Il Manifesto 26 ottobre 2013

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ANNO XLIII . N. 254 . SABATO 26 OTTOBRE 2013 OGGI CON ALIAS A EURO 2,50 CON IL QUOTIDIANO DEL MURETTO + EURO 9,90 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 Dall’Afghanistan al terzo mondo di casa nostra. Viaggio negli accampamenti dei lavoratori immigrati, privi di acqua e luce. Lo Stato non c’è. Ma Emergency apre un ambulatorio nel palazzo di un boss Non è successo DOMANI B erlusconi azzera tutte le cariche tranne la sua e «sospende le attività» del Pdl in attesa della «convergenza» di tutti su Forza Italia. Le colombe disertano l’ufficio di presidenza e non riescono a raccogliere le fir- me necessarie a fermare lo scioglimento del partito. Tutto pronto per la sparatoria finale a base di correnti e mozioni nel consiglio nazio- nale dell’8 dicembre. Alfano resta nel mezzo ma la scissione dei ministri (cattolici e di Cl) è ormai quasi inevitabile. Il messaggio è minac- cioso anche per il governo e il Pd: la decaden- za del Cavaliere dal senato «è inaccettabile». ANDREA COLOMBO |PAGINA 3 PDL «SOSPESO», TORNA FORZA ITALIA Berlusconi azzera Alfano prima della conta finale Già rimossi i cinquecento morti di Lampedusa. A Bruxelles il vertice europeo che avrebbe dovuto dare una risposta umanitaria ai profughi delle guerre si è chiuso con un nulla di fatto. 24 paesi su 28 dicono no alla riforma del diritto d’asilo. Il premier italiano Letta torna a casa «soddisfatto»: in tasca una manciata di soldi e due aerei militari per il rafforzamento di Frontex promessi da Francia e Olanda PAGINA 6 REPORTAGE L’INFERNO DI ROSARNO REPUBBLICA CECA | PAGINA 6 Oggi si chiudono le urne In ascesa c’è Babis, il «cavaliere» di Praga SFIDA ALLA MONARCHIA Le donne saudite tornano al volante MICHELE GIORGIO l PAGINA 7 Flebile denuncia del consiglio europeo sullo scandalo dataga- te. Ognuno va per sé: Francia e Germania propongono discussio- ni bilaterali con gli Stati Uniti. La commissione Libertà e affari interni del parlamento, che da settembre si occupa dello scan- dalo intercettazioni, ascolta gli ex analisti senior della National security agency. Che denuncia- no: «Si può tutelare la privacy senza sacrificare la sicurezza. Avevamo denunciato tutto in un rapporto del 2004. Se volete chiarezza cercate di ottenere quel dossier». Obama in difficol- tà a casa |PAGINE 8, 9 «Strappo» all’articolo 138 appro- vato da una maggioranza «inaffi- dabile perché nel Pdl c’è chi usa le riforme come strumento di guerriglia parlamentare. A loro dobbiamo affidare la modifica della Costituzione?». Parla il giurista Stefano Rodotà: «Nella manifestazione del 12 ottobre non abbiamo fatto le barricate. Avevamo chiesto ai parlamentari di non approvare la modifica del 138 con i due terzi dei sì per dare subito la parola ai cittadini con il referendum». «Nel Pd si è attutita la sensibilità costituziona- le. Ma spero che la consapevo- lezza cresca». Presto una nuova tappa della ’via maestra’. «Sì al dialogo, ma non cambino il pro- getto di società contenuto nella Carta, che è la forma di gover- no». «Con il corteo del 19 diffe- renze di metodi e agenda, ma un punto comune: i diritti» D. PREZIOSI |PAGINA 2 ALIAS Il viaggio in Sicilia di Frank Zappa LUCIANO DEL SETTE l ALL’INTERNO DATAGATE L’Europa a bassa voce. Ma Obama è in difficoltà COSTITUZIONE Rodotà: «C’è chi usa le riforme per la guerriglia parlamentare» LEGGE ELETTORALE | PAGINA 3 «Non ho chiuso i giochi» Napolitano corregge il tiro «Porcellinum» a gennaio LAVORO | PAGINA 5 Electrolux, in fuga il colosso degli elettrodomestici LE BARE PER I MORTI DELLA STRAGE DEL 4 OTTOBRE A LAMPEDUSA /REUTERS Anche noi di Sel non abbiamo capito che a scendere in piazza il 19 era la geografia sociale della crisi. Dobbiamo analizzare perché abbiamo sbagliato L’INTERVENTO Ciccio Ferrara pagina 15 IL PD ALLA LEOPOLDA |PAGINA 4 Pazzi per il Renzi-style Imprenditori e politici, parte la corsa del leader Letta? «Siamo diversi» RICCARDO CHIARI BIANI 5 giorni alla conclusione della campagna per il manifesto digitale http:// campagne. ilmanifesto. mobi Sottoscrivi su Mancano ancora 12.174 euro per costruire insieme il futuro di questo giornale.

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Quotidiano d'informazione

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Page 1: Il Manifesto 26 ottobre 2013

ANNO XLIII . N. 254 . SABATO 26 OTTOBRE 2013 OGGI CON ALIAS A EURO 2,50

CON IL QUOTIDIANO DEL MURETTO + EURO 9,90CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamentopostale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013

Dall’Afghanistanal terzo mondodi casa nostra.Viaggio negli

accampamentidei lavoratoriimmigrati,

privi di acquae luce. Lo Stato

non c’è. MaEmergency apreun ambulatorio

nel palazzodi un boss

Non è successo

DOMANI

Berlusconi azzera tutte le cariche trannela sua e «sospende le attività» del Pdl inattesa della «convergenza» di tutti su

Forza Italia. Le colombe disertano l’ufficio dipresidenza e non riescono a raccogliere le fir-me necessarie a fermare lo scioglimento delpartito. Tutto pronto per la sparatoria finale abase di correnti e mozioni nel consiglio nazio-nale dell’8 dicembre. Alfano resta nel mezzoma la scissione dei ministri (cattolici e di Cl) èormai quasi inevitabile. Il messaggio è minac-cioso anche per il governo e il Pd: la decaden-za del Cavaliere dal senato «è inaccettabile». ANDREA COLOMBO |PAGINA 3

PDL «SOSPESO», TORNA FORZA ITALIA

Berlusconi azzera Alfanoprima della conta finale

Già rimossi i cinquecento morti di Lampedusa. A Bruxelles il vertice europeo che avrebbe dovuto dare unarisposta umanitaria ai profughi delle guerre si è chiuso con un nulla di fatto. 24 paesi su 28 dicono no allariforma del diritto d’asilo. Il premier italiano Letta torna a casa «soddisfatto»: in tasca una manciata di soldi edue aerei militari per il rafforzamento di Frontex promessi da Francia e Olanda PAGINA 6

REPORTAGEL’INFERNO DI ROSARNO

REPUBBLICA CECA | PAGINA 6

Oggi si chiudono le urneIn ascesa c’è Babis,il «cavaliere» di Praga

SFIDA ALLA MONARCHIA

Le donne sauditetornano al volanteMICHELE GIORGIO l PAGINA 7

Flebile denuncia del consiglioeuropeo sullo scandalo dataga-te. Ognuno va per sé: Francia eGermania propongono discussio-ni bilaterali con gli Stati Uniti.La commissione Libertà e affariinterni del parlamento, che dasettembre si occupa dello scan-dalo intercettazioni, ascolta gliex analisti senior della Nationalsecurity agency. Che denuncia-no: «Si può tutelare la privacysenza sacrificare la sicurezza.Avevamo denunciato tutto in unrapporto del 2004. Se voletechiarezza cercate di ottenerequel dossier». Obama in difficol-tà a casa |PAGINE 8, 9

«Strappo» all’articolo 138 appro-vato da una maggioranza «inaffi-dabile perché nel Pdl c’è chiusa le riforme come strumentodi guerriglia parlamentare. A lorodobbiamo affidare la modificadella Costituzione?». Parla ilgiurista Stefano Rodotà: «Nellamanifestazione del 12 ottobrenon abbiamo fatto le barricate.Avevamo chiesto ai parlamentaridi non approvare la modifica del138 con i due terzi dei sì perdare subito la parola ai cittadinicon il referendum». «Nel Pd si èattutita la sensibilità costituziona-le. Ma spero che la consapevo-lezza cresca». Presto una nuovatappa della ’via maestra’. «Sì aldialogo, ma non cambino il pro-getto di società contenuto nellaCarta, che è la forma di gover-no». «Con il corteo del 19 diffe-renze di metodi e agenda, maun punto comune: i diritti» D. PREZIOSI |PAGINA 2

ALIAS

Il viaggio in Siciliadi Frank ZappaLUCIANO DEL SETTE l ALL’INTERNO

DATAGATE

L’Europaa bassa voce.Ma Obamaè in difficoltà

COSTITUZIONE

Rodotà: «C’è chiusa le riformeper la guerrigliaparlamentare»

LEGGE ELETTORALE | PAGINA 3

«Non ho chiuso i giochi»Napolitano corregge il tiro«Porcellinum» a gennaio

LAVORO | PAGINA 5

Electrolux, in fuga il colossodegli elettrodomestici

LE BARE PER I MORTI DELLA STRAGE DEL 4 OTTOBRE A LAMPEDUSA /REUTERS

Anche noi di Selnon abbiamocapito chea scendere

in piazza il 19era la geografia

sociale dellacrisi. Dobbiamo

analizzareperché abbiamo

sbagliatoL’INTERVENTO

Ciccio Ferrarapagina 15

IL PD ALLA LEOPOLDA |PAGINA 4

Pazzi per il Renzi-styleImprenditori e politici,parte la corsa del leaderLetta? «Siamo diversi»

RICCARDO CHIARI

BIANI

— 5 giorni alla conclusionedella campagna per il manifesto digitale

http://campagne.ilmanifesto.mobi

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pagina 2 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

Daniela Preziosi

P rofessor Rodotà, partiamo dalvoto al Senato sullo «strappo» -parole sue - all'art. 138 della

Carta. Per soli cinque voti al Senatosono stati superati i due terzi dei sì.Non sarà possibile fare il referendum.

Partiamo dal dato numerico: si èvisto in maniera evidente che sullamodifica dell’art.138 il consenso par-lamentare è molto modesto. La mag-gioranza non è stata compatta. Perragioni di convenienza politica?, perschermaglie interne al Pdl? Sta di fat-to che su questo passaggio gravenon si può dire che ci sia una forteconvinzione parlamentare. Bastavache pochi uscissero dall’aula o siastenessero perché il risultato fossecapovolto. E chi dice che una partedel Pdl ha votato strumentalmenteconferma che ogni passaggio delle ri-forme potrà essere caratterizzato daquesta strumentalità. Questa non èuna maggioranza cui può essere affi-data la riforma.

La parte del Pd a cui voi della ’viamaestra’ vi eravate rivolti, a parterare eccezioni, non ha risposto.La strada scelta ha attutito la sen-

sibilità costituzionale all’interno delPd. Non voglio fare polemiche per-sonali, ma sbaglia chi derubrica lamodifica del 138 a passaggio tecni-co. Non è così: è un fatto senza pre-cedenti. La riforma di Berlusconi equella dell’art.81, buone o cattiveche fossero, sono state fatte rispet-tando la regola di garanzia.

C’è chi obietta: è una procedurasospesa solo per questa volta.È un’obiezione strumentale. Ci si

batte per il voto segreto sulla deca-denza di Berlusconi con l’argomen-to che non si cambiano le regole apartita cominciata, ma in questo ca-so non vale? E dire che è stato rispet-tato «lo spirito» di quell’articolo nonsta in piedi: se cambia la procedurasi introduce una logica diversa. Sicrea un precedente. Un’altra mag-gioranza, con intenti ancora peggio-ri di quella attuale, potrebbe dire:l’abbiamo già fatto.

Un’altra obiezione: i costituentihanno stabilito che se l’approva-zione avviene con i due terzi delparlamento il referendum non ser-ve. I due terzi sono stati raggiunti.Chiedevate di contraddire un prin-cipio voluto dai costituenti?Qui c’è un difetto di informazio-

ne: le maggioranze di garanzia previ-ste dalla Costituzione facevano rife-rimento ad un parlamento elettocon il proporzionale. La presenza ditanti gruppi era garanzia al fatto chenessuno effettuasse forzature. Noisiamo passati a leggi elettorali mag-gioritarie che hanno fatto venire me-no questa garanzia, informale ma disostanza. Ricordo che all’indomanidella riforma costituzionale di Berlu-sconi fu Oscar Luigi Scalfaro a dire:dobbiamo proporre una modificaperché quella maggioranza, in regi-me maggioritario, è troppo bassa.Voglio aggiungere un’altra conside-razione: si sostiene che bisogna ria-prire canali di comunicazione fra cit-

tadini e istituzioni, e invece introdu-ciamo modifiche costituzionali sen-za che i cittadini abbiano subito lapossibilità di dire la loro.

La senatrice Puppato, presente al-la vostra manifestazione, poi havotato sì e ha detto al manifesto:i costituenti avevano più fiducianel parlamento dei costituzionali-sti della ’via maestra’.Appunto, la considerazione che

Puppato non fa è che in filigrana del-la Costituzione c’è la legge propor-zionale. Oggi alla Camera con il 25per cento si prendono 340 seggi: madov’è la garanzia? Da parte nostraverso le camere c’era una forte spe-ranza, più che fiducia: un parlamen-to consapevole di come è stato costi-tuito deve lasciare ai cittadini la pos-

sibilità di intervenire. Non abbiamofatto le barricate, ma invitato i parla-mentari a riflettere.

La stessa richiesta fu rivolta nelcorso della modifica dell’art.81,l’introduzione del pareggio di bi-lancio in Costituzione.E anche allora non fu ascoltata. I

cittadini sono stati tagliati fuori inun passaggio che secondo alcuni al-tera di molto la logica costituziona-le. Ci dicono che quella era una que-stione di sostanza, e forse avevamoragione, ma questa di oggi invece èuna questione di procedura: no, è lagaranzia delle garanzie.

Quello di mercoledì è stato in fon-do un nuovo voto di fiducia alle lar-ghe intese. Tant’è che chi ha vota-to no da destra, lo ha fatto per ’av-vertire’ il governo Letta.Questo conferma che la riforma è

nelle mani di chi la adopera comestrumento di guerriglia parlamenta-re per le faccende interne ai singolipartiti. Come si può affidare la rifor-ma a chi punta a salvare la maggio-ranza e non guarda al merito?

Vi aspettavate di più da quel-l’area critica del Pd che invece fa-tica, tranne poche eccezioni, apraticare il proprio dissenso?Questi sono affari loro. Per me chi

è venuto in piazza il 12 ottobre ha di-mostrato che il tentativo di mettereinsieme una coalizione sociale -non un partito - è stato percepito an-che da chi sta nei partiti, che nonl’ha vista come un’aggressione. Inpiazza c’erano quelli molto criticicon le modalità di funzionamentodel Pd, che ora possono trarre forzadalla legittimazione che viene daicittadini. Nel Pd questi parlamenta-ri sono pochi, ma la loro presenza èimportante. Speriamo che fra loroquesta consapevolezza cresca.

Il presidente Napolitano ha detto:«Per far vivere la prima parte dellaCostituzione bisogna far vivere laseconda». È d’accordo?Dipende dalle modifiche. Il rap-

porto fra la prima e la seconda partedella Carta è una discussione apertada tempo. La Costituzione non sipuò tagliare a fette. Modificare la se-conda può avere effetti sulla prima.Se per esempio si modifica il proce-dimento legislativo in modo da di-minuire le garanzie, o si intervienesulla magistratura intaccando lasua indipendenza, succede che laprima parte formalmente non è sta-ta toccata, ma sostanzialmente sì.La stessa riforma dell’art.81 agiscepesantemente sulla tutela dei dirittiprevisti nella prima parte. La miadomanda è: in che modo modifiche-ranno la seconda parte?

Le riforme saranno materia di di-scussione dei prossimi mesi. OraLuciano Violante vi ha invitato aldialogo. Accetterete?Nessuno di noi si è mai chiuso al

dialogo. Al contrario, abbiamo cer-cato di rendere la discussione aper-ta e libera, lasciando anche spazioadeguato anche ai cittadini. Noi, in-tendo noi organizzatori della mani-festazione ’la via maestra’, ora lavo-riamo a individuare le questioni dimerito all’ordine del giorno dellacommissione dei 42. Benvenuta ladisponibilità alla discussione, mi au-guro che non ci saranno più le chiu-sure verificate finora. Soprattuttomi auguro che sia mantenuto il pro-getto di società che sta dentro la Co-stituzione. Che è fortemente colle-gato alla forma di governo.

Dopo la manifestazione del 12 ot-tobre c’è stata quella del 19, suldiritto all’abitare. C’è un collega-mento fra le due piazze?Il collegamento è nelle cose. C’è

stato un tentativo di descrivere quel-la manifestazione solo come un ri-schio per l’ordine pubblico. Ma an-che un critico molto severo come ilgiudice Giancarlo Caselli, in alcunicasi giustamente severo sull’uso dimetodi violenti, ha messo in eviden-za il carattere pacifico e serio diquella manifestazione, che non èstata inquinata da altro. In quellapiazza è stato individuato uno deidiritti fondamentali di cittadinan-za, quello dell’abitazione. Forse daparte dei manifestanti del 19 otto-bre c’è una sottovalutazione del-l’importanza delle garanzie costitu-zionali. Noi, il 12, avevamo comepunto di riferimento la necessità dimantenere in piedi il quadro com-

plessivo delle garanzie democrati-che: se questo viene incrinato, an-che la possibilità di affermare speci-fici diritti finirebbe limitata. Manon c’è alcuna incompatibilità frale due manifestazioni, come qualcu-no ha provato a dire. Ci sono affer-mazioni, scelte di metodo e di agen-da che possono non coincidere. Mail punto è comune.

C’è chi ha detto: quella del 12 ot-tobre era la manifestazione di chii diritti li ha, quella del 19 di quelliche non ce l’hanno. Cerchereteun dialogo?Sono sempre sospettoso con let-

ture del genere. La presenza o l’as-senza della Fiom non è fatto chepossa essere liquidato con leggerez-za. La Fiom non difende solo i dirit-ti di quelli che ce l’hanno. Anzi suiluoghi di lavoro fa la battaglia perchi i diritti li ha persi. Evitiamo vec-chie polemiche, o ragionamentiche rischiano di essere giochini. Og-gi è necessario affermare la dimen-sione dei diritti in tutta la sua pie-nezza.

Quale sarà la prossima tappa del-la ’via maestra’?Ci stiamo lavorando. Stiamo

prendendo atto delle moltissimesuggestioni arrivate dalle molte par-tecipazioni, individuali e collettive.Ci faremo vivi nei prossimi giorni.

ROMA

C’è voluto l’intervento del presidente Rodol-fo Sabelli, che ha aperto ieri il 31esimocongresso dell’Associazione nazionale

magistrati, per far mettere momentaneamente daparte le divisioni interne tra berlusconiani, e spin-gerli tutti a riprendere il coro antigiudici. EppureSabelli ha sì criticato il fatto che il dibattito sullagiustizia si sia «concentrato su pochi processi cele-brati nei confronti di alcuni personaggi politici,con corredo di polemiche, propaganda e denigra-zioni», chiedendo di mettere fine agli «scompostiattacchi alle sentenze», ma ha anche affrontato ilproblema dei «rischi di confusione tra funzionegiudiziaria e attività politica». Criticando quei «ca-si di esposizione mediatica che hanno provocatosconcerto nella magistratura e nell’opinione pub-blica, con conseguente appannamento dell’imma-gine di imparzialità e del decoro della giurisdizio-ne». Niente nomi, da parte del presidente, ma gliidentikit di Silvio Berlusconi da una parte e di An-tonio Ingroia dall’altra possono dirsi riconoscibili.

Le reazioni della cerchia del Cavaliere sono arri-vate subito, e tutte hanno avuto come leit-motivl’urgenza della «riforma della giustizia». Non me-glio chiarita, ma alle truppe berlusconiane, «leali-ste» o «moderate» che siano, non è sfuggito l’impe-gno del governo a un’iniziativa di legge nel solcodelle proposte del «saggi» nominati a marzo da Na-politano. Proposte che vanno da una limitazionedel diritto di intervento pubblico dei magistrati a

un freno alle intercettazioni, da un ridimensiona-mento del Csm alla previsione di una sezione disci-plinare esterna per i magistrati. Tutte cose che Sa-belli, nella sua relazione, ha giudicato negativa-mente. Aggiungendo però che serve una «normati-va rigorosa» per regolare «con maggiore decisio-ne» l’accesso delle toghe alle cariche elettive.Quanto alle riforme, la ministra della giustizia Can-cellieri dal palco del congresso ha specificato chesi tratterà di proposte sul processo civile e sul pro-cesso penale, un ambito dunque più ristretto - epiù urgente - rispetto a quello proposto dai «saggi»e gradito al Pdl. Sui codici di rito sono al lavoro damesi le commissioni insediate dalla Guardasigilli.

Intanto l’Anm avanza la proposta di abolire il re-ato di immigrazione clandestina, per Sabelli «pale-semente inutile e dannoso». Inutile dire il centro-destra non gradisce. Interessante invece che dalconsesso di magistrati non sia arrivata una nettachiusura verso l’amnistia e l’indulto, consideratipiuttosto come «strumenti di emergenza» che pos-sono essere presi in considerazione ma solo dan-do la precedenza ad altre misure di «depenalizza-zione e decarcerizzazione» e con l’avvertenza chela clemenza «tenga in debito conto le vittime e fa-vorisca azioni riparatorie e il reinserimento delreo». Fino a qui si è spinto Sabelli. Nel dibattito opi-nioni divergenti, dalla netta chiusura del giudice(ex del pool Mani Pulite) Piercamillo Davigo all’in-vece accorato appello perché la magistratura «sifaccia carico del dramma del carcere» dell’ex presi-dente della Corte Costituzionale Giovanni Flick.

POLITICA

Riforme • Parla il costituzionalista della ’via maestra’: nel Pd pochi dissensi, speroche la consapevolezza cresca. E ora la nostra battaglia entrerà nel merito

«Abbiamo chiestouna riflessione, nonfatto le barricate».«Sui diritti dialogocon il corteo del 19»

Il professore Rodotà: «Strappo all’art.138, la maggioranza si èassottigliata, per pochi voti si poteva dare la parola ai cittadini.I giochini del Pdl dimostrano che le modifiche costituzionali sifaranno con chi le usa come strumenti di guerriglia parlamentare»

Giustizia/ IL CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI

Anm, critiche ma anche autocriticheAperture su amnistia e immigrazione

«LaCarta inmanoagli inaffidabili»

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SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 3

Eleonora Martini

I l primo passo per l’introduzione del reatodi tortura anche nell’ordinamento italia-no finalmente è stato compiuto. Ieri la

commissione Giustizia del Senato ha licenzia-to definitivamente il nuovo testo di legge mes-so a punto dal relatore Nino D’Ascola (Pdl),anche se nessuno sa dire ora quanto tempo ri-marrà nel cassetto prima che l’Aula si decidaa calendarizzarne la discussione. Ma la confi-gurazione del reato, nel ddl che ha trovato laquadra in commissione, non corrisponde af-fatto alla definizione della Convenzione Onusulla tortura – che parla di reato specifico com-piuto da pubblico ufficiale, e non generico, os-

sia commesso da chiunque - il cui Protocolloè stato ratificato dall’Italia poco più di un an-no fa. Proprio per questo il senatore Pd LuigiManconi si dice «per nulla soddisfatto»: «Chefosse reato proprio, cioè commesso da chiesercita pubblico servizio, era davvero irrinun-ciabile perché – spiega Manconi – si tratta ap-punto di definire la tutela di coloro che si tro-vano in uno stato di privazione della libertà,anche per decisione legittima».

Eppure, se fosse stato già legge, il testo cheieri ha ottenuto anche il via libera dalla com-missione Bilancio (pur se amputato del fondoa sostegno delle vittime), i poliziotti condan-nati per le violenze nella caserma Diaz, a Ge-nova nel 2001, avrebbero rischiato fino a 18

anni di carcere. Il ddl emendato infatti preve-de il carcere da tre a dieci anni per chiunque«cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche»ad una «persona privata della libertà» o «affi-data alla sua custodia o autorità o potestà o cu-ra o assistenza»; se a torturare è un pubblicoufficiale la reclusione va da quattro a dodicianni. E se si causano lesioni personali, la penaaumenta: di un terzo se sono «gravi», della me-tà se «gravissime». L’ergastolo in caso di mor-te volontaria. Il terzo dei sette articoli che com-pongono la legge vieta «il respingimento,l'espulsione o l'estradizione di una personaverso uno Stato nel quale esistano seri motividi ritenere che essa rischi di essere sottopostaa tortura».

POLITICA

Andrea Colombo

La battaglia finale è inizia-ta. Salvo sorprese si con-cluderà con una scissione

del Pdl. Non è detto però chetra quelli che si separeranno dalcapo e fondatore ci sia anche illoro capo e massimo rappresen-tante, Angelino Alfano. Ieri l’Uf-ficio di presidenza (senza le co-lombe) ha «sospeso le attività»del Pdl e azzerato le cariche. Ladecisione finale spetterà al Con-siglio nazionale, convocato perl’8 dicembre, in contempora-nea con le primarie del Pd.

Il vicepremier, con tutta la de-legazione governativa al segui-to, ha cercato fino all’ultimo diconvincere Berlusconi a rinvia-re la riunione dell’ufficio di pre-sidenza convocata ieri per le 17con all’odg l’avvio del passag-gio dal Pdl a Forza Italia. I «go-vernisti» intendevano raccoglie-re in calce a un loro documen-to, che Alfano avrebbe poi do-vuto presentare a Berlusconi,le firme necessarie per dimo-strare che al Consiglio naziona-le del Pdl non ci sarebbe statala maggioranza dei due terzi ne-cessaria per modificare radical-mente il partito. Non ce l’han-no fatta e inutili sono stati an-che i tentativi di Alfano .

«Ho già perso la faccia il 2 ot-tobre quando non avete votatola sfiducia. Non intendo farlo dinuovo», avrebbe spiegato Berlu-sconi. Indorando però subitodopo la pillola: «Non voglio fareniente contro di te, Angelino».Promesse troppo aleatorie perchi sa di essere al primo postonella lista nera dei falchi che,con l’azzeramento delle carichee il passaggio a Forza Italia,

prenderanno di fatto in mano leredini del partito.

Quindi Alfano e i ministri han-no deciso di disertare una riu-nione nella quale, data la spro-porzione massiccia dei numeria favore dei falchi, i giochi era-no già fatti. «È il mio modo dicontribuire all’unità del partito,che mai ostacolerò per ragioniattinenti al mio ruolo persona-le. Il tempo che ci separa dalConsiglio nazionale consentiràa Berlusconi di lavorare per otte-nere l’unità del movimento». Pa-role molto diplomatiche e unpo’ melliflue, in cui la minacciaè peraltro esplicita. Sta al capomettere le cose in modo tale daevitare una scissione.

Berlusconi ha raccolto in mi-nima parte l’invito a non chiu-dere definitivamente le porte.Al termine della riunione haconfermato la fiducia in Alfano,al quale si è detto legato da «sti-ma, affetto e amicizia». Ha assi-curato che, nonostante il dissen-so, potrà ancora essere il suo

successore. Ha quasi giustifica-to la scelta dei senatori di votarela fiducia spiegandola con la pa-ura di andare al voto (e perdereil posto). Ha minimizzato la de-fezione delle colombe dalla riu-nione. Però di fatto ha azzeratole cariche, togliendo la segrete-ria ad Alfano e assumendo tuttoil potere in prima persona. Ilpasso che le colombe intendeva-no a ogni costo evitare.

