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Il libro

Il suo sangue è rosso – come quello della gente comune – ma lo straordinario potere di controllare ifulmini, che nessun Argenteo possiede, rende Mare Barrow un’arma sulla quale il Palazzo vorrebberiuscire a mettere le mani. Tutta la corte la considera un’eccezione, ma non appena Mare riesce asfuggire a Maven, il principe – e prima ancora l’amico – che l’ha tradita, scopre una veritàsconvolgente: lei non è affatto un’eccezione. Perché di giovani Rossi e Argentei ne esistono molti altri.

Inseguita da Maven, diventato un sovrano crudele e vendicativo, Mare fa di tutto per trovare ereclutare altri guerrieri Novisangue che si uniscano alla lotta dei ribelli contro il re oppressore. Nelfarlo, però, entra in un territorio molto pericoloso, dove rischia di diventare proprio come i mostri chesta cercando di sconfiggere.

Riuscirà a sopportare il peso delle vite che dovranno essere spezzate durante la ribellione? O laslealtà e il tradimento subiti l’avranno indurita per sempre?

Nel secondo elettrizzante romanzo di Victoria Aveyard, la lotta dell’esercito ribelle contro unmondo ingiusto, dove è considerato normale segregare le persone in base al colore del loro sangue,costringerà Mare ad affrontare il lato oscuro che piano piano si è fatto largo nel suo animo.

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L’autrice

Victoria Aveyard è nata e cresciuta a East Longmeadow, una cittadina delMassachusetts famosa solo per ospitare la peggiore rotatoria di tutti gliStati Uniti. Si è trasferita a Los Angeles dove si è diplomata insceneggiatura. Ora fa la scrittrice e la sceneggiatrice, entrambi i mestierisono una scusa perfetta per vedere troppi film e leggere troppi libri. Nel2015 ha pubblicato con Mondadori Regina rossa , il primo volume dellaserie omonima.

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Victoria Aveyard

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SPADA DI VETRO

Traduzione di Elisa Caligiana

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SPADA DI VETRO

Ai miei nonni, qui e là.Siete sempre a casa.

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Sussulto. Lo straccio che lei mi passa è pulito, ma odora ancora di sangue. Non dovrebbedarmi fastidio, dato che i miei vestiti ne sono già tutti impregnati. Il rosso è il mio,naturalmente. Quello argenteo, invece, appartiene a molti altri. Evangeline, Ptolemus,lord Osanos e tutti coloro che hanno cercato di uccidermi nell’arena. Suppongo che inparte sia anche di Cal. Ha perso molto sangue sulla sabbia, per i colpi inferti dai nostrimancati carnefici. Ora è seduto di fronte a me e si osserva i piedi, mentre i suoi tagliintraprendono un lento processo di guarigione naturale. Do un’occhiata a una delle tanteferite che ho sulle braccia, causate con ogni probabilità da Evangeline. Sono ancorafresche e così profonde che lasceranno senz’altro il segno. Una parte di me è estasiataall’idea: questo sfregio frastagliato non sarà magicamente cancellato dalle fredde mani diun guaritore. Io e Cal non siamo più nel mondo degli argentei, dove certe personepotrebbero eliminare con estrema facilità le cicatrici che ci siamo guadagnati a fatica.Siamo riusciti a fuggire. O, almeno, io ci sono riuscita. Le manette ai polsi di Cal, invece,sono un chiaro promemoria della sua prigionia.

Farley mi dà un buffetto sulla mano con fare sorprendentemente gentile. «Nasconditiil viso, sparafulmini. Ti stanno cercando.»

Per una volta, faccio quello che mi viene detto. Gli altri mi imitano e si tirano su lebandane rosse per coprirsi naso e bocca. Cal è l’ultimo a restare a viso scoperto, ma nonper molto. Non oppone la minima resistenza quando Farley gli sistema la maschera sulvolto per farlo sembrare uno di noi.

Se solo lo fosse.Un ronzio elettrico mi fa ribollire il sangue nelle vene e mi riporta alle oscillazioni e

allo sferragliamento del treno sotterraneo che procede inesorabile, verso una città, untempo rifugio sicuro. Il convoglio sfreccia veloce e stride sui vecchi binari, come unlestopasso argenteo che attraversa in un lampo i campi aperti. Ascolto il fastidiosorumore metallico, lo sento penetrare in profondità nelle mie ossa, dove si insinua undolore freddo e pungente. La rabbia e la forza percepite nell’arena sono ormai un lontanoricordo che si lascia alle spalle solo paura e sofferenza. Posso a malapena immaginarecosa Cal stia passando. Ha perso tutto, tutto quello a cui teneva di più. Suo padre, suofratello, il proprio regno. Non so come faccia a non crollare, saldo e immobile se non perl’ondeggiare del treno.

Non c’è bisogno che qualcuno mi spieghi perché andiamo così di fretta. Per quanto miriguarda, vedere Farley e le sue guardie tese come corde di violino è una motivazione piùche sufficiente. Siamo ancora in fuga.

Maven ha già percorso questa strada prima, e farà ritorno con tutta la furia dei suoisoldati, di sua madre e del nuovo titolo. Se ieri era un principe, oggi è un re. Lo credevo

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mio amico, il mio promesso sposo, ma adesso ho capito.Un tempo mi fidavo di lui. Ora ho imparato a detestarlo e a temerlo. Ha contribuito

all’omicidio del padre per accaparrarsi la corona e, per un crimine da lui commesso, haincastrato il fratello. Sa che le radiazioni che circondano la Città delle Rovine sono tutteuna balla, un trucchetto, e sa dove conduce il treno. Il nascondiglio tranquillo che Farleyha costruito non è più un posto sicuro, non per noi. Non per te.

Può darsi che ci stiamo già dirigendo a gran velocità verso una trappola.Nell’avvertire la mia preoccupazione, qualcuno mi abbraccia. Shade. Non riesco ancora

a credere che mio fratello sia qui, vivo e, cosa perfino più strana, uguale a me. Rosso eargenteo, e più forte di entrambi.

«Non permetterò che ti prendano di nuovo» sussurra a voce talmente bassa che facciofatica a sentirlo. Suppongo che non sia consentito dimostrare il proprio attaccamento aqualcuno all’infuori della Guardia Scarlatta, benché si tratti di un familiare. «Te loprometto.»

La sua presenza è rassicurante e mi riporta indietro nel tempo. A quando non eraancora stato chiamato alle armi, nella primavera piovosa in cui potevamo fingere diessere bambini. Non esisteva altro che il fango, il villaggio e il nostro stupido vizio diignorare il futuro. Ora il futuro è l’unica cosa a cui io pensi e mi chiedo su quale oscurosentiero ci abbiano condotto le mie azioni.

«Che facciamo adesso?» domando a Farley, ma il mio sguardo incrocia quello di Kilorn.Lui le sta accanto, da bravo guardiano, con i denti serrati e le bende insanguinate. Epensare che, in un’altra stagione, era solo l’apprendista di un pescatore. Ora sembra unpesce fuor d’acqua, proprio come Shade, il fantasma di un’epoca passata, precedente atutto questo.

«C’è sempre un posto in cui scappare» replica Farley, più concentrata su Cal che sututto il resto. Si aspetta che combatta, che opponga resistenza, ma lui non fa nulla.

«Tienila stretta» ordina Farley, dopo una lunga pausa, rivolta a Shade. Mio fratelloannuisce e mi posa la mano pesante sulla spalla. «Non possiamo perderla.»

Non sono un generale né un’esperta di tattiche militari, ma il suo ragionamento mi èchiaro. Sono la ragazzina sparafulmini, pura elettricità vivente, una saetta in formaumana. La gente conosce il mio nome, il mio aspetto e le mie abilità. Sono preziosa, sonopotente, e Maven farà qualunque cosa per impedirmi di contrattaccare. Benché miofratello sia simile a me, benché sia la cosa più veloce che io abbia mai visto, non soproprio come potrà proteggermi da questo nuovo re crudele e corrotto. Eppure devocrederci, nonostante sembri un’illusione. Dopotutto, ho visto accadere così tante coseimpossibili… Riuscire di nuovo a farla franca non sarà niente di che a confronto.

Il rumore delle pistole che vengono caricate rimbomba nel vagone mentre gli uominidella Guardia si preparano. Kilorn si sposta e mi viene accanto, barcollando leggermente,mentre tiene il fucile a tracolla stretto sul petto. Abbassa lo sguardo, ha un’espressionetenera. Abbozza un sorrisetto e prova a farmi ridere, ma i suoi occhi verde brillante sonoseri e intimoriti.

Cal invece se ne sta seduto in silenzio, con aria quasi pacifica. Nonostante sia quelloche ha più da temere – incatenato, circondato da nemici e perseguitato dal suo stesso

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fratello –, il suo aspetto è sereno. Il che non mi sorprende. È un soldato nato; la guerra èqualcosa che comprende bene e ora siamo decisamente in guerra.

«Spero non abbiate intenzione di combattere» esordisce dopo diversi minuti disilenzio. Tiene gli occhi puntati su di me, ma le sue parole taglienti sono rivolte a Farley.«Spero vi siate organizzati per scappare.»

«Risparmia il fiato, argenteo» ribatte lei, raddrizzando le spalle. «So cosa dobbiamofare.»

Le parole mi escono da sole, non riesco a trattenermi: «Anche lui». Farley miincenerisce con lo sguardo, ma ho sopportato di peggio. Infatti non batto ciglio. «Cal sacome combattono, sa cosa faranno per fermarci. Sfruttalo.»

Come ci si sente a essere usati? È stato lui a sputarmi addosso quelle parole, nellaprigione sotto il Circo delle ossa, e in quel momento ho desiderato di morire. Ora mi dà amalapena fastidio.

Lei non dice niente, il che per Cal è davvero troppo.«Useranno i bocca di leone» commenta tetro.Kilorn scoppia a ridere. «I fiori?»«I jet» replica Cal con occhi scintillanti di disprezzo. «Ali arancioni, corpo argentato e

un unico pilota; sono facili da manovrare, perfetti per un assalto urbano. Trasportanofino a quattro missili ciascuno. Moltiplicato per il numero di velivoli che compongonouno squadrone, si parla di sfuggire a quarantotto missili, senza contare gli altri tipi dimunizioni. Potete farcela a gestire tutto questo?»

La sua domanda è accolta dal silenzio. No che non possiamo.«E i bocca di leone, in realtà, sono l’ultimo dei nostri problemi. Non faranno altro che

accerchiarci, difendere il perimetro, tenerci bloccati qui, finché non arriveranno le truppedi terra.»

Abbassa lo sguardo, pensieroso. Si starà chiedendo cosa farebbe, se si trovassedall’altro lato della barricata. Se fosse lui il re, al posto di Maven. «Ci circonderanno eimporranno le loro condizioni: io e Mare in cambio della vostra salvezza.»

Un altro sacrificio. Inspiro lentamente. Stamattina, ieri, prima di tutta questa follia,sarei stata contenta di dare la mia vita solo per salvare Kilorn e mio fratello. Ma ora… sodi essere speciale. Ora ho altre persone da proteggere. Ora non possono perdermi.

«Non possiamo accettarlo» protesto. È la dura verità. Lo sguardo fisso di Kilorn mipesa addosso, ma non alzo gli occhi. Non potrei sostenere il suo giudizio.

Cal è meno perentorio. Eppure annuisce, d’accordo con me. «Il re non si aspetta che ciarrendiamo» commenta. «I jet ci faranno crollare addosso le rovine, mentre il restodell’esercito spazzerà via i sopravvissuti. In pratica, sarà un massacro.»

Farley è una persona orgogliosa, persino ora che si trova con le spalle al muro. «Quindicosa proponi?» domanda, mentre si china su di lui. Le sue parole trasudano disprezzo.«Una resa incondizionata?»

Scorgo una smorfia di disgusto sul viso di Cal. «Maven vi ucciderebbe comunque. Chesia dentro una prigione o sul campo di battaglia, non lascerà in vita nessuno di noi.»

«Allora tanto vale che moriamo combattendo.» La voce di Kilorn risuona più forte delprevisto, tuttavia gli tremano le mani. Come il resto dei ribelli, il mio amico è disposto a

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fare qualunque cosa per la causa, ma ha pur sempre paura. È ancora un ragazzo, haappena compiuto diciotto anni e ha così tante ragioni per vivere e così poche per morire.

Alla dichiarazione forzata e audace di Kilorn, Cal scoppia a ridere, eppure nonaggiunge altro. Sa bene che una descrizione più dettagliata della nostra morte imminentenon gioverebbe a nessuno.

Farley non condivide la sua opinione e li congeda entrambi con un cenno della mano.Dietro di me, mio fratello emana la sua stessa determinazione.

Sanno qualcosa che noi non sappiamo, qualcosa che non hanno intenzione di dirci, peril momento. Maven ci ha impartito una dura lezione sulla fiducia mal riposta.

«Non saremo noi a morire, oggi.» Farley non dice altro, prima di marciare in testa alconvoglio. I suoi passi risuonano come colpi di martello sul pavimento metallico etrasmettono una cocciuta risolutezza.

Prima ancora che accada, percepisco che il treno sta per rallentare. L’energia elettrica siaffievolisce fino a scomparire, mentre scivoliamo nella stazione sotterranea. Non so cosapotremmo scorgere nel cielo sopra di noi, se una nebbia bianca o i jet dalle ali arancioni.Gli altri non paiono troppo interessati, mentre scendono dal treno con decisione. Così insilenzio, gli uomini armati e mascherati della Guardia Scarlatta sembrano dei verisoldati, ma non mi lascio incantare: non possono competere con quello che li aspetta.

«Preparati» mi sussurra Cal all’orecchio, facendomi venire i brividi. Mi tornano inmente i bei tempi andati, quando ballavamo al chiaro di luna. «Ricordati quanto seiforte.»

Kilorn si fa largo con una spallata e mi viene accanto, per separarci prima che io possadire a Cal che la mia forza e la mia abilità sono le uniche cose di cui io sia sicura in questomomento. Non mi fido di nient’altro, al di là dell’energia elettrica che mi scorre nellevene.

Vorrei davvero credere alla Guardia Scarlatta e di certo anche a Shade e a Kilorn, manon posso concedermelo, non dopo i guai che la mia fiducia e la cecità nei confronti diMaven ci hanno causato. E Cal non è nemmeno da prendere in considerazione. È unprigioniero, un argenteo, il nemico che ci tradirebbe subito, se solo potesse… se avesseun altro posto in cui scappare.

Eppure, in qualche modo, mi sento attratta da lui. Il ragazzo benestante che mi haregalato una moneta d’argento quando non ero nulla. Con quel singolo gesto, hacambiato il mio futuro e ha distrutto il suo.

Tra l’altro, condividiamo un’alleanza disdicevole, sancita dal sangue e dal tradimento.Siamo legati, uniti contro Maven, contro tutti quelli che ci hanno ingannato e controquesto mondo che sta per sgretolarsi.

Il silenzio ci accoglie. Una nebbia umida e color cenere aleggia sulle rovine di Naerceye il cielo sembra così vicino da poterlo quasi toccare. Fa freddo per via del vento gelidotipico dell’autunno, stagione di cambiamento e di morte. Non c’è ancora nulla che abbiainvaso la volta celeste, nessun jet che faccia piovere distruzione su una città già distrutta.Farley si incammina a passo svelto e ci guida dai binari all’ampio viale abbandonato. Lemacerie si spalancano davanti a noi come un canyon, più grigie e desolate di quantoricordassi.

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Procediamo verso est, lungo la strada, in direzione della costa avvolta dalla foschia. Glialti edifici mezzo diroccati ci sovrastano e sembra che ci vengano addosso; le loro finestresono come occhi che ci osservano mentre passiamo. Chissà se gli argentei ci stannotendendo un’imboscata, nascosti nelle nicchie sgretolate e nelle ombre dei portici, prontia far fuori la Guardia Scarlatta. Maven potrebbe addirittura costringermi a guardarlomentre uccide i ribelli a uno a uno. Non mi concederebbe il lusso di una morte rapida eindolore. “O forse peggio” penso. “Non mi lascerebbe proprio morire.”

Quest’ipotesi mi fa gelare il sangue nelle vene, come se un agghiacciante mi avessesfiorato. Per quanto Maven mi abbia mentito, un pochino lo conosco. Ricordo quando miha afferrato attraverso le sbarre della prigione e gli tremava la mano mentre mi stringevail polso. E ricordo il nome che si porta dentro, quello che mi rammenta che in lui batteancora un cuore. Si chiamava Thomas e l’ho guardato morire. Non ha potuto salvare quelragazzo. Ma può salvare me, nel suo modo perverso.

No. Non gli darò mai una soddisfazione del genere. Preferisco morire anch’io,piuttosto.

Ma per quanto mi sforzi, non riesco a scordare l’ombra che credevo che fosse, ovvero ilprincipe smarrito e dimenticato da tutti. Come vorrei che quella persona fosse reale, cheesistesse davvero, non solo nella mia memoria. C’è una strana eco tra le rovine diNaercey, più silenziose del previsto. Quando ne capisco il motivo, resto di stucco. Iprofughi se ne sono andati. La donna che spazzava cumuli di cenere, i bambini che sinascondevano nei tombini, le ombre dei miei fratelli e sorelle rossi… sono tutti fuggiti.Non è rimasto nessuno, a parte noi.

«Pensa quello che vuoi di Farley, ma sappi che non è stupida» afferma Shade perrispondere alla mia domanda, prima ancora che io abbia modo di formularla. «Ha datol’ordine di evacuazione la scorsa notte, dopo essere scappata da Archeon. Era convintache tu o Maven avreste parlato sotto tortura.»

Si sbagliava. Non c’è stato bisogno di torturare Maven. Ha ceduto informazioni epensieri di sua spontanea volontà. Ha aperto la mente alla madre, permettendole disbirciare qualsiasi cosa: il treno sotterraneo, la città segreta, la lista. È tutto suo ora,proprio com’è sempre stato anche lui.

I soldati della Guardia Scarlatta, una marmaglia disordinata di uomini e donne armati,marciano in fila alle nostre spalle. Kilorn mi segue a ruota e si guarda intorno conespressione vigile, mentre Farley è a capo della fila. Subito dietro di lei, due soldatirobusti tengono Cal per le braccia, con fare nervoso, e lo costringono a stare al passo.Con le loro sciarpe rosse sembrano i personaggi di un incubo. Eppure siamosopravvissuti così in pochi; forse una trentina, tutti feriti.

«Anche se riuscissimo di nuovo a farla franca, non siamo abbastanza per portareavanti la rivolta» sussurro a mio fratello. La nebbiolina bassa attutisce il suono della miavoce, ma lui mi sente lo stesso.

Contrae le labbra in un sorrisetto stentato. «Tu non preoccuparti.»Prima che io possa insistere, il soldato davanti a noi si ferma di colpo. E non è l’unico.

In testa alla fila, Farley ha il pugno alzato e scruta il cielo grigio ardesia. Il resto delgruppo la imita e si guarda intorno, in cerca di ciò che non possiamo vedere. Solo Cal

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tiene gli occhi puntati a terra. Lui sa già che aspetto ha il nostro tragico destino.Un urlo distante e inumano fende la nebbia e giunge fino a noi. È un suono meccanico

e incessante che volteggia sulle nostre teste. Ed è in buona compagnia. Dodici ombre aforma di freccia squarciano il cielo e le loro ali arancioni serpeggiano dentro e fuori dallenuvole. Non ho mai visto un jet come si deve, non così da vicino e alla luce del giorno,per cui non posso fare a meno di spalancare la bocca, quando quei bolidi si fanno avanti.Farley abbaia ordini alle guardie, ma io non la sento. Sono troppo impegnata a guardarein alto e osservare la morte alata che si inarca sopra di noi. Sono veicoli affascinanti, comela supercycle di Cal, fatti di acciaio e vetro arcuati all’inverosimile. Scommetto che nellaloro realizzazione c’è lo zampino dei magnetron… Com’è possibile che il metallo voli,altrimenti? Le venature blu dei motori scintillano sotto le ali, segno dell’elettricità chesprigionano. Quell’energia mi provoca una fitta lievissima, come un soffio sulla pelle, masono troppo lontani perché io possa interferire con loro. Non mi resta altro da fare cheguardare, in preda all’orrore.

Stridono e volteggiano sull’isola di Naercey, senza mai interrompere il macabrogirotondo. Posso quasi fingere che siano innocui, semplici volatili curiosi, venuti asbirciare i resti di una rivolta ormai sedata. Poi un lampo di metallo grigio ci sfrecciasulla testa e lascia dietro di sé una scia di fumo, muovendosi così velocemente che èquasi impossibile vederlo. Si dirige in picchiata verso un edificio sul viale e scomparedentro una finestra rotta. Dopo una frazione di secondo, un’esplosione di rossi earancioni distrugge l’intero piano del palazzo, già piuttosto pericolante. I suoi pilastrimillenari si spezzano come stuzzicadenti e l’edificio implode su se stesso. Tutta lastruttura si inclina e viene giù così lentamente da rendere la scena irreale. Quando sisfracella al suolo, ostruendo la via davanti a noi, il frastuono mi rimbomba nel petto. Unanuvola di fumo e polvere ci arriva dritta addosso, ma non indietreggio. Ormai ci vuoleben altro per spaventarmi.

In quella foschia grigio-marrone, Cal resta in piedi insieme a me, mentre anche i suoigorilla si accovacciano. Per un attimo, incrociamo i nostri sguardi e lui incurva le spalle,abbattuto. È l’unico segno di sconfitta che si lascia sfuggire.

Farley afferra la guardia a lei più vicina e l’aiuta a rialzarsi. «Sparpagliatevi!» grida, eindica le viuzze laterali nei dintorni. «Andate a nord, verso i tunnel!» Mentre parla, facenno ai suoi luogotenenti e dice loro dove dirigersi. «Shade, verso il parco!» Mio fratellocapisce al volo ciò che intende e annuisce. Un altro missile si schianta contro unacostruzione poco distante e copre la voce di Farley, ma è facile intuire cosa stia strillando.

Scappate.Una parte di me vorrebbe tener duro, restare e combattere. Di certo, i miei fulmini

viola e bianchi distoglierebbero l’attenzione dei jet dalle guardie in fuga e l’attirerebberosu di me. Forse riuscirei a far allontanare addirittura un paio di aerei. Ma non posso. Iovalgo più di loro, più delle maschere e delle bandane rosse. Io e Shade dobbiamosopravvivere, se non per la causa, almeno per gli altri. Per le centinaia di persone comenoi contenute nella lista; ibridi, anomalie, scherzi della natura, assurdità rosse e argenteeche moriranno di certo, se noi falliamo.

Shade ne è consapevole tanto quanto me. Mi prende a braccetto e mi stringe così forte

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da farmi quasi male. È fin troppo facile correre insieme a lui e lasciarmi guidare lontanodall’ampio viale per poi finire in un groviglio verde-grigiastro di alberi incolti cheriversano le proprie fronde sulla strada. Più ci addentriamo in quella boscaglia, più i ramibitorzoluti si infittiscono e si protendono come dita deformi.

Un migliaio d’anni di incuria hanno trasformato questa piccola zona in una giunglamorta, che ci offre riparo, mentre i jet si avvicinano sempre di più e provano adaccerchiarci. Kilorn non resta mai troppo indietro. Per un attimo, posso quasi fingere diessere di nuovo a casa e di gironzolare insieme a lui per Palafitte, a caccia di guai edivertimento. Ma, a quanto pare, troviamo solo guai.

Quando Shade finalmente frena di colpo, tanto da lasciare un segno a terra con glistivali, mi azzardo a dare un’occhiata intorno. Kilorn si ferma subito accanto a noi, con ilfucile puntato inutilmente verso l’alto, ma nessuno ci ha seguito. Non riesco piùnemmeno a scorgere la strada né le bandane rosse delle guardie che si danno alla fugatra le macerie.

Mio fratello lancia uno sguardo torvo tra i rami spessi degli alberi e scruta il cielo nellasperanza che i jet volino via.

«Dove stiamo andando?» gli chiedo, senza fiato.Kilorn mi risponde al posto suo. «Al fiume. E poi verso l’oceano. Pensi di riuscire a

portarci?» Scruta le mani di Shade, quasi la sua abilità fosse esposta sulla pelle. Ma laforza di mio fratello è ben nascosta, proprio come la mia, invisibile finché lui non decidedi rivelarla.

Shade scuote la testa. «Non con un solo balzo, è troppo lontano. Preferisco correre erisparmiare le forze.» Poi si incupisce. «Finché non ne avremo davvero bisogno.»

Annuisco concorde. Ho sperimentato in prima persona cosa significhi avereprosciugato la propria energia, essere sfiniti dentro, a malapena capaci di muoversi,figuriamoci di combattere.

«Dove porteranno Cal?»La mia domanda mette Kilorn a disagio.«Cosa vuoi che me ne freghi?»«Be’, dovrebbe importarti, invece» ribatto stizzita, benché mi tremi la voce per

l’imbarazzo. No che non dovrebbe. E non dovrebbe importare neanche a te. Se il principe èandato, devi lasciarlo stare. «Può aiutarci a uscire da tutto questo. Può lottare con noi.»

«Fuggirà o ci ucciderà non appena gliene daremo occasione» sbotta lui bruscamente,togliendosi la sciarpa per mostrarmi l’espressione arrabbiata nascosta sotto la stoffa.

Nella mia testa, vedo il fuoco di Cal. Brucia tutto ciò che incontra sul suo cammino, dalmetallo alla carne. «Avrebbe già potuto uccidervi» gli rinfaccio. Non è un’esagerazione, eKilorn lo sa.

«Credevo che prima o poi voi due avreste smesso di bisticciare» interviene Shademettendosi tra noi. «Che sciocco sono stato.»

Kilorn si sforza e mi chiede scusa, a denti stretti, ma io non ricambio. Sono troppoconcentrata sui jet, mentre lascio che i loro cuori elettrici battano insieme al mio. Ilsegnale si indebolisce ogni secondo che passa, a mano a mano che volano via. «Si stannoallontanando. Se vogliamo andare, dobbiamo farlo ora.»

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Sia mio fratello sia Kilorn mi guardano straniti, ma non discutono. «Per di là!» esclamaShade e indica un punto in mezzo agli alberi. Uno stretto sentiero quasi invisibile sisnoda attraverso la vegetazione, dove la terra è stata spazzata via per rivelare la pietra el’asfalto sottostanti. Shade mi prende di nuovo a braccetto, mentre Kilorn scatta in avantie ci impone un ritmo sostenuto.

I rami ricurvi sul sentiero sempre più angusto continuano a graffiarci la pelle, finchénon diventa impossibile correre fianco a fianco. Ma, invece di lasciarmi andare, Shade mitiene ancora più stretta. Poi mi rendo conto che non è lui a serrarmi. È l’aria, il mondo.Ogni singola cosa si comprime in un violento attimo di oscurità. Dopodiché, in un batterd’occhio, ci ritroviamo dall’altro lato della boscaglia e ci guardiamo alle spalle per vedereKilorn che emerge dalla selva bigia.

«Ma era davanti a noi un attimo fa» borbotto continuando a spostare lo sguardo traShade e il sentiero. Ci dirigiamo verso il centro della strada, mentre il cielo e il fumoaleggiano su di noi. «Hai…»

Shade sfoggia un sorriso a trentadue denti, il che risulta fuori luogo, visto il ruggitodei jet in sottofondo. «Diciamo che… ho fatto un salto. Se ti tieni stretta a me, possiamosaltare insieme» mi spiega, per poi esortarci a imboccare alla svelta un altro vicolo.

Mi batte forte il cuore all’idea di essermi appena teletrasportata, al punto che riescoquasi a scordarmi il frangente in cui ci troviamo.

Ma i jet fanno presto a rammentarmelo. Un altro missile esplode verso nord e facrollare un edificio con il boato di un terremoto. La polvere si riversa nel vicolo simile aun’onda e ci passa sopra un’altra mano di grigio. Il fumo e le fiamme mi sono talmentefamiliari, ormai, che quasi non li noto, anche quando la cenere comincia a cadere comeneve. Lasciamo le nostre impronte su quel tappeto funereo; può darsi che siano gli ultimisegni che resteranno di noi.

Shade sa dove andare e corre veloce. Kilorn non ha problemi a stargli dietro,nonostante il peso del fucile. Ormai abbiamo fatto il giro dell’isola e siamo tornati sulviale principale. A est, un raggio di luce fa capolino tra il fango e la polvere e porta con séuna boccata d’aria salmastra. A ovest, l’edificio crollato per primo sembra un gigantedefunto e blocca ogni via di fuga verso il treno. Siamo circondati da vetri rotti, carcasse dimetallo e strane lastre di un bianco sbiadito: un tempio di macerie.

“Che luogo sarà mai stato?” mi chiedo confusa. “Julian me lo saprebbe dire.” Fa maleanche solo pensare il suo nome, così reprimo subito il ricordo.

Qualche altra bandana rossa mi sfreccia davanti nell’aria livida e cerco una figurafamiliare. Ma non vedo Cal da nessuna parte, sono terrorizzata.

«Non me ne vado senza di lui.»Shade non ha bisogno di chiedere a chi mi riferisca. Lo sa già.«Il principe verrà con noi. Hai la mia parola.»La mia risposta mi lacera dentro: «Non ti credo».Shade è un soldato. Non ha avuto certo una vita facile e non è estraneo al dolore.

Eppure, la mia affermazione lo ferisce profondamente. Glielo leggo negli occhi.“Dopo gli chiederò scusa” dico a me stessa.Sempre se ci sarà un dopo.

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Un altro missile ci sorvola e va a finire qualche strada più in là. Il fragoredell’esplosione in lontananza non copre il rumore penetrante e spaventoso che si levaintorno a noi.

È il passo cadenzato di migliaia di soldati in marcia.

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2

L’aria si addensa e un manto di cenere ricopre ogni cosa, facendoci guadagnare qualchesecondo per scrutare il tragico destino che ci attende. Le sagome dei soldati avanzanolungo strade provenienti da nord. Non riesco ancora a scorgere le loro pistole, ma unesercito di argentei non ha bisogno di armi per uccidere.

Alcuni uomini della Guardia fuggono davanti ai nostri occhi e corrono a perdifiatolungo il viale. A prima vista, sembra che possano farcela a scappare, ma dove? Più in là, cisono soltanto il fiume e il mare. Non abbiamo dove andare né un posto in cuinasconderci. L’esercito procede lentamente e marcia in modo strano, con passostrascicato. Strizzo gli occhi per cercare di intravedere i soldati tra la polvere. Solo allorami rendo conto di cosa si tratti e di cosa Maven abbia fatto. Lo sgomento innesca in meuna scarica di scintille che mi attraversa il corpo e costringe Shade e Kilorn aindietreggiare di colpo.

«Mare!» esclama Shade, a metà tra lo stupito e l’arrabbiato. Kilorn non dice nulla e miosserva vacillare sul posto.

Lo afferro per il braccio e lui non fa una piega. Le scintille sono già svanite… Sa beneche non gli farei mai del male. «Guarda» gli dico, indicando davanti a noi.

Sapevamo che sarebbero arrivati anche i soldati. Cal ce l’aveva detto, ci aveva avvertitiche Maven avrebbe inviato una legione al seguito dei jet. Ma nemmeno Cal avrebbepotuto prevedere una cosa del genere. Solo una mente malata come quella di Mavenpoteva escogitare una tale mostruosità.

Le sagome in prima linea non indossano le uniformi grigio opaco dei soldati argenteiben addestrati di Cal. Anzi, quelli che ci vengono incontro non sono nemmeno soldati:sono servitori con addosso giubbe, mantelle, tuniche, pantaloni e scarpe rossi. Sono cosìrossi che sembrano insanguinati. Come se non bastasse, avverto il tintinnio delle catenedi ferro, legate ai loro piedi, che raschiano per terra. Quel suono mi graffia dentro esovrasta il rumore dei jet, dei missili e persino dei duri ordini impartiti dagli ufficialiargentei, nascosti dietro la barriera di uomini rossi. Non sento altro che le catene.

Kilorn è furibondo e comincia a ringhiare. Fa un passo avanti e solleva il fucile, prontoa sparare, ma gli tremano le mani. L’esercito è dall’altra parte del viale; anche senzaquello scudo umano, sarebbe comunque un bersaglio troppo difficile persino per untiratore esperto. Per cui ora è più che impossibile.

«Dobbiamo darci una mossa» mormora Shade. La rabbia divampa nei suoi occhi, masa cosa bisogna fare, cosa bisogna ignorare, pur di sopravvivere. «Kilorn, vieni subito connoi o ti lasciamo qui.»

Le parole di mio fratello mi colpiscono e mi risvegliano dallo stato di shock in cui sonopiombata. Nel vedere Kilorn che non si muove, lo afferro per il braccio e gli sussurro

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all’orecchio, sperando di sovrastare il rumore delle catene: «Kilorn». È il tono di voce cheusavo con la mamma quando i miei fratelli partivano per la guerra, quando mio padreaveva una delle sue crisi respiratorie, quando tutto andava a rotoli. «Kilorn, non possiamofare niente per aiutarli.»

«Non è vero» sibila lui a denti stretti e lancia un’occhiata alle sue spalle, verso di me.«Devi fare qualcosa. Tu puoi salvarli…»

Con grande vergogna, scuoto la testa. «No che non posso.»Così, riprendiamo a correre e Kilorn ci segue.Degli altri missili esplodono, sempre più frequenti e vicini. Mi fischiano le orecchie e

faccio fatica a sentire. Acciaio e vetro oscillano come canne al vento, si piegano fino aspezzarsi e una pioggia argentata e tagliente ci ricade addosso. Ben presto correrediventa troppo pericoloso e Shade stringe la presa su di me. Poi afferra anche Kilorn esaltiamo tutti e tre insieme, mentre il mondo implode intorno a noi. Ogni volta chel’oscurità ci inghiotte, mi si contorce lo stomaco e, ogni volta, la città in frantumi si fasempre più vicina. Cenere e calcinacci ci offuscano la vista e ci impediscono di respirare.I vetri si infrangono in una tempesta luminosa, mi graffiano il viso e le mani, e lacerano ivestiti. Kilorn sembra messo peggio di me, le bende sporche di sangue fresco, eppurenon si ferma, benché stia ben attento a non seminarci. Mio fratello non allenta mai lapresa, ma comincia a stancarsi e a ogni salto è sempre più pallido. Anch’io mi do da faree uso i fulmini per deviare le schegge affilate dei proiettili che nemmeno Shade riesce aschivare con i suoi balzi. Ma le nostre abilità non bastano, neanche per salvare noi stessi.

«Quanto manca?» La mia voce suona flebile, sovrastata dall’impeto della battaglia. Inquell’alone confuso sono in grado di vedere più in là di qualche metro. Ma posso ancorasentire. E quello che sento sono ali, motori ed energia elettrica che imperversano su dinoi e si avvicinano sempre più. Siamo come topolini in attesa che i falchi ci agguantinodall’alto e ci sollevino da terra.

Shade ci fa fermare di colpo e si guarda intorno con i suoi occhi color miele. Per unattimo di puro terrore, temo si sia perso. «Aspettate!» esclama; sa qualcosa che noi nonsappiamo.

Poi alza lo sguardo e osserva lo scheletro di quella che un tempo doveva essere unastruttura imponente. È enorme, più alta della Casa del Sole e più ampia di piazza Caesar,ad Archeon. Un brivido mi percorre la schiena, quando realizzo che si sta muovendo.Oscilla avanti e indietro, da un lato all’altro, su sostegni che si contorcono, usurati dasecoli di incuria. Mentre stiamo a guardare, l’edificio comincia a inclinarsi, dapprima arilento, come un vecchio signore che si accomoda in poltrona. Poi si accascia sempre piùvelocemente e si abbatte su di noi e su tutto ciò che ci circonda.

«Stringetevi a me» grida Shade nel frastuono e serra bene la presa su entrambi. Micinge il braccio intorno alle spalle e mi stritola fin troppo forte. Mi preparo allasgradevole sensazione del salto, ma in realtà non arriva mai. Al contrario, mi accoglie unsuono molto più familiare.

Un colpo d’arma da fuoco.Stavolta non è l’abilità di Shade a salvarmi la vita, ma la sua carne. Un proiettile

indirizzato a me lo colpisce nella parte superiore del braccio, mentre un’altra raffica di

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spari lo ferisce alla gamba. Lui lancia un ruggito di dolore e per poco non piomba a terra,sul suolo arido. Accuso il colpo attraverso di lui, ma non ho il tempo di provaresofferenza. Altre pallottole fendono l’aria, troppo veloci e numerose per restare acombattere. Possiamo soltanto correre e scappare, sia dall’edificio che crolla o siadall’esercito che avanza. Il primo offusca il secondo, quando il metallo contorto sischianta tra noi e la legione. O, almeno, è quello che dovrebbe succedere. La forza digravità e le fiamme fanno precipitare la struttura, ma il potere dei magnetron leimpedisce di servirci da scudo. Mi volto e li vedo, con i loro capelli argentati e le armaturenere; saranno circa una dozzina e scaraventano via ogni trave e supporto metallico incaduta libera. Non sono abbastanza vicina da distinguerne i volti, ma non ho alcunproblema a riconoscere il casato Samos. Evangeline e Ptolemus guidano la loro famiglia eripuliscono la strada, in modo che la legione possa avanzare più spedita, per poi portare atermine quello che hanno iniziato e ammazzarci tutti.

Se solo Cal avesse ucciso Ptolemus nell’arena. Se solo io avessi riservato a Evangelinela stessa cortesia che lei ha avuto nei miei confronti, ora avremmo almeno una chance.Ma la nostra indulgenza ha un prezzo: le nostre vite.

Mi tengo stretta a mio fratello e lo sostengo come meglio posso, però è Kilorn a fare ilgrosso dello sforzo per sorreggerlo e lo trascina verso il cratere ancora fumante lasciatoda uno dei missili. Ci precipitiamo ben volentieri in quella conca che ci offre riparo dallaraffica di proiettili. Ma non troppo. E non per molto.

Kilorn ha il fiato corto e la fronte imperlata di sudore. Si strappa la manica dellacamicia e ne ricava una benda per fasciare la gamba di Shade. Il sangue la macchiarapidamente. «Riesci a saltare?»

Mio fratello si concentra, non per misurare il dolore, ma la propria forza. Lo capiscobene. Scuote lentamente la testa e si rabbuia. «Per ora no.»

Kilorn impreca sottovoce. «E adesso che facciamo?»Mi ci vuole un attimo per rendermi conto che sta chiedendo a me e non a Shade,

ovvero il soldato che conosce la guerra meglio di me e Kilorn messi insieme. Anche se, adire il vero, non sta chiedendo neppure alla Mare Barrow di Palafitte, la ladruncola,nonché sua amica. In questo momento, Kilorn si rivolge a un’altra persona, a colei chesono diventata tra le mura di un palazzo e sulla sabbia di un’arena.

Sta chiedendo alla sparafulmini.«Che facciamo, Mare?»«Mi lasciate qui, ecco cosa fate!» ringhia Shade a denti stretti, prima che io possa

rispondere. «Correte al fiume e trovate Farley. Io vi raggiungo con un balzo appenaposso.»

«Non mentire a una bugiarda» ribatto, mentre cerco con tutte le forze di non tremare.Ho appena ritrovato mio fratello, un fantasma di nuovo in vita. Non lo lascerò svanireancora, per nulla al mondo. «Ce ne andremo via di qui insieme. Tutti quanti.»

La marcia dei legionari fa vibrare il terreno. Mi basta lanciare un’occhiata oltre il bordodel cratere per capire che sono a meno di cento metri di distanza, e avanzano veloci.Riesco a scorgere qualche argenteo attraverso gli spazi lasciati nelle file dei rossi. I fantiindossano le uniformi grigio opaco dell’esercito, ma alcuni hanno armature decorate con

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colori familiari. Sono i guerrieri dei Gran casati. Vedo sprazzi di blu, giallo, nero, marronee molto altro. Acquatici, telecinetici, setosi e fortibraccia, i combattenti più valorosi chegli argentei ci possano scagliare contro. Credono che Cal abbia assassinato il re, che io siauna terrorista e metteranno a ferro e fuoco la città, pur di annientarci.

Cal.Le ferite di mio fratello e il respiro affannato di Kilorn sono l’unica cosa che mi

trattenga dallo schizzar fuori dal cratere. Devo trovarlo. Devo. Se non per me stessa,almeno per la causa, per proteggere la ritirata. Lui vale quanto un centinaio di soldatiesperti. È uno scudo prezioso. Ma è probabile che se ne sia già andato, che sia fuggito,dopo aver sciolto le manette, approfittando dell’attimo in cui la città ha cominciato asgretolarsi.

No, lui non scapperebbe. Non scapperebbe mai da quell’esercito, da Maven o da me.Spero di non sbagliarmi.Spero che non sia già morto.«Kilorn, fallo alzare.» Nella Casa del Sole, l’ormai defunta lady Blonos mi ha insegnato

a parlare come una vera principessa. Quella che mi esce, infatti, è una voce fredda eirremovibile, che non lascia spazio al dialogo.

Kilorn obbedisce, mentre Shade trova addirittura la forza di protestare. «Io vi rallentoe basta.»

«Potrai chiederci scusa più tardi» ribatto, mentre lo aiuto a tirarsi su. Ma presto amalapena attenzione a quei due, perché ho la testa altrove. «Muovetevi.»

«Mare, se credi che ti lasceremo…»Quando mi volto verso Kilorn, ho le scintille tra le dita e gli occhi pieni di

determinazione. Le parole gli si smorzano in gola. Lancia un’occhiata alle mie spalle eguarda l’esercito, che si fa sempre più vicino, ogni secondo che passa. Telecinetici emagnetron rimuovono i detriti dalla strada, aprendosi un varco tra le macerie, e si sente ilfrastuono del metallo che gratta sulla pietra.

«Scappate.»Ancora una volta, Kilorn obbedisce e Shade non può fare altro che arrancargli dietro,

lasciandomi lì. Mentre si inerpicano per uscire dal cratere, verso ovest, io muovo qualchecauto passo a est. L’esercito si fermerà per contrastarmi. Deve.

Dopo un attimo di puro terrore, i rossi rallentano e le catene tintinnano, quando siarrestano del tutto. Alle loro spalle, gli argentei si sistemano i fucili neri sugli omeri,come se niente fosse. I veicoli militari, grossi mezzi dalle ruote cingolate, inchiodano dicolpo dietro la schiera di soldati. Riesco a percepire il potere di quei bestioni che mipulsa nelle vene.

Ora l’esercito è talmente vicino che sento addirittura gli ufficiali, intenti ad abbaiareordini. «La sparafulmini!» «Mantenete le posizioni, restate fermi!» «Puntate!» «Nonaprite il fuoco!»

Come se non bastasse, una voce familiare, piena d’odio e rabbia, risuona per la strada,sprofondata all’improvviso nel silenzio.

«Fate largo al re!» grida Ptolemus.Indietreggio inorridita. Mi aspettavo l’esercito di Maven, ma non lui in persona. A

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differenza di suo fratello, non è un soldato e non è compito suo guidare le forze armate.Eppure eccolo lì, mentre avanza altezzoso fra le truppe che si separano al suo passaggio,seguito a ruota da Ptolemus ed Evangeline. Quando Maven spunta fuori dalla fila disoldati rossi, per poco non mi cedono le gambe. Indossa un’armatura nera lucida, con unmantello cremisi. Non so come sia possibile, eppure sembra più alto di stamattina.Benché non abbia il minimo senso portarla sul campo di battaglia, ha ancora in testa lacorona fiammeggiante del padre. Immagino che voglia mostrare al mondo quello che haottenuto con le sue menzogne, il gran trofeo che ha rubato. Persino dalla distanza a cuimi trovo, riesco a percepire il calore del suo sguardo truce, la rabbia che gli cova dentro eche mi brucia le viscere.

Il sibilo dei jet sulle nostre teste è l’unico suono che si senta.«Vedo che sei sempre la solita coraggiosa» commenta Maven; la sua voce risuona

lungo il viale e rimbomba tra le rovine, mentre mi deride. «E incosciente.»Proprio come nell’arena, non gli darò la soddisfazione di vedermi furibonda e

spaventata.«Dovrebbero chiamarti “piccola sparanullità”, invece che sparafulmini.» Scoppia in

una fredda risata e i suoi soldati si mettono a ridere insieme a lui. I rossi restano insilenzio, con gli occhi fissi a terra. Non vogliono guardare quello che sta per succedere.«Be’, sparanullità, di’ a quei vermi dei tuoi amici che è finita. Sono circondati. Falli uscireallo scoperto e concederò loro una morte rapida e dignitosa.»

Anche se potessi dare un ordine del genere, non lo farei mai. «Sono già scappati.»Non si mente a un bugiardo; tra l’altro, Maven è il più grande bugiardo che esista.Eppure, sembra titubante. La Guardia Scarlatta è già sfuggita così tante volte, in

piazza Caesar, ad Archeon. Può darsi che riesca a scappare persino stavolta. Che smaccosarebbe! Che inizio disastroso per il suo regno…

«E il traditore?» La sua voce si fa tagliente ed Evangeline gli si avvicina. I capelliargentati della magnetron scintillano come la lama di un rasoio, più lucenti della suaarmatura dorata. Ma lui la scansa e la scaccia via, come farebbe un gatto con un giochino.«Che ne è stato del mio miserabile fratellino, il principe decaduto?»

La sua domanda resta senza risposta, perché non ne ho alcuna.Maven scoppia in un’altra sonora risata, che stavolta mi trafigge il cuore. «Ha

abbandonato anche te? È scappato via? Quel vigliacco uccide nostro padre e cerca dirubarmi il trono, per poi darsela a gambe e correre a nascondersi?» domanda stizzito,inscenando una pantomima per i nobili e i suoi soldati. Ai loro occhi deve ancorasembrare il figlio sventurato, il re destinato a restare senza corona, che vuole sologiustizia per i defunti.

Alzo la testa con aria di sfida. «Credi davvero che Cal farebbe una cosa del genere?»Maven non è certo uno sprovveduto. È perfido, ma non è stupido, e conosce suo

fratello meglio di chiunque altro. Cal non è un vigliacco e non lo sarà mai. Mentire ai suoisudditi non cambierà questo dato di fatto. Lo sguardo di Maven tradisce i suoi pensieri,mentre sbircia i vicoli e le stradine secondarie che si dipartono dal viale distrutto dagliscontri. Cal potrebbe essere nascosto ovunque, pronto a colpire. Io potrei addiritturacostituire una trappola, un’esca per far uscire allo scoperto quel viscido che un tempo

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consideravo il mio promesso sposo, nonché mio amico. Quando Maven si volta, la coronagli scivola di lato sulla testa, perché gli è troppo grande. Persino il metallo sa che non gliappartiene. «Sei rimasta sola, Mare.» Parla a bassa voce. Nonostante tutto quello che hacombinato, sentirgli dire il mio nome mi fa venire i brividi, se ripenso ai giorni passati.Un tempo lo pronunciava con garbo e con affetto. Ora suona più come un’imprecazione.«I tuoi amici se ne sono andati. Avete perso. E tu non sei altro che un’anomalia, l’unicoesemplare della tua misera specie. Farti sparire dalla faccia della terra sarà un atto dimisericordia.»

Sono tutte bugie, e lo sappiamo entrambi. Imito la sua fredda risata. Per un attimo,sembriamo di nuovo amici, ma non c’è niente di più lontano dalla verità.

Un jet sfreccia sulle nostre teste e per poco non sfiora con le ali la punta di un rudere aqualche metro da noi. Ci passa così vicino. Troppo vicino. Riesco a percepire il suo cuoreelettrico, il ronzio dei motori che in qualche modo lo mantengono in quota. Cerco diafferrarlo come meglio posso, l’ho già fatto tante altre volte da quando sono diventata lasparafulmini, così come con le luci, le telecamere e ogni altro cavo elettrico o circuito. Loraggiungo… e lo spengo.

Il jet plana per un attimo sulle ali pesanti, poi si tuffa in picchiata. La traiettoriaoriginaria lo avrebbe portato a sorvolare il viale, in alto sopra la legione, per proteggere ilre. Ora si precipita con il muso all’ingiù verso di loro, supera la prima linea di soldatirossi e si schianta su centinaia di argentei. I magnetron e i telecinetici dei casati Samos eProvos non hanno i riflessi abbastanza pronti da riuscire a fermare il velivolo mentrescivola lungo la strada come un aratro, mandando all’aria asfalto e corpi. Il boato tonantedell’esplosione che segue per poco non mi fa cadere e mi sbalza via. Lo scoppio èassordante, disorienta e provoca dolore. “Non c’è tempo per il dolore” ripeto a me stessa.Non mi volto nemmeno a osservare lo scompiglio che si è creato tra le file dell’esercito diMaven. Mi do subito alla fuga e i fulmini sono con me.

Le scariche bianche e viola mi coprono le spalle e mi proteggono dai lestopassi checercano di raggiungermi e atterrarmi. Alcuni di loro entrano in contatto con il mio scudodi fulmini, nel tentativo di sfondarlo, e vengono ridotti a cumuli di carne affumicata eossa contratte. Sono grata di non riuscire a scorgere i loro visi in quel frangente,altrimenti finirei per sognarmeli la notte. Poi è la volta dei proiettili, ma il mio procederea zigzag mi rende un bersaglio difficile. I pochi colpi che arrivano a segno sfrigolano e sidisintegrano contro lo scudo, come sarebbe dovuto succedere al mio corpo, quando sonocaduta nella rete di fulmini, durante il Torneo delle regine. Sembra passato così tantotempo da allora. Sopra di noi si sente di nuovo l’urlo stridulo dei jet, che stavoltamantengono le dovute distanze. I loro missili, però, non sono altrettanto garbati.

Le rovine di Naercey sono rimaste in piedi per migliaia di anni, ma nonsopravvivranno a questa giornata. Gli edifici e le strade si sbriciolano, polverizzati dalpotere e dai missili argentei. Tutti danno libero sfogo ai propri istinti. I magnetronpiegano e spezzano travi d’acciaio, mentre i telecinetici e i fortibraccia scagliano macerienel cielo livido. L’acqua trasuda dalle tubature, mentre gli acquatici tentano di allagare lacittà, per snidare le ultime guardie che potrebbero nascondersi nei tunnel sotto di noi.L’aria soffia violenta come un uragano, per opera dei tessivento tra le file dell’esercito. Le

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folate umide e i detriti mi fanno bruciare gli occhi e le raffiche di vento forte sono quasiaccecanti. Le esplosioni causate dagli azzeratori fanno tremare la terra e io inciampoconfusa. Sfrego il viso sull’asfalto, dove lascio una scia di sangue. Quando mi rialzo,l’urlo assordante di un banshee mi scaraventa di nuovo al suolo e mi costringe a coprirmile orecchie. Dell’altro sangue mi cola denso e copioso tra le dita. Ma la creatura che mi haatterrato, senza farlo apposta, mi ha salvato la vita. Mentre cado, infatti, un missile misfreccia sopra la testa ed esplode, talmente vicino che avverto addirittura lo spostamentod’aria.

