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www.judicium.it 1 PIETRO PROTO Il nichilismo giuridico e sue implicazioni nel diritto processuale civile. Schizzi di ragionamenti. A mio padre Sommario: 1. Premessa introduttiva e fondamenti della ricerca. 1.2. Segue: Inquadramento epistemologico e storico del fenomeno. 2. Le conseguenze del nichilismo giuridico: dalla formazione professionale al processo. 3. Il nichilismo giurisdizionale o applicativo. 4. Riflessioni critiche conclusive. 1. Premessa introduttiva e fondamenti della ricerca. Il tentativo insistente di ascesa ed affermazione del “nichilismo giuridico” – iniziato con la delocalizzazione del diritto, attraverso progressive cessioni di sovranità e con le decodificazioni, conferendo centralità alla legislazione speciale e alle leggi-provvedimento – è fenomeno che non lascia del tutto indenne e tanto meno indifferente il processo e con esso il diritto processuale. La dottrina si occupa del fenomeno massimamente sul piano della filosofia del diritto e del diritto sostanziale, soprattutto a partire dal famoso saggio dell’insigne giurista N. Irti dal titolo, appunto, “Il nichilismo giuridico” 1 . Manca a mio giudizio un adeguato approfondimento del problema sul piano epistemologico e sistematico in relazione alla sua incidenza sugli istituti giurido- processuali e sull’ermeneutica di modo che si possa affermare che accanto ad un nichilismo legislativo sia possibile rinvenire un nichilismo di carattere processuale e segnatamente giurisdizionale o di tipo applicativo 2 che riguarda ed investe, appunto, le ragioni della decisione: se e quanto il nichilismo giuridico sia presente nella giurisprudenza. 1 N. Irti, Il nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004. Id. in Enc. It., App. VII, XXI secolo, Roma 2006. Sul piano più strettamente filosofico cfr.: B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico. Postumanesimo “noia”globalizzazione (Lezioni 2003-2004), Torino, 2004.

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PIETRO PROTO

Il nichilismo giuridico e sue implicazioni nel diritto processuale civile. Schizzi

di ragionamenti.

A mio padre

Sommario: 1. Premessa introduttiva e fondamenti della ricerca. 1.2. Segue:

Inquadramento epistemologico e storico del fenomeno. 2. Le conseguenze del nichilismo

giuridico: dalla formazione professionale al processo. 3. Il nichilismo giurisdizionale o

applicativo. 4. Riflessioni critiche conclusive.

1. Premessa introduttiva e fondamenti della ricerca.

Il tentativo insistente di ascesa ed affermazione del “nichilismo giuridico” –

iniziato con la delocalizzazione del diritto, attraverso progressive cessioni di

sovranità e con le decodificazioni, conferendo centralità alla legislazione

speciale e alle leggi-provvedimento – è fenomeno che non lascia del tutto

indenne e tanto meno indifferente il processo e con esso il diritto processuale.

La dottrina si occupa del fenomeno massimamente sul piano della filosofia del

diritto e del diritto sostanziale, soprattutto a partire dal famoso saggio

dell’insigne giurista N. Irti dal titolo, appunto, “Il nichilismo giuridico”1.

Manca a mio giudizio un adeguato approfondimento del problema sul piano

epistemologico e sistematico in relazione alla sua incidenza sugli istituti giurido-

processuali e sull’ermeneutica di modo che si possa affermare che accanto ad un

nichilismo legislativo sia possibile rinvenire un nichilismo di carattere

processuale e segnatamente giurisdizionale o di tipo applicativo2 che riguarda ed

investe, appunto, le ragioni della decisione: se e quanto il nichilismo giuridico

sia presente nella giurisprudenza.

1 N. Irti, Il nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004. Id. in Enc. It., App. VII, XXI secolo, Roma 2006. Sul piano più strettamente filosofico cfr.: B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico. Postumanesimo “noia”globalizzazione (Lezioni 2003-2004), Torino, 2004.

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L’indagine esplorativa riguarda la verifica di un possibile rinvenimento accanto

alla vuotezza di contenuto della lagge una corrispondente vuotezza di verità

(contenuto) della sentenza.

Intendo iniziare questo percorso, senza alcuna pretesa di esaustività e tanto

meno di trattare il nichilismo in tutte le sue varie denominazioni e intendimenti

per il quale esistono notevoli trattazioni di autorevoli specialisti, ma limitandomi

per ora a porre solamente la quaestio – intesa nel suo senso proprio di quesito, di

res dubia – esplorare eventuali punti di riflessione e di ricerca e rinviando a

successive occasioni più approfondite e specifiche disamine.

Il cammino si presenta da subito molto irto se, come ritiene una autorevole

dottrina, “ogni nichilismo considera priva di senso la discussione sulla

giustizia, (…).”3.

Come si dirà più diffusamente oltre, il non senso di una discussione sulla

giustizia origina dalla considerazione che agli esseri umani “appartiene la

condizione insuperabile di una “ingiustizia radicale””4.

L’impossibilità di accedere ad una giustizia piena nella coesistenza delle

persone sarebbe dovuta alla inimputabilità degli eventi personali e sociali ad una

volontà e alla libera scelta che può orientarsi verso il giusto oppure verso

l’ingiusto, forme, queste, entrambe elise dall’“informe nulla”5.

Il nichilismo giuridico rimane indifferente alla giustizia perché l’agire degli

uomini non è espressione di una scelta finalistica e li considera innocenti, non

imputabili, non spiegabile dalle tecno-scienze. L’attenzione si appunta

sull’impegno del “come” e non sulla ricerca del “perché”: il “come” tralascia le

domande sul senso e rinvia ad una misurazione ottimale delle funzioni, sicchè

ogni discorso su giusto/ingiusto, uguaglianza/disuguaglianza, diventa

indifferente o secondario.

2 Il nichilismo che definisco “applicativo” è riferito all’attività giurisdizionale perché appunto deputata all’applicazione del sistema ordinamentale. 3 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, estrapolato da www.digef.uniroma1.it/.../romano/...didattico/introduzione-romano_pdf, p. 12, Id. sulla “Rivista di filosofia del diritto-Journal of legal Philosophi, 2, 2012, pp. 375-387. 4 B. Romano, op. ult. cit., p. 12. 5 B. Romano, op. ult. cit., p. 12.

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1.2. Segue: Inquadramento epistemologico e storico del fenomeno.

L’incipit è dato dalla perdita di centralità dell’uomo moderno e dell’Occidente

europeo in particolare, consapevole della inesistenza di valori cosmologici, certi

ed immutabili, provenienti e posti da un ente che sta al di sopra e al di fuori di

lui.

Il processo di svalutazione dei valori non ha risparmiato il diritto, fenomeno

umano per eccellenza6.

La perdita di senso e del sé collide o compromette non poco la proposta

concezione del diritto come fenomeno umano e sociale che preesiste alla legge

che a sua volta lo presuppone. Un diritto incentrato sull’uomo e sui valori della

persona viene negato e annullato proprio da quella perdita del sé nella sua

unitarietà.

Alla prassi sociale ed al linguaggio, fenomeni evidenzianti dei valori giuridici7

si contrappongono i sistemi funzionali dei mercati e delle tecnoscienze e la

condizione umana dell’essere ridotta a quella di un individuo privo di capacità

relazionale e comunicativa8.

Di conseguenza i processi di interazione e di interrelazione tra individui e tra

questi ed i gruppi e tra i gruppi stessi che animano la prassi sociale ed il

linguaggio perdono significato perché l’essere destrutturato è atomizzato in una

serie di io privo di volontà ed assoggettato alla volontà di potenza sistemica dei

mercati finanziari.

Il processo giuridico – nell’ambito del quale si ripetono le dinamiche sociali e

nel quale si riflettono – perde la sua funzione di catalizzatore risolutivo dei

6 B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico. Postumanesimo “noia”globalizzazione (Lezioni 2003-2004), cit., 349 ss., 473 ss., 498. Sulla concezione assiologia del diritto: A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, Parte prima, Il concetto del diritto, Milano 1988, 251 ss. 7Nella prassi sociale la funzione di evidenziare la necessità giuridica della convivenza è data dai fenomeni della comune esperienza e dalla cultura (comportamenti reiterati, usi consuetudini) e dai principii di natura etico-giuridica che accompagnano il processo di specificazione e di applicazione del diritto positivo e che servono ad adeguare le regole giuridiche agli sviluppi e alle trasformazioni dei comuni modi di pensare e di sentire Sulla prassi sociale come forma e tipologia di evidenziazione dei valori giuridici cfr.: A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit. 403 ss. 8I fatti umani da cui trae origine il diritto sono variegati e complessi e non tutti di natura strettamente o esclusivamente economica ed anche in quelli economici non di rado si

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conflitti che inevitabilmente si verificano nella comunità sociale e da luogo del

dialogo razionale si trasforma in luogo strumentale della constatazione e ratifica

della forza vincente9.

Il diritto, quindi, persa la sua centralità, va riducendosi a mera tecnica e trova

una fonte salvifica nella forma. Esso è il risultato di un meccanismo tecnico,

frutto della razionalità tecnica, propria dell’economia capitalistica, capace di

ricevere e trattare qualsiasi materia10.

La legge positiva, sciolta da ogni fondamento contenutistico di validità per

affidarsi alla contingenza e alla casualità, disponibile ad accogliere qualsiasi

contenuto; spogliata della sua essenza, della suitas; in una parola della sua

anima, degrada a fenomeno meramente formale, ad un contenitore. Le norme

sono nomo-dotti che incanalano qualsiasi contenuto11.

L’attenzione si focalizza sul rispetto delle procedure di formazione o di

produzione delle norme a mò di una catena di montaggio. Viene in rilievo

solamente la “norma statuente”, ovvero il comando o l’imperativo che il

giuspositivismo predilige come legittimità dell’obbligo giuridico, sottratto dalla

accompagnano aspetti non strettamente o non solamente patrimoniali. L’art. 1174 c.c. recita che la prestazione “deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore”. 9 A. Falzea, op. ult. cit., 413 ss. I processi di interazione ed interrelazione tra esseri sono veicolati dal linguaggio strumento alto di comunicazione che pone gli esseri umani al di sopra di tutti i viventi. Attraverso il linguaggio comunicativo l’essere trasmette pensieri, idee, progetti di vita e di lavoro, musica, arte, poesia, che non sono riducibili a meri numeri privi di senso perché riconducibili ad un essere desoggettivizzato e risucchiato nella spirale del Sistema del fondamentalismo funzionale che “alle domande sul senso del futuro scelto” sostituisce la formula del “calcolo monetizzante delle operazioni sistemiche, determinate l’una dopo l’altra dai fatti che hanno successo mercantile e producono una decisione che del Nessuno e dunque funziona senza autori, né scopi né senso”. B. Romano, Scienza giuridica senza giurista,il nichilismo perfetto, Giappichelli, Torino, 2006, p. 117. Non tutto è riconducibile al “non senso” e al “non luogo” e tanto meno alla frammentazione dell’ “io” e alla negazione dell’unità del se-stesso. 10N. Irti, Il nichilismo giuridico, cit. 101. La tecnica, intesa in senso nicciano F.W. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, Newton, Roma, 1980, p. 6, 235 ss., è l’utilizzo consapevole delle forze della Terra e dominio sulle cose e in senso heideggeriano come metafisica compiuta, ovvero, l’uso e la trasformazione delle cose o degli enti naturali da parte dell’uomo a proprio vantaggio: l’uomo dimentico dell’essere, si occupa solo delle cose ed il suo pensiero diventa tecnicizzato, M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Milano, Mursiua, 1976, p. 19 ss. 11Le leggi sono diventate veri e propri container di disposizioni normative del tutto eterogenee e senza alcun collegamento tra di esse. Si va dalle norme sulla previdenza alle calamità naturali, dalla previsione di quella o quell’altra imposta o tassa alle modifiche dei codici; tutte materie inserite in un unico documento sia esso decreto legge, o decreto legislativo, o disegno di legge. A. Incampo, Metafisica del processo, Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci,

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giustificazione morale: la funzione produttiva rispetto al prodotto12:

l’esaltazione dell’aspetto formale delle norme nella concezone gradualista e

giusformalista del diritto di Kelsen13.

Sul piano dell’esperienza processuale, nella quale la dialettica, tra il giudice e le

parti, riflette quella tra autorità e verità, spesso accade che il profilo funzionale

venga appiattito su quello strutturale14. Non sarebbe importante la verità in sé,

quanto la correttezza formale delle procedure: il come si arriva alla decisione

più che il contenuto della decisione stessa: il suo “perché”.

Non di rado il processo viene ritenuto socialmente accettabile sol perché siano

state osservate le forme prescritte dalla legge15.

E sempre non di rado si parla di pure procedural justice16, quale giustizia

indipendente dai risultati che produce salvo poi a definire imperfetta la

procedura tesa all’accertamento della verità17.

E’ la “nientità del diritto”18.

Alla sentenza “Dio è morto” fa eco l’espressione “il diritto è morto”19.