La scissione si profila dunquesempre più come inevitabile, ea questo punto è davvero a unsoffio. La mano finale si gioche-rà nel Consiglio nazionale, per-ché questo recita lo statuto delPdl e per la prima volta, avent’anni dalla sua nascita, ilpartito berlusconiano deve in-contrarsi, o scontrarsi, con lepratiche della politica: congres-si, mozioni contrapposte, voti,lavorìo per assicurarsi la mag-gioranza. Ma in quella sede i du-ri dovrebbero poter contare suuna maggioranza certa (ancheperché immaginare che la mag-

gior parte del consiglio si schiericontro il capo e fondatore non èfacile). E di arrivare a una me-diazione con i nemici non han-no alcuna intenzione. Berlusco-ni ancora media. Per loro inve-ce la parola d’ordine è «nienteprigionieri».

Nella breve riunione dell’uffi-cio di presidenza Berlusconi èandato giù secco sul passaggioa Forza Italia, ma ha ancheescluso colpi di mano contro ilgoverno. La nota ufficiale, in ef-fetti, conferma sì il sostegno aLetta, però «nel rispetto degliimpegni programmatici assuntial momento dell’insediamen-to». Un giro di parole per ribadi-re che nuove tasse, in particola-re sulla casa, comporterebberoil passaggio della nascente For-za Italia all’opposizione e di con-seguenza la scissione.

Il passaggio più minaccioso èperò quello in cui viene definita«inaccettabile» l’espulsione diBerlusconi dal Parlamento. Se aquel voto si arriverà prima del-l’8 dicembre, sarà quello il casusbelli finale. L’area di Comunio-ne e Liberazione, che di fatto la-vora da tempo a un progetto al-ternativo a quello di Forza Ita-lia, ha già ribadito, con Lupi eFormigoni, che alla decadenzanon conseguirà la sfiducia. I fal-chi, ieri, hanno assunto la lineaopposta. Alfano sta in mezzo.Per ora, nonostante tutto, Berlu-sconi lascia le porte aperte al fi-gliol prodigo. Ma se in quel votosi schiererà contro di lui, se re-sterà alleato dei «carnefici» quel-le porte si chiuderanno per sem-pre. Di qui a quel momento, ose il voto slitterà ancora di qui al-l’8 dicembre, Alfano ha tempoper scegliere da che parte stare.

Ritorni • Il cavaliere avvia il passaggio alla sua vecchia creatura. Scontro frontalecon le colombe, che però non hanno i numeri. Conta finale l’8 dicembre

Andrea Fabozzi

Secondo il presidente della Repub-blica ci sono due mesi e mezzo ditempo, non di più. La nuova legge

elettorale va approvata, almeno dal sena-to, entro metà gennaio. Per quella datarealisticamente la Corte Costituzionaledovrebbe dire la sua nel caso, ritenutoprobabile, il 3 dicembre sarà ammessala questione di costituzionalità sollevatadalla Cassazione sul Porcellum. Ieri Gior-gio Napolitano ha ricevuto due dei quat-tro gruppi di minoranza, Sel e Fratellid’Italia; Movimento 5 Stelle e Lega han-no rifiutato l’invito (che pure avevanochiesto). Al termine una nota del Colle èapparsa come una correzione di rotta ri-spetto al vertice tra maggioranza e gover-no che il capo dello stato aveva prece-dentemente ospitato al Quirinale. «I col-loqui di venerdì avevano il medesimo ca-rattere puramente informativo, era statadata loro la precedenza per il ruolo chehanno nella discussione in corso».

Nessuna regia del Quirinale, giura Na-politano, ma solo la sollecitazione che«prima dell’udienza della Corte Costitu-zionale fissata per il 3 dicembre il parla-mento affermi il suo proprio ruolo, inter-venendo almeno a modificare la legge vi-gente nelle norme su cui la Consulta haespresso più di una volta riserva di costi-tuzionalità». Si tratta della ben nota que-

stione della mancanza di una soglia mi-nima cui legare il premio di maggioran-za. Su questo Pd, Pdl e Scelta civica han-no trovato un’intesa: il premio alla came-ra resta lo stesso (340 seggi minimo), arri-va anche al senato a livello nazionale(170 seggi, ma con un possibile nuovoproblema di costituzionalità), la soglia èal 40% dei voti. Ma nella bozza di intesapresentata venerdì in prima commissio-ne, poche ore dopo il vertice la Quirina-le, resta aperta la questione su come pro-cedere nel caso nessuna coalizione, co-me a febbraio, raggiunga il 40%. Il Pd,sull’onda dell’offensiva di Renzi con ilquale Napolitano si è direttamente con-frontato a Firenze, spinge per un ballot-taggio tra i primi due classificati. Il Pdl,da sempre ostile al doppio turno, vorreb-be un premio più basso per chi arriva al-meno al 35%. In ogni caso l’architetturadella legge è congegnata in modo da tu-telare i primi tre partiti, e anche la Legaper la quale è prevista un’eccezione «ter-ritoriale» allo sbarramento. Persino i gril-lini, che non disdegnano il Porcellum,potrebbero farsi andare questa sorta diPorcellum rivisitato, al limite anche nellaversione con il ballottaggio visto che lascissione nel Pdl metterebbe i 5 Stellenella condizione di poter sfidare diretta-mente il Pd.

Nessuna forzatura, garantisce ora ilColle, alla capogruppo di Sel LoredanaDe Petris che gli fa notare come la leggeelettorale non possa essere «affare dellasola maggioranza». Per i vendoliani unoschema come quello dei relatori in com-missione Lo Moro e Bruno è evidente-mente cupo: i collegi molto piccoli alza-no artificiosamente la soglia di sbarra-mento, lo stesso fa il mancato recuperonazionale dei resti. Napolitano allora sispiega, e ai grillini dice che è disponibilea incontrarli malgrado gli attacchi «scor-retti e ingiuriosi» (Grillo ha curiosamen-te messo in mano agli avvocati la proce-dura - parlamentare - di impeachment).Non ci sono, dice il presidente, «giochigià fatti». Ma una conclusione obbligataquella sì, in due-tre mesi al massimo.

ROBERTO FORMIGONI«La separazione tra Berlusconi e Alfano èdolorosa. Il Cavaliere è il punto di riferimentodella nostra storia, ma anche Alfano ha un ruoloimportante. Temo che l’ufficio di presidenza siala rivincita della fiducia al governo»

SENATO · L’ok della commissione al reato generico. Ma per i poliziotti pene fino a 18 anni

Tortura, primo sì. Ma senza la convenzione Onu

FORZA ITALIA · Pdl «sospeso» in attesa dello scontro finale. Il vicepremier perde la segreteria

Berlusconi azzera Alfano

TREGUA ARMATA

RAFFAELE FITTOAllevato alla scuola Dc, l’ex governatorepugliese sta già raccogliendo le 600 firmenecessarie per lo scioglimento del Pdl. Sfidagià partita in 5 regioni: Lazio, Lombardia,Puglia, Campania e Toscana.

ANGELINO ALFANO«Il mio contributo all’unità, come hanno fattoaltri, è di non partecipare all’ufficio dipresidenza. Il tempo che ci separa dalconsiglio nazionale consentirà a SilvioBerlusconi di lavorare per ottenere l’unità»

LEGGE ELETTORALE

Napolitano si corregge«Niente giochi già fatti»Ma dà 2 mesi al senato

FOTO EMBLEMA

Page 4: Il Manifesto 26 ottobre 2013

pagina 4 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

Riccardo ChiariFIRENZE

L’ottimismo è il sale della vi-ta. E lo slogan “Benvenutinella terra degli entusia-

sti”, che accompagna sul web iltam tam per la Leopolda 2013, sem-bra calzare a pennello per MatteoRenzi, il cui umore migliora in pa-rallelo alle convulsioni del Pdl e al-le conseguenti difficoltà del gover-no Letta. L’inizio vero e proprio del-la convention è stato alle alle 21, su-bito dopo la fine del collegamentocon Lilli Gruber su La7 a Ottoemez-zo. Ma già nel tardo pomeriggioc’erano centinaia di persone in filaper entrare nei grandi spazi dell’ex

stazione di Porta a Prato, dove pertre giorni si cercherà di «Dare unnome al futuro», così come recitalo slogan della kermesse. Il nome,va da sé, è quello di Renzi.

L’obiettivo ufficiale della quartaLeopolda è il lancio della campa-gna per conquistare la segreteriadel partito: «Cade nel mezzo delpercorso congressuale del Pd - cer-tifica Giorgio Gori - e quindi risen-te dell’ambizione di una comunitàpolitica che deve fare un passo inavanti verso la leadership del parti-to, e dare concretezza alle idee cheabbiamo messo insieme in questianni». Il “televisivo” Gori l’annoscorso gestì dal palco l’edizioneBig Bang, e ieri sera sedeva al tavo-lo che si occupa di reti e di agendadigitale. Uno dei “tavoli tematici”che rappresentano la novità di que-sta edizione. Un’idea mutuata dal-le esperienze della legge regionaletoscana sulla partecipazione. Ma

applicata in puro Renzi style.«Si tratta - spiega il sindaco - di

cento tavoli di lavoro con un parla-mentare o un amministratore re-sponsabile della discussione, e conun confronto/scontro sui singoli ar-gomenti. Un’occasione per discute-re vera, seria, non banale. Non cifermiamo agli slogan, ma appro-fondiamo e proponiamo. Gli argo-menti? I più svariati: dall’Europa al-la previdenza, dall’Expo alla giusti-zia, dalle carceri all’integrazione,dalle tasse al lavoro. Alla fine perciascun tavolo mezza paginetta diproposta concreta, di sintesi effica-ce». La curatrice di questa edizio-ne, Maria Elena Boschi, deputata erenziana della prima ora, specifica:«Sono gruppi di lavoro formati da10-12 persone al massimo. La cosabella è che parteciperanno anchegiovani italiani che vivono all’este-ro. Chiunque può aggregarsi, leporte sono aperte a tutti. Tra gliospiti ci saranno anche BrunelloCucinelli, Andrea Guerra di Luxotti-

ca, Oscar Farinetti di Eataly, GuidoGhisolfi e Riccardo Bonacina, no-mi nuovi per la Leopolda, che por-teranno contributi interessanti».

Il confronto “libero” e “alla pari”si svolge con una nutrita pattugliadi parlamentari arrivati da Roma, econ l’altrettanto robusta presenzadi amministratori pubblici reducidall’assemblea dell’Anci. Fra que-sti ultimi non mancano all’appun-tamento il torinese Piero Fassino, ilbarese Michele Emiliano e il presi-dente ligure Claudio Burlando. DaStrasburgo arriva Davide Sassoli,mentre per la componente fashionhanno già annunciato la presenzagli scrittori Alessandro Baricco eEdoardo Nesi, fresco ex di Scelta ci-vica, e Antonio Campo Dall’Orto.«Finita l’esperienza di Monti den-tro e fuori al parlamento - rivela ilpratese Nesi, già accreditato comefuturo sindaco della città laniera -le persone con le quali mi trovo me-glio sono i renziani. Se Scelta civicafinisce qui, l’unica possibilità di ri-

formare l’Italia è Renzi!. A lui ilcompito di presiedere il tavolo su“cultura e made in Italy”.

Per oggi però si torna all’antico.Con le relazioni sugli argomenti ap-profonditi ai tavoli ma soprattuttocon gli interventi, di quattro minu-ti al massimo, dal palco. Compresoprobabilmente quello di Gugliel-mo Epifani: «Sono stato invitato -ha spiegato il segretario Pd - e pen-so sia giusto partecipare e soprat-tutto ascoltare». Fra i big del parti-to tricolore sono attesi anche i mi-nistri Dario Franceschini e Grazia-no Delrio, che appoggiano Renzinella partita congressuale e loascolteranno nell’intervento con-clusivo di domani. Intanto teleca-mere e taccuini scandagliano giàgli umori dei presenti. I commentivanno da «Renzi è un giovane, me-rita spazio», a «Spero faccia una ri-voluzione nel partito». E alla do-manda diretta: «Se vince Renzi, Let-ta rischia?», la risposta è: «Probabil-mente sì».

Ugo Mattei

Oggi a Bussoleno in Val Su-sa la Costituente per i be-ni comuni - che dal 15

aprile scorso partendo dal Tea-tro Valle occupato è passata perL’Aquila, Pisa, Roma e Padova -incontra il movimento No Tav.

Il territorio valsusino è il teatrodi una battaglia che in molti con-siderano come un laboratoriogiuridico nazionale della repres-sione e della resistenza che ne-cessariamente seguirà all’incapa-cità politica di articolare un’usci-ta dalla crisi economica che pon-

ga fine alla macelleria sociale.Per questo, date le incertezze pre-cedenti la giornata romana del19 ottobre scorso, una qualchepreoccupazione aveva accompa-gnato la preparazione dell’assem-blea, che ha infine trovato acco-glienza nel quadro rassicurantedelle prestigiose iniziative del«Grande Cortile». Non a caso il te-ma affrontato a Bussoleno è quel-lo delle grandi opere, della parte-cipazione decisionale, delle co-munità di riferimento nel gover-no dei beni comuni (chiuse oaperte? Originarie o allargate?)del loro diritto di resistenza afronte di una repressione penalesempre più forsennata.

Il legame fra movimento NoTav e beni comuni è ormai artico-lato da tempo. Nel luglio 2011 aTorino un lungo corteo di 25.000persone si mosse dietro uno stri-scione con la scritta «Il No Tav èun Bene Comune». Difficile nega-re che un movimento così coeso,ampio e resistente, che fa della ri-cerca e della contro-informazio-ne la cifra della sua azione, inter-preti in modo impeccabile la no-zione ben articolata per cui «ilterritorio» costituisce il bene co-mune primario, che le popolazio-ni hanno il diritto-dovere di di-fendere nei confronti della mici-diale tenaglia fra privato e pubbli-co che tende viceversa a sfruttar-lo nell’interesse di pochi. Diffici-le è anche negare che le grandiopere siano la quintessenza diquesto modello istituzionale«estrattivo» e che il loro rifiutomotivato e attivo costituisca di

per sé un un bene comune, inquanto presupposto per diversie più «generativi» utilizzi delle ri-sorse. In parole semplici, i denariche non si gettano nelle grandiopere possono essere utilizzatiper la microcura del territorio.

Ora, una certa inflazione dellalocuzione beni comuni - soprat-tutto gli evidenti tentativi di svuo-tarne il senso politico autentico-, hanno fatto emergere diverseposizioni critiche della stessafruibilità politica della nozione.Ne segue che la capacità di arti-colare seriamente in chiave giuri-dico-istituzionale l’ampio aggre-

gato problematico che si racco-glie intorno alla miriade di lottedei «beni comuni» è cruciale.

La questione della soggettivitàgiuridica collettiva e della suacompatibilità con le struttureprofonde, individualistiche e ver-ticali, della modernità giuridica èsul tappeto in Valsusa. Qual è lacomunità che legittimamenterappresenta i beni comuni? Qua-li sono le dinamiche inclusive edesclusive che la caratterizzano?In che modo una tale comunitàproduce dal basso un diritto legit-timo, ancorché non di rado incontrasto con la legalità formale

del potere costituito (e dunquein questo senso è costituente)?

È noto come il diritto di resi-stenza non fu mai un diritto indi-viduale della persona ma sem-pre una manifestazione politicadi collettività organizzate (moltospesso comuni pre-moderni) odi «magistrature inferiori» (comescriveva Machiavelli) capaci di re-sistere l’abuso del potere sovra-no. Chi sono oggi queste «magi-strature inferiori»? Come si resi-ste contro l’abuso del potere co-stituito? Quali sono i limiti dellaforza utilizzabile per contrastar-lo efficacemente? Sono queste al-cune delle domande che i giuri-sti impegnati in un tentativo diistituzionalizzazione dei beni co-muni, non velleitario ma neppu-re puramente cosmetico, dovran-no porre interrogando la prassidel territorio Valsusino.

Dovremo poi tornare a riunir-ci al Teatro Valle Occupato perrestituire ai territori una teoria ca-pace di costituirsi in pars con-struens di lotte sociali che nonpossono più permettersi di vive-re senza una visione lunga.

Nel giorno in cui al ColorificioToscano la magistratura pisanaassiste allo sgombero da essastessa fondato su una lettura in-colta del diritto civile e del suorapporto con quello penale, il va-lore della riflessione condottadalla Costituente per i beni co-muni è ancor più evidente. An-che perché gli appelli alle forzepolitiche costituite affinché ri-spettino la Costituzione non sem-brano dare i frutti sperati.

POLITICA

ANONYMOUS«Tango Down», attaccati i sitidella regione Piemonte e del Mise

Continua l’«operazione payback» di Anonymous Ita-lia in solidarietà con il movimento No Tav. Ieri glihacker hanno oscurato il sito del ministero dell’Eco-nomia e quello del ministero dei Trasporti e delloSviluppo Economico. Su twitter il gruppo ha annun-

ciato anche di avere oscurato i server del Csi, il Consorzio per il Sistema Informativopiemontese a cui sono collegati i siti web di 106 istituzioni. Inaccessibili, tra gli altri,i portali di Consiglio e Giunta della Regione Piemonte, così come quello della Città edella Provincia di Torino e di molte Asl. Sul blog del gruppo sono stati pubblicati gli«screenshots» che mostrano il «tango down» del sito del Ministero delle Infrastruttu-re, della regione Piemonte e del ministero dello Sviluppo economico. Sabato 19,durante la manifestazione a Roma, Anonymous aveva oscurato i siti della Corte deiconti e della Cassa Depositi e Prestiti. «Attivisti NoTav, siamo con voi - scrive Anony-mous in un post pubblicato sul blog - Respiriamo l'aria densa di repressione che viperseguita da anni, inquinata da pennivendoli, servi in divisa, magistrati corrotti, poli-ticanti dalle avide fauci. Onore alla vostra determinazione, al vostro coraggio, al-l'amore per le vostre terre, ai vostri animi combattivi».

DEMOCRACK · Ieri il lancio della Leopolda 4, entusiasmo per il futuro segretario. Domani tocca a lui

Renzilandia è fredda con Letta

RICERCATORI AL CNR

Sì a «eccellenze»mentre in 1.100rischiano il posto

DECRETO SCUOLA

Il bonus maturitàè stato ripristinato

Roberto Ciccarelli

I l 17 ottobre il ministro del-l’Istruzione, università e ri-cerca Maria Chiara Carroz-

za ha firmato un decreto chepermette agli enti di ricerca con-trollati dal Miur di assumereper chiamata diretta, cioè senzaconcorso, ricercatori e tecnolo-gi italiani e stranieri «dotati di al-tissima qualificazione scientifi-ca» e che si sono conquistati ri-conoscimenti a livello interna-zionale. Lo stanziamento previ-sto è di 1.613 milioni di euro e ri-sale ad un decreto legislativodel 31 dicembre 2009 (numero213).

In un paese normale, con unsistema universitario e di ricer-ca pienamente funzionante e fi-nanziato dallo Stato questa cir-costanza non dovrebbe destaresorpresa. In un paese come l’Ita-lia, dove l’istruzione ha subitoun taglio di 10 miliardi di euro,invece sì. Il decreto sugli «eccel-lenti» ha infatti il sapore dellabeffa. Solo al Consiglio Naziona-le delle Ricerche (Cnr), il piùgrande ente di ricerca italiano,ci sono 1100 precari (tra ricerca-tori e tecnologi) che rischiano illicenziamento con la conversio-ne in legge del «decreto 101»che porta il nome del ministrodella pubblica amministrazioneGiampiero D’Alia.

Chi, tra loro, non ha matura-to al 1 settembre un’anzianitàdi tre anni continuativi al servi-zio della pubblica amministra-zione non potrà partecipare alconcorso che il governo Letta siaccinge a bandire per assumere120 mila precari. Al Cnr, sonomolti i precari che non hannomaturato l’anzianità richiestaentro quella data. Eppure lavo-rano da anni in posizioni fonda-mentali e hanno superato con-corsi e prove di selezione. Se-condo i calcoli dei sindacati que-sta condizione riguarda tra i 40e i 70 mila precari nella PA.

Al Cnr, la sovrapposizione trai due provvedimenti è casuale,anche se insospettisce la frettacon la quale è stato bandito ildecreto e il termine del 28 otto-bre, data entro la quale i diretto-ri di istituto dovranno comuni-care i nominativi dei ricercatori«eccellenti». Ciò che è parados-sale è che il testo sia stato firma-to dal ministro Carrozza neglistessi giorni in cui si discute del-la legge di stabilità che blocche-rà il reclutamento negli enti di ri-cerca, nelle università o nellascuola fino al 2018, mentre il de-creto D’Alia rischia di fare unastrage tra i precari.

Il blocco dei contratti, quellodel turn-over e il taglio del per-sonale vengono consideratiinaggirabili dal governo. Al pun-to da discriminare tra precari eidonei ed escludere dal ruoloche gli spetta persone che lavo-rano da anni e sono insostituibi-li. Siamo giunti al paradosso percui l’unico modo per riuscire alavorare da ricercatore in Italiaè attendere provvedimenti stra-ordinari che aggirano le normeimposte dall’austerità. Un’op-zione che può premiare senz’al-tro pochi «meritevoli» ma esclu-de migliaia di persone che sa-rebbero state già assunte se nonci fossero i vincoli di bilancio.

Il decreto D’Alia sarà approva-to dal Senato entro il 30 ottobre.Gli enti di ricerca sono in rivoltada giorni e i loro precari hannoorganizzato un’assemblea mar-tedì 29 all’Isfol a Roma.

Dopo essere stato cancella-to il 9 settembre scorso,mentre erano in pieno

svolgimento i test di accesso allefacoltà di medicina in tutto il pa-ese, la Commissione Cultura al-la Camera ieri ha ripristinato il«bonus maturità». L’emenda-mento al Decreto Istruzione (inaula alla Camera lunedì) è statopresentato da cinque deputatiPd (Bonafé, Malpezzi, Manzi,Pes e Raciti) e reintegra per que-st’anno un pacchetto di puntida 1 a 10 da aggiungere a quelliottenuti ai test d’ingresso alle fa-coltà a numero chiuso. Ciò daràla possibilità ai 2 mila «sovrannu-merari» esclusi dalle graduato-rie di iscriversi ai corsi.

Frutto degli sforzi legislativi diben quattro ministri, il «bonus»era stato cancellato dal ministrodell’Istruzione Carrozza a causadelle storture e anomalie che di-scriminano l’accesso degli stu-denti all’università. Ora il partitodello stesso ministro lo ripristi-na «per sanare un’ingiustizia - siapprende da un comunicato -non si cambiano le regole in cor-sa, quando in gioco c’è il futurodei nostri giovani». Una criticanemmeno troppo velata al go-verno, la cui decisione aveva sca-tenato dure polemiche.

La decisione della Commissio-ne cultura non ha soddisfatto glistudenti dell’Udu che prometto-no un altro maxi-ricorso. Il pa-sticcio creato dal governo, e lasuccessiva decisione del Pd di ri-pristinare il bonus, crea una di-scriminazione ai danni di chinon aveva il bonus e si è visto de-curtare il punteggio per le do-mande sbagliate. Un caos chel’emendamento non risolve. Glistudenti di Link attaccano il go-verno per il taglio indiretto di 40milioni di euro al fondo per il di-ritto allo studio. Entrambi torne-ranno in piazza il 15 novembreper chiedere l’abolizione del nu-mero chiuso. Ieri Giancarlo Ga-lan si è dimesso da relatore deldecreto scuola perché «da libera-le» non accetta che sia finanzia-to con l’aumento delle tasse subirra e alcolici. ro. ci.

Da Farinetti a Cucinelli,il made in Italy diventaRenzi-Style. AncheEpifani parla dal palco.In quattro minuti

MATTEO RENZI /FOTO ALEANDRO BIAGIANTI

BUSSOLENO · Senza territorio non c’è comune, in Val Susa la riflessione sul diritto di resistenza

La Costituente per i beni comuni incontra i No Tav

Tra «grandi opere»e «decisione politica»,come e quandoè legittimo opporsialla «legalità»?

Page 5: Il Manifesto 26 ottobre 2013

SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 5

Silvia Colangeli

La crisi del «bianco» sta per fa-re altre vittime: dopo i tagli diIndesit e Bosch, il leader del-

la produzione di elettrodomesticiElectrolux potrebbe lasciare l'Ita-lia. Ieri il ceo Keith McLoughlin haannunciato che nei prossimi 6 me-si, il colosso svedese aprirà un’«in-dagine di competività sostenibile»in tutte e 4 le fabbriche del paese,dove lavorano circa 3.900 persone.

Non conta il tipo di produzione:al momento c’è lo stesso tasso di ri-schio per gli impianti di Forlì, dovesi fabbricano forni e piani cottura,per Solaro (vicino Milano) che pro-duce lavastoviglie, Susegana in pro-vincia di Treviso, specializzata neifrigoriferi e Porcia, vicino Pordeno-ne, lo stabilimento più grande, infunzione per le lavatrici. Propriodall’impianto friulano sono partireieri le prime manifestazioni controi vertici della multinazionale.

«Da noi – spiega Stefano Zoli, co-ordinatore nazionale Fiom perElectrolux – sono certi 200 licenzia-menti che riguarderanno il perso-nale d'ufficio. L’investigazione,che andrà avanti fino ad aprile, va-luterà le condizioni di competitivi-tà di tutte le fabbriche, da questodipenderà la futura presenza delgruppo in Italia. Dopo aver svoltol’indagine di competitività sosteni-bile, nella maggior parte dei casi,Electrolux ha optato per la chiusu-

ra». Il piano di riassetto produttivodel gruppo svedese, che fino al2006 era il leader mondiale nellaproduzione di elettrodomestici,prevede un taglio complessivo diduemila lavoratori, che corrispon-de a circa il 3% della forza lavoromondiale di tutto il gruppo.

Per ora i primi 500 lavoratoriElectrolux a risentire dei tagli sa-ranno quelli di un impianto austra-liano che verrà chiuso nei prossimimesi. Ma riduzioni di personale so-no previste a breve anche in Me-dio Oriente, Africa ed Europa: sa-ranno licenziati in tutto il mondo2000 dipendenti su 7500.

Sarebbe il calo di vendite regi-strato in Europa ad aver spintoElectrolux verso la riorganizzazio-ne produttiva e le migliaia di licen-ziamenti previsti in tutto il mondo.Nella pagina dell'azienda si legge:«Vendita di oltre 40 milioni di pro-dotti ogni anno a clienti in 150 pae-si». Ma i dati del terzo trimestrepresentati ieri mostrano ancora uncalo delle vendite europee: meno29%, che hanno ridotto gli utili a«soli» 75 milioni di euro.

«La decisione di lasciare l'Italiasarebbe inaccettabile – prosegueStefano Zoli – Il 28 è fissato un in-contro a Mestre coi vertici del-l'azienda, che speriamo ci comuni-

chino le loro vere intenzioni. Poidecideremo con quale forma dimobilitazione farci sentire. I primitagli di organico da parte di Electro-lux Italia risalgono al 2008, iniziodella crisi, degli elettrodomesticima non solo. Negli ultimi 5 anni ilgruppo svedese ha messo in mobi-lità, licenziato accompagnato alla

pensione circa 1400 dipendenti».All'inizio di quest'anno Electro-

lux era diventata famosa per unaparticolare forma di licenzimentosoft, che avrebbe dovuto riguarda-re 850 dipendenti. Per ognuno deilavoratori in esubero il gruppoavrebbe stanziato 22 mila euro,nonché 15 mila euro a ogni impre-

sa che avrebbe ricollocato un suoex dipendente. Una prossimità di30 chilometri fra i requisiti essen-ziali del nuovo posto di lavoro.

«In questo modo – racconta ilsindacalista Fiom – sono state ri-collocate solo poche centinaia diex- Electrolux. La maggior parte diquelli che hanno perso il posto ne-gli ultim 5 anni sono stati aiutaticon ammortizzaotri sociali classi-ci: dall'accompagnamento allapensione alla cassa integrazione».E visto l'esaurimento delle risorseper questo tipo di aiuti, chissà se sitroverà il modo di garantire un fu-turo a quei dipendenti che verran-no licenziati nei prossimi sei mesi.

