Il mondo degli oggetti dimenticati

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ISTITUTO COMPRENSIVO “MORO- PASCOLI” CASAGIOVE (CE) Il mondo degli oggetti dimenticati Progetto “Lettura e scrittura creativa” Prof.ssa Gravante Savina Anno scolastico 2014-2015

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ISTITUTO COMPRENSIVO “MORO- PASCOLI”

CASAGIOVE (CE)

Il mondo degli oggetti

dimenticati Progetto “Lettura e scrittura creativa”

Prof.ssa Gravante Savina

Anno scolastico 2014-2015

Page 2: Il mondo degli oggetti dimenticati

Lettere...oggetti dimenticati, sottovalutati, spesso ritenuti

insignificanti... ma le parole incise su di esse lasciano il segno, hanno

un valore inestimabile, hanno la capacità di rimarginare ferite, di

suscitare profonde emozioni. A volte ci fanno riflettere, ma

soprattutto fanno rinascere in noi la speranza, le illusioni nella vita,

nell’amore...

(riflessione tratta da uno dei racconti degli alunni)

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L’emozione di un ricordo

La vecchia soffitta era in uno stato

pietoso, quel giorno.

I mobili erano rovesciati a terra e

con essi anche i centrini di pizzo e le

tazze da tè. Il lampadario emanava

una luce fioca, quasi inutile per quella

soffitta così buia. Le sedie erano

rovesciate a terra, alcune di loro

completamente rotte. Tutta colpa

del terremoto della sera precedente.

Giulia entrò nella stanza e quasi le venne da piangere. Era la stanza a cui teneva

di più, anche se era la più vecchia. Anzi, forse era proprio questo il motivo.

Iniziò a raccogliere i cocci delle tazze e i vetri rotti delle bottiglie con le sue

mani bianche, ormai deboli per la vecchiaia. Cercò di alzare i mobili da terra e,

dietro al divano color mogano, trovò un grande baule di cui non ricordava

nemmeno l’esistenza. Si sedette sul divano e prima di aprirlo si fermò un attimo.

Provava una leggera emozione, le piacevano le sorprese e si era lasciata

travolgere dall’impulso irrefrenabile della curiosità.

L’aprì. Davanti ai suoi occhi apparve un vestito. Dapprima non lo riconobbe, anche

se il pizzo blu e la cintura di perle le dicevano qualcosa. Poi ricordò. Quello era il

vestito che aveva indossato la sera che conobbe Nicola, l’uomo che aveva sposato

e con il quale aveva condiviso la sua vita fino a pochi anni prima, quando era volato

via, lasciandola sola.

Gli occhioni neri le si inumidirono, guardando quel vestito un po’ consumato dal

tempo. Ricordava come se fosse stato quella sera. La sorella le aveva proposto di

andare con lei a quella festa. Giulia non aveva esitato neanche un minuto perché

amava le feste, i balli, la gente.

Ci mise tempo per prepararsi. Si strinse il vestito e la cintura intorno alla vita,

indossò i guanti immacolati e si bagnò il collo con una goccia di profumo rubato

alla madre.

Era una giovane diciottenne, a quei tempi.

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Arrivarono nella grande sala dei signori Boot, i genitori della festeggiata, una

giovane amica della sorella, che Giulia a malapena conosceva. Ricordò l’emozione e

la grande contentezza che le riempivano il cuore in quel momento. Iniziarono a

danzare e i pretendenti di Giulia erano sempre di più, tutti affascinati dalla sua

grande bellezza ed eleganza.

La serata procedeva tranquillamente, quando Giulia incontrò gli occhi azzurri di

Nicola. Il ragazzo la guardava, seduto su un divanetto. L’aria assorta in chissà

quale pensiero, ma gli occhi fissi sulla ragazza.

Giulia rimase un attimo immobile, lusingata e affascinata dalle attenzioni del

giovane. Iniziò un lungo gioco di sguardi, che era l’unico modo per poter

comunicare, a quei tempi.

Si ricordò della musica di sottofondo e degli odori che riempivano la stanza. Ed

ora, se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a sentirli. Ricordò che il gioco di

sguardi era continuato per parecchio, fino a quando Nicola si alzò. Il cuore fece

un balzo e le gambe iniziarono a tremare. Nella sua testa comparvero due opzioni:

scappare o restare immobile, come se non stesse accadendo nulla. La decisione

era da prendere molto velocemente, perché il ragazzo si stava avvicinando.

Spostò lo sguardo sulla sorella, che sedeva insieme ad alcune compagne e non

sembrava curarla più di tanto. Pensò di star perdendo solo tempo, perché Nicola

era quasi arrivato da lei. Voleva scappare. Alzarsi e correre via, l’emozione era

troppo forte. Le gambe, però, erano paralizzate e, prima che potesse fare uno

sforzo e cercare di alzarsi, il ragazzo era già da lei. Si ritrovarono faccia a

faccia e quando l’orchestra iniziò a suonare le prime note della canzone, Nicola

porse la sua mano a Giulia.

La sua bocca non emise alcun suono, sorrideva. Ma i suoi occhi parlavano. Giulia

rispose con un sorriso impacciato, imbarazzato, ma non volle rifiutare l’invito del

giovane. Era un’occasione così importante per lei, era la prima volta che si

innamorava. Beh, forse dire “innamorata” era una parola grossa, ma quel giovane

dall’aspetto così nobile la affascinava. E così posò la sua mano su quella di Nicola,

si alzò e insieme si tuffarono nelle danze. Benché fosse emozionatissima, Giulia

non risultò impacciata. I due giovano ballarono con disinvoltura sulle note di

quella canzone che a Giulia piaceva tanto: Montecarlo. Gli occhi di Giulia

luccicavano di gioia e i due ballavano così bene che guadagnarono il centro della

sala. Quando la musica finì Giulia fece un profondo inchino al suo cavaliere,

sorridendo spontaneamente.

Era felicissima.

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Nicola la invitò ad un altro ballo e poi ad un altro ancora e ancora. la serata volò

via. Era l’inizio di un amore straordinario che sarebbe durato tanti anni.

Giulia sentì una lacrima scendere lungo la guancia. La mente era completamente

immersa nei ricordi. Ad un certo punto però il rumore di una porta che si

chiudeva la riscosse dai suoi pensieri.

Una voce urlò: ”Mamma! Sono tornata! La voce era accompagnata da gridolini di

bambini, tutte voci familiari per Giulia. Era sua figlia che, dovendo lavorare il

pomeriggio, era passata per lasciare Gabriele e Sara alla loro nonna.

“ Nonna! Nonna! Dove sei?” urlarono i bambini.

“Arrivo” disse Giulia , asciugandosi frettolosamente le lacrime e richiudendo il

vestito nel baule. Poi si avviò verso la porta e per un attimo si voltò indietro. Un

ultimo sguardo al vestito che le aveva fatto rivivere una grande emozione.

Un vestito dimenticato, ma che aveva significato tantissimo per lei.

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Una lettera d’amore

Laura si commosse quando la lesse. Era una

lettera del fidanzato, inviata dalla

Germania. In quel periodo era da poco

scoppiata la seconda guerra mondiale e il

fidanzato di Laura, Robert, era una spia

inviata dagli americani. Lei era italiana, lui

americano, non potevano stare insiemi italiani e americani in quei tempi di

terrore, ma l’unica cosa che importava loro era l’amore, fino a quando lui per

lavoro non dovette trasferirsi in Germania. Era diventato una spia.

Lei fu distrutta dalla notizia ma continuò ad essere felice perché lui le inviava

delle lettere, delle lettere d’amore, per tenerla su di morale anche se lei

continuava a soffrire per la sua mancanza, soprattutto dopo aver scoperto che in

lei stava nascendo una nuova vita, il frutto del loro amore. La sua sofferenza

però aumento anche a causa di un’altra cosa che senza saperlo le avrebbe

rovinato la vita : il nazismo in Italia. Le leggi razziali stavano per abbattersi

anche sugli ebrei italiani, che avevano sempre vissuto in maniera serena e

pacificamente con tutti.

Anche Laura apparteneva ad una famiglia piuttosto agiata, ma ormai la ricchezza

non aveva più valore. Quando la situazione divenne pericolosa ella si nascose e

riuscì a sopravvivere fuggendo in Svizzera, dove visse fino alla fine delle guerra.

Quando tornò la sua casa era tutta a soqquadro. l’aveva fatta ristrutturare ma

c’era una stanza che era rimasta proprio come allora. Fino a quella sera si era

rifiutata di entrarvi ma ormai sentiva che era giunto il momento. Non aveva

saputo più niente di Robert, non sapeva se era morto, non sapeva se era vivo, non

sapeva se lui l’aveva dimenticata. Con coraggio entrò in quella stanza fantasma e

tra tanti vecchi bauli trovò una lettera che non aveva letto. Erano fuggiti così in

fretta che non le avevano dato neanche il tempo di prenderla. Era ancora

leggibile. C’era scritto:

Berlino, 16 Giugno 1946

Cara Laura,

mi manchi. Non riesco più a stare qui dentro, soffro troppo. È un inferno.

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Tu come stai? Ti ricordi quando eravamo a Napoli e ti avevo giurato che sarei

stato sempre accanto a te? Purtroppo non posso tenere fede a quel giuramento....

almeno per ora. Forse la mia copertura è saltata, i tedeschi sono diffidenti e non

credo parlino ancora bene nei miei confronti; l’altro ieri siamo andati in missione:

abbiamo affrontato gli americani. Io ero incerto se sparare o no perché tra loro

c’era la persona che mi aveva mandato a Berlino. Per un attimo ho provato il

desiderio di ucciderlo per quello che mi aveva fatto, distruggendo tutti i miei

sogni nel giro di poco tempo, portandomi lontano da te e mettendo in pericolo il

nostro futuro. Poi, però, non ho sparato. Io non ho mai ucciso un uomo e mai lo

farò. I miei “ compagni”, i nazisti, hanno ucciso così tante persone che non puoi

neanche immaginare. Erano dei mostri. Spietati. Io non li sopporto. Fanno del

male anche ai bambini. Sono inclini alla violenza e all’odio. Spesso mi chiedo com’è

possibile che un uomo pensi di avere il diritto di togliere la vita ad un altro uomo?

Perché credono di essere superiori? La vita è un dono prezioso e noi dobbiamo

rispettarla sempre, prendercene cura...

Spero che non abbiano intercettato la mia lettera, anzi, le mie lettere, anche

perché io le mandavo ad una persona antinazista. Queste lettere sono il mio unico

conforto in questo mondo di caos e di disperazione.

Spero di poterti rivedere un giorno. Spero di poter ritornare ad essere felice

con te in un mondo di pace.

Robert.

Ormai lei era diventata anziana, era diventata nonna e viveva in casa con la figlia.

Questa lettera la sconvolse. Ripensò, quindi, a tutti i bei momenti passati con lui

e soprattutto pensava al fatto che nonostante tanta sofferenza lui aveva

combattuto per una cosa giusta, per quell’idea di libertà in cui aveva sempre

creduto ciecamente e in nome della quale aveva dato pure la vita. Un ideale che

pure gli era costato caro, impedendogli di stare vicino alle due persone a cui

teneva di più, la sua dolce Laura e la bambina che stava portando in grembo e che

avrebbe cresciuto da sola, nella più completa solitudine.

Da quel giorno anche la vita di Laura cambiò, iniziò ad impegnarsi per la libertà.

Fondò associazioni, partecipava a conferenze, ad incontri e dibattiti con le

scuole; voleva dare un messaggio a tutti, soprattutto ai ragazzi: spiegare cosa

significa “lottare per essere liberi”, proprio come aveva fatto il suo Robert.

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Da una foto ad una storia surreale

Un giorno, tornando da scuola, decisi di

andare a trovare mia nonna. Stetti l’ intero

pomeriggio da lei: l’ aiutai a lavare i panni, a

cucinare e a pulire la casa. Io decisi di pulire

la camera da letto e mentre pulivo i cassetti

vidi un foglio giallastro e leggermente

rovinato. lo tirai e mi ritrovai con una

fotografia in bianco e nero, che

rappresentava una bambina con un vestito

molto vaporoso, con una collana piena di

brillanti e delle scarpette con un fiocchetto

molto semplice. Era appoggiata ad un enorme

specchio con una cornice in rilevo

raffigurante fasce di foglie e frutti di ogni

dimensione.

Non riuscivo a capire chi fosse quella bambina, ma soprattutto perché fosse vestita

così , sembrava una principessa.

Tutto questo mi incuriosì troppo e decisi di chiedere tutto a mia nonna. Quando le

mostrai la foto, mi sorrise e iniziò a raccontarmi tutta la storia della bambina: –

Questa era la tua zia , sai ?!?!-, mi disse e io mi stupii molto e le chiesi:-Sul serio?-. –

Te lo assicuro - ,mi rispose e così continuò a raccontare.

-Si chiamava Clara ed era russa- disse, - Era molto gentile con tutti sia da piccola, sia

da grande e tutto il popolo la amava-. Mi salì la curiosità e le chiesi: - Nonna perché

era vestita così? Sembrava una principessa-, - Forse perché lo era ?!?!-. Rimasi per 2

minuti senza dire niente e poi dissi:- Nonna, ma sei sicura di quello che dici?!?!

L’ impero che ricordo in Russia di quel periodo è l’ unico e grande Impero Russo-.

– Infatti suo padre fu quello che, purtroppo , dovette andarsene per via delle continue

rivolte che fecero i cittadini e i comunisti e la povera Clara dovette scappare insieme

a tutta la famiglia qui in Italia, ma il padre e la madre furono sparati da due cittadini

che li seguirono e li volevano vedere morti-, mi raccontò la nonna. Rimasi molto colpita

da tutto ciò, che mi stava dicendo mia nonna e non decisi di parlare , proprio per farle

finire il suo racconto e capire cosa c’ entrasse la principessa russa con la mia famiglia.

Continuò a raccontarmi e disse:- Clara non sapeva dove andare e soprattutto cosa fare

, perché era ancora molto piccola. Ormai con lei era rimasta solo la cameriera della

mamma che non poteva pensare anche a lei, perché aveva già 3 figli piccoli da

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crescere, allora decise di portarla in un orfanotrofio e come potrai capire furono i

nostri familiari ad adottarla e così rimase con noi per tutto il tempo, ma…-. Ad un

tratto suonò il telefono ; era la mamma che mi avvisava che tra qualche minuto, mi

sarebbe venuta a prendere . dissi, allora, alla nonna:- Ti prego nonna, dillo tu a mamma

che mi deve venire a prendere più tardi. Non voglio andare a casa adesso! Voglio

sentire la fine della storia! -.

Riuscì a convincere mamma e quindi rimasi fino all’ ora di cena , però dovevo prima

finire i compiti e poi avrei saputo il continuo della magnifica storia di Clara.

Non ero abbastanza concentrata , perché non riuscivo a pensare ad altro e quindi li

feci tutti velocemente e penso di averli fatti male, ma non mi interessava; volevo

sapere la fine della storia. Andai di là e dissi alla nonna :- Nonna ho finito , ora finisci

di raccontare la storia-.- Va bene- mi rispose e ricominciò a raccontare. – Ti stavo

dicendo , ma quando compii 18 anni le dicemmo tutta la verità delle sue vere origini e lo

stesso giorno decise di prendere un aereo e di tornare in Russia. Purtroppo non tornò

più da quel viaggio e dopo 20 anni , scoprimmo che quando arrivò lì nessuno la ospitò ,

neanche il più misero degli alberghi e fu costretta a vivere in una piccola casetta,

isolata dal resto della città di Mosca. Un giorno, non ce la fece più e decise di tornare

in Italia, ma con l’ aereo non poteva , perché aveva perso tutti i soldi. Decise , allora ,

di tornare a piedi e ovviamente non ce la fece ad arrivare qui in Italia, anche se le

mancava davvero poco, perché si trovava in Austria quando morì-. – E avete scoperto

perché è morta?-, dissi e lei mi rispose:- Non ce lo hanno detto, ma noi pensiamo che

non abbia affrontato bene il freddo della Russia e quindi si ammalò e non riuscì a

guarire e non riuscì a superare il confine-.

Questa storia mi ha colpito così tanto che mi promisi che appena avrei avuto figli,

gliel’ avrei raccontata e loro ai loro figli , in modo che tutti la potessero conoscere ,

almeno in famiglia.

Sono diventata, però ,una giornalista e quindi decisi di scriverla e di pubblicarla: il

titolo.. Un destino incredibile!

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Oggetti con una storia... ogni

momento è buono per ricordare...

Napoli, 01-04-2000

Salve, io sono Paola, sono divorziata da quattro

anni, ho tre figli e vivo a Napoli in un

condominio di dodici piani, con dei vicini

abbastanza detestabili.

Voglio raccontarvi l’episodio che ha cambiato

radicalmente il corso della mia vita.

Era lunedì mattina, i miei figli erano a scuola e i miei vicini puntualmente a

litigare. Nella casa accanto alla mia vivono due signori anziani, gli Smith. Il tempo

prometteva una giornata di sole, ma passeggiare a Napoli centro con tutto lo

smog possibile e immaginabile non è perfetto, se uno ha lo scopo di vivere almeno

cento anni. Tra schiamazzi e urla, decisi di andare nella soffitta all‘ ultimo piano;

aprii la porta e un grosso cumulo di polvere mi fece starnutire. Avevo voglia di

sistemare il vecchio baule regalatomi dai miei nonni.

Aprendo il baule scorsi con la coda dell’occhio un topo con una zampetta mozzata,

con la coda tutta storzellata. Mi ricordava tanto il mio piccolo e vecchio Occhio

Pocchio, un cagnolino con caratteristiche diverse dagli altri piccoli della

cucciolata di nonna Livia.

Occhio Pocchio era un piccolo pastore tedesco, mi piaceva tanto giocare con lui in

spiaggia nelle lunghe giornate d’estate. Mio nonno Ciro mi portò poi a casa sua ma

mentre scendevamo dalla macchina, il cagnolino iniziò ad inseguire un gatto e non

tornò più. Lo aspettai tutto il pomeriggio e, quando il sole stava per tramontare, il

nonno mi portò in casa con gli occhi gonfi di lacrime. Al solo pensiero di Occhio

Pocchio piango tuttora.

Le lacrime fanno posare il mio sguardo su un vecchio abito...

Mi ricordai all’istante di quel giorno. Era il 15-5 del 1971, mi svegliai alle sette

della giornata più importante della mia vita. I venti anni devono essere

indimenticabili.

Alle 9.00 ero già a passeggiare per Caserta, città piena di turisti negli anni ’70.

Mi trovavo in Via Mazzini quando fui attratta da un vestito rosso con alcune

striature nere sulla spalla destra. Sotto il manichino vidi delle stupende scarpe

nere con dei tacchi a spillo. Mi innamorai all’istante di quel vestito e lo comprai

subito con i miei risparmi. Corsi a casa con l’auto nuova regalatami dai miei

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genitori e mostrai il vestito a mia madre che ne fu disgustata. Secondo lei i veri

vestiti erano i suoi: pantaloni a zampa d’elefante, magliette giallo fluo, parrucche

afro...

Insistette per farmi indossare i suoi vestiti ma non ci fu verso... indossai il mio

abito. Quella sera incontrai gli amici e conobbi Luca, Luca Visalbi. Mi colpirono i

suoi capelli biondi, gli occhi azzurri, le labbra carnose. Dopo qualche giorno io e

luca eravamo felici insieme....

Uscita dal passato, guardo in direzione di un telo bianco, con tantissimi ricami

rosa; prendo il telo e trovo la foto del mio matrimonio. Quanto tempo è passato,

me ne rendo conto solo ora, guardando il mio giovanissimo volto sorridente e il

mio corpo sottile nel semplicissimo vestito bianco a mezze maniche, con un lungo

velo trasparente e un lungo strascico, elegante e allo stesso tempo molto fresco,

visto che era Giugno, l’otto Giugno. Ricordo il posto bellissimo, immerso nella

natura e la torta bianca con i due sposini vestiti esattamente come noi, con

almeno cinque piani. Nella foto riconosco i miei genitori, i miei zii, i loro figli e

altri parenti di cui non ricordo il nome.

Dopo poco nacque la mia prima figlia, Amy e, quando Amy aveva otto anni,

nacquero due gemelli, Paul e Benny.

Purtroppo , il tempo cambia le cose e le persone e io e Luca divorziammo.

Di colpo mi giro e mi trovo dietro i miei tre figli che iniziano a girare e a frugare

ovunque. poi si avvicinano, mi abbracciano e mi chiedono di andare tutti e quattro

la domenica successiva nella casa al lago del mio ex marito. Non posso dire no,

hanno preso tutti e tre bei voti al primo quadrimestre. Torniamo a casa e chiamo

luca per dirgli che accettavo l’invito di domenica. Passano i giorni, dopo la messa

domenicale partiamo per il lago, ma prima prendo la foto del matrimonio. Appena

arrivati, i bambini corrono verso il padre, che mi guarda con degli occhi che mai

mi avevano guardato in quel modo. Lui mi si avvicina, come se volesse

abbracciarmi, intanto io premo la foto nella tasca, la stringo e poi gliela mostro.

Incrocio di nuovo i suoi occhi azzurri che sembrano dirmi dove sei stata tutto

questo tempo? La stessa frase che mi aveva detto il giorno in cui ci siamo

fidanzati. Capisco all’istante che i suoi sentimenti per me ci sono ancora.

Haway 25/06/ 2000

Come sottofondo musica nuziale, come abito costume da bagno, come cattedrale

il mare: matrimonio perfetto.

Una nuova foto viene scattata, messa sul comò del salone e forse un giorno

chissà, tornerà in soffitta, pronta a raccontare una nuova storia.

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Una foto dimenticata

In una fredda domenica d’inverno io e mia sorella Leila ci svegliammo guardando i

fiocchi di neve che sfioravano la nostra finestra . Il cielo era grigio e la temperatura

era sotto lo zero , scendemmo dal letto ci infilammo le ciabatte e scendemmo al primo

piano, per bere una tazza di cioccolata calda davanti al camino . Dopo aver fatto

colazione salimmo in camera nostra per vestirci , io vidi un piccolo raggio di sole che

oltrepassava le nuvole e si rifletteva nella nostra stanza indicando la libreria piena di

libri d’ogni sorta che mio padre aveva sistemato momentaneamente nelle nostra

stanza. Mi avvicinai e fui attratta da un libro dalla copertina rosso bordeaux che

sembrava piuttosto antico. Lo presi e iniziai a sfogliarlo quando vidi una foto in bianco

e nero in cui c’erano due giovani fidanzati che si abbracciavano e dissi:-Guarda Leila !

