Il mio manifesto di scuola - IC San Giovanni Bosco · APPRENDIMENTO, INSEGNAMENTO, VALUTAZIONE: tre...

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a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 1 Il mio manifesto di scuola: LA SFIDA DELLE COMPETENZE PER UNA SCUOLA CAPACE DI FUTURO, PER TUTTI <<Tutto quello che facciamo per noi stessi è temporaneo, muore con noi, ma tutto ciò che facciamo per gli altri è immortale, rimane per sempre>>. << >> Si tratta di accertare non ciò che il soggetto sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa (Wiggins, 1993). <<Si tratta di riconoscere insieme al soggetto non solo ciò che sa e ciò che sa fare con ciò che sa, ma, soprattutto, perché lo fa e che cosa potrebbe fare con ciò che sa e che sa fare>> (F. Tessaro). Perché la competenza? 1. Per esigenza pedagogica: compito della scuola non è insegnare, ma far apprendere. 2. Per vincolo istituzionale: i documenti UE fanno esplicito e continuo riferimento alle competenze.

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Ilmiomanifestodiscuola:

LA SFIDA DELLE COMPETENZE PER UNA SCUOLA CAPACE DI

FUTURO, PER TUTTI

<<Tutto quello che facciamo per noi stessi è temporaneo, muore con noi, ma tutto ciò che

facciamo per gli altri è immortale, rimane per sempre>>.

<< >> Si tratta di accertare non ciò che il soggetto sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa

(Wiggins, 1993).

<<Si tratta di riconoscere insieme al soggetto non solo ciò che sa e ciò che sa fare con ciò

che sa, ma, soprattutto, perché lo fa e che cosa potrebbe fare con ciò che sa e che sa

fare>> (F. Tessaro).

Perché la competenza?

1. Per esigenza pedagogica: compito della scuola non è insegnare, ma far apprendere.

2. Per vincolo istituzionale: i documenti UE fanno esplicito e continuo riferimento alle competenze.

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LA SFIDA DELLE COMPETENZE PER UNA SCUOLA INCLUSIVA

APPRENDIMENTO, INSEGNAMENTO, VALUTAZIONE: tre piani di lettura dell’azione didattica.

• Per una testa ben fatta

• Per sviluppare un pensiero che interconnette.

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Negli ultimi decenni si è progressivamente affermato un paradigma di apprendimento da assumere come riferimento fondante su cui strutturare una didattica per competenze, presupposte da un inserimento

attivo e responsabile nel contesto sociale. Tale paradigma nasce nel solco dell’approccio cognitivista, che aveva già spostato il baricentro sui

processi interni al soggetto piuttosto che sui comportamenti manifesti, e fa tesoro del patrimonio di ricerca e di elaborazione culturale maturato su questo terreno in chiave socio-costruttivista. Per un universo

scolastico ancora incline a pensarsi tra parentesi rispetto al contesto reale, come portatore di un apprendimento formale e astratto, di tipo secondario, decontestualizzato, l’impronta costruttivista costituisce un forte impulso verso una visione più pragmatica e concreta dell’apprendimento. Ciò comporta uno spostamento di attenzione dalla cultura scolastica, formale e decontestualizzata, alle situazioni reali di vita, dove verificare il possesso delle competenze trasversali acquisite. Possiamo sintetizzare tale paradigma con l’espressione CSSC learning, sintesi dei caratteri che lo

contraddistinguono:

• costruttivo (constructive) • autoregolato (self-regulated) • situato (situated) • collaborativo (collaborative).

① L’attributo che più di altri lo contraddistingue è quello di costruttivo, a denotare un processo di apprendimento inteso come ricostruzione di quanto il soggetto già conosce, rielaborazione degli schemi mentali e delle conoscenze pregresse. L’approccio costruttivista si qualifica per un superamento definitivo dell’antinomia soggetto/oggetto che ha da sempre contraddistinto la ricerca sull’apprendimento, nell’opposizione tra visioni oggettiviste centrate sulla realtà esterna, in base a una concezione dell’apprendimento come adeguamento del soggetto a essa, e visioni soggettiviste centrate sulla realtà interna, in base a una concezione dell’apprendimento come evoluzione delle strutture mentali del soggetto. Con il costruttivismo si afferma definitivamente la natura relazionale della conoscenza, come interazione dialettica tra il soggetto che conosce e l’oggetto della conoscenza, e il suo carattere dinamico, di progressiva evoluzione generata dalla dialettica indicata. L’apprendimento è un dare senso al mondo, integrando e sintetizzando le nuove esperienze. ② Ciò evidenzia un secondo attributo dell’apprendimento CSSC, ovvero il carattere autoregolato, che sottolinea il ruolo attivo del soggetto nel gestire il processo di costruzione della conoscenza, anche in relazione con i bisogni del contesto di vita. I processi d’indirizzo, gestione e monitoraggio d’acquisizione della conoscenza divengono cruciali per l’efficacia dell’apprendimento, sottolineando la funzione chiave del livello metacognitivo nel dirigere il proprio percorso apprenditivo, non solo in relazione alle dimensioni cognitive dell’apprendere, ma anche a quelle affettive e volitive (Pellerey, 2006). ③ Un terzo attributo riguarda il suo carattere situato, ovvero il suo ancoraggio al contesto e al contenuto specifico delle attività che lo genera. All’origine di tale sviluppo troviamo il contributo di uno studioso russo, Leont’ev, in riferimento al ruolo giocato dall’azione, oltre che dal linguaggio, nello sviluppo di abilità complesse. La stessa prospettiva lewiniana della ricerca/azione rafforza la natura situata della conoscenza nell’evidenziare come la dinamica dei processi sociali derivi sempre dalle relazioni che si stabiliscono tra il soggetto e il contesto sociale entro cui agisce. Nella stessa direzione si orienta il contributo della psicologia culturale bruneriana, attenta a mettere in evidenza il ruolo che i sistemi simbolico-culturali giocano nello sviluppo della conoscenza individuale, sulla base di una dinamica evolutiva tra pensiero individuale e contesto socio-culturale.

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④ Ultimo attributo che connota il paradigma di apprendimento è quello di collaborativo o socio-

culturale, a denotare il ruolo fondamentale che il contesto relazionale e culturale gioca nel processo di

costruzione della conoscenza del soggetto. A partire dai contributi pionieristici di Vygotskij sul pensiero come dialogo interiorizzato e il conseguente valore dei processi interpersonali e intrapersonali nello sviluppo del soggetto, si è progressivamente messo a fuoco il ruolo cruciale dell’interazione sociale e dei modelli culturali entro cui si sviluppa la costruzione dell’apprendimento. I processi di pensiero vengono considerati il risultato delle interazioni personali in contesti sociali (piano interpsicologico) e dell’appropriazione della conoscenza costruita socialmente (piano intrapsicologico). Il costruttivismo è un nuovo quadro teorico di riferimento che pone l’apprendimento e il soggetto che

apprende al centro del processo formativo (learning centered).

In alternativa ad un approccio educativo basato sulla centralità dell'insegnante (teaching centered) quale

depositario indiscusso di un sapere universale, astratto e indipendente dal contesto di riferimento, questa

corrente di pensiero assume che la conoscenza:

• è il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto;

• è strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l'apprendimento (situato);

• nasce dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.

Non esistono, quindi, conoscenze "giuste" e conoscenze "sbagliate", come non esistono stili e ritmi di

apprendimento ottimali. Secondo Bruner (1992) la conoscenza è un "fare il significato", vale a dire è

un'operazione d'interpretazione creativa che lo stesso soggetto attiva tutte le volte che vuole comprendere la

realtà che lo circonda.

Accettare e promuovere l'inevitabile confronto derivante da più prospettive individuali è uno degli scopi

fondamentali del costruttivismo.

L'apprendimento non è visto solo come un'attività personale, ma come il risultato di una dimensione

collettiva d'interpretazione della realtà. La nuova conoscenza si costruisce non solo in base a ciò che è stato

acquisito in passate esperienze, ma anche e soprattutto attraverso la condivisione e negoziazione di

significati espressi da una "comunità di interpreti".

Invece di considerare l'insegnamento quale processo di trasmissione di informazioni e l'apprendimento quale

elaborazione ricettiva, meccanica, indipendente e solitaria, di dati, nel costruttivismo si assume che la

formazione sia un'esperienza situata in uno specifico contesto: il soggetto, spinto dai propri interessi,

costruisce attivamente una propria concezione della realtà attraverso un processo di integrazione di

molteplici prospettive offerte. Il costruttivismo è la premessa dell’apprendimento significativo, autentico,

contestualizzato e autonomo.

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DEFINIZIONE DI APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO

L’apprendimento significativo consente di dare un senso alle conoscenze, permettendo l’integrazione

delle nuove informazioni con quelle già possedute e l’utilizzo delle stesse in contesti e situazioni differenti,

sviluppando la capacità di problem solving, di pensiero critico, di metariflessione e trasformando le

conoscenze in vere e proprie competenze.

Secondo la pedagogia contemporanea l'apprendimento significativo, basato su teorie costruttiviste, ha come

obiettivo principale quello di rendere autonomo il soggetto nei propri percorsi conoscitivi .

Esso è diametralmente opposto all'apprendimento meccanico che utilizza la memorizzazione per produrre

conoscenza “inerte”.

Nell'apprendimento meccanico, basato su teorie comportamentiste, la ricezione delle informazioni è

veicolata dal docente, le informazioni sono definitive, astratte e generiche e non possono essere modificate

dal discente per integrarle a informazioni precedenti o per negoziarne socialmente il significato.