Bari, 2010, p. 138. N. Irti, Il nichilismo giuridico, cit. 18 ss.; Id. L’età della codificazione, Giuffrè, Milano, 1999, p. 168-170. 12 Una concezione moderna della norma distingue due modalità di uso della stessa: la norma come contenuto o precetto; la norma come un disponente che ha un contenuto, cioè la funzione attiva del disporre, cfr: R. Orestano, Norma statuita e norma statuente. Contributo alla semantica di una metafora, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, XIII (1983), n. 2, 313-350. 13 H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, trad. it. A cura di R. Treves, Torino 1952. 14 A siffatti appiattimento conduce la concezione del processo inteso come successione di poteri ed atti in cui il potere o l’atto successivo trova fondamento e legittimazione in quello precedente, così: E. Fazzalari, Note in tema di diritto e processo, Milano, 1957, 110 ss. Sul rapporto tra struttura e funzione: F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 11 ss. A. Incampo, op. cit., p. 23 ss. La concezione del processo testè enunciata come successione evoca la concezione giusformalistica del diritto di Kelsen secondo la quale ogni norma trae la sua validità da una norma superiore e il processo è considerato valido quando la sentenza è pronunciata da un organo competente: H. Kelsen, La dottrina del diritto naturale e il positivismo giuridico, Trad. it. di S. Cotta e G. treves, 1959, in Teoria generale del diritto e dello stato, Giuffrè, Milano, 407 ss. 15 V.N. Luhman, Procedimenti giuridici e legislazione sociale, Milano, 1995, 75-115. 16 J. Rawls, A theory of justice, Cambridge (Mas.), 1971, 83. 17 G. Carofiglio, L’arte del dubbio, Palermo, 2007, 13; F. Durrenmatt, Il giudice e il suo boia, trad. it., Milano, 1996. 18 N. Irti, Le categorie giuridiche della globalizzazione, in Riv. Dir. Civ., 48 (2002), 633. 19 Ancor prima di Nietzsche, Hegel, nella sua Fenomenologia dello spirito, aveva espresso la dura parola: Dio è morto, Georg W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di Enrico De Negri, La nuova Italia, Firenze 1933, 1960, 2 vol..: F.W. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, cit. p. 6. Invece, l’espressione “Il diritto è morto” è stata da me coniata prendendo spunto da quella analoga di F. Carnelutti, “Il diritto morrà perché è mortale”, in La morte del diritto “Volumetto collettivo” La crisi del diritto, Padova, 1953.

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Ma, questa, è sola la premessa introduttiva delle quastiones non certamente la

conclusione che auspico e condivido.

Il nichilismo è un dato col quale bisogna confrontarsi perché non lo si può

ignorare, né sottovalutare e per arginarlo e superarlo bisogna conoscerlo: “non

occorre essere nietzscheani per riconoscere che il … fantasma del nichilismo si

aggira un po’ ovunque nella cultura del nostro tempo”20.

20 F. Volpi, Il nichilismo, Roma-Bari, 2005, 173. Premetto che non tratterò il nichilismo nelle sue varie forme anche giuridiche e in relazione ad altre culture come il nichilismo americano, ma intendo occuparmi del nichilismo in generale, anche perché i vari distinguo non producono conseguenze diverse e rilevanti sul fenomeno giuridico in sé e sul piano del processo in particolare. Mi atterrò all’idea di nichilismo maggiormente imperante sul piano filosofico e culturale da cui dipende quello giuridico derivato con varianti da quello nicciano. L’origine del termine si deve quasi certamente a Friedrich H. Jacobi in una lettera indirizzata a Fichte. La circostanza e l’affermazione sono riportate da M. Heidegger, in Il Nichilismo Europeo, Adelphi, Milano, 2010, 27. Per comprendere il fenomeno del nichilismo giuridico e le sue implicazioni nella teoria generale del processo occorre partire dal concetto di nichilismo in sé, disaminando per sintesi le sue forme come filosofia e come fenomeno economico-sociale e culturale in generale ed il suo ingresso, o meglio la sua irruzione nel mondo del diritto. “Nichilismo o nihilismo” da nihil, nulla, è un modo di essere e di pensare incentrato sulla negatività che contrassegna l’epoca moderna e in generale la storia stessa dell’essere. La grande letteratura ne ha scoperto non solo il termine ma anche il significato ad opera di Turgenev nel celebre romanzo “Padri e Figli” pubblicato nel 1862. Turgenev ha avuto il merito di diffondere sia il termine che la sua portata concettuale sebbene in riferimento alla cultura e alle condizioni socio-economiche della Russia ottocentesca, negando tutto quello che è fondato sulla tradizione, sull’autorità e su una validità altrimenti determinata. Tra i primi a rendersi conto del nichilismo moderno è Dostoevskij. Il nichilismo degli Antichi era imparentato con lo scetticismo e l’epicureismo, il suo ideale era una nobile serenità, il nichilismo moderno, invece, sebbene nasca da una convinzione intellettuale è piuttosto incapacità di credere e affermare qualcosa, carenza spirituale più che filosofia. Per Dostoevskij il vero nichilista, con maggior realismo di quanto poi metterà a punto Nietzsche con il “nichilismo completo” incarnato nella figura del Superuomo che gioca, danza e ride nei giri dell’Eterno Ritorno, non danza e non ride ma va di qua e di là, intorno a se stesso, intorno al mondo, senza realizzare niente “… In me la negazione stessa è meschina. Tutto è floscio, molliccio. …”. Sono le parole scritte da Stavroghin, eroe dei Demoni del 1871, in una lettera a Daria Pavlovna. Altri passaggi fondamentali del nichilismo di Dostoevskij si colgono nei romanzi “Delitto e castigo” (1863) e i “Fratelli Karamazov” (1879-80). E’ con la filosofia di Nietzsche che il nichilismo viene pensato come “nichilismo classico”: esso significa liberazione dai valori finora validi, come liberazione per una trasvalutazione di tutti i valori: F.W.Nietzsche, Così parlò Zaratustra, Newton Compton, Roma, 1980; Umano troppo umano, Newton Compton, Roma, 1979, 177. La conoscenza e la diffusione del pensiero nichilista nicciano si deve a M. Heidegger, Il Nichilismo europeo, Adelphi, III ed. 2010, Milano. Il nichilismo ha contaggiato anche aree culturali fuori dalla Germania come la Francia dove è stato oggetto di riflessione da parte di pensatori esistenzialisti come Jean-Paul Sartre ne “L’essere e il nulla” (1943) ed Albert Camus ne “l’Uomo in rivolta” (1951). Anche la cultura italiana è stata sensibile al problema del nichilismo. Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso si è registrata una vera e propria efflorescenza di letteratura nichilista nella quale è riconoscibile l’esigenza di un superamento del nichilismo stesso. E. Severino, Essenza del nichilismo, Laterza, Roma-Bari, 1999, il quale accusa la filosofia occidentale perchè ammettendo, essa, tempo e divenire delle cose, cioè il loro “non essere ancora” e “non essere più”, pensa l’ente come se fosse un niente. G. Vattimo, Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, Garzanti, Milano, 2003,p. 8, ha inteso valorizzare in senso positivo le potenzialità emancipative del nichilismo (pensiero debole) “(…) già tentare di modellare, leggi,

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<< Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da

tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è

accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia. >>21.

costituzioni, provvedimenti politici ordinari, sull’idea di una progressiva liberazione di norme e regole da ogni preteso limite “naturale” (e cioè ovvio per chi detiene il potere) può diventare un progetto politico positivo”. Nella società attuale c.d. della liquidità e del post-umanesimo, possono ricondursi al nichilismo fenomeni incentrati sul concetto di anarchia fortemente individualista (Punk). Da ultimo sul piano giuridico il “nichilismo giuridico ontologico”, secondo il quale il diritto non può reclamare “verità”, ma si fonda soltanto sulla volontà più forte, capace di imporre l’ordinamento giuridico e l’ordine del mondo ad essa congeniali; “il diritto è volontà di potenza” “come aveva visto Nietzsche”:: N. Irti, in C. Magris-N. Irti, La legge e il nulla, in Corr. Sera, 6.4.2007, 47. B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit., 14. 21 Junger-M. Heidegger, in Oltre la linea, (1949-1955), Adelphi, Milano, 2004. Il nichilismo inteso come dissoluzione dello spirito della vecchia Europa e come malattia mortale dello spirito europeo. Il senso o il significato del Nichilismo è il “non senso”. I valori supremi si svalutano, manca uno scopo, manca la risposta “al perché?”. L’abbraccio del nulla dopo l’assenza del “da dove” e del “verso dove”, dunque il “non luogo”, l’esistenza priva di uno scopo e l’universo vuoto di significato. Cfr.: M. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit., p. 50 ss. E. Junger, Trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990, p. 51-55. V.C. Galli, Prefazione a K. Lowith, Il nichilismo europeo. Considerazioni sugli antefatti spirituali della guerra europea, trad. it., Bari, 2006, IX, XI, XIII. L. Kolakowsk, Orrore metafisico, 1988, trad. it. a cura di B. Morcavallo, Bologna, 2007, 113. F. Vercellone, Introduzione a Il nichilismo, Bari 2003, 156. F. Volpi, Il nichilismo, Bari, 1996, 4. Una volta venuti meno i valori tradizionali (cosmologici) di riferimento subentra una situazione di disorientamento; l’essere nell’età della “morte di Dio” ha bisogno di connettersi alla temporalità del nascere, crescere e morire. Il nichilismo esprime il profondo malessere della cultura contemporanea e si accompagna, sul piano storico-sociale, ai processi di secolarizzazione, cioè disincanto e frantumazione dell’immagine che l’uomo ha del mondo e che ha provocato sul piano filosofico, in merito alle visioni del mondo ed ai valori ultimi, il diffondersi del “relativismo” e dello “scetticismo”. Il termine, un tempo astratto, si è riempito dalla storia del Novecento di sostanza, di vita vissuta, di azioni e di dolori. Esso ha ormai fatto ingresso nelle attuali società del benessere in modo dirompente ed espansivo investendo la quotidianità e l’uomo comune. Quest’ultimo – culturalmente inconsapevole e lungi dall’essere il “SuperUomo o l’oltreuomo” di Nietzsche – ha recepito passivamente e acriticamente, anzi ha assorbito la “filosofia” nichilista non di certo come meditazione sulla storia della metafisica occidentale, M. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit. 41, bensì nel suo aspetto più semplicistico, esteriore ed immediato, di “essere nulla” perché “Dio è morto”, e di conseguenza, si abbandona ad una libertà lasciva, avulsa da ogni principio e da ogni remora, ad uno sfrenato edonismo consumista, una bramosia di svago e di divertimenti e desiderio di potenza e ricchezza economica . Sulla rinascita del Dionisiaco nelle società del benessere, cfr.: G. Lipovetsky, Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Cortina, Milano, 2007, 171. Bacatezza, frivolezza e non senso di responsabilità, si accompagnano ad un “delirio di onnipotenza” basato su ostentazioni del possesso e dell’avere e selettive competizioni esteriori ed estetiche. Istanze di legittimazione della manipolazione genetica e di talune forme di unioni o convivenze che si fanno sempre più pressanti, sono emblematica espressione e manifestazione della cultura nichilista come percepita e interiorizzata dalla società secolarizzata. E’ questo, purtroppo, il risultato più ingombrante prodotto dal nichilismo perché è ciò che connota maggiormente la società contemporanea occidentale che non è affatto composta – almeno per larghissimi strati delle popolazioni – da quell’Uomo nuovo teorizzato da Nietzsche e ripreso da Heidegger, ma da individui – ridotti a entità bio-tecno-informazionali – imprigionati nel “pathos disperante dell’invano”. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit. 41-59 ss. Il grande filosofo di Messkirch, afferma che la denominazione nichilismo consente un impiego molteplice, poi ritiene un abuso qualsiasi altra diversa forma da quella del nicciano nichilismo classico, a mio sommesso avviso, però più che il nichilismo classico sono altre le forme di nichilismo – respinte dal filosofo – che

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Il risultato di questo “pensiero debole”, è solo il vuoto, il non senso e lo

smarrimento del “sé” e dell’ “io” che, tuttavia, domina l’epoca attuale con le sue

aporie decostruttive e autofondazioniste di una post-modernità sempre più

liquida e pronta a brandire una minacciosa volontà planetaria di potenza: il

profitto al posto del mercato; l’incontrollato sviluppo tecnologico più che la

tecnica; il disordine globale più che la globalizzazione; il saper fare al posto

della conoscenza22.

Sono fattori influenzati ed inflenzanti: l’economia, la finanza e il diritto.

Il rapporto tra diritto ed economia si ricompone per impulso di due fattori che

dominano il mondo contemporaneo in stretta correlazione fra loro: la società

post-industriale e la globalizzazione dei mercati23.

Questa ultima, caratteristica dell’epoca attuale, finisce per convergere con

un’altra espressione evocativa: rivoluzione digitale (internet) di forte impatto sul

linguaggio anche giuridico, soprattutto in campo processuale, dopo la

introduzione del c.d. processo telematico.

