Il mercato del lavoro è sempre più social - Pagina99we 8/11/2014

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20 | INNOVAZIONI pagina 99 we | sabato 8 novembre 2014 il mercato del lavoro è sempre più social Reclutamento | La ricerca di unoccupazione vira su nuovi canali. Le aziende scoprono altre vie per promuoversi in rete e puntano sui candidati passivi. Ma in Italia siamo ancora indietro FEDERICO GENNARI SANTORI n Mentre la crisi economica morde e i disoccupati aumenta- no, il lavoro sta cambiando. Cer- care unoccupazione bussando alla porta delle aziende, conse- gnare a mano un curriculum car- taceo o iscriversi a unagenzia di collocamento ormai è cosa vec- chia. Ma anche cercare opportu- nità, lasciare annunci e pubbli- care curricula in rete è tuttaltro che una novità. Basti pensare che secondo Adecco, multinazionale operante nella gestione delle ri- sorse umane, nel 2013 il 53% delle attività di reclutamento del personale si è spostato online. Rispetto a pochi anni fa, a fare la differenza sono i social network. LinkedIn, Facebook e altri si usano sempre di più per svago ma anche per attività professio- nali. Dopo le-recruiting, nato negli ormai lontani anni 90, è così nato il social recruiting. I numeri più aggiornati sulla portata del fenomeno in Italia vengono dallo studio Il Lavoro ai Tempi del Social Recruiting, rea- lizzato da Adecco in collabora- zione con lUniversità Cattolica di Milano, che ha interpellato circa 270 selezionatori e 7.600 candidati. Tra questi ultimi il 67% dichiara di utilizzare i social per la ricerca di lavoro. E la stessa percentuale di aziende se ne ser- ve per attività professionali, a co- minciare da quelle riguardanti ricerca e selezione del personale. A caccia di lavoro sulle piattafor- me sociali è soprattutto chi cerca il primo impiego (80%), chi ha già un lavoro ma vorrebbe qual- cosa di meglio (74,6%) e solo per ultimo chi è disoccupato (72,7%). Prevalgono le donne e i nati dopo il 1981, perlopiù spe- cializzati in finanza, ammini- strazione e diritto settori che con il 23,2% staccano tutti gli al- tri di quasi dieci punti , inge- gneria e costruzioni, formazione e discipline umanistiche. Adecco conferma che tra i social network regna indiscusso LinkedIn, la piattaforma professionale nata nel 2003 che ha raggiunto i 300 milioni di utenti nel mondo e su- perato i 7 milioni in Italia. Per at- tività professionali è usato dal 59% delle aziende e da oltre il 41% dei candidati attivi sui so- cial. Le percentuali di Facebook, invece, scendono rispettivamen- te al 19 e al 21%, mentre Twitter, Google+, YouTube, Pinterest e tutti gli altri stanno ancora peg- gio. In generale la presenza di professionisti e aspiranti lavora- tori sui social media aumenta co- stantemente in Italia e nel mon- do. Ad occupare gli spazi liberi lasciati da LinkedIn e dai net- work principali sono piattafor- me professionali come Jobbero- ne, Elance e Monster, rivolte a soggetti con meno qualifiche, ma anche litaliana Egomnia. Tramite il social recruiting, sempre più necessario in certi campi, le aziende «utilizzano maggiormente i social media per pubblicizzarsi e, allo stesso tem- po, conoscono meglio il proprio pubblico, compresi dipendenti e potenziali candidati. Cercare personale si intreccia quindi con lautopromozione», dice a pagi- na99Stefano Epifani, docente di Social Media Management a La Sapienza di Roma. Secondo le statistiche di Adecco, i recruiter usano i social media