rischio. Dissello: Senza rischio non mai, forse, che campa, e sella campa, ella si guarita. Disse il padre: Io la voglio anzi in questo rischio, che vederla cos fatta. E ella pure cinguettava, e mostrava di non intenderci. Disse lamico mio: Legatela. Fue presa e legata a forza. Disse ello: Per veder meglio come noi dobbiamo fare, e per meglio sanare la piaga portatemi le forbici, ed intanto chel ferro si scalda tondialle i capelli. Immantanente che questa parola fue detta, ed ella chiam la madre, e disse: Io mi sento per questo legare e per questo fuoco tutta mutata; forse che li diavoli hanno paura. A questo dicemo noi: Ora buono andare dietro alla medicina: allora pigli il padre le trecce, e disse: Taglia; e a questo ella disse alla madre in segreto: Non vi bisogna, che io sono guarita.

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LA PAZIENZA PREMIATA

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NA Donzella fue in una citt, che ha nome SanLis in Francia, chebbe nome Felice! non mi ricorda bene del nome del padre, ma lavolo ebbe nome messer Ugonetto. Ella era chiamata Felice di messer Ugonetto; perocch, morto il padre, ello la ridusse a s, e trattava continuamente di darle marito, e tutti trattati si rompeano, s disragionevolmente parea che Iddio non volesse. Per questo modo pass tanto tempo, chella avea venti anni. E quando certe donne sue parenti diceano a lei che di ci le portavano compassione, ella rispondea: Non vi dolete di quello che non mi doglio io; Dio mha serbata una migliore ventura che alcuna di quelle che trattate sono, e quando lui piaccia che io non trovi mai compagnia, anco sono contenta, che forse acconcer lanima mia quasi per una cotal forza ad esser sposa di lui, ch Signore di tutti. Avvenne che infra un anno dopo suoi venti anni, tutti coloro di cui era stato il trattato, o presono mala via, o morirono di mala morte. E sempre costei udita la novella, m delluno e m dellaltro, andava dinanzi ad una sua Tavoletta, e ringraziava Dio m delluna e m dellaltra grazia, che laveva guardata di cotale compagnia. E veggendo questa gente cos arrivare, dicea nel cuor suo: Or ben veggio io, Signor mio Domenedio, che tu mi riserbi a miglior mio stato e ventura. E per questa cognoscenza di Dio, e per la sua onest, e per lo dolce suo parlare a chiunque di ci le ragionava, crebbe s la fama di sua santit e di virt, che tutto il paese ne parlava bene. Essendo una fiata lo Re l presso una badia, and messer Ugonetto a lui, come fanno i gentili uomini del paese quando lo Re muta contrada; e domandatolo il Re di sua condizione e di sua famiglia, fugli risposto per pi Baroni dal lato, abbiendo ello detto suo stato, tutto lessere e la maniera di questa Donzella. Dimand il Re come era bella, e fugli risposto di comunale bellezza. Era in sua corte un Cavaliere giovane molto provato, darmi famoso e di cortesia e di senno, lo cui padre avea perdute tutte sue terre perch avea per disavventura misfatto al Re; e per questo tanto vi lasci il nome per non infamar lo figlio del fallo del padre. Il quale figlio era tutto senza macula. Lo Re lo fece chiamare, e disse: Va, vedi questa Felice, e savrami dire se ella ti piacesse per compagnia. Rispose il Cavaliere: Io lho veduta, e udito tanto di lei di buona fama, che sio avessi terra, e potessila tenere a onore, io la prenderei, anzi sio la potessi avere, chalcunaltra qual fosse. Abbreviamo qui le parole: lo Re gli concedette tutte le terre chavea tenute il padre, in dote per questa Felice, e diegliele per moglie, e fecesi ogni cosa quel d, e ciascun Barone le fece certi doni. E la Regina fece vestire e fornire lei di tutto. E in somma non si porria dir lo bene chebbono questa compagnia insieme. E s mi ricordo che la terra, che gli restituio il Re per lo detto modo, fu tanta che di rendita avea per anno pi di trentamila livre tornesi. E la gente che scese poi di costoro stata sempre molto graziosa appresso di qualunque stato re. Essendo io alla detta badia, lAbate, contandomi questa novella, mi mostr uno giovane disceso di quella gente dicendomi: Vedi che luomo talora crede lo ndugio esser rio, ch buono. Che messer Ugonetto, poniamo che avesse trovato uno buono, nollavria possuta poner in grande luogo. E quinci confortava la compagnia e me, se non cos tosto potevamo esser spigliati dal Re; dicendo: Voi sarete tardati da Dio, tantoch voi verrete al punto charete migliore spigliamento, se voi arete ragione, e sarete pazienti.