Il nuovo diritto della società globale si chiama “nuova lex mercatoria24. Ad essa

è speculare e funzionale il fenomeno della delocalizzazione e destatalizzazione

del processo in mano ai tribunali dei mercanti.

unitamente al positivismo, anch’esso nei suoi vari aspetti, si è andato maggiormente affermando ed ha trovato terreno fertile nella sociatà moderna della c.d. liquidità. G. Bianco, Nichilismo giuridico (civile), in Digesto, Discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento, II, Utet, Torino, 2007, p. 800 ss. Sulle difficoltà di interpretare il nichilismo a causa della “molteplicità delle posizioni e della loro contraddittorietà, per cui è quasi impossibile concordare una definizione unitaria accettabile da tutti”: A. Molinaro, L’interpretazione del nichilismo, in A.M. (eur.), Interpretazione n. 10, Roma, 1986. Sul concetto di società liquida cfr.: Z. Bauman, Danni collaterali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2011, 40 ss. 22 V. Scalisi, Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa, in Riv. dir. civ., 1/2012, 22. Id. Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmodernismo, Giuffrè, Milano, 2005, 78-79. A. Punzi, Esiste una via d’uscita dal nichilismo?In dialogo con Bruno Romano e Natalino Irti, in i-lex, dicembre 2010, numero 11, Riv. quadrimestrale on.line: www.i-lex.it, 446-447. F.C. Gallo, Una critica del nichilismo giuridico, in www.accademiadelle scienze.it/media/153, Acc. Sc. Torino – Atti sc. Mor. 139-140 (2005-2006), 3-35, 31 ss. 23 Sul legame tra diritto ed economia cfr.: N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari, 2001, 97 ss. Id. Teoria generale del diritto e problemi del mercato, in Riv.dir.civ., 1, 1999. 24 La sua funzione – sebene essa sia espressione di cedimento e superamento della sovranità e della delocalizzazione delle fonti – è quella di superare la discontinuità e disomogeneità giuridica presente nella pluralità dei mercati provocata dalla divisione degli Stati, dai particolarismi giuridici delle codificazioni e la differenza tra civil law e common law. F. Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contratto impresa, Cedam, Padova, 2000, p. 199 ss. Sul pino gius-filosofico: B. Romano, Scienza giuridica senza giurista. Il nichilismo perfetto, Giappichelli, Torino, 2006, p. 117. L’A. ritiene che il nichilismo si realizzi

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I conflitti che insorgono a seguito delle grandi transazioni commerciali

internazionali vengono devoluti a tribunali arbitrali sovranazionali25.

2. Le conseguenze del nichilismo giuridico: dalla formazione professionale al

processo.

Uno degli aspetti del nichilismo giuridico è quello di attribuire maggiore

importanza al saper fare più che alla conoscenza e la formazione universitaria

dei futuri operatori del diritto deve essere ridotta al livello del mero sapere

tecnico, dove filosofia, storia e diritto romano, un tempo bagaglio costitutivo del

sapere giuridico, oggi viene soppiantato dal sapere tecnico che, per svolgersi con

metallica precisione, deve essere alleggerito da ogni peso culturale26.

Lo Stato contemporaneo della giuridicità liquida, in una scienza giuridica senza

giurista, evidenzia la progressiva tendenza a far venir meno la formazione del

nel Sistema del fondamentalismo funzionale, che sostituisce alle domande sul senso del futuro scelto, il calcolo monetizzante delle operazioni sistemiche determinate l’una dopo l’altra dai fatti che hanno successo mercantile e producono una decisione che è del Nessuno e quindi funziona senza autori, né scopi, né senso. 25 F. Galgano, Giustizia civile e litigiosità, in Contratto impresa, Cedam, Padova, 1993, 326, laddove l’A. parla di fuga dal giudice togato e di propensione per la soluzione arbitrale delle grandi liti. Una altra conseguenza è il sopravvento delle Autorità tecnocratiche sulle Autorità politiche: la proliferazione di autority indipendenti con poteri e funzioni giustiziali. Gli uomini più potenti della terra oggi sono i governatori delle banche centrali, pure tecnocrazie fonti di produzione normativa sprovviste di investitura popolare. Non inserisco come esempio di destatalizzazione del processo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di giustizia della CEE, ora UE, perché in base agli artt. 10 e 11 Cost. l’ordinamento si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e ripudia la guerra come risoluzione dei conflitti e consente limitazioni di sovranità a parità di condizioni con altri Stati per assicurare la pace e la giustizia. Di tal che sia la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo del 1950, ratificata in Italia con legge del 4.8.1955, n. 848, sia il Trattato istitutivo della CEE del 25.3.1957, le succitate Corti devono considerarsi Organi di giustizia sovranazionali con efficacia interna ai Paesi aderenti come l’Italia. 26N. Irti, Il nichilismo giuridico, op. cit., 76. Contra: F.C. Gallo, Una critica al nichilismo giuridico, cit. 2006, 31. Per Heidegger la tecnica non è un apparato produttivo fondato sulle macchine, ma la stessa metafisica compiuta, forma fondamentale di manifestazione in cui la volontà di volontà si realizza calcolando nel mondo della metafisica compiuta. La tecnica circoscrive in modo chiaro e riconoscibile il proprio oggetto e quindi è il modello epistemologico per eccellenza a cui si rifà anche il filosofo: “Il sapere in generale, privo di un oggetto proprio”, in Nietzsche, “la morte di Dio” apre l’epoca del nichilismo attivo, dove l’umanità utilizzerà consapevolmente le forze della Terra in direzione del dominio sulle cose: F.W. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, cit., p. 6 ss. M. Heidegger, in Saggi e discorsi, Milano, Mursia, cit. 19 e 56 ss. Per una critica al pensiero Heideggeriano: G. Vattimo, Post-moderno ontologia tecnologia, in Nichilismo ed emancipazione. Etica, Politica, Diritto, Garzanti, Milano, 2003, 26.

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giurista nella dimensione dell’arte da un lato ed il consolidarsi

dell’apprendistato del tecnico delle norme in una qualche modalità del saper

fare dall’altro27.

Se il diritto è essenzialmente o fondamentalmente o anche scienza ermeneutica

non vedo come un operatore dotato solo di sapere tecnico possa – soprattutto di

fronte ad una nevrotica e confusa quanto torrenziale produzione normativa –

districarsi ed estrapolare la norma giuridica regolatrice del caso concreto, avuto

riguardo – in un determinato contesto storico – alla complessità eterogenea delle

fonti e a quella dei fenomeni sociali28.

Ma, detto per inciso, mi riesce difficile pensare concettualmente e comprendere

cosa significhi saper fare senza la conoscenza: un tecnico delle norme senza

sapere, un nomo-tecnico per nomo-dotti. Il risultato a cui inevitabilmente giungo

è quello di un diritto senza verità. Ma un diritto senza verità non può che

condurre ad un processo senza verità.

Ritorna il tema centrale: la giustizia ed il diritto come veicolo finalisticamente

orientato alla sua realizzazione.

Gli esseri umani, a differenza degli altri viventi, si relazionano attraverso il

linguaggio29.

Senza linguaggio non esisterebbero né società umana e tanto meno il diritto.

La verbalità è una forma di comportamento comunicativo di grande potenzialità

estensiva capace di esprimere i fatti della coscienza30.

27 Ne aveva profetizzato il rischio: S. Pugliatti, Grammatica e diritto, Milano, 1978, 368. L’insigne giurista ha lasciato una insuperabile lezione sul piano del metodo da Lui concepito come indispensabile strumento e processo di autocostruzione della scienza, centro di gravitazione di ogni disciplina scientifica e giuridica in particolare. 28 Sono sempre più numerosi gli studenti che agli esami pronunciano i termini latini petitum o stare decis (vocalmente pètitum o petitaum e stare desais) come se fossero idiomi inglesi. Questi, una volta terminati gli studi, probabilmente, saranno bravissimi ad usare il computer e tutti i passaggi richiesti dal processo telematico, poco o nulla importando il contenuto degli atti (siano essi di parte o del giudice). Ma, nel contenuto degli atti, si esprimono le istanze e le aspettative di giustizia dei cittadini che alla fine sono i destinatari e gli utenti del diritto-giustizia e si declama la verità su un fatto che si assume lesivo di un diritto. 29 A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit. 413 ss. 30 Una caratteristica del linguaggio è data da una molteplicità di simboli capaci di evolversi nel tempo insieme con la cultura dei popoli e costituisce la storia della cultura degli uomini e con essa del diritto. Con la invenzione della scrittura la comunicazione orale si è arricchita della dichiarazione scritta. Questa ha permesso la comunicazione a distanza tra assenti assicurando un elevato grado di oggettività e fedeltà notevolmente superiore a quella trasmessa dal “nuncius”.

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Nel processo verbalità e scrittura coesistono in condizione di coessenzialità.

Il processo è totalmente documentato dalla scrittura che svolge la funzione di

fissare mediante la verbalizzazione le domande e le eccezioni delle parti, le

ragioni delle varie decisioni interlocutorie e definitive del giudice.

Tutto un determinato giudizio è racchiuso in un fascicolo costituito da

documentazione scritta. In caso di impugnazione sarà attraverso quella

documentazione che il giudice d’appello e la Cassazione conosceranno la causa

e si esprimeranno. Essa costituisce la memoria storica di quel processo.

La trasmissione del linguaggio può avvenire con qualsiasi mezzo che la tecnica

è capace di mettere in campo come in ultimo la rivoluzione digitale.

Qui devo aprire una parentesi. I moderni mezzi telematici e digitali aumentano

la potenza della comunicazione ma impoveriscono la valenza espressiva,

sintattica e semantica, del linguaggio. Tutto si svolge velocemente e per dirla

con un’acuta espressione di B. Romano, “un click trasferisce masse monetarie e

decide sulla qualità dell’esistenza personale e delle istituzioni della

coesistenza.31”. Un click, quindi trasferisce, masse monetarie e trasferisce,

altresì, masse di informazioni contenenti messaggi di ogni tipo tra i quali le

relazioni pre-trial tra parti e loro avvocati, trattative, atti giudiziari il cui

linguaggio anche dal punto di vista sintattico-grammaticale subisce l’influenza

del veicolo di trasmissione.

La valenza espressiva e il potere di convincimento sono mutati rispetto alle

tecniche tradizionali, il linguaggio è divenuto scarno, sintetico, le proposizioni

sono assorbite in parole chiave, la forza dialogena è al tramonto specularmente

all’essere dialogante32.

Anche il linguaggio sta subendo il fenomeno della liquefazione.

La scrittura ha permesso di fissare il linguaggio e con esso il contenuto del messaggio; essa svolge il compito e la funzione fondamentali di fissare e documentare le regole del diritto e di renderle accessibili ai destinatari componenti del gruppo sociale. 31 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit., p. 11. 32 Ma, la scienza giuridica senza linguaggio non sarebbe tale. Grazie al linguaggio scritto il diritto si è evoluto con la formalizzazione delle regole, le codificazioni, le costituzioni, la formalizzazione dei principii dislocati in luoghi separati ed esclusivi nella gerarchia delle fonti del diritto, fino alle dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo e alla funzione documentale imprescindibile delle attività processuali.

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Il dialogo è degradato a mera forma, privo di un certo contenuto e quindi pieno

di qualsiasi contenuto. Il discorso dialogeno si articola in proposizioni

preconfezionate che riproducono modelli suggestivi captati dal mondo

informazionale. Le arti del linguaggio e della retorica – anche nei percorsi

formativi scolastici ed universitari – sono stati abbandonati o sono

abbondantemente trascurati ed in secondo piano e per effetto delle tecnoscienze

e della loro influenza il soggetto parlante si muove macchinalmente senza

cercare la razionalità e la persuasione passando il tempo ad incamerare dati

offerti dal reticolo informatico in maniera passiva e del tutto acritica. Il

depotenziamento della forza creativa ed argomentativa del linguaggio si

riscontra negli atti processuali sempre più espressione di un copia e incolla di

massime giurisprudenziali senza alcuna riconduzione ad una unità di senso

risultante del discorso ragionato.

Comunque sia il linguaggio scritto – per quanto geneticamente mutato e

continuamente cangiante a causa dei mezzi di comunicazione – sia su carta che

su supporti magnetici o digitali, rimane pur sempre insostituibile strumento

relazionale e comunicativo che conferisce certezza alle regole del diritto, ai

diritti stessi dei cittadini e ai rapporti giuridici: nel processo fissa il contenuto

delle dichiarazioni delle parti e del giudice e delle attività istruttorie33.

Per effetto del suo continuo divenire, il linguaggio e i codici linguistici del

legislatore, spesso non del tutto padrone della lingua, si adeguano e negli atti

legislativi sempre più spesso vengono introdotti termini tecnici appartenenti alle

più svariate discipline da quella tecno-economico-finanziaria, a quella medica,

psico-pedagogica, idrogeologica e tante altre, con la implicazione che i termini

tecnico-giuridici vengono sostituiti da gerghi settoriali specialistici che

ostacolano l’unità metodologica dell’attività interpretativa del giurista34.

