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Jus-online n. 2/2015 1 Renato Balduzzi Componente del Consiglio Superiore della Magistratura Il modello costituzionale italiano di famiglia e l’evoluzione dei rapporti sociali SOMMARIO: Introduzione. - 2. Alla ricerca di una lettura non ideologica dell’articolo 29 della Costituzione. - 3. Caratteri della famiglia "costituzionale". - 4. Il legislatore ordinario e le convivenze non familiari. “Esclusività” del modello costituzionale e rilievo degli articoli 2 e 3 della Costituzione. - 5. Considerazioni conclusive. 1. Introduzione Il titolo non sottintende una svista: ancorché sia tuttora presente la tendenza a parlare di modello “tradizionale” di famiglia includendo in esso, quasi fosse un sinonimo, il modello di famiglia presupposto e previsto dalla Costituzione italiana 1 , tale non è la prospettiva di questo scritto, che anzi si propone di dimostrare come, attraverso una lettura non riduttiva delle disposizioni costituzionali in tema di famiglia, sia possibile delineare un "modello" suscettibile di dar conto e di concorrere ad orientare le trasformazioni sociali dell'istituto familiare 2 . Nelle disposizioni costituzionali sulla famiglia, come in altri articoli della carta costituzionale, ma forse qui con una particolare intensità, troviamo espresso quell’equilibrio tra il riconoscimento dei diritti inviolabili (uti singulus e uti socius) e le esigenze connesse ai doveri costituzionali di solidarietà che costituisce una delle caratteristiche di fondo della Costituzione italiana 3 . Una caratteristica che, secondo una lettura risalente ormai a un quarto di secolo fa, cominciò a essere posta in 1 Per un esempio recente, v. F. Donati, La famiglia nella legalità costituzionale, in Rivista AIC, n. 4/2014 (21/11/2014). 2 Affermo da subito una convinzione di chi scrive (d'altra parte evidente nel titolo stesso), che cioè gli istituti giuridici non siano mai semplici fotografie del contesto socioculturale, ma abbiano una funzione orientativa e promozionale. 3 Si rinviene normalmente la più lucida e anticipata lettura di questo stretto legame tra individualismo e solidarietà (o, se si vuole, di questa impronta personalistica, in uno dei suoi plurimi significati) nel discorso tenuto da Aldo Moro il 13 aprile 1947 in Assemblea Costituente. Sull'importanza di questo discorso al fine di approfondire il nucleo dei valori fondamentali del nostro patto costituzionale, le relative motivazioni politiche e le stesse scelte tecniche di fondo v. soprattutto U. De Siervo, Il contributo di Aldo Moro alla formazione della Costituzione repubblicana, in Il politico, 1979, p. 202 e, volendo, R. Balduzzi, Il collegamento fra principi fondamentali, prima e seconda parte della Costituzione, nel pensiero di Aldo Moro (Premessa e spunti per una ricerca), in Quaderno 11 (1983) dell'Istituto per la storia della Resistenza in Provincia di Alessandria, pp. 99 e ss. Tra le ricerche più recenti merita una menzione particolare quella di F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità. Itinerario di ricerca a partire dalla Costituzione italiana, Roma 2012, spec. pp. 112 e ss.

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Jus-online n. 2/2015

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Renato Balduzzi

Componente del Consiglio Superiore della Magistratura

Il modello costituzionale italiano di famiglia

e l’evoluzione dei rapporti sociali

SOMMARIO: Introduzione. - 2. Alla ricerca di una lettura non ideologica dell’articolo 29

della Costituzione. - 3. Caratteri della famiglia "costituzionale". - 4. Il legislatore ordinario e

le convivenze non familiari. “Esclusività” del modello costituzionale e rilievo degli articoli 2

e 3 della Costituzione. - 5. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione

Il titolo non sottintende una svista: ancorché sia tuttora presente la tendenza

a parlare di modello “tradizionale” di famiglia includendo in esso, quasi fosse un

sinonimo, il modello di famiglia presupposto e previsto dalla Costituzione italiana1,

tale non è la prospettiva di questo scritto, che anzi si propone di dimostrare come,

attraverso una lettura non riduttiva delle disposizioni costituzionali in tema di

famiglia, sia possibile delineare un "modello" suscettibile di dar conto e di

concorrere ad orientare le trasformazioni sociali dell'istituto familiare2.

Nelle disposizioni costituzionali sulla famiglia, come in altri articoli della carta

costituzionale, ma forse qui con una particolare intensità, troviamo espresso

quell’equilibrio tra il riconoscimento dei diritti inviolabili (uti singulus e uti socius) e le

esigenze connesse ai doveri costituzionali di solidarietà che costituisce una delle

caratteristiche di fondo della Costituzione italiana3. Una caratteristica che, secondo

una lettura risalente ormai a un quarto di secolo fa, cominciò a essere posta in

1 Per un esempio recente, v. F. Donati, La famiglia nella legalità costituzionale, in Rivista AIC, n. 4/2014

(21/11/2014). 2 Affermo da subito una convinzione di chi scrive (d'altra parte evidente nel titolo stesso), che cioè gli

istituti giuridici non siano mai semplici fotografie del contesto socioculturale, ma abbiano una funzione orientativa e promozionale.

3 Si rinviene normalmente la più lucida e anticipata lettura di questo stretto legame tra individualismo e solidarietà (o, se si vuole, di questa impronta personalistica, in uno dei suoi plurimi significati) nel discorso tenuto da Aldo Moro il 13 aprile 1947 in Assemblea Costituente. Sull'importanza di questo discorso al fine di approfondire il nucleo dei valori fondamentali del nostro patto costituzionale, le relative motivazioni politiche e le stesse scelte tecniche di fondo v. soprattutto U. De Siervo, Il contributo di Aldo Moro alla formazione della Costituzione repubblicana, in Il politico, 1979, p. 202 e, volendo, R. Balduzzi, Il collegamento fra principi fondamentali, prima e seconda parte della Costituzione, nel pensiero di Aldo Moro (Premessa e spunti per una ricerca), in Quaderno 11 (1983) dell'Istituto per la storia della Resistenza in Provincia di Alessandria, pp. 99 e ss. Tra le ricerche più recenti merita una menzione particolare quella di F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità. Itinerario di ricerca a partire dalla Costituzione italiana, Roma 2012, spec. pp. 112 e ss.

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discussione nella riforma del diritto di famiglia a partire dagli anni Settanta, nella

quale sarebbero emerse “sfasature indicative di una linea pericolosa di attenuazione

del valore non solo giuridico della famiglia, con privilegio di interessi individualistici

e tutto sommato egoistici, in contrasto con le indicazioni di solidarietà sociale che la

Costituzione esplicitamente afferma e richiede” 4 . Più precisamente, forse, si

potrebbe oggi, a distanza di quarant'anni, ricostruire quella stagione sotto il segno di

una fondamentale e irrisolta ambivalenza: da un lato, la corretta esigenza di

modellare il diritto di famiglia sulla base dei due principi costituzionali

dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e della dignità della condizione di

figlio, legittimo o naturale (in presenza di una disciplina civilistica che conosceva

ancora, tra l'altro, la potestà maritale e la condizione deteriore dei figli cosiddetti

illegittimi); dall'altro lato, la difficoltà di leggere in quei due principi non la

proclamazione di meri interessi individuali, ma la loro valenza relazionale, al fine di

consentire a entrambi i coniugi e ai figli di svolgere la propria personalità all'interno

della formazione sociale famiglia5, preservando la pari dignità sociale di questi ultimi.

In altre parole, la cultura giuridica è venuta a soffrire di quella medesima

ambivalenza sottolineata, in tema di famiglia, dalle scienze socio-psicologiche: le

relazioni familiari, di coniugio e di filiazione, come paradigma dell'individualismo

che si apre alla solidarietà, del possesso che si fa dono6.

I cambiamenti istituzionali di questi ultimi anni, e in particolare il maggior

peso assunto dall’ordinamento sovranazionale in tema di diritti (Carta dei diritti

fondamentali dell’Unione europea, “integrata” nel sistema UE dopo il Trattato di

Lisbona; Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà

4 F. Cuocolo, Famiglia. I) Profili costituzionali, in Enc. giur., XIV, Roma 1989, pp. 4-5 (in senso analogo v.,

più di recente, E. Lamarque, in Dizionario di diritto pubblico diretto da S. Cassese, III, Milano 2006, pp. 2419 e ss.); in questa prospettiva, se si escludevano dal concetto costituzionale di famiglia “sia le unioni di fatto, o unioni libere, come talvolta si definiscono in quanto non fondate sul matrimonio, sia la cosiddetta famiglia estesa”, nondimeno si precisava che ciò “non esclude che anche da unioni di fatto possano sorgere situazioni giuridicamente rilevanti e anzi costituzionalmente protette (come nel caso della filiazione naturale) e che per taluni aspetti anche la famiglia estesa con i rapporti di parentela e di affinità che la caratterizzano – possa determinare rapporti di rilievo giuridico con correlativi diritti e obblighi” (ibidem). Una prospettiva non italiana in E. Millard, Famille et droit public. Recherches sur la construction d’un objet juridique, Paris, L.G.D.J., 1995, pp. 174 e ss.

5 Sulla qualificazione della famiglia come formazione sociale ha espresso tempo fa dubbi A. Cariola, La dubbia utilizzazione del modello di famiglia come formazione sociale, in I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, a cura di R. Bin e C. Pinelli, Torino, 1996, pp. 47 e ss., spec. p. 63 (v. oggi Id., Quel che resta e quel che impedisce: la vicenda dell'assegno divorzile nel contesto delle nozioni di famiglia e convivenze nella giurisprudenza costituzionale, in Rivista AIC, n. 4/2014). La giurisprudenza costituzionale, in sintonia con la dottrina, è sempre stata di contrario avviso (si v. da ultimo la sent. n. 138 del 2010, punto 8 del considerato in diritto: "Per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico").

