Il nemico islamico in Europa: si può andare oltre? - Ricostruzione dello scontro culturale...

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IL NEMICO ISLAMICO IN EUROPA: SI PUÒ ANDARE OLTRE? Ricostruzione dello scontro culturale arabo- europeo per un superamento del conflitto Autore: Elena Colli [email protected] Matricola 783063 A.A. 2014/2015 Tesina per il corso di “Diritti e cittadinanza europea”, tenuto dalla prof.ssa Marina Calloni Corso di Laurea Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano - Bicocca

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IL NEMICO ISLAMICO IN

EUROPA: SI PUÒ

ANDARE OLTRE? Ricostruzione dello scontro culturale arabo-

europeo per un superamento del conflitto

Autore: Elena Colli [email protected]

Matricola 783063

A.A. 2014/2015

Tesina per il corso di “Diritti e cittadinanza europea”, tenuto dalla prof.ssa Marina Calloni Corso di Laurea Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano - Bicocca

1

1 INDICE

2 Introduzione ................................................................................................ 2

3 Svolgimento ................................................................................................ 4

3.1 Introduzione: Ricostruzione storica dello scontro Europa - Islam .......... 4

3.2 Analisi: i frutti dello scontro: cosa accade oggi? .................................... 8

3.2.1 La rivincita di Dio ............................................................................ 8

3.2.2 Le reazioni in Europa .................................................................... 10

4 Conclusioni – Come andare oltre? ............................................................ 15

5 Bibliografia e sitografia .............................................................................. 18

5.1 Bibliografia .......................................................................................... 18

5.2 Sitografia ............................................................................................. 19

6 Autovalutazione rispetto al proprio percorso formativo ............................. 20

2

2 INTRODUZIONE

La scelta di questo particolare tema è stata dettata dall’incrociarsi fortuito di due

elementi: primo fra questi, la lettura dello scambio epistolare dei due giornalisti e

scrittori Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Si tratta di un articolo che la scrittrice

fiorentina pubblicò su Il Corriere della sera in seguito all’attacco alle Torri Gemelle

dell’11 Settembre, e da poco riproposto sui social network dall’attuale vice

presidente del Senato Maurizio Gasparri. Non a caso questo articolo, pregno di

un patriottismo sincero e indignato verso la tolleranza occidentale all’avanzata

islamica, è stato riesumato dall’Onorevole come rilancio delle parole di rabbia e

orgoglio (da cui prese il titolo) da riproporre come messaggio attuale: “sembrano

scritte oggi”1. In risposta a quell’articolo però, il collega e amico Tiziano Terzani

rispose qualche tempo dopo, sempre sul Corriere, in tutti altri termini, con un

lucido messaggio di pacifismo e speranza (senza buonismo) che invitava la

Fallaci e i suoi lettori a fare attenzione alle conseguenze che un tale messaggio

di intolleranza poteva avere sugli equilibri sociali, “aizzando la bestia dell’odio e

provocando la cecità delle passioni” (Terzani, 2001).

Il secondo elemento del mio intreccio fortuito è stata la lettura della

monumentale opera “Lo scontro delle civiltà”, scritta da un autore di indubbia

acutezza, che nei primi anni ’90 scrisse questo testo attualissimo, sicuramente

non privo di controversie, visto il forte messaggio che intende comunicare.

Huntington in questa opera propone il suo schema di interpretazione della realtà,

secondo cui la suddivisione dell’umanità, e dunque la ragione dei conflitti, sarà in

futuro da ricondurre unicamente allo scontro culturale tra le maggiori civiltà

determinatesi nel corso della storia (sinica, giapponese, indù, islamica,

occidentale, latino americana, africana) e non più a forze di natura geopolitica o

ideologica: the clash of civilizations.

1 https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Gasparri/, post sulla pagina ufficiale Facebook in data 13/10/2014.

3

Il minimo comun denominatore di questi due elementi è risultato la figura

del nemico islamico, ieri come oggi, nello scambio epistolare così come nel testo

di Huntington. In un momento critico per l’Unione Europea come quello attuale,

ripercorrere la storia dell’identità della propria civiltà alla luce del suo scontro con

quella islamica, potrebbe aiutare per ricostruire quello scontro e

successivamente decostruire il Nemico, per potersi protendere verso quel

ripensamento dell’aggressività occidentale di cui parlava Terzani nel suo articolo.

Il recupero di questa paura dell’Islam (mista a rabbia e a rivendicazione della

propria diversità rispetto all’altro) è segno di una crisi di identità e di unità che

l’Europa sta attraversando, sia a livello di singole nazioni che come entità

collettiva. Certo il contributo della crisi economica prima statunitense poi europea

è stato decisivo nell’accentuare questa incertezza identitaria: alla domanda

basilare che popoli e nazioni continuamente si pongono – chi siamo? – l’Europa

si trova divisa e confusa. A tratti diffidente verso quell’apparato burocratico troppo

legato alle organizzazioni finanziarie ed economiche internazionali che poco

hanno a che fare coi principi di democrazia, riducendo la meravigliosa idea

politica di un’Europa unita, che risuonava speranzosa nel Manifesto di Ventotene,

a una traballante struttura di fallimentare unione finanziaria (Sen, 2012). Altre

volte invece, si protende verso quell’abbattimento dei confini nazionali, ormai

obsoleti in un mondo globalizzato, cimentandosi verso il riconoscimento e la

valorizzazione di quella cittadinanza europea che è ancora incerta ma che in certi

casi può simbolizzare la rappresentazione di un “noi” più grande del piccolo stato,

un noi che a volte risulta anche essere un modo di difendersi da quell’altro che

invece, da secoli e ancora oggi, si incarna in modo sempre più nitido nel “nemico

islamico”.

