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Il lungo corso della Il lungo corso della decolonizzazione decolonizzazione dell'Africa dell'Africa di di Maris Davis Maris Davis

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IndiceIndice

Introduzione

Il panafricanismo

I tempi dell’Indipendenza

I limiti della decolonizzazione

La crisi del modello dello Stato nazionale

Foundation for Africa

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IntroduzioneIntroduzione

Gli Stati dell’Africa e l’anno della loro indipendenza

Nel 1945 gli imperi coloniali erano arrivati acomprendere quasi tutta l'Africa. Vent'anni dopola maggior parte del continente (eccettuati i territoriportoghesi) aveva raggiunto l'indipendenza.

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Un'inversione così rapida e totale di un processodi colonizzazione che era andato affermandosilungo un arco di tempo più che secolare pone difronte a due possibili spiegazioni. In base allaprima, gli Stati imperiali decisero che le colonienon erano più convenienti e preferirono smem-brare i propri imperi. In base alla seconda, furo-no le popolazioni delle colonie a sbarazzarsi deldominio imperiale o comunque a rendere il suoprotrarsi talmente difficoltoso e problematicoche gli Stati colonizzatori preferirono cedereloro l'esercizio del potere politico. Nella realtàdei fatti, nessuna di queste due spiegazioni è ingrado di reggersi da sola: è più verosimile unaloro combinazione.

Il punto di svolta per tutti gli Stati europei, ec-cettuato il Portogallo, si ebbe tra il 1949 e il 1960e fu determinato dal concorso in contemporaneadi eventi che si svolsero nelle colonie e di situa-zioni in cui si trovarono a versare gli Stati colo-nizzatori. Da una parte il rapido diffondersi dimovimenti nazionalisti nei paesi africani sollevòin Europa questioni concernenti sia la conve-nienza sia la moralità di una loro repressione. Glianni Cinquanta videro la nascita in Gran Breta-

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gna e in Francia di potenti movimenti antimpe-rialisti che per la prima volta misero in discussio-ne la colonizzazione come fatto in sé. Tanto piùla decolonizzazione s'impose come un problemaurgente, quanto più la guerra da cui gli alleati oc-cidentali erano usciti vittoriosi si era caratterizza-ta come una lotta combattuta contro la tirannidee a sostegno dei diritti dei popoli oppressi.

Dall'altra parte, l'importanza economica delle co-lonie per i loro possessori declinò rapidamente,all'incirca a partire dal 1951, a mano a mano chela ricostruzione europea post guerra mondiale,procedeva con successo e che il prezzo dei pro-dotti di esportazione coloniali andava calando.L'Europa non aveva più bisogno di manteneresulle colonie lo stesso grado di controllo cheaveva esercitato in passato, al contrario cominciòa farsi sentire il prevedibile peso del sostegnoeconomico ai territori coloniali.

Il risultato della combinazione di questi fattori fuche all'inizio degli anni Sessanta tutte le principa-li potenze coloniali adottarono una politica didecolonizzazione che prevedeva il trasferimentodel potere a tutte le colonie, da attuare in tempibrevi e senza le molte riserve espresse in passato

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sulla loro capacità di amministrare efficiente-mente i propri affari. La decolonizzazione puòdunque essere spiegata, entro certi limiti, con unmutamento radicale nell'atteggiamento degli eu-ropei.

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Tuttavia il momento in cui tale mutamento è av-venuto e la velocità con cui si è attuato sono staticondizionati in ultima analisi dal grado di resi-stenza che le potenze coloniali hanno incontratonei rispettivi possedimenti. La composizione deifattori che determinarono il corso degli eventi fudiversa da caso a caso. Alla fine la decolonizza-zione ebbe luogo principalmente perché gli Statiimperiali decisero che, tutto sommato, per il fu-turo avrebbero potuto ottenere di più lasciandole rispettive colonie da amici piuttosto che da ne-mici, per quanto molte di esse fossero imprepa-rate all'indipendenza.