6 Così, per tutti, già S. Vegetti Finzi, Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Milano 1992, pp. 122 e ss.

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fondamentali, cui oggi fanno rinvio sia l’art. 6, n. 1 del Trattato sull’Unione, sia l’art.

52 n. 3 della menzionata Carta di Nizza)7, comportano un’inevitabile accentuazione

di quelle sfasature, a causa delle divergenze tra il modello costituzionale di famiglia e

quello ricavabile (e sempre più in fatto ricavato dalla giurisprudenza di Strasburgo e

di Lussemburgo, nonostante l’asserito rispetto del margine di apprezzamento

lasciato agli ordinamenti nazionali in siffatta materia) dagli ordinamenti

sovranazionali8.

Ne consegue l’accresciuta importanza di una rinnovata lettura delle

disposizioni costituzionali in tema di famiglia, quale premessa per conferire un

significato non meramente formale al menzionato criterio del c.d. “margine di

apprezzamento”9: in presenza di una Costituzione che ha introdotto, per la prima

volta in modo compiuto, una disciplina costituzionale della famiglia e delle relazioni

familiari, è da essa che si deve muovere10.

2. Alla ricerca di una lettura non ideologica dell’articolo 29 della

Costituzione

Oggi è forte la tendenza a leggere nelle disposizioni costituzionali in tema di

famiglia (e nella relativa giurisprudenza costituzionale) ciò che l’approccio soggettivo

dell’interprete reputa preferibile: per dirla con un autore recente, la tendenza a

7 V. anche la “Dichiarazione relativa alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (allegata

all’Atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007): vero è (anche se spesso negletto o sottovalutato in sede giurisprudenziale) che la “conferma” che la Carta di Nizza fa, con forza giuridica vincolante, dei diritti fondamentali garantiti dalla Cedu vale “quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri” (corsivo mio; nella versione inglese “as they result”, in quella francese “tels qu’ils résultent”). Sulla Carta v. già le considerazioni perplesse di R. Balduzzi, Sull'opportunità di ripensare la Carta (natura e cultura nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in Verso una Costituzione europea, a cura di L. Leuzzi e C. Mirabelli, Lungro di Cosenza, 2003, vol. I, pp. 365 e ss., nonché, più ampiamente, in Id., La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: un esempio di constitutional drafting?, in Quad. reg., 2003, pp. 381 e ss.

8 V., ad es., S. Carbone, C. Tuo, Gli strumenti di diritto dell’Unione europea in materia di famiglia e il Trattato di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, p. 309, che rinvengono esattamente nel regolamento 2201/2003 dell’Unione europea (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale) “un chiaro favor per lo scioglimento del vincolo coniugale”, con un’impostazione “asservita più ad una logica di mercato che di stabilità del vincolo coniugale”.

9 Sul margine di apprezzamento (e sulle relazioni tra questa problematica e quella del cosiddetto “consenso” v. A. Ruggeri, Famiglie, genitori e figli attraverso il “dialogo” tra Corti europee e Corte costituzionale: quali insegnamenti per la teoria della Costituzione e delle relazioni interordinamentali, in Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti. XVIII. Studi dell’anno 2014, Torino 2015, pp. 176 e ss.

10 Di ciò in Assemblea costituente mostrò piena consapevolezza Costantino Mortati, nel momento in cui, respingendo l'argomentata e autorevole proposta di Vittorio Emanuele Orlando di espungere l'intero titolo II della prima parte, dedicato ai rapporti etico-sociali, riaffermò il carattere normativo di quella che apparentemente si presentava come una definizione: v. anche infra, nt. 20.

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confondere le indicazioni della Carta coi propri desideri e la propria concezione del

mondo11. Rispetto a tale approccio credo si debbano, con mite fermezza, richiamare

alcune evidenze metodologiche, a partire da quella che impone all’interprete, a

maggior ragione in sede di interpretazione della Costituzione (cioè di un testo per

definizione organico, e da interpretare magis ut valeat), di conferire alle disposizioni

costituzionali il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse12: ciò

conduce a confermare la lettura secondo cui la tradizione costituzionale italiana va

nel senso del necessario paradigma eterosessuale del matrimonio13, senza che ciò

implichi l’accoglimento di una particolare dottrina quale quella dell’original intent14 o

quella della “pietrificazione”: il costituente italiano non ha codificato l’assetto

civilistico della famiglia vigente nel 1946/1947, ma si è limitato a prendere atto della

storia millenaria dell’istituto fissandone un nucleo non superabile15.

11 Così A. Ruggeri, Famiglie, genitori e figli, cit., p. 185. Per uno spunto nel medesimo senso v. l'intervista

del segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino "Serve il confronto, non le ideologie. Metodo sinodale per il bene di tutti", in Corriere della sera, 24 maggio 2015, p. 5.

12 Cfr. R. Balduzzi, Famiglie e rapporti di convivenza tra Costituzione e legislazione ordinaria. Un'introduzione, in R. Balduzzi, I. Sanna (a cura di), Ancora famiglia? La famiglia tra natura e cultura, Roma 2007, p. 11. Nello stesso senso v. oggi soprattutto G. Razzano, Matrimonio, famiglia, omosessualità. Brevi considerazioni e qualche spunto dal diritto romano, in La famiglia davanti ai suoi giudici. Atti del Convegno di Catania, 7-8 giugno 2013), a cura di F. Giuffrè e I. Nicotra, Napoli 2014, pp. 321 e ss.

13 A. Ruggeri, op. ult. cit., p. 186. 14 Si vedano sul punto (e sulle connessioni tra l'argomento originalista e il criterio interpretativo magis

ut valeat) le considerazioni di C. Tripodina, L'argomento originalista nella giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali, in Lavori preparatori ed original intent nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di F. Giuffrè e I. Nicotra, Torino, 2008, pp. 231 e ss., spec. pp. 251 e ss. Che l'art. 29 e le sue garanzie riguardino esclusivamente la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio emerge peraltro con chiarezza sia dalla lettera del testo, sia dalla sua lettura sistematica, sia dai lavori preparatori, senza necessità di particolari accertamenti dell'intenzione originaria: particolarmente chiara in tal senso la seduta del 15 gennaio 1947 dell’Adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione (cit. infra, nt. 20).

15 V. già R. Balduzzi, Famiglie e rapporti di convivenza, cit., pp. 11 e ss. Viene in proposito utile la citazione di Corte cost., sent. n. 138 del 2010, punto 9 del considerato in diritto: "La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere). Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale. Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi

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Il richiamo dei lavori preparatori delle disposizioni costituzionali in materia

può aiutare a chiarire il punto.

Nel novembre 1946, durante una discussione sul progetto preparatorio di

Costituzione in prima sottocommissione all’Assemblea Costituente, Aldo Moro

ebbe occasione, stando al resocontista, di precisare che “dichiarando che la famiglia

è una società naturale, si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di

ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si

trova di fronte ad una realtà che non può menomare né mutare; inoltre, quando si

parla di società naturale si ammette quasi sempre l’esistenza di un vincolo di

carattere religioso e giuridico il quale consacri l’unità organica della famiglia”16.

Ora, a parte la correttezza testuale del riferimento (la congiunzione “e” della

parte finale del brano sarebbe piuttosto da intendersi, nel contesto della discussione

in sottocommissione, con tutta probabilità come una disgiuntiva), la precisazione di

Moro ha il merito di porre in luce il nesso tra la qualificazione della famiglia come

società naturale e il suo fondamento in un tipico istituto di diritto positivo come il

matrimonio. Ciò che un po’ sbrigativamente venne considerato già nel dibattito

costituente (e ancora oggi riemergono voci in tal senso)17 come un ossimoro, riceve

dalla considerazione di uno dei principali autori storici della disposizione

un’illuminazione significativa: nell’unità organica della famiglia sta la sintesi tra storia

e diritto, tra eredità “naturale” e ordinamento giuridico positivo 18 . Non

interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa." Sull'ultimo periodo della citazione ha opportunamente richiamato l'attenzione A. Spadaro, Matrimonio "fra gay": mero problema di ermeneutica costituzionale - come tale risolubile dal legislatore ordinario e dalla Corte, re melius perpensa - o serve una revisione costituzionale?, in La famiglia davanti ai suoi giudici, cit., pp. 360 e ss.

16 Assemblea Costituente, I Sottocomm., seduta del 6 novembre 1946, in Camera dei deputati, Segretariato generale, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma 1970, p. 645. Il dibattito costituente è stato più volte ricostruito. Tra i contributi più attenti si segnala quello di F. P. Casavola, La famiglia dalla identificazione nel “pater familias” alla società naturale, in La famiglia e i suoi diritti nella comunità civile e religiosa, Atti del VII Colloquio giuridico 1986, Roma, Pontificia Università Lateranense, 1987, pp. 27 e ss.

17 Si veda, ad esempio, nella seduta del 18 aprile 1947, l’intervento del deputato Ruggiero (in Assemblea Costituente, cit., vol. II, pp. 1021 e ss.) e, più ancora, nella seduta del 23 aprile 1947, quello di Piero Calamandrei (ivi, p. 1201). Sul punto v. R. Bin, La famiglia: alla radice di un ossimoro, in Studium iuris, 2002, pp. 1066 e ss. (ma già prima, in altro senso, C. Grassetti, I principi costituzionali relativi al diritto familiare,, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretta da P. Calamandrei e A. Levi, Firenze, 1950, I, p. 294): in senso leggermente diverso, volto a cercare "di ricostruirne il significato in termini positivi", v. però, più di recente, ancora R. Bin, Per una lettura non svalutativa dell'art. 29, in La "società naturale" e i suoi "nemici". Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, a cura di R. Bin, G. Brunelli, A. Guazzarotti, A. Pugiotto, P. Veronesi, e-book, Torino 2010, pp. 41 e ss.