per indivi- duare profili migliori e raggiun- gerne di più. Uno degli scopi del social recruiting, infatti, è lindi- viduazione dei cosiddetti candi- dati passivi. «Questa tendenza ha preso piede negli Usa e nasce perché molte aziende non trova- no i profili adatti tra i candidati che gli si presentano. Così si ado- perano per cercarli in maniera mirata, magari per fargli una proposta ad hoc», ci spiega Eu- genio Amendola, consulente per Anthea Consulting, società che si occupa di nuovi trend per il re- clutamento e organizza da tre anni un Social & Mobile Recrui- ting Forum. «Si tratta di un mondo nuovo, che richiede una comunicazione sistematica e co- stante volta a creare una propria community». Le aziende che attirano mag- giormente lattenzione di poten- ziali candidati, mostra Adecco, sono certamente quelle che pub- blicano più annunci di lavoro. Ma anche mostrarsi dal di den- tro e postare sui social contenuti interessanti è importante. Per il momento non è un mestiere per micro imprese, che ancora fati- cano a calarsi nel mondo social e vi operano per circa un terzo del totale. Meglio vanno le pmi, ma la fetta più grande spetta ai big. «Ci sono gruppi come Microsoft, LOréal, Barclays o litaliana Bnl, che recentemente si sono date una veste social friendly per atti- rare potenziali candidati». Lo fanno raccontandosi, aprendosi il più possibile al pubblico e an- che coinvolgendo i propri dipen- denti attivi in rete nella promo- zione dell'azienda. «Nello speci- fico il social recruiting contri- buisce a quello che chiamiamo employer branding, e cioè la re- putazione che unazienda si co- struisce come datore di lavoro. Ma in Italia siamo ancora piutto- sto indietro». Se quasi tutte le aziende si sono convertite al- le-recruiting, diverso è il discor- so per i social media. E ancora di più «cè da fare sul fronte della ri- cerca di lavoro online tramite smartphone e tablet», continua Amendola. «Il cosiddetto mobi- le recruiting cresce in Europa ma vede arrancare la maggior parte delle imprese, che non stanno ri- modulando le proprie strategie di comunicazione». Fatto sta che in Italia a essere stato contattato da un seleziona- tore tramite i social media è solo il 22,7% degli intervistati da Adecco. E tra questi meno di un terzo ha poi effettivamente otte- nuto un lavoro. Del resto, circa la metà delle nostre imprese non ha ancora un profilo su LinkedIn e i selezionatori sentiti da Adecco ritengono che i social network nel loro insieme incidano soltan- to per un quinto sul totale delle assunzioni online. Più efficaci sono ritenuti gli annunci pubbli- ci, lapertura di sezioni come partecipao lavora con noisui propri siti web, e accordi con so- cietà specializzate che si occupa- no di risorse umane. «Spesso nelle grandi aziende i social network non sono nem- meno presi in considerazione», racconta a pagina99 la respon- sabile della formazione del per- sonale di un grande gruppo ban- cario. «Tendenzialmente è più alto il rischio di basarsi su infor- mazioni fuorvianti e non verifi- cate diramate dai candidati in prima persona. Per questo ab- biamo attivato accordi con uni- versità e altri istituti che forni- scano curricula attendibili e rap- presentino in partenza un fil- tro». In effetti, la massima parte delle grandi compagnie sembra Il selfie di una modella presso la Tbilisi Fashion Week DAVID MDZINARISHVILI / REUTERS A caccia sulle piattaforme da noi è soprattutto chi cerca il primo impiego (80%)