4

3 SVOLGIMENTO

3.1 INTRODUZIONE: RICOSTRUZIONE STORICA DELLO SCONTRO EUROPA -

ISLAM

I conflitti tra popoli esistono dacché la storia ha avuto origine. Le cause di queste

conflittualità sono le stesse da sempre e valgono a livello universale: controllo

sulla popolazione, territorio, ricchezza, risorse, e il potere di imporre ad altri i

nostri valori e le nostre istituzioni, impedendo che facciano lo stesso con noi

(Huntington, 1996). L’uomo ha bisogno di nemici: qualcuno con cui scontrarsi per

definire se stesso. Cristianesimo e Islam ne sono l’esempio più calzante: i

rapporti tra queste due confessioni, in ogni loro variante, sono stati spesso

burrascosi, di origine antica e di carattere fortemente conflittuale, in competizione

per la conquista di potere, terra, anime (Esposito, 1999). A volte ha prevalso la

coesistenza pacifica; ma molto più spesso il rapporto è stato di intensa rivalità,

da guerre fredde a guerre calde. Lo stesso termine “Guerra Fredda” ha origine

proprio dall’espressione usata dagli spagnoli nel XIII secolo per descrivere la

“difficile convivenza” con i musulmani nel Mediterraneo2.

Ma procedendo per ordine: a quando risalgono i primi rapporti tra queste

due conflittuali popolazioni? L’iniziale espansione arabo-islamica, tra VII e VIII

secolo, diffuse il dominio musulmano dal Medio Oriente fino a Nord Africa e

Spagna, e i confini si stabilizzarono per i due secoli seguenti. Alla fine dell’XI

secolo però, iniziarono gli scontri perpetrati dal mondo cristiano per il recupero

del controllo sul Mediterraneo occidentale. Fu infatti in quel momento che le

monarchie cristiane, sollecitate dal Papato, diedero inizio alle Crociate, cercando

di respingere l’Islam in espansione dal proprio territorio e tentando senza

successo di spingere il dominio cristiano fino in Terra Santa (Cartocci, 2011). Dal

XI al XIII secolo si registrò infatti la fase più acuta degli scontri sul piano

conflittuale tra i due popoli, a cui si aggiunsero i turchi ottomani: per ben due volte

l’Islam mise in serio pericolo la sopravvivenza dell’Occidente. Osserva lo storico

Bernard Lewis: “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco

2 Huntington, S.P. (1996), pag. 303.

5

di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam” (Lewis, 1995).

Ma lo stesso periodo fu anche occasione di scontri a livello culturale che furono

fonte di arricchimento e di scambio commerciale e scientifico, base essenziale

per la matrice culturale del Rinascimento e Umanesimo europei (Cartocci, 2011).

Dal XV secolo, tuttavia, ha inizio la Reconquista con la graduale ripresa

della penisola iberica da parte dei cristiani, quindi l’espansione del dominio

portoghese, dell’impero asburgico, l’avanzata dei russi su Mar Nero e Caucaso,

il decollo insomma del colonialismo europeo che durerà per tutti i secoli seguenti.

Al termine della prima guerra mondiale, l’Europa stabilì il proprio controllo sulle

restanti terre ottomane: nel 1920, mantenevano la propria indipendenza da

domini occidentali solo quattro paesi musulmani: Turchia, Arabia Saudita, Iran e

Afghanistan. L’Islam era stato sostanzialmente confinato, in nome dell’avanzata

occidentale.

Quando poi venne la volta della ritirata del colonialismo occidentale,

processo iniziato nel primo dopoguerra e rapidamente ampliato dopo la seconda

guerra mondiale, fu l’inizio di una ripresa da parte delle società musulmane. Con

il crollo dell’URSS, ulteriori aree potettero sottrarsi al conflitto ideologico e

riacquistare l’indipendenza. Si conta che tra il 1757 e il 1919, novantadue territori

musulmani finirono sotto il controllo di governi non musulmani; nel 1995,

sessantanove di quei territori erano tornati sotto al controllo musulmano, e la

maggioranza aveva una popolazione in grandissima maggioranza musulmana3.

Non si è trattato di mutamenti pacifici: nel corso di quel periodo più della metà dei

conflitti religiosi nel mondo è stata combattuta tra cristiani e islamici.

Ma qual è la causa di questa costante conflittualità? Attribuirla al fervore

cristiano delle Crociate o al fondamentalismo islamico del XX secolo è obsoleto

poiché essi riguardano fenomeni transitori che non possono coprire

un’estensione temporale millenaria. Huntington suggerisce che questa causa va

cercata nelle differenze e nelle similitudini che queste religioni presentano.

Partendo dalle similitudini, esse condividono aspetti che le rendono inconciliabili:

entrambe affermano l’esistenza di un unico Dio, sono universalistiche, dunque

ritengono di essere l’unica fede alla quale la popolazione mondiale dovrebbe

3 Huntington, S.P. (1996), pag. 308.

6

aderire, ed entrambe sono a vocazione missionaria, per cui gli adepti sono portati

alla conversione degli infedeli. Differiscono invece, e questo è fondamentale, nel

rapporto tra religione e sfera politica. Per i musulmani esiste il precetto secondo

cui l’Islam deve essere inteso come stile di vita, che trascende, unendole, politica

e religione. In contrapposizione, nel mondo cristiano vale la celebre separazione

tra potere spirituale e temporale suggellata dalla frase “Rendete a Cesare ciò che

è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Marco 12, 13-17).

