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IL MEZZOGIORNO NELL’EUROPA, ED IL MONDO MEDITERRANEO E BALCANICO Riflessioni di Nino Novacco Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno SVIMEZ Quaderno SVIMEZ n. 2 (27) Ottobre 2004 NUOVA SERIE Quaderni SVIMEZ

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IL MEZZOGIORNONELL’EUROPA,ED IL MONDO

MEDITERRANEOE BALCANICO

Riflessioni diNino Novacco

Associazione per lo svi luppo del l' industria nel MezzogiornoSVIMEZ

Quaderno SVIMEZ n. 2 (27)

Ottobre 2004

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MEDITERRANEOE BALCANICO

Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno

Nino Novacco

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INDICE

1. Il Mezzogiorno è cresciuto, i divari rimangono p.0 5

2. Il Mezzogiorno nell’Europa: da 6 a 27 p.0 7

3. Nuovi allargamenti dell’UE? p.0 9

4. Le preoccupazioni del meridionalismo italiano p. 12

5. Opportunità e vincoli per sviluppo e coesione p. 14

6. Alcuni dati su allargamenti e partenariati p. 16

Allegati

A. Paesi dell’UE 27 in base all’ordine decrescentedi alcuni indicatori p. 21

B. Indicatori dei Paesi balcanici e mediterranei,e confronti con l’UE 27 p. 22

C. Peso del Mezzogiorno negli «allargamenti»dell’Unione Europea, ai valori attuali p. 23

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1. Il Mezzogiorno è cresciuto, i divari rimangono

Il Mezzogiorno di oggi non è certamente quello che DeGasperi vide e soffrì nel 1950 nel suo viaggio in Basilicata, e chelo convinse della necessità di un intervento speciale, e della na-scita di un efficace apposito strumento – organico, intersettoria-le, addizionale, straordinario – quale è stato inizialmente la«Cassa per il Mezzogiorno».

Attenuatesi ormai di molto le polemiche spesso strumentalie politicizzate del passato, oggi si conviene da (quasi) tutti chela crescita del nostro Sud è stata – almeno per oltre un venten-nio, tra i primi anni ’50 e la metà degli anni ’70 – cospicua e qua-lificata, e che i mutamenti che ne sono derivati nella strutturastessa dell’economia e della società hanno avuto caratteristichee proporzioni oggettivamente rilevanti.

Ma se – sotto assai numerosi profili – il Mezzogiorno di og-gi non è più quello di allora, è un fatto che esso non è neppureil Sud che alcuni italiani – cattolici, volontaristi, meridionalisti –volevamo, e che credevamo allora possibile, e che abbiamo im-maginato nel 1953-54, predisponendo lo «Schema Vanoni».

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Il Mezzogiorno nell’Europa,ed il mondo mediterraneoe balcanicoRiflessioni di Nino NOVACCO*

* Testo preparato per il Convegno Nazionale della «Fondazione AlcideDe Gasperi» su «L’iniziativa democratica e riformatrice dei Governi DeGasperi per il Mezzogiorno», esposto sinteticamente a Bari il 18 ottobre 2004nel corso della IIIa Sessione del Convegno, dedicata a «Il Mezzogiorno e lasfida europea; il suo ruolo nel quadro mediterraneo e balcanico».

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Proprio perché il Mezzogiorno era in quegli anni, come og-gi, parte dell’Italia, abbiamo il dovere di dire che i divari pre-senti allora nel Paese – divari di ambiente, di dotazioni, di red-dito, di opportunità, di industrializzazione, di benessere, traMeridione e Centro-Nord –, cioè le differenze profonde che ap-punto giustificarono l’approccio straordinario attraverso politi-che speciali per il Sud, e le innovazioni amministrative della le-gislazione del 1950 (che sono merito storico della democraziapost-bellica, ed in essa assai largamente dei cattolici, e quindianche ed in modo non marginale di Alcide De Gasperi), queidivari non sono scomparsi.

Non si tratta certo di recriminare, ma il Mezzogiorno – mal-grado i progressi incontestabili – non può certo considerarsi pie-namente soddisfatto di quel che è avvenuto in oltre mezzo se-colo: il dualismo esisteva negli anni ’40 e ’50, e – seppur certoin un quadro locale, nazionale ed internazionale assai più avan-zato – il dualismo esiste ancor oggi.