33 Il Titolo VI, Libro I, CapoI, Sezione I, del codice di procedura civile, intitolati rispettivamente nell’ordine: “Degli atti processuali”; “Delle forme degli atti e dei provvedimenti” e “Degli atti in generale”. Gli artt. 121-126 ne dettano la disciplina e l’art. 126 detta il contenuto del processo verbale. 34 A. Incampo, Metafisica del processo, cit. 138. Sull’introduzione di termini tecnici di materie specialistiche estranee al diritto e al linguaggio tencnico suo proprio nelle leggi speciali: N. Irti, L’età delle decodificazioni, Giuffrè, Milano, 1979.

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Tirando le fila del discorso, anche volendo accedere, ad una concezione

nichilista del diritto, la complessità e particolarità delle fonti di produzione

quanto di cognizione e del linguaggio, esigono, anzi impongono una conoscenza

non solo giuridica, ma estesa a materie meta-giuridiche o affatto giuridiche per

dotare il giurista di strumenti interpretativi adeguati a detta complessità.

Compito dell’ermeneutica è quello di perfezionare il linguaggio legislativo per

renderlo più aderente alla realtà del valore giuridico e recuperare al sistema

normativo tutte le regole del diritto e soprattutto quelle manifestate dalla prassi

sociale35.

Tutto questo nella dinamica del processo si trasferisce negli atti di parte e del

giudice. La sentenza finale – in quanto espressione della jurisdictio – è la norma,

la regola estrapolata dal mondo del diritto ove astrattamente prevista e applicata

al caso concreto, contestualizzata e nelle ragioni della decisione essa disvela una

sorta di “transumanza” di tutto il materiale processuale che vi confluisce nel

detto e nel non detto.

Se le norme sono nomo-dotti, la individuazione e/o la estrapolazione della

regola di condotta certamente dovrebbe essere non semplice e non facile e

dovrebbe richiede un sapere alto.

Questo può voler dire che anche nell’ambito della scienza giuridica c’è bisogno

delle specializzazioni, ma certamente il sapere è fondamentale e propedeutico al

saper-fare.

Un ultima considerazione sulla tesi dell’Irti riguarda le conseguenze che la

stessa determinerebbe sul piano dell’uguaglianza e, se si vuole, della dialettica

democratica perché il sapere – del quale non se ne può fare a meno – escluso

dalla formazione dei giuristi, tecnici delle norme, rimarrebbe confinato e

concentrato nelle mani di pochi programmatori. I tecnici delle norme con il loro

35 A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit. 428 ss. La realtà dei valori giuridici è realtà empirica, conoscibile solo immediatamente. La percezione diretta si ha in relazione al fatto evidenziante (prassi sociale, atto legislativo), che è un fatto materiale, mentre la situazione evidenziata (regola juris), si rapporta come il significato al segno. Un primo problema è la capacità del fatto evidenziante di rispecchiare il valore giuridico. Ogni valore giuridico nasce nella dimensione della norma che lo prevede e si conclude nella dimensione concreta dell’azione che lo realizza.La complessità aumenta quando il valore giuridico deve essere assunto non da norme ma da principii perché è caratterizzato dalla genericità, sinonimo di generalità, e anche di imprecisione.

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saper-fare senza il sapere sarebbero dei meri esecutori, subalterni ai pochi

detentori del sapere.

Conseguenza del “non luogo” è sicuramente il proliferare a dismisura di una

quantità di normative, provenienti da varie fonti – generate da situazioni

contingenti esaurite le quali cadono nel dimenticatoio e facilmente se ne

aggiungono o sovrappongono altre – che accresce il pericolo di antinomie o di

conflitti tra norme che si derogano a vicenda, ingenerando confusione

nell’interprete e ancor di più nei destinatari cosicchè, principii fondamentali

come ignorantia legis non excusat, un tempo basilare presidio e postulato di un

dovere generale degli omnes di conoscenza della legge e parimenti di

conoscibilità come caratteristica funzionale della legge stessa, attraverso la sua

pubblicazione, entrano fortemente in crisi36.

Le continue modifiche delle modifiche alle disposizioni codicistiche in campo

processuale civile come, solo per citarne alcuni esempi, la previsione di riti

disciplinati fuori dai codici come l’abrogato processo societario di cui al dlgs

17.1.2003, n. 5, i riti sommari di cui all’art. 14 e ss. del dlgs 1.9.2011, n. 150,

che contiene disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia

di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, l’azione di

classe di cui al dlgs 6.9.2005, n. 206 (c.d. codice del consumo) e ultimo il d.l.

12.9.2014, n. 132, conv. in legge 10.11.2014, n. 162, che in parte modifica il

codice di rito ed in parte prevede nuove procedure di negoziazione assistita,

36 Corte Cost. 24 marzo 1988, n. 364 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. “nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.”. La pronuncia della Consulta, attesa ed auspicata da tempo da parte della dottrina penalistica e, quindi, massimamente salutata con favore, sebbene abbia stabilito un principio di civiltà giuridica sussumibile nel brocardo latino “ad impossibilia nemo tenetur”, per certi versi costituisce una risposta al nichilismo legislativo adeguando il dettato normativo dell’art. 5 c.p.c. in modo da salvaguardare i cittadini di fronte alla proliferazione incessante di reati di pura crezione legislativa e alle obiettive difficoltà di averne una effettiva conoscenza in tempi reali. Il nichilismo legislativo si manifesta non solo attraverso l’uso della legge svuotata di contenuto riducendola ad un semplice contenitore, ma anche nello scostamento dalla “naturalità” con la invenzione di reati che non rispondono ad esigenza di repressione di condotte ripugnanti al punto dameritarvi la massima sanzione, bensì per la tutela di beni attinenti soprattutto all’organizzazione e all’amministrazione della P.A. e che ben si potrebbero salvaguardare in via amministrativa. La debolezza e la inefficienza dello Stato-amministrazione accentua il nichilismo legislativo ed appesantisce il carico giudiziario non senza trascurare gli efetti ricadenti sull’equilibrio tra poteri. Cfr. Pulitanò, Ignoranza della legge (dir. pen.), in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, XX, 1970, 23. Mantovani, Diritto penale Parte generale, 1979 (app.1983), Cedam, Padova, p. 267

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compromettono la certezza del diritto e i principi generali (del processo) a

scapito della unitarietà del sistema37.

E ancora la previsione ed intensificazione del ricorso ai riti sommari, la

riduzione eccessiva dei termini solo per le parti, la previsione della perentorietà

dei termini solo per le medesime parti e non per i giudici, la disciplina del

sistema delle impugnazioni con la previsione di filtri che hanno come unico

scopo quello di scoraggiarne l’uso dello strumento processuale in favore di un

male inteso senso della riduzione dei tempi processuali e del numero dei

contenziosi; la riduzione quali-quantitativa dell’obbligo di motivazione. Trattasi

di interventi che allontanano il processo dalle finalità sue proprie per asservirlo,

sotto le mentite spoglie della competitività, a logiche globalistiche economico-

finanziarie38.

37 Anche il processo penale è colpito da continue modifiche. 38 Mi riferisco alle recenti modifiche apportate al cod. di proc. civ. ad opera dell’art. 54, d.l. 22.6.2012, n. 83, conv. con modif. in legge 7.8.2012, n. 134. Alla modifica dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, att. c.p.c., ad opera rispettivamente il primo dal comma 17 dell’art. 45, legge 18.6.2009, n. 69 ed il secondo dal comma 5 dell’art. 52 della stessa legge sul contenuto della motivazione ridotta – rispetto alla precedente formulazione – ad esposizione concisa della parte assertiva della decisione, all’artt. 342 c.p.c., all’inserimento degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. in tema di appello e alle modifiche al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per il ricorso per cassazione che mette al riparo la motivazione sotto quegli aspetti che non danno luogo a vere e proprie nullità. Gli interventi nomotetici testè sintetizzati hanno attinenza con la ragionevole durata del processo anch’essa contemplata nell’art. 111 Cost. e ancor prima nell’art. 6, della CEDU. Essa non deve risolversi in una vanificazione della funzione propria del processo medesimo: la giustizia che a sua volta è imprescindibile dall’accertamento della verità. L’accertamento di una verità che non è tale nel senso, di corrispondenza alla realtà non è giustizia e se il processo non conduce alla giustizia poco importa se si è concluso in dieci giorni o in dieci anni. Con ciò non voglio giustificare i tempi lunghi che notoriamente affliggono il processo civile italiano, ma le ragioni risiedono aliunde e non nell’architettura o nell’impianto del codice e tanto meno nella sospensione feriale di recente decurtata di quindici giorni ad opera del D.L. n. 132 del 12.9.2014 conv. nella legge 10.11.2014, n. 162 (art. 16). Come noto la sospensione non riguarda affatto le ferie dei magistrati e tanto meno degli avvocati, serve solamente per dare respiro agli uffici di cancelleria per consentirne la riorganizzazione, smaltire gli arretrati e riposizionarsi. Non risponde a verità quanto diffuso dai media secondo cui tutti i guai del processo civile dipendono da detta sospensione facendone addirittura un privilegio di casta. Il processo deve comunque assolvere la propria funzione ed i tempi di celebrazione devono essere ragionevoli. Il che non è quantificabile in termini temporali. La durata (tempo giuridico) deve essere parametrata in rapporto alla complessità oggettiva e soggettiva della controversia in sé e per sé e non alle disfunzioni del sistema organizzativo della macchina giudiziaria. Qui si disvela un altro aspetto del nichilismo, strettamente correlato al relativismo culturale, quello cioè del giustificarsi e del giustificare nell’aggirare gli ostacoli e declinare o meglio liquefare le responsabilità trascurando di affrontare i problemi che si annidano nelle cause reali delle anomalie privilegiando percorsi secondari e più facili, spesso di facciata che ubbidiscono a logiche avulse dal merito e funzionali ad esigenze espresse dal mondo economico-finanziario con l’ausilio di campagne mediatiche monosenso ed in assenza di contraddittorio con interlocutori esperti e qualificati inclini ad accusare codici e legislazioni

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Il ruolo dell’interprete dovrebbe svolgere una funzione determinante: la scienza

giuridica, la dottrina dovrebbe dipanare i dubbi e fare chiarezza estrapolando

dalla “radura”39 o dalla boscaglia legislativa e tra una miriade di fonti di varia

provenienza, le norme e con esse il diritto e la giustizia40.

ignorando che ad esempio il rito del lavoro era stato concepito e strutturato per essere il massimo della celerità ed è naufragato e che il processo ordinario di cognizione unitamente ai vari riti sommari ed al rito sommario di cognizione non fanno del sistema processuale italiano un qualcosa di anomalo rispetto a quello di altri Paesi come Francia, Germaniae Spagna; sicchè il problema della durata extralarge del nostro processo deve essere individuato altrove. Spesso nei monologhi o soliloqui televisivi più che giornalistici si fa sovente riferimento al processo dei Paesi anglosassoni senza conoscere la differenza di origine, struttura e concezione giuridica tra i sistemi di common law e quelli di civil law ed a quale dei due appartiene il nostro. L’interpretazione che si va delineando è in contrasto con la lettera e lo spirito della norma e corre il rischio – attraverso la previsione di termini stretti e perentori solo per le parti – di soffocare il diritto di esercizio dell’azione e di difesa costituzionalizzato nell’art. 24 Cost. Un processo troppo celere rispetto alla sua complessità non sarebbe ragionevole. Del resto una tale previsione normativa costituzionale sarebbe stata apodittica ed irragionevolmente illogica. La dizione “ragionevole durata”, di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost. non è sinonimo di brevità. Essa rinvia ad un contemperamento parametrato sulla complessità del controversia per far sì che la durata temporale del processo sia proporzionalmente adeguata alla difficoltà per la complessità. Cfr. M. Ferrari, Le violazioni del diritto alla ragionevole durata del processo e la determinazione <<dell’equa riparazione>>, in Contratto impresa, Cedam, Padova, 2004, 1228 ss. P. Pellegrinelli, Giusto processo (civile), in Digesto, Discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento, I, Utet, Torino, 2007, 645-654. L’intepretazione che vuole la locuzione del principio costituzionale ridotto a sinonimo di “celerità” è funzionale a pressioni provenienti dal mondo della finanza, dei gruppi bancari e assicurativi che, forti di difese aggressive e qualificate, con la celerità stordiscono la difesa degli avversari che vanno individuati nei privati persone fisiche, consumatori e piccoli imprenditori, quella categoria o classe socio-economica un tempo efficacemente inquadrata concettualmente nella parasubordinazione o nella figura del contraente debole. Cfr. il mio Il processo societario: rilievi di costituzionalità e profili del procedimento di cognizione, in questa Rivista, 2004, 1043 ss. D’altronde il processo ordinario di cognizione con le garanzie piene ha necessariamente tempi diversi dai procedimenti sommari. Ma anche le garanzie sono diverse. La diversificazione dei riti e la previsione di un processo sommario di cognizione accanto ad altri procedimenti sommari che offrono una tutela più rapida magari terminanti con provvedimenti sommari-esemplificati-esecutivi privi di attitudine al giudicato, rispondono proprio all’esigenza di rapidità della tutela, mentre il giudizio a cognizione piena è ormai relegato ad un ruolo di residualità. Sui procedimenti sommari e provvedimenti sommari-semplificati-esecutivi: A. Proto Pisani, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di tutela, in Foro it., 1990, V, 17. P. Proto, La riforma del procedimento possessorio, in questa rivista, 2007, p. 1839, nota 6 e p. 1848, note 34 e 38. P. Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale: la questione sulla competenza territoriale ed i poteri presidenziali, in questa Rivista, 6-2010, p. 1542 e nota 12 e p. 1544 ss., nota 18. Sulla residualità del processo ordinario di cognizione: A. Proto Pisani, “Verso la residualità del processo a cognizione piena?”, in Foro it., V, 2005, 54 ss. 39 La “radura” è usata da M. Heidegger, in Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976, p. 520.