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Il panafricanismoIl panafricanismo

Sul nazionalismo africano un'influenza determi-nante fu esercitata a suo tempo dall'ideologia delpanafricanismo. Nato alla fine del 19° secolocome manifestazione di solidarietà tra la popola-zione di origine africana trapiantata nel NuovoMondo, il panafricanismo si trasformò nel corsodel secolo successivo, con l'inizio del processo didecolonizzazione dell'Africa, in movimento ten-dente a realizzare l'unità politica del continenteafricano.

Tra gli obiettivi intorno ai quali si coagulò origi-nariamente l'ideologia africanista, i più significa-tivi erano la riabilitazione delle civiltà africane, larestaurazione della dignità dell'uomo di colore ela celebrazione del ritorno alla madrepatria dacui era partita la diaspora. L'africanismo trassebeneficio da ogni nuova scoperta delle entità cheerano state alla base dello sviluppo culturaledell'Africa nella storia, in termini di strutture siareligiose sia socio-politiche, così come dall'espe-rienza comune a quasi tutta l'Africa della spolia-zione coloniale.

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Questi convincimenti consentirono agli intellet-tuali e ai leader politici che vi aderirono di tra-scurare ogni elemento di diversità e di conflittotra le popolazioni africane. L'esperienza avevainsegnato loro, spesso amaramente, che ciò cheli univa indissolubilmente, il colore della pelle,era molto più importante nel mondo che cono-scevano di tutto ciò che poteva dividerli. Questosignificato dell'africanismo, come scudo e comesperanza per i perseguitati, si sarebbe conservatoal di là di ogni scoraggiamento o sconfitta e ilconcetto politico di africanismo avrebbe presocorpo come cornice delle agitazioni politiche efaro di un futuro libero.

Tra i precursori del movimento viene general-mente ricordato Henry Sylvester Williams, unavvocato di Trinidad che dedicò gran parte dellasua vita a sensibilizzare l'opinione pubblica mon-diale contro lo sfruttamento dei neri da parte deicoloni boeri e inglesi in Africa australe. Williamsorganizzò un incontro a Londra nel 1900 cheservì da modello a una serie di convegni che trail 1919 e il 1945 sancirono l'affermazione del pa-nafricanismo. L'indirizzo conclusivo del meetingdi Londra fu scritto da uno storico afroamerica-no, destinato a diventare una delle figure cari-

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smatiche del movimento, William Burghardt DuBois, e si apriva con un brano diventato celebre:"Il problema del ventesimo secolo è il problemadel colore, la questione di quanto le differenze dirazza diventeranno la base per negare a oltre lametà del mondo il diritto di condividere, fino allimite delle loro capacità, le opportunità e i privi-legi della civiltà moderna".

Durante il convegno di Parigi del 1921 fu rivoltauna petizione ai partecipanti alla Conferenza del-la pace per chiedere l'applicazione all'Africa delprincipio dell'autodeterminazione dei popoli. ALondra nel 1921 fu elaborata una Dichiarazioneal mondo in cui si proclamava "l'assoluta ugua-glianza delle razze dal punto di vista fisico, poli-tico e sociale". I congressi di Londra (1923) e diNew York (1927) videro la partecipazione di unnumero di delegati sempre maggiore; a essi feceseguito la costituzione a Londra dell'Internatio-nal African service bureau (1937), quindi dellaPan African federation (1944), organismi in cuisi formarono molti dei futuri politici nazionalistiafricani.