Per avere un apprendimento significativo è, quindi, necessario che la conoscenza:

• sia il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto;

• sia strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l’apprendimento;

• nasca dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.

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APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO IN LETTERATURA

Molti sono stati gli autori d’impronta cognitivista e costruttivista a occuparsi dell'apprendimento significativo.

Carl Rogers pone al centro dell'apprendimento significativo la motivazione ad apprendere e l’esigenza che

l’insegnante riconsideri il proprio ruolo preoccupandosi di facilitare l’apprendimento attraverso il

coinvolgimento e la motivazione dell’alunno; "è necessario che lo studente venga posto di fronte a un

problema da lui sentito come reale".

Ausubel, negli anni '60, identifica l’apprendimento significativo e quello meccanico (di memorizzazione)

come gli estremi di un continuum. Elabora il concetto di apprendimento significativo, spostando l'attenzione

dai metodi d'insegnamento alle condizioni che lo rendono possibile. Ciò che una persona riesce a costruire

è, infatti, correlato alle modalità di insegnamento che gli sono state offerte o alle strategie che lui stesso

adotta.

Novak definisce la metodologia delle mappe concettuali come strumento per generare apprendimento

significativo. Per apprendere si segue il processo di formazione e creazione del sapere, con un metodo che

si rifà alla struttura della conoscenza umana.

Johnassen riconosce una pluralità di fattori importanti (contestuali, sociali, metodologici e strumentali) per

generare apprendimento significativo: “sarà anche possibile far si che le persone apprendano cosa noi

vogliamo, ma in futuro ricorderanno e useranno solo ciò che ha un senso per loro”. Sviluppa, inoltre,

un approccio didattico basato sulle tecnologie e sul concetto di apprendimento significativo e intenzionale.

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LE CARATTERISTICHE DELL’APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO

L'apprendimento è definito significativo (Jonassen, 1994) se ruota intorno a tre poli (il contesto che lo

determina, la collaborazione che lo facilita e la costruzione) e se riesce ad integrare queste sette istanze

fondamentali: attivo, collaborativo, conversazionale, riflessivo, contestualizzato, intenzionale, costruttivo.

1. attivo: ruolo consapevole e responsabile del soggetto. In questo modo si verifica il principio del

“learning by doing” (imparare facendo)

2. costruttivo: interazione tra il pregresso e le nuove conoscenze, attraverso un processo di

assimilazione e accomodamento;

3. collaborativo: dinamica sociale entro cui si sviluppa, attraverso il confronto, lo scambio, il dialogo e

la negoziazione con gli altri. Chi apprende lavora in comunità che apprendono e costruiscono

conoscenza, con scaffolding cognitivo ed emotivo reciproco.

4. intenzionale: chi apprende cerca attivamente e con volontà di conseguire un obiettivo cognitivo e

raggiungere uno scopo (goal directed). È compito dell'insegnante creare la motivazione all'impegno

e al conseguente apprendimento.

5. conversazionale: rimanda all’aspetto dialogico della conoscenza.

6. contestualizzato, autentico: perché è caratterizzato da complessità ed è fortemente

contestualizzato. Si basa su complessi problemi della vita reale per favorire un coinvolgimento

pratico degli studenti nei contesti concreti.

7. riflessivo: chi apprende articola ciò che ha appreso e riflette sul processo e sulle decisioni che sono

state rese possibili dal processo.

Il fine ultimo non è l'acquisizione totale di specifici contenuti prestrutturati e dati una volta per tutte, bensì

l'interiorizzazione di una metodologia d'apprendimento che renda progressivamente il soggetto autonomo

nei propri processi conoscitivi. Parafrasando Papert (1994), uno dei maggiori esponenti del costruttivismo o

del costruzionismo come ama chiamarlo lui, possiamo dire che lo scopo dell'istruzione non è quello di

"alimentare" le persone con del sapere codificato ("pesce"), ma è quello di assumersi il compito di far

scoprire al soggetto stesso le specifiche conoscenze di cui ha bisogno ("pescare"). Il vero sapere che si

promuove è quello che aiuterà ad acquisire altro sapere.

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Dalla progettazione didattica all'allestimento di ambienti d'apprendimento significativo.

Il concetto di apprendimento significativo nasce all’interno del paradigma costruttivista della conoscenza e si

sviluppa in molteplici correnti teoretiche, tra cui il costruttivismo socio-culturale.

La conoscenza è un processo di costruzione di significato da parte del soggetto, che rielabora in maniera

personale e in parte arbitraria saperi già acquisiti, sensazioni ed emozioni. Questo processo, però, non

rimane circoscritto alla sfera privata: nella consapevolezza che anche l’altro costruisce la propria

conoscenza in modo soggettivo, si orienta all’accettazione e alla comprensione di prospettive

multiple, mediante forme di interazione comunicativa.

La comunicazione, che sta alla base dell’interazione sociale, è negoziazione di significati, che consente

all’individuo di costruire in modo condiviso nuove conoscenze.

In quest’ottica la concezione costruttivista dell’apprendimento sottolinea la centralità del soggetto

apprendente, che attivamente e intenzionalmente cerca e costruisce la propria conoscenza, riflette sulla sua

azione e osservazione in un contesto reale e “autentico”, in cui interagisce con gli altri, con le risorse

informative e con le tecnologie.

Il processo formativo abbandona la logica dell’insegnamento (teaching centered) a favore

dell’apprendimento (learning centered).

L’insegnante non è più considerato un “disseminatore d’informazione”, depositario indiscusso di un sapere

universale, astratto e decontestualizzato. È, piuttosto, un facilitatore, un tutor, un coach e counselor, che

guida l’allievo a riconoscere con consapevolezza e a ridefinire in modo riflessivo la trama delle sue

competenze.

Lo studente, spinto da personali interessi e motivazioni, costruisce attivamente una propria concezione della

realtà attraverso un processo d’integrazione di molteplici prospettive, che derivano non solo dalla

trasmissione di saperi codificati, ma anche dalle conoscenze ed esperienze pregresse, in una dimensione

dialogica in cui l’“interscambio dialettico” ha lo scopo di ottenere una “costruzione di con-senso”. Lo sviluppo

della conoscenza è un’“impresa sociale”, frutto della comunicazione interpersonale, del confronto e dello

scambio all’interno della comunità di appartenenza, della condivisione e negoziazione di significati espressi

da una comunità di interpreti.

Da qui il modello di apprendimento significativo oggi ampiamente condiviso nell’ambito formativo, che vede

David Jonassen tra i più illustri sostenitori.

Jonassen, nella sua progressiva riflessione sul paradigma costruttivista socio-culturale, giunge a una

definizione di apprendimento significativo fondata su alcuni attributi: attivo, costruttivo, intenzionale,

autentico e cooperativo.

Jonassen, uno dei maggiori fautori dei nostri tempi del costruttivismo, afferma che creare un ambiente di

apprendimento seguendo tale concezione pedagogica è molto più difficile che progettare una serie di

interventi didattici tradizionalmente intesi, "perché non esistono modelli predefiniti per ambienti

d'apprendimento costruttivistici, e per molti non potranno neanche mai esistere, in quanto i processi di

costruzione della conoscenza sono sempre inseriti in contesti specifici. Così le tipologie di supporto

all'apprendimento programmate in un dato contesto con ogni probabilità non potranno mai essere trasferite

in un altro" (Jonassen, 1994).

Lo stesso Jonassen si limita a delineare una serie di raccomandazioni fondamentali che un ambiente

d'apprendimento di questo tipo dovrebbe sempre promuovere:

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� dare enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione;

� evitare eccessive semplificazioni nel rappresentare la complessità delle situazioni reali;

� presentare compiti autentici (contestualizzare piuttosto che astrarre);

� offrire ambienti di apprendimento derivati dal mondo reale, basati su casi, piuttosto che sequenze

istruttive predeterminate;

� offrire rappresentazioni multiple della realtà;

� favorire la riflessione e il ragionamento;

� permettere costruzioni di conoscenze dipendenti dal contesto e dal contenuto;

� favorire la costruzione cooperativa della conoscenza, attraverso la collaborazione con altri.

Apprendimento significativo mediato dalle tecnologie

La “liquidità” della società attuale, genera nuovi valori e stili di vita, che determinano un cambiamento delle

modalità conoscitive e comunicative dell’individuo.

In questa nuova prospettiva sociale la visione costruttivista del sapere, in particolare quella del

costruttivismo socio-culturale, fornisce una risposta affinché l’individuo possa divenire protagonista

responsabile della sua crescita personale e sociale, attraverso un impegno durevole per tutto l’arco della

vita.

Il modello di apprendimento significativo è una via praticabile nel contesto formativo e scolastico, per

promuovere nello studente la competenza intesa come “saper agire, poter agire, voler agire, reagire e co-

agire pensando”, per aprirsi responsabilmente all’apprendimento del futuro e costruire e co-costruire una

cittadinanza consapevole.

In un’ottica europea è la competenza dell’imparare a imparare, che può essere sollecitata in percorsi

formativi learning centered, attenti a tutte le dimensioni della personalità dell’apprendente (cognitiva,

metacognitiva, pratico-operativa, affettivo-motivazionale, relazionale-sociale). È la competenza che viene

alimentata in ambienti di apprendimento inclusivi, che valorizzano i saperi naturali dello studente e danno

enfasi al suo ruolo attivo e riflessivo nei processi di costruzione, co-costruzione e condivisione di

conoscenza e significato.

