Incroci Gastronomici Nel Mondo Arabo-Islamico
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INCROCI GASTRONOMICI NEL MONDO ARABO-ISLAMICO
Il senso dellʼalimentare e del gastronomico nellʼOriente delle scelte forti
Laura Starita
Pier Paolo Catucci
2
3
Indice Capitolo 1……………………………………………………………………...4
Alimentazione Araba: proibizioni, fobie, imposizioni, impedimenti………… ..4 Alimentazione preislamica ................................................................................... 4 L’Islam, l’alimentazione nella religione e i suoi tabù ............................................ 8
Capitolo 2…………………………………………………………………….14 Il cibo attraverso momenti di incontro e condivisione .................................... 14
Rituali, banchetti e festività ................................................................................ 14 Ramadan, il mese del digiuno ............................................................................ 16
Capitolo 3 ...................................................................................................... 18 Gastronomia Araba .............................................................................................. 18
La Nascita della Gastronomia ............................................................................ 18 Influenza della gastronomia araba in Europa e in Italia ..................................... 22
Bibliografia………………………………………………………………… ...28 Documenti consultati online……………………………………………… .28 Sitografia………………………………………………………………… ..…29
4
Capitolo 1
Alimentazione Araba: proibizioni, fobie, imposizioni, impedimenti
Alimentazione preislamica
Scriveva due secoli fa Brillat-Savarin: “Noi siamo ciò che mangiamo1”
È pur vero che noi siamo anche ciò che non mangiamo. Alcune società si
distinguono dalle altre in virtù dell’accettazione o del rifiuto di determinati
alimenti. La repulsione o la scelta di determinate derrate da introdurre nella
dieta giornaliera, secondo gli studi di antropologia tradizionale, trovano ragioni
precipue, dettate solitamente da motivi di ordine pratico. Le limitazioni o le
abolizioni di alcuni alimenti a opera di comunità religiose o gruppi sociali, in
genere, sono solidamente radicate allo scenario materiale in cui si collocano,
dipendenti dall’incidenza negativa che tali prodotti potrebbero avere sullo
sviluppo economico o sulla salute delle persone che compongono il nucleo
esercitante il diniego.
Ciò concesso, questi studi alienano il loro giudizio storico finale da tutti quei
valori simbolici, legati all’alimentazione come esercizio quotidiano, che
determinano l’identità etnica e culturale delle società o delle classi sociali che
li adottano.
L’incontro e scontro delle culture dá origine a evoluzioni e sviluppi all’interno
della cultura gastronomica dei popoli, ossia “l’integrazione di modelli culturali
diversi dá origine a una realtà nuova”2. Ma questo è un meccanismo che
richiede tempo: occorrono decenni, addirittura secoli, poiché esiste ed è
sempre esistita una certa diffidenza nell’accettare le altre culture alimentari.
1 Brillat- Savarin, A. (1825,) La fisiologia del gusto. Meditazioni di Gastronomia Trascendente, Milano, Rizzoli 2 Montanari, M. (2010) L’identità italiana in cucina, Bari, Gius. Laterza & Figli s.p.a
5
Tra le culture alimentari, quella araba ha una storia lunga e complessa, fatta
di tradizioni orali, documenti scritti, e da un certo momento in poi, da rigide
regole religiose e integralismi: una cultura fatta anche però di evoluzioni e di
scambi.
Nella storia dell’alimentazione Araba si distinguono due principali filoni
gastronomici.
Mašriq (gastronomia dell’Oriente Arabo)
Maġrib (gastronomia dell’Occidente Arabo)3
Il primo filone definisce il sapere alimentare puramente arabo, il secondo
quello arabo-berbero. Queste due matrici identificano tuttora gruppi di
popolazione con culture, etnie, risorse geografiche diverse e distanti tra loro.
Il primo nucleo di arabi, beduini nomadi e seminomadi, abitanti ai margini
delle zone deserte all’interno di piccole oasi, avevano abitudini alimentari
molto semplici, legate principalmente alle condizioni ambientali del territorio.
Tali abitudini, con l’avvento e la conseguente diffusione dell’Islam, vennero
profondamente trasformate.
Il Corano e la Sunna al- nabawīya4 hanno permesso di individuare tra gli
insegnamenti di Dio ed il modo di comportarsi di Mohammad i dettami relativi
al tema alimentare.
Prima dell’avvento dell’Islam, le imposizioni relative ai cibi che le popolazioni
arabe consumavano ogni giorno dipendevano dalle condizioni di vita di
queste. Si trattava per lo più allevatori nomadi/seminomadi e/o coltivatori delle
3 Scamardella, M. M, (2007), Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Napoli, Arte Tipografica Editrice 4 È l’opera religiosa più importante per i musulmani, oltre al Corano, dalla quale trarre i precetti religiosi e le norme di vita quotidiana.
6
oasi o delle zone adiacenti a quelle desertiche. Queste le caratteristiche
identificative fondamentali:
- La loro risorsa alimentare principale era basata sull’allevamento, che forniva
la base essenziale del nutrimento: il latte, che veniva a volte diluito con
l’acqua. Fonte primaria di latte per i beduini erano cammelle, capre e pecore
in misura inferiore. Tra i derivati del latte veniva molto utilizzato il burro come
condimento. E poi ancora latte acido, trasformato in un prodotto simile alla
ricotta (aquit) o allo yoghurt, e formaggi, che venivano consumati freschi o
stagionati.
- La carne era consumata raramente: si prediligeva quella di montone,
allevato nei pressi delle abitazioni. La carne di cammello veniva consumata
solo in caso di grande necessità, poiché l’animale costituiva un fondamentale
mezzo di trasporto. I bovini e i caprini entravano raramente nella dieta, mentre
il pollo e il maiale erano poco conosciuti; circa il consumo di quest’ultimo, solo
in casi di estrema fame o in occasioni particolari, i beduini si nutrivano del suo
sangue.