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20 | INNOVAZIONI pagina 99we | sabato 8 novembre 2014

il mercato del lavoroè sempre più socialReclutamento | La ricerca di un’occupazione vira su nuovi canali.Le aziende scoprono altre vie per promuoversi in rete e puntanosui candidati passivi. Ma in Italia siamo ancora indietro

FEDERICO GENNARI SANTORI

n Mentre la crisi economicamorde e i disoccupati aumenta-no, il lavoro sta cambiando. Cer-care un’occupazione bussandoalla porta delle aziende, conse-gnare a mano un curriculum car-taceo o iscriversi a un’agenzia dicollocamento ormai è cosa vec-chia. Ma anche cercare opportu-nità, lasciare annunci e pubbli-care curricula in rete è tutt’altroche una novità. Basti pensare chesecondo Adecco, multinazionaleoperante nella gestione delle ri-sorse umane, nel 2013 il 53%delle attività di reclutamento delpersonale si è spostato online.Rispetto a pochi anni fa, a fare ladifferenza sono i social network.LinkedIn, Facebook e altri siusano sempre di più per svagoma anche per attività professio-nali. Dopo l’e-recruiting, natonegli ormai lontani anni ’90, ècosì nato il social recruiting.

I numeri più aggiornati sullaportata del fenomeno in Italiavengono dallo studio Il Lavoro aiTempi del Social Recruiting, rea-lizzato da Adecco in collabora-zione con l’Università Cattolicadi Milano, che ha interpellatocirca 270 selezionatori e 7.600candidati. Tra questi ultimi il67% dichiaradi utilizzarei socialperla ricercadi lavoro.E lastessapercentuale di aziende se ne ser-ve per attivitàprofessionali, a co-minciare da quelle riguardantiricerca e selezione del personale.A caccia di lavoro sulle piattafor-me sociali è soprattutto chi cercail primo impiego (80%), chi hagià un lavoro ma vorrebbe qual-cosa di meglio (74,6%) e solo perultimo chi è disoccupato(72,7%). Prevalgono le donne e inati dopo il 1981, perlopiù spe-cializzati in finanza, ammini-strazione e diritto – settori che

con il 23,2% staccano tutti gli al-tri di quasi dieci punti –, inge-gneria e costruzioni, formazionee discipline umanistiche. Adeccoconferma che tra i social networkregna indiscusso LinkedIn, lapiattaforma professionale natanel 2003 che ha raggiunto i 300milioni di utenti nel mondo e su-perato i7 milioni in Italia.Per at-tività professionali è usato dal59% delle aziende e da oltre il41% dei candidati attivi sui so-cial. Le percentuali di Facebook,invece, scendono rispettivamen-te al 19 e al 21%, mentre Twitter,Google+, YouTube, Pinterest etutti gli altri stanno ancora peg-gio. In generale la presenza diprofessionisti e aspiranti lavora-tori sui social media aumenta co-stantemente in Italia e nel mon-do. Ad occupare gli spazi liberilasciati da LinkedIn e dai net-work principali sono piattafor-me professionali come Jobbero-

ne, Elance e Monster, rivolte asoggetti con meno qualifiche,ma anche l’italiana Egomnia.

Tramite il social recruiting,sempre più necessario in certicampi, le aziende «utilizzanomaggiormente isocial mediaperpubblicizzarsi e, allo stesso tem-po, conoscono meglio il propriopubblico, compresi dipendenti epotenziali candidati. Cercarepersonale si intreccia quindi conl’autopromozione», dice a pagi -na99Stefano Epifani, docente diSocial Media Management a LaSapienza di Roma. Secondo lestatistiche di Adecco, i recruiterusano i social media per indivi-duare profili migliori e raggiun-gerne di più. Uno degli scopi delsocial recruiting, infatti, è l’indi -viduazione dei cosiddetti candi-dati passivi. «Questa tendenzaha preso piede negli Usa e nasceperché molte aziende non trova-no i profili adatti tra i candidati

che gli si presentano. Così si ado-perano per cercarli in manieramirata, magari per fargli unaproposta ad hoc», ci spiega Eu-genio Amendola, consulente perAnthea Consulting, società chesi occupa di nuovi trend per il re-

clutamento e organizza da treanni un Social & Mobile Recrui-ting Forum. «Si tratta di unmondo nuovo, che richiede unacomunicazione sistematica e co-stante volta a creare una propriacommunity».

Le aziende che attirano mag-

giormente l’attenzione di poten-ziali candidati, mostra Adecco,sono certamente quelle che pub-blicano più annunci di lavoro.Ma anche mostrarsi dal di den-tro e postare sui social contenutiinteressanti è importante. Per ilmomento non è un mestiere permicro imprese, che ancora fati-cano a calarsi nel mondo social evi operano per circa un terzo deltotale. Meglio vanno le pmi, mala fetta più grande spetta ai big.«Ci sono gruppicome Microsoft,L’Oréal, Barclayso l’italiana Bnl,che recentemente si sono dateunaveste social friendlyper atti-rare potenziali candidati». Lofanno raccontandosi, aprendosiil più possibile al pubblico e an-checoinvolgendo ipropridipen-denti attivi in rete nella promo-zione dell'azienda. «Nello speci-fico il social recruiting contri -buisce a quello che chiamiamoemployer branding, e cioè la re-

putazione che un’azienda si co-struisce come datore di lavoro.Ma in Italia siamo ancora piutto-sto indietro». Se quasi tutte leaziende si sono convertite al-l’e-recruiting, diverso è il discor-so per i social media. E ancora dipiù «c’è dafare sul fronte dellari-cerca di lavoro online tramitesmartphone e tablet», continuaAmendola. «Il cosiddetto mobi-le recruiting cresce in Europa mavede arrancare la maggior partedelle imprese, che non stanno ri-modulando le proprie strategiedi comunicazione».