Un’ondata di calore mi travolge, nonostante lo scudo di fulmini tirato su alla svelta, emi domando confusamente se morirò senza sopracciglia. E tuttavia, invece di finirecarbonizzata, il calore resta costante, fastidioso ma non insopportabile. Delle mani forti edecise mi fanno alzare in piedi e intravedo una ciocca di capelli biondi brillare alla lucedel fuoco. Riesco a malapena a distinguere il suo volto, in quella violenta tempesta divento. Farley. È disarmata, i suoi vestiti sono logori e le tremano i muscoli per lo sforzo,ma continua a sorreggermi.

Alle sue spalle, una sagoma scura, alta e familiare si staglia sullo sfondodell’esplosione e tiene a bada le fiamme, con il braccio teso. Le manette non ci sono più,le ha sciolte o gettate via. Non appena si volta, le lingue di fuoco si innalzano a lambire ilcielo e la strada distrutta, ma non si avventano mai su di noi. Cal sa bene cosa sta facendoe orienta la tempesta di fiamme in modo che ci giri intorno, simile all’acqua che circondauna roccia. Proprio come nell’arena, erige un muro ardente che attraversa il viale e ciprotegge dal fratello e dalla legione alle spalle di Maven. Stavolta, però, l’incendio di Calè ancora più forte, alimentato dall’ossigeno e dalla rabbia. Si libra nell’aria, così roventeche alla base è di un blu quasi spettrale.

Altri missili ci piombano addosso, ma Cal riesce ancora una volta ad arginare il loropotere distruttivo e a sfruttarlo per accrescere il proprio. È affascinante osservarlo mentrepiega e ruota le braccia, continuando a trasformare la distruzione in difesa.

Farley cerca di trascinarmi via e mi sovrasta con la sua forza. Mentre le fiamme cidifendono, mi volto a guardare il fiume, a un centinaio di metri di distanza. Riescoaddirittura a scorgere le goffe sagome di Kilorn e mio fratello, che si dirigono barcollantiverso la presunta salvezza.

«Forza, Mare, andiamo» mi incita Farley, mentre strattona il mio corpo logoro edesausto.

Per un attimo, mi lascio trainare. Pensare è troppo doloroso. Ma mi basta un’occhiataper capire cosa sta facendo e cosa sta cercando di costringermi a fare.

«Non me ne vado senza di lui!» grido per la seconda volta nella giornata.«Mi sembra che se la cavi benissimo da solo» commenta Farley, mentre i suoi occhi

azzurri riflettono il bagliore delle fiamme.Un tempo la pensavo come lei. Credevo che gli argentei fossero invincibili, déi scesi in

terra, troppo potenti per essere sconfitti. Ma solo stamattina ne ho uccisi tre: Arven, ilfortebraccio del casato Rhambos, e lord Osanos, l’acquatico. E forse anche degli altri,morti nella tempesta di fulmini. A dirla tutta, per poco non ci abbiamo lasciato le penneanche io e Cal. Ci siamo dovuti proteggere a vicenda nell’arena. E dobbiamo fare lo stesso

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anche ora.Farley è più grande di me, più alta e più forte, ma io sono più agile, benché

scombussolata e ora mezza sorda. Di conseguenza, basta un rapido movimento delpiede, una bella spinta al momento giusto e lei inciampa all’indietro e mi lascia andare.Io mi giro di scatto, con i palmi rivolti in avanti, e vado in cerca di quello di cui hobisogno. A Naercey c’è molta meno corrente elettrica che ad Archeon o addirittura aPalafitte, ma ormai non ho più bisogno di prelevare energia da qualcos’altro. Sono iostessa a produrla.

La prima ondata che gli acquatici ci scagliano addosso travolge la parete di fiammecon la forza di uno tsunami. La maggior parte dell’acqua evapora all’istante, ma il resto siabbatte sul nostro muro protettivo e spegne le grandi lingue di fuoco. Io rispondoall’attacco con una scarica elettrica e prendo di mira le onde che si increspano e siinfrangono a mezz’aria. Oltre i flutti, la legione argentea continua a marciare minacciosaverso di noi. Per lo meno, i rossi in catene sono stati mandati nelle retrovie. C’è lozampino di Maven, ne sono sicura: non vuole rischiare che lo rallentino.

Così, i suoi soldati si ritrovano ad affrontare i miei fulmini, mentre anche il fuoco diCal nel frattempo si rianima.

«Indietreggia lentamente.» Cal mi dà istruzioni e mi fa dei cenni con la mano aperta.Io seguo i suoi passi prudenti, stando ben attenta a non distogliere lo sguardo dal tragicodestino che incombe su di noi. Ci alterniamo e ci guardiamo le spalle a vicenda, durantela ritirata. Quando le sue fiamme si affievoliscono, subentrano i miei fulmini, e così via.Insieme, abbiamo una chance.

Lui mi impartisce piccoli ordini a bassa voce: quando intervenire, quando innalzare unmuro e quando farlo svanire. Non l’ho mai visto così esausto, con le vene scure ches’intravedono sotto la pelle pallida e le occhiaie che gli scavano il viso. E pensare chedevo avere un aspetto addirittura peggiore. Tuttavia, la sua tecnica di combattimento ciimpedisce di cedere del tutto e ci permette di recuperare a mano a mano le forze, proprioquando ne abbiamo più bisogno.

«Manca poco, ci siete quasi» grida Farley alle nostre spalle. Non è ancora scappata. Èrimasta con noi, benché sia soltanto umana. È più coraggiosa di quanto pensassi.

«Manca poco a cosa?» domando a denti stretti, mentre imbastisco un’altra rete dielettricità. Nonostante i comandi di Cal, sono sempre più lenta; un macigno attraversa ilmio scudo protettivo e atterra a qualche metro da noi, frantumandosi. Non abbiamo piùmolto tempo.

Ma neanche Maven, se è per questo.Ormai avverto la vicinanza del fiume e dell’oceano alla fine di quello. L’acqua

pungente e salmastra ci attira a sé, ma a che scopo non ne ho idea. So solo che Farley eShade sono convinti che ci salverà dalle grinfie di Maven. Lancio un’occhiata alle miespalle, ma non vedo altro che il viale, che finisce in un vicolo cieco sulla riva del fiume.Farley è lì in piedi, in attesa; il vento caldo le scompiglia i capelli corti. “Salta” mima conle labbra, prima di tuffarsi dal ciglio della strada dissestata.

Che cosa le è passato per la mente, per buttarsi così nel vuoto?«Vuole che saltiamo» dico a Cal, voltandomi appena in tempo per intervenire e

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rafforzare la parete protettiva.Lui sbuffa in segno di assenso, troppo concentrato per proferire parola. Come i miei

fulmini, anche le sue fiamme si indeboliscono e si assottigliano sempre più. Ormairiusciamo quasi a scorgere i soldati dietro il nostro muro difensivo. Le lingue di fuocotremolanti ne deformano le sembianze e mutano i loro occhi in tizzoni ardenti, le bocchein fauci sogghignanti e gli uomini in demoni.

Uno di loro si avvicina alla parete fiammeggiante quel tanto che basta per scottarsi.Eppure non si brucia. Al contrario, scosta le lingue di fuoco come fossero tende.

C’è solo una persona in grado di fare una cosa del genere.Maven si scrolla le braci dal ridicolo mantello, lasciando che la seta si bruci, mentre la

corazza non si scalfisce. Ha pure la faccia tosta di sorridere.Non so dove Cal trovi la forza di girarsi dall’altra parte. Invece di fare a pezzi Maven a

mani nude, mi afferra per il polso in una presa ustionante e ci buttiamo insieme, senzapreoccuparci di coprirci le spalle. Maven non può competere con nessuno dei due, e lo sabene. Così, per tutta risposta, si mette a urlare. Nonostante la corona e il sangue di cui siè macchiato le mani, è ancora così giovane.

«Scappa, assassino! Scappa, sparafulmini! Fuggite in fretta e andate lontano!» La suafredda risata rimbomba tra le rovine pericolanti della città e mi terrorizza. «Tanto vitroverò ovunque!»

Mi accorgo a malapena del fulmine che si affievolisce mentre mi allontano. Anche ilfuoco di Cal si estingue e ci lascia alla mercé della legione. Ma ormai ci siamo già buttatidi sotto, verso il fiume.

Quando atterriamo, non si sente alcuno splash, bensì un sonoro tonfo metallico. Milascio rotolare per non fracassarmi le caviglie, ma un dolore sordo e lancinante mipervade comunque le ossa. Cosa…? Farley è lì che ci attende, immersa fino alle ginocchianell’acqua fredda del fiume, accanto a un tubo metallico aperto in cima. Senza dire unasola parola, si arrampica e scompare dentro l’apertura di qualsiasi cosa giaccia sotto dinoi. Non c’è tempo per discutere o chiedere spiegazioni, per cui la seguiamo e basta.

Per fortuna, Cal ha il buonsenso di richiudere il cilindro alle proprie spalle, lasciandofuori il fiume e la guerra che impazza sopra di noi. Il coperchio si sigilla ermeticamentecon un sibilo, come una specie di tappo a tenuta stagna. Eppure, non può proteggerci alungo, non contro la legione, almeno.

«Siamo di nuovo nei tunnel?» domando con il fiatone, rivolta a Farley.Ho la vista annebbiata dallo sforzo e sento il bisogno di appoggiarmi al muro; mi

tremano le gambe.Come ha fatto prima per strada, Farley mi mette un braccio sotto la spalla e mi

sorregge. «No, non siamo in un tunnel» risponde con un sorrisetto enigmatico.Poi lo sento. È come il ronzio di una batteria, solo più grande. Più forte. Percepisco la

sua energia che pulsa intorno a noi, lungo lo strano corridoio costellato di bottonilampeggianti e tenui luci gialle. In quel cunicolo, intravedo i guizzi rossi delle sciarpe checoprono i volti dei membri della Guardia. Appaiono confusi, come ombre color cremisi.Con un lamento, l’intera struttura comincia a vibrare e a scendere verso il basso.Nell’acqua.

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«Un’imbarcazione. Un’imbarcazione sottomarina» osserva Cal. La sua voce è distante,debole e incerta. Proprio come mi sento io.

Nessuno dei due riesce a muovere più di qualche passo, prima di accasciarsi contro lepareti inclinate.

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3

Nei giorni scorsi, mi sono svegliata prima nella cella di una prigione e poi su un treno.Ora mi trovo in un sottomarino. Dove mi sveglierò domani?

Comincio a pensare che sia tutto un sogno, un’allucinazione, o forse peggio. Ma siavverte la stanchezza, nei sogni? Perché io la sento, eccome. Sono sfinita, ho i muscoliindolenziti e i nervi logorati. Per non parlare del mio cuore, che è a pezzi, ferito dalladelusione e dal senso di fallimento ancora freschi. Quando apro gli occhi e mi trovodavanti delle pareti grigie e anguste, tutto ciò che vorrei scordare torna a darmi iltormento. È come se la regina Elara si fosse intrufolata di nuovo nella mia mente e micostringesse a rivivere i miei ricordi peggiori. Per quanto mi sforzi, non riesco atogliermeli dalla testa.

Le mie domestiche taciturne sono state giustiziate, colpevoli soltanto di avermidipinto la faccia. Tristan è stato infilzato come un maiale. Walsh aveva l’età di miofratello, era una servitrice di Palafitte, una mia amica… una di noi. Ed è morta in modocrudele, per mano propria, per proteggere la Guardia, il nostro obiettivo e me. Molte altrepersone hanno perso la vita nei tunnel sotto piazza Caesar, uccise dai soldati di Cal e dalnostro folle piano. Il ricordo del sangue rosso versato brucia ancora, così come il pensierodel sacrificio argenteo. Lucas, un amico, una guardia del corpo, un argenteo dal cuorebuono, fucilato per quello che io e Julian gli abbiamo fatto fare. Lady Blonos, decapitataper avermi insegnato a sedermi composta. Il colonnello Macanthos, Reynald Iral, BelicosLerolan. Immolati per la causa. Mi si stringe lo stomaco al ricordo dei gemellini Lerolan,due bambini di quattro anni uccisi nell’esplosione avvenuta dopo la sparatoria. Mavenaveva detto che si era trattato di un incidente: un foro in una conduttura di gas; ora hocapito che mentiva. La sua cattiveria è troppo radicata per credere davvero a una similefatalità. Dubito che gli importasse qualcosa di far saltare in aria qualche altro innocente,pur di convincere il mondo intero che la Guardia Scarlatta è composta da personeorribili. Ucciderà anche Julian e Sara. Anzi, se va bene, sono già morti. Non riesconeanche a pensarci. È troppo doloroso. Ora la mia mente torna a Maven, ai suoi freddiocchi azzurri e all’attimo in cui mi sono resa conto che il suo sorriso ammaliantenascondeva in realtà un mostro.

Il letto a castello in cui mi trovo è duro, le coperte leggere e sono senza cuscino,eppure una parte di me vorrebbe stendersi di nuovo. Mi è già tornato il mal di testa, undolore pulsante al ritmo della corrente elettrica, che circola in questo provvidenzialesottomarino. Il segnale è chiaro: non c’è pace per me. Non ancora, non finché resta cosìtanto da fare. La lista. I nomi. Devo trovarli. Devo proteggerli da Maven e da sua madre. Mi vaa fuoco il viso e arrossisco al ricordo del libricino di Julian, contenente tutti quei segreticonquistati a fatica. Una testimonianza dell’esistenza di altre persone come me, che per

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via di una strana mutazione hanno il sangue dei rossi e le abilità degli argentei. La lista èl’eredità di Julian. E la mia.

Quando metto i piedi giù dalla branda, per poco non sbatto la testa contro il letto disopra, poi noto una pila di vestiti piegati con cura e disposti sul pavimento: pantalonineri troppo lunghi, una camicia bordeaux consumata sui gomiti e un paio di stivali senzalacci. Niente a che vedere con gli indumenti eleganti che ho trovato nella cella argentea,eppure me li sento bene addosso.

Non ho ancora finito di infilarmi la camicia, che la porta della mia cabina si apre dicolpo, con un sonoro cigolio. Kilorn resta sulla soglia, in attesa, rivolgendomi un sorrisolugubre e forzato. Non dovrebbe arrossire, dal momento che mi ha già vista svestitadiverse volte, in estate, eppure ha le guance paonazze.

«Non è da te dormire così a lungo» commenta, e avverto un pizzico di preoccupazionenella sua voce.

Lo ignoro e mi alzo in piedi, ma ho le gambe deboli. «Si vede che ne avevo bisogno.»Comincio a sentire uno strano fischio nelle orecchie, penetrante ma non doloroso. Scuotola testa per cercare di liberarmene, come farebbe un cagnolino bagnato per asciugarsi.

«Dev’essere l’urlo del banshee.» Kilorn si avvicina e mi prende la testa fra le manicallose dal tocco lieve. Sospiro infastidita, ma mi lascio esaminare. Lui mi fa girare di latoe mi osserva le orecchie da cui è uscito il sangue, benché ormai sia passato un po’ ditempo. «Sei fortunata che non ti abbia presa in pieno.»

«Tra le tante cose che sono, “fortunata” non credo sia il termine più appropriato.»«Sei viva, Mare» osserva con tono tagliente e si allontana. «È più di quanto molti altri

possano dire.» Il suo sguardo mi riporta con la mente a Naercey, a quando ho detto a miofratello che non gli credevo. Nel profondo del mio cuore, so che è ancora così.

«Mi dispiace» mi affretto a mugugnare. So bene che altre persone sono morte, per lacausa e per me. Ma sono morta anch’io. Mare di Palafitte è morta il giorno in cui è cadutanello scudo di fulmini. Mareena, la principessa argentea scomparsa e poi ritrovata, èmorta nel Circo delle ossa. E non so quale nuova persona abbia riaperto gli occhi sultreno sotterraneo. So solo chi era e cos’ha perso, e il peso di tutto questo è a dir pocodevastante.

«Hai intenzione di dirmi dove siamo diretti o è un segreto anche questo?» Cerco dimascherare il rancore nella mia voce, ma fallisco miseramente.

Kilorn è così signore da fare finta di niente e si appoggia con la schiena alla porta.«Abbiamo lasciato Naercey cinque ore fa e siamo diretti a nord-est. Non so altro, dicodavvero.»

«E questo non ti dà il minimo fastidio?»Lui fa spallucce. «Cosa ti fa credere che i superiori si fidino di me? O di te, se è per

questo. Sai meglio di chiunque altro quanto siamo stati incoscienti e quanto sia alto loscotto che abbiamo dovuto pagare.» Ho un’altra fitta al ricordo. «L’hai detto tu stessa.Non riesci nemmeno a fidarti di Shade. Dubito che ci sia qualcuno disposto acondividere con altri i propri segreti, per il momento.»

La frecciatina mi ferisce meno di quanto pensassi. «Lui come sta?»Kilorn fa un cenno con la testa e indica fuori, verso il corridoio. «Farley ha allestito in

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una stanzina un’accogliente sala medica per i feriti. E lui sta meglio di molti altri.Impreca di continuo, ma si sta decisamente riprendendo.» I suoi occhi verdi siincupiscono un pochino, poi distoglie lo sguardo. «La gamba…»

Trattengo il respiro, terrorizzata. «Infettata?» A casa, a Palafitte, contrarre un’infezioneequivaleva a perdere l’arto. Non avevamo molti medicinali e quando il sangue marciva,non si poteva fare altro che continuare ad amputare, sperando di battere sul tempo lafebbre e la cancrena.

Per mio grande sollievo, Kilorn scuote la testa. «No, Farley lo ha imbottito di farmaci, epoi gli argentei combattono con proiettili puliti. Il che è apprezzabile da parte loro.» Rideamaramente e si aspetta che faccia altrettanto. Ma io, al contrario, tremo. Fa così freddoquaggiù. «Però di sicuro zoppicherà per un po’.»

«Pensi di portarmi da lui o devo trovare la strada da sola?»Lui fa un’altra tetra risatina e mi porge il braccio. Mi stupisco, quando mi accorgo che

ho davvero bisogno del suo sostegno per camminare. Naercey e il Circo delle ossa hannoproprio lasciato il segno.

Il sommer. Ecco come Kilorn chiama la strana imbarcazione sottomarina. Come faccia anavigare sott’acqua è un mistero per entrambi, ma sono certa che Cal lo capirà. È ilprossimo della lista. Lo cercherò subito dopo essermi assicurata che mio fratello respiriancora. Ricordo che Cal era a malapena cosciente, quando siamo scappati, proprio comeme. Ma dubito che Farley l’abbia fatto ricoverare nella sala medica, circondato dagliuomini della Guardia feriti. Scorre troppo cattivo sangue tra loro e nessuno vuole che siscateni un inferno in un tubo di metallo sigillato sott’acqua.

Sento ancora l’urlo del banshee nelle orecchie, un lamento sordo che mi sforzo diignorare. A ogni passo, mi accorgo di nuovi acciacchi e lividi. Kilorn nota le mie smorfiedi dolore e rallenta, lasciandomi appoggiare a lui. Ignora addirittura le proprie ferite, deitagli profondi nascosti dall’ennesimo strato di bende pulite. Ha sempre avuto le manimalconce, piene di graffi e lividi provocati dagli ami da pesca e dalle cime delle barche.Ma erano lesioni familiari: significavano che era al sicuro, con un’occupazione, esentatodalla leva militare. Se non fosse stato per la morte del suo padrone, quelle piccolecicatrici sarebbero state il suo unico cruccio.

Un tempo tale pensiero mi avrebbe intristita. Ora provo soltanto rabbia.Il corridoio principale del sommer è lungo e stretto, intervallato da portelloni di

metallo a tenuta stagna, per isolare le varie porzioni di nave in caso di allagamento eimpedire così all’imbarcazione di affondare. Tuttavia, quel sistema non mi dà la minimasicurezza. Non posso fare a meno di pensare a come dev’essere morire intrappolati sulfondo dell’oceano, in una bara piena d’acqua. Persino Kilorn, che è cresciuto a strettocontatto con quell’elemento, non sembra per niente a proprio agio. Le fioche luci delsoffitto si riverberano in modo strano e gli gettano delle ombre sul viso che lo fannoapparire vecchio e teso.

Gli altri uomini della Guardia non sono altrettanto provati, e vanno e vengono conpasso deciso lungo il corridoio. Si sono tolti le sciarpe e le bandane rosse dal viso e hannosguardi cupi e determinati. Trasportano carrelli e vassoi pieni di medicinali, garze, cibo e

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persino qualche fucile ogni tanto, sempre di fretta e chiacchierando tra loro. Quando mivedono, però, si fermano e si appiattiscono contro la parete, per lasciarmi più spaziopossibile in quell’angusto cunicolo. I più audaci mi guardano negli occhi e mi osservanozoppicare, ma la maggior parte si fissa i piedi mentre passo.

Sembra che qualcuno di loro abbia addirittura paura.Di me.Vorrei dire grazie o comunque esprimere in qualche modo la mia profonda gratitudine

a ogni uomo e donna a bordo di questa strana imbarcazione. Per poco non mi sfugge un“grazie per il vostro servizio”, ma chiudo subito la bocca e mi trattengo. Grazie per ilvostro servizio. È quello che stampano nelle notifiche dell’esercito, le lettere che vengonoinviate per informare i genitori che i loro figli sono morti per una guerra inutile. Quantepersone ho visto piangere leggendo quelle parole? Quante altre ancora le leggerannoquando, per colpa dei provvedimenti, saranno spediti al fronte ragazzi ancora piùgiovani?

“Nessun altro” dico a me stessa. “Sono convinta che Farley abbia già un piano inmente, proprio come sono sicura che ci inventeremo un modo per trovare i novisangue,ovvero gli altri come me. Qualcosa faremo. Dobbiamo fare qualcosa.”

Le guardie spalmate contro il muro borbottano tra loro mentre passo. Persino quelliche non riescono a guardarmi in faccia bisbigliano, senza preoccuparsi di non far sentirele proprie parole. Può darsi che ritengano quello che stanno dicendo un complimento.

«La sparafulmini.» Il nomignolo risuona tra le pareti metalliche e mi avvolge come iperfidi sussurri di Elara, che mi perseguitano. La piccola sparafulmini. Lei mi chiamava così,e anche loro.

No. No, non è vero.Nonostante il dolore, raddrizzo la schiena più che posso e alzo la testa con sguardo

fiero.Non sono piccola, non più.I sussurri ci accompagnano fino alla sala medica, dove un paio di uomini della

Guardia sorvegliano il portellone chiuso. I due tengono d’occhio anche la scala a pioliaccanto a loro, un pesante affare di metallo che arriva fino al soffitto. L’unica entrata èanche l’unica uscita, in questa specie di lento proiettile che è il sottomarino. Una delleguardie ha i capelli rosso scuro, proprio come Tristan, benché lui fosse una pertica aconfronto. L’altro è massiccio come una roccia, con la carnagione scura, gli occhi allungatida gatto, un ampio torace e mani gigantesche che si addirebbero più a un fortebraccio.Appena mi vedono, inchinano entrambi la testa, ma per fortuna non mi dedicano più diuna rapida occhiata. Si concentrano invece su Kilorn e gli lanciano un sorrisone atrentadue denti, come fossero vecchi compagni di scuola.

«Già di ritorno, Warren?» Pel di carota ridacchia e muove le sopracciglia con ariaammiccante. «Lena ha finito il turno.»

Lena? Kilorn, che continua a sorreggermi, si irrigidisce, ma non dice nulla che tradiscail proprio imbarazzo. Al contrario, sta al gioco e ride insieme a loro. Ma lo conoscomeglio di chiunque altro, e comunque abbastanza per capire che si tratta di un sorrisoforzato. Da non credere. Mentre io ero incosciente e Shade giaceva ferito e sanguinante,

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Kilorn ha passato il tempo a flirtare.«Il ragazzo ha ben altri pensieri, senza mettersi a correr dietro alle infermiere carine»

osserva la roccia umana. La sua voce profonda echeggia lungo il corridoio e con ogniprobabilità arriva fino alla cabina in cui alloggia Lena. «Se cercate Farley, è ancora dentroche visita i feriti» aggiunge, e indica con il pollice il portellone.

«E mio fratello?» intervengo mentre mi faccio avanti e mi libero dal sostegno di Kilorn.Per poco non mi cedono le gambe, ma resto dritta in piedi. «Shade Barrow?»

I loro sorrisetti svaniscono e lasciano il posto a un’espressione più solenne. Mi sembraquasi di essere tornata al cospetto della corte argentea. Pur di non guardarmi in faccia, laroccia umana afferra la grande ruota che apre il portellone e comincia a girare. «Si stariprendendo, signorina… ehm, volevo dire… mia signora.»

Mi si stringe lo stomaco nel sentirmi chiamare così. Credevo di avere chiuso con quelgenere di convenevoli.

«Chiamami Mare, per favore.»«Ma certo» risponde senza alcuna convinzione. Sebbene facciamo entrambi parte della

Guardia Scarlatta e siamo uniti dalla stessa causa, non siamo sullo stesso piano. Perquanto io lo voglia, quest’uomo, così come molti altri, non userà mai il mio nome dibattesimo per rivolgersi a me.

Lui ci apre la porta con un lieve cenno del capo e scorgiamo un compartimento ampioma poco profondo, pieno di letti a castello. Quello che un tempo doveva essere undormitorio ora è una cabina gremita di pazienti allettati su più piani. L’unica corsiapresente nella stanza brulica di uomini e donne che indossano camici bianchi. Moltihanno gli abiti sporchi di sangue vermiglio e sono troppo indaffarati a steccare gambe osomministrare medicine per notare me, che zoppico in mezzo a loro.

Kilorn mi resta vicino con le mani tese, pronto ad afferrarmi per la vita, nel caso avessiancora bisogno del suo sostegno, ma io mi appoggio ai letti. Dal momento che tutti mifissano comunque, tanto vale che provi a camminare da sola.

Shade è seduto, appoggiato alla parete di metallo inclinata, con un cuscino sottiledietro la schiena. Non può stare comodo, eppure ha gli occhi chiusi e il petto sale escende lentamente, al ritmo del suo respiro durante il sonno. A giudicare dalla gamba,appesa con una fascia improvvisata alla rete del letto di sopra, e dalla spalla bendata, èstato medicato almeno un paio di volte. Vederlo così malconcio, benché fino a ieri locredessi addirittura morto, è indicibilmente difficile da sopportare.

«Dovremmo lasciarlo dormire» bisbiglio a nessuno in particolare, senza aspettarmiuna risposta.

«Sì, vi prego» commenta Shade, senza aprire gli occhi. Increspa le labbra in unsorrisetto birichino a me familiare. Malgrado il suo pessimo aspetto, mi scappa da ridere.

Quello scherzetto non mi è nuovo. Shade faceva spesso finta di dormire durante lelezioni o mentre i nostri genitori conversavano sottovoce. Sorrido al ricordo di quantipiccoli segreti lui abbia carpito in questo modo. Può darsi che io sia una ladra per natura,ma Shade è una spia nata. Non c’è da stupirsi che sia approdato tra le fila della GuardiaScarlatta.

«Origli quello che dicono le infermiere?» Mi scricchiolano le ginocchia, mentre mi

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siedo in un angolino del suo materasso, stando attenta a non urtarlo. «Hai scopertoquante garze hanno da parte?»

Ma invece di ridere alla battuta, Shade apre gli occhi e fa cenno a me e a Kilorn diavvicinarci. «Le infermiere sanno più di quello che pensate» afferma, e lancia un’occhiataverso la parete in fondo al compartimento.

Mi volto e scorgo Farley, china su una cuccetta occupata da qualcuno. La donna che vi èstesa sopra è priva di sensi, probabilmente è stata sedata, e Farley le controlla il polso conattenzione. Nella luce della cabina, la sua cicatrice risalta in modo brusco e le increspal’angolo della bocca in un’espressione imbronciata, per poi scendere lungo il collo escomparire sotto il colletto. Una parte si è riaperta e le hanno messo dei punti alla bell’emeglio. L’unica cosa rossa che indossa al momento è la chiazza di sangue sul camicebianco da infermiera, insieme ad altre macchie slavate che le arrivano fino ai gomiti. Allesue spalle, un infermiere con il camice pulito e il fare sbrigativo le sussurra qualcosaall’orecchio. Lei annuisce di tanto in tanto, il viso stravolto dalla rabbia.

«Cos’hai sentito dire?» chiede Kilorn spostandosi in modo da coprire Shade con ilproprio corpo. Chiunque penserebbe che gli stiamo sistemando le bende.

«Siamo diretti verso un’altra base, stavolta al largo della costa. Fuori dal territorio diNorda.»

Mi sforzo di ricordare la vecchia cartina di Julian, ma non riesco a farmi tornare inmente molto altro, a parte il litorale. «Un’isola?»

Shade annuisce. «La chiamano Tuck. Non dev’essere niente di speciale, visto che nonc’è nemmeno un avamposto argenteo in loco. Se la sono praticamente scordata.»

La paura mi stringe lo stomaco. La prospettiva di segregarmi su un’isola senza via difuga mi spaventa addirittura più dell’essere rinchiusa nel sommer. «Però sanno cheesiste. E tanto basta.»

«Farley sembrava convinta della scelta della nuova base.»Kilorn sghignazza sprezzante. «Se è per questo, credeva che anche Naercey fosse

sicura.»«Non è colpa sua se abbiamo perso la base di Naercey» intervengo io. È colpa mia.«Mare, Maven ci ha ingannati tutti» ribatte Kilorn, dandomi un colpetto sulla spalla.

«Ha incantato me, te e anche Farley. Gli abbiamo creduto tutti.»Con la madre al suo fianco che lo aiutava e ci leggeva la mente, plasmando il figlio in

base alle nostre speranze, non c’è da stupirsi che ci siamo fatti abbindolare. Solo che oralui è re. E illuderà il mondo intero. Che razza di destino ci attende, con un mostro come re esua madre che lo tiene al guinzaglio?!

Scaccio via questi pensieri: possono aspettare. «Farley ha detto altro, per caso? Si saqualcosa della lista? Ce l’ha ancora lei, non è vero?»

Shade la osserva alle mie spalle, stando attento a mantenere un tono di voce basso. «Sì,ma è più presa dal pensiero di incontrare gli altri a Tuck, inclusi papà e mamma.»Un’ondata di calore mi pervade e provo una sensazione di felicità immensa. Shade siillumina alla vista del mio sorriso, lieve ma sentito, e mi prende la mano. «E Gisa, e queideficienti dei nostri fratelli.»

Il grumo di tensione che mi attanaglia il petto si scioglie, ma se ne forma subito un

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altro. Gli stringo la mano a mia volta e inarco il sopracciglio, con aria interrogativa. «Glialtri chi? Com’è possibile?» Dopo il massacro sotto piazza Caesar e l’evacuazione diNaercey, credevo non fosse rimasto più nessuno.

Ma Kilorn e Shade non sembrano confusi quanto me e si scambiano occhiate furtive.Ancora una volta brancolo nel buio e non mi piace neanche un po’. Eppure adesso nonsono la perfida regina e il principe macchinatore a nascondermi qualcosa, bensì miofratello e il mio migliore amico.

Il che, in un certo senso, mi ferisce di più. Guardo entrambi in cagnesco, finché non sirendono conto che mi aspetto delle risposte.

Kilorn serra i denti e ha il buonsenso di assumere un’espressione dispiaciuta. Poiindica Shade. Vuole scaricare il barile. «Tu ne sai più di me.»

«Alla Guardia non piace dare troppo nell’occhio, e ha ragione.» Shade si sistema nelletto, tirandosi un po’ più su. Nel farlo, si lamenta e si stringe la spalla ferita, ma miscaccia via e non mi permette di aiutarlo. «Vogliamo sembrare piccoli, frammentati,disorganizzati…»

Non riesco a trattenere un verso di scherno, mentre osservo la sua fasciatura. «Be’,state facendo un ottimo lavoro.»

«Non essere spietata, Mare» sbotta Shade con tono seccato; mi ricorda molto nostramadre. «Quello che sto cercando di dirti è che le cose non sono così tremende comesembrano. Naercey non era la nostra unica roccaforte e Farley non è la nostra unicaguida. Anzi, a dire il vero, lei non fa nemmeno parte del comando. È soltanto uncapitano. Come lei ce ne sono molti altri… e ancora di più sono suoi superiori.»

A giudicare da come impartisce ordini ai propri uomini, avrei giurato che Farley fosseun’imperatrice. Quando mi azzardo a lanciarle un’altra occhiata, la vedo impegnata arifare una fasciatura, mentre sgrida l’infermiera che aveva inizialmente medicato laferita.

Ma non posso ignorare l’affermazione di mio fratello. Lui ne sa molto più di me sullaGuardia Scarlatta e sono propensa a credere a quello che dice sul loro conto. In questaorganizzazione c’è più di quello che vedo. Il che è incoraggiante… e spaventoso al tempostesso.

«Gli argentei si credono molto avanti rispetto a noi, ma non sanno nemmeno a chepunto siamo» prosegue Shade con fervore. «Sembriamo deboli perché vogliamo darequest’impressione.»

Mi volto di scatto verso di lui. «Sembrate deboli perché lo siete. Perché Maven vi haingannati, messi in trappola, massacrati e vi ha fatto scappare dalle vostre case. Ovorresti raccontarmi che era tutto parte dell’ennesimo piano?»

«Mare…» mormora Kilorn e appoggia la spalla alla mia, nel tentativo di calmarmi. Malo spingo via. Deve starmi a sentire anche lui.

«Non mi importa quanti tunnel, navi o basi segrete avete. Non vincerete mai contro dilui, non così.» Al ricordo di Maven, lacrime che non credevo più di avere mi pizzicano gliocchi e minacciano di scendere. È difficile dimenticare com’era. Anzi. Come faceva fintadi essere. Un ragazzo gentile e abbandonato a se stesso. L’ombra della fiamma.

«Allora cosa proponi di fare, sparafulmini?»

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La voce di Farley mi colpisce come una scarica elettrica e mette in tensione ogni mionervo. Per una frazione di secondo, mi fisso le mani che stringono le lenzuola di Shade.Se non mi giro, forse se ne andrà. Forse mi lascerà stare.

Non essere sciocca, Mare Barrow.«Combattere il fuoco con il fuoco» affermo mentre mi alzo in piedi. Un tempo la sua

altezza mi intimidiva. Ora guardarla dal basso verso l’alto mi sembra del tutto naturale.«Cos’è, una specie di battuta da argentei?» mi schernisce e incrocia le braccia.«Ti sembra che io abbia voglia di fare battute?»Lei non ribatte, il che è già una risposta. Nel frattempo, mi rendo conto che è calato il

silenzio nel compartimento. I feriti reprimono addirittura i propri versi di dolore, pur diascoltare la sparafulmini che sfida il loro capitano.

«Vi esalta l’idea di apparire deboli e colpire duro, non è vero? Be’, loro invece fanno ditutto per sembrare forti e invincibili. Ma nell’arena ho dimostrato che non è così.»Ripetilo, più forte, così che tutti possano sentirti. Faccio appello alla voce salda e risoluta chelady Blonos mi ha insegnato a tirare fuori. «Non sono invincibili.»

Farley non è certo stupida e le viene piuttosto facile seguire il mio ragionamento. «Tusei più forte di loro» ammette con disinvoltura. Poi rivolge lo sguardo a Shade, intensione sul letto. «E non sei l’unica.»

Annuisco con fermezza, lieta che abbia già capito dove voglio andare a parare.«Centinaia di nomi, centinaia di rossi dotati di varie abilità. Più potenti, più veloci,migliori di loro e con il sangue rosso come l’alba.» Trattengo il respiro, quasi sapessi diessere sull’orlo di un nuovo futuro. «Maven cercherà di ucciderli, ma se noi li trovassimoprima di lui, potrebbero diventare…»

«Il più grande esercito mai visto.» Farley si incanta al solo pensiero. «Un esercito dinovisangue.»

Mentre sorride, i punti della ferita le tirano la pelle e la cicatrice rischia di riaprirsi.Eppure il suo sorriso si allarga. Non le importa nulla del dolore.

A me invece sì. E credo mi importerà sempre.

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4

Farley è più bassa di Kilorn, ma i suoi passi sono più veloci e decisi, per cui è difficiletenere il suo ritmo. Faccio del mio meglio e mi metto quasi a correre per starle dietrolungo il corridoio del sommer. Proprio come prima, gli uomini della Guardia si scansanoper farci passare, ma stavolta la salutano, portandosi le mani al petto o alla fronte, nelclassico cenno militare. Devo ammettere che Farley incute un certo timore, con quellecicatrici e ferite che sfoggia come fossero gioielli. Sembra non dare peso alle chiazze disangue che ha sul camice, anzi, ci si pulisce le mani con aria distratta. In parte sonotracce anche di Shade. Gli ha estratto il proiettile dalla spalla senza batter ciglio.

«Non lo abbiamo chiuso a chiave, se è quello che pensi» dice con leggerezza, come separlasse di un gossip qualsiasi.

Non sono così stupida da abboccare all’amo, non più. Sta tastando il terreno, mettealla prova le mie reazioni, la mia lealtà. Ma non sono più la ragazza che ha implorato ilsuo aiuto. Non è così facile leggermi dentro, ormai. Ho imparato a vivere sul filo delrasoio, a dosare le bugie e a nascondere la vera me stessa. Di conseguenza, non mi costanulla farlo anche ora, e seppellire in profondità i miei pensieri.

Sghignazzo e sfoggio il sorriso che ho perfezionato alla corte di Elara. «Si vede. Nonc’è nulla di fuso nei paraggi» ribatto, mentre indico le pareti di metallo intorno a noi.

Le leggo nel pensiero intanto che cerca di interpretare il mio. Maschera bene le sueemozioni, ma colgo un barlume di sorpresa nei suoi occhi. Sorpresa e curiosità.

Non ho dimenticato il trattamento che ha riservato a Cal sul treno: manette, guardiearmate e disprezzo. E lui ha accettato tutto come un cane bastonato. Dopo il tradimentodel fratello e l’assassinio del padre, non aveva più la forza di combattere. Non lo biasimo.Ma Farley non conosce il suo coraggio o la sua forza, come invece li conosco io. Non saquanto in realtà possa essere pericoloso. O quanto lo sia io, se è per questo. Persino adesso,nonostante le numerose ferite, sento un potere dentro di me che chiama a raccolta tuttal’energia elettrica presente nel sommer. Potrei controllarla, se volessi. Potrei spegnerequesto aggeggio e farci annegare tutti quanti. Un tale pensiero omicida mi fa arrossire:mi vergogno di aver partorito un’idea del genere. Eppure, al tempo stesso, è anche unagrande consolazione. Sono l’arma più micidiale in un’imbarcazione piena di guerrieri, esembra che nessuno se ne sia reso conto.

Sembriamo deboli perché vogliamo dare quest’impressione. Shade si riferiva agli uominidella Guardia, quando ha pronunciato questa frase per spiegare le loro motivazioni. Orami chiedo se non stesse anche cercando di lanciare un messaggio, come ha fatto tempofa, con le parole nascoste nella lettera.

La cabina di Cal è dall’altro capo del sommer, al riparo dal viavai del resto delsottomarino. La sua porta è per metà nascosta da un groviglio di tubi e pile di casse di

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legno vuote con stampato sopra: Archeon, Haven, Corvium, Baia del Porto, Delphie epersino Belleum, a sud di Piè di Monte. Non so cosa potessero contenere un tempo quellescatole, ma leggere i nomi delle città argentee mi fa venire un brivido lungo la schiena. Lehanno rubate. Farley si accorge di me che fisso le casse, ma non si degna di darmispiegazioni. Malgrado il nostro accordo incerto riguardo a quelli che lei chiama inovisangue, non sono ancora entrata a far parte della cerchia dei suoi fidatissimi.Suppongo che Cal c’entri qualcosa in questo senso.

Qualunque dispositivo alimenti il sottomarino (un immenso generatore, a giudicaredalla sensazione che avverto), lo sento borbottare sotto di me. Mi fa vibrare le ossa earriccio il naso, contrariata. Farley potrà anche non aver chiuso Cal a chiave nella stanza,ma non è stata nemmeno troppo premurosa nei suoi confronti. Tra il baccano e il tremorecontinuo, mi chiedo se sia riuscito a chiudere occhio.

«Immagino che questo fosse l’unico posto in cui potevate metterlo?» domando mentreosservo lo spazio angusto.

Lei scrolla le spalle e bussa alla porta. «Il principe non si è lamentato.»Anche se apprezzerei molto avere un po’ di tempo per prepararmi all’incontro, non

dobbiamo attendere a lungo prima che la ruota del portellone cominci a girare a granvelocità. I cardini di ferro stridono e fanno un baccano pazzesco, mentre Cal tira a sé laporta per aprirci.

Vederlo lì in piedi, a testa alta, incurante del dolore, non mi sorprende. Del resto, èuna vita che si addestra per diventare un guerriero, perciò è abituato a sopportare tagli econtusioni. Eppure non sa nascondere le ferite interiori. Evita il mio sguardo e siconcentra su Farley, che non si accorge o se ne frega del principe dal cuore infranto.All’improvviso, le mie ferite mi sembrano un po’ più facili da tollerare.

«Capitano Farley…» Cal la saluta come se lo avesse interrotto durante la cena. Usa ilfastidio per mascherare il dolore.

Farley non ci dà peso, si sistema i capelli con aria sprezzante e allunga persino la manoper chiudersi la porta alle spalle. «Oh, non volevi visite? Che gesto scortese da partemia.»

Sotto sotto, sono contenta di avere impedito a Kilorn di accompagnarci. Sarebbe statoancora più sgarbato con Cal, dato che lo odia sin dal giorno in cui si sono conosciuti, aPalafitte.

«Farley!» esclamo a denti stretti. Fermo la porta con la mano. Per mia gioia – e miosgomento – lei si allontana di colpo, pur di non toccarmi. Poi diventa tutta rossa,imbarazzata da se stessa e dalla sua paura. Nonostante l’atteggiamento spavaldo, èproprio come il resto dei suoi soldati. Terrorizzata dalla sparafulmini. «Direi che siamo aposto così, puoi lasciarci soli.»

Contrae il viso in una smorfia, infastidita tanto da me quanto da se stessa. Tuttaviaannuisce: è sollevata all’idea di starmi lontano. Lancia un’ultima occhiataccia a Cal, poi sivolta e sparisce lungo il corridoio, abbaiando ordini che rimbombano per qualchesecondo, incomprensibili neppure perentori.

Io e Cal la osserviamo scomparire, poi fissiamo le pareti, il pavimento, ci scrutiamo ipiedi, incapaci di incrociare gli sguardi. Intimoriti dal ricordo dei giorni passati. L’ultima

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volta che ci siamo guardati negli occhi sulla soglia di una porta, ci sono state delle lezionidi danza e un bacio rubato. Sembra una vita fa. Forse perché lo era. Lui ha ballato conMareena, la principessa un tempo scomparsa che ora non c’è più.

Eppure serbo ancora quei ricordi. Quando gli passo accanto e sfioro con la spalla il suobraccio saldo, mi tornano in mente le sensazioni, il suo profumo e il suo sapore. Il calore,l’aroma di legno bruciato e le sfumature dell’alba, che ormai non sento più. Cal odora disangue, la sua pelle è gelida e dico a me stessa che non voglio assaggiarlo mai più.

«Ti stanno trattando bene?» domando per rompere il ghiaccio. Basta guardarmiintorno nella cabina, piccola ma pulita, per intuire la risposta, ma almeno ho riempito ilsilenzio.

«Sì» ammette, e si sofferma accanto alla porta aperta, indeciso se chiuderla. Poso losguardo su un pannello elettrico incassato nel muro, che è stato scardinato per rivelare ilgroviglio di fili e interruttori contenuto al suo interno. Non posso fare a meno disorridere, intenerita. Cal si è dato da fare.

«Ti pare una buona idea? Se becchi il filo sbagliato…»Lui abbozza un sorriso lieve ma rassicurante. «Ho una passione innata per le cose

elettriche. Non preoccuparti, so quel che faccio.»Ignoriamo entrambi l’ambiguità della sua frase e ce la facciamo scivolare sopra.Alla fine decide di chiudere la porta, ma non a chiave. Resta con la mano appoggiata

alla parete di metallo e le dita spalancate, in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi. Vedo cheindossa ancora il bracciale accendifiamma: l’argento brillante risalta rispetto al grigiospento e freddo che ci circonda. Cal nota il mio sguardo fisso e si tira giù la manicasporca; suppongo che nessuno abbia pensato di dargli un cambio di vestiti.

«Finché me ne sto rintanato qui, per i fatti miei, non credo che verranno a darmifastidio» commenta, e si rimette a trafficare con il pannello sventrato. «Da un lato è unapacchia.» Ma non sembra molto convinto.

«Farò in modo che le cose restino così. Se è quello che vuoi» mi affretto ad aggiungere.A dire il vero, non ho idea di quello che Cal voglia in questo momento. A parte la vendetta.Quella è l’unica cosa che abbiamo ancora in comune.

Inarca il sopracciglio e mi squadra, quasi divertito. «Oh, ma non mi dire, lasparafulmini ora ha preso il comando?» Non mi concede neanche il tempo di risponderealla provocazione e con un’unica falcata accorcia le distanze tra noi. «Ho la nettasensazione che tu sia in trappola, proprio come me.» Mi scruta con attenzione. «Solo chenon ne sembri consapevole.»

Arrossisco, arrabbiata e… imbarazzata. «In trappola? Non sono io quella che se ne starinchiusa in uno sgabuzzino.»

«No, infatti, sei troppo impegnata a lasciarti mettere in mostra.» Si china in avanti esento tornare il solito calore tra noi. «Di nuovo.»

Una parte di me vorrebbe tirargli un ceffone. «Mio fratello non avrebbe mai…»«Credevo anch’io che mio fratello non avrebbe mai, e guarda dove siamo finiti!»

ruggisce e allarga le braccia, in un impeto di rabbia. Con la punta delle dita sfioraentrambe le pareti della prigione in cui si è ritrovato. La prigione in cui l’ho messo io. E incui mi ha intrappolata insieme a lui, che lo sappia oppure no.

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Emana un calore impressionante, tanto che devo fare un passo indietro. Lui se nerende conto e si tranquillizza, abbassando le braccia e lo sguardo. «Scusami» dice, e siscosta dalla fronte una ciocca di capelli neri.

«Non devi chiedermi scusa. Non me lo merito.»Mi guarda torvo, a metà tra il serio e il basito, ma non discute.Io sospiro e mi appoggio con le spalle alla parete più lontana. Lo spazio tra di noi è

come la bocca spalancata di un animale. «Cosa sai di un posto chiamato Tuck?»Grato per il cambio di argomento, si ricompone e torna a comportarsi da principe.

Anche senza corona, ha un aspetto regale e un portamento impeccabile, con le maniraccolte dietro la schiena. «Tuck?» ripete, assorto. Mentre riflette gli si forma una grinzatra le folte sopracciglia scure. Più tempo impiega a rispondere, meglio mi sento. Se nonsa dell’isola, significa che sono in pochi a conoscerla. «È lì che siamo diretti?»

«Sì.» Credo. Rabbrividisco appena ripenso alle lezioni di Julian, che abbiamo imparatoa nostre spese, sia a corte che sull’arena. Chiunque può tradire chiunque. «Secondo Shade.»

Cal tralascia la mia insicurezza ed è così garbato da non infierire. «Penso sia un’isola»dichiara infine. «Una delle tante, al largo della costa. Non fa parte del territorio di Norda.Non c’è nulla che giustifichi un insediamento o una base militare, là fuori, nemmeno ascopo difensivo. È tutto mare aperto.»

Mi libero di un po’ di peso che avevo sulle spalle. Per il momento, siamo salvi. «Bene,bene.»

«Tuo fratello è come te.» Non è una domanda. «Diverso.»«Già.» Che altro posso dire?«E sta bene? Ricordo che è stato colpito.»Anche senza esercito, Cal è pur sempre un generale e si preoccupa per i soldati e i

feriti. «Sta meglio, grazie. Si è beccato un paio di proiettili al posto mio, ma si stariprendendo.»

Non appena accenno ai proiettili, Cal mi lancia un’occhiata concedendosi finalmentedi guardarmi. Osserva il mio viso, pieno di graffi, e le scie di sangue rinsecchito che miscendono dalle orecchie. «E tu?»

«Ho avuto momenti peggiori.»«Già.»Sprofondiamo nel silenzio, senza azzardarci ad aggiungere altro. Ma continuiamo a

guardarci negli occhi. All’improvviso, la sua presenza diventa insostenibile. Eppure, nonvoglio andarmene.

Il sommer, però, ha altri progetti.Sotto di me, avverto i sussulti del generatore, e il suo battito martellante cambia ritmo.

«Siamo quasi arrivati» borbotto mentre percepisco la corrente elettrica che si affievolisceo si dirige verso altre parti dell’imbarcazione.

Cal ancora non lo sente, poiché non ne è capace, ma non mette in discussione il mioistinto. Conosce bene la mia abilità, meglio di chiunque altro a bordo del sottomarino.Meglio della mia stessa famiglia. Almeno per il momento. Mamma, papà, Gisa e i ragazzimi aspettano tutti sull’isola. Li rivedrò presto. Sono qui. Sono salvi. Ma non so per quantotempo resterò con loro. Non potrò trattenermi a lungo sull’isola, non se voglio fare

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qualcosa per i novisangue. Dovrò tornare a Norda e avvalermi di qualunque mezzo opersona Farley possa concedermi per cercare di trovarli. Sembra già impossibile. Nonvoglio nemmeno pensarci. Eppure mi scoppia la testa, mentre provo a escogitare unpiano.

Sopra di noi suona un allarme, sincronizzato con la luce gialla che comincia alampeggiare sulla porta della cabina.

«Sbalorditivo» lo sento bofonchiare, e per un attimo si incanta ad ammirare l’enormeveicolo che ci trasporta. Sono certa che avrebbe voluto darsi un’occhiata intorno, ma inquesto mondo non c’è spazio per il principe curioso che è in lui, né per il ragazzo che siseppelliva tra i manuali e costruiva supercycle da zero. L’ho ucciso, proprio come ho uccisoMareena.