Il settore elettrodomestici, nono-stante la crisi, con i suoi 130 milaoperai continua a essere il secon-do comparto produttivo in Italia,dopo auto e moto. Preoccupatoper il futuro di Electrolux si è dettoieri anche Vasco Errani, governato-re dell’Emila Romagna.

Mario Di Vito

La partita si gioca sui numeri, ma non è so-lo una questione di calcolatrice. «Non ser-ve a niente salvare adesso alcuni posti –

dice un lavoratore di Fabriano –, tanto se nonci buttano tutti oggi, succederà tra un anno, ma-gari fra due». Lunedì scorso la Indesit ha illu-strato al ministero dello Sviluppo il nuovo pia-no industriale: dai 1425 esuberi previsti a giu-gno la cifra è scesa a quota 1030, con «la possibi-lità di accompagnarne 330 alla pensione nel pe-riodo coperto dagli ammortizzatori». Nei prossi-mi cinque anni poi – ma sono solo stime – «èprevedibile il reimpiego graduale di oltre 400 la-voratori. I 150 impiegati negli uffici sarebberoinvece riassorbiti in quattro anni».

A Taverola (in provincia di Caserta) però i la-voratori non l’hanno presa benissimo, anchese da quelle parti, secondo i piani, a saltareadesso sarebbero in 71 a fronte dei 540 previstiprima dell’estate. Nella mattinata di ieri, allora,centinaia di lavoratori sono scesi in piazza conun corteo spontaneo, durante uno sciopero diquattro ore che ha bloccato ancora una volta laproduzione. Al grido di «vergogna» e «uscitefuori», gli operai hanno bersagliato con delleuova la sede dell’Unione degli industriali e il pa-lazzo della Provincia di Caserta, dove sono an-che intervenute le forze dell’ordine per spegne-re la tensione dopo che i manifestanti si eranoaccalcati davanti al portone chiuso.

La delocalizzazione appare come un destino,Indesit non ha mai fatto mistero delle sue inten-zioni: spostare la produzione verso est (Poloniae Turchia), dove la manodopera costa meno, elasciare in Italia la ricerca. In questo senso van-no letti i 78 milioni di investimenti promessiper il suolo patrio. In attesa di ulteriori sviluppi,ad ogni buon conto, il rinnovato piano indu-striale prevede di lasciare a Taverola i frigorife-ri, mentre verranno spostati nei due stabilimen-ti delle Marche i piani gas da incasso, con l’atti-vazione di un nuovo «It Service Center 4» (sup-porto tecnico di ultima generazione).

Così, mentre a Roma l’erede universale dellafamiglia più potente delle Marche, la senatrice

Anna Paola Merloni, si è dimessa dalla vicepre-sidenza di Scelta Civica, ancora nella mattinatadi ieri hanno protestato anche i lavoratori dellaex Antonio Merloni di Fabriano. Un serpento-ne di auto ha congestionato la statale per qual-che ora, alla volta di Ancona, dove un centinaiodi lavoratori ha imbastito un presidio davantialla sede di Unicredit. Lo stabilimento primoge-nito dell’impero marchigiano degli elettrodo-mestici rischia infatti la chiusura dopo che, allafine di settembre, il tribunale ha dato ragionead alcune banche che si erano opposte alla suavendita a Jp Industries, la ditta di proprietà del-l’imprenditore cerretese Giovanni Porcarelli. Ilrisultato: 700 lavoratori a rischio, sospesi trauna nuova proprietà e il buio di una fabbricache diventerebbe di nessuno. Gli operai si sonostretti in cordone davanti all’ingresso di una se-de dell’istituto di credito con l’obiettivo di «cre-are un danno» al capofila del pool di banchecreditrici dell’ex Antonio Merloni. I clienti nonhanno potuto accedere agli sportelli, mentre gliimpiegati sono rimasti per tutta la mattina bar-ricati all’interno degli uffici. «I lavoratori – hadetto il segretario della Fim-Cisl Andrea Cocco– sono l’economia reale, le banche solo la spe-

culazione finanziaria».La vicenda giudiziaria conti-

nua: Porcarelli e i tre commissa-ri straordinari che procedetterocon la vendita hanno depositatoil ricorso in Appello contro lasentenza dal tribunale di Anco-na. La nuova decisione è attesatra qualche mese, poi ci sarà co-munque da aspettare l’ultimaparola della Cassazione, vistoche nessuna delle parti in causasembra intenzionata a fare unpasso indietro. In primo grado, igiudici hanno ritenuto la cessio-ne della ex Merloni illegittimapoiché il prezzo pagato per rile-vare tutto – 13 milioni – sarebbedi quattro volte inferiore al valo-re minimo dell’azienda. Alla Jp,comunque, la produzione va

avanti regolarmente, per quanto possibile:l’Inps ha bloccato l’erogazione della cassa inte-grazione, ma – ha spiegato il direttore France-sco Ricci, sceso in strada per parlare con lavora-tori e sindacalisti – «le pratiche per gli assegniora sono pronte», mentre in precedenza lo stopera arrivato perché «la sentenza aveva creatouna situazione di incertezza».

LAVORO

LA PROTESTA · Uova all’Unindustria di Caserta, blocchi ad Ancona. Il gruppo pronto a delocalizzare

E alla Indesit esplode la rabbia

ROMA · Gli operai della metro C in sciopero

Antonio Sciotto

All’Autogrill sembrano ave-re un po’ la mania dei li-cenziamenti: non appena

si risolve una vertenza (doposcioperi, articoli di giornale, ta-voli), subito parte un’altra raffi-ca. E così se il sindacato ha appe-na concluso positivamente il no-do di 43 esuberi della sede cen-trale, decisi prima dell’estate,adesso è esplosa un’altra emer-genza: e questa volta all’aeropor-to di Malpensa. Al terminal 1chiuderanno 4 punti ristoro, equattro giorni fa sono state aper-te le procedure di mobilità per78 dipendenti su 114.

Il problema è che il colossodella ristorazione in viaggio è pa-recchio inquieto: non basta evi-dentemente l’ottavo posto regi-strato proprio in questi giorniper Edizione – la holding dei Be-netton, che detiene la quota dicontrollo – nella top 20 delle so-cietà italiane stilate da Medio-banca. Non bastano i 338 milio-ni di euro entrati in cassa qual-che giorno fa, grazie appunto al-la cessione di un 9% delle azionidi Autogrill (e, insieme, di un’al-tra controllata, Wdf: 80 milionidi plusvalenza complessivi). La

super A è in cerca di identità e di-versificazione, le concessioni au-tostradali italiane sono in sca-denza, e aumenta sempre piùl’interesse per l’estero. Ecco i ri-petuti tagli nel Belpaese, che ilsindacato tenta di tamponarepiù che può. «Siamo appena riu-sciti a ricollocare 40 dei 43 mana-ger dichiarati fuori prima del-l’estate, e per i restanti 3 abbia-mo un tavolo in Regione – spie-ga Giorgio Ortolani, Filcams Mi-lano – E adesso, d’improvviso, siapre il caso Malpensa».

Come sempre i dipendenti Au-togrill scelgono forme di prote-sta nuove e colorate: molti lavo-ratori dello scalo varesino sonodonne, e tante di loro monored-dito. Qualche giorno fa sono an-date con i loro bimbi in uno deipunti ristoro, hanno preso solouna bottiglietta d’acqua ciascu-na e fatto mangiare i figli conmerendine portate da casa (asimboleggiare la crisi): mentre ifigli giocavano, hanno apertouno striscione, con su scritto«Autogrill, guarda i volti dei figlidei tuoi esuberi». Una scena d’ef-fetto, a cui hanno assistito tanticlienti dei locali che chiuderan-no entro l’anno: «Ciao», «Spizzi-co», «Sky Lounge» e «A Cafè».

Dei quattro locali, solo unoriaprirà in futuro, lo Sky Lounge,e infatti pare che Autogrill si siadetta disponibile a ricollocareuna dozzina di dipendenti. E glialtri? «Noi puntiamo sul cambiodi gestione – spiega Pino Pizzo,segretario Filcams Cgil di Varese– Sea, la società aeroportualeche concede in concessione glispazi, sta restaurando l’area invista di Expo 2015, e sappiamoche già dall’anno prossimo ci sa-ranno nuovi ristoranti, probabil-mente della My Chef. A questopunto chiediamo che interven-gano le autorità, per indurre Seaa vigilare che il subentrante ri-prenda tutti i dipendenti, allestesse condizioni, come prevedeil codice civile e il contratto».

E intanto devono penare an-che i dipendenti di Teano Ovest,ristoro sull’A1 verso Napoli. La-vori di ampliamento della stazio-ne di servizio, che vanno avantiormai da anni, hanno portato di-sagi per clienti e banconisti (co-stretti a lavorare in strutture con-tainer), un calo delle vendite euna apertura di mobilità per al-cuni dei 18 addetti. L’azienda siè detta disponibile a ricollocarli,ma in un mall che dovrebbeaprire sempre a Teano e di cuiper ora non c’è traccia: una setti-mana fa il deputato Arturo Scot-to, di Sel, ha presentato un’inter-rogazione al ministro delle Infra-strutture Maurizio Lupi.

ELETTRODOMESTICI · Duemila esuberi previsti in tutto il mondo. A rischio 4 fabbriche del nostro paese

Electrolux in fuga dall’Italia

MALPENSA · Chiudono 4 locali, via 78 addetti

Autogrill, è una mania:ora licenzia le mamme

Gli operai che costruiscono la metro C di Roma entrano in sciopero: lunedì i can-tieri saranno fermi. Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, riuniti in assemblea con ilavoratori, hanno proclamato lo stato di agitazione. Gli edili in sciopero si riuniran-no fin dalle prime ore del mattino al campo base di via dei Gordiani. La causadelle proteste è la mancata corresponsione delle retribuzioni, ferme al mese diagosto, e la minaccia del Consorzio Metro C del fermo permanente di tutte le atti-vità a causa dei mancati pagamenti previsti dall’accordo attuativo del 9 settem-bre scorso. «Apprendiamo dalla stampa che il Ministro Lupi avrebbe sbloccato lerisorse utili al proseguimento dei lavori – hanno detto ieri i segretari dei tre sinda-cati – Ci auguriamo si tratti di fatti certi e non di semplici voci di corridoio. Chie-diamo al sindaco di Roma, Ignazio Marino, di convocarci immediatamente».

Il gruppo svedeseapre una gara tratutti i suoi impiantinel mondo: salverài più «competitivi»

TUTE BLU DAVANTI A UNIMPIANTO ELECTROLUX.A DESTRA, LE «MAMMEAUTOGRILL» A MALPENSA(I VOLTI DEI BIMBI SONOSGRANATI PER PRIVACY)

Page 6: Il Manifesto 26 ottobre 2013

pagina 6 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

Anna Maria MerloPARIGI

Secondo Enrico Letta, il dram-ma del Mediterraneo è di-ventato «finalmente un te-

ma europeo». Ma al Consiglio eu-ropeo che si è concluso ieri a Bru-xelles, 24 Paesi su 28 si sono oppo-sti a una riforma del diritto d’asiloa livello europeo. Se ne riparlerànel giugno 2014, dopo le elezionieuropee.

In che termini? In tutti i Paesic’è il rischio di una crescita deipartiti xenofobi. Così, a Bruxellesè continuato lo scaricabarile del«fardello». Hollande del resto hasottolineato che la Francia «è il se-condo paese in Europa ad acco-gliere rifugiati»: ognuno, cioè, met-te in avanti il proprio contributo,rifiutando implicitamente di veni-re in aiuto a un altro Paese. L’ap-pello di Giusi Nicolini non ha rice-vuto risposte, anche se Hollandeha citato la sindaca di Lampedusaper dire che «ha ragione». Ma nes-sun Paese è davvero disposto a ri-discutere Dublino II – che stabili-sce che la richiesta d’asilo deve es-sere presentata nel Paese di pri-mo approdo – per arrivare a unDublino III e alla "solidarietà".

Il Consiglio non ha deciso nulladi concreto. A parte qualche impe-gno per il rafforzamento di Fron-tex, l’agenzia guardiafrontiere,che dipende per il finanziamento(che è stato ridimensionato) dalbuon volere dei singoli stati: perora, gli impegni sono solo verbali(l’Olanda promette di inviare unaereo di ricognizione, per esem-pio, c’è anche qualche disponibili-tà finlandese), ma decisioni piùprecise sono rimandate al Consi-glio dei ministri degli interni al-l’inizio di dicembre, che verrannopoi ridiscusse al prossimo vertice

dei capi di stato e di governo di fi-ne dicembre. La richiesta italianadi istituire una task force è stata difatto passata sotto silenzio. Lettaperò ritiene che le conclusioni sia-no «sufficienti rispetto alle aspetta-tive» e che è stato «importante»che «il concetto di solidarietà» siastato «incorporato», perché «nonera scontato». La litania di quelloche bisognerebbe fare è sempre lastessa e non si scosta dall’approc-cio "securitario": rafforzamentodi Frontex, lotta alle mafie, aiuti aiPaesi di origine dei migranti e aquelli di transito. Ma nessuno è di-sposto a prendere impegni, a veni-re incontro ai Paesi del sud che so-

no in prima linea per l’accoglien-za – forzata – dei rifugiati. Al massi-mo, ci sarà una manciata di soldi,sull’onda dell’emozione dei 500morti nel canale di Sicilia dall’ini-zio dell’anno.

In ogni Paese europeo, l’immi-grazione sta diventando in un con-testo di crisi di nuovo un soggettoscottante e per tutti l’obiettivo ècontrollare i flussi, cioè fare in mo-do di diminuirli. L’esempio france-se è significativo. Sotto la pressio-ne dei sondaggi, che danno ilFronte nazionale primo partito diFrancia alle prossime europee(con intenzioni di voto al 24%),tra il ministro degli interni, il socia-

lista Manuel Valls, e la destra del-l’Ump si è scatenata una corsa achi adotta la linea più dura. In se-guito alle polemiche scatenate dalcaso di Leonarda, la giovane koso-vara espulsa con la famiglia, Vallsha annunciato una prossima rifor-ma dei diritto d’asilo, per accelera-re i tempi della risposta dell’ammi-nistrazione alle domande dei rifu-giati. Dell’emozione suscitata dalcaso Leonarda, fermata in gita sco-lastica, per Valls resta solo la que-stione dei tempi troppo lunghi del-le reazioni dell’amministrazione,che favoriscono la creazione di si-tuazioni inestricabili. L’Ump hacontrattaccato rimettendo in cau-

sa lo jus soli, una richiesta da anniavanzata dal Fronte nazionale. Ilsegretario dell’Ump, Jean-Franço-is Copé, vuole modificare una nor-ma nata con la Rivoluzione del1789, in vigore da metà dell’800,dopo la sospensione del periodonapoleonico, abolendo l’automa-ticità dell’acquisizione della nazio-nalità francese per chi è nato inFrancia da genitori stranieri. Copévuole un atto «volontario», una ri-chiesta, che potrà essere rifiutatase il candidato alla cittadinanzaavrà, per esempio, avuto proble-mi con la giustizia o se la famigliaè entrata clandestinamente inFrancia.

EUROPA

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIOENRICO LETTA. A DESTRA UNO

SBARCO DI IMMIGRATI

Jakub HornacekPRAGA

Si concludono oggi, sabato 26ottobre, le operazioni di votoper l’elezione della nuova Ca-

mera dei deputati della Repubbli-ca Ceca. Dopo una campagna ful-minante di un mese, dovuta allaconclusione anticipata della legisla-tura, il paesaggio politico ceco po-trebbe cambiare radicalmente.

Il populismo imprenditorialeIl fenomeno più vistoso di questatornata elettorale è stata l’ascesadel magnate dell’industria chimicae della produzione agroalimentareAndrej Babis, che pochi mesi pri-ma delle elezioni ha acquistato an-che la casa editoriale Mafra e quin-di due dei cinque più importantiquotidiani cechi. Il movimentoAno 2011, gestito dall’imprendito-re, è attestato dai sondaggi tra il17% e il 20%, e dovrebbe quindi ar-rivare secondo dietro ai socialde-mocratici della Cssd, dati tra il 25%e il 28%.

Andrej Babis ha puntato tutta lasua campagna sulla contestazionedell’attuale classe politica ceca.«Noi non siamo dei politici, lavoria-mo duro e diamo il lavoro alle per-sone», ama sottolineare Babis, icui cavalli di battaglia sono la lottaalla corruzione, la de-politicizzazio-ne dell’amministrazione pubblicae la crescita economica. Andrej Ba-bis ha puntato ad occupare lo spa-zio creato nel centrodestra ceco,caduto in totale discredito doposette anni di governo e lo scandaloNagyova, che ha colpito l’ex pre-mier Petr Necas. «Babis ha creatodi se stesso un’immagine del politi-

co a-politico, del miliardario delpopolo, che non sopporta più il ca-sino, in cui versa lo stato e la socie-tà», sottolinea il politologo JaroslavFiala. «Credo che lo stato dovreb-be essere gestito come un’impresafamigliare», indica Babis la sua vi-sione dell’amministrazione dellecose pubbliche.

Tuttavia Babis non è l’unica rap-presentante del populismo im-

prenditoriale spuntato in questatornata elettorale. Qualche chancedi varcare la soglia del 5% ce l’haanche il movimento Alba della de-mocrazia diretta del senatore ce-co-giapponese Tomio Okamura,noto per le sue attività di tour ope-rator. Rispetto a Babis, Okamuraha preferito puntare sul razzismosociale, profondamente radicatonella società ceca, proponendo lacreazione di uno stato Rom, ali-mentando la campagna contro icosiddetti abusi della rete di prote-zione sociale e ovviamente controla corruzione dei politici.

La scomparsa della destraEntrambi i fenomeni di populismoimprenditoriale si sono alimentatidel clima di disaffezione, che or-mai prevale nella società ceca, enella scomparsa della destra tradi-zionale, spolpata dall’esperienzadi governo. I due partiti dell’ex

maggioranza, la Top 09 e l’Ods,non dovrebbero nel loro insiemeraggiungere il 20%, mentre tre an-ni fa superavano di slancio il 35%.

La destra tradizionale è sembra-ta in difensiva per tutta la campa-gna, affermando sostanzialmentedi voler mantenere lo status quosociale ed economico. Così nell’ul-tima settimana prima delle elezio-ni è tornato in auge il vecchio e ro-dato anticomunismo, la cui espres-sione più spettacolare è stata rap-presentata dal dito medio rivoltoal Castello di Praga installato daDavid Cerny. «E’ un banale ditomedio alzato contro quegli schifo-si comunisti che stanno al Castelloe al comportamento bolscevico diZeman»: è il commento di Cerny al-la sua opera. Inoltre la destra haagitato la spauracchio delle «inge-renze della Russia» e ha puntato ildito contro il presidente Zeman,che viene visto come una manuslonga di Putin e del gruppo Lukoil.

Condannati a vincereDi fronte al collasso dei partiti didestra, il centrosinistra ceco sem-bra destinato a vincere. La Cssd in-fatti dovrebbe arrivare prima con

un risultato comunque inferiore al30%, mentre i comunisti dellaKscm dovrebbero ottenere circa il15% dei seggi. L’entrata di scenadei nuovi movimenti e i probabilicambi d’umore degli elettori all’ul-timo minuto, potrebbe tuttavia af-fondare la maggioranza assolutadei due partiti alla Camera, dataper scontata soltanto alcune setti-mane fa. Il segretario della Cssd,Bohuslav Sobotka, che preferireb-be un governo monocolore con unappoggio esterno della Kscm, si tro-verà con ogni probabilità a gestireuna situazione assai complessa.Malvisto dal Castello di Praga e dal-la parte della Cssd fedele a Zeman,Sobotka potrebbe essere scalzatodal suo contendente alla guida delpartito Michal Hasek, più vicino alpresidente.

Niente di nuovo sul fronte comu-nista. I comunisti della Kscm han-no proposto anche quest’anno iltradizionale mix tra nostalgia delpassato e antipolitica nel presente.I comunisti sono riusciti a sopravvi-vere in gran forma elettorale, siaraccogliendo i consensi di coloroche ritengono che prima del 1989si stesse meglio, sia proponendouna critica tecnocratica all’attualeclasse politica, giudicata inadatta areggere le sorti del Paese. «Perquanto riguarda l’Imposta sul red-dito delle persone giuridiche, per i

profitti più alti prevediamo un ali-quota maggiorata al 25%, che vo-gliamo introdurre con gradualitàper non mettere in difficoltà le im-prese, perché non siamo dei dilet-tanti come l’ex ministro della Fi-nanze Kalousek», illustra uno deicavalli di battaglia del partito il suosegretario Vojtech Filip. Insomma,piangano anche i ricchi ma nontroppo.

Paure vecchie e nuoveLa campagna elettorale ceca è sta-ta dominata dalle paure e dal-l’astio. Sul fronte della destra è sta-to agitato la paura del ritorno deicomunisti al potere, dell’espansio-nismo russo e della figura del presi-dente Zeman. A sinistra è prevalsala paura della destra e ci si è accon-tentati ad affermare la propria pre-sunta superiorità nell’etica e nellecompetenze tecniche. Le nuoveformazioni politiche sono state fu-cine di astio verso i politici, i social-mente deboli, i Rom e gli immigra-ti. Quasi del tutto assenti, temi co-me l’integrazione europea o la cri-si economica che pure si è fattasentire in maniera significativa. In-somma, la campagna elettorale hamostrato un Paese capace di inten-dere soltanto le proprie paure, vec-chie e nuove, del tutto autoreferen-ziali e indifferenti a ciò che accadein Europa e nel mondo.

PROFUGHI · Consiglio europeo: 24 Paesi su 28 contro la riforma del regolamento Dublino II

Diritto d’asilo, ciascuno per sé

MARE NOSTRUM

Più di 800 migrantisalvati dalla Marinanel Canale di Sicilia

I socialdemocraticial primo posto neisondaggi. Secondi:Ano 2011, gestitodall’imprenditore

ROMA

Sono venuti da tutta Europaper spiegare agli italiani chisono le persone che muoio-

no nel nostro mare. Da Svezia,Gran Bretagna, Norvegia, Olanda,Germania. «Magari solo in pochiper ogni Paese, ma abbiamo volu-to essere tutti qui, perché non èpossibile che accadano tragedie co-me quella di Lampedusa e nessu-no sappia perché la nostra gentemuore nel Mediterraneo», dicecon calma Tekle.

Come Simon, che gli siede ac-canto, e come molti altri eritrei an-che Tekle è venuto a Roma per unacommemorazione davanti a Mon-tecitorio della strage del 3 ottobrescorso. «E’ il nostro funerale alle vit-time», spiega un giovane davanti adue bare di cartone poggiate a ter-ra, sopra una delle quali hanno in-collato un foglio con il numero 369«per ricordare quante persone so-no morte a Lampedusa».

Alla fine sono in tanti. La mag-gior parte, ovviamente, dall’Italia,dove in molti ormai vivono da an-ni. Al governo chiedono di modifi-care almeno le parti peggiori dellaBossi-Fini e che Italia e Europaaprano un corridoio umanitarioper i paesi di transito dei rifugiati.Ma anche la restituzione delle sal-me alle famiglie. Richieste che han-no consegnato direttamente allapresidente della Camera Laura Bol-drini, alla ministra per l’Integrazio-ne Cecile Kyenge e a rappresentan-te del ministero degli Esteri. «Ab-biamo chiesto anche che le amba-sciate si attivino per trovare i fami-liari delle vittime, perché non si tro-vano solo in Eritrea, ma anche inmolti paesi europei», spiega Deshe-le Mehari, coordinatore europeodel Consiglio nazionale eritreo peril cambiamento e la democrazia.

«Ma vi siete mai chiesti perchégli eritrei fuggono?», chiede Simon.«Da 23 anni l’Eritrea è una prigio-ne, dove è impossibile vivere».Una prigione comandata da IsaiasAfeworki, che dopo aver combattu-to contro l’Etiopia a capo del Fron-te popolare di liberazione eritreo,una volta ottenuta l’indipendenzae nominato presidente nel 1991 hatrasformato il paese in una speciedi Corea del Nord, dove agli eritreiè permesso solo lavorare per lo Sta-to per un salario di 450 nakfa, me-no di 10 euro al mese. Niente liber-tà individuali, niente libera impre-sa, niente di niente. Dai 16 anni insu se non sei arruolato nell’eserci-to viene inserito nel Servizio nazio-nale e lavori per il regime. Per nonparlare delle persecuzioni. Secon-do il coordinamento Eritrea demo-cratica nel paese del Corno d’Afri-ca ci sono più di 10 mila prigionieripolitici. E sempre secondo il coor-dinamento nessuno saprebbequanti di loro sono ancora vivi.«Impossibile vivere così, siamo glischiavi di Afeworki. L’Eritrea è unPaese senza economia e senza leg-ge», prosegue Simon.

Chi può fugge, a proprio rischioe pericolo perché alle frontiere i sol-dati sparano.

In 23 anni di dittatura lo hannofatto in più di 1,5 milioni: 80 milaoggi si trovano in Etiopia, 150 mi-la in Sudan, 40 mila in Libia, do-ve non vengono certo trattati me-glio che in patria. «Ma la Libia èimportante, perché è da lì chepossiamo arrivare in Europa»,prosegue Tekle.

E L’Europa, quando può, li acco-glie: 20 mila in Gran Bretagna, 10mila in Norvegia, altrettanti in Sve-zia. Da noi sono non più di 5-6 mi-la. «Ma l’Italia deve smettere diconsiderarci clandestini, noi sia-mo profughi», dice Simon. c.l.

Letta: «Finalmentel’immigazioneè un tema europeo».Ma Bruxellesrallenta: se neriparlerà nel 2014,dopo le elezioni

STRAGE DI LAMPEDUSA

Eritrei in sit-ina Montecitorio:«Basta Bossi-Fini»

REPUBBLICA CECA · Ultime ore di voto per l’elezione dei deputati

Praga, oggi la chiusura dei seggiL’ascesa di Babis, il Berlusconi ceco

Sono più di 800 i migranti soc-corsi nelle ultime ore nel Cana-le di Sicilia da unità della Mari-na Militare e della GuardiaCostiera impegnate nell'opera-zione Mare Nostrum. Due unitàdella Marina hanno soccorsorispettivamente 99 e 219 mi-granti; i mezzi della GuardiaCostiera hanno preso a bordo,in tre distinti interventi, rispetti-vamente, 95, 91 e 201 migran-ti. Una persona che era a bor-do di un gommone in difficoltàrisulta dispersa e proseguonole ricerche. Il numero di immi-grati in arrivo sulle nostre co-ste è talmente alto da creareproblemi per ospitarli nei cen-tri di accoglienza, del resto giàpieni fino all'inverosimile. IlViminale ha chiesto alla prefet-tura di Agrigento di verificarela disponibilità di privati dioffrire strutture da poter utiliz-zare temporaneamente comecentri di accoglienza.L’ARRIVO DI UN BARCONE DI MIGRANTI SUL MOLO DI LAMPEDUSA /FOTO REUTERS

Page 7: Il Manifesto 26 ottobre 2013

SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 7

INTERNAZIONALE

Simone Pieranni

Bo Xilai, l'ex leader del Parti-to Comunista di Chon-gqing, si è visto conferma-

re in appello la sentenza di primogrado.

L'alta Corte dello Shandong haribadito l'ergastolo per i reati dicorruzione, abuso di potere e ap-propriazione indebita, già stabili-to un mese fa. Bo Xilai, presentein aula, ha ribadito quanto già af-fermato durante il processo, accu-sando gli investigatori responsa-bili dei suoi interrogatori, di averestorto con metodi violenti le suepresunte confessioni, senza per-mettergli un’adeguata difesa.

Si tratta della fine giudiziaria diun processo e di una vicenda chehanno tenuto in tensione il Parti-to per due anni, a cominciare dalmomento delicato che ha visto ilpassaggio di consegne tra la quar-ta e la quinta generazione dei lea-der nazionali. E proprio Bo Xilaipoteva essere la vera e propriastella dell'attuale leadership, se il

Partito non avesse deciso la suaeliminazione politica.