La conflittualità violenta tra cristianesimo e Islam è variata nel tempo e

dipende ora, in modo combinato, dai tassi di crescita demografica, dallo sviluppo

economico e tecnologico, e dal livello di ardore religioso: elementi che ora come

ora sono a favore del popolo islamico. Nell’articolo di Terzani viene anche dato

spazio al ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nel risveglio violento del

risentimento islamico, sfociato nell’11 Settembre. Come egli stesso afferma,

l'attacco alle Torri Gemelle è

“…il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti: certo non è l'atto di «una guerra di religione» degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure "un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale", come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. […] «Gli assassini suicidi dell'11 settembre non hanno attaccato l'America: hanno attaccato la politica estera americana»”. (Terzani, 2001)

Terzani, citando quell’ultima frase, fa infatti riferimento alle parole

dell’accademico statunitense Chalmers Johnson, che denunciò diversi

comportamenti controversi degli Stati Uniti tra i quali il mantenimento della loro

rete di circa 800 installazioni militari nel mondo nonostante la fine della Guerra

Fredda e il crollo dell’URSS, e successivamente il dichiarato o clandestino

coinvolgimento negli imbrogli, complotti, colpi di Stato, persecuzioni, assassinii e

interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti in America Latina, in Africa, in

Asia e nel Medio Oriente. Il ruolo statunitense nella ri-creazione del nemico

islamico a livello europeo è davvero troppo decisiva per essere sottovalutata,

anche se non potrò trattarla qui per ragioni di spazio e rischiando di allontanarmi

troppo dallo scopo di questo scritto. Basti in questa sede ricordare che esso fu

certamente un seme determinante per l’alimentazione di quell’anti-

7

americanesimo terrorista che fece conseguentemente raccogliere l’alleanza

compatta e unita di tutto l’Occidente per combatterlo.

In conclusione a quest’analisi introduttiva dello scontro Europa – Islam,

vorrei ricordare la delicata questione che vi fa da sfondo: la concezione tutta

occidentale dei “diritti fondamentali”, secondo cui questo conflitto, in nome della

libertà e della democrazia, in particolare nell’epoca contemporanea, viene portato

avanti. La nascita dei diritti individuali, secondo il filosofo Norberto Bobbio (1992)

ha origine proprio da quel rovesciamento di prospettiva secondo cui per capire la

società bisogna partire dal basso, da una concezione individualistica della realtà.

Questo switch di punto di vista è stato provocato all’inizio dell’età moderna,

proprio a partire da quelle guerre di religione trattate poc’anzi, che hanno

maturato nella società il bisogno di rivendicare il diritto del singolo individuo a non

essere oppresso, ovvero godere di quelle libertà naturali e fondamentali che non

devono dipendere dalla volontà del sovrano, prima fra tutte, la libertà religiosa. Il

dibattito che inevitabilmente si è aperto sulla definizione e la “natura” effettiva di

questi diritti dà spazio al dilemma: questi diritti fondamentali esprimono giudizi di

valore, ma quanto questi giudizi sono universali? Con che diritto possiamo dire

che sono “naturalmente insiti” indistintamente per tutti gli individui, di diversi credi,

etnie, civiltà? Bobbio risponde che infatti i diritti sono mutevoli, plastici,

storicamente determinati e quindi relativi: la “fondamentalità” (chiedo scusa per il

neologismo) dei diritti varia tra epoche e culture. Questo per dire che mentre

parliamo dell’affermazione dell’Occidente e quindi del risentimento islamico va

ricordato che questa concezione del diritto come individuale non era affatto

presente al di fuori della civiltà Occidentale, e parlando più in generale, molte di

quelle cose che in Occidente vengono definite “universali”, per i non-occidentali

vengono invece definite “occidentali”, appunto. La concezione del bene e del

male non è purtroppo qualcosa di universalizzabile: dove l’Occidente trova una

grande opportunità di integrazione (ad esempio nei mezzi di comunicazione di

massa), i non-Occidentali percepiscono, al contrario, un senso di minaccia, che

come tutte le paure, va ad alimentare l’odio e il desiderio di proteggere la propria

identità.

8

3.2 ANALISI: I FRUTTI DELLO SCONTRO: COSA ACCADE OGGI?

3.2.1 La rivincita di Dio

La fine del XX secolo è stata caratterizzata da una reviviscenza generale delle

varie religioni in tutto il mondo4: questo ha implicato l’intensificarsi della coscienza

religiosa, e la nascita di movimenti fondamentalisti all’interno delle diverse

religioni, dediti ad una purificazione della propria dottrina rispetto alle

contaminazioni, diciamo, dovute alla modernità. In quel periodo sia l’islamismo

che il cristianesimo hanno riscontrato una forte diffusione in Africa, così come in

altre società in espansione: negli ex stati comunisti, dall’Albania al Vietnam, la

rinascita religiosa è divampata, così come la reviviscenza islamica ha travolto

tutta l’Asia centrale. Dove la religione tradizionale non riesce ad adeguarsi ai

bisogni della modernizzazione, ci sono grandi possibilità di diffusione sia per il

cristianesimo occidentale sia per l’islamismo:

“I protagonisti di maggior successo della cultura occidentale non sono gli economisti neoclassici, i democratici da crociata o i dirigenti di multinazionali; sono, e continueranno probabilmente a essere, i missionari cristiani. Né Adam Smith né Thomas Jefferson potranno mai soddisfare i bisogni psicologici, emotivi, morali e sociali degli emigrati dei centri urbani e dei diplomati della prima generazione. Forse neanche Gesù Cristo riuscirà a farlo, ma è probabile che abbia maggiori chances.”5