Nonostante la sua propensione alla meccanica e il mio sesto senso per i dispositivielettrici, non abbiamo idea di quello che ci aspetta. Quando il sommer punta la pruaverso l’alto per riemergere dalle profondità dell’oceano, si inclina tutta la stanza. Ilmovimento ci coglie impreparati e ci fa perdere l’equilibrio: andiamo a sbattere contro laparete, poi uno contro l’altra. Le nostre ferite sfregano tra loro e lanciamo entrambi deigemiti di dolore. Ritrovarmelo vicino mi fa più male di qualsiasi altra cosa; quel ricordo ècome una pugnalata e mi allontano in fretta e furia.

Con una smorfia, mi massaggio una delle numerose parti doloranti. «Dov’è SaraSkonos, quando uno ha bisogno di lei?» mi lamento. Se solo la curapelle fosse qui. Leipotrebbe rimetterci in sesto e scacciare via ogni male con un tocco, così saremmo subitoin grado di tornare a combattere.

Un’altra ombra di dolore attraversa lo sguardo di Cal, ma non è colpa delle ferite.Complimenti, Mare. Gran bella idea tirar fuori il nome della donna che sapeva che la madre diCal era stata assassinata dalla regina. La donna a cui nessuno ha creduto. «Mi dispiace, nonvolevo…»

Lui liquida le mie scuse con un gesto della mano e si tira in piedi, appoggiandosi conun braccio alla parete per mantenere l’equilibrio. «Va tutto bene. Lei è…» Le sue parolesono corpose, forzate. «Ho scelto io di non ascoltarla. Non volevo ascoltare. È stata colpamia.»

Ho visto Sara Skonos soltanto una volta, il giorno in cui Evangeline ha rischiato dismascherarmi davanti a tutta la classe, durante uno degli allenamenti. È stato Julian –che l’amava – a mandarla a chiamare, e poi è rimasto a guardare mentre lei mi sistemavail viso insanguinato e la schiena dolorante. La donna aveva lo sguardo triste, le guancescavate ed era senza lingua. Le era stata tagliata per aver detto cose contro la regina, peraver raccontato una verità a cui nessuno ha creduto. Elara ha ucciso Coriane, la reginamaliarda, madre di Cal, nonché sorella di Julian e migliore amica di Sara. E sembrava che anessuno importasse. Era molto più facile fare finta di nulla.

Anche Maven era presente, quel giorno, e il suo odio nei confronti di Sara era palese.Mi rendo conto solo ora che quell’atteggiamento era una crepa nel suo scudo e rivelava lasua vera natura, nascosta dietro abili parole e sorrisi gentili. Proprio come Cal, non hovisto quello che avevo sotto il naso.

Ed è ormai probabile che Sara sia già morta, esattamente come Julian.

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All’improvviso, non riesco più a sopportare le pareti di metallo, il rumore intorno ame e quello che sento nelle orecchie, per via del cambio di pressione.

«Devo uscire da questo coso.»Nonostante l’inconsueta inclinazione della cabina e il fischio insistente che mi ronza

nella testa, i miei piedi sanno per filo e per segno cosa fare. Non hanno scordato il fangodi Palafitte, le notti trascorse nei vicoli e i percorsi a ostacoli svolti durante gliallenamenti. Spalanco di colpo la porta, in cerca di ossigeno, come una ragazzina che staper annegare. Ma l’aria filtrata e stantia che si respira nel sommer non mi basta. Hobisogno di sentire l’odore degli alberi, dell’acqua, della pioggia primaverile e persinodella calura estiva o della neve invernale. Qualcosa, insomma, che mi rammenti il mondoal di fuori di questo opprimente barattolo di latta.

Cal mi dà un po’ di vantaggio, prima di seguirmi a passi lenti e pesanti. Non tenta distarmi dietro, anzi mi lascia spazio. Se solo Kilorn facesse altrettanto.

Ci viene incontro dal fondo del corridoio, servendosi di appigli e maniglie permuoversi più agevolmente nel sottomarino inclinato. Il suo sorriso svanisce alla vista diCal, ma nel suo sguardo, al posto della rabbia, subentra una fredda indifferenza. Forsepensa che ignorare il principe lo farà incavolare di più, rispetto all’ostentare avversionenei suoi confronti. O forse Kilorn non vuole mettere alla prova un lanciafiamme umanoin un ambiente così angusto.

«Stiamo risalendo in superficie» annuncia e mi si avvicina.Io mi tengo stretta alle sbarre di una grata per restare in equilibrio. «Ma non mi dire!»Kilorn mi fa un sorrisone e mi si para davanti, appoggiandosi con la spalla alla parete.

Punta i piedi all’esterno dei miei, a mo’ di sfida, benché non ne capisca il motivo. Sento ilcalore di Cal alle mie spalle, ma pare che anche il principe abbia optato per la tatticadell’indifferenza, e non dice nulla.

Qualunque sia il loro gioco, non ho intenzione di essere una pedina nelle loro mani.Lo sono stata già fin troppo a lungo. «Come sta… come si chiama? Lena?»

Quel nome colpisce Kilorn come uno schiaffo. Il suo ghigno svanisce e mi osservaspiazzato. «Sta bene, credo.»

«Ben fatto, Kilorn.» Gli do una pacca sulla spalla, con fare amichevole, seppurpaternalistico. Il diversivo funziona alla perfezione. «È giusto farsi degli amici.»

Il sommer si raddrizza sotto i nostri piedi, ma nessuno incespica. Nemmeno Cal, chenon ha né un decimo del mio equilibrio né le gambe da marinaio che Kilorn si èguadagnato a fatica lavorando su un peschereccio. Cal è teso come una corda di violino eattende che io prenda in mano le redini della situazione. Il pensiero che un principe sisottoponga alla mia volontà dovrebbe farmi ridere, ma ho freddo e sono troppo esaustaper pensare ad altro se non ad andare avanti.

E così faccio. Mi avvio lungo il corridoio, con Cal e Kilorn al seguito, verso la folla diguardie in attesa vicino alla stessa scala con cui siamo entrati qui dentro. I feriti salgonoper primi, legati a barelle di fortuna e issati verso il cielo notturno. Farley monitora lasituazione e il suo camice è ancora più insanguinato di prima. La osservo intenta aeseguire fasciature con una siringa stretta tra i denti; è una visione alquanto minacciosa. Ipazienti messi peggio si beccano un’iniezione mentre passano: farmaci per alleviare il

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dolore dell’essere trascinati su per lo stretto tubo. Shade è l’ultimo dei feriti e percamminare si appoggia di peso alle due guardie che hanno preso in giro Kilorn aproposito dell’infermiera. Vorrei farmi largo per raggiungere mio fratello, ma c’è unaressa esagerata e ho già attirato abbastanza l’attenzione per oggi. Shade è ancora troppodebole per teletrasportarsi, per cui deve trascinarsi goffamente su una gamba sola e,quando Farley lo lega a una barella, arrossisce infastidito. Non riesco a sentire cosa lei glidica, ma in qualche modo lo fa calmare. Rifiuta addirittura l’iniezione e stringe i dentiper sopportare meglio il dolore dell’essere issato su per la scala. Una volta fatto salireanche Shade senza problemi, diventa tutto molto più semplice. Uno dopo l’altro, gliuomini della Guardia si arrampicano per i pioli e a poco a poco liberano il corridoio. Sonoper la maggior parte infermieri, uomini e donne contraddistinti da camici bianchi conmacchie di sangue più o meno accentuate.

Non perdo tempo a far passare tutti quanti, sprezzante delle buone maniere chesarebbero adatte a una vera signora. Tanto siamo diretti nello stesso posto. Per cui, nonappena la folla si dirada un po’ e la scala si libera, mi faccio avanti di corsa. Cal mi seguea ruota e la sua presenza, unita alla mia, fa allontanare il manipolo di guardie intorno anoi come fosse un coltello. Indietreggiano tutti alla svelta e qualcuno incespicaaddirittura, pur di farci spazio. Soltanto Farley resta ferma lì, la mano sulla scala. Conmia sorpresa, fa un cenno a me e a Cal. A entrambi.

Avrei dovuto cogliere quel primo segnale.A ogni piolo che salgo, i muscoli bruciano sempre più, ancora provati dai

combattimenti di Naercey, dalla lotta nell’arena e dalla prigionia. Sento uno stranoululato sopra di me, ma non mi dissuade dal continuare a salire. Ho bisogno di uscire dalsommer il più in fretta possibile.

Mi guardo alle spalle e l’ultima occhiata che lancio all’interno del sottomarino mi offreuna strana prospettiva su Farley e sulla sala medica. Ci sono ancora dei feriti là dentro,immobili sotto le coperte. No, non sono feriti. Me ne rendo conto mentre mi inerpico inalto. Sono morti.

A mano a mano che salgo, il vento continua a soffiare e sento anche qualche goccia.Nulla di cui preoccuparsi, credo, finché non arrivo in cima ed esco nell’oscurità. Untemporale imperversa con tanta foga che piove di traverso, per cui le gocce non riesconoa centrare il tubo con la scala, però mi bruciano sul viso pieno di graffi e nel giro di pochisecondi mi ritrovo bagnata fradicia. Acquazzoni autunnali. Eppure non ricordo di averemai visto un nubifragio così violento. Mi soffia addosso e mi bagna la bocca di pioggia edi spruzzi d’acqua salmastra e pungente. Per fortuna, il sommer è saldamente ancorato aun molo e sembra piuttosto stabile, nonostante le onde grigie e spumeggianti che siinfrangono sotto l’imbarcazione.

«Da questa parte!» Una voce familiare mi grida nelle orecchie, mi fa allontanare dallascala e mi guida sul ponte del sottomarino, reso scivoloso dalla pioggia e dai flutti.Nell’oscurità, stento a scorgere il soldato che mi scorta, ma riconosco subito la sua voce ela mole imponente.

«Bree!» Afferro mio fratello maggiore per la mano e sento i calli sulle sue dita. Simuove in modo lento e pesante, come un’ancora, e mi aiuta a scendere dal sommer sul

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pontile. Non che camminare sul molo di metallo corroso dalla ruggine sia tanto meglio,ma almeno è collegato alla terraferma, e non desidero altro in questo momento.Terraferma e calore, una tregua agognata, dopo i gelidi abissi dell’oceano e i miei ricordi.

Nessuno aiuta Cal a scendere dal sommer, ma se la cava benissimo da solo. Anche inquesto caso, sta molto attento a mantenere le distanze e cammina diversi metri dietro dinoi. Sono certa che non abbia dimenticato il suo primo incontro con Bree a Palafitte; inquell’occasione, mio fratello era stato tutt’altro che cortese. A dire il vero, nessuno dellafamiglia Barrow l’aveva apprezzato, a parte la mamma e forse Gisa. Ma del resto nonsapevano chi fosse, allora. Sarà interessante farli riunire.

La tempesta rende difficile intravedere l’isola di Tuck, ma mi sembra piccola, piena didune e ciuffi di erba alta che si agitano come le onde del mare. Un fulmine che si scaricanell’acqua illumina per un attimo la notte buia e ci mostra il percorso davanti a noi. Orache siamo all’aperto, fuori dalle anguste pareti del sommer e del treno sotterraneo, mirendo conto che saremo in tutto meno di una trentina, inclusi i feriti. Siamo diretti versodue edifici piatti di cemento, costruiti nel punto in cui il pontile incontra la terraferma.Sulle dolci colline di fronte a noi risalta qualche altra struttura, simile a un bunker o unacaserma. Ma non riesco a vedere cosa ci sia oltre quelle. Un altro fulmine, stavolta piùvicino, mi fa tremare, regalandomi una sensazione in realtà piacevole. Bree però lascambia per un brivido di freddo, così mi tira a sé e mi copre le spalle con il suo grossobraccio. Tutto quel peso mi rende difficile camminare, ma in qualche modo resisto.

Il molo sembra non finire più. Presto sarò al chiuso, all’asciutto, sulla terraferma e miricongiungerò alla mia famiglia, finalmente. Basta questa prospettiva a farmi sopportareil trambusto delle attività concitate sotto la pioggia. Gli infermieri caricano i feriti su unvecchio mezzo di trasporto con un rimorchio protetto da teli impermeabili. È stato dicerto rubato, come tutto il resto. I due edifici a terra sono degli hangar e dai portellonisemichiusi si intravedono altri mezzi di trasporto parcheggiati all’interno. Ci sonoaddirittura navi ancorate alla banchina, che vanno su e giù sulle onde grigie per cercaredi sfuggire alla tempesta. È tutta un’accozzaglia di oggetti eterogenei: mezzi di trasportoobsoleti di varie dimensioni e barche nuove fiammanti, alcune dipinte d’argento, altre dinero e una di verde. Tutte rubate o sequestrate o entrambe le cose. Riconosco persino icolori della marina militare di Norda su un’imbarcazione grigio fumo e blu. Tuck è comeil vecchio furgoncino sgangherato di Will Whistle, solo molto più grande e stracolma dichincaglierie barattate o sgraffignate.

Il mezzo che trasporta i feriti parte a stento poco prima che lo raggiungiamo: deve farei conti con la pioggia e la strada fangosa in salita. L’unico motivo per cui non affretto ilpasso è che noto l’indifferenza sul volto di Bree. Non è affatto preoccupato per Shade néper cosa si nasconde in cima alla collina, così cerco anch’io di restare tranquilla.

Cal non è dello stesso avviso, infatti accelera e mi viene vicino. Non so se sia latempesta, l’oscurità, o anche solo il suo sangue argenteo a farlo sembrare così pallido eimpaurito. «Non può durare» borbotta con un filo di voce, in modo che solo io lo possasentire.

«Che hai detto, principe?» domanda Bree con un ringhio sordo. Io gli tiro unagomitata nelle costole, ma non ottengo molto, se non farmi male al gomito. «Non

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importa, lo scopriremo presto.»Non sono tanto le sue parole a preoccuparmi, quanto il modo in cui le dice. È freddo,

brutale e così diverso dal fratello buontempone che credevo di conoscere. La Guardia hacambiato anche lui. «A cosa ti riferisci, Bree?»

Cal ha già capito e si ferma di colpo, con lo sguardo fisso su di me. Il vento gliscompiglia i capelli e glieli preme sulla fronte. I suoi occhi color bronzo si rabbuiano perla paura e a quella vista mi si stringe lo stomaco. “Non di nuovo” imploro. “Dimmi chenon mi sono infilata in un’altra trappola.”

Il portellone di uno degli hangar che incombono minacciosi alle sue spalle si spalancascorrendo sui cardini in un silenzio irreale. Un numero spropositato di soldati spuntafuori e marcia all’unisono; tutti insieme, così ordinati, sembrano una vera e proprialegione, con le pistole pronte all’uso e gli occhi scintillanti nella pioggia. Il lorocomandante potrebbe essere benissimo un agghiacciante, a giudicare dai capelli biondi,quasi bianchi, e dall’aspetto glaciale. Eppure ha il sangue rosso, proprio come me… Locapisco dalle venature scarlatte in un occhio.

«Bree, che succede?!» comincio a sbraitare mentre mi volto , aggredendo mio fratello.Per tutta risposta, lui mi afferra per le mani, in modo tutt’altro che gentile. Miimmobilizza e sfrutta la sua forza fisica per impedirmi di scappare. Se fosse qualcunaltro, lo fulminerei sul colpo. Ma è mio fratello. Non potrei mai fargli una cosa del generee infatti non la farò.

«Bree, lasciami andare!»«Non gli faremo del male» continua a ripetere. «Non gli faremo del male, non ne

abbiamo intenzione, te lo prometto.»Quindi non è per me la trappola. Eppure la cosa non mi tranquillizza affatto. Semmai mi

fa arrabbiare maggiormente e mi terrorizza, rendendomi ancora più furibonda edisperata.

Quando mi giro a guardarlo, Cal ha i pugni infuocati e le braccia spalancate, pronte adaffrontare l’uomo dall’occhio insanguinato. «Ebbene?» ringhia con tono di sfida; sembrapiù un animale che un uomo. Un animale messo all’angolo.

Ci sono troppe pistole in giro, persino per Cal. Gli spareranno, se necessario. Può darsiche sia proprio quello che vogliono. Una scusa per uccidere il principe decaduto. Unaparte di me, la parte predominante, sa che sarebbero giustificati. In fondo lui haperseguitato la Guardia Scarlatta ed è sostanzialmente responsabile della morte diTristan, del suicidio di Walsh e della tortura perpetrata ai danni di Farley. Gli uomini diCal hanno ucciso per eseguire i suoi ordini e hanno spazzato via buona parte dell’esercitodi ribelli guidato da Farley. Inoltre, chissà quanti altri innocenti il principe argenteo avràmandato a morire al fronte, barattando la vita dei soldati rossi per un pugno dichilometri sottratti ai lacustri. Del resto, Cal non ha preso alcun impegno nei confrontidella causa e costituisce una minaccia per la Guardia Scarlatta.

Ma è anche un’arma, proprio come me; un’arma che potrebbe tornarci utile in futuro.Per i novisangue e contro Maven: è la fiamma che può aiutarci a dissipare l’oscurità.

«Stavolta non ha scampo, Mare.» Kilorn ha scelto il momento peggiore per arrivarmialle spalle di soppiatto. Mi sussurra all’orecchio e si comporta come se la sua vicinanza

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potesse influenzarmi. «Se si batte, morirà.»È difficile ignorare il suo ragionamento: non fa una piega.«Inginocchiati, Tiberias» ordina l’uomo dall’occhio insanguinato, mentre avanza

impetuoso verso il principe con le braccia fiammeggianti. Dalle lingue di fuoco si levanosbuffi di vapore, come se il temporale stesse cercando di estinguerle. «Metti le manidietro la testa.»

Ma Cal non gli dà retta e si irrigidisce, quando sente pronunciare il proprio nome dibattesimo. È impassibile, forte e fiero, nonostante sappia di aver perso la battaglia. Untempo si sarebbe arreso, nel tentativo di salvarsi la pelle. Ora, invece, è convinto che lasua vita non valga nulla. A quanto pare, sono l’unica a pensarla diversamente.

«Cal, fa’ come dice.»Il vento trasporta la mia voce, e così tutta la legione mi sente. Ho paura che possano

sentire anche il mio cuore, che mi martella nel petto come un tamburo.«Cal.»Lentamente, con estrema riluttanza, il principe si lascia cadere in ginocchio; sembra

una statua che si sgretola e le fiamme nei suoi palmi si spengono come una candela. Hafatto la stessa cosa il giorno precedente, quando si è accasciato vicino al corpo senza testadi suo padre.

L’uomo dall’occhio insanguinato sghignazza soddisfatto, con i denti dritti e scintillantiin bella mostra. Osserva Cal entusiasta; sembra godere del fatto di avere un principe aipropri piedi. Si gusta il senso di potere che gli dà la situazione.

Ma io sono la sparafulmini e lui non sa nemmeno cosa sia il vero potere.

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Cercano di convincermi che sia la soluzione migliore, ma con me le loro scuse nonattaccano. Kilorn e Bree esauriscono ben presto tutti gli argomenti che hanno detto lorodi usare.

Il principe è pericoloso, persino per te. Ma so meglio di chiunque altro che Cal non mifarebbe mai del male. Anche quando ne avrebbe avuto motivo, non l’ho mai temuto.

È uno di loro. Non possiamo fidarci. Dopo quello che Maven ha combinato alla lorofamiglia e alla sua reputazione, Cal non ha più niente e nessuno all’infuori di noi, perquanto non voglia ammetterlo.

È prezioso. È un generale, un principe di Norda, nonché l’uomo più ricercato delregno. Su quest’ultimo punto, ho un attimo di esitazione e resto scossa nel profondo,terrorizzata. Se l’uomo dall’occhio insanguinato decidesse di usare Cal per far leva suMaven o di offrirlo per uno scambio o in sacrificio, dovrei fare appello a tutte le mie forzeper riuscire a fermarlo. Mi ci vorrebbero tutta la mia capacità di persuasione, tutto il miopotere… e comunque forse non basterebbero.

Perciò non faccio altro che annuire, dapprima poco convinta, poi fingo di essered’accordo. Di essermi sottomessa al loro volere. Di essere debole. Ci avevo azzeccato.Shade mi stava avvertendo. Ancora una volta, aveva previsto tutto, molto prima che siverificasse. Cal è potere, è fuoco in carne e ossa, qualcosa da temere e da sconfiggere. E iosono una scarica elettrica. Cosa cercherebbero di farmi, se non recitassi la mia parte?

Non mi sono infilata in un’altra prigione, non ancora, ma sento che la chiave è giànella toppa e minaccia di chiudermi dentro. Per fortuna, ho una certa esperienza inquesto genere di cose.

La creatura dall’occhio insanguinato e i suoi uomini scortano Cal dentro l’hangar apasso di marcia; non sono così stupidi da cercare di legargli le mani, ma non abbassanomai né le pistole né la guardia, e stanno ben attenti a mantenere le distanze, per paura difinire carbonizzati per la loro imprudenza. Posso solo starmene a guardare, con gli occhisgranati e la bocca chiusa, quando il portellone dell’hangar si richiude alle loro spalle e cisepara. Non lo uccideranno, finché lui non darà loro un motivo per farlo. Posso solosperare che Cal si comporti bene.

«Andateci piano con lui» sussurro, e mi getto tra le braccia di Bree. Persino sotto lagelida pioggia autunnale, il suo corpo sembra una fornace. Tutti quegli anni passati acombattere sul fronte settentrionale lo hanno reso immune all’umidità e al freddo.Ripenso ai vecchi detti di papà. La guerra lascia il segno. Ora l’ho capito sulla mia pelle,benché la mia guerra sia molto diversa dalla sua.

Bree fa finta di non sentire e aumenta il passo, mettendo fretta anche a me. Kilorn cisegue a ruota lungo il pontile e un paio di volte mi colpisce il tallone con gli stivali. Mi

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trattengo dal prenderlo a calci e mi concentro nel salire le scale di legno che conduconoalla caserma sulla collina sopra di noi. I gradini sono logori, consumati dal viavai diinnumerevoli persone. “Quanta gente sarà passata di qui?” mi domando. “Quanta ce nesarà ora, in questo luogo?”

Quando arriviamo in cima alla collina, l’isola si estende davanti ai nostri occhi e scorgouna base militare molto più vasta di quanto immaginassi. La caserma che s’intravedevaanche da sotto è soltanto una delle dodici che vedo ora, raggruppate in due file parallele,divise da un lungo cortile di cemento. Quest’ultimo è liscio e ben tenuto, non come igradini o il molo. Una linea bianca dipinta, perfettamente dritta, corre al centro delcortile per tutta la sua lunghezza e scompare all’orizzonte nella notte tempestosa. Findove arrivi, non lo so.

Tutta l’isola sembra immobile, come congelata dal temporale. Una volta giunto ilmattino, quando smetterà di piovere e il buio si dissolverà, immagino che vedrò la basein tutto il suo splendore… e finalmente capirò con chi ho davvero a che fare. Nell’ultimoperiodo, infatti, ho preso il brutto vizio di sottovalutare le persone, soprattutto quando sitratta della Guardia Scarlatta.

E proprio come nel caso di Naercey, Tuck è molto più di quello che sembra.Il freddo che sentivo nel sommer e sotto la pioggia non mi abbandona, neanche

quando varchiamo la soglia della caserma contrassegnata da un 3 nero dipinto sopra. Hofreddo nelle ossa e nel cuore. Ma non posso lasciare che i miei genitori se ne accorgano, éper il loro bene. Almeno questo glielo devo. Voglio che mi credano sana, illesa,indifferente alla cattura di Cal e alle traversie che ho vissuto a palazzo e nell’arena.Mentre voglio che gli uomini della Guardia mi credano dalla loro parte… e contenta diessere “salva”.

Perché, non lo sono, forse? Non ho prestato giuramento a Farley e alla Guardia Scarlatta?Come me, anche loro confidano nella possibilità di porre fine al predominio dei re

argentei sugli schiavi rossi. Hanno sacrificato dei soldati per me, per colpa mia. Sonomiei alleati, miei compagni, fratelli e sorelle d’armi… ma l’uomo dall’occhio insanguinatomi lascia perplessa. Non è come Farley. Lei sarà anche burbera e fissata con la causa, masa cos’ho attraversato. Con lei si può ragionare. Dubito, invece, che ci sia spazio per laragione, nell’animo della creatura dall’occhio insanguinato.

Kilorn è stranamente taciturno. Questo silenzio non ci si addice. Siamo abituati ariempire il vuoto con insulti, prese in giro, oppure, nel caso di Kilorn, con vere e proprieidiozie. Non è da noi starcene zitti quando siamo insieme, ma in questo momento nonabbiamo nulla da dire. Lui sapeva cos’avevano intenzione di fare a Cal ed era d’accordo.Ma quel che è peggio è che non me l’ha nemmeno detto. Sarei furiosa, se non fosse per ilfreddo. Mi prosciuga le emozioni, le smorza e le trasforma in qualcosa di simile a unronzio elettrico che risuona nell’aria.

Bree non coglie lo strano imbarazzo tra noi. Del resto, come potrebbe? Oltre a essereun po’ ingenuo, mio fratello maggiore è partito quand’ero soltanto una tredicenneallampanata che derubava la gente, più per divertimento che per necessità; tra l’altro, nonero crudele come adesso. Bree non sa come sono diventata, essendosi perso quasi cinqueanni della mia vita. E sono cambiata più negli ultimi due mesi che mai prima d’ora. Solo

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due persone hanno vissuto con me questa metamorfosi. Il primo è stato imprigionato e ilsecondo ora indossa una corona insanguinata.

Qualsiasi individuo di buonsenso li definirebbe miei nemici. Buffo come i miei nemicisiano quelli che mi conoscono meglio, in realtà, mentre la mia famiglia non mi conosceaffatto.

Nella caserma l’aria è piacevolmente asciutta e avverto il ronzio delle luci e dei fasci dicavi che corrono lungo il soffitto. In assenza di cartelli che indichino la strada, spessepareti di cemento trasformano il corridoio in un labirinto. Tutte le porte, di un acciaiogrigio e anonimo, sono chiuse, ma qualcuna al suo interno reca segni di vita: ghirlande dipaglia appese a qualche pomello, una collana rotta fissata alla cornice, e così via. Questoluogo non ospita soltanto soldati minacciosi, ma anche profughi di Naercey e di chissàquale altro posto. Dopo l’emanazione dei provvedimenti, che ho recitato io stessa, moltiuomini della Guardia e altrettanti rossi hanno abbandonato il continente. Comepotevano restare, sotto la minaccia della leva militare e della pena di morte? Ma comehanno fatto a scappare? E come sono arrivati fin qui?

Un’altra domanda da aggiungere alla lista, che si allunga sempre di più.Nonostante sia distratta da questi pensieri, cerco di memorizzare il percorso che sta

seguendo mio fratello. Prima a destra, poi, dopo uno, due, tre corridoi, svolta a sinistra,all’altezza della porta con inciso sopra il nome PIANA ERBOS A. Una parte di me sidomanda se stia facendo un giro astruso apposta per confondermi, ma Bree non è cosìastuto. Dovrei essergliene grata, immagino. Shade non avrebbe il minimo problema aescogitare certi tranelli, Bree invece sì, per fortuna. Lui è pura forza bruta, un macignoche va per la sua strada, però facile da scansare. Fa parte anche lui della GuardiaScarlatta; si è liberato da un esercito per arruolarsi in un altro. E a giudicare da come miha trattenuta sul pontile, la sua lealtà alla Guardia è fuori discussione. Con ogniprobabilità, varrà lo stesso anche per Tramy, sempre ansioso di seguire, e talvolta guidare,il nostro fratellone. Soltanto Shade ha il buonsenso di tenere gli occhi aperti e aspettareper vedere cos’ha in serbo il destino per noi novisangue.

La porta davanti è socchiusa, come in attesa. Non c’è bisogno che Bree mi dica che inquella camerata dorme la nostra famiglia, dal momento che scorgo un ritaglio di stoffaviola legato intorno al pomello. È tutto sfilacciato lungo i bordi e maldestramentericamato. Fili scintillanti adornano quel cencio e riproducono saette, un simbolo né rossoné argenteo, ma tutto mio. È un mix tra i colori del casato Titanos (la mia copertura) equelli del fulmine che vive in me (il mio scudo).

A mano a mano che ci avviciniamo alla soglia, sento qualcosa che si muove dietro laporta e un’ondata di calore mi pervade. Riconoscerei il suono della sedia a rotelle di miopadre tra mille.

Bree non bussa nemmeno. Sa che sono tutti ancora svegli ad aspettarmi.La camerata è piccola e angusta, ma c’è più spazio che nel sommer; almeno ci si riesce

a muovere, poi ci sono un sacco di letti a castello e addirittura un ingresso abitabile.L’unica finestra, sulla parte alta della parete di fronte a noi, è ben chiusa per via dellapioggia, e il cielo sembra un poco più chiaro. L’alba sorgerà.

“Sì, proprio così” penso mentre mi lascio sopraffare dalla quantità di rosso presente

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nella stanza. Ci sono sciarpe, strofinacci, scampoli, bandiere e striscioni rossi su ognisuperficie, appesi a ogni muro. Avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere. Gisa untempo confezionava abiti per gli argentei; ora cuce con estrema meticolosità bandiere perla Guardia Scarlatta e ricama su tutto quello che trova il sole spaccato a metà, simbolodella resistenza. I suoi manufatti non sono belli, i punti sono irregolari e i motivisemplici. Nulla in confronto alle opere d’arte che era solita realizzare. E anche questo ècolpa mia.

Se ne sta seduta a un tavolino di metallo, imbambolata, e stringe l’ago in quella speciedi artiglio non ancora guarito che è la sua mano. Per un attimo, mi fissa immobile,insieme al resto della famiglia. Mamma, papà e Tramy mi osservano, ma non riconosconola ragazza che stanno guardando. L’ultima volta che mi hanno vista, non sono riuscita acontrollarmi. Ero in trappola, debole, confusa. Ora sono ferita, mi devo riprendere dallebotte e dai tradimenti, ma almeno so chi sono e cosa devo fare.

Sono cresciuta, più di quanto avremmo mai potuto desiderare. Il che mi spaventa.«Mare.» Faccio fatica a sentire mia madre, che mi chiama con un filo di voce.Come a Palafitte, quando le mie scintille hanno rischiato di distruggere casa nostra, lei

è la prima ad avvicinarsi. Dopo un abbraccio che dura decisamente troppo poco, miprende per mano e mi fa accomodare su una sedia vuota.

«Siediti, bambina mia, siediti» mi invita; sento che le tremano le mani. Bambina mia.Sono anni che non mi sento chiamare così. Strano che torni fuori proprio ora che sonotutto fuorché una bambina.

Sfiora i miei nuovi vestiti, in cerca dei lividi che nascondono, come se potesse vederliattraverso la stoffa. «Sei ferita» mormora scuotendo la testa. «Non posso credere che tiabbiano lasciato camminare, dopo… be’, dopo tutto quello che hai passato.»

In cuor mio, sono lieta che non nomini Naercey, l’arena o i fatti precedenti. Non credodi essere abbastanza forte da poterli rivivere, non così presto.

Mio padre ridacchia sommessamente. «Non è una questione di lasciar fare. Lei puòfare quello che vuole.» Si muove un po’ e mi accorgo che ha i capelli più grigi che mai. Èdimagrito e sembra addirittura più piccolo, nella solita vecchia sedia a rotelle. «Propriocome Shade.»

Shade è argomento comune e mi viene più facile parlare di lui. «L’avete visto?» chiedo,mentre mi rilasso contro lo schienale di metallo freddo. Stare seduti è davvero piacevole.

Tramy si tira su dal letto a castello e per poco non sfiora il soffitto con la testa. «Stavoper andare proprio ora in infermeria. Ma volevo prima accertarmi che stessi…»

“Bene” è una parola che non appartiene più al mio vocabolario. «… ancora in piedi.»Posso solo annuire. Se apro bocca, rischio di spiattellare tutto quanto e raccontare

della sofferenza, del freddo, del principe che mi ha tradita, di quello che mi ha salvata,della gente che ho ucciso. E anche se la mia famiglia probabilmente già lo sa, io nonriesco ad ammettere quello che ho fatto. Non voglio vederli delusi, disgustati, spaventatida me. Stanotte non potrei sopportare anche questo.

Bree mi tira una pacca burbera ma affettuosa sulla schiena, prima di seguire Tramyfuori dalla porta. Kilorn resta lì in silenzio, appoggiato alla parete, come se volessecaderci dentro e scomparire.

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«Hai fame?» chiede mia madre, tutta indaffarata a rovistare in una sottospecie diarmadietto. «Abbiamo tenuto da parte un po’ di cibo, se ti va.»

Benché non ricordi nemmeno quand’è stata l’ultima volta che ho mangiato qualcosa,scuoto la testa. Sono talmente stremata che non riesco a pensare ad altro che a dormire.

Gisa se ne accorge e mi scruta con attenzione. Dietro un orecchio si sistema una cioccadi capelli rossi e folti, del colore del nostro sangue. «È meglio che tu dorma un po’»afferma con tanta sicurezza che mi chiedo chi sia la vera sorella maggiore, tra noi due.«Lasciatela riposare.»

«Ma certo, hai ragione.» Ancora una volta, la mamma mi prende per mano, mi faalzare dalla sedia e mi guida verso la brandina con il maggior numero di cuscini. Siprende cura di me e intanto armeggia con le coperte leggere, mentre io mi facciotrasportare dai suoi movimenti. Ho a malapena la forza di seguirla e lascio che mirimbocchi le lenzuola come non ha mai fatto prima d’ora. «Ecco qui, bambina mia,dormi.»

Bambina mia.Sono settimane che non mi sento così al sicuro, circondata dalle persone a cui voglio

più bene, eppure non ho mai avuto tanta voglia di piangere come in questo momento.Per loro, mi trattengo. Mi raggomitolo su me stessa e sanguino dentro, da sola, dovenessuno può vedermi.

Non ci metto molto ad appisolarmi, nonostante le luci accese e il brusio di sottofondo.Sento il rombo della voce profonda di Kilorn, che ha ripreso a parlare, ora che sono ormaifuori dai giochi.

«Tenetela d’occhio» è l’ultima cosa che colgo, prima di scivolare nell’oblio.A un certo punto della notte, a metà tra la veglia e il sonno, mio padre mi prende la

mano. Non per svegliarmi, ma solo per starmi vicino. Per un attimo, credo che si tratti diun sogno e mi sembra di essere tornata nella cella sotto il Circo delle ossa. Ho lasensazione che la fuga, l’arena e le esecuzioni fossero soltanto un incubo che ben prestodovrò rivivere. Ma la sua mano è calda, nodosa, familiare, e la stringo forte. È reale.

«So cosa vuol dire uccidere qualcuno» sussurra con sguardo distante; i suoi occhi sonodue puntini di luce nell’oscurità della camerata. Ha una voce diversa, ed è diverso anchelui, in questo momento. È il riflesso di un soldato, sopravvissuto troppo a lungo nelleviscere della guerra. «So cosa ti fa.»

Cerco di dire qualcosa. Almeno ci provo.Ma alla fine lo lascio andare e scivolo via, alla deriva.

Il mattino seguente mi sveglia l’odore intenso dell’aria salmastra. Qualcuno haspalancato la finestra, da cui entrano i raggi brillanti del sole e una fresca brezzaautunnale. Il temporale è passato. Prima di aprire gli occhi, faccio uno sforzo diimmaginazione: sono nel letto di casa mia, la frescura che sento viene in realtà dal fiumee l’unica scelta che dovrò fare oggi è decidere se andare a scuola oppure no. Be’, a esseresinceri, l’idea non mi alletta molto. Per quanto fosse più facile, non tornerei a fare quellavita, neanche se potessi.

Ho dei compiti da portare a termine. Devo occuparmi della lista di Julian e iniziare i

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preparativi per questa imponente impresa. E se richiedessi l’aiuto di Cal? Chi sono loroper negarmelo? Chi potrebbe dire di no alla possibilità di salvare così tante persone dallegrinfie di Maven?

Qualcosa mi dice che l’uomo dall’occhio insanguinato potrebbe, ma scaccio via quelpensiero.

Gisa si spaparanza sulla brandina di fronte alla mia e con la mano buona si mette arimuovere alcuni fili da un pezzo di stoffa nero. Non si degna nemmeno di guardarmi,mentre mi stiracchio, facendo scricchiolare anche qualche osso.

«Buongiorno, bambina mia» mi saluta, senza nascondere un sorrisetto beffardo.Per tutta risposta, si becca una cuscinata in faccia. «Non cominciare» brontolo, ma in

realtà sono contenta che mi prenda un po’ in giro. Se solo Kilorn facesse altrettanto e sicomportasse come l’apprendista pescatore che era un tempo.

«Sono tutti in mensa. Stanno ancora servendo la colazione.»«Dov’è l’infermeria?» chiedo, pesando a Shade e Farley. Per il momento, lei è una delle

migliori alleate che ho, in questo posto.«Devi mangiare, Mare» risponde Gisa tagliente, e si tira su a sedere. «Dico sul serio.»La preoccupazione che leggo nei suoi occhi mi fa restare di stucco. Devo avere un

aspetto davvero terribile, se Gisa mi tratta in modo così gentile. «Okay, allora dov’è lamensa?»

Mentre si alza in piedi, sbuffa e lancia la sua nuova creazione sul letto. «Lo sapevo chemi sarebbe toccato farti da babysitter» si lamenta spazientita; in momenti come questi,mi ricorda molto nostra madre. Stavolta schiva il cuscino.

Ormai ci muoviamo rapidamente in quel labirinto che è la caserma. Adesso, almeno,rammento la strada e memorizzo le porte davanti a cui passiamo. Alcune sono aperte eall’interno si intravedono camerate vuote o gruppetti di rossi intenti a bighellonare. Lacaserma numero tre sembra una struttura “per famiglie”. Le persone che vivono qui nonmi paiono soldati della Guardia, anzi sono convinta che la maggior parte non sia neanchemai stata coinvolta in una rissa in vita sua. Ci sono tracce di bambini, alcuni addiritturaneonati, che si sono rifugiati in questo posto con le loro famiglie o che comunque sonostati portati sull’isola. Una stanza in particolare è strapiena di giochi vecchi e rotti; lepareti sono state dipinte alla bell’e meglio di un giallino cadaverico, nel tentativo diravvivare un po’ il cemento. Sulla porta non c’è scritto niente, ma intuisco lo stesso a chisia destinata la camera. Orfani. Distolgo subito lo sguardo, pur di non vedere quellagabbia per fantasmi viventi.

Lungo tutto il soffitto scorre un sistema di tubazioni e cavi che trasmettono impulsi dicorrente lenti e costanti. Non so cosa alimenti l’isola, ma il ronzio profondo mitranquillizza, perché mi ricorda chi sono. Questo almeno non me lo possono togliere,non qui, così lontano dal potere silente dell’ormai defunto Arven, nel rendere inermi gliargentei. Ieri per poco non mi ha uccisa, dopo aver disattivato la mia abilità con la sua,facendomi tornare la semplice ragazzina rossa con la terra sotto le unghie e nient’altro.Nell’arena, non ho avuto neanche il tempo di preoccuparmi per una prospettiva simile,ma ora l’idea mi terrorizza. La mia abilità è il bene più prezioso che ho, malgrado miallontani da chiunque altro. Ma per il potere, il mio potere, sono disposta a pagare questo

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prezzo.«Cosa si prova?» domanda Gisa, che segue il mio sguardo lungo il soffitto. Si

concentra sui cavi, nel tentativo di comprendere quello che sento, ma invano. «Chesensazione dà la corrente?»

Non so cosa rispondere. Julian riuscirebbe a spiegarlo senza problemi, e magariintanto si metterebbe pure in discussione, descrivendo in maniera dettagliata la nascita el’evoluzione delle varie abilità. Ma proprio ieri Maven mi ha comunicato che il miovecchio insegnante non è riuscito a scappare. È stato catturato. E conoscendo Maven, pernon parlare di Elara, è molto probabile che Julian sia morto, giustiziato per avermiaiutato e per dei crimini da lui commessi tanto tempo fa. Per essere il fratello dellaragazza di cui il vecchio re era davvero innamorato.

«Potere» rispondo infine, mentre spalanco la porta che dà sul mondo esterno. L’ariasalmastra mi travolge e mi scompiglia i capelli arruffati. «Forza.»

Parole argentee, ma tutto sommato vere.Gisa non è tipa da lasciarmi in pace così facilmente, eppure si zittisce. Ha capito che

non ho la minima voglia di rispondere alle sue domande.Alla luce del giorno, Tuck sembra al tempo stesso più e meno sinistra. Il sole splende

sulle nostre teste, riscalda il venticello autunnale e, al di là della caserma, i ciuffi di erbaalta cedono il passo a un gruppetto sparuto di alberi. Nulla a che vedere con le querce e ipini di Palafitte, ma per il momento mi posso accontentare. Gisa mi guida e insiemeattraversiamo il cortile di cemento e ci facciamo largo nel frenetico viavai delle varieattività mattutine. Gli uomini della Guardia, con le loro fasce rosse, scaricano containerdalle navi e impilano casse come quelle che ho visto all’interno del sommer. Rallento unpo’, sperando di riuscire a scorgere la merce che trasportano, però strani soldati dalleuniformi diverse dal solito attirano la mia attenzione. Le loro divise sono blu, ma non delcolore acceso del casato Osanos, bensì di una tonalità fredda e scura. Mi dice qualcosa,eppure non riesco a collocarla. Gli uomini assomigliano a Farley, alti e pallidi, con icapelli biondo chiaro tagliati molto corti. Sono stranieri, mi rendo conto. Supervisionanole pile di casse con i fucili imbracciati, pronti a difendere la merce.

Ma da chi?«Non guardarli» bisbiglia Gisa, che mi prende per la manica e mi trascina via, ansiosa

di allontanarsi dai soldati vestiti di blu. Uno in particolare ci scruta con sguardo torvomentre ce ne andiamo.

«Perché no? Chi sono?»Lei scuote la testa e continua a strattonarmi. «Non qui.»Naturalmente, vorrei fermarmi a fissare il soldato finché non realizza chi e cosa sono.

Ma è un bisogno sciocco e infantile. Devo preservare la mia copertura e sembrare lapovera ragazzina sopraffatta dal mondo, così lascio che Gisa mi porti via.

«Sono gli uomini del colonnello» sussurra appena fuori dalla portata di orecchieindiscrete. «Sono venuti insieme a lui dal Nord.»

Dal Nord. «Sono lacustri?» ribatto sbigottita. Lei annuisce, impassibile.Ora sì che il colore delle uniformi, lo stesso dei freddi laghi nordici, ha un senso. Sono

i soldati di un altro esercito, al servizio di un altro re, eppure sono qui, con noi. È un

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secolo che Norda e le Terre dei Laghi sono in guerra e si contendono territori, cibo egloria. I re del fuoco contro i re dell’inverno, mentre nel mezzo scorre sia sangue rossosia argenteo. Ma l’alba, a quanto pare, arriverà per tutti.

«Il colonnello è un lacustre. Dopo quello che è successo ad Archeon…» abbozza unasmorfia di dolore, anche se non sa neanche la metà di quello che ho passato laggiù «… èvenuto a “sistemare le cose”, secondo Tramy.»

Qui c’è qualcosa che non va e che cattura la mia attenzione, come Gisa, che continua atirarmi per la manica. «Chi è il colonnello, Gisa?»

Mi ci vuole un attimo per rendermi conto che abbiamo raggiunto la mensa, un edificiopiatto proprio come le altre caserme. Dietro la porta, si sente il brusio della gente intentaa far colazione, ma non entriamo. Anche se l’odore del cibo mi fa brontolare lo stomaco,aspetto che Gisa risponda.

«È l’uomo dall’occhio insanguinato» si decide finalmente a parlare. «Ha preso lui ilcomando, ora.»

Il comando. Shade aveva sussurrato quella parola, quando eravamo nel sommer, manon ci avevo dato molto peso. È questo che intendeva dire? Stava cercando di mettermi inguardia dal colonnello? Dopo lo sgradevole trattamento riservato a Cal ieri sera, direiproprio di sì. E l’idea che un uomo del genere sia al comando dell’isola e di tutte lepersone che ci sono sopra non mi è di grande conforto.

«Quindi Farley è disoccupata?»Gisa alza le spalle. «Il capitano Farley ha fallito. E a lui non è piaciuto.»Allora mi odierà.Allunga la manina per aprire la porta. L’altra è guarita meglio di quanto pensassi; solo

l’anulare e il mignolo sono ancora piegati in modo bizzarro verso l’interno. Si è giocata leossa molto tempo fa, come castigo per essersi fidata della sorella.

«Dove hanno portato Cal?» La mia voce è talmente bassa che temo non mi abbiasentita. Ma ecco che la mano si blocca sulla maniglia.

«Parlavano di lui ieri notte, quando sei andata a letto. Kilorn non lo sapeva, ma Tramy èandato a vederlo. A guardare.»

Sento una fitta lancinante al cuore. «A guardare cosa?»«Ha detto “solo domande”, per il momento. Nulla di doloroso.»Mi incupisco. Mi vengono in mente una serie di domande che a Cal farebbero più male

di qualsiasi dolore fisico. «Dove?» ripeto con una punta di asprezza, come parlerebbeun’autentica principessa argentea.

«Caserma numero uno» mormora Gisa. «Li ho sentiti dire “caserma numero uno”.»Mentre apre la porta della mensa, io guardo altrove e osservo la fila di strutture che si

susseguono fino a dove iniziano gli alberi. I numeri delle varie caserme sono evidenti,dipinti di nero sulle pareti di cemento sbiadite dal sole: 2, 3, 4…

Un brivido improvviso mi percorre la schiena.La caserma numero uno non c’è.

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6

La maggior parte del cibo è una brodaglia grigia e insipida, servita con acqua tiepida.Solo il pesce è buono: merluzzo che viene dritto dal mare. Sa di sale e oceano, propriocome l’aria. Kilorn è sorpreso e si chiede svogliatamente che tipo di reti utilizzino gliuomini della Guardia per pescarlo. “Ci siamo finiti noi, nella rete, cretino” mi verrebbeda gridare, ma la mensa non è il luogo adatto per usare certe parole. Qui dentro ci sonoanche i lacustri, impassibili nelle loro divise blu scuro. Mentre gli uomini della Guardia,dalle uniformi rosse, mangiano insieme al resto dei rifugiati, i lacustri non si siedonomai, sempre all’erta. Mi ricordano gli agenti di sicurezza e avverto un brivido familiare.Tuck non è poi così diversa da Archeon: varie fazioni che competono per il predominio,mentre io sono proprio nel mezzo. E Kilorn, il mio amico di una vita, non crede che siauna situazione pericolosa. O, peggio, forse l’ha capito… e non gli importa.

Il mio silenzio persiste; apro la bocca solo per addentare, di tanto in tanto, dei pezzettidi pesce. Mi tengono sotto controllo, come richiesto. Mamma, papà, Kilorn e Gisa fannotutti finta di non fissare, ma non ci riescono. I ragazzi non ci sono, sono ancora da Shade,in infermeria. Come me, lo credevano morto e ora vogliono recuperare il tempo perduto.

«Allora, come siete arrivati qui?» Le parole mi si fermano in gola, ma le spingo fuori.Meglio che sia io a fare domande, prima che ci si mettano loro.

«In nave» risponde papà in modo brusco, mentre sorseggia rumorosamente lapappetta. Poi ridacchia per la battuta, tutto soddisfatto. Io abbozzo un sorriso, per farglipiacere.

Mia madre gli tira una gomitata e bofonchia infastidita: «Daniel, sai benissimo cosaintende».

«Certo, non sono mica stupido» brontola lui mentre trangugia un’altra cucchiaiata.«Due giorni fa, verso mezzanotte, Shade è apparso sulla veranda di casa. E intendoproprio apparso, così, dal nulla… puff.» Schiocca le dita per dare l’idea. «Tu lo sai, non èvero?»

«Sì.»«Per poco non ci ha fatto venire un infarto a tutti, tra l’apparizione improvvisa e il fatto

che fosse… be’, vivo.»«Immagino» commento, mentre ripenso alla mia reazione quando ho rivisto Shade.

Per un attimo, ho creduto che fossimo morti entrambi e ci ritrovassimo in un postolontano da tutta quella follia. E invece, proprio come me, Shade era semplicementediventato qualcun altro… anzi, qualcos’altro… pur di sopravvivere.

Mio padre continua a parlare, ormai è letteralmente senza freni. La sedia oscilla avantie indietro e le ruote stridono, mentre lui si agita e compie movimenti convulsi.«Insomma, quando vostra madre ha smesso di piangere, lui si è messo all’opera. Ha

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iniziato a buttare della roba in una sacca, roba del tutto inutile: la bandiera che stavasulla veranda, le foto, la tua scatola delle lettere. Non aveva davvero il minimo senso, maè dura chiedere spiegazioni a un figlio appena tornato in vita. Quando ci ha detto chedovevamo partire subito, all’istante, ho capito che non scherzava. E così siamo partiti.»

«E come avete fatto con il coprifuoco?» I provvedimenti sono un ricordo ancora nitidonella mia testa, unghie conficcate nella pelle che bruciano ancora. Impossibile nonpensarci, dopo essere stata obbligata ad annunciarli io stessa… «Potevano uccidervi!»

«Avevamo Shade e il suo… il suo…» Papà si arrovella, in cerca della parola giusta, eintanto continua a gesticolare.

Gisa alza gli occhi al cielo, annoiata dalle pagliacciate di nostro padre. «Lo chiama“salto”, ricordi?»

«Esatto.» Annuisce. «Shade ci ha fatto evitare le ronde con un salto e ci siamo ritrovatinel bosco. Da lì, ci siamo diretti verso il fiume e abbiamo preso una nave. Vedi, la mercepuò ancora viaggiare di notte, e così siamo finiti dentro una cassa di mele e ci siamorimasti per chissà quanto tempo.»

La mamma fa una smorfia al ricordo. «Mele marce» specifica. Gisa ridacchia e papàabbozza un sorriso. Per un attimo, è come se quella porcheria grigia fosse il terribilestufato di mia madre e le pareti di cemento fossero in realtà di legno grezzo. Eccoci qui: iBarrow a cena. Siamo tornati a casa e io sono solo Mare.