Sono contesti “autentici”, in cui l’interazione comunicativa e sociale si realizza con altri soggetti, i pari e gli

adulti (insegnanti, esperti) facilitatori, coaches e counselors, ma anche con le tecnologie, come previsto dal

PNSD del 2015 e dalla L. 107/2015. Queste ultime, dalle più tradizionali alle digitali e telematiche, fino alle

moderne tecnologie sociali (web 2.0), sono “partner intellettuali” che aiutano a pensare. La classe

diventa knowledge-building community, in cui tutti i membri sono impegnati in compiti autentici, che

incoraggiano l’interdipendenza, nell’apprendimento efficace, tra saperi formali, informali e non formali.

Il clima di cooperazione e complicità positiva tra i membri del collettivo, sostenuto dall’utilizzo consapevole e

intenzionale delle tecnologie, concorre a promuovere quell’imparare a imparare che si configura come

chiave di volta per costruire oggi la cittadinanza digitale consapevole e, conseguentemente, ridurre il digital

divide, importante causa del knowledge divide.

L’individuo non agisce mai da solo. Per poter rispondere efficacemente alle sempre più complesse e fluide

esigenze della società in cui vive, è necessario saper interagire e co-agire con i soggetti sociali: «la risposta

competente dovrà essere una risposta di rete e non solo una risposta individuale».

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«Come le due facce di una medaglia, ogni competenza comporta due dimensioni indissociabili: individuale e

collettiva». Oggi più che mai «la natura altamente relazionale della network society richiede anche di saper

mettere in relazione, in rete, conoscenze, persone, processi», per cui difficilmente è possibile essere

competenti da soli, rimanendo isolati.

La “liquidità” dell’odierna network society coinvolge in particolar modo le nuove generazioni, i “nativi digitali”,

nati e cresciuti in un ambiente fortemente marcato dalle tecnologie digitali.

Emerge il riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, in grado di contribuire, accanto a quelli

formali, a costruire e gestire la competenza individuale e collettiva.

Nella vita quotidiana, al lavoro, in famiglia, nel tempo libero (contesti di apprendimento informale), così

come accade in contesti educativi extrascolastici (contesti di apprendimento non formale), si ricorre

abitualmente a risorse, strumenti e informazioni disponibili nell’ambiente in cui si opera, per far fronte a

problemi o svolgere compiti anche in situazioni di imprevedibilità. Spontaneo e naturale è pure il ricorso al

supporto di persone più esperte (scaffolding) che concorrono, attraverso processi dialogici di scambio e

confronto di saperi, nonché di dinamiche relazionali basate sulla collaborazione e negoziazione di significati,

alla graduale interiorizzazione di nuove conoscenze.

Nella cornice teorica costruttivista socio-culturale, ambienti di apprendimento significativo in cui poter

costruire, co-costruire e condividere un modello di conoscenza che tenga conto delle caratteristiche

della knowledge society, possono essere supportati dalle tecnologie digitali e telematiche e da quelle

sociali emergenti.

Le ICT (Information and Communication Technology) possono diventare artefatti, tools, strumenti di

apprendimento significativo, se forniscono agli studenti opportunità di imparare con le tecnologie e

non dalle tecnologie.

Le tecnologie, definite opportunamente da Johnassen “collaboration tools”, possono promuovere la

collaborazione, la cooperazione e la distribuzione di conoscenza nelle knowledge-building communities;

rendere possibile e supportare i processi dialogici, quindi la conversazione, la discussione, il confronto

produttivo, la negoziazione di significati, la costruzione di consenso, implicando da parte di tutti l’impegno a

riflettere criticamente in un’ottica “progressista”, di miglioramento della conoscenza.

Al tempo stesso le tecnologie concorrono a promuovere nell’allievo lo sviluppo di atteggiamenti che

caratterizzano la sfera affettivo-motivazionale, diventando un importante partner in grado di

offrire scaffolding, un’impalcatura nello sviluppo di conoscenze e abilità (scaffolding cognitivo) e nella

maturazione di competenze anche a livello intrapersonale (scaffolding affettivo). Le “zone di sviluppo

prossimale”, infatti, includono non solo le persone (insegnanti, esperti, compagni più capaci), ma anche le

tecnologie, sia quelle tradizionali, sia quelle digitali e telematiche, fino alle più recenti tecnologie sociali, che

possiedono le potenzialità per diventare motori in grado di agire positivamente sulla motivazione ad

apprendere, l’interesse, la partecipazione, l’impegno.

La rete, il web 2.0, pensati come “partner intellettuali”, possono fornire all’insegnante un valido apporto per la

predisposizione di ambienti learning centered capaci di sviluppare “la competenza” dell’imparare a imparare,

senza trascurare la tipicità delle forme, degli stili e dei contesti di apprendimento dei bambini e giovani

d’oggi.

Nella complessità dell’odierna società, infatti, la quotidianità degli studenti è molto diversa da quella degli

adulti. Se la quotidianità di questi ultimi è fatta di pre-tecnologie digitali e telematiche o comunque di

tecnologie concepite nell’ottica dei “migranti digitali”, che «hanno sempre un piede nel passato, nella loro

terra d’origine», quella dei bambini e giovani d’oggi è imbevuta di tecnologie. Videogiochi, computer,

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Internet, telefoni cellulari, tablet e ogni altra sorta di dispositivo simile, sono “vissuti” dai “nativi

digitali” multitasking, come «estensioni fisiche del proprio corpo», come presenza normale e naturale nei

propri luoghi di vita, elementi costanti incorporati simultaneamente, spontaneamente e con estrema

naturalezza nelle pratiche personali e sociali.

L’esplosione di Internet e la globalizzazione della rete, la diffusione dei Social Network e dei Social

Software del web 2.0, stanno sempre più orientando gli screen-agers verso forme di apprendimento

informale, autodiretto, partecipativo. Attraverso un sistema paritario di sviluppo e condivisione di contenuti, i

giovani assumono il nuovo ruolo di prosumer, produttori e co-produttori di conoscenza e significato

mediante processi bottom-up, piuttosto che top-down, e strumenti decentralizzati controllati da loro stessi,

piuttosto che dall’istituzione scolastica.

«Le tecnologie sociali consentono alle persone di raggiungere informazioni, conoscenza e altre persone che

non sarebbero in grado di trovare off-line, sorpassando quindi qualsiasi intermediario come scuole, postini,

agenzie di viaggio e mezzi di comunicazione per incontrarsi. Il web sta diventando il più grande luogo di

convergenza degli esseri umani», si sta trasformando in un “villaggio” attraente e seducente, in cui

soprattutto i giovani d’oggi si incontrano e «cercano nella velocità e nelle relazioni a distanza la loro identità

che forse nelle “città” in cui abitano normalmente non trovano più».

Il luogo dell’apprendimento cambia, non è più situato ma distribuito, «diventa il prodotto dei fattori spazio-

tempo-modi-strumenti, è dentro e fuori ognuno, è lo spazio virtuale della cittadinanza digitale

iperconnessa». Le relazioni sociali tessono una trama sempre più liquida e fluttuante, in cui la serendipity

(serendipità = fare scoperte per caso, l’arte di imbattersi in qualcosa per caso, o la capacità di collegare fra

loro fatti apparentemente insignificanti arrivando a una conclusione preziosa, o più in breve, forse soltanto

”una felice coincidenza”), l’interazione accidentale fra individui, può creare una sorta di “terzo spazio”, che si

aggiunge, a volte sostituendosi, ai luoghi frequentati fra la casa (primo spazio) e il lavoro o la scuola

(secondo spazio) e in cui le persone possono interloquire in maniera significativa, mediante

riflessioni durante e a seguito dell’azione, che consentono di allargare individuali e ristrette visioni, concepite

attraverso esperienze pregresse.

È in questo “villaggio” o “terzo spazio” che il giovane d’oggi, l’Homo contextus (“connesso”), vive la

stragrande maggioranza delle situazioni di apprendimento, attivando continuamente meccanismi cognitivi in

interconnessione costante con gli altri e il contesto. Egli evade le limitazioni fisiche della connettività

mediante le moderne tecnologie di rete, che, esercitando un forte potere di fascinazione, stimolano una

pluralità di esperienze ed esaltano forme multiple e collaborative di conoscenza e comunicazione.

È ciò che avviene nelle attuali comunità del web (Social Network) aperte tutto l’anno (quella di Facebook o

di Twitter solo per citarne due tra le più famose o la più recente di Google+) o frequentate solo in occasione

di eventi particolari (barcamps, world cafè e un conferences). Sono comunque “luoghi” capaci di connettere

“serendipicamente” tempo, spazio e interessi di centinaia e centinaia di persone. Sono spazi partecipativi,

caratterizzati da eventi bottom-up e da forme di auto-produzione e auto-pubblicazione di contenuti, mediante

il recupero e l’embedding di risorse socialmente condivise e il cosiddetto mashup, «la “poltiglia”

ricombinatoria di elementi esistenti».

Consapevoli delle potenzialità, così come dei rischi e pericoli connessi all’utilizzo delle tecnologie, diventa

importante riflettere su uno dei compiti prioritari della scuola e della comunità di formatori ed educatori in

genere: guidare tutti i soggetti in situazione di apprendimento, in particolare gli studenti, a sviluppare le

competenze per costruire una cittadinanza digitale attiva e responsabile nella crescente liquidità dell’era

contemporanea.