- Per quanto riguarda gli ortaggi e la frutta, i nomadi si nutrivano di tutto ciò
che la natura aveva da offrire, ossia vegetali spontanei. Gli abitanti delle oasi
o dei piccoli centri abitati disponevano invece di datteri e di ortaggi coltivati,
come ad esempio cipolle, rape, zucche, aglio, porri, cicoria, cetrioli, cuori di
palma. Per quanto riguarda la frutta invece, troviamo menzionati i fichi, la
melagrana, il cedro, l’uva, la mela. L’alimentazione quotidiana era integrata
dal consumo di legumi, per lo più ceci e lenticchie, cereali come l’orzo, sorgo,
avena e di pesce nelle zone costiere.
- Il pane non era posto alla base dell’alimentazione dell’Arabia, a causa delle
condizioni economiche e ambientali. Questo prodotto, simbolo della vita ed
elemento cibario per eccellenza, veniva preparato con farina o crusca d’orzo.
Il pane, cotto in un forno rudimentale chiamato tābūna, poteva essere sia
lievitato sia azzimo.
- le bevande, che di solito accompagnavo il pasto, erano il latte e l’acqua.
7
Si preparavano anche diverse bevande fermentate, tra le quali il nabīd,
ottenuta dalla macerazione in acqua di datteri freschi o secchi. Tra le bevande
alcoliche, quella più conosciuta era la sawīq, ottenuta dalla macerazione
combinata di orzo e miele.
Il vino, comunemente noto con il termine hamr, costituiva per gli antichi arabi
un lusso troppo costoso per poter essere consumato quotidianamente. Veniva
infatti importato nella regione dai mercanti cristiani ed ebrei provenienti dalla
Siria e della Mesopotamia, dove si contavano numerose località rinomate per
l’ottima qualità del vino prodotto.
Il vino, lungi dal non essere ricercato e apprezzato, era considerato insieme
alla donna e al gioco del maysir (gioco d’azzardo), uno dei maggiori piaceri
della vita, l’indispensabile elemento che induceva il beduino ad esprimere al
meglio la sua virtus, quella muruwwa5 tanto spesso cantata dalle liriche dei
poeti le cui opere si fanno risalire ai tempi del paganesimo arabo6.
Per quanto riguarda le proibizioni alimentari in epoca preislamica, sembra che
queste dipendessero dal costume, piuttosto che da motivazioni o
regolamentazioni di ordine religioso o d’igiene. Inoltre erano limitate ad una o
due tribù, senza che queste venissero estese a quelle circostanti. Altri gruppi
probabilmente seguivano le disposizioni di origine pagana. Le proibizioni
riguardavano comunque e in particolar modo il divieto del consumo di alcuni
animali o di alcune parti di questi (il cuore e la coda nell’Arabia Occidentale)
non perché considerati impuri, ma in quanto consacrati ad alcune divinità. Il
vino assumeva in certi luoghi un valore religioso, mutuando la funzione di
libagione nelle tombe o nei banchetti funerari; altresì veniva talvolta offerto
sugli altari degli dei come atto espiatorio.
5 Identificava, specie in età preislamica, la somma di certe qualità umane che rendevano (allora come ora) l'uomo arabo degno della massima stima e considerazione. 6 Scamardella, M. M. Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli,, Ivi cit.
8
Parrebbe congruo sostenere che, prima dell’avvento dell’Islam, le popolazioni
arabe del centro nord fossero influenzate dalle regole alimentari monoteiste di
cristiani ed ebrei.
In alcuni testi risulta che le popolazioni appartenenti a tali religioni avessero
progressivamente cominciato, dopo l'Egira, ad astenersi dal consumo di carne
di animali uccisi senza lo sgozzamento rituale e dal sangue di animali
consacrati agli idoli e che in certi casi si fossero privati del latte e dei suoi
derivati7.
In seguito all’avvento dell’Islam, l’epoca preislamica venne chiamata
jāhiliyya8, cioè “epoca dell’ignoranza”. Il riferimento si rivolge all’ignoranza
degli arabi nei confronti della vera religione dell’Islam, e non all’ignoranza in
generale, e ancor meno all’ignoranza dei piaceri della vita.
L’ Islam, l’alimentazione nella religione e i suoi tabù
La diffusione della religione musulmana fu la causa principale dell’evoluzione
gastronomica del Medio Oriente. La morte del profeta Maometto, avvenuta a
Medina nel 632 d.c., fu seguita da numerose guerre intraprese dai seguaci
della sua fede. Conquistarono territori, uno dopo l’altro, convertendoli,
portando le loro usanze e acquisendo quelle delle terre sottomesse,
amalgamando e fondendo le abitudini culinarie da un capo all’altro
dell’impero.
La religione dell’Islam rappresenta la componente più significativa della
cultura mediorientale. In essa si radicalizza l’idea della tradizione come
modello fisso, conforme alle norme islamiche ricavate dalle prescrizioni del
7 Lammens. H, (1928), L’Arabie occidentale avant l’Hègire, Beyrut, Impr. Catholique, pp 129-130, 204 8 http://it.wikipedia.org/wiki/Jahiliyya (sito consultato il 5/11/2012)
9
Corano e dalla Sunna9 che designa la tradizione del profeta Muhammad10, del
suo modo di vita, quello dei suoi compagni e dei primi califfi che ne fecero un
modello ideale da seguire e da fare accettare alla comunità musulmana.
Mangiare come mangiava il Profeta, quello che avrebbe mangiato il Profeta,
seduti per terra, con la mano destra, diventava un atto di fede.