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LA BELLA E LA SAVIANO Cavaliere di Normandia, chebbe nome messer Oddo, avea due sue figliuole: luna ebbe nome Margarita, e laltra Joanna. La prima fu la pi bella donzella del paese; la seconda fue la pi savia, ma non s bella. E la prima era di convenevole savere, ma tanto la vincea il diletto di farsi vedere, che di senno pregiata non era. Pensava il padre di maritar prima la savia; immaginando che dallaltra non gli potesse fallar maritaggio. Non avea luogo, perocch tutti attendeano, e trattavano della pi bella. La savia sento questo modo che tenea il padre, e and un d a lui, e in segreto gli disse queste parole: Padre mio, voi savete che la Margarita nacque prima di me ed pi bella, e pi degna, e pi desiderosa daver marito. E forse a ritener lei periglio maggiore di me; ed io so bene la ragione perch voi attendete a cacciarmi di casa prima di lei, e per queste cose io dico: chio non entendo a marito, e per avventura se voi promettessi per me, io non consentirei in alcun modo, e specialmente prima che la Margarita sia allogata. Dicea il padre: Io lo faccio per altro che per lo tuo senno; io spero trovar di te miglior maritaggio, e fatto buon cominciamento avr di tua sorella miglior condizione. Rispose la savia: Lo mondo non oggi acconcio a voler piuttosto la savia, che la bella. Ponian che io la pi savia fossi; ma voi mi credete velar gli occhi in questa maniera; fate come vi piace, voi mavete intesa. Sovra queste parole stando, venne dentro la bella, e quasi piangendo disse al padre: Voi trattate tutto di maritare la Joanna, ed ella tuttora ve ne lusinga; ma io vimprometto, che se voi la maritate prima di me, chio me nandr col primo cavaliere che mi vorr. La savia non risponde: il padre dice: Facciamo le sorte chi dee andare innanzi. La bella non vuole esser primiera. Diceale il padre: O se la tua ventura non va bene, che sar? Dicea la bella: Sar che porr, purchio abbia marito; chio sono entrata ne quindici anni, e la Joanna ne tredici. Ancora le dice il padre: Tu se matta, ed hai suspetta questa tua sorella di ci chella priega il contrario. Dice la bella: Ci non credo io, se non perch voi il dite. Ancor per tutto questo la savia non parla. Partonsi dalle parole. Il padre turbato si muove, e va sovra ira, e marita la bella a uno Scudiere, bello della persona, il quale non pensava daltro, che dacconciarsi e di pulirsi, ed in tutte le altre cose non valea un bisante. E compiuto il fatto, quanto al trattato, e la promessa, torn la sera in casa, ed ebbe questa Margarita, e disse: Or ecco io ho maritata la Joanna al cotale Scudiere; omai mariter te al primo che mavverr. Allora ella, credendo che dicesse da vero, cominci a piangere, e disse che ucciderebbe la sorella, sella il togliesse, e giunse, pi chello era stato suo amadore lungo tempo. Allora il padre and alla savia, e dissele tutta la verit ed ordin chella andasse allaltra, e dicessele: Vuoressi tu accambiare la tua ventura alla mia, e tu abbi costui, ed io ar quello che porr venire? E cos fu fatto. Rispose la bella: Piacemi. Allor venne il padre. La dote di costei era livre cento di tornesi, e la tua saria stata mille. Dice la bella: Non curo di dote: io pur non ci ramarr di dietro. Per questo modo la savia ingann la bella, che laltro d, compiuto il maritaggio non era Cavaliere nel paese, che la bella volesse vedere per disdegno del marito. Ora si rimane la savia col padre; e l padre, veggendo che sovra ira avea male anogata la prima, cominci a gittare ogni colpa sovra la savia, ed aveala forte in odio, e disse a lei: Certo tu non averai giammai marito da me. Rispondea la savia: Di ci son contenta. E cos pass anni dieci. Poi finalmente il padre, il quale avea sovra ira fatto rifiutare il retaggio alla prima, mor in una battaglia. Succedette alla savia tutte sue castella e terre; poi infra un anno il fratello del Duca, chera allora in Normandia, che non avea terra, la tolse per donna, al quale poi infra tre anni, morto il Duca senzalcunaltra reda, che questo marito della savia, e a lui ricadde il retaggio; onde fatta, da figlia di Cavaliere da scudo, Duchessa, e sono sotto lei tutte quelle del ducato insieme colla sorella e col marito. Di ci ha s grande sdegno la bella, che non venia a corte; ma finalmente il Duca fa questa pace; ma pur la savia sta in sedia ducale, e la bella in sul tappeto collaltre.

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LA MATTA

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ASSAVA per la citt di Uninga una donna giovane, n bella, n laida. Cavalieri, che verano, non abbiendo altro che fare, cominciarono a seguitar costei, e a farsele dinanzi alle vie, e a dire sicchella il potea intendere: Iddio, dalle buona ventura: quanto ella piacevole, vedi comella leggiadra, vedi come giuliva, vedi come le rispondon le membra, vedi cavelli amorosi, vedi occhi vaghi, vedi andatura onesta, vedi come fa i passi iguali, vedi come saluta vezzosamente, vedi ghirlanda stare, vedi cintura a punto, vedi peducci dilicati, vedi come va in sulla persona, vedi man da baciare, vedesti mai s compiuta giovane? e

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simiglianti parole; e dimandando per la terra, chi questa giovane, e simili dimande, tanto lallustrano per la Terra in seguitarla insino alla tornata in sua magione, che costei torn in casa, e cominciossi a specchiare, e lisciare, e credeasi essere cos bella, o pi, come costoro la faceano. Comincia costei a spessar le finestre, e le chiese, e le vie, e questi Cavalieri, accorti della mattezza di costei, comincian a seguitalla, e cominciano a dillo a pi altri, e quegli a quegli altri; sicch costei era troppo pi seguitata per beffe, che non era per diletto la pi bella di Uninga. E come di prima ellera detta giovane discreta, e onesta, cos poi era detta la matta. Sicch alquanti buoni dissono al padre questa cosa. Il padre il disse a lei. Non valse. Il marito se naccorse, e disseglielo, e non valse; anzi dicea, che il marito il dicea per gelosia, ed il facea dire al padre. And s la cosa, che passando ella dinanzi al palazzo di Guglielmo di Uninga, i fanciulli, come la matta, le cominciarono a gittar le pietre. Fugg in una di quelle parti, e l fu lapidata, e fino i d suoi.