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Pensando alle tecnologie come a valide opportunità per mobilitare tutta la gamma delle capacità umane,

«non solo gli individui avrebbero un miglior rapporto con se stessi stimandosi più competenti, ma,

probabilmente, si sentirebbero anche più impegnati e capaci di unirsi al resto dell’umanità per lavorare al

bene comune» e costruire senso con il proprio “agire pensando” in interazione sociale.

Le tecnologie, in quest’ottica, possono realmente contribuire ad assolvere a quell’importante compito di

diffusione a livello universale della conoscenza, intesa come bene comune, così come evidenziato nella

parte iniziale di questa argomentazione.

Le tecnologie digitali e telematiche, le tecnologie sociali emergenti, quindi, vanno pensate come strumenti

capaci di abbattere le barriere tecnologiche e economiche, di abbattere il digital divide che è la causa

del knowledge divide, per l’effettiva globalizzazione del sapere.

INSEGNARE PER COMPETENZE: QUALI SFIDE PER LA SCUOLA?

VERSO LE COMPETENZE: TRATTI QUALIFICANTI

Negli ultimi anni si verificata un’articolazione progressiva del concetto di competenza, che possiamo sintetizzare in tre direzioni evolutive:

a) dal semplice al complesso: la competenza non è riducibile a un insieme di prestazioni atomiche e separate, bensì tende ad essere pensata come una integrazione delle risorse possedute dall’individuo, che comporta l’attivazione di conoscenze, abilità e disposizioni personali relative sia al piano cognitivo, sia al piano socio-emotivo e volitivo. La sua espressione richiede di mettere in gioco e mobilitare la globalità della persona nelle sue molteplici dimensioni, non può ridursi a prestazioni isolate e delimitate;

b) dall’esterno all’interno: l’analisi della competenza richiede di andare oltre i comportamenti osservabili e di prestare attenzione alle disposizioni interne del soggetto e alle modalità con cui esso si avvicina allo svolgimento di un compito operativo. In questa direzione si colloca la distinzione di origine chomskiana tra “competenza”, intesa come qualità interna del soggetto, e “prestazione”, intesa come comportamento osservabile; distinzione ripresa e allargata ai processi cognitivi da B. G. Bara: “Con il termine competenza intendo l’insieme delle capacità astratte possedute da un sistema,

indipendentemente da come tali capacità sono effettivamente utilizzate. Con il termine prestazione mi riferisco alle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili direttamente

dal suo comportamento in una specifica situazione” (Bara, 1990). c) dall’astratto al situato: la competenza non è riducibile a un concetto astratto e generale, bensì

tende a riferirsi alla capacità di affrontare compiti in specifici contesti culturali, sociali, operativi. Il richiamo a specifici compiti evidenzia sempre più la dimensione contestualizzata della competenza, riconducibile a un impiego del proprio sapere in situazioni concrete e in rapporto a scopi definiti.

In maniera icastica ed efficace, Le Boterf riassume il percorso di sviluppo che ha contraddistinto il concetto di competenza nel passaggio dal “saper fare” al “saper agire”: un’espressione che ben

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sintetizza il passaggio da una visione comportamentista, più centrata sulle dimensione operativa e prestazionale, a una visione che riecheggia i filoni del costruttivismo sociale e situato (Le Boterf, 1990). Una sintetica definizione del concetto, in grado di dare conto del percorso evolutivo che abbiamo richiamato, è quella proposta da M. Pellerey, il quale definisce la competenza come “capacità di far

fronte a un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto (mobilitare) e a

orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne

disponibili in modo coerente e fecondo” (Pellerey, 2004).

Essa consente di evidenziare i principali attributi che qualificando tale concetto nel dibatitto attuale sull’apprendimento: • la capacità di far fronte ad un compito o a un insieme di compiti come ambito di manifestazione del

comportamento competente, il quale presuppone l’utilizzazione del proprio sapere per fronteggiare situazioni problematiche ed evidenzia la dimensione operativa sottesa al concetto di competenza, il suo indissolubile legame con l’azione;

• la messa in moto e l’orchestrazione delle proprie risorse interne, che segnala la natura olistica della competenza, non riducibile alla sola dimensione cognitiva, ma estesa anche alle componenti motivazionali, attribuzionali, socio-emotive, metacognitive. La manifestazione di un comportamento competente richiede al soggetto di mettere in gioco tutto se stesso, mobilitando l’insieme delle risorse personali di cui dispone;

• l’utilizzo delle risorse esterne in funzione del compito da affrontare e la loro integrazione con le risorse interne, intendendo per risorse esterne sia gli altri soggetti implicati, sia gli strumenti e i mezzi a disposizione, sia le potenzialità presenti nell’ambiente fisico e culturale in cui si svolge l’azione. Ciò sottolinea il valore situato della competenza e la prospettiva ecologica all’interno della quale comprenderne il significato e il valore.

Secondo tale accezione il costrutto di competenza risulta comprensivo delle diverse dimensioni implicate nel processo di apprendimento, riconducibili ai seguenti tre piani: - le conoscenze, intese come rappresentazioni del mondo che il soggetto si costruisce attraverso gli stimoli che gli vengono dall’ambiente esterno e dal sapere codificato (classificabili in dichiarative, procedurali e condizionali); - le abilità, intese come schemi operativi che permettono al soggetto di agire in forma fisica e mentale su oggetti materiali o simbolici; - le disposizioni ad agire, intese come attitudini del soggetto a relazionarsi con la realtà in cui opera, sia sul versante soggettivo (rapporto con se stesso e con gli altri), sia sul versante oggettivo (rapporto con il contesto d’azione e con il compito di realtà). Il concetto di competenza è condiviso da un progetto promosso dall’OCSE orientato alla individuazione delle competenze chiave per l’inserimento attivo nella vita adulta, nel quale sono presenti i tre piani indicati

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 16

(saperi, saper fare e saper essere) e sono ben evidenziate le parole chiave che qualificano il costrutto della competenza: “realizzazione” per evidenziare il riferimento ad un compito da affrontare e risolvere attraverso un prodotto riconoscibile e identificabile; “integrazione” a richiamare la mobilitazione delle risorse a disposizione del soggetto; “contesto” per sottolineare la capacità di muoversi all’interno delle risorse e dei vincoli caratterizzanti il contesto d’azione; “responsabilità” a richiamare il ruolo attivo del soggetto nell’esercizio della competenza. La definizione di competenza impiegata nel progetto DeSeCo, intesa come “capacità di rispondere a esigenze individuali e sociali, o di svolgere efficacemente un'attività o un compito” (Rychen-Salganik, 2003), sintetizza tale rappresentazione enfatizzando il valore pragmatico sotteso al concetto.

Il concetto di competenza nel progetto DeSeCo

Un altro autorevole riferimento è contenuto nella Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sul Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente (23 aprile 2008), nella quale vengono proposte le seguenti definizioni: • le conoscenze “indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le

conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro. Nel

Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche”; • le abilità “indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti

e risolvere problemi. Nel Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli le abilità sono descritte come cognitive

(uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi,

materiali, strumenti )”; • le competenze “indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali

e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale., Nel

Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli le “competenze” sono descritte in termini di responsabilità e

autonomia”.

Due visioni dell’insegnamento

LA SFIDA DELLE COMPETENZE: VALORE D’USO DEL SAPERE

La profonda verità di queste differenze non deve condurci a “descolarizzare la società”, per dirla con Ivan

Illic – uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi –, bensì vuole far riflettere sui rapporti da instaurare tra

scuola e vita, tra riflessione ed esperienza; in altre parole si tratta di riconoscere i link esistenti tra la modalità

di conoscenza propria della scuola e la complessità del mondo reale.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 17

Proviamo a descrivere e a riconoscere le differenze tra due visioni dell’insegnamento scolastico, che si

possono trovare nei comportamenti effettivi messi in atto in aula dai docenti: l’insegnamento muro e

l’insegnamento-ponte. Il primo si fonda su una sequenza lineare e gerarchica “insegnante conoscenza-

studente-apprendimento” ed è caratterizzato dai seguenti attributi:

– lo studente tende a essere visto come un ricettore passivo, riproduttore di una conoscenza

preconfezionata;

– la conoscenza rimane inerte, incapace di connettersi alla vita reale; come afferma Perkins: “La

conoscenza inerte si trova in un attico della mente. Si scioglie solo quando in modo specifico è richiamata da

un quiz o da una sollecitazione diretta, altrimenti è una raccolta di polvere” (Perkins, 1999 – citato in M.

Castoldi, 2004);

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 18

– l’insegnamento tende a frazionare la conoscenza in componenti elementari per renderla più accessibile;

come ricorda Edgar Morin, analizzando criticamente il paradigma cartesiano sotteso a tale modello

“l’approccio riduzionista (…) più che la soluzione è il problema stesso”;

– il gruppo tende a essere visto come fattore di sfondo, o di disturbo, del processo di apprendimento, il quale

è identificato nella relazione “privata” tra il docente, il contenuto culturale e lo studente.

L’insegnamento-ponte, invece, si fonda su una sequenza circolare “studente-conoscenza-insegnante”

ed è caratterizzato dai seguenti attributi:

– lo studente è sollecitato a elaborare una prestazione complessa e locale, riferita a un problema

concreto; rispetto a essa viene fornito di alcuni supporti attraverso il ruolo dell’insegnante e i

materiali didattici a sua disposizione; la conoscenza muove da contesti reali e ritorna su di essi, in

una relazione ricorsiva tra esperienza e conoscenza, teoria e pratica;

– l’insegnamento assume la conoscenza come evento complesso, globale, situato, multidimensionale,

per il quale qualsiasi operazione di delimitazione e semplificazione richiede di essere ricondotta alle

sue relazioni con il tutto;

– il gruppo diventa una risorsa per la risoluzione del problema, non semplicemente il contenitore entro

cui si colloca il processo di apprendimento individuale, bensì l’amplificatore e il collettore delle

potenzialità individuali.