L'ultimo dei congressi panafricani, che si tenne aManchester, in Gran Bretagna, nell'ottobre 1945

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e vide la presenza di 90 delegati più altri parteci-panti, si spostò su un terreno completamentenuovo: esso portò il panafricanismo dalla dia-spora nera al continente d'origine. Du Bois erapresente, come lo erano alcuni eminenti attivistidei Caraibi, ma c'erano anche leader politicidell'Africa, compresi alcuni che dovevano diven-tare presidenti di repubbliche indipendenti:Kwame Nkrumah della Costa d'Oro (Ghanadopo il 1956), Jomo Kenyatta del Kenya e JuliusNyerere della Tanzania. Nel congresso di Man-chester emersero per la prima volta l'esigenzadell'indipendenza dai regimi coloniali e il nazio-nalismo: "Siamo determinati a essere liberi se ilmondo occidentale è ancora determinato a go-vernare il genere umano con la forza, allora gliafricani, come ultima risorsa, potranno esserecostretti ad appellarsi alla forza nell'impresa diconseguire la libertà".

A partire dal 1957-58, con l'avvio del processo didecolonizzazione dell'Africa a sud del Sahara, ilpanafricanismo, inteso come cammino versol'unificazione politica delle nuove entità stataliindipendenti, sembrò avere una concreta attua-zione pratica. Accra divenne centro della attivitàpanafricana ospitando, per iniziativa di Nkru-

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mah, la prima conferenza degli Stati africani in-dipendenti (aprile 1958) e la prima conferenzadei popoli africani (dicembre 1958), dalle qualifurono lanciate le richieste dell'indipendenza im-mediata e della costituzione degli Stati Unitid'Africa.

L'ideale panafricano ispirò la nascita di raggrup-pamenti regionali, alcuni dei quali ebbero peròbreve durata per l'immediato insorgere di senti-menti nazionalistici o di particolarismi tribali.Inoltre nel continente si manifestarono divisionicirca la linea da seguire nei confronti dei paesioccidentali e delle ex potenze coloniali: ai paesi‘riformisti', riuniti nel gruppo di Brazzaville, sicontrapposero quelli ‘rivoluzionari' del gruppo diCasablanca; tale contrapposizione sembrò supe-rata con la nascita, il 25 maggio 1963 ad AddisAbeba, dell'OUA (Organizzazione dell'unità afri-cana).

La nuova organizzazione trovò un elemento dicoesione nella condanna di ogni tipo di colonia-lismo, impegnandosi per accelerare l'acquisizionedell'indipendenza da parte dei territori ancorasoggetti alla dominazione portoghese. Posizioniunitarie furono espresse anche nel condannare i

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paesi che praticavano una politica di aperta di-scriminazione razziale (Rhodesia e Sudafrica).

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Vincolata strettamente per principio al rispettodella sovranità e alla non-ingerenza negli affariinterni delle nazioni, in ossequio alla lotta di de-colonizzazione e alla necessità di evitare indebo-limenti dei fragili Stati africani, l'OUA mostròminore coesione quando dovette affrontare ledispute confinarie tra Stati o le numerose guerrecivili che laceravano il continente, riconoscendodi fatto e di diritto l'intangibilità delle frontiereereditate dalla colonizzazione.

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I tempi dell'indipendenzaI tempi dell'indipendenza

Il 1960 è stato chiamato l'anno dell'Africa; nelcorso di esso infatti ben 17 paesi ebbero accessoall'indipendenza, a conclusione di processi poli-tico-costituzionali diversi, in taluni casi lunga-mente maturati con la responsabile partecipazio-ne e la consapevole pressione delle popolazioni,o almeno delle élite locali; in altri casi affrettatiper rispondere alle istanze anticolonialiste ormaidominanti, o venuti a compimento per l'applica-zione di uno stesso iter a territori di differentesviluppo politico.

Rispettivamente il 1° gennaio e il 27 aprile fuproclamata l'indipendenza di due territori retti inamministrazione fiduciaria dalla Francia: il Ca-merun, che dal 1957 godeva dell'autonomia in-terna, e il Togo, autonomo dal 1956; il 30 giugnoquella del Congo già belga, a conclusione di unaevoluzione politico-costituzionale accelerata apartire dal 1959; il 26 giugno divenne indipen-dente la Somalia già britannica e il 1° luglio, inanticipo rispetto al previsto termine dell'ammini-strazione fiduciaria che era stata affidatadall'ONU all'Italia, quella già italiana; la Nigerianacque il 1° ottobre, dopo un complesso trava-

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glio costituzionale, quale Stato federale. In variedate fra il giugno e il novembre, in base alla pos-sibilità aperta da una modifica della Costituzionedella Comunità francese, divennero indipendentile repubbliche già autonome in seno alla Comu-nità (Madagascar, Dahomey, Niger, Alto Volta,Costa d'Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana,Congo, Gabon, Senegal, Mali, Mauritania).