Insomma il vero cavallo di battaglia dell’occidentalizzazione di matrice europea

sarebbe stato proprio il cristianesimo, con la sua straordinaria capacità di

attecchire in popolazioni eterogenee. Non la scienza, il pragmatismo, il

razionalismo occidentale, con l’annessa illusione di un mondo futuro

completamente secolarizzato e laico, depurato da riti e superstizioni, popolato da

una società emergente sempre più tollerante e umanistica. Non è andata affatto

così: la modernizzazione non è stato sinonimo di secolarizzazione come poteva

sembrare a livello europeo. Anzi, si è rivelata in realtà portatrice dell’effetto

contrario: soprattutto laddove ha recato rapidissimi mutamenti sociali, in cui

masse di uomini e donne si sono spostati dalle campagne alle città, separandosi

4 Huntington, S.P. (1996), pag.82. 5 Ivi, pag. 84.

9

dalle loro radici, essa è stata fonte di stress sociale: la modernità dà e poi toglie,

lasciando queste persone in balia di una forte alienazione e disorientamento, con

un bisogno di comunità, di legami identitari, di nuove regole morali che diano una

direzione e un senso alle loro vite, e nella religione (tradizionale, fondamentalista,

cristiana, islamica, di qualsiasi tipo) trovavano risposta a tutte queste esigenze.

Tuttavia, prevede l’autore, nel lungo periodo il vero vincitore sarà Maometto: se

il cristianesimo si diffonde con l’arma della conversione, le armi a disposizione

dell’Islam sono conversione e riproduzione: in conseguenza agli altissimi tassi di

crescita demografica, il numero di musulmani continuerà a crescere a ritmo

sostenuto arrivando a toccare probabilmente un buon 30% della popolazione

mondiale entro il 2025, contro un previsto 25% cristiano 6 . Le due religioni

arriveranno dunque ad assumere simile peso a livello mondiale, con una certa

prevalenza di quella musulmana, resa ancora più viva e ardente dalla maggiore

componente di persone in giovane età.

Nel mondo moderno insomma, la religione è e rimane un’enorme forza

che non dovremmo sottovalutare e con cui dovremmo imparare a confrontarci,

forse la forza per eccellenza capace di motivare e mobilitare le masse con una

forza così profonda: basta guardare i documentari sul nascente Stato Islamico

(ISIS nel linguaggio giornalistico italiano, acronimo di Islamic State of Iraq and

Syria) per rendersi conto immediatamente dagli sguardi pieni di ambizione, dalle

parole cariche di forza, dai canti che uniscono in coro persone delle più diverse

età e provenienze, quale passione travolgente e impareggiabile una religione può

scatenare. La variabile demografica svolge un ruolo decisivo nell’esagerazione

ed esasperazione di questa passione religiosa: la massiccia presenza della

classe di età 15-24 anni alimenta fondamentalismo, terrorismo, insurrezione e

anche migrazione7. Grandi masse di musulmani si sono rivolti all’Islam come

fonte di identità, stabilità, legittimità, speranza soprattutto, infondendo loro con il

passare del tempo e l’accrescere dei fondamentalismi una grandiosa sensazione

di potere. Il potere di poter intraprendere un cammino indipendente

dall’Occidente e dalla sua cultura considerata viziosa, spezzando i confini statali

6 Huntington, S.P. (1996), pag.84. 7 Ivi, pag. 144.

10

modellati dal suo imperialismo secolare e tornando ad essere un popolo unito

sotto la guida culturale, politica, religiosa e sociale dell’Islam, rinato “dal basso”:

«Ora possiamo passare da Siria a Iraq senza passaporto, senza visto, niente del

genere: finalmente gli stati musulmani sono uniti»8.

3.2.2 Le reazioni in Europa

L’aumento demografico delle popolazioni islamiche, misto alla stagnazione

economica delle stesse, ha avuto la naturale conseguenza di una spinta

migratoria: popolazioni numerose richiedono maggiori risorse, con la tensione a

proiettarsi all’esterno facendo pressione su altri popoli demograficamente meno

dinamici: notoriamente, l’Europa è uno di questi. Inoltre, gli ostacoli alla

migrazione sono crollati con l’esponenziale sviluppo dei trasporti e dei mezzi di

comunicazione, che hanno giocato un ruolo fondamentale nel rendere la

migrazione più rapida, agevole ed economica9, unitamente al fatto che, una volta

avviato, il flusso migratorio si autoalimenta grazie al passaggio di informazioni e

risorse tra gli emigrati e le loro famiglie stimolate a partire (Weiner, 1995). Da

questa pressione si è andato esasperando il problema delle politiche di

immigrazione e la difficoltà a gestire il conflitto culturale, instaurando nei membri

dell’Unione Europea crescenti timori verso le popolazioni in arrivo e crescenti

conflitti sul modo di gestire le politiche migratorie e di adottare contromisure di

carattere politico ed economico. Fino agli anni ’70, i paesi europei si sono

dimostrati ben disposti nei confronti dell’immigrazione, anche come modo per

ovviare alla carenza di manodopera locale. Alla fine degli anni Ottanta, tuttavia,

gli alti tassi di disoccupazione e il flusso sempre crescente di immigrati e la loro

sempre più eterogenea provenienza (in larga parte non-europea) hanno causato

un cambiamento di rotta, un mutamento degli atteggiamenti e delle politiche

immigratorie degli europei10. L’Europa è stata improvvisamente colta dall’antico

8 Documentario intitolato “The Islamic State”, a cura della rivista canadese internazionale VICE e pubblicato il 15/08/2014, disponibile all’indirizzo https://news.vice.com/video/the-islamic-state-full-length 9 Huntington, S.P. (1996), pag. 290. 10 Ibidem.