Le accuse con cui il «principi-no» è stato abbattuto, nascondo-no una volontà politica tesa a eli-minare un potenziale leader auto-nomo, in grado di maneggiare imedia nazionali e internazionalie che rischiava di rompere queltacito accordo in seno al Partito,rispetto alla guida collegiale.

Un «personalismo» e un'ambi-zione che sono pesati come maci-gni sulla traiettoria politica di BoXilai, la cui vicenda si è probabil-mente chiusa con questa condan-na. C'è da capire quanto dellasua proposizione politica rimarràancora ad aleggiare come una mi-naccia – o magari a creare nuovepotenziali alleanze – sull'attualeleadership.

Xi Jinping - in vista del terzoPlenum del Partito che si terrà ainizio novembre, in data ancorada stabilirsi - sta procedendo aduna vigorosa campagna anti cor-ruzione che non sembra rispar-miare nessuno, unitamente ad

una stretta ideologica che ai piùricorda proprio la retorica utiliz-zata da Bo Xilai, accusato anchedall’allora premier Wen Jiabao,di rimpiangere i tempi confusidella Rivoluzione culturale.

Del resto se Bo Xilai è statosconfitto politicamente e giudizia-riamente, la sua popolarità tra legente comune è tutt’altro che sva-nita. Nei giorni che hanno prece-duto il processo d’appello sedicipersone ineggianti a Bo sono sta-te arrestate, mentre sul web sonostati moltissimi i commenti insuo favore.

Quella Cina eclusa del proces-so di crescita e dall’arricchimen-to - rapido, massiccio e spesso ba-sato su contatti con il mondo deifunzionari del Partito - cominciaa mettere in discussione il PartitoComunista e il suo modello eco-nomico, stretta tra inflazione,prezzi delle case alle stelle, inqui-namento e situazione ambienta-le terribile e una sempre più evi-dente disparità tra i ricchi e i po-veri.

I l regime nordcoreano di Pyongyang ha comunicato diessere pronto a rilasciare sei prigionieri sud coreani. Sitratta di una notizia che viene considerata di buon au-

spicio dalla comunità internazionale e da Seul; un segnaledi abbassamento del livello di tensione nella penisola corea-na e di potenziali aperture a nuovi incontri in grado di ga-rantire la pace tra le due Coree. L’annuncio in realtà non haspecificato chi siano i sei prigionieri sud coreani.

Quasi quattro anni fa -nel febbraio del 2010 -Pyongyang aveva annun-ciato la cattura di alcunepersone sud coreane re-sponsabili di aver sconfi-nato, ma non ci sono altridettagli. Secondo quantoaffermato dal personaledella Croce Rossa presen-

te in Nord Corea, si tratterebbe di uomini dall’età compresa tra i25 e i 65 anni. Seul teme possa trattarsi di spie catturate, un’eventualità che potrebbe modificare il significato del gesto nordcoreano. Secondo quanto affermato da Seul, attraverso il Mini-stero per l’Unificazione, la Corea del Sud si è dichiarata «soddi-sfatta di questa misura umanitaria, applicata dal Pyongyang.Prenderemo in custodia queste sei persone - ha proseguito il co-municato - e provvederemo a verificare le loro identità e i motividel loro ingresso in Corea del Nord».

Dopo le speranze di un ammorbidimento della posizionenord coreana seguita alla riapertura della zona economia di Ka-esong, nella quale le due Coree operano insieme, nell’ultimomese Pyongyang era tornata ad usare toni piuttosto minaccio-si contro Seul: per questo la liberazione dei prigionieri sud core-ani viene letta come un potenziale passo distensivo, forse nel-l’ottica di ottenere un’espansione del complesso industriale diKaesong. s. pie.

Andrea Pira

Ad annunciare l'adozionenel piccolo e ricco Bruneidi una forma di islam quan-

to più conservatrice, è stato il sul-tano in persona, HassanalBolkiah (nella foto Reuters). Nonpoteva che andare così nella mo-narchia del Borneo su cui regnacon piglio autoritario e assoluti-sta dal 1967, salito al trono ad ap-pena 21 anni, quando ancora ilPaese era protettorato britannico.

Nel presentare il nuovo codicepenale basato sulla legge islami-ca, il sultano ha detto di stareadempiendo a un dovere verso Al-lah. «In tutta la sua generosità hacreato la legge per noi, per fare sìche la usassimo per ottenere giu-stizia», ha spiegato.

Il Brunei opta in questo modoper una maggiore rigidità rispettoa Indonesia e Malaysia, altri Paesidel Sudest asiatico a maggioran-za musulmana, dove tuttavia lasharia non è applicata totalmen-te o lo è soltanto in alcune regio-ni.

L'introduzione della legge isla-mica procederà «a fasi», l'entratain vigore definitiva sarà tra sei me-si. Non che le legge islamica nonsia già presente nel Paese dove glialtri credo sono controllati. Le ba-si di questo irrigidimento risalgo-no almeno al 1996, quando si ini-ziò ad abbozzare il nuovo codice.In Brunei vige un sistema dualeche alla giustizia civile affianca lecorti islamiche, limitate tuttavia adirimere questioni di eredità e aldiritto di matrimoniale. Il nuovocodice varrà soltanto per i musul-mani, circa il 70 per cento dellapopolazione. Tra le pene previsteci sono la lapidazione in caso diadulterio, l'amputazione degli ar-ti per i ladri, la fustigazione peruna serie di reati che vanno dal-

l'aborto al consumo di alcolici.Per Phil Robertson di Human

Rights Watch, citato dalla stampabritannica, si tratta di un passo in-dietro che mostra gli aspetti «piùfeudali» del Brunei e che richia-ma alla memoria il modello dellemonarchie assolute del 18esimosecolo, oltre a dare via libera al ri-schio di abusi permessi dalla leg-ge. «Se il Brunei funzionasse co-me una democrazia e non fosseuna monarchia assoluta e autori-taria, ci sarebbero state reazioni aquesto», ha aggiunto al quotidia-no Guardian.

Forte del riuscire a garantire aicirca 400mila cittadini-sudditi unalto tenore di vita, sfruttando leentrate delle riserve di gas e petro-lio, la monarchia è riuscita a con-solidare il proprio potere, che du-ra da 600 anni, e mantenere il con-trollo dello stato, senza cedere ariforme politiche e e garantendoalla popolazione programmi diwelfare. Una politica neo-tradizio-nalista, l'ha definita lo studiosoNaimah Talib nel numero di mar-zo della Kyoto Review of SouthEast Asia, dedicato all'analisi del-le caratteristiche delle quattro mo-narchie della regione: Brunei,Cambogia, Malaysia e Thailan-dia. La storia degli ultimi ses-sant'anni del sultanato dà esempidi questa capacità di accentra-mento.

Nel 1962 una sollevazione ar-mata contro l'ipotesi di unificazio-ne con la Malaysia fu sfruttata dal-l'allora sultano Omar Ali Saiffu-din III (che abdicherà cinque an-ni dopo a favore del figlio Hassa-nal Bolkiah) per dichiarare lo sta-to d'emergenza. Nel 2004, avent'anni dall'indipendenza,emendamenti alla legge fonda-mentale ufficialmente presentaticome riforme democratiche, raf-forzarono il potere del sovrano.Inoltre reintrodussero il Consi-glio legislativo, un tempo almenoin parte elettivo prima della so-spensione nel 1984, i cui compo-nenti sono ora tutti di nomina reg-gia.

L'altro pilastro della legittima-zione politica del sultano, comespiega Talib, è l'ideologia dellaMelayu Islam Beraja, ossia la mo-narchia islamica malay (gruppomaggioritario tra la popolazionedel sultanato). Vale a dire che lacasa reale è riuscita a proporre sestessa come protettrice del-l'islam. Il sultano non è quindi sol-tanto una guida politica, ma an-che morale. Una pretesa che se-condo i critici va a sbattere con-tro lo stile di vita della famiglia re-ale, all'opposto della visione au-stera che sembra trasparire dal co-dice penale. Il sultano stesso èuno degli uomini più ricchi almondo, sebbene più che sul suocomportamento ci si concentrisu quello del fratello, il principeJefri, che ha nomea di playboy egià accusato di appropriazione in-debita miliardaria quando era mi-nistro delle finanze. Per AhmadFarouk Musa, direttore dell'Isla-mic Renaissance Front di KualaLumpur, intervenuto a ABC Ra-dio Australia, questo inasprimen-to ha a che fare con le cosiddetteprimavere arabe e con possibili ri-percussioni sulla leadership delPaese. Il sultano, spiega, si presen-ta quasi come voce di dio. Permolti commentatori, tuttavia, ladurezza delle norme, mal si sposacon lo spirito malay.

CINA · La fine giudiziaria e politica del principino che ha sfidato Pechino

Bo Xilai, la Corte d’appelloconferma la condanna: ergastolo

UMM IBRAHIM AL VOLANTE PER LE STRADE DI RYADH DURANTE LA PROTESTA DEL 21 GIUGNO 2011/FOTO REUTERS

COREE: SEUL SODDISFATTA

Pyongyang liberasei prigionieri

LA PROTESTA · Oggi nuova sfida alle autorità e ai religiosi wahabiti: al volante «per cambiare il Paese»

Michele Giorgio

Le donne saudite non si arren-dono di fronte alle pesanti pu-nizioni minacciate da gover-

no e vertici religiosi. «Domani (og-gi) ci metteremo al volante e attue-remo la campagna che abbiamo an-nunciato. Non ci faremo intimori-re», ci assicurava ieri Reem, nomedi copertura di un’attivista che ab-biamo raggiunto via internet. «Tan-ti mariti e fratelli sono dalla nostraparte. Questa non è una più solouna lotta per guidare l’automobile,è la lotta che dovrà cambiare l’Ara-bia saudita», ha aggiunto.

Oggi tutte le donne in possessodi patenti conseguite in Paesi stra-

nieri sono chiamate a mettersi al vo-lante. Sarà dura, come in passato.Più di venti anni fa alcune decinedi donne, attuarono la stessa prote-sta. Furono fermate e arrestate dal-la Muttawa, la polizia religiosa. Mol-te di loro persero il lavoro, alcunefurono costrette a lasciare il paese.

Da alcuni giorni è intenso il fuo-co di sbarramento delle autorità edei religiosi wahabiti. Nelle ultimeore funzionari governativi hannoavvertito che pagheranno un duroprezzo le donne al volante e rischie-ranno l’arresto tutti coloro che at-traverso la rete daranno sostegno al-la protesta. Per essersi filmata men-tre guidava, nel giugno 2011, e avermesso il video su Youtube, l’attivi-sta Manal El Sharif scontò novegiorni di carcere. Attraverso un arti-colo pubblicato ieri dal quotidianopanarabo Al-Hayat, il portavocedel ministero dell’interno sauditaha ricordato che la cyber-legge in vi-gore nel paese sarà applicata conseverità - cinque anni di prigione e

multe salate - contro i trasgressori eche saranno adottate altre misurepunitive contro «coloro che si riuni-ranno per sostenere» la protestadelle donne. Già mercoledì scorsoerano stati lanciati pesanti avverti-menti «a quelli che si preparano adisturbare l’ordine pubblico». Cir-ca 150 religiosi e studiosi wahabitiavevano protestato davanti al palaz-zo reale sostenendo sdegnati che leautorità non stavano facendo nullaper fermare le donne. I servizi di si-curezza sauditi due giorni fa hannoparalizzato il sito dell’iniziativaoct26driving.org.

«Le autorità saudite dicono che ildivieto di guida per le donne è so-stenuto dalla maggioranza della po-polazione. E con questa motivazio-ne continuano a intimidire le attivi-ste», ha commentato Said Boume-douha responsabile per AmnestyInternational in Nordafrica e Vici-no Oriente.

La petizione oct26driving presen-tata al governo ha raccolto decine

di migliaia di firme ed è accompa-gnata da immagini di donne al vo-lante. Se è vero, scrivono le promo-trici nel documento, che la proibi-zione di guidare è una «decisionesociale», allora tanto più serve unachiara presa di posizione del gover-no, anche per evitare che sul temavi siano ulteriori divisioni. E se l’ese-cutivo, aggiungono, intende anco-ra mantenere il divieto, le firmata-rie chiedono che offra «una validagiustificazione legale», oppure diaalla stessa società un meccanismolegale con cui esprimere la propriavolontà.

In questi ultimi anni la monar-chia Saud ha adottato alcune mode-rate riforme. Ha permesso alle don-ne di far parte del Consiglio consul-tivo nazionale e re Abdullah con-sentirà alle donne di votare e di can-didarsi alle elezioni comunali nel2015. Davvero poco rispetto allepromesse fatte in passato e il divie-to di guida per le donne (costretteperaltro a muoversi con un "guar-diano" maschio) è solo il simbolodi un sistema che, con il pretestodel rispetto delle tradizioni e deiprincipi religiosi, nega diritti a ognilivello, soprattutto quelli politici.

Il movimento per il diritto delledonne alla guida però è diventatoun fiume carsico. Di recente è giun-to anche l’intervento di tre donnedel consiglio consultivo della Shu-ra, che hanno chiesto che il divietodi guida sia finalmente posto in di-scussione. I leader religiosi non san-no più cosa inventare pur di giustifi-care la proibizione. Qualche setti-mana fa l’imam Saleh Saad el-Leheidan, membro del Consigliodegli Ulema, aveva avvertito cheguidare «provoca danni alle ovaie eal nascituro». Affermazioni confuta-te dal ginecologo Mohammed Bak-nah, che con coraggio ha osato sfi-dare pubblicamente le autorità.

I monarchi Saud con soldi e armie le attività dietro le quinte del capodell’intelligence, il principe Bandarbin Sultan, affermano di lavorareper «portare la libertà ai siriani» ab-battendo il potere di Bashar Assad.In casa però negano libertà e dirittifondamentali, vietano qualsiasi atti-vità politica e, secondo i centri in-ternazionali per i diritti umani, ten-gono chiusi in prigione migliaia dicittadini accusati di «terrorismo»ma che in realtà sono soltanto op-positori politici.

Non si conosconole identità deiprigionieri,potrebbero esserespie catturate

La guida spericolatadelle donne saudite

BRUNEI · Lo stato decide di adottare la sharia

L’annuncio del sultano«La voce di Dio sono io»

Minacce di arrestoper chi aderirào sosterrà in retel’iniziativa. «Non cifaremo intimorire»

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pagina 8 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

Luca CeladaLOS ANGELES

Èpiù grave sorvegliare 3 mi-liardi di persone o monitora-re i telefonini di 35 capi di

stato? Per Barack Obama è una do-manda che non ha una buona ri-sposta. Quel che è certo è che l’in-tercettazione di telefonini e maildei più stretti alleati, al di là del ga-lateo e del protocollo diplomati-co, infrange la pretesa di sicurezzanazionale come indiscutibile «cau-sa di forza maggiore» con la qualenell’era della guerra totale al terro-rismo, viene giustificata ogni tra-sgressione e abuso di potere. È in-fatti con una sorta di legge marzia-le planetaria che a Washington sirazionalizzano prigioni segrete, in-cursioni di forze speciali in paesisovrani, rendition, bombardamen-ti telecomandati e la sorveglianzanazionale e internazionale.

A meno però di non iscrivereAngela Merkel o Felipe Calderón(il presidente messicano la cui po-sta elettronica veniva dirottata dal-la Nsa direttamente sui server diWashington) negli elenchi dei so-spetti terroristi, ora il teorema del-la forza maggiore diventa politica-mente più difficile da sostenere.Da qui l’importanza «strategica»delle ultime rivelazione di Ed-ward Snowden sulle intercettazio-ni mirate ai leader «amici». Anchese concretamente la sorveglianzadei cittadini di tutti i paesi è un da-to ancor più grave, è lo scandalodei telefonini eccellenti a provoca-re più mal di testa a Washington.Resta da vedere se stavolta l’onda-ta di scalpore porterà a qualcosadi più delle marcate proteste, a uneffettivo movimento di opposizio-ne, ad esempio, in cui gli interessidi stati sovrani e comuni cittadiniconvergano contro l’incontrasta-ta egemonia «informatica» ameri-cana.

Di certo questo non è un buonfine settimana per la Casa Bianca.Ieri c’è stata la riunione di Bruxel-les in cui i servizi americani sonostati all’ordine del giorno per tuttii motivi sbagliati. Contemporane-amente al palazzo di vetro incom-be un dibattito che Obama avreb-be preferito non vedere, quellosull’uso dei droni e se l’impiegodelle incursioni telecomandateche avrebbero provocato oltre4000 morti fra civili in Pakistan,Yemen e Somalia, possano costi-tuire crimini di guerra. E oggi sulstrade di Washington sfila la pri-ma manifestazione popolare con-tro il programma Prism e la sorve-glianza sistematica. La mobilita-zione è stata indetta da una dallacoalizione Stop Watching Us(smettete di sorvegliarci) a cui ciaderiscono figure come lo stessoSnowden, Glen Greenwald, AiWei Wei, Daniel Ellsberg, MaggieGyllenhall, John Cusack e OliverStone. Questi ultimi hanno colla-borato a un video che chiede l’im-mediata fine dell’ingerenza del go-

verno nella privacy dei cittadini ditutto il mondo, evocando lo spet-tro di precedenti «anomalie» ame-ricane come J Edgar Hoover e Ri-chard Nixon (che al confronto diciò che sta avvenendo oggi franca-mente impallidiscono).

Nel quattordicesimo anno del-l’era della «segretezza», il masto-dontico apparato creato per gesti-re il conflitto totale comincia in-somma forse a ritorcersi controgli Stati uniti ed estrarre un realeprezzo politico.

Il primo passo nella deriva co-vert seguito all’11 settembre, fu ilpatriot act, la legge che ha gettatole basi per la sorveglianza internae i nuovi poteri di polizia, poi l’isti-tuzione della homeland security, ilnuovo ministero della sicurezza ein seguito la giustificazione «lega-

le» della tortura; tutte misure in-trodotte da Bush (anche i docu-menti sullo spionaggio tedesco ri-salgono infatti al 2006) ma in se-guito proseguite, e potenziate, daBarack Obama.

L’attuale presidente ha adotta-to la guerra segreta come politica«ufficiale» e contemporaneamen-te ha dichiarato guerra aperta allacontroinformazione, perseguen-do non solo Bradley Manning edEdward Snowden ma tutte le fon-ti «non autorizzate» di cui si servo-no i giornalisti. Una criminalizza-zione sistematica dell’informazio-ne che come sostiene Julian As-sange ha di fatto legittimizzato ilconcetto di uno stato ombra.

La politica estera di Obama haesplicitamente ribadito e rafforza-to la dottrina dell’eccezionalità

che ha caratterizzato il «secoloamericano» ma si trova ora ad unpunto di crisi globale. Non puòsorprendere l’ira dei leader alleaticostretti a scoprire sul Guardian,Le Monde e Der Spiegel che l’ami-co Obama ascoltava le loro telefo-nate private. La stessa spiacevolesorpresa l’aveva avuta un mese faDilma Rousseff quando ha appre-so che il partner americano tene-va sotto controllo il suo cellulareoltre a spiare l’ente petrolifero na-zionale Petrobras. La presidentedel Brasile si era tolta la soddisfa-zione di inveire contro le occultepolitiche americane in un infuoca-to discorso all’Onu, a pochi passida un imbarazzato Barack Oba-ma, prima di annullare clamorosa-mente la sua visita di stato aWashington. Rousseff aveva chie-sto allora al consiglio di sicurezzadi prendere le misure necessariead «evitare che il ciberspazio ven-ga convertito ad arma di guerra».

Dichiarazioni cui ora ha fattoeco il presidente del parlamentoUe con la sua accusa di «servizifuori controllo». E l’altroieri ègiunta notizia di un iniziativa con-giunta proprio di brasiliani e tede-schi per formalizzare all’Onu unarisoluzione mirata ad arginare leattività «illecite» degli americani.

Se a New York c’è maretta a Bru-xelles certo non tira buona ariaper Obama e la lista delle capitaliin cui vengono convocati gli am-basciatori americani e sbattute leporte si allunga. Come avvenutonel 2010 con le rivelazioni Man-ning/Wikileaks il dipartimento distato sta freneticamente tentandodi tappare le falle e prevenire statiamici su ulteriori scomode rivela-zioni. Significativa a questo riguar-do però l’analisi di un ex funziona-rio dello state department che aForeign Policy ha dichiarato: «È ladimostrazione della tossicità dellerivelazioni di Snowden», attribu-endo cioè il il problema non già al-lo spionaggio in se, ma alla sua

scoperta. Così Obama è costrettoa chiedere scusa ai partner men-tre John Kerry fa i doppi turni in gi-ro per il mondo promettendo dinon farlo mai più. Ma realistica-mente non c’è ad aspettarsi mol-to dal presidente che dopo il casoSnowden dichiarava «effettiva-mente necessario un dibattito sul-la sorveglianza», mentre allo stes-so tempo giungeva a far atterrareil presidente della Bolivia per per-quisire il suo aereo alla ricerca del-la talpa.

Pur nel mezzo dell’attuale crisiquesta amministrazione non dàcenni di voler mettere in dubbiola fede scontata nell’eccezionalitàe nel ruolo dell’America come po-liziotto del mondo.

Una concezione fondamental-mente basata sull’espansione glo-bale del paradigma di guerra checonverte il mondo nel campo dibattaglia di un conflitto «asimme-trico».

Un concetto che giustifica le in-cursioni dei predator come «uma-nitarie» e le intercettazioni comenormali e necessarie. E nel mon-do post-privacy la supremazia nel-la sorveglianza - in cui certo pochipaesi sono semplici spettatori -, èl'obiettivo di una corsa agli «arma-menti informatici», una gara che,col loro vasto apparato sommersodi spionaggio cibernetico, gli Usastanno vincendo. Per quanto pos-sano protestare le cancellerie indi-gnate di mezza Europa, è chiaroche tutti gli stati si adoperino perspiare gli uni sugli altri e tutti, chipiù chi meno, sui propri cittadini.Ma in fatto di tecnologia gli Usasono ancora una superpotenzagrazie in gran parte al sodaliziocol settore privato. Due terzi dellericerche mondiali passano dai mo-tori Google, Facebook gestisce untraffico pari a un terzo degli utenti

planetari di internet, Microsoftproduce ancora il 90% dei sistemioperativi e il traffico cloud passapur sempre per Silicon Valley; larete sarà anche immateriale ma iserver hanno pur sempre un pesospecifico e internet «vive» in granparte in California.

Un dato che offre oggettivi van-taggi a chi quei dati li vuole con-trollare. La Nsa, che sta costruen-do un mastodontico complessoper l’immagazzinamento dati inUtah, ha annunciato di poter por-tare il numero di comunicazioniintercettate da 2 miliardi a 20 mi-liardi al giorno. Il 90% delle infor-mazioni custodite nei computertop secret sono state raccolte solonegli ultimi due anni. Non esatta-mente la fotografia di un inversio-ne di rotta: come ha dichiarato Mi-chael Hayden, ex direttore dellaNsa a Bloomberg News: «Nel-l’estrarre informazioni da archiviavversari, nessuno ci batte». Doveper avversari evidentemente si in-tende il resto del mondo, tutti noicompresi.

Sull’intelligence e sul control-lo dell’informazione si decide in-somma una cruciale questionedi egemonia politica e commer-ciale. E qui datagate potrebbeavere un costo concreto se è ve-ro, come sostiene Julian Assan-ge, che minaccia di incrinare ilmonopolio informatico america-no decretando un progressivoesodo di clienti ad esempio dasocial network e servizi «nuvola»basati negli States, una perditache secondo Assange potrebbeammontare presto a un dannodi 30 miliardi di dollari. Sarannosignificativi in questo senso an-che le eventuali ripercussioni didatagate sui prossimi negoziatidel trattato di libero scambio fraUsa e Europa.

ORECCHIE DA MERCANTI

Washington • L’intercettazioni di 35 capi di Stato rendono difficileper l’America continuare a parlare di lotta al terrorismo

Ildatagatetornaacasa

La Nsa annuncia:controlleremo20 miliardidi comunicazionial giorno

SU TWITTER

Michael Haydenintercettato sul trenoL’intercettatore intercettato da un nor-male cittadino: una conversazione tele-fonica di Michael Hayden, ex direttoredella Nsa e della Cia, è stata casual-mente ascoltata e pubblicata in temporeale su Twitter. In viaggio in treno ver-so New York, Hayden stava commen-tando al telefono la tempesta dataga-te. Non si è però accorto che dietro dilui era seduto Tom Matzzie, ex diretto-re per Washington di Move-On, un mo-vimento progressista vicino a Obama,che ha cominciato a twittare: «Sta fa-cendo commenti denigratori sull'ammi-nistrazione», «stava parlando con Mas-simo Calabresi, di Time, ne sono quasicerto».

MANIFESTAZIONE AMERICANA PER EDWARD SNOWDEN /REUTERS

Il gigantesco apparato costruito per gestireil conflitto totale si sta ritorcendo contro gli Usa.Ma per quanto in difficoltà, Obamanon rinuncia al ruolo di poliziotto del mondo

Page 9: Il Manifesto 26 ottobre 2013

SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 9

Anna Maria MerloPARIGI

Lo scandalo dello spionaggioè stato al centro del Consi-glio europeo, anche se que-

ste questioni non sono comunita-rie, ma dipendono dalle relazionibilaterali dei diversi stati con ilprincipale imputato, gli Stati uniti(con cui del resto hanno collabora-to, in varia misura, numerosi paesieuropei, anche uno a scapito del-l’altro). Per questo, a Bruxelles èandato in onda un nuovo episodiodella frammentazione europea, ca-muffata da qualche bel discorsoche finge l’unità. Tutti indignati, inuna corsa a chi mostrava maggio-re irritazione verso «lo scandalo».

Dopo la Francia e la Germania,anche la Spagna, che si è anch’es-sa scoperta spiata fin dai temi diZapatero, ha convocato l’amba-sciatore statunitense a Madrid.Ma, in sostanza, non è stata presanessuna decisione forte: non ci sa-rà nessun blocco dei negoziati sulTtip, la «Nato del commercio»,che deve stabilire norme comunitra le due sponde dell’Atlantico,mentre lo spionaggio non è solopolitico, ma anche - e soprattutto- industriale.

Francia e Germania hanno sotto-posto ai partner una dichiarazionecomune, letta dal presidente delConsiglio Ue, Herman Van Rom-puy, dove si invita a ristabilire la fi-ducia tra paesi amici, ma vengonoevitate critiche esplicite a Washin-

gton. Infine, anche per la protezio-ne dei dati personali dei cittadiniUe all’interno dell’Europa, si dovràaspettare il 2015 per la revisionedella direttiva sulle telecom.

Francia e Germania hanno par-lato di instaurare un «codice dibuona condotta» nell’intelligence,perché, come ha detto Merkel,«non si intercetta qualcuno incon-trato a un vertice internazionale».Ma Merkel, in campagna elettora-le, aveva messo la sordina sulle cri-tiche dell’opposizione, rispetto al-la questione dello spionaggio Usae adesso è questa stessa opposizio-ne Spd, che si prepara a fare un go-verno con la cancelliera, ad abbas-sare i toni. Hollande ha protestato,ha accennato al cyberattacco cheavrebbe subito la Francia nel mag-gio 2012, tra i due turni della presi-denziale, ha spiegato che sono se-guite «varie piste», ma da Parigi ilprimo ministro Jean-Marc Ayraultha assicurato che il paese non hacorso «nessun rischio».