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4. Il nichilismo giurisdizionale o applicativo.

Viene da chiedersi quale giustizia potrebbe generare la deriva nichilistica del

diritto se al nichilismo legislativo si affianca quello giurisdizionale, o

applicativo, che riguarda direttamente le ragioni della decisione.

Per realizzare o fare giustizia è sufficiente il rispetto delle forme del processo

indipendentemente dalla giustezza della decisione?

Il problema esiste e non è di poco momento, aggravato dall’indifferenza del

nichilismo giuridico a qualsiasi discorso sul senso della giustizia41.

Diversamente da una attenta dottrina condivisibile più nella soluzione che

nell’analisi, la questio del nichilismo giuridico, purtroppo è operante e sempre

più pervasivo non solo a livello legislativo, ma come si dirà anche sul piano

della jurisdictio42.

Ma cosa deve intendersi per nichilismo giuridico applicativo?

Come ho cercato di diri all’inizio la letteratura si è occupata del fenomeno in

questione a livello di filosofia del diritto e di diritto sostanziale e poco del diritto

processuale; sicchè quando si parla di nichilismo giuridico difficilmente si pensa

ad una sua possibile incidenza nell’ambito dell’esperienza processuale.

Di qui la scelta di chiamare il nichilismo (giuridico) applicativo con riferimento

alla funzione giurisdizionale, quindi, al processo, intanto per distinguerlo da

quello oggetto di studio dalla filosofia del diritto e dal diritto sostanziale, poi

perché si riferisce al momento applicativo o realizzativo del diritto nel caso

concreto. Poi ancora perché il nichilismo (giuridico) applicativo riguarda la

sentenza intesa come vuoto contenitore alla stessa stregua e in modo speculare

alle norme ridotte a nomo-dotti

Lo scopo e la funzione del diritto si rivela massimamente nel processo.

L’interpretazione giudiziaria coglie il valore giuridico nel momento ultimo della

realizzazione. Essa è chiamata ad adattare l’effetto giuridico astrattamente

previsto dalla norma alla situazione fattuale oggetto concreto della controversia.

40 N. Irti, in Nichilismo e concetti giuridici (Intorno all’aforisma 459 di “Umano troppo umano”, Bari, 2007, 22; asserisce che “il dialogo fra scienza giuridica e potere legislativo è ormai spento”. 41 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico sul nichilismo funzionale, cit. 12 ss. 42 F.C. Gallo, Una critica del nichilismo giuridico, cit., 7, specialmente nota 14.

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La sentenza è l’atto determinativo finale del procedimento. Essa è la norma.

La domanda è: il tipo o la natura di sentenza che si vuole e quindi il tipo di

giustizia che in essa deve riflettersi e che da essa si pretende.

La risposta implica la disamina di alcune fasi processuali perché è funzionale ad

accertare il “come” ovvero il “quomodo” con cui si arriva alla sentenza e che a

sua volta incide in modo determinante sul risultato della sentenza medesima,

ovvero, il suo “perché”.

Secondo il modello giusformalistico Kelseniano la sentenza come la legge è un

contenitore e il dispositivo o la statuizione un fenomeno secondario43.

Viene dato rilievo alla correttezza del procedimento dal quale origina la

sentenza e dal quale essa trae la sua validità44.

Ma se il contenuto della sentenza diviene, anzi scade a fenomeno secondario, le

qualificazioni di “giusto” e “non giusto”, “ragione o torto” – da sempre oggetto

della statuizione giudiziale e scopo ultimo e determinante del processo –

diventano anch’essi secondari, svuotati e sostituiti dal “legale” e “non legale”45.

Di qui l’indifferenza del nichilismo giuridico sul senso della giustizia perché

interessa il “come”, elemento misuratore di ottimizzazione delle funzioni e non

il “perché” che evoca i concetti polari di “giusto/ingiusto”, “uguale/disuguale”.

I poli del “giusto” e “non-giusto” rinviano al sè-stesso nell’interezza della sua

personalità ed imputabilità giuridica, quindi ad un io non ridotto ad oggetto di

spiegazione scientifico-sperimentale che lo considera e lo segmenta in una serie

frammentaria e frammentata di io, in relazione corrispondente alle diverse

funzioni bio-macchinali dei vari sistemi sociali, dove si consuma l’io del

mercato, l’io del tempo libero, l’io dei media, e così via46.

Non ci sarebbero, quindi, cose, fatti o eventi buoni o cattivi di per sé e per

converso giusti e non giusti di per sè, in quanto presupponenti la soggettività del

43 In tal senso: J. Carbonnier, Sociologie giuridique, Armand Colin, Paris, 1972-1979, 158. Per H. Kelsen, la sentenza è valida perché è stata posta da un’autorità competente, in H. Kelsen, La dottrina del diritto naturale e il positivismo giuridico, Trad. it. di S. Cotta e G. treves, 1959, in Teoria generale del diritto e dello stato, Giuffrè, Milano, 407 ss. 44 V. retro note: 16, 17, 18. 45 M. Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, Ed. San Paolo, Torino, 1996, 118, 214 ss. 46 M. Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., 465-473.

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sé-esistenziale, ma cose, fatti o eventi buoni nella misura in cui vengono anelati

e desiderati e non perché ritenuti intuitivamente buoni ed il volere non è sorretto

da una guida morale ma da rapporti di potenza47.

Ne consegue un concetto di giustizia che non costituisce una guida per le

condotte e per gli effetti che si riverberano sulle diverse volontà. Il giusto

sarebbe soltanto la constatazione del volere vincente48.

La giustizia, quindi, sarebbe la giustificazione ex post della forza vincente

perché del più forte. Il giudizio giuridico a sua volta non sarebbe terzo

imparziale, ma sarebbe l’enunciato della fattualità vincente di una parte, senza

motivi, né scopi, ma luogo de-soggettivato del nichilismo giuridico perfetto che

utilizza la forma informe di una legalità contenitore per qualsivoglia norma49.

La forma-contenitore e la correttezza della procedura da un lato, l’affermazione

a posteriori della forza-più dall’altro, costituiscono una sorta di ossatura

ontologica della funzione del nichilismo giuridico nel diritto processuale e

quindi del nichilismo (giurisdizionale o) applicativo.

Entrambe dette qualificazioni sono rintracciabili nel sistema processuale civile

sia con riferimento a taluni interventi legislativi, di cui si è detto, che a talune

applicazioni giurisprudenziali.

Sono imputabili alla jurisdictio: talune interpretazioni formalistiche delle norme

e degli istituti processuali a detrimento del diritto di difesa e del giusto processo;

la motivazione della sentenza quale espressione della iurisdictio, quel “dire il

diritto” e dare contezza della decisione quando è solo apparente, vuota di

contenuto o anche insufficiente50; l’uso strumentale di taluni procedimenti e/o

istituti processuali al posto di altri a scapito della verità e della ragione effettiva

in nome di principii sovrastrutturali e la tentazione pressante di riscrivere le

norme e/o di dare risposte a situazioni fattuali che non trovano risposta

nell’ordinamento: la giurisdizione che si appropria del compito valutativo di

47 M. Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., 214. 48 B. Romano, Id. Le funzioni del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit. 13 ss. 49 B. Romano, Scienze giuridiche senza giurista, cit., 106-107 e ss. 50 A. Incampo, Metafisica del processo, Idee per una critica della ragione giuridica, cit., 280 ss.

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competenza propria del legislatore sacrificando quello della validità o della

legittimazione che è sua propria51.

Il momento attinente al giudizio di valore è di competenza del legislatore, al

quale spetta il compito di apprestare o meno la disciplina di un determinato

fenomeno avendolo ritenuto meritevole di tutela. Al giudice appartiene il

momento della validità. Tale momento presuppone la legge ma non la giustizia,

come a sua volta la legge presuppone il diritto, sicchè, compito della jurisdictio

è appunto quello di spremere la legge e far uscire da essa la norma o le norme:

niente di più e niente di meno. Mi soffermo su alcune vicende processuali che

ritengo significative espressioni di nichilismo giurisdizionale o applicativo, solo

per gli aspetti funzionali al tema in argomento senza commentare le sentenze

citate.

Un esempio di esaltazione del formalismo in termini quantitativi e poi anche

qualitativi si rinviene in una recente sentenza del Supremo Collegio che con una

interpretazione creativa ha “codificato” la lunghezza e quindi la continenza del

51 P. Costa, Iurisdictio, Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433). Decisioni anche se interlocutorie tese a voler dare riconoscimento a tutti i costi a determinati fenomeni che devono necessariamente essere disciplinati dalla legge, mi riferisco ad ordinanze di rimessione alla Consulta per la presunta incostituzionalità del divieto di nozze tra persone dello stesso sesso, volutamente ignorando il dettato dell’art. 29 Cost. Trib. Grosseto, Ord. 9.4.2014, che ha ordinato all’ufficiale di Stato civile di trascrivere un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero. Corte Cost., sentenza, 11.6.2014, n. 170, che ha creato un orror vacui in materia di divorzio automatico imponendo al legislatore di dettare apposita disciplina sulle unioni determinatesi a seguito del c.d. divorzio automatico e di fatto imponendo la regolamentazione delle c.d. unioni civili. Queste ultime proprio perché spontanee e rilevanti sul piano dell’art. 2 Cost. dovrebbero essere libere e non già oggetto di una regolamentazione forzata come se fossero matrimoni di serie B. In campo penale, l’ordinanza collegiale del Trib. Vibo Valentia del 18.9.2014, Pres. Dott. A. De Marco, nel proc. pen. n. 479/10 RGNR, che a fronte dell’eccezione di nullità del capo di imputazione per violazione dell’art. 429, comma 1, lett. c, c.p.p. ha invitato il P.M. ha riformulare la incolpazione sostanzialmente abrogando o riscrivendo la norma testè citata che, al comma 2, sanziona con la nullità la indeterminatezza della incolpazione. L’imputazione risponde all’esigenza di consentire all’imputato con la individuazione dell’addebito di potersi difendere perché determina l’oggetto dell’accusa e di stabilire, in via tendenzialmente definitiva, il merito del giudizio, giacchè se questo potesse liberamente modificarsi senza alcun limite non sarebbe possibile alcuna difesa per il soggetto sottoposto a processo. C. Santoriello, Garantismo (processo penale), in Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento, I, Utet, Torino, 2005, p. 543-569 e in particolare p. 546-560. G. Inzerillo, Imputato e imputazione, in Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento, I, Utet, Torino, 2005, p. 729-748.

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ricorso per cassazione in circa 14 pagine senza preoccuparsi del contenuto

eventualmente necessitante di qualche pagina in più52.

Sorge la difficoltà di coniugare la continenza del ricorso con l’autosufficienza

dello stesso. Principio, quest’ultimo, sempre di enucleazione della medesima

Cassazione, altrettanto causa di numerose pronuncie di inammissibilità.

Sia il ricorso lungo o incontinente, sia quello non autosufficiente che non vuol

dire nullo o immotivato, quando contengono validi e fondati motivi di censura

alla sentenza impugnata, la declaratoria di inammissibilità (della Cassazione)

esalta il formalismo degli atti a scapito del loro merito-contenuto ed esprime una

“non giustizia-ingiusta”. Nel primo caso del ricorso lungo la Cassazione ha de

facto riscritto la norma non data e non prevista; nel secondo ha adottato

un’interpretazione eccessivamente formalistica della norma data53.