11

terrore dell’invasore islamico, quasi come un déja-vu: ma stavolta non minacciata

dall’avanzata di eserciti e carri armati, ma da

“Orde di immigrati che parlano un’altra lingua, pregano un altro Dio, appartengono a un’altra cultura e che, temono, ruberanno i loro posti di lavoro, occuperanno la loro terra, distruggeranno lo stato sociale e minacceranno il loro stile di vita” (Weiner, 1995).

Questo è esattamente il ritratto fotografico del punto di vista europeo verso

l’immigrazione, attualissimo più che mai oggi, qualcosa di riscontrabile in un

qualsiasi post o tweet degli esponenti dei partiti xenofobi europei. Partiti, questi

ultimi, espressione e incarnazione di tutte queste fobie che prendono forma dal

declino demografico europeo in contrasto agli alti tassi di fertilità non-occidentali,

dai reali scontri culturali esperiti dall’inizio dell’ondata migratoria, e dai timori sul

destino della propria identità nazionale (Hoffmann, 1990). Il punto è che questi

timori sono curiosamente selettivi verso la sola componente musulmana degli

immigrati, come notava il giornalista americano Roberson:

“L’ostilità è diretta principalmente contro i musulmani. Il termine “immigré” [si riferiva alla Francia] è praticamente sinonimo di Islam, oggi la seconda maggiore religione in Francia, e riflette un razzismo etnico e culturale che ha radici assai profonde nella storia francese” (Roberson, 1994).

Sembrerebbe che dopo la seconda guerra mondiale, l’antisemitismo europeo sia

stato via via soppiantato dall’anti-islamismo: questa ostilità oltre che

politicamente si è manifestata anche in atti di violenza concreti contro individui o

comunità di immigrati, fenomeno che nei primi anni Novanta divenne in Germania

un vero e proprio caso nazionale11. Il punto è che i citati partiti xenofobi non sono

altro che il ritratto speculare dei partiti islamisti nei paesi musulmani: entrambi

denunciano un sistema politico corrotto, facendo leva sulle difficoltà economiche

e sulla disoccupazione dilagante; in entrambi esiste una frangia estremista che

agisce compiendo atti di violenza; entrambi hanno maggiore successo a livello

locale piuttosto che nazionale. Infatti, sempre in entrambi i casi, questi partiti

prendono piede a livello nazionale solo laddove non è presente una buona

alternativa (come è accaduto in misura significativa in Algeria, Austria, Italia) ma

11 Huntington, S.P. (1996), pag. 295.

12

anche come segno di protesta e di chiusura rispetto ad un Europa che si scontra

con gli interessi individuali nazionali, come hanno mostrato gli allarmanti risultati

delle ultime elezioni europee: il successo degli indipendentisti fiamminghi del

Vlaams Belang in Belgio, del Front National in Francia, dello Jobbik in Ungheria,

del partito anti-immigrazione danese, dei Veri Finlandesi, dello Ukip di Farage nel

Regno Unito, Alba Dorata in Grecia12. Insomma, a partire dagli anni ’90 i politici

europei hanno cavalcato l’onda dei sentimenti anti-immigrazione rendendo la

stessa il nemico pubblico numero uno in Europa, tema-chiave delle campagne

elettorali locali, nazionali, europee.

Riassumendo concettualmente quanto detto finora: nella decostruzione

del “nemico islamico” europeo è fondamentale e necessario riconsiderare

l’importanza che la matrice religiosa alla base delle due civiltà ha nella

determinazione del conflitto e nell’alimentazione odierna dello stesso, e la sua

strategica importanza futura. Anche il filosofo italiano Alessandro Ferrara (2014)

fa riferimento al ritorno della religione come conseguenza della cosìddetta “crisi

della democrazia”: la crisi identitaria lasciata dal crollo delle ideologie, delle

grandi narrazioni, ha fatto sì che le popolazioni tornassero a identificarsi

riferendosi alle proprie radici e valori religiosi. L’Unione Europea stessa ha avuto

il ruolo di fonte identitaria riconciliante dopo le divisioni interne create dalla guerra

fredda. Un popolo si identifica da sempre con quello che per esso ha più

significato, che sia la comunità religiosa, il gruppo etnico, la propria nazione o,

più ampiamente, la civiltà di appartenenza: “in cerca di radici e di amici per

proteggersi dall’ignoto” (Papandreou, 1994).

Nel caso dei popoli di confessione islamica è accaduto proprio questo,

l’ancoraggio alla propria religione come principale, anzi, unica agenzia identitaria,

che abbatte ogni confine e ogni regime (imposto o voluto), fomentato dalla

struttura demografica (popolazione giovane numerosa, piena di ideali e desiderio

di lotta esattamente come lo erano coloro che fecero la storia dei movimenti

collettivi negli anni ’60), e soprattutto dall’ormai affermato declino dell’Occidente

che ha suggerito loro di uscire dalla sottomissione statunitense e rivendicare la

12 Risultati delle elezioni europee del 2014, disponibili all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/elections2014-results/it/seats-member-state-absolut.html