Lascio che passino i secondi e intanto ascolto e sorrido. La mamma chiacchiera comeuna macchinetta, così non devo essere io a parlare e posso mangiare in santa pace. Siprodiga addirittura a far distogliere gli sguardi fissi su di me delle persone nella mensa,fulminando chiunque osi buttare l’occhio nella mia direzione; ho provato sulla pellequell’occhiataccia. Anche Gisa fa la sua parte nel distrarre Kilorn con gli ultimiaggiornamenti su Palafitte. Lui ascolta con interesse e lei si mordicchia il labbro,contenta di avere la sua completa attenzione. Mi sa che la cotta non le è ancora passatadel tutto. Ormai resta solo papà, che è alla seconda porzione di sbobba e la trangugia contrasporto. Mi fissa da sopra il bordo della scodella e intravedo l’uomo che era un tempo.Alto, forte, un soldato fiero, una persona che ricordo a malapena, così diversa da ciò cheappare ora. Ma, proprio come me, Shade e la Guardia Scarlatta, papà non è la poverapiccola cosa che sembra. Nonostante la sedia a rotelle, la gamba mancante e il ticchettiodell’apparecchio che ha nel petto, ha comunque visto più battaglie della maggior partedelle persone ed è sopravvissuto più a lungo. Ha perso la gamba e un polmone appenatre mesi prima del congedo, dopo quasi vent’anni di servizio. In quanti ci arrivano?

Sembriamo deboli perché vogliamo dare quest’impressione. Forse non sono parole di Shade,ma di nostro padre. Mentre io ho appena preso possesso della mia forza, lui, da quando ètornato a casa, nasconde la sua. Ricordo quello che mi ha detto stanotte, nel dormiveglia.So cosa vuol dire uccidere qualcuno. Non lo metto minimamente in dubbio.

Che strano, il cibo mi ricorda Maven. Non tanto il sapore, quanto l’atto in sé delmangiare. Ho consumato il mio ultimo pasto seduta al suo fianco, nel palazzo di suopadre. Abbiamo bevuto in calici di cristallo e il manico della forchetta era di madreperla.Seppure circondati da servitori, eravamo molto soli. Non potevamo parlare della notte avenire, ma continuavo a lanciargli occhiate furtive, nella speranza di non farmi prendere

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dal panico. Mi trasmetteva una tale forza, in quel momento.Credevo che avesse scelto me e sposato la rivoluzione. Credevo che Maven fosse il mio

salvatore, una benedizione. Credevo in quello che ci avrebbe aiutato a fare.Aveva gli occhi di un azzurro intenso, alimentati da un tipo di fuoco diverso. Una

fiamma famelica, feroce e stranamente fredda, venata di paura. Credevo che temessimoentrambi per la causa, e l’uno per l’altra. Ma mi sbagliavo.

Con un gesto lento, allontano il piatto di pesce, che gratta contro il tavolo. Basta così.Il rumore attira l’attenzione di Kilorn come un campanello d’allarme, e lui si gira di

scatto a guardarmi.«Già finito?» domanda, mentre getta un’occhiata agli avanzi della mia colazione.Per tutta risposta, mi alzo e lui schizza in piedi insieme a me, come un cagnolino che

obbedisce agli ordini. Ma non ai miei. «Possiamo andare in infermeria?»Possiamo, noi. Scelgo le parole con cura, per gettagli fumo negli occhi e fargli scordare

chi e cosa sono ora.Lui annuisce e fa un sorrisone. «Shade migliora a vista d’occhio. Che ne dite, famiglia

Barrow, vi va di fare un giro?» propone mentre osserva la cosa più vicina a dei parenti cheha.

Io sgrano gli occhi. Ho bisogno di parlare da sola con Shade, di scoprire dove si troviCal e cosa abbia in serbo il colonnello per lui. Per quanto mi sia mancata la mia famiglia,non faranno altro che ostacolarmi. Per fortuna, mio padre lo capisce. Senza dire unaparola, muove la mano sotto il tavolo talmente in fretta che riesce a fermare mia madreprima che risponda. Lei fa un piccolo scatto sulla sedia e abbozza un sorrisettodispiaciuto. «Facciamo un salto più tardi, direi» assicura, ma le sue parole significanomolto di più. «È quasi l’ora di cambiare la batteria, non è vero?»

«Maledizione» brontola mio padre a voce alta, e getta il cucchiaio nella scodella dibrodaglia schifosa.

Gisa mi lancia un’occhiata e coglie al volo ciò di cui ho bisogno. Tempo, spazio,un’occasione per iniziare a sbrogliare quella matassa. «Devo cucire altre fasce» sospira. «Neconsumate a tutto spiano.»

Kilorn ignora la frecciatina amichevole e si mette a ridere, poi sfoggia il solitosorrisetto malandrino. «Come preferite. Da questa parte, Mare.»

Per quanto presuntuoso possa sembrare da parte mia, gli permetto di guidarmi in quelmarasma e fingo di zoppicare, stando ben attenta a tenere lo sguardo basso. Reprimol’istinto di fissare tutti quelli che mi osservano, gli uomini della Guardia, i lacustri epersino i rifugiati.

L’esperienza maturata alla corte del re ormai defunto mi torna utile in questa basemilitare, dove ancora una volta devo nascondere la mia vera identità. Allora avevo fattofinta di essere un’argentea, risoluta, intrepida, un pilastro di forza e potere di nomeMareena. Ma quella ragazza, adesso, sarebbe accanto a Cal, confinata nella casermanumero uno, che non si sa dove sia. Quindi ora devo tornare la rossa di prima, unaragazza di nome Mare Barrow, di cui nessuno dovrebbe sospettare o avere paura e chedipende da un ragazzo rosso, non essendo autonoma. L’insegnamento di Shade e di papànon è mai stato tanto chiaro.

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«Ti dà ancora fastidio la gamba?»Sono talmente concentrata a far finta di zoppicare, che quasi non sento la sua

domanda. «Non è niente» rispondo infine, stringendo le labbra per simulareun’espressione di dolore. «Ne ho passate di peggio.»

«Come quando sei saltata giù dalla veranda di Ernie Wick, per esempio?» Gli brillanogli occhi al ricordo.

Quel giorno mi sono rotta la gamba e poi ho trascorso diversi mesi con un’ingessaturache è costata a entrambi metà dei nostri risparmi. «Non è stata colpa mia.»

«Mi pare che tu abbia scelto di farlo.»«Ero stata sfidata.»«E chi mai avrebbe fatto una cosa del genere?»Si mette a ridere a crepapelle e mi sospinge a varcare una porta a due ante. Il corridoio

in cui ci ritroviamo è visibilmente più recente. La vernice sembra ancora fresca in alcunipunti. Le luci sfarfallano sopra le nostre teste. “L’impianto elettrico è difettoso” notoall’istante percependo i punti in cui l’elettricità si interrompe e si disperde. Eppure c’è uncavo del tutto integro, in cui l’energia fluisce e arriva in fondo al corridoio, per poisvoltare a sinistra. Per mio disappunto, Kilorn mi conduce verso destra.

«Di là cosa c’è?» chiedo io, indicando dalla parte opposta.Lui risponde con sincerità: «Non lo so».

L’infermeria dell’isola non è lugubre come la sala medica del sommer. Le finestre alte estrette sono spalancate, per cui l’ambulatorio è inondato d’aria fresca e luce del sole.Vedo dei camici bianchi che fanno la spola tra i pazienti, fasciati con bende candide, privedi macchie di sangue. Un lieve chiacchiericcio di sottofondo, qualche colpo di tosse epersino uno starnuto ogni tanto riempiono la stanza. Non un guaito di dolore o unoscricchiolio d’ossa a interrompere quel piacevole brusio. Nessuno qui sta morendo. Oforse sono semplicemente già morti.

Trovo Shade con estrema facilità e stavolta non fa finta di dormire. Ha la gamba ancorasollevata, ma è appesa a un’imbracatura molto più professionale e la fasciatura sullaspalla è stata cambiata di recente. È rivolto verso destra e ha un’espressione impassibile.Non riesco ancora a scorgere con chi stia parlando, perché il lettino accanto al suo èavvolto su due lati da una tendina che cela chi lo occupa. A mano a mano che ciavviciniamo, noto Shade muovere rapidamente le labbra e bisbigliare paroleindecifrabili.

Appena mi vede, smette di colpo e io mi sento tradita.«C’erano i bruti qui con me, fino a un attimo fa. Non vi siete beccati per un pelo»

esclama, mentre si sistema sul lettino per farmi spazio. Un infermiere fa per aiutarlo, maShade gesticola con la mano ferita e lo manda via.

I “bruti” è il vecchio nomignolo con cui chiamava i nostri fratelli. Shade, crescendo, èrimasto piuttosto esile e Bree lo trattava come un sacco da boxe. Tramy era più gentilecon lui, ma seguiva pur sempre le orme grossolane di Bree. Poi, con il passare del tempo,Shade è diventato abbastanza scaltro e veloce da sfuggire a entrambi e mi ha insegnato afare altrettanto. Non escludo che li abbia appena scacciati per avere un po’ di privacy e

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parlare liberamente con me… e con chiunque ci sia dietro quella tendina.«Meglio così. Cominciavano già a darmi sui nervi» ribatto con un sorrisetto bonario.A occhi estranei, sembriamo due fratelli contenti di rivedersi. Ma Shade non è così

ingenuo e si rabbuia quasi subito, mentre mi avvicino ai piedi del suo letto. Si accorgedella mia zoppicata fasulla e mi fa un cenno impercettibile con il capo. Io rispondo allostesso modo. Messaggio ricevuto, Shade, forte e chiaro.

Proprio quando sto per chiedergli di Cal, una voce mi interrompe. Appena la sentoparlare, serro i denti e mi impongo di mantenere la calma.

«Allora, ti piace Tuck, sparafulmini?» mi chiede Farley dal suo lettino appartatoaccanto a quello di Shade. Si tira su a sedere rivolta verso di me, con le gambe apenzoloni ed entrambe le mani strette sulle lenzuola. Una smorfia di dolore attraversa ilsuo bel viso, deturpato da una cicatrice.

È una domanda facile da aggirare. «Non lo so ancora.»«E il colonnello? Lui ti piace?» aggiunge, abbassando la voce. Ha uno sguardo

circospetto, imperscrutabile. Non c’è modo di intuire cosa voglia sentirsi dire. Così,invece di rispondere, scrollo le spalle e mi metto a sistemare le coperte di Shade.

Lei increspa le labbra in una specie di sorriso. «Fa una certa impressione, la primavolta che lo si vede. Deve sempre dimostrare di avere il pieno controllo della situazione,soprattutto davanti a persone come voi due.»

In un battibaleno, aggiro il lettino di Shade e mi frappongo tra lei e mio fratello. Nelladisperazione, mi dimentico di zoppicare. «È per questo che ha portato via Cal?» Le parolemi escono rapide e taglienti. «Non poteva sopportare che un guerriero come lui glironzasse intorno, facendolo sfigurare?»

Farley abbassa lo sguardo, come se si vergognasse. «No» mormora. Sembra quasi chesi voglia scusare, ma per cosa, non lo so ancora. «Non è per questo che ha portato via ilprincipe.»

Il germe della paura mi si insinua nel petto. «Allora perché? Cos’ha fatto di male?»Ma Farley non ha il tempo di rispondere.Uno strano silenzio cala nell’ambulatorio e avvolge gli infermieri, il mio cuore e le

parole di Farley. Non riusciamo a scorgere la porta, nascosta dalla tendina intorno al suoletto, ma sento il rumore degli stivali che marciano veloci verso di noi. Li intravedoattraverso lo spazio tra il bordo della tenda e il pavimento. Sono di pelle nera, sporchi disabbia, e si avvicinano rapidamente. Persino Farley trema alla vista e affonda le unghienel lettino. Kilorn si stringe a me e cerca di nascondermi con la sua stazza, mentre Shadefa del suo meglio per tirarsi su a sedere.

Benché ci troviamo in un reparto pieno di rossi feriti e miei cosiddetti alleati, unapiccola parte di me fa comunque appello al fulmine. L’elettricità mi divampa nelle vene, amia disposizione, se mai ne avessi bisogno.

Il colonnello fa il giro della tendina, l’occhio rosso sbarrato in uno sguardo fisso. Conmia sorpresa, è concentrato su Farley e, per il momento, mi risparmia. I suoi scagnozzi –lacustri, a giudicare dal colore delle uniformi – sono la versione triste e pallida di miofratello Bree: un ammasso di muscoli, alti come alberi e obbedienti. Con gesti studiati,prendono posto accanto al colonnello, ai piedi dei lettini di Shade e Farley, mentre lui si

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piazza a metà, per bloccare la strada a me e Kilorn. Dimostra di avere il controllo dellasituazione.

«Provavi a nasconderti, capitano?» chiede il colonnello, e scosta con un dito la tendinaintorno al letto di Farley. Lei s’irrigidisce per l’insinuazione e per come l’ha chiamata. Equando lui arriccia il naso, in segno di disprezzo, lei si fa piccola piccola. «Sei abbastanzaintelligente da sapere che non basta un pubblico di spettatori per proteggerti.»

«Ho cercato di fare tutto quello che mi hai chiesto, il difficile e l’impossibile» ribatte.Le tremano le mani, non tanto per la paura, quanto per la rabbia. «Mi hai assegnato uncentinaio di soldati per rovesciare Norda, un intero paese. Cosa ti aspettavi, colonnello?»

«Mi aspettavo che tornassi con più di ventisei uomini.» Lui le risponde a tono e ci vagiù pesante. «Mi aspettavo che fossi più astuta di un principino di diciassette anni. Miaspettavo che proteggessi i tuoi soldati, non che li mandassi a morire nella tana del lupo.Mi aspettavo molto di più da te, Diana, molto più di quanto hai fatto.»

Diana. Quel nome è il colpo di grazia. Il suo vero nome.I fremiti di rabbia si trasformano in vergogna. Farley è ormai ridotta a un involucro

vuoto e si fissa i piedi, ancorati al pavimento. Conosco bene quello sguardo, è lo sguardodi un’anima frantumata. In una condizione del genere, se provi a parlare o a muoverti,crolli a pezzi. Lei sta già iniziando a sgretolarsi, demolita dal colonnello, dalle sue parolee dal sentirsi chiamare con il proprio nome di battesimo.

«Sono stata io a convincerla, colonnello.»Una parte di me vorrebbe che mi tremasse la voce, per far credere a quell’uomo che lo

temo. Ma ho affrontato ben peggio di un soldato con un caratteraccio e un occhioinsanguinato. Molto, ma molto peggio.

Spingo Kilorn di lato, con gentilezza, e mi faccio avanti.«Ho garantito io per Maven e il suo piano. Se non fosse stato per me, tutti quegli

uomini e donne sarebbero ancora vivi. Sono le mie mani, non quelle di Farley, a esseresporche del loro sangue.»

Per mia sorpresa, il colonnello si limita a sghignazzare per il mio sfogo. «Non giratutto intorno a te, signorina Barrow. Il mondo non sorge e tramonta al tuo comando.»

Non è quello che intendevo. Suona ridicolo, persino nella mia testa.«Questi errori sono di Diana e di nessun altro» prosegue, voltandosi a guardare Farley.

«Ti sollevo dall’incarico. Hai qualcosa da ridire?»Per una frazione di secondo, sembrerebbe proprio di sì. Ma poi abbassa la testa e lo

sguardo, e si ritira in se stessa. «Nossignore.»«Questa è la migliore decisione che tu abbia preso nelle ultime settimane» infierisce,

poi si volta per andarsene.Ma lei non ha ancora finito e alza di nuovo lo sguardo. «Che ne è della mia missione?»«Missione? Quale missione?» Il colonnello sembra più incuriosito che arrabbiato,

mentre punta l’occhio buono su di lei. «Non sono stato informato di nuovi ordini.»Farley si gira a guardarmi e sento una strana affinità con lei. Benché sconfitta, sta

continuando a lottare. «La signorina Barrow ha avanzato una proposta interessante, cheho intenzione di perseguire. Sono certa che il comando sarà d’accordo.»

Per poco non faccio un sorrisone a Farley, entusiasta per la sua dichiarazione, sbattuta

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in faccia a un avversario del genere.«Di che proposta si tratta?» domanda il colonnello, che raddrizza le spalle e mi

squadra. Da quella distanza, riesco a distinguere in modo chiaro le venature di sangueche si muovono lente nel suo occhio, come nuvole nel vento.

«Mi è stata affidata una lista di nomi. Di rossi come me e mio fratello, nati con unamutazione che attiva le nostre… abilità.» Devo convincerlo, devo. «Possiamo trovarli,proteggerli, addestrarli. Sono rossi come noi, ma forti come degli argentei, in grado dicombatterli apertamente. Forse addirittura così potenti da vincere la guerra.» Esalo unrespiro tremolante, pensando a Maven. «Il re è a conoscenza della lista e di certo liucciderà tutti, se non li troviamo prima noi. Non può ignorare un’arma così pericolosa.»

Il colonnello resta un po’ in silenzio e digrigna i denti, mentre riflette. Continua amuoversi senza sosta e si mette persino a giocherellare con una catenina sottile, nascostasotto il colletto. Lancio un’occhiata agli anellini dorati tra le sue dita: un oggetto di valoreche nessun soldato dovrebbe indossare. Mi chiedo a chi l’abbia rubato.

«E chi ti avrebbe fornito questi nomi?» domanda infine, con un tono di voce piatto edifficile da interpretare. Per essere un bruto, è incredibilmente bravo a nascondere ipropri pensieri.

«Julian Jacos.» Mi vengono le lacrime agli occhi al solo pronunciare il suo nome, manon le lascerò scendere.

«Un argenteo» commenta il colonnello con fare irrisorio.«Un simpatizzante» ribatto infastidita dal suo atteggiamento. «È stato arrestato per

aver salvato il capitano Farley, Kilorn Warren e Ann Walsh. Ha aiutato la GuardiaScarlatta, si è schierato con noi. Ed è probabilmente morto per questo.»

Il colonnello assume una posizione più comoda e continua a guardarmi in cagnesco.«Oh, il tuo Julian è vivo e vegeto.»

«È ancora vivo? Davvero?» esclamo sbigottita. «Ma Maven ha detto che l’avrebbeucciso…»

«Strano, non è vero? Che re Maven lasci in vita un simile traditore?» Si prende giocodel mio stupore. «Per come la vedo io, il tuo Julian non è mai stato dalla tua parte. Ti hafornito la lista perché tu la passassi a noi, per coinvolgere la Guardia in un inseguimentoinutile che non può che sfociare in un’altra trappola.»

Chiunque può tradire chiunque. Ma mi rifiuto di pensarlo, nel caso di Julian. Lo conoscoquel tanto che basta per sapere dove giace la sua vera lealtà: con me, Sara e chiunquevoglia contrastare la regina che ha ucciso sua sorella.

«E anche se, e sottolineo se, la lista fosse attendibile e conducesse davvero ad altri…»cerca la parola giusta, senza sforzarsi minimamente di essere gentile «… “cosi” come voi,che dovremmo fare? Battere sul tempo gli agenti più temibili del regno, cacciatorimigliori e più veloci di noi, pur di trovare i tuoi simili? Per poi tentare un esodo di massadi coloro che riusciamo effettivamente a salvare? E magari dovremmo pure fondare unascuola per quegli scherzi della natura e metterci, se va bene, degli anni per addestrarli acombattere? Ignorando tutto il resto, tutta la sofferenza, i bambini soldato, leesecuzioni… tutto questo per loro?» Scuote la testa e contrae il fascio di muscoli delcollo. «Prima che riusciamo a guadagnare un po’ di terreno grazie alla tua proposta, la

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guerra sarà già finita da un pezzo e i nostri corpi freddi.» Poi lancia un’occhiata a Farley,infervorato. «Il resto del comando direbbe esattamente la stessa cosa, Diana, quindi, ameno che tu non voglia fare di nuovo la figura della stupida, ti suggerisco di tacere alriguardo.»

Ogni sua frase mi arriva addosso come una martellata, che mi abbatte e miridimensiona. Su alcuni punti ha ragione. Maven manderà i suoi uomini migliori a darela caccia ai membri della lista e cercherà di fare tutto di nascosto, il che lo rallenterà, manon di molto. Il nostro sarebbe senz’altro un compito difficile da portare a termine. Mase ci fosse anche solo una possibilità di trovare un altro soldato come me e Shade, non nevarrebbe forse la pena?

Apro la bocca per dirgli proprio questo, ma lui alza una mano e mi blocca. «Nonvoglio sentire altro, signorina Barrow. E prima di fare qualche commento sprezzanteperché sto cercando di fermarti, ricordati il giuramento. Hai promesso fedeltà allaGuardia Scarlatta, non ai tuoi fini egoistici.» Indica la stanza piena di soldati feriti peraver combattuto per me. «E se le facce di questi uomini non dovessero bastare a tenertiin riga, pensa al tuo amico e alla sua situazione.»

Cal. «Non oseresti fargli del male.»L’occhio insanguinato si incupisce e si tinge di un rosso vermiglio, il colore della

rabbia. «Certo che sì, invece, pur di proteggere la mia gente.» Poi distende appena losguardo e si lascia sfuggire un sorrisetto beffardo. «Proprio come hai fatto anche tu.Pensaci bene, signorina. Per raggiungere i tuoi scopi hai ferito delle persone, primo tratutti il principe.»

Per un attimo, è come se mi si offuscasse la vista di sangue. Vedo tutto rosso e provouna rabbia indescrivibile. Le scintille si concentrano sulla punta delle dita e mi sfrigolanosotto la pelle, ma stringo forte i pugni e le trattengo. Quando mi si schiarisce la vista,l’unico segnale evidente della mia collera sono le luci che lampeggiano sulle nostre teste.Ma, nel frattempo, il colonnello se n’è andato, lasciandoci lì a cuocere nel nostro brodo.

«Vacci piano, sparafulmini» bisbiglia Farley con dolcezza; non l’ho mai sentita parlarein quel modo prima d’ora. «Non siamo messi poi così male.»

«Ah, no?» ribatto a denti stretti. Non desidero altro che scoppiare, lasciare andare lamia vera io e mostrare a quei deboli con chi hanno a che fare in realtà. Ma in questomodo mi beccherei una detenzione, nella migliore delle ipotesi, e un proiettile nellapeggiore. E dovrei morire con la consapevolezza che il colonnello aveva ragione. Ho giàprovocato talmente tanta sofferenza, e sempre alle persone a me più vicine. “In nome diciò che credevo giusto” dico a me stessa. “Per migliorare le cose.”

Invece di piangersi addosso, Farley raddrizza la schiena, si rimette a sedere sul letto emi osserva fremere di rabbia. Lo sguardo da bambina imbarazzata che aveva fino a unattimo fa scompare con una facilità disarmante. Un’altra maschera. Si porta una mano alcollo e tira fuori una catenina d’oro simile a quella del colonnello. Prima che abbia iltempo di pensare alla coincidenza, scorgo qualcosa che pende dalla collana. Una chiavedi ferro a punta. Non ho bisogno di chiedere quale serratura apra. Quella della casermanumero uno.

Farley mi lancia la chiave con aria spensierata, mentre un sorrisetto svogliato le

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illumina il viso.«Come avrai notato, sono incredibilmente brava a dare ordini e particolarmente scarsa

nel seguirli.»

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7

Mentre usciamo dall’infermeria e ci dirigiamo verso il cortile di cemento, Kilorn non faaltro che brontolare e camminare lentamente, costringendomi persino a rallentare. Iocerco di ignorarlo, per il bene di Cal e per la causa, ma quando gli sento pronunciare laparola “assurdo” per la terza volta consecutiva, sono costretta a fermarmi.

Lui mi finisce addosso. «Mi dispiace» afferma, ma non sembra si senta per niente incolpa.

«No, dispiace più a me» ribatto e mi volto a guardarlo. Mi torna su un po’ della rabbiache ho provato nei confronti del colonnello e sento una vampata di calore sulle guance.«Mi dispiace che tu non riesca a smettere di rompere manco per due minuti, in modo darenderti conto di cosa stia accadendo esattamente.»

Mi aspetto che mi gridi contro, che mi risponda a tono come al solito. E invece inspirae fa un passo indietro, compiendo uno sforzo immane per mantenere la calma.

«Mi credi davvero tanto stupido?» domanda. «Ti prego, Mare, insegnami tu.Illuminami. Cosa sai che io non so?»

Ha proprio voglia di attaccar briga, ma il cortile è troppo esposto, pieno di soldati delcolonnello, uomini della Guardia e rifugiati che vanno avanti e indietro senza sosta. Ebenché nei paraggi non ci siano sussurranti in grado di leggermi nel pensiero nételecamere pronte a registrare ogni mia mossa, resto comunque in allerta. Kilorn segue ilmio sguardo e lancia un’occhiata a un drappello di guardie che corrono a pochi metri danoi.

«Pensi che ti stiano spiando?» Per poco non si mette a sghignazzare, poi abbassa lavoce e sussurra con tono beffardo: «Ma dai, Mare. Siamo tutti dalla stessa parte».

«Tu dici?» chiedo, e lo lascio riflettere. «Hai sentito come mi ha chiamata il colonnello.“Coso”. “Scherzo della natura”.»

Kilorn arrossisce. «Non diceva sul serio.»«Già, perché tu lo conosci bene, non è vero?»Per fortuna, stavolta non ha una risposta pronta.«Mi guarda come se fossi il nemico, una specie di bomba sul punto di esplodere.»«Be’…» balbetta Kilorn, incerto delle sue stesse parole. «In fondo non ha tutti i torti,

non ti pare?»Mi giro talmente in fretta dall’altra parte che lascio una strisciata nera sul cemento con

lo stivale. Se solo potessi lasciargli un simile segno su quella faccia da ebete che si ritrova.«E dai, Mare» mi grida dietro, e nel giro di qualche passo accorcia le distanze. Ma io

continuo a camminare, mentre lui mi segue. «Aspetta, fermati. Mi è uscita male…»Mi volto un istante, solo per dirgli: «Sei davvero stupido, Kilorn Warren». La caserma

numero tre, che ora ho davanti, mi attira a sé e mi trasmette sicurezza. «Stupido, cieco e

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spietato.»«Be’, anche tu non sei certo una passeggiata!» tuona per tutta risposta, rivelandosi

finalmente per quello che è: il solito sciocco polemico. Io non aggiungo altro e faccio unoscatto verso la porta della caserma, lui mi afferra per un braccio e mi trattiene.

Cerco di divincolarmi, ma Kilorn conosce tutte le mie mosse. Mi fa allontanare dallaporta e mi trascina nel vicolo appartato a metà tra la caserma numero tre e la numeroquattro. «Lasciami andare» gli ordino indignata. Nel tono freddo e regale della mia voce,sento riemergere una parte di Mareena.

«Eccola» ringhia lui e mi punta un dito in faccia. «È proprio lei.»Gli do uno spintone e lo scaravento via, liberandomi dalla sua presa.Kilorn sospira esasperato e si passa una mano tra i capelli fulvi, che restano dritti in

piedi. «Ne hai passate di cotte e di crude, lo so. Lo sappiamo tutti. È terribile quello chehai dovuto fare per sopravvivere insieme a loro, mentre intanto ci aiutavi e cercavi dicapire cosa tu fossi. Non so come tu sia riuscita a venirne fuori. Però tutto questo ti hacambiata.»

Ma che perspicacia, Kilorn, complimenti.«Solo perché Maven ti ha tradita, non significa che tu debba smettere di fidarti delle

persone in generale.» Abbassa lo sguardo e giocherella con le mani. «Soprattutto di me.Non sono solo qualcosa dietro cui ti puoi nascondere, sono tuo amico e ti aiuterò comeposso, per tutto quello di cui avrai bisogno. Ti prego, fidati di me.»

Se solo potessi.«Vedi di crescere, Kilorn» mi scappa detto invece, in modo così brusco che lui ci resta

male. «Avresti dovuto dirmi cosa stavano architettando. Invece mi hai resa vostracomplice, mi hai costretta a guardare mentre lo trascinavano via con le armi e ora dovreifidarmi di te? Pur sapendo che ci sei dentro fino al collo? Che sei invischiato con questagente, che aspetta solo una scusa per sbattere dentro anche me? Mi credi davvero cosìstupida?»

Noto un guizzo nei suoi occhi; la sua fragilità si nasconde dietro l’atteggiamentorilassato che cerca a tutti i costi di mantenere. In fondo, è pur sempre il ragazzo che si èmesso a piangere sotto casa mia. Il ragazzo che era un tempo, che si è opposto allachiamata alle armi. Ho provato a salvarlo da quel destino e, come risultato, l’ho spintoverso un altro pericolo, la Guardia Scarlatta e una sorte altrettanto tragica.

«Capisco» dichiara infine e indietreggia, allontanandosi da me alla svelta. «Non fa unapiega» aggiunge, mentre scrolla le spalle. «Perché dovresti fidarti di me? Sono solo unpescatore. Nulla, in confronto a te, non è così? In confronto a Shade. E a quello là…»

«Kilorn Warren.» Lo rimprovero come farei con un bambino, come faceva sua madre,prima di abbandonarlo. Lei lo sgridava quando si sbucciava le ginocchia o parlava asproposito. Non ricordo molto altro di quella donna, a parte la voce e le occhiataccefulminanti e deluse che riservava soltanto al figlio. «Sai benissimo che non è vero.»

Lui raddrizza la schiena e stringe i pugni lungo i fianchi. Il suo tono si fa duro e gliesce un ringhio cupo e profondo: «Dimostralo».

A questo punto, non so cosa rispondere. Non capisco cosa voglia da me. «Mi dispiace»mormoro, e stavolta dico sul serio. «Mi dispiace se sono…»

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«Mare.» La sua mano calda sul mio braccio mi aiuta a smettere di farfugliare. Ora è inpiedi davanti a me, così vicino che sento il suo odore. Per fortuna, l’aroma del sangue èsvanito, rimpiazzato da quello del sale. Si è fatto una nuotata.

«Non devi scusarti per quello che ti hanno fatto» borbotta. «Non devi mai farlo.»«Non… non penso che tu sia stupido.»«Credo che sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto.» Dopo una lunga pausa, si

mette a ridere tra sé e sé. Poi, con un sorriso forzato sulle labbra, conclude: «Immaginoche tu abbia un piano».

«Certo. Hai intenzione di aiutarmi?»Scrolla le spalle e allarga le braccia, indicando la base militare intorno a noi. «Non che

io abbia molte alternative.»Gli do una spinta amichevole e stavolta gli strappo un sorriso sincero, che però non

dura molto.

Oltre alla chiave, Farley mi ha fornito indicazioni precise per arrivare alla casermanumero uno. Proprio come sulla terraferma, la Guardia Scarlatta ha una predilezione peri tunnel e, infatti, la cella di Cal si trova sottoterra.

Anzi, sott’acqua, per la precisione. La prigione perfetta per un forgiafiamma come Cal.Costruita sotto il pontile, nascosta dall’oceano e protetta dalle onde e dagli “uomini blu”del colonnello, la caserma numero uno non è soltanto il carcere dell’isola, ma è anchel’armeria, il dormitorio dei lacustri, nonché il quartier generale del colonnello stesso. Vi siaccede attraverso un tunnel che parte dagli hangar sulla spiaggia, ma Farley mi haassicurato che c’è anche un’altra strada. “Potresti bagnarti” mi aveva avvertita con unsorrisetto sarcastico. Mentre la prospettiva di tuffarmi nell’oceano, seppur vicino allacosta, mi inquieta, Kilorn è fastidiosamente tranquillo. Anzi, se va bene, sarà addiritturaesaltato all’idea di poter mettere a frutto tutti gli anni trascorsi a lavorare sul fiume.

La protezione naturale fornita dall’oceano rende la Guardia insolitamente distratta epersino i lacustri si ammorbidiscono, a mano a mano che passano le ore. I soldati sonopiù concentrati a gestire il carico delle merci e lo stoccaggio negli hangar che apattugliare l’isola. Quei pochi che mantengono le proprie postazioni e marciano avanti eindietro lungo il cortile di cemento, con il fucile in spalla, camminano lenti, rilassati espesso si fermano a chiacchierare tra loro.

Li osservo a lungo e nel frattempo faccio finta di ascoltare mia madre e Gisa, chechiacchierano mentre lavorano. Sono entrambe intente a smistare coperte e vestiti in pileseparate e a scaricare, insieme a vari altri rifugiati, una serie di casse non contrassegnate.In teoria, dovrei aiutarle anch’io, ma ho la testa altrove. Bree e Tramy sono andati dinuovo a trovare Shade in infermeria; papà, invece, è lì nei paraggi. Non può scaricare lecasse, ma brontola ugualmente ordini. Non ha mai piegato dei vestiti in vita sua.

Incrocia il mio sguardo un paio di volte e si accorge che ho le dita contratte e lancioocchiate nervose a destra e a sinistra. Sembra che lui sappia sempre cosa combino, ed ècosì anche questa volta. Indietreggia addirittura con la sedia a rotelle, per permettermiuna migliore visuale del cortile. Gli faccio un cenno con il capo, in segno di gratitudine.

Le guardie mi ricordano gli argentei di Palafitte, prima che entrassero in vigore i

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provvedimenti e prima del Torneo delle regine: signori pigri, contenti di stare nel miotranquillo villaggio, dove le rivolte erano rare. Quanto si sbagliavano. Quei gentiluominie quelle dame erano ciechi ai miei furti, al mercato nero, a Will Whistle e al lentoavanzare della Guardia Scarlatta. Ma anche le guardie che ho davanti in questo momentomi sembrano piuttosto cieche, il che va a mio vantaggio.

Non si accorgono di me che li osservo né di Kilorn che si avvicina con un tegame dizuppa di pesce. La mia famiglia si mette a mangiare con gratitudine, Gisa più di tutti.Quando Kilorn non guarda, si arriccia i capelli, lasciandoli ricadere sulla spalla in unacascata color rubino.

«Appena pescato?» chiede e indica la scodella, piena di zuppa.Lui arriccia il naso e squadra la sbobba di pesce grigio con una smorfia disgustata. «Di

certo non da me, Gi. Il buon vecchio Cully non avrebbe mai venduto una simileporcheria. Tranne che a dei vermi, forse.»

Ci mettiamo tutti a ridere, io più per abitudine e a scoppio ritardato. Per una volta,Gisa è meno composta di me e si lascia andare a una risata allegra e spontanea. Una voltainvidiavo i suoi modi garbati ed eleganti. Ora vorrei non essere così impostata, perriuscire ad abbandonare le mie buone maniere forzate con la sua stessa facilità.

Mentre cerchiamo di finire il pranzo, mio padre svuota la scodella per terra, credendodi non essere visto. Ecco perché continua a dimagrire. Prima che io possa sgridarlo o,peggio, che lo sgridi la mamma, lui passa una mano su una coperta lì vicino e ne analizzail tessuto.

«Queste le hanno prodotte a Piè di Monte. Sono di cotone fresco. Piuttosto costoso»mormora quando si accorge che gli sono accanto. Anche presso la corte argentea, ilcotone di Piè di Monte era considerato estremamente raffinato, una valida alternativa allaseta, riservata agli agenti di sicurezza di un certo rango, alle sentinelle e alle uniformi deimilitari. Ricordo che Lucas ne indossava una, quando è morto. Anzi, mi rendo contosoltanto ora che l’ho sempre visto solo in uniforme. Eppure, non riesco più aricordarmela. E anche l’immagine del suo viso comincia pian piano a svanire. È passatoappena qualche giorno e lo sto già dimenticando, un uomo che ho mandato a morire.

«Dici che sono state rubate?» mi chiedo a voce alta, mentre accarezzo la coperta, perprovare a distrarmi. Mio padre prosegue con l’analisi e fa scorrere una mano lungo ilfianco della cassa. È fatta di assi di legno bianche, spesse e robuste, dipinte di recente.L’unico segno distintivo è un triangolino verde scuro, più piccolo della mia mano,stampato vicino a uno degli spigoli. Non ho idea di cosa significhi.

«Magari regalate» commenta papà.Non serve che lui aggiunga altro, perché stiamo pensando la stessa cosa: se ci sono dei

lacustri qui con noi, sull’isola, allora è altamente probabile che la Guardia Scarlatta abbiaamici un po’ ovunque, in altre nazioni e regni. Sembriamo deboli perché vogliamo darequest’impressione.

Con una discrezione di cui non lo credevo capace, papà mi prende la mano in modorapido e senza far rumore. «Stai attenta, ragazza mia.»

Ma mentre lui sembra spaventato, in me cresce la speranza. La Guardia Scarlatta è piùradicata di quanto pensassi, più di quanto qualsiasi argenteo possa immaginare. E il

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colonnello è solo uno delle decine di capi, proprio come Farley. È di certo un validoavversario, ma posso batterlo. Dopotutto, non è un re. Di quelli, ne ho già incontratiabbastanza.

Rovescio la mia porzione di zuppa in una crepa nel cemento, come ha fatto papà. «Hofinito» annuncio, e Kilorn scatta in piedi. Conosce il segnale.

Andiamo a trovare Shade, o almeno, è quello che diciamo a voce alta, per coloro che cistanno intorno. La mia famiglia, invece, ha mangiato la foglia, persino la mamma. Mimanda un bacio mentre mi allontano e io lo porto via con me, nel mio cuore.

Mi tiro su il colletto e divento identica a tutti gli altri rifugiati, mentre Kilorn èpraticamente invisibile. I soldati non ci prestano la minima attenzione. Percorriamo ilcortile per il lungo con estrema facilità, seguendo la spessa linea bianca nella direzioneopposta rispetto al pontile e alla spiaggia.

La luce del sole di mezzogiorno illumina bene la striscia di cemento, che si protraeverso le dolci colline e sembra un’ampia strada verso il nulla. La linea dipinta proseguedritta senza interruzioni, ma dopo un po’ si dirama in una riga più sottile e mezzacancellata, che forma un angolo di novanta gradi rispetto alla principale e la collega aun’altra struttura, situata in fondo al complesso di caserme. L’edificio, che troneggia sututto il resto dell’isola, sembra la versione ingrandita degli hangar sulla costa,abbastanza alto e spazioso per ospitare sei mezzi di trasporto, uno sopra l’altro. Midomando cosa possa contenere, dato che, a quanto pare, la Guardia ci dà sotto con i furti.Ma le porte sono chiuse e c’è un gruppetto di lacustri che poltrisce all’ombra lì vicino.Chiacchierano tra loro, però tengono le armi a portata di mano, per cui la mia curiositàdovrà attendere, forse per sempre.

Io e Kilorn svoltiamo a destra, nel vicolo tra la caserma numero otto e la numero nove.Le alte finestre di entrambe le strutture sono buie; gli stabili sono vuoti, abbandonati. Inattesa di altri soldati, altri rifugiati o, peggio ancora, altri orfani. Ho i brividi, mentrepassiamo all’ombra degli edifici.

Raggiungere la costa è piuttosto semplice. Dopotutto, siamo pur sempre su un’isola. Ementre la base militare è ben sviluppata, il resto del territorio è brullo, ricoperto di dune,colline di erba alta e qualche manciata di vecchi alberi. Non vedo nemmeno sentieri, inmezzo all’erba, perché non ci sono animali abbastanza grossi da formarli con il loropassaggio. Scompariamo senza farci notare, facendoci largo tra le piante ondeggiantifinché non raggiungiamo la spiaggia. Il pontile è a qualche centinaio di metri, un’ampialama che si insinua tra le onde. Dal punto in cui ci troviamo, i lacustri sono solo piccolechiazze blu scuro, che fanno la ronda avanti e indietro. Sono per lo più concentrati sullanave da carico, in avvicinamento dall’altro lato del molo. Resto a bocca aperta alla vista diun’imbarcazione così grande, evidentemente in mano ai rossi. Kilorn, invece, è piùconcentrato sulla nostra missione.

«È il momento ideale» esclama e comincia a togliersi le scarpe. Io lo imito e scalcio viagli stivali senza lacci e i calzini logori. Ma quando resta a petto nudo, mettendo in mostrail fisico asciutto e scolpito a furia di issare reti da pesca, non mi sento più così propensa aimitarlo. L’idea di aggirarmi per un bunker segreto senza camicia non mi fa impazzire.

Lui piega la sua e la ripone con cura sulle scarpe; sembra che voglia perdere tempo.

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«Suppongo che non sia una missione di recupero.» Come potrebbe esserlo? Non abbiamo unposto in cui scappare.

«Ho solo bisogno di vederlo. Dirgli di Julian. Fargli sapere cosa sta succedendo.»Kilorn sembra contrariato, ma annuisce ugualmente. «Entrare e uscire non dovrebbeessere troppo difficile, soprattutto dal momento che non si aspettano incursioni dalmare.»

Fa un po’ di stretching e scalda bene braccia e gambe, per prepararsi alla traversata.Intanto, ripassa le istruzioni che Farley gli ha bisbigliato. C’è una piscina all’interno delbunker, a cui si accede attraverso un percorso sott’acqua. La vasca si trova in unlaboratorio, un tempo usato per studiare la vita sottomarina, ma che ora funge daalloggio per il colonnello. Lui però di giorno non ci sta mai. L’ex laboratorio è chiusodall’interno, per cui sarà facile aprire la porta e farsi strada nei corridoi. A quest’ora delgiorno, le camerate saranno vuote, l’accesso dal pontile sigillato e ci saranno pochissimeguardie nei paraggi. Io e Kilorn ne abbiamo affrontate di peggio da bambini, quando peresempio abbiamo sgraffignato un intero rifornimento di batterie per mio padre dallacentrale degli agenti di sicurezza.

«Vedi di non fare schizzi» aggiunge Kilorn, prima di tuffarsi tra le onde. Gli viene lapelle d’oca, immerso nelle gelide acque autunnali, ma non accusa il freddo. Io invece sì, equando l’acqua mi arriva alla vita, comincio a battere forte i denti. Lancio un’ultimaocchiata al pontile, poi mi immergo in un’onda e lascio che il gelo mi penetri nelle ossa.

Kilorn solca i flutti con estrema facilità e nuota come un pesce, senza quasi far rumore.Cerco di imitare i suoi movimenti e gli resto vicino, mentre ci dirigiamo al largo. C’èqualcosa nell’acqua che intensifica la mia percezione della corrente elettrica e mi riesceancora più semplice avvertire il sistema di cavi provenienti dalla costa. Se volessi, potreiindicare con precisione il tragitto che compie l’elettricità: parte dal pontile e, passandosott’acqua, arriva alla caserma numero uno. Dopo un po’, finalmente, Kilorn comincia anuotare in diagonale rispetto alla riva, e poi in parallelo, dirigendosi verso il bunker. Lasua tecnica è magistrale: sfrutta persino le barche ormeggiate, rubate dalla Guardia, pernascondere il nostro avvicinamento. In un paio di occasioni, mi tocca il bracciosott’acqua, esercitando una lieve pressione per mandarmi dei segnali. Ferma, vai,rallenta, più veloce, il tutto mentre continua a tenere d’occhio il molo davanti a noi. Perfortuna, la nave mercantile è in fase di scarico, il che attira l’attenzione dei vari soldatiche potrebbero scorgere le nostre teste galleggianti tra le onde. Altre casse, tuttebianche, con il triangolo verde stampato sopra. Altri vestiti?

No, mi rendo conto, quando uno dei contenitori cade e si apre. Delle armi sirovesciano sul pontile. Fucili, pistole, munizioni; ce ne saranno almeno una dozzina, soloin quella cassa. Sembrano nuove di zecca e scintillano alla luce del sole. Un altro regalinoper la Guardia Scarlatta, un’altra dimostrazione di un’alleanza davvero radicata, di cuiignoravo l’esistenza.

Questa nuova consapevolezza mi fa accelerare il ritmo delle bracciate, e così superoKilorn, benché mi facciano male i muscoli. Mi nascondo sotto il pontile, finalmente alriparo dagli sguardi delle persone sopra di me, e lui mi raggiunge poco dopo.

«È proprio qui sotto» sussurra; la sua voce riverbera in modo strano nello spazio tra il

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molo di metallo e la superficie dell’acqua intorno a noi. «Riesco quasi a sfiorarlo con lapunta dei piedi.»

Per poco non mi scappa da ridere, alla vista di Kilorn che si allunga, lo sguardo tuttoconcentrato, mentre cerca di toccare con il piede il bunker nascosto. «Cosa c’è di tantodivertente?» brontola lui.

«Meno male che ci sei tu» rispondo con un sorrisetto complice. È bello essere di nuovoinsieme e condividere con lui una missione segreta, come ai vecchi tempi. Anche se,stavolta, non ci stiamo intrufolando in casa di qualcuno, ma in una specie di fortezzamilitare.

«Ecco» dice dopo un po’, prima di sparire con la testa sott’acqua. Poi riemerge econtinua a muovere le braccia per tenersi a galla. «Ho trovato il bordo.»

Ora viene il difficile: immergersi in quell’oscurità opprimente e soffocante.Kilorn legge il terrore nei miei occhi. «Tu aggrappati alla mia gamba, non devi fare

altro.»Riesco a malapena ad annuire. «Va bene.» La piscina si trova all’interno del bunker, e

l’ingresso è a soli sette-otto metri di profondità. “È un gioco da ragazzi” aveva commentatoFarley. “Be’, a me non pare proprio” penso, mentre osservo l’acqua scura sotto di me.«Maven ci resterà molto male, se l’oceano dovesse uccidermi prima che ci riesca lui.»

Chiunque altro considererebbe la mia battuta di cattivo gusto. Ma Kilorn ridacchia abassa voce e il suo sorriso risplende tra le onde. «Be’, per quanto mi alletti l’idea di darefastidio al re» sospira, «cerchiamo di evitare l’annegamento, ti va?»

Mi fa l’occhiolino, poi si immerge a testa in giù e io mi aggrappo a lui.Il sale mi brucia gli occhi, ma non è così buio come pensavo. La luce del sole si

rifrange nell’acqua e dissolve l’ombra proiettata dal pontile sopra di noi. Intanto Kilornnuota veloce e mi trascina giù, costeggiando il lato della caserma nascosta. I raggi solari,deviati dall’acqua, gli illuminano la schiena a chiazze e lo fanno sembrare una creaturamarina. Io mi concentro soprattutto sul battere i piedi quando posso, cercando di nonrestare impigliata in qualcosa. “Questi non sono sette-otto metri” protesto tra me e me,non appena la mancanza di ossigeno comincia a farsi sentire.

Espiro lentamente e rilascio bollicine che mi sfiorano il viso risalendo in superficie.Anche le massicce esalazioni d’aria di Kilorn mi passano vicino, unica testimonianza delsuo sforzo. Quando trova l’ingresso sul fondo, sento che i suoi muscoli si irrigidiscono ele gambe scalciano ancora più forte, mentre mi trascina dentro il bunker nascosto. Midomando vagamente cosa potrebbe accadere se la piscina avesse una porta d’accesso equella fosse chiusa. Che beffa sarebbe!

Prima che io realizzi cosa sta succedendo, Kilorn si imbatte in qualcosa e ci passaattraverso con una forza prorompente, trainandomi con sé. Vengo travolta da un’ondatadi aria afosa ma provvidenziale, e riprendo a respirare con boccate avide e profonde.

Kilorn si è già messo a sedere a bordo vasca, con le gambe penzoloni nell’acqua, e misorride divertito. «Non reggeresti neanche una mattinata su una barca da pesca»commenta mentre scuote la testa. «Questo era niente, in confronto a ciò che mi facevafare il vecchio Cully.»

«Tu sì che sai come ferirmi nell’orgoglio» ribatto in tono ironico, e intanto esco

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dall’acqua e mi do un’occhiata intorno.La stanza del colonnello è fredda, scarsamente illuminata e fin troppo organizzata.

Vecchi attrezzi sono riposti con cura lungo la parete di destra e lasciati lì a prenderepolvere, mentre, accostata al muro di sinistra, c’è una lunga scrivania, interamentericoperta da pile di raccoglitori e documenti, suddivisi in mucchietti ordinati. In unprimo momento, non mi sembra di vedere alcun letto, e invece eccolo lì: una brandinastriminzita che sbuca fuori da sotto la scrivania. A quanto pare, il colonnello non dormemolto.

Kilorn è sempre stato un gran ficcanaso e anche in questa occasione non si tira certoindietro. Si dirige gocciolante verso la scrivania, pronto a curiosare dappertutto.

«Non toccare niente» lo fermo con un sibilo, mentre mi strizzo le maniche dellacamicia e i pantaloni. «Se fai cadere anche solo una goccia su quei fogli, capirà che èentrato qualcuno.»

Annuisce e ritrae la mano. «Questa però devi proprio vederla» afferma con tonodeciso.

In men che non si dica, mi precipito accanto a lui, temendo il peggio. «Cosa?»Con fare guardingo, punta l’indice verso l’unica fotografia appesa alle pareti: è segnata

dal tempo e dall’umidità, però i volti dei soggetti sono ancora visibili. Quattro persone,tutte bionde, sono in posa, con uno sguardo severo ma aperto. Tra queste c’è anche ilcolonnello, quasi irriconoscibile senza l’occhio insanguinato; fa passare il braccio intornoal collo di una donna alta, dall’ossatura robusta, e appoggia la mano sulla spalla di unaragazzina. Sia la donna sia la ragazza indossano vestiti sporchi di fango; a giudicaredall’aspetto, sembrerebbero contadine, ma le catenine d’oro che portano al collo fannopensare a tutt’altro. Senza dire una parola, tiro fuori dalla tasca la collana d’oro, talmentesottile che sembra un filo di cotone, e la confronto con i due gioielli nella foto. A parte lachiave appesa, sono davvero identiche. Kilorn me la sfila di mano con delicatezza e siscervella sul possibile significato di una cosa del genere.

La quarta figura nello scatto spiega tutto. Un’adolescente, con una lunga trecciabionda, è in piedi accanto al colonnello e ha un sorrisetto soddisfatto stampato sullelabbra. Sembra così giovane, così diversa, con i capelli lunghi e senza cicatrici. Farley.

«È sua figlia» esclama Kilorn, troppo scioccato per aggiungere altro.Resisto alla tentazione di toccare la fotografia, per accertarmi che sia reale. Non può

essere vero, se ripenso a come l’ha trattata poco fa in infermeria. Eppure l’ha chiamataDiana. Conosceva il suo vero nome. E hanno entrambi quelle collane, una della sorella,l’altra della moglie.

«Andiamo» borbotto a Kilorn e lo trascino via. «Adesso non abbiamo tempo dioccuparci di questo.»

«Perché non ha detto niente?» Nel suo tono di voce, noto un pizzico di risentimento; sisente tradito, proprio come mi sento io da giorni.