Nella «dichiarazione» di Bruxel-les viene citata «l’intenzione diFrancia e Germania di intrapren-dere discussioni bilaterali con gliUsa con lo scopo di trovare entrofine anno un accordo sulle relazio-ni reciproche in questo campo». Icapi di stato e di governo afferma-no di essere «informati» dei recen-ti sviluppi dello scandalo, capisco-no «la profonda preoccupazionedei cittadini», ma si premurano diribadire che la relazione è «stretta»con gli Usa e che la collaborazione

deve continuare, certo «fondatasul rispetto e la fiducia». Gli euro-pei si limitano a mettere in guar-dia Washington: la «mancanza difiducia reciproca potrebbe porta-re pregiudizio alla necessaria coo-perazione di raccolta informazio-ni» nella lotta al terrorismo. È al-l’opera, del resto, un gruppo di la-voro Ue-Usa sulla protezione deidati. La «dichiarazione» non ha en-tusiasmato polacchi e britannici.La Germania, invece, fa la vocegrossa. All’Onu ha stabilito un’alle-anza con il Brasile, altro paesespiato, per chiedere delle spiega-zioni. Merkel ha espresso un’emo-zione probabilmente non simula-ta, viste le analogie che possono es-sere stabilite con il comportamen-to della Germania est: «Abbiamosotterrato assieme i nostri soldatiin Afghanistan - ha detto - non èpossibile che adesso dobbiamopreoccuparci di essere spiati da al-leati». Enrico Letta ha chiesto «tut-ta la verità» agli Usa. Ma poi, an-che gli italiani fanno come gli altri,e diventano molto meno chiariquando devono precisare cosa èdavvero successo, cosa ha subitol’Italia o a cosa ha partecipato. Per-ché, come ha ammesso Jean-Clau-de Juncker, caduto in Lussembur-go proprio a causa di uno scanda-lo dei servizi, «probabilmente an-che i nostri non adottano sempre icomportamenti migliori». Alla fac-cia del «codice di buona condotta»che adesso Parigi e Berlino andran-no a discutere con Washington.

ORECCHIE DA MERCANTI

Andrea Palladino e Andrea Tornago

Èl’11 settembre 2001 il momento disvolta nella strategia di spionaggioglobale della Nsa. Dopo l’attacco al-

le Twin Towers, tutto cambia. Anzi, giàqualche giorno prima dell’attentato cheha cambiato il mondo. Una strana coinci-denza raccontata da tre fonti qualificate,ex analisti senior della National securityagency, in una audizione davanti ai mem-bri della commissione Libertà e affari in-terni del parlamento europeo (commis-sione Libe), che da settembre si occupa atempo pieno del datagate.

C’è un prima 2001, quando negli ufficidella più potente agenzia d’intelligencedel mondo girava un software in grado dipuntare l’attenzione degli analisti solosui bad guys: terroristi, criminali, targetinseguiti dalle polizie del pianeta. Un si-stema - chiamato ThinThread - che copri-va i dati dei semplici cittadini, rispettan-do privacy e quarto emendamento. E c’èun dopo 11 settembre, quando la privacyviene messa da parte dall’allora capo del-l’Nsa Michael Hayden, passato nel 2006a comandare la Cia. È con la sua gestioneche cambia la strategia di ascolto dell’in-telligence Usa, anticipando l’arrivo di Pri-sm, il sistema al centro del datagate. Ilsuo nome è già nel primo scandalo sullospionaggio della Nsa, raccontato nel2006 da Usa Today. Il quotidiano pubbli-cò all’epoca un’inchiesta sull’esistenza diun database di telefonate interne negliUsa, in violazione del quarto emenda-mento e delle regole della privacy.

«Non c’è alcun bisogno di pescare astrascico e immagazzinare tutti i dati delmondo - scrivono i “dissidenti” della Nsaalla commissione Libe in un documentodepositato negli uffici del parlamento eu-ropeo - e non serve trovare alcun com-promesso tra la sicurezza e la privacy».William E. Binney, 36 anni di esperienzanella Nsa come direttore tecnico e vetera-no dell’agenzia di sicurezza della Us Ar-my, J. Kirk Wiebe, analista esperto dellaNsa e Thomas A. Drake, ex dirigente del-la Nsa per 25 anni ai vertici dell’agenzia

ne sono convinti. Sono stati loro a proget-tare e sperimentare il programma Thin-Thread, che nel 1998 aveva superato apieni voti tutti i rigorosi test della Nsa.ThinThread aveva una capacità superio-re a tutti i programmi precedenti di indi-viduare le minacce nella mole di dati increscita costante con cui dovevano con-frontarsi le intelligence di tutto il mondo.Era anche in grado di criptare rapida-mente le comunicazioni e i dati sensibiliper salvaguardare la privacy. Punto cen-trale questo per i tre analisti, in grado ditutelare la riservatezza, garantendo - nelcontempo - la possibilità di seguire i pos-sibili terroristi.

In un’intervista rilasciata al Baltimore

Sun, Drake rivela che ThinThread fu eli-minato tre settimane prima dell’11 set-tembre per «cambi di priorità nelle inter-cettazioni dell’intelligence americana».Motivi politici, condensati nella decisio-ne del direttore della Nsa MichaelHayden di passare al programma Trail-blazer, più adatto all’era della «guerra alterrore». Anche se considerato dagliesperti molto meno efficace e abbando-nato nel 2006 per inefficacia e costi ecces-sivi per l’amministrazione americana, sti-mati in alcuni miliardi di dollari.

Nel 2002 Drake, Binney e Wiebe de-nunciarono all’ispettore generale del Di-partimento della difesa (autorità indipen-dente che deve valutare i programmi e le

operazioni del dipartimento) la malage-stione e lo spreco di soldi pubblici allaNsa intorno al programma Trailblazer. Ene pagarono anche le conseguenze, conl’amministrazione Bush come con quellaObama. Le loro abitazioni furono perqui-site dall’Fbi nel 2007 e Drake si ritrovò ac-cusato di spionaggio nel 2010. Accusepoi cadute.

Il risultato dell’indagine dell’ispettorefu un rapporto del 15 dicembre 2004, de-classificato poi nel 2011 in seguito al Free-dom of Information Act. Un dossier chenon è integralmente leggibile per i tantiomissis apposti al momento della dese-cretazione. I tre ex agenti della Nsa han-no indicato una strada ai commissari eu-

ropei: cercate di farvi dare la copia inte-grale di quel rapporto, per capire esatta-mente come funzionano i sistemi di in-tercettazione, quanto costano, quale livel-lo di privacy sono in grado di garantire. Ela chiave, secondo il loro racconto, puòessere trovata in quel passaggio dallapiattaforma ThinThread al sistema volu-to da Hayden. Da quella scelta sarebbepoi derivato l’uso di software particolar-mente invasivi, come hanno dimostratole inchieste del Guardian sul datagate.Non solo. Quel rapporto era nato da de-nunce su vere e proprie frodi, con rappor-ti tecnici manipolati o fatti sparire, comesi legge nelle poche righe dell’introduzio-ne non coperte da omissis.

Dai primi di settembre la commissio-ne Libe sta cercando di ricostruire - daun punto di vista istituzionale - il caso da-tagate. Non è la prima volta per l’Europa.Il tema degli spioni in ascolto sulle no-stre infrastrutture di comunicazione eragià stato affrontato anni fa trattando il ca-so Echelon, il sistema di raccolta dati ge-stito dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dal-l’Australia. Dopo la rivelazione sulle inter-cettazioni illegali del cellulare della can-celliera tedesca Angela Merkel il dossierè divenuto ancora più pesante. Non so-no solo le vite dei comuni cittadini euro-pei a entrare nel sistema Prism, la piatta-forma della Nsa la cui esistenza è stata ri-velata da Edward Snowden. Gli analististatunitensi puntano in alto, cercando diestrarre informazioni utili dalle comuni-cazioni dei capi di stato.

Fino a oggi la collaborazione da partedegli Stati Uniti è stata minima. I com-missari partiranno lunedì prossimo perWashington dove avranno una serie di in-contri con Rand Beers, segretario di statoper la sicurezza nazionale e con KarenDonfried, responsabile per gli affari euro-pei del National Security Council. Al mo-mento il direttore della Nsa non ha datorisposta alla richiesta di incontro. La mis-sione sarà cruciale, dunque, per capire lereali intenzioni di collaborazione dell’am-ministrazione Obama, su un dossier cherischia di compromettere gli stessi accor-di di libero scambio Ue-Usa.

Europa • «Si può tutelare la privacy senza danneggiare la sicurezza», scrivonoi “dissidenti” della National Security Agency ascoltati a Bruxelles

I tre ex agenti indicanouna strada: il rapportodel 2004. La copiaintegrale potrebbe fareluce sullo scandalo

IL DOCUMENTO · La testimonianza di ex specialisti dell’agenzia Usa alla commissione del parlamento europeo

«Avevamo già denunciato la Nsa»

IL CELLULARE DI ANGELA MERKEL /REUTERS

BRUXELLES · Francia e Germania per l’avvio di discussioni bilaterali

Spionaggio, l’Ue invoca chiarezza.Ma a bassa voce, l’alleato è in ascolto

DAVID CAMERON«Quello che fanno Snowden e igiornali che lo aiutano, insegna allagente che ci vuole colpire come fareper evitare la nostra intelligence, lasorveglianza e le altre tecniche» e«questo non rende il mondo piùsicuro, ma più pericoloso: ciòsignifica aiutare i nostri nemici», èl’accusa del premier britannico

MARIANO RAJOYIl premier spagnolo ha datoistruzioni di convocarel’ambasciatore degli Stati Uniti inSpagna, James Costos, perché diaspiegazioni sullo spionaggio daparte della Nsa statunitense dellecomunicazioni del governo iberico.«El País» ieri ci ha fatto il titolo dicopertina, ma Rajoy resta cauto

ANGELA MERKEL«Abbiamo detto che ogni paeseindividualmente si metta incontatto con gli Stati uniti peraccordarsi su un quadro di futuracooperazione» in materia diintelligence. Così la cancellieratedesca chiedendo un accordo congli Usa «chiaro e in linea con lospirito da alleati»

ENRICO LETTA«Penso che non sia un’attività utilee positiva, anzi crea molti problemie non ha gli effetti positivi ditrasparenza che lui si prefigge», è ilgiudizio del premier italiano sullerivelazioni di Edward Snowden, la«talpa» del datagate. Letta èspiato?: «Non lo so, rimando aulteriori chiarimenti», risponde

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pagina 10 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

CULTURE

Claudio Vercelli

Se si osserva la discussione e,soprattutto, il processo deci-sionale che sta accompa-

gnando l’ipotesi, in sé non inedi-ta, di introdurre anche in Italia ilreato di negazionismo, più che lafretta a costituire una cattiva con-sigliera parrebbe oggi essere unasorta di pessima coscienza che,nelle infinite e tortuose mene del-l’agire parlamentare rischia, purrinviando a intenzioni morali sot-toscrivibili, di produrre un’etero-genesi dei fini. Detto in altre paro-le, potrebbe indirettamente legitti-mare quello che invece vorrebbereprimere legalmente ed una vol-ta per sempre. Entriamo nello spe-cifico, poiché ci troviamo dinanziad un campo minato ed è quindibene mettere dei solidi paletti: daun lato abbiamo a che fare noncon delle opinioni, per quantoestreme, bensì con un fenomenorivoltante e abietto. Ribadiamolo,quindi. Se si parla di negazioni-smo si rinvia alla squallida menzo-gna di chi, ammantandosi dietroil diritto alla «libertà di ricerca» edi «coscienza», nonché ad un ri-corso all’«opinione» che diventaprima licenza di stravaganza epoi, in immediato riflesso, di in-sulto, uccide la memoria delle vit-time dei genocidi, dichiarano chei secondi non sono mai accadutie che le prime, quindi, non posso-no essere mai esistite.

Assassinio della memoriaAl centro di questo filone, che conla storiografia non ha nulla dacondividere, vi è lo sterminio del-le comunità ebraiche per manonazista e fascista. Non di meno, lasua eco pubblica a distanza dimolti decenni. Ma il campo diestensione, a ben guardare, è as-sai più corposo, chiamando incausa, di volta in volta, anche al-tre vicende e fatti. La qual cosa,detto da subito, imbroglia enor-memente la matassa della discus-sione. Cosa va ritenuto delittocontro l’umanità, nonché genoci-dio, al di là della definizione giuri-dica, a tratti molto nominalistica,nelle nostre società? Chi è chiama-to a sanzionare l’uno e l’altro ri-spetto al dibattito pubblico? Puòessere un giudice a perseguire chine nega l’esistenza? Quando si èin presenza di una deliberata ne-gazione e «quanto», nonché «co-me», ciò può costituire una lesio-ne dell’altrui dignità e dei suoi fon-damentali diritti?

Quesiti che si intrecciano, nellaloro complessità, con il bisogno,sollevato da più parti, di reprime-re quanto è vissuto come un assas-sinio della memoria, oltraggio de-liberato e inaccettabile. Se quindi,da un lato, vi è questo groviglio difatti e pulsioni, dall’altro si è datoil rinnovato impegno del legislato-re nel volere sanzionare le condot-te di negazione. In tal senso già siera mosso nel 2007, primo dei pro-motori l’allora ministro di Giusti-zia Clemente Mastella. Di fattonon se ne fece nulla, dopo peròun fuoco di fila polemico nel qua-le si distinsero gli storici contem-poraneisti che si espressero, per iltramite della Sissco, contro taleipotesi. Allora, quattro erano ipunti critici messi in rilievo daglioppositori: la sostituzione, allabattaglia culturale, della minacciadel ricorso alla legge; la possibilitàdi offrire ai negazionisti l’impro-prio ruolo di difensori di una liber-tà di opinione, per quanto basatasulla propalazione di deliberatefalsità; il sospetto, indotto in par-te della pubblica opinione, checiò che il legislatore intendessesancire fosse una verità di Stato,come tale inconfutabile (e in ra-gione di ciò ancora di più dubita-bile); l’accentuazione dell’ideache l’«unicità della Shoah», non-ché la sua memoria, divenendo lametonimia del male assoluto,non potessero in alcun modo es-sere fatte oggetto di considerazio-ni critiche.

Attualmente, in sede di discus-sione parlamentare, peraltro già

avanzata, l’emendamento propo-sto all’articolo 414 del codice pe-nale, secondo i suoi estensori esottoscrittori, estenderebbe la san-zione del carcere, con una penavariabile tra l’uno e i cinque anni,oggi già prevista per chi commet-te apologia di reato o istigazioneal crimine, anche a chi dovesse ne-gare l’esistenza di crimini di geno-cidio o contro l’umanità. Se cosìfosse, i nostri codici recepirebbe-ro e introdurrebbero quindi la fat-tispecie di negazionismo come pe-culiare delitto da perseguire.

Un affare non solo giuridicoFin qui, se ci si rifà alla lettera del-la fredda norma, da obiettare vi sa-rebbe soprattutto il fatto che essasi esprime in forma frammentatae residuale, ovvero come sempli-ce modifica di un articolo del codi-ce e non all’interno di un più am-pio e articolato dispositivo giuridi-co per la lotta contro l’esaltazionedelle brutalità e la perversione delpassato. Non di meno vi è chi ri-corda come tale disposizione rin-vii alla «decisione quadro sulla lot-ta contro il razzismo e la xenofo-bia», assunta dal Consiglio del-l’Unione europea nelle due sessio-ni del 19-20 aprile 2007 e del 28novembre 2008, alla cui attuazio-ne l’Italia è tenuta in quanto Statomembro. Non è poi meno vero,inoltre, che le prese di posizioneche si stanno susseguendo control’approvazione della norma, si ac-compagnano spesso alla perora-zione della necessità di intensifi-

care la lotta contro il negazioni-smo soprattutto sul piano didatti-co e culturale. Posizione nobile,quest’ultima, quindi sottoscrivibi-le in linea di principio, ma an-ch’essa inficiata da molti limiti. Sefosse altrimenti, difficilmente ciincontreremmo con un problemadi proporzioni così lievitanti.

Di Shoah se ne è infatti parlato

molto. Qualcuno, come GeorgesBensoussan, pensa che possa in-nescarsi addirittura un fenomenoinflattivo, dove alla ripetizione dichi racconta e afferma segue ladissociazione di chi ascolta (e poirimuove, negando). Cosa pensa-re, quindi, del quadro che va deli-neandosi? Siamo dinanzi al con-frontarsi di due unanimità fragili:

da una parte gli storici, per buonaparte contrari; dall’altra i politici,perlopiù tartufescamente favore-voli, a partire da quelli della sini-stra. Una prima obiezione di meri-to rinvia ad un dato concreto, os-sia all’applicabilità di una normache emenda un articolo del codi-ce penale. Non è solo materia pergiuristi.

A colpi di scandaliLa formulazione dell’oggetto è –infatti - ambigua, lasciando unmargine di ampia discrezionalitàal giudice e conferendo ai tribuna-li, nel qual caso, un’impropria fun-zione, quella di stabilire una qual-che forma di verità storica, fosseanche solo in un gioco di riflessicapovolti. Quanto meno per sot-trazione, dal momento in cui ilprimo e i secondi sarebbero chia-mati in giudizio a decidere cosainvece storia non è, trattandosisoltanto di bieca falsificazione equindi di reato. Saremmo, nelqual caso, non in uno spazio di di-ritto ma in un ambito di discrezio-nalità assoluta, delegata al magi-strato. Ed è qui che la vera opinio-ne rischierebbe di essere per dav-vero colpita, non essendo invecela negazione da ritenersi tale. Ilpunto, infatti, non rinvia tanto aciò che non è giusto dire bensìagli strumenti con i quali è corret-to sanzionare non l’errore ma l’or-rore, così come soprattutto al-l’identità di colui al quale è de-mandata l’identificazione della as-sai labile differenza che spesso in-

tercorre tra idea, pur nella sua ra-dicalità e inverosimiglianza, e mi-stificazione.

Tale risultato, peraltro, in unacostante perversione dei ruoli, siincontrerebbe e asseconderebbel’infelice concezione tribunaliziache da tempo l’opinione pubblicava conferendo all’operato dellostorico, con notevoli pressioni etentativi di influenzarne gli esitidel lavoro di ricerca, come se la ri-costruzione del passato dovesse ri-dursi ad una attribuzione di colpee di torti, magari assolvendo il pre-sente da qualsiasi altra presa diposizione in termini di coscienzacritica. Il successo pubblicisticodi Gianpaolo Pansa, ad esempio,si inscrive in questa logica corren-te, incentivando una piegaturascandalistica, tra le altre, del rap-porto con il passato. Non di me-no, dietro alla volontà di sanziona-re il reato pare non esserci per par-te del legislatore la consapevolez-za del senso e della dimensionedel vero problema, che non rinviain immediato al negazionismoideologico (per intenderci quelloche si rifà al nazismo, al fascismoe ai vari fondamentalismi politicie identitari variamente assortiti),già perseguibile con gli strumentiche il legislatore ha a disposizio-ne, bensì alla sua traslazione sulweb, nella cybersfera, all’internodi un circuito virale che è, per suanatura, incomprimibile, nelle for-me come nei contenuti. Poiché ilnegazionismo, oggi più che mai, èquestione che rimanda alla dichia-rata dimensione pubblica, voluta-mente scandalosa e quindi sedut-tiva, del suo esasperato controfat-tualismo.

Armamentari antisemitiTutti gli armamentari del com-plottismo, del vecchio antisemiti-smo – se si parla di Shoah comedel conflitto israelo-palestinese,anelli dai più saldati in un’unica,insalubre relazione – ma ancheuno scetticismo programmatico,che induce a ritenere che la narra-zione storica sia di per sé semprestrumento di «potere», e quindi dioccultamento, sono in questo ca-so interagenti. Si tratta di un veroe proprio campo di significati, fal-si e mistificanti, che tuttavia indu-cono coloro che li fanno propri,proni ad una lettura nel medesi-mo tempo ingenua, ingessata,pregiudiziosa e semplificatoriadei processi storici così come del-la realtà quotidiana, a credere diavere finalmente trovato una chia-ve di comprensione e, quindi, diemancipazione dai «poteri forti».La recente, stucchevole vicendain cui è incorso Piergiogio Odi-freddi, il «matematico impertinen-te» e facile opinionista, ne è la car-tina di tornasole. Una disposizio-ne penale volta a reprimere que-sti atteggiamenti mentali, di persé comunque molto problemati-ci, va quindi incontro a un dupli-ce scacco: da una parte la convin-zione di potere svuotare l’oceanocon il proverbiale cucchiaino e,dall’altra, il rischio, ancora piùconcreto, di indurre il convinci-mento che ci sia una versionepubblica del passato che non puòessere sottoposta a nessuna ricon-siderazione critica.

Da qui al creare dei martiri abuon mercato il passo è decisa-mente corto. Si tratta esattamen-te di ciò che i negazionisti di ognirisma vanno cercando di fare, es-sendo personaggi all’esasperata ri-cerca di un proscenio pubblico,anche quando si tratta di un tribu-nale (come, tra le altre, le vicendedei processi contro Zündel e Lip-stadt rivelano), nel quale recitareil loro «sacrificio». Con l’aggravan-te, va ribadito, che la percezioneche una parte del pubblico matu-rerebbe è quella che il condanna-to è tale non per torto bensì perun’inconfessabile ragione, ossia,come i più amano dire, che la «sto-ria la scrivono i vincitori», ed è es-sa a costituire per davvero unamenzogna. Mi pare quindi che sisia molto distanti da una soluzio-ne accettabile.

La proposta di introdurre il reato di negazionismo vuol reciderela possibilità di affermare che non c’è stato lo sterminio

degli ebrei. Ma, così facendo, trasforma gli epigoni del nazismoe del fascismo in paladini della libertà di espressione

SOPRA, LA RISIERA DI SAN SABA. QUIACCANTO, IMMAGINE TRATTA DAL VOLUME

ALBUM AUSCHWITZ (EINAUDI)

L’abiezioneanormadi legge

STORIA PUBBLICA

Page 11: Il Manifesto 26 ottobre 2013

SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 11

Mauro Trotta

«Chi non impara nulla daibambini, certamentenon imparerà nulla dai

grandi». Questa frase di Ernst vonWildenbruch è riportata subito, al-l’inizio di Tutti in classe. Un mae-stro di scuola racconta di Alex Cor-lazzoli (Einaudi, Torino, pp. 134,euro 12), un libro interessante so-prattutto per lo sguardo libero dainibizioni e pregiudizi che l’auto-re riserva ai ragazzi, facendo sco-prire al lettore non solo sentimen-ti, modi di vita, pensieri dei suoipiccoli studenti, ma delineandoun quadro vivo e accurato delletrasformazioni che hanno attre-versato e attraversano l’universoinfantile e, di conseguenza, l’inte-ro spettro della società attuale.

Alex Corlazzoli, blogger, giorna-lista, scrittore ma, innanzi tutto,maestro elementare, non si limitaa parlare dei problemi strutturalidella scuola, ma raccontando conestrema empatia la vita tra i ban-chi, e non solo, dei suoi protagoni-sti, offre una chiave di lettura effi-cace per comprendere i cambia-menti, le mutazioni che investo-no anche violentemente l’intera

società. E, cercando di capire e difar capire, lancia proposte, propo-ne soluzioni, svela anacronismi edelinea i contorni, intessuti di so-gni, curiosità, speranze, delle ulti-me generazioni.

Da sempre, del resto, artisti, let-terati, cineasti hanno utilizzatol’universo infantile per compren-dere e mostrare i tratti fondamen-tali della società in cui si trovava-no a vivere. L’elenco sarebbe inter-

minabile. Basti pensare a film co-me Zero in condotta di Jean Vigooppure Gli anni in tasca o Il ragaz-zo selvaggio di FrançoisTruffaut oancora Germania anno zero di Ro-berto Rossellini. O a libri come Pi-nocchio di Carlo Collodi, Il piccoloprincipe di Antoine de Saint-Exupéry, il Tom Sawyer di MarkTwain. Opere dove sogni, poesia,ribellione, leggerezza, dramma si

intrecciano in maniera quasi in-dissolubile.

Oggi, invece, risulta difficile chequalcuno si avvicini a tali temati-che. Come denuncia lucidamentee amaramente l’autore all’iniziodel suo libro: «Qualcuno, laggiù,non si accorge che ci siamo. Nonsi preoccupa di come i bambiniimparano ad amare, a leggere, ausare la tecnologia. Non si chiedepiù che scuola abbiamo, che postidi lavoro stiamo preparando perloro». Subito dopo questa consta-tazione, inizia il viaggio, ed è unviaggio appassionante e veritierodove è possibile scoprire cosa real-mente pensano i bambini dei pro-pri genitori o che rapporto hannocon l’affettività, l’amore e il sesso.Si tocca con mano che peso hanella loro vita la tecnologia, si ve-de cosa significa essere nati conInternet e il computer, che rappor-to hanno i piccoli con la storia, co-sa conoscono del passato e cosano, come sia grande e appassiona-ta la loro voglia di comprendere,sapere, scoprire.

Si mettono in evidenza incon-gruenze, mancanze, vere e pro-prie stupidaggini che la scuola im-pone loro. Cose che non capisco-

no e che, in verità, nessuno po-trebbe capire. Come l’obbligo dimettersi in fila «come fossero ungregge di pecore» o il divieto dicorrere, urlare, divertirsi anche seè suonata la ricreazione. Oppureil fatto di concepire lo studio co-me sforzo, sacrificio dove non ètanto importante quello che impa-ri ma semplicemente i voti sullapagella. O perché i piatti che trova-no alla mensa siano tristissimi:«minestrine stile casa di riposo(...), paste alla ricotta dove la ricot-ta era più che altro un ricordo, cre-me di legumi con riso che ricorda-vano i giorni mesti in cui si è am-malati sotto le coperte, pere e me-le spezzettate, servite nelle baci-nelle di plastica azzurra che lenonne usavano per i panni».

Il tutto raccontato con una scrit-tura piana, efficace, discorsiva co-me se l’autore stesse parlando di-rettamente al lettore. E con la con-sapevolezza, sottesa lungo tutto iltesto, di trovarsi come in un viag-gio spaziale che non si sa dove ciporterà, sapendo però che «allaguida della navicella spaziale ci so-no i bambini, che hanno intuito illoro compito: trasportarci in unanuova era».

CULTURE

Fabio Raimondi

Libro non facile ma utile, L’av-ventura della filosofia france-se. Dagli anni Sessanta (Deri-

veApprodi, pp. 200, euro 17) diAlain Badiou, perché consente diriaprire il discorso sul rapporto trafilosofia, scienze, politica e educa-zione. Non so con quale criterio si-ano stati ordinati i testi (rispettiva-mente su: Deleuze, Kojève, Cangui-lhem, Ricoeur, Sartre, Althusser,Lyotard, F. Proust, Nancy, Cassin,Jambet-Lardreau, Rancière), ma ènell’ultimo, il più recente, che sitrovano le coordinate politiche e te-oriche per inquadrare il pensierodell’autore e la sua Prefazione. Inessa, infatti, ciò che altrimenti sa-rebbe una raccolta di scritti sparsi,composti in un ampio arco tempo-rale (1967-2006), è sistematizzatocome «momento filosofico france-se», modestamente comparato«tanto al momento greco classicoquanto a quello dell’idealismo te-desco», così da scivolare, suo mal-grado, nel nazionalismo filosofico,alla pari di altri brand dagli impro-babili nomi quali French Theory o,visto il nostro provincialismo, Ita-lian Theory.