Ma dei «limiti» della politica speciale che dai primi anni ’50arriva al 1973-74 – i soli anni dell’intervento straordinario di cuiapprezzo la positività, rispetto agli esiti del successivo ventenniofino al 1993, di cui come meridionalista non sono particolar-mente soddisfatto – sarebbe bene che a parlarne fossero i poli-tici, cattolici e delle altre forze che hanno guidato i Governi, equelli che hanno voluto quella politica; perché le critiche «ester-ne» – se non nutrite di costruttive idee alternative, che sin dall’i-nizio non ci sono state neanche da parte delle opposizioni – ser-vono a poco.

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2. Il Mezzogiorno nell’Europa: da 6 a 27

Mezzo secolo, comunque, non è passato invano, ed il Sudsi trova oggi in una situazione assai diversa e migliore, ma che –pur dopo la sicura ma insufficiente ripresa dalla caduta dellaspesa pubblica connessa alla finale abrogazione nel 1993 dellapolitica divenuta sul finire sempre meno speciale – appare ed èpiù difficile di ieri.

Ciò avviene perché il Mezzogiorno di oggi non è più sol-tanto parte dell’Italia, ma è anche parte dell’Europa in cuicome italiani e come «meridionalisti nazionali» abbiamo credutoe che abbiamo concorso a far nascere, ed è insieme parte di unmondo globalizzato che è cambiato ovunque, anche nelMediterraneo, nel Sud Europa, nei Balcani.

Bisogna essere onesti, e dire che non siamo stati capaci difar sì che l’Europa [nata nel 1957 tra 6 Paesi, quando tra essil’Italia ne rappresentava demograficamente il 25%, ma pesavaper il 40% quanto ad esigenze di sviluppo delle sue aree in ri-tardo] imboccasse percorsi tecnico-politici capaci di aiutare se-riamente l’Italia a far crescere strutturalmente la grande regionedebole del nostro Sud e dell’Europa intera. Molto ci si è inveceimpegnati – per motivazioni talvolta anche nobilmente politiche– in successivi e fin eccessivi «allargamenti», rispetto ai qualiPasquale Saraceno ammoniva già nel 1975 a preoccuparci delgrado di omogeneità dell’Europa, osservando che «la Comunitànon è un’associazione culturale o sportiva, che in genere me-glio raggiunge i suoi fini quanto più numerosi sono i suoi soci».Ed oggi non tutti siamo sicuri che ancora nuovi «allargamenti» –fin verso la Moldova, l’Ucraina, la Bielorussia e la Russia stessa,come si ipotizza – siano la risposta giusta e migliore alla neces-sità di «cooperazione» dell’UE con i Paesi man mano confinanti.

Dopo i 6 Paesi fondatori del 1957, nel 1973 nell’Europa sia-

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mo diventati 9 partners, e poi 12 tra l’81 e l’86. E nel 1995l’Europa è diventata a 15 membri, per poi fare la scelta di anda-re oltre, con un «salto» a 25 Paesi nel 2004, ed a 27 ormai, essen-do scontato per il 2007 l’ingresso della Romania e della Bulgaria.«Allargamenti» audaci e sconvolgenti, questi ultimi, frutto di unascelta politicamente significativa, ma sicuramente estranea agliattuali interessi del nostro Sud, e penalizzante per il suo futuro eper le prospettive di una sollecita «convergenza» e «coesione»:nazionale, europea, ma anche regionale, che certo sono cosediverse, ma che muovono tutte da istanze ed attese delle qualicomunque occorrerà contestualmente sapersi dare carico.

Questi progressivi «allargamenti» hanno emarginato il nostroSud. A valori attuali, il peso demografico del Mezzogiorno è sce-so dal 9,2% nell’Europa a 6, al 4,6% in quella a 25, mentre il no-stro peso quanto ad esigenze di sviluppo delle aree più deboli,che fu inizialmente quello del citato 40%, nell’Europa a 12 del1985 era sceso a circa il 25%, per non essere poi più formal-mente neppure quantificato, dopo l’adozione di quell’inappro-priato parametro del 75% del PIL pro-capite medio dellaComunità, che venne «inventato» nel 1988, che è stato il mecca-nismo – che di recente la SVIMEZ ha formalmente proposto disostituire – con cui si sono abrogate di fatto le macro-regioni po-vere dei Paesi «dualisti», cioè degli Stati che solo nella loro me-dia territoriale sono ricchi, come l’Italia e come la Germania. Mamentre la Germania si è nel tempo, ed anche dopo la riunifica-zione, saputa difendere assai meglio di noi, per l’Italia l’effettodel marchingegno inventato da Bruxelles è stato quello di can-cellare di fatto lo speciale «Protocollo sul Mezzogiorno» delTrattato di Roma, sottoscritto sull’onda dello «Schema Vanoni»,in cui l’Italia non ha creduto.