«Non lo so.»Lo tengo stretto e lo guido verso l’uscita. Giù per le scale a sinistra, al pianerottolo a

destra, poi di nuovo a sinistra.La porta, ben oliata, si apre senza opporre la minima resistenza e rivela un corridoio

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vuoto, molto simile a quelli che c’erano nel sommer. Il passaggio è spoglio e pulito, conpareti di metallo e tubature che corrono lungo il soffitto. L’elettricità fluisce sopra lenostre teste e pulsa all’interno di una specie di apparato circolatorio fatto di cavi.L’energia proveniente dalla costa alimenta le luci e gli altri macchinari.

Come Farley aveva previsto, non c’è nessuno quaggiù. Nessuno che ci fermi.Immagino che, in qualità di figlia del colonnello, ne sappia qualcosa. Seguiamo le sueistruzioni con passo felpato, stando attenti a ogni singola mossa. Mi tornano in mente lecelle nei sotterranei della Casa del Sole, dove io e Julian abbiamo messo fuori gioco ungruppetto di sentinelle per liberare Kilorn, Farley e la povera Walsh. Sembra un secolo fa,eppure sono passati solo pochi giorni. Una settimana. Soltanto una settimana.

Rabbrividisco al pensiero di dove potrei ritrovarmi tra altri sette giorni.Finalmente raggiungiamo un breve corridoio: un vicolo cieco con tre porte sulla

sinistra, tre sulla destra e altrettante finestre sul fondo, tutte buie, a eccezionedell’ultima, da cui proviene una luce bianca intensa e leggermente tremolante. Sussulto,quando Cal tira un pugno contro il vetro. Mi aspetto che vada in frantumi e invece resiste,ed emette un tonfo sordo ogni volta che Cal lo colpisce, ma l’unico risultato è che il vetrosi sporca di sangue argenteo.

Sono certa che mi abbia sentita arrivare e creda che io sia uno di loro.Quando mi posiziono davanti alla finestra, infatti, lui si blocca di colpo, con il pugno

stretto e sanguinante fermo a mezz’aria, pronto a scattare. Nell’impeto del gesto, ilbracciale accendifiamma che ha al polso gli scivola verso la mano, il che mi è di conforto,perché significa che i suoi aguzzini non sono poi così preparati, dato che gli hannolasciato la sua arma più potente. Ma allora perché è ancora lì dentro? Non potevasemplicemente sciogliere la finestra e scappare?

Per un intenso attimo, i nostri sguardi si incrociano e ho la netta sensazione chequesto basti a mandare il vetro in frantumi. Gocce dense di sangue argenteo colano dalpunto in cui ha tirato i pugni e si vanno a mischiare con altri schizzi di sangue già secco.Dev’essere da un po’ che tenta di liberarsi… o di sfogare almeno in parte la sua rabbia.

«Sono chiuso dentro» mi spiega, con la voce ovattata dal vetro.«Ma non mi dire» rispondo ironica.Accanto a me, Kilorn solleva la chiave.Cal sussulta, come se fosse la prima volta che lo vede. Poi gli sorride, in segno di

gratitudine, ma Kilorn non ricambia la cortesia. Non lo guarda nemmeno negli occhi.Sento delle grida in fondo al corridoio, accompagnate da un rumore di passi.

Rimbombano in modo strano tra le pareti del bunker e si avvicinano sempre più, allostesso ritmo frenetico del mio battito cardiaco. Vengono a prenderci.

«Sanno che siamo qui» sibila Kilorn, guardandosi alle spalle. In men che non si dica,infila la chiave nella toppa e prova a girarla, ma quella non si muove. Do una spallata allaporta e sbatto contro il metallo freddo e irremovibile.

Kilorn fa un secondo tentativo e stavolta sono talmente vicina da sentire la serraturache scatta. La porta si apre di colpo verso l’interno, proprio nell’attimo in cui il primosoldato svolta l’angolo, ma tutti i miei pensieri sono concentrati su Cal.

A quanto pare, i principi mi rendono cieca.

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Tuttavia, la cortina di fumo che ho sugli occhi svanisce nell’istante in cui Kilorn mispinge dentro la cella. È una sensazione familiare, anche se non riesco a riconoscerla.L’ho già sentita, ne sono sicura, ma dove? Non ho tempo per pensarci. Cal lancia un gridostrozzato e fa uno scatto in avanti, con le lunghe braccia tese. Non verso di me, e neancheverso la finestra, ma verso la porta, che si chiude di colpo. Lo scatto della serratura mirimbomba nel cranio, ancora e poi ancora.

«Cosa?» domando all’aria, pesante e viziata. Ma l’unica risposta di cui ho bisogno è ilviso di Kilorn, che mi fissa dall’altra parte del vetro. Stringe la chiave nel pugno e miguarda con un’espressione a metà tra il rimprovero e lo sconforto.

“Mi dispiace” mima con le labbra, mentre il primo lacustre fa capolino dalla finestra.Uno dopo l’altro, arrivano anche tutti gli altri e prendono posto accanto al colonnello. Ilsuo sorrisetto soddisfatto è lo stesso che aveva la figlia nella foto, e finalmente comincio arealizzare cosa sia successo. Il colonnello ha persino il coraggio di mettersi a ridere.

Cal si scaglia contro la porta, invano, e sbatte la spalla contro il metallo massiccio.Impreca per il dolore, e maledice Kilorn, me, quel posto e se stesso. Riesco a malapena asentirlo, mentre la voce di Julian mi risuona nella testa.

Chiunque può tradire chiunque.D’istinto, faccio appello al fulmine. Le scariche elettriche mi aiuteranno a liberarmi e

trasformeranno le risa del colonnello in grida di dolore.Eppure, non arrivano. Non sento nulla. È un nulla sconfortante.Come nella cella, come nell’arena.«Pietra silente» spiega Cal, mentre si abbandona pesantemente contro la porta. Con la

mano insanguinata, indica gli angoli del pavimento e del soffitto. «Hanno la pietrasilente.»

Per indebolirti. Per renderti come loro.Ora sono io a sbattere i pugni contro la finestra. Miro alla faccia di Kilorn, ma colpisco

soltanto il vetro, e sento il rumore delle mie nocche che si fracassano, invece del suostupido testone. Nonostante quello schermo in mezzo a noi, Kilorn sobbalza.

Fa fatica a guardarmi negli occhi e inorridisce, quando il colonnello gli posa una manosulla spalla e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Ma non può fare altro che assistereinerme alla scena, mentre grido e mi lascio andare a un ruggito frustrato, e intanto il miosangue si mischia a quello di Cal, sul vetro.

Il rosso si unisce all’argento per formare qualcosa di ancora più scuro.

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8

L’unico rumore che si sente, nella cella quadrata, è quello delle gambe della sedia dimetallo che grattano sul pavimento. Lascio l’altra lì dov’è, capovolta e deformata, dopoessere stata scagliata contro il muro. Prima che arrivassi, Cal ha fatto il diavolo a quattroin quella stanza e ha scaraventato a destra e a manca entrambe le sedie e il tavolo, ormaiammaccato. È rimasto persino il segno, nel punto in cui lo spigolo del tavolo ha centratola parete, subito sotto la finestra. Ma dato che lanciare mobili non mi pare di alcun aiuto,invece di sprecare energie, le conservo e mi metto a sedere al centro della stanza. Calcammina avanti e indietro vicino alla finestra; sembra più un animale che un uomo. Ognicellula del suo corpo non desidera altro che il fuoco.

Kilorn se n’è andato da un pezzo, ormai, insieme al suo nuovo amichetto, il colonnello.E io mi sono rivelata per quella che sono davvero: un tipo di pesce particolarmente

stupido, che passa di amo in amo senza sosta e senza mai imparare la lezione. Ma dopola Casa del Sole, Archeon e il Circo delle ossa, potrei prendere questa prigionia quasicome una vacanza; del resto, il colonnello non è nulla, in confronto alla regina o a unplotone d’esecuzione.

«Faresti meglio a sederti» dico a Cal, ormai stufa della sua furia vendicativa. «A menoche tu non voglia scavare un solco nel pavimento.»

Lui mi guarda in cagnesco, furioso, ma smette comunque di camminare. Invece diraccogliere la sedia, si appoggia al muro, con un atteggiamento di sfida piuttostoinfantile. «Comincio a credere che ti piacciano le prigioni» mi provoca, mentretamburella le nocche sulla parete con fare svogliato. «E che tu abbia un pessimo gusto infatto di uomini.»

La frecciatina mi urta più di quanto vorrei. Ebbene, sì, ci tenevo a Maven, molto più diquanto sia disposta ad ammettere. E Kilorn è il mio più caro amico. Ma sono entrambidei traditori.

«Neanche tu sei molto bravo a sceglierti gli amici, se è per questo» ribatto inviperita,ma la mia provocazione gli rimbalza addosso senza colpo ferire. «E, tanto per la cronaca,non ho…» le parole mi escono alla rinfusa, forzate e innaturali «… nessun gusto in fattodi uomini. Quanto è successo non ha niente a che vedere con quello che dici.»

«Certo, come no» ridacchia divertito. «Chi sono le ultime due persone che ci hannorinchiuso in una cella?» Siccome io non rispondo, in visibile imbarazzo, lui rincara ladose: «Ammettilo, fai una gran fatica a separare la ragione dai sentimenti».

Mi alzo talmente in fretta che la sedia finisce per terra, con un fragoroso suonometallico. «Non fare finta che non ti importasse nulla di Maven e che non ti sia fattoinfluenzare anche tu dai sentimenti, nelle decisioni che lo riguardavano.»

«È mio fratello! È ovvio che io fossi cieco nei suoi confronti! E non pensavo certo che

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avrebbe… ucciso nostro padre.» Al ricordo, gli si spezza la voce e, dietro la facciata delguerriero, riesco a intravedere il figlio affranto e distrutto. «Ho fatto degli errori a causasua.» Poi, con un filo di voce, aggiunge: «E ho fatto degli errori anche a causa tua».

Anch’io. Il peggiore è stato lasciare che Cal mi prendesse per mano e mi trascinassefuori dalla mia stanza, in un ballo e in un vortice verso il basso. Ho lasciato che laGuardia uccidesse delle persone innocenti per via di Cal, per impedirgli di andare inguerra. Per tenerlo vicino a me.

Il mio egoismo ha avuto un costo terribile.«Non possiamo più permettercelo. Di compiere errori l’uno per l’altra» sussurro,

aggirando quello che voglio dire in realtà, quello che cerco di far capire a me stessa ormaida giorni. Cal non è un’opzione che posso scegliere o desiderare. È semplicementeun’arma, qualcosa che potrei usare… o che gli altri potrebbero usare contro di me. Devoessere pronta a entrambe le evenienze.

Dopo una lunga pausa, annuisce, e ho la sensazione che mi veda allo stesso modo.L’umidità presente nel bunker prende il sopravvento e va ad aggiungersi al freddo, giàpenetrato in profondità nelle mie ossa. Normalmente, comincerei a tremare, ma ormaimi sto abituando a quella sensazione. Forse dovrei abituarmi anche all’idea di esseresola.

Non al mondo, ma qui dentro. Nel mio cuore.

Una parte di me vorrebbe mettersi a ridere per la situazione in cui ci troviamo. Ancorauna volta, sono insieme a Cal in una cella, in attesa di qualsiasi cosa abbia in serbo ildestino per noi. Stavolta, però, la paura che provo è mitigata dalla rabbia. Non saràMaven a venire a gongolare, ma il colonnello, e sono decisamente grata per questo. Glisberleffi di Maven sono qualcosa che non vorrei mai più sperimentare in vita mia. Famale anche solo pensare a lui.

La prigione sotto il Circo delle ossa era buia e vuota, più tetra di questa. Mavenrisaltava nettamente nell’oscurità, con la sua carnagione pallida, gli occhi chiari e le manitese verso di me. Nel ricordo avvelenato che conservo, sono un’immagine confusa, unavia di mezzo tra dita morbide e artigli taglienti. A ogni modo, vogliono farmi sanguinare.

“Una volta ti ho consigliato di nascondere le tue emozioni. Avresti fatto bene a darmiretta.”

Queste sono state le sue ultime parole, prima di condannarci a morte. Temo fossedavvero un ottimo consiglio.

Espiro lentamente, nella speranza di espellere così quei ricordi, ma non funziona.«Allora, che facciamo adesso, generale Calore?» domando mentre indico le quattro

pareti che ci tengono prigionieri. Scorgo il tenue contorno delle pietre quadrateincastonate negli angoli, un po’ più scure rispetto ai pannelli laterali che costituiscono imuri.

Dopo una lunga pausa, Cal allontana i propri pensieri, dolorosi quanto i miei. Lietodella distrazione, raddrizza velocemente la sedia e la posiziona in un angolo. Ci salesopra e per poco non sbatte la testa contro il soffitto, poi passa una mano sulla pietrasilente. Per noi è più pericolosa di qualsiasi altra cosa presente sull’isola, più nociva di

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qualsiasi arma.«Per i miei colori! Come se la sono procurata?» borbotta tra sé, mentre tasta il bordo

con le dita, in cerca di un gradino. Ma il blocco di pietra è perfettamente a filo con il restodella superficie. Con un sospiro rassegnato, salta giù dalla sedia e si posiziona di frontealla finestra. «La nostra unica speranza è riuscire a rompere il vetro. Non c’è modo disottrarci all’influenza di questi cosi.»

«Eppure è più debole» commento mentre osservo la pietra, che mi fissa di rimando.«Nel Circo delle ossa, mi sentivo soffocare. Ora invece non è poi così tremendo.»

Cal scrolla le spalle. «Ci sono molti meno blocchi stavolta, ma sono comunqueabbastanza.»

«Credi che li abbiano rubati?»«Per forza. Ce n’è una quantità limitata e soltanto il governo può servirsene, per ovvie

ragioni.»«Questo è vero… a Norda.»Lui inclina la testa, perplesso. «Credi che venga da qualche altro posto?»«Ci sono intere navi cariche di merci provenienti dai luoghi più disparati: il Piè di

Monte, le Terre dei Laghi e altri ancora. Per di più, hai notato i soldati, da queste parti? Leloro uniformi?»

Lui scuote la testa. «No. Tutta colpa di quel bastardo dall’occhio insanguinato che miha trascinato qui dentro ieri sera.»

«Lo chiamano “il colonnello” ed è il padre di Farley.»«Mi dispiace per lei, ma la mia famiglia è molto peggio.»Sospiro, in parte divertita. «Sono lacustri, Cal. Farley, il colonnello e tutti i suoi uomini.

Il che significa che ce ne sono altri come loro, nel paese da cui vengono.»Si incupisce, confuso. «Non… non può essere. Ho visto di persona le linee di

combattimento; non c’è modo di passare.» Si guarda le mani, sovrappensiero, mentredisegna nell’aria una specie di cartina. Per me non ha il minimo senso, ma lui la conoscefin troppo bene. «I laghi sono controllati da entrambi i fronti; Campo Cenere non èneanche da prendere in considerazione. Traghettare merci e rifornimenti è un conto, matrasportare persone è un altro paio di maniche, soprattutto in queste quantità.Servirebbero degli aerei per riuscire a varcare il confine.»

Traggo un respiro improvviso, mentre tutto si fa chiaro. Il cortile di cemento,l’immenso hangar in fondo alla base militare, l’ampia strada verso il nulla.

Non è una strada.È una pista di volo.«Credo che ce li abbiano.»Con mia grande sorpresa, gli spunta un sorrisone spontaneo sul viso. Si volta di nuovo

verso la finestra e sbircia fuori, nel corridoio vuoto. «Le loro maniere lasciano parecchio adesiderare, ma sono certo che la Guardia Scarlatta darà del filo da torcere a mio fratello.»

E così, mi ritrovo a sorridere anch’io. Se questo è il modo in cui il colonnello tratta isuoi cosiddetti alleati, mi piacerebbe vedere cosa fa ai propri nemici.

L’ora di cena arriva e se ne va, scandita soltanto dal passaggio di un vecchio lacustre dai

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capelli brizzolati che trasporta un vassoio di cibo. Ci fa segno di indietreggiare e mettercifaccia al muro, così che possa far scivolare il vassoio attraverso una fessura nella porta.Ma ci impuntiamo entrambi, ostinati, e non ci allontaniamo dalla finestra. Dopo unlungo momento di stallo, l’anziano si mette a mangiare la nostra cena con un ghigno e sene va via. La cosa non mi fa né caldo né freddo. Sono cresciuta patendo la fame e possoresistere qualche ora senza mangiare. Cal, invece, sbianca alla vista del cibo che siallontana e segue con lo sguardo il piatto di pesce grigio.

«Se volevi mangiare, dovevi dirmelo» lo rimprovero, e intanto riprendo posto sullasedia. «Come puoi essere di aiuto, se sei affamato?»

«È quello che devono credere anche loro» ribatte, con un luccichio negli occhi. «Hopensato che domani, subito dopo colazione, potrei svenire, e vedere quanto sono bravi iloro dottori a incassare pugni.»

È un piano quantomeno azzardato e arriccio il naso, in segno di disapprovazione.«Hai per caso un’idea migliore?»«No» rispondo risentita.«Lo immaginavo.»«Ah-ha, molto simpatico» ribatto ironica.La pietra silente ha uno strano effetto su di noi. Nel sottrarci quello su cui facciamo

maggiore affidamento, ovvero le nostre abilità, ci costringe a diventare qualcosa che nonsiamo. Per Cal, questo significa essere più scaltro e calcolatore. Non potendo contare sulpotere del fuoco, deve fare appello al proprio acume. Benché, a giudicare dall’idea dellosvenimento, non è che sia proprio un cervello fine.

Per quanto mi riguarda, il cambiamento non è poi così evidente. Dopotutto, ho vissutoin sordina per diciassette anni, senza sapere che tipo di potere covasse dentro di me. Mitorna in mente la ragazza spietata ed egoista, quella che farebbe di tutto pur di salvarsi lapelle. Se il vecchio lacustre dovesse tornare con un altro vassoio, farà meglio a esserepronto, perché si ritroverà le mie mani intorno al collo e una bella scarica nelle ossa, semai riusciremo a uscire di qui.

«Julian è vivo.» Non so da dove mi vengano quelle parole, ma all’improvviso sono lì,sospese nell’aria, fragili come fiocchi di neve.

Cal alza la testa di scatto e gli si illuminano gli occhi. L’idea che lo zio sia ancora in vitalo rallegra quasi quanto la prospettiva della libertà. «Chi te l’ha detto?»

«Il colonnello.»Ora tocca a lui ribattere ironico: «Ah-ha, come no».«Io gli credo.» Con questa frase mi aggiudico un’occhiataccia di disprezzo, ma insisto:

«Il colonnello è convinto che Julian faccia parte della trappola di Maven e sia solo unaltro argenteo mandato a tradirmi. Ecco perché non crede nell’esistenza della lista».

Cal annuisce con sguardo distante. «Di quelli come te.»«Farley li chiama, o meglio… ci chiama… novisangue.»«Be’» sospira, «l’unico modo in cui li chiameranno è “spacciati”, se non esci di qui alla

svelta. Maven darà loro la caccia.»Questo è poco ma sicuro. «Per vendicarsi?»Con mia sorpresa, Cal scuote la testa. «È salito al trono in seguito all’assassinio di

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nostro padre. Non sono le premesse migliori per dare inizio al proprio regno. I Grancasati, soprattutto i Samos e gli Iral, farebbero carte false, pur di indebolirlo. E lascoperta dei novisangue, dopo che ti ha denunciata pubblicamente, per loro èun’occasione d’oro.»

Benché Cal sia stato cresciuto per diventare un soldato e sia stato addestrato nellecaserme, durante una guerra reale, è anche nato per essere re. Potrà non essere subdoloquanto Maven, ma comprende l’arte del governare meglio della maggioranza della gente.

«Quindi, qualsiasi persona noi salviamo costituirà per lui un duro colpo, non solo sulcampo di battaglia, ma anche nelle dinamiche di palazzo.»

Cal mi lancia un sorrisetto compiaciuto e appoggia la testa all’indietro, contro il muro.«Stai usando il “noi” un po’ troppo spesso.»

«Per caso ti dà fastidio?» chiedo per sondare il terreno. Se riesco a convincerlo adaiutarmi a rintracciare i novisangue, potremmo davvero avere una possibilità di battereMaven sul tempo.

Cal contrae il muscolo della guancia; è l’unico segnale concreto della sua indecisione.Ma non fa in tempo a rispondere, perché viene interrotto dal suono ormai familiare deglistivali in marcia.

Lui brontola tra sé e sé, infastidito dal ritorno del colonnello. Fa per tirarsi su, maallungo la mano di scatto e lo spingo di nuovo a sedere.

«Non alzarti in piedi per lui» borbotto appoggiandomi allo schienale della sedia.Cal obbedisce e si mette comodo, con le braccia conserte sull’ampio petto. Ora, invece

di sbattere i pugni sulla finestra e scagliare tavoli contro il muro, ha un aspettoimperturbabile, sereno; sembra un macigno, pronto a fracassare chiunque si avvicinitroppo. Se solo potesse. Se non fosse per la pietra silente, si trasformerebbe in una torciaumana, più ardente e luminosa del sole. E io mi tramuterei in un temporale. Invece,purtroppo, non siamo altro che un cumulo di ossa, due adolescenti chiusi in gabbia alamentarsi.

Quando il colonnello fa capolino dalla finestra, tento di tutto per restare immobile.Non voglio dargli la soddisfazione di vedermi arrabbiata, ma appena Kilorn compareaccanto a lui, con sguardo freddo e severo, sussulto. Stavolta tocca a Cal trattenermi e,posandomi una mano sulla coscia, con una lieve pressione mi costringe a restare seduta.

Il colonnello ci fissa per un istante, come se volesse memorizzare l’immagine delprincipe e della sparafulmini imprigionati. Sento l’impulso irrefrenabile di sputarecontro il vetro sporco di sangue, ma mi astengo. Il colonnello distoglie lo sguardo da noidue e con le lunghe dita bitorzolute fa cenno a qualcuno di avvicinarsi. O di farlo portareal suo cospetto.

Farley combatte come una leonessa e costringe gli scagnozzi del colonnello a sollevarlada terra. Uno di loro si becca un pugno in faccia e finisce a gambe all’aria, mollando lapresa su di lei, che intanto tira una gomitata sul collo all’altra guardia e l’arpiona allafinestra della cella vicino alla nostra. Farley sferra dei colpi micidiali, nel tentativo diinfliggere quanto più danno possibile, e riesco già a intravedere i lividi violacei chespuntano sui volti dei suoi aguzzini. Eppure, quei gorilla stanno attenti a non ferirla e silimitano a fare opera di contenimento nei suoi confronti.

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Ordini del colonnello, immagino. Sbatterà la figlia in prigione, ma non le torcerànemmeno un capello.

Con mio sommo sgomento, noto che Kilorn non resta con le mani in mano. Quando leguardie sollevano Farley contro il muro e le immobilizzano braccia e gambe, il colonnellofa un cenno al mio amico pescatore. Benché gli tremino le mani, Kilorn estraeun’anonima scatoletta grigia, contenente delle siringhe scintillanti.

Non riesco a sentire la voce di Farley attraverso il vetro, ma è facile leggere il labiale.“No. Non farlo.”

«Fermati, Kilorn!» All’improvviso, avverto la finestra fredda e liscia sotto le dita. Battoil pugno sulla superficie, cercando di attirare la sua attenzione. «Kilorn!»

Ma invece di ascoltarmi, lui raddrizza le spalle e mi dà la schiena, così che io nonpossa guardarlo in faccia. Il colonnello fa l’esatto contrario e fissa me, invece della siringache si conficca nel collo della figlia. Scorgo uno strano guizzo, nel profondo del suoocchio buono… rimorso, forse? No, quello è un uomo senza scrupoli. Farà tutto quelloche deve, a chiunque.

Dopo aver compiuto il misfatto, Kilorn si tira indietro, con la siringa vuota stretta inmano. Resta in attesa e osserva Farley che si dimena contro i propri aguzzini, ma imovimenti della ragazza sono sempre più lenti e, a mano a mano che il sedativo faeffetto, le calano le palpebre. Alla fine, perde i sensi e si accascia tra le braccia deilacustri, che la trascinano nella cella di fronte alla nostra. La stendono per terra e lachiudono dentro a chiave, imprigionandola, proprio come hanno fatto con Cal… e conme.

Il fragore metallico della porta che sbatte si sovrappone al rumore della serratura dellanostra cella, che si apre con uno scatto.

«Avete cambiato la disposizione dei mobili?» osserva il colonnello mentre entra,dando un’occhiata al tavolo ammaccato e storcendo il naso. Kilorn lo segue a ruota eintanto si rinfila nella giacca la scatoletta con le siringhe, a mo’ di avvertimento. Questesono per voi, nel caso passaste il segno. Pur di evitare il mio sguardo, si tiene impegnato conla custodia grigia, mentre la porta si richiude alle sue spalle e le due guardie restanodall’altra parte, a monitorare il corridoio.

Cal resta seduto e assiste alla scena, con sguardo omicida. Sono certa che stiapassando in rassegna tutti i modi in cui potrebbe uccidere il colonnello, valutando quellopiù doloroso. A quanto pare, il lacustre l’ha intuito, visto che estrae dalla fondina unapistola piccola ma letale, che tiene stretta nella mano come un serpente attorcigliato,pronto a colpire.

«Prego, siediti, signorina Barrow» mi invita con un cenno della pistola.Obbedire al suo comando ha il sapore della resa, ma non ho altra scelta. Riprendo

posto a sedere e lascio che Kilorn e il colonnello ci sovrastino. Se non fosse per l’arma dafuoco e le guardie nel corridoio, che ci tengono d’occhio, potremmo avere una possibilitàcontro di loro. Il colonnello è alto, ma più vecchio di noi, e le mani di Cal gli starebbero apennello intorno al collo. Io dovrei occuparmi di Kilorn e per atterrare quel traditorepotrei infierire sulle sue ferite, ancora fresche. Ma se anche li sconfiggessimo, la portaresterebbe comunque chiusa, con le guardie dall’altro lato a gustarsi la scena. La nostra

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lotta non porterebbe a nulla.Il colonnello sghignazza, come se mi leggesse nel pensiero. «Sarà meglio che resti

seduta.»«Le serve addirittura una pistola per tenere a bada due ragazzini?» lo derido e indico

l’arma con il capo. Nessuno al mondo oserebbe definire Cal un ragazzino, benché la suaabilità sia fuori uso. L’addestramento militare che ha ricevuto basta a renderlo letale, e ilcolonnello lo sa molto bene.

Eppure ignora la mia provocazione e punta i piedi davanti a me, in modo dasquadrarmi con il suo occhio insanguinato. «Sei fortunata, sai?! Perché sono unprogressista. Non sono in molti quelli che lo lascerebbero in vita.» Fa un cenno verso Cal,prima di puntare di nuovo lo sguardo su di me. «E non pochi ucciderebbero anche te.»

Lancio un’occhiata a Kilorn, nella speranza che si renda conto con che razza di personasi è schierato. Lui non sta fermo un attimo, sembra un bambino irrequieto. Se fossimoancora piccoli, e fossimo alti uguali, gli tirerei un cazzotto dritto nello stomaco.

«Non è certo per il piacere della mia compagnia che mi tenete ancora in vita»interviene Cal per dare un taglio al teatrino inscenato dal colonnello. «Con cosa aveteintenzione di barattarmi?»

Non mi servono altre conferme, mi basta la reazione del colonnello, che serra i denti eva su tutte le furie. Avrebbe voluto dirlo lui, ma Cal gli ha tolto le parole di bocca.

«Un baratto» mormoro, ma mi esce più che altro un sibilo. «Siete davvero convinti divoler rinunciare a una delle armi migliori che avete? Quanto siete stupidi?»

«Non così tanto da pensare sul serio che il principe combatterà per noi» ribatte ilcolonnello. «Lascio a te questa illusione, sparafulmini.»

Non abboccare. È quello che vuole. Eppure, devo fare appello a tutte le mie forze perguardare fisso in avanti e non voltarmi verso Cal. A essere sincera, non so a chi sia fedelené per chi combatta. So solo contro chi lotterà: Maven. Alcuni potrebbero pensare chequesto ci metta dalla stessa parte della barricata. Ma non mi lascio abbindolare. La vita ela guerra non sono così semplici.

«Molto bene, colonnello Farley.» Sobbalza, quando lo chiamo per cognome. Ruotaleggermente la testa, senza però cedere all’istinto di voltarsi verso la cella in cui giace lafiglia, priva di sensi. Noto del dolore nel suo sguardo. Lo terrò a mente, dovesse servirmi piùavanti.

Ma il colonnello risponde al mio affondo, ripagandomi con la stessa moneta. «Il re haproposto un accordo» annuncia; le sue parole sono come un lama premuta sulla carne,sul punto di tagliare. «In cambio del principe esiliato, re Maven ha acconsentito ariportare l’età di leva obbligatoria da quindici a diciotto anni.» Abbassa lo sguardo e conesso anche la voce. Per una frazione di secondo, intravedo il padre che si nasconde dietroquella maschera di crudeltà. La sua mente va ai propri figli, mandati al fronte a morire.«È un affare vantaggioso.»

«Fin troppo» commento d’istinto, con tono talmente deciso da riuscire a dissimulare lapaura che provo. «Maven non rispetterà mai un patto del genere. Mai.»

Alla mia sinistra, Cal espira lentamente. Congiunge le mani e, così facendo, mette inmostra i tagli e i lividi collezionati negli ultimi giorni. Tamburella tra loro le dita, nel

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tentativo di distrarsi in tutti i modi dalla verità che vorrebbe evitare.«Ma non avete scelta» osserva Cal, e ferma finalmente le mani. «Rifiutare l’accordo li

condannerebbe tutti quanti.»Il colonnello annuisce. «Esatto. Fatti forza, Tiberias. La tua morte salverà migliaia di

ragazzi innocenti. Loro sono l’unica ragione per cui tu stai ancora respirando.»Migliaia. Valgono certo più della vita di Cal, questo è poco ma sicuro. Ma nel profondo

del mio cuore, nella parte fredda e contorta di me stessa che comincio a conoscere fintroppo bene, qualcosa mi dice che non posso essere d’accordo. Cal è un combattente, unleader, un assassino, un cacciatore. E hai bisogno di lui.

In più di un senso.Scorgo una scintilla nel suo sguardo. Se non fosse per la pietra silente, sono certa che

le sue mani prenderebbero fuoco all’istante. Si inchina leggermente in avanti, ritrae lelabbra e mostra i denti bianchi e regolari. Ha un’aria così aggressiva e selvaggia che nonmi stupirei se vedessi delle zanne.

«Sono il vostro legittimo sovrano e discendo da una lunga stirpe di argentei» rispondefurioso. «L’unica ragione per cui voi state ancora respirando è che non posso incendiarel’ossigeno presente in questa stanza.»

Non ho mai sentito Cal muovere una minaccia del genere, così viscerale da farmicontorcere le budella. Anche il colonnello, solitamente calmo e impassibile, ha la miastessa sensazione, per cui indietreggia all’istante e per poco non va a sbattere controKilorn. Com’è già successo a Farley, è imbarazzato dalla propria paura. Per un attimo, ilcolore del viso paonazzo si abbina all’occhio insanguinato e lo fa sembrare un pomodoroambulante. Ma il colonnello è fatto di una certa pasta e allontana ogni timore con ununico gesto composto. Si liscia all’indietro i capelli biondo platino e rimette la pistolanella fondina con un sospiro soddisfatto.

«La tua barca parte stanotte, altezza» annuncia con un cenno del capo. «Ti suggeriscodi dire addio alla signorina Barrow. Dubito che la rivedrai.»

Stringo la mano sul bordo della sedia e pianto le unghie sul metallo freddo e ruvido.Se solo mi chiamassi Evangeline Samos, potrei avvolgere la sedia intorno al collo delcolonnello fino a fargli sentire il sapore del ferro e fargli uscire il sangue anche dall’altroocchio.

«Che ne sarà di Mare?»In un momento del genere, a un passo dalla propria condanna a morte, come può Cal

essere tanto stupido da preoccuparsi per me?«La terremo sotto controllo» interviene Kilorn, prendendo parola per la prima volta da

quando è entrato nella cella. Gli trema la voce, com’è giusto che sia. Quel codardo fa benead avere paura, soprattutto di me. «La sorveglieremo. Ma non le faremo del male.»

Noto un certo disappunto sul volto del colonnello. Immagino che voglia morta ancheme. Non so chi possa prevalere su di lui. Forse il misterioso comando di cui parlavaFarley, composto da chissà chi.

«È questo che farete a tutti quelli come me?» sbotto mentre mi alzo dalla sedia. «Ainovisangue? Avete intenzione di portare quaggiù anche Shade e metterlo in gabbia, comeuna specie di animale domestico? Finché non impareremo a obbedire?»

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«Dipende da lui» risponde il colonnello con tono pacato; ogni sua parola è un freddocalcio nello stomaco. «È stato un bravo soldato. Per ora. Proprio come il tuo amichetto quipresente» aggiunge posando una mano sulla spalla di Kilorn. Quel gesto puzza diorgoglio paterno, qualcosa che Kilorn non ha mai conosciuto. A un orfano come lui,persino un pessimo padre come il colonnello deve trasmettere una sensazione piacevole.«Senza il suo aiuto, non avrei mai trovato la scusa o il modo per imprigionarti.»

Non posso fare altro che incenerire Kilorn con lo sguardo, nella speranza che la miaocchiataccia lo ferisca come lui ha ferito me. «Sarai fiero di te, immagino.»

«Non ancora» risponde il mio amico pescatore.Se non fosse per gli anni trascorsi insieme a Palafitte, per tutti i nostri furti e le ore

passate a sgattaiolare per i vicoli come ratti, non ci farei nemmeno caso. Ma le intenzionidi Kilorn sono piuttosto facili da interpretare, almeno per me. Così, quando si inclina dilato e inarca la schiena, mentre scuote le anche in un gesto casuale, mi accorgo che inrealtà non c’è nulla di casuale in quello che sta cercando di fare. Intravedo il contornodella scatola, contenente le siringhe, che scivola sempre più giù, scorrendo tra la stoffadella giacca e la sua pancia, sempre più veloce.

«Oh…» mormora e si allontana con un balzo dal colonnello, proprio mentre lascatoletta salta fuori e si spalanca a mezz’aria, seminando aghi dappertutto. Non appenale siringhe toccano terra, vanno in mille pezzi e riversano un liquido ai nostri piedi. Aprima vista, parrebbero essersi rotte tutte, ma con una rapida occhiata mi accorgo cheKilorn ne stringe una nel pugno, ancora intatta.

«Ma che diamine, figliolo!» protesta il colonnello e si china senza riflettere. Fa perprendere la scatoletta, nella speranza di recuperare almeno qualche ago, ma si becca unapuntura nel collo per questo errore.

Il fattore sorpresa regala a Kilorn una manciata di secondi preziosi, che gli consentonodi svuotare la siringa e iniettare tutto il liquido nelle vene del colonnello. Proprio comeFarley, anche l’uomo si dimena e colpisce in faccia Kilorn, mandandolo a sbattere controla parete più lontana.

Prima che il colonnello possa fare un altro passo, Cal si alza di scatto dalla sedia e loscaraventa contro la finestra della cella. I soldati lacustri, dall’altra parte del vetro,osservano inermi la scena, con le pistole inutilmente puntate. Del resto, non possonoaprire la porta. Non possono correre il rischio di far uscire i mostri dalla gabbia.

Tra il sedativo e la spinta di Cal, il colonnello finisce per perdere conoscenza. Glicedono le gambe, si accascia contro il vetro e smarrisce ogni autorevolezza. Con gli occhichiusi ha un aspetto molto meno minaccioso. Sembra addirittura una persona normale.

«Ahi» si lamenta Kilorn vicino al muro, mentre si massaggia la guancia indolenzita.Benché sedato, il colonnello gli ha assestato un bel cazzotto e gli ha lasciato il segno. Miprecipito verso il mio amico. «Non è niente, Mare, non preoccuparti…»

Ma non sono accorsa a consolarlo. Gli sferro un pugno sull’altra guancia e sento lenocche scricchiolare contro l’osso del suo zigomo. Lui geme di dolore e perde quasil’equilibrio per il colpo ricevuto.

Mi sfrego le mani e cerco di ignorare il male alle nocche. «Ora le guance fannopendant.» Poi lo afferro per la vita e lo abbraccio forte. Lì per lì sussulta, temendo di

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provare dell’altro dolore, ma ben presto si rilassa.«Ti avrebbero beccata comunque qua sotto. Così ho pensato che fosse meglio non

farmi trovare accanto a te nella cella.» Sospira. «Te l’avevo detto di fidarti di me. Perchénon mi hai creduto?»

Non so proprio cosa rispondere.Affacciato alla finestra, Cal fa un respiro profondo e riporta la nostra attenzione sul

problema contingente. «Non biasimo il tuo coraggio, ma spero che questo piano prevedaqualcos’altro, oltre a cantare la ninna nanna a questo sacco di letame.» Dà un colpetto conil piede al corpo inerme del colonnello, mentre indica con il pollice le guardie checontinuano a osservarci al di là del vetro.

«Solo perché non so leggere, non significa che io sia stupido» brontola Kilorn, un po’risentito. «Tenete d’occhio la finestra. Dovrebbe arrivare da un momento all’altro.»

Infatti, passano dieci secondi esatti e una sagoma familiare si materializzaall’improvviso fuori dalla finestra. È Shade e ha un aspetto decisamente migliore,rispetto a quando l’ho visto stamattina, in infermeria. Si regge in piedi da solo, con untutore sulla gamba ferita e la fasciatura alla spalla. Brandisce una stampella come fosseuna mazza e, prima che le guardie si rendano conto di qualcosa, lui gliele suona di santaragione. Cadono entrambe a terra come due sacchi di patate, le espressioni ebeti.

Con immensa gioia, sento lo scatto della serratura che si apre e Cal si fionda verso laporta e la spalanca in un batter d’occhio. Esce dalla cella, nel corridoio, e respira a fondo.Io lo seguo a ruota ed emetto un sonoro sospiro, non appena sento il peso della pietrasilente che si dissolve. Attiro a me le scintille, raggiante, e le osservo scoppiettare sullapelle e fluirmi nelle vene.

«Mi siete mancate» sussurro alle mie migliori amiche.«Certo che sei proprio strana, sparafulmini.»Con mia somma sorpresa, vedo Farley, appoggiata alla porta aperta della sua cella; è il

ritratto della serenità. Non sembra per niente stordita dal sedativo… sempre che sortissedavvero qualche effetto.

«È il vantaggio di fare amicizia con le infermiere» commenta Kilorn, dandomi uncolpetto sulla spalla. «Mi è bastato un bel sorrisone per distrarre Lena e infilare nellascatola anche qualcosa di innocuo.»

«Le si spezzerà il cuore, quando scoprirà che te ne sei andato» ribatte Farley con unasmorfia simile a un broncio. «Povera ragazza.»

Ma Kilorn sbuffa divertito e mi lancia un’occhiata. «Non è un mio problema.»«E ora?» chiede Cal, lasciando parlare il soldato che è in lui. Irrigidisce le spalle

robuste, coperte da vestiti logori, e si guarda intorno per ispezionare ogni angolo delcorridoio.

Per tutta risposta, Shade allunga il braccio con il palmo rivolto verso il soffitto. «Orasaltiamo» annuncia.

Sono la prima a posargli la mano sul braccio e tenermi stretta. Benché io non riesca afidarmi né di Kilorn né di Cal né di nessun altro, posso pur sempre credere nell’abilità.Nella forza. Nel potere. Con il fuoco di Cal, i miei fulmini e la velocità di Shade, nulla enessuno ci può toccare.

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Finché resteremo insieme, non dovrò più subire alcuna prigionia.

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9

Il bunker mi sfreccia davanti sotto forma di sprazzi di luce e colore. Scorgo solo qualchelampo fugace, mentre Shade continua a saltare a perdifiato attraverso la struttura. Ècome se le sue braccia fossero dappertutto e ci avvolgessero, lasciandoci lo spazionecessario per restare aggrappati. Shade è abbastanza forte da reggerci tutti, nessuno èlasciato indietro.

Vedo una porta, poi un muro, poi il pavimento che mi viene incontro. Le guardie cidanno la caccia a ogni piè sospinto, gridano, sparano, ma non ci soffermiamo mai troppoa lungo nello stesso posto. Prima atterriamo in una stanza affollata, piena di schermi eapparecchi radio che trasudano elettricità. Scorgo addirittura qualche telecameraammonticchiata in un angolo, ma le persone presenti nella sala ben presto si accorgonodi noi e così balziamo via. Poi mi ritrovo sul pontile e strizzo gli occhi, in controluce.Stavolta i lacustri ci arrivano talmente vicini che riesco a notare i loro visi pallidi, nelbagliore della sera. Spicchiamo un altro salto e sento la sabbia sotto i piedi. Ancora unbalzo e tocco il cemento. Saltiamo sempre più in là, e da un’estremità della pista di voloci ritroviamo catapultati in fondo alla strada, vicino all’hangar. Shade è visibilmente sottopressione, ha i muscoli tesi e i tendini del collo gonfi per lo sforzo. Un ultimo balzo esiamo dentro, immersi in un ambiente fresco e caratterizzato da una relativa calma.Quando finalmente il mondo smette di girare e comprimersi, sento che sto per svenire. Ovomitare. Ma Kilorn mi sorregge e mi aiuta a restare in piedi, in modo da scoprire perquale motivo siamo arrivati fin lì.

Due jet scuri troneggiano su di noi, con le ampie ali spiegate. Uno è un po’ più piccolo,fatto per un solo pilota, e ha la fusoliera argentata e le ali dalla punta arancione. Un boccadi leone, ricordo il loro nome. Ripenso a Naercey e agli aerei ultraveloci e letali che cihanno scaricato addosso una pioggia di fuoco. Il velivolo più grande è nero come la pece,minaccioso, con un corpo più imponente e senza alcun dettaglio colorato. Non ho maivisto una cosa del genere e mi chiedo se valga lo stesso anche per Cal. Dopotutto, sarà luia pilotarlo, a meno che Farley non tiri fuori un altro asso dalla manica. A giudicare dacome fissa il jet, con gli occhi sgranati, non si direbbe.

«Cosa ci fate qui?»La voce rimbomba in modo strano tra le pareti dell’hangar. L’uomo che sbuca da sotto

l’ala del jet più piccolo non ha l’aspetto di un soldato, infatti non indossa l’uniforme deilacustri, ma una specie di tuta grigia. Ha le mani sporche di grasso di motore, per cuiintuisco che si tratti di un meccanico. Ci osserva e nota le guance livide di Kilorn e lastampella di Shade. «D-dovrò fare rapporto ai vostri superiori.»

«Fa’ quel che ti pare» abbaia Farley, con ancora il piglio del capitano che era. Tra lacicatrice e il muso duro che mette su, mi stupisco che il meccanico non svenga sul colpo.

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«Siamo in missione per conto del colonnello.» Con un rapido gesto, indica a Cal il jetnero. «Su, forza, apri il portellone dell’hangar.»

Il meccanico continua a balbettare, mentre Cal ci guida verso il retro del velivolo. Nelpassare sotto l’ala, solleva la mano per accarezzare il metallo freddo. «Un freccianera» mispiega sottovoce. «È grande ed estremamente veloce.»

«Ed è stato rubato» aggiungo io.Annuisce, impassibile, mentre giunge alla mia stessa conclusione. «Dalla base

aeronautica di Delphie.»“Era solo un’esercitazione” aveva detto la regina Elara tempo fa, durante un pranzo di

gala. Aveva smentito con nonchalance il pettegolezzo sugli aerei rubati, umiliandol’ormai defunto colonnello Macanthos davanti alla propria corte di dame. Già allora eroconvinta che mentisse, per occultare i misfatti della Guardia Scarlatta, ma al tempostesso sembrava incredibile: chi avrebbe potuto rubare un jet? Anzi due, addirittura. Be’,a quanto pare, la Guardia Scarlatta ci è riuscita.

Sul retro del freccianera, sotto la coda, c’è un portellone spalancato, come una boccaintenta a sbadigliare, che forma una specie di rampa per il carico e lo scarico della merce.Che poi saremmo noi, la merce. Shade entra per primo, appoggiandosi alla stampella,con il viso madido di sudore e pallido per lo sforzo. Tutti quei salti lo hanno messo a duraprova. Kilorn lo segue e mi trascina con sé, mentre Cal chiude la fila. Ci addentriamonella pancia del velivolo, muovendoci a tentoni nella semioscurità, e intanto, all’esterno,continuo a sentire la voce di Farley che rimbomba nell’hangar.

Su entrambi i lati, addossate alle pareti ricurve, intravedo due file di sedili, da cuipendono delle cinghie robuste. Ci saranno almeno una ventina di posti. Mi chiedo dovesia volato questo jet l’ultima volta e chi trasportasse. I suoi passeggeri sarannosopravvissuti o saranno morti? E noi faremo la loro stessa fine?

«Mare, ho bisogno del tuo aiuto» esclama Cal, che mi passa davanti e si dirige verso ilposto di guida. Si lascia cadere pesantemente sul sedile del pilota, di fronte a unincomprensibile pannello di controllo, pieno di pulsanti, leve e strumentazioni varie.Tutti i display e le lancette indicano lo zero e l’unico rumore che si sente, a bordo del jet,è il battito dei nostri cuori. Attraverso lo spesso vetro della cabina di pilotaggio, vedo ilportellone dell’hangar, ancora chiuso, e Farley che continua a discutere animatamentecon il meccanico.

Con un sospiro, prendo posto accanto a Cal e comincio ad allacciarmi la cintura. «Cosaposso fare?» Le fibbie fanno clic a mano a mano che le aggancio e me le regolo addosso.Se davvero dobbiamo volare, non voglio ritrovarmi a spasso per il jet.

«Questo affare è dotato di batterie, ma hanno bisogno di una spinta e non credo chequel tizio abbia intenzione di aiutarci» dice con un luccichio negli occhi. «Fai quello chesai fare meglio.»

«D’accordo.» Un forte senso di determinazione mi pervade, intenso come le miescintille. “È come accendere una lampadina, o una telecamera” dico a me stessa. “Solomolto più grande e complicato… e indispensabile.” In poche parole, mi chiedo se siapossibile, se la mia abilità basti a mettere in moto l’enorme freccianera. Poi ripenso alfulmine, viola, bianco e potente, che squarcia il cielo e si abbatte sul Circo delle ossa, e

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allora mi dico di sì. Se posso scatenare un temporale, posso senz’altro far ripartire questojet.

Allungo le braccia e poso le mani sul pannello di controllo. Non so cosa cerco, sosoltanto che non sento niente. Sfioro il metallo con le dita, sperando di trovare qualsiasicosa cui aggrapparmi, qualcosa da poter utilizzare. Avverto le scintille che prendono vitadentro di me, pronte a venirmi in aiuto. «Cal» lo chiamo a denti stretti, restia a lasciarmisfuggire un grido esasperato.

Lui capisce al volo e si mette all’opera, cercando qualcosa all’interno del pannello dicontrollo. Dopo aver fuso il metallo lungo i bordi, solleva la maschera con uno stridorepenetrante. Sotto la lamina, scorgo un groviglio di cavi intrecciati che mi ricorda unreticolo di capillari. Devo soltanto farli tornare a funzionare. Senza pensarci troppo,affondo una mano tra i fili elettrici e lascio fluire la mia energia, che cerca da sola unposto in cui andare. Quando sfioro con le dita un cavo piuttosto spesso lo afferro e miviene spontaneo sorridere. Chiudo subito gli occhi, mi concentro e faccio sì che la miaforza penetri nel circuito. La corrente che sprigiono pervade il jet, si dirama e segue varipercorsi, ma io continuo a produrne. Quando le scintille raggiungono il motore e leimmense batterie, stringo la presa talmente forte che mi conficco le unghie nella pelle.Su, andiamo. Riverso tutta me stessa in quell’atto, inondo le batterie ed entro in contattocon l’energia immagazzinata al loro interno. Abbasso la testa e l’appoggio al pannello, inmodo da sentire il sollievo del metallo fresco sulla pelle accaldata. Un ultimo sforzo el’argine interiore del jet si rompe, lasciando che l’elettricità invada ogni cavo e parete.Non vedo il freccianera accendersi, ma lo sento tutto intorno a me.

«Ottimo lavoro» esclama Cal, che si prende un momento per stringermi la spalla,soddisfatto. Tuttavia, quel gesto non dura molto, nel rispetto del nostro comune accordo:niente distrazioni, tantomeno ora. Riapro gli occhi e vedo le sue mani che danzano sulpannello di controllo, premono interruttori e ruotano manopole, apparentemente a caso.

Quando mi accomodo contro lo schienale, sento un’altra mano sulla spalla. Kilorn siappoggia a me, ma il suo tocco è inaspettatamente delicato. Non mi guarda nemmeno:osserva il freccianera con un’espressione a metà tra lo stupore e la paura. Con la boccaaperta e gli occhi spalancati sembra quasi un bambino. Anch’io mi sento piccola, sedutanella pancia di un jet, sul punto di fare una cosa che non avremmo mai creduto possibile.Il pescatore e la sparafulmini stanno per volare.

«Cosa si aspetta Farley? Vuole che sfondi la parete con questo affare?» brontola Calsottovoce; il suo sorriso è sparito da un pezzo. Si guarda alle spalle, cerca qualcuno, maquel qualcuno non sono io. «Shade?»

Mio fratello sembra prossimo allo svenimento e scuote la testa, seppur a malincuore.«Non posso far saltare oggetti così grandi e così… complicati. Neanche se fossi in pienaforma.» È una sofferenza per lui confessare una cosa del genere, benché non abbia alcunmotivo di vergognarsi. Ma Shade è un Barrow e a quelli come noi non piace ammettere leproprie debolezze. «Posso sempre andare a prendere Farley, però» prosegue, mentrearmeggia con le fibbie della cintura.

Kilorn conosce bene mio fratello, tanto quanto me, e lo spinge di nuovo a sedere.«Non ci servi a niente morto, Barrow» e abbozza un sorrisetto beffardo. «Troverò il modo

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di far aprire l’hangar.»«Non disturbarti» intervengo io e tengo lo sguardo fisso fuori dall’abitacolo. Dirigo il

mio potere verso l’esterno e il portellone dell’hangar comincia a spalancarsi con unlamento assordante, sollevandosi dal pavimento in modo fluido e continuo. Il meccanicoosserva il dispositivo di controllo del portellone e sembra confuso. Farley ne approfittaper squagliarsela e, in men che non si dica, è sulla soglia dell’hangar. Un raggio di sole altramonto la colpisce e proietta ombre allungate all’interno della struttura.