La nuova religione rivelata, l’Islam, stabiliva quindi anche norme che
riguardavano l’alimentazione. Spesso si trattava di norme che facevano parte
dell’epoca della jāhiliyya, riadattate attraverso alcune modificazioni dettate
9 La differenza tra Corano e Sunna è innanzitutto formale: - Il Corano è quasi letteralmente la parola di Allah. - La Sunna è ispirata da Allah, ma la terminologia è di Maometto. - Il Corano non può essere descritto con parole umane. - Le sue parole sono, lettera per lettera, stabilite da Allah e nessun altro. Sunna Letteralmente Sunna significa "sentiero battuto" e quindi la sunna del profeta significa "la strada percorsa dal profeta". Lessicalmente, la parola Sunna per i sunniti indica i comportamenti religiosi istituiti da Maometto durante i 23 anni del suo ministero e che i musulmani hanno accettato attraverso il consenso dei compagni di Maometto (Sahaba) prima e attraverso la trasmissione di generazione in generazione poi. Secondo alcuni la sunna in effetti consiste in quei comportamenti religiosi iniziati da Abramo e semplicemente ripresi da Maometto. 10 http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Religioni/scuole-islam.html (sito consultato il 09/11/2012). Dopo la morte di Maometto sorsero dissensi politici e teologici anche violenti sul modo di interpretare il Corano e di provvedere allo stato musulmano. Nel corso di lotte durate fino al IX secolo, il movimento islamico si divise in varie sette, le principali delle quali sono ancora le seguenti due: i sunniti, così chiamati perché si proclamano seguaci della sunna, sono i più numerosi; e gli sciiti, che si oppongono ai sunniti per antichi dissensi sulla successione del Profeta e, in tempi più recenti, anche per ragioni ideologiche. A queste principali sette (che subirono numerosi scismi interni), ne vanno aggiunte parecchie altre minori. Pur partendo da un nucleo comune, tutte hanno elaborato un loro fikh, cioè un loro sistema teologico-giuridico. Limitiamoci alle scuole dei sunniti. Nel corso dell'assestamento del diritto islamico sotto la dinastia abbàside nell'VIII secolo, le controversie teologiche impedirono che le estensioni analogiche del diritto sacro venissero incanalate in un'unica direzione: nacquero così quattro scuole ortodosse e numerose scuole eretiche. Ancor oggi il diritto islamico dei singoli stati si richiama a queste scuole o riti, spesso presenti in varia proporzione nella medesima nazione. Il diritto islamico non è quindi unitario. Le quattro scuole islamiche ortodosse portano il nome del loro fondatore e sono: - Scuola Hanafita - Scuola Malikita - Scuola Shafita - Scuola Hanabalita
10
dalla Rivelazione che Muhammad aveva ricevuto, nella quale si insiste
particolarmente sul carattere provvidenziale del cibo, in quanto dono di Dio.
Il Corano invita i credenti a cibarsi delle cose buone, seppur in maniera piú
dettagliata varie ingiunzioni vengono rivolte ai cibi, distinti nelle due categorie
principali di leciti (halâl) e illeciti11 (harâm):
“Vi sono vietati gli animali morti, il sangue, la carne di porco e ciò su cui sia
stato invocato altro nome che quello di Allah, l'animale soffocato, quello
ucciso a bastonate, quello morto per una caduta, incornato o quello che sia
stato sbranato da una belva feroce, a meno che non l'abbiate sgozzato [prima
della morte] e quello che sia stato immolato su altari [idolatrici] e anche [vi è
stato vietato] tirare a sorte con le freccette[...] Se qualcuno si trovasse nel
bisogno della fame, senza l'intenzione di peccare, ebbene Allah è
perdonatore, misericordioso.
Ti chiederanno quello che è loro permesso. Rispondi: vi sono permesse tutte
le cose buone e quello che cacceranno gli animali che avete addestrato per la
caccia, nel modo che Allah vi ha insegnato. Mangiate, dunque, quello che
cacciano per voi e menzionatevi il nome di Allah”12.
Nonostante vi fossero delle regole così ben definite e severe, in alcuni casi
specifici Dio avrebbe potuto perdonare la non osservanza di queste:
“Dio si dimostrerà indulgente e perdonerà coloro che trasgrediranno
involontariamente alle prescrizioni alimentari da Lui stabilite13. Ma coloro i
quali lo faranno volontariamente ed avranno compiuto ogni genere di azioni
malvagie, verranno puniti14.”
11Guardi, J, (2007) La cucina nel mondo arabo, http://www.academia.edu/188379/La_cucina_nel_mondo_arabohttp://www.academia.edu/188379/La_cucina_nel_mondo_arabo (documento consultato il 24/03/2013) 12 Corano, Sura V, 3-4 13 Corano, Sura II, 173 14 Corano, Sura VI, 145
11
In sostanza, secondo il Corano, sono proibiti:
Gli animali morti prima di venire macellati o quelli uccisi per motivi che
non siano alimentari;
Il sangue;
La carne di maiale;
Animali sacrificati come offerta a una divinità pagana o in nome di tale
divinità;
Gli alcolici o i liquidi fermentati e tutte le bevande inebrianti, anche se
nel periodo preislamico questi erano diffusi. Il divieto si estende anche
all'impiego come ingredienti per la cottura dei cibi.
L’avvento di una nuova religione non può naturalmente totalizzare il significato
di un cambiamento all’interno dell'alimentazione di un popolo. É da tenere
presente, come illustrato all’inizio del saggio, che dietro alle motivazioni
religiose si nascondono molto spesso ragioni economiche, culturali e
salutistiche. Questa è anche la visione materialistica alimentare di Harris, il
quale sosteneva che dietro ad ogni tabù o proibizione vi fosse una ragione
utilitaristica ancor prima che religiosa. Secondo Harris, la proibizione imposta
al mondo islamico in relazione al consumo di carne di maiale deriverebbe dai
cambiamenti climatici e dalla diminuzione delle foreste (habitat originario di
questo animale) che, nella regione medio orientale, avrebbero
progressivamente fatto diventare anti-economico l’allevamento di questo
animale rispetto ad altri.