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3. Nuovi allargamenti dell’UE?

Dal cul di sacco in cui oggi siamo, con le nostre attuali edun po’ stanche politiche, e con le perduranti e problematiche re-gole europee, non si esce; e soltanto l’italica fantasia cerca di ri-mediarvi con slogans e con molta retorica; ma senza alcuna ela-borazione strategica, e senza visioni geo-politiche.

Recentemente, nulla di operativo è stato fatto per identifi-care a livello infrastrutturale una qualche sub-direttrice Sud(nemmeno di una seria progettazione del ventilato «Corridoio 8»ci siamo saputi dare nazionalmente carico!) capace di non emar-ginarci da una politica europea che ha scelto la direttrice Est. Edanche rispetto a tale scelta, ancora poco si discute di quella chesarà la politica [solo adesioni piene, oppure altre forme di co-operazione?] per i più vicini Balcani, con i quali i pochi collega-menti di fatto ipotizzati partono soprattutto dal nostro setten-trionale Nord-Est, a ricasco di una logica che ha disegnato i «cor-ridoi» partendo dall’ottica dell’Europa «carolingia».

In questo quadro di quasi esclusiva attenzione all’Est, laprospettiva della futura e discussa adesione della Turchia all’UE(un’Europa dall’Atlantico agli Urali, oppure un’Europa daGibilterra al Bosforo?) si incrocia e si sovrappone con un ipotiz-zato suo ruolo anche come Paese del «partenariato mediterra-neo» di Barcellona, e con la sua complessa collocazione e con-notazione geo-politica e socio-culturale.

La Turchia confina non solo con il Vicino Oriente mediter-raneo (che vede prossimi il Libano, la Siria, la Giordania, ed in-sieme Israele ed i palestinesi ancora in guerra!), ma con l’assaiinstabile Levante asiatico e caucasico: la Georgia e l’Armenia, el’Iran e l’Iraq. La Turchia inoltre, essendo parte non marginaledel mondo musulmano – anche se gode finora di una solidacontinuità moderata con il dopo-Ataturk – porrà certo più di un

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problema, perché l’ipotesi di questo ulteriore allargamento – aparte la non risolta questione curda, che concorre problemati-camente all’attuale e futura instabilità dell’area, ed a parte le dif-ferenze culturali di fondo tra la grande Istanbul nella Tracia eu-ropea e la vasta Anatolia, che non renderanno agevole una rea-le verifica, che non sia solo formale e giuridica, dell’acquis co-munitario in materia di diritti – indebolirebbe, con la tendenzia-le primazia demografica turca all’interno di una UE che la com-prendesse, la caratterizzazione europea sia dei popoli sia delleistituzioni stesse dell’Unione, che prima o poi dovrà riuscire adarsi nel mondo una immagine ed una voce omogenee.

Anche verso il Mediterraneo [che è un’area con poche ec-cezioni assai povera ed in grave ritardo di sviluppo; che è oggiun mercato disomogeneo ed ancora assai piccolo; che è costi-tuito da una serie di Paesi tra loro isolati e che presentano con-trasti e conflitti di varia natura] l’Italia non è andata oltre gli slo-gans e le retoriche della vicinanza e della centralità nostra e delnostro Sud, che invece non sono fattori da considerare come da-ti ed automaticamente scontabili, e che vengono evocati l’una el’altra nei confronti del Nord-Africa magrebino [ma sono valideanche rispetto ai Paesi del Mediterraneo orientale?], rispetto aicui ipotizzati processi di partnership con l’UE si è fatto, dopoBarcellona, assai poco di concreto, sia come Italia, sia nell’otticadegli interessi del Mezzogiorno.