Una foto di due innamorati !-.Leila molto stupita disse : -Oh che bella !Ma chi sono?-.

-Non ne ho idea , ora non abbiamo tempo , finiamo di vestirci e andiamo a casa dei

nonni a mangiare , sennò facciamo tardi-.

-Ok Sharon, sbrighiamoci!-.Quando finimmo di parlare ci affrettammo a vestirci ed

infilammo la foto nella borsa .Salimmo in macchina e facemmo vedere la foto ai nostri

genitori , loro però non riuscirono a dirci esattamente chi fossero i due giovani .

Durante il viaggio per arrivare a casa dei nostri nonni , io e Leila riflettemmo molto su

chi potessero essere , ma senza risultati . Poi girai la foto e c’era scritto:-Il nostro

amore non finirà mai!-.Alla fine della lettera c’era una firma molto familiare , con

l’aiuto di mia mamma riuscii a capire che i due ragazzi , indovinate un po’?Erano i miei

nonni!!! Non ci potevo credere , non vedevo l’ora di arrivare e l’ansia saliva , ero molto

curiosa, anche Leila lo era . Quando arrivammo Leila corse subito a citofonare , e

finalmente salimmo . Salutammo i nonni , mangiammo tutti insieme e dopo aver ingerito

l’ultimo boccone della buonissima pasta che nonna aveva fatto apposta per noi , sfilai

dalla borsa la foto e l’appoggiai sul tavolo . Nonno prese la foto , si mise gli occhiali e

disse:-Leila , Sharon di chi è questa foto?-La nonna intervenne dicendo:-Caro , questi

due giovani siamo noi!!-.La nonna e il nonno si guardarono con gli occhi “a cuoricino” .

Leila, molto curiosa, chiese ai nonni se ci potevano raccontare la storia di quella foto.

Il nonno tossì ed iniziò a raccontare: ”Allora, era una domenica come questa, faceva

freddo ed era arrivato il giorno che sarei dovuto partire per la Germania per lavorare

lì. Vostra nonna mi accompagnò alla stazione ed io non sapevo quando sarei tornato in

Italia. Ci salutammo velocemente perché il treno stava partendo. Durante tutti quei

mesi di lontananza, mesi che sembravano anni, ci scrivemmo tante lettere d’amore, una

al giorno o quasi. Dopo ben due anni, finalmente ritornai a casa e quando io e vostra

nonna ci incontrammo, decidemmo di farci fare una fotografia per ricordare quel

momento di grande felicità. Come vedete non ci siamo lasciati mai più. Anzi, siamo più

uniti che mai, abbiamo una bella famiglia con due figlie e due nipotine bellissime di cui

andiamo fieri,”

Corsi ad abbracciarlo, mi aveva regalato un’emozione infinita.

Page 13: Il mondo degli oggetti dimenticati

La via dell’amore

L’amore è nell’aria, spesso ci circonda, ma a

volte è racchiuso in dei pezzi di carta

insignificante, spesso conservati in posti

umidi, polverosi. Piccoli pezzi di carta, che

però racchiudono i ricordi principali del

nostro passato.

Era un uomo maturo, Francesco, sulla

cinquantina, gentile e ironico; appariva

esteriormente una persona serena, ma in un

angolo del suo cuore aveva una cicatrice

enorme, che nessuno mai sarebbe riuscito a

rimarginare.

Aveva alle sua spalle una storia che gli aveva fatto smettere di credere nella cosa più

bella della vita: l’amore.

Lui aveva visto nascere la donna che da quel momento gli avrebbe cambiato la vita nello

stesso momento in cui vide morire la donna che aveva già rivoluzionato la sua, di vita.

Gli dissero tutti che era stato un parto complicato ma lui nel suo profondo pensava

solo che lei ormai era morta. L’unica ragione che permetteva di dar scorrere il corso

della vita di Francesco era Clara, una bambina così ingenua, piccola, fragile...

Quando Francesco fece la scoperta che fu in grado di rimarginare le sue ferite Clara

era già una donna forte e in grado di saper badare a se stessa.

Il cielo era aperto con una luce immensa, gli alberi che circondavano la casa

risplendevano con il loro verde; Francesco era alla ricerca della sua vecchia canna da

pesca perché stava per trascorrere una vacanza al lago con la figlia. Cercò in tutta la

casa senza successo fino a che gli venne in mente di andare a rovistare in soffitta per

riuscire nel suo intento.

La soffitta di quella casa era particolare perché nascondeva vari segreti dei quali solo

alcuni furono svelati.

Francesco cercò la sua canna da pesca ovunque, nei bauli, negli armadi, finchè si girò e

al buio, con quel po’ di luce che penetrava dalla finestra vide una valigia.

Non era nascosta, era messa in un posto visibile, come se il proprietario avesse

dimenticato di rimetterla a posto.

Curioso, ma allo stesso tempo sospetto, Francesco decise di aprirla per vedere cosa

contenesse.

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Trovò delle buste contenenti delle lettere di carta ingiallita, un po’ ammuffita, ma il

contenuto non era vecchio nemmeno di un anno. Racchiudevano al loro interno parole

che nemmeno a sentirle cento volte avrebbero annoiato.

Gli scrittori erano Alessandro e la sua amata Sofia , i genitori di Francesco.

Alessandro era un acceso interventista, aveva partecipato direttamente alla prima

guerra mondiale e durante le lunghe giornate in trincea scrivendo lunghe lettere alla

sua amata.

Lo stesso faceva Sofia con tutta la sua paura dato che poteva perdere l’amore della

sua vita. Desiderava solo avere sue notizie.

Ogni volta che riceveva lettere dal fronte il suo cuore batteva fortissimo, a volte

rischiava di strappare la carta per la fretta di aprire la busta. Annotava

minuziosamente i giorni in cui non riceveva notizie e quanto tempo era passato dalla

partenza.

Una lettera colpì profondamente Francesco; al suo interno il padre aveva espresso

tutto l’amore per Sofia, l’amore per la vita, l’unione spirituale tra i due, la nostalgia di

rivedersi e i giorni che sembravano eterni... questi sentimenti erano più forti della

voglia di combattere valorosamente.

Quando aveva saputo che la moglie era incinta le aveva subito scritto che non era

riuscito a trattenere le lacrime, aveva pianto di felicità, e che non vedeva l’ora che

finisse quella terribile guerra per vivere la sua vita assieme alla donna che amava.

Francesco aveva gli occhi che brillavano per la commozione; quelle lettere avevano

colpito profondamente il suo animo e iniziò ad immaginare il momento in cui suo padre

ritornò finalmente a casa, un momento intenso, colmo d’amore, con tanta voglia di

vedersi, di abbracciarsi...

All’interno delle lettere era descritta anche la dura vita che quel povero uomo doveva

trascorrere nelle trincee; con i suoi occhi aveva visto i suoi compagni morire ad uno ad

uno, la sua anima era come congelata perché temeva di soffrire se si fosse

affezionato troppo alle persone nel vedere il loro dolore. Preferiva pensare a

sopravvivere aspettando il giorno del ritorno. Le trincee erano delle cave, delle fosse

nella terra dove i soldati combattevano, dormivano, insomma trascorrevano la loro

vita. Era riuscito a sopravvivere, era riuscito ad evitare più volte il fuoco nemico, ma la

sua esistenza non era felice....

- La vita è difficile qui- scriveva alla sua Sofia- si ha sempre paura di morire, di

trovarsi faccia a faccia con nemico. Si vive col sangue raggelato, patendo la

fame; molti soldati cedono anche per le condizioni dure da sopportare.

In ogni lettera di Alessandro venivano descritte queste situazioni e questo suscitava

in Sofia emozioni contrastanti. Una felicità amara. Era felice perché con l’arrivare

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delle lettere capiva che il suo amato era ancora vivo, ma poi subentrava la paura e la

sofferenza. Anche lei soffriva insieme a lui.

L’alba e il tramonto sembravano distanti anni, i giorni non passavano mai, per non

parlare dei mesi...

All’improvviso Francesco sente Clara che lo chiama:

“ Papà”- squillò la voce armoniosa della fanciulla.

“dimmi Clara”- riuscì a rispondere il padre ancora visibilmente commosso.

“Hai trovato la canna da pesca?”

“no, ma sta tranquilla, ora scendo”- la rassicurò lui.

“Va bene”.

Francesco prese le lettere, ne infilò un paio nella tasca della giacca, posò le altre

nell’armadio e scese.

Abbracciò la figlia e insieme si sedettero sul divano. Quel giorno non andarono più a

pesca. Francesco volle condividere con lei quel turbine di emozioni che aveva provato e

raccontarle la bellissima storia della sua famiglia.

Lettere...oggetti dimenticati, sottovalutati, spesso ritenuti insignificanti... ma le

parole incise su di esse lasciano il segno, hanno un valore inestimabile, hanno la

capacità di rimarginare ferite, di suscitare profonde emozioni. A volte ci fanno

riflettere, ma soprattutto fanno rinascere in noi la speranza, le illusioni nella vita,

nell’amore...

La via dell’amore è qualcosa di infinito, è l’unica strada da percorrere nel corso della

vita, altrimenti nulla ha senso. Spesso ci sono delle curve, che però si possono

superare, anche quando la vita ci allontana. Star lontani da una persona non vuol dire

che la si ami di meno. A volte questo te la fa amare ancora di più.

Page 16: Il mondo degli oggetti dimenticati

La penna stilografica

Oggi, venerdì 27 Maggio, pomeriggio di una

giornata bellissima, i raggi di sole penetrano

dalla finestra e illuminano il mio bellissimo

studio. Sto preparando il mio prossimo

racconto e fra un po’ dovranno arrivare i

miei colleghi per concludere un vecchio affare. All’improvviso ho sentito un rumore e

mi sono avvicinata alla finestra: era solo il rumore di un clackson. Mi allontano dalla

finestra e mi accorgo che il cassetto della scrivania che avevo appena preso dalla casa

di mio padre era aperto; mi sono avvicinata e ho rovistato tra tutte le mie cartacce e

ho trovato una bellissima penna stilografica. Rossa, molto sottile, ma non scriveva

molto bene.... forse stava lì dentro da troppo tempo. Ah, chi lo sa a chi è appartenuta

e quali storie ha scritto... Io sono sempre stata curiosa sin da quando ero bambina,

decido di scoprire di chi fosse quella penna e perché era lì. Sempre in quel cassetto ho

visto una pila di blocchi di carta che forse erano stati scritti proprio da quella penna,

così li prendo e li metto sul mio tavolo di vetro , pronta a leggerli tutti. erano proprio

dei bei racconti, scritti sotto forma di diario, o forse era un diario vero, quello di mio

padre. Non sapevo che mio padre vedeva così la vita , piena di sogni, speranze e idee

da condividere. Mio padre era un medico che adorava il suo lavoro. Una pagina in

particolare parlava della sua vita da medico . La pagina iniziava cosi “ superato ancora

una volta “. Questa frase mi ha colpito , è molto bella e mi fa molto riflettere sulla

sensibilità di mio padre . La pagina parlava del giorno 2 Ottobre , quando mio padre ha

assistito ad un intervento di chirurgia ad un signore malato di cuore. La pagina di

diario parlava delle sue sofferenze , e del fatto che non riuscì a salvarlo ; e si

chiedeva spesso quale fosse stato il suo sbaglio. La pagina di diario proseguiva con

delle specie di disegni professionali del corpo umano , cuori spezzati .... .La pagina era

molto significativa, quasi commovente e finiva anche con una bellissima frase: “La vita

è amore, coglila ; la vita è speranza, apprezzala; la vita è vita, amala”. Riguardando

altre pagine ho visto anche quello che pensava mio padre della nostra famiglia;

soprattutto scriveva molto di me: oltre al mio carattere insopportabile lui diceva che

sarei stata una persona importante dal punto di vista personale e lavorativo.

All’improvviso suonò il citofono; ”Oddio !” Erano i miei colleghi, allora posai il diario e

mi misi subito vicino alla mia scrivania polverosa facendo vedere che stavo lavorando

sull’ultima pratica. Saliti, io e i miei colleghi ci mettemmo a lavoro e inventammo un

nuovo racconto da leggere per tutti i bambini del mondo.

Page 17: Il mondo degli oggetti dimenticati

La forza dei ricordi

Mentre frugavo nei cassetti di mia nonna, vidi una scatola di colore rosa pallido e

aprendola trovai un album, che risaliva al 1949. Tra tutte quelle foto fui colpita da una

in particolare, in bianco e nero, con delle sfumature marroncine e molto rovinata. In

secondo piano, sullo sfondo, si intravede il golfo di Napoli, in primo piano mia nonna e

mio nonno che si baciano nel giorno del loro matrimonio. Mia nonna aveva vent’anni, mio

nonno ventiquattro, erano così giovani, eppure così innamorati. Mio nonno era un uomo

molto saggio, si chiamava Pasquale ed era innamoratissimo di mia nonna Maria, una

donna molto bella e intelligente. Si erano conosciuti durante la guerra, lui era un

partigiano, lei una maestra, e subito si erano piaciuti.

Hanno affrontato momenti difficili, come la fame e la miseria e hanno combattuto

insieme, per essere felici, fino al glorioso arrivo degli americani. Immersa in questi

pensieri continuavo a sistemare la biancheria intima nella mia nuova casa, una casa

antica e di famiglia, piena di ricordi e di affetti.

A quel punto entrò mio marito, prese la foto del nostro matrimonio e la mise a

confronto con quella trovata nel cassetto, la guardò per alcuni secondi, poi disse:

-tua nonna era davvero una bella donna, e tu le assomigli molto, non solo fisicamente,

ma anche caratterialmente.

Sono molto fiera di assomigliare a mia nonna, una grande donna di cultura.

Nonna mi ha raccontato tante volte la storia d’amore tra lei e il nonno, pur essendo

molto anziana e avendo l’ Alzheimer, non si è mai stancata di raccontare questa storia.

Mia nonna era nata in una famiglia contadina e raccontava, a me e a mio fratello che,

per andare a scuola doveva percorrere circa tre chilometri a piedi oppure rubava la

bicicletta di suo padre e quando tornava a casa, lui la scopriva e le faceva una

ramanzina, con tanto di schiaffi. Ma l’amore per la cultura era più forte, era disposta

a fare qualunque sacrificio.

Era un giorno come tanti, e lei era andata a comprare un tozzo di pane quando sentì il

suono dell’allarme che avvisava prima del bombardamento, la strada era piena di gente

che fuggiva, ma lei non sapeva che fare. Mio nonno la vide, sola e spaesata, e la salvò,

prendendola per mano e portandola in un nascondiglio sotterraneo di Napoli. Così si

conobbero. Il loro fu amore a prima vista. Il nonno le mandava molte lettere perché

non potevano vedersi tutti i giorni. Dal loro amore è nata mia madre. Sono molto fiera

di avere avuto accanto a me persone così forti; mi hanno insegnato molto. Se sono

diventata la persona che sono oggi devo anche dire grazie a loro per i valori che mi

hanno trasmesso.

Page 18: Il mondo degli oggetti dimenticati

Le perle dell’amore

Era una domenica del 1943, tutto era

buio ad Auschwitz.

Il cielo, come al solito, era scuro e

grosse nuvole grigie circondavano la

nostra vita.

Mi chiamo Emily, sono una ragazza di origine ebraica e per la società non conto nulla

per loro le persone come noi, le persone di questa razza, non devono vivere.

Sono stata strappata dai miei genitori, dalla mia casa, dalla mia camera, da tutto

quello che una ragazza di diciassette anni potesse desiderare e mi ritrovo qui, su un

treno, ignara del mio destino, di ciò che accadrà nella mia vita.

Con gli occhi pieni di lacrime guardo fuori dal finestrino, tutto scorre velocemente,

così la nostra vita.

Non sai se domani sopravviverai, non sai nulla, se costretta a vivere giorno per giorno,

con la speranza che un domani tutto questo possa finire, che ritorni la pace e che

questa guerra sia solo un brutto incubo, solo qualcosa da dimenticare e non rivivere

più.

Immersa nei miei pensieri, non mi accorsi che il treno si era fermato e la gente in fila

indiana e con la testa bassa scendeva accompagnata da un gruppo di soldati tedeschi.

Una volta scesa vidi una cosa bruttissima, una cosa che non avrei mai voluto vedere: su

quel treno si aprirono due porte, chi scendeva dalla parte sinistra era salvo, ma chi

scendeva da destra si ritrovava alla morte e non poteva più tornare indietro.

Non so chi fu a decidere il mio destino, ma per fortuna ero salva, e mi stavo dirigendo,

insieme a due uomini dall’aspetto indifferente a ciò che stava accadendo, in una

grande casa, nella casa in cui avrei vissuto almeno una parte della mia vita, in cui avrei

ricevuto tante botte, nel caso mi fossi comportata male.

Con grande coraggio entrai, avevo troppa paura, paura per la mia vita, per le persone

che avrei potuto trovare, per tutto.

Da una delle cameriere della casa venni portata in una stanzina piccola, contenente

solo un letto, una coperta e una finestra; quella sarebbe stata la mia stanza!

Mi tolsi il grosso pigiama a righe blu e bianco e indossai la divisa che mi era stata data,

una gonna ampia, di colore verde, che ricopriva tutte le mie gambe, e una camicia

vecchia, che probabilmente era stata usata anche dalle cameriere precedenti.

Indossai degli scarponi e legai da una parte i miei lunghi capelli castani con un

fermaglio ornato da fiorellini bianchi.; quello era il fermaglio di mia madre, me lo aveva

donato prima della mia partenza, affinché potessi ricordarla per sempre.

Page 19: Il mondo degli oggetti dimenticati

Era arrivato il momento, toccava fare la mia parte, con tutto il coraggio che avevo in

corpo scesi le scale di quell’enorme casa in cerca della cucina, ma rimasi immobile a

guardare le sue pareti, decorate da disegni, quadri, da colori antichi ma spettacolari,

assomigliava tanto alla mia vecchia casa, mi mancava così tanto.

Sbadata com’ero, andai a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno, alzai la testa e

incontrai due occhi grandi, due occhi azzurri che mi guardavano con disprezzo.

Davanti a me c’era lui, David Ridolf, figlio del generale Robert Ridolf, e da quel

momento la persona che avrei dovuto servire per il resto dei miei giorni.

Il suo sguardo era freddo, agghiacciato, i suoi capelli erano biondi come i raggi del

sole che si intravedevano raramente nel cielo, la sua voce era indifferente a tutto, non

tradiva alcuna emozione, mi intimoriva, mi metteva paura.

Ma forse un po’ dovevo fargli pena, lo capii dal suo comportamento, da come mi ordinò

di andare via da quel luogo, che non potevo stare lì, che il mio unico posto era la cucina.

Da quel giorno per molto tempi non gli parlai più, lo vedevo di sfuggita, magari quando

servivo la cena o quando gli sistemavo dei vestiti.

Era strano il modo in cui mi trattava, anzi il modo in cui non mi trattava: picchiava

tutte, maltrattava tutte, tranne me. Anche se non avevo provato le sue botte, le sue

violenze, io lo sentivo, sentivo come soffrivano quelle donne, come piangevano, e non

capivo perché non lo facesse anche con me... io ero come loro: un puntino in mezzo

all’infinito.

Le mie domande trovarono risposta un mese dopo, quando dopo mille sguardi, mille

parole di troppo eravamo lì nell’immenso salone e non so come successe ma lui mi baciò

proprio mentre mi stava rimproverando per aver fatto cadere un secchio d’acqua. Non

so cosa scatenò quel bacio ma in quel momento tutto intorno a noi si annullò, non mi

interessava se era tedesco, se era mio nemico, quel bacio rimarrà sempre nel mio

cuore.

Da quel momento i nostri rapporti cambiarono, anche il suo atteggiamento iniziò a

migliorare, sembrava che quell’odiosa maschera che si portava dietro fosse sparita,

sembrava un’altra persona.

Cercava di convincere suo padre a smettere di fare del male, di dar vita ad un mondo

fatto di pace, ma suo padre non ne voleva sapere, continuava ad uccidere.

Una grigia mattina camminavo per le strade desolate di Auschwitsz e vidi una donna in

lacrime, seduta accanto ad un corpo esile, piccolo, sdraiato a terra sulle strade umide

e con un ginocchio ricoperto di sangue. Mi fermai accanto loro e rivolgendomi alla

donna le chiesi: “signora, cosa è successo?”.

Singhiozzando mi rispose: “ l’hanno picchiato, i tedeschi, sono stati i tedeschi, il figlio

del generale Ridolf!”

Page 20: Il mondo degli oggetti dimenticati

A quelle parole il mio cuore sembrò essersi spento, lui non era cambiato davvero, aveva

usato di nuovo la violenza contro di noi...

Come avevo potuto pensare che uno come lui potesse cambiare per una come me? Mi

ero solamente illusa.

Cercando di non pensarci aiutai quel bambino e la sua mamma, cercai di medicarlo, di

ricordare gli insegnamenti di mio padre, che era un buon medico.

Dopo quello che aveva fatto non volevo parlargli più, non volevo aver niente a che fare

con lui; infatti non gli parlai per tutta la giornata, mi vergognavo di me stessa per

essermi fatta convincere da uno come lui.

Passavano i giorni ed io non riuscivo ad abituarmi alla sua assenza, in poco tempo era

diventato davvero importante per me.

Non so cosa lo spinse a farlo, non so neanche perché lo fece ma un giorno, non ricordo

con precisione la data... lì il tempo sembra davvero non passare mai , mi si avvicinò e mi

disse: “ So che non vuoi ascoltarmi, so che adesso non valgo nulla per te, ma ti prego

lasciami spiegare, sei l’unica persona che è stata in grado di cambiarmi, lo so ho

sbagliato a fare del male a quel bambino ma ora ho capito il mio errore e non lo

commetterò un’altra volta. oggi voglio donarti una cosa, una cosa a me molto cara, la

collana di mia madre.”.

Non riuscivo a crederci, mi aveva donato una cosa molto importante per lui: era una

splendida collana sottile, con delle perle bianche ed al centro un grande ciondolo

argenteo a forma di cuore. Era bellissima e adesso brillava attorno al mio collo.

“Vorrei che tu mi raccontassi la storia di questa collana, ho tutto il tempo che vuoi”,

gli dissi.