LA ROMITA TENTATANA romita fue a Najon in Piccardia presso alla terra a due leghe: sicch si ragionava di lei, chera bellissima, ed era det di venticinque anni. E ponian che fosse il luogo solitario, era il luogo forte, e l paese sicuro da non poterle esser fatta forza; sicch sella volea esser forte nella mente, potea, non ostante che mala gente assai le facesson noia per averla. Ebbe in quella contrada, secondo mi disse un Canonico della Chiesa maggiore, una gente di giovani, che continuamente andavano e mandavano per farla indurre a peccato. E quella dava udienza a chiunque volea parlare dalla finestrella; non lassandosi per vedere. E poi gli mattava con suo senno, e con sua fermezza; chera tenuto, il suo, maggior miracolo che mai sudisse, o trovasse, dalcuna donna costante. And a lei uno savio Religioso del paese, e biasimolle forte di questo stare a udire la gente, dicendole: E non persona tanto ferma, che, sendo cos continuo tentata, che non stia a gran periglio di cadere. Questa rispose: Io non so che fanno laltre; io per me vi dico, che lasso dire a costoro, per aver poi del tenere maggior corona. Io mi sento s ferma allamor divino, che se quel Serpente che tent Eva con tutta la sottigliezza degli altri Dimoni venisse a mettere tutta sua forza in rompermi, io non temeria. Questo Re ligioso le disse: Se tu se cos forte, come tu mi d, tu puoi ben stare a udire, ma grande pericolo v: e a queste parole si partio. Lo Serpente che ingann Eva, udendo queste parole, pens di farla rimanere ingannata; e fecele la notte venire in visione, che uno figliuol del Re lavea tolta per moglie, e che questo figliuolo era succeduto nel regno, e che lo primo genito era morto, e chella sedea nella sedia della Reina al lato a questo Re, ed era Reina, e che questo Re le facea gran festa; e parvele tutta notte esser Reina, e sollazzare col Re. La dimane, quando si dest, nebbe tanto pensiere e speranza, che dimentic le orazioni, ed in tutto il giorno non si ricord dIddio, e l seguente d meno, e l terzo vie meno; ed ogni notte delle due seguenti le parea che questo Re le parlasse. Quando il Serpente la sent acconcia a dilettarsi di ci, ed ello pigli forma di una gran Contessa, e giunse con un gran rumore di compagni al Romitorio. Poi a compagni disse, che si traessono addietro, e con lunghe parole disse alla romita come quel figliuolo del Re era preso di lei, avendo veduta la sua fermezza, e la sua bellezza, e che la volea torre per moglie, e che il Re glie lavea molto conteso, ma finalmente gli avea dato la licenza veggendo pure lo suo volere, e chella le facea sapere che si trovava una profezia che costui dovea esser Re e dovea essere sua Reina una sua fedele, santa e bella. La romita mise mano, e cont tutta la sua visione. Disse la Contessa: Or ecco, poich le cose saccordano, che mi rispondi? Quella disse: Ecco, io non avea giurata verginit, n castit, e sono ancora in istato libero, e per tornate a lui, e dite come vi pare, chio sono per ubbidire. Prese comiato la Contessa da lei, come da colei che dovesse esser sua Donna; e partesi, e pensa di voler menare a lei uno di quelli che le facea noia in prima, e di farle parere chel fosse quel figliuolo del Re, e di farle stare insieme. Allora Dio misericordioso disse a un Angelo: Piet ci viene dello inganno chel Serpente ha fatto alla cotal romita, la quale era in tanta purit; ed avvegnach, per troppa sicurt chella avea di s, le stesse bene ogni pena, va, e poni silenzio al Serpente. And lAngelo, e trov la Contessa gi tornata al Romitorio; e fecele comandamente, che pi non andasse innanzi. Allora la Contessa lasci le forme della femmina, e riprese la forma del Serpente, e disse alla romita: Non ti posso pi offendere per lo cotal comandamento; ma almeno ti voglio dire che tu non tavezzi a credere di saper pi di me, chio sono lo cotal Serpente, ed hotti cos ingannata; e immantanente dispario. La romita cadde tramortita di paura; poi, ritornata in s, mand per quello Religioso, e contogli tutte queste cose. Ed in quello di ordin di entrare in un Monistero di donne, dove poi lungo tempo pianse la sua debolezza, e finalmente finio i d suoi con fama di gran santit.

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BONVESIN DELLA RIVA RITRATTO DI UBERTO DELLA CROCEquesto punto non so rinunziare a parlar dun fenomeno meraviglioso. Molti dei miei concittadini dambo i sessi, ormai decrepiti, ricordano un nobilissimo uomo, Uberto della Croce, figlio della nostra terra, la cui forza non ha mai trovato luguale nel mondo. Di questa forza voglio dare brevemente le prove in tutto conformi alla verit. Era uomo di illustre e potente stirpe, ma la sua maggior potenza stava nella sua vigoria, dacch gli atleti delle altre citt appetto a lui erano come fanciulletti di fronte ad uomini fatti. Egli fermava colle braccia cavalli in corsa, e li forzava a restare immobili: portava su per le scale fino ai piani superiori giumente di mugnai ben cariche di farina o di frumento; stando egli fermo sur un piede, laltro levato in aria, senza appoggio, nessuno, cos dicono, per quanta forza avesse, riusciva a smuoverlo; legato lun braccio e laltro presso le articolazioni delle mani, e sei uomini a destra e sei a sinistra tirando, co piedi ben puntati a terra, le funi, ci riusciva a portare con ambe le mani il cibo alla bocca; in una certa battaglia, trovatosi solo, accerchiato da una densa turba di pavesi, colla sua terribile clava la mise in fuga. La sua statura era tale che se uno lo guardava davanti parevagli pendesse allindietro e viceversa. Era un gran mangiatore: divorava pasti bastevoli per quattro uomini; era capace di mangiare in una sola volta, e con molto pane, almeno trentadue uova fritte in padella. Raramente fece pompa in pubblico della sua forza senza una giusta causa, mai si dice ne abusasse per recar danno altrui; era con tutti cortese. Fioriva costui nel l2l5. Ebbe da una concubina una figlia cos vigorosa che levava da terra un grande vaso contenente tre staia di vino, al cui peso non avrebbe resistito un uomo, e ne beveva come uno farebbe da un bicchiere.