Si continua invece molto a riferirsi agli effetti attesi dal con-cretarsi di una ancora vaga «zona di libero scambio» sud-medi-terranea (come peraltro di una analoga zona di libero scambiotra i Paesi balcanici), che dovrebbe sbocciare nel 2010, ma di cuinon si vedono significative premesse. E frattanto anche gli utilie necessari accordi di cooperazione non sempre avvengonocon l’UE, ma soprattutto e più impegnatamene in via bilateralecon gli Stati.

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E pur parlandosi spesso di cooperazione, solo occasional-mente in Italia si evoca – purtroppo un giorno per il Kosovo, ungiorno per la Palestina, un giorno per la Tunisia, ma non con-cretando nulla con nessuno – l’ipotesi di poter utilizzare [da so-li? E se lo si fa con altri, quanto conterà l’Italia nelle scelte?] unostrumento che ricordi l’efficacia del «Piano Marshall», che grazieagli Stati Uniti fu per noi determinante nel dopoguerra.

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4. Le preoccupazioni del meridionalismo italiano

Quelle esposte non sono notazioni «pessimistiche», ma ri-flessioni preoccupate sì.

Il fatto è che una politica italiana ed europea per la «coesio-ne» – che è quel che occorre per consentire l’accelerazione delprocesso di crescita del Sud, ma anche delle altre aree in diver-sa misura deboli dell’UE rispetto ai livelli delle aree più forti ericche del nostro Nord e dell’Europa (e dico questo con vigore,convinto che – come sostiene da qualche tempo la SVIMEZ –occorrerà prima o poi prendere atto che a tal fine ci vuole benaltro che inseguire, come si fa ancora, i valori medi nazionali oeuropei del PIL pro-capite) – il fatto, dicevo, è che un determi-nato e coerente approccio verso articolate politiche di «coesio-ne» non viene né proposto né applicato come elemento caratte-rizzante le politiche economiche e di sviluppo.

Sembra non ci si renda conto che, nel disegnare e nel con-durre politiche che alla «coesione» si ispirino e tendano, occor-rerebbe fare molto di strutturale sul terreno delle grandi infra-strutture fisiche, nel quadro di un disegno geo-politico organi-co e strategico [che sconti ad esempio gli effetti straordinaria-mente importanti per il Mediterraneo, ed in esso per il porto diGioia Tauro e quindi potenzialmente per l’intero Mezzogiornoitaliano, della prospettiva del raddoppio del Canale di Suez], at-traverso istituzioni pubbliche unitarie ed efficienti, capaci difornire alle imprese le altrettanto essenziali infrastrutture legalied amministrative. In assenza di ciò, diventano legittime lepreoccupazioni di chi allo stato delle cose non riesce a vedereper il nostro Sud – ma anche per l’Italia intera – un futuro diver-so dalla prospettiva di un lento declino relativo, se vogliamochiamare le cose col loro nome.

Sono preoccupato, perché non mi pare ci si renda conto

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che un ruolo di sviluppo dell’Italia e del Mezzogiornonell’Europa, nei Balcani, nel Mediterraneo, non potrà esserci fin-ché nell’intero territorio del Sud (non solo lungo la direttri-ce tirrenica ma anche lungo quella adriatica e ionica, e nellestesse zone interne sia delle Regioni continentali sia delle gran-di isole, tutte meglio tra loro interconnesse) non si saranno crea-te sistematiche condizioni – infrastrutturali, civili, ambientali,produttive, e tra queste specie nell’industria manifatturiera ed inquella turistica – di cui invece neanche nelle prospettazioni apiù lungo termine vi è oggi una qualunque traccia seria che giu-stifichi una pur lontana speranza. E se non si determineranno ta-li tipi di condizioni di «contesto», che ci vedano avvicinarci aquelle presenti invece nelle aree avanzate e forti con cui do-vremo comunque competere, pare a me che discutere di «ruoli»possa risultare vano e non credibile neanche per i Paesi con cuidiciamo di voler cooperare.

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5. Opportunità e vincoli per sviluppo e coesione

Eppure, in Italia, abbiamo intelligenze, capacità, e ri-sorse, per avviare uno sforzo sotto ogni profilo «straordinario»,capace di accelerare i tempi di realizzazione di reti efficienti diinfrastrutture strategiche, che oggettivamente rappresentano laineludibile condizione in grado di favorire una reale crescita del-l’economia industriale e turistica del Sud, determinando cosìuna maggiore somiglianza con le situazioni delle aree forti delPaese e dell’UE.