In controluce, si stagliano le sagome di una ventina di soldati che bloccano l’uscita.Non sono soltanto lacustri, ci sono anche gli uomini di Farley, si riconoscono dalle fasce edalle sciarpe rosse. Hanno tutti la pistola puntata contro il freccianera, ma sembranotitubanti, come se non volessero sparare. Per fortuna, non vedo né Bree né Tramy fra loro.

Uno dei lacustri fa un passo avanti. A giudicare dalle strisce bianche sull’uniforme,dev’essere un capitano o un luogotenente. Urla qualcosa, con la mano tesa, sembra chedica “fermatevi”. Ma non riusciamo a sentirlo, perché il rombo crescente dei motorisovrasta la sua voce.

«Via!» grida Farley, che nel frattempo è comparsa sul retro dell’aereo. Si precipita comeun razzo nel posto più vicino e si allaccia la cintura con mani tremanti.

Cal non se lo fa ripetere due volte. Muove le mani alla velocità della luce, gira e premeleve come se non avesse fatto altro fino a quel momento. Ma lo sento borbottareistruzioni tra sé e sé, come un mantra, per ricordare a se stesso cosa deve fare. Ilfreccianera si lancia in avanti e comincia a rullare, mentre la rampa posteriore si ritirasigillando ermeticamente l’interno del velivolo con un sibilo rassicurante. Ormai non sitorna più indietro.

«D’accordo, facciamo decollare questo coso.» Cal si fa forza da solo e si mette comodosul sedile, con aria quasi eccitata. Senza preavviso, afferra una leva del pannello dicontrollo, la spinge in avanti e il jet obbedisce.

Procede deciso verso il portellone dell’hangar, in rotta di collisione con la schiera disoldati. Stringo i denti, pronta ad assistere a una scena cruenta, ma gli uomini sisparpagliano, mettendosi in salvo dal freccianera e dal suo implacabile pilota. Ciallontaniamo dall’hangar e acquistiamo sempre più velocità, mentre la pista di decollopiomba nel caos. Vari mezzi di trasporto sfrecciano accanto alle caserme e ci vengonoincontro con i motori al massimo, mentre un drappello di soldati apre il fuoco senzaindugio dal tetto dell’hangar. I proiettili rimbalzano contro la fusoliera di metallo senzaforarla. Il freccianera è fatto di un materiale ben più resistente e mantiene la rotta, perpoi virare bruscamente verso destra, facendoci sballottare sul sedile.

È Kilorn a farne le spese, dato che non si è allacciato a dovere la cintura di sicurezza.Sbatte la testa contro la parete ricurva e impreca, poi si accarezza le guance doloranti.«Sei sicuro di saper guidare questo bestione?» ringhia inferocito contro Cal.

Per tutta risposta, Cal preme a fondo la leva con un ghigno beffardo e porta il jet almassimo della potenza. Guardo fuori e vedo i mezzi di trasporto che si allontanano, nonpotendo ovviamente stare al passo. Davanti a noi, però, la pista di volo, una strada grigiae piatta, si accorcia sempre di più. Dolci colline verdi e una manciata di alberi rachiticinon mi sono mai sembrati tanto minacciosi.

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«Cal» sussurro, nella speranza che mi senta, oltre il frastuono dei motori. «Cal.»Alle mie spalle, Kilorn armeggia con la cintura, ma gli tremano troppo le mani per

riuscire a combinare qualcosa. «Barrow, pensi di poter fare un ultimo salto?» grida rivoltoa mio fratello.

Ma Shade non sembra sentirlo. Ha lo sguardo puntato in avanti e il viso pallido,sconvolto dalla paura. Le colline si avvicinano, ormai sono a poche decine di metri. Miimmagino il jet che ci passa sopra, mantenendo l’equilibrio per qualche istante, prima dicappottarsi ed esplodere in mille pezzi. Almeno Cal sopravvivrebbe.

Ma lui non ci lascerà morire. Non oggi. Preme deciso un’altra leva e nello sforzo gli sigonfiano le vene della mano. Le colline scompaiono sotto di noi, come quando si sfila latovaglia dal tavolo senza far cadere nulla. Non vedo più l’isola, ma solo il blu intenso delcielo autunnale. Il decollo mi porta via anche il respiro, oltre alla terra sotto i piedi. Lapressione mi spinge contro lo schienale e mi provoca una sensazione dolorosa alleorecchie, che si tappano. Alle mie spalle, Kilorn trattiene un guaito e Shade imprecasottovoce. Farley invece non reagisce; è impietrita, con gli occhi sgranati, in preda alloshock.

Ho sperimentato molte cose strane, negli ultimi mesi, ma nulla è come volare. È unmiscuglio di sensazioni contrastanti: avverto l’immensa forza propulsiva dell’aereo cheprende quota, il ticchettio dei motori che ci proiettano verso il cielo, mentre il corpo èinerme, passivo, vincolato al veicolo che mi trasporta. È peggio della supercycle di Callanciata a tutta birra, ma al tempo stesso è anche meglio. Mi mordo il labbro e mi sforzodi non chiudere gli occhi.

Saliamo sempre più su e non si sente altro che il rombo dei motori e il battitomartellante dei nostri cuori. Lembi di nuvole si infrangono contro il muso del jet e siseparano come candidi sipari. Non posso fare a meno di sporgermi in avanti e per poconon premo il naso contro il vetro per guardare meglio fuori. L’isola scorre sotto di noi, unfazzoletto di terra verde scialbo circondato dal mare blu cobalto che si fa sempre piùpiccolo, ogni secondo che passa, finché non riesco più a scorgere né la pista né lecaserme.

Quando il jet torna in posizione orizzontale e raggiunge la quota stabilita da Cal, lui sivolta sul sedile. L’espressione soddisfatta sul suo viso renderebbe Maven orgoglioso.«Allora, che te ne pare?» chiede a Kilorn. «So guidare questo bestione?»

In risposta alla domanda, Cal ottiene soltanto un «sì» contrariato, ma per lui èsufficiente. Torna a osservare il pannello di controllo, con le mani appoggiate su undispositivo a forma di ferro di cavallo, posizionato al centro della plancia davanti a lui.Non appena tocca la cloche, il jet risponde al comando e abbassa dolcemente il muso.Contento del proprio lavoro, Cal preme con decisione qualche altro pulsante sullaconsole, poi si appoggia allo schienale e apparentemente lascia volare l’aereo da solo. Sislaccia persino le cinture di sicurezza e se le sfila di dosso per mettersi più comodo sulsedile.

«Allora, dove siamo diretti?» chiede nel silenzio. «O andiamo dove ci porta il vento?»Rabbrividisco per la battuta.Un colpo secco risuona all’interno del velivolo: Kilorn si è sbattuto una pila di fogli

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sulle ginocchia. Cartine. «Sono del colonnello» spiega il mio amico, con gli occhi puntatisu di me. Cerca di farmi capire. «C’è una pista d’atterraggio a Baia del Porto.»

Ma Cal scuote la testa come un insegnante infastidito dallo scolaro che dice delle grancavolate. «Intendi forte Patriota?» lo sbeffeggia. «Vuoi davvero che atterri nel bel mezzodi una delle basi aeree di Norda?»

Farley è la prima a schizzare su dal sedile e per poco nell’impeto non scuce le fibbiedalla cintura. Esamina le mappe con gesti ampi e ponderati. «Sì, vostra altezza, siamo deideficienti patentati» ribatte con freddezza. Apre una cartina e gliela sventola sotto ilnaso. «Non il forte. Campo nove-cinque.»

Cal digrigna i denti per la risposta piccata, poi afferra la mappa con cautela edesamina l’insieme di linee e colori. Dopo un po’, scoppia a ridere a crepapelle.

«Che c’è?» chiedo mentre gli strappo la cartina dalle mani. A differenza dell’enormepergamena indecifrabile nella vecchia aula di Julian, in questa ci sono nomi e luoghifamiliari. La città di Baia del Porto domina la parte meridionale della costa, e fortePatriota occupa la penisola che si protende nell’oceano. La spessa striscia marroneintorno alla città, troppo uniforme per trattarsi di qualcosa di naturale, non può cheessere una distesa di alberi barriera. Come nei dintorni di Archeon, i crescifoglia hannoinnalzato quelle strane foreste per proteggere Baia del Porto dall’inquinamento,proveniente con ogni probabilità da Nuovofumo, ovvero l’area che circonda come unacintura gli alberi barriera e forma un anello intorno ai bassifondi di Baia del Porto.

Un’altra baraccopoli, mi rendo conto. Proprio come a Grigiofumo, dove i rossi vivono emuoiono sotto un cielo pieno di smog, costretti a costruire mezzi di trasporto,lampadine, jet e tutta una serie di cose di cui gli argentei non capiscono nemmeno ilfunzionamento. Gli hi-technici non possono andare via dalle loro cosiddette cittànemmeno per andare al fronte. Hanno competenze troppo preziose perché venganosprecate in guerra o lasciate al loro libero arbitrio. Il ricordo di Grigiofumo brucia ancora,ma sapere che non è l’unico abominio del suo genere è ancora più doloroso. Quantepersone vivranno relegate in quella baraccopoli? O in questa? Quante persone come me,sempre che faccia qualche differenza?

Sento il sapore della bile che mi sale in gola, ma deglutisco e mi costringo a distoglierelo sguardo. Osservo sulla cartina i territori circostanti, costellati di villaggi operai, conqualche piccola città e fitte foreste intervallate da rovine pericolanti. Ma di Campo nove-cinque non c’è traccia. È probabile che si tratti di un luogo segreto e misterioso, comequalsiasi altra cosa che abbia a che fare con la Guardia Scarlatta.

Cal nota il mio sguardo confuso e si concede un’ultima risatina, prima di spiegarmi,finalmente: «La tua amica vuole che faccia atterrare un freccianera su delle cavolo dirovine» dice, e tamburella il dito sulla mappa.

Indica una linea tratteggiata, usata per rappresentare le ampie strade antiche di untempo. Ne ho anche vista una dal vivo, la volta in cui io e Shade ci siamo persi nel boscovicino a Palafitte. Era solcata da crepe causate dal ghiaccio invernale, sbiadita da secoli diesposizione al sole e sembrava più un ammasso roccioso che una vecchia stradatransitabile. Era cresciuto addirittura qualche albero in mezzo all’asfalto. Mi si stringe lostomaco al solo pensiero di atterrare con il jet su una superficie del genere.

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«È impossibile» balbetto, mentre m’immagino tutti i modi in cui potremmoschiantarci e morire, nell’impresa.

Cal annuisce, d’accordo con me, e mi sfila rapidamente la cartina dalle mani. La stendeper bene e danza con le dita su città e fiumi, mentre scansiona la mappa. «Con l’aiuto diMare, non abbiamo bisogno di atterrare in un posto specifico. Possiamo prenderci deltempo, ricaricare le batterie quando necessario e continuare a volare quanto ci pare, findove ci pare.» Poi aggiunge, con una scrollata di spalle: «O almeno finché le batterie nonsmetteranno di tenere la carica».

Un’ondata di panico mi pervade. «Quindi quanto tempo ci resta?»Lui risponde con un sorrisetto beffardo. «I freccianera sono entrati in uso due anni fa.

Nella peggiore delle ipotesi, questo gioiellino ne avrà per altri due anni.»«Mi hai fatto prendere un colpo!» protesto.“Due anni” penso. “Potremmo fare il giro del mondo in tutto quel tempo. Vedere

Piana Erbosa, Tiraxes, Monforte, Ciron, territori che per me sono soltanto nomi su unacartina. Potremmo vederli tutti.”

Ma è solo un sogno. Ho una missione da compiere, dei novisangue da proteggere e unconto in sospeso con un certo re.

«Allora, da dove partiamo?» chiede Farley.«Lasciamo scegliere alla lista. Ce l’hai con te, non è vero?» Faccio del mio meglio per

non sembrare preoccupata. Se il libricino di Julian con i nomi fosse rimasto a Tuck, lanostra scampagnata sarebbe finita prima ancora di iniziare, perché non andrei danessuna parte senza quello.

Kilorn risponde al posto di Farley ed estrae il taccuino da dentro la camicia. Me lolancia e io lo afferro con prontezza. È ancora tiepido, dopo essere stato a contatto con ilsuo corpo.

«L’ho fregata al colonnello» ammette, simulando una certa disinvoltura, benché unminimo d’orgoglio trapeli comunque.

«Era nel suo alloggio?» domando curiosa, mentre ripenso al bunker spartano costruitosott’acqua.

Ma Kilorn scuote la testa. «Il colonnello è più furbo di quanto pensi. La teneva chiusa achiave nell’armeria della caserma e aveva la chiave appesa alla catenina.»

«E tu…?»Con un’espressione trionfante, si allarga il colletto e mi mostra la collanina d’oro che

porta al collo. «Come borseggiatore non sono certo ai tuoi livelli, però…»Farley annuisce con aria complice. «Avevamo comunque intenzione di rubargliela,

prima o poi, ma quando ti hanno beccata abbiamo dovuto improvvisare. E alla svelta.»«Oh.» Quindi ecco a cosa sono servite le ore che ho passato nella cella. “Fidati di me”

aveva detto Kilorn prima di sbattermi in prigione con l’inganno. Ora mi rendo conto chel’ha fatto per la lista, per i novisangue e per me. «Ottimo lavoro» sussurro.

Kilorn fa finta di non darci peso, ma il suo sorriso a trentadue denti rivela quanto inrealtà sia soddisfatto.

«Sì, be’, ora però la prendo io, se non ti dispiace» prosegue Farley; non l’ho mai sentitaparlare in modo così gentile. Non aspetta neanche la risposta di Kilorn, ma allunga le

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dita e afferra la catenina con un movimento rapido e preciso. Intravedo un guizzo doratonella sua mano, che scompare quasi subito, quando se la infila nella tasca. Storce un pocola bocca, l’unico segnale che dimostri quanto sia toccata dalla collanina del padre. Anzi, adire il vero, non è del colonnello. Non proprio. La fotografia nell’alloggio all’interno delbunker ne è la riprova. A indossare la catenina erano la madre e la sorella di Farley e,chissà perché, lei ora non ce l’ha al collo.

Quando alza di nuovo la testa, il broncio è sparito e i suoi modi bruschi sono tornati.«Allora, sparafulmini, chi è il più vicino a Campo nove-cinque?» domanda, mentre sisporge verso il libricino.

«Non atterreremo a Campo nove-cinque» afferma Cal perentorio. Su questo punto,devo convenire con lui.

Shade, che è stato in silenzio fino a ora, si lamenta sul posto. Non è più pallido, maquasi verde, il che ha del comico: non ha problemi a sostenere il teletrasporto ma, aquanto pare, il volo lo mette a dura prova. «Campo nove-cinque non è una rovina»interviene, facendo del suo meglio per non vomitare. «Vi siete già scordati di Naercey?»

Cal espira lentamente e si gratta il mento, dove s’intravede un’ombra di barba scura.«L’avete ripavimentato.»

Farley annuisce e sorride.«E non potevi semplicemente dirlo?» le inveisco contro facendole sparire quel

sorrisetto presuntuoso dalla faccia. «Mica si prendono dei bonus a fare tutte questescene, Diana. Ogni secondo che sprecate ad autocompiacervi potrebbe significare lamorte per un altro novosangue.»

«E ogni secondo che voi sprecate a contestare me, Kilorn e Shade per qualsiasi cosa,compresa l’aria che respirate, sortisce lo stesso effetto, sparafulmini» afferma, e accorciale distanze tra noi. Troneggia su di me, ma non mi sento piccola. Sostengo il suo sguardosenza un briciolo di esitazione, con la fredda sicurezza che ho acquisito grazie agliinsegnamenti di lady Blonos e alla vita di palazzo presso la corte argentea. «Dammi unabuona ragione per fidarmi di voi e lo farò.»

Una menzogna.Dopo un istante, scuote la testa e indietreggia, lasciandomi spazio per respirare.

«Campo nove-cinque era una distesa di macerie» mi spiega. «E a chiunque sia abbastanzacurioso da andarlo a visitare, non sembra altro che un tratto di strada abbandonato. Unchilometro di asfalto che non è ancora andato distrutto.»

Poi mi indica altre strade dissestate sulla cartina. «E non è l’unico.»Si tratta di una rete variegata, con punti d’appoggio sempre nascosti da antiche rovine,

ma vicini a cittadine e villaggi. Farley lo definisce “sistema di protezione”, perché lasicurezza è davvero minima e i rossi delle campagne sono più propensi a badare alproprio orticello. Forse ora un po’ meno, con l’entrata in vigore dei provvedimenti, ma dicerto lo erano prima che il re decidesse di sottrarre ancora più figli alle loro famiglie. «Ilfreccianera e il bocca di leone sono solo i primi jet che abbiamo rubato, ma neprenderemo altri» aggiunge orgogliosa.

«Non ne sarei così sicuro» ribatte Cal. Non vuole essere ostile, solo pragmatico. «Dopol’episodio di Delphie, sarà ancora più difficile intrufolarsi in una base, figuriamoci

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nell’abitacolo di un aereo.»Farley sorride di nuovo, profondamente convinta delle proprie fonti segrete. «Questo è

vero, a Norda. Ma le basi aeree di Piè di Monte sono scarsamente sorvegliate.»«Il Piè di Monte?» Io e Cal trasaliamo, esterrefatti. La nazione a sud, nostra alleata, è

molto distante, più lontana persino delle Terre dei Laghi. Dovrebbe essere ben oltre laportata dei militanti della Guardia Scarlatta. È facile credere al traffico di merci dicontrabbando provenienti da quella regione: ho visto le casse con i miei stessi occhi. Mache ci siano vere e proprie infiltrazioni sembra davvero… impossibile.

A quanto pare, Farley non la pensa allo stesso modo. «I principi di Piè di Monte sonocerti che la Guardia Scarlatta sia un problema di Norda. Fortunatamente per noi, sisbagliano di grosso. Siamo un serpente a più teste.»

Mi mordo il labbro per trattenere un sussulto e conservare quel poco che resta dellamia maschera impassibile. Le Terre dei Laghi, Norda e ora anche il Piè di Monte? Sonocombattuta tra lo stupore e la paura suscitati da un’organizzazione così ampia e pazienteda infiltrarsi non in una, ma in ben tre nazioni sovrane, governate da re e principiargentei.

Questo non è il gruppetto raffazzonato di fervidi sostenitori che avevo immaginato.È una macchina enorme e ben oliata, in azione sin da tempi insospettabili.In cosa mi sono andata a cacciare?Per impedire ai miei pensieri di sgorgarmi dagli occhi sotto forma di lacrime, apro il

libricino con la lista. Lo studio condotto da Julian, arricchito da nomi e luoghi relativi aciascun novosangue di Norda, mi tranquillizza. Se riuscissi a ingaggiarli, addestrarli edimostrare al colonnello che non siamo argentei e non ci devono temere, allorapotremmo avere una chance per cambiare il mondo.

Così Maven finalmente non potrà uccidere nessun altro in mio nome e io non dovròsostenere il peso di altre morti.

Cal si china verso di me, ma non guarda le pagine; osserva le mie mani, le dita chesfogliano la lista. Sfiora il mio ginocchio con il suo, rovente attraverso i pantaloniconsumati, e benché non dica niente, so cosa intende. Come me, anche lui sa che c’èsempre qualcosa dietro, più di quanto possiamo immaginare.

“Stai in guardia” vuole dirmi con il suo gesto.Gli rispondo con una lieve pressione del gomito.Lo so.«Coraunt!» esclamo a voce alta e fermo il dito di colpo. «Coraunt è vicino alla pista

d’atterraggio nove-cinque?»Farley non si mette neanche a cercare il villaggio sulla cartina. Non ne ha bisogno.

«Abbastanza.»«Cosa c’è a Coraunt, Mare?» domanda Kilorn intanto che si avvicina di soppiatto alle

mie spalle. Sta ben attento a mantenere le distanze da Cal e mi frappone tra loro come sefossi un muro.

Le parole che pronuncio mi sembrano dei macigni. Le mie azioni potrebbero liberarequell’uomo. Oppure condannarlo.

«Si chiama Nix Marsten.»

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10

Il freccianera era il jet personale del colonnello, che lo usava per spostarsi piùrapidamente possibile tra Norda e le Terre dei Laghi. Per noi non è solo un semplicemezzo di trasporto: è una vera e propria miniera d’oro, carico com’è di armi, fornituremediche e persino scorte di cibo avanzate dall’ultimo viaggio. Farley e Kilorn dividono leprovviste in mucchietti e separano le pistole dalle garze, mentre Shade si cambia lafasciatura alla spalla. Non riesce a piegare la gamba per via del tutore, e la tiene distesain modo strano, ma non mostra alcun segno di dolore. Nonostante la corporatura esile, èsempre stato il più tosto della famiglia, secondo soltanto a nostro padre, che sopportacon tenacia la sua costante agonia.

All’improvviso, il respiro si fa affannoso, mi raschia le pareti della gola e mi provocauna fitta ai polmoni. Papà, mamma, Gisa, i ragazzi. Nel turbinio della fuga, mi sonocompletamente scordata di loro, proprio com’è già successo quando sono diventataMareena, quando re Tiberias e la regina Elara mi hanno fatto togliere i miei stracci e mihanno ricoperta di seta. Quella volta, mi ci sono volute ore prima di ricordarmi dei mieigenitori rimasti a casa, in attesa di una figlia che non sarebbe più tornata. E adesso li holasciati di nuovo ad attendermi. Potrebbero essere in pericolo per quello che ho fatto,sottoposti all’ira del colonnello. Mi prendo la testa tra le mani e mi maledico. Come hopotuto dimenticarmi di loro? Li avevo appena ritrovati. Come ho potuto abbandonarli così?

«Mare?» bisbiglia Cal, che cerca di non attirare l’attenzione su di me. Non c’è bisognoche gli altri mi vedano implodere, mentre continuo a insultarmi.

Sei un’egoista, Mare Barrow. Una stupida ragazzina egoista.Il tenue ronzio dei motori, all’inizio fonte di conforto, è ormai diventato un peso

insostenibile, e si abbatte su di me come le onde sulla spiaggia di Tuck, interminabili,impetuose e travolgenti. Per un attimo, vorrei lasciare che mi divorasse, per non sentirealtro che il fulmine. Nessun dolore, nessun ricordo, soltanto potere.

Qualcuno mi posa una mano sulla nuca, alleviandomi la tensione e infondendomi uncalore nella pelle che scioglie il freddo. Con il pollice, traccia dei cerchi lenti e regolari etrova un punto di pressione di cui ignoravo l’esistenza. Un po’ mi aiuta.

«Devi calmarti» prosegue Cal; ora la sua voce è molto più vicina. Lo spio con la codadell’occhio e lo vedo chino su di me, con le labbra che quasi mi sfiorano l’orecchio. «I jetsono un tantino sensibili alle tempeste di fulmini.»

«Hai ragione.» È così difficile ammetterlo. «D’accordo.»La sua mano non si sposta di un millimetro, resta lì dov’è. «Dentro con il naso, fuori

con la bocca.» Mi guida nella respirazione con un tono di voce basso e rilassante, come separlasse a un animaletto spaurito. Del resto, come dargli torto?

Mi sento una bambina piccola, ma seguo comunque le sue istruzioni. A ogni respiro,

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mi libero di un pensiero, ciascuno più spietato del precedente. Ti sei scordata di loro.Dentro. Hai ucciso delle persone. Fuori. Hai lasciato che ne morissero delle altre. Dentro. Seisola. Fuori.

L’ultimo non è vero. Cal ne è la dimostrazione, così come lo sono Kilorn, Shade eFarley. Eppure, malgrado loro stiano dalla mia parte, non riesco a togliermi dalla testa dinon avere nessuno al mio fianco. Persino con un esercito a sostenermi, sono pur sempresola.

Forse i novisangue cambieranno questa mia condizione. A ogni modo, devo scoprirlo.Lentamente, sollevo di nuovo la testa e la mano di Cal si sposta con me. La tira via solo

dopo un bel po’, quando è sicuro che io non abbia più bisogno di lui. Lì per lì, sentofreddo al collo, senza il suo calore, ma sono troppo orgogliosa per farglielo capire. Così,volgo lo sguardo fuori dall’abitacolo e mi concentro sulle nuvole che sfrecciano veloci nelcielo, il sole che cola a picco nell’oceano e l’acqua sottostante. Onde dalla spuma bianca siinfrangono contro una lunga catena di isole, collegate tra loro da strisce di sabbia,acquitrini e ponti dissestati. L’arcipelago è costellato di villaggi di pescatori e fari,apparentemente inoffensivi, ma stringo i pugni appena li vedo. Potrebbe esserci unavedetta, là in cima. Potrebbero avvistarci.

Nell’isola più grande c’è un porto pieno di barche della marina militare, a giudicaredalle dimensioni e dalle righe argento e blu con cui sono decorati gli scafi.

«Immagino che tu sappia quello che fai» dico a Cal, ma tengo gli occhi puntati sulleisole. Chissà quanti argentei ci saranno laggiù, in cerca di noi. E quel porto, stracolmo dinavi, potrebbe nascondere qualsiasi tipo di cosa. O di persona. Come Maven, per esempio.

Ma Cal non sembra per niente allarmato. Si gratta di nuovo la barbetta ispida sulmento. «Quelle sono le isole Bahrn, nulla di cui preoccuparsi. Forte Patriota, alcontrario…» indica verso nord-ovest. Riesco a malapena a intravedere la costa, offuscatadall’alone dorato dei raggi del sole. «Ho intenzione di restare alla larga dal loro radar ilpiù a lungo possibile.»

«E quando non potrai più?» Nel giro di un secondo, Kilorn è accanto a noi e siappoggia allo schienale del mio sedile. Sposta lo sguardo avanti e indietro, tra Cal e leisole sotto di noi. «Credi di potergli sfuggire?»

Cal ha un’espressione tranquilla e sicura di sé. «So che posso farlo.»Devo nascondere il sorriso con la manica, consapevole che farebbe soltanto

imbestialire Kilorn. Benché io non abbia mai volato con Cal prima d’ora, l’ho visto inazione sulla supercycle. E se a guidare i jet se la cava come con quel trabiccolo dellamorte a due ruote, allora siamo in ottime mani.

«Ma non ce ne sarà bisogno» prosegue, contento di aver messo a tacere Kilorn. «Ognijet ha il proprio codice identificativo, che permette al forte di sapere dov’è diretto ciascunvelivolo. Quando saremo a portata di radar, ne comunicherò uno vecchio e, con unpizzico di fortuna, a nessuno verrà in mente di controllare.»

«Mi sembra un po’ un rischio» protesta Kilorn, che cerca in tutti i modi di trovare dellefalle nel piano di Cal, ma il pescatore si ritrova in netta minoranza.

«Eppure funziona» interviene Farley, seduta sul pavimento del jet. «È così che ilcolonnello passa inosservato, quando non riesce a stare alla larga dai radar.»

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«Del resto, il fatto che nessuno si aspetti che dei ribelli sappiano pilotare un aereodovrebbe esserci d’aiuto» aggiungo, nel tentativo di alleviare un po’ l’imbarazzo perKilorn. «Non credo che si mettano a cercare i jet rubati tra quelli in volo.»

Con mia sorpresa, Cal si irrigidisce di colpo. Si alza talmente in fretta che fa ruotare ilsedile. «La risposta della strumentazione è troppo lenta» borbotta in modo sbrigativo. Èuna bugia e gli è uscita pure male, a giudicare dall’espressione torva sul suo viso.

«Cal?» lo chiamo, ma non si gira. Non mi degna nemmeno di uno sguardo e si dirigeverso il fondo dell’aereo. Gli altri lo osservano in cagnesco, purtroppo ancora moltodiffidenti.

Non posso fare altro che tenerlo d’occhio, perplessa. E adesso?Lo lascio ai suoi pensieri e mi avvicino a Shade, disteso sul pavimento. La gamba è

messa meglio di quanto pensassi, sostenuta dal robusto tutore, ma lui ha ancora bisognodella stampella di metallo al suo fianco. Dopotutto, si è beccato due proiettili a Naercey enon abbiamo guaritori curapelle a disposizione per rimetterlo in sesto con un semplicetocco.

«Vuoi che ti porti qualcosa?» chiedo a mio fratello.«Un po’ d’acqua non mi dispiacerebbe» ammette con riluttanza. «E neanche mettere

del cibo sotto i denti.»Ben contenta di poter fare almeno qualcosa per lui, prendo una borraccia e due

confezioni sigillate dalle provviste di Farley. Mi aspetto che lei mi faccia una ramanzinasull’importanza del razionamento del cibo, e invece non mi degna quasi di uno sguardo.Ha preso il mio posto nella cabina di pilotaggio e osserva fuori, rapita dal mondo chescorre sotto di noi. Kilorn le bighellona accanto, ma non si azzarda a toccare il sedilevuoto di Cal. Non ha la minima intenzione di farsi riprendere dal principe e sta moltoattento a non sfiorare il pannello di controllo. Mi ricorda un bambino circondato daschegge di vetro, diviso tra il desiderio di toccarle e la consapevolezza che non dovrebbe.

Sono tentata di prendere anche una terza confezione di cibo, visto che Cal non hamangiato niente da quando il colonnello lo ha rinchiuso nella cella, ma lancio un’occhiatain fondo all’aereo e mi blocco. Cal è lì in piedi che armeggia con un pannello aperto e fafinta di aggiustare qualcosa che non è rotto. Si infila rapidamente una delle uniformipresenti a bordo, una tuta da volo nera e argento. I vestiti ormai logori che indossavanell’arena si afflosciano ai suoi piedi, a mano a mano che se li toglie. Ora sì che sembra dinuovo se stesso, un principe del fuoco, un guerriero nato. Se non fosse per le singolaripareti del freccianera, penserei che siamo tornati a palazzo, a ronzare l’uno vicinoall’altra come falene intorno a una candela. Cal ha un distintivo appuntato sul petto, unemblema rosso e nero affiancato da un paio di ali argentate. Persino dalla distanza a cuimi trovo, riconosco le punte scure che si contorcono e formano una lingua di fuoco: lacorona fiammeggiante, che, per diritto di nascita, apparteneva a suo nonno, a suo padre ea lui, ma che invece gli è stata sottratta nel peggior modo possibile, pagata con il sanguedel padre e l’anima del fratello. Per quanto odiassi il vecchio re, il suo trono e tutto quelloche rappresentava, non posso fare a meno di provare dispiacere per Cal. Ha perso tutto,una vita intera, benché fosse una vita sbagliata.

Il principe si sente osservato, alza lo sguardo, interrompe il lavoro inutile a cui è

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intento e resta fermo per un momento. Poi si porta la mano sul distintivo seguendo ilprofilo del regno che gli è stato rubato. Con un gesto brusco che mi fa rabbrividire, sistrappa la spilletta dalla tuta e la butta via. Colgo un guizzo d’ira nei suoi occhi, inprofondità, sotto la sua calma apparenza. Benché lui si sforzi di nasconderla, la rabbiaviene a galla e fa capolino tra le crepe della sua maschera ormai logora. Lo lascio ai suoilavoretti, consapevole che i meccanismi di funzionamento del jet sono in grado ditranquillizzarlo più di qualsiasi cosa io possa dire.

Shade si sposta per farmi spazio accanto a sé, così mi lascio cadere a terra senzatroppa grazia. Il silenzio è calato su di noi come una nuvola minacciosa, mentre cipassiamo la borraccia e consumiamo una strana cena di famiglia, seduti sul pavimento diun freccianera rubato per la seconda volta.

«Abbiamo fatto la cosa giusta, non è vero?» sussurro, sperando in una specie diassoluzione. Malgrado abbia soltanto un anno più di me, ho sempre fatto affidamentosui consigli di Shade.

Tiro un sospiro di sollievo quando annuisce. «Era solo una questione di tempo; primao poi avrebbero imprigionato anche me. Il colonnello non sa come gestire quelli comenoi. Ci teme.»

«Non è l’unico» ribatto con aria cupa, mentre ripenso agli sguardi distolti e aicommenti sussurrati di chiunque io abbia incontrato finora. Persino nella Casa del Sole,dov’ero circondata da gente con abilità incredibili, ero comunque diversa. E a Tuck ero lasparafulmini. Rispettata, nota e temuta. «Almeno gli altri sono normali.»

«Chi? Mamma e papà?»Annuisco e sussulto, nel sentirli nominare. «E anche Gisa e i ragazzi. Loro sono veri

rossi, per cui il colonnello non può… non prenderà provvedimenti nei loro confronti.»Suona più come una domanda.

Con fare pensieroso, Shade addenta la sua razione, una barretta secca e friabile, fattadi fiocchi d’avena compressi, che lascia briciole ovunque. «Se ci avessero aiutati, sarebbestato un altro paio di maniche. Ma loro non sapevano nulla della nostra fuga, per cui nonmi preoccuperei. Andarcene in quel modo…» gli si blocca il respiro in gola, e anche a me«… è stato meglio anche per loro. Altrimenti, papà ci avrebbe dato una mano e anche lamamma. Bree e Tramy, dal canto loro, sono talmente fedeli alla causa da essere al di sopradi ogni sospetto. Senza contare che nessuno dei due sarebbe tanto sveglio da mettere asegno una mossa del genere.» Fa una pausa e riflette. «Dubito che persino i lacustri ciproverebbero gusto nello sbattere in prigione una donna attempata, un invalido e lapiccola Gisa.»

«Meno male» rispondo un tantino sollevata, e gli spazzolo via le briciole della barrettadalla camicia.

«Però non mi piace che tu li definisca normali» aggiunge afferrandomi per il polso.Poi, di colpo, abbassa la voce: «Non c’è nulla che non vada in noi. Siamo diversi,d’accordo, ma non siamo sbagliati. E non siamo certo migliori».

“Siamo tutto fuorché normali” vorrei dirgli, ma le sue parole severe mi fanno passarela voglia. «Hai ragione, Shade» ammetto con un cenno del capo, nella speranza che sibeva la mia penosa bugia. «Come sempre.»

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Lui scoppia a ridere e finisce la cena in un sol boccone. «Me lo scrivi nero su bianco?»Ridacchia e mi lascia andare. Quel sorriso è così familiare che mi sento male. Fingoallegria per il suo bene, ma i passi pesanti di Cal dissipano rapidamente ogni brio.

Ci sfreccia davanti con una falcata decisa e scavalca con destrezza la gamba tesa diShade, mantenendo lo sguardo fisso sull’abitacolo. «Tra non molto saremo a portata diradar.» Non si rivolge a nessuno in particolare, ma scattiamo tutti sull’attenti.

Kilorn sguscia via dalla cabina di pilotaggio, come se l’avessero scacciato. Cal loignora, concentrato solo sul jet e nient’altro. Almeno per il momento, la loro ostilitàpassa in secondo piano, rispetto agli ostacoli che dobbiamo affrontare.

«Fossi in voi, mi allaccerei le cinture» aggiunge Cal, che mi lancia un’occhiata prima disprofondare sul proprio sedile. Si stringe le fibbie con precisione e distacco, dando deglistrattoni rapidi e decisi. Seduta al suo fianco, Farley fa altrettanto; per il momento, senzadire una parola, si è impossessata del mio posto. Non che mi dispiaccia: è stato giàabbastanza terrificante assistere al decollo, non oso immaginare come possa esserel’atterraggio.

Mio fratello è orgoglioso, ma non è stupido, quindi mi permette di aiutarlo ad alzarsi.Kilorn lo prende dall’altra parte e insieme ci impieghiamo poco a tirarlo su da terra. Unavolta in piedi, Shade se la cava piuttosto bene da solo, si siede appoggiandosi allastampella e si mette la cintura di sicurezza. Io prendo posto al suo fianco e Kilorn siaccomoda sul sedile accanto a me. Stavolta anche il mio amico si allaccia per bene lecinture e si tiene stretto, in previsione di quello che ci aspetta.

Mi concentro sulle mie fibbie e non appena me le stringo, mi sento stranamente alsicuro. Ti sei appena legata a un ammasso di lamiera che sfreccia nel cielo come un razzo. Èvero, ma almeno, per la prossima manciata di secondi, la vita e la morte dipenderannosolo ed esclusivamente dal pilota. Per questa volta, mi limito a farmi dare un passaggio.

Nell’abitacolo, Cal comincia a trafficare con una decina di leve e interruttori perpreparare il jet a quello che seguirà. Stringe gli occhi e distoglie lo sguardo dal baglioredel tramonto. La luce del sole incendia il suo profilo e lo illumina di raggi rossi earancioni che potrebbero essere le sue stesse fiamme. Ripenso a Naercey, al Circo delleossa e persino ai duelli durante gli allenamenti, quando Cal smetteva di essere unprincipe e diventava un rogo vivente. Allora restavo allibita e mi stupivo, ogni volta in cuirivelava il suo io impetuoso e violento, ma adesso non più. Non posso certo dimenticarequello che arde sotto la sua pelle, la furia che lo alimenta e la forza di entrambi.

Chiunque può tradire chiunque e Cal non fa eccezione.Qualcuno mi sfiora l’orecchio e io sussulto sul posto, ma le cinture mi trattengono. Mi

volto e vedo la mano di Kilorn sospesa a mezz’aria, mentre il mio amico mi osserva conun sorriso estasiato.

«Ce le hai ancora!» esclama e mi punta il dito addosso.“Sì, Kilorn, ho ancora le orecchie” vorrei ribattere seccata. Ma poi capisco a cosa si

riferisce. Quattro pietre, una rosa, una rossa, una viola e una verde: i miei orecchini. Iprimi tre me li hanno dati i miei fratelli e fanno parte di una collezione che condivido conGisa. Sono doni dal retrogusto amaro, visto che ce li hanno consegnati prima di partireper il fronte e lasciare la nostra famiglia, forse per sempre. L’ultimo, invece, me l’ha

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regalato Kilorn, a un passo da un tragico destino, prima che la Guardia Scarlattaattaccasse Archeon, prima del tradimento che pesa ancora su tutti quanti noi. Quegliorecchini sono rimasti con me per tutto il tempo, da quando Bree è stato chiamato allearmi a quando Maven ha dimostrato la propria slealtà, e ogni perlina è stracolma diricordi.

Kilorn si è incantato sulla pietra verde, dello stesso colore dei suoi occhi. Quella vistalo addolcisce e smussa un po’ gli angoli del suo atteggiamento, che si è indurito negliultimi mesi.

«Ma certo» rispondo. «Me le porterò nella tomba.»«Non parliamo di tombe, soprattutto adesso» borbotta Kilorn controllandosi di nuovo

le cinture.Così da vicino, riesco a scorgere meglio il suo viso malconcio. Ha un occhio nero per

via del colonnello e una guancia viola per colpa mia. «Mi dispiace» dico scusandomi siaper le parole sia per la botta.

«Me ne hai fatte passare di peggio» risponde Kilorn e si mette a ridere. Non ha tutti itorti.

Il sibilo gracchiante delle interferenze radio interrompe quel momento idilliaco. Mivolto e vedo Cal che si china in avanti, con una mano sulla barra di comando e l’altra cheafferra il radiomicrofono.

«Torre di controllo di forte Patriota, qui è effe-enne-uno-otto-linea-sette-due.Provenienza Delphie, destinazione forte Lencasser.»

La sua cadenza tranquilla e monotona rimbomba all’interno del jet. Non c’è nulla disospetto nella sua voce, né di vagamente intrigante. Se tutto va bene, quelli di fortePatriota avranno la stessa impressione. Cal ripete il codice identificativo ancora un paiodi volte e simula addirittura un tono annoiato, benché in realtà sia un fascio di nervi econtinui a mordersi il labbro irrequieto, in attesa di una risposta.

I secondi che passano sembrano ore e noi restiamo in ascolto, ma dall’altro capo dellaradio si sente solo il rumore delle interferenze. Seduto accanto a me, Kilorn si stringe lecinture e si prepara al peggio. Quatta quatta, io faccio lo stesso.

Quando la radio gracchia il verdetto, stringo le mani sul bordo del sedile. Avrò anchefiducia nelle capacità di Cal come pilota, ma questo non significa che io voglia assisterementre vengono messe alla prova per sfuggire a uno squadrone d’assalto.

«Ricevuto, effe-enne-uno-otto-linea-sette-due» dichiara finalmente una voce severa eautoritaria. «La prossima chiamata sarà dalla torre di controllo di Cancorda. Ricevuto?»

Cal espira lentamente e si lascia sfuggire un sorriso sollevato. «Ricevuto, fortePatriota.»

Ma prima che io possa rilassarmi, la radio continua a gracidare e Cal serra i denti.Porta entrambe le mani sulla barra di comando e la stringe con fermezza. Quel gesto èsufficiente a spaventarci tutti, inclusa Farley. Seduta accanto a lui, osserva l’apparecchiocon gli occhi sgranati e la bocca aperta, come se già immaginasse le parole che stanno peressere pronunciate. Shade fa altrettanto e fissa la radio sul pannello di controllo, con lastampella stretta sottobraccio.

«Temporali su Lencasser, procedere con cautela» annuncia la voce, dopo una lunga

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pausa carica di tensione. È annoiata, rigorosa e del tutto disinteressata a noi. «Ricevuto?»Stavolta Cal lascia andare la testa in avanti e socchiude gli occhi, profondamente

rincuorato. Mi trattengo dal fare la stessa identica cosa. «Ricevuto» conferma Cal almicrofono. Il brusio fastidioso delle interferenze muore con un clic rassicurante chesancisce la fine della comunicazione. Ce l’abbiamo fatta. Siamo al di sopra di ogni sospetto.

Nessuno osa parlare, finché Cal non decide di rompere il silenzio e si volta verso dinoi con aria sbarazzina. «Un gioco da ragazzi» commenta ironico, prima di asciugarsi ilvelo di sudore sulla fronte.

Non posso fare a meno di scoppiare a ridere, davanti a quella scena: un principe delfuoco che suda. Ma lui non sembra farci caso. Anzi, allarga il sorriso ancora di più, poi sigira di nuovo verso i comandi. Persino Farley si lascia sfuggire un’espressionespensierata e Kilorn scuote la testa e mi molla la mano.

«Ottimo lavoro, vostra altezza» commenta Shade; mentre Kilorn usa quel titolo a mo’di insulto, pronunciato da mio fratello sembra un’autentica forma di rispetto.

Immagino sia per questo che il principe sorride e scuote la testa. «Chiamami Cal.»Kilorn emette un verso gutturale di scherno, così sommesso che lo sento soltanto io e

gli tiro una gomitata nelle costole. «Guarda che non ti ucciderebbe provare a essere unpo’ gentile.»

Lui si scansa per evitare l’ennesimo livido. «Meglio non rischiare» ribatte in unsussurro. Poi, a voce alta, si rivolge a Cal: «Immagino che non richiameremo la torre diCancorda, non è vero, vostra altezza?».

Stavolta gli tiro un pestone sul piede e lo faccio guaire dal dolore, soddisfatta.Venti minuti più tardi, il sole è ormai tramontato, abbiamo superato Baia del Porto e la

baraccopoli di Nuovofumo e l’aereo vola sempre più basso. Farley fa fatica a restareseduta e allunga il collo per guardare fuori. Al momento, sotto di noi si vedono soltantoalberi; sono sempre più fitti e formano l’enorme foresta che occupa la maggior parte delterritorio di Norda. Ho quasi l’impressione di essere tornata a casa, come se da unmomento all’altro, dietro la prossima collina, potessi veder spuntare Palafitte. Ma casamia si trova a quasi duecento chilometri di distanza, verso ovest. I fiumi da queste partimi sono estranei, le strade anonime e non conosco nessuno dei villaggi dislocati lungo icorsi d’acqua. Il novosangue Nix Marsten vive in uno di quei paesi e ignora la propriavera identità, nonché il pericolo in cui si trova. Sempre che sia ancora in vita.

Dovrei valutare la possibilità di un’eventuale trappola, ma non lo faccio. Non ci riesco.La sola cosa che mi aiuti ad andare avanti è il pensiero di trovare altri novisangue. Nonsoltanto per la causa, ma per me, per dimostrare di non essere l’unica eccezione, insiemea mio fratello.

La mia fiducia in Maven era malriposta, ma con Julian Jacos la situazione è diversa. Loconosco bene, meglio di tanti altri, e lo conosce anche Cal. Come me, il principe sa che lalista è attendibile, e se gli altri non la pensano allo stesso modo, di certo non lo danno avedere. In fondo, vogliono crederci anche loro, perché quell’elenco di nomi dà speranza: èun’arma, una possibilità, un modo per combattere. La lista è un’ancora di salvezza pertutti quanti noi e offre a ciascuno un appiglio a cui tenersi stretti. Mentre il jet scendeverso la foresta, per distrarmi, mi concentro sulla cartina che ho tra le mani, ma sento

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comunque lo stomaco in subbuglio.«Per tutti i casati!» borbotta Cal, mentre fissa fuori dal vetro quelle che, immagino,

sono le rovine trasformate in pista. Preme una levetta e le lastre di metallo sotto di mecominciano a vibrare; nel frattempo, un sonoro ronzio si diffonde all’interno del velivolo.«Preparatevi all’atterraggio.»

«E cosa significa esattamente?» domando a denti stretti, mentre guardo fuori e, alposto del cielo, vedo le cime degli alberi.

Prima che Cal possa rispondere, il jet comincia a tremare e sbatte contro qualcosa diduro. Rimbalziamo sui sedili aggrappandoci alle cinture, mentre veniamo sballottatiavanti e indietro per il contraccolpo. La stampella di Shade schizza via e finisce contro loschienale del sedile di Farley. Lei non sembra rendersene conto. Resta avvinghiata aibraccioli, sotto shock, con gli occhi spalancati, senza battere ciglio.

«Siamo atterrati» sussurra con un filo di voce, sovrastato dal rombo assordante deimotori.

Cala la notte sulle cosiddette rovine, immerse in una quiete interrotta solo dal cantolontano degli uccelli e dal sordo lamento del jet. I motori girano sempre più lentamentefino a spegnersi del tutto, dopo il nostro viaggio. Le venature blu elettrico che scintillanosotto le ali si affievoliscono, finché l’unica luce che resta è quella proveniente dall’internodel jet e dalle stelle nel cielo.

Aspettiamo in silenzio, nella speranza che il nostro atterraggio sia passato inosservato.C’è odore d’autunno, l’aria profuma di foglie morte e temporali in lontananza e io

inspiro a fondo, mentre scendo dalla rampa. Il silenzio è spezzato solo dal russaredistante di Kilorn, che sta recuperando un po’ di sonno arretrato. Farley si è già dileguatacome nebbia, è partita con una pistola in mano per andare a perlustrare il resto dellapista nascosta e ha portato con sé anche Shade, per ogni evenienza. Per la prima voltadopo settimane, anzi mesi, non sono sotto stretta sorveglianza o guardata a vista. Misento di nuovo padrona di me stessa.

Ma, naturalmente, dura poco.Cal scende di corsa dalla rampa, con un fucile in spalla, una pistola sul fianco e uno

zaino in mano. Tra i capelli neri e la tuta scura, sembra un’ombra, cosa che sono certauserà a proprio vantaggio.

«Che fai?» gli chiedo, e lo afferro prontamente per un braccio. Potrebbe liberarsi dallamorsa in un batter d’occhio, ma non lo fa.

«Non preoccuparti, non ho preso molta roba» dice indicando lo zaino. «Posso semprerubare la maggior parte di quello che mi serve.»

«Rubare? Tu?» Mi scappa da ridere al pensiero che un principe possa fare una cosa delgenere. «Nella migliore delle ipotesi ti giocherai le dita, e nella peggiore, la testa.»

Lui scrolla le spalle e cerca di non sembrare preoccupato. «E a te cosa importa?»«M’importa eccome» ribatto alla svelta. Faccio del mio meglio per non lasciar trapelare

la mia sofferenza. «Abbiamo bisogno di te, e lo sai.»Lui increspa l’angolo della bocca, ma non per sorridere. «E a me cosa importa?»Avrei una gran voglia di ficcargli un po’ di sale in zucca a suon di botte, ma Cal non è

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Kilorn. Incasserebbe il pugno con un risolino e andrebbe dritto per la sua strada. Con ilprincipe bisogna ragionarci, convincerlo. Manipolarlo.

«L’hai detto tu stesso: ogni novosangue che salviamo, per Maven costituirà un durocolpo. È ancora così, non è vero?»

Non conferma, ma non smentisce nemmeno. Se non altro, mi sta ascoltando.«Tu sai di cosa sono capace e di cosa è capace Shade. Nix potrebbe essere ancora più

forte e migliore di entrambi. Giusto?»Silenzio.«So che lo vorresti morto.»Malgrado l’oscurità, uno strano bagliore illumina lo sguardo di Cal.«Lo voglio anch’io» confesso. «Voglio stringergli le mani intorno al collo. Voglio

vederlo sanguinare per quello che ha fatto, per tutte le persone che ha ucciso.» Poterlodire a voce alta, riconoscere quello che più mi spaventa con l’unica persona che possacapirmi è una sensazione meravigliosa. Voglio fargli più male possibile. Voglio farglisfrigolare le ossa a furia di scariche elettriche, finché non riesce neanche più a urlare. Vogliodistruggere il mostro che Maven è diventato.

Ma quando m’immagino di ucciderlo, una parte di me ripensa al ragazzo che credevofosse. Continuo a ripetermi che non era reale: il Maven che pensavo di conoscere e a cuitenevo era solo una fantasia, cucita su misura per me. Elara ha trasformato il figlio in unapersona che io potessi amare e ha fatto davvero un ottimo lavoro. In un certo senso, quelragazzo che non è mai esistito mi perseguita più di tutti gli altri fantasmi.

«Maven al momento è oltre la nostra portata» ammetto, sia per Cal sia per il mio bene.«Se gli diamo la caccia ora, ci seppellirà entrambi. E lo sai.»

Cal un tempo era un generale ed è tuttora un grande guerriero, nonché un esperto dicombattimenti. Perciò, malgrado sia pervaso dalla rabbia e dalla sete di vendetta, èconsapevole di non poter vincere questa battaglia. Non ancora.

«Non faccio parte della vostra rivoluzione» sussurra, e la sua voce si perde nella notte.«Non sono una guardia scarlatta. Non sono parte di tutto questo.»

Mi aspetto quasi che si metta a pestare i piedi, esasperato.«Allora cosa sei, Cal?»Apre la bocca, convinto che verrà fuori qualcosa, ma non esce niente.Comprendo la sua confusione, anche se non mi piace. Cal è stato educato per

diventare tutto quello contro cui io combatto. Non sa come fare a essere diverso,nemmeno ora che si trova insieme a dei rossi, ricercato dai propri simili e tradito dal suostesso sangue.