13

propria potenza e il proprio riscatto, in nome di un sempre più alimentato anti-

americanismo a cui viene legata anche l’Europa per un più generico anti-

occidentalismo, maturato in diversi secoli di imperialismo europeo e di influenza

occidentale (e occidentalizzante). Questa tendenza antioccidentale è andata

aumentando a partire dagli anni ’70, causata dall’avvento del fondamentalismo,

dal passaggio di potere da governi filo-occidentali a governi anti-occidentali,

dall’instaurarsi di una guerra strisciante tra gruppi islamici e l’Occidente, così

come l’allentamento dei legami creatisi tra USA e alcuni paesi musulmani durante

la guerra fredda 13 . L’Occidente ha stimolato nel resto del mondo la

modernizzazione, a volte assorbita in modo totalizzante, trasformandosi di fatto

in occidentalizzazione, mentre altre volte assunta solo nei suoi elementi

essenziali, mantenendola compatibile con la cultura locale. Dove quest’ultima

formula ha funzionato (ad esempio in Asia orientale), la crescita economica ha

alimentato il potere, l’autostima, e il senso di appartenenza a quel popolo e a

quella cultura, promuovendo di fatto una de-occidentalizzazione e il riemergere

impetuoso della cultura autoctona. A riprova di ciò, nei paesi islamici dagli anni

Ottanta e Novanta è avvenuta un’inversione di rotta: dalla modernizzazione

dell’Islam all’islamizzazione della modernità, in cui la re-islamizzazione della

società era e rimane un tema centrale: sempre dal documentario sullo Stato

Islamico, sentiamo un militante pronunciare le parole: «Non vogliamo far tornare

le persone all'epoca dei piccioni viaggiatori; noi trarremo vantaggio dallo sviluppo,

ma in un modo che non contraddica la Sharia».

Di questo passo l’Europa vede spostarsi la sua precedente cortina di ferro

che separava i blocchi ideologici capitalista e comunista di diversi chilometri più

a est, ovvero su una nuova linea di demarcazione che separa civiltà

culturalmente affini: quella europea cristiana-occidentale da quella musulmana14.

Il fatto curioso è che questa linea di demarcazione immaginaria tra civiltà

differenti, che Huntington ha tracciato nel suo libro nel 1996, affiancata ad una

cartina aggiornata dell’Unione Europea, rispecchia in modo impressionante quelli

che sono i confini reali degli Stati Membri membri attuali (Figura 1).

13 Huntington, S.P. (1996), pag. 268. 14 Ivi, pag. 24.

14

Nella vicendevole divisione del mondo in “noi” e “loro”, ognuno riporta la propria

visione del giusto: fedeli e infedeli per il mondo islamico (rispettivamente: Dar al-

Islam, dimora della pace, e Dar al-Harh, dimora della guerra), curiosamente

ribaltata dagli storici statunitensi che al contrario, durante la guerra fredda,

dividevano il mondo in “aree di pace” (uno scarso 15%, comprendente Occidente

e Giappone) e “aree di disordini”, la restante percentuale. In tutto questo, l’attacco

dell’11 Settembre ha fatto da spartiacque decisivo tra mondo islamico e

occidentale, con un’onda d’urto micidiale in Europa tale per cui si è potuto

Figura 1. Confini a confronto

Fonti:

Cartina a sinistra: S.P. Huntington, "The Clash of civilizations" pag. 229, Cartina 7.1

Cartina a destra: http://europa.eu/about-eu/countries/index_it.htm

15

ufficialmente stigmatizzare l’Islam come nemico dell’Occidente, risvegliando gli

antichi timori da Crociata.

4 CONCLUSIONI – COME ANDARE OLTRE?

Alla luce di quanto illustrato finora, tra cui la crucialità dell’elemento religioso nello

scontro tra Europa e Islam, è opportuno chiedersi: quale futuro ha il

fondamentalismo islamico, e quale impatto può avere sulla comunità europea?

Come tutti i “boom”, anche il boom demografico dei popoli islamici è destinato a

placarsi, e con esso l’impetuoso fondamentalismo. “Nessuna reviviscenza

religiosa o movimento culturale dura all’infinito, e prima o poi la rinascita islamica

si placherà e svanirà nella storia”, prevede ottimisticamente Huntington,

appoggiandosi alle aspettative di un indebolimento dello slancio demografico

entro il secondo o terzo decennio del 2000. A quel punto infatti inizieranno a

diminuire le fila dei guerriglieri, militanti e migranti, e il livello di conflittualità con

l’Europa e con il resto del mondo non islamico tenderà probabilmente a calare.

Ma il vero punto chiave che bisognerebbe enfatizzare e riconoscere

maggiormente in Europa (così come in tutto l’Occidente), è che l’Islam non è

l’ISIS. Difatti, pur utilizzando come riferimento il testo di Huntington per maggior

parte di questo scritto, mi sento in dovere di muovere in questo punto alcune

importanti critiche. Il politologo statunitense commette infatti un errore di base:

considera le civiltà in toto come omogenee e statiche al loro interno, oltre che

ancorate a territori con precisi confini, come si può facilmente notare dalla

riduzione della complessità del mondo e delle civiltà in cartine geografiche. Errore

comprensibile da parte di una mentalità fortemente ideologica e da stratega

militare quale era la sua, e accettabile fintanto che si pone come schema

interpretativo della realtà per meglio studiarla, comprenderla, interpretarla in

chiave geopolitica (come ho voluto coglierne io l’occasione per la ricostruzione

storica dello scontro tra le civiltà occidentale e islamica); ma imperdonabile se

rivolto, come avviene alla fine dell’opera, ad un giudizio di valore su come

andrebbero gestite le relazioni tra queste civiltà. Con la sua chiave di lettura infatti