Le ragioni di significazione di questo tabù possono apparire ancora più
complesse. Potrebbero essere anche il risultato di una sovrapposizione di tre
livelli di pensiero, costituiti dalla filiazione abramitica, dai rapporti conflittuali
con i miscredenti, e del fatto che l'alimentazione a base carnea
12
rappresentasse l’animalità stessa, con cui il seguace del Corano non avrebbe
dovuto confondersi15.
Lo stesso vino, che nel periodo preislamico era considerato uno dei piaceri
della vita, secondo il Corano doveva essere abolito dalle abitudini alimentari e
dai cosiddetti "piaceri” di coloro che accettavano le regole della nuova fede
religiosa. Tradizionalmente, Allah medesimo avrebbe specificato nelle Sure il
motivo di tale privazione alla quale i fedeli dovevano attenersi, sostenendo
che l’ingestione di bevande alcoliche avrebbe creato uno stato di confusione,
rendendo non solo invalida, ma anche illecita la preghiera16.
Allah formulò per gradi la Sua legge sulla proibizione del consumo di alcolici: La prima traccia riguardante il divieto al consumo del vino la troviamo nella II Sura del Corano; si tratta della prima fase, quella di disapprovazione, che vuole sottolineare come questa bevanda incida negativamente sullo spirito: “ Ti chiedono del vino e del gioco d’azzardo. Di’: in entrambi c’è un grande peccato e qualche vantaggio per gli uomini, ma in entrambi il peccato è maggiore del beneficio!”.17 La seconda fase di proibizione al consumo di alcolici nell’Islam la ritroviamo nella IV Sura. Allah, in questo caso, rende incompatibile la condizione dell’ubriachezza con quella necessaria per assolvere alla preghiera: “ O voi che credete! Non accostatevi all’orazione se siete ebbri, finché non siate in grado di capire quello che dite”18. Infine, si arriva alla Sura V, l’ultima fase, che include il divieto assoluto al consumo di alcolici: “O voi che credete, in verità il vino, il gioco d’azzardo, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie, sono immonde opere di Satana. Evitatele affinché possiate prosperare”19.
15 Scarpi. P, (2005), Il senso del Cibo, Palermo, Sellerio Editore 16 Scamardella, M. M. Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Ivi cit. 17 Corano, Sura II, 219 18 Corano, Sura IV, 43 19 Corano, Sura V, 90
13
“In verità col vino e il gioco d’azzardo, Satana, vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal Ricordo di Allah e dall’orazione. Ve ne asterrete?”20. Se nella vita terrena il consumo del vino è proibito, non si può dire lo stesso
per la vita dopo la morte. Coloro che potranno accedere alle porte del
Paradiso saranno abbeverati da vino squisito, ossia un vino mescolato con
una delle sorgenti di quel luogo.
Le regole sulle quali abbiamo fatto riferimento sono accompagnate, nei testi
riguardanti la vita del Profeta, da una serie di comportamenti e norme
igieniche da rispettare nell’ambito alimentare. Oltre al noto insegnamento del
Corano secondo cui bisogna menzionare il nome di Allah prima di iniziare
ogni pasto21, ve ne sono altre relative all’obbligo di ringraziare Allah anche
alla fine di ogni pasto.
È buona regola, inoltre, risciacquare almeno la bocca, prima e dopo i pasti e
leccarsi e succhiarsi le dita prima di utilizzare il tovagliolo. È giusto mangiare
con la mano destra, e far girare le pietanze e bevande in senso orario.
Quando si consuma un pasto è bene iniziare dal basso e non dalla parte
superiore della pietanza, acciocchè la benedizione possa scendere dall’alto di
essa. Occorre coprire recipienti contenenti le pietanze, non alitarci sopra e
mai bere o mangiare direttamente da essi.
Gli insegnamenti del Corano, i proverbi, le credenze religiose prescrivono nei
minimi dettagli le regole del saper vivere sociale, le norme di civiltà e di buona
educazione.
Il fine ultimo della cortesia e della buona educazione è il saper compiacere il
proprio ospite. La quantità di cibo messo a disposizione è un complimento per
l’ospite e un segno della sua importanza. Trascurare di offrire cibi e bevande
ai propri ospiti indica una mancanza di stima nei confronti dei visitatori e fa
cadere in discredito il padrone di casa.
20 Corano, Sura V, 91 21 Corano, Sura V, 4
14
Capitolo 2
Il cibo attraverso momenti di incontro e condivisione
Rituali, banchetti e festività Risalenti al primo periodo islamico, in alcuni casi anche all’epoca precedente,
sono le usanze e i termini relativi alla modalità d’invito ai banchetti che
accompagnano i momenti più importanti nella vita di un musulmano e a
tramandarli sono le più comuni fonti letterarie che fanno riferimento a
quell’epoca.
Il termine dā designa storicamente l’invito al banchetto. In caso di invito
collettivo, cioè esteso a tutti i membri della tribù, il termine utilizzato è ğafalā.
Infatti: “ Il rituale prevedeva che questa tipologia di invito dovesse essere fatta
ad una ğufāla (folla), radunata da un emissario che giungeva nel mezzo di un
gruppo di tende o di una riunione dei membri della tribù e dicesse: vogliate
accettare l’invito di (quel) tale”22.
Nel caso di inviti individuali, viene impiegato il termine naqarā, poiché
invitando solo alcuni membri della tribù, l’organizzatore del banchetto effettua
una scelta conseguente ad un esame, intaqara.
Il mondo musulmano è ricco di rituali e cerimonie che accompagnano la vita
dei credenti e per la maggior parte dei casi sono accompagnati da particolari
pietanze preparate appositamente per tali avvenimenti. Se queste mancano
quando è d’uso farle comparire sulla tavola, nasceranno risentimenti e
pettegolezzi.