Nel primo caso, la Corte in motivazione accenna ad esigenze di celerità per

realizzare il giusto processo ex art. 111 Cost. Anche qui il Supremo Collegio,

interpreta la locuzione “ragionevole durata” come sinonimo di celerità ed eleva

questa ultima ad elemento costitutivo e condizionante la realizzazione del giusto

processo. Ragionevole durata e giusto processo stanno su piani differenti54. Il

problema è che la celerità sta assurgendo a principio informatore del processo a

detrimento della qualità della difesa sulla quale si riverbera ed il cui diritto è

garantito dall’art. 24 Cost. e dallo stesso art. 111 Cost. Lo scollamento

semantico tra l’affermazione giudiziale ed il dato testuale e sintattico delle

disposizioni costituzionali citate è tale da non poter parlare di interpretatio

(della norma), bensì di vera e propria produzione normativa. Né può valere il

riferimento all’art. 3 C.p.a. (Codice del processo amministrativo) come ha fatto

52 Sulla continenza del ricorso per Cassazione: Cass. 30.9.2014, n. 20589. Sulla continenza degli atti giudiziari nei giudizi di merito cfr.: Trib. Milano, Sez. IX, Ord. 1.10.2013. Se l’atto giudiziario di parte è portatore di una pretesa inammissibile o infondata va rigettato indipendentemente dalla sua lungaggine. La condanna alle spese non deve essere frutto della lunghezza dell’atto bensì della soccombenza a causa della inammissibilità o infondatezza della domanda. 53 Altrettanto frutto di un’interpretazione formalistica è Cass. Sez. Un,. 9.9.2010, n. 19246, sui termini di costituzione dell’opponente a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 645 c.p.c. dimidiandoli della metà a causa della quale, anche per le forti pressioni critiche della dottrina, è intervenuto il legislatore con legge di interpretazione autentica e successivamente con la modifica della norma ad opera della legge 29.12.2011, n. 218, art. 1. 54 P. Pellegrinelli, Giusto processo (civile), in Digesto, Discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento, cit. 645-654.

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Trib. Milano perché trattasi di norma dettata per una diversa giurisdizione ed è

riferita a tutte le parti processuali, giudici compresi. Diversamente sarebbe stato

se la citata norma processuale amministrativa fosse stata inserita nel codice di

rito civile. In questo caso, essa sarebbe stata applicabile anche alle altre

tipologie processuali. Tant’è che l’art. 39 C.p.a. rinvia al codice di rito civile –

come diritto comune – per tutto quanto non è previsto e non è incompatibile col

medesimo C.p.a.55.

Il concetto di “ragionevole durata” travisato e riscritto in quello di “celerità” è

sintomatico di una piega del processo verso la sua liquefazione, ridotto a

fenomeno consumistico: “presto detto e fatto”;” tutto subito”

Nella seconda ipotesi la Cassazione ha sempre dato una lettura dell’art. 366

c.p.c. eccessivamente formalistica pretendendo la trascrizione in ricorso degli

atti e delle risultanze istruttorie del giudizio di merito per offrire al giudice di

legittimità un quadro completo “autosufficiente” della vicenda processuale già

con la sola lettura del ricorso, mentre l’art. 366 c.p.c. non esige la trascrizione,

bensì la sola indicazione56.

Maggiore attenzione merita, un caso di puro e crudo nichilismo

giurisprudenziale o applicativo che, a mio sommesso avviso, si rinviene nell’iter

processuale sia di merito che di legittimità relativo alla notoria vicenda di

Eluana Englaro57. Preciso che qui il nichilismo (giuridico) applicativo si

55 L’art. 39 C.p.a., approvato con dlgs. 2.7.2010, n. 104, testualmente al primo comma recita: “Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili, o espressione di principì generali.”. 56 Sul principio di autosufficienza del ricorso per tutti: Cass., Sez. IV, Ord. 3.6.2014, n. 12355. 57 Tengo a chiarire subito che non intendo commentare la sentenza n. 21748 del 16.10.2007 in merito al caso in argomento perché esula dall’economia e dal tema oggetto della presente trattazione riservandomi di farlo in una prossima occasione e tanto meno intendo esprimere valutazioni etiche o morali, tuttavia, per onestà intellettuale, avendo considerato la sentenza citata un caso di nichilismo giuridico applicativo, trovo doveroso esprimere in estrema sintesi il mio pensiero in merito: a)-SUL RITO. La sentenza non spende nemmeno un rigo sulla legittimità della scelta del rito camerale soprattutto avuto riguardo ai diritti controversi e al proprio precedente orientamento – attualmente in parte modificato – in base al quale i provvedimenti emessi col rito camerale erano insuscettibili di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.; b)-SULLE FONTI. La decisione cita una pluralità di fonti esterne ed estranee all’ordinamento italiano. Menzione la Convenzione di Oviedo del 4.4.1997, all’epoca non ratificata dallo Stato italiano e quindi non costituente fonte di diritto interno, né la Corte Cost., chiamata ad adiuvandum , con le sentenze n. 46, 47, 48 e 49 del 2005, può considerarsi sostitutiva del Parlamento o svolgente un ruolo simile a quello della Corte Suprema USA, altrettanto citata unitamente alla Corte Suprema del New Jersey, per la totale diversità delle fonti di produzione del diritto dei sistemi di common law rispetto a quelli di civil law. Altrettanto

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manifesta intrecciato con il relativismo culturale. Lascia molto discutere la

scelta del rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. col quale è stato celebrato

il giudizio di merito in primo e secondo grado i cui provvedimenti sarebbero

insuscettibili di passare in giudicato in quanto sempre revocabili e modificabili

ai sensi dell’art. 742 c.p.c., sicchè la morte di un essere umano, che è un evento

irreversibile, è stata decretata con un provvedimento di per sé reversibile perché

revocabile e privo di attitudine al giudicato58.

A prescindere dal silenzio nella parte assertiva della sentenza sull’argomento, la

scelta del rito camerale rispetto a quello ordinario di cognizione ha sicuramente

dicasi per la citazione della normativa francese sulla fine-vita ed altre pronunce della Corte di Strasburgo nei confronti di altri Stati e quindi prive di efficacia interna all’ordinamento italiano; c)-SU CONSENSO E RAPPRESENTANZA LEGALE. La sentenza dopo aver ben detto che il tutore decide con l’incapace, interpreta il combinato disposto degli artt. 357 e 424 c.c. ritenendo la dizione “il tutore ha cura della persona” esorbitante dall’ambito strettamente patrimoniale cosicchè il tutore è nella condizione di interloquire coi medici in favore dell’incapace. Fin qui nulla quaestio. Il problema è che la cura della persona e la interlocuzione del tutore coi medici è sempre e solo in favore dell’incapace e come tale può esplicarsi solo per promuove atti o attività migliorative delle condizioni del predetto incapace anche perché l’istituto dell’interdizione come quello sull’amministrazione di sostegno sono nell’interesse esclusivo dell’incapace o indigente e pertanto l’ufficio tutorio non potrà mai spingersi fino a decidere la fine della vita dell’incapace medesimo, soprattutto se questi non è nelle condizioni di dichiarare o altrimenti manifestare il proprio intendimento. Né la Corte si è data carico di affrontare il conflitto tra la tesi da essa sostenuta e le disposizioni imperative di cui agli artt. 5 c.c., 50, 579 e 580 c.p., accuratamente ignorate e che costituiscono principio generale dell’ordinamento; né infine le fonti interne citate a proposito del consenso informato sull’aborto della incapace e sull’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico e altre ancora giovano per ritenere ammissibile un consenso fine-vita sia perché dalle stesse – per la loro specificità e circospezione – non si evince una portata significativa oltre i casi in esse previsti, sia perché trattandosi di ipotesi specifiche per casi specifici devono ritenersi di stretta interpretazione ex art. 14 Preleggi da cui non è legittimo ricostruire un principio generale tanto più per un atto estremo e terminale che riguarda l’esistenza dell’essere umano. Ho dato per scontato che l’incapace fosse un’ adulta nel senso di aver conseguito il diciottesimo anno di età perché se il presunto consenso della pazienta fosse stato espresso quando era nacora minorenne si aprirebbe un’altra problematica questione; d)-SULLA DISATTIVAZIONE DEL “PRESIDIO SANITARIO” riferito al sondino nasogastrico, la sentenza dopo aver disinvoltamente, acriticamente e per assioma decretato che costituisce senza dubbio un trattamento sanitario, dette la regola del quando e del come disattivarlo. Nessuna norma ordinamentale è stata citata a sostegno della senteza-norma sulla fine-vita. A fronte dei numerosi commenti che ho avuto modo di esaminare mi conforta il fatto di aver verificato la coincidenza del mio pensiero con quello della migliore dottrina. Per tutti cfr.: F. Gazzoni, Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull’eutanasia in spregio al principio della divisione dei poteri), in Diritto di famiglia e delle persone, n. 1/2008, pp 107-131. G. Vassalli, su “Il Foglio” del 16.7.2008 dal titolo “Eluana, spegnerla è un reato”. 58 Sulla natura dei procedimenti in camera di consiglio e dei relativi provvedimenti, cfr. A. Proto Pisa, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti di tutela, in Foro it., 1990, V, p. 17; Id. Usi e abusi della procedura camerale ex artt. 737 ss c.p.c., in Riv.dir.civ., 1990, 402-403 ss. P. Proto La riforma del procedimento possessorio, cit. p. 1839, nota 6, p. 1848, note 34 e 38. P. Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale, cit., p. 1542, nota 12, p. 1544 ss., nota 18.

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24

inciso sul contraddittorio in condizioni di parità e sulle modalità sequenziali o

fasiche per l’accertamento della verità soprattutto avuto riguardo alla posizione

assunta dal curatore speciale nettamente appiattita su quella del ricorrente.

Altrettanto desta perplessità la ricostruzione del presunto consenso della Englaro

alla propria morte, peraltro tacendo totalmente sui limiti di validità che

l’ordinamento pone al consenso in materia di atti dispositivi del proprio corpo

ex artt. 5 c.c., 50 c.p. e la previsione della fattispecie delittuosa dell’omicidio del

consenziente ex art. 579 c.p. e dell’istigazione o aiuto al suicidio ex art. 580 c.p..

La questione sebbene riguardi massimamente il diritto sostanziale qui viene dato

rilievo ai profili processuali e della motivazione in quanto vuota di contenuto

giuridico per aver scritto una “norma” non data e non prevista dall’ordinamento

vigente.

La Cassazione – complice un’altrettanto discutibile sentenza della Consulta sul

conflitto di poteri59 – ha scritto ex novo la norma che autorizza l’eutanasia in

deroga ai divieti vigenti; divieti che solo un intervento del legislatore avrebbe

potuto rimuovere. Nessun’arte interpretativa avrebbe potuto superare quegli

ostacoli, tant’è che la Corte accuratamente li evita ignorandoli. Se non sono stati

rimossi è perché il legislatore li considera ancora validi, oppure perché non ha

ancora scelto la risposta effettuale adeguata da dare alle nuove istanze sociali

emergenti dalla vita comunitaria. Spetta al Parlamento sovrano, a prescindere

dalla convizione di ciascuno, decidere se e come dare una regolamentazione a

situazioni di altissima delicatezza e sensibilità etica, come appunto la fine-vita,

nel rispetto quanto più possibile di tutta la comunità sociale la quale a sua volta

deve riflettersi nella norma parlamentare.

Il giudice, nella vicenda in parola, scrivendo ex novo la norma, si è appropriato

del ruolo valutativo che è prerogativa del legislatore ed ha violato quello suo

proprio della validità e della verità.

La norma (giurisdizionale o ragione giuridica) è valida se proviene

dall’ordinamento in quanto in esso astrattamente prevista.

La norma che non è prevista dall’ordinamento non è valida: è una non norma.

59 Corte Cost. Ordinanza, 8.10.2008, n. 334.

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Non senza tacere che la medesima Cassazione fino a poco tempo fa riteneva i

provvedimenti emessi all’esito della procedura camerale non ricorribili ai sensi

dell’art. 111 Cost. in sede di legittimità60.

E’ evidente che la giurisprudenza abbia voluto esercitare un ruolo di supplenza e

dare una risposta (laicista e relativista) in mancanza di una disciplina legislativa

su un tema altamente sensibile, ma non è compito del giudice valutare i fattori

evidenzianti e porre o creare le norme, sicchè ogni funzione diversa da quella

propria è invalida e come tale – ponendosi fuori dall’ordinamento – è come se

non esistesse. La nientità del diritto ha provocato l’annientamente di un essere

umano.

La giurisdizione crea nuovo diritto dal diritto che si ha; mentre la legislazione

pone in essere atti che creano nuovo diritto rispetto al diritto che si ha.

Il diritto giurisdizionale nasce dal processo ermeneutico e dal momento

applicativo inscindibilmente considerati e la interpretazione è funzionale

all’applicazione61.

Comprensione e applicazione – unitariamente considerati – conferiscono senso e

portata effettiva al testo normativo risultante dall’adattamento ottimale alla

situazione concreta nella quale si inserisce62: la chiave del giurista è data

dall’art. 12 Preleggi e dai canoni ermeneutici in esso previsti (analogia legis o

juris ed in ultimo i principii generali dell’ordinamento giuridico). Oltre non può.

Ma, la sentenza in questione presta il fianco, altresì, per affrontare il problema

della motivazione perché essa è la parte dialogena che disvela i percorsi

formativi del convincimento e delle ragioni giuridiche della decisione.