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Huntington condanna all’ombra tutti quegli aspetti che dipendono dalla

permeabilità effettiva delle civiltà, dunque non solo gli scontri militari e le

operazioni di conquista ma anche le importantissime occasioni di scambi,

contaminazioni, condivisioni, capacità di arricchimento reciproco come si è potuto

accennare in riguardo al periodo delle Crociate. Ponendo al primo piano la civiltà,

ci si dimentica dell’importanza dell’individuo, dal quale non si può prescindere nel

dibattito internazionale sulla gestione della multiculturalità. Alcuni occidentali, tra

i quali l’ex presidente americano Bill Clinton, hanno sostenuto che il problema per

l’Occidente non sarebbe l’Islam ma solo gli estremisti islamici violenti15. Tuttavia

millequattrocento anni di storia dimostrano il contrario, come abbiamo potuto

vedere nell’introduzione storica. Bisognerebbe dunque lavorare su quegli

elementi che determinano la tendenza dei popoli a dividersi nel noi e nell’altro

nemico, ovvero: il sentimento di superiorità dell’Europa cristiana verso il vicino

islamico; la paura e la mancanza di fiducia; le difficoltà di comunicazione, quindi

anche la diversa interpretazione del concetto di comportamento civile, la

mancanza di familiarità con i loro valori, rapporti, consuetudini sociali. Elementi

riconducibili anche, appunto, alla concezione “in blocchi” del mondo, che rende il

dialogo tra essi impossibile oltre che poco desiderabile. Andrebbe al contrario

incentivata la possibilità di interpretare le relazioni tra gruppi come semplice

differenza, invece che come esclusione, opposizione o supremazia (Young,

1990). Una visione dinamica e plurale delle civiltà, che rispecchi in modo più

concreto quella che è la realtà, depurata da etichette pericolose, esposte al

rischio di un utilizzo strumentale ed irresponsabile in cui l’ignoranza – più che la

differenza culturale – si mostrerebbe come la vera ragione di scontro tra i popoli

(Said, 2001). Superando dunque una concezione che va nella direzione

dell’accentuazione delle differenze sulla base della paura, per imboccare una

strada che queste differenze provi a riconoscerle e a comprenderle tramite

soluzioni democratiche. In questo modo si attenuerebbe la divisione netta tra i

popoli, e la tendenza a volerlo accentuare e radicalizzare in nome della

protezione della propria identità.

15 Huntington, S.P. (1996), pag. 306.

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A sostegno di questa soluzione, c’è la già citata tesi di Ferrara, secondo

cui possono coesistere diversi modelli di modernità e di democrazie all’interno di

diverse culture e religioni, che hanno in comune molto più di quanto possa

apparire. Come illustrò chiaramente nella lezione del ciclo di incontri “Per una

cittadinanza inclusiva”, nei venticinque secoli di storia della democrazia, si è

potuto verificare come essa sia una forma di governo compatibile con diversi

modelli, quali che essi siano. Possono insomma esistere, e di fatto esistono,

culture democratiche diverse, a partire da elementi di convergenza come

appunto le religioni, che spesso dirigono le azioni politiche ed economiche. Cosa

condividono, infatti, le diverse religioni? Nella religione come nella democrazia,

l’interesse generale è anteposto all’interesse particolare, in nome di un bene

comune. Sia nell’Islam che nel cristianesimo è presente nel nucleo dei rispettivi

testi sacri l’idea di un uguaglianza completa, di una salvezza che va oltre i confini

dei popoli. Anche il consenso come forma di legittimazione del sovrano è un

elemento comune a diversi credi, secondo cui la legittimità del sovrano dipende

dai popoli. Le diverse combinazioni di questi valori democratici danno vita a

diverse forme di governo compatibili e plasmabili in base alle diverse culture,

anche come forma di sopravvivenza delle stesse.

Per concludere: per riuscire a trasmettere questo messaggio di compatibilità

tra culture democratiche e culture religiose e dunque di permeabilità tra le civiltà,

che aiuti a preservare la propria identità senza il bisogno di stigmatizzare l’altro

come nemico (e quindi senza arrivare alla deriva apocalittica dello scontro tra

civiltà nemiche), è indispensabile una riforma dell’educazione. Servirebbe sì una

trasmissione della cultura europea, ma non in chiave eurocentrica come avviene

attualmente. Una visione più ampia della storia, che dia una visione olistica

dell’origine e dei percorsi delle civiltà come attualmente le conosciamo, che

esprima meglio la complessità che sta dietro al concetto di civilization e che aiuti

a comprendere che non tutto quello che l’Occidente dà per scontato e per

“giusto”, “naturale”, “fondamentale”, lo è per gli altri popoli. Lo stesso Terzani lo

ricorda in conclusione al suo articolo. Nel suo lungo, decennale soggiorno in

Oriente, fa capire che ha cambiato profondamente punto di vista sulle cose:

l’Occidente ha ancora tanto da apprendere dalle altre culture. E presto dovrà

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rendersene conto, quando capirà che non è più il tempo del dominio occidentale

sulle logiche internazionali, così come non ha più senso la speranza di

annientamento dell’altro.

“Non c'è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.” (Terzani, 2001).

La chiave per fare questo sta proprio nel motto importante e ambizioso che

l’Unione Europea ha scelto per se stessa, e che non va mai dimenticato: uniti

nella diversità. L’identità dell’Europa risiede proprio nella capacità di avere

elaborato regole comuni per gestire la diversità, un passo di rilevanza epocale

verso l’annientamento della paura, la difesa del confronto e del dialogo tra le

culture: “la paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari” (Todorov, 2009).