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FIORETTI DI SAN FRANCESCO LUCE DINCENDIO A SANTA MARIA DEGLI ANGELICome santa Chiara mangi con santo Francesco e co suoi compagni frati, in Santa Maria degli Angioli.

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ANTO Francesco, quando stava ad Ascesi, ispesse volte visitava santa Chiara dandole santi ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimo desiderio di mangiare una volta con lui, e di ci pregandolo molte volte, egli non le volea mai fare quella consolazione. Onde vedendo i suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a santo Francesco: Padre, a noi pare che questa rigidit non sia secondo la carit divina; che suora Chiara, vergine cos santa, a Dio diletta, tu non esaudisca in cos piccola cosa come mangiar teco; e spezialmente considerando chella per la tua predicazione abbandon le ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, se ella tadomandasse maggiore grazia che questa non , si la dovresti fare alla tua pianta spirituale. Allora santo Francesco rispuose: Pare a voi che io la debbia esaudire? Ed i compagni: Padre, s: degna cosa che tu le facci questa consolazione. Disse allora santo Francesco: Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciocchella sia pi consolata, io voglio che questo mangiare si faccia a santa Maria degli Angeli; perocchella stata lungo tempo rinchiusa in santo Damiano: sicch le giover di vedere il luogo di santa Maria, dovella fu tonduta e fatta isposa di Ges Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio. Vegnendo adunque il d ordinato a ci, santa Chiara esce del monistero con una compagna, e accompagnata da compagni di santo Francesco, viene a santa Maria degli Angeli e, salutata divotamente la vergine Maria dinanzi al suo altare, dovella era stata tonduta e velata; s la menarono vedendo il luogo infino a tanto che fu ora di desinare. E in questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta lora di desinare, si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di santo Francesco colla compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni sacconciarono alla mensa umilmente. E per la prima vivanda santo Francesco cominci a parlare di Dio s soavemente, s altamente e s maravigliosamente, che, discendendo sopra di loro labbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti. E stando cos ratti, con gli occhi e colle mani levati in cielo, gli uomini dAscesi e di Bettona e que della contrada dintorno, vedeano che santa Maria degli Angeli, e tutto il luogo e la selva chera allora allato al luogo, ardevano fortemente; e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e l luogo e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani con grande fretta corsono laggi per ispegnere il fuoco, credendo fermamente chogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara e con tutta la loro

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compagnia ratti in Dio per contemplazione, e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio aveva fatto apparire miracolosamente a dimostrare e significare il fuoco del divino amore, del quale ardeano le anime di quelli santi frati e sante monache: onde essi tornarono con grande consolazione ne cuori loro e con santa edificazione. Poi, dopo grande spazio, ritornando in s santo Francesco e santa Chiara insieme con gli altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale. E cos, compiuto quel benedetto desinare, santa Chiara bene accompagnata si ritorn a S. Damiano. Di che le suore veggendola ebbono grande allegrezza; perocchella temeano che santo Francesco non lavesse mandata a reggere qualche altro monistero, siccome egli avea gi mandata suora Agnesa, santa sua sirocchia, per badessa a reggere il monistero di Monticelli da Firenze: e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: Apparecchiati, se bisognasse chio ti mandassi in alcuno luogo; ed ella, come figliuola della santa obbedienza, avea risposto: Padre, io sono sempre apparecchiata a andare dovunque voi mi manderete. E per le suore si rallegrarono molto, quando la riebbono; e santa Chiara rimase dallora innanzi molto consolata. A laude di Cristo. Amen. (Da I Fioretti di San Francesco, Cap. XV)

IL LUPO DI AGOBIODel santissimo miracolo, che fece santo Francesco, quando convert il ferocissima lupo dAgobio.

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L tempo che santo Francesco dimorava nella citt dAgobio, nel contado dAgobio appar un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali ma eziandio gli uomini; intantoch tutti i cittadini istavano in grande paura, perocch spesse volte sappressava alla citt; e tutti andavano armati quando uscivano della terra, come se eglino andassono a combattere; e contuttoci non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura di questo lupo e vennono a tanto, che nessuno era ardito duscire fuori della terra. Per la qual cosa, santo Francesco avendo compassione agli uomini della terra, si volle uscire a questo lupo bench i cittadini al tutto non gliel consigliavano: e facendosi il segno della santa croce, usci fuori della terra egli co suoi compagni, tutta la sua fidanza ponendo in Dio. E dubitando gli altri dandare pi oltre, santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dovera il lupo. Ed ecco che, vedendo molti cittadini, li quali erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco colla bocca aperta; ed appressandosi a lui, santo Francesco gli fa il segno della croce e chiamalo a s, e dicegli cos: Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male n a me n a persona. Mirabile a dire! immantinente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come un agnello, e gittossi a piedi di santo Francesco a giacere. Allora santo Francesco gli parla cos: Frate lupo, tu fai molti danni, in queste parti, ed hai fatto grandi malificj, guastando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza; e non solamente uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardimento duccidere gli uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu se degno delle forche come ladro e omicid pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t nemica. Ma io voglio, frate lupo, far pace fra te e costoro; sicch tu non gli offenda pi ed eglino ti perdonino ogni offesa passata, e n uomini n cani ti perseguitino pi. Dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di orecchie e con inchinare il capo mostrava daccettare ci che santo Francesco dicea, e di volerlo osservare. Allora santo Francesco disse: Frate lupo, dappoich ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto chio ti far dare le spese continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicch tu non patirai fame; imperocch io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma poichio taccatter questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi imprometta che tu non nocerai mai a niuno uomo, n a niuno animale: promettimi tu questo? E il lupo con inchinare di capo fece evidente segnale che prometteva. E santo Francesco dice: Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciocchio me ne possa bene fidare; e distendendo santo Francesco la mano per riceverne fede, il lupo lev su il pi ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale di fede chegli potea. E allora disse santo Francesco: Frate lupo, io ti comando nel nome di Ges Cristo, che tu venga ora meco senza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio. E il lupo ubbidiente se ne va con lui, a modo duno agnello mansueto; di che li cittadini vedendo questo, forte si maravigliarono. E subitamente questa novit si seppe per tutta la citt: di che ogni gente, maschi e femmine, grandi e piccoli, giovani e vecchi traggono alla piazza a vedere il lupo con santo Francesco. Ed essendo bene ragunato tutto il popolo, levasi su santo Francesco e predica loro dicendo tra laltre cose, come per li peccati Iddio permette cotali pestilenzie; e troppo pi pericolosa la fiamma dello