Dopo un momento lungo e terrificante, fa dietrofront e rientra nel jet. Si libera dellozaino, delle armi e dei suoi propositi. Io tiro un sospiro di sollievo per la sua decisione.Rimarrà.

Per quanto, non lo so.

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11

Coraunt è a più di sei chilometri verso nord-est, rispetto a dove ci troviamo noi, e sorgenel punto d’incontro tra il fiume Reggente e l’ampia via del Porto. A vederlo così, sullacartina, non sembra altro che un avamposto commerciale, nonché uno degli ultimivillaggi prima che via del Porto s’insinui verso l’interno, tra terreni sommersi e paludiimpraticabili, nel suo tragitto fino al confine settentrionale. Delle quattro grandi stradesecondarie di Norda, via del Porto è la più trafficata e collega Delphie, Archeon e Baia delPorto, il che la rende anche la più pericolosa, benché così a nord. Un sacco di argentei,militari o meno, potrebbero passare di lì, e anche se non ci stessero attivamentecercando, non c’è argenteo in tutto il regno che non riconoscerebbe Cal. La maggior parteproverebbe ad arrestarlo; alcuni tenterebbero senz’altro di ucciderlo a vista.

“E potrebbero riuscirci” dico a me stessa. Questa consapevolezza dovrebbespaventarmi a morte e invece mi rincuora: Maven, Elara, Evangeline e Ptolemus Samos,nonostante il loro potere e le loro abilità, sono tutti vulnerabili. Possono essere sconfitti.Dobbiamo solo trovare le armi adatte.

Questo pensiero mi aiuta a sopportare meglio il dolore accumulato negli ultimi giorni.La spalla è pressoché guarita e, nella quiete della foresta, mi rendo conto che il fischionelle orecchie si è affievolito. Ancora qualche giorno e non mi ricorderò neanche piùl’urlo del banshee. Persino le nocche, indolenzite per il pugno tirato a Kilorn poche oreprima, non mi fanno quasi più male.

Shade salta tra gli alberi, la sua figura svanisce e riappare come una stella tra lenuvole, ma resta pur sempre nelle vicinanze, senza mai uscire dal nostro campo visivo, edosa bene il teletrasporto. Ogni tanto sussurra qualcosa e indica una svolta in una traccialasciata dai cervi o una gola nascosta, soprattutto per il bene di Cal. Mentre io, Kilorn eShade siamo cresciuti nei boschi, il principe si è formato tra palazzi e caserme, ma nulladi quello che ha vissuto lo ha preparato ad attraversare una foresta di notte, comedimostrano tutti i rami che fa scricchiolare al proprio passaggio e il suo frequenteincespicare. Cal è abituato a bruciare ciò che incontra lungo il cammino e a farsi stradatra nemici e ostacoli con la sola forza bruta.

Kilorn sorride divertito ogni volta che il principe inciampa.«Sta’ attento» esclama tirandolo via, per fargli evitare un masso nascosto nell’ombra.

Cal si libera agilmente dalla presa del pescatore, ma non reagisce, in segno diriconoscenza. Poi raggiungiamo la sponda di un ruscello.

I rami degli alberi si sporgono da entrambe le rive e le foglie sfiorano il corso d’acqua.La luce delle stelle filtra attraverso le fronde e illumina il rio che serpeggia nella forestaper poi immettersi nel fiume Reggente. Il ruscello è piuttosto stretto, ma non c’è modo disapere quanto sia profondo. Per fortuna, però, la corrente non sembra troppo forte.

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A quanto pare, Kilorn si sente più a suo agio nell’acqua che sulla terraferma e salta nelrio con spavalderia, in un punto poco profondo. Lancia un sasso nell’acqua e ascolta iltonfo della pietra che affonda. «Saranno circa due metri, forse un po’ di più» dichiarapoco dopo. Ben oltre la mia altezza. «Vuoi che ti costruiamo una zattera?» aggiunge conun ghigno rivolto a me.

Quando avevo quattordici anni, ho attraversato a nuoto il fiume della capitale,profondo più di sei metri e largo dieci volte quello. Di conseguenza, non ci metto niente atuffarmi nel ruscello e immergere la testa nell’acqua fredda e scura. Essendo così vicinaall’oceano, è leggermente salata.

Kilorn mi segue senza esitazione e con un paio di poderose bracciate, nel giro di pochisecondi, raggiunge il centro del torrente. Mi stupisco che non faccia lo splendido permettersi in mostra, esibendosi in capriole o restando in apnea per svariati minuti.Quando approdo sull’altra sponda, capisco perché.

Shade e Farley sono appollaiati sulla riva opposta e osservano l’acqua sottostante.Cercano entrambi di trattenere delle smorfie divertite, mentre scrutano il principe alleprese con il ruscello. L’acqua si infrange con delicatezza sulle caviglie di Cal, ma luisbianca al chiaro di luna e incrocia le braccia, nel tentativo di nascondere il tremore dellemani.

«Cal?» lo chiamo, stando attenta a non gridare. «Che ti prende, c’è qualche problema?»Appoggiato al tronco di un albero, Kilorn sbuffa nell’oscurità. Si apre la giacca bagnata

fradicia e la strizza con cura. «Andiamo, Calore, sai pilotare un jet e non sai nuotare?» lopunzecchia.

«Certo che so nuotare» ribatte brusco Cal facendo un passo avanti; ora è immerso finoalle ginocchia. «Solo, non ne vado matto, tutto qui.»

Ma è ovvio. Cal è un forgiafiamma, un manipolatore del fuoco, e nulla lo indeboliscepiù dell’acqua. Quell’elemento lo rende vulnerabile e impotente, tutte caratteristiche chegli hanno insegnato a odiare, temere e combattere. Ripenso all’arena, a come ha rischiatodi morire, intrappolato da lord Osanos in una sfera d’acqua che nemmeno un principedel fuoco del calibro di Cal è stato in grado di far evaporare. Dev’essersi sentito come inuna bara, una tomba liquida.

Mi chiedo se ci stia ripensando anche lui, se è quel ricordo a fargli sembrare il placidoruscello un oceano tempestoso e senza fine.

Il mio primo istinto è di tornare indietro e aiutarlo nella traversata, ma questo farebbemorire dal ridere Kilorn e Cal non lo potrebbe sopportare. L’ultima cosa di cui abbiamobisogno in questo momento è una scazzottata nel bel mezzo della foresta.

«Dentro con il naso, Cal.» Lui alza la testa, e quando i nostri sguardi si incrociano,dall’altro lato del ruscello, gli faccio un impercettibile cenno d’incoraggiamento. Fuori conla bocca. Gli ho soltanto ripetuto le sue stesse istruzioni ma, a quanto pare, gli sono digrande sostegno.

Fa un altro passo avanti, poi un altro e un altro ancora, mentre gonfia il petto a ognirespiro. In men che non si dica, comincia a nuotare, sguazzando nel ruscello come ungigantesco cagnone. Kilorn se la ride sotto i baffi e si copre la bocca con la mano. Io glilancio qualche sassolino e riesco a farlo smettere, prima che Cal raggiunga la riva ed esca

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dall’acqua in fretta e furia. Dalla pelle del forgiafiamma, accaldata per l’imbarazzo, silevano sbuffi di vapore.

«Freddina» borbotta, e scuote la testa per evitare i nostri sguardi. Un pallore argentatogli colora le guance e mi accorgo che una ciocca nera gli è rimasta appiccicata su un latodella faccia. Senza pensarci, gli scosto i capelli dal viso e glieli sistemo all’indietro, perdargli un tocco un po’ più distinto. Nel mentre, lui mi guarda fisso negli occhi,piacevolmente stupito dal mio gesto.

Ora tocca a me arrossire. Eravamo d’accordo: niente distrazioni.«Non ditemi che avete paura dell’acqua anche voi?» grida Kilorn al di là del ruscello,

con voce alta e burbera. Per tutta risposta, Farley scoppia a ridere e afferra il polso di miofratello. In una frazione di secondo, sono lì accanto a noi, asciutti e con un sorrisettostrafottente stampato sulle labbra.

Hanno saltato. Ma certo.Shade se la ride di gusto e mi strizza la coda di capelli fradici. «Che stupidi» ci prende

in giro con affetto.Se non fosse per la stampella, lo butterei dritto nella corrente.

Quando raggiungiamo l’altura sopra Coraunt, i miei capelli si sono ormai quasi asciugati.Le nuvole abbondano nel cielo e offuscano la luna e le stelle, ma le luci del villaggio sonosufficienti per permetterci di vedere qualcosa. Dal punto d’osservazione in cui citroviamo, Coraunt assomiglia molto a Palafitte. Il paesino è costruito sulla foce del fiumeReggente e si sviluppa intorno all’incrocio di due strade principali: la prima, asfaltata concura e leggermente rialzata rispetto alla palude salmastra, è senz’altro via del Porto; laseconda, che va da est a ovest, si trasforma in una sterrata battuta, appena esce dal centroabitato. Una torre d’avvistamento, posizionata sulla riva del fiume, svetta nel cielo e dalsuo cocuzzolo parte un fascio di luce rotante che mi fa trasalire, quando ci passa sopra.

«Credi che sia laggiù?» sussurra Kilorn, riferendosi a Nix, e intanto continua aosservare le casette basse sotto di noi, appollaiate all’ombra della torre.

«“Nix Marsten. Ancora in vita. Maschio. Nato il 20/12/271 a Coraunt, costa Palustre,Stato del Reggente, Norda. Residenza attuale: come quella di nascita”. La lista non dicealtro» ripeto a memoria, mentre visualizzo nella mente le parole scritte nel libricino.Tralascio l’ultima parte, quella che brucia come un marchio a fuoco. Gruppo sanguigno:non applicabile. Mutazione genetica, specie sconosciuta. La stessa dicitura segue ogni nomesulla lista, incluso il mio. Si tratta del marcatore che Julian ha detto di aver usato perrintracciare queste persone nel registro del sangue, confrontando i loro campioni con ilmio. Ora tocca a me usare queste informazioni… nella speranza che non sia già troppotardi. Strizzo gli occhi per cercare di intravedere qualcosa, nella notte nera. Per fortuna ilReggente, con le sue acque placide e scure, pare tranquillo, e le strade sono deserte.Persino l’oceano sembra una lastra di vetro. Il coprifuoco è entrato in pieno vigore, comeprevisto dagli spregevoli provvedimenti ancora in atto. «Non vedo navi militari neiparaggi. E non c’è nessuno su via del Porto.»

Cal annuisce, d’accordo, e mi si gonfia il cuore. Di certo i segugi di Maven non se neandrebbero in giro senza un buon numero di soldati con loro, il che li renderebbe

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facilmente avvistabili. Quindi le possibilità sono due: o non sono ancora venuti aprendere Nix, oppure se ne sono già andati da un pezzo.

«Non dovrebbe essere troppo difficile, nonostante il coprifuoco.» Farley scandaglia ilvillaggio dall’alto, analizzando ogni tetto e ogni angolo di strada. Ho come l’impressioneche abbia già fatto una cosa simile, prima d’ora. «Villaggio indolente uguale agentisfaticati. Dieci tetrarchi che non si sono nemmeno preoccupati di mettere al sicuro iregistri cittadini.»

«Scommessa accettata» ribatte Shade, che le dà una gomitata sulla spalla.«Io e Mare vi aspettiamo là» annuncia Cal indicando un boschetto a neanche un

chilometro di distanza. Gli alberi si intravedono a fatica nell’oscurità, circondati dallapalude e dall’erba alta. È un nascondiglio perfetto, ma scuoto la testa.

«Non ci dividiamo.»«Vuoi che ce ne andiamo a zonzo per il paese tutti quanti insieme? In effetti, io e te

potremmo guidare l’attacco. Anzi, già che ci siamo, io potrei far saltare in aria la centralee tu potresti fulminare ogni agente di sicurezza che incontriamo. Ti va?» propone Cal. Fadel suo meglio per mantenere la calma, ma mi ricorda sempre più un insegnantespazientito. Come suo zio Julian.

«Certo che no…»«Mare, io e te non possiamo mettere piede in quel villaggio. A meno che tu non abbia

intenzione di uccidere chiunque ci veda. E sottolineo: chiunque.»Mi tiene gli occhi puntati addosso; vuole farmi ragionare. Chiunque, non solo gli

agenti di sicurezza, i militari e i civili argentei. Ogni singola persona. Un solo accenno allanostra presenza, una sola soffiata, e Maven arriverà di corsa. Con tanto di sentinelle,soldati, legioni e qualsiasi altra cosa o persona sotto il suo comando. La nostra unicapossibilità di difesa è restare nascosti e giocare d’anticipo. E non possiamo fare nessunadelle due cose, se lasciamo qualche traccia.

«D’accordo» ammetto con voce flebile, proprio come mi sento io. «Ma Kilorn resta connoi.»

Il mio amico alterna lo sguardo tra me e Cal, irrequieto. «Mare, sarebbe tutto moltopiù semplice e veloce, se la smettessi di farmi da babysitter.»

Babysitter. In effetti mi comporto come tale nei suoi confronti, nonostante lui abbiaormai imparato a pensare con la propria testa, combattere e badare a se stesso. Se solonon fosse così sciocco e testardo da rifiutare la mia protezione.

«Maven sa come ti chiami» gli faccio notare. «Sarebbe stupido da parte nostra illuderciche la foto sulla tua carta d’identità non sia stata già trasmessa a ogni centrale e posto diblocco nel paese.»

Kilorn assume un’espressione imbronciata. «E Farley, allora?»«Sono una lacustre, ragazzo» risponde al posto mio. Almeno io e lei siamo sulla stessa

lunghezza d’onda.«Ragazzo a chi?» protesta Kilorn, sempre più indispettito. «Hai giusto qualche anno

più di me.»«Quattro, per la precisione» interviene Shade con naturalezza.Farley guarda storto entrambi, poi alza gli occhi al cielo. «Il vostro re non ha alcun

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diritto di accedere ai miei dati personali e non conosce il mio nome di battesimo.»«Io vado soltanto perché tutti mi credono morto» aggiunge Shade, e si appoggia alla

stampella. Posa una mano sulla spalla di Kilorn con fare mansueto, ma lui se la scrolla didosso.

«D’accordo» brontola infine sottovoce e, senza voltarsi indietro, si incammina verso ilboschetto a passi rapidi e silenziosi, come un topolino.

Cal lo incenerisce con lo sguardo e increspa le labbra in una smorfia disgustata. «Nonc’è proprio speranza di seminarlo, eh?»

«Non essere crudele, Cal» ribatto duramente. Mentre mi allontano per seguire Kilorn,passo accanto al principe e faccio in modo di colpirlo con la spalla buona. Non per farglidel male, ma per lanciargli un messaggio: “Lascialo in pace”.

Cal mi rincorre, mi sfiora il braccio con le dita calde, nel tentativo di placarmi, e con unfilo di voce soggiunge: «Guarda che scherzo».

Ma so che non è vero. Non è vero per niente. E, quel che è peggio, mi chiedo se nonabbia ragione. Kilorn non è un soldato né uno studioso o un uomo di scienza. Sa tessereuna rete da pesca più in fretta di chiunque altro io conosca, ma a cosa può servire untalento del genere, se andiamo a caccia di persone e non di pesci? Non so che razza diaddestramento abbia ricevuto nella Guardia, ma non sarà durato più di un mese. Èsopravvissuto nella Casa del Sole perché c’ero io ed è scampato al massacro di piazzaCaesar per pura fortuna. Senza alcuna abilità, con poca preparazione e ancora menobuonsenso, non può fare altro che rallentarci. Non l’ho salvato dalla leva per questo, perfargli combattere un’altra guerra. Una parte di me vorrebbe rispedirlo a casa, a Palafitte,al nostro fiume e alla vita che entrambi conosciamo. Vivrebbe povero, oberato di lavoro,indesiderato, ma almeno vivrebbe. Quel futuro, al riparo tra il bosco e la sponda delfiume, non è più possibile per me. Ma potrebbe esserlo per lui. Voglio che sia così.

Sarebbe tanto folle farlo restare dove siamo?Ma come lasciarlo andare?Non ho una risposta per nessuna delle due domande, perciò scaccio via quei pensieri:

possono aspettare. Quando mi volto per salutare Shade e Farley, mi rendo conto che se nesono già andati. Un brivido mi percorre la schiena, mentre mi immagino che ci abbianoteso un’imboscata, giù a Coraunt. I colpi d’arma da fuoco, ancora freschi nella memoria,mi rimbombano nella testa. No. Tra l’abilità di Shade e l’esperienza di Farley, nulla potràfermarci, stanotte. E senza di me, senza la sparafulmini da nascondere, nessuno dovràmorire.

Kilorn si muove come un’ombra nell’erba alta e si fa strada tra gli steli con abilità.Lascia a malapena una scia, il che non conta molto, però, visto che Cal mi segue a ruotacon la grazia di un caterpillar. A causa della sua mole imponente, il principe calpestatutto quello che incontra lungo il cammino, per cui diventa piuttosto inutile cercare dimascherare la nostra presenza. Tanto più che, prima che faccia giorno, ce ne saremo giàandati, possibilmente insieme a Nix. Con un po’ di fortuna, nessuno si accorgerà dellascomparsa di un rosso, e questo ci farà guadagnare tempo e terreno, prima che Mavenriesca a scoprire il nostro piano.

E in cosa consiste, esattamente, il piano? La vocina nella mia testa diventa uno strano

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miscuglio tra quella di Julian, Kilorn, Cal e un pizzico di Gisa. Mi punzecchia e micolpisce nel vivo, mettendo in evidenza quello che, per paura, non riesco ad ammettere ame stessa. La lista è soltanto il primo gradino. Rintracciare i novisangue… ma poi, cosa ce nefacciamo di loro? Io cosa faccio?

Il senso di frustrazione mi fa accelerare l’andatura e supero Kilorn. Quasi non miaccorgo che lui ha rallentato apposta per lasciarmi passare, avendo intuito che vogliostare in testa da sola. Ormai mancano pochi metri al boschetto, avvolto nell’oscurità, e mirendo conto che vorrei davvero essere sola. Non ho più avuto un attimo di pace, daquando mi sono risvegliata nel sommer. E anche allora, è stato un momento passeggero,interrotto quasi subito da Kilorn. In quel frangente, mi aveva fatto piacere rivederlo, maadesso vorrei un po’ di tempo tutto per me. Tempo per pensare, per escogitare un piano,per elaborare le perdite. Per capacitarmi di cosa sia diventata la mia vita.

«Gli daremo la possibilità di scegliere» dichiaro a voce alta, consapevole che Cal eKilorn sono a portata d’orecchio. «O viene con noi oppure resta qui.»

Cal si appoggia a un albero lì vicino, sembra rilassato, ma fissa l’orizzonte e nullasfugge al suo sguardo. «Hai intenzione di illustrargli anche le conseguenze della suascelta?»

«Se vuoi ucciderlo, dovrai vedertela con me» ribatto. «Non farò fuori un novosanguesolo per essersi rifiutato di unirsi a noi. Oltretutto, se vorrà spifferare a un agente chesono stata qui, dovrà anche spiegargli il perché. E questo equivarrà a una condanna dimorte per il signor Marsten.»

Il principe increspa le labbra e trattiene l’impulso di sbraitarmi contro, tanto sa chediscutere con me non lo porterà da nessuna parte, in questo momento. A ogni modo, èevidente che non sia abituato a prendere ordini da altri. «Pensi almeno di informarlo chemorirà, se resta? Gli diciamo qualcosa di Maven? Gli spieghiamo che altre personeperderanno la vita, se Maven dovesse rintracciarti?»

Annuisco, d’accordo. «Gli daremo tutte le informazioni possibili e poi lasceremo chescelga chi e cosa essere. Quanto a Maven, be’…» Penso alla cosa giusta da dire, ma ormaiè sempre più difficile azzeccarci. «Dobbiamo batterlo sul tempo. Non possiamo farealtro, temo.»

«Perché?» interviene Kilorn. «Perché mai dovremmo dargli la possibilità di scegliere?L’hai detto tu stessa: abbiamo bisogno di tutti quelli che riusciamo a trovare. Se questoNix, o come si chiama, è forte anche solo la metà di quanto lo sei tu, non possiamopermetterci di lasciarlo andare.»

La risposta alla sua domanda è davvero semplice e mi lacera dentro.«Perché a me nessuno ha mai dato scelta.»Dico a me stessa che, pur conoscendo le conseguenze, se dovessi tornare indietro

rifarei tutto daccapo: salvare Kilorn dalla leva, scoprire la mia abilità, arruolarmi nellaGuardia, distruggere vite, combattere, uccidere. Diventare la sparafulmini. Ma non so seè vero. In tutta onestà, proprio non lo so.

Passa forse un’ora, trascorsa in un silenzio teso e pesante. Ciò mi fa bene, mi dà modo diriflettere, mentre Cal si gode la quiete del momento. Dopo quello che abbiamo vissuto

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negli ultimi giorni, è assetato di riposo tanto quanto me. Kilorn non osa nemmenoscherzare e se ne sta seduto su una radice bitorzoluta a intrecciare lunghi fili d’erba inuna rete fragile e inutile. Ha un sorrisetto tenue stampato sul viso, segno che si trova aproprio agio, in compagnia dei suoi cari vecchi nodi.

Penso a Nix, giù al villaggio. Se va bene, l’avranno trascinato fuori dal letto e magariaddirittura imbavagliato; una cosa è certa: è finito nella mia rete. Che Farley abbiaminacciato sua moglie o i suoi figli per convincerlo a venire? Che Shade lo abbia afferratoper il polso e abbia saltato, facendogli provare la sgradevole morsa del teletrasporto, perpoi atterrare nei pressi del boschetto? Nato il 20/12/271. Nix ha quasi quarantanove anni,l’età di mio padre. Chissà se gli assomiglia. Il novosangue sarà altrettanto ferito edistrutto o sarà ancora tutto intero, in attesa che noi lo facciamo a pezzi?

Prima di sprofondare in una spirale di domande oscure e angoscianti, sento unrumore in mezzo all’erba. Sta arrivando qualcuno.

Dentro Cal scatta una specie di meccanismo che lo fa allontanare dall’albero, con imuscoli tesi e pronti a entrare in azione, qualsiasi cosa spunti fuori dalla vegetazione. Daun lato, mi aspetto di vedere il fuoco che gli divampa dalle dita, ma dopo tanti anni diaddestramento militare, sa benissimo che non gli conviene: nell’oscurità, la sua fiammaavrebbe lo stesso effetto del segnale luminoso in cima alla torre d’avvistamento eavvertirebbe tutti gli agenti della nostra presenza. Con mia sorpresa, Kilorn sembraall’erta quanto il principe. Getta a terra la rete di fili d’erba e la calpesta, mentre si alza inpiedi. Estrae persino un pugnale che teneva nascosto nello stivale; si tratta di una piccolalama, spessa e affilata, che un tempo usava per pulire il pesce. La sola vista mi fa venire lapelle d’oca. Non saprei dire con precisione quando quel coltello sia diventato un’arma oquando Kilorn abbia iniziato a portarlo con sé dentro una scarpa. Dev’essere statoall’incirca quando la gente ha iniziato a sparargli.

Non che io sia disarmata. L’energia che mi pulsa nelle vene, più tagliente di qualsiasilama, più micidiale di qualsiasi proiettile, basta e avanza. Le scintille che mi scorronosottopelle sono pronte all’uso, per qualsiasi evenienza. In questo senso, la mia abilità èpiù discreta di quella di Cal.

Nel cuore della notte, si sente un richiamo per uccelli. Kilorn risponde a tono efischietta una melodia molto simile al verso degli usignoli che nidificano sulle palafitte, acasa nostra. «Farley» mormora lui sottovoce, e indica un punto in mezzo all’erba.

In effetti, è la prima a uscire allo scoperto, ma non è la sola. Insieme a lei, ci sono altridue tizi: uno è mio fratello, che si appoggia alla stampella, mentre l’altro è un omettobasso e tarchiato, con gambe e braccia possenti e la classica pancetta che gli uominimettono su con l’età. Nix.

Cal mi afferra per il braccio, mi tira a sé con delicatezza e mi trascina all’ombra deglialberi. Io lo seguo senza protestare, perché so che non si è mai troppo prudenti. A dirlatutta, vorrei avere una bandana scarlatta per coprirmi il viso, come abbiamo fatto aNaercey.

«C’è stato qualche intoppo?» domanda Kilorn, che si avvicina a Farley e a Shade. In uncerto senso, mi sembra più grande e più maturo del solito. Tiene gli occhi puntati su Nixe controlla ogni movimento delle sue piccole dita tozze.

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Farley liquida la domanda con un cenno scocciato della mano. «È stato facile comebere un bicchier d’acqua, nonostante avessi tra i piedi questo zoppo» aggiunge, e indicaShade con il pollice. Poi osserva Nix. «Il nostro amico non ha opposto resistenza.»

Malgrado il buio, riesco a scorgere un intenso rossore sulle guance del novosangue.«Be’, non sono mica stupido» commenta con tono burbero. Sembra un tipo schietto, unoche non apprezza i segreti. Benché il suo sangue nasconda il più grande segreto di tutti. «Fateparte della famosa Guardia Scarlatta. Gli agenti di sicurezza mi avrebbero impiccatoanche solo per avervi fatti entrare in casa mia. Benché non vi avessi invitati.»

«Buono a sapersi» borbotta Shade con un filo di voce; mi lancia uno sguardoeloquente, mentre i suoi occhi scintillanti si offuscano un po’. La nostra sola presenzapotrebbe condannare quest’uomo. «Dunque, signor Marsten…»

«Nix» protesta il novosangue, e mentre segue lo sguardo di Shade colgo uno stranobagliore nei suoi occhi. Mi intravede nell’ombra e aguzza la vista, nel tentativo discorgere il mio volto. «Ma immagino che lo sappiate già.»

Kilorn mi si piazza davanti per nascondermi. È un gesto talmente spontaneo che nonsembra nemmeno fatto apposta, ma Nix coglie al volo l’intenzione e lo guarda incagnesco, poi monta su tutte le furie e gli si para di fronte. Kilorn è molto più alto di lui,ma il novosangue non sembra minimamente intimidito. Nix alza un dito cicciottello e lopunta contro il petto di Kilorn. «Mi avete trascinato fin qui ben oltre il coprifuoco. È unreato punibile con l’impiccagione. Ora mi spiegate il perché, altrimenti me ne tornodritto a casa, cercando di non farmi ammazzare lungo la strada.»

«Sei diverso, Nix.» La mia voce suona troppo squillante e insicura. Come glielo spiego?Come gli dico quello che avrei voluto dicessero a me? Quello che non capisco ancora beneneanch’io? «Lo sai che c’è qualcosa in te, qualcosa che non riesci a spiegarti. Magari pensiaddirittura di avere qualcosa… che non va.»

Quest’ultima frase fa centro come una freccia e l’ometto scontroso sussulta, mentre lotrafiggo con le mie parole; un po’ della sua rabbia evapora. Sa perfettamente di cosa stoparlando. «È vero» ammette.

Resto nascosta tra gli alberi, ma faccio cenno a Kilorn di spostarsi. Lui obbedisce e lolascia passare. Mentre Nix si avvicina e mi raggiunge nell’oscurità, il battito del mio cuoreaumenta e mi rimbomba nelle orecchie come un tamburo, nervoso e impaziente.Quest’uomo è un novosangue, proprio come me e Shade. Un altro che può capire.

Nix Marsten non assomiglia per niente a mio padre, ma hanno gli stessi occhi. Ilcolore è diverso e anche la forma, eppure sono uguali. I due uomini hanno in comune lostesso sguardo assente, che parla di un vuoto, una perdita che il tempo non può sanare.

Noto con sgomento che il dolore di Nix è ancora più profondo di quello di papà, unuomo che riesce a malapena a respirare, figuriamoci a camminare. Lo capisco dalle spallericurve del novosangue, dall’incuria dei capelli grigi e dalla trascuratezza dei suoi vestiti.Se fossi ancora una ladruncola e un’arraffona, non mi prenderei certo la briga diderubarlo: si vede che quell’uomo non ha più nulla da offrire.

Nix mi fissa di rimando e mi scruta da capo a piedi. Spalanca gli occhi, quando capiscechi sono. «La sparafulmini.» Ma non appena riconosce anche Cal, alle mie spalle, il suostupore cede il passo alla rabbia.

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Per avere quasi cinquant’anni, Nix è incredibilmente veloce. Nell’oscurità, lo intravedoa malapena mentre abbassa la spalla e parte alla carica, afferrando Cal per la vita. Benchésia grande la metà del principe, lo travolge come un toro e finiscono entrambi contro ungrosso tronco, che scricchiola per il colpo e trema dalle radici alle foglie. Dopo unmillesimo di secondo, realizzo che forse dovrei intervenire. Cal è Cal, ma non abbiamoidea di chi sia Nix né di cosa sia in grado di fare.

Prima che io riesca ad afferrarlo per il collo, il novosangue fa in tempo a sferrare ungran gancio e colpisce Cal talmente forte che temo gli abbia rotto la mandibola. «Noncostringermi a farlo, Nix» gli tuono nell’orecchio e intanto lo tengo stretto per la gola.«Dico sul serio.»

«Fammi vedere di cosa sei capace» mi provoca l’uomo mentre cerca di liberarsi. Ma ioserro la presa. Ha la pelle dura come la pietra. Molto bene, se è quello che vuoi.

Raccolgo abbastanza energia dentro di me da stordirlo, affinché si arrenda. La scossadovrebbe fargli rizzare i capelli. Le scintille viola gli attraversano il corpo e mi aspettoche si ritragga, che magari tremi un pochino, e che comunque si renda conto dellasituazione. E invece non sembra neanche accorgersi della scarica elettrica, che loinfastidisce appena, come una mosca con un cavallo. Lo colpisco di nuovo, più fortestavolta, e poi ancora, ma niente. Con mia enorme sorpresa, è in grado di scaraventarmivia e vado a sbattere con la schiena contro un grosso albero.

Cal fa meglio di me: schiva e incassa pugni come può, ma guaisce per il dolore a ognicolpo, persino quelli che riesce a deviare. Alla fine, il bracciale accendifiamma che portaal polso emette delle scintille e una palla infuocata divampa nella sua mano. La fiammatasi infrange contro la spalla di Nix come acqua su uno scoglio e gli incenerisce i vestiti,lasciandogli però intatta la cute.

“Un pelleroccia” mi riecheggia nella testa, ma quell’uomo non è nulla del genere. Lasua pelle è liscia e rubiconda, non grigia e rocciosa; è semplicemente impenetrabile.

«Smettetela!» ringhio, nel tentativo di mantenere un tono di voce basso. Ma la rissa, oforse dovrei dire il massacro, prosegue. Cal perde sangue dalla bocca e il liquido argenteomacchia le nocche di Nix di un colore che all’ombra sembra particolarmente scuro.

Kilorn e Farley mi sfrecciano accanto e i loro passi concitati rimbombano all’unisono.Non so quanto possano fare contro quella specie di palla demolitrice, così allungo lamano per fermarli. Ma Shade batte tutti sul tempo e con un salto sorprende Nix allespalle. Lo afferra per il collo, come ho fatto io poco fa, poi svaniscono entrambi. Dopouna frazione di secondo, ricompaiono a un paio di metri di distanza e Nix si accascia aterra, con il viso verdognolo. Prova ad alzarsi, ma Shade gli tiene la stampella premutasulla gola e lo immobilizza.

«Non azzardarti a muoverti o lo rifaccio» lo minaccia con occhio spiritato eminaccioso.

Nix alza una mano sporca di sangue argenteo, in segno di resa. Con l’altra si tiene lapancia, ancora in subbuglio per la sorpresa e la spiacevole sensazione di essere statocompresso nel nulla. La conosco fin troppo bene, quella sensazione.

«No, basta» boccheggia. Gocce di sudore gli imperlano la fronte e tradiscono il suosfinimento. Sarà anche impenetrabile, ma non è inarrestabile.

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Kilorn si lascia cadere di nuovo sulla radice bitorzoluta e raccatta i rimasugli della retedi fili d’erba. Sorride tra sé e sé e si mette quasi a ridere, nel vedere Cal sconfitto esanguinante. «Mi piace questo tizio» commenta riferendosi a Nix. «Mi piace propriotanto.»

Faccio uno sforzo enorme per rialzarmi e ignoro le vecchie botte che hanno ripreso afarmi male. «Il principe è con noi, Nix. È qui per dare una mano, e lo stesso vale per me.»

Le mie parole non lo tranquillizzano. L’uomo si accovaccia e digrigna i denti gialli,mentre fa dei respiri profondi e irregolari. «Una mano?» sbuffa con disprezzo. «Quelbastardo di un argenteo ha dato una mano alle mie figlie a finire nella tomba prima deltempo.»

Cal fa del suo meglio per essere gentile, nonostante il mento insanguinato. «Signor…»«Dara Marsten. Jenny Marsten» lo interrompe Nix, furente. Tiene lo sguardo fisso su

di me; sembra una lama nella notte. «Legione Martello. Battaglia delle Cascate. Avevanodiciannove anni.»

Sono morte in guerra. Una tragedia, per non dire un crimine, ma come può essere colpadi Cal?

A giudicare dall’espressione di vergogna sul suo volto, il principe è d’accordo con Nix.Quando riprende a parlare, Cal ha la voce rauca, rotta dall’emozione. «Abbiamo vinto»farfuglia, incapace di sostenere lo sguardo del novosangue. «Abbiamo vinto.»

Nix stringe il pugno, ma reprime l’impulso di mettergli le mani addosso. «Voi avetevinto. Loro sono annegate nel fiume e i loro corpi sono finiti giù per le Cascate delleNubende. I becchini non sono nemmeno riusciti a ritrovare le loro scarpe. Cos’è chediceva la lettera?» persevera, e Cal rabbrividisce, inorridito. «Ah, sì, che le mie ragazzesono “morte per la vittoria”. Per “difendere il regno”. C’erano anche delle firme moltograziose in fondo al messaggio. Una del defunto re, una del generale della LegioneMartello e una di quel genio tattico che ha pensato bene che i soldati dovessero guadareil fiume.»

Ci voltiamo tutti verso Cal, che va a fuoco sotto il nostro sguardo. Un pallore argentatogli colora le guance, mentre sbianca, sopraffatto dal disonore. Ripenso alla sua stanzanella Casa del Sole, ai libri e ai manuali di guerra ricolmi di appunti sulle sue strategiepreferite. Ora come allora, mi danno il voltastomaco. Mi fa schifo Cal e mi faccio schifoanch’io, perché mi sono dimenticata chi sia lui veramente: non solo un principe o unsoldato, ma un assassino. In un’altra vita, magari, sarei stata io a marciare verso la mortea causa sua, oppure i miei fratelli, o Kilorn.

«Mi dispiace» sussurra Cal. Si impone di alzare la testa e guardare negli occhi il padrefurioso e addolorato. Immagino sia stato addestrato a farlo. «So che le mie parole nonsignificano nulla. Le sue figlie, così come qualunque altro soldato, meritavano di vivere. Elo stesso vale per lei, signore.»

Quando Nix si alza in piedi, gli scricchiolano le ginocchia, ma non sembra farci caso.«Cos’è, una minaccia, ragazzo?»

«Un avvertimento» risponde Cal, scuotendo la testa. «Lei è come Mare e come Shade.»Ci indica uno alla volta. «Diverso. Noi vi chiamiamo novisangue. Rossi e argentei altempo stesso.»

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«Non azzardarti mai più a darmi dell’argenteo» lo mette in guardia a denti stretti.Ma Cal prosegue imperterrito e si tira su. «Mio fratello vi darà la caccia. Ha intenzione

di uccidere tutti quelli come voi e fare finta che non siate mai esistiti. Vuole cancellarvidalla faccia della terra.»

Nix resta interdetto, ha lo sguardo confuso. Mi lancia un’occhiata, in cerca di supporto.«Ce ne sono… altri?»

«Molti altri, Nix.» Stavolta, quando lo sfioro, non ho intenzione di dargli la scossa.«Ragazze e ragazzi, vecchi e giovani, sparpagliati per tutto il paese, che aspettano diessere trovati.»

«E quando li… anzi… quando ci troverete? Cosa accadrà?»Apro la bocca per rispondere, ma non esce niente. Non ho fatto progetti così a lungo

termine.Vedendomi in difficoltà, Farley si fa avanti con il braccio teso. Stringe in mano una

sciarpa rossa, sfilacciata ma pulita. «La Guardia Scarlatta li proteggerà, li nasconderà e liaddestrerà, se loro si presteranno.»

Per poco non mi tiro indietro, nell’udire quelle parole, mentre ripenso al colonnello. Seben ricordo, l’ultima cosa che lui vorrebbe è ritrovarsi dei novisangue tra i piedi, maFarley sembra così sicura, così convinta. Sono certa che abbia qualcos’altro in mente,come al solito, qualcosa che non dovrei mettere in discussione. Non ancora, almeno.

Con un gesto lento, Nix prende la sciarpa e se la rigira tra le dita sporche di sangue. «Ese mi rifiutassi?» chiede con leggerezza, ma avverto tutto il peso di quella domanda.

«Shade ti riporterebbe dritto a letto e non ti contatteremmo mai più» gli assicuro. «MaMaven verrà comunque a cercarti. Se non vuoi restare con noi, è bene che tu ti dia allamacchia.»

Stringe il tessuto fra le dita. «Allora non ho molta scelta.»«Sì che ce l’hai, invece.» Spero che capisca che dico sul serio. Lo spero per il mio bene,

per la mia coscienza. «Puoi scegliere se restare qui, oppure venire con noi. Sai meglio dichiunque altro quante perdite abbiamo subìto… ma tu puoi aiutarci a recuperare.»

Nix resta in silenzio per un bel pezzo. Cammina avanti e indietro, con la sciarpa inmano, e di tanto in tanto lancia qualche occhiata alla torre d’avvistamento, nascosta tra irami. Il fascio di luce rotante fa tre giri, prima che il novosangue riprenda a parlare.

«Le mie bambine sono morte, mia moglie è morta e io sono stufo del tanfo di questapalude» dichiara fermandosi davanti a me. «Sono dei vostri.» Poi guarda alle mie spalle enon ho bisogno di girarmi per capire che si rivolge a Cal. «Però tenetemi quello là allalarga.»

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12

Riprendiamo la via del ritorno, attraverso la foresta, e arranchiamo tra gli alberi, masiamo sani e salvi, inseguiti soltanto dalle nuvole e dalla brezza marina. Eppure, nonriesco a scrollarmi di dosso la sensazione di terrore che mi attanaglia.

Nonostante Nix abbia quasi spaccato la testa a Cal, reclutarlo è stato piuttosto facile.Fin troppo. E se c’è una cosa che ho imparato, negli ultimi diciassette anni e soprattuttonegli ultimi mesi, è che nulla è facile. “Tutto ha un prezzo.” Può darsi che Nix noncostituisca una trappola, ma è senz’altro un pericolo. Chiunque può tradire chiunque.

Per cui, benché mi ricordi mio padre, benché sia poco più che un ometto dalla barbagrigia infarcito di dolore e benché sia come me, decido di chiudergli le porte del miocuore. Gli ho rivelato la sua vera identità, l’ho salvato dalle grinfie di Maven e l’holasciato scegliere. Ora devo andare avanti per la mia strada e fare lo stesso per qualcunaltro, poi un altro, e un altro ancora. L’unica cosa che conta è il prossimo nome sulla lista.

La luce delle stelle illumina la foresta quel tanto che basta per dare una rapidaocchiata al libricino di Julian. Sfoglio le pagine, ormai familiari. Ci sono pochinovisangue nella zona, concentrati per lo più intorno a Baia del Porto. Due si trovanonella città vera e propria, mentre una di loro è nella baraccopoli di Nuovofumo. Comefaremo a raggiungerli, non ne ho idea. Di certo, Baia del Porto sarà cinta da mura, comeArcheon e Summerton, mentre le restrizioni vigenti nella baraccopoli hi-technicasaranno ancora più rigide di quelle previste dai provvedimenti. Poi m’illumino: mura erestrizioni non sono un problema per Shade. Per fortuna, la sua gamba migliora a vistad’occhio e tra un paio di giorni non dovrebbe più avere bisogno della stampella. A quelpunto sarà inarrestabile. E potremmo addirittura vincere.

Questo pensiero mi entusiasma e mi confonde al tempo stesso… Che aspetto potràmai avere un mondo del genere? Posso solo immaginare dove sarò: forse a casa, di certocon la mia famiglia, da qualche parte in mezzo al bosco, dove si senta il mormorio di unfiume vicino. Kilorn sarà nei paraggi, naturalmente. Ma Cal? Non so dove sceglierà distare, alla fine.

Nel buio della notte è facile lasciar vagare la mente. Sono abituata a gironzolare per leforeste e non ho bisogno di guardare dove metto i piedi per non inciampare su foglie eradici. Così sogno a occhi aperti, mentre cammino e penso a quello che verrà. Un esercitodi novisangue. Farley a capo della Guardia Scarlatta. Una vera e propria rivolta di rossi,dalle trincee di Campo Cenere ai vicoli di Grigiofumo. Cal ha sempre sostenuto che nonvalesse la pena scatenare una guerra totale, perché la perdita di vite umane, sia tra i rossisia tra gli argentei, sarebbe stata troppo elevata. Spero che abbia ragione. Spero cheMaven si renda conto di quello che siamo e di cosa possiamo fare, e quindi capisca chenon può vincere. Del resto, non è certo uno sprovveduto: persino lui sa riconoscere la

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sconfitta. O almeno spero. A quanto ne so, Maven non è mai stato sconfitto. Non quandocontava sul serio, almeno. Cal aveva conquistato il padre e i soldati, ma suo fratello haconquistato la corona. Maven ha vinto tutte le battaglie davvero importanti.

E con il tempo… avrebbe conquistato anche me.Lo vedo nell’ombra di ogni albero, un fantasma che si staglia contro il temporale nel

Circo delle ossa. La pioggia scorre tra le punte della corona e gli bagna gli occhi e labocca, per poi infilarsi dentro il colletto e dirigersi verso il gelido abisso che si cela nelsuo cuore tormentato. Le gocce di liquido rosso, da acqua si trasformano in sangue: ilmio. Lui apre la bocca per assaggiarlo e scorgo i suoi denti bianchi e scintillanti,acuminati come lame di rasoio.

Sbatto le palpebre e scaccio via il ricordo del principe traditore.Farley borbotta nell’oscurità, intenta a illustrare in maniera dettagliata il vero obiettivo

della Guardia Scarlatta. Nix è un uomo sagace, ma gli hanno riempito la testa di bugie,com’è successo a chiunque altro viva sotto il governo della Corona fiammeggiante.“Terroristi”, “anarchici”, “assetati di sangue”: sono questi gli epiteti usati nelletrasmissioni per parlare della Guardia. Gli argentei mostrano le immagini dei bambinimorti durante la Sparatoria del Sole e i resti del ponte di Archeon immersi nel fiume;fanno di tutto pur di convincere il paese della nostra presunta malvagità. Nel frattempo,il vero nemico se ne sta seduto sul trono con il sorriso stampato sulle labbra.

«E che cosa mi dici di lei?» sussurra Nix mentre mi lancia un’occhiataccia. «È vero cheha sedotto il principe per poi indurlo a uccidere il padre?»

La domanda di Nix è tagliente come una lama e mi ferisce quanto una pugnalata alcuore. Ma il mio dolore può aspettare. Cal si ferma di colpo davanti a me, impietrito; lesue ampie spalle vanno su e giù, segno che sta facendo dei respiri profondi per cercare dicalmarsi. Gli poso una mano sul braccio, nella speranza di tranquillizzarlo quanto luitranquillizza me. La sua pelle va a fuoco sotto le mie dita e a momenti mi brucio.

«No che non è vero» rispondo a Nix con quanta più fermezza possibile. «Non èassolutamente andata così.»

«Ah, quindi la testa del re è caduta da sola?» sghignazza, credendo di suscitare l’ilaritàgenerale. Ma persino Kilorn ha il buongusto di restare in silenzio. Non sorridenemmeno. Sa quanto dolore si prova nel perdere un padre.

«È stato Maven» ruggisce Kilorn, il che ci sorprende tutti. Ha lo sguardo incendiatodalla rabbia. «Insieme a sua madre, la regina. Quella donna è in grado di controllare lamente altrui. E…» Gli trema la voce, come se non volesse andare avanti. Benchéodiassimo il vecchio re, la sua morte è stata davvero orribile.

«E…?» lo incalza Nix, azzardando addirittura qualche passo verso Cal. Io lo fulminocon lo sguardo e, per fortuna, si ferma a un paio di metri dal principe. Il novosanguesfodera un ghigno malefico; è evidente che provi un certo gusto nel vederlo soffrire. Soche ha le sue ragioni per torturare Cal, ma questo non significa che io debba lasciarlofare.

«Non fermarti, vai avanti» sussurro a Cal con un filo di voce, in modo che solo luipossa sentirmi.

Ma il principe si volta, i muscoli tesi come corde di violino; sotto le mie dita, sembrano

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onde bollenti che guizzano in un mare di pietra. «È stata Elara a farmelo fare, Marsten.» Isuoi occhi color bronzo incrociano quelli di Nix e lo sfidano a compiere un altro passo.«Con i suoi sussurri perversi, si è fatta strada nella mia mente, ha preso il controllo delmio corpo e mi ha costretto ad assistere alla scena in cui ho sfoderato la spada di miopadre e gli ho reciso la testa. Poi ha raccontato al mondo intero che era quello che avreivoluto compiere sin dall’inizio.» Con voce più flebile, come se parlasse tra sé e sé,aggiunge: «Mi ha fatto uccidere mio padre».

Un po’ dell’astio di Nix si affievolisce, quel tanto che basta per rivelare l’uomo che sicela sotto la corazza. «Ho visto i filmati» farfuglia, quasi a volersi giustificare. «Eranoovunque, su ogni schermo, in paese. Credevo… sembrava che…»

Cal punta gli occhi sugli alberi, ma in realtà non li vede. Il suo sguardo è rivolto alpassato, a qualcosa di più doloroso. «Elara ha ucciso anche la mia vera madre. E uccideràtutti noi, se solo gliene daremo occasione.»

Le parole mi escono dure e penetranti, come una lama arrugginita pronta a lacerare lacarne. Hanno un sapore celestiale. «Non se l’ammazzo prima io.»

Cal ha molti talenti, però non è una persona violenta. È in grado di uccidere in millemodi diversi, guidare un esercito, mettere a ferro e fuoco un intero villaggio, ma non ciprova il minimo gusto. È per questo che le sue parole mi colgono di sorpresa.

«Quando verrà il momento» dice guardandomi dritto negli occhi «lanceremo unamonetina.»

La sua fiamma luminosa si è decisamente oscurata.

Quando riemergiamo dalla foresta, un brivido di paura mi pervade. E se il freccianerafosse scomparso? E se ci avessero scoperti? E se, e se, e se. Ma il jet è nello stesso identicopunto in cui l’abbiamo lasciato. Nell’oscurità della notte, è quasi invisibile e si confondecon il grigio scuro della pista. Reprimo l’istinto di precipitarmi al suo interno, persentirmi al sicuro, e mi impongo di restare accanto a Cal. Non troppo vicino, però. Nientedistrazioni.

«Tieni gli occhi aperti» bisbiglia il principe, mentre ci avviciniamo. È un avvertimentovago ma deciso. Ha lo sguardo incollato sul jet e cerca dei segnali che ci aiutino asventare un’eventuale trappola.

Io faccio altrettanto e analizzo con attenzione la rampa posteriore, che è rimastaaperta, abbassata sulla pista. Mi sembra sgombra, ma all’interno del freccianera è buiopesto ed è impossibile scorgere qualcosa da dove ci troviamo. Prima mi ci è voluta unabella dose di energia e concentrazione per riattivare il velivolo, ma con le lampadine ètutto molto più semplice. Da quella distanza, mi riesce piuttosto facile entrare incomunicazione con l’impianto elettrico e illuminare la pancia del jet di un baglioreimprovviso. Non si muove nulla al suo interno, eppure gli altri reagiscono di scatto,sorpresi dall’esplosione di luce. Farley estrae addirittura la pistola dalla fondina legataalla gamba.

«Sono stata io» la rassicuro con nonchalance. «Il jet è vuoto.»Accelero l’andatura. Non vedo l’ora di essere dentro e farmi avvolgere dall’accogliente

carica elettrica che aumenta a ogni mio passo. Quando metto piede sulla rampa e mi

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addentro nel velivolo è come infilarsi in un caldo abbraccio. Sfioro la parete di metallocon le dita e traccio il contorno di un pannello, mentre lo supero. Il mio potere continua afluire e fuoriesce dalle lampadine per seguire i circuiti elettrici e riversarsi nelle enormibatterie sotto i miei piedi, collegate a ciascuna ala, che ronzano all’unisono ed emettonoaltra energia per accendere quello che manca. Il freccianera riprende vita.

Nix sussulta alle mie spalle, sbalordito dall’immenso jet metallico. Con ogniprobabilità non ne aveva mai visto uno così da vicino né tantomeno ci era salito sopra. Mivolto e mi immagino di ritrovarlo con lo sguardo incantato sui sedili o sulla cabina dipilotaggio; invece, ha gli occhi puntati su di me. Arrossisce e abbassa la testa in quelloche sembrerebbe un inchino intimorito. Prima che possa spiegargli quanto quel gesto miindisponga, si trascina verso un sedile e comincia ad armeggiare perplesso con le cinturedi sicurezza.

«Avete un casco da darmi?» chiede nel silenzio. «Se proprio dobbiamo schiantarci,voglio almeno un casco.»

Kilorn scoppia a ridere, si accomoda accanto a Nix e assicura entrambi ai sedili, congesti rapidi e disinvolti. «Nix, credo che tu sia l’unico tra noi a non averne bisogno.»

Ridacchiano insieme e si scambiano sorrisetti complici. Se non fosse stato per me eper la Guardia Scarlatta, con ogni probabilità Kilorn sarebbe diventato come lui: unuomo anziano e pieno d’acciacchi che non ha altro da offrire, se non le proprie ossa. Oraspero che il mio amico abbia almeno la possibilità di invecchiare e diventare a sua voltaun anziano dalle ginocchia doloranti e la barba grigia. Se solo mi permettesse diproteggerlo. Se solo non si ostinasse a farsi avanti ogni volta che ci sparano addosso.

«Quindi lei è davvero la sparafulmini. E quello è un…» Indica mio fratello, dall’altrolato del jet, ma non trova la parola giusta per descrivere la sua abilità.