18 Non stupisce che autorevoli esponenti della tradizione liberale abbiano proposto in Assemblea costituente l’espunzione degli articoli sulla famiglia: si v., ad es., l’intervento di Vittorio Emanuele Orlando nella seduta del 23 aprile 1947 (in Camera dei deputati, cit., vol. II, p. 1156; v. anche infra, nt. 20). La

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metagiuridicità della famiglia, come sarebbe stato pur autorevolmente sostenuto

all’indomani dell’entrata in vigore della Carta costituzionale19, ma duplice attenzione

e intervento da parte di quest’ultima da un lato verso i singoli e i loro diritti

(eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, diritti dei figli anche naturali), dall’altro

verso il gruppo familiare, soggetto di diritti e le cui esistenza ed unità vengono

espressamente poste come valori da perseguire20.

3. Caratteri della famiglia "costituzionale"

La famiglia “costituzionale” disegnata dall’art. 29 si caratterizza infatti per: A)

l’ascrizione al gruppo familiare di diritti; B) per la qualificazione in termini di società

naturale; C) per l’unificazione concettuale tra la nozione di famiglia cui sono

riconosciuti quei diritti e la sua base matrimoniale.

Su tutte e tre queste caratteristiche gli interpreti si sono affaticati in direzioni

spesso contraddittorie21. Se in un primo momento sono comparse letture volte a

isolare l’art. 29 dal complessivo sistema costituzionale, nel prosieguo si sono via via

affermati orientamenti i quali, pur muovendo correttamente dall’assunto di collocare

difficoltà, da parte di tali illustri esponenti, di comprendere i tratti peculiari delle disposizioni costituzionali sui rapporti etico-sociali sarebbe emersa altresì nell’esame di un’altra disposizione caratterizzata da un elevato grado di novità rispetto alle costituzioni precedenti o coeve, come l’art. 32: v. R. Balduzzi, D. Servetti, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, in Manuale di diritto sanitario, a cura di R. Balduzzi e G. Carpani, Bologna 2013, pp. 19 e ss.

19 A.C. Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali del Seminario giuridico dell’Università di Catania, III, 1948-1949, n. 5, pp. 38 e ss.

20 Significative sul punto (anche se non sempre sottolineate dai commentatori) le convergenze tra le posizioni di Aldo Moro e Costantino Mortati sul tema della normatività dell'art. 29 e della stessa "definizione" di famiglia come società naturale. Per il primo non si tratta, se non per la forma esterna, di definizione, in quanto (cito dal resoconto della Commissione per la Costituzione, adunanza plenaria del 15 gennaio 1947, in Camera dei deputati, cit., vol. VI, p. 102) "si tratta in questo caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita"; anzi, prosegue Moro, per chiarirne la portata bisogna rifarsi ad altri articoli del Progetto "nei quali è stato sancito come garanzia di una democraticità effettiva dello Stato, che questo ha appunto limiti costituiti dalla persona umana e dalle formazioni sociali alle quali la persona umana dà vita. Si tratta di una gradualità per cui si ascende man mano dalla persona umana sino allo Stato, passando attraverso quelle formazioni sociali intermedie che sono una realtà naturale ed etica di cui lo Stato deve tener conto". Per il secondo il suo carattere normativo deriva dalla circostanza che con essa "si vuole infatti assegnare all'istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione" (seduta del 23 aprile 1947, ivi, p. 1166). Interessante anche la ripresa, da parte di Giuseppe Dossetti, dell'esempio che Moro aveva addotto per confortare che quella formula non avesse carattere definitorio, cioè la disposizione del Progetto relativa alla magistratura per cui "la funzione giudiziaria è espressione della sovranità della Repubblica": formula, aggiunge Dossetti, "che non è una definizione, ma una norma giuridica che determina conseguenze ben precise e molto chiare" (ivi, p. 1168).

21 Per una rassegna delle diverse posizioni dottrinali cfr., tra i molti, E. Lamarque, Famiglia (tutela costituzionale), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006; F. Caggia, A. Zoppini, Art. 29, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto e M. Olivetti, vol. I, Torino, Utet, 2006; B. Pezzini, Dentro il mestiere di vivere: uguali in natura o uguali in diritto, in La "società naturale" e i suoi "nemici", cit., pp. 12 e ss.; F. Biondi, Famiglia e matrimonio. Quale modello costituzionale, in La famiglia e i suoi giudici, cit., pp. 3 e ss.

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la disposizione nel contesto costituzionale, sono però pervenuti a una sorta di messa

tra parentesi della medesima, o almeno al suo depotenziamento.

(A) Quanto all'imputazione di "diritti" al gruppo familiare, una prima

linea interpretativa, ormai nettamente minoritaria, sottolinea lo status e le prerogative

della famiglia intesa come gruppo, valorizzandone la componente istituzionale

(senza peraltro ricadere nelle concezioni autoritarie o totalitarie che facevano della

famiglia uno strumento della potenza statale)22. Così facendo, essa presta il fianco

alla critica liberale contro la famiglia nemica della persona e contrapposta ad essa

(come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di affermare, la Costituzione

non giustifica una tale concezione della famiglia, perché il valore delle formazioni

sociali come la famiglia sta nel fine assegnato di promuovere lo svolgimento della

personalità: sent. n. 494 del 2002)23.

La seconda tendenza legge nell'espressione "diritti della famiglia"

semplicemente "un'espressione sintetica per indicare i diritti dei singoli nell'ambito

della relazione familiare", mancando nella disciplina costituzionale della famiglia "i

tratti caratteristici che esprimono la rilevanza di un'attività di gruppo, giacché la

famiglia non è assunta come punto di riferimento di un tipo di tutela diversa da

quella che la legge appresta ai singoli membri"24. Ne consegue la considerazione del

gruppo familiare come semplice contenitore o cornice per l’esercizio dei diritti

individuali.

Non è difficile rilevare il punto di debolezza comune a entrambe le

prospettive: i diritti di cui si parla sono diritti propri della persona, la cui dignità non

consente limitazioni esterne o eteronome, ma in quanto diritti della persona hanno

natura non semplicemente individuale, ma relazionale (di coordinazione-

integrazione, direbbe John Finnis) 25 , e dunque il gruppo familiare non va

22 Per un esempio di questa prima tendenza v. G. Lombardi, La famiglia nell'ordinamento italiano, in

Iustitia, 1965, pp. 3 e ss. 23 Secondo F. Biondi, Famiglia e matrimonio, cit., p. 11, questa pronuncia esprime bene il bilanciamento

che la Corte fa tra il rilievo della soggettività individuale e il ruolo proprio della famiglia come società. Tale affermazione appare però difficilmente compatibile con quella che la stessa A. fa (ivi, p. 9) circa l'esclusione dell'esistenza di una soggettività della famiglia, "altra" rispetto ai suoi componenti, "costruita in base ad una concezione etica o religiosa": infatti la famiglia è proprio l’unica, tra le formazioni sociali, delle quali la Costituzione preveda il riconoscimento dei “diritti”. Sul punto v. anche L. Principato, Famiglia e misure di sostegno: la legislazione nazionale, in La famiglia davanti ai suoi giudici, cit., pp. 158-159.

24 Così P. Barcellona, Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano 1973, p. 783. Adesivamente, ad es., A. Cariola, La dubbia utilizzazione, cit., p. 62.

25 J. Finnis, Law as Co-ordination, in Ratio Juris, 2, 1989, pp. 97 e ss.; Id., Natural Law and Natural Rights, trad. it. della 7.a ed. (1992) Legge naturale e diritti naturali, a cura di F. Viola, Torino, Giappichelli, 1996, spec.

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considerato come antitetico rispetto ad essi, ma come il modo attraverso il quale le

persone svolgono la loro personalità. Lungi dall’essere alternativo alla garanzia dei

diritti dell’uomo uti singulus, il riconoscimento dei diritti della famiglia costituisce uno

degli sviluppi (certo non l’unico!) del principio fondamentale espresso nell’art. 2

Cost., a norma del quale quei diritti sono garantiti nelle formazioni sociali dove essi

trovano modo di esplicarsi in quanto luoghi caratterizzati dall’essere momenti di

svolgimento della personalità del singolo. In questa prospettiva, il diritto

riconosciuto al singolo serve per preservarlo e distinguerlo da altri gruppi e al tempo

stesso per consentire al gruppo di essere, liberamente, luogo di libertà e di conquista

di autonomia. Dall’art. 29 discende cioè per il legislatore e per l’interprete, secondo

un autorevole e non più recentissimo insegnamento26, il criterio ermeneutico della

finalizzazione di ogni norma del diritto di famiglia per il compimento della

vocazione umana di ciascuno dei membri della comunità domestica, sorvegliando

l’equilibrio tra famiglia e agenzie sociali (organizzazione del lavoro, sistema

formativo, mass media). Sta qui il fondamento della normativa di favore per la

famiglia ex art. 2927.

Ora, in via generale, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale,

non è ipotizzabile il ricorso all’argomento analogico per estendere l’applicazione di

disposizioni normative concernenti il coniuge e i rapporti familiari al convivente e a

rapporti non familiari. Ciò in quanto il netto favor costituzionale per la famiglia è un

impedimento all’ingresso sic et simpliciter del principio di eguaglianza, per definizione

volto a trattare in modo eguale situazioni eguali e, per converso, diversamente

situazioni diverse (e che la situazione della famiglia fondata sul matrimonio sia

diversa traspare ictu oculi dal testo dell’art. 29 Cost.)28.

pp. 300 e ss., 334, 364 e ss. Per un’applicazione dei concetti e dei termini di Finnis v., tra gli altri, R. Balduzzi, La Carta dei diritti fondamentali, cit., p. 466.