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inferno, la quale ha a durare eternamente a dannati, che non la rabbia del lupo il quale non pu uccidere se non il corpo: quanto dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca duno piccolo animale! Tornate dunque, carissimi, a Dio e fate degna penitenza de vostri peccati, e Dio vi liberer dal lupo nel presente tempo, e nel futuro dal fuoco infernale. E fatta la predica, disse santo Francesco: Udite, fratelli miei: frate lupo, che qui dinanzi da voi, mha promesso e fattomene fede, di far pace con voi e di non vi offendere mai in cosa niuna, se voi gli promettete di dargli ogni d le spese necessarie; ed io ventro mallevadore per lui che l patto della pace egli osserver fermamente. Allora tutto il popolo a una voce promise di nutricarlo continuamente. E santo Francesco dinanzi a tutti disse al lupo: E tu, frate lupo, prometti dosservare a costoro il patto della pace, e che tu non offenderai n gli uomini n gli animali n niuna creatura? E il lupo inginocchiasi e china il capo, e con atti mansueti di corpo e di coda e dorecchi dimostra, quanto possibile di volere osservare loro ogni patto. Dice santo Francesco: Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta, cos dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa, e che tu non mi ingannerai della mia malleveria chio ho fatta per te. Allora il lupo levando il pi ritto, s l puose in mano di santo Francesco. Onde tra di questo atto e degli altri detti di sopra fu tanta allegrezza e ammirazione in tutto il popolo, s per la divozione del santo e s per la novit del miracolo e s per la pace del lupo; che tutti cominciarono a gridare a cielo, lodando e benedicendo Iddio il quale avea mandato loro santo Francesco, che per li suoi meriti gli avea liberati dalla bocca della crudele bestia. E poi il detto lupo vivette due anni in Agobio; ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio, senza fare male a persona e senza esserne fatto a lui; e fu notricato cortesemente dalla gente; e andandos cos per la terra e per le case, giammai niuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente dopo due anni frate lupo si mor di vecchiaia; di che i cittadini molto si dolsono, imperocch, veggendolo andare cos mansueto per la citt, si ricordavano meglio della virt e santit di santo Francesco. A laude di Cristo; Amen. (Da I Fioretti di San Francesco, Cap. XXI)

LA VITA DI FRA GINEPRO COME FRATE GINEPRO FECE LA CUCINA AI FRATICome frate Ginepro fece una volta cucina ai frati per quindici d.

SSENDO una volta frate Ginepro in uno luoghicciuolo, per certa ragionevole cagione tutti li frati ebbono andare di fuori, e solo frate Ginepro rimase in casa: dice il guardiano: Frate Ginepro, tutti noi andiamo fuori; e per fa che quando noi torniamo, tu abbi fatto un poco di cucina a ricreazione de frati. Rispuose frate Ginepro: Molto volentieri; lasciate fare a me. Essendo tutti li frati andati fuori, come detto , disse frate Ginepro: Che sollecitudine superflua questa, che uno frate stia perduto in cucina e rimoto da ogni orazione? Per certo, chio ci sono rimaso a cucinare questa volta, io ne far tanta, che tutti i frati, e se fussono ancora pi, naveranno assai quindici d. E cos tutto sollecito va alla terra e accatta parecchie pentole grandi per cuocere e procaccia carne fresca e secca, polli, uova ed erbe in copia, e accatta legne assai, e mette a fuoco ogni cosa, cio polli colle penne e uova col guscio; e conseguentemente tutte laltre cose. Ritornando i frati al luogo, uno chera assai noto della semplicit di frate Ginepro, entr in cucina e vede tante e cos grandi pentole a fuoco isterminato; e ponsi a sedere e con ammirazione considera e non dice nulla, e ragguarda con quanta sollecitudine frate Ginepro fa questa cucina. Perocch l fuoco era molto grande, e non potea troppo bene approssimarsi a schiumare, prese unasse e colla corda se la leg al corpo molto bene istretta, e poi saltava dalluna pentola allaltra, chera uno diletto a vederlo. Considerando ogni cosa con sua grande recreazione questo frate, esce fuori di cucina e truova gli altri frati e dice: Io vi so dire che frate Ginepro fa nozze. I frati ricevettono quel dire per beffe. E frate Ginepro lieva quelle pentole dal fuoco e fa sonare a mangiare; e li frati s entrano a mensa: e viensene in refettorio con quella cucina sua, tutto rubicondo per la fatica e per lo calore del fuoco, e dicea alli frati: Mangiate bene; e poi andiamo tutti allorazione, e non sia nessuno che cogiti pi a questi tempi di cuocere; perocchio ho fatta tanta cucina oggi, che io navr assai pi di quindici d: e pone questa sua pultiglia a mensa dinanzi a frati, che non porco in terra di Roma s affamato, che navesse mangiato. Loda frate Ginepro questa sua cucina, per darle spaccio; e gi egli vede che gli altri frati non ne mangiano, e dice: Or queste cotali galline hanno a confortare il celabro; e questa cucina vi terr umido il corpo, chella s buona. E istando li frati in tanta ammirazione e devozione a considerare la devozione e semplicit di frate Ginepro; e l guardiano, turbato di tanta fatuit e di tanto bene perduto, riprende molto aspramente frate Ginepro. Allora frate Ginepro si getta subitamente in terra