Fatto sta che in Italia a esserestato contattato da un seleziona-tore tramite i social media è soloil 22,7% degli intervistati daAdecco. E tra questi meno di unterzo ha poi effettivamente otte-nuto un lavoro. Del resto, circa lametà delle nostre imprese nonhaancoraun profilosuLinkedIne i selezionatori sentiti da Adeccoritengono che i social networknel loro insieme incidano soltan-to per un quinto sul totale delleassunzioni online. Più efficacisono ritenuti gli annunci pubbli-ci, l’apertura di sezioni come“partecipa” o “lavora con noi” suipropri siti web, e accordi con so-cietà specializzate che si occupa-no di risorse umane.

«Spesso nelle grandi aziende isocial network non sono nem-meno presi in considerazione»,racconta a pagina99 la respon-sabile della formazione del per-sonale di un grande gruppo ban-cario. «Tendenzialmente è piùalto il rischio di basarsi su infor-mazioni fuorvianti e non verifi-cate diramate dai candidati inprima persona. Per questo ab-biamo attivato accordi con uni-versità e altri istituti che forni-scano curriculaattendibili e rap-presentino in partenza un fil-tro». In effetti, la massima partedelle grandi compagnie sembra

Il selfie di una modella presso la Tbilisi Fashion Week DAVID MDZINARISHVILI / REUTERS

A caccia sullepiattaforme da noi èsoprattutto chi cercail primo impiego (80%)

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sabato 8 novembre 2014 | pagina 99we INNOVAZIONI | 21

mostrami l’accounte saprò chi sei

n Paolo Brandi è laureato in Infor-matica e fa il programmatore, unprofilo più che adatto per un’azien -da al passo con l’innovazione. Ep-pure, tra LinkedIn e altri canalinon ha mai avuto contatti con re -cruiter italiani. Oggi lavora peruna start-up berlinese, GetYour-Guide. «Dalla mia esperienza», ciracconta, «ho imparato una cosa:mai fidarsi troppo dei recruiter.Possono fregare sia chi cerca lavo-ro, facendogli promesse infondate,sia le aziende, proponendo profiliinadeguati». E a volte sono pronti atutto pur di convincervi. «Una vol-ta ho avuto pressioni incessanti.Sonoarrivatia chiedermidi lascia-re la mia ragazza per sfruttare l’oc -casione della vita».

I social media ci hanno permes-so di superare il confine tra la di-mensione virtuale e quella reale. Auna condizione: la rintracciabilità.Come nella vita di tutti i giorni, inrete e in particolare sui social net-work ciascuno ha una propria re-putazione, la cosiddetta digital re-putation. «Non si tratta più del-l’impersonificazione di un sé idea-le» dice a pagina99 Stefano Epifa-ni, docente di Social Media Mana-gement a La Sapienza di Roma. «Icomportamenti in rete rispecchia-no quelli che abbiamo nella vita ditutti i giorni. Ecco perché, compli-ce il gradimento della community,influiscono sul nostro lavoro».

Stando alle statistiche fornite daAdecco nell’ambito dello studio IlLavoroaiTempi delSocialRecrui-ting, poco più del 40% delle perso-ne in cerca di un’occupazione tra-mite i social network ritiene im-portante mantenere un’immagineprofessionale digitale e pensa chequesta possa essere utile per il pro-prio futuro lavorativo, circa il 35%si dedica anche acurarla con atten-zione. Dal punto di vista di aziendee selezionatori, invece, il quadro sicomplica. Oltre il 25% dichiara diaver escluso un candidato a causadi informazioni, foto e contenutipubblicati. Per capire chi siete efarsi un’idea di voi, i selezionatoriosservano che cosa pubblicate sul-

la vostra bacheca virtuale e comeinteragite con gli altri utenti. «Nelbene o nel male, nel web 2.0 è ine-vitabile che accada», sostiene Epi-fani. «Per questo la digital reputa-tion è così importante». La piatta-forma più controllata è LinkedIn,che con il 71,5% doppia tutte le al-tre, anchese non ècerto lapiù indi-cata per osservare come vi rappor-tate con la viralità. Al secondo po-sto si piazza Facebook (38,5%) eterzo, mamolto piùin basso,arrivaTwitter (13,6%).