Al sentir pronunciare queste parole i suoi occhi si illuminarono e iniziò a raccontarmi

la storia di quel piccolo ma prezioso gioiello.

“Questa collana è molto importante per me, e adesso voglio che lo diventi anche per

te. Mi è stata regalata da mia madre, voleva che la regalassi alla ragazza che mi

avrebbe fatto battere il cuore. Ecco perché oggi voglio darla a te perché mi hai fatto

capire cosa è importante e cosa no, perché mi hai fatto capire che il potere e i soldi

non valgono nulla se vengono usati per fare del male e non del bene, perché mi hai

fatto capire cos’è l’amore. Mia madre sarebbe stata molto contenta della mia scelta,

me l’ha consegnata prima di morire e per tanto tempo l’ha custodita in un cassetto

della mia camera, nessuno sapeva della sua esistenza. Le era stata regalata da suo

padre quando aveva appena quindici anni; suo padre era l’uomo più importante della sua

vita, con lui aveva un rapporto unico, speciale...vuoi che continui o forse non ti

interessa? Magari non vuoi saperne niente...”

Page 21: Il mondo degli oggetti dimenticati

“ No, no assolutamente! Raccontami tutto. Mi interessa tantissimo. Tutto di te mi

interessa” gli dissi tranquillamente. Sembrava diverso, così fragile, così dolce.

“ D’accordo, allora, mio nonno era l’unica persona in grado di capirla e la proteggeva da

tutto e tutti. Aveva acquistato la collana durante un suo soggiorno a Roma, prima della

guerra in un negozio antico in cui c’erano tantissime collane tutte diverse e

preziosissime. lui scelse la più bella , la più fine, per regalarla alla figlia, la persona più

importante della sua vita, l’unica cosa bella che le fosse rimasta dopo la morte

prematura della moglie, l’unica gioia in una vita piena di tristezza e sofferenza. Questa

è la motivazione per cui voglio darla a te, perché per me sei diventata speciale in così

poco tempo e in un momento così difficile. Questa guerra ci sta facendo diventare

tutti delle bestie dimenticando che invece siamo esseri umani.”

Mentre ascoltavo il suo discorso lo guardavo negli occhi e in quel preciso istante ho

capito che persona era, si era tolto finalmente la maschera mostrandomi la sua vera

umanità. E questo aspetto mi piaceva.

Conoscendolo, una cosa ho capito, che l’amore non guarda le diversità, il colore della

pelle, le diverse radici da cui proveniamo. L’amore agisce e basta. E non aspetta altro

che essere vissuto.

Page 22: Il mondo degli oggetti dimenticati

Un biglietto abbandonato

Oggi è una giornata veramente faticosa, perché la

prof di tedesco ha assegnato molti compiti e ci sono

tante parole che non conosco, ma mi ricordo che

mio nonno aveva un dizionario, allora decisi di

andare a chiedere a mia madre dove fosse.

“E’ sullo scaffale in alto a destra, nella libreria che si trova nello studio”

La stanza era piccola ma molto accogliente, c’erano libri ovunque!

C’era una piccola finestra che faceva entrare nella stanza un po’ di luce , le tende di un

bellissimo rosa antico, fatte in seta. Mamma prese uno sgabello e mentre stava

prendendo il dizionario, perse l’equilibrio.

Così il dizionario cadde ed insieme a lui anche un biglietto .

Il biglietto era ingiallito e un po’ consumato dal tempo, ero incuriosita, così decisi di

aprirlo.

Notai una calligrafia bellissima , mi sedetti sulla poltrona e accesi la lampada.

“14/02/1899 mio carissimo amore è da un bel po’ di tempo che non ci vediamo né

sentiamo. Comunque ti volevo dire che mi manchi da morire e non vedo l’ ora di

rivederti. Ho pensato tanto a noi due e mi mancavano i tuoi baci, le tue carezze, il tuo

sorriso, il tuo sguardo, le tue battute molto divertenti insomma mi manca un po’ tutto,

ti volevo dire anche che amo anche i tuoi difetti.

Senza di te mi sento come se la mia vita non avesse senso, mi ricordo anche quell’

episodio in cui ci siamo visti per la prima volta: stavamo al mare io mi allontanai dalla

spiaggia e andai sugli scogli, poi arrivasti tu e i nostri sguardi si incrociarono.

Era amore a prima vista e io feci di tutto per conoscerti, tesoro mio, e da quel

momento non ci separammo più.”

Uff! il foglio è sbiadito…era solo a metà. Ah dimenticavo che dovevo finire di fare i

compiti di Tedesco, ma è stato molto divertente leggerlo, e ho scoperto che era stata

mia nonna a scriverlo al nonno. E’ stata la giornata più bella che ci possa mai essere

però ora devo scendere prima che mia madre mi urli che non ho finito ancora i compiti

quindi ora mi conviene posare e tutto e studiare.

Page 23: Il mondo degli oggetti dimenticati

Sogni di sposa

Mi chiamo Ichigo Momomiya ed ho quasi sedici

anni. Non so molto di me, della mia storia né dei

miei genitori; si chiamavano Shintoro Momomiya e

Caterina, neanche il suo cognome ricordo.

Quello che so di me è che mi sono trovata l’estate

di dieci anni fa sdraiata su un pavimento duro e

freddo di un orfanotrofio.

La signora che lo dirigeva era sempre molto gentile

con me, bastava che il mio nome venisse pronunciato

e i suoi occhi si illuminavano di tenerezza; quando le

chiedevo il perché mi rispondeva che le ricordavo tantissimo una persona che le stava

molto a cuore, ma non ha mai voluto dirmi chi fosse.

Io ero per metà giapponese e per metà italiana.

Nell’orfanotrofio avevo conosciuto tantissimi ragazzi, con loro mi trovavo bene,

eravamo tutti accumunati dal desiderio di sapere qualcosa in più sui nostri genitori.

Alcune volte salivo su in camera e, osservandomi allo specchio, provavo a immaginare in

cosa assomigliassi ai miei genitori; ero abbastanza alta, circa 1,70m , avevo i capelli

lunghi, rossi e mossi, gli occhi colore cioccolata e le labbra rosse e carnose.

Di giapponese non avevo niente e questo mi spingeva a non ricordare nulla di mio padre.

Una settimana prima del mio sedicesimo compleanno, chiesi alla signora Elyson se

potevamo organizzare una festicciola. Lei mi sembrava quasi commossa, mi comprò un

bel vestito di seta, di color azzurro cielo, addobbò l’orfanotrofio per l’occasione, con

tanti striscioni e fiori colorati.

Avevo legato due ciocche di capelli dietro la testa con un fermaglio rosa antico. Mi ero

leggermente truccata, un leggero velo di fondotinta, un po’ di ombretto color cielo,

mascara, un tocco di fard ad illuminare le guance e rossetto rosso.

Uscii dalla stanza ed entrai nella sala, dove tutti i miei amici corsero ad abbracciarmi

e a farmi gli auguri. Vidi il mio miglior amico Leonardo, per tutto semplicemente Leo;

correre verso di me.

Mi prese in braccio e cominciò a farmi girare:

- “ Tani auguri, sedicenne!”-

- Grazie, Leo, davvero-

- Tieni, è una cosa per te, spero ti piaccia!-

Page 24: Il mondo degli oggetti dimenticati

- Dai, Leo, ma non dovevi...”

Mi porse un bellissimo pacchetto e quando lo aprii trovai una meravigliosa collana di

perle. Subito ringraziai e lo abbracciai.

All’improvviso sentii bussare alla porta, la signora Elyson entrò, seguita da un ragazzo

biondo con gli occhi azzurri, alto.

-Ragazzi, lui è un nuovo arrivato-

-molto piacere, mi chiamo Ryan Shorogane, vengo dall’America.

Il nuovo ragazzo strinse la mano a tutti poi, quando si accorse che era la mia festa di

compleanno, sorrise.

-E’ la tua festa?-

-Veramente sì, compio sedici anni, ma sono qui da quando ne avevo solo cinque.- e

abbasso la testa per evitare di piangere, perché si sa, ricordare il passato fa male....

-Mi dispiace, io ho perso i genitori a otto anni; sono nove anni che passo da un

orfanotrofio all’altro e adesso sono qua.

-Mi dispiace- risposi io confusamente, cercando di nascondere l’imbarazzo.

Scrollò le spalle. gli porsi la mano.

-Io mi chiamo Ichigo, tu Ryan, giusto?-

-Sì, è bello il tuo nome, significa fragola.-

-Anche il tuo è molto bello-

-Grazie, comunque, auguri.-

Sorrisi in risposta.

Alla fine della festa lo invitai a salire in camera per conoscerlo meglio, dopotutto

avevamo delle cose in comune. Salimmo e ci sedemmo accanto alla scrivania, così da

poter parlare tranquillamente.

-Allora, Ichigo, perché non mi racconti qualcosa di te?- mi chiese visibilmente curioso.

-Guarda che non c’è niente da dire su di me, la mia vita non è molto interessante, e poi

non mi piace molto parlarne.- risposi io leggermente seccata.

- E chi ti ha detto che devi parlare della tua vita? Raccontami cosa ti piace, ad

esempio- mi tranquillizzò lui dolcemente.

- Mi piacciono i fiori, la musica, le opere d’arte, mi piacciono le opere d’arte, mi

piacciono le culture diverse e spero un giorno di poter visitare il mondo. E poi mi piace

leggere, scrivere ed amo i vestiti da sposa.

- Tutti i vestiti da sposa?-

- Certo, credo che ogni uomo aspetti la sua sposa. E invece a te cosa piace?- provai a

chiedere.

- Mi piace conoscere, imparare. Mi piace fare sport. Spesso amo stare da solo perché

da soli si pensa meglio. Amo la vita più di ogni altra cosa-

Page 25: Il mondo degli oggetti dimenticati

Quella sera ci lasciammo così, come due ragazzi che avevano appena cominciato ad

abbattere i muri che si erano costruiti da una vita.

Col tempo avevo capito che avevo sempre aspettato una persona come Ryan. Lui mi

completava, era la metà perfetta di me.

Dopo quella chiacchierata avevamo cominciato a conoscerci, le prime uscite

dall’orfanotrofio, il primo bacio.

Era successo in un parco pieno di fiori, seduti sul bordo di una fontana. Lui mi aveva

dichiarato il suo amore, mi aveva detto che da quando mi aveva conosciuta aveva

ripreso a vivere. Ci siamo detti che ci amavamo e poi ci siamo baciati. Ho sentito mille

fuochi d’artificio esplodermi nella testa, ho sentito la vita vera scorrermi nelle vene.

Poi accadde una cosa che non mi sarei mai aspettata il giorno del mio diciottesimo

compleanno....

Avevamo appena fatto una passeggiata e, accanto ad un lago, mi aveva chiesto se

volevo diventare sua moglie, in modo da poter vivere liberamente il nostro grande

amore. Io, pur essendo molto giovane, avevo accettato felice. Dopotutto

nell’orfanotrofio non volevo più starci, quel posto sapeva troppo di tristezza.

Bussammo alla porta della signora Elyson e, mano nella mano, entrammo.

- Ditemi ragazzi- lei ci fece entrare sorridendo come al solito.

- - Ecco, io- iniziai- c’è una cosa molto importante di cui vogliamo parlare con te.

- Noi vorremo...-continuò Ryan-... vorremo sposarci.

La signora Elyson si alzò in piedi e i suoi occhi si riempirono di lacrime.

- La mia bambina è diventata grande-sussurrò lei. La vidi frugare in un grande

armadio e prendere un baule. Si sedette di fronte a noi e aprì il baule: c’era una

foto, una lettera e un abito da sposa.

- I tuoi genitori mi hanno detto di darteli quando saresti stata abbastanza

grande- disse e sul suo volto si leggeva la profonda commozione.

Presi la foto e scoppiai a piangere.

- Tu li conoscevi?- le domandai, mentre lei mi accarezzava i capelli.

- Certo che li conoscevo, piccola mia, tua madre era mia sorella-

Sentii un groppo alla gola e le lacrime bagnarmi il viso.

- Perché non me lo hai mai detto?-la scansai, mentre sentivo Ryan stringermi.

- Perché tu eri troppo piccola e non ne avevo il coraggio. Puoi leggerla se vuoi.-

disse porgendomi la lettera.

La presi e cominciai a leggere.

“Grande amore di mamma e papà,

credo che adesso tu sia già grande, magari stai per sposarti.

Page 26: Il mondo degli oggetti dimenticati

Sappi che tu non sei una ragazza come tutte le altre. Tu sei Ichigo Momomiya,

principessa dell’Impero giapponese. Forse adesso odierai questo titolo, perché è stata

la ragione delle sofferenze mie e di tuo padre. Ma io sono sicura, piccola mia, che

saprai portarlo con onore.

Ti amo piccola mia.

Con amore, la tua mamma

Caterina Piemontesi”

Ora mi sto sposando con questo vestito ampio e bellissimo ritrovato nel baule, mi sto

avviando verso una vita felice, una vita che per me avrebbero voluto i miei genitori.

Il giorno delle nozze , indossando l’abito da sposa della mia mamma l’ho sentita vicina

come non mai e sono stata finalmente felice.

Page 27: Il mondo degli oggetti dimenticati

Le chiavi

Un giorno d’estate molto soleggiato io e Jack

andammo in campagna a casa del nonno.

Una volta arrivati ricevetti la splendida notizia: mi

aveva fatto un regalo: una collana con una chiave a

forma di cuore; invece a Jack un braccialetto con i

teschi come piace a lui.

Da quel giorno ne sono molto affezionata, non me la tolgo mai, neanche quando dormo.

Ritornai a casa del nonno in autunno con tutta la mia famiglia. Mi divertii un mondo

buttandomi nelle foglie o cercando posti misteriosi da scoprire; fu così che trovai in

un cassetto della scrivania dello studio del nonno una chiave che aveva la forma uguale

alla mia. Andai dal nonno e gliela feci vedere. Lui mi disse che la mia l ‘aveva comprata

dal signor Matteo, quello che aveva il negozio di collane. Quella chiave mi fece

mettere subito all’opera. Controllai in tutta la casa se ci fosse uno scaffale chiuso che

non si poteva aprire che corrispondesse a quella chiave. Ne trovai due ma non si

aprivano con la chiave in mio possesso. Ad un tratto sento la voce del nonno che mi

dice: “Noemy, vieni su, dai, sei stata tutto il giorno alle prese con quella chiave!”.

A dire la verità mi ero proprio dimenticata che dovevo andare al laghetto con Jack e il

nonno. Allora dissi: “ Nonno, arrivo.”.

Scesi velocemente le scale e su una porta del muro coperta a malapena da un quadro

trovai una fessura che mi incuriosì. Mi fermai un attimo a guardarla, mi ricordava

qualcosa… ma dovetti scendere.

Andammo al laghetto per tutto il pomeriggio; erano le sette e mezza quando io e il

nonno tornammo a casa. Di corsa vado a vedere il quadro, lo tolgo dalla parete e nella

fessura inserisco la chiave e… come per magia…si apre una porta e si intravede un

lungo corridoio.

Visto che era ormai ora di cena, tolsi la chiave, la porta si chiuse , rimisi il quadro a

posto e andai a mangiare. Il giorno dopo subito corsi ad aprire la porta ma ancor prima

di arrivare inciampai e rotolai fin giù lungo tutta la rampa di scale. I miei genitori e il

nonno accorsero ed io piangendo tenevo la mano sulla gamba, dovetti andare

all’ospedale dove mi fecero una radiografia. Avevo una distorsione alla caviglia che mi

costrinse a rimanere a riposo a letto per giorni. Intanto io pensavo al passaggio

segreto a dove mi avrebbe portato, a cosa avrei potuto trovare... aspettai con

pazienza di guarire e organizzavo quello che avrei dovuto fare. Quello era il mio

segreto più importante. Aspettare stava diventando sempre più noioso ma giunse il

Page 28: Il mondo degli oggetti dimenticati

giorno tanto desiderato, il 7 Agosto, quando finalmente potetti scendere dal letto . Il

mio primo pensiero fu di esplorare il mio angolo segreto. Ero organizzatissima, avevo

zaino con dentro panini, una bottiglia d’acqua, una torcia.

Dissi con una scusa che ero stata invitata a pranzo da Cristin, la nostra vicina, ed

intrapresi il mio cammino. Più mi addentravo nel passaggio segreto, più esso diventava

buio, allora presi la torcia per farmi luce e mi ritrovai nello scantinato; vidi davanti a

me un baule, grande , di legno pesante, che mi incuriosì moltissimo. Provai ad inserire

l’altra chiave e si aprì. Al suo interno c’era un peluche, una foto e un vestitino. Ma chi

sarà la persona della fotografia? E quel peluche era proprio di quella bambina

ritratta?

Presi tutte quelle cose e tornai indietro correndo dritta al nonno. Mi raccontò che

quella era mia zia , morta a due anni per un problema al cuore. Rimasi sconvolta da

questa notizia. Nessuno me ne aveva mai parlato. Nel baule avevo trovato anche una

scatola con dentro un anello molto bello. Era della nonna. Era accompagnato da un

biglietto ed era indirizzato a me. C’ era scritto: “Piccola Noemy, nonna ti vuole tanto

bene, ti lascio questo anello, simbolo della nostra famiglia. Me lo ha regalato la mia

nonnina quando ero poco più di una bambina e adesso io lo dono a te.

Conservalo gelosamente. Sei il mio angelo. Mi ricordi tantissimo la mia piccola Anna,

che è volata in cielo. Con affetto, la tua nonna.”

Mentre leggevo pensavo che sarebbe stato bello poter rivedere mia nonna una sola

volta ridere, il suo volto sorridente era molto bello. Il nonno mi raggiunse nello

scantinato e mi mostrò tutto. Lì c’era proprio il paradiso della nonna, tutti i suoi

vestiti di quando era giovane i ricordi di una vita. Lì c’era lo spirito della nonna.

Page 29: Il mondo degli oggetti dimenticati

Un legame speciale

Giovedì , 5 Febbraio

Caro diario,

sono passati già due giorni ma ora ho finalmente deciso di raccontarti una piccola

avventura che ho vissuto due giorni fa...

Sono felice per questa esperienza perché ho ritrovato degli oggetti appartenuti

ai miei genitori, che purtroppo ho perso quando avevo tre anni.

Martedì scorso ho deciso di andare a fare un giro nella mia vecchia casa, ormai

lasciata piena di ragnatele e polvere.

Con un po’ di esitazione entrai e mi diressi verso il salone. Era buoi lì dentro, con

le finestre chiuse e le pesanti tende tirate ed io decisi di farmi luce con il

cellulare. In un angolo della stanza vidi degli scatoloni, dei libri sugli scaffali e

una piccola scatola che attirò subito la mia attenzione. Ero molto curiosa e decisi

di aprirla, mi avvicinai e girai la chiave... era piena di lettere, libri e tante altre

cose e, in fondo a tutto, una foto bellissima dei miei genitori il giorno del loro

matrimonio.

La guardai attentamente non riuscendo a distogliere lo sguardo, poi la misi nella

mia borsa, felice della mia scoperta.

Dopo aver rivisto ogni angolo della mia casa ... della mia passata vita, nonostante

i ricordi siano fin troppo sbiaditi dal tempo o forse ero troppo piccola perché le

cose rimanessero impresse nella mia memoria, ritornai a casa di mia zia, la donna

che si era presa cura di me e con cui vivevo. Eravamo a tavola quando le feci

vedere la foto e tra le lacrime ci abbracciammo.

Penso che l’emozione che ho provato guardando quella foto sia unica; rivedere i

volti dei miei genitori dopo la loro morte mi ha reso felicissima.

Ora la foto è in camera mia, vicino al mio letto, così da poterla vedere quando

voglio e, se ne ho voglia, posso parlare con loro e confidare i miei pensieri e le

mie paure. So che mi ascolteranno e guideranno ogni mio passo.

A domani,

Hazel

P.S.

Anche adesso sto guardando quella foto e non riesco a trattenere le lacrime, ma

sarò forte, so che mi proteggeranno e, anche se mi mancano, li sento qui vicino a

me.

Page 30: Il mondo degli oggetti dimenticati

Un video pieno di ricordi

Era in 4 Marzo del 2007, una

giornata di pioggia. All’ uscita da

scuola la pioggia divenne sempre più

forte, si sentiva scrosciare sulla

strada e sulle automobili in transito.

Come al solito aveva dimenticato

l’ombrello, per cui decise di correre a casa con i libri in mano. Ma proprio dopo aver

girato l’angolo si scontra contro qualcuno e cado a terra facendo scivolare sull’asfalto

tutti i fogli e i suoi libri.

Era un ragazzo.

-scusa, non ti avevo visto...- disse lui imbarazzato.

-oh.... ehm, non fa nulla, scusami tu... stavo correndo e...

-ma no, io dovevo fermarmi; ora ti aiuto.- la aiutò a sollevarsi ed a raccogliere le sue

cose sparpagliate a terra.

- Grazie, comunque piacere, mi chiamo Alyson, e tu sei?- fece cenno di presentarsi.

- Piacere, Harry.... -non riuscì ad aggiungere altro, ma intanto dentro di sé pensava “ è’

stupenda, che bel sorriso che ha”- beh, adesso vado, spero di rincontrarti-

- mi farebbe piacere, se vuoi ti do il mio numero- disse sfrontatamente lei

-oh, sì, magari-

-Bene, ecco a te.... ci vediamo, ciao!

Tornata a casa si lavo e si sistemo per il pranzo ma la mente ritorna sempre al ragazzo

incontrato poco prima. Il desiderio di mandare un messaggio è fortissimo ma cerca non

fare il primo passo. In quel momento un trillo del telefonino. C’è posta per te... sta

dicendo. Sì, è arrivato un messaggio di Harry. “cosa fai?” “ mi preparo per il pranzo”

“se ti fa piacere ti contatto dopo i compiti” “ per me va più che bene”

“allora a dopo”

Posò il cellulare e dopo pranzo, verso le 15,30, Alyson iniziò a studiare letteratura

immergendosi negli studi fino alle 18:00, si buttò sul letto, stanchissima. Dopo una

bella doccia calda decise di contattare lei Harry

-Hey, Harry

-Ciao Alyson, che mi dici?

-Oh, niente di che, ho passato tutta la giornata a studiare e sono esausta!-

-Mi dispiace, Aly-

Page 31: Il mondo degli oggetti dimenticati

-Aly? Mi chiamo Alyson- disse un po’ irritata. Nessuno l’aveva mai chiamata così, in

modo confidenziale.