60 Sul punto il Supremo Collegio è approdato ad un nuovo orientamente che apre alla ricorribilità ex art. 111 Cost. per alcuni provvedimenti camerali contenziosi: in tema di immigrazione e assistenza familiare a minori: Cass. Sez. Un., 16.10.2006, n. 22216, in Dir. e giustizia, 2006, 41, p. 30, con nota di M.R. San Giorgio; in tema di attribuzione del cognome al figlio naturale ex art. 262 c.c.; Cass. 7.6.2006, n. 13281, in Rep. Foro it., 2006, voce Filiazione, n. 53. L’orientamento classico e costante era quello di ritenere i provvedimenti camerali ancorchè contenziosi privi del carattere della decisorietà e definitività in senso sostanziale. Per tutti cfr.: Cass. Sez. Un., 10.6.1988, n. 3931, in Foro it., 1988, I, c. 1858. 61 E. Bertacchini, Ermeneutica giuridica e tendenze evolutive nel diritto dell’impresa, in Contratto e impresa, Cedam, Padova, n. 2, 2006, Sezione I, p. 402-416. V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile, op. cit., 78-79. 62 V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile, op. cit., 78-79.

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L’art. 111, comma sesto, Cost., stabilisce che tutti i provvedimenti

giurisdizionale devono essere motivati. La previsione – per la sua collocazione

in un autonomo comma – riguarda tutte le tipologie processuali.

L’obbligo giuridico-costituzionale di motivazione della sentenza è disciplinato

per il processo civile dall’art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c. e dall’art. 118,

disp. att. c.p.c. e dall’art. 546 c.p.p. per il processo penale.

La motivazione è quel “perché” di cui si è detto più sopra: essa è la ragione della

decisione; dalla motivazione si risale ai percorsi intellettivi seguiti dal giudice

terzo per giungere alla formazione di quel convincimento postulatorio della

ragione e del torto.

Dalla motivazione e dal ragionamento seguito si può stabilire se la sentenza è il

diritto giusto per il caso singolo: un atto di giustizia.

La motivazione inerisce all’idea stessa di sentenza. Il processo è il luogo del

dialogo e della persuasione e la sentenza, sintesi finale, è la norma regolatrice

del caso concreto sulla base del convincimento (del giudice) cioè il risolversi e

credere a quel certo fatto sulla base di prove e argomenti: convincimento vuol

dire vincere insieme, quindi, la ragione della decisione è un decidere non per

una parte o per l’altra, ma è un decidere con tutte le parti costituite nel giudizio.

Essa è un elemento fondamentale del rapporto tra diritto giurisdizionale e

ragione giuridica.

Attraverso di essa si esercita il controllo sull’attività intellettiva del giudice terzo

e come una sorta di radiografia del giudizio essa stessa evidenzia in modo

trasparente lo svolgimento dialettico delle attività dei soggetti coinvolti

costituendone nel contempo la memoria storica di quel determinato processo.

Nella situazione discorsiva all’interno del processo, tutti i partecipanti hanno le

stesse facoltà di interpretare, affermare, giustificare. La situazione discorsiva è

ideale secondo la teoria dell’“agire comunicativo” quando rimane indenne da

costrizioni, da azioni esterne contingenti, dalla stessa struttura della

comunicazione63.

Strutturalmente la motivazione può considerarsi esistente allorquando alla sua

fisicità o mera consistenza tecnica si accompagna un contributo culturale capace

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di disvelare la ragione della decisione che va ricercata all’interno del processo

formativo della norma giudiziale, ovvero in quella operazione ermeneutica di

individuazione e precisazione nell’ambito della formulazione legislativa della

norma da applicare al caso concreto.

Nella motivazione deve emergere la trialità nella formazione del convincimento.

Il processo è il luogo della intersoggettività e della interrelazionalità in

condizioni di parità e reciprocità, nel superamento di ogni rapporto di

esclusione.

Il diritto che scaturisce dalla sentenza deve essere il frutto o l’espressione finale

del dialogo triale svelato attraverso la motivazione: luogo del dirsi più che del

dire. Nell’agire comunicativo ogni parlante deve su richiesta giustificare ciò che

afferma a meno che egli non possa addurre ragioni che giustifichino il rifiuto di

una giustificazione64.

Ritornando alla questione della sentenza Englaro, essa cita la legge francese

riportandone parti precettive in lingua francese e alcune “massime” o parti di

esse di due sentenze della Corte Suprema USA e una della Corte Suprema dello

Stato del New Jersey in inglese. Non credo sia corretto e legittimo. Ai sensi

delll’art. 122 c.p.c., la cui rubrica esordisce “Uso della lingua italiana (…)”, in

tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana e quando deve essere

sentito uno che non conosce l’italiano il giudice gli nomina un interprete.

Volendo adottare un’interpretazione large, l’uso della lingua straniera dovrebbe

comunque essere ufficializzato perché nessuno attesta che quanto detto

corrisponda realmente alla dizione originale e che non ci siano distorsioni ad

usum delfini, atteso il divieto di scienza privata del giudice ai sensi dell’art. 97

disp. att. c.p.c. Volendo poi astrattamente considerare l’eventualità di una

traduzione del passo in lingua straniera riportato in sentenza dovrebbe rivestire

la qualità – secondo le leggi in materia – di una traduzione ufficiale debitamente

asseverata, sempre per il divieto ex art. 97 citato di scienza privata del giudice.

In ultimo, i destinatari della sentenza devono essere in grado di leggerla e

63 A. Incampo, Metafisica del processo, op. cit., 292 ss. 64 A. Incampo, op. ult. cit., p. 292 ss.

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capirla e non sono tenuti a provvedere autonomamente alla sua traduzione o alla

sua comprensione.

La motivazione è priva di qualunque contributo o apporto culturale disvelante le

ragioni della decisione.

La sentenza cita la Convenzione di Oviedo non ratificata e non resa esecutiva

nello Stato italiano, riporta in lingua francese la legge francese sulla fine-vita e

in lingua inglese alcune massime di alcune sentenze delle Corti Supreme degli

Stati Uniti e dello Stato del New Jersey, ma omette qualunque riferimento

positivo o negativo all’ordinamento statuale dal quale poter desumere la

legittimazione a sospendere l’assistenza vitale.

Qui vorrei fare una chiosa. Ritengo che – anche innanzi ad una ipotetica assenza

di divieti espressi alla prestazione del consenso a porre termine alla propria vita

e per ciò invalidanti il consenso stesso – per la gravità estrema e per la

irreversibilità consequenziale dell’atto non sia sufficiente dedurre la norma da

semplici indizi normativi, ma è necessaria una regolamentazione legislativa

espressa che disciplini in modo compiuto e puntuale la materia.

Tra la sentenza che ha posto la norma eutanasica e l’ordinamento giuridico

passa una totale sconnessione da ritenere la motivazione inesistente: il contenuto

così come si rinviene dalla stessa ha la medesima valenza giuridica che avrebbe

avuto se al suo posto fosse stato scritto una sintetica rassegna comparata

sull’argomento e nulla di più.

Il tipo di motivazione (e con essa di sentenza) che viene in esame va oltre la

tipologia della motivazione apparente, che comunque rientra pur sempre in una

logica decisoria ordinamentale, sebbene vuota di contenuto dimostrativo

dell’iter logico formativo del convincimento: è una motivazione giuridicamente

inesistente per il contenuto sebbene rivesta la forma della sentenza.

Una motivazione dislessica o dissociata dall’ordinamento che crea la norma

senza estrapolarla dal sistema è una motivazione esistente solo fisicamente nella

veste formale e priva di contenuto giuridico, atteggiamento, configurante una

Krisis, articolata in linguaggio la cui modularità primaria e generale risulta

dominata dalla negazione di ogni validità propria del nichilismo estremo o

patologico.

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5. Riflessioni critiche conclusive.

Alla fine del discorso bisogna riprendere gli interrogativi iniziali.

Il nichilismo giuridico c’è o non c’è? E se c’è quanto incide sulla realtà del

processo di modo che si possa parlare di nichilismo giuridico applicativo?

E ancora: bisogna accettarlo come una realtà ontologica oppure occorre cercare

di superarlo?

In parte credo di aver risposto e non intendo ripetermi.

Il nichilismo, è imperante ed è progressivamente invasivo e pervasivo.

Esso, può essere una chiave di lettura, ma non la sola ed esclusiva, dei fenomeni

socio-economici65 e culturali del nostro tempo, estesi al campo giuridico per

dare una spiegazione ad una certa legislazione e ad un certo modo di fare

“giustizia”, ma non lo reputo un fenomeno ideale o reale per formulare una

nuova concezione del diritto. Con riferimento al processo non mi sento di dire

che la giurisprudenza oggi sia espressione del nichilismo giuridico e

segnatamente applicativo, tuttavia i casi trattati nel precedente paragrafo e non

sono gli unici costituiscono segnali forti e preoccupanti di una tendenza perché

esprimono lo smarrimento di un quadro valoriale e istituzionale di riferimento.

La dissoluzione dei valori e la crescente svalutazione del “sacro” non portano a

niente, anzi portano solamente al nulla e questo nulla non può che generare

disagio66.

E’ sotto gli occhi di tutti che dietro la voglia edonistico-consumistica,

dell’arricchimento e delle ostentazioni esteriori ed estetiche, come unico senso

al non senso, dello smarrimento del sé, si cela un forte disagio che non di rado

dà luogo a situazioni estreme e ad episodi di violenza.

65 Cfr. l’acuta analisi di B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit., p. 11-15. 66 Minda, Teorie postmoderne del diritto, Bologna, 2000, p. 417. I postmoderni tentano di acuire la problematicità del mondo di oggi enfatizzando l’inquietudine della vita e l’incertezza nella frammentata e diversificata.

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La liquefazione della responsabilità con la perdita del senso di essa si trasforma

in un’insofferenza verso tutto ciò che non è sano, non è bello, non è ricco, e

perciò solo diventa un peso, un fardello e se poi ha dei costi per i singoli o per la

società allora si chiama in causa la categoria altrettanto abusata dei diritti civili

in nome dei quali si pretendono figli biondi e con gli occhi azzurri, uteri in

affitto67 o più tragicamente si chiede la sospensione dell’assistenza medica o

dell’alimentazione medicalmente assistita di chi non è fisicamente in condizione

di dire la sua.

Il nichilismo è la definzione; il “nomen” di questa malattia dell’essere, la

spiegazione che può aiutare a comprendere la causa, ma non può dare la

soluzione perché esso è il nulla ed il nulla è il non essere.

Il disagio che genera non è una condizione psicologica o culturale piacevole o

nella quale crogiolarsi in attesa di un altro nulla68.

Per questo non può condividersi ed accettare la rassegnata rinuncia alla ricerca

del sé-esistenziale e del senso di giustizia: occore andare oltre69.

67 Fino a qualche decennio fa destavano orrore e ricordavano un doloroso non troppo remoto passato. La cultura politica e giuridica della sinistra europea fino alla caduta del muro di Berlino ha sempre considerato le pratiche manipolative della genetica come fenomeni ascrivibili al nazismo. Oggi, di contro, è proprio la nuova sinistra c.d. liberista e laicista la fautrice di istanze a favore dell’eutanasia, delle unioni civili, della fecondazione manipolativamente assistita in tutte le forme possibili senza alcun riguardo all’ordine naturale delle cose. Si profilano “gius-neologismi” quali supposti “diritti alla riproduzione”, “alla procreazione”, “alla maternità”, fino al più problematico “diritto di non nascere”. La frustrazione di ogni desiderio viene avvertita come una lesione e ogni limitazione alla capacità o possibilità di realizzare ciò che si desidera si trasforma in danno risarcibile a cui segue un nuovo “diritto”. 68 M. Heidegger, in Il Nichilismo europeo, Adelphi, Milano, 2010, 59, riporta il pensiero nicciano e il suo modo di concepire il nichilismo tra l’altro subentrante di necessità come stato psicologico nella ricerca di un senso che non c’è, il tormento dell’”invano”. 69 Sorgono spontanee alcune riflessioni. Il nichilismo dipinge a tinte fosche una realtà che è quella fin qui sintetizzata, descrive l’uomo come un essere privato dei valori supremi, in balia delle tecno-scienze, quindi, privo di libertà, assoggettato ad una reattività meccanicistica casuale e causale, ridotto ad ente “bio-tecno-informazionale”. Ma, cosa vuole dire ente “bio-tecno-informazionale”? La condizione umana del post-umanesimo è quella di un individuo, privo di capacità relazionale e comunicativa, formalmente centro di imputazione, ma che in realtà non decide nulla; evidentemente per consentire che alcuni abbiano di più e molti altri abbiano di meno affinchè i primi abbiano sempre di più. Cfr anche le acute analisi ed osservazioni di B. Romano, Scienza giuridica senza giurista, cit. 117; Id. Le funzioni del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit. 11-14. Le tecno-scienze e i mercati non operano autonomamente senza alcun intervento umano per mero impulso causale e casuale, ma sono posti e guidati da uomini che ne sono artefici dei meccanismi di funzionamento ed andamento e ne traggono profitto: gruppi elitari della finanza; burocrazie aziendali. Cfr. Z. Bauman, Danni collaterali, cit. 14 ss., 46 ss. La deriva nichilista affligge solamente quelli che non hanno in mano le leve del potere e non certo quei pochi che hanno in mano il governo dei mercati e delle tecno-scienze.

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La constatazione che il sapere umano è un sapere parziale perché la verità è

anch’essa parziale e non potrà mai essere totale e che la ricerca della giustizia

può solo essere parziale, è un qualcosa che è sempre esistita.