«Saltatore» interviene Shade, con un cenno rispettoso del capo, poi si allaccia lecinture il più stretto possibile e comincia a impallidire di fronte alla prospettiva diaffrontare un altro volo. Farley non sembra altrettanto preoccupata e dal proprio sedileguarda con aria risoluta fuori dall’abitacolo.

«Un saltatore. D’accordo. E tu, ragazzo?» Dà una gomitata a Kilorn per attirare la suaattenzione, ma non si accorge del sorriso che si spegne sulle sue labbra. «Cosa sai fare?»

Sprofondo nel sedile accanto a quello del pilota per non vedere il dolore sul viso diKilorn, ma non sono abbastanza veloce e così scorgo il mio amico arrossire perl’imbarazzo, irrigidire le spalle, stringere gli occhi e assumere un’espressioneimbronciata. Il motivo è palese: l’invidia lo pervade e si diffonde dentro di lui comeun’infezione contagiosa, e con una tale intensità che mi lascia sconvolta. Non avrei maipensato che Kilorn volesse essere come me, come un argenteo. È fiero del suo sangue, loè sempre stato. Si è persino arrabbiato con me, quando ha scoperto cosa ero diventata.“Sei una di loro?” mi aveva ringhiato contro con tono duro e irriconoscibile. Era davverofurioso. Ma allora perché lo è anche adesso?

«So pescare» risponde con un sorriso forzato e spento. C’è un rancore nella sua voceche lasciamo fermentare nel nostro silenzio.

Nix è il primo a parlare e gli dà una pacca affettuosa sulla spalla. «Granchi!» esclama, eintanto agita le dita. «Ho fatto il pescatore di granchi per tutta la vita.»

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Un po’ del malessere di Kilorn si affievolisce e si nasconde dietro un sorrisettobirichino. Lui si volta a guardare Cal, che armeggia con il pannello di controllo e preparail freccianera per il decollo. Sento il jet rispondere ai suoi comandi, mentre l’energiafluisce verso i motori montati sotto le ali, che cominciano a girare e ad acquisire semprepiù potenza.

«Sembra tutto okay» annuncia finalmente Cal, facendo breccia nel silenzioimbarazzato che si è venuto a creare. «Qual è la prossima tappa?»

Mi ci vuole un attimo per rendermi conto che sta chiedendo a me. «Oh.» Mi affretto arispondere: «I novisangue più vicini sono a Baia del Porto. Ce ne sono due in città e unonei sobborghi».

Mi aspetto delle proteste all’idea di intrufolarsi in una città argentea fortificata, ma Calannuisce semplicemente. «Non sarà una passeggiata» ci avverte; le luci lampeggianti delpannello di controllo gli illuminano gli occhi color bronzo.

«Meno male che ci sei tu a dirci quello che non sappiamo» ribatto in modo brusco eironico. «Farley, pensi che ce la possiamo fare?»

Lei annuisce e scorgo una crepa nella sua maschera, solitamente impassibile: sembraemozionata. Tamburella le dita sulla coscia, entusiasta, e ho la preoccupante sensazioneche lei in parte viva tutto questo come un gioco. «Ho parecchi amici a Baia» dichiara. «Lemura non saranno un grande ostacolo per noi.»

«Allora che Baia sia» annuncia Cal, ma il suo tono cupo non è per niente rassicurante.E non lo è nemmeno la sensazione di vuoto allo stomaco che avverto quando il jet

schizza in avanti e stride lungo il chilometro abbondante di pista nascosta. Stavolta,appena iniziamo a prendere quota, chiudo forte gli occhi. Tra il rombo sordo econfortante dei motori e la consapevolezza di non essere richiesta al momento, èsorprendentemente facile addormentarsi.

Passo più volte dal sonno alla veglia, senza mai abbandonarmi del tutto al buiosilenzioso di cui la mia mente ha un disperato bisogno. C’è qualcosa, in questo jet, che mitiene in sospeso, per cui non apro mai gli occhi, ma non spengo nemmeno del tutto ilcervello. Mi sento come Shade, quando fa finta di dormire per carpire i vari segretisussurrati. Ma gli altri, in realtà, sono tutti in silenzio e, a giudicare dal russareincessante di Nix, devono essersi assopiti come ghiri. Solo Farley è rimasta sveglia e lasento slacciarsi le cinture e avvicinarsi al sedile di Cal con passo felpato. È allora che miappisolo, cullata dal rombo basso dei motori, e recupero qualche minuto di sacrosantoriposo, seppur leggero, prima che la sua voce tenue mi risvegli.

«Stiamo sorvolando l’oceano» borbotta confusa.Cal si volta così di scatto che gli scricchiola il collo. Non l’aveva sentita arrivare, troppo

concentrato sul jet. «Molto perspicace» commenta, una volta riavutosi dalla sorpresa.«Perché sorvoliamo l’oceano? Baia del Porto è a sud, non a est…»«Perché abbiamo abbastanza energia da fare un giro al largo della costa e loro hanno

bisogno di dormire.» Percepisco un pizzico di paura nella sua voce. Cal odia l’acqua. Devestare malissimo in questo momento.

Si sente un ringhio basso e gutturale, di protesta. «Possono dormire dove atterreremo:la pista è nascosta come la nove-cinque.»

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«Lei non dormirà. Non con i novisangue da mettere in salvo. Andrà avanti fino acrollare e noi non possiamo permetterglielo.»

Segue una lunga pausa. Suppongo che lui la stia fissando per convincerla. So benequanto possa essere persuasivo il suo sguardo: l’ho provato sulla mia pelle.

«E tu quando dormi, Cal?»Il suo tono si fa più triste. «Non dormo. Non più.»Vorrei aprire gli occhi, dirgli di invertire la rotta e sbrigarsi. Stiamo perdendo tempo

quassù, sopra l’oceano; stiamo sprecando secondi preziosi che potrebbero determinare lavita o la morte dei novisangue di Norda. Ma la mia rabbia è mitigata dallo sfinimento. Edal freddo. Persino accanto a Cal, una fornace ambulante, sento la morsa familiare delgelo che mi attanaglia. Non so da dove venga, so solo che mi coglie nei momenti dicalma, quando sono ferma, quando rifletto. Quando ripenso a tutto quello che ho fatto eche mi è stato fatto. Il gelo si insinua al posto del mio cuore e rischia di spaccarmi in due.Mi copro il petto con le braccia, nel tentativo di placare il dolore. Un pochino funziona etorna il calore dentro di me. Eppure, dove il gelo si scioglie resta soltanto il vuoto. Unabisso. E non so come riempirlo di nuovo.

Ma guarirò. Devo.«Mi dispiace» mormora con un filo di voce che mi impedisce di scivolare nell’oblio. Le

sue parole, però, non sono rivolte a me.Qualcosa mi urta il braccio. È Farley, che gli si avvicina per riuscire a sentirlo.«Per quello che ti ho fatto nella Casa del Sole.» Gli si spezza quasi la voce… anche Cal

ha del gelo dentro di sé: il ricordo del sangue ghiacciato, della tortura perpetrata ai dannidi Farley nelle segrete del palazzo. Lei si è rifiutata di tradire i propri compagni e lui l’hapunita per questo. «Non mi aspetto che tu accetti le mie scuse e non dovresti…»

«Le accetto, invece» lo interrompe con fare brusco ma sincero. «Anch’io ho commessodegli errori quella notte. Noi tutti ne abbiamo commessi.»

Nonostante io abbia gli occhi chiusi, so che mi sta guardando. Sento il suo sguardofisso su di me, pieno di rimorso… e di determinazione.

L’urto delle ruote sul cemento mi sveglia di soprassalto e mi fa sobbalzare sul sedile.Apro gli occhi, ma li richiudo all’istante e mi volto dall’altra parte, per proteggermi dallapugnalata di sole accecante che filtra attraverso i vetri dell’abitacolo. Gli altri sono giàsvegli da un pezzo e parlano sottovoce. Io mi guardo alle spalle e li osservo. Siamoappena atterrati sulla pista e stiamo rallentando, ma siamo ancora abbastanza lanciati.Ciononostante, Kilorn si precipita accanto a me. A quanto pare, le sue gambe da marinaioservono a qualcosa, visto che gli scossoni del jet non sembrano creargli la minimadifficoltà.

«Mare Barrow, se ti becco un’altra volta a schiacciare un pisolino, ti denuncio agliagenti.» Imita la nostra vecchia insegnante, quella che abbiamo avuto entrambi, finchélui non ha compiuto sette anni e ha iniziato a lavorare come apprendista pescatore.

Lo osservo con un sorrisetto connivente, allietata dal ricordo. «Vorrà dire che dormiròin manette, signorina Vandark» rispondo, e Kilorn si mette a ridere a crepapelle.

Non appena mi sveglio del tutto, mi rendo conto di avere qualcosa addosso. È un

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tessuto morbido e un po’ consumato, di colore scuro. La giacca di Kilorn. Prima che iopossa protestare, lui se la riprende e mi lascia al freddo.

«Grazie» borbotto, mentre se la infila.Poi scrolla le spalle. «Stavi tremando.»«Ci vorrà un bel po’ per arrivare a Baia del Porto.» Cal alza la voce per sovrastare il

rombo dei motori, che si devono ancora raffreddare. Tiene gli occhi puntati sulla pista eferma il jet. Proprio come Campo nove-cinque, queste cosiddette rovine sono del tuttodeserte e circondate da alberi. «Dobbiamo percorrere più di quindici chilometri traforesta e periferia» aggiunge, per poi rivolgersi a Farley. «A meno che tu non abbiaqualche altro asso nella manica.»

Lei sghignazza tra sé e sé e si slaccia le cinture. «Vedo che cominci a imparare.» Conun colpo secco, apre la cartina del colonnello e se la stende sulle ginocchia. «Possiamofarli diventare dieci, se prendiamo i vecchi tunnel, ed evitare a piè pari la periferia.»

«Un altro treno sotterraneo?» Quel pensiero mi suscita una strana sensazione: unmiscuglio di speranza e terrore. «Sarà sicuro?»

«Cos’è un treno sotterraneo?» borbotta Nix con voce distante. Non ho intenzione diperder tempo a descrivere il bizzarro tubo metallico che ci ha condotti a Naercey.

Anche Farley ignora la domanda del novosangue. «Non ci sono treni nei tunnel diBaia, non ancora, ma la galleria passa proprio sotto via del Porto. A meno che non siastata chiusa, non è vero?»

Lancia un’occhiata a Cal, ma lui scuote la testa. «Non c’è stato abbastanza tempo.Quattro giorni fa pensavamo che i tunnel fossero mezzi distrutti e abbandonati. Nonsono nemmeno mappati. Neanche con tutti i fortibraccia a sua disposizione, Mavenpotrebbe avere già bloccato i vari cunicoli.» Ha un attimo di esitazione e lo vedo assorto.So a cosa pensa.

Sono passati soltanto quattro giorni. Quattro giorni da quando Cal e Ptolemus hanno trovatoWalsh nei tunnel ferroviari sotto Archeon. Quattro giorni da quando abbiamo assistito alsuicidio della ragazza per proteggere i segreti della Guardia Scarlatta.

Per distrarmi dal ricordo degli occhi vitrei e spenti di Walsh, mi allungo sul sedile edistendo i muscoli. «Diamoci una mossa» propongo, ma suona più come un ordine cheun suggerimento.

Ho memorizzato la prossima serie di nomi. Ada Wallace. Nata il 1/6/290 a Baia delPorto, regione Faro, Stato del Reggente, Norda. Residenza attuale: come quella di nascita. E poic’è l’altro, sempre di Baia del Porto: Wolliver Galt. Nato il 20/1/302. Ha la stessa data dinascita di Kilorn, anno compreso, ma non è lui. È un novosangue, un altro mutante rossoe argenteo che Kilorn potrà invidiare.

A proposito, è strano che il mio amico non mostri alcuna ostilità nei confronti di Nix.Anzi, con lui è più affabile che mai e gli gira sempre intorno, come un cagnolino fedele.Chiacchierano a bassa voce, accomunati dalle stesse esperienze di vita, essendo entrambidei rossi cresciuti in povertà e senza speranze. Quando Nix comincia a parlare di reti enodi, un argomento alquanto noioso che Kilorn però adora, torno a concentrarmi sucome predisporre tutto il resto. Una parte di me vorrebbe potersi unire al loro dibattitosull’importanza di un nodo del pescatore ben fatto, piuttosto che interrogarsi sulla

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migliore strategia di infiltrazione. Se non altro, mi sentirei normale: nonostante ciò chedice Shade, infatti, siamo tutto tranne quello.

Farley si è già messa in moto e si è infilata una giacca marrone scuro. Si rimbocca lasciarpa nel colletto per nascondere il rosso acceso del tessuto, e comincia a preparare lescorte di cibo da portare con noi. Per il momento, abbiamo provviste a sufficienza, ma mifaccio comunque l’appunto mentale di sgraffignare qualsiasi cosa capiti lungo il tragitto,se possibile. Le armi sono un’altra questione critica: in tutto, ne abbiamo soltanto sei, erubarne altre non sarà un’impresa semplice. Tre fucili e tre pistole. Farley ne ha già unesemplare per tipo: il fucile a canna lunga in spalla e la pistola sul fianco. Ha dormitocosì, con le armi aderenti al corpo, come se fossero parte di lei. È per questo che mistupisco quando se le sfila entrambe di dosso e le ripone nell’armadietto addossato allaparete.

«Hai intenzione di andare in giro disarmata?» chiede Cal meravigliato, con il fucile inmano.

Per tutta risposta, lei si tira su una gamba dei pantaloni e mostra un coltellaccioinfilato nello stivale. «Baia è una città grande. Ci vorrà una giornata intera per trovare inovisangue e forse tutta la notte per farli uscire. Non metterò a repentaglio la missionesolo per portarmi dietro un’arma da fuoco non dichiarata. Se un agente di sicurezza mibeccasse, mi giustizierebbe sul posto. Posso correre il rischio nei villaggi, dove ci sonomeno controlli, ma non a Baia.» Riabbassa la gamba dei pantaloni e aggiunge: «Misorprende che tu non conosca le tue stesse leggi, Cal».

Un pallore argentato gli colora le guance e il principe sbianca per l’imbarazzo. Perquanto si impegnasse, Cal non è mai stato portato per le leggi e la politica. Questi aspettirientravano tra le prerogative di Maven, è sempre stato così.

«E comunque» prosegue Farley mentre ci affetta con lo sguardo «tu e la sparafulminisiete delle armi molto più potenti di qualsiasi pistola.»

Riesco quasi a sentire il rumore che fa Cal mentre digrigna i denti, in preda alla rabbiae alla frustrazione. «Te l’ho già detto, non possiamo…» attacca a brontolare e non hobisogno di starlo a sentire per sapere quale sia la sua lamentela. Siamo le persone piùricercate del regno, siamo un pericolo per chiunque, rischiamo di compromettere tutto quanto. Ebenché il mio primo istinto sia di dargli retta, il mio secondo pensiero, costante, è di nonfidarmi di lui. Anche perché intrufolarsi di soppiatto non è la sua specialità, ma la mia.Così, mentre lui continua a discutere con Farley, mi preparo in silenzio per i tunnel e Baiadel Porto. Mi tornano in mente le immagini nei libri di Julian e sfilo la cartina dalle manidi Farley. Lei non si accorge del mio gesto furtivo, ancora impegnata a battibeccare conCal. Shade prende parte al dibattito e interviene a favore di Farley; la lite a tre mipermette di starmene seduta in silenzio a escogitare un piano.

La cartina di Baia del Porto del colonnello è più recente di quella che mi ha mostratoJulian, e più dettagliata. Proprio come Archeon è stata edificata intorno all’immensoponte che la Guardia Scarlatta ha distrutto, così Baia del Porto si sviluppa a partire dalfamoso golfo a forma di scodella. Costruito per lo più in maniera artificiale, esso formauna curva di terra fin troppo perfetta che affaccia sull’oceano. Sia i crescifoglia che gliacquatici hanno dato una mano a erigere la città e il porto, rispettivamente seppellendo e

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inondando le rovine che vi erano un tempo in quella zona. Una strada dritta, piena dicancelli, posti di blocco e strettoie, si protende verso l’oceano e divide il cerchio d’acqua ametà. La striscia d’asfalto separa Porto Acquario, lo scalo commerciale, da Porto Guerra(nome ideale per l’approdo militare) e conduce a forte Patriota, appollaiato su unospiazzo quadrato di terra cinto da mura nel bel mezzo del golfo. Il forte è considerato ilpiù importante del paese, trattandosi dell’unica base che funge da punto di riferimentoper tutte e tre le branche dell’esercito. Forte Patriota, infatti, ospita sia i soldati dellaLegione Faro che gli squadroni della flotta aerea. Inoltre, le acque del golfo sonoabbastanza profonde da consentire il passaggio di navi di grandi dimensioni, il che fa diPorto Guerra uno scalo fondamentale per la marina militare di Norda. Il forte ha unaspetto minaccioso già sulla cartina, per cui spero che Ada e Wolliver si trovino al di fuoridi quelle mura.

La città vera e propria si sviluppa intorno al porto, tra i vari moli; è più antica diArcheon e ha incorporato le rovine del vecchio centro urbano che un tempo si ergeva inquella zona. Le strade si snodano e divergono in modo confuso e imprevedibile. Inconfronto al reticolo ordinato della capitale, Baia sembra un groviglio di cavi annodati, ilche la rende perfetta per dei fuorilegge come noi. Alcune strade si inabissano addiritturasottoterra e si immettono nella rete di cunicoli che Farley pare conoscere come le proprietasche. Benché far uscire due novisangue da Baia del Porto non sarà certo un gioco daragazzi, non sembra nemmeno impossibile. Soprattutto se, al momento giusto, dovessecasualmente verificarsi qualche blackout.

«Tu resta pure qui, Cal» esordisco alzando la testa dalla cartina. «Ma io non me nestarò con le mani in mano, questa volta.»

Lui si blocca nel bel mezzo del discorso e si volta a guardarmi. Per un attimo, mi sentocome una pila di ramoscelli che sta per prendere fuoco. «Allora spero proprio che tu siapronta a fare quello che devi.»

Pronta a uccidere chiunque mi riconosca. Ogni singola persona.«Lo sono.»E sono anche molto brava a mentire.

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13

È piuttosto semplice convincere Nix a restare nel jet. Nonostante la sua invulnerabilità, èpur sempre un pescatore di granchi che non è mai uscito dalle paludi salmastre intornoal proprio villaggio. Non c’è spazio per quel novosangue in una missione di recuperoall’interno di una città fortificata, e lo sa benissimo anche lui. Kilorn invece è più difficileda persuadere. Acconsente a restare a bordo del velivolo solo quando gli ricordo chequalcuno deve tenere d’occhio Nix.

Mentre ci salutiamo, mi abbraccia forte e mi aspetto che mi sussurri qualcheraccomandazione, magari addirittura un consiglio. Invece, mi incoraggia ed è piùrassicurante del previsto. «Riuscirai a salvarli» mormora. «Ne sono sicuro.»

Salvarli. Quelle parole mi riecheggiano nella testa, accompagnandomi mentre scendodalla rampa del jet e mi addentro nella foresta illuminata dal sole. “Ce la farò” ripeto trame e me finché non credo in me stessa almeno quanto Kilorn. “Ce la farò. Ce la farò. Cela farò.”

Gli alberi da quelle parti sono più radi, il che ci costringe a restare sempre vigili. Allaluce del giorno Cal non deve preoccuparsi del bagliore delle sue fiamme, e così tiene ilfuoco a portata di mano e ogni dito arde come lo stoppino di una candela. Shade viaggiaa diversi metri d’altezza e salta di ramo in ramo, mentre scandaglia la foresta con lameticolosità di un soldato; controlla in tutte le direzioni con la sua vista da falco, primadi ritenersi soddisfatto. Io ho tutti i sensi all’erta, pronti a captare ogni minimo segnaleelettrico che potrebbe essere emesso da qualche mezzo di trasporto. Percepisco un lieveronzio verso sud-est, in direzione della città, ma è piuttosto normale, proprio come ilviavai del traffico su via del Porto. Siamo ben lontani dai cunicoli, tuttavia la mia bussolainteriore mi dice che ci stiamo avvicinando.

Avverto qualcosa, senza vederlo. È il segnale quasi impercettibile di una minuscolabatteria che genera elettricità e alimenta forse un orologio o una radiolina.

«A est» bisbiglio e indico il punto da cui proviene la fonte di energia in avvicinamento.Farley si volta di scatto da quella parte, senza neanche accovacciarsi. Io invece non ci

penso due volte e mi inginocchio subito tra le foglie secche, lasciando che la camiciabordeaux e i capelli marroni si mimetizzino con i colori dell’autunno. Cal si rannicchiaaccanto a me e tiene le fiamme basse, sotto controllo, in modo da non incendiare laforesta. Ha un respiro regolare e tranquillo, mentre scruta la boscaglia con i suoi occhibronzei.

Io punto il dito verso la batteria. Un’unica scintilla mi percorre la mano e poi svanisce,mentre chiama a raccolta l’energia dentro di me.

«Farley, abbassati!» le ringhia Cal, ma la sua voce si perde nel fruscio delle foglie.Invece di obbedire, Farley appoggia la schiena a un albero e si confonde tra le ombre

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del tronco. I raggi del sole che filtrano attraverso i rami sovrastanti le illuminano la pellea chiazze e così, immobile com’è, sembra far parte della foresta. Eppure, non rimane insilenzio. Schiude le labbra ed emette un lieve cinguettio che risuona tra le fronde. È lostesso richiamo che ha utilizzato per comunicare con Kilorn, appena tornata da Coraunt.Un segnale.

La Guardia Scarlatta.«Farley» sibilo a denti stretti. «Che succede?»Ma non mi degna di uno sguardo, troppo assorta a osservare gli alberi. In attesa. In

ascolto. Un attimo dopo, si sente un trillo simile, ma non proprio identico. Quando ancheShade risponde al richiamo dall’albero sopra di noi e si unisce alla strana melodia, un po’della mia paura si affievolisce. Farley potrebbe anche tendermi una trappola, ma Shadeno. Spero.

«Capitano! Credevo che fossi rimasta bloccata su quella cavolo di isola» esclama unavoce rozza, proveniente da un fitto boschetto di olmi. L’accento è forte e riconoscibile: levocali marcate, la mancanza della “erre”… è la parlata della gente di Baia.

Farley sorride nel sentirla e si allontana dal tronco con scioltezza. «Crance» saluta, e facenno di avvicinarsi alla figura che compare dal sottobosco. «Dov’è Melody? Dovevoincontrarmi con lei, in teoria. Da quando sei diventato il galoppino di Egan?»

Quando spunta fuori dal fogliame, lo studio con estrema attenzione e cerco di cogliereogni piccolo dettaglio che ho imparato a notare nel tempo. Il busto è chino in avanti,come a bilanciare il peso di qualcosa che tiene nascosto dietro la schiena. Un fucile, forse,o magari una mazza. Sembra proprio un galoppino, in effetti. Ha l’aspetto di uno scaricatoredi porto o di un attaccabrighe, con braccia enormi e un torace a botte coperto da unaspessa maglia di cotone usurata. Indossa anche uno smanicato pieno di toppe, che nefanno un’accozzaglia di tessuti di scarto assortiti, tutti nelle gradazioni del rosso. Èstrano che lo smanicato sia così logoro, visto che gli stivali di pelle verniciati sembranonuovi. Magari li ha rubati. È il mio tipo di uomo.

Crance scrolla le spalle e un tic nervoso gli fa contrarre il viso incupito. «Melody ha dafare al porto. E comunque, preferisco essere chiamato “braccio destro”, se non ti spiace.»Lo spasmo si trasforma in un ghigno, poi l’uomo si inchina con un gesto ampio edesagerato. «Naturalmente, boss Egan ti dà il benvenuto, capitano.»

«Non sono più capitano» protesta Farley risentita, mentre gli afferra l’avambraccio inuna versione alternativa di una stretta di mano. «Di certo avrai saputo.»

Lui scuote la testa, senza darci peso. «In pochi da queste parti l’accettano. I Marinairispondono a Egan, non al vostro colonnello.»

I Marinai? Suppongo che si tratti di un’altra divisione all’interno della GuardiaScarlatta.

«I tuoi amici pensano di restare nascosti tra i cespugli?» aggiunge lanciandomiun’occhiata. Ha le iridi di un azzurro magnetico, reso ancora più intenso dalla carnagionebruna. Ma non bastano a distrarmi dalla questione più urgente: sento ancora lapulsazione della batteria e Crance non indossa alcun orologio.

«E che mi dici dei tuoi, di amici?» gli chiedo, mentre mi alzo dal tappeto di foglie.Cal sbuca fuori insieme a me e squadra l’uomo da capo a piedi. Crance fa altrettanto

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con il principe; sono entrambi due soldati agguerriti. Poi Crance sfoggia un sorrisosmagliante.

«Ecco perché il colonnello fa tante storie.» Ridacchia e azzarda un passo avanti.Nonostante la sua stazza, non battiamo ciglio. Siamo noi i più pericolosi.Lui si lascia sfuggire un fischio basso e torna a fissarmi. «Il principe esiliato e la

sparafulmini. E Lepre, dove s’è cacciato? L’ho sentito, ne sono sicuro.»Lepre?Shade si materializza dietro di lui, con un braccio sulla stampella e l’altro intorno al

collo di Crance. Ma sorride, anzi, ride. «Ti ho già detto di non chiamarmi così» lorimprovera e lo scuote per le spalle.

«Però devi ammettere che ti calza a pennello» ribatte Crance mentre si libera dalla suapresa. Mima dei saltelli con la mano e intanto ride di gusto, ma il suo sorriso si spegnequando vede la stampella e le bende di mio fratello. «Ma che hai fatto? Sei caduto dallescale?» chiede con tono leggero, ma i suoi occhi raggianti si rabbuiano.

Shade liquida la sua preoccupazione con un rapido gesto e gli dà una paccaamichevole sulla grossa spalla. «È bello rivederti. Ma forse dovrei presentarti miasorella…»

«Non ce n’è bisogno» lo interrompe Crance e allunga la manona, grande il doppiodella mia, verso di me. Io accetto il gesto di buon grado e lascio che mi stringal’avambraccio.

«Piacere di conoscerti, Mare Barrow. Però, chi l’avrebbe mai detto?! Sei venuta meglionelle foto segnaletiche.»

Gli altri sussultano, spaventati quanto me al pensiero che l’immagine della mia facciasia stata spiattellata su ogni porta e finestra. Avremmo dovuto immaginarlo.

«Spiacente di deluderti» mi sforzo di rispondere e ritraggo il braccio. La stanchezza ele preoccupazioni non sono state clementi nei miei confronti. Mi sento la pelle sporca,per non parlare dei capelli, pieni di nodi. «Sono stata un po’ troppo impegnata perguardarmi allo specchio.»

Crance prende la stoccata con filosofia e sghignazza. «Allora ce l’hai davvero lascintilla» commenta ironico, e noto che mi osserva le dita. Resisto alla tentazione dimostrargli con che tipo di scintilla ha esattamente a che fare e stringo forte i pugni.

Il segnale della batteria è ancora lì, un promemoria costante. «Per quanto vuoicontinuare a fare finta che non ci avete accerchiati?» insisto e indico gli alberi intorno anoi. «O forse abbiamo un problema?»

«Nessun problema» afferma e alza le mani in segno di resa, per prendermi in giro. Poiemette un altro fischio, acuto e tagliente, stavolta, simile al verso di un falcone in caccia.Benché Crance faccia di tutto per mantenere un’espressione sorridente e rilassata, nonmi sfugge il suo sguardo sospettoso. Suppongo che terrà d’occhio Cal, ma è di me chenon si fida. Oppure non mi capisce…

Il fruscio delle foglie annuncia l’arrivo degli amici di Crance; indossano anche loro unmiscuglio di stracci e abiti eleganti sgraffignati a qualcuno. In pratica, è la loro uniforme:abbinamenti talmente eterogenei che finiscono per assomigliarsi. Ci sono due donne eun uomo (quello con l’orologio malconcio ma ancora funzionante) e a prima vista

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sembrano tutti disarmati. Fanno il saluto a Farley, sorridono a Shade e non riescono aguardare in faccia me e Cal. Ma forse è meglio così. Non ho bisogno di altri amici daperdere.

«Allora, Lepre, vediamo se sai stare al passo» lo punzecchia Crance e si incamminaaccanto a lui.

Per tutta risposta, Shade salta su un albero vicino, con la gamba ferita a penzoloni e unsorrisetto stampato sulle labbra. Quando incrocia il mio sguardo, però, qualcosas’incrina. Un attimo dopo, me lo ritrovo alle spalle e ci resta per una frazione di secondo.Si muove talmente in fretta che lo intravedo a malapena.

Ma riesco comunque a sentire cosa mi sussurra.«Non fidarti di nessuno.»

I tunnel sono umidi, le pareti ricurve ricoperte di muschio e lunghe radici, però le rotaieappaiono sgombre da rocce e detriti. Immagino che sia per far passare i treni sotterranei,nel caso uno di quei convogli dovesse intrufolarsi di nascosto a Baia del Porto. Eppurenon sento lo stridore metallico dei vagoni sui binari né il ritmo assillante della batteria diuna locomotiva diretta verso di noi. Percepisco soltanto l’energia della torcia elettricanella mano di Crance, l’orologio del suo compare e il fluire costante del traffico su via delPorto, dieci metri sopra le nostre teste. I mezzi pesanti sono i peggiori, con i loro cavi edispositivi elettronici che mi sfrigolano in testa. Rabbrividisco ogni volta che ne passauno e ben presto perdo il conto di quanti sfrecciano verso Naercey. Se sfilassero tuttiinsieme, penserei a un convoglio reale che scorta Maven in persona, ma sembra che iveicoli vadano e vengano in maniera piuttosto casuale. “È normale” dico a me stessamentre cerco di calmarmi, così da non far saltare la torcia, lasciandoci al buio.

I compari di Crance chiudono la fila, il che dovrebbe rendermi nervosa, ma nonm’importa: ho le scintille a portata di mano e Cal al mio fianco, nel caso qualcuno avessecattive intenzioni. Lui incute più timore di me, con la sua mano infuocata. Le fiammerosse danzano intorno alle sue dita, proiettano ombre tremolanti che cambiano forma edimensione e dipingono il cunicolo di rosso e nero. Erano i suoi colori, un tempo, ma ormaiha perso anche quelli, come tutto il resto.

Tutto tranne me.È inutile bisbigliare quaggiù, tanto si sente ogni cosa, per cui Cal tiene la bocca chiusa.

Ma riesco comunque a interpretare la sua espressione. È a disagio e reprime i suoi istintidi soldato, principe e argenteo. Eccolo lì, infatti, che segue i suoi nemici verso l’ignoto…e per cosa? Per aiutarmi? Per ferire Maven? Quali che siano le sue ragioni, un giorno nonbasteranno più ad andare avanti. Un giorno, smetterà di seguirmi e io dovrò farmi trovarepronta. Dovrò decidere cosa il mio cuore potrà sostenere… e quanta solitudine potròsopportare. Ma non è ancora giunto quel momento. Il suo calore è ancora con me e nonriesco a fare a meno di tenermelo stretto.

I cunicoli non sono riportati sulla nostra cartina né in nessun’altra mappa che io abbiavisto, ma via del Porto c’è e ho il sospetto che, in questo preciso momento, ci troviamoesattamente sotto. La strada conduce nel cuore di Baia, attraverso Porta Luccio, ecosteggia il golfo, prima di dirigersi a nord, verso le paludi salmastre, Coraunt e le gelide

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terre di confine, molto lontane. Ancor più importante di via del Porto è il Centro disicurezza, fulcro amministrativo della città, dove sono custoditi i registri e, soprattutto,gli indirizzi di Ada e Wolliver. Là dentro potrebbero esserci anche i dati della terzanovosangue, la ragazzina che vive nella baraccopoli di Nuovofumo.

Cameron Cole. Ricordo il nome, ma il resto delle sue informazioni personali almomento mi sfugge e, con tutti quegli estranei intorno, non mi azzardo a tirare fuori lalista di Julian per controllare. Meno gente sa dei novisangue, meglio è. I loro nomi sonocondanne a morte e non ho dimenticato l’avvertimento di Shade.

Con un pizzico di fortuna, entro sera avremo trovato tutto quello che ci serve e domanifaremo ritorno al jet in tempo per la colazione, insieme ad altri tre novisangue. Kilornbrontolerà incavolato perché ci abbiamo messo tanto, ma questa è l’ultima delle miepreoccupazioni. Anzi, non vedo l’ora di rivedere quel musone paonazzo e scorbutico.Nonostante l’influenza della Guardia su di lui e il suo atteggiamento irascibile che primanon conoscevo, il ragazzo con cui sono cresciuta esiste ancora, sotto quella maschera, ilche mi tranquillizza tanto quanto il fuoco di Cal e l’abbraccio di mio fratello.

Shade parla per riempire il silenzio e scherza con Crance e i suoi compagni. «È grazie aquest’uomo che sono tornato vivo da Campo Cenere» spiega mentre indica Crance con lastampella. «I boia non sono riusciti a farmi fuori, ma la fame stava per farcela.»

«Sei stato tu a rubare il cespo di cavolo. Io ti ho solo lasciato mangiare» rispondel’uomo scrollando la testa, ma il rossore sulle sue guance rivela un certo orgoglio.

Shade non molla il colpo così facilmente. Sfoggia un sorrisone di circostanza chepotrebbe illuminare i cunicoli, ma non c’è luce nel suo sguardo. «Sei un contrabbandieredal cuore d’oro.»

Assisto al loro botta e risposta con sguardo attento e orecchie aperte e seguo laconversazione come fosse un gioco. Ognuno fa i complimenti all’altro per qualcosa,mentre ricordano il loro viaggio di ritorno da Campo Cenere e le volte in cui hannoaggirato gli agenti di sicurezza e le altre legioni. Benché possano avere stretto amicizia inquel periodo, non sembra che esista più alcun legame tra loro. Ormai sono soltanto dueuomini, accomunati da ricordi e sorrisi finti, che cercano di intuire cosa voglia l’altroesattamente. Mi sforzo di capirlo anch’io e giungo alle mie conclusioni.

Crance è un ladro incallito, mestiere che conosco fin troppo bene. L’aspetto miglioredei ladri è che ci si può sempre fidare… che faranno del proprio peggio. Se la situazionefosse capovolta e la vecchia Mare stesse scortando dei fuggitivi a Palafitte, liconsegnerebbe ai nemici in cambio di qualche tetrarca o di un po’ di scorte di cibo ocorrente elettrica? Ricordo molto bene gli inverni rigidi, il freddo e la fame di quei giorniche sembravano non finire mai, le malattie facili da curare e l’assenza di soldi percomprare i farmaci. Ricordo persino la sofferenza data dal semplice desiderio diprendere qualcosa di bello o utile, così, tanto per averlo. In quei momenti ho fatto dellecose orribili: ho derubato gente disperata quanto me. “Per sopravvivere. Per mantenercitutti in vita” mi dico. È questa infatti la giustificazione che usavo a Palafitte, quandosgraffignavo degli spiccioli a famiglie con bambini affamati.

Non metto in dubbio che Crance mi consegnerebbe al suo boss, se potesse, perché èquello che farei anch’io. Fossi in lui, venderei la sparafulmini a Maven a una cifra

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esorbitante. Ma per fortuna, Crance è in netta inferiorità di armi e lo sa benissimo, percui è costretto a continuare a sorridere. Per il momento.

Il tunnel scende verso il basso e i binari si interrompono bruscamente, nel punto incui il cunicolo diventa troppo stretto per farci passare un treno. Più ci addentriamo inprofondità, più la temperatura si abbassa e l’aria diventa opprimente. Cerco di nonpensare al peso della terra sopra di noi. Nel giro di poco, però, compaiono delle crepelungo le pareti fatiscenti, che con ogni probabilità crollerebbero, se non fosse per isostegni visibilmente aggiunti di recente. Delle travi di legno spoglie si susseguononell’oscurità e ciascuna sorregge una parte di soffitto della galleria, impedendoci di finiresepolti vivi.

«Dove sbucheremo?» chiede Cal a voce alta, rivolto a chiunque abbia intenzione dirispondere. Ogni sua parola trasuda ostilità. Stare sottoterra lo rende nervoso e vale lostesso anche per me.

«A ovest di Poggio Oceanico» risponde Farley. Parla della residenza reale di Baia delPorto, ma Crance la interrompe e scuote la testa.

«L’uscita è bloccata» borbotta. «Lavori in corso; ordini del re. Questo è salito al tronoda tre giorni e mi ha già rotto le scatole.»

Sono talmente vicina a Cal che lo sento digrignare i denti dalla rabbia. Uno scatto d’iraravviva il suo fuoco e nel tunnel si propaga una vampata di calore che gli altri fanno fintadi ignorare. Ordini del re. Anche senza farlo apposta, Maven riesce a metterci i bastoni trale ruote

Cal si guarda i piedi, rassegnato. «Maven ha sempre detestato il Poggio.» Le sue parolerimbombano in modo strano tra le pareti e ci trascinano nei suoi ricordi. «Era troppopiccolo per lui. Troppo vecchio.»

Le ombre si muovono sulle pareti e alterano i nostri profili. Vedo Maven in ognisagoma deforme, in ogni cono buio. Lui una volta mi ha detto di essere l’ombra dellafiamma. Ora temo che stia diventando un’ombra nella mia mente, peggio di un fantasma,una persecuzione. Almeno non sono la sola che tormenta: anche Cal percepisce la suapresenza.

«Il mercato del pesce, allora.» Il ringhio burbero di Farley mi riporta alla missione inatto. «Dovremo tornare indietro e ci servirà un diversivo fuori dal Centro di sicurezza, seriuscite.»

Ho il cervello in sovraccarico e do un’occhiata alla cartina. A quanto pare, il Centro disicurezza è direttamente collegato al vecchio palazzo di Cal o comunque fa parte dellostesso complesso. Mentre suppongo che il mercato del pesce sia parecchio distante. Diconseguenza, dovremo muoverci di soppiatto per arrivare nel posto giusto e poiintrufolarci dentro. A giudicare dal cipiglio di Cal, l’idea non lo entusiasma.

«Egan vi accontenterà» assicura Crance, assecondando la richiesta di Farley. «Vi daràuna mano come può. Non che ne abbiate bisogno, con Lepre al vostro fianco.»

Shade gli fa una boccaccia scherzosa, ancora infastidito dal soprannome. «In cherapporti sei con i rossi di Baia? Pensi che potresti riconoscere qualche nome?»

Devo mordermi la lingua per impedirmi di sgridare mio fratello. L’ultima cosa chevoglio è spifferare a Crance chi stiamo cercando… perché poi se ne chiederà il motivo.

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Ma Shade mi lancia un’occhiata e con un movimento delle sopracciglia mi incita arivelare i nomi ad alta voce. Accanto a lui, Crance fa del suo meglio per mantenereun’espressione neutra, ma gli brillano gli occhi. È fin troppo impaziente di ascoltarequello che ho da dire.

«Ada Wallace» sussurro, quasi avessi paura che le pareti della galleria possano carpireil mio segreto. «Wolliver Galt.»

Galt. Crance s’illumina e non può fare a meno di annuire. «I Galt li conosco. Sono unavecchia famiglia che sta in via dello Strino. Di mestiere fanno i mastri birrai.» Si sforza diricordare qualcos’altro. «Producono la migliore birra di tutta Baia. È una fortuna avercelicome amici.»

Mi batte forte il cuore all’idea di poter avere una fortuna del genere, ma è tuttomitigato dalla consapevolezza che ora Crance e il misterioso Egan sanno chi stiamocercando.

«Questa Wallace, invece, non la conosco» prosegue. «È un cognome abbastanzacomune, ma non mi viene in mente nessuno in particolare.»

Per mio disappunto, non riesco a capire se stia mentendo, quindi insisto per farloparlare; magari Crance mi svelerà qualcosa di interessante, oppure mi fornirà un pretestoper convincerlo a farlo.

«Voi vi chiamate “i Marinai”, giusto?» domando, attenta a mantenere un tono di voceneutro.

Lui mi lancia un sorrisetto soddisfatto, poi si solleva la manica e mi mostra untatuaggio sull’avambraccio: un’ancora nero-bluastra circondata da una fune rossaattorcigliata. «I migliori contrabbandieri di tutta Faro» afferma con aria fiera. «Dicci cosavuoi e noi te la procuriamo.»

«E lavorate al servizio della Guardia?»La mia domanda gli toglie il sorriso e Crance si tira subito giù la manica. Annuisce, ma

non sembra molto convinto.«Ne deduco che Egan sia un altro capitano.» Affretto il passo e lo raggiungo alle

spalle. Lui si irrigidisce per la mia vicinanza e riesco addirittura a scorgere i capelli chegli si rizzano sulla nuca. «Il che farebbe di te un suo luogotenente? O che altro?»

«Non diamo molto peso ai titoli» ribatte per sottrarsi alle mie domande pressanti. Edire che ho appena iniziato. Gli altri assistono alla scena, confusi dal miocomportamento. Kilorn capirebbe. Anzi, molto meglio: starebbe al gioco.

«Perdonami, Crance» proseguo con tono smielato. Sembro più una dama di corte cheuna ladruncola, il che lo irrita. «Sono solo curiosa di conoscere la storia dei nostri fratellie sorelle di Baia. Dimmi, cosa ti ha spinto a unirti alla causa?»

Silenzio. Mi volto a guardare gli amici di Crance, muti come lui. Nella luce fioca deitunnel, hanno gli occhi quasi neri.

«È stata Farley? Sei stato reclutato?» lo incalzo, alla ricerca di un segno di cedimento.Lui continua a non rispondere e un brivido di paura mi pervade. Cos’è che non ci stadicendo? «O sei stato tu a metterti in contatto con la Guardia, come ho fatto io?Naturalmente, avevo una ragione più che valida. Vedi, credevo che Shade fosse morto ecercavo vendetta. Mi sono arruolata perché volevo uccidere le persone che avevano ucciso

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mio fratello.»Ancora nessuna risposta, ma Crance accelera il passo. Devo aver toccato un nervo

scoperto.«Chi ti hanno portato via gli argentei?»Mi aspetto che Shade mi sgridi per questa domanda, e invece resta in silenzio. Tiene

gli occhi puntati su Crance e cerca di capire cosa ci nasconda il contrabbandiere. Perchédi certo ci nasconde qualcosa, ormai l’abbiamo capito tutti. Persino Farley si irrigidisce,benché fino a pochi istanti fa fosse così amichevole con lui. Dev’essersi resa conto diqualcosa, qualcosa che prima le era sfuggito. Si infila la mano in tasca e stringe unoggetto che intuisco essere un altro coltello nascosto. Cal non abbassa la guardianemmeno per un istante; il suo fuoco continua a bruciare e minaccia palesemente dispezzare l’oscurità. Ripenso al tunnel in cui ci troviamo: mi sembra di stare in una tomba.

«Dov’è Melody?» mormora Farley, che allunga la mano con delicatezza e ferma Crancesui suoi passi. Ci blocchiamo tutti quanti e ho come l’impressione di sentire il battito deinostri cuori che rimbomba tra le pareti della galleria. «Egan non avrebbe mai mandato te,non da solo.»

Mi volto lentamente e do le spalle al muro, in modo da tenere d’occhio sia Crance che isuoi scagnozzi. Cal fa altrettanto e qualche fiammella divampa dalla sua mano, prontaall’occorrenza. Le scintille elettriche danzano sulla mia pelle come minuscole saettebianche e viola. Provo una bella sensazione nel tenere stretti quei lampi di pura potenza.Sopra di noi, il traffico si è intensificato; ne deduco che siamo vicini alle porte della città,se non proprio sotto. Non è certo il punto ideale per un combattimento.

Ecco infatti cosa sta per verificarsi.«Allora, dov’è Melody?» ripete Farley, e fende l’aria con il coltello. La lama scintilla

all’improvviso, riflette il fuoco di Cal e abbaglia il contrabbandiere. «Crance?»Nonostante la luce accecante, lui spalanca gli occhi e sembra profondamente pentito

di qualcosa, il che mi terrorizza. «Tu sai cosa siamo e chi è Egan. Siamo dei criminali,Farley. Crediamo nel denaro… e nella sopravvivenza.»

Conosco fin troppo bene il loro modo di vivere, ma ho abbandonato quella strada.Non sono più un verme. Ora sono la sparafulmini e ho molti ideali: libertà, vendetta,autonomia, qualsiasi cosa che alimenti le scintille dentro di me e la determinazione chemi fa andare avanti.

Gli scagnozzi di Crance si muovono adagio, come me, ed estraggono le armi dallefondine nascoste. Tutti e tre stringono una pistola, con fare teso ma esperto. Suppongoche anche Crance ne abbia una, ma non l’ha ancora tirata fuori. È troppo impegnato acercare di spiegarci cosa sta per succedere esattamente. Ma io lo so già. Il tradimento miè familiare, eppure mi contorce lo stomaco e mi fa gelare il sangue nelle vene. Faccio ditutto per ignorarlo, per concentrarmi.

«L’hanno rapita» mormora Crance. «Le hanno mozzato l’indice e l’hanno spedito aEgan questa mattina. È successa la stessa cosa in tutta Baia: ogni gang ha perso qualcunoo qualcosa di caro. I Marinai, i Teschi di Mare; si sono pigliati pure il figlioletto di Ricket,nonostante lui fosse fuori dal giro da anni. Quanto alla ricompensa…» Fa una pausa edemette un fischio tetro. «Non c’è da sputarci sopra.»

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«Cosa vogliono in cambio?» Inspiro e tengo gli occhi puntati sulla donna accanto a me.Lei mi fissa di rimando.

La voce di Crance è un lamento profondo e addolorato. «Te, sparafulmini. Non hai sologli agenti e i militari alle calcagna, ma anche noi: ogni gang di contrabbandieri e ognibanda di ladri da qui a Delphie. Sei braccata, signorina Barrow, sia dagli argentei sia dallatua stessa gente. Mi spiace, ma è così.»

Le sue scuse non sono rivolte a me, bensì a Farley e a mio fratello: i suoi amici, ormaitraditi, nonché i miei amici, in grave pericolo per colpa mia.

«Che trappola ci hai teso?» ringhia Shade, che fa del suo meglio per incutere timore,nonostante la stampella sottobraccio. «In cosa stiamo per incappare?»

«Nulla di piacevole, Lepre.»Nella strana luce prodotta dal fuoco di Cal, dalle mie scintille e dalla torcia di Crance,

per poco non mi sfugge la sua occhiata eloquente, che si posa sulla trave di sostegnoaccanto a me. In quel punto, il soffitto è pieno di crepe e fessure, e tra i lastroni dicemento sbucano zolle di terra.

«Brutto pezzo di merda» impreca Shade a voce fin troppo alta e con fare esagerato. Hal’aria di chi potrebbe tirare un cazzotto da un momento all’altro: un perfetto diversivo. Cisiamo.

Gli scagnozzi di Crance puntano le armi contro mio fratello, la cosa più veloce che cisia. Quando Shade alza il pugno, loro premono il grilletto e… mancano il bersaglio. Io miaccuccio, assordata dagli spari che mi passano vicino, ma resto concentrata sull’elementopiù importante: la trave. Una scarica elettrica manda il legno in frantumi, comeun’esplosione, e lo carbonizza. Quando scaglio il secondo fulmine contro il soffitto pienodi crepe, quello si sbriciola e viene giù. Cal si butta di lato, verso Crance e Farley, e schivai calcinacci che si schiantano a terra. Non ho neanche il tempo di preoccuparmi alpensiero di restare sepolta viva insieme ai Marinai, perché Shade mi afferra per il polsonella sua morsa familiare. Io chiudo gli occhi e resisto alla sgradevole sensazione delsalto, per poi riatterrare qualche metro più in là, lungo il tunnel. Abbiamo superatoCrance e Farley, che sta aiutando Cal a rialzarsi in piedi. La parte di galleria alle lorospalle è ormai crollata e tre corpi sono rimasti schiacciati sotto il peso della terra e delcemento.

Crance lancia un’ultima occhiata ai propri compari caduti, poi estrae la pistolanascosta. Per una frazione di secondo ho idea che potrebbe spararmi, invece solleva il suosguardo magnetico e osserva il resto del tunnel, mentre tutto trema intorno a noi. Muovele labbra e mima una sola parola.

“Scappiamo!”

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14

Sinistra, destra, di nuovo a sinistra, su per di là.Crance ci abbaia ordini e guida i nostri passi forsennati attraverso i tunnel. Lo

schianto dell’ennesimo pilone che crolla alle nostre spalle ci fa correre più in fretta chepossiamo. Abbiamo innescato una specie di reazione a catena, un’implosione all’internodella galleria. In un paio di occasioni, il soffitto ci frana talmente vicino che sento il colposecco delle travi di sostegno che si spezzano. Anche i ratti scappano insieme a noi esfrecciano come ossessi per sfuggire all’oscurità. Rabbrividisco quando me li sentopassare sui piedi, mentre agitano le loro code come piccole fruste. Non ci sono mai statimolti ratti a Palafitte: le inondazioni del fiume finivano sempre per annegarli tutti e ilricordo delle ondate di pelliccia nera e untuosa mi fa accapponare la pelle. Ma faccio delmio meglio per reprimere il disgusto. Nemmeno Cal va matto per i piccoli roditori elancia delle potenti fiammate per terra, in modo da scacciare gli animali ogni volta che siavvicinano troppo.

La terra continua a franare dietro di noi, offuscando l’aria, e la torcia di Crance èpressoché inutile in quell’oscurità. Gli altri si affidano al tatto e allungano le braccia pertastare le pareti mentre corrono; io invece resto concentrata sul mondo sovrastante, sullarete di cavi elettrici e mezzi di trasporto in movimento. Nella mia mente si forma unaspecie di cartina, impressa sull’immagine di quella cartacea che ho già quasimemorizzato. In questo modo, percepisco sempre più cose. È una sensazionetravolgente, ma tengo duro e mi costringo ad assimilare il più possibile. I veicolisfrecciano sopra le nostre teste e si dirigono verso il luogo in cui è avvenuto il primocrollo. Qualche mezzo sbanda lungo i vicoli, forse per evitare i detriti e i punti in cuil’asfalto è sprofondato. Un diversivo. Molto bene.

I tunnel sono l’habitat naturale di Farley e Crance, un regno fatto di terra. Eppuretocca a Cal tirarci fuori da lì e l’ironia della situazione non sfugge né a me né a lui. Nonappena raggiungiamo un vicolo cieco, con una porta di servizio sigillata, non c’è bisognodi dirgli cosa fare. Cal avanza di un passo, allunga le mani, il suo bracciale emette unascintilla e una