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inginocchioni dinanzi al guardiano, e disse umilmente sua colpa a lui e a tutti li frati dicendo: Io sono un pessimo uomo: il tale commise il tale peccato, per che gli furono cavati gli occhi; ma io nero molto pi degno di lui: il tale fu per li suoi difetti impiccato; ma io molto pi lo merito, per le mie prave operazioni: ed ora io sono stato guastatore di tanto beneficio di Dio e dellOrdine. E tutto cos dolendosi si part, e in tutto quello d non apparve dove frate nessuno fusse. E allora il guardiano disse: Frati miei carissimi, io vorrei che ogni d questo frate, come ora, sprecasse altrettanto bene se noi lavessimo, e solo se ne avesse la sua edificazione; perocch grande semplicit e carit gli ha fatto fare questo. (Da La vita di Frate Ginepro, Cap. X)

DOMENICO CAVALCA LA LEGGENDA DI SAN PAOLO EREMITASSENDO Paolo gi in et danni centotredici e menando quasi vita celestiale in terra, e sendo santo Antonio gi danni novanta, in uno altro eremo solitario, e non sapendo di Paolo niente, vennegli uno cotale pensiero e immaginazione chegli fusse il primo che avesse incominciato ad abitare leremo; la quale vanagloria volendogli Iddio torre, rivelogli per visione che un altro era nelleremo pi addentro che era migliore di lui; ed ammonillo chel dovesse andare a vedere. Per la qual cosa Antonio, avvegna che debole per la vecchiezza, incontanente la mattina per tempo, prendendo un suo bastone per sostentare le sue membra deboli, mossesi per andare, avvegna che non sapesse lo luogo n labitazione di Paolo; ed essendo in sul mezzo d, sentendo un grandissimo caldo, cominciossi a confortare in Dio per lo grande desiderio che avea di trovare Paolo, e disse: credo e spero nel mio Iddio che mi mostrer lo suo servo, lo quale mi promise. Ed ecco, come piacque a Dio, cos andando e confortandosi, levando gli occhi ebbe veduto uno animale che parea mezzo uomo e mezzo cavallo lo quale i poeti chiamano centauro: lo quale centauro vedendo Antonio si fece lo segno della croce e salutollo, e disse: in che parte abita questo servo di Dio, che io vo caendo? Allora quello centauro, come fu volont di Dio, intendendo Antonio ed estendendo la mano diritta verso una via e parlando come potea, anzi cinguettando confusamente, mostr ad Antonio la via onde dovea tenere. E fatto questo, subitamente cominciando a correre verso la pianura disparve. Ma se questo centauro animale di quello bosco, o se un diavolo confinse e form cotale forma mostruosa per mettere paura ad Antonio, incerto e nullo sa chiaramente quello che fosse. Della qual cosa Antonio maravigliandosi procedeva, e continuava la sua via pensando di questa cosa che gli era apparita. E andando cos pensando, pervenne ad una valle molto sassosa e quivi mirando vide quasi la forma dun uomo piccolo col naso ritorto e lungo e con corna in fronte ed aveva i piedi quasi come di capra; alla qual cosa spaventandosi Antonio, armossi del segno della croce e prese fidanza in Dio; e incontanente lo predetto animale, quasi in segno di pace e di sicurt, gli proferse datteri. Allora Antonio, prendendo fiducia, istette e dimandollo chi fosse; e quegli rispuose cos: Creatura sono mortale e uno di quelli che discorrono per leremo, li quali li Pagani ingannati per vani errori adorano per Dii e chiamano fauni, satiri e incubi. Sono legato della gente mia: e preghiamoti che per noi prieghi lo comune Signore, lo quale sappiamo essere venuto per la salute del mondo, e in ogni contrada sparta la sua fama. Le quali parole udendo Antonio incominci a piangere di grande letizia, gaudendo della gloria di Cristo e della sconfitta del nemico. E meravigliandosi come quello animale avea potuto intendere la sua lingua e parlargli, e percuotendo lo bastone in terra, piangendo diceva: Guai a te, Alessandria, la quale per Iddio adori glidoli e le bestie, guai a te, citt meretrice, nella quale pare che sieno entrate tutte le dimonia del mondo. Or che dirai per tua scusa? Ecco le bestie confessano Cristo, e tu adori gli idoli e le bestie. E dicendo queste parole Antonio, quello animale si lev a corsa e fugg. Di questa cosa nullo dubiti riputandola incredibile o vana; inperciocch al tempo dello imperadore Gostanzo uno somigliante uomo vivo in Alessandria fu menato, e poi lo suo corpo essendo gi morto fu insalato, perch il caldo non lo guastasse, e portato in Antiochia innanzi allo mperadore, secondo che di ci quasi tutto il mondo pu rendere testimonianza. Ma torniamo al nostro principale proponimento. Ecco Antonio pur seguitava la sua andata, avvegna che non trovasse se non bestie e luoghi diserti e senza via. Ma confidavasi in Dio, non potendo credere chegli labbandonasse. Ed ecco la seconda notte avendo egli molto vegghiato in orazione, gi appressandosi al d, vide una lupa a pi duno monte che mostrava davere gran sete; alla quale Antonio seguitandola, avvegna che quasi nulla veder potesse perch non era ancora giorno, ma come dice la Scrittura, la carit cacciando paura, Antonio entr pi addentro, ma pianamente e con silenzio che non fosse sentito; e andando molto addentro, vide uno lume dalla lunga. E movendosi con pi disiderio per andare tosto, inciamp in una pietra e fece alcuno strepito; lo quale