Sulla piattaforma di Mark Zuc-kerberg ci sono contenuti che aidatori di lavoro proprio non piacevedere. I meno tollerati, secondo i

numeri di Adecco, sono quelli chelascianointendere lapartecipazio-ne ad attività in violazione dei re-golamenti universitari. Poi ci sonoi commenti relativi a temi contro-versi – religione, politica, sostanzestupefacenti, ecc... – e le foto in at-teggiamenti discutibili, come lostato di ebbrezza. Dal canto loro, icandidati sostengono di avere ache fare molto raramente con ma-teriali del genere: di foto compro-mettenti quasi non se ne parla,maggiore invece la presenza di opi-nioni personali. Ma a volte scorre-re le bacheche virtuali non basta.All’1% dei candidati è stata chiestala password di Facebook durante icolloqui, inmodo dapoter control-lare la condotta degli interessatisenzafiltri perlaprivacy.Il 30%hascelto di rivelarla.

La digital reputation può rive-larsi un boomerang anche per ilcandidato più diligente e prepara-to, ma anche creare dei «falsi posi-tivi, ovvero professionisti che dibuono hanno soltanto la reputazio-

ne», spiega il professor Epifani. Insostanza, «una persona che si savendere meglio puòavere maggioripossibilità di chi è più bravo. Poi sipuò discuteresu quanto ledue cosecoincidano quando si ha a che farecol web». Ma il comportamento deidipendenti in rete può rivelarsi unproblema anche per l’immaginedelle aziende. «Molti lo hanno ca-pito e stanno rafforzando sempredi più tanto la propria presenza so-cial, quanto la formazione del per-sonale», ci dice Eugenio Amendoladi Anthea Consulting. «Servonopolicy chiare in materia di socialmedia, che non limitino però la li-bertà d’espressione sul web». Ep-pure, tante aziende ne sanno poco oniente epossono bloccarel’acceso asiti come Facebook dagli uffici, co-meci confermala responsabiledel-le risorse umane di una grandebanca. In effetti, stare sui socialnetwork sottraendo tempoe atten-zione al lavoro può essere un pro-blema, ma sembra che esistano an-che «stretti sistemidi controllo sul-la comunicazione tra dipendenti –come filtri preimpostati sul lin-guaggio usato nelle mail – e sulladiffusione di informazioni relativealle attività dell’azienda».

Insomma, c’è chi vede l’utilizzodei social media da parte dei di-pendenti come un fattore di distra-zione o qualcosa da controllare perevitare fughe di notizie, e chi ne hacolto il potenziale ai fini della pro-mozione del brand. Ma a monte«c’è un altra differenza. Quella trachi pensa ancoradi poter impedirel’utilizzo dei social media e chi hacapitoche nonèpiù possibile.Oggicon uno smartphone puoi fare tut-to quello che faresti con il compu-ter e magari anche di più», conclu-de Epifani. «Non è detto che le so -cial media policy non debbano es-sere restrittive sulla diffusione dicerte informazioni, l’importantesarebbe che ci fossero. Magari noncopia-incollate da altri come fannoalcune aziende. In Italia però sia-mo ancora molto indietro».

F.G . S .

privilegiare convenzioni miratecon piattaforme online di reclu-tamento – come lo stesso Linke-dIn – e affidarsi a società terze,quali Adecco, Jobvite, Spencer-Stuart e molte altre. Ma non èsoltanto una questione di diffi-denza che ancora rimane.