26 F. P. Casavola, La famiglia, cit., p. 37. 27 V. per tutti F. Vari, Il soliloquio del giudice a Babele ovvero il tentativo della Cassazione di equiparare il regime

costituzionale di famiglia, convivenze more uxorio e unioni omosessuali, in Federalismi.it, 24 luglio 2013. 28 Nella già menzionata sent. n. 138 del 2010, la Corte costituzionale così motiva la non applicabilità

del principio d'eguaglianza alla problematica del matrimonio omosessuale (punto 9 del considerato in diritto): "La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale. In questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio". Non dissimile quanto limpidamente sostenuto dalla Congregazione vaticana per la dottrina della fede: "La distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale sono infatti inaccettabili solo se sono contrarie alla giustizia. Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto" (Considerazioni circa i progetti di

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Né si potrebbe pervenire a conclusione diversa invocando una generica

necessità di tutela dei beni afferenti la vita familiare, anche sulla base

dell'interpretazione che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dato di tale nozione

a proposito dell'art. 8 della Convenzione 29 . Qui soccorre un non recente, ma

limpido passaggio di una delle più note pronunce della Corte costituzionale in

argomento: "Non è detto che i beni di quest'ultima natura debbano avere

esattamente lo stesso peso, a seconda che si tratti della famiglia di fatto e della

famiglia legittima. Per la famiglia legittima, non esiste soltanto un'esigenza di tutela

delle relazioni affettive individuali e dei rapporti di solidarietà personali. A questa

esigenza, può sommarsi quella di tutela dell'istituzione familiare come tale, di cui elemento

essenziale e caratterizzante è la stabilità, un bene che i coniugi ricercano attraverso il

matrimonio, mentre i conviventi affidano al solo loro impegno bilaterale quotidiano.

Posto che la posizione del convivente meriti riconoscimento, essa non

necessariamente deve, dunque, coincidere con quella del coniuge dal punto di vista

della protezione dei vincoli affettivi e solidaristici" (corsivo mio).30

Resta comunque possibile, ma soltanto relativamente a singoli profili o

aspetti e senza perdere i contorni caratteristici delle rispettive figure, dare rilievo alla

cosiddetta “famiglia naturale”31.

(B) La qualificazione come società naturale ha dato luogo, come già in

Assemblea costituente, a letture divaricanti. Nel tempo ha finito per prevalere una

lettura riduttiva: tale espressione altro non significherebbe se non un mero rinvio

alla socialità connaturale alla persona umana, suscettibile di essere riempita

riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 8 e ivi la citazione di Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.63, a.1, c).

29 Per una ricostruzione recente di tale giurisprudenza v. F. Donati, La famiglia, cit., pp.3 e ss.; A. Ruggeri, Famiglie, genitori e figli, cit., pp. 190 e ss.

30 Corte cost., sent. n. 8 del 1996 (rel. Zagrebelsky), punto 3 del considerato in diritto; si v. anche la sent. n. 352 del 2000 (rel. Flick), dove la Corte ritorna sulla nozione di istituzione familiare e sulle sue esigenze di protezione. Prima ancora che il nucleo di una concezione dottrinale della famiglia ex artt. 29-31 Cost., tale nozione sembra discendere pianamente dal sistema costituzionale: sul punto (a commento delle indimenticabili riflessioni di Luigi Mengoni) v. A. Nicolussi, La famiglia: una concezione neo-istituzionale?, in Europa e dir. priv., 2012, 1, pp, 169 e ss.

31 Si vedano, a titolo di esempio, in senso ora favorevole ora contrario a tale estensione, le sentt. n. 404 del 1988 (in tema di estensione ai conviventi more uxorio della successibilità nella titolarità del contratto di locazione in caso di morte del conduttore, fondata sull'esigenza di tutelare un nucleo familiare con prole comune), 281 del 1994 (in tema di adozione), 8 del 1996 (sulla non estensione al convivente more uxorio della causa di non punibilità prevista a favore dei prossimi congiunti), 127 del 1997 (in tema di integrazione al minimo del trattamento pensionistico), le ordd. n. 204 del 2003 (non estensione del diritto di abitazione in assenza di prole comune) e n. 121 del 2004 (inestensibilità di scriminanti) nonché, in particolare, la più volte menzionata sent. n. 138 del 2010 (in tema di matrimonio tra omosessuali).

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liberamente di contenuti a seconda dell’evoluzione della cosiddetta coscienza

sociale, quasi che il “naturale” sia sinonimo di “culturale”32.

Tale lettura è emblematica delle conseguenze cui conduce un approccio

fortemente condizionato da un a-priori ideologico: la paura di confrontarsi con la

tradizione, peraltro assai articolata 33 , del pensiero giusnaturalista induce a

disapplicare uno dei principali criteri ermeneutici, quello secondo cui, come già

accennato, le disposizioni normative vanno interpretate magis ut valeant, con tanto

maggior rigore quanto maggiore è il rango della fonte che le produce: criterio dal

quale, nel caso di specie, dovrebbe discendere che l’interprete, almeno in prima

battuta, non possa assegnare all’attributo un significato già rinvenibile nella forma

verbale “riconosce”. La debolezza di tale lettura appare ancora più evidente ove si

rifletta che, anche in assenza dell’aggettivo, siffatto compito sarebbe comunque ora

doveroso, ora semplicemente possibile per il legislatore, conformemente alla natura

stessa della funzione legislativa e alla sua coessenziale idoneità a procedere alle

modificazioni volte a far valere la forza delle previsioni costituzionali o, più

prosaicamente, a tradurre sensibilità ed esigenze via via avvertite, con il solo e

importante limite della compatibilità con le disposizioni costituzionali.

Sembra, dunque, di poter concludere che la formula costituzionale, depurata

da eccessi ideologici, esprima un approccio così riassumibile: la coniunctio maris et

foeminae in un consortium omnis vitae, basato sul matrimonio, appare il sostrato

presupposto della disposizione costituzionale, disponibile all’intervento del diritto

positivo fuor che in questo suo nucleo essenziale. Che quest’ultima lettura sia quella

più piana e lineare, lo conferma la circostanza che, adottando l’opposta lettura, si

finisce, come si è visto, per attribuire a “naturale” il significato di “culturale”, in

palese contrasto (ancora una volta) con il significato proprio delle parole, oltre che

32 Secondo T. Mancini, Uguaglianza tra coniugi e società naturale nell'art. 29 della Costituzione, in Riv. dir.

civ., 1963, p. 225, "il legislatore costituzionale (...) ha posto una norma in bianco", rinviando alla concezione di famiglia del momento storico in cui la norma dell'art. 29 è destinata ad operare; in senso conforme M. Bessone, Rapporti etico-sociali: art. 29, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1977, pp. 17 e ss., spec. p. 22. Si v. anche la sintesi di F. Caggia, A. Zoppini, Art. 29, cit., pp. 604 e ss. Sulle relazioni di distinzione e collegamento tra "naturale" e "culturale" v. già R. Balduzzi, Sull'opportunità, cit., pp. 366 e ss. La questione è oggi ben sintetizzata nei contributi raccolti in Natura e cultura nella questione del genere, a cura di F. Facchini, Bologna 2015, in particolare negli scritti di F. Botturi, Natura e cultura: crisi di un paradigma, pp. 27 e ss. e C. Cardia, Genitorialità e diritti dei minori, pp. 87 e ss, oltre che nelle Considerazioni generali del curatore, pp. 177 e ss.

33 Senza però che da questa ricchezza e articolazione delle posizione si deduca, "per il semplice e risolutivo motivo che non esiste un diritto naturale universalmente condiviso", l'impossibilità a prendere in considerazione l'approccio giusnaturalistico: così invece M. Manetti, Famiglia e Costituzione: le nuove sfide del pluralismo delle morali, in Scritti in onore di Alessandro Pace, vol. II, Napoli 2012, p. 1576. Se così fosse, l'argomento proverebbe troppo anche nei confronti degli approcci giuspositivistici: v., ad es., il quadro di sintesi di P. Chiassoni, Positivismo giuridico, Modena 2103, spec. pp. 7 e ss.

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con l'intenzione del legislatore (sempre difficile da ricostruire, non soltanto in questa

materia, ma la cui utilità non dovrebbe mai essere posta in discussione)34.

Emerge cioè, da una lettura meno ideologica della disposizione, la sua

intrinseca plurivocità, che non significa però ambiguità e tantomeno insuscettibilità

di esprimere contenuti35, ma orientamento all’interprete perché ne sviluppi tutti i

significati compossibili e compatibili, compreso quello (validato dall’autorevolezza

di un testimone diretto come Costantino Mortati) secondo cui il richiamo alla

società naturale vuole significare “non già rinvio ad un diritto extratestuale bensì

l’affermazione del limite posto alla revisione, la quale non potrà alterare la struttura

fondamentale dell’istituto familiare” 36.

(C) Anche l’altra precisazione contenuta nell’art. 29, cioè il riferimento al

matrimonio come base della società familiare, ha conosciuto letture divaricanti.

Se da un lato in essa si è letta, soprattutto inizialmente, la volontà di definire

in astratto tale società o l'equazione rigida famiglia-matrimonio, dall’altro se ne è

proposta una lettura depotenziata, parallela a quella invalsa in ordine alla

34 A diversa conclusione si giunge quando, sulla spinta delle cosiddette teorie del gender, si identificano

natura e cultura, dimenticando che “così come fa parte della cultura l’avere a suo principio la natura umana, fa parte della natura umana l’interpretazione che essa fa di se stessa. come autocoscienza e come autocomprensione. Detto altrimenti, il naturale umano si dà sempre in coerenza/coesione con il culturale: l’uomo è, per sua natura, il vivente che si auto interpreta e che genera forme”: così F. Botturi, Natura e cultura, cit. p. 46.