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suono e strepito sentendo Paolo, lo quale era dentro, serr incontanente un uscio che vera maravigliandosi di quello che sentito aveva. Allora Antonio si gitt appi delluscio e stette infino presso a nona, pregando che gli fosse aperto, e dicea: Chi io sia e donde, e perch io sia venuto, tu l conosci. E questo dicea credendo che Iddio gli avesse rivelata la sua venuta e la cagione; e diceva: io so bene che io non sono degno di vedere la faccia tua, ma pure insino chio non la veggio, non mi partir. Poich ricevi le bestie, come cacci gli uomini? Cercai, e hotti trovato; picchio, acciocch mapri, e se questo non mi concedi, morrommi al tuo uscio, e almeno mi seppellirai, poichio sar morto. Al quale Paolo, quasi sorridendo, conoscendo il fervore del suo desiderio, rispose: Nullo dimanda grazia minacciando e piangendo: pare che mi minacci, che di, che ti lascerai morire se io non ti ricevo. E cos dicendo e sorridendo gli aperse. Ed entrando dentro Antonio, abbracciandosi con Paolo, salutaronsi per propri nomi, avvegnach mai innanzi lo nome luno dellaltro non avessono saputo. E poich ebbeno rendute grazie a Dio e furonsi posti a sedere insieme, Paolo incominci a parlare e disse: Ecco quegli il quale con tanto istudio hai cercato di trovare, che quasi pute di vecchiezza e di salvatichezza. Or ecco vedi uomo che di qui a poco torner in cenere. E poi disse: Priegoti per carit che mi narri in che stato lumana generazione, e sotto che impero si regge, e se sono pi rimasi alcuni eretici e idolatri. E stando in questo cotale parlamento, videro un corbo volare e porsi in su uno ramo duno arbore presso a loro, lo quale quindi tosto e lievemente volando, venne e puose uno pane intero in mezzo di loro e partissi. Della qual cosa maravigliandosi ringraziando insieme Iddio, disse Paolo: Ecco lo Signore nostro ci ha mandato mangiare. Veramente benigno e cortese lo nostro Signore, lo quale, gi sono sessanta anni, per questo modo ogni d mha mandato un mezzo pane, ma ora per la tua venuta ha per tuo amore duplicata la vivanda. E dopo queste parole rendendo grazie a Dio puosonsi a sedere insieme in sul cigliare della fonte per mangiare. Ma contendendo insieme per reverenza luno dellaltro di rompere imprima quel pane, allegando Paolo, che ci dovea fare Antonio, perch era ospite e pellegrino appo lui, e Antonio dicendo che questo dovea fare pur egli perchera pi antico e pi santo, istando in questa cotale santa e umile contenzione quasi infino a vespro, allultimo presono per consiglio che ciascuno lo prendesse dal suo lato; e cos ciascuno tirando il pane si divise per mezzo, e rimase in mano a ciascuno la metade; e poi chinandosi nella fonte bevvono un poco dacqua. E poichebbeno cos mangiato e beuto e rendute le grazie a Dio, incominciarono insieme a parlare di Dio, vegghiando tutta la notte in sante orazioni e ragionamenti di Dio. E poich fu d, Paolo incominci a parlare ad Antonio e dissegli: Gi lungo tempo, fratel mio carissimo, chio seppi che tu abitavi in queste contrade e che Iddio mi ti promise per compagno e rivelommiti; e ora, perch venuta lora della morte desiderata e compiuto lo corso della mia vita, debbo essere sciolto del legame del corpo e congiungermi col mio diletto Cristo e ricevere la corona della giustizia. Tu se mandato da Dio, acciocch tu mi seppellisca e renda la terra alla terra. Le quali parole udendo Antonio incominci a piangere fortemente, pregandolo che non lo abbandonasse, anzi il menasse con seco. Allora rispuose Paolo e disse: Sai che non di pure addomandare, e cercare il vantaggio tuo e la tua utilitade, ma laltrui. Ben so che per te farebbe di lasciare lo vincolo e lo peso della carne e andarne a Cristo. Ma a frati e discepoli tuoi ancora necessaria la tua vita, acciocch prendano da te esempio. Secondo lordine della caritade, dei esser contento di rimanere per laltrui servigio. Or ti priego, se non t troppo grave che vadi e torni alla tua cella e che tu tolga e rechi quel palio, lo qual ti diede Attanasio vescovo, acciocch in esso involga lo mio corpo quando sar morto. E questo disse Paolo, non perchegli di quel palio molto si curasse, n cercasse quel tanto onore dessere involto in palio dopo la morte, lo quale vivendo si vestia pure di palme contessute, ma acciocch Antonio non sentisse troppo dolore vedendolo morire. Allora Antonio, udendo ricordare lo palio di Attanasio, e vedendo che ci non potea sapere se non per divina rivelazione, maravigliossi molto e, inchinando il capo con reverenzia, non fu ardito di contradire, ma incominci a piangere teneramente: e poich lebbe abbracciato, mossesi per tornare al monistero suo per lo predetto palio, e dandogli forza lamore che l portava, vincea la fragilit della vecchiezza, e fu giunto tosto al monistero molto istanco; al quale venendo incontro due suoi discepoli, dimandarono dove fosse stato tanto. Rispuose lagrimando: Guai a me misero peccatore, che falsamente sono reputato e chiamato monaco, e non sono nulla. Ho veduto Elia, ho veduto Giovanni Battista nel diserto, e veramente ho veduto Paolo in paradiso. E tutto questo diceva di Paolo, assimigliandolo ai predetti santi, e il diserto chiamava paradiso; onde da discepoli non fu inteso. Dette queste parole non potendo pi dire per labbondanzia del dolore che avea dentro, tacette, e picchiandosi il petto prese il palio e uscette di cella e mossesi per correre a Paolo. E pregandolo i discepoli che pi chiaramente dicesse loro quello che avea veduto, rispose loro: Tempo di parlare e tempo di tacere. E per lo desiderio che avea di giugnere a Paolo, non restandosi pure a mangiare, usc di cella, e in fretta, correndo come potea, tornava, temendo quello che gli avvenne, cio che, innanzich giugnesse, Paolo pass di questa vita in santa pace. ***