Ma se il massimo di energie e di risorse – soprattutto ita-liane, certo, ma anche da parte dell’Europa, che troppo poco in-veste anch’essa per uno sviluppo armonioso – non verrà da su-bito impiegato per rendere possibile una elevata e stabile con-vergenza verso la coesione con i territori che sono in testa al-la corsa per lo sviluppo, vi è non il rischio ma la quasi cer-tezza che questa opportunità potrà non verificarsi, condizionan-do così per troppi ulteriori decenni le prospettive ed il destinodi un’area non piccola quale è il Mezzogiorno.

In effetti il Sud dell’Italia – macro-regione complessivamen-te debole di uno Stato-Nazione che in altre sue parti e nella pro-pria media è sicuramente forte – è oggettivamente una realtàcospicua: più grande come superficie di ben 17 dei 27 Statidell’UE; più grande come popolazione di 20 dei 27 Stati dell’UE;con un PIL totale più elevato di quello di 20 Paesi UE su 27, maanche superiore da solo a quello dell’insieme della Turchia e deiPaesi dei Balcani; seppur con un PIL pro-capite che nell’UE ve-de ben 16 Stati su 27 precedere il nostro Sud nella graduatoriadel benessere quale esprimibile con questo proxi.

Non potendosi certo immaginare che una crescita quantita-tivamente determinante continui a concentrarsi ulteriormentenelle aree avanzate del Centro-Nord, che già si trovano tra quel-

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le più forti dell’intera Europa, ne discende che l’Italia non puònon svilupparsi se non nel proprio Sud, che per le condizionidemografiche che presenta, per il capitale umano scolarizzato dicui dispone, e per gli spazi fisici spesso anche già attrezzati cheoffre alle localizzazioni di nuove iniziative produttive, costitui-sce la sua maggiore se non esclusiva opportunità attuale e futu-ra. Se ciò non dovesse avvenire, il nostro stesso generale e na-zionale ruolo competitivo prima o poi non sarebbe più nemme-no quello di una media potenza, anche se troppo ci si è riempi-ti la bocca parlando di «Italia grande potenza industriale delmondo», guardando ai G7 ed ai G8, e trascurando frattanto di di-re a noi stessi quale è il reale nostro peso nelle decisive gradua-torie della produttività e della competitività.

Ma in tal caso le nostre irrealistiche ambizioni non potreb-bero non deludere gli stessi Paesi con i quali sarebbe stato e sa-rebbe ancora utile e possibile definire e perseguire un comunedisegno di sviluppo, di benessere, di coesione.

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6. Alcuni dati su allargamenti e partenariati

I valori presentati nelle tre Tabelle allegate a questo testo –da cui ho già tratto i rilievi quantitativi esposti – offrono sinteti-ci elementi documentari e conoscitivi di supporto alle linee stra-tegiche evidenziate e proposte. Essi – che sono una sintesi diquelli presentati da me in altre occasioni1 – rendono evidentinell’Allegato A le articolate realtà delle regioni europee ed il ruo-lo che rispetto ad esse hanno le «macro-regioni» dei Paesi dua-listi come l’Italia e la Germania, offrendo poi nell’Allegato C (at-traverso alcuni indicatori esposti sub B in ordine ai Paesi inte-ressati a possibili nuovi «allargamenti» dell’Unione Europea, od aforme da meglio definirsi di «partenariato») un quadro degli ef-fetti, sul «peso» del Mezzogiorno, dell’eventuale estensione ulte-riore dell’Unione.