I due modelli tendono a collocare diversamente il loro baricentro all’interno della dinamica formativa: il

modello del muro, o diretto, si fonda su una logica dell’insegnamento caratterizzata da ordine d’esposizione,

sistematicità, pianificazione rigida, affinità con il sapere teorico, mentre il modello del ponte, o indiretto, su

una logica dell’apprendimento, caratterizzata da ordine di scoperta, intuizione, gestione flessibile, affinità con

il sapere pratico.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 19

CARATTERISTICHE DEL MODELLO DI INSEGNAMENTO DIRETTO E INDIRETTO

Il rapporto tra il mondo scolastico e il mondo reale: la sfida per il sapere scolastico

Rispetto alle peculiarità del sapere scolastico richiamate in precedenza, possiamo rileggere i due modelli in

base alla diversa modalità con cui gestiscono la relazione tra mondo scolastico e mondo reale.

Nell’insegnamento-muro (centralità dell’insegnamento, del docente trasmissivo) si assumono le

discontinuità indicate da Lauren Resnick come dati incontrovertibili su cui costruire l’identità formativa della

scuola; si crea una sorta di barriera tra mondo scolastico e mondo reale, posta a difesa della missione

culturale della scuola. Nell’insegnamento-ponte (centralità dell’apprendimento, dello studente) si punta

a sciogliere tali discontinuità, creando dei costanti collegamenti tra mondo reale e conoscenza scolastica,

tra saperi pratici e saperi teorici; il lavoro scolastico diviene un’opportunità di prendere le distanze dalla

realtà contingente, di ritrarsi per osservarla e comprenderla più in profondità.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 20

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 21

L’APPROCCIO PER COMPETENZE: SFIDE PER LA DIDATTICA

Il collegamento tra scuola e vita sollecitato dalla prospettiva delle competenze pone una serie di sfide

all’insegnamento, ben riassunte da Philippe Perrenoud nel suo testo Costruire competenze a partire dalla

scuola, tradotto anche in italiano:

• considerare i saperi come risorse da mobilitare. La conoscenza non deve essere materia inerte,

incapsulata all’interno delle discipline scolastiche, bensì materia viva, da mettere in relazione con le

esperienze di vita e i problemi che la realtà pone. I saperi scolastici non sono qualcosa di auto-

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 22

consistente, bensì richiedono di essere sempre pensati come delle potenziali risorse per affrontare

contesti di realtà, non possono quindi permettersi di perdere questo collegamento vitale;

• lavorare per situazioni problema. La stretta connessione tra realtà e scuola, simboleggiata dalla

metafora del ponte, si riflette nell’appoggiare il lavoro didattico su attività in grado di integrare i

diversi saperi e di renderlo significativo, proponendo situazioni problematiche da affrontare,

attivando processi euristici in contesti reali. L’espressione “situazioni-problema” ben sintetizza un

approccio esplorativo, di ricerca aperta, verso la conoscenza coniugata con un riferimento a

situazioni reali, a contesti operativi concreti e definiti, fatti inevitabilmente di risorse e di vincoli;

• condividere progetti formativi con i propri allievi. Il ruolo di protagonista del proprio

apprendimento affidato agli studenti si riflette nella pratica della contrattualità formativa, funzionale a

una condivisione di senso del lavoro didattico, non solo con gli studenti, ma anche con gli altri

soggetti coinvolti (genitori, interlocutori esterni, personale ATA, etc.). Il punto focale è la ricerca di

significato per il lavoro scolastico da parte dei diversi attori coinvolti (anche per il docente),

un’attribuzione di senso che promuova una disponibilità ad apprendere e favorisca una

finalizzazione riconoscibile per il proprio impegno e i propri risultati;

• adottare una pianificazione flessibile. L’aggancio con problemi di realtà richiede una modalità di

progettazione strategica, fondata sulla messa a fuoco di alcune linee d’azione da adattare e

calibrare durante lo sviluppo del percorso formativo; ciò implica un approccio flessibile, aperto alla

progettazione didattica, non riconducibile a un algoritmo da preordinare, più simile a una ricerca da

impostare e adattare in corso d’opera, avendo chiaro dove si vuole arrivare e i traguardi formativi

che si intende promuovere;

• praticare una valutazione per l’apprendimento. La pratica consapevole in cui si esprime

l’apprendimento amplifica il potenziale formativo del momento valutativo, vero e proprio specchio

attraverso cui conoscere e riconoscersi, risorsa metacognitiva per il soggetto che apprende. La

valutazione si connette strettamente alla formazione, non è pensata come un momento terminale e

separato bensì come uno strumento attraverso cui promuovere e consolidare l’apprendimento;

• andare verso una minore chiusura disciplinare. La realtà è per sua natura restia a essere

rinchiusa nei recinti concettuali e metodologici delle singole discipline, è quindi necessaria una

pluralità di sguardi attraverso cui osservare e comprendere la propria esperienza. L’insegnamento-

ponte implica necessariamente un superamento dei confini disciplinari, una capacità di connettere

non solo la scuola con la vita, ma anche i diversi saperi disciplinari, pensati come strumenti di analisi

di una realtà unica e scomponibile;

• convincere gli allievi a cambiare mestiere. Una diversa modalità con cui avvicinarsi

all’insegnamento non impatta solo con le resistenze e le routine del corpo docente, ma anche con gli

stereotipi, le aspettative, i modelli culturali degli studenti, delle loro famiglie, della comunità sociale.

Un approccio per competenze richiede allo studente di porsi in modo diverso rispetto all’esperienza

di apprendimento: non come ricettore passivo e riproduttore di un sapere predigerito, bensì come

co-produttore di una conoscenza da costruire e condividere. Per dirla con le parole di uno studioso

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 23

americano, richiede di padroneggiare l’incertezza, di imparare a «sapere che cosa fare quando non

si sa che cosa fare».

Quest’ultima avvertenza di Perrenoud segnala con evidenza che la sfida non è solo tecnico-professionale

bensì soprattutto culturale, investendo l’intera comunità sociale che ruota intorno all’universo scolastico e i

significati che ciascuno degli attori attribuisce al fare scuola; non a caso l’illustre sociologo francese

ammonisce: «Se si cambiano solo i programmi che figurano nei documenti, senza scalfire quelli che sono

nelle nostre teste, l’approccio per competenze non ha nessun futuro» (Perrenoud, 2003).

VALUTARE LE COMPETENZE: LE SFIDE PER LA VALUTAZIONE

Non solo la didattica, ma anche la valutazione richiede di essere ripensata in una prospettiva di

competenze sulla base di un insieme di principi guida che connotano la nuova filosofia valutativa e ne

marcano inequivocabilmente la distanza con le pratiche valutative tradizionali.

1. la significatività dei compiti valutativi e delle prestazioni richieste in rapporto ai traguardi di

apprendimento che qualificano il curriculum scolastico e la formazione delle nuove generazioni, in

contrasto con la valenza quasi esclusivamente riproduttiva che caratterizza le prove nella

valutazione tradizionale.

2. l’autenticità dei compiti valutativi in rapporto ai contesti e ai problemi posti dal mondo reale, in

contrasto con il carattere astratto e artificioso delle attività proposte dalla valutazione tradizionale.

3. la processualità della valutazione nel cogliere il nesso inestricabile tra la prestazione e la modalità

che l’ha generata, in contrasto con l’esclusiva attenzione al prodotto di apprendimento tipico della

valutazione tradizionale.

4. la responsabilità dello studente nella conduzione del processo valutativo, attraverso il suo

coinvolgimento nelle diverse fasi valutative e l’incoraggiamento di forme autovalutative, in contrasto

con la natura deresponsabilizzante della valutazione tradizionale.

5. la promozionalità dell’azione valutativa in rapporto allo sviluppo del processo formativo e al

conseguimento dei suoi risultati, in contrasto con il valore classificatorio e selettivo della valutazione

tradizionale (integrazione processo/prodotto).

6. la ricorsività tra momento formativo e valutativo, per la quale il secondo diventa parte integrante e

“strumento d’intelligenza del primo”, in contrasto con la tradizionale separazione presente nella

valutazione tradizionale.

7. la dinamicità della valutazione, pensata come processo di accompagnamento attento al

riconoscimento e alla valorizzazione del potenziale di sviluppo dello studente, in contrasto con il

carattere statico della valutazione tradizionale.

8. la globalità del momento valutativo, attento all’integrazione tra le diverse dimensioni del processo di

sviluppo (cognitive, sociali, emotive, conative), in contrasto con la natura analitica e riduzionistica

della valutazione tradizionale.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 24

9. Infine, la multidimensionalità del processo valutativo, come combinazione di molteplici fonti di dati

e prospettive di lettura dell’evento formativo, in contrasto con il carattere unidimensionale della

valutazione tradizionale.

10. superamento confini disciplinari

11. valenza metacognitiva della valutazione, perché “si tratta di accertare non ciò che lo studente

sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa” (Wiggins, 1993). Secondo F. Tessaro <<si tratta di

riconoscere insieme al soggetto non solo ciò che sa, ma soprattutto perché lo fa e che cosa

potrebbe fare con ciò che sa e che sa fare>>.