- Ti posso chiamare Aly? Ti prego. -chiese lui con un filo di voce.

-mhhhh... va bene, ci sentiamo più tardi.

È ora di cena e decise di preparare una fetta di carne con patatine fritte, e di

mangiarle davanti alla tv.

Ore 21,30. Infilò il pigiama prendendo anche un plaid morbido e caldo.

-Non so cosa fare, mi annoio- pensava Alyson, poi le venne un’idea: guardare un film

con una scodella di popcorn.

Passò alla scelta del film, prese in mano la pila di CD e notò subito un disco senza nome

e la curiosità la assalì-

Preparò i popcorn, inserendo il cd nel lettore dvd. Subito partì una canzone che lei

conosceva molto bene, l’aveva sentita canticchiare tante volte alla sua mamma. Subito

dopo apparve sullo schermo un’immagine dei suoi genitori: il video è pieno di foto e

ricordi. Una in particolare di loro due sotto l’ombrello. Il viso di Alyson si riempì di

lacrime ma erano lacrime di felicità.

Sono le otto ed Alyson non è ancora andata a scuola, la sera prima è andata a letto

tardissimo per vedere tutto il video. Si prepara e senza fare colazione e corre a

scuola.

Passa le sei ore scolastiche a pensare a quelle foto, quindi, finite le lezioni, all’uscita

da scuola si mette da parte seduta su una panchina, finché non vede un’ombra di

fronte a lei, alza la testa e vede Harry.

Le chiese come mai fosse lì da sola e si propose di accompagnarla a casa. Accettò

volentieri; iniziarono a parlare di tutto e lei gli confidò che aveva avuto una giornata

strana. Si sentiva a suo agio a parlare con lui, come se lo conoscesse da sempre. Poi lui

le chiese di uscire. Un appuntamento! Fantastico! Si misero d’accordo per andare a

mangiare una pizza verso le 19,15.

Arrivata a casa , preparò un panino e lo mangiò, mettendosi subito a studiare finché i

pensieri non la riportarono da lui. “sono stanca, ma ho voglia di uscire con Harry, mi

ricorda la storia di mamma e papà”. Scelgo con cura i vestiti, un abitino non troppo

lungo, diciamo moderno, un cardigan e delle ballerine. Decido di non legare i capelli e di

truccarmi in modo leggero.

Una volta pronta, aspetto Harry, sentì il suono del campanello e guardò l’ora. È in

perfetto orario..., penso felice. Aprì la porta e lo vide, con i suoi ricci e gli occhi verdi,

un pantalone nero con maglia bianca e giacca sopra. Sorridendo lo strinse in un

abbraccio.

- Aly, sei stupenda- le disse dolcemente.

Page 32: Il mondo degli oggetti dimenticati

A queste parole si fece tutta rossa e non riuscì a rispondere nulla. Dopo aver preso

giacca e borsa uscirono, mentre lui la prese per mano. Arrivarono in un ristorantino

semplice ed accogliente, si sedettero a tavola pensando a cosa ordinare.

Sorridevano entrambi. Ordinarono delle pizze e intanto iniziarono a parlare.

-Allora, io ti piaccio?- chiese lui prendendola alla sprovvista.

-Ehm- rispose lei arrossendo- ti trovo un ragazzo fantastico.

-Anche tu lo sei- rispose sorridendo ancora.

Alla fine della cena decisero di fare un giro al parco e prendere un gelato.

- Volevo chiederti una cosa...- sussurrò lui all’orecchio stringendo più forte la sua

mano.- tu mi piaci e...

Ma finì la frase baciandola con dolcezza. Lei si abbandonò a quel bacio inaspettato.

- Scusa non dovevo, sono stato troppo precipitoso.... i-io...- balbettò lui .

- No, tranquillo, mi è piaciuto- lo rassicurò

Ridendo ripresero a camminare. Ripensò alla foto dei suoi genitori, anche loro a

passeggio d’inverno proprio come stava succedendo a lei.

- Spero di poter uscire di nuovo con te, magari non come amici- disse lui

abbassando lo sguardo, imbarazzato.

Appoggiò la testa sulla sua spalla e le sembrò di essere su una nuvola. Lui la

riaccompagnò a casa e sulla soglia della porta si chinò a baciarla sfiorandole le

labbra. Si salutarono così, dandosi appuntamento all’indomani. Nella testa di Alyson

una tempesta di emozioni, un fluire di pensieri scorreva ininterrottamente e,

immersa in queste dolci sensazioni si addormentò felice.

Page 33: Il mondo degli oggetti dimenticati

Lettere dal fronte

Voglio raccontarvi di come ho trovato una

vecchia lettera di un mio antenato. Era un

giorno come tutti gli altri quando mi resi conto

che una trave di legno del mio pavimento era

più alzata delle altre, la staccai e trovai una

busta con dentro delle lettere. Presi una delle prime e la lessi:

ottobre 1915

“Cara Carla,

non vedo l’ora di tornare a casa ad abbracciarti fortissimo. Forse questa guerra

durerà ancora a lungo, spero di no, perché voglio tornare presto a casa da te. Antonio

si è fatto grande? Dovrebbe avere più o meno tre anni. Ho tante cose da dirti ma

forse non te le potrò dire. Vorrei raccontarti le mie giornate, la paura, la sofferenza

delle lunghe marce, gli spostamenti delle truppe, la fame. Ora sono in sul fronte del

Carso, la gente qui ci hanno accolto bene, ma la guerra sulle montagne è dura. Il

freddo, la neve sono insopportabili. A volte sento i piedi ghiacciati e cerco di

riscaldarli in ogni modo. anche il pane spesso diventa così duro che non riusciamo a

tagliarlo col coltello. Di notte, poi, gli assalti dei nemici e le bombe e il suono delle

mitragliatrici ci lascia tutti con il fiato sospeso fino alle prime luci del mattino. Non ho

mai sentito prima d’ora un bisogno così forte di scriverti e di raccontarti la mia vita. “

Antonio

Dopo quel ritrovamento decisi di cercare un po’ di informazioni su questo mio

antenato, uno zio di mia madre, che avevo sentito varie volte nominare come uomo di

grande coraggio e amore per la patria.

Andai dritto da mia madre, che mi parlò un po’ di lui: era un giovane ufficiale, un

ufficiale di complemento al tempo della guerra, ed era partito come volontario sul

fronte austriaco come tanti altri giovani della sua età. Aveva ventidue anni, era

sposato ed aveva un figliolo. All’inizio aveva creduto che la guerra fosse una cosa

buona, che fosse necessaria per completare l’unificazione dell’Italia. Credeva che

fosse dovere di ognuno combattere per il valore della Patria e l’indipendenza dallo

straniero. All’inizio le sue lettere erano piene di racconti di scene di vita quotidiana

Page 34: Il mondo degli oggetti dimenticati

nei campi militari, parlavano dei soldati che scherzavano e suonavano allegre canzoni,

ma poi tutto cambiò. La guerra lampo era diventata una logorante guerra di posizione.

I soldati dovevano scavare lunghe trincee e nascondersi dal fuoco nemico, ma la cosa

più terribile erano le nuove armi chimiche, che uccidevano tanti soldati asfissiandoli.

Ad una ad una le lettere mi mostravano la mostruosità di un conflitto senza fine,

fatto di attese e di giorni che durano un’eternità seguiti da istanti di puro terrore,

dove potevi trovarti accanto a cadaveri di compagni o feriti gravissimi da aiutare.

Quelle lettere erano piene di sofferenza e rimangono una chiara testimonianza del

fatto che la guerra sia sempre causa di dolore. Capii che alla fine non esistono

vincitori e vinti. La guerra miete vittime da entrambe le parti. Anche il mio antenato

non tornò più a casa, rimase lì tra quelle montagne, riconosciuto solo tramite la

targhetta che aveva al collo e la foto di famiglia che portava sempre con sé.

Page 35: Il mondo degli oggetti dimenticati

L’abito da sposa

Mi chiamo Ella Edwards, sono una ragazza

forte e testarda e quando voglio posso

cacciar fuori il lato più brutto della mia

personalità.

Oggi, 16 luglio, sto per sposarmi con la

persona che mi ama da anni; indosso un

abito bianco panna, stretto sui fianchi, che si allarga all’altezza del ginocchio. Ho

aspettato una vita per indossarlo, eppure mi sento triste e felice nello stesso tempo.

Questo vestito che mi riempie di gioia fa riaffiorare nella mia mente tanti ricordi.

Dentro me stessa sento che sto per commettere un enorme sbaglio.

Mentre mi preparo, mi guardo allo specchio e vedo una persona cresciuta e maturata,

forse so di chi è il merito, di una persona conosciuta anni e anni fa. Ero molto giovane

quando lo vidi per la prima volta; io e mia madre ci eravamo appena trasferite in

un’altra città per andare a vivere con il suo nuovo compagno e il mio nuovo fratellastro,

un tipo scorbutico, estremamene antipatico.

Si chiamava Leo, il suo aspetto era quello di un principe, con grandi occhi azzurri, di un

azzurro scuro, quasi blu. Quando sorrideva metteva in evidenza il suo piercing al

labbro inferiore. Peccato, però, che di principe avesse solo l’aspetto.

Era un ragazzo a cui importava poco di innamorarsi, l’amore per lui non contava.

Usava le ragazze solo per gioco, per divertimento.

Anche io, appena diciottenne, non avevo intenzione di innamorarmi, stavo bene da sola

anche quando ero con gli altri.

Trascorrevo intere giornate sul letto con un paio di cuffie nelle orecchie, sperando

che quel rompiscatole non venisse a disturbarmi, come era solito fare. lo faceva per

tormentarmi un po’, poi mi diceva che quando mi arrabbiavo per lui ero “

tremendamente bella”.

Era Agosto, un pomeriggio assolato e afoso, la vigilia del mio compleanno, ed io lo

trascorrevo nel solito modo, sdraiata accanto all’enorme piscina, mi sentivo quasi una

star di Hollywood, con un’unica eccezione: avevo i compiti da fare! Ma preferivo

rimanere lì un altro po’. Trascorse così buona parte del pomeriggio, quando vidi in

lontananza il mio fratellastro scendere dalla macchina con una ragazza, probabilmente

la sua fidanzata di turno. Li vidi venire verso di me:

- Ciao gnometta, come vedo hai una vita molto entusiasmante.

- Ti odio- furono le uniche parole che uscirono dalla mia bocca. Il fastidio che

provavo per lui era così grande che in certi momenti avrei voluto picchiarlo.

Page 36: Il mondo degli oggetti dimenticati

Sperai vivamente che mia madre non mi avrebbe costretto ad invitarlo alla mia

festa.

La sera stessa decisi di andare con lei in un atelier per comprare un vestito da

mettere per l’occasione la sera successiva.

Dopo varie prove decisi di indossare un abito rosso, corto fino al ginocchio, scollato

dietro la schiena; non aveva molti particolari, ma era stupendo così. Quando uscii dal

camerino con quel vestito addosso trovai Leo seduto sulle poltrone con gli occhi

incollati su di me. Non capivo cosa avesse tanto da guardare. Quella sua espressione

da bravo ragazzo mi dava fastidio in una maniera esagerata. Rientrai in camerino per

cambiarmi e in quello stesso momento entrò Leo. Il ragazzo mi baciò con prepotenza,

provai ad allontanarlo e quando finalmente ci riuscii gli schiaffi non mancarono.

Fino all’ora di cena non riuscii a non pensare a quel bacio...era stato così

tremendamente orrendo.

Odiavo ogni genere di bacio, non ero una ragazza a cui piacciono tutte queste

smancerie e non capivo perché un ragazzo e una ragazza dovessero per forza baciarsi

per essere una coppia vera e proprio. Spesso in quei baci dati tanto per sembrare più

grandi non c’è amore, quindi diventano solo una presa in giro, uno stupido gioco.

La mattina del mio compleanno non ebbi tempo né voglia di pensare alla mia festa, non

c’era molto da festeggiare.

Avrei preferito rimanere una nanetta di otto anni. A quell’età non hai problemi, non

devi soffrire per amore, non devo preoccuparti di come vestirti o truccarti, devi

essere semplicemente te stessa. Purtroppo, però, non si può tornare indietro, anzi il

tempo passa troppo velocemente.

Arrivata l’ora della festa, andai in camera, mi misi davanti allo specchio e indossai

l’abito rosso tanto desiderato, misi un paio di scarpe con tacchi alti con strass.

Diciamo che non ero un fenomeno a camminare con 12 cm in più di altezza, ma vista la

mia bassa statura poteva andare benissimo anche così.

La festa si sarebbe svolta a casa nostra, in giardino, con lo sfondo della piscina

illuminata.

Leo era tremendamente bello, così bello da essere anche inquietante. Arrivò il

momento di aprire qualche regalo; a parte gioielli e gingilli vari non ci fu nulla che mi

entusiasmò più di tanto. Passammo l’intera serata a ballare e divertirci.

Mancava ancora un regalo, quello di Leo. Mi portò in una stanzetta all’ultimo piano di

quella grande casa; c’erano vestiti e gioielli un po’ ovunque, tutte cose molto belle.

-beh, visto che non ho potuto farti un regalo, scegli tu, se non trovi nulla vuol dire che

sei un caso disperato-affermò il fratellino. Passai circa venti minuti lì dentro ad

osservare ogni singolo vestito. Vidi un abito in un angolo e mi avvicinai: era un abito da

Page 37: Il mondo degli oggetti dimenticati

sposa ed era bellissimo. Certo la cosa era ridicola, una diciottenne con un abito da

sposa in mano. Anche se non era né il momento né l’occasione giusta, decisi di prendere

quell’abito. Dopo quel momento mi ritrovai a confidarmi con quello che avrebbe dovuto

essere solo il mio fratellastro, ma che stava diventando una presenza davvero

importante nella mia vita. Raccontai a lui le mie paure, i miei problemi. A dire la verità

non so perché lo feci; quel Leo che stava lì ad ascoltarmi non era il ragazzo

superficiale che avevo conosciuto prima. Stava cambiando, ed io con lui. Finimmo con

l’innamorarci e niente fu più come prima. per me è stata una delle persone più

importanti della mia vita, la prima persona che ho amato sul serio. Purtroppo le cose

non sono andate secondo le aspettative e ci lasciammo dopo quattro anni.

Ho conosciuto un nuovo ragazzo, uno di quelli che potrebbero regalarti anche la luna ,

se tu la chiedessi, ora ho 27 anni e , nonostante stia per sposarmi, non ho mai

dimenticato il mio primo amore. Ho deciso di indossare il vestito che mi regalò il giorno

del mio diciottesimo compleanno per portare all’altare con me un pezzo di lui.

Page 38: Il mondo degli oggetti dimenticati

Un vecchio giocattolo

Era un giorno d’ estate , quando, Carol che era una

signora ricca e raffinata, salita in soffitta per

sistemare, trova un giocattolo, che ha tutta l’aria di

essere molto antico. Questo giocattolo racconta la

storia di Carol. Carol era una bambina molto povera

soprattutto nei suoi primi anni di vita. Purtroppo a

causa della povertà della sua famiglia Carol non si poteva permettere molti

giocattoli e lei di questo era dispiaciuta ma si doveva accontentare. Al suo sesto

compleanno Carol riceve una cosa che lei pur desiderando tanto non poteva avere ,

cioè una bambola con guance paffute e rosee, occhi azzurri e capelli biondi raccolti

in due adorabili trecce. Carol appena appena ricevuta diventa felicissima, i suoi

occhi sprizzano gioia, era talmente tanta la sua contentezza, che lasciò tutto quello

che stava facendo per precipitarsi a giocare con la sua amata bambola.

Carol si accorse che era tardi e così posò la bambola e si recò in camera sua e si

mette a dormire. La mattina del giorno seguente, Carol, salì di nuovo in soffitta

riprendendo la sua bambola e continuando a frugare nel suo passato. Da piccola,

Carol passava molto tempo con la sua bambola e la adorava talmente tanto, che non

solo le diede il suo stesso nome ma le scrisse anche un cartellino con scritto il suo

indirizzo e il suo nome. Carol immaginò che Baby Carol, diventata grande, avrebbe

intrapreso i suoi viaggi per il mondo, sarebbe andata a New York con un aereo di

lusso e si sarebbe fermata nel più grande negozio della città e lì avrebbe comprato

vestiti di marca, borse firmate… Poi con una fantastica limousine si sarebbe recata

a Hollywood, per tentare di inventare il Carolhollywood di cui sarebbe diventata la

star, successivamente avrebbe preso il treno e se ne sarebbe andata a Berlino a

visitare lo zoo dove sarebbe stata mangiata da una tigre che la avrebbe risputata

perché sapeva troppo di imbottitura. Ad un certo punto sarebbe andata a Bruxelles

con l’intenzione di inventare una ricetta speciale con oi famosi cavoletti. Il suo

ultimo viaggio fu a Madrid , prendendo un pullman come quelli di Londra, finì sul set

di una fiction famosa dove incontrò i protagonisti e si fece fare un autografo .Così

si conclusero le sue avventure da esploratrice. Pensate che tutti questi viaggi si

sono svolti nella camera di Carol e gli attori famose erano solo altri coetanei di

Baby Carol, ovvero altre bambole. Ad un certo punto Carol sente una voce, qualcuno

che le parla, si gira ma non vede nessuno, così riporta il suo sguardo verso la

Page 39: Il mondo degli oggetti dimenticati

bambola e vede che muove le labbra come se si volesse lamentare . Baby Carol inizia

a parlare e dice “-Ho fame, ho fame”. Carol per un momento rimane a bocca aperta,

non ci poteva credere che la sua amata bambola parlava. Baby Carol continuò a

parlare “- Tu, Carol, la mia padroncina, mi hai abbandonata, perché lo hai fatto? Non

ti piacevo più?” Carol dopo aver superato il momento si shock le rispose e disse

“ No, no io ti voglio bene e te ne ho sempre voluto, mai avrei sognato di lasciarti. Tu

sei stata molto importante per me. A questo punto erano entrambe con le lacrime

agli occhi e Carol portò la bambola al petto e le disse “-Non ti lascerò mai più,

staremo sempre insieme come ai vecchi tempi “. E così scesero dalla soffitta come

una mamma e una figlia che si vogliono un mondo di bene. E così non si separarono

mai più.

Page 40: Il mondo degli oggetti dimenticati

Parte II

“Cappuccetto Rosso corre ancora”

Cos’è il silenzio? Credo che la sua definizione sul dizionario sia “ assenza di rumore”.

E’ strano il silenzio. Perché a volte lo ricerchi, perché a volte ti rilassa.

Però a volte ti distrugge, a volte ti uccide, il silenzio.

Si accumula dentro di te, ti attraversa lo stomaco e si ferma al cuore.

E poi devi cacciarlo fuori, in qualche modo.

Prima lo fai con le lacrime, poi devi assolutamente farlo con le parole.

Page 41: Il mondo degli oggetti dimenticati

Una persona nuova

L’immagine riflessa nel grande specchio della mia

camera mostra una persona che non sono io. Le

occhiaie, il viso livido e un occhio gonfio. I capelli

arruffati, la bocca troppo rossa , le cicatrici. Mi

scende una lacrima. La sento che parte

dall’occhio, scende e mi riga la guancia, poi si

ferma all’angolo della bocca. Eccone un’ altra che

scende molto più velocemente e cade sul pavimento , scomparendo nel buio in cui la

camera è avvolta. Cos’è la solitudine?

È restare semplicemente soli, o anche essere circondati da decine e decine di persone,

ma sentirsi non capiti, soli ugualmente?

Devo confessare che ultimamente ci penso spesso.

Le lacrime continuano a cadere, i lividi e le ferite bruciano, fanno male. Ma più di

tutto, fanno male le parole.

“Stupida, grassa , incapace”

“Non sei buona a nulla, vergognati!”

“Non ti meriti nulla, sei solo un’ingrata!”

Le frasi, le parole, mi stordiscono. Mi compaiono davanti e mi sento colpevole di tutto.

Ad un certo punto la porta sbatte, distogliendomi dai miei pensieri e facendomi

ritornare alla realtà. Mi asciugo le lacrime più in fretta possibile, se mi vede piangere

mi ammazza. Gli da fastidio. A lui da fastidio tutto. Gli da fastidio persino la mia

presenza. Mi alzo dal letto e mi affaccio al corridoio. Lo vedo. È appoggiato al tavolino

dell’ingresso, con la testa china. Inizia a camminare a tentoni, barcolla rischiando di

inciampare. Ha bevuto. Mi viene incontro, mi butta le braccia al collo. Lo trascino con

fatica in camera da letto e lo faccio stendere. Inizia a mormorare frasi senza senso.

Se ne sta lì, mezzo ubriaco, con gli occhi pieni di sangue, sdraiato sul letto. Mi fa pena.

Preparo subito del caffè e , dopo averlo bevuto, si addormenta. Mi rifugio in cucina e

inizio a preparare la cena. Dopo circa un’ ora Salvatore arriva in cucina reclamando la

sua cena. Ci sediamo e iniziamo a mangiare. Durante la cena mi fa delle domande.

Rispondo a monosillabi, ormai ho paura di intrattenere qualsiasi tipo di conversazione

con lui.

“ Dove sei stata stamattina?” mi chiede all’improvviso.

“Sono uscita” rispondo, sempre con gli occhi bassi.

“Con chi ?” chiede con voce minacciosa.

“Con Luca, mio fratello. Mi ha accompagnato a fare la spesa…”

Smette di mangiare. Mi guarda con occhi lucidi, da pazzo. Posa con grande rumore le

posate sul tavolo e si alza in piedi. Sono terrorizzata. All’improvviso rovescia il piatto a

terra , facendolo rompere in mille pezzi. Inizia ad urlare. Mi dice che non è possibile,

non devo assolutamente permettermi di uscire senza il suo permesso. Le urla si fanno

sempre più forti, dalla sua bocca escono parole che feriscono. Non riesco a guardarlo

Page 42: Il mondo degli oggetti dimenticati

negli occhi, ho tanta paura. In un attimo di silenzio alzo lo sguardo, giusto in tempo per

vedere la sua mano partire dall’ alto e scendere verso di me. Lo schiaffo colpisce in

piena faccia, con una violenza impressionante, mi stordisce, mi fa cadere dalla sedia su

cui sono seduta.