Nelle tre Tabelle si sono evidenziati, prescindendo da quel-li di superficie, i valori di popolazione e di PIL totale, ma anchequelli di PIL pro-capite, che appaiono paradossali, e che rendo-no insostenibile l’ipotesi del mantenimento al 2013 degli ap-procci riferiti alla media europea utilizzati per identificare le zo-ne del c.d. «Obiettivo 1»; ciò soprattutto se l’UE – tenendo fermala troppo elevata proporzione di mezzi destinati ad un ormaianacronistico protezionismo agricolo – pretenderà di limitarsi adestinare del tutto inadeguate risorse alle finalità dello «sviluppo»(appena lo 0,46% del PIL europeo!), risorse che per la loro so-stanziale modestia non consentiranno certo di perseguire néuna qualunque reale «coesione» tra le zone forti e le aree deboli

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1 Nel giugno 2003 a Potenza, con la mia relazione Regioni eMezzogiorno per la coesione con le aree ‘forti’ del Nord e dell’Europa (poipubblicata nella «Rivista Economica del Mezzogiorno» n. 3/2003); a Roma nelgiugno 2004 con le mie riflessioni su Strategie e politiche per la ‘coesione’dell’Italia, pubblicate nel «Quaderno SVIMEZ» n. 1 (26) del giugno 2004.

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(divenute con gli «allargamenti» assai più numerose di prima), nédi determinare complessive dinamiche di crescita delle produ-zioni, dell’occupazione, dell’innovazione e della concorrenziali-tà, coerenti con quelle che – a Lisbona, per esempio – l’Europaaveva dichiarato di voler raggiungere rispetto agli Stati Uniti.

I dati raccolti evidenziano che dal 1957 al 2007:– la superficie dell’UE è cresciuta del 219% (e con Turchia

e Balcani arriverebbe a crescere del 297%);– la popolazione dell’UE è cresciuta del 113% (e con

Turchia e Balcani crescerebbe del 154%);– il PIL totale dell’UE è cresciuto del 75% (e con Turchia e

Balcani crescerebbe del 79%);– il PIL pro-capite dell’UE è diminuito del 18%, e con l’in-

gresso eventuale di Turchia e Balcani a parità di altre condizio-ni verrebbe a diminuire statisticamente del 30% in poco più dimezzo secolo.

Volendo continuare a giocare con i valori medi del PIL pro-capite dell’UE, si può evidenziare che nel 2007 la macro-regionedebole del Mezzogiorno italiano si prevede registri un valore diPIL pro-capite pari quasi all’80% di quello medio dell’UE a 27; eche se in futuro entrassero anche la Turchia ed i Balcani, il PILpro-capite del Mezzogiorno diverrebbe di fatto statisticamentepari (oltre il 90%!) a quello dell’UE, così allargata a 33 membri.Se poi dovessimo paradossalmente immaginare che tutti gli ul-teriori 10 Paesi Mediterranei potessero avere con l’UE forme dipartnership di portata equivalente all’adesione, il PIL di unMezzogiorno che pur rimanesse debole ed in ritardo, inun’Unione [ancora Europea?] a 43, avrebbe fatto l’exploit (nonreale, ma certamente statistico, se ci fosse ancora bisogno di sot-tolinearlo) di aver raggiunto senza sforzo un PIL pro-capite ad-dirittura superiore del 16% (sic!) rispetto a quello medio dellaComunità, mentre lo spazio europeo avrebbe anch’esso realiz-

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zato l’opposto exploit di vedere il proprio reddito medio ridotto,dal 1957 a quel momento, di oltre la metà!

«L’unione fa la forza», dice un nostro vecchio proverbio.L’Unione Europea, con i suoi accelerati «allargamenti», sta rag-giungendo l’obiettivo della propria progressiva debolezza, checomunque – anche se espressa attraverso un astratto e non si-gnificativo valore medio di PIL pro-capite – non potrà non ave-re determinanti riflessi nel confronto concorrenziale con le altrearee economiche e politiche, e con il complessivo ruolodell’Europa nel Mondo.

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Nino NOVACCO, 2004

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Allegati

A - Paesi dell’UE 27 in base all’ordine decrescentedi alcuni indicatori

B - Indicatori dei Paesi balcanici e mediterranei,e confronti con l’UE 27

C - Peso del Mezzogiorno negli «allargamenti»dell’Unione Europea, ai valori attuali

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Page 25: IL MEZZOGIORNO NELL’EUROPA, ED IL MONDO … · Gasperi vide e soffrì nel 1950 nel suo viaggio in Basilicata, e che lo convinse della necessità di un intervento speciale, ... gole

Finito di stampare il 15 dicembre 2004 dall’Industria Grafica Failli Fausto snc.Via A. Meucci 25, Via Tiburtina Km. 18,300 - 00012 Guidonia Montecelio (Roma)

per conto della SVIMEZ«Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno»

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