Se l’utilità del social recrui-ting è limitata, «c’è da doman-darsi se sia perché i candidatinon sono abbastanza bravi adautopromuoversi o perché i re -cruiter non sono abbastanza esi-genti e presenti», spiega Federi-co Sbandi, il social media editordi Gnoti Lab, società italiana dibrand journalism. «Di basemolti non sono ancora abituati alavorare con internet o a comu-nicare lapropria professionalità.Sicuramente c’è ancora poca in-formazione al riguardo». Manon è detto che tutti i lavoratorisiano interessati a farlo. Linke-dIn, per esempio, non è per tutti.«Difficilmente può essere utileper i mestieri più tradizionali,senza contare che a usarlo sonoprofili mediamente alti». Lostesso vale per le aziende, chespesso non colgono i meccani-smi che stanno alla base del fun-zionamento dei social media dalpunto di vista professionale.«Gli mancano le basi per gestireadeguatamenteun accountova-lutarne uno altrui». Non è un ca-so che Relationships matter (“Lerelazioni contano”), sia il motto

di LinkedIn, dove un profilocompleto è come un buon curri-culum, con la differenza che altriutenti, colleghi in primis, posso-no confermare quanto vi è scrit-to. «Fa capire cosa pensano glialtri di te e non cosa tu pensi di testesso», continua Sbandi, «o al-meno così dovrebbe avendo ache fare con utenti digitalmentealfabetizzati. Peccato che le uni-

versità italiane siano molto in-dietro e non formino in alcunmodo gli studenti per la cura diuna propria immagine virtuale edella digital reputation».

«Per le attività di Recruiting eSelezione, nel corso nell’ultimoanno, Telecom Italia ha forte-mente potenziato l’utilizzo deisocial network, quali LinkedIn eFacebook, ma anche di Jobadvi-sor e Almalaurea, tanto per citar-ne alcuni», spiega Bruna Capo-bianchi, responsabile New Ca-pabilities & Recruiting per Tele-com. «Ma oggi, per garantire latrasformazione di una granderealtà come la nostra, sicuro

punto di riferimento nel mondodell’Ict, è fondamentale integra-re le competenze utili a gestire ilbusiness tradizionale con l’ac -quisizione delle cosiddette newcapabilities, legate per esempioal cloud computing o al mondodei big data». Per individuarle,bisogna tener conto del linguag-gioe deisistemiutilizzati daigio-vani che cercano lavoro e indivi-duare nuovi modelli di parteci-pazione e di coinvolgimento de-gli attori dell’innovazione.«Quindi, oltre alla presenza suimaggiori social network, ci stia-mo anche impegnando nell’i-dentificazione delle principaliDigital Community che pro-muovono la circolazione di idee el’innovazione sociale».

A tal proposito, «LinkedIn eFacebook sono senza dubbiorealtà mainstream», concludeStefano Epifani. Per settori piùspecifici esistono i cosiddetti “so -cial network verticali”, che ten-dono a coprire settori più specifi-ci dell’universo lavorativo. Alcu-ni sono in rapida crescita, comeDioximity, dedicato allo scam-bio di informazioni professiona-li tra medici, e Spiceworks che sifocalizza sulle tecnologie infor-matiche e ha superato i 6 milionidi utenti. Senza dimenticare Ed-modo, piattaforma di e-learningper docenti e alunni, o Ral-lypoint, portale per appassionatidi armi.

MARK ZUCKERBERG L’opera The Face of Facebook dell’artista cinese Zhu Jia EDGAR SU / REUTERS / CONTRASTO

LINKEDIN, ISTRUZIONI PER L’USO

• 1. CompletezzaCompila tutte le sezioni del profilo. Includi lacarriera scolastica e, soprattutto, le esperien-ze lavorative e le competenze acquisite (assi-curati anche di linkare le aziende in cui hai la-vorato). Video, presentazioni o altri file multi-mediali sono particolarmente utili per dimo-strare, in concreto, chi sei e cosa sei in grado difare. Personalizza anche l’Url del tuo profilo:renderai la tua pagina più rintracciabile suimotori di ricerca e sarà più semplice da linka-re altrove.

• 2. ImmagineUsa una foto professionale, di alta qualità, conbuona messa a fuoco e illuminazione. Scegli-ne una che rispecchi il più possibile la tua per-sonalità (se non sei tipo da giacca e cravatta,vestiti come ti presenteresti in ambito profes-sionale) e dove il tuo viso si veda bene (meglioancora se con lo sguardo in camera o verso si-nistra, in direzione dei contenuti pubblicati).