Il processo di decolonizzazione andò ulterior-mente affermandosi nel corso degli anni Sessan-ta: il 27 aprile 1961 divenne indipendente la Sier-ra Leone e il 9 dicembre il Tanganica, già ammi-nistrazione fiduciaria della Gran Bretagna; dalterritorio del Ruanda-Urundi, in amministrazio-ne fiduciaria belga, nacquero il 1° luglio 1962 ilRuanda e il Burundi. La proclamazione dell'indi-pendenza dell'Algeria (3 luglio) segnò la vittoriapolitica di un movimento nazionalista che avevascelto, dal novembre 1954, la via della lotta ar-mata conquistando progressivamente un'estesaadesione popolare. Sempre secondo lo schemadi evoluzione politico-costituzionale propria deiterritori dipendenti dalla Gran Bretagna, ma conmaggiore travaglio per le particolari situazioni lo-cali, giunsero all'indipendenza l'Uganda (9 otto-bre 1962) e il Kenya (12 dicembre 1963).

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Ancor più difficile la decolonizzazione dei terri-tori che dal 1953 costituivano la Federazionedell'Africa centrale (concepita come strumentoper il predominio della minoranza bianca) e dellaquale perciò i leader africani chiedevano la disso-luzione. Il Nyasaland divenne indipendente il 6luglio 1964 con il nome di Malawi; il 24 ottobrefu la volta della Rhodesia del Nord, che assunseil nome di Zambia. Nella Rhodesia meridionaleil governo locale rifiutò ogni concessione politicaalla maggioranza nera, contrastando gli stessiorientamenti della madrepatria, sino a proclama-re unilateralmente, l'11 novembre 1965, l'indi-pendenza, ovviamente non riconosciuta dalla co-munità internazionale.

La decolonizzazione proseguì negli anni Sessantanei restanti territori britannici: il Gambia accede-va all'indipendenza il 18 febbraio 1965, il Bo-tswana il 30 settembre 1966, il Leshoto il 4 otto-bre, Maurizio il 12 marzo 1968, lo Swaziland il 6settembre 1968; nello stesso anno conseguival'indipendenza la Guinea Equatoriale.

Nei territori portoghesi i movimenti nazionalistiavevano iniziato la guerra armata il cui epilogo

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vittorioso si avrà molto più tardi, grazie anchealla svolta politica verificatasi in Portogallo nel1974. L'indipendenza della Guinea Bissau fuproclamata unilateralmente il 24 settembre 1973e riconosciuta il 10 settembre 1974; quella delMozambico il 25 giugno 1975; quella delle isoledel Capo Verde il 5 luglio 1975; quella di SãoTomé e Principe il 12 luglio 1975 e quelladell'Angola l'11 novembre 1975. Nello stesso1975 la Spagna si ritirò dal Sahara occidentale,favorendone la concordata spartizione fra il Ma-rocco e la Mauritania, mentre le isole Comoreraggiungevano l'indipendenza il 6 luglio 1975, se-guite dalle isole Seychelles il 28 giugno 1976.

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Limiti della decolonizzazioneLimiti della decolonizzazione

All'indomani della decolonizzazione, pratica-mente conclusa alla fine degli anni Settanta, lapolitica africana si spostò dalla prospettiva dellalotta anticoloniale per concentrarsi sugli assettiinterni. L'ideale di solidarietà e di unità dell'Afri-ca, importante fattore ideologico nella lotta anti-colonialista, non trovò, salvo pochi casi, concre-ta attuazione nel processo di decolonizzazione:l'indipendenza fu conseguita conservando il qua-dro della spartizione coloniale.