Nel rituale che vede protagonista la madre nel primo giorno di vita del figlio,
accade che la donna, per simbolizzare e propiziare il futuro matrimonio del
22 Scamardella, M. M. Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Ivi cit.
15
nascituro, mangi una gallina se è nato una maschio e un pollo se invece è
nata una femmina, poiché entrambi i volatili rappresentano i futuri coniugi dei
neonati.
La condivisione, la convivialità e l’ospitalità sono una caratteristica dei paesi
del medio oriente e, come in tutte le culture, anche in quella arabo-islamica il
cibo è l’elemento principale che accompagna gli eventi più importanti della
vita.
Le feste sono momenti di socializzazione e solidarietà intorno a diffusi
sentimenti religiosi. Il cibo preparato appositamente per queste ricorrenze
rappresenta un elemento fondamentale per quelle feste e contribuisce al
processo di riaffermazione dell'identità sociale e religiosa della popolazione
musulmana23.
Per tutti quelli che vivono lontani dal loro paese d’origine poi, le feste religiose
e i cibi che le caratterizzano rivestono un’importanza ancora maggiore perché
danno un sapore a quegli avvenimenti e risvegliano il senso di appartenenza
di un popolo.
Nell’Islam sono due le feste religiose a ricoprire un ruolo davvero importante e
si collocano rispettivamente nell'ultimo e nel terzultimo mese dell’anno
musulmano: la ‘Id Al-Aḍḥā (la festa del sacrificio) e l ’Id al Fi r (la festa della
rottura del digiuno).
- La festa del sacrificio è celebrata ogni anno nel mese lunare di Dhū l Ḥijja, in
cui ha luogo il pellegrinaggio. Il sacrificio che avviene in questo giorno di
festività ricorda quello di Abramo, responsabile della sostituzione di un
montone al figlio che, inizialmente, avrebbe dovuto sacrificare a Dio. In
ossequio a tale accadimento, nel decimo giorno del mese, chiunque se lo
possa permettere offre ad Allah un montone, una pecora o una capra e parte
23 Marchisio. O (2004) (a cura di), Religione come cibo e cibo come religione, Milano, Franco Angeli
16
della carne viene distribuita ai poveri, in modo che ognuno, almeno in quel
giorno, possa mangiare.
- La festa della rottura del digiuno è tra tutte la più attesa, perché segue la fine
del mese sacro del Ramadan. Questa ricorrenza è talmente importante che
per consentire un’adeguata preparazione della tavola, la chiamata per recarsi
alla moschea avviene prima di mezzogiorno. La religione in questo momento
speciale si piega alla tradizione culinaria. Il 1° di sawwal, giorno in cui essa si
svolge, gli amici e i parenti si scambiano delle visite e per l’occasione le
donne della famiglia preparano dolci, pasticcini, confetture, sciroppi che
vengono offerti e regalati.
Ramadan, il mese del digiuno
Il mese sacro di Ramadan che precede questa festa è da un punto di vista
culturale, religioso e sociale il mese più importante del calendario Islamico
perché è durante la notte del 26 e 27 di questo mese che la tradizione colloca
la prima rivelazione del Corano al profeta Muhammad. Il Corano la chiama La
Notte del Destino24.
Durante questo mese, la popolazione musulmana si dedica al digiuno, alla
preghiera e all’elemosina: tutte pratiche a cui il musulmano deve attenersi
superata la pubertà.
Il mese del Ramadan intende limitare le esigenze umane, arginando il più
possibile la loro natura attraverso una forma di disciplina e autocontrollo. Il
cibo è indispensabile nella vita di un uomo ma questi deve saperne dominare
il bisogno.
Si tratta del mese in cui il credente deve offrire tutto se stesso a Dio e deve
ricordarsi della sua umanità ponendo Allah al centro della sua vita. Il
particolare rapporto che si instaura durante questo mese con il cibo mira a
24 Zaouali. L. (2004), L’Islam a Tavola. Dal medioevo a oggi, Bari, Laterza
17
ricostruire l’originario equilibrio tra corpo e spirito. Uno strumento attraverso il
quale l’uomo può accedere al sacro e al divino e sottomettersi ad Allah.
L’astinenza comprende, oltre al cibo e alle bevande dal sorgere al calar del
sole, qualsiasi altro tipo di entità che possa essere introdotto nel corpo tramite
la bocca, quindi anche il fumo e medicinali. È inoltre il mese dell’elevazione
morale e tutti i musulmani sono esortati a coltivare e ad assumere un
atteggiamento pacifico per la loro spiritualità25.
Sebbene sia il digiuno e non il cibo a caratterizzare questo nono mese del
calendario lunare, quest’ultimo assume una valenza particolare per via del
significato simbolico che viene attribuito ad alcune sostanze alimentari.
Al calar del sole, la tavola del Ramadan viene apparecchiata, mentre il colpo
di cannone seguito dal richiamo del muezzin annuncia la fine del digiuno e le
famiglie si riuniscono per l’Iftār. Per quanto riguarda il Maġrib, per la
preparazione di questo pasto vengono adoperati determinati ingredienti: latte,
farina, lievito, uova, datteri, fichi e altri prodotti dolci quali zucchero o miele
che richiamano antichi modelli alimentari legati alla fertilità dell’epoca
preislamica.
Al dattero e all’acqua, elementi principali per l'interruzione del digiuno, viene
aggiunta l’harīra, piatto nazionale marocchino, una zuppa di legumi densa e
vellutata che può essere bianca o rossa (a seconda dell’aggiunta di pomodoro
o meno). Quella bianca si mangia solitamente durante il sahūr, ovvero il pasto
consumato prima del sorgere del sole, momento in cui avviene la preghiera
dell’alba in cui si pronuncia la niyya, ovvero l’intenzione di digiunare.