Mi ritrovo a terra, l’orecchio mi sanguina, la vista inizia ad annebbiarsi. Lo sento che

esce dalla porta, chissà dove va. Rimango per qualche secondo immobile. Poi mi alzo

lentamente. Mi fa male tutto. Mi butto sul divano e piango. Piango come non ho mai

pianto in vita mia . Piango fino allo sfinimento. Poi alzo lo sguardo . Nello specchio c’è

di nuovo quella ragazza di ventisei anni, che convive da un anno con un uomo che

credeva diverso da quello che poi si è rivelato. Ragiono, penso… e mi chiedo come abbia

potuto permettere ad un uomo di ridurmi così. È stato un anno incredibilmente

difficile. Un anno di umiliazioni. Un anno di lividi, cicatrici. Un anno di ”prima o poi lo

denuncio”, un anno di “ questa volta non lo tiro fuori dai guai”.

E invece… puntualmente, lo tiro fuori dal suo labirinto di errori, cattiverie, di alcool.

Me la prendo con me stessa. Credevo davvero che sarei riuscita a cambiarlo? Mi

rendevo conto del tipo di persona con la quale avevo a che fare? Non ce la faccio più.

Basta. Basta insulti, minacce, basta vivere qui dentro.

Basta bugie.

“Cosa hai fatto sulla guancia?”

“Niente… sono inciampata”

“Cos’è quel livido sul braccio?”

“Ieri sono urtata”

“Cosa hai sul collo?”

“Niente, solo un graffio”

E invece no. Molto più di una caduta, molto più di un graffio. Mi alzo. Non so cosa mi

sia preso, dove abbia trovato tutto questo coraggio. Corro. Vado a casa di mia sorella

Maria. Mi apre subito, mi vede stravolta. Entro… e racconto tutto. Mi ascolta

spaventata. È la prima volta che mi apro con qualcuno. È furiosa, scandalizzata. Mi

consola, mi dice che da oggi in poi le cose cambieranno. Mi trascina dalla polizia, anche

se all’inizio oppongo resistenza. Avevo paura che, dopo averlo trattenuto per un po’,

sarebbe uscito e avrebbe fatto di peggio. Invece non è stato così. Ormai sono tre

anni che l’incubo è finito. Il processo è stato lungo, ma abbiamo vinto. I lividi sono

scomparsi, a eccezione di qualche cicatrice. Anche se… per le parole non c’è cura e,

nonostante sia tutto finito, non riuscirò mai a dimenticarle

Page 43: Il mondo degli oggetti dimenticati

Basta un secondo per dimenticare

uno schiaffo ma non basta una

vita per dimenticare una parola

13, questo è il numero degli anni che avevo

quando ho iniziato a vedere la vita in modo

diverso.

13, questo è il numero degli anni che avevo quando mi hanno derubato di tutti i miei

sogni

13, questo è il numero degli anni che avevo quando il mondo mi è crollato addosso.

Tredici è un numero molto lontano; adesso sono qui a scrivere dopo tanto tempo, con

tanto coraggio, su queste pagine bianche la mia storia.

Ero solo una bambina quando sentii che il mio cuore si stava macchiando di violenza e i

miei sogni si stavano allontanando pian piano da me, ma allo stesso tempo non volevo

ricordare. I ricordi acuivano le mie sofferenze perché mi fidavo troppo di quella

persona.

Frequentavo la terza media, la mia era una personalità timida ed un po’ introversa, non

avevo molte amiche; le uniche persone importanti della mia vita erano mia madre e mio

padre.

La sera del 17 Gennaio 1977 ero sola con mio padre a casa, mia madre era al lavoro;

quello fu uno dei giorni peggiori, perché mio padre era stato licenziato.

Ero in camera mia a leggere un libro, quando sentii la porta sbattere: era mio padre.

Quella fu la prima volta che lo vidi in quelle condizioni, era ubriaco e sembrava aver

perso la ragione.

Per la prima volta la sua mano su di me mi fece paura, il suo tocco mi terrorizzava e

ancor più quello che stava per fare.

Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere da parte sua, le sue mani

stringevano violentemente i miei polsi, cercavo in tutti i modi di ribellarmi, ma appena

provai a difendermi mi colpì violentemente all’occhio. Questo fu l’inizio della fine ma

allo stesso modo la fine dell’inizio.

Quando tornò mia madre mi trovò seduta dietro al letto della mia camera, ero

sconvolta ma nei miei occhi non traspariva alcuna emozione mentre la mia mente non

faceva che ripensare a quella scena.

Mia madre non sapeva che fare; quella fu una settimana di silenzio. Nessuno di noi tre

osava nominare quello che era accaduto quel giorno.

Page 44: Il mondo degli oggetti dimenticati

Furono molte le persone che mi chiesero che cosa fosse successo, ma io rispondevo

sempre allo stesso modo :”sono andata a sbattere contro il mobile”; ovviamente era

una bugia per non mettere in cattiva luce mio padre, anche perché speravo che

quell’episodio non si sarebbe ripetuto.

Ero solo una bambina, ero stata ingenua a pensare che quella sarebbe stata la prima e

l’ultima volta.

Un sei. Bastò solo un sei per scatenare di nuovo tutto, questa volta non furono solo

pugni, calci, graffi...bastarono solo poche parole per distruggere la mia autostima,

delle parole forti come “ non vali niente “ , “crei solo problemi”, “sei solo una spesa in

più per la famiglia”...

Tutto questo solo per un semplice sei, un sei al compito di matematica.

Ci furono molte altre scuse per mettermi le mani addosso, per rovinare il mio essere,

già così tenero e fragile.

A volte preferivo la violenza fisica perché prima o poi i lividi alle braccia o le ferite

sul corpo vanno via, ma quelle maledette parole restavano scolpite nel mio cuore.

La mia unica consolazione era di passare molte ore nella mia camera a scrivere dato

che mio.... quell’uomo mi proibiva di uscire, di avere una vita sociale.

A sedici anni avevo il sogno di diventare una scrittrice; avevo capito Che la scrittura

era un modo per sfogarsi, per esprimere se stessi, la carta sapeva capirti meglio di

una persona, su quel foglio bianco potevi scrivere qualunque cosa, tanto non ti avrebbe

giudicato.

Di certo non mi aspettavo che dopo due anni la mia vita sarebbe cambiata

radicalmente; mi bastarono solo due secondi per capire chi era l’amore della mia vita.

Era un giorno insignificante come tanti, andai a scuola e venni a sapere dalla mia

professoressa di italiano, una donna in gamba, che credeva nei valori, l’unica persona

che mi appoggiava e credeva nel mio talento per la scrittura, che ci sarebbe stato un

convegno tenuto da una nota scrittrice italiana, che aveva pubblicato un libro sulla

violenza sulle donne.

Naturalmente mio padre non voleva che io partecipassi, e quella fu la prima volta che

scappai di casa, uscendo dalla finestra, visto che abitavamo al piano terra e mi diressi

a piedi nella biblioteca della città.

Mi immedesimai molto nelle parole della scrittrice, capii veramente quanto la mia

realtà fosse crudele, rimasi affascinata dalla tematica di quel libro e deciso di

comprarlo, mi diressi verso lo scaffale e, mentre stavo per prenderlo sfiorai una

mano: accanto a me c’era un ragazzo sulla ventina d’anni, attraverso i suoi occhi versi e

il suo sguardo profondo capii che non era una persona qualunque. quando mi sfiorò

sentii le farfalle nello stomaco.

Page 45: Il mondo degli oggetti dimenticati

“Oh, scusami, non ti avevo visto”, gli dissi imbarazzata.

“no, non preoccuparti”, rispose lui timidamente.

Dopo essere andati a pagare il libro uscimmo insieme dalla biblioteca e lui subito mi

invitò a prendere un gelato per conoscerci meglio, ma non accettai perché avevo paura

di tornare a casa e che mio padre mi scoprisse, quindi lo lasciai lì e tornai in fretta a

casa.

Quella notte la passai in bianco a pensare a lui e a se ci fosse rimasto male per il mio

rifiuto.

Dopo tre giorni lo vidi fuori scuola con uno sguardo molto attento, come se stesse

cercando qualcuno; feci finta di non vederlo perché non volevo affezionarmi a quel

ragazzo, dato che sapevo bene che mio padre non mi avrebbe mai permesso di avere

una relazione.

I miei tentativi di nascondermi fallirono perché mi venne incontro e mi chiese: “

perché cerchi di evitarmi?”

“non sai neanche il mio nome, non mi conosci nemmeno, perché mi stai cercando”

Lui rispose imbarazzato dicendomi :” perché non riesco a non pensarti e dal tuo

sguardo ho capito che c’è qualcosa in te. Mi interessi, mi interessa la tua vita, la tua

storia. Vorrei conoscerti davvero”

A quelle parole mi imbarazzai perché nessuno fino ad allora mi aveva detto che ero

importante, il mio stato emotivo era così forte che scappai via senza pensare alle

conseguenze.

Passarono tre settimane, il mio pensiero prima di andare a dormire ricadeva su di lui,

temevo che a quel punto mi avesse dimenticata, dato il mio atteggiamento.

Un giorno mio padre e mia madre uscirono per tutta la giornata perché dovevano

andare a visitare una zia che stava male.

Ci furono vari ripensamenti ma alla fine decisi di andarlo a cercare, nonostante non lo

conoscessi bene. Decisi di andare al parco, il luogo dove di solito mi schiarivo le idee,

dato che ne avevo tante che si intrecciavano nella mia testa e mi tormentavano

continuamente e proprio mentre il mio sguardo vagava lo vidi seduto da solo su una

panchina a leggere un libro.

“Hey, ciao! volevo chiederti scusa per l’altra volta, non sono abituata a questo tipo di

situazioni e non sapevo come reagire...”, dissi tutto d’un fiato.

“Che ne dici di ricominciare daccapo? Piacere, mi chiamo Federico, ma puoi chiamarmi

Fede.”.

“Piacere Chiara”.

Page 46: Il mondo degli oggetti dimenticati

Trascorsero due settimane da quel giorno, non potevamo né chiamarci né inviare

messaggi perché mio padre non mi permetteva di avere un telefono, ma lui veniva ogni

giorno fuori la mia scuola e, anche se per poco tempo, potevamo stare insieme.

Era il 10 Giugno, mio padre tornò da lavoro e siccome mia madre assisteva la zia

toccava a me cucinare. Ma la cena che avevo preparato non fu di suo gradimento e

come un fulmine si avventò su di me riempiendomi di botte, ma anche di insulti.

Per questo mi chiusi in camera e mentre stavo piangendo ripensando a quanto facesse

schifo la mia vita, sentii qualcosa colpire la finestra, mi affacciai e vidi Fede.

Lo feci entrare dalla finestra cercando invano di nascondere le lacrime, ma lui se ne

accorse.

Inizialmente tentai di nascondere il vero motivo per il quale stavo piangendo ma, dopo

vari tentativi da parte sua, gli raccontai tutto, decisi di fidarmi.

“ Adesso ti racconto la mia storia...”.

Come immaginavo, cercò subito di convincermi a denunciarlo, ma era pur sempre mio

padre, non potevo farlo, però alla fine compresi che quella era l’unica cosa sensata da

fare. Lo feci quella sera stessa. Mi aiutò a raccogliere le mie cose silenziosamente,

uscimmo dalla finestra e ci avviammo verso la caserma dei carabinieri.

Quella notte in caserma c’erano solo due carabinieri; dopo due ore interminabili in cui

dovetti raccontare ogni episodio doloroso della mia storia, finalmente libera di vivere

la mia vita salii sulla moto di Fede e ci dirigemmo verso la sua casa, dove mi avrebbe

ospitato. Eravamo entrambi maggiorenni avevamo tanti sogni e speranze nel domani.

quello fu uno dei momenti più significativi della mia vita, quando mi sentii

completamente libera da tutte le violenze che avevo dovuto subire per anni.

Uno dei miei primi pensieri, però, andò a mia madre, che contattai telefonicamente

raccontandole tutto. Non faceva che scusarsi per non essermi stata accanto quando

doveva. Non ritornò mai più in quella casa e andò a vivere da una sua amica.

Oggi sono una donna sposata, vivo con l’unico uomo che ho amato e ho due fantastiche

figlie.

Mi rivolgo ai miei lettori e a tutte quelle ragazze rinchiuse in se stesse. Se avete

qualcosa da dire: ditelo. Se avete qualcosa da raccontare: raccontatelo.

Vi invito a non aver paura, a confidarvi, a non tenere tutto dentro.

E ricordate: la donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere

calpestata, non dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere alla pari, da

sotto il braccio per essere protetta, dal lato del cuore per essere amata.

Page 47: Il mondo degli oggetti dimenticati

Dalla parte delle donne

“Mi chiamo Janet, ho ventiquattro anni. Qualche anno

fa ho subito delle violenze da parte del mio ex-

compagno. Ho subito delle violenze fisiche che hanno

lasciato un segno nella mia mente, ma la violenza più

dolorosa è stata quella psicologica, che non lascia

segni sul corpo, ma nell’ anima”

Disse la ragazza alla psicologa, che le chiese:

“Quando è cominciato tutto questo, e in che modo?”

La ragazza rispose:

“Ero appena maggiorenne, andammo ad una festa di diciott’ anni, quel giorno indossavo

un vestito a tubino rosso, scollato sulla schiena, il decolté era ben in vista. Era corto,

arrivava sopra il ginocchio”

Mentre la psicologa annotava, alla ragazza cadeva qualche lacrima.

“Pensavo che fosse un normale attacco di gelosia, invece fu proprio da quel momento

che le cose andarono peggiorando diventando insostenibili”

La psicologa disse:

“Dopo ciò, quali erano le tue preoccupazioni, le tue paure?”

Janet rispose:

“Ero stanca, sfinita, volevo ribellarmi, ma non ce la feci, a tal punto che pensai al

suicidio, ma ci ripensai perché capii che la vita è un dono di Dio, è una cosa bellissima e

anche se mi sembrava che tutto e tutti erano contro di me, c’era sempre qualcuno

disposto ad aiutarmi. Allora chiesi consigli a mia madre, una donna fantastica, che mi

sostiene ogni momento, e mi disse di denunciarlo, cosa che io non avrei mai fatto, a

causa delle mie paure e della mia insicurezza.”

La psicologa disse:

“Riesce a raccontarmi un altro episodio?”

Page 48: Il mondo degli oggetti dimenticati

E la ragazza:

“Sì, credo di sì. Un giorno il mio compagno tornato da lavoro non mi trovò a casa. Ero

uscita a fare una passeggiata con le mie amiche, e a furia di parlare non mi resi conto

che si era fatto tardi. Lui mi chiamò , ma non sentii lo squillo. Tornai a casa alle 13:30 ,

e lui mi aggredì. Mi sbatté contro il muro , poi mi diede dei pugni in faccia e dopo uscì

di casa. Non si ritirò quella sera, andò in qualche bar frequentato da delinquenti con i

suoi amici. Il mattino dopo, pur mettendo strati e strati di fondotinta e correttore, l’

ematoma si vedeva. Per giustificarmi mi inventai che ero caduta dalle scale con la

faccia a terra e che in questo modo mi ero procurata un ematoma.

La psicologa disse:

“Quando hai deciso di denunciarlo, e ora hai un fidanzato o hai paura di averlo??”

“Lo denunciai per violenza. Ora ho un nuovo ragazzo che mi rispetta e mi accetta per

quello che sono, da pochi giorni mi ha chiesto di sposarlo e sono felicissima, perché mi

sento come Cenerentola che prima viene maltrattata dalle sue sorellastre e dalla sua

matrigna, e poi trova il suo principe azzurro, e io l’ ho trovato “

“Si sente più sicura e soddisfatta di averne parlato con qualcuno??”

“Si, vi voglio ringraziare dottoressa Philips ma voglio ringraziare tutto il centro

”Nastro Rosa”….grazie mille…mi scusi io ora sono più sicura, dovrò fare altre sedute?”

“Se lei ha bisogno di aiuto venga se non vorrà venire sarà perché si sente più

sicura….io sono a vostra disposizione…e le consiglio di aiutare altre donne raccontando

la vostra storia, una storia finita bene e che può dare speranza a tutte le donne che

hanno subito una violenza.”

“D’ accordo penso che sia una bellissima idea” .

Page 49: Il mondo degli oggetti dimenticati

Il coraggio di cambiare

Sono in camera mia, seduta sul letto sfatto. La

libreria è rovesciata a terra e i libri sono sul

pavimento. I miei quaderni sono irrecuperabili,

macchiati dall’inchiostro di una vecchia penna nera.

La poltrona è a terra, i cuscini sono completamente

rotti e con essi anche dei miei vestiti. Sembra che

qui, poco tempo fa , sia successo qualcosa di

terribile. E infatti è così. Poco tempo fa, verso le

8:00, qualcuno ha bussato con violenza alla porta di

casa. Eravamo tutti seduti intorno al tavolo della

cucina. Il papà fumava e l’odore della sigaretta accesa aveva impregnato i nostri

vestiti. La mamma aveva delle occhiaie profonde, come succedeva spesso in quell’

ultimo periodo, lo sguardo fisso nel vuoto e un’espressione afflitta sul suo volto

scarno. All’udire quel suono, la mamma si riscosse. Guardò mio padre con gli occhi

spalancati, con un’espressione interrogativa.

-Aprite, polizia!- aveva urlato un vocione .Papà era scattato in piedi.

- Aprite, o butto giù la porta!- le voci diventavano sempre più forti.

La mamma era corsa a spostare la credenza e ad aprire una piccola porticina che si

trovava dietro di essa, della quale non conoscevo l’esistenza.

-Veloce, veloce- sussurrava, spingendo mio padre all’interno della piccola botola. I

colpi alla porta si facevano sempre più forti, i poliziotti stavano evidentemente

perdendo la pazienza. La mamma mi guardò spaventata, dopo aver spostato la

credenza, e mi fece segno di andare in camera mia. Ubbidii rapidamente, mentre i

poliziotti iniziavano a dare manganellate sulla porta. Mamma aprì. Non capii

immediatamente ciò che volevano. Sentivo pronunciare in continuazione il nome e il

cognome di mio padre, mentre mia madre continuava a insistere dicendo che no , non

era in casa, era uscito poco tempo prima. Poi i poliziotti avevano incominciato a

cercare in tutto l’appartamento, mettendo in subbuglio anche camera mia. Se ci

ripenso i brividi mi percorrono la schiena. Ho paura. Sento i singhiozzi nella camera

accanto. Da quando ci siamo trasferiti qui a Napoli, tutto è cambiato. Mio padre non

è mai stato un uomo calmo. Mi ricordo che era abbastanza irascibile anche quando

ero una bambina. Ma l’ho sempre amato e lui ha sempre amato me. Dopo pochi giorni

dal nostro trasferimento mio padre è stato coinvolto in diversi avvenimenti.

Page 50: Il mondo degli oggetti dimenticati

Mi ricordo un pomeriggio , era sabato. Eravamo a casa tutti, meno che mio padre.

Era sicuramente al bar del cento, dove passava la maggior parte del suo tempo.

Appena tornava la mamma gli chiedeva dove fosse stato e lui rispondeva con aria

evasiva :-Affari, Carmen. Affari-. Ci diceva solo che potevamo concederci qualche

lusso in più. Io avrei potuto avere il mio primo motorino e la mamma abiti e profumi

firmati. Papà diceva di aver trovato un lavoro e passava del tempo a parlare dei così

detti “affari” con un uomo che lui chiamava “Il mister”. Ben presto, però, la mamma

si accorse che i nostri nuovi ”lussi” comportavano dei cambiamenti sia nel carattere

di mio padre, che nella nostra quotidianità. Per esempio, quel sabato pomeriggio,

sotto casa mia iniziarono a sentirsi degli spari e delle urla. La mamma si affacciò

alla finestra e lanciò un urlo. Non so perché , non so cosa vide. So solo che da quel

giorno non fu più la stessa. A casa mia iniziò a calare il silenzio. Il momento più

brutto era la sera, quando cenavamo seduti intorno al tavolo della cucina. La mamma

non osava dire una parola. Io mi sentivo strana, a disagio, e ogni volta mi veniva da

piangere, ma sapevo che non potevo farlo. E così dovevo provare quell’orribile

sensazione di quando bisogna trattenere le lacrime e bisogna aspettare di essere

soli, di non essere visti. Mi gira la testa. Ecco. Mio padre ha iniziato ad urlare.

Perché? Non lo so. I singhiozzi della mamma si fanno più forti. Vorrei andare di là ,

abbracciarla, proteggerla dall’uomo violento che è diventato mio padre. Ma la paura

mi blocca. Dopo poco le urla finiscono e la porta d’ ingresso sbatte. Mi precipito in

camera di mia madre che è seduta ai piedi del letto. Mio padre è uscito, ora siamo

più al sicuro. La vedo sfinita, ha finito le forze. Non ce la fa più. Sono tre anni che

viviamo così. Da quando avevo quattordici anni. Devo ammetterlo, non ho mai avuto

grandi rapporti con mia madre. Durante la mia adolescenza con lei è stato un

litigare continuo, ma la sofferenza mi ha fatto maturare. Voglio esserle vicina. Mi

metto nei suoi panni: madre di una figlia insopportabile, moglie di un uomo cattivo.

Come fa a continuare, a reggere, a non crollare? Non ho mai conosciuto una donna

più forte di lei. Ha già avuto una grande sofferenza: quando io non ero ancora nata

mia sorella maggiore è morta. Si chiamava Maria, aveva cinque anni. L’hanno uccisa,

non si sa ancora chi. Ma lei è riuscita a superarlo; ha dato alla luce me, chiamandomi

Maria Vittoria, forse per ricordare lei. La guardo con compassione. La mamma si

butta tra le mie braccia, e piange, singhiozzando molto forte.

- Basta, basta- mi sussurra. Cerco di calmarla, ma inevitabilmente inizio a

piangere anch’io.

- Siamo in pericolo, Maria Vittoria. Potrebbe succederci qualcosa da un

momento all’altro. Io ho già perso una figlia, non perderò anche te per colpa

Page 51: Il mondo degli oggetti dimenticati

di tuo padre. Qui non siamo al sicuro- mi guarda con gli occhi neri e lucidi, mi

sento male. Non l’ho mai vista in questo stato.

- E allora, mamma? Cosa ci possiamo fare noi? Cosa dobbiamo fare?-

La mamma esita qualche minuto, guarda il pavimento, gira e rigira tra le mani un

elastico. Poi mi guarda.

- Scappare? E dove? Dove andiamo? Quando?

- Non lo so. Potremmo partire domani, al mattino presto. Andiamo a Milano. O a

Torino. Il più lontano possibile da qui.