Assunta con l'indipendenza la diretta e piena re-sponsabilità del proprio destino, i paesi africanisi trovarono di fronte a molteplici problemi, allacui base vi erano le loro condizioni di sottosvi-luppo, derivate da un insieme di fattori essenzial-mente connessi alla stessa vicenda della domina-zione coloniale. Questi problemi hanno messo ipaesi africani nelle condizioni di dipenderedall'aiuto finanziario e tecnico esterno (delle exnazioni colonizzatrici o di altri Stati), ma questiaiuti, inseriti in un sistema economico rispon-dente agli interessi dei paesi industrializzati, nonsono riusciti ad avviare il progresso dell'Africa.

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Alla valutazione ottimistica della politica degliaiuti e, in generale, di tutto il rapporto fra i paesiricchi e l'Africa, se ne contrappone dunque unacritica, secondo la quale il sistema occidentale

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riesce a esercitare, attraverso i meccanismidell'economia mondiale e in particolare attraver-so gli aiuti, un'ingerenza e un controllo, il cosid-detto neocolonialismo, sui paesi in via di svilup-po e specialmente su quelli africani.

Con queste difficoltà si sono intrecciate quelleconnesse alla tradizione, anche remota, del mon-do africano e alle conseguenze del periodo colo-niale. I nuovi Stati dell'Africa sono nati dal pro-cesso di decolonizzazione senza rispondenzacon un sentimento di identità nazionale diffusonell'intera popolazione. La ‘costruzione della na-zione' ha incontrato molteplici resistenze in qua-si tutti i paesi: eterogeneità della composizioneetnica e conseguenti rivalità tribali e regionali;contrapposizione fra popolazioni delle regionicostiere e quelle delle zone interne; diversità direligioni; pluralità di lingue, ostacolo per la ge-stione delle comunicazioni sociali (il che ha ge-neralmente portato all'adozione come ufficialedella lingua dell'ex colonizzatore); presenza diminoranze non africane, asiatiche o europee. Difronte a queste difficoltà il gioco delle forze poli-tiche e sociali si è svolto secondo linee e sviluppiin parte simili, in parte diversi nei vari paesi.

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Per effetto della decolonizzazione, si sono for-mati Stati deboli e vulnerabili, la cui stabilità èresa incerta dalle frontiere controverse, dallamancanza di una chiara coscienza nazionale e dalcarattere provvisorio delle istituzioni inaugurateal momento dell'indipendenza. All'interno dellevarie nazioni è prevalsa la tendenza all'autoritari-smo, in realtà politico-costituzionali caratterizza-te dall'esistenza di un partito unico, al quale si ègiunti di solito per una graduale evoluzione dalsistema pluripartitico, ereditato al momentodell'indipendenza dal modello del colonizzatore,attraverso la fase del bipartitismo. Il partito uni-co, che in molti Stati prevale di fatto sugli altriorgani costituzionali, ha trovato giustificazionenella necessità di evitare l'espressione, attraversopiù partiti, di tendenze centrifughe e particolari-stiche, ostacolo alla integrazione nazionale e allosviluppo economico-sociale.

I limiti dell'indipendenza africana sono apparsicon maggior evidenza perché l'ultima fase delladecolonizzazione, la cosiddetta ‘seconda decolo-nizzazione', sembrava aver fatto tesoro dell'espe-rienza precedente puntando a un'indipendenzache non si fermasse alle soglie della sovranità macercasse di trasformare in profondità le strutture

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sociali. Questo era soprattutto il programma deimovimenti di liberazione delle colonie portoghe-si, pervenute all'indipendenza dopo la caduta delregime salazarista, le quali faticarono non poco,per cause interne e soprattutto esterne, a tradur-re in pratica i principi di cui i partiti-eserciti di li-berazione erano portatori.