Dai principi richiamati si possono ricavare, analogamente a quanto abbiamo fatto per la didattica,

alcune sfide professionali poste agli insegnanti in rapporto al valutare:

• puntare a compiti valutativi più autentici, ovvero capaci non solo di accertare il possesso di

conoscenze e abilità da parte degli studenti, ma anche la loro capacità di usare tale sapere per

affrontare situazioni poste dal loro contesto di realtà;

• promuovere una maggior responsabilizzazione dello studente nel processo valutativo,

riconoscendogli un ruolo attivo di soggetto della valutazione non solo di oggetto, e aiutandolo a

riconoscere i significati e le potenzialità formative insite nel valutare;

• integrare la valutazione del prodotto della formazione, la parte emersa dell’iceberg, con quella

del processo formativo, la parte sommersa dell’iceberg, il “che cosa si apprende” con il “come si

apprende”, in modo da recuperare la globalità e la complessità dell’esperienza di apprendimento;

• oltrepassare i confini disciplinari della valutazione, prestando attenzione e valorizzando le

dimensioni trasversali dell’apprendimento, evidenziate attraverso la messa a fuoco delle

competenze chiave di cittadinanza;

• riconoscere e sviluppare la valenza metacognitiva sottesa al processo valutativo, in quanto

opportunità di consapevolezza del proprio apprendere e di presa di coscienza dei propri limiti e delle

proprie potenzialità.

Nel loro insieme le sfide richiamate pongono al centro della riflessione il costrutto della competenza e la

relativa esigenza di passare da una valutazione delle sole conoscenze e abilità a una valutazione delle

competenze, ovvero della capacità del soggetto di impiegare produttivamente il proprio apprendimento per

soddisfare i propri bisogni e rispondere alle esigenze sociali, da una valutazione tradizionale

dell’apprendimento ad una valutazione autentica, alternativa per l’apprendimento.

Il limite maggiore della valutazione tradizionale (approccio quantitativo) sta in “ciò ”che intende e riesce a

valutare. Infatti, valutando ciò che un ragazzo “sa”, il modello controlla e verifica la “riproduzione”, ma non la

“costruzione” e lo “sviluppo” della conoscenza, e neppure la “capacità di applicazione reale” della

conoscenza posseduta. Alla fine degli anni Ottanta, in particolare negli Stati Uniti, si sviluppa una serie di

critiche riguardo all’uso diffuso e persistente nella pratica di valutazione di prove standardizzate (grosso

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 25

modo quelle che noi chiamiamo “prove oggettive”). Tali critiche nascono nello stesso momento (o poco

prima) in cui in Inghilterra prende avvio la riflessione sulla valutazione per l’apprendimento, un tipo di

valutazione che, diversamente dalla valutazione dell’apprendimento, mira a individuare le tappe

necessarie per promuovere il progresso dello studente. Mentre la valutazione dell’apprendimento

(assessment “of” learning) “chiude” un processo di apprendimento, controlla l’impegno, la ricostruzione della

conoscenza avvenuta nello studente, ha a che fare con voti e graduatorie ed è più implicata in questioni di

rendicontazione pubblica, la valutazione per l’apprendimento (assessment for learning) “apre e

intende continuare” il processo di apprendimento verso un miglioramento permanente ed è più interessata a

promuovere il successo di tutti gli studenti e a sostenere i processi che lo rendono possibile.

Una valutazione che voglia essere maggiormente “autentica” dovrebbe consentire di esprimere un giudizio

più approfondito dell’apprendimento, e cioè della capacità «di pensiero critico, di soluzione dei problemi, di

metacognizione, di efficienza nelle prove, di lavoro in gruppo, di ragionamento e di apprendimento

permanente» (Arter & Bond, 1996). La prospettiva di una valutazione alternativa in sostituzione di quella di

solito utilizzata nella scuola è stata proposta da Wiggins (1993) e sta a indicare una valutazione che intende

verificare non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” in una prestazione reale e

adeguata dell’apprendimento.

Le teorie dell’apprendimento/insegnamento autentico, della cognizione situata, del costruttivismo o del

costruttivismo sociale dimostrano che gli studenti comprendono e assimilano più in profondità quando hanno

a che fare con situazioni reali rispetto a quanto devono apprendere in situazioni decontestualizzate. In linea

con il concetto di apprendimento significativo proposto da queste prospettive, appare sostenibile l’idea di

connettere la valutazione dell’apprendimento a prestazioni creative, contestualizzate. Parliamo quindi di

valutazione autentica: «quando ancoriamo il controllo al tipo di lavoro che persone concrete fanno piuttosto

che solo sollecitare risposte facili da calcolare con risposte semplici. La valutazione autentica è un vero

accertamento della prestazione perché da essa apprendiamo se gli studenti possono in modo intelligente

usare ciò che hanno appreso in situazioni che in modo considerevole li avvicinano a situazioni di adulti e se

possono ricreare nuove situazioni» (Wiggins, 1998). Oppure, possiamo definire la valutazione autentica

come: «la valutazione che ricorre continuamente nel contesto di un ambiente di apprendimento significativo

e riflette le esperienze di apprendimento reale. L’intento della “valutazione autentica” è quello di coinvolgere

gli studenti in compiti che richiedono di applicare le conoscenze nelle esperienze del mondo reale. La

valutazione autentica o alternativa si fonda sulla convinzione che l’apprendimento scolastico non si

dimostra con l’accumulo di nozioni, ma con la capacità di generalizzare, di trasferire e di utilizzare la

conoscenza acquisita a contesti reali. È questo il motivo per cui in tale tipo di valutazione le prove sono

preparate in modo da richiedere agli studenti di utilizzare processi di pensiero più complesso, più

impegnativo e più elevato. Verificando con maggiore autenticità l’apprendimento, si possono sollecitare negli

studenti livelli più elevati di prestazione e, più in generale, di preparazione, utili a un inserimento di successo

nella vita reale. Non avendo prioritariamente la funzione di classificare (assegnando un voto o costruendo

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 26

una graduatoria) o di selezionare, la valutazione autentica cerca di promuovere e di sostenere il progresso di

tutti gli studenti, dando a tutti l’opportunità di compiere prestazioni di qualità. Ma, essa offre anche agli

insegnanti la possibilità di migliorare la propria professionalità consentendo loro un continuo processo di

autoriflessione e di rensponsabilizzazione riguardo al processo d’insegnamento.

Caratteristiche delle prestazioni per essere oggetto di valutazione autentica

Negli anni vari autori si sono impegnati a definire le caratteristiche dei compiti sui quali praticare una

valutazione autentica dell’apprendimento. Alcuni (McTighe & Wiggins, 2004) hanno indicato le

caratteristiche che una prestazione deve avere per verificare un apprendimento autentico.

La valutazione alternativa intende correggere i limiti dei modi più comuni di valutare non solo offrendo una

prospettiva diversa da cui considerare l’apprendimento, ma anche suggerendo strumenti diversi per

accertarlo. Per realizzare questi obiettivi, utilizza l’integrazione di varie strategie scritte (portfolio, rubriche,

saggi), visive (osservazione diretta durante lo svolgimento della prestazione oppure durante lo sviluppo della

conoscenza), e orali (colloquio insegnante-studente) per raccogliere le necessarie informazioni. La

valutazione ha luogo durante il processo di istruzione piuttosto che dopo, e fornisce risultati più diretti che

aiutano gli insegnanti a perfezionare il loro percorso educativo. Essa serve a controllare costantemente il

progresso dello studente al fine di adattare meglio l’istruzione. Si tratta di «una valutazione fondata

sull’osservazione e sul giudizio». Vale a dire: si osservano i risultati di un’attività autentica (i compiti e la

prestazione sono scelti per la loro analogia con compiti reali) e si dà valore alla sua qualità (attraverso

indicatori che descrivono la bontà o qualità della prestazione). Il riferimento ad una prestazione reale e la

scelta di compiti autentici contraddistinguono la valutazione alternativa secondo diverse caratteristiche in

modo da renderla più “predittiva” delle reali capacità possedute da chi si sottomette alla prova.

La valutazione autentica è intesa come processo per verificare l’efficacia dei percorsi proposti

dall’insegnante, come momento di autocorrezione, in preparazione dell’accertamento di una competenza,

valutazione per motivare e per orientare, ha valore educativo.

Cosa viene escluso dalla valutazione tradizionale?

� Il processo di apprendimento

� La costruzione dell’apprendimento

� La capacità di applicazione reale (autentica) di ciò che si è imparato

� La manifestazione delle abilità sociali

� Lo sviluppo della conoscenza

� L’autovalutazione da parte dello studente

� La condivisione dei criteri di valutazione.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 27

I COMPITI AUTENTICI: LE PROVE PER RILEVARE LE COMPETENZE

LIVELLI DI VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE

Secondo Pellerey la valutazione delle competenze richiede uno sguardo trifocale, capace di considerare in

modo integrato la prospettiva intersoggettiva, come riflesso di un’istanza sociale, quella oggettiva, come

riflesso di un’istanza empirica, e quella soggettiva, come riflesso di un’istanza autovalutativa.

La dimensione soggettiva richiama i significati personali attribuiti dal soggetto alla sua esperienza di

apprendimento: il senso assegnato al compito operativo su cui manifestare la propria competenza e la

percezione della propria adeguatezza nell’affrontarlo, delle risorse da mettere in campo e degli schemi di

pensiero da attivare.