Sembrava una pazzia, ma davvero non ce la facevamo più. Ora sto bene. Da due

anni vivo a Milano, una città bellissima. Appena arrivata è stata un po’ dura

ricominciare da zero. La scuola, gli amici. E poi mio padre. Non ne abbiamo più

avuto notizie. Ma dopo poco ci siamo inserite. Mia madre ora ha un lavoro

regolare e siamo riuscite a comprare una casa graziosa in pieno centro. Dico

“siamo” perché mi sto impegnando parecchio. Ho deciso di aiutare mia madre

lavorando come cameriera in un ristorante. È stata una mia idea. La mamma non

voleva ma sono riuscita a convincerla. Il lavoro mi tiene occupata solo qualche

sera, per il resto sono molto presa dagli studi. Ho tanti amici e anche la mamma

ora è felice. Ogni tanto la sera esce a mangiare la pizza con le amiche, con le sue

colleghe. È ritornata come era prima. Il nostro rapporto è migliorato tanto,

stiamo bene insieme. Finalmente ci siamo riuscite. Abbiamo avuto il coraggio di

essere felici.

Page 52: Il mondo degli oggetti dimenticati

Una pagina di diario

12/03/2015

Caro diario,

ieri è stata una giornata tremenda per tutti :

tornata da scuola ,mio padre stavo urlando

contro mia madre e questo è un fatto che avviene molto spesso negli ultimi giorni .

Inizio a preoccuparmi… ogni volta che chiedo a mia madre come sta, mi risponde che va

tutto bene e non devo preoccuparmi tra quello che succede fra lei e mio padre; ogni

volta annuisco ,ma so che sta succedendo qualcosa fra loro e che il loro rapporto non è

come prima.

Dalla cucina riesco a sentire le loro discussioni ,a volte le urla di mia mamma.

In preda al panico andai a vedere cosa stesse succedendo vidi mia madre con il viso

coperto dalla sue mani mentre piangeva ,subito corsi ad abbracciarla e capii cosa stava

accadendo : mio è diventato un mostro, quando lo guardai negli occhi, lui abbassò lo

sguardo e se ne andò in salotto senza fiatare.

In quel momento non seppi come agire… ero sconvolta ,ma non mi ci volle molto per

comprendere che non potevamo più stare in quella casa con lui e quindi prendemmo il

necessario e andammo a casa dei genitori di mia madre… Raccontai loro quello che era

accaduto e dissero che potevamo restare per tutto il tempo necessario.

Ora io e mia madre viviamo qui fino a quando le cose saranno chiarite, ma quando

questo accadrà di certo non cambierò la mia opinione su mio padre: per me ormai è uno

sconosciuto, una persona che si diverte a far soffrire le persone deboli , specialmente

le donne.

Page 53: Il mondo degli oggetti dimenticati

Quel muro di silenzio

Cos’è il silenzio? Credo che la sua definizione sul

dizionario sia “ assenza di rumore”.

E’ strano il silenzio. Perché a volte lo ricerchi,

perché a volte ti rilassa.

Però a volte ti distrugge, a volte ti uccide, il

silenzio.

Si accumula dentro di te, ti attraversa lo stomaco

e si ferma al cuore.

E poi devi cacciarlo fuori, in qualche modo.

Prima lo fai con le lacrime, poi devi assolutamente farlo con le parole.

E adesso vorrei fingere che non sia successo niente, perché a quindici anni non sai

niente dell’amore.

E mi piacerebbe dire che mi chiamo Cristina, per gli amici Cris, e che sono felicemente

fidanzata.

Ma la mia storia è molto più complicata.

È iniziata il giorno del mio quindicesimo compleanno; avevo invitato tanti compagni di

scuola e un ragazzo che conoscevo a malapena si era presentato e mi aveva fatto i

complimenti.

Ricordo ancora tutto, per filo e per segno:

- Ciao, Cristina, mi chiamo Lorenzo-

Lo guardai, alto, molto più di me, con i capelli biondo cenere e gli occhi azzurro cielo.

Evidentemente era una persona molto sicura di sé; per quello che ne sapevo io era un

ragazzo studioso, intelligente e giocava a basket.

Adesso vi chiederete come ho fatto in così poco tempo a pensare tutte quelle cose: in

realtà i pensieri sono strani perché ti passano per la testa in pochi secondi.

-scusami, ci conosciamo?- chiesi io cercando di nascondere il mio imbarazzo.

- no, però potremo anche farlo.- rispose lui spavaldo.

-e chi ti dice che io voglia?-le parole mi erano uscite istintivamente dalla bocca...

-nessuno, però meglio piangere per qualcosa che si è fatto che rimpiangere qualcosa

che non si è fatto-rispose lui.

E mi aveva sorriso, e qualcosa mi si era mosso nello stomaco.

Quindici anni, il primo amore.

-ti ho fatto un regalo, Cristina- aggiunse subito dopo.

Page 54: Il mondo degli oggetti dimenticati

- Cris, chiamami Cris. Odio il mio nome.- dissi sottovoce.

- tieni, Cris.-

Mi porse un pacco ed io lo aprii; conteneva una collana di perle con un piccolo cuore,

sopra il quale era incisa una C, l’iniziale del mio nome.

Quindici anni, il primo regalo che ti riempie di gioia.

- Grazie, è bellissimo- balbettai.

- Sono felice che ti piaccia. Balliamo?- mi tese la mano.

- Certo.-

Era il mio quindicesimo compleanno, un ragazzo mi aveva fatto un regalo splendido e

ora stavamo ballando.

Era perfetto. Che stupida ero; su quella perfezione momentanea avevo costruito

dei sogni, avevo immaginato amore, sorprese, felicità.

Ma avevo quindici anni e volevo qualcosa di unico ed ora, a distanza di soli tre anni

non mi fiderei come mi ero fidata quella notte.

- Scusami, mi serve un po’ d’aria-

- - posso accompagnarti?-

- Se vuoi sì-.

Uscimmo, mano nella mano, ed andammo in giardino. Ci sedemmo su una panchina e

cominciammo a parlare.

- Allora, Cris, perché non mi racconti di te?-

- Non saprei che dirti, io non ho niente di speciale.-

Lo vedevo avvicinarsi e sentivo solo il battito del mio cuore, mentre lui posò le

labbra sulle mie.

Quindici anni, il primo bacio.

Mi ero fidata troppo e troppo presto.

Come un fiore, un bellissimo fiore che viene spezzato dal vento.

Forse il fiore non si aspettava che una cosa fresca e pulita come il vento potesse

spezzarlo.

Ed io ero una ragazza nel fiore degli anni, che non pensava che una cosa pura come

il primo amore potesse ferirla.

Da quel momento avevamo cominciato ad uscire, a frequentarci. Lui mi

accompagnava tutte le mattine a scuola con la sua macchina perché frequentava

l’ultimo anno di liceo. Io andavo a vederlo giocare alle partite di basket, spesso

mangiavamo insieme da qualche parte.

Stavamo bene, ci divertivamo insieme, eravamo sereni.

Ma dopo qualche mese lui cominciò ad avere atteggiamenti strani nei miei confronti.

Stava diventando geloso, ossessivo, delle volte mi rispondeva male o mi spingeva

Page 55: Il mondo degli oggetti dimenticati

violentemente. Un giorno, all’uscita della scuola mi trovò a chiacchierare con un mio

compagno, scese dalla macchina, mi afferrò il polso con violenza, facendomi male e

mi trascinò fino alla macchina.

Quella volta litigammo come non avevamo mai fatto prima.

Quindici anni, i sogni che si spezzano.

Rientrai a casa piangendo e i miei genitori mi videro piangere, mi chiesero cosa

avessi e risposi che avevo avuto una brutta giornata.

Mi stesi sul letto e abbracciai il cuscino, singhiozzando, fino a quando sentii la voce

di mia madre :

- Cris, vieni, è pronta la cena!-

- No, mamma, non mi va-

- Dai, scendi!-

- Vabbè, ho capito....-

Mentre scendevo le scale mi squillò il cellulare:

- Pronto?

- Ciao, Cris, come stai?- disse una voce familiare al telefono.

- Ciao, Elisa, insomma. Tu?

- Bene, che è successo?

- Ho litigato con Lorenzo.

- Ti va di vederci e prendere una bibita fresca?

- Sì, ok, dammi il tempo di cenare.

Dopo cena andai a prepararmi. Indossai un vestito color pesca, con il pizzo sulla

schiena. Io ed Elisa arrivammo in un locale in riva al mare e sen immo dei ragazzi

che cantavano; entrando notammo che i ragazzi erano molto giovani; il più grande

era il cantante, che doveva avere circa 18 anni. Io ed Elisa ordinammo da bere due

frappè alla fragola e dopo circa mezz’ora il cantante venne a salutare Elisa con un

abbraccio. Ci presentammo, io gli porsi la mano e lui me la strinse. Aveva degli occhi

bellissimi, verdi, i capelli neri ed era circa dieci cm più alto di me.

-da quanto tempo canti?

-da quando ero piccolo, mi è sempre piaciuto.

-Anche a me piace la musica.

Ad un certo punto Elisa dovette andarsene, perché l’avevano chiamata da casa con

urgenza. Io rimasi sola con Leo, avevo vergogna e pensavo che se mi avesse vista

Lorenzo sarebbe finita male.

Il solo pensiero mi fece rabbrividire: si può a quindici anni aver paura di farsi

vedere in giro? Ma io ero troppo ingenua e non ci pensavo.

- Che dici, andiamo a fare due passi?

Page 56: Il mondo degli oggetti dimenticati

- Sì, d’accordo.

Aprì la porta e mi fece cenno di passare per prima, mettendomi una mano sulla

schiena, ma stranamente quel gesto non mi infastidì, non come con Lorenzo. Adesso

mi facevano paura le sue mani violente su di me.

Io e Leo stavamo passeggiando sulla spiaggia e cominciammo a chiacchierare:

- Cos’ è quello?

- Cosa?

Mi prese il polso.

- Questo, hai un livido.

Ritirai subito la mano.

- Niente, sono andata a sbattere contro il tavolo- ma io le bugie non ho mai

saputo dirle, e infatti abbassai lo sguardo.

- Sicura?

- Sì, sicura- risposi a mezza voce.

- Sei fidanzata?

- S’, e tu?

- Io no, come si chiama lui?

- Lorenzo. Non vorresti avere una ragazza?

- No, non sono il tipo da fidanzamenti

- Se lo dici tu...

- Perché, a te come sembro?

- A me sembri simpatico e gentile... affidabile.

- E tu ti fidi di uno che conosci da neanche un’ora?

In effetti aveva ragione, facevo male a fidarmi sempre così presto, come avevo

fatto con Lorenzo. Il discorso continuò per tutta la serata, parlammo dei nostri

sogni più grandi, delle nostre passioni e della nostra famiglia. Leo aveva solo una

sorella e suo padre; la madre era morta a causa di una malattia pochi anni prima.

Quando purtroppo arrivò l’ora di tornare a casa, mi salutò con un abbraccio e un

bacio sulla guancia. Proprio in quel momento vidi una macchina venirci contro, ma io

non ero riuscita a capire chi fosse la persona alla guida. Pochi secondi dopo notai

che l’auto era simile a quella di Lorenzo, e infatti avevo proprio ragione, era lui.

Conoscendolo, sapevo che ci stava spiando non da poco tempo; in quei pochi minuti

speravo soltanto fosse venuto a prendermi per riportarmi a casa. Ma ovviamente

non era così. Ma cosa stava succedendo? Dov’era finita la Cris innamorata del suo

bel ragazzo dagli occhi color cielo? Era davvero colpa mia?

Lo vidi scendere dalla macchina e, senza quasi rendermene conto, iniziai a tremare.

Page 57: Il mondo degli oggetti dimenticati

Ad ogni suo passo la mia paura cresceva; il Lorenzo di prima sarebbe corso verso di

me, mi avrebbe abbracciata forte e poi sorridendo si sarebbe presentato a Leo e

gli avrebbe stretto la mano. Ora invece non riuscivo ad immaginare come l’avrebbe

presa, forse mi avrebbe urlato in faccia chissà quali parole o peggio, mi avrebbe

fatto ancora del male. Me lo ritrovai davanti e, come avevo immaginato, iniziò ad

urlare:

-E tu che ci fai qua, stupida?!!-

Mi spinse con forza, barcollai, ma fortunatamente Leo mi resse e cercò di

difendermi:

- Chi sei tu per trattarla così? Renditi conto che la stavi facendo cadere!

- Sono il suo ragazzo!-

- Ah, bene, sei io suo ragazzo e la tratti così!

- La roba mia la tratto come voglio!

- Ma guarda che lei non è un oggetto.

La discussione stava degenerando e dovetti intromettermi.

- Lorenzo, basta, andiamocene, per favore...

- Tu te ne vorresti andare via con questo qua?- mi chiese Leo-

Lorenzo mi afferrò con prepotenza e mi trascinò verso la macchina; io cercavo di

ribellarmi, ma non ero abbastanza forte. Mi sbatté sul sedile, chiuse lo sportello e

mi lasciò in auto. Lo vidi avvicinarsi a Leo e iniziare a picchiarlo. Urlavano così forte

che riuscivo a sentirli. Cominciai a piangere. Dov’era finito il mio Lorenzo? Quel

ragazzo così dolce e disponibile con tutti? Cercai di aprire lo sportello ma ero

chiusa dentro. Li sentivo prendersi a parolacce, mentre si davano calci e pugni

-Cris è mia, non la devi toccare, hai capito?-

- lasciala in pace, sei tu che la tratti come un oggetto!-

Effettivamente mi trattava come fossi un oggetto, il suo giocattolino, e appena

provavo ad allontanarmi da lui per vivere la vita normale di ogni ragazza della mia

età mi faceva male, mi batteva, imponendomi di stare in silenzio.

Ad un certo punto vidi Leo andarsene e Lorenzo entrò in macchina con il labbro

sporco di sangue. Mi faceva paura.

-Portami a casa, Lorenzo.- dissi singhiozzando.

- Io e te dobbiamo parlare, quindi fai poche storie- rispose secco lui.

-Perché mi tratti così? Perché non sei più com’eri prima?-

-Cris, quello che faccio lo faccio perché ti amo-

Non riuscivo a capire, forse perché pensi che l’amore sia buono, buono e basta, ma

io non capivo che esisteva un altro tipo di amore, quello ossessivo, quello malato.

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-Senti, Cris, io ti amo- mi disse infine con voce forte ,- Però tu devi stare attenta

a quello che fai, altrimenti finisce male. Non devi più vederti con gli altri né

tantomeno uscire con loro.

-Lorenzo, io non sono un giocattolo. Non posso chiudermi in casa a vita, fino a che

non mi dai il permesso di uscire. Cosa c’è di male a vedere gli amici? Se la pensi

così è meglio farla finita.

-Tu vorresti lasciarmi? Cristina forse non hai capito che comando io!

- Cercai di svincolarmi ma lui mi aveva bloccato con forza i polsi. Volevo lasciarmi

tutto alle spalle. Poi mi strattonò fino a farmi cadere...

Posai una mano a terra per cercare di rialzarmi, il polso mi pulsava, mi faceva

malissimo. Lorenzo mi fece rialzare, mi afferrò il mento e mi baciò con forza.

Piangevo a singhiozzi, mi sentivo schiacciare, mi sentivo risucchiare da tutto il peso

del mondo. Diceva che dovevo capire che mi amava, che mi voleva tutta per sé.

Voleva da me una promessa, che facessi sempre come voleva lui. Non ce la facevo

più, dovevo andarmene. In quel momento arrivò un gruppo di ragazzi e io ne

approfittai per divincolarmi dalla presa e fuggire via velocemente.

Da allora non l’ho più visto, non è venuto a cercarmi e spero davvero di essere

lasciata in pace. Ho capito che quello non era amore ma una visione distorta

dell’amore. L’amore è una libera scelta consapevole di condividere la vita con

un’altra persona, senza cercare di cambiarla e senza alcuna costrizione. La violenza

non può essere in nessun caso una conseguenza dell’amore. Ha un altro nome.

Page 59: Il mondo degli oggetti dimenticati

Omicidio a Vancouver

La mia non è una vita normale, mi capita

ogni giorno di avere a che fare con

omicidi, ma nel mondo i delitti più

numerosi sono i delitti contro le donne.

Non ho altri pensieri in mente, durante la

notte. Il ruolo della donna, invece di migliorare, degrada, dalle stelle alle stalle.

25/10/2012 ore 02: 33 a. m.

DIN DON...

“ La prego, mi dia una mano, è successo che.... devo denunciare... mia madre si chiama...

io mi chiamo....lei è Letizia Del Diavolo... io sono Sasha Adams....” disse una bambina di

circa dodici anni, con capelli corti come se le fossero stati strappati. Erano bruni, ma

la cosa che mi spaventò furono i suoi occhi chiari, grandi, pieni di dolore e paura.

Aveva una camicetta a quadretti rosa, sulla quale scorsi una grossa macchia rossa sul

fianco destro della bambina, una ferita che le provocava forti fitte , tanto che

all’improvviso lanciò un urlo e svenne.

Cercai di soccorrerla, la caricai in macchina e la portai all’ospedale. Lì la rianimarono e

la condussero in ambulatorio per ricucirle la ferita.

25/10/2012 ore 09:00 a.m.

mi avvio, quasi corro, verso il mio ufficio tra Madison Street e corso costa canadese.

Lavoro per un’associazione e insieme a me ci sono tante donne. E ci occupiamo di

donne... donne sottovalutate nel lavoro o in famiglia, donne abbandonate, maltrattate,

anche uccise.

Entro nel grande palazzo, vedo Claire lavorare al computer. Mi precipito da lei, le

sposto la sedia e le urlo l’avvenimento di cui ero stata testimone.

Non avevamo da tempo un caso di questo genere: solo un nome e un cognome..

Mai successo, eppure lavoro in questo campo da anni. Qui alla S.O.S. Donne ci

occupiamo di tanti casi, ma sempre con un minimo di informazione.

Ore 9:45 a.m.

Mi dirigo verso il mio ufficio, una piccola stanza piena di nastri gialli a strisce nere

della polizia, sacchetti sigillati con eventuali indizi dei casi trattati, un piccolo divano

invaso da scatole piene di filmati della sicurezza, foto delle scene del crimine, foto di

assalimenti; la mia scrivania è piena di buste gialle, carte con indirizzi, informazioni

sugli indagati.

Page 60: Il mondo degli oggetti dimenticati

Batto sul computer cognome e nome della vittima. Non so chi sia, dove viva, che lavoro

faccia. So solo che ha una figlia di nome Sasha Adams e che era in pericolo.

Ricerco su internet nome e cognome della donna. Letizia Del Diavolo e rimango

sbalordita!

“ Ultima notizia! Letizia del Diavolo agente FBI....” e poi.. “Delusione canadese: come si

dice... dalle stelle alle stalle! La brillante agente licenziata per aver parlato con i

familiari di ciò che avviene all’interno di una struttura supersegreta. Si ritrova a

lavorare per un piccolo giornale di provincia, a portare il caffè.

Esco dal sito e cerco la biografia della donna, ma niente. Penso che sia il caso di

andare a parlare con Sasha e, con penna e taccuino, vado in ospedale.

10.00 a.m.

Varco la soglia della stanza di Sasha e la vedo riposare. Anche io ho una figlia: Noemi.

Tutte le bimbe, almeno le compagne di classe di scuola di mia figlia, fanno questo

genere di domande alle loro mamme:” Come è andata oggi a lavoro? Cosa si mangia a

pranzo?”

La mia mi domanda: ”Chi hai aiutato oggi mamma?” Ogni giorno mi sorprende sempre di

più. Appena mi siedo vicino a Sasha, lei si volta verso di me e si sveglia.

La ragazza mi saluta, come se mi conoscesse da una vita. Una alla volta, le faccio delle

domande, dalle quali ricavo le risposte per l’indagine.

Nome: Letizia

Cognome: Del Diavolo

Nata nel :25/04/1971 Luogo: Napoli

Lavoro precedente: segretaria del Signor Bespa

Nuovo lavoro: impiegata in un’azienda investigativa col Signor Rotaro

Ex Coniuge: Gordon Adams

Compagno: Denis Macabro

Capo: Rodrigo Rotaro

Con le mie informazioni torno in ufficio.

10.40 a.m.

Batto sul computer i dati della vittima e torno a casa. È ora di cucinare per Noemi,

oggi esce da scuola alle 11.15. pasta e broccoli. Credo che Noemi vorrà uccidermi,

come lo chiama lei, il “pranzo vegetariano”, non le garba.

11.15 a.m.

Vado fuori scuola di Noemi. La vedo indaffarata tra scambi di numeri di cellulare e col

controllo dell’assegno all’ultimo momento.

Page 61: Il mondo degli oggetti dimenticati

La sua scuola è la St George’s School, che si trova alla 29th Avenue. Scelsi quella

scuola per i brillanti ragazzi usciti da lì, tra cui io.

Noemi mi pregò di non mandarla in quella scuola, non voleva diventare “secchiona” come

la mamma. Ma la mamma, uscita da quella scuola, trovò subito lavoro. 1 a 0 per la

mamma secchiona!

La St George’s School offre opportunità formative eccezionali ( da me richieste):

corso di matematica avanzata, ginnastica artistica, equitazione e polo, tennis da

tavolo, pallavolo, corso di scrittura creativa, corso di arte, di musica e di informatica

(secondo me i ragazzi devono essere pronti a qualunque evenienza).

Mi dirigo verso Noemi, lei si volta e mi abbraccia. Sento da non molto lontano la voce

di Sarah, una compagna di classe di mia figlia, che chiede alla mamma come fosse

andata a lavoro, quel genere di domanda che vorrei sentir dire da mia figlia quando mi

vede arrivare. “ Che è successo oggi mamy? “, ( mamy?! Già è un miglioramento). Ho

paura di dirle del pranzo vegetariano.

11.35 a.m.

Torniamo a casa, e le metto davanti il piatto di pasta e broccoli, e stranamente, non fa

storie.

“ Da quando ti piace la pasta e broccoli?” chiedo, sbalordita. “ L’ho mangiata a casa di

Caroline” risponde.

“Ti devo mandare più spesso da lei!” dico, guardandola con un grosso sorriso.

Finito il pranzo, Noemi va in salotto e comincia a studiare. Vado verso di lei, le

controllo il diario, e dico con fermezza:” Comincia dal greco, poi fai inglese, e dopo

storia dell’arte”. Dopo aver fatto pranzare mia figlia, relax totale. Per oggi ho finito.