Conoscenza è potereLa data d’inizio della raccolta nonè casuale. Il 1966-67, infatti, è il mo-mento in cui la Rivoluzione cultu-rale cinese indica un «orientamen-to contrario» alle correnti allora do-minanti, tra cui lo strutturalismo,nel quale si inserirono col loro«neo-scientismo» basato sulla «for-malizzazione» sia Althusser (su dilui è il saggio del ’67) sia Lacan. Il«momento francese» comincia quiil suo percorso, poi amplificato dalMaggio ’68: «rivolta anti-autorita-ria che mira al rovesciamento dellegerarchie fondate sulla detenzionedi un sapere» e «contro l’organizza-zione verticale della sua trasmissio-ne»: «l’idea è che la sperimentazio-ne operaia diretta abbia un’impor-tanza per lo meno altrettanto gran-de» di quella «fondata sul saperetecnico-scientifico degli ingegnerie dei capi». Non scadendo nella for-mula «volgare»: «ogni sapere è unpotere, abbasso l’autorità del sape-re!» in cui molti sono incappati e in-cappano – ma è come camminaresul ciglio di un burrone, scivolareverso il basso fa parte della naturadel luogo – tale idea segna il «pas-

saggio da una sorta d’ideologia filo-sofica dominante basata sul para-digma dell’assolutezza dei saperiscientifici e una serie di fenomenipolitico-ideologici i quali, al contra-rio, fanno maturare il convinci-mento che il legame tra sapere eautorità sia una costruzione politi-ca oppressiva, che deve essere abo-lita, se necessario, con la forza». Il«momento francese» è tutto qui, enon è poco, perché si tratta «di unproblema complicato: come scio-gliere, abolire le figure esistenti direlazione tra il sapere e l’autorità,tra il sapere e il potere» e, di conse-guenza, come «concepire una tra-smissione – del sapere e dell’espe-rienza, anche rivoluzionaria – chenon sia imposizione»? Il passaggioè attualissimo e irrisolto.

La Francia e le sue colonie (ex e

non) sono state, nella seconda me-tà del XX secolo e accanto ad altri«momenti» magari meno visibili,una delle scene più importanti nelcampo di battaglia della filosofiacontemporanea. Il loro contributoprincipale è l’impostazione della«questione del soggetto» come «ele-mento comune» che consente dinon «contrapporre concetto ed esi-stenza», consentendo così alla filo-sofia di uscire «dall’accademia» ecollocarsi «direttamente sulla sce-na politica» grazie a uno «stile diespressione» tale da «rivaleggiarecon la letteratura». Il processo disoggettivazione, infatti, mostra che«la scienza è ben più vasta e pro-fonda rispetto alla semplice que-stione della conoscenza», perché è«un’attività produttiva» che mobili-ta «qualcosa di più oscuro, di piùlegato alla vita, al corpo» e che, co-me evidenzia il saggio su Sartre,«concentra in sé forze più vaste».Ci si trova così a un crocevia impor-tante e delicato, perché da un latosi apre la questione di come talepratica sia stata sussunta, in modoindebito forse, certamente becero,ma reale, dal mercato e dal capitali-smo globale (e le sliding doors traex maoisti e ideologi del capitali-

smo hanno avuto la loro importan-za), ma, d’altro canto, non si puòmisconoscerne la rilevanza nel ridi-mensionamento del positivismo edello scientismo.

Tralasciando la prima questio-ne, troppo ampia e di cui il testonon tratta, è indubbio che il «mo-mento francese» abbia permessodi mettere in crisi i confini di moltediscipline, soprattutto nell’ambitodelle scienze umane e sociali; ab-bia supportato l’esplosione dellacreatività personale e collettiva inogni campo; abbia messo in discus-sione il principio di autorità, inse-rendosi a pieno titolo nella moder-nità; abbia, in sostanza, aperto la vi-ta a una grande libertà di pensieroe di azione. Molti sono i modi incui tutto questo è stato filosofica-mente declinato e questo libro ne

fornisce numerosi esempi. Comegià accaduto in altri momenti stori-ci e in altri luoghi del mondo, la vo-lontà che «la filosofia agisca in no-me proprio» esprime un desideriodi libertà, politica in ultima istan-za, tramite il quale solo se tutta lavita è impegnata si genera il gestofilosofico, raro ma universale, del-l’invenzione del concetto come«cammino di cui non si conosce ilpunto d’arrivo».

Un debole assiomaLe proposte enunciate dal «mo-mento francese», però, indicanospesso vie troppo vaghe o troppoastratte, com’è il caso, pur nelle dif-ferenze, di Rancière e Badiou. Se sitratta di evitare sia «il Partito al disopra del movimento» sia «un’im-manenza movimentista vitale», mipare difficile uscirne col «maestroignorante» o con «l’aristocraziaproletaria». Democrazia dal bassocon annesso spontaneismo dellemasse e progressiva inclusione del-la «parte dei senza parte», e avan-guardia organizzativa con annessosapere specialistico di pochi, sem-brano lambire, talvolta molto da vi-cino, ciò che bisognerebbe abban-donare. Rancière e Badiou, inoltre,condividono l’assioma che l’ugua-glianza è una «dichiarazione» enon un processo. Politicamentequesto ha una valenza forte e, in al-cuni contesti, potenzialmente rivo-luzionaria, ma è conoscitivamentedebole, a meno di non prescinderedal principio di realtà. È nel con-fronto con essa che i saperi si di-spongono su scale, mutevoli ma ge-rarchiche, di validità, efficacia euniversalità. La sopravvalutazionedel performativo come pura capa-cità inventiva del linguaggio, cheplasma il mondo solo per il fatto dipronunciarsi porta sì all’aumentodell’informazione ma anche alla di-minuzione della comunicazione.

Se dichiararsi uguali è esserlo,perché, come dice FrançoiseProust, «cominciare è un atto di-chiarativo» non si ricade in unaconcezione idealistica del soggettocome libertà assoluta? Oppure, seil soggetto è il punto in cui transitala fedeltà a una procedura di veritàinnescata da un evento che rompel’ordine dell’apparire, non si rica-de in una concezione forte del-l’ideologia? Per uscirne senza di-sperdere l’eredità del «momentofrancese», bisognerebbe ripartiredai suoi limiti, implicitamente mo-strati dal testo di Badiou, riproble-matizzandone innanzitutto le coor-dinate teoriche e politiche.

Uno squillo di cellulare inpiena notte. E un chirur-go viene catapultato den-

tro la vita, anzi la «fine della vi-ta» di un ragazzo. Alex è stato tro-vato a terra, vicino al motorino,in piena emorragia interna: ilsuo problema è il fegato e nonc’è operazione che tenga. Diffici-le ricucire un organo così com-promesso che sta mandando al-l’altro mondo quell’adolescentedal pallore spettrale. C’è una de-cisione agghiacciante da prende-re: togliere il fegato, permetterequalche ora di sopravvivenza adAlex e sperare folle-mente che arriviun donatore. I ge-nitori, prostrati dal-l’angoscia, dannoil consenso. Luigi -il medico in primalinea - non si arren-de e procede.

Le ore passano,lo stress e il doloresi accumula, maAlex troverà il suo«angelo» e avrà unfegato nuovo. Ini-zia così, con un rit-mo adrenalinico, il racconto inprima persona di Luigi RaineroFassati (medico sul serio e diret-tore del dipartimento Chirurgiae Trapianti del Policlinico) chein Mal d’alcol (Salani, pp.182, eu-ro 12) cerca di scoraggiare l’abu-so di «drink», con due storie ve-rissime alla mano. E con la sciadi disperazione che lasciano.Alex, infatti, non ha solo avutoun brutto incidente; è cadutoperché guidava in stato di eb-brezza, è dipendente dall’alcol.E non è l’unico ad avere questoproblema.

Secondo i dati dell’Istituto Su-periore di Sanità, il 22,4% deimaschi e il 13% delle femmine,tra gli 11 e i 17 anni, è a rischio ecrescendo con l’età, le percen-tuali aumentano esponenzial-

mente. In Italia, la principalecausa di morte in età giovanile èproprio l’alcol, connesso alle in-sidie della strada.

Di fronte alle statistiche snoc-ciolate con competenza e sul-l’onda dello spavento, Alex fa lepromesse di rito. Sarà sobrio persempre, ma poi affiderà di nuo-vo le sue emozioni alla bottiglia,avviandosi verso il suo tragicoepilogo esistenziale.

Poi c’è Viola, bella, bellissima.Torna dal medico-salvatore Lui-gi con il figlio di cinque anni:vuole che sia lui il padrino al bat-

tesimo. Il bambi-no porta il suostesso nome.

È madre, hauna voragine den-tro che la rendediversa dalle altreragazze, ma èmolto cambiatada quei giorni incui se ne stava in-chiodata a un let-tino della terapiaintensiva, lottan-do fra la terra el’aldilà. Overdose

da alcol, vodka. Bevuta tuttad’un fiato. Diciotto anni e lamorte nel corpo.

Viola, buona famiglia alle spal-le, un desiderio spasmodico diessere amata per quello che è enon per quello che i genitori vor-rebbero che fosse, non ce l’hafatta ad affrontare la sua adole-scenza senza farsi male. Per ade-guarsi a un fidanzato violento,ha cominciato a bere e a viverepericolosamente. Tanto da com-piere uno scellerato «rito di pas-saggio» per essere ammessa nel-la gang, come donna del boss.

È troppo per lei, e per chiun-que. Ci vorranno diversi arresticardiaci e ore intensissime in ria-nimazione perché Viola ritorniin sé. E questa volta sarà persempre.

SAGGI · «L’avventura della filosofia francese» di Alain Badiou

La scommessa apertadi un sapere critico

Arianna Di Genova

UNA NOTTE AL MUSEOÈ la giornata di apertura straordinaria (dalle 20 alle 24) deiprincipali musei statali italiani. Inoltre, chi si unirà agli oltresettantamila visitatori che hanno finora premiato con la loropartecipazione il progetto, potrà contribuire alla tutela del

patrimonio culturale italiano: il Mibact lancia infatti laconsultazione online «L'Arte Aiuta l'Arte». Gli utenti con unsemplice click potranno scegliere di restaurare l'opera d'artepreferita, selezionandola tra una rosa di otto conservate aFirenze, Napoli, Roma e Venezia. Il restauro sarà finanziato

dalla Direzione generale per la valorizzazione, che destinerài proventi dei biglietti di ingresso delle precedenti edizioni di«Una notte al museo». «Con questa consultazione online -spiega il direttore generale per la Valorizzazione, Anna MariaBuzzi - gli utenti della rete diventeranno protagonisti».

oltretutto

SCAFFALE · «Tutti in classe. Un maestro di scuola racconta» di Alex Corlazzoli, per Einaudi

I bambini non vogliono la minestrina riscaldata

Scritti in momentidiversi, i testi riunitinel volume restituisconoun percorso di ricercaancora in corso

MICHAEL FOUCAULT, GILLES DELEUZE E JEAN-PAUL SARTRE

Quando la vodkascorre nelle vene

Sguardi dal basso.Come i piccoliimparano ad amare,leggere, usarele varie tecnologie

Page 12: Il Manifesto 26 ottobre 2013

pagina 12 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

ROMA

Ha inaugurato come anteprima Levie dei festival 2013, ma è unospettacolo destinato a una lunga

vita autonoma. Un anno dopo (al TeatroDue, ancora stasera e domani) è un per-corso nella memoria del rapporto tradue uomini, impiegati nello stesso uffi-cio, per trent’anni.

E trenta rapidi flash, uno per ogni an-no appunto, costitui-scono il camminodella narrazione. Pic-cole cose, sentimen-ti, insofferenze, bana-lità e ponderose ri-flessioni, che permet-tono al pubblico diconoscerli, nella lorodiversità, ma soprat-tutto consentono diconoscersi ai due,che pure all’inizio sembrato destinati auna rigida incomunicabilità.

Enrico Ianniello è il nuovo arrivato, gof-fo e gaffeur nell’invadere il territorio del-l’altro. Tony Laudadio (oltre che interpre-te anche autore del testo e regista), è l’al-tro impiegato, che sembra non gradire af-fatto l’invasione e si trincera dietro le suescartoffie. Poi gradualmente, nel corso

dei trenta momenti annuali, le cose cam-bieranno: mentre il secondo continua arimanere barricato nella sua privacy,dando solo alla fine l’impressione di qual-che smottamento, l’altro non manca dirovesciargli addosso la sua moderata vi-ta «mondana» (per quanto la dimensio-ne della provincia porti a farli sentire tut-ti in gabbia), e anche quella privata, isuoi innamoramenti,il matrimonio, lapaternità e il divorzio. Una vita normale

quindi, ma che rispet-to all’altro ha la porta-ta rovinosa di un fiu-me in piena.

Con molta attenzio-ne alle piccole cose, vi-ste anche con occhiospietato, i due dannoun ritratto veritiero (eovviamente comico)di tante vite bloccate,di tanti rapporti uma-

ni conservati quasi nel freezer di unaanonima esistenza, che sembra prendercolore solo grazie al vago accento mar-chigiano della loro parlata. Una amarez-za appena lenìta dall’involontarietà deiparadossi: una fotografia attendibile del-la nostra umanità, anche se scattata dauna certa distanza. Che forse è solo quel-la della memoria. g. cap.

Gianni ManzellaROMA

La ricordiamo bene quella nottedi trent’anni fa, quando Jan Fa-bre fece irruzione al festival di

Polverigi. E subito ne fummo conqui-stati. Questo è teatro come ci si pote-va aspettare e prevedere, diceva il tito-lo presuntuosamente assertivo. Ilventicinquenne artista di Anversaaveva destato qualche brivido pub-blico con le sue solitarie performan-ce di stampo duchampiano (in Mo-ney bruciava le banconote raccoltefra coloro che vi assistevano…) maera praticamente sconosciuto allascena teatrale. Sul piccolo palco nu-do, chiuso sul fondo da un telo bian-co da proiezione, sotto una selva diganci da macelleria, inquietanti an-che se usati per appendervi e faredondolare le seggioline che costitui-vano l’unico provvisorio arredo dellascena, otto attori reclutati tramiteun’audizione mettevano in atto unaserie di azioni ripetitive, dilatate finoallo sfinimento degli interpreti. Unagghiacciante spogliarello innestatosu un dialogo di quotidiana banalità.Una coppia impegnata in una corsaa perdifiato. Un’altra in un freneticoe sempre più scomposto spogliarsi erivestirsi, a tratti immobilizzato dal-l’irrompere in scena degli altri perfor-mer…

Quando l’anno successivo debuttaalla Biennale di Venezia con il nuovospettacolo dal titolo altrettanto impe-rativo, Il potere della follia teatrale,Fabre è già un artista di culto peruna generazione cresciuta all’inse-gna del nuovo (sbaglia o semplice-mente non c’era e non sa chi parla discandalo o di provocazione, termini

del resto per lo più usati a sproposi-to). E quest’altro lavoro, con unacompagnia più numerosa e un piùricco apparato visivo, che non a casoper molti tratti richiamava l’icono-grafia barocca, poteva apparire unatraduzione del primo per un pubbli-co più largo. Non lo diceva proprioquel lussureggiante apparato icono-grafico, da Michelangelo ai fratelli LeNain, al posto dei pochi frames pro-iettati in loop di filmini in super 8

che riprendevano l’artefice con unsacchetto calato sul volto o una pisto-la alla tempia; o l’esplodere danzatodi un Crepuscolo wagneriano a con-trappunto del dolce e seriale mini-malismo delle musiche di Wim Mer-tens, laddove nell’altro c’era solo du-ro silenzio intorno al corpo dei per-former?

Rivederli ora, a tanta distanza ditempo, sul palcoscenico borghesedel teatro Eliseo dove li ha voluti il fe-

stival Romaeuropa (ma l’omaggio aJan Fabre si allarga anche a una mo-stra al Maxxi a cura di Germano Ce-lant, di cui il manifesto ha già datoconto, mentre è di prossima uscitaper Cronopios il diario «notturno» diquei suoi anni giovanili), riallestitiper un gruppo di interpreti ovvia-mente nuovo ma così uguali a comestanno fissati nel ricordo, può provo-care qualche stordimento e parec-chie domande per l’ormai sparuto

spettatore di allora. Acominciare, non puòessere che così, dalsenso che assume il ri-prendere oggi queglispettacoli, in un cli-ma sociale e culturaletanto diverso. Non viè dubbio infatti che es-si appartengono al lo-ro tempo, e tuttaviaciò non toglie che pos-sano parlare a unospettatore contempo-raneo, come fannoLas meninas o Les de-moiselles d’Avignon.

Può capitare cosìche proprio Il poteredella follia teatrale,più insidioso nel dissi-

mulare sotto il velo spettacolare unnucleo incandescente, può riservareinattese emozioni. Ecco l’attrice chein fila con gli altri, ma a differenza de-gli altri rivolta verso la sala, apre lacamicia e si prende il seno con la ma-no, replicando ambiguamente il ge-sto del dipinto di genere proiettatosul fondale. Ma ecco anche, di segui-to, pochi versi della Pentesilea diKleist a dirci il resto di quel gesto. Ba-ci e morsi che si confondono, perl’amazzone che in una sorta di furo-re erotico ha dilaniato il nemico ama-to. E torneranno più volte, quei versicantati in una sorta di refrain, men-tre si moltiplicano baci collettivi enel ricordo dei fratelli Grimm queibaci tentano di tramutare in principidelle rane e i principi ballano nudinello specchio che li raddoppia. Ba-sta soltanto connettere, come inse-gnano i maestri. Però che commozio-ne in quel prolungato finale in cui ibaci non riescono più a risvegliarechi continua a morire e fugge da unabbraccio che ormai stringe il vuoto.

Het is theater, questo è teatro, co-me dargli torto (ma perché tradurrein inglese, sui programmi, due titoliolandesi?). Con il suo tempo, che al-la fine è trascorso consapevolmente.Per entrarci bisogna accettarne lachiave. Come l’attrice spinta a forzagiù dal palco, finché non risponde aquel «1876?» che le viene chiesto intutte le lingue. I Nibelunghi, RichardWagner, Bayreuth. Il punto di par-tenza di una storia lunga più di unsecolo che Fabre assume per intero,a proposito di presunte parentele oderivazioni, moltiplicando e mi-schiando date luoghi artisti e titoliche da quel lontano «teatro totale»portano al suo.

Gianfranco CapittaROMA

Cambia registro PaoloRossi, attore di famae di successo, nel suo

ultimo spettacolo, che potràperfino sorprendere i suoiseguaci più affezionati.L’amore è un cane blu (al Vit-toria, fino al 3 novembre) èinfatti un racconto «in pri-ma persona», che segue letracce biografiche dell’arti-sta, almeno quelle della in-fanzia vissuta nell’estremoNordest (è nato a Monfalco-ne) rivisitato come terra in-sieme promessa e delusa. Ladefinizione del titolo è infat-ti la metafora che dovrebberivelare un uomo innamora-to, attraverso le sue visioni;la meta di questo attraversa-mento del Carso come fosseil West della mitologia ameri-cana; l’happy end di una vi-ta che cerca perfino la pro-pria «normalità».

Invece, come si sa, il Car-so è strutturalmente caratte-rizzato da caverne improvvi-se e da sotterranei corsi d’ac-qua, che rendono imprevedi-bile il suo attraversamento.Come la vita appunto. Per-

ché Rossi confessa di esserepartito proprio dalle proprieesperienze, sentimentali co-me politiche, per questa sor-ta di ricerca di se stesso. Sen-za poter rinunciare, è chia-ro, al proprio spirito irrefre-nabile, alla sua cinica lucidi-tà, e alla sua simpatia incon-tenibile.

Con un risultato che puòperfino disorientare, o delu-dere, chi si è abituato allesue sferzate politiche. Che cisono certo anche qui, maquasi incidentali, tanto percollocare nella storia e nellasocietà italiana sentimentipiù privati, dolori ed emozio-ni essenzialmente propri.Cui fa da binario sicuro la

musica dei Virtuosi del Car-so, una band tanto «disponi-bile» e fracassona quanto im-peccabile nelle esecuzioni,guidata da Emanuele Del-l’Aquila (che denuncia benpresto le sue ascendenze pu-gliesi), in grado di spaziaredalle colonne sonore famo-se a quelle composte perquesta occasione, fino allebelle canzoni che ogni tantosi ritagliano la loro attenzio-ne. La «confusione», fintama ben artefatta, cominciadalla scenografia, occupatafino all’inverosimile da unosterminato bric à brac di tro-varobato, in cui molte cosetrovano prima o poi una fun-zione, ma molte di più ne ri-

mangono prive, utili solo adenunciare e dipingere unostato d’animo, una situazio-ne esistenziale, oppure il setdi un impossibile film. Quel-lo appunto che Rossi tentadi raccontare e montare,ogni momento diverso, so-verchiato però dalla sua stes-sa simpatia, e dal disincantodi un occhio che dietro le ap-parenze, e le memorie diuna infanzia avventurosa,sollecitano vivaci risate e an-che una sorta di comunioneempatica col pubblico.

Insomma, pur nella suaapparente mancanza dicompiutezza (è scritto sulpalco e più volte ripetutodall’attore «questa è solouna prova»), lo spettacoloci fa conoscere un PaoloRossi più maturo e soffertodel solito. La sua padronan-za tecnica (quasi una eredi-tà di commedia dell’arte) eil suo gusto della battuta, lasua impertinenza a volteespressa solo con un’occhia-ta, garantiscono il diverti-mento. Ma ci fanno intrave-dere, in quella inesausta ri-cerca del «cane blu», ancheun certo sapore di soffertamalinconia.

VISIONI

DUE SCENEDEGLISPETTACOLI DIJAN FABRE ;SOTTO «UNANNO DOPO»/FOTOGIUSEPPEDI STEFANO

Spettacoli che appartengono al loro tempo ma riesconoancora a parlare allo spettatore contemporaneo

A teatro • Per la retrospettiva di Romaeuropa le due opere simbolo di Jan Fabre;il Carso «mitologico» di Paolo Rossi; la strage milanese del 1969 in un lavoro di Sieni

Il potere vitaledel palcoscenico

IN SCENA · «L’amore è un cane blu», racconto in prima persona di Paolo Rossi

La malinconica «tragedia» del NordestVie dei festival/UN TESTO DI TONY LAUDADIO

Un anno dopo, cronaca neradi un insostenibile quotidianità

Page 13: Il Manifesto 26 ottobre 2013

SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 13

Antonello Catacchio

Andrea Brambilla se n’è andato. Per me, prima ancora del commissa-rio Zuzzurro era un amico. L’ho conosciuto in un’altra vita, quandolui e Nino Formicola, famoso come Gaspare, hanno cominciato a

frequentare il palcoscenico del Ciak di Milano. Era il 1979, mio suoceroLeo Wachter gestiva quel teatro divenuto negli anni un punto di riferimen-to cittadino, arrivarono Zuzzurro e Gaspare e... non fecero furore. Leo pe-rò credeva in loro. Il tempo dette ragione all’intuito di Leo e al talento diAndrea e Nino. A quel debutto dimenticabile seguirono stagioni indimen-ticabili di successi e bisogna dire che sia Nino che Andrea sono stati gli ar-tisti che più di tutti hanno voluto dare merito a Leo per avere creduto in-condizionatamente in loro. In breve tempo Nino e Andrea divennero unacoppia dal successo travolgente, complice la tv che amplifica tutto.

La loro comicità è stata surreale. A partire da quel nome, Zuzzurro, ere-ditato da un’intuizione di Zavattini per il film Il giudizio universale di DeSica, dove si racconta che dio convoca l’intera umanità per il suddettogiudizio e solo uno se la ride perché si chiama Zuzzurellone, e il giudizioseguirà l’ordine alfabetico. Il dizionario per «zuzzurellone» recita: perso-na adulta che nel comportamento denota un’infantile e spensierata leg-gerezza. Sul palcoscenico era esattamente così. In rete è possibile rivede-

re uno sketch di Non stop del1979, il commissario Zuzzurroracconta, l’assistente Gasparechiosa, un racconto di fraintesetende canadesi che si trasformain una partita a tennis con la pa-lettina cacciamosche, puro irre-sistibile nonsense.

In tv hanno conosciuto la fa-ma dei grandi numeri con Drivein, hanno anche creato unoshow raffinato come Emilio, eper molti anni sono stati unapresenza forte del teleschermo.Ma non si sono fermati lì, nep-pure si sono fermati all’assem-blaggio di sketch riproposti dalvivo, hanno fatto teatro, quellovero, brillante certo, ma teatro.Il loro Andy e Norman aveva ot-tenuto anche il plauso di Neil Si-mon, sacro autore della comme-dia. Col passare degli anni la tvsi è imbarbarita e loro hanno tro-vato sempre meno spazio, mahanno continuato a macinarespettacolo e a far divertire il pub-

blico con proposte originali come Sete o con riletture di Rumori fuori sce-na, Quello che sapeva il maggiordomo, La cena dei cretini. E avrebberodovuto essere di nuovo in scena in questi giorni se la malattia incurabiledi Andrea non avesse fatto precipitare la situazione.

In tutti questi anni ci si è visti e frequentati con maggiore o minore in-tensità a seconda dei momenti. Personalmente devo a Andrea la passio-ne per il whisky, di puro malto, naturalmente invecchiato, meglio ancorase a piena gradazione. Il bello di Andrea era proprio la sua persona, sem-pre circondato dagli amici, quelli di sempre, nei momenti alti e in quellimeno brillanti, amici veri, quindi cene, bevute, partite a carte, ma ancheserietà perché il Brambilla faceva ridere ma era serio come professioni-sta. Un professionista che preferiva tornare a casa dopo lo spettacolo perritrovare Pamela e i figli macinando quantità industriali di chilometri, euna volta ha rischiato di non farcela a causa di uno spaventoso inciden-te. Da cui si è rialzato, ha sollevato il sopracciglio, ha arruffato ancora icapelli, ha ripristinato la zeppola del commissario per ripartire di nuovo.

Andrea non era un personaggio arrendevole, non aveva accettato nep-pure l’impietosa diagnosi dei medici, voleva dimostrare di essere più for-te del male, di cui era a conoscenza. Non ce l’ha fatta, per ora, ma se maici sarà un giudizio universale Andrea con il suo alter ego sarà lì a sghi-gnazzare e a farci ridere, anche se al momento siamo tutti avvolti in unaprofonda tristezza.

Francesca PedroniMILANO

Carlo Arnoldi, Federica Den-dena, Matteo Dendena, Pa-olo Dendena, Claudia Pi-

nelli, Paolo Silva. Basta scriverli,questi nomi, per percepire, men-tre le dita scelgono automatica-mente i tasti delle lettere sul com-puter, il dolore della memoria, lapresenza di una storia che non hapace. Quella di un lontano 12 di-cembre, e dei giorni successivi,l’anno era il 1969, la città Milano,il luogo, Piazza Fontana. La stra-ge più tragicamente famosa diquegli anni di piombo, strage chei parenti delle vittime non posso-no dimenticare, non possono ar-chiviare.

Virgilio Sieni, coreografo prota-gonista di un meritatissimo focusdel festival MilanOltre, conclusonelle settimane scorse al teatro El-fo Puccini, ha scelto di riservareuno degli appuntamenti a lui de-dicati dalla rassegna milanese al-la memoria di Piazza Fontana.Una sera speciale, che ha riempi-to la sala di una commozione si-

lenziosa, partecipe, senza retori-ca. Di fronte agli occhi degli altri èil titolo che accomuna più spetta-coli ideati da Sieni dal 2012 a og-gi. Un progetto che nasce dal’in-contro con persone e comunità:il primo nacque su invito del Mu-seo della Memoria di Bologna co-me denuncia e ricordo della trage-dia di Ustica, poi ci sono stati i ter-remotati di Gibellina, i partigianidi Modena e Sarzana. Uomini edonne che salgono in palcosceni-co, coinvolti in piccole danze, ingesti, in dettagli, un incontro conla danza spinto da una motivazio-ne alta.

Così all’Elfo, dopo aver gustatodi Sieni la bellezza di una danzaadolescenziale, profondamentecontemporanea nel segno inaffer-rabile e potente dei giovanissimicoinvolti per Cerbiatti del nostrofuturo e Butterfly corner, ci siamotrovati, noi spettatori, di fronte aldolore degli altri, giocando rispet-tosamente con il titolo del lavorosu Piazza Fontana.

Carlo Arnoldi, Federica Dende-na, Matteo Dendena, Paolo Den-dena, Claudia Pinelli, Paolo Silva:

tutti parenti delle vittime la cuimorte si lega a doppio filo a quel12 dicembre e a ciò che è stato do-po. Eccoli tutti e sei seduti al latodestro della scena, uno accanto al-l’altro, Paolo Dendena e i suoi fi-gli, Arnoldi, Silva, Claudia, figliadi Giuseppe Pinelli. Sono lì con lamotivazione della storia loro e dinoi tutti, composti, silenziosi. Inscena c’è anche una giovane vio-loncellista, Naomi Berrill, e lostesso Sieni.