35 Non condivisibile è poi l'affermazione di M. Gattuso, Appunti sulla famiglia naturale e il principio di eguaglianza (a proposito della questione omosessuale), in Questione giustizia, 2007, n. 2, che sia "ormai da tempo opinione comune che la Costituzione pone una norma in bianco che rimanda al costume e alla coscienza sociale", citando tra gli altri l'opinione di C. M. Bianca: il ricorso a tale citazione costituisce però un sintomo della già segnalata tendenza a confondere le indicazioni della Costituzione con i propri desideri e la propria concezione del mondo, se si pensa che il passo di Bianca porta esattamente alla conclusione opposta ("Il condizionamento storico della famiglia e la sua evoluzione nel mutamento dei costumi sociali sono innegabili. L'evolversi del fenomeno familiare non tocca tuttavia la realtà di un'esigenza fondamentale dell'uomo e cioè quella di realizzarsi nella comunità familiare. L'uomo non ha semplicemente istinti sessuali, ma anche e soprattutto il bisogno essenziale di realizzarsi nella famiglia, quale prima forma di convivenza umana": C. M. Bianca, La famiglia, Milano, 2005, p. 14).

36 C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1975, II, p. 1165. Contra, sul punto, M. Olivetti, Interrogativi costituzionali sulle unioni di fatto, in I quaderni di Scienza e vita, Identità e genere, n. 2, marzo 2007, p. 41 nt. 5, secondo il quale l’alterazione delle coordinate basilari del fenomeno familiare, ad esempio prevedendo il matrimonio omosessuale, sarebbe possibile in sede di revisione costituzionale dell’art. 29, ma comunque inibita al legislatore ordinario. Secondo A. Ruggeri, Famiglie, genitori, figli, cit., p. 186, il fuoco della questione starebbe oggi non tanto nell'ammissibilità o meno di una revisione costituzionale del carattere strutturalmente eterosessuale del matrimonio (per questo A., comunque, in via di principio prospettabile), quanto piuttosto sulle conseguenze di un eventuale (e non del tutto improbabile) revirement del giudice di Strasburgo a fronte del consolidarsi di un consenso a livello europeo: si veda sul punto, infra, più oltre nel testo, al n. 4. Per A. Spadaro, Matrimonio "fra gay", cit., pp. 367 e ss., la revisione costituzionale non soltanto sarebbe ammissibile, ma costituirebbe "la via giuridicamente più corretta, democratica e ragionevole".

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qualificazione come naturale della società stessa: come da tale formula si ricava una

definizione di famiglia caratterizzata da relatività e storicità e aperta alle dinamiche

sociali, così le stesse caratteristiche potrebbero essere attribuite al matrimonio

indicato dall’art. 29 come atto fondativo, il cui regime e le cui forme, pertanto,

andrebbero considerate completamente disponibili in capo al legislatore ordinario,

con il solo limite dettato dall’imperativo costituzionale di garantire il libero

svolgimento della personalità dei membri del gruppo familiare 37 . Impostazione

quest’ultima che appare, già nella sua genesi, fortemente condizionata dalla

preoccupazione di garantire la compatibilità costituzionale della legislazione istitutiva

del divorzio (così come, dall’altra parte, l’insistenza su alcuni tratti “connaturali”

dell’istituto matrimoniale derivava dalla preoccupazione di superare l’argomento

testuale e storico relativo sia all’assenza nell’art. 29 della clausola di indissolubilità,

oltre che dalla vigenza dell’art. 34 del Concordato)38.

Una più tranquilla e meno ideologica lettura avrebbe, però, già allora

condotto e a maggior ragione conduce oggi a considerare tale precisazione

costituzionale quale espressione ulteriore della concretezza del costituente: come la

precisazione sulla famiglia come società naturale non andava intesa nel senso di

“platonica e contestabile definizione della famiglia”, ma di attribuzione di rilievo

giuridico all’esistenza, tra i membri della famiglia, non soltanto di “freddi vincoli

giuridici”, ma di legami naturali, e cioè “affettivi, sentimentali, spontanei e di

sangue”, così il richiamo al matrimonio come atto fondativo vale a stabilire una

preferenza della famiglia su di esso fondata, i cui diritti sono gli unici a essere

garantiti costituzionalmente, e pertanto a manifestare “una precisa volontà

normativa” della disposizione in oggetto39.

Il sistema costituzionale, allora, sembra ancora oggi ricostruibile muovendo

proprio da una lettura integrata della disposizione-chiave, cioè dell’art. 29. Il

“modello costituzionale di famiglia” è un limite al legislatore in quanto ad essa,

luogo naturale degli affetti, è riconosciuta una intrinseca giuridicità (i suoi “diritti”,

appunto), le cui linee essenziali la Costituzione richiama: formazione sociale per la

persona umana e il suo sviluppo, privilegiata perché luogo ordinario di

umanizzazione; formazione sociale che trova la sua base nel vincolo giuridico

matrimoniale, non antitetico alla sua naturalità in quanto volto a realizzare l’unità

giuridica del gruppo. Trattasi di unità organica, secondo la ricostruzione di Moro, sia

37 F. Caggia, A. Zoppini, Art. 29, cit., p. 608. 38 Si v. soprattutto C. Grassetti, I principi costituzionali, cit., pp. 285 e ss. 39 Le citazioni tra virgolette sono tratte dal commento, oltre mezzo secolo fa, di Carlo Esposito,

Famiglia e figli nella Costituzione italiana, (1951), in Id., La Costituzione italiana. Saggi, Padova, Cedam, 1954, pp. 135 e ss.

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perché tale da comportare un vero e proprio status generale delle persone (quello che

Esposito richiamava come “vincolo totalitario”, da intendersi come legame delle

persone nella complessità della loro vita) 40 , sia perché tale da inserirsi in

quell’insieme di corpi intermedi che formano la società e lo Stato.

Né sarebbe fondatamente sostenibile che l'istituto matrimoniale, base

pubblica di quella comunione materiale e spirituale in cui risiede l'identità familiare e

che costituisce la fonte di diritti e doveri reciproci tra coniugi, possa essere riferito a

soggetti diversi da un uomo e una donna e dunque aperto alle coppie omosessuali,

perché anche in questi casi sarebbe possibile rispettare il precetto del secondo

comma dell'art. 29, ai sensi del quale il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza

giuridica e morale dei coniugi (da intendersi, sulla scorta della giurisprudenza

costituzionale, come assoluta eguaglianza sia nei rapporti reciproci, sia nei confronti

dei figli41): al di là della (insuperabile) forza dell'argomento storico, c'è la forza

dell'argomento logico-sistematico che con il primo si salda, per cui l'eguaglianza di

cui parla l'art. 29 è l'eguaglianza tra due diversità che si pongono in rapporto di

reciprocità e complementarità, avendo sullo sfondo quella "potenziale" finalità

procreativa del matrimonio che non ne costituisce un elemento accidentale, ma una

proprietà essenziale.

4. Il legislatore ordinario e le convivenze non familiari. “Esclusività” del

modello costituzionale e rilievo degli articoli 2 e 3 della Costituzione

Tra i fenomeni sociali emergono senza dubbio le spinte alla proliferazione di

modelli “familiari”, quali prodotto del più generale processo di privatizzazione e di

secolarizzazione della cultura, del costume e delle forme di convivenza42, in una

parola di quell’”impero della soggettività" che viene non a caso descritto come la

cifra più significativa del nostro tempo43.

40 C. Esposito, op. cit., p. 138. 41 Così F. Biondi, Famiglia e matrimonio, cit., pp. 19-20. 42 In tal senso il quadro generale di riferimento ha per un verso accentuato le caratteristiche di crisi

dell’istituzione familiare rilevate da F. Cuocolo, op. cit., pp. 1-2, per altro verso confermato le caratteristiche di tenuta della famiglia italiana: sul punto v. già R. Cipriani, La famiglia fra tradizione e cambiamento, in R. Balduzzi, I. Sanna (a cura di), Ancora famiglia? La famiglia tra natura e cultura, Roma, Editrice AVE, 2007, p. 56 (ma sui limiti di tale “tenuta” v. le considerazioni di E. Scabini, Mutamenti familiari e nuovi assetti intergenerazionali, ivi, pp. 85 e ss.).

43 Così G. De Rita, commentando il recente referendum irlandese sull’estensione dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali (Intervista a La Stampa, 27 maggio 2015, p. 3). Sul “crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si

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Sul punto, vanno anzitutto presi in esame e valutati i dati concreti (e qui è

importante una riflessione statistica attenta)44. Stando alla più recente rilevazione

Istat45, questi sono i dati più significativi su matrimonio e famiglia in Italia:

a. diminuzione del numero annuale dei matrimoni (scesi nel 2013, per la prima

volta, sotto i duecentomila, con un trend degli ultimi cinque anni che ha visto una

progressiva diminuzione per un valore complessivo pari a oltre un quinto delle

celebrazioni del 2008)46; tale diminuzione è dovuta in parte a un effetto strutturale

legato alla contrazione delle nascite;

b. diminuzione del numero dei matrimoni celebrati con rito religioso, mentre

il numero di quelli celebrati con rito civile scende anch'esso, ma in percentuale

nettamente più contenuta e raggiunge il 42,5% (oltre il 50% al Nord e al Sud);

c. diminuzione della durata media dei matrimoni più recenti (anche se il 2012

ha segnato un arresto nella crescita della propensione a separarsi e un’inversione di

tendenza in quella a divorziare rispetto al 2011)47;

d. aumento delle unioni di fatto, raddoppiate dal 2008 superando il milione nel

2012-2013 (con oltre un nato su quattro, nel 2013, che ha i genitori non coniugati).