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La crisi del modello dello Stato nazionaleLa crisi del modello dello Stato nazionale

L'autodeterminazione in Africa è stata concepitae attuata Stato per Stato sulla base dello spazioterritoriale, spesso artificioso, stabilito dal colo-nialismo. Temendo una corsa generale verso unaseconda spartizione, i governi africani e per essil'OUA hanno rinunciato a cercare soluzioni piùrispondenti ai caratteri storici, etnici e culturali.Si spiega così la scarsa udienza che ha avuto inAfrica, per esempio, la lotta di liberazionedell'Eritrea, ritenuta parte di uno Stato indipen-dente, l'Etiopia. L'OUA si è sempre opposta alleguerre di secessione e ai tentativi più o menoviolenti di rimodellare la mappa geopolitica delcontinente in vista di una maggiore coincidenzafra statualità e nazionalità.

Nell'ultimo decennio del Novecento la carta po-litica dell'Africa non ha più presentato quella nu-trita serie di variazioni, con il cambiamento deinomi di Stati e di città e con il trasferimento dimolte capitali, che aveva accompagnato tutta lafase della decolonizzazione. Ma questo non haaffatto significato che il continente abbia rag-giunto un periodo di stabilizzazione politica: an-che il volgere del secolo 20° è stato costellato da

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una cospicua serie di cambiamenti, spesso cruen-ti, dei governi, nonché di scontri di fazioni, dilotte tribali. Alcuni di questi conflitti, come quel-lo che ha opposto le etnie hutu e tutsi nel Ruan-da e nel Burundi, hanno varcato la soglia del ge-nocidio.

La caratteristica più vistosa dell'evoluzione poli-tica del continente africano sembra comunqueessere stata una sorta di regressione a forme pre-territoriali, premoderne, dell'esercizio del poterepolitico. Che gli Stati africani, ricalcati sul model-lo nazionale tipico dello Stato europeo, presen-tassero una rimarchevole debolezza strutturaleproprio negli aspetti fondativi (tradizione, legitti-mità della sovranità, lealtà della cittadinanza,coerenza di popolazione e territorio) era chiaroprima ancora che si completasse il processo didecolonizzazione. La prima fase di vita indipen-dente, corrispondente alla prima generazione dileader, vide comunque gli Stati africani adattarsi,talvolta anche con apparente successo, al model-lo europeo.

Ma la scomparsa delle figure carismatiche di pri-ma generazione, il fallimento dei processi di svi-luppo economico e socio-politico, la persistenza

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di forme di identità estranee alla concezione mo-derna dello Stato e una conflittualità internaniente affatto sopita hanno evidenziato la diffi-coltà del tentativo di esportare in Africa (in par-ticolare nell'Africa nera) il modello dello Stato-nazione. Nel corso degli anni Novanta una seriedi eventi tragici ha esplicitato la crisi.

In molti casi l'elemento venuto più rapidamentemeno è stato proprio il confine territoriale, alquale peraltro quasi mai, in Africa, si è potuto as-segnare un valore affine a quello che ha avuto inEuropa: esso appare ormai completamente tra-volto da dinamiche politiche che vedono lo stru-mento principale non nell'organizzazione del ter-ritorio, ma in quella della popolazione, secondoun modello tipico della realtà etnica e tribale ri-salente ai secoli precedenti l'intromissione euro-pea in Africa.

Attraversato da flussi di ogni genere, di persone(nomadi, migranti, profughi, guerriglieri) comedi beni, in forme lecite o più spesso illecite, ilconfine in Africa sembra aver perduto le suefunzioni e la sua riconoscibilità, mentre poterisempre più autonomi dallo Stato territoriale cer-cano di garantirsi un accesso al mercato mondia-

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le, spesso sostenuti in questo tentativo da inte-ressi del tutto esterni al continente.

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Carta dell’Africa, 1890

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Stati dell’Africa e l’anno della loro indipendenza

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