Il coreografo danza e invitauno per uno o a piccoli gruppi gliospiti a ballare. Sono incontrisemplici, piccoli movimenti che

si ripetono, quasi a specchio, traSieni e gli altri. Nessun danzatoretra gli ospiti, ma la verità è lì ed ècura, rispetto del gesto come delsentimento. Fa impressione senti-re come il teatro, a volte, può rive-lare la vita pur muovendosi trafinzione e realtà. Le mani che sitoccano, i movimenti di bracciache si moltiplicano nel copiarsicome in un gioco di bambini, l’in-treccio con la danza. E si è travol-ti dalla forza comunicativa del ge-sto, un gesto che è figlio del dolo-re, che non è moto disperato, mache, nella sua astrazione, comeun miracolo, è condivisione.

VISIONI

DANZA · Virgilio Sieni ricorda in un focus la strage di piazza Fontana

Gli «occhi degli altri»,la condivisione del dolore

Luigi OnoriROMA

Simile ad un graffito che urla su un mu-ro «Speech» è lo slogan del 37mo Ro-ma Jazz Festival (18 ottobre – 2 novem-

bre). Il direttore artistico (Mario Ciampà) staproponendo concerti che indagano il rappor-to tra jazz e letteratura, tema non pretestuo-so che guarda al legame tra suoni e narrazio-ne in una musica come quella afroamerica-na che molto ha a che vedere con lo storytel-ling e l’oralità. Dopo il recital di Joshua Red-man (letture di Paolo Rossi da George San-ders), il 21 è stato ripresentato un progetto asuo tempo documentato da un cd dei «mate-riali musicali de il manifesto»: Futbol. I branisi ispirano ai racconti di Osvaldo Soriano – alungo collaboratore del nostro giornale – edalla sua visione tra mito, realtà e realismomagico del calcio, sogno-riscatto degli umili.

Il piano e le tastiere di Natalio Mangalavite,il sax sorano ed il baritono più i flauti andinidi Javier Girotto e la voce-corpo che canta erecita di Peppe Servillo hanno avvolto il pub-blico in un denso, ironico, brillante fluire dilettura, musica, canto. Tra Don Salvatore,Diego Armando, il mediano Varela, Trapatto-ni, il Maracanà e la Patagonia il recital è sta-to torrido e intenso, unendo i sud del mon-do grazie alla scrittura unica di Soriano e alvigore ritmico-melodico di Mangalavite e Gi-rotto.

Più flebile il rapporto tra jazz e letteratura ,con il trio del pianista indoamericano VijayIyer e i Ritratti in Jazz di Haruki Murakami.Il legame con la musica afroamericana è im-portante e manifesto nel narratore giappone-se, che ha anche gestito un jazz club, ma neibrani letti da Iaia Forte emergeva un’idea«mitica» e «classica», con eroi quali StanGetz, Charles Mingus e Billie Holiday. Mu-

rakami piega e forgia la parola per esprimerela sua idea e il suo amore autentico, profon-do con il jazz ma la musica suonata dal triodi Iyer è figlia di un’epoca posteriore e con-temporanea.

Intanto la formazione è un autentico mel-ting pot dato che all’origine indiana del lea-der si sommano quelle euroamericane delcontrabbassista Stephan Crump (madre pa-rigina, padre di Memphis) ed afroamericanedel batterista Marcus Gilmore. Il repertoriospazia da complesse composizioni di JuliusHemphill (Dogon A.D.) e Steve Coleman abrani originali del pianista. Senza perderemai il senso della forma, il trio genera unamusica fortemente poliritmica e dinamicache si muove come un’onda, crea i propri cli-max alternando tensione e distensione congrande energia. Per quanto complessa la po-etica di Vijay Iyer prevede momenti altamen-te melodici, di puro canto a tratti ripetuto in

modo ossessivo. La «trio extension» della Hu-man Nature portata al successo da MichaelJackson ben sintetizza la prassi esecutiva delgruppo che evoca, destruttura, reinventa, ral-lenta, dilata o addensa il materiale sonoro dipartenza. Postmoderno o no Iyer rifugge dal-la stilizzazione del passato, ben conoscendo-lo.

Un tripudio di colori e combinazioni tim-briche, di ritmi e voci strumentali l’ethiojazzdi Mulatu Astatke, vulcanico leader vibrafo-nista, pianista e percussionista; il concerto èstato introdotto da letture di Gaia Riposatida Regina di fiori e di perle della narratriceitaloetiope Gabriella Ghermandi) in un ap-plaudito concerto con il suo settetto. Il set-tantenne musicista ha forgiato da decenniuno stile che connette la musica etiope conil jazz e i ritmi latinoamericani, documenta-to dalle decine di album Ethiopiques chehanno affascinato il regista Jim Jarmush co-me i dirigenti dell’etichetta Jazz Village/Har-monia Mundi. Mulatu, diplomato alla Berlk-lee quanto profondo conoscitore del folkloreetiope, ha dimostrato anche al pubblico ro-mano quanto bene funzioni a livello sonorol’asse «New York – Addis Abeba – London»,come recita il titolo di una sua antologia.

LUTTI · Piero Mazzarella, il re della scena milaneseÈ morto ieri nella sua casa milanese a 85 anni, l’attore Piero Mazzarella, l’abitazio-ne da cui rischiava di uscire a breve per via dello sfratto esecutivo. «È finito unpo’ arrabbiato - dice la direttrice del Teatro Franco Parenti Andrèe Ruth Shammah- il nostro teatro ha cercato di fargli avere la Bacchelli perché aveva molto biso-gno». Proprio per necessità economiche e proprio al Parenti Mazzarella era tornatoa recitare, e per l'ultima volta, lo scorso anno, in cinque serate in cui aveva ripro-posto il suo personaggio Tecoppa. Era nato a Caresana, in provincia di Vercelli, il2 marzo del 1928, figlio a sua volta di attori, e aveva debuttato in un ruolo femmi-nile a soli 10 anni come Cosetta dei Miserabili. Nei ’60 conosce Strehler, un’ami-cizia durata 40 anni, e lo stesso regista lo dirige in «El nost Milan» di Carlo Berto-lazzi. Una carriera lunghissima composta da oltre 250 titoli, in dialetto e non solo,commedie dai grandi incassi come «Viv con duu ghej» di Rino Silveri, «Ca’ de rin-ghera» di Jacopo Rodi, e allestimenti de «La locandiera» di Carlo Goldoni, «L’uo-mo, la bestia e la virtù» di Luigi Pirandello. La sua maschera è il Tecoppa: vetturi-no milanese, un po’ truffatore e ladruncolo, spesso violento con i poveri e accondi-scendente con i potenti. In tv è protagonista di storici sceneggiati: «Il mulino delPò» (1963) e «Eleonora» (1973) con Giulietta Masina. La camera ardente saràallestita oggi a Milano al Piccolo teatro.

Gli esordi insiemea Gaspare al Ciak,la fama di «Drivein», la passioneper la commedia

SUL SET

Roman Polanskiil nuovo filmracconteràl’«Affare Dreyfuss»

ADDIO A ZUZZURRO, IL COMMISSARIO NONSENSE

Quel ragazzo arruffatocon seria leggerezza

Le mani che si toccano,i gesti dei sei parentidelle vittimedi quel 12 dicembreche si prendono la scena

Roman Polanski, di cui prestovedremo il magnifico «Venerein pelliccia», in concorso all’ul-timo festival di Cannes, (l’usci-ta in sala è prevista per il 14novembre), rilettura del ro-manzo di Von Sacher Masochin chiave di duetto, corpo acorpo emozionale tra Emma-nuelle Seigner e MathieuAmalric, sta lavorando a unnuovo film. Il punto di parten-za è l’«Affare Dreyfuss», la sto-ria dell’ufficiale franceseebreo accusato a torto di spio-naggio a favore dei tedeschi,all’indomani della guerra fran-co prussiana, nel 1894.Il caso fu uno scandalo politi-co che segnò profondamentela vita della Terza repubblicafrancese, spaccando la socie-tà dell’epoca tra chi era con-vinto della colpevolezza e chidell’innocenza del capitano diorigine alsaziana il quale, do-po una durissima campagna,venne infine riabilitato.«C’è un aspetto che mi inte-ressa particolarmente in que-sta vicenda - ha dichiaratoPolanski - Ed è l’accanimentomediatico, che l’esercito oqualsiasi istituzione dello sta-to, ha messo in atto controquell’uomo pur di non ricono-scere il proprio errore». E haaggiunto: «So per esperienzache molto spesso quando unquotidiano o una rivista han-no scritto cose sbagliate sulmio conto, o peggio ancorahanno affermato menzogne,se reagisco vogliono comun-que avere l’ultima parola. Nonammetteranno mai di esserein torto, come è accaduto inquegli anni con l’esercito».Il riferimento, abbastanza chia-ro, è alla propria vicenda giu-diziaria, l’accusa di violenzasessuale, nel ’77, in Califor-nia, quando Polanski aveva43 anni, per i presunti rappor-ti con la tredicenne SamanthaGeimer. Liberato su cauzionedopo 42 giorni di prigione, ilregista, riconosciuto colpevoledi «rapporti sessuali illegali»,era fuggito dagli Stati unitidopo la sentenza.La questione si è riaperta nel2009, quando Polanski è sta-to arrestato in Svizzera con unmandato internazionale ameri-cano, e in seguito messo agliarresti domiciliari prima diessere infine liberato dallestesse autorità svizzere (dopomesi di polemiche e interventia suo favore in tutto il mon-do).

LIVE · Tra suoni e letteratura il filo comune del 37esimo Roma Jazz Festival all’Auditorium

Il «Futbol» di Soriano, tripudio di sax e flauti

UN MOMENTODA «DI FRONTE AGLI OCCHI

DEGLI ALTRI»,DI VIRGILIO SIENI

ERMANNA MONTANARIÉ la vincitrice per l’edizione 2013 del premio teatrale Eleonora Duse. Lapremiazione si svolgerà il prossimo lunedì al Piccolo Teatro Grassi diMilano. Ideato nell’86, il premio Duse è l’unico premio italiano riservatoall’attrice di teatro che si è distinta nel corso della stagione di prosa in

uno o più spettacoli in Italia o all’estero. La giuria, composta da AnnaBandettini (presidente), Magda Poli, Maria Grazia Gregori, Renato Palazzie Carlo Maria Pensa, ha scelto per la stagione teatrale 2012/2013, l’attrice e fondatrice insieme a Marco Martinelli del Teatro delle Albe, unadelle realtà teatrali più vitali della nostra scena. Nella suo ricchissimo

itinerario di ricerca, tra scena, «didattica», scrittura, scoperta di giovanitalenti, Ermanna Montanari ha firmato, nel 2011, l’edizione del festivalintrenazionale del teatro di Santarcangelo. Tra gli spettacoli più recenti,troviamo «Poco lontano da qui», realizzato con Chiara Guidi della SocietasRaffaello Sanzio, e «Pantani», scritto insieme allo stesso Martinelli.

Page 14: Il Manifesto 26 ottobre 2013

pagina 14 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

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Il costo della protestaIl viaggio, in treno o in macchi-na; un paio di caffè, un panino.E la fatica: la fatica del cammi-no, la fatica di urlare la tua rab-bia col freddo, col caldo, o sottola pioggia. Questa fatica a Raffae-le è costata la vita: spirito guerrie-ro, intelligenza ironica, si è spen-to lontano da casa, dopo duegiorni passati davanti al Ministe-ro dell’Economia. Aveva organiz-zato meticolosamente la sua tra-sferta: chi ha partecipato al radu-no dei malati di SLA che si è te-nuto a Caserta nello scorso lugliosa quanto fosse capace. Ma Raf-faele Pennacchio non è mortosemplicemente per garantire aimalati e ai disabili gravissimi unavita dignitosa. La proposta del-l’Organizzazione di cui faceva par-te, il Comitato 16 Novembre(che è la data del primo presidioromano, tenutosi nel 2010) pun-ta sul ridimensionamento drasti-co delle Rsa, luoghi dove la vitaè resa impossibile dalla promi-scuità, dai livelli igienici spessodubbi e, soprattutto, dalla man-canza degli affetti familiari. Né èpossibile demandare la cura dimalati e disabili gravissimi soloai familiari, attualmente caricatidi responsabilità, spese e di purafatica fisica al limite del sopporta-bile. L’attuale sistema prevedeun impiego massiccio di persona-le delle cooperative, spesso talisolo di nome: di fatto, un siste-ma per sfruttare personale pocopagato, con poche (o nulle) ga-ranzie per il malato. La propostadel Comitato comporta, in sinte-si, un ridimensionamento del per-sonale delle Rsa: i fondi rispar-miati verrebbero girati alle fami-glie, che potrebbero così sceglie-re il personale, già formato, con

il vantaggio di garantire un rap-porto continuativo tra il malato eil care-giver. L’ambiente familiarenon solo è meno contaminato diquello ospedaliero: è l’unico chegarantisca a chi per vari motiviha perduto l’autosufficienza con-dizioni di vita dignitosa. Perchémolti vogliono vivere, anche at-taccati giorno e notte ad un respi-ratore, ma a casa loro. Il modellonon è solo teorico: viene già ap-plicato della regione Sardegna,anche grazie all’impegno genero-so di un altro malato di Sla, Sal-vatore Usala, con risparmi consi-derevoli. Per questo è morto Raf-faele Pennacchio: non per chiede-re fondi, non per esibire il suocorpo malato ai media, ma per-ché quello che c’è, anche poco,non vada speso inutilmente. Èmorto perché lo Stato, nelle per-sone degli eletti dai cittadini, at-tui il diritto, sancito dalla Costitu-zione, alla dignità della persona.Quanto può costare una giornatadi protesta?Lidia Massari

Raffaele non sarà ricordatoApprendere che un nostro cittadi-no affetto dalla micidiale Sla siamorto durante una manifestazio-ne per i diritti dei malati mi hasinceramente colpito. Penso aquel ministro dell’Economia chemagari informato del sit-in davan-ti al suo ministero sgattaiola vi-gliaccamente da una uscita po-steriore per non dover sostenereun contatto diretto. Penso a que-sto indebitato paese che nontrova i soldi per mantenere alme-no decentemente questi cittadinimalati ma che trova fior di miliar-di di euro per cacciabombardieritanto inutili quanto esagerata-mente dispendiosi. Penso chequando uno stato mostra questovolto impietoso assillato solo dalfar quadrare i conti con l’oste diBruxelles di turno sia uno statoincivile per non dire criminale.Quando malati cronici si devonoattivare di persona per far com-prendere le loro esigenze metten-do a repentaglio la loro stessatragica esistenza vuol dire che illivello di inumanità ha raggiuntolivelli di guardia ingiustificabili.Perché Raffaele lottava non solo

per lui ed i suoi compagni disventura ma per tutti noi. Lui ma-lato ha messo il suo corpo e lasua vita in gioco per noi ancoraapparentemente in salute. E pen-sare che domani sarà già dimen-ticato mi mette una tristezza im-mensa. Grazie Raffaele, mi sareiaugurato che non servisse unaltro Coscioni per svegliare lenostre intorpidite coscienze edinvece la sanità, questa sì mala-ta, ha avuto bisogno di un’altraimmolazione.Marco Bernardi

Grillo sbaglia ma gli altri?Caro Manifesto, fai bene a pub-blicare le lettere dei critici e su-per critici dei grillini (chiamiamolicosì), d’altra parte hai avuto ilcoraggio di pubblicare l’intervistaa Dario Fo e quindi.. Prima diproseguire dico che Grillo ed ilsuo movimento sono la «cosa»più lontana che mi appartiene,proprio una distanza siderale.Però... però, quello che non miconvince sono i lettori del giorna-le critici e che nulla scrivono delfatto che i grillini dicono questecose da alcuni anni e sono, al-l’opposizione, in questo miserabi-le governo da alcuni mesi, men-tre non leggo critiche a chi ci go-verna da 30 anni a questa parte.I Cie, ad esempio, sarebbe utilericordare che li ha voluti la Turcoe Napolitano e sono stati votatianche da Vendola, perchè nondirlo? I Cie sono mantenuti daigoverni Berlusconi e Prodi, Lettaecc. Il giornale, come tutto il re-sto, non fa nulla per mantenerela Memoria, tutto è quotidiano,dopo le 24 ore non ci si ricordadi nulla. Nessun futuro è possibi-le senza memoria del passato,figuriamoci del recente passato.Auguri per la sottoscrizione...Francesco Giordano

Il Pd e la CostituzioneCon una maggioranza bipartizanè passata in Senato la revisionedell’art. 138 della Costituzioneche annulla la possibilità di ri-correre al referendum in caso diriforme costituzionali. Eccola lì,unita alla destra, la cosiddettasinistra moderata nell’ulterioreattacco alla Costituzione dopo

l’introduzione del pareggio di bi-lancio che di fatto vanifica lo spi-rito e la lettera dei principi fonda-mentali. Alla faccia della tantodecantata e retorica oltreché stru-mentale sua ipocrita difesa soloquando si deve fare un po’ dipropaganda in funzione di conte-sa di potere anti Berlusconi edalla faccia della altrettanto stru-mentale retorica della partecipa-zione dei cittadini alla vita politi-ca ed alle scelte conseguenti.Per questo motivo, anche, nonc’è da stupirsi che alla manifesta-zione in difesa della Costituzionenon abbia aderito il Pd, giustifi-candosi con argomentazioni stru-mentali e artificiose, poiché, co-me dimostra, non ha nulla dadifendere. Centro destra e centrosinistra si dividono sulla deca-denza di Berlusconi ma si unisco-no nelle scelte di fondo dellaazione di governo (politica econo-mico-sociale e politica estera).Omero Fontana Firenze

RettificaCon riferimento all’intervista pub-blicata sul manifesto di ieri alsindaco di Lamezia Terme, dob-biamo una doverosa precisazio-ne: il primo cittadino Gianni Spe-ranza non è iscritto al Pd comeerroneamente scritto nel richia-mo inprima pagina e nell'occhiello dipag. 7, ma è autorevole espo-nente di Sinistra ecologia e liber-tà di cui è segretario regionale inCalabria. Tante scuse a Speran-za e ai lettori.

«C’era una volta»,Questi sono gli indirizzidove aderire e sottoscriverel’appello contro la chiusuradella trasmissione «C’erauna volta» pubblicata ierisulle pagine del nostroquotidiano:https://www.change.org/it/petizioni/c-era-una-volta-la-voce-degli-ultimi-il-racconto-delle-verita-scomode-non-deve-sparire-dal-palinsesto-della-raihttp://carlinhoutopia.wix.com/ceraunavoltahttps://www.facebook.com/SalviamoCeraunavolta

EMILIA ROMAGNASabato 26 ottobre, ore 17ARCHITETTURA DEL DESIDERIO Presenta-zione del libro «Architetture del Desiderio» acura di Bianca Bottero, Anna Di Salvo, IdaFaré. Il volume raccoglie gli scritti preparatori eil ricco dibattito svoltosi in occasione del con-vegno Microarchitetture del quotidiano. Saperefemminile e cura della città, Milano, marzo2008.Sarà presente la curatrice Anna di Salvoche ne discuterà con Simonetta Patané, Ales-sandra Casarini e Luna Mortini.■ Libreria delle Donne di Bologna viaS.Felice 16/A, Bologna

LAZIOSabato 26 ottobre, ore 11LETTERE DAL CONFINE Presentazine di «Sepotessi scriverti ogni giorno Lettere1927-1943. Dal carcere e dal confino fascistaun carteggio d’amore lungo diciassette anni» diEmma e Giulio Turchi. Discuteranno del libro:Guido Crainz, Gianfranco Porta e Gioia TurchiCoordina Simonetta Fiori. Ingresso libero.■ Sala Aldo Moro, Camera dei Deputa-ti, Roma

Lunedì 28 ottobre, ore 13IFORMA FORNERO Un incontro/tavola ro-tonda sull’attuale stato della riforma del merca-to del lavoro, con particolare riguardo alleproblematiche sorte in materia processuale edapplicativa del nuovo articolo 18 dello Statutodei lavoratori; presenti alla convention, ed ilcui contributo sarà essenziale, il sen. MaurizioSacconi, il Presidente Fabio Massimo Gallo, ilprof. Antonio Vallebona, oltre ad altri docentied esperti nella materia. Verranno toccate,quindi, tutte le questioni più critiche dellaRiforma Fornero.■ Università e-Campus, via del Tritone169, Roma

LOMBARDIAGiovedì 31 ottobre, ore 17.30UN MONDO PLURALE «Parole e idee perun Mondo plurale: Un lessico interculturale», èil titolo di un progettto in collaborazione con leuniversità milanesi, Radio Popolare e con ilPatrocinio del Comune di Milano.■ Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,via Gian Domenico Romagnosi 3, Milano

PIEMONTEMartedì 29 ottobreIL SISTEMA DEL VELO Il 29 e 30 ottobre,due giornate di convegno sul tema «Il sistemadel velo.Trasparenze e opacità nell'arte. Moder-na e contemporanea». Un progetto di MassimoLeone (Università di Torino), Victor L. Stoichita(Università di Fribourg) e Henri de Riedmatten(Istituto svizzero di Roma). Info: 011 6702750■ Università di Torino - Sala Principid'Acaja, Palazzo del Rettorato, Torino

TOSCANASabato 26 ottobre, ore 21WHY NOT Al via la terza stagione del WhyNot, la festa lgbtqi organizzata da Arcigay Arez-zo, in collaborazione con Associazione Kare-maski. L'ingresso alla serata è riservato ai socicon tessera Arci o Arcigay. Sarà possibile effet-tuare il tesseramento all'ingresso.■ Karemaski, via Edison, 37, Arezzo

Sabato 26 ottobre, ore 21L’OCCHIO DEL LUPO Il Funaro Centro Cultu-rale presenta, in prima nazionale, «L’occhio dellupo», dal testo di Daniel Pennac e con laregia di Clara Bauer. Il libro è del 1984 ed èfra i più amati dallo stesso Daniel Pennac, chesarà presente al debutto e incontrerà, con laCompagnia MIA, il pubblico.■ Teatro Manzoni, via del Funaro, 16,Pistoia

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VERITÀ NASCOSTE

Priebke non è PoliniceSarantis Thanopulos

lele

ttere

Ipolitologi intendono per legge eletto-rale manipolatoria una legge che, at-traverso vari vincoli, è in grado di

orientare in misura significativa le scel-te dell’elettorato indipendentementedalle preferenze di quest’ultimo. Se poigli esiti elettorali siano quelli che il legi-slatore si attendeva è un’altra questio-ne. Il legislatore ignorante si trova spes-so deluso. La legge elettorale della terzaposizione tra semipresidenzialisti e par-lamentaristi, quella che rappresentereb-be un punto di convergenza, ha eminen-temente questo carattere. Poiché essaviene venduta sul mercato dell’informa-zione con un messaggio che è di pubbli-cità ingannevole, è necessario guardareaccuratamente al processo che essa met-terebbe in atto.

Trovare un punto di convergenza èsembrato necessario alla Commissioneperché la partita politica più importantein un progetto di riforma ispirato a esi-genze poco costituzionali si gioca pro-prio sulla legge elettorale, e su questa idissensi sono più netti. Da un lato i so-stenitori del semipresidenzialismo sa-rebbero favorevoli all’intero pacchettogollista, quindi a un doppio turno di col-legio, a cui ufficialmente è favorevole an-che l’area del centrosinistra. Ma non so-no disposti a concedere questo sistemaelettorale senza tutto l’impianto golli-sta, perché esso non garantirebbe a suffi-cienza una maggioranza in un parla-mento non necessariamente bipolare inassenza dell’unità politica garantita dalpresidente eletto direttamente.

Anche in questo caso i sostenitori diun sistema parlamentare, «razionalizza-to» s’intende, non hanno proposto un si-stema elettorale specifico, limitandosi anotare che diversi tipi di legge elettoralesarebbero compatibili con i tre obiettiviriconosciuti di ridurre la frammentazio-ne partitica, consentire la formazione diuna maggioranza di governo e ricostrui-re «una rapporto di fiducia e responsabi-lità tra elettori ed eletti».

La via maestra sembra dunque la ter-za, la cui formulazione è attribuita aLuciano Violante. Questa proposta pre-vede un primo turno di votazione incui liste di partito o di coalizioni di par-titi concorrono collegio per collegioper una spartizione proporzionale deiseggi, con la possibilità di un voto dipreferenza, o due se differenziati pergenere, e con una soglia del 5%. Al par-tito o coalizione che raggiunga il 40 o45% dei voti viene attribuito un pre-mio di maggioranza che porta i suoiseggi al 55% dell’assemblea. Nel calco-lo del raggiungimento della soglia ne-cessaria non sono considerati i voti ot-tenuti da partiti che, anche se stannodentro una coalizione, non hanno otte-nuto almeno il 5% dei voti.

Se nessun partito o coalizione raggiun-ge la soglia, si passa al secondo turno incui i due soggetti che hanno raggiunto ilmiglior risultato, riuniti ciascuno «attor-no a un’unica proposta politica e aduna sola candidatura», si contendono,in quello che di fatto è un collegio uniconazionale, il premio di maggioranza. Aquesto punto sarà possibile distribuire iseggi con criterio proporzionale secon-do i risultati del primo turno entro il vin-colo che al vincitore va il 55% dei seggi,mentre tutti gli altri si spartiscono il45%. (…)

L’articolo completo su www.sbilancia-moci.info

In «Antigone» la questione della se-poltura di Polinice si risolve su duepiani: l’esistenza dei vivi non deveessere contaminata dalla presenzadei morti; il nemico è incluso nel le-game fraterno, non ne è estraneo (ilche è in feconda contraddizione conil fondamento dell’agire politico sul-la differenza tra amico e nemico).Qui, come sempre, il discorso tragi-co converge con quello psicoanaliti-co: il fratello è costitutivamente unamico/nemico e il legame con lui èil prototipo di ogni relazione succes-siva di amicizia e di inimicizia.Se la vita e la morte devono esserenettamente distinte (per evitare l’in-quinamento) la prima non deve con-cedere nulla alla seconda: i vivi devo-no riprendersi tutto ciò che appartie-ne loro di buon diritto e i morti ri-

schiano di portare via con sé. L’ela-borazione del lutto è proprio questo:mantenere viva e duratura l’esperien-za della relazione con le persone per-dute sia ospitandola nella vita delproprio mondo interno sia rinnovan-dola fuori di sé in forme nuove e piùampie. Così la morte diventa il conci-me della vita e la storia vivente diogni singolo soggetto si trasforma inmateria viva dell’umanità. Dal mo-mento che le relazioni non sono vivese non sono libere e la libertà com-porta incomprensioni, conflitti e co-centi delusioni, l’amore non è disso-

ciabile dall’odio e ogni pretesa diuna loro netta separazione (simile aquella tra amico e nemico) crea sol-tanto fragili finzioni (tanto diffusequanto le strade dell’inferno lastrica-te di buoni propositi). L’odio rendesolido l’amore e eliminarlo non èproprio possibile. Ciò può comporta-re l’uccisione dell’altro all’interno diun conflitto in modo concreto (inguerra quando la nostra sopravviven-za materiale diventa incompatibilecon quella dell’avversario) o metafo-rico (quando si è costretti di scioglie-re un legame d’amore o di amicizia).