Tutto ciò interpella certamente il legislatore, sempre consapevole che, se da

un lato la regola giuridica non può non fare i conti con il cambiamento del costume,

dall’altro essa non è semplice riverbero della realtà sociale, ma appunto regola, cioè

modello di comportamento, come confermato dall’esperienza, che mostra la

tendenza dei soggetti a “esercitare più facilmente le proprie scelte di vita se queste

sono garantite o rese possibili dal diritto”48. Il legislatore, cioè, non può rinunciare a

un ancoraggio etico-sociale 49 , ben riverberato quanto al nostro tema nelle

costruisce secondo i propri desideri come un assoluto” v. ora la Relatio Synodi, n. 5 (che costituirà i Lineamenta dellla prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2015).

44 Indagine che non sempre è presente: si vedano già le argomentate considerazioni di C. Ge Rondi, Famiglia e famiglie, in R. Balduzzi, I. Sanna, Ancora famiglia?, cit., pp. 57 e ss.

45 Istat, Statistiche. Report, 12 novembre 2014, in www.istat.it 46 Con una diminuzione che tocca soprattutto le prime nozze tra sposi di cittadinanza italiana; sempre

nel 2013, diminuiscono anche i matrimoni successivi al primo, ma con un ritmo di flessione più contenuto rispetto alle prime nozze e con un'incidenza in crescita sul totale dei matrimoni.

47 Istat, Statistiche. Report, 23 giugno 2014. 48 Così C.M. Bianca, Diritto civile. II. La famiglia – Le successioni, 4.a ed., Milano, Giuffrè, 2005, p. 16. 49 C. M. Martini, Famiglia e politica. Discorso alla città di Milano dell’Arcivescovo Carlo Maria Martini per la

vigilia di S. Ambrogio 2000 (in Il Regno/Documenti, n. 1, 2001, pp. 21 ss.). Si veda altresì sul punto Congregazione per la dottrina della fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 6: "Le leggi sono principi strutturanti della vita dell'uomo in seno alla società, per il bene o per il male", e ivi la citazione di un passo (n. 90) dell’Enciclica Evangelium vitae del 25 marzo 1995 di Giovanni Paolo II, secondo cui le leggi “svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume”. Di quest’ultimo documento si vedano anche – nn. 70-73 – le considerazioni sui compiti della legge civile positiva e sulla conformità di essa alla legge morale naturale, e in particolare (n. 70) il

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disposizioni costituzionali e segnatamente dall’art. 29 e dall’art. 31 50, dai quali si

ricava, come si è accennato sopra, un’indicazione di preferenza o privilegio per il

modello della famiglia fondata sul matrimonio, in ragione della tendenziale stabilità

del rapporto e della serietà dell’impegno che essa comporta e della sua conseguente

funzione umanizzante di cui sopra si è discorso.

Se sul carattere premiante o incentivante dell’art. 29 Cost. nessuno ha mai

seriamente dubitato, i giuristi si sono variamente espressi in ordine alla portata di

tale carattere. Si tratta di un privilegio da leggersi soltanto in positivo, volto cioè a

coonestare discipline di vantaggio per la famiglia fondata sul matrimonio, oppure

anche in negativo, come esclusività di tutela?

In linea generale, propendo per la seconda soluzione. La legge, si è accennato

sopra, non è solo certificazione della realtà, ma è altresì regola della medesima, e

pertanto discipline che applicassero indiscriminatamente e tout court normative di

tutela dei diritti della famiglia a situazioni diverse dal modello costituzionale di

famiglia verrebbero a menomare la funzione della norma costituzionale. La

disposizione costituzionale sarebbe completamente travisata, ebbe modo di

osservare ancora Aldo Moro (in risposta a un’insidiosa osservazione del

qualunquista Mastroianni, riferita alla formula del progetto di Costituzione, poi

diventata, con modifiche non decisive sul punto che qui interessa, l’art. 29 Cost.),

“se venisse portata a significare che si vuole riconoscere un vincolo familiare

costituito soltanto in base ad uno stato di fatto”51.

seguente passaggio, a proposito dei valori che l’esperienza democratica incarna e promuove: “Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi. Qualcuno potrebbe pensare che anche una tale funzione, in mancanza di meglio, sia da apprezzare ai fini della pace sociale. Pur riconoscendo un qualche aspetto di verità in una tale valutazione, è difficile non vedere che, senza un ancoraggio morale obiettivo, neppure la democrazia può assicurare una pace stabile, tanto più che la pace non misurata sui valori della dignità di ogni uomo e della solidarietà tra tutti gli uomini è non di rado illusoria. Negli stessi regimi partecipativi, infatti, la regolazione degli interessi avviene spesso a vantaggio dei più forti, essendo essi i più capaci di manovrare non soltanto le leve del potere, ma anche la formazione del consenso.”

50 Sottolinea il carattere riassuntivo che l’articolo 31 riveste in ordine alla posizione della Repubblica nei confronti della famiglia, contribuendo a interpretarne le disposizioni “più specificamente precettive degli articoli che lo precedono”, F. Cuocolo, voce Famiglia, cit., p. 4.

51 Si veda la seduta della 1.a Sottocommissione del 6 novembre 1946 (retro, nt. 16).

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Esclusività dell’art. 29 non significa peraltro assenza di garanzia per situazioni,

diverse da quella familiare, ove vengano comunque in rilievo affidamenti reciproci

tali da consentire di parlare di formazione sociale e pertanto di considerare

applicabile il richiamo dell’art. 2 Cost., là dove si afferma che “la Repubblica

riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei

doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Quando la Corte

costituzionale ha dato rilievo a convivenze more uxorio, escludendo peraltro

nettamente la generalizzata estensione a tali situazioni delle norme dettate per la

famiglia secondo il modello costituzionale, imponendo anche per tali conviventi il

rispetto dei diritti inviolabili (ad esempio il diritto di abitazione) e ammettendo,

come si è visto sopra, che il legislatore possa, relativamente a profili particolari,

dettare una disciplina che riconosca taluni diritti e facoltà alle persone che fanno

parte di convivenze caratterizzate da requisiti di durata e di relativa stabilità, ne ha

rinvenuto il fondamento proprio nell’art. 252.

Su altro versante, affermare l'esclusività impedisce ricostruzioni volte a

includere nella tutela dell'art. 2 tutto ciò che esula dal modello costituzionale dell’art.

29 (dilatando la ricostruzione del primo come clausola a fattispecie aperta), senza

però intendere quell’esclusività come inibente qualunque tutela di situazioni che,

anche soltanto indirettamente e alla lontana, possano entrare nel campo di

applicazione dell’art. 2953.

Ciò premesso, non sembra difficile tentare di rispondere alla domanda sopra

posta facendo leva sulle caratteristiche delle due fattispecie costituzionali: da un lato

la convivenza familiare dell’art. 29, fondata su un atto di volontà che determina un

corrispondente status, valorizzato e incentivato dall’ordinamento (in quanto in esso

rinviene, per dirla con la sentenza n. 310 del 1989 della Corte costituzionale, una

“dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e

corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio"); dall’altro

convivenze diverse, caratterizzate dall’elemento di fatto della formazione sociale e

52 A partire dalla sent. n. 237 del 1986; si vedano altresì le sentenze n. 310 del 1989, 281 del 1994 e 8

del 1996 (cfr. anche retro, nt. 31); si vedano le osservazioni di E. Rossi, La tutela costituzionale delle forme di convivenza familiare diverse dalla famiglia, in S. Panizza, R. Romboli (a cura di), L’attuazione della Costituzione. Recenti riforme e ipotesi di revisione, 2.a ed., Pisa, Plus, 2004, pp. 157 e ss. e di P. Grossi, Lineamenti di una disciplina della famiglia nella evoluzione costituzionale italiana, in Id., Il diritto costituzionale tra principi di libertà e istituzioni, Padova, Cedam, 2005, pp. 163 e ss. Per una critica alla tesi che pone l’art. 2 Cost. come fondamento delle unioni more uxorio e delle altre forme di convivenza diverse dalla famiglia v. F. Vari, Contributo allo studio della famiglia nella Costituzione italiana. I, Bari, Cacucci, 2004, spec. pp. 97 e ss.

53 Avevo a suo tempo parlato in proposito (v. R. Balduzzi, I diritti, cit., p. 48) di "una sorta di monadismo costituzionale che enfatizza un elemento del disegno costituzionale e confina gli altri elementi nell’irrilevanza".

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dai connessi vincoli di solidarietà, nelle quali si pone, ancorché su un altro piano, un

problema di riconoscimento di diritti e di previsione dei corrispondenti doveri. Per

non mettere in parallelo le due fattispecie occorre rispettarne le reciproche

caratteristiche. Così, non è sufficiente richiamare l’art. 2 come clausola a fattispecie

aperta (capace cioè di offrire tutela a situazioni via via avvertite come meritevoli

dalla coscienza sociale, al di là di quelle previste nel testo costituzionale), in quanto

lo stesso art. 2 non offre tutela a tutti i desideri che si vorrebbero riconosciuti come

bisogni e a tutti i bisogni che si vorrebbero tutelati come diritti, ma riconosce e

garantisce quei desideri e quei bisogni che servono allo svolgimento della personalità

all’interno di una formazione sociale: la preoccupazione del costituente infatti, come

traspare dalle parole stesse usate nella disposizione, fu quella di ricomprendere

insieme la persona nelle sue potenzialità individuali e nella sua capacità di relazione

(se l’accostamento non apparisse ardito, si potrebbe pensare all’art. 2 Cost. come a

una traduzione costituzionale delle due dimensioni dell’amore come eros e come

agàpe)54.

Ne consegue uno spazio per il legislatore ordinario, il quale può dare rilievo a

situazioni di fatto nelle quali la convivenza costituisca una formazione sociale

rilevante ai sensi dell’art. 2, senza però porre in essere discipline che si pongano

come concorrenziali o parallele rispetto alle situazioni tutelate dall’art. 29 e trovando

un criterio generale per discernere le situazioni da includere o da escludere nel

principio di eguaglianza-ragionevolezza dell’art. 3 Cost.