Essa implica un’istanza autovalutativa connessa al modo con cui l’individuo osserva e giudica la sua

esperienza di apprendimento e la sua capacità di rispondere ai compiti richiesti dal contesto di realtà in cui

agisce. Le domande intorno a cui si struttura la dimensione soggettiva possono essere così formulate: Come

mi vedo in rapporto alla competenza che mi viene richiesta? Mi ritengo adeguato ad affrontare i compiti

proposti? Riesco a impiegare al meglio le mie risorse interne e quelle esterne?

La dimensione intersoggettiva richiama il sistema di attese, implicito o esplicito, che il contesto sociale

esprime in rapporto alla capacità del soggetto di rispondere adeguatamente al compito richiesto. Nel setting

scolastico tale contesto si compone, in primo luogo, degli insegnanti, i quali esplicitano le loro attese

formative attraverso l’individuazione dei traguardi formativi per i propri allievi; le percezioni del gruppo degli

allievi, delle famiglie, dei docenti degli ordini di scuola successivi, dei rappresentanti del mondo

professionale o della comunità sociale, a seconda delle caratteristiche del processo apprenditivo esplorato.

La dimensione oggettiva richiama le evidenze osservabili che attestano la prestazione del soggetto e i suoi

risultati, in rapporto al compito affidato e, in particolare, alle conoscenze e alle abilità che la manifestazione

della competenza richiede. Essa implica un’istanza empirica connessa alla rilevazione in termini osservabili

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 28

e misurabili del comportamento del soggetto in relazione al compito assegnato e al contesto operativo entro

cui si trova ad agire.

Una valutazione di competenza richiede di attivare simultaneamente le tre dimensioni di analisi richiamate,

attraverso uno sguardo trifocale in grado di comporre un quadro d’insieme e di restituire le diverse

componenti della competenza richiamate nell’immagine dell’iceberg, sia quelle più visibili e manifeste, sia

quelle implicite e latenti. Il rigore della valutazione consiste proprio nella considerazione e nel confronto

incrociato tra le diverse prospettive, in modo da riconoscere analogie e differenze, conferme e scarti tra i dati

e le informazioni raccolte. Solo la ricomposizione delle diverse dimensioni può restituire una visione olistica

della competenza raggiunta.

Le tre dimensioni indicate richiedono strumentazioni differenti, da integrare e comporre in un disegno

valutativo plurimo e articolato: ciascuna di esse, in rapporto alla propria specificità, può servirsi di dispositivi

differenti per poter essere rilevata e compresa.

Riguardo alla dimensione soggettiva ci si può riferire a forme di autovalutazione, attraverso cui coinvolgere

il soggetto nella ricostruzione della propria esperienza di apprendimento e nell’accertamento della propria

competenza: strumenti quali i diari di bordo, le autobiografie, i questionari di autopercezione, i giudizi più o

meno strutturati.

Riguardo alla dimensione intersoggettiva si prevedono modalità di osservazione e valutazione delle

prestazioni del soggetto e la definizione dei relativi parametri di giudizio: essa si manifesta in strumenti quali

le rubriche valutative, come dispositivi attraverso cui esplicitare i criteri valutativi impiegati, protocolli di

osservazione strutturati e non strutturati, questionari o interviste intesi a rilevare le percezioni dei diversi

soggetti, note e commenti valutativi. Si tratta di dispositivi rivolti agli altri attori coinvolti nell’esperienza di

apprendimento – docenti, genitori, gruppo dei pari, interlocutori esterni – e orientati a registrare le loro

aspettative verso la competenza del soggetto.

Riguardo alla dimensione oggettiva, essa può essere esplorata attraverso strumenti di analisi delle

prestazioni dell’individuo in rapporto allo svolgimento di compiti operativi: prove di verifica, più o meno

strutturate, compiti di realtà richiesti al soggetto, realizzazione di manufatti o prodotti assunti come

espressione di competenza da parte dell’individuo rappresentano esempi di strumentazioni utilizzabili. Si

tratta di dispositivi orientati a documentare l’esperienza di apprendimento, sia nelle sue dimensioni

processuali, attente a come il soggetto ha sviluppato la sua competenza, sia nelle sue dimensioni

prestazionali, attente a che cosa il soggetto ha appreso e al grado di padronanza raggiunto nell’affrontare

determinati compiti.

Le rubriche valutative sono un dispositivo attraverso cui esplorare la dimensione intersoggettiva, in

particolare mediante l’esplicitazione dei criteri e degli standard di accettabilità delle prestazioni e dei

comportamenti dei soggetti. La dimensione oggettiva nella valutazione delle competenze, si serve

dell’insieme di evidenze empiriche che attestano la prestazione del soggetto e i suoi risultati, in rapporto al

compito affidato e, in particolare, alle conoscenze e alle abilità che la manifestazione della competenza

richiede.

L’impiego di compiti autentici costituiscono una modalità di valutazione oggettiva delle competenze, in

quanto si prefiggono di non limitare l’attenzione alle conoscenze o abilità raggiunte, ma di esplorare la

padronanza del soggetto all’interno di un determinato dominio di competenza.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 29

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 30

Riprendendo la definizione di Glatthorn, possiamo definire i compiti di prestazione “problemi complessi,

aperti, posti agli studenti come mezzo per dimostrare la padronanza di qualcosa”; si tratta di una definizione

sintetica, ma in grado di illuminare gli attributi più qualificanti di una valutazione centrata sulle

competenze. Innanzitutto ci riferiamo a problemi, ovvero a situazioni che richiedono allo studente di

mobilitare le proprie risorse per trovare delle soluzioni; evidentemente la natura problematica dei compiti

proposti richiede di essere connessa alla loro significatività per lo studente: compiti, cioè, che risultino

agganciati al contesto di vita del soggetto, di cui sia riconoscibile il contenuto di realtà e il senso per lo

studente.

Si parla poi di problemi complessi e aperti, ovvero di situazioni impegnative per lo studente, che contengano

una dimensione di sfida in rapporto alle conoscenze ed esperienze possedute, sollecitino l’attivazione delle

sue risorse e si prestino a differenti modalità di soluzione. Resnick definisce in questo modo gli attributi di un

“pensiero complesso”, non puramente riproduttivo o meccanico:

– è non-algoritmico, cioè il percorso d’azione non è specificato del tutto a priori;

– è complesso, cioè il percorso d’azione non è riducibile alle singole parti;

– genera molteplici soluzioni, ognuna dotata di costi e benefici;

– implica giudizi sfumati e interpretazioni soggettive;

– comporta l’applicazione di diversi criteri, che a volte risultano in conflitto tra loro;

– spesso comporta incertezza perché non si conosce tutto ciò che la prova richiede;

– comporta processi di autoregolazione del pensiero piuttosto che processi di pensiero che vengono

supportati in ogni fase;

– implica l’attribuzione di significati poiché occorre individuare l’organizzazione strutturale in un contesto di

apparente disordine;

– è faticoso a causa del considerevole lavoro mentale che implica. Infine ci si riferisce a problemi posti agli

studenti come mezzo per dimostrare la padronanza di qualcosa, ovvero a situazioni che richiedono agli

studenti

di utilizzare il loro sapere attraverso la rievocazione e l’impiego del loro potenziale di apprendimento.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 31

Secondo Costa e Liebmann si possono individuare tre dimensioni dell’apprendimento da sottoporre a

valutazione: i contenuti, ovvero le conoscenze dichiarative a disposizione del soggetto sugli oggetti culturali

che si intendono valutare; i processi e le abilità, ovvero le conoscenze procedurali connesse sia ai

contenuti culturali affrontati, sia a modalità più generali di trattamento della conoscenza (riflessione,

creatività, collaborazione con gli altri, assunzione di decisioni eccetera); le disposizioni o abiti mentali,

ovvero i processi metacognitivi, motivazionali e attribuzionali che influenzano le modalità con cui il soggetto

si pone verso l’esperienza di apprendimento. Una caratteristica cruciale dei compiti di prestazione consiste

nel mobilitare le diverse dimensioni di apprendimento, sollecitando una loro integrazione per affrontare e

risolvere i problemi posti.

LE CARATTERISTICHE DEI COMPITI AUTENTICI

1. In primo luogo si tratta di prove che mirano a richiamare contesti di realtà, diretti o simulati, nei

quali utilizzare il proprio sapere per affrontare i problemi posti; evidentemente nel lavoro scolastico

non sempre è possibile riferirsi a situazioni reali, spesso occorre predisporre ambienti simulati, che

mirano a riprodurre condizioni di realtà in forma semplificata e artificiosa, esercitando quella

mediazione didattica che è propria dell’azione di insegnamento ed è pertanto rintracciabile anche nel

momento della valutazione. D’altro canto il riferimento a contesti di realtà aiuta a rendere

significativo il compito proposto, a dare un senso alla prestazione richiesta: da qui l’attributo

“autentico”, a denotare il superamento di un sapere puramente autoreferenziale, inerte, in direzione

di un impiego del proprio sapere per affrontare situazioni prossime alla vita reale.