L’uccisione dell’altro è un fatto enor-me, una minaccia terribile per la no-stra condizione umana, che è fonda-ta sul sentimento di fraternità, e ri-chiede una piena assunzione di re-sponsabilità.Il nemico ucciso deve sopravviverecome oggetto interno e sia le poten-zialità sia le reali esperienze di unlegame di desiderio che abbiamoentrambi tradito devono trovare innoi uccisori il loro depositario e ga-rante più convinto e solido. Altrimen-ti abbiamo ucciso invano e la morteci infetta. Perfino quando muore una

persona molto cara l’odio è presentesulla scena e ha un ruolo indispensa-bile.Con la sua partenza il morto rinnovale delusioni che durante la sua vitaci ha dato, attirando il nostro odio, eattiva il desiderio inconscio di morteche abbiamo nei confronti di coloroche amiamo (sia perché rifuggono ilnostro possesso sia perché minaccia-no la nostra libertà). Uccidere il no-stro morto (al posto di essere uccisidalla sua assenza) è una condizionenecessaria dell’elaborazione dellasua perdita, la premessa della re-

sponsabilità nei suoi confronti che ciconsente di farlo rivivere.La morte di Priebke, al contrario diquella di Polinice, non è passibile dilutto e di elaborazione perché è al difuori della scena tragica. Nello spa-zio tragico la morte non può coesi-stere con la morte e i nazisti eranogià morti mentre erano vivi (avendoucciso l’essere umano dentro di sé).

Inoltre, Priebke non ha ucciso il fra-tello nemico in battaglia ma il lega-me fraterno in se stesso nel desertodella sua anima. Il solo posto per luinel suolo pubblico è una fossa (per-chè non ci contamini da cadaverecome ha fatto da essere vivente)che deve restare anonima perché unuomo col suo nome non è mai esisti-to.

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Sbilanciamoci.infoSemipresidenzialismoo sistema gollista? Una leggeelettorale manipolatoriaMaria Luisa Pesante

Page 15: Il Manifesto 26 ottobre 2013

SABATO 26 OTTOBRE 2013 il manifesto pagina 15

Voglio dirlo subito, nelmodo più chiaro: sullanatura e sullo svolgi-

mento della manifestazionedel 19 ottobre abbiamo sba-gliato analisi. Non è pocoper una forza politica che sipropone il cambiamento apartire dai processi reali chetoccano la società nei suoisnodi più dolenti, più conflit-tuali, più esposti al rimesco-lamento sociale prodottodalla crisi.

Se c’è una cosa che ho im-parato nella mia esperienza èche quando si sbaglia nel-l’analisi si finisce per sbaglia-re anche nel comportamen-to politico. E’ inevitabile, sisconta un ritardo, si marcauna distanza, e non si mettebene a fuoco il merito dellaquestione. Proprio per que-sto sento il bisogno di tornar-ci sopra. Senza strumentali-smi, né indulgenze, bensì perun esercizio che avverto utileprima di tutto per me, pernoi, per le responsabilità cheho e che abbiamo nella faticae nell’impegno di contribuirea costruire una sinistra capa-ce di assolvere una funzionein Italia ed in Europa.

Ci muoviamo dentro ilcomplicato scenario di unapolitica messa all’angolo, co-stretta a percorrere stradetutte in salita e gli errori sonoparte del gioco. Ma tacerli, orimuoverli, non spiana la no-stra strada. Penso che ci sia-mo accostati a quella manife-stazione, al popolo che essarappresenta, alle istanze chesolleva e ci indica, incorren-do in due errori diversi tra lo-ro e insieme però speculari.Il primo riguarda la comuni-cazione. Ed è un risvolto tut-t’altro che secondario, dalmomento che sempre di piùessa finisce per dare della po-litica che racconta una rap-presentazione capace di for-mare immediatamente opi-nione, senso comune, deci-dendone spesso il percorso,se non il destino. Tolte allorarare eccezioni che hanno sa-puto e voluto entrare nel vi-vo dei contenuti e dell’orga-nizzazione di un appunta-mento così carico di risvolti,gran parte del sistema media-tico ha viceversa fornito, sindall’inizio, una lettura a sen-so unico, viziata dall’esclusi-vo punto di vista dell’ordinepubblico e della sicurezza.Abbiamo seguito tutti il cre-scendo di notizie e di infor-mazioni tese ad accreditarel’idea che i manifestanti sa-rebbero stati pochi e peròviolenti. «Livello di pericolo 8su 10», dicevano le previsionidella cosiddetta intelligencetrasmesse alle forze dell’ordi-

ne, lasciando immaginaregiornate cariche di tensionee di scontri in una città asse-diata e messa in ginocchio. Imanifestanti sono alla fine ri-sultati dieci volte tanto le sti-me preventivate (o auspica-te?) dai quei media che detta-no la linea e chi si era aggre-gato con l’intenzione di usa-re la violenza come forma dilotta e di protesta è statoprontamente isolato dagli or-ganizzatori. Questo è un fat-to, ed è un fatto così pesanteche impone una riflessione eun ripensamento, prima ditutto a chi ha la responsabili-tà di produrre informazione.Ma anche a noi, alla politicache finisce per subire troppospesso il condi-zionamento diun sistema chefabbrica opi-nioni, e opinio-ni precostituitee di parte, piùdi quanto nonrenda contodella realtà percome essa ac-cade. Ed è appunto su que-sto preciso snodo critico chesi colloca l’altro nostro erro-re, quello di non aver saputocogliere la vera natura dellamanifestazione, la carica so-ciale che esprimeva, la do-manda di cambiamento cheponeva e che continuerà aporre dentro il tunnel dellacrisi.

Come in un caleidoscopioche rifrange le diverse figuresociali, e umane, della crisi,la manifestazione ha messoinsieme la molteplicità deisoggetti indeboliti e mortifi-cati dalle politiche di austeri-

tà che i diversi governi italia-ni hanno applicato in questianni, sotto dettatura euro-pea, senza vera soluzione dicontinuità. Dalla colpevolenegazione della crisi di Berlu-sconi e Tremonti, alla tecni-ca smantellatrice di diritti edi welfare di Monti e Forne-ro, sino al paludoso galleggia-mento delle larghe intese dioggi di Letta e Alfano. Certoognuno col proprio differen-te stile, ma con esito identi-co, se stiamo ai risultati. De-poste le lenti deformanti checi fornivano immagini di unapartita urbana giocata tra ri-voltosi e forze dell’ordine, siè dischiusa davanti a noi lanatura vera di quella manife-

stazione. Essaha posto conradicalità, conintelligenza,con pratiche elinguaggi inedi-ti, innanzituttouna domanda.Cos’è diventa-to oggi il dirit-to del singolo,

come il diritto di una comu-nità? Rispetto all’abitare unacasa, al risiedere e al decide-re nel proprio territorio, allostudiare e formarsi, rispettoal lavoro sottopagato, preca-rio, cos’è e dov’è il diritto diun licenziato dall’oggi al do-mani. Dentro quella doman-da confluiscono e si saldanodiversi soggetti e diventanocorpi vivi della parte ormaisocialmente maggioritariadel nostro paese. Famigliedove il lavoro si perde e losfratto incombe, famiglie alleprese con i servizi meno effi-cienti e le bollette e i ticket sa-

nitari più cari d’Europa, gio-vani cui viene negato il dirit-to minimo alla formazione,pensionati impoveriti daglieffetti di quel che il lessico go-vernativo chiama ancoracon il beffardo nome di "rifor-ma", migranti che produco-no ricchezza e in cambio rice-vono inaccoglienza, comitatidi territorio posti a difesa delvalore dei beni comuni e delriuso sociale di beni e di edifi-ci sottratti al patrimonio pub-blico e svenduti ai privati at-traverso il mercato immobi-liare e speculativo.

Quella che emerge è la geo-grafia sociale e territorialeche va da nord a sud dell’Ita-lia, da una generazione all’al-tra, dal ceto medio agli stratipiù popolari. E’ la storia poli-tica di questa fallimentare ri-sposta alla crisi costruita sul-le ricette dell’austerità dimarca finanziaria ed econo-mica europea e di subalterni-tà politica dei governi. Comepossiamo pensare, come pos-siamo costruire l’alternativase siamo distanti da quelladomanda? Lo chiedo primadi tutto per la mia parte, lochiedo a noi stessi alle presecon un congresso che su que-sto dovrà interrogarsi a fon-do. Non si tratta di dare rap-presentanza politica a un mo-vimento variegato, di inglo-barlo o blandirlo. Sarebbeun altro errore, che ci riporte-rebbe indietro nel tempo. Sitratta per noi di stare dentroquella domanda, dentro lasua natura sociale e conflit-tuale con la risposta fin quidata alla crisi, perché lì ègran parte del nostro terrenodi costruzione di una politicadi alternativa. Se la nostraaspirazione ad essere quellasinistra che coniuga l’alterna-tiva con il governo del paeseha il senso e l’urgenza chenoi pensiamo, fuori da ogniminoritarismo, allora conquelle istanze ci dobbiamomisurare concretamente, apartire dalle reciproche auto-nomie. Mi chiedo se lo stes-so interrogativo non riguardianche il partito democraticoe fino a che punto esso puòeluderlo galleggiando nelvuoto delle larghe intese. Co-me senz’altro riguarda il sin-dacato, la sua determinazio-ne oggi così debole, così in-certa, nell’incanalare prote-sta e dolore sociale verso unconflitto democratico nel no-me dell’estensione dei dirittisempre più negati. Quellamanifestazione serve a dirciche esiste una potenzialità.Non possiamo girare losguardo altrove.

Coordinatore nazionale diSinistra Ecologia Libertà.

certificato n. 7362del 14-12-2011

Livio Pepino

Sulle pagine del Fatto (22 ottobre) ilprocuratore della Repubblica di Tori-no, Gian Carlo Caselli, se la prende

con il Movimento No Tav e con «i politici,amministratori, intellettuali e opinionisti»non allineati con il suo modo di gestire al-cuni procedimenti relativi a vicende valsu-sine. Il movimento, nella sua globalità, è ac-cusato addirittura di eversione: perseguìtada alcuni in modo diretto, da altri – la «par-te buona» (sic!) – mediante condotte omis-sive; gli intellettuali, a loro volta, sono indi-cati come irresponsabili autori di «attacchiscomposti contro il doveroso accertamen-to delle responsabilità penali». L’oggettodella reprimenda è la (asserita) mancata oinsufficiente presa di distanza da episodi diviolenza verificatisi in valle.

Il procuratore parla dei propri processi,anche se sottolinea di astenersi dall’esamedelle responsabilità individuali (come se laricostruzione della «materialità obiettivadei fatti accaduti» e la relativa interpretazio-ne non fosse parte delle indagini!), ed è que-sto improprio "processo a mezzo stampa"che rende l’articolo illuminante, aldilà del-l’approssimazione con cui vengono liquida-te l’esperienza e la storia del movimentovalsusino.

Annoverandomi tra i cri-tici chiamati in causa devouna risposta: l’ho, dovero-samente, proposta al gior-nale su cui l’articolo è com-parso, ma ho ricevuto daldirettore un cortese rifiutoa prescindere, cioè senzaleggere il testo... Ritornodunque, astenendomi dacommenti e interpretazio-ni di tale rifiuto, a casa.Non intendo polemizzarecon il procuratore di Tori-no su quella che lui defini-sce sottovalutazione dellaviolenza «o peggio». In cinquant’anni di vi-ta pubblica l’ho detto e scritto infinite vol-te: le dure lezioni del Secolo breve hannodimostrato che un assetto sociale e istitu-zionale più giusto e rispettoso dei diritti del-le persone si costruisce con la partecipazio-ne, l’inclusione, il confronto e non con laprevaricazione e la violenza. Da parte di tut-ti: cittadini e istituzioni. Ma, qui e ora, ilpunto centrale, che deve interessare chi haa cuore la sorte della società e delle perso-ne (e che il procuratore di Torino continuaa ignorare), è un altro: come si affronta e sisupera la violenza? e quali sono, invece, gliatteggiamenti che la provocano o la incenti-vano? Sul punto sono disponibile a ogniconfronto pubblico, pur se dubito che ana-loga disponibilità vi sia nel mio contraddit-tore...

Vengo, dunque, ai passaggi dello scrittopubblicato sul Fatto maggiormente indica-tivi di quel pre-giudizio colpevolista da mecriticato e che non giova alla serenità delleindagini. Primo. Il procuratore ricorda i«pesanti attacchi contro il cantiere di Chio-monte» e alcuni episodi connessi per arri-vare alla conclusione tranchant che «a ope-rare sono squadre organizzate secondoschemi paramilitari [...]affluite nella Valleda varie città italiane ed europee per speri-mentare metodi di lotta incompatibili conil sistema democratico». Può darsi che siacosì, ma sarebbe prudente non scambiarele ipotesi accusatorie con le sentenze defi-nitive e citare, almeno per completezza, afianco dei passaggi confermativi del Tribu-nale della libertà, le smentite della Corte dicassazione (10 maggio 2012, in punto «so-

vradimensionamento» dei fatti contestati)e del Tribunale di Torino (11 luglio 2012,in punto impropria dilatazione delle ipote-si di concorso di persone nel reato).

Secondo. Il procuratore continua ricor-dando la catena di «attentati/sabotaggi,con danni assai gravi, contro i mezzi di la-voro delle ditte che sono impegnate nelcantiere» e l’ordigno esplosivo inviato a ungiornalista. Prova granitica – chiosa – delladeriva violenta del movimento. Il pre-giu-dizio colpevolista è qui particolarmenteevidente: in forza di quali elementi quegliattentati vengono attribuiti, con apoditticacertezza, ai No Tav? I principali siti del mo-vimento hanno respinto tale attribuzione;le prevaricazioni mafiose sono in valle unarealtà risalente; incendi e danneggiamentitoccano da anni presìdi No Tav e auto o be-ni di attivisti; la storia del paese ci ha abi-tuati a una moltitudine di attentati simula-ti; i gesti sconsiderati di chi è interessato apescare nel torbido o di schegge impazzitedi diversa estrazione non sono una novità.Ogni ricostruzione è possibile. Ma, pro-prio per questo, non sarebbe opportuno –soprattutto da parte di chi ha responsabili-tà di indagine – tacere in attesa di riscontrie indagare in tutte le direzioni...?

Terzo. Infine il procuratore evoca, a di-mostrazione di un dise-gno «che può serenamen-te definirsi eversivo», la"Libera repubblica dellaMaddalena", denomina-zione attribuita dal movi-mento al territorio circo-stante l’area presidiata da-gli attivisti No Tav, fino al-lo sgombero del giugno2011, per opporsi al cantie-re. Le parole hanno (do-vrebbero avere) un senso.«Eversione» è, secondo idizionari della lingua italia-na, «l’abbattimento o ilsovvertimento dell’ordine

costituito e delle istituzioni che ne sonol’espressione, compiuto mediante atti rivo-luzionari o terroristici» (Devoto-Oli) e, se-condo la giurisprudenza di legittimità, es-sa «non può essere limitata al solo concet-to di "azione politica violenta", ma devenecessariamente identificarsi nel sovverti-mento dell'assetto costituzionale esistenteovvero nell'uso di ogni mezzo di lotta poli-tica che tenda a rovesciare il sistema demo-cratico previsto dalla Costituzione» (Cass.- sez. 2, n. 39504 del 17 settembre 2008).Difficile comprendere come l’"occupazio-ne" di una minuscola area della Maddale-na possa essere considerata segno di ever-sione. A maggior ragione in un paese incui ministri e presidenti di regione espres-si da un partito che predica la secessione(con tanto di "parlamento padano" ed evo-cazione di fucili e proiettili) stigmatizzanol’assalto allo Stato dei No Tav e plaudonoall’intransigenza della Procura di Torino...

Nessuno chiede impunità a prescinde-re. I reati commessi vanno perseguiti. Mala precisione delle contestazioni e il sensodelle proporzioni sono parte integrante diun diritto coerente con la Costituzione.Non solo per ragioni formali ma anche per-ché – come ha scritto Francesco Palazzo, il-lustre penalista di scuola liberale – «un di-ritto penale che vede nemici ogni dove ri-schia di accreditare l'immagine di una so-cietà percorsa da una generalizzata guerracivile, contribuendo così a fomentare unaconflittualità, anzi uno spirito sociale d'ini-micizia, che è del tutto contrario alla suavera missione di stabilizzazione e pacifica-zione della società».

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Un assetto socialee istituzionale

più giustosi costruisce

con la partecipazioneMa quali sono invece

gli atteggiamentiche anzichécombatterela violenza

la incentivano?

Sel: «Invisibilianche ai nostri occhi»

il manifestoDIR. RESPONSABILE Norma Rangeri

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONEBenedetto Vecchi (presidente),

Matteo Bartocci, Norma Rangeri,Silvana Silvestri, Luana Sanguigni

Abbiamo sbagliato,non abbiamo

capito che il 19ottobre è scesa in

campo la geografiasociale della crisi

*Ciccio Ferrara

chiuso in redazione ore 21.30 tiratura prevista 41.380

MOVIMENTO NO TAV/LA POLEMICA

Sciagurata l’accusa di eversioneUna risposta al giudice Caselli

Page 16: Il Manifesto 26 ottobre 2013

pagina 16 il manifesto SABATO 26 OTTOBRE 2013

L’ULTIMA

Vittorio AgnolettoDI RITORNO DA TBILISI

Le guerre perse con l’Abkhazia econ l’Ossezia del sud, costituisco-no delle ferite tuttora aperte e

rappresentano un ricordo vivo nellamemoria collettiva. I rifugiati sono an-cora oltre 270.000, poco meno dell’8%dell’intera popolazione. Oggi non vivo-no più nei campi, sono sistemati gra-tuitamente in case di proprietà pubbli-ca, scuole e alberghi o in palazzi di pro-prietà di privati; chi sceglie di vivere daamici e parenti riceve un sostegno eco-nomico dallo Stato.

Nonostante gli sf orzi e i progetti spe-ciali la disoccupazione tra costoro restaalta, attorno al 60%. Tre anni fa la deci-sione di spostare gli sfollati in regioniperiferiche lontano da Tbilisi ha provo-

cato momenti di forte tensione, chi ri-fiutava il trasferimento forzato perdevalo status di rifugiato con i benefici ad es-so collegati. Gli spostamenti coatti orasono stati sospesi, ma la quasi totalitàdei trasferimenti è stata già realizzata.

La Georgia ha firmato la Convenzio-ne internazionale per la tutela dei dirit-ti dei rifugiati, sono arrivati fondi dal-l’Ue, dalle grandi ong internazionali edagli Usa.

Tra la Russia e l’OccidenteL’impegno economico statunitenseper gli sfollati è aumentato per preciseragioni politiche: quando l’8 agosto2008 il presidente Saakaashvili ordinòdi bombardare Tskhinvali, la capitaledell’Ossezia del Sud, contava sull’effet-to sorpresa (i capi di governo di quasitutto il mondo, compreso Putin, eranoin Cina per l’inaugurazione delle Olim-piadi) ed era certo di poter contare sulsostegno degli Usa, appoggio che, sulterreno militare, non si è invece realiz-zato. In pochi giorni l’attacco georgia-no fu respinto dall’Ossezia del Sud edalle armate russe che arrivarono a po-

che decine di chilometri da Tbilisi.La determinazione di Mosca nel di-

fendere l’autoproclamata indipenden-za di Tskhinvali era anche una rispostaindiretta agli Usa e ai diversi paesi eu-ropei che avevano riconosciuto l’indi-pendenza del Kosovo dalla Serbia inforte contrasto con Mosca, da semprealleata di Belgrado.

La sconfitta del 2008 ha sviluppatoun ulteriore sentimento critico versoMosca, ma è altrettanto vero che la Ge-orgia e la Russia hanno in comune lamedesima religione, il cristianesimo,elemento tutt’altro che secondario inuna regione dominata dall’Islam e inun paese dove circa 1/8 della popola-zione è costituito da islamici.

Non c’è dubbio che i governi geor-giani oggi guardino verso occidente,ma gli eventi del 2008 hanno prodottouna crisi di fiducia verso gli Usa.

Inoltre Tbilisi non può ignorare laforte opposizione di Mosca all’eventua-le adesione alla Nato, auspicata danon pochi leader politici, anche per-ché molti georgiani lavorano in Russia;vi sono interi villaggi costituiti quasi so-lo da donne e bambini, il cui bilanciodipende dalle rimesse di chi lavora nelpotente paese confinante.

D’altra parte la Georgia è attraversa-ta dall’oleodotto che prosegue verso laTurchia e quindi i paesi europei, ta-gliando fuori la Russia. Per un piccolopaese collocato in una zona strategicadel globo, stretto tra gli interessi dellegrandi potenze, è sempre più difficileriuscire a mantenere una propria indi-pendenza non solo formale.

Nella scuole s’insegnano sia il russoche, sempre di più, l’inglese; il russo èla lingua ufficiale per il mezzo milionedi azeri, per gli armeni e per gli oltre100 mila russi che vivono nel paese; unterzo di chi oggi risiede in Georgia nonè di origine georgiana. Ma nonostantetutti lo capiscano è vietato parlare ilrusso in televisione e perfino i film ven-gono sottotitolati in georgiano.

Resta sullo sfondo,con un ricordoancora forte negli anziani, la figura diStalin, il georgiano che arrivò alla gui-da dell’Unione Sovietica: motivo digrande orgoglio nazionale e di forte le-game con la vittoria dell’Urss stalinia-na contro il nazismo. L’amministrazio-

ne di Gori, la città natale di Stalin, hadeciso di ricollocare la statua del suoconcittadino, rimossa dal governo na-zionale nel 2010. A Tbilisi è invece am-piamente pubblicizzata una mostrasull’«occupazione sovietica» della Ge-orgia. Impostazioni differenti, che ri-flettono modi diversi di raccontare ilproprio passato.

Un voto non scontatoDomani, 27 ottobre, i georgiani sceglie-ranno il nuovo presidente della repub-blica. Saakaashvilli non ha potuto ri-presentarsi avendo già svolto due man-dati, non si è candidato nemmeno ilprimo ministro Bidzina Ivanishvili, ilmiliardario rientrato da Mosca pochianni fa con l’intento di «contribuire alrilancio» del proprio Paese.

Nelle elezioni parlamentari del 2012la coalizione di Ivanishvili ha sconfittolo schieramento del presidente otte-nendo il 54%. Lo scontro si sta riprodu-cendo nella campagna elettorale allaquale ambedue partecipano per inter-posta persona. Il risultato delle elezio-ni presidenziali non è scontato e non èsemplice cogliere in cosa differiscano iprogrammi: tutti promettono più lavo-ro e più stato sociale, ma, alla luce de-gli eventi di questi ultimi anni, similipromesse hanno perso ogni credibili-tà. Differenze più evidenti emergonosulla collocazione internazionale: se

dovesse vincere GheorghijMargvelašvili, il candidato della coali-zione guidata da Ivanishvili, si potreb-be assistere a un miglioramento dellerelazioni con la Russia. La sua avversa-ria più agguerrita sembra essere l’ expresidente georgiana ad interim NinoBurdanadze.

Le settimane elettorali sono state vi-vaci; domenica 29 settembre abbiamoincrociato a Tbilisi, tre manifestazioni:una davanti all’ex Parlamento organiz-zata dai Patrioti e dai Veterani di guer-ra per chiedere che il presidente sia sot-toposto a un processo per gli episodidi repressione verificatisi negli ultimianni; la seconda, animata anche da al-cuni preti della Chiesa Ortodossa, erain difesa della privacy contro l’inseri-mento sul documento d’identità diuna chip con i dati personali; la terzaraccoglieva centinaia di persone da-vanti al ministero di Giustizia.

Una politica molto movimentataDa un anno la politica istituzionale ap-pare molto movimentata: mentre finoal 2012 tutto era controllato daSaakaashvili, oggi fra il presidente e ilprimo ministro gli scontri sono quoti-diani. Tale situazione è valutata positi-vamente da diversi esponenti della so-cietà civile: «Prima non c’erano alterna-tive, ora ogni decisione è una scelta ese ne può discutere».

Il parlamento è stato spostato, perdecisione del presidente, in un’altra cit-tà, Kutaisi, a quattro ore di distanza dal-la capitale; ma tale costosa scelta nonha certo facilitato il rapporto tra le isti-tuzioni. La Costituzione è presidenzia-lista, ma il potere del capo del governoè fortemente cresciuto nell’ultimo an-no ed è probabile che presto verrà mo-dificata in senso parlamentare.

Una corruzione di classeI pubblici ministeri sono sotto control-lo politico mentre i magistrati giudican-ti sono indipendenti; questa situazio-ne genera nella popolazione una fortesfiducia verso la magistratura.

La diminuzione della corruzione trai pubblici dipendenti, nel mondo uni-versitario e in parte anche nella poliziaha contribuito all’iniziale successo diSaakaashvili, dovuto anche alla capaci-tà di guidare la ricostruzione del Paesedevastato dalle guerre degli anni ’90.Ma cresce invece la corruzione nelmondo politico ed economico che cir-conda il presidente, dove sembra re-gnare l’impunità. Ed è questa, oltre algrave errore della guerra del 2008, unadelle principali ragioni dell’attuale per-dita di consenso da parte diSaakaashvili.

Le strutture organizzate della socie-tà civile sono ancora fragili: le ong simoltiplicano ma spesso sono gestiteda ex parlamentari vicini al presidentee sostenuti da finanziamenti statuni-tensi. È evidente l’assenza di un giorna-lismo di tipo investigativo, capace di in-dagare gli scandali del potere. Fa ecce-zione il GoGroup Media (partner in Ita-lia dell’Osservatorio Balcani e Cauca-

so), costituito da giornalisti indipen-denti azeri, armeni, georgiani ma an-che dell’Ossezia del Sud, dell’Abkhaziae del Nagorno Karabaki che lavoranoper superare il nazionalismo di granparte della stampa. Obiettivo difficilis-simo: per incontrarsi devono riunirsiin Turchia a causa della non concessio-ne reciproca dei visti d’entrata nei variPaesi della regione.

Fino a un anno fa tutti e quattro i ca-nali televisivi dipendevano dal Presi-dente, ora uno è controllato dal primoministro ed uno dovrebbe mantenersineutrale.

Servizi sociali al paloLo stato sociale è anche qui sotto tiro:gli asili e la scuola pubblica di ogni gra-do continuano ad essere gratuiti, ma simoltiplicano le scuole private e le uni-versità prevedono tasse d’iscrizione de-cisamente elitarie.

L’assistenza sanitaria è gratuita per ibambini e per gli ultrasessantacin-quenni ma solo per le cure di base e laqualità dei servizi resta problematica;tutti gli altri, tranne le fasce di popola-zione in situazione di grave povertà,devono pagarsi farmaci e assistenzacon il conseguente moltiplicarsi delleassicurazioni private.

Gli anni post-sovietici hanno porta-to maggior libertà d’espressione e plu-ralismo politico, ma hanno prodottouna grande divaricazione sociale e laperdita di un sistema di garanzia stata-le nel welfare, nel lavoro e nelle politi-che abitativa; oggi quasi metà della po-polazione vive in condizioni di pover-tà, molti sono coloro che chiedonol’elemosina per strada, mentre il 10%raccoglie nelle sue mani una ricchezzaspropositata e in continuo aumento.

La consapevolezza di questa con-traddizione tra libertà e povertà, tra ilmondo di ieri e quello di oggi è am-piamente diffusa e la speranza versoil futuro delle giovani generazioni tut-te proiettate a occidente, si scontracon il rimpianto del passato che mol-to spesso alberga in coloro che han-no avuto esperienza diretta dell’epo-ca che fu.

* board internazionale di Flare (Free-dom Legality and Rights in Europe)

LaGeorgiaPUÒ SCEGLIERE

Un paese che ancorasi lecca le feritedelle guerre persecon Abkhaziae Ossezia del Sud

storie

Domani si votaper eleggereil successoredi Saakaashvili.C’è più pluralismo,ma anche molta piùpovertà. E il futuroè tutto da inventare,Russia permettendo

NELLE STRADEDI TBILISI,UN MANIFESTOINVITAA VOTAREPER NINOBURJANADZE,LA PRINCIPALESFIDANTEDI GHEORGHIJMARGVELAŠVILI(SOTTO),IL CANDIDATOAPPOGGIATODAL PREMIERUSCENTE/FOTOREUTERS