Da quanto detto scaturisce una prima conseguenza: collegare alla convivenza

diritti e doveri non crea istituti concorrenziali al modello costituzionale di famiglia a

condizione che tale collegamento non derivi da un atto di volontà pattizio (che

avrebbe necessariamente l’effetto di far rinvenire il titolo dell’applicabilità di diritti e

di doveri nella volontà dei conviventi, e non nel fatto della convivenza), ma sia

conseguenziale al verificarsi di una situazione di fatto che presenti determinate

caratteristiche per la cui predeterminazione il legislatore gode di una certa

discrezionalità. Per la selezione delle situazioni da includere vale, si è detto, il

richiamo al principio di ragionevolezza: su questa base, ove il legislatore si

prefiggesse di collegare diritti e doveri a una situazione di convivenza intesa come

coabitazione stabile, sarebbe irragionevole considerare elemento discriminante il

sesso dei conviventi, salvo per quei diritti e quelle facoltà che interessino

54 La cui distinzione venne valorizzata nel 2005 dall'enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est (se ne

veda soprattutto la prima parte).

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direttamente i profili della generazione, della procreazione e dell’educazione dei figli.

Sotto il profilo dei valori sottesi alle scelte dell’ordinamento, è importante sul punto

ancora l’osservazione del card. Martini secondo cui “le unioni omosessuali, pur

potendo giungere, a certe condizioni, a testimoniare il valore di un affetto reciproco,

comportano in radice la negazione di quella fecondità (non solo biologica) che è la

base della sussistenza della società stessa”55.

A una diversa conclusione giungono quanti, influenzati in misura più o meno

consapevole dalle cosiddette teorie del gender, finiscono per azzerare ogni identità

permanente, considerando "la datità naturale come un mero sedimento culturale

ideologicamente significativo, nulla più che una costruzione storica"56 e dissolvendo

la relazione come luogo d'identificazione soggettiva57.

Da quanto detto consegue la problematicità di tutte quelle proposte, siano

quelle realizzate nelle esperienze di altri Paesi europei in ordine al trattamento

normativo delle convivenze non fondate sul matrimonio, sia quelle ancora

recentemente oggetto di discussione parlamentare nel nostro Paese che, anche

quando non consistono in equiparazioni di trattamento o in meri rinvii alla

disciplina matrimoniale, sono per lo più incentrate sulla volontà della coppia, sulla

disciplina degli effetti della volontà unitiva della medesima e su un presupposto di

fatto che non è la semplice coabitazione stabile, ma la vie de couple (secondo la

ricostruzione dei Pacs effettuata dal giudice costituzionale francese e oggi peraltro

superata dalla legge che ha ammesso la facoltà anche per le coppie omosessuali di

55 C. M. Martini, Famiglia e politica, cit. Per un approccio abbastanza simile a quello del testo v. sul

punto F. Dal Canto, Matrimonio tra omosessuali e principi della Costituzione italiana, in R. Romboli, N. Pignatelli, M. Carrillo, E. Lauroba, F. Dal Canto, G. De Marzo, La legge spagnola sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la tutela delle coppie omosessuali in Italia, in Foro it., 2005, V, 256, pp. 37 e ss. dell’estratto. Sotto l'angolatura psicoanalitica, si vedano le conclusioni dello studio di M. Fornaro, Omosessualità e identità di genere tra corpo, mente e società, in Studia patavina 62 (2015), p. 42: "In conclusione, l'orientamento omosessuale va rispettato laddove è vissuto nella dedizione e nell’autentico affetto verso il partner, ed è un amore soggettivo per i membri della coppia. Ma una valutazione oggettiva - che cioè inquadri l'esercizio della sessualità nell'ottica del suo senso oggettivo (...) e ricusi l'approccio individualistico per cui il fine della sessualità sarebbe il conseguimento del mero piacere personale, sottolineando invece che l'individuo, come anello di una catena generazionale è come membro della società, è portatore e interprete di valori che lo trascendono e non già creatore degli stessi - porta a stabilire che la relazione omosessuale è un meno di valore rispetto a quella eterosessuale, nel senso che obiettivamente gode, ceteris paribus, di minori potenzialità realizzative”.

56 Così F. Botturi, Natura e cultura, cit., pp. 36-37, che così prosegue: "Al fondo, domina uno schema libertario prassista, per cui la realtà altro non è che prodotto dell'azione e quindi l'unico progetto sensato non può essere che un'auto-determinazione esaustiva".

57 Ibidem, p. 37: "Le teorie sul <genere> colgono con acuta sensibilità che la questione dell'identità del corpo sessuato, in quanto mediato da relazioni, comporta un problema di potere e che tale potere si esercita attraverso l'interpretazione della condizione sessuata. Ma l'ossessione per il potere oppressivo dell'identità sessuale finisce per sottrarla oltre al vincolo identitario dell'altro e sulla dialettica costruttiva dell'identità e della differenza, a favore invece di un'idea di differenza autoreferenziale".

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contrarre matrimonio) 58 , e finiscono pertanto per affiancare al modello

matrimoniale, fondato sul consenso e sulla costituzione di uno status, un altro

ugualmente fondato sul consenso e, nella più parte dei casi, anche sulla costituzione

di uno status, anche se di minore intensità e stabilità tendenziale59.

5. Considerazioni conclusive

Così ricostruito il modello costituzionale e ricordatene le implicazioni

particolari, vorrei dedicare le considerazioni finali al tema della sua effettività o

praticabilità.

Già i dati sopra riportati60 fanno emergere una realtà sfuggente, i cui rapporti

con il modello non sono certamente semplici 61, anche perché la “realtà”, come

veicolata anche dal sistema dei media che si pone in rapporto ad essa come effetto e

come concausa al tempo stesso, si presenta confusa e contraddittoria. Se la

pubblicità, televisiva e non, si affida ancora preferibilmente a un modello oleografico

di famiglia nucleare (intesa con connotati più tradizionali rispetto al modello

costituzionale di coppia paritaria e di famiglia rispettosa dei singoli), il modello dei

cosiddetti e, talvolta, sedicenti reality show propone per contro la destrutturazione

della famiglia in indistinte e “liquide” convivenze.

A questa situazione si aggiunge un orientamento a livello di indirizzo

politico, governativo e parlamentare, che stenta a depurarsi di connotazioni

ideologiche. Capita, ad esempio, di leggere anche in documenti ufficiali che la

riforma della filiazione sarebbe stata ispirata dall’intendimento di “governare lo

58 Si veda sul primo aspetto la decisione 99-419 DC del 9 novembre 1999 (Loi relative au pacte civil de

solidarité) e, sul secondo, la decisione 13-669 DC del 17 maggio 2013 (Loi ouvrant le mariage aux couples de personnes de même sexe).

59 Avevo provato a dimostrare che, per contro, il d.d.l. presentato dal Governo in data 20 febbraio 2007 (A.S. n. 1339), recante il titolo "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi" (c.d. Dico, introducesse un modello originale di garanzia dei diritti individuali dei conviventi tale da escludere in radice qualunque parallelismo con la disciplina matrimoniale: R. Balduzzi, Famiglie e rapporti di convivenza, cit., pp. 18 e ss.; Id., Il d.d.l. sui diritti, cit., pp. 50 e ss.

60 Retro, all’inizio del § 3. 61 “In presenza di mutamenti così drastici delle forme di convivenza come quelli che possiamo oggi

registrare, un esclusivo ancoraggio dell’interprete all’intento dei Costituenti porterebbe a relegare nella sfera del giuridicamente irrilevante ogni forma di convivenza diversa dalla famiglia legittima. In tal caso, non solo sarebbero compromessi i diritti inviolabili dei conviventi di fatto e la loro pari dignità sociale, ma la realtà si vendicherebbe in un modo o nell’altro della pretesa di ignorarla, con la creazione di un circuito informale di rapporti sociali che farebbe cadere in desuetudine un intero capitolo del nostro diritto costituzionale” (così C. Pinelli, La Nota del Consiglio Episcopale Permanente e le norme costituzionali in tema di famiglia e formazioni sociali, in www.associazionedeicostituzionalisti.it).

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svilupparsi di esperienze familiari alternative al matrimonio”62. Se a ciò aggiungiamo

il clima culturale, che registra un progressivo distacco del diritto da una concezione

ontologica della persona63, a sua volta influenzato dalla diffusione di una sorta di

“idealismo di marca linguistica”, per il quale “la realtà non si dà che entro il

linguaggio, col risultato che natura e corpo vengono surrettiziamente ridotti al

concetto di natura e di corpo”64, si comprende bene il senso della sfida racchiusa nella

proposizione del modello costituzionale di famiglia.

Tale modello non si pone più tanto come un dato, quanto piuttosto come un

approdo, un risultato di un impegno di solidarietà sociale, di costruzione della città

dell’uomo secondo criteri di rispetto della pari dignità sociale (art. 3, comma 1,

Cost.), dell’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi (art. 29, comma 2, Cost.), della

tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori del matrimonio (art. 30, comma 3, Cost.).

Un approdo inevitabilmente competitivo e persino controcorrente rispetto alle

forme appunto destrutturate e “corte” di relazioni affettive e sessuali che l’odiernità

ci presenta e che paiono coerenti con le caratteristiche di anomia, frammentazione

ed “evasività” dell’insieme del vivere sociale contemporaneo, di cui il vivere

“familiare” è componente necessaria e costitutiva.

Certo, la strada della promozione dei valori familiari passa soprattutto

attraverso altri canali, di ordine etico-culturale e politico-istituzionale.

Sotto il primo profilo, attraverso un impegno volto a far percepire la

bellezza e la fecondità della vita familiare pienamente intesa: l'occasione offerta dal

Sinodo sulla famiglia e dalle inedite possibilità partecipative che consente è troppo

importante per esser fatta passare sotto silenzio65.