2. In secondo luogo il compito deve richiedere non semplicemente la riesposizione di un argomento

disciplinare, ma l’uso della conoscenza in un contesto nuovo e attraverso tale uso anche la capacità

comprendere a fondo la disciplina (o le discipline) coinvolte nella prestazione data. Si tratta di stimoli

che sollecitano l’impiego di processi cognitivi complessi – quali il pensiero critico, la ricerca di

soluzioni originali, la rielaborazione di contenuti e/o procedure – e l’integrazione degli apprendimenti

acquisiti in funzione della soluzione di un problema; per tale ragione tendono spesso a superare i

confini delle singole discipline e a richiedere di mobilitare diverse componenti del proprio sapere

pregresso in relazione al compito da affrontare. Da qui il carattere tendenzialmente aperto dei

compiti autentici, in modo da superare un sapere meramente riproduttivo e lasciare l’opportunità al

soggetto di utilizzare molteplici percorsi risolutivi, in relazione alle proprie attitudini, alle strategie e

agli stili cognitivi che caratterizzano il suo processo di apprendimento.

3. Nella prestazione colui che apprende usa strumenti, crea prodotti, inventa soluzioni, giustifica

decisioni e scelte come avviene sul posto di lavoro. “Gli studenti hanno bisogno di sperimentare che

cosa vuol dire fare un compito in un posto di lavoro e in altri contesti di vita reale che tendono ad

essere disordinati e poco chiari: in altre parole, i compiti veri richiedono un buon giudizio. I compiti

autentici capovolgono quella segretezza, quel silenzio che alla fine sono dannosi, e quell’assenza di

risorse e di feedback che segnano il testing tradizionale”.

4. Non basta che il compito abbia le connotazioni della realtà. La prestazione deve anche mettere alla

prova abilità e conoscenze importanti e centrali sul versante scolastico e disciplinare. La loro

presenza implicita o nascosta si manifesterà se ciò che lo studente sa riflette non solo la

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 32

conoscenza trasmessa da un testo scolastico o dall’insegnante, ma anche la capacità di

comprendere la realtà e di verificare come questa comprensione aiuta a risolvere il problema o il

compito dato.

5. Verificando la qualità del possesso di conoscenze e abilità, l’esecuzione di una prestazione reale

(per questo “autentica”) deve consentire di esprimere un giudizio “predittivo” riguardo a ciò che lo

studente sarebbe capace di fare qualora si trovasse nel contesto reale. Questa caratteristica della

prestazione e della valutazione è di particolare importanza perché qualifica la valutazione scolastica

come non autoreferenziale.

6. La complessità della prestazione autentica richiederà non solo la messa in uso di conoscenze e

abilità, ma soprattutto la loro integrazione in un ciclo di miglioramento continuo: prestazione-verifica-

revisione-ripetizione-prestazione. Avendo come scopo quello di migliorare la prestazione degli

studenti, la valutazione, più che un punto di giudizio terminale, diventerà una valutazione per

l’apprendimento più che dell’apprendimento.

7. Infine, si tratta di prove che mirano a stimolare l’interesse degli studenti, la loro motivazione a

impiegare in modo efficace il proprio sapere, a mobilitare le proprie risorse cognitive, sociali, affettive

in relazione al compito richiesto. Ciò attraverso la predisposizione di situazioni sfidanti, non scontate,

in cui mettersi alla prova individualmente o assieme agli altri per affrontare il problema posto, nelle

quali dover dimostrare la propria competenza nei confronti degli altri allievi o di altri soggetti a cui

presentare il proprio lavoro.

I tratti peculiari dei compiti autentici mirano a superare lo iato tra l’impiego del sapere nei contesti scolastici e

nei contesti reali, mirando a predisporre situazioni valutative prossime alla realtà. Nell’ottica del

costruttivismo socio-culturale e situato, Resnick (1995) condensa in quattro proposizioni gli elementi di

discontinuità che distinguono il sapere scolastico dal sapere impiegato nel mondo reale:

Scuola Contesto reale

1. Richiede prestazioni individuali 1. Richiede lavoro condiviso socialmente

2. Richiede un pensiero privo di supporti 2. Si avvale di artefatti, oggetti concreti

3. Privilegia il pensiero simbolico 3. È’ alle prese con oggetti e situazioni reali

4. Si insegnano capacità e conoscenze

generali

4. Si insegnano competenze autentiche, legate

alla situazione.

Scopo dei compiti autentici è di sviluppare la connessione tra scuola e mondo reale anche nel momento

valutativo del processo didattico, per mettere in rete apprendimento formale, non formale e informale.

Come elaborare i compiti autentici

Riguardo all’elaborazione dei compiti autentici, Wiggins propone un elenco di otto criteri di riferimento utili

alla loro progettazione:

a) i compiti di prestazione dovrebbero essere autentici e significativi, ovvero compiti per cui vale la

pena esprimere la propria competenza;

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 33

b) l’insieme dei compiti dovrebbe rappresentare un campione significativo che consenta di effettuare

generalizzazioni appropriate circa le abilità complesse che, in generale, l’individuo è in grado di

esprimere;

c) i criteri di valutazione dovrebbero essere centrati sulla natura dei compiti stessi e sull’insieme di

conoscenze, abilità e disposizioni che intendono evidenziare;

d) le modalità di valutazione dovrebbero consentire un’autentica verifica delle prestazioni sottese;

e) il contesto nel quale si inseriscono le prove dovrebbe essere vivido, realistico e piacevole, tenendo

presente la necessità di ridurre al minimo le limitazioni di tempo, di accesso alle risorse e quelle

dovute alla conoscenza previa dei compiti e degli standard;

f) i compiti dovrebbero essere validati, ovvero verificati su un piccolo campione di studenti prima di

essere impiegati su vasta scala;

g) l’assegnazione dei punteggi dovrebbe essere fattibile e attendibile;

h) i risultati della valutazione dovrebbero essere riportati e usati in modo tale da soddisfare le persone

che, a diversi livelli, se ne servono.

È opportuno, inoltre, ai fini della valutazione dei compiti di prestazione, predisporre rubriche valutative

indicanti i parametri di giudizio con cui accertare il valore delle prestazioni degli studenti.

UN POSSIBILE SENSO DEL PORTFOLIO

All’interno di questo quadro si può riconoscere la “ratio” che consente di comprendere un possibile senso

dell’impiego del porftolio. L’utilità di uno strumento in grado di raccogliere e documentare in forma

sistematica un insieme di dati sull’esperienza di apprendimento realizzata dal soggetto nasce proprio

dall’assunzione di uno sguardo pluriprospettico in relazione alla rilevazione e valutazione delle competenze.

Le dimensioni soggettive, intersoggettive e oggettive divengono punti di vista complementari attraverso cui

provare a ricomporre un quadro d’insieme della competenza del soggetto e valutarne la sua adeguatezza in

rapporto ai compiti richiesti.

Non a caso anche gli altri esempi di impiego del portfolio nell’ambito della valutazione degli apprendimenti

riflettono uno sguardo trifocale: il caso più emblematico è quello del Portfolio Europeo delle lingue. Le tre

sezioni di cui si compone, infatti, richiamano le tre dimensioni proposte: la “Biografia linguistica” l’istanza

autovalutativa, il “Passaporto delle lingue” l’istanza sociale, il “Dossier” l’istanza empirica.

La ricomposizione unitaria dell’elefante, la visione d’insieme dell’iceberg evidenziano la necessità di uno

sguardo plurale, capace di osservare simultaneamente diversi piani di lettura e integrarli in una sintesi

unitaria.

In conclusione, la sfida delle competenze conduce a una scuola al servizio della persona,

inclusiva, dove la fragilità interroga costantemente l’educazione, e capace, come un tagliatore

abile, di ex-ducere e svelare dal diamante grezzo (che assomiglia a un ciottolo qualsiasi) la

bellezza che giace in esso, nella certezza che ogni persona è un progetto unico e irripetibile, di cui

non c’è mai stata, né mai ci sarà un’altra copia.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 34

CONCLUSIONI

La didattica per competenze permette di realizzare le tre dimensioni dell’apprendimento: verticale

(long); orizzontale (wide); in profondità (deep):

1. Dimensione verticale: lifelong learning. Apprendimento che dura tutta la vita; rappresenta

il superamento della dimensione temporale dell’istruzione e riguarda la lunghezza, la durata

della vita. La dimensione del Lifelong Learning evidenzia che l’individuo impara durante tutta

la sua vita.

2. Lifewide learning: si riferisce alla dimensione orizzontale in quanto fa riferimento a tutti i

contesti di vita e rappresenta il superamento dei luoghi deputati all’apprendimento, per cui

oltre al contesto formale si tende a valorizzare ogni esperienza di vita (informale e non

formale). Riguarda la larghezza o ampiezza della vita, cioè i vari contesti. Pertanto,

l’espressione completa diventa lifelong lifewide learning, con cui tempi e spazi

dell’apprendimento si allargano sino a comprendere ogni ambito di vita e ogni tempo del

soggetto (dimensione verticale e orizzontale). La dimensione del Lifewide Learning evidenzia che

l’apprendimento avviene in un’ampia varietà di ambienti e contesti: lavoro, vita sociale, famiglia e non è

solo limitato all’educazione e non è necessariamente intenzionale (Bauman, 2006; Barnett, 2010).

3. Lifedeep (vita profonda) learning: è una terza dimensione di recente discussione. Riguarda

credenze, valori e orientamenti per la vita (Banks, 2007; Dewey, 1899), per partecipare

pienamente alla vita della comunità. Questa dimensione sposta il focus dalla competizione

economica all’impegno congiunto della comunità e di ciascuna persona per il pieno sviluppo

della persona (dimensione trasformativa, apprendimento trasformativo). Riguarda la

profondità, i valori della vita.

a cura di Filippo Quitadamo, dirigente scolastico Pag. 35

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