• 3. SintesiSfrutta al massimo i tuoi titoli, descrivendoliin maniera concisa e accattivante. E riassumila tua carriera e le tue capacità nella sezione“Riepilogo”.

• 4. SelezioneEvita di includere dettagli superflui su ognilavoro che hai svolto, perfino il dog sitter.Sfrutta invece ripetutamente i tuoi punti diforza, utilizzando con intelligenza le parolechiave che li contraddistinguono.

• 5. VarietàNon limitarti a una semplice replica scarnadel curriculum. Aggiungi sezioni diverse daquelle standard: esperienze di volontariato(importantissime agli occhi dei “cacciatori diteste”), progetti, lingue straniere, premi/rico-noscimenti e anche passioni (per essere pro-fessionali non serve essere estremamente se-ri), ma non inventare nulla di sana pianta. E sehai un sito/blog inseriscine il link: chi visiteràil tuo profilo potrà conoscerti meglio e inoltre,

a livello di search engine optimization, il tuosito/blog sarà agevolato dall’ottimizzazionedi LinkedIn.

• 6. OriginalitàCerca di non essere ripetitivo, noioso e omolo-gato agli altri profili. Secondo il blog di Linke-dIn, ad esempio, tra gli aggettivi più blasonatiper descriversi ci sono responsabile,creativo,paziente,esperto,motivato, innovativoeanalitico. Meglio optare per una presentazio-ne più personale, che faccia emergere in ma-niera concisa ma esaustiva chi sei, di cosa tioccupi e cosa cerchi.

• 7. ProfessionalitàNon usare LinkedIn come Facebook: è unprofessional network, non un semplice s o-cial network. Innanzitutto personalizza ilmessaggio che appare quando chiedi unaconnessione: è un primo importante bi-glietto da visita. Poi scegli con attenzione lepersone con cui collegarti, prediligendo chigià conosci ma provando anche a espandere

la tua rete: l’algoritmo di LinkedIn favori-sce chi fa parte del network e dunque, quan-do le persone effettuano delle ricerche, i ri-sultati vengono visualizzati a seconda del li-vello di connessione (prima quelle di 1° li-vello, poi quelle di 2° e così via). Cerca di au-mentar e il numero delle tue connessioni:non solo per ampliare il tuo bacino di uten-za, ma soprattutto perché numeri alti han-no un forte impatto psicologico su chi visua-lizzerà il tuo profilo.

• 8. CredibilitàI tuoi contatti hanno la possibilità di confer-mare le tue competenze e di inviare segnala-zioni (una sorta di lettere di raccomandazio-ne) che descrivano come avete svolto il vostrolavoro. Ricevere queste attenzioni conferiscecredibilità al tuo profilo, perché fatte dallepersone con cui hai lavorato a stretto contattoè l’obiettivo da raggiungere. Prova ad attivareun meccanismo di reciprocità: interagisci congli altri e riconosci le loro capacità per far sìche ricambino il favore.

• 9. PartecipazioneIscriviti ai gruppi che più ti interessano e par-tecipa attivamente alle loro discussioni. Sce-gli, in particolare, quelli legati alla tua area dicompetenza lavorativa, ma senza trascurarealtri aspetti della tua identità (passioni, causesociali). Potrai così contattare persone chenon fanno parte del tuo network, apprendereinformazioni importanti per il tuo lavoro efarti notare. Ma attenzione a promuovere tuoiarticoli e lavori: se esagererai senza interagiresarai etichettato dagli altri come spammer.

• 10. CostanzaRicordati di aggiornare frequentemente ilprofilo, postando status e contenuti che ritie-ni interessanti (e/o collegandolo con un ac-count Twitter attivo): renderà il tuo spazio suLinkedIn vivo e dunque molto più interessan-te per chi è a caccia di talenti. Inoltre aggior-namenti frequenti ti permetteranno di appa-rire nel newsfeed degli altri utenti, aumen-tando le possibilità di attirare l’attenzione.

Selezione | Postare foto o commenti online è rischioso.Così la reputazione digitale può farvi perdere il posto

Molte aziendesi danno una vestesocial friendlyper attrarre talenti

Il 25% dei re c r u i te rha escluso candidatidopo aver visitatoil loro profilo

IL DECALOGO