26/10/2012 11.00 a.m.

Seduta alla mia scrivania, sfoglio e rileggo le notizie ricavate dalle domande fatte a

Sasha. Attirano la mia attenzione tre nomi: il Signor Rotaro, Gordon Adams, Denis

Macabro. I loro nomi mi danno da pensare, allora, decido di convocarli, per capire chi

sono, che facevano, che rapporti avevano con la donna.

14.30 p.m.

Dopo una mattinata di duro lavoro, tra investigazione e altro, non sono costretta a

tornare a casa per cucinare per Noemi, visto che l’ho mandata dalla nonna a pranzo.

Sono quasi le 14.30,quando sento la maniglia del mio ufficio aprirsi. Intravedo due volti

dal vetro chiaro della porta, ma non li riconosco.

La porta si apre ed entrano due uomini. Non li ho mai visti prima; solo un colpo di genio

mi riporta alla mente dell’incontro che avevo con gli uomini. Ma io avevo convocato tre

uomini, non due.

Uno è basso, leggermente in sovrappeso, con un paio di grandi baffi neri. Indossa una

camicia rossa, un pantaloni classici neri, sembra un commerciante spagnolo.

Page 62: Il mondo degli oggetti dimenticati

Il secondo è un uomo alto, indossa una polo verde, un paio di pantaloni neri, è un

bell’uomo, un tipo da palestra, veramente bello! Avevo visto sul computer il nome

dell’azienda in cui lavorava Letizia, tra le foto compare il Signor Rotaro. Copio la foto,

e la metto nella cartellina gialla che avevo sul desktop. Solo allora lo riconobbi.

Assomigliava al cattivo del film “Cattivissimo Me 2”, che ho visto da poco con mia

figlia.

Gli ho fatto qualche domanda. Diceva che Letizia lavorava nella sua azienda da qualche

anno, dopo i Servizi Segreti, la segretaria al giornale e ,infine , lavoratrice in

un’azienda investigativa, col Signor Rotaro.

Parlava in modo nervoso, come se volesse nascondere qualcosa. Pensava che io fossi

una di quelle investigatrici dei film, in una stanza buia con la lampada puntata in faccia

per gli interrogatori. Era un tipo ansioso e ma affabile, in fondo un buon uomo.

Passiamo avanti.

IL secondo era un bell’uomo. Mi raccontava che si era risposato dopo la separazione

con Letizia, aveva 2 figlie, si era trasferito negli Stati Uniti, ma era triste di non

essere potuto stare molto tempo con la figlia e con l’ex moglie, dopo la loro

separazione. Da allora non le aveva più riviste. Si vedeva dall’espressione, non c’entra

niente.

Aspetto invano per circa tre quarti d’ora, ma il terzo indagato non si presenta. Decido

di cercare su Internet il suo indirizzo, e mi reco a casa sua.

15.15 p.m.

Arrivo nella mia Captur arancione nella 24th Avenue, vedo una bella casa bianca, con

un bel giardino, molto curato. Busso ripetutamente al campanello, ma nessuno risponde.

Le luci sono accese, deve esserci qualcuno in casa. Faccio un giro nel retro e vedo la

porta del garage aperta. Entro e vedo un paio di scarpe marroni sotto un piccolo

furgone, mi viene un colpo. Smuovo leggermente quel paio di scarpe e un uomo appare

da sotto il camioncino. Lo vedo intento a sistemare la sua auto, come se dovesse fare

qualcosa, ma molto rapidamente. Mi presento e gli chiedo di parlarmi dei suoi rapporti

con la donna.

Mi dice che era il compagno di Letizia, ma non la vedeva circa da una settimana e più.

Mi sta per mandare via, in maniera brusca, con la scusa di dover intraprendere un

viaggio per lavoro. Intravedo un paio di scarpe da donna sul sedile posteriore e gli

chiedo gentilmente di aprire lo sportello. Quasi esitando, guardandomi con

un’espressione della serie “ impicciona!”. Apre lo sportello e, con mia grande sorpresa,

ma con orrore, vedo Letizia legata, imbavagliata, con un occhio nero, con un paio di

stracci addosso ma viva! L’uomo, scoperto, tenta di fuggire. Ma io, pronta per ogni

evenienza, avevo già chiamato una squadra speciale, pronta a servirmi. L’uomo esce dal

Page 63: Il mondo degli oggetti dimenticati

garage e si catapulta verso la macchina che aveva nascosto dietro delle siepi, tipo

agente 007. Gli agenti lo bloccano. Lui caccia una pistola, loro lo bloccano rendendolo

inoffensivo. L’uomo si rassegna, posa la pistola, alza le mani e uno dei militari, da

dietro gli da una botta in testa, e sviene.

Aiuto Letizia a liberarsi e lei mi spiega tutto.” Era un giorno come tanti, avevo lasciato

mia figlia a scuola, poi ero andata a lavoro. Stavo lavorando a un’investigazione col

Signor Rotaro. Era un’investigazione privata, su un caso di estorsioni a piccoli

imprenditori. Facemmo delle intercettazioni telefoniche e scoprimmo che tra le

persone indagate, e ormai colpevoli, c’era proprio lui, Denis. Io, impaurita ma

infuriata, uscii dal mio ufficio e andai a scuola per prendere mia figlia. Si fecero le

nove di sera, tra preparazioni di bagagli e altro, quando bussò la porta. Tanta era la

paura che non ce la feci a guardare chi fosse. Aprii la porta e Denis mi diede uno

schiaffo. Entrò e colpì Sasha. Mia figlia prese una pistola che aveva nascosto, visto

che mio marito era un militare e aveva lasciato quell’arma nel caso servisse. Sasha

sparò, ma lo mancò. Denis, intento a picchiarmi, mi fa cadere a terra e va verso mia

figlia. Lei cerca di proteggersi, quando quell’animale prese la pistola e il proiettile

sfiorò il fianco di mia figlia. Io, quasi incredula, frustrata di quello che stava

succedendo, saltai addosso a Denis. Lui riprese a picchiarmi, ma più forte. Sasha riuscì

a scappare, ma lui mi prese e mi portò via. Mi porta a casa sua. Non sapevo dove fosse

andata mia figlia, avevo paura”. Letizia mi guarda. Capisco che il suo era un piano ben

studiato, doveva lasciare il Paese, andare lontano, scappare, non lasciare più tracce.

Letizia è sul punto di piangere, per le violenze subite, la paura che aveva poteva aver

provato la figlia, la consapevolezza di non potercela fare, che non avrebbe più rivisto

la figlia, l’unica persona di cui poteva fidarsi. Ma ora, piange per la felicità di essere

viva, avere tanti anni davanti, di poterli vivere al meglio, vivendola con chi si ama

veramente. Ho deciso di non dirle della figlia, ma di portarla direttamente in ospedale.

17.30 p.m.

Entro nella stanza dove stava riposando Sasha. Non c’è bisogno nemmeno di chiamarla

per svegliarla, lei si alza e corre dalla mamma. Entrambe cadono in un pianto

incredibile, vengono avvolte da un velo di gioia.

18.00 p.m. Arrivata a casa, mi tolgo le scarpe, vado sul divano vicino a mia figlia a

guardare la tv. Un altro caso risolto, tutto sfuma nell’indistinto, devo solo aspettare

che un’altra bambina torni a casa mia, a notte fonda, a raccontarmi di un genitore o

parente scomparso…

Page 64: Il mondo degli oggetti dimenticati

Una famiglia “perbene”

Eccomi qua, sono una ragazza normale, ma non posso fare tutto ciò che fanno le altre.

A scuola comincia a girare la voce che mio padre fa parte della camorra, ed è vero.

Nella mia classe c’ è un ragazzo, Luca, è carino, devo dire che in fondo mi piace, ma

non ho neanche una speranza.

Mio padre mi ha detto di stargli lontano, perché è il nipote del prete che mio padre e i

suoi “amici” hanno ucciso.

Anche lui è innamorato di me, ieri mi ha scritto una lettera d’ amore.

Oggi gli ho risposto e gli ho confessato la storia di mio padre, ovvero che fa parte

della camorra. È un segreto che mi porto dentro da tanto, tanto tempo, che non ho mai

osato dire a nessuno. Ma lui mi ispira fiducia, mi ridà la speranza nella vita e nel

futuro.

Mi aspettavo una reazione negativa, che si allontanasse da me per paura o per

diffidenza... o perché questa cosa lo sconvolgesse.

Invece sentii rispondermi :”Non m’importa , io ti amo per quello che sei e se tuo padre

non mi vuole noi scapperemo”

Io e Luca ci abbracciammo e da quel momento ci fidanzammo di nascosto.

Dopo circa due mesi , mio padre lo scoprì.

Sudavo freddo, mio padre ci aveva visti insieme fuori scuola, eravamo su una panchina

abbracciati e lui mi teneva la testa su una spalla. Si avvicinò di corsa, mi afferrò per

un braccio e mi strappò da Luca. Tornammo subito a casa; lì prese la sua cintura mi

alzò la maglia e mi colpì sulla schiena, mi mandò in camera, avevo le lacrime agli occhi,

sentivo ancora il dolore dei colpi sul corpo e la vergogna dell’umiliazione subita.

Il giorno dopo fu mia madre ad aprire il discorso su quanto era accaduto il giorno

precedente, dicendo:” E’ per il vostro bene, dovete lasciarvi definitivamente, tuo

padre non vi permetterebbe mai di continuare a vedervi. È un rapporto impossibile.”

Quelle parole mi fecero riflettere, non potevo continuare a vivere nella menzogna e

nella paura. Ne parlai con Luca e decidemmo di vederci il giorno dopo al parco. Ma non

sapevo che mio padre controllava ogni mia mossa ed ogni mia telefonata; era già al

corrente di quello che avevo deciso di fare.

Il giorno dopo giunsi con un lieve ritardo al luogo dell’appuntamento, la solita panchina

del parco davanti scuola e lo trovai seduto lì, con un’aria molto ansiosa.

Mi avvicinai e vidi che sanguinava. Aveva il volto tumefatto e dal naso scorreva un

rivolo di sangue, ma più di tutto notai una strana ferita al braccio destro.

Proprio lì vicino c’era una clinica e subito trascinai luca con forza con l’aiuto di due

passanti. I medici dissero che non era in pericolo di vita , anche se un proiettile lo

Page 65: Il mondo degli oggetti dimenticati

aveva colpito; subito capii che era stato mio padre. Per fortuna era in un posto dove

poteva essere rimosso e i medici mi hanno anche ringraziato di averlo portato subito,

perché sarebbe potuto morire dissanguato.

Ero in sala di aspetto, avevo già avvisato i genitori.

La mamma mi venne incontro ringraziandomi di averlo portato all‘ ospedale ma non

riusciva a capacitarsi di quanto era accaduto. Io mi sentivo colpevole di quello che era

successo.

Eravamo tutti preoccupati; avevamo paura fino a quando non ci dissero che era salvo.

Quella sera non dormii. E neanche il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. Ero distrutta.

In quella settimana mi sentivo sola, a causa del “lavoro” di mio padre persi tutti i miei

amici; ormai neanche Luca, una volta ripresosi non voleva vedermi più.

Ero in uno stato di profondo sconforto e fu così che presi la decisione più difficile

della mia vita: feci le valigie. Ero già pronta per uscire; uscire dalla porta era troppo

pericoloso. Decisi di uscire dalla finestra , ma scivolai e caddi giù. Per fortuna era a

piano terra , ma presi una bella botta alla testa. All’improvviso mi ritrovai in un

ospedale , ricordavo poco dell’accaduto , quasi nulla. Ma i miei occhi si illuminarono

quando vidi entrare nella mia camera mio padre, che mi abbracciò. Non lo aveva mai

fatto, mi sentivo una persona diversa, felice.

Quell’abbraccio fu interrotto quando mio padre mi disse : “ mi pento per quello che ho

fatto , scusa. D’ora in poi la nostra vita cambierà. Voglio che mia figlia sia fiera di me”

Sembrava una persona diversa, nuova.

Abbracciò anche mia madre , cosa che non faceva dal loro matrimonio.

Ero felice.

Ora sono passati 10 anni , sono sposata e mio padre è diventato nonno.

Page 66: Il mondo degli oggetti dimenticati

Una scoperta terribile

Come potrei dimenticare quei momenti in cui tutti eravamo felici, sereni e pieni di

gioia? Adesso tutto è cambiato. Quando vedevamo le valli verdi del Piemonte dove con

una piccola scintilla scoppiò l’amore tra mamma e papà? Mamma è originaria di Cuneo,

papà di Napoli.

Il 26 ottobre ci siamo trasferiti a Napoli, lasciando la nostra casa, la scuola, gli amici.

In poco tempo vidi mio padre del tutto cambiato... ma era sul serio mio padre? Non lo

riconoscevo quasi più. Prima non fumava, ora sì. Prima rideva sempre, ora porta il

broncio. Quando esce di casa, se gli chiedo dove va o che deve fare mi risponde “

niente che ti possa importare”. Un giorno l’ho visto parlare con un uomo vestito tutto

di nero e con un paio di grossi occhiali da sole, poi entrarono in un’auto nera con

finestrini neri. Che uomo strano!

Nella nostra famiglia mia madre, mia sorella ed io veniamo tenute in disparte dalle

conversazioni di famiglia tra papà e i suoi fratelli maggiori. Prima mi chiedevo perché,

ora l’ho capito, anche grazie all’aiuto di mia sorella. Lei deve averlo scoperto molto

prima di me e un giorno mi ha confidato un segreto: papà stava lavorando con gente

poco raccomandabile.

Solo per caso ebbi conferma di questo fatto, quando sentii per caso una conversazione

tra mio padre e mio zio che parlavano dello spaccio di droga come di un’attività molto

utile perché si guadagnava di più rispetto al pizzo e all’usura.

Cercai di fingere di aver sentito male. Desiderai tornare indietro nel tempo. Niente di

questo era possibile. Fu così che scoprii che papà era entrato nella mafia.

Page 67: Il mondo degli oggetti dimenticati

Parte III

Storie da altri mondi

Ho in mente un progetto per il futuro: risistemare il processore interno lasciando spazi vuoti

per la parte irrazionale del nostro essere. Lasciare posto alle emozioni non è facile, anzi a

volte provoca anche sofferenza, ma ne vale la pena.

Siamo organismi complessi, in cima alla scala evolutiva, eppure un essere umano meno

perfetto di noi ci ha fatto riflettere su questa cosa così importante.

Page 68: Il mondo degli oggetti dimenticati

TU, RAGAZZO DEL 3015.

“Mamma , mamma, è pronto il lasagelato?”

“ Aspetta , è ancora in forno. Ah, guarda ,

sta arrivando un drone , vedi cosa è

arrivato”

“ Sì mamma, vado.”

Il drone si posò sull’erba del giardino , e io presi delicatamente lo scatolo.

Mittente: ragazzo del 2015

Destinatario: ragazzo del 3015

“Credo che sia destinato a me !”

Mi chiusi nella mia camera e aprii lo scatolo.

Dentro c’erano tante lettere e un cofanetto color oro .

Lo aprii e trovai una collana , era di oro puro. Non lo avevo mai visto , visto che nel

2997 l ‘ uomo aveva finito tutte le risorse importanti , tra cui l’oro e l’argento.

Tra le tante lettere fui colpito da una in particolare. Era azzurra con degli adesivi.

La aprii , era scritto in gergo duemilesco , quello che circa un secolo fa si chiamava “

ITALIANO”. Era scritto con una penna , che oggi da noi non esistono; scriviamo con

dei laser. Andai allora da mia madre , da piccola la parlava, ma non si ricordava tanto.

Andai allora da nonno , ma era troppo vecchio per ricordarsi. Allora presi il mio GRG,

quello che chiamavano cellulare, andai su BOOBLE ovvero il vecchio Google scrissi

traduttore , e mi portò a Booble traduttore.

Che nomi strani che avevano gli oggetti a quel tempo!

Tradussi la lettera.

Essa diceva:

“Ciao ragazzo del futuro , forse non capirai quello che sto dicendo , perché magari la

lingua italiana sarà cambiata. Sono contento per te , perché sono sicuro che hai una

macchina volante, una spada laser vera , un computer volante , ma sono anche

scontento , perché dovrai studiare 1000 anni di storia in più…MI DISPIACE!

Spero che almeno la scuola tra 1000 sarà meglio. Noi scriviamo ancora con le penne sui

quaderni , e voi? Ma che te lo chiedo a fare? Tanto non ci incontreremo

Page 69: Il mondo degli oggetti dimenticati

mai ! Immagino che la vostra scuola sia sospesa in aria.

Io ti saluto, è stato bello “ parlare” con te!”

Come erano strani i ragazzi a quel tempo! Ma la scuola era ancora un edificio?

Oggi la “scuola” è un casco che ti dice tutte le informazioni e il cervello conserva

tutte le informazioni ( se è un cervello ben allenato).

Per fare le verifiche , scriviamo con le penne laser sul cielo , poi si scatta la foto alla

verifica e si manda tramite e-mail al casco che noi chiamiamo “sotuttoio”. Non

sappiamo cosa significhi , sappiamo solamente che lo dicevano i ragazzi del 2000.

“ Krapuntik! Il lasagelato è pronto! Vieni!”

“Mamma , mamma , posso darne un po’ anche a Kitnupar?”

Kitnupar è il nostro animale domestico , è un castoro adorabile! Mamma mi ha

raccontato che prima l’animale domestico per eccellenza era il cane , poi seguivano il

gatto e il coniglio. Adesso questi animali vengono considerati normali. Sono domestici i

castori , che hanno una camera tutta loro , dove possono costruire una diga e i pinguini

, che hanno una camera tutta loro , che assomiglia molto al polo sud, inoltre esistono

anche i pinguini robot , che hanno le loro stesse caratteristiche , ma hanno un habitat

diverso , infatti possono vivere normalmente in casa.

Adesso vado a mangiare, ah il lasagelato non esisteva nel cibo duemilesco ma era diviso

in due: la lasagna ,che per loro era un piatto tipico, E Il gelato che invece era uno

spuntino più che altro estivo perché freddo. Invece ora posso mangiarlo quando mi

pare e piace e tutto insieme.

Ora vado ho una fame tasmanica.

Page 70: Il mondo degli oggetti dimenticati

La mia nuova vita

Sono Amos, voglio raccontare come un mio

strano amico mi fece capire l’importanza di

provare emozioni.

Ero con i miei compagni per una spedizione

in un nuovo mondo lontano anni luce dal

mio, un mondo diverso da tutti gli altri che

avevo conosciuto finora: la terra. Volevamo

studiare altre forme di vita e provare a relazionarci con loro, capire se fossero

superiori o inferiori, se dovevamo aver paura di loro o imparare a fidarci.

Vagammo per la galassia per decenni finché non vedemmo il nuovo pianeta. Da lontano

era azzurro circondato da un’atmosfera di gas che lo rendevano misterioso e

interessante.

L’atterraggio non fu per niente facile; dopo aver attraversato gli strati dell’atmosfera

ci trovammo di fronte un paesaggio strano, dove si intrecciavano costruzioni dalle

forme più svariate e quasi non c’era spazio sufficiente per la nostra navicella. Alla fine

cercammo un posto dove non avremmo attirato l’attenzione, fermandoci in uno spazio

di colore acceso proprio dietro uno strano edificio.

Scendemmo dalla navicella e furtivamente entrammo in quell’edificio, che loro

chiamavano “scuola” e ci trovammo per la prima volta di fronte ad un “umano”.

Ci guardò con aria sconvolta, mentre noi non esitammo a rapirlo, lo portammo sulla

navicella e lo congelammo. Con la forza del pensiero ci trasferimmo in pochi istanti nel

nostro mondo e lo scongelammo: era pronto per essere analizzato. Dopo analisi

scientifiche sul suo organismo, la materia di cui era costituito e il funzionamento dei

suoi organi, iniziammo ad interrogarlo.

-Come ti senti umano?

-Cosa siete? degli alieni!?

-Rispondi alle nostre domande senza esitare! Non dobbiamo darti alcuna spiegazione

- Beh per voi come dovrei sentirmi? Sono a dir poco terrorizzata!

-Terrorizzata? Che vuol dire “terrorizzata”?

-Ecco è una delle tante emozioni che proviamo noi esseri umani: noi ci sentiamo così

quando abbiamo paura.

-Tante “emozioni”? spiegati meglio

Page 71: Il mondo degli oggetti dimenticati

-Beh si, emozioni come appunto la paura, oppure come la nostalgia che si prova quando

si è lontani da casa; la tristezza ,che proviamo quando ci sentiamo giù di morale per

qualche cosa che per noi è importante; la gioia che una sensazione bella quasi come

l’affetto che si prova per le persone a noi care...

-Quali sono le persone a te care?

-I miei genitori a cui tengo tanto anche se lavorano per tutto il giorno, il mio fratellino

Leo...anche se è molto fastidioso gli voglio bene e la mia migliore amica Anna che mi

aiuta sempre durante le difficoltà...

-Ti mancano questi umani?

-Si, moltissimo...vorrei tornare a casa da loro, vorrei abbracciarli, giocare con Leo,

raccontargli la sua favola preferita. Sono felice con loro.

Queste parole ci colpirono profondamente: non conosciamo affatto e non proviamo tali

sentimenti. Siamo fatti con un processore elettronico che ci rende perfetti; non

abbiamo mai sentito alcuna emozione, siamo semplicemente razionali. l’amore per noi è

semplicemente uno scambio di files per riprodurre una copia fedele dell’essere madre

al 50% e dell’essere padre per l’altro 50%.

Invece ora sentivamo parlare di occhi che si illuminano, di sguardi affascinanti, di un

cuore che batte forte... anche noi avevamo avuto un cuore tanto tempo fa... ma poi la

nostra specie si è evoluta, perfezionando il funzionamento dell’organismo che adesso

riesce a vivere più di 300 anni.

Certo, si vive più a lungo, ma forse abbiamo perso qualcosa di importante.

L’incontro con l’umano fa rinascere tanti ricordi; mi guardo intorno e mi accorgo che

H24 è nervosa, agitata, chiude le due fessure al posto degli occhi urlando

- Questa storia non ha senso! Bisogna guardare sempre avanti, non indietro!”

Secondo me ha paura di ricordare la vita precedente, prima che ci fosse il

cambiamento, la vita che vivevamo almeno 200 anni fa.