Tra i valori comuni promossi dall’Europa c’è anche l’individualismo, inteso come

il primato dell’individuo sulla comunità: in primo piano non andrebbero dunque

messi i paradigmi del “noi” e del “loro”. Deve anzi essere ricordato il valore

dell’individuo, con i suoi diritti e i suoi doveri, e preferire un’identificazione che

passi per i pronomi meno faziosi di “io” e “tu”, verso la concezione più ampia di

quella che, riprendendo per l’ultima volta Huntington, alla fine del suo testo egli

propone come la considerazione dell’umanità in toto, quella che prescinde da

ogni confine: la Civilità con la “C” maiuscola.

5 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

5.1 BIBLIOGRAFIA

Bobbio, Norberto (1992). L’età dei diritti. Torino: Einaudi.

Cartocci, Roberto (a cura di) (2011). Costruire la democrazia in Europa. Un

inventario di strumenti analitici. Bologna: Il Mulino.

Esposito, John L. (1999). The Islamic threat: Myth or reality?. Oxford: Oxford

University Press.

19

Fallaci, Oriana (2001). La rabbia e l’orgoglio. Corriere della Sera. 26 Settembre

2001.

Ferrara, Alessandro (2014). Dalle modernità multiple alle democrazie multiple.

Lecture nell’ambito del ciclo di incontri “Per una cittadinanza inclusiva”, un

progetto di Reset-Dialogues on Civilizations e Fondazione Giangiacomo

Feltrinelli.

Hoffmann, Stanley (1990). “The case for leadership”. In: Foreign Policy, n. 81,

pag. 30.

Huntington, Samuel P. (1996). Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.

Milano: Garzanti.

Lewis, Bernard (1995). L’Europa e l’Islam. Bari: Laterza.

Papandreou, Andreas (1994). “Europe turns left”. In: New Perspectives

Quarterly, n. 11, p. 53.

Roberson, Barbara A. (1994). “Islam and Europe: an enigma or a myth?”. In:

Middle East Journal, n. 48, p. 302.

Said, E. W. (2001). The Clash of Ignorance. The Nation.

Sen, Amartya (2012). The snakes and ladders of Europe. The Economic System

We Need. 10 Maggio 2012.

Terzani, Tiziano (2001). Il sultano e San Francesco: non possiamo rinunciare alla

speranza. Corriere della Sera. 8 Ottobre 2001.

Todorov, T. (2009). La paura dei barbari: oltre lo scontro delle civiltà. Garzanti.

Weiner, Myron (1995). The global migration crisis: challenge to states and to

human rights.

Young, I. M. (1990). Le politiche della differenza. Milano: Feltrinelli.

5.2 SITOGRAFIA

Parlamento Europeo: http://www.europarl.europa.eu/portal/it

Profilo Facebook ufficiale Maurizio Gasparri:

https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Gasparri

VICE News: https://news.vice.com/

Sito Ufficiale dell’Unione Europea: http://europa.eu/

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6 AUTOVALUTAZIONE RISPETTO AL PROPRIO PERCORSO

FORMATIVO

Complessivamente, ritengo soddisfacente il modo peculiare con cui questo corso

ha arricchito il mio percorso accademico: faccio riferimento in particolare

all’insistenza sulla capacità critica che ci si aspettava dagli studenti, in modo

diverso dagli altri corsi che, più specificamente, cercano di perfezionare le

capacità tecniche e professionalizzanti da spendere su casi empirici. Entrambe

sono fondamentali per uscire con un titolo magistrale che ne valga il nome, per

cui sono contenta di questo aspetto e spero soprattutto di averlo acquisito al

meglio. Per ottenere una buona capacità critica è necessario padroneggiare

adeguatamente l’argomento trattato, per cui mi accorgo che, rispetto ai tentativi

fatti durante la laurea triennale (Scienze Politiche, Bologna) i risultati di essays

scritti in chiave critica sono ora più appaganti e – spero – credibili, segno che gli

anni passati a trattare e ritrattare i temi delle scienze sociali e umanistiche non

sono stati vani. Un altro elemento arricchente è stato la meticolosità con cui gli

studenti sono stati spinti a prendere sul serio le presentazioni in aula: i tempi, le

tecniche di conduzione, il ruolo dei discussant, la proposta della lingua inglese,

sono stati per noi una sfida importante mascherata da una componente quasi

giocosa. È stato curioso riscontrare le stesse dinamiche sperimentate in aula

nella realtà concreta di seminari e convegni. Passando invece alle mancanze,

devo ammettere che rispetto alla domanda su che cosa fosse la filosofia politica,

a cui ci è stato proposto ad inizio corso di dare una definizione, non so se ho

ottenuto realmente una risposta: mi è sembrato mancasse una formazione

concettuale preliminare che ci desse qualche marcia in più per affrontare in modo

più preparato i temi affrontati nella seconda parte del corso. Penso che in questo

versante il corso avesse ancora molto da offrire, vista anche l’ottima bibliografia

a disposizione: manca forse una reale condivisione con gli studenti di tutto il

sapere che i docenti hanno (perché qui in Bicocca i docenti sono preparati

eccome) e che sarebbero tenuti a maggior ragione a seminare, promuovere,

stimolare negli studenti come loro priorità assoluta. Per concludere, devo

ringraziare infine questo esame per avermi indotto alla lettura de “Lo scontro delle

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civiltà”, un testo immenso che a tratti mi ha fatto innamorare e arrabbiare, ma che

soprattutto ha potuto darmi quella “visione olistica” della storia che suggerisco

nelle conclusioni del mio saggio come elemento di possibile aiuto per il

superamento del conflitto identitario e che infatti mi ha personalmente aiutato

molto a riconsiderare la visione occidentale della storia.