62 Così la Relazione illustrativa al d.d.l. “Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del

processo civile”, presentato dal Governo l’11 marzo 2015 (Atto Camera n. 2953), p. 10. Secondo la medesima Relazione l’introduzione del divorzio avrebbe “definitivamente chiuso ogni possibilità di concepire la famiglia in chiave istituzionale”. Sulla confusione tra la concezione autoritaria della famiglia e il (perdurante) rilievo istituzionale della medesima v. già L. Mengoni, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano, in AA. VV., La coscienza contemporanea tra pubblico e privato: la famiglia crocevia della tensione, Milano, 1979, pp. 267 e ss. (e oggi la rilettura di A. Nicolussi, La famiglia, cit., pp. 191 e ss.). Che con il cosiddetto stato unico di filiazione (legge n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013) “risulti radicalmente modificata la nozione di famiglia legale, che, ora, non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli giuridici tra i suoi membri dichiaratamente prescindono da esso” è stato sostenuto da M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, p. 3; Id., Genitorialità e famiglia, in Natura e cultura, cit., p. 136.

63 “Aujourd’hui le droit s’est détaché d’une conception ontologique de l’homme. Il obéit essentiellement à une logique compassionnelle ou émotionnelle ou à une logique économique”: B. Mathieu, La bioéthique, Paris, 2009, p. 125.

64 M. Fornaro, Omosessualità e identità di genere, cit., p. 48, che così prosegue: “Pertanto, di fatto, si nega il carattere referenziale della parola, cioè la sua capacità di significare un reale che parola non è, a favore di una autorefenzialità del linguaggio, nel senso che la parola non porta che ad altre parole, restando così chiusi nella rete dei significanti e delle interazioni socioculturali vigenti”.

65 Retro, nt. 43.

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Sotto il secondo profilo, se rimane sempre valido e urgente l’obiettivo della

realizzazione di una vera politica per la famiglia collegata a una reale politica sociale

intergenerazionale e all’affermazione dei livelli essenziali dei diritti della famiglia e

della loro natura eminentemente promozionale66, è opportuno anche chiedersi quali

ragionevoli prospettive di tenuta istituzionale il modello costituzionale di famiglia,

come ricostruito in queste pagine, possa avere.

Qui la domanda di partenza che si apre alla riflessione giuridico-istituzionale

è quella che recentemente si è posto Antonio Ruggeri: stante la tendenza, prevalente

in Europa, a destrutturare il paradigma eterosessuale del matrimonio (di cui

l'interpretazione, da parte della Corte europea, dell'art. 8 della Convenzione e della

nozione ivi contenuta di rispetto della vita familiare - alla quale si lega la lettura del

divieto di discriminazione dell'art. 14 - è un prodromo illuminante, ancorché, per

ora, rispettoso del “primato” delle tradizioni nazionali), ove il giudice europeo

dovesse pervenire a considerare formato un consenso sulla struttura del matrimonio

così inteso, "la rigenerazione semantica della Convenzione per effetto del consenso

può comportare una flessibilizzazione della Costituzione, assoggettandola a letture

diverse da quella fatta propria dal giudice delle leggi?”67.

Sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale relativa sia al

modello costituzionale di famiglia (da ultimo confermata, come si è visto, nella

sentenza n. 138 del 2010), sia al rapporto tra Costituzione italiana e Convenzione

europea dei diritti dell’uomo (di recente risistematizzato dalla sentenza n. 49 del

2015)68, alla domanda va data una risposta negativa, nel senso cioè della preminenza

della lettura “nazionale” e costituzionale. Tale preminenza va confortata e

valorizzata, anche per evitare che il contesto culturale e mediatico sopra accennato

66 Un quadro interessante sulle diverse proposte e soluzioni, all’interno di una riflessione generale sui

diritti sociali in G. Razzano, Lo “statuto” costituzionale dei diritti sociali, in www.gruppodipisa.it (ottobre 2012, pp. 46 ss.); v. anche L. Principato, Famiglia e misure di sostegno, cit., pp. 167 ss. Sul punto, in prospettiva sociologica, v. da ultimo P. Donati, La famiglia. Il genoma che fa vivere la società, Soveria Mannelli, 2013.

67 A. Ruggeri, Famiglie, genitori, figli, cit., p. 186. 68 Relativa tra l’altro alla portata della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, 2.a sez., 29

ottobre 2013, Varvara c. Italia (n. 17475/09). In essa la Corte costituzionale (punto 4 del considerato in diritto), richiamato che il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU è “subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007)”, così prosegue: “Il più delle volte, l’auspicabile convergenza degli operatori giuridici e delle Corti costituzionali e internazionali verso approcci condivisi, quanto alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, offrirà una soluzione del caso concreto capace di conciliare i principi desumibili da queste fonti. Ma, nelle ipotesi estreme in cui tale via appaia sbarrata, è fuori di dubbio che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana”.

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induca il giudice delle leggi a incrinare la lettura equilibrata e condivisibile che ha

fornito in relazione al modello costituzionale di famiglia69.

Di fronte all’accerchiamento “europeo” potrebbe sembrare unica soluzione

praticabile quella della testimonianza personale e collettiva, in una sorta di rassegnata

presa d’atto della durezza dei tempi e dell’irreversibilità di taluni flussi culturali e di

costume. A mio sommesso parere, c’è, invece, uno spazio grande anche per la

proposizione di modelli culturali e interpretativi diversi e originali rispetto a quelli

che sembrano oggi prevalere e per riaffermare quell’intimo e forte legame tra il

riconoscimento dei diritti dei singoli e quello dei doveri di solidarietà che, come si

accennava in apertura di questo scritto, costituisce il proprium della Costituzione

italiana70.

Se non vogliamo essere soltanto un’appendice o una periferia dell’impero (in

questo caso “europeo”), è la nostra risposta quella che conta.

69 Un’avvisaglia in tale direzione la si riscontra, a mio parere, nella sentenza n. 162 del 2014, in cui la

Corte costituzionale ha, tra l’altro, dichiarato incostituzionale l’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnostica una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Non solo perché in tale pronuncia la Corte sembra accedere a una concezione della famiglia sempre più sganciata dal matrimonio e invece concepita, al di là delle formule linguistiche usate, come necessariamente legata alla procreazione (come è stato esattamente osservato da A. Morrone, Ubi scientia, ibi iura. A prima lettura sull’eterologa, in www.forumcostituzionale.it, 11 giugno 2014), ma soprattutto per la sostanziale svalutazione del parametro dell’art. 29, pure invocato dalla difesa dello Stato a fondamento della ratio legis del c.d. divieto di eterologa, come suscettibilità del ricorso a tale pratica di incidere negativamente sull’equilibrio personale e familiare, a causa della mancanza di un rapporto biologico tra figlio e genitore. Né si potrebbe obiettare che la Corte risponda implicitamente a tale rilievo quando richiama l’analogia tra fecondazione c.d. eterologa e adozione, perché si tratta di uno dei punti di maggiore debolezza della pronuncia stessa, come lo era della decisione “madre” della Corte europea dei diritti dell’uomo, 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria). Sulla scissione tra progetto procreativo e progetto genitoriale (e pertanto sul profilo di contrasto con l’art. 29 Cost.) nella sent. n. 162 v. P. Cavana, Questione del <genere>, diritti del minore e procreatica, in Natura e cultura, cit., pp. 118 e ss.

70 Papa Francesco ha parlato, proprio con riferimento alla famiglia e alla cosiddetta ideologia del gender, di “colonizzazioni ideologiche” nel Discorso di Manila del 16 gennaio 2015 (“Let us be on guard against colonization by new ideologies. There are forms of ideological colonization which are out to destroy the family”). Non sembri eccessivo riferire l’espressione anche all’interno del mondo europeo o, più latamente, occidentale. La riflessione di Francesco (Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, n. 62) secondo cui “in molti Paesi, la globalizzazione ha comportato un accelerato deterioramento delle radici culturali con l’invasione di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite” presenta infatti aspetti di grande interesse anche con riferimento alle tendenze presenti all’interno delle democrazie occidentali. Non credo casuale che Francesco sia tornato su questo tema proprio nel recente discorso rivolto ai componenti del Consiglio superiore della magistratura, ricevuti in udienza il 13 giugno 2015, ricordando che la globalizzazione “porta con sé anche aspetti di possibile confusione e disorientamento, come quando diventa veicolo per introdurre usanze, concezioni, persino norme, estranee ad un tessuto sociale con conseguente deterioramento dele radici culturali di realtà che vanno invece rispettate (…) Tante volte io ho parlato di colonizzazioni ideologiche quando mi riferisco a questo problema. In tale contesto di scosse profonde delle radici culturali, è importante che le autorità pubbliche, e tra queste anche quelle giurisdizionali, usino lo spazio loro concesso per dare stabilità e rendere più solide le basi dell’umana convivenza mediante il recupero dei valori fondamentali” (Avvenire, 14 giugno 2015, p. 6).

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KEYWORDS: Italian constitutional model of family, marriage and civil unions.

ABSTRACT: The essay aims to demonstrate the existence, in the Italian legal system, of a

constitutional model of family which is possible to glean through a full interpretation of the

fundamental charter. This model, that can be considered original in the European and international

context, is relevant for the evolution of the social institution of family, even under the legal aspects,

because of several reasons. It could (and should) guide the policy makers (Parliament, in particular)

in order to answer to the demand of recognition and protection of civil unions and other similar

figures. Indeed, the identification of the essential core of this model is necessary to avoid totally

subjective approaches in reading the constitutional rules about family. This approaches rick to

overlook not only the historical and cultural roots of the model, but also its legal actuality (for

instance, for a meaningful interpretation of the “margin of appreciation doctrine”, developed by

ECHR in this matter). The proposal of the essay is also oriented to focus the ethical dimension of

the problem, so to enrich the public debate about family institution according to an authentic

pluralism of values, against partial and often reductive visions of the human person in society.