Tra le pietanze dell’Iftār sono comprese delle frittelle imbevute nel miele, le
halwā, che accompagnano l’harīra, il sellu (un piatto dolce a base di farina,
zucchero, miele, burro e mandorle) o la zamita (piatto simile al sellu al quale
si aggiungono ceci, semi di melone e di lino tostati e schiacciati).
25 Pavanello, D. (2006), Cibo per l’anima, Roma, Edizioni Mediterranee, p. 108
18
Per il sahūr vengono utilizzati in maniera diversa gli ingredienti utilizzati per
preparare le pietanze dell‘ iftār.
Durante questo mese i mercati alimentari sono forniti dei migliori prodotti locali
ed esotici, i pasticceri fanno la loro fortuna nel vendere ogni tipologia di dolci,
le moschee non si svuotano, i fedeli partecipano alle preghiere collettive e
vanno ad ascoltare le salmodie del corano e i canti sufi. La sera, sia nei
piccoli paesi sia nelle grandi città, le piazze si riempiono di gente, giovani,
anziani, donne e bambini che escono per festeggiare il mese più importante
dell’anno.
Capitolo 3 Gastronomia Araba
La Nascita della Gastronomia
Quando gli Arabi conquistarono l’impero Bizantino e Persiano a metà del VII
secolo assimilarono al loro patrimonio culinario quello dei popoli conquistati,
creando così una cultura gastronomica derivante dall’unione di antiche
tradizioni e tecniche di diverse culture.
I Califfi furono i protagonisti di questa nuova arte. Prima gli Omayyadi, che
ruppero il modello austero della tradizione alimentare araba dei primi tempi
dell’Islam con l’introduzione delle raffinatezze della cucina siriana, mettendo in
risalto la predilezione per la cucina Persiana, nota sin dall’epoca preislamica,
soprattutto per quanto riguarda i dolci.
L’arte culinaria araba raggiunse però l’apice della creatività durante l’epoca
degli Abbasidi e i cambiamenti introdotti in questo periodo furono davvero
consistenti. La dinastia del califfato abbaside governò dal 750 d.C.
19
strappando il potere agli Omayyadi anche grazie all’aiuto dei popoli Persiani26,
molti dei quali rimasero in una posizione chiave all’interno del palazzo califfale
e in cucina.
Dopo la conquista, la capitale che prima era Damasco fu spostata a Bagdad.
Per prima cosa il califfato riaffermò il suo carattere religioso. La religione
dell’Islam fino a quel momento era passata sempre in secondo piano, poiché
gli Omayyadi accettarono l’islam relativamente tardi e la scelta avvenne più
per motivi economici che religiosi. Sul piano politico il cambiamento fu ancora
più incisivo: l’impero arabo diventava ufficialmente l’impero islamico. Bagdad
divenne il centro di sviluppo delle arti e della letteratura; ma soprattutto, a
Bagdad, nacque la letteratura gastronomica araba (Fig.1).
Fig. 1: Ibn Sayyar al-Warraq's Tenth-Century Baghdadi Cookbook
L’interesse per la gastronomia, che fino a quel momento era stata considerata
come una semplice espressione della vita materiale quotidiana, crebbe fino a
che studiosi iniziarono a dedicarvi numerose opere, sviluppando così due
filoni letterari paralleli:
26 http://www.treccani.it/enciclopedia/abbasidi_(Dizionario-di-Storia)/ (sito consultato il 13/11/2012)
20
Filone Letterario della cucina di corte: dovuto
all’interesse del cibo tra le classi superiori abbasidi, con testi scritti da questi
esponenti che rimanevano all’interno di tale cerchia; si tratta di una letteratura
mirata a un’aristocratica raffinatezza e a stabilire elevati standard di gusto e
savoir faire per l’elite: poeti, astronomi, studiosi, principi e perfino califfi si
dilettavano a scrivere in merito al cibo. Numerosi furono i poemi relativi al cibo
e le brevi composizioni in prosa, a volte ritmata, attraverso le quali, lodando la
bontà di una specifica pietanza, gli autori ne descrivevano la ricetta sotto
forma poetica. Questi componimenti venivano scritti per allietare ed
intrattenere i commensali dei convivi regali in attesa della successiva portata.
Alcuni scritti invece riguardavano il “galateo della tavola”, altri includevano
riferimenti agli utensili, al loro uso, a come si dovevano pulire e in che modo
utilizzarli. Talvolta si riscontrano casi di redazione di manoscritti di arte
culinaria. Il fratellastro più giovane del califfo Harun al-Rasid, Ibrahim ibn al-
Mahdi, è stato identificato dagli studiosi come l’autore e compilatore del primo
testo di pratica culinaria araba, fondante il genere del Kitab al-tabih (Libro di
Cucina). Si tratta di una raccolta delle ricette di corte di Bagdad del IX sec
d.C. che non ci è pervenuto nella sua forma originale.
“Buona parte di questo è contenuta, insieme alle ricette dei primi autori
anonimi di manoscritti culinari o di versi riguardanti l’alimentazione, in
un’opera del X sec d.C, compilata da Abū Muhammad al- Muzaffar ibn
Nasr ibn Sayyār al- Warrāq, intitolata: Kitāb al- tabīh wa islāh al-agdiya
al-ma’ kūlāt wa tayyib al-at’ima al-masnū āt”27.
Delle cento ricette riportate da al- Warrāq, una quarantina costituiscono
il frammento dell’opera di Ibrāhīm e manifestano l’intenzione del
principe di voler realizzare un’opera completa di pratica culinaria. Un
27 Scamardella, M. M. Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Ivi cit.
21
principe gastronomo, con una profonda conoscenza delle tecniche e
dei processi di cottura, che assume un approccio innovativo nei
confronti della cucina e che, incuriosito da prodotti quali spinaci,
melanzane, zucchine, riso, li introduce nel suo ricettario
sperimentandoli tra antiche e nuove vivande servite in modo tale da
destare stupore tra i commensali dei banchetti.
In molti seguirono l’esempio letterario di Ibrāhīm, tra i gastronomi del
suo tempo e dell’epoca successiva. Molte delle opere originali che
venivano diffuse tra i cultori delle arti culinarie sono state perdute, ed è
solo grazie all’opera degli amanuensi come al- Warrāq che i posteri
sono venuti a conoscenza di queste.
Filone Letterario Dietetico: riguarda trattati scritti da
medici al servizio di Principi, Califfi e alti personaggi di corte che si
preoccupavano della loro salute. La prescrizione di una dieta equilibrata
veniva considerata fondamentale per una corretta salute e da qui l’inizio della
stesura delle opere di dietetica che a volte diventavano addirittura testi di
dietetica personalizzata per i vari sovrani committenti. Gli scrittori
raccomandavano l’utilizzo di piante medicinali, stilavano ricette per la
preparazione di tisane o diete da seguire per prevenire l’insorgere di malattie.
In alcuni testi sono indicate le caratteristiche in dettaglio sulle proprietà
benefiche e non degli alimenti e delle bevande.
Con il declino della dinastia degli Abbasidi, causata dalla caduta di
Bagdad nel 1258 perpetrata ad opera dei Mongoli, la letteratura culinaria
araba si spense. La gastronomia continuò ad avere i suoi appassionati,
che però, con l’affermarsi del puritanesimo religioso divennero più discreti.
Gli autori non sono più aristocratici arbitri del gusto, ma oscuri personaggi
che annotano per il loro piacere personale e uso le ricette, con le quali
istruiscono i servitori.
22
A recuperare le fila di questo patrimonio gastronomico dell’era dei Califfi
fu, nel XIV sec d.C., l’Impero Ottomano. In questa epoca I turchi giunsero
a ottenere il controllo dell’intera area musulmana e la tavola del sultano
raggiunse nuovamente il lustro e lo splendore dei banchetti abbasidi.
Inizialmente, i Turchi presero come modello la cucina Persiana, alla quale
anche gli Abbasidi e ancor prima gli Omayyadi si erano ispirati, ma a poco
a poco svilupparono un proprio gusto, mescolando e unendo cibi adottati
da popoli di gruppi etnici di varie fedi, inglobati nel loro impero, in
particolare quelli degli schiavi, che ricoprivano il ruolo di cuochi di palazzo.
A questa categoria appartenevano genti non musulmane per la maggior
parte provenienti dal Caucaso, dalla Russia e dall’Europa Occidentale che
contribuirono a creare una cucina turca caratterizzata dalla splendida
amalgama di sapori e profumi che la caratterizza ancora oggi.
Influenza della gastronomia araba in Europa e in Italia Oggigiorno quasi tutti conoscono le delizie arabe, presentate regolarmente
nelle riviste gastronomiche. Ristoranti turchi, libanesi, marocchini sono stati
aperti in molte città europee e cucscus e tajin sono i piatti presenti nei
ristoranti più alla moda. In Italia sono pochi gli ingredienti di questa cucina che
non si riescano a reperire. Molti si trovano nei supermercati, quelli più
particolari invece si possono trovare nei numerosi negozi specializzati. Una
delle ragioni della sua popolarità è che la cucina del mondo arabo può essere
considerata vicina a quella “mediterranea”, una cucina ricca di cereali,
verdura, legumi, frutta. La ristorazione nel mondo arabo si sviluppa attraverso
la cucina di strada: poche sedie e tavolini posizionati accanto a un banchetto
mobile (Fig. 2) che offre menù che vanno dalla carne grigliate, agli spiedini,
dal tajine, al cous ‒ cous (Fig.3) etc.
23
Fig. 2: Banchetti mobili a Jema el’Fna, Marrakech
Fig. 3: Banchetto N 1 “Aicha” Jemaa el’Fna, Marrakech
Alle donne, un tempo, non era concesso accompagnare gli uomini a mangiare
fuori, e ancora oggi i bar e i piccoli ristorantini sono quasi esclusivamente
popolati da una clientela maschile.
La cucina casalinga, quella delle donne, con le sue regionali e familiari
variazioni è rimasta pressoché sconosciuta fuori dalle mura domestiche.
L’interesse per la cucina mediorientale si era già sviluppato durante il
Medioevo, un interesse che ha rispecchiato i rapporti tra l’Europa e il mondo
Islamico attraverso i commerci che, quando fiorirono, fecero giungere dal
Levante riso, mandorle, pinoli, frutta secca, albicocche, datteri, unitamente
alle spezie che occupano un ruolo di spicco nella cucina orientale. In Europa,
24
tra i prodotti preziosi, apparvero oltre alle spezie, l’acqua di rose, l’essenza di
fiori d’arancio, il tamarindo etc. I crociati, che tornavano in patria dall’Oriente
dopo anni di servizio, portarono con loro le conoscenze culinarie acquisite in
quegli anni lontano da casa.
In un saggio per l’Accademia Italiana della Cucina, nel 1967, l’orientalista
francese Maxime Rodinson ha riassunto le sue dimostrazioni riguardo
l’influsso orientale sulla cucina europea e ha rivelato l’etimo persiano e arabo
dei piatti presenti in antichi manuali di cucina latini e europei28.
Tale retaggio derivava in parte da trattati arabi di alimentazione e medicina
che ancora nel diciottesimo secolo avevano un ruolo significativo in Europa.
Altri studiosi, a partire dalla prima metà del secolo scorso, hanno rivolto il loro
interesse alle influenze che l’antica gastronomia araba ha avuto nelle cucine
dell’Europa Medioevale e ci hanno dimostrato come alcuni dolci, pietanze, e
ingredienti sono stati portati da quelle popolazioni alle quali, talvolta, veniva
attribuito con tono dispregiativo l’epiteto di barbari o saraceni.
Attraverso la comparazione di libri di cucina del mondo arabo con quelli del
Meridione d’Italia, Scamardella trova alcune ricette inequivocabilmente simili,
anche a partire dalla denominazioni dei piatti:
“Vivande quali summāqīya, la rummānīya, laymūnīya e la ma’mūnīya trovano i
loro corrispettivi nella sommachia, romanìa, lamonìa, mamonìa, dei
manoscritti italiani composti tra la fine del XIII sec e gli inizi del XIV.29”
L’autrice ricorda inoltre che alcune di queste pietanze non figurano, almeno
con i nomi originali, nei ricettari italiani da almeno tre secoli circa.
28 Roden, C. (2005), La cucina del Medio Oriente e del Nord d’Africa, Milano, Ponte alle Grazie. 29 Scamardella, M. M. Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Ivi cit.
25
L’origine araba delle ricette Limunia e Romania presenti in Italia, a base di
succo di limone (limun) e di mela granata (roman) è attestata anche da J.L.
Flandrin30.
Attualmente, la totale inesistenza dell’uso del sommaco nella nostra penisola
potrebbe confermare nel caso della summāqīya la totale assenza dell’uso del
nome e della pietanza stessa.
- La rummānīya, per la preparazione della quale si prevede l’utilizzo del pollo
e del melograno, pur avendo perso la sua identità sia nell'allestimento del
piatto sia nella sua denominazione, appare in varie versioni, contraddistinta
dall’utilizzo di questi due ingredienti, all’interno di libri e di riviste della
gastronomia Italiana (pollo al melograno).
In diversi testi si tiene tuttavia a sottolineare quanto questo genere di pietanza
risulti poco comune nel consumo alimentare quotidiano, seppur rimanga
comunque una traccia nelle preparazioni gastronomiche di alto livello.
- Per quanto riguarda la laymūnīya, questa preparazione vede nel ruolo di
protagonisti il pollo e il limone. Questa pietanza è ancora molto conosciuta e
utilizzata nel Meridione d’Italia, anche se la ricetta ha perso, insieme all’antico
nome, l’originale metodo di preparazione.
- Un caso particolare, sempre per Scamardella, ricopre la ma’mūnīya, della
quale ricetta l'autrice ha ricercato tracce nel nostro patrimonio culinario
attuale. Il confronto della ricetta araba con quelle a base di riso, presenti nei
manoscritti italiani, fa pensare che tale piatto possa essere l’antenato del
bianco mangiare, di risi cu latte, e dello sformato di riso:
30 Montanari, M. (a cura di) (2006), Il mondo in cucina, storia, identità, scambi. Bari, Gius. Laterza & Figli pp. 55-56.
26
“La pietanza descritta nel libro di cucina di Ibn al-‘Adīm era un piatto dalla
consistenza molto densa, contenente pollo, riso pestato, latte, mandorle,
spezie e zucchero. Una preparazione molto simile, con l’eccezione che al
posto del latte viene impiegato il latte di mandorle, è la pietanza denominata
mamonia che si trova nel Liber de Coquina. La stessa pietanza, contenente i
medesimi ingredienti e preparata allo stesso modo, nel Manoscritto di
Anonimo Veneziano del trecento e nel Libro di Cucina del secolo XIV è
chiamata bramagere nella prima opera e blasmangeri o bramagere nella
seconda”.31
In Sicilia la pietanza del risi cu latti è molto comune tra i dolci al cucchiaio e
anche in Campania, tradizionalmente, per la merenda dei bambini veniva
spesso preparato il riso al latte. Oggi in alcuni menù di ristoranti, a volte,
capita che tra le proposte dei dolci figuri il biancomangiare.
Da non dimenticare è poi l’introduzione degli arabi in Italia della pasta secca:
nel Mediterraneo orientale si inventa un nuovo tipo di pasta, chiamata itrīya
nel mondo arabo, dal formato lungo e adatta alla conservazione, in quanto
essiccata. La Sicilia nell’alto Medioevo subisce l’occupazione araba
assimilando una parte della sua cultura alimentare. Nasce una fabbrica di
pasta a Trabia e, nei secoli successivi, nascono pastifici importanti in Liguria e
a Napoli32. Nel corso del tempo, gli italiani si guadagnarono l’appellativo di
mangia-maccheroni. Ad oggi la pasta è considerata come uno dei prodotti più
identificativi per la nostra Nazione.
E ancora dolci, salse, bevande insieme ad altre preparazioni le cui origini
sembrano essere state quasi perse, rievocano nella fantasia e sulla tavole del
meridione d’Italia antiche presenze della cultura araba. La dinamica degli
31 Scamardella, M. M. Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Ivi cit. 32 http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:In-nKpIxaL0J:ftp.slowfood.it/materiali_didattici/TRIENNIO/2010-2011/I%2520ANNO/Storia%2520dell'alimentazione/Storia%2520della%2520pasta.ppt+&cd=14&hl=it&ct=clnk&gl=it (documento consultato il 20/11/2012)
27
scambi, incontri, di assimilazioni tra la popolazione Islamica e dell’Italia è
stata sempre molto forte e ha saputo dare origine a nuove identità culturali e
alimentari che, come abbiamo detto all’inizio di questo breve saggio, si
costituiscono attraverso il confronto, lo scambio e, in questo caso di studio,
attraverso le differenze dettate dalla religione a cui si appartiene.
28
Bibliografia
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Montanari, M. (a cura di) (2006), Il mondo in cucina, storia, identità, scambi. Bari, Gius. Laterza & Figli
Montanari. M, (2010,) L’identità italiana in cucina, Bari, Gius. Laterza &
Figli s.p.a
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Roden, C. (2005), La cucina del Medio Oriente e del Nord d’Africa,
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Scamardella, M. M, (2007), Profumi saperi e sapori del mondo arabo ‒ islamico. Storia, letteratura e curiosità dell’arte culinaria araba attraverso i secoli, Napoli, Arte Tipografica Editrice
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29
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