- È atroce ricordare- sussurra con voce affranta e tenendo la testa tra le mani-

a poco a poco riemergono tante memorie, un sorriso, una mano che sfiora il viso,

la gioia di vedersi, la tristezza e pure la rabbia.... tutto aveva più colore allora...

e più sapore...

Le lacrime iniziano a bagnare il volto di H24 e un velo di tristezza si stampa su quel

viso finora sempre inespressivo.

- Allora sono ancora in grado di provare emozioni? allora non è tutto perduto?-

continua lei in preda ad un fortissimo entusiasmo.

Quella scoperta la riempie di gioia e anche io non posso evitare di partecipare alla sua

emozione. Con un misto di gioia e stupore mi lancio verso di lei per abbracciarla.

Page 72: Il mondo degli oggetti dimenticati

Ho in mente un progetto per il futuro: risistemare il processore interno lasciando

spazi vuoti per la parte irrazionale del nostro essere. Lasciare posto alle emozioni non

è facile, anzi a volte provoca anche sofferenza, ma ne vale la pena.

Siamo organismi complessi, in cima alla scala evolutiva, eppure un essere umano meno

perfetto di noi ci ha fatto riflettere su questa cosa così importante. Nel giro di pochi

secondi con la forza del pensiero la riaccompagno sulla Terra, proprio un attimo prima

del suono della campanella. Neanche lei potrà mai dimenticare quest’avventura

interplanetaria.

Page 73: Il mondo degli oggetti dimenticati

Parte IV

Storie di classe

Page 74: Il mondo degli oggetti dimenticati

Compagni di scuola

ATTO I –SCENA I ( FUORI SCUOLA)

Sono le otto di mattina, abito vicino a scuola e sono già

in ritardo; ma sono appena in tempo ad assistere ad una

discussione. Arrivata fuori la scuola vado subito dal mio

migliore amico Marco.

Io= Hey, Marco come stai? Ti ho mandato un SMS ma non mi hai risposto.

Marco= Ciao, ah si; mi sono proprio dimenticato di rispondere.

Un gruppo di amici= Hey, ciao Cris, ciao Marco avete visto quanti compiti ci hanno

assegnato!

IO= Ma dai, che sarà mai; non erano mica così tanti.

Un gruppo di amici= Ah no no, ma dai.

Marco=Oh no , dai, sta venendo Jonathan.

Io= Oh oh, c’è un problema sta venendo anche Viola.

Jonathan= Ciao ragazzi, sta venendo la secchiona, ah ma avete visto come si è vestita

, sembra uno spaventapasseri, ma dove l’ha comprata quella maglia: su una bancarella.

Viola= No, mi dispiace per te Jonathan, li ha scelti mia madre in un negozietto per di

qua

Jonathan= Ahhahahhha! Addirittura. Ragazzi andiamocene da questa nullità.

Marco= Ma cosa dici; forse sarà un po’ squilibrata e imbranata, forse sta in un mondo

tutto suo, ma non penso che sia lei sempre quella strana, forse ci sei tu!

Jonathan= Vuoi metterti contro di me, sai che non ti conviene.

Marco= scusa, ma io ho detto solo la mia opinione non mi interessa la tua.

Campanella= Driiiiiiiiiiiiinnnnnnnnnnnnnnn!!!!!!

Gruppo di amici= Dai ragazzi andiamo in classe.

ATTO I– SCENA II ( IN CLASSE)

Gruppo di ragazzi= Buongiorno professoressa.

Professoressa= Buongiorno ragazzi, oggi dovrò spiegare il Teorema di Pitagora, “

siete sulla TERRA”, posso spiegare?

Gruppo di ragazzi= Certo professoressa.

Segretaria= Professoressa, scusatemi, ma dovete andare in presidenza, la preside vi

vuole parlare.

Page 75: Il mondo degli oggetti dimenticati

Professoressa= Ragazzi devo assentarmi un minuto, Viola mettiti alla lavagna e scrivi

chi parla e chi si alza.

Viola = Si, certo.

Jonathan= eccola la neonata, super secchiona.

Francesca = Viola, scrivilo!

Jonathan = Perché ti impicci tu, questa storia non ti riguarda.

Viola= ……..Beh………

Professoressa= Oh…. Nessuno scritto alla lavagna, è un MIRACOLO. Bravissimi! Ora

inizierò a spiegarvi il Teorema di Pitagora[il Teorema di Pitagora dice: la somma dei

quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa….]

Passa mezz’ora

Campanella ricreazione DRIIIIIIIIIIINNNNNNNN

La prof va fuori la porta per parlare con un’altra professoressa.

Jonathan: Viola, scusami, ma dove li compri i tuoi vestiti? Su una bancarella, forse

Viola: non lo so... penso di sì

Jonathan: Sei proprio il massimo

Viola: Oh, grazie!

Jonathan: ahahahahah

Marco: Basta! Ma perché la prendi sempre in giro? finiscila! le persone si feriscono al

sentire cose così

Jonathan: ah, sì, è arrivato l’eroe... allora, se la ,mettiamo così Bam! – lo spinse

violentemente contro l’armadietto facendogli male al torace.

Io: oddio, sei impazzito! Chiamate la professoressa

Prof: oh, no! Chi è stato passerà un mare di guai. Ditemi assolutamente chi è stato

Jonathan: prof, è stata Viola!

Jonathan, con uno sguardo minaccioso e fuori dal comune sembra impaurire tutta la

classe con la sua espressione. La classe rimase per almeno un minuto in silenzio

assoluto.

Gruppo di ragazzi: sì, è stata Viola

Jonathan: E’ vero, Viola?

Prof: Viola, sei stata tu?

Viola: sì, prof, sono stata io

Prof: ok, allora dovremmo prendere seri provvedimenti. Andiamo dalla preside.

Francesca , vai alla lavagna

Francesca: sì, certo

Passato un quarto d’ora

Prof: Viola, ci sarà una punizione esemplare per te. Ragazzi ora mettete a posto

Page 76: Il mondo degli oggetti dimenticati

Campanella DRIIIINNNNNN

ATTO I SCENA III ( tragitto casa- scuola)

Jonathan: ragazzi, avete visto Viola che ha fatto?

Gruppo ragazzi: sei stato un mostro con lei

Jonathan: sono stato anche troppo buono.

Gruppo ragazzi: ora noi andiamo, ciao a tutti

Jonathan: Viola, non si picchiano i compagni

Viola: lo sai che non sono stata io, basta, finiscila!

Jonathan: basta, sei solo una neonata

Un adulto: perché la stai aggredendo? Io sono Giorgio, un amico dei tuoi genitori,

parlerò con loro, così la finirai di dare fastidio ai compagni. Andiamo a casa tua.

Viola: grazie

Gruppo ragazzi: Viola, forse i nostri problemi sono finiti

E così la vita di Viola e degli altri compagni cambiò, si viveva in un’atmosfera di

serenità e pace e Jonathan finalmente divenne un ragazzo bravo, educato e corretto.

Page 77: Il mondo degli oggetti dimenticati

La mia classe

Nella mia classe succede di tutto. Ci sono tanti ragazzi nella mia classe, tutti diversi

tra loro. C’è Maria Rossi, ha dodici anni, in classe fa spesso scherzi e tutti ci cascano.

A volte esagera e prende in giro il poverino di turno. Poi c’è Serena Bianchi; lei crede

di essere la più bella di tutte e tratta con superiorità tutte noi creature normali. Lei

è la divina!

Poi c’è LUI. È alto 1,60 m, veste sempre in modo sportivo, quel look un po’ alternativo

che piace e spaventa ...purtroppo se la prende sempre con la stessa persona. Lei è

piccolina, un po’ fragile e vorrebbe tanto che lui diventasse suo amico. È buona, lei,

anche se a volte cerca di reagire, difendendosi a volte con le mani, ma il più delle volte

con le parole. Se qualcuno cerca di intervenire lui nega, come se non avesse fatto

niente di male, spesso spalleggiato da due o tre compagni, che hanno paura che lui

possa fare altrettanto con loro. M., questo è il nome della vittima, mi ha confidato che

non sa come reagire, per paura che lui possa farle qualche scherzetto pericoloso.

Spesso, infatti, sceglie di rimanere in silenzio, ma questa non è la soluzione giusta.

Bisognerebbe parlare per far uscire fuori la verità, questo è l’unico modo per risolvere

la questione. Purtroppo nella maggior parte dei casi queste cose accadono raramente

perché i nostri professori vigilano sempre e noi sappiamo che possiamo sempre

rivolgerci a loro qualunque cosa accada.

Se facessero qualcosa a me cercherei le parole adatte per fargli capire i suoi errori.

Le mani non le userei, perché non vorrei fargli male; aggressiva non lo sono e non

vorrei mai usare le stesse armi. Con la violenza non si risolve niente. Vorrei usare la

gentilezza per farlo diventare un amico amato da tutti. vorrei che cambiasse il suo

comportamento rispettando le regole, gli insegnanti e noi compagni. La cosa che più mi

infastidisce è il fatto che in un’occasione ha chiesto ad una compagna molto brava di

fargli copiare i compiti, minacciandola di prendersela con lei fuori scuola in caso

contrario. Lei , impaurita, scattò una foto di tutti i problemi svolti per bene e glieli

inviò su Whatsapp. Il giorno seguente la professoressa di matematica controllò i

compiti ed elogiò l’imbroglione per l’ottimo lavoro svolto. Quella volta non riuscii a

tacere e decisi di dire tutta la verità. Chiamai in disparte la prof. E raccontai per filo

e per segno come si erano svolte le cose. Lei capì la situazione e senza far capire che

ne avevo parlato io fece una lunga ramanzina a tutti spiegando l’importanza di essere

sinceri e di impegnarsi a fondo per raggiungere i nostri obiettivi. Da allora non è più

capitato e spero che lui abbia imparato la lezione. In fondo è un bravo ragazzo e mi

ispira una sincera simpatia.

Page 78: Il mondo degli oggetti dimenticati

Star bene a scuola

Si apre il sipario e lo spettacolo inizia

Scena 1: in classe- insegnante e alunni.

Narratore : è il primo giorno nella sua nuova

scuola “Leonardo Da Vinci” per Maria, una bella bambina con i capelli biondi, lunghi e

ricci, occhi verdi e guance paffute. Maria è anche un po’ grassottella, ma comunque

dolce e gentile, forse anche troppo; ma ora basta parlare, diamo inizio allo spettacolo.

Prof.: silenzio, bambini! Ho un annuncio da farvi: da oggi ci sarà una nuova compagna

nella vostra classe, il suo nome è Maria.

Narratore: Maria entra in classe dopo essere stata presentata, ma non ricevette

l’accoglienza si aspettava. Ricambia il saluto e va a sedere al suo posto. Durante la

ricreazione, Maria cerca di conoscere i suoi nuovi compagni, va vicino ad alcune

bambine che le sembrano socievoli, ma a quanto pare si sbagliava.

Maria: ciao, posso sedermi vicino a voi?

Compagne: scusa, ma stiamo parlando di cose private.

Maria: D’accordo, magari parleremo la prossima volta...

Compagna: ( sottovoce, quando Maria se ne va): Sapete, è un po’ noiosa ed anche

grassa; insomma, non mi piace.

Le altre: Hai ragione! ( ridendo tra di loro)

Narratore: Maria, così, passa l’intervallo da sola, triste, mentre gli altri compagni

parlano male di lei alle sue spalle.

Scena 2 (ora di ginnastica, in palestra)

Professoressa di ed. fisica: Allora, adesso giocheremo a pallavolo, dividetevi in due

squadre.

Narratore: nessuno voleva Maria in squadra, ma alla fine la prof. La inserì nel gruppo

delle ragazze che l’avevano rifiutata a merenda.

( commenti di disapprovazione da parte delle compagne)

Prof. :Maria , entra in campo.

Maria: sì, subito.

Compagne: così ci farà perdere!

Narratore: purtroppo Maria sbagliò la battuta e i compagni iniziarono a ridere, a

prenderla in giro, ma non più alle spalle, ma in modo diretto.

Maria iniziò a piangere e corse fuori dalla palestra.

Page 79: Il mondo degli oggetti dimenticati

Compagna: guardatela, subito si mette a piangere! Come se fosse lei la vittima e non

noi che per colpa sua abbiamo perso!

Scena 2 ( in corridoio, secondo giorno di scuola)

Narratore: ora vedremo che la vita di Maria nella nuova scuola diventa sempre più

brutta e pesante da sostenere. È ora della ricreazione.

Campanella: DRIINNNNN

Tutti gli alunni si alzano dai loro posti e si riuniscono in piccoli gruppi ma Maria passa

la ricreazione da sola.

Maria: Prof, posso andare in bagno?

Prof: certo, ma fai in fretta perché dopo abbiamo una lezione importante.

Maria: D’accordo.

Narratore: nel corridoio Maria viene raggiunta da un compagno.

Marco: Maria, fermati, ti devo parlare.

Narratore: Maria, convinta che il compagno volesse fare amicizia, si avvicina a lui, che

invece prima inizia a spingerla, poi la fa cadere a terra.

Maria: perché l’hai fatto?

Marco: mi dai fastidio. Prima ero io il primo della classe, ma da quando sei arrivata

non hai fatto altro che rubarmi il posto. Ti do un consiglio, mettiti

Maria ( con voce impaurita e tremolante): farò come vuoi tu...

Narratore: e così tornarono in classe, lui con lo sguardo trionfante, lei più triste che

mai.

Scena 3 ( a casa dopo scuola)

Genitori : ciao, tesoro, come è andata oggi a scuola?

Maria: bene, anzi, una meraviglia!

Genitori: siamo contenti che tu ti stia trovando bene nella nuova scuola.

Narratore: in realtà Maria aveva mentito ma aveva paura di raccontare ciò che era

successo quella mattina e delle minacce ricevute. Si reca in camera sua, chiudendo

bene la porta. Sicura che nessuno la potesse sentire , incominciò a piangere. I giorni,

ormai andavano avanti così, Maria era sempre più triste e sola, ma ora i genitori

avevano intuito che qualcosa non andava...

Page 80: Il mondo degli oggetti dimenticati

Scena 4 (Dialogo tra i genitori- Casa di Maria)

Mamma: Mario, secondo me sta succedendo qualcosa a nostra figlia, la vedo strana,

diversa, il suo bel sorriso, il suo viso sempre allegro sono ormai scomparsi da qualche

giorno.

Papà: l’ho notato anch’io, dobbiamo scoprire cosa succede. Se sta male lei sto male

anch’io

Narratore: Maria, purtroppo aveva sentito la discussione tra i genitori, voleva fingere

di stare bene, ma non ci riusciva.

Scena 5 (A scuola)

Narratore: ormai Maria non ce la faceva più. Il suo malessere era evidente. I suoi

genitori decisero di andare a scuola per capire cosa stesse succedendo.

Marco: Ehy, Maria, mica hai parlato? Se è così finirà molto male.

Maria: io non ho parlato. ( si girò e vide i genitori) che ci fate voi qui?

Mamma: eravamo preoccupati per te, così siamo venuti a chiedere alla professoressa

se è successo qualcosa.

Narratore: Maria si butta tra le sue braccia e le spiega tutto. La professoressa aveva

assistito alla scena e prese provvedimenti verso il responsabile, contattando subito i

suoi genitori.

Preside: cosa è accaduto?

Prof.: questo ragazzo ha picchiato e minacciato la compagna; credo debba essere

punito severamente.

Preside: quello che hai fatto è una cosa molto grave. spero che la lezione ti serva per

il futuro e che d’ora in poi tu abbia più rispetto per gli altri.

Narratore: così Maria poté trascorrere i restanti giorni di scuola in serenità, con

tanti amici.

Page 81: Il mondo degli oggetti dimenticati

Vi presento la mia classe.

Siamo amici, ma non mancano i problemi. Certo, non si può andare d’accordo con tutti,

ma questo non significa comportarsi in modo sgarbato o peggio prendersela con chi

non può difendersi. Invece, purtroppo, non tutti i miei compagni sanno gestire le

situazioni e sbagliano, comportandosi male gli uni con gli altri. Tra loro c’è Federico

che spesso di fronte ad un’offesa o ad una parola detta senza pensare reagisce con le

mani, poi c’è Antonio, che prende sempre in giro Luigi dicendogli “Come ti sei vestito!

Sembri un sacco d’immondizia!” . Io cerco di difenderlo, anche se mi prendono per la

sua fidanzatina. Il fatto è che lo conosco da quando era piccolo, è un ragazzo davvero

bravo, gentile e simpatico, anche se non ha un’aria tanto felice.

Poi c’è Catia, che crede di essere la più bella e per di più mi dice spesso che sono

brutta e mi fa i dispetti. Una volta mi ha chiesto in prestito la matita e poi l’ha

buttata nel cestino. Mi arrabbiai così tanto che al posto degli occhi avevo delle

fiamme. Federico è molto alto e robusto ed ha un atteggiamento piuttosto sgradevole.

Antonio, invece, è il più piccolo ed è molto magro, non ha amici perché tutti lo isolano e

gli dicono che è bassetto. Io cerco di parlare con lui ed ho scoperto che il suo

atteggiamento è dovuto alla timidezza ed all’insicurezza, in fondo è un ragazzo

simpatico.

Quasi tutte le ragazze stanno con Catia perché si credono COOL, cioè belle; io invece

non riesco a starle vicina perché sembra molto superficiale, ma purtroppo sto seduta

vicino a lei. Miriam, la mia migliore amica dice “ non farti contagiare da quella snob

antipatica” ed io rispondo “Non riuscirà mai a contagiarmi!” Miry, così la chiamo, mi

racconta che ha fatto le elementari con lei e che non era così, era una brava bambina

ed aveva tanti amici. Anche lei era sua amica. Al solo pensiero di loro due amiche mi

sembra tutto così strano: oggi non la degna neanche di uno sguardo. Non dico di certo

che Catia non debba avere amici, ma questa cosa mi sembra davvero strana.

Purtroppo devo confessare che sono stata spettatrice anche di un atto di bullismo:

Federico ha picchiato Antonio, io ho cercato di difenderlo, ma gli altri hanno fatto

finta che non fosse accaduto nulla. L’unica cosa che potevo fare era di confessare

tutto alla prof. che sgridò Federico mettendo una nota. Lui se la prese con me

chiamandomi “La difendi stupidi” questa cosa mi fece infuriare ancor di più, sembrava

quasi che prendessi fuoco. Però la lezione è servita perché lui si è accorto che non

esisteva più quel muro di silenzio che impediva a tutti di parlare delle sue bravate. Ora

sa che non resteremo più in silenzio ma sapremo difenderci nel modo giusto. Sono

orgogliosa di quello che ho fatto.

Page 82: Il mondo degli oggetti dimenticati

Io dico basta!

“Eccolo qui, il nuovo compagno di classe!”- e i miei compagni iniziarono subito a fare

dei dispetti al nuovo ragazzo, ma a me non interessava molto, ho già i miei problemi,

non voglio avere anche i suoi.

Certo che però oggi hanno fatto di tutto per metterlo in croce! Il nuovo arrivato si

chiama Sergio, è spagnolo non italiano e per questo è spesso vittima di prese in giro e

addirittura qualche volta è stato minacciato.

I maggiori pericoli per lui sono i più temuti della classe, ovvero Kyle e Josh; prima o

poi dovremo scrivere un cartello e appenderlo sulla porta della classe e scriverci:

“Attenzione , pericolo! Non entrare qui dentro... ci sono animali feroci!”.

So per certo che a loro il mio pensiero non piacerebbe, ma tanto non lo sapranno mai;

quello che penso di loro l’ho scritto sul mio diario ben nascosto a casa mia tra tanti

libri e quaderni e poi di sicuro non possono entrare nella mia testa...

Oggi è successo di nuovo. Hanno buttato il cassino sulla faccia di Sergio! È successo

tutto nell’ora di storia. Il poverino aveva iniziato a parlare con Ellen, credo la trovi

simpatica solo che non sapeva un particolare insignificante, sarà pure una cosa da nulla

: Ellen è la ragazza di Kyle. Quando lui li ha visti insieme è diventato rosso dalla rabbia

e ha iniziato ad urlare “ TU, TU!!! Come osi parlare con la mia ragazza DAVANTI AI

MIEI OCCHI!”. Ellen dispiaciuta cercava di intervenire per difendere la povera

vittima, in fondo stavano solo parlando come buoni amici e iniziò a dire “non fargli del

male, Kyle, io te lo impedirò!”

“ Vattene, Ellen!”- rispose lui, spingendo la ragazza giù dalla sedia. In quel momento

Sergio era spacciato, nessuno lo poteva aiutare , tranne, ovviamente, il prof di storia.

“Ma che stai facendo?”!

“Niente prof...” rispose Kyle alzando le mani e, tornando al proprio posto, disse Sergio

a bassa voce “ci vediamo fuori scuola.”

Tutto andò per il verso giusto fino a quando Josh non rubò il dizionario della scuola.

Nessuno se n’era accorto, tranne Kyle, ovviamente, lui sapeva tutto, lui aveva ideato il

piano.

Inoltre, aveva mantenuto la parola, aveva bloccato Sergio fuori scuola.

Page 83: Il mondo degli oggetti dimenticati

“Hey tappo”- disse, dandogli un pugno nella pancia...

Sergio lo supplicò fino allo svenimento “No, ti prego Kyle, non farlo...”

A quel punto cadde dallo zaino il dizionario che finì a terra. Sergio lo riconobbe e lo

mise nel suo zaino per poterlo riportare a scuola l’indomani.

Certo, non sono d’accordo neanche io con quello che succede nella mia classe, ma sono

fatti suoi.

Il giorno dopo Sergio teneva ancora il dizionario nello zaino, lo voleva riportare al suo

posto di nascosto. C’era quasi riuscito senonché la professoressa notò uno strano

movimento ed intervenne. Si arrabbiò molto con lui.

A dire la verità ero dispiaciuto per Sergio e avevo capito che era il momento di

svegliarci: dovevamo ribellarci a quei due. L’indomani organizzai un piano con Ellen:

Josh e Kyle erano soliti mettere della polvere di gesso sulla sedia e sulla giacca della

prof, mentre lei era impegnata alla lavagna. Il piano era tanto semplice quanto

diabolico: avrei fatto finta di cadere in modo da richiamare l’attenzione della prof che

li avrebbe scoperti, senza per questo correre io dei rischi inutili. Furono rimproverati

dalla preside a dovere. I mesi di terrore finirono per tutti, soprattutto per Sergio,

che era stato tormentato sin dal primo giorno.