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Il secondo giorno, essendo gi Antonio presso alla cella di Paolo, e avendo ancora ad andare quasi per ispazio di tre ore, vide chiaramente Paolo fra cori degli angioli e de profeti e degli apostoli ornato di mirabile chiaritade e bianchezza salire al cielo: onde incontanente gittandosi in terra, e spargendosi la polvere in capo piangea e dicea: O Paolo mio come ti parti e non ti se da me accommiatato? O Paolo, perch mi lasci? Oim come tardi ti conobbi, e come tosto ti perdo! E poi levandosi per giugnere tosto alla cella di Paolo per trovare lo suo corpo, corse, secondo chegli solea narrare con tanto desiderio e con tanta volontade quel tanto spazio di via che restava, che quasi parve uccello; e entrando nella spelonca, trov quel santissimo corpo istare ginocchione colle mani giunte e cogli occhi verso il cielo, e parea che orasse. Onde Antonio immaginandosi che ancora fosse vivo e orasse, puosesi ivi presso, e con silenzio orava, ma non sentendo, come solea, Paolo sospirare quando orava, e vedendo che nullo movimento avea, conobbe per certo chera passato. Avendo Paolo, in orazione istando, lo spirito mandato a Dio, lo corpo era cos rimaso inflessibile. E prendendo il corpo e involgendolo in quel palio che avea recato, con molte lagrime cant salmi e fece orazione secondo luso della cristiana religione, e trasse il corpo fuori della spelonca; ma non trovando alcuno ferramento con che fare la fossa, contristavasi e non sapea che si fare, e dicea: Sio torno al monasterio mio, troppo indugierei, perch ci via di quattro giornate; se io ist pur qui, io non fo nulla. E levando gli occhi a Dio disse: Ecco, Signor mio, non so che mi fare; morrommi qui, come degno sono, e cadendo allato a questo tuo combattitore renderotti lo spirito. E stando cos in questo colal pensiero Antonio, aspettando lo divino consiglio, ecco subitamente vide uscire dal diserto molto addentro due bellissimi lioni, e venire molto correndo verso lui; li quali vedendo cos venire, nel primo loro aspetto temette, ma incontanente, levando la mente a Dio, prese fiducia e non temette se non come di due colombe. E come furono giunti i lioni al corpo di Paolo, stettono fermi mansuetamente e gittandosi a giacere allato al corpo, rugghiavano in tal modo che veramente parea che piangessono la morte di Paolo: e poi levandosi incominciarono qui appresso a cavare la terra colle branche e fecero una fossa a forma e misura duno corpo duomo; e fatta la fossa, inchinando il capo quasi con reverenzia verso Antonio, e mansuetamente leccandogli le mani e piedi, parea dirittamente che domandassono la sua benedizione, volendo prendere da lui commiato. La qual cosa intendendo Antonio, incominci con grande cuore a lodare e ringraziare Iddio, e rallegrandosi cheziandio gli animali bruti e muti secondo il modo loro lubbidiano e conosceano, or e disse: Signor mio, senza la cui provedenza e volontade non cade pure una fronde dalbore, non pure una passera si posa in terra, da loro la tua benedizione come tu sai. E accennando colla mano che si partissono, quelli ricevuta la licenzia, si partirono; e partiti i lioni, Antonio con reverenza prese quel santissimo corpo, e seppellillo. E poi, come erede di Paolo, per grande divozione prese la tonaca sua, la quale in modo di sporte egli medesimo savea tessuta di palme, e tornando al suo monistero narr ci che gli era incontrato a suoi discepoli, e per reverenza del suo padre Paolo quella tonica portava pure le Pasque e d molto solenni. Piacemi in fine di questa leggenda domandare gli uomini ricchi e potenti del mondo, i quali non sanno bene usare le loro ricchezze, i quali hanno gli grandi palagi di marmi e indorati, e comperano li molti poderi e le grandi possessioni: che manc mai a questo povero vecchio, cio Paolo? Voi, uomini ricchi, beete con coppe gemmate; e Paolo mettendosi lacqua in bocca con mano soddisfacea alla sete; Voi portate li vestimenti ornati, e innorati; e Paolo non ebbe mai cos buona gonnella comha uno de minimi fanti. Ma per contrario considerate che a questo povero era aperto il cielo e a voi lo nferno. Egli amando nuditade serv la vesta di Cristo; voi vestiti a seta avete perduto il vestimento di Cristo. Paolo, sepulto vilmente in terra, risusciter con glo