Nel passato pre-nichilista o della società solida70 la parzialità cognitiva veniva

colmata dal rapporto col metafisico: nell’epoca della voluta e abusata “morte di

Dio”, l’Uomo scopre la sua finitezza e la sua totale fredda solitudine. Ma se

guardo a quello che l’essere è stato nella storia fino ad oggi, non posso non

pensare ai progressi tecno-scientifici, dalla biologia alla medicina, alla fisica ed

ai sistemi di protezione e sicurezza sociale e al moderno stato di diritto con tutto

quello che comporta, il cammino e l’evoluzione del processo dalle Erinni-

Sotto questo profilo il nichilismo è un giustificarsi e un giustificare. Giustificarsi: per i molti che si devono, appunto “cacofonicamente” giustificare per il trovarsi in una condizione di impotente assoggettamento e quindi per la perdita del rispetto di se stessi a causa del proprio lasciarsi andare e subire passivamente. Giustificare: per giustificare i pochi che detengono il “governo” dei mercati finanziari e delle tecno-scienze. Questo discorso potrebbe portare a riflessioni critiche sul concetto di neoliberismo e governo dei mercati e a rivedere quello di democrazia, ormai svuotata di sovranità e funzionale solamente a sostenere e mantenere la sicurezza e la stabilità dei mercati a vantaggio del Nessuno, che non è un novello Ulisse e si identifica con i padroni dell’alta finanza. Dio non è morto. Ma quand’anche lo fosse non giustificherebbe da parte dell’uomo l’annullamento del “sé” e dell’ “io”. L’universo e la vita, che siano nati da un progetto intelligente o dal caso, meritano comunque un “religioso” rispetto e sottolineo “religioso” perché inteso nel senso più ampio e omnicomprensivo sia del divino che dell’umano, a seconda delle diverse convinzioni di ognuno, come concezione della vita e del mondo affermata come valore ontologico assoluto e supremo. Qualunque sia l’origine del mondo, l’uomo per il fatto stesso di esistere e di essere al vertice della gerarchia degli esseri animati con dominio su tutte le altre creature e sulle cose, che sia merito suo oppure no e se non è merito suo è certamente un dono di Dio o del caso, ma in entrambe le ipotesi ha il dovere di essere e di comportarsi da buon custode per la conservazione, il progresso e lo sviluppo dell’umanità in sé considerata e come uti singuli. La sfida alle leggi della natura – attraverso la manipolazione genetica e la fictio legis creatrice di “diritti” in contrasto con l’ordine naturale e la “natura delle cose” – è una delle più manifeste conseguenze della perdita del senso del “sacro” inteso se non in modo trascendente come vorrei, ma, laicamente, come immanente all’essere stesso, ontologicamente inteso, al suo appartenere alla natura e alla sua stessa natura fatta di intelligenza, fantasia, creatività e ragione e dotato di linguaggio, al suo essere unico ed irripetibile. La vita stessa è sacra e questo a prescindere dalla sua origine. La natura ha le sue regole di esistenza e conservazione, un ordine naturale che governa su tutti gli esseri viventi e non e dal quale ordine è scaturito e dipende l’universo ancor prima che l’essere venisse al mondo. Nella crescente dissoluzione del sacro risiede il nichilismo: E. Junger, Trattato del ribelle, cit., p. 51-55. L’affermazione di valori universali, grazie a conquiste, spesso ottenute a caro prezzo, coessenziali e coesistenti con altri valori più localmente ristretti, hanno generato la categoria dei diritti umani, la cui affermazione a livello universale, non ancora compiuta, ma in progressivo completamento, si scontra inconciliabilmente con la definizione fredda e metallica dell’essere ridotto ad ente bio-tecno-informazionale. Cfr B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico sul nichilismo finanziario, cit. 12-14. 70 Per il concetto di società solida, cfr.: Z. Bauman, Danni collaterali, cit., 24.

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Eumenidi71 ad oggi, che certamente hanno reso e rendono progressivamente

l’essere e la vita migliori. E tutto ciò nonostante il sapere parziale. Certo non si

può non convenire con il Romano72 e con la sua acuta analisi sul rapporto che

nel post-umanesimo si è determinato tra l’individuo ed i sistemi generati e

governati dai mercati finanziari e i rapporti di forza che ne derivano, ma, invece,

di piegarsi supinamente alla volontà del Nessuno, occorre ridestare l’essere e

fargli riprendere in mano il suo destino, la sua centralità, la sua libertà e capacità

di autodeterminazione, recuperando la sua propria essenza, il rapporto con

l’Ente o col mistero dell’ignoto se si vuole e riscoprire la sua religiosità in

termini trascendentali o anche solamente in termini di sacralità immanente allo

stesso. La finitezza e il sapere parziale rendono l’essere “religioso” proprio

perché non possiede tutte le risposte73.

Le disparità tra diversi livelli di forza – anche se in modo diverso – sono

presenti in tutte le epoche storiche: oggi la finanza, ieri i padroni, gli schiavi, le

segregazioni.

La nascita del processo – avvenuta per volontà di Zeus – rappresenta il nuovo

corso fondato sull’ordine e non sulla tremenda ed inesorabile legge del sangue.

Esso sottrae Oreste alle Erinni, le antiche divinità custodi del vincolo di sangue,

per sottoporlo al giudizio dell’areopago e da quel momento le Erinni furono

placate e trasformate in Eumenidi. Emerge il senso di giustizia dal profondo

dell’uomo: giustizia da intendere in senso sostanziale ed il cui senso non è nella

legge formale. Il processo costituisce il luogo dove il senso di giustizia tenta di

affermarsi e di realizzarsi: inizia l’esperienza dialogena e triale

dell’accertamento della verità; il processo come laboratorio sperimentale della

realtà empirica di una certa esperienza storica e sociale. La metamorfosi delle

Erinni in Eumenidi segna il passaggio fondamentale dalla prevalenza della forza

del più forte e della legge della vendetta di sangue al “luogo” dove le contese

devono essere affrontate e decise dai cittadini con verdetto equanime. Il

71 Il riferimento è a Eumenidi, la terza tragedia della trilogia Orestea di Eschilo (Ekeusi 525 a.c. Gela 456 a.c.), dopo Agamennone e Coefere. 72 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit. 9 ss. 73 D. Antiseri, Relativismo, nichilismo, individualismo. Fisiologia e patologia dell’Europa, Rubettino, Soveria Mannelli, 2005, 51.

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processo è originato da un dio pensato dall’animo poetico e dal profondo senso

del tragico di Eschilo, un uomo. L’attribuzione al padre degli dei del nuovo

corso con la istituzione del processo significa avergli voluto attribuire un senso

di sacralità e di originarietà connaturata all’essenza dell’uomo stesso; una sorta

di “pre-senso” o di “pre-comprensione” della giustizia. Il senso del tragico è già

di per sé sacro e il processo che nasce ed origina dalla e nella tragedia è sacro

perché la sua funzione nobile è di mitigare la innata ferocia dell’uomo (le Erinni

appunto) e di mediare, attraverso il dialogo e il convincere, e ristabilere in

maniera equa l’ordine delle cose (le Eumenidi). Esso dà e ridà dignità all’uomo.

Ridurre il diritto a nomo-dotti e la giustizia alla verifica ex post della volontà

vincente della forza-più sarà terreno suggestivo e non risolutivo della ricerca

filosofica, ma non rispecchia fino in fondo la realtà delle cose e serve solo a

rendere la “giustizia” ingiusta e allora sì che perderebbe ogni senso e

ricaccerebbe l’uomo in una sorta di buco nero esistenziale. L’essere nella sua

finitezza e parzialità cognitiva ha in sé i geni, gli elementi, dell’infinito e il

senso di giustizia; senso di giustizia che non coincide con la giustizia. Il senso di

giustizia è la manifestazione evocatrice della idea inconscia perfezione: la legge

scolpita nei cuori o nella coscienza: la pre-comprensione della giustizia.

Il diritto è una realtà fortemente complessa ed il processo – luogo della

realizzazione del diritto – riflette tutta la sua complessità. I soggetti coinvolti nel

processo si muovo ed interagiscono in rapporto di costante tensione dialettica e

come tale inevitabilmente destinato ad approdare a sintesi unitaria ed a razionale

equilibrio. La dialettica processuale nell’ambito della quale si esplica l’attività

ermeneutica è la fonte in certa misura creativa e in parte anche inventiva della

norma da applicare al caso singolo che però non deve tradursi in una libera e

discrezionale attività valutativa74. Essa deve rimanere all’interno della

formazione della norma contestualizzandola e storicizzandola, cogliendone il

senso e determinandola dalla formulazione legislativa caratterizzata da generale

indeterminazione anche quando essa è contingentata.

74 M. Taruffo, Legalità e giustificazione della creazione giudiziaria del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 11 ss.

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Come arginare e superare la deriva nichilista del diritto? Seguendo

l’insegnamento di una delle più grandi Scuole giuridiche europee75, al

nichilismo giuridico e (giuridico) applicativo, preferisco contrapporre la unicità

del diritto nella molteplicità, la sua genesi reale salente dal basso della realtà

pratica ed empirica della vita associata qualificabile in quanto tale come legalità

sociale originaria (o diritto vivente), quella che Kant chiama la profonda

“bassura” dell’esperienza quale rappresentata dalle reali esigenze di vita dei

consociati e dai connessi valori di azioni dagli stessi praticati76.

La dimensione del fenomeno giuridico (composizione triadica) a tre dimensioni

quale risulta secondo la prospettiva assiologica (Falzea): “il diritto è l’insieme

degli interessi sociali derivanti dalla vita comune congiunto all’insieme dei

valori dell’azione umana orientata alla loro realizzazione, manifestati

socialmente e evidenziati oggettivamente dall’esperienza e dalla comune

cultura.”77

La “giustizia”, sul quale concetto non basterebbe una specifica trattazione,

adottando una definizione generale e poco impegnativa, è lo specchio della

società in un certo tempo data. Essa è tale quando la decisione rispecchia il

quadro valoriale e gli interessi evidenziati dalla prassi sociale e fatti oggetto di

valutazione da parte del legislatore ed espressi in una norma. La sentenza può

definirsi o ritenersi giusta quando la soluzione prescelta è in perfetta aderenza

alla situazione di fatto concreta rispetto alla fattispecie astratta prevista nel testo

legislativo. Secondo una sintetica e felice definizione “la giurisdizione ripete in

astratto una proiezione ortogonale della legislazione. Essa proietta il contenuto

della legislazione nella vita effettiva del diritto (…).”78.

Sul piano filosofico e della teoria generale il fine ultimo del diritto stesso è la

giustizia la quale, a sua volta, ha come presupposti i concetti di verità e di

validità o di legittimazione, come verificazione e approvazione della verità.

75 V. Scalisi, Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa, in Riv. Dir. Civ., 1/2012, p. 23. 76 V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postumanesimo, op. cit., p. 30 ss. Id. Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa, in Riv. Dir. Civ., 1/2012, p. 23. 77 A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, Il concetto di diritto, 6^ ed., Milano, 2008, p. 500.

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Ma la verità – sul piano giuridico concettuale oltre che filosofico e storico – è

sinonimo di corrispondenza.

La verità è tale se essa è la risultanza o la corrispondenza del materiale

istruttorio e probatorio acquisito al processo, rientrando in tale assioma

l’ermeneutica, ovvero la esatta interpretazione della realtà emergente dal

materiale probatorio che disvela maieuticamente la realtà delle cose.

Solo la corrispondenza della realtà processuale a ciò che realmente è o deve

essere trova validità e legittimazione.

Seguendo tale impostazione, fenomeni come pluralità e varietà delle fonti,

peraltro conosciute in epoche passate come nel Medio Evo, la delocalizzazione

la destatalizzazione del diritto e del processo si possono interpretare e ricondurre

nella loro pluralità e diversità ad unità sistematica inquadrandoli nel sistema dei

valori costituzionali e non per forza relegarli ad espressione del nichilismo. Si

può dare una lettura in chiave universalistica: i diritti universali dell’uomo e

delle libertà fondamentali sono un esempio embrionale della universalità del

diritto come valore minimo comune a tutti rispetto ai valori contestualizzati e

circoscritti coi quali convivono in rapporto di coessenzialità.

Nel processo vive la concretezza del concetto di diritto: la fattispecie astratta si

cala nella realtà delle cose e più che incastrarsi o incastonarsi si fonde e

trasforma in fattispecie concreta.

E’ l’incarnazione del diritto (o fattispecie astratta) nel fatto, unificati dal nomos

e dal logos: nomos è il diritto e logos è l’operazione ermeneutico-maieutica di

applicazione della norma al fatto e tutti questi elementi fusi insieme

costituiscono il giudizio, sintesi finale del processo, il cui oggetto è la fattispecie

concreta ed il risultato finale è, o dovrebbe essere, la giustizia. <<Guai a voi dottori della legge,

che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!

Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. (…).

Guai a voi dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati , e a quelli

che volevano entrare l’avete impedito>>.79

78 A. Incampo, Metafisica del processo, op. cit., 12. 79 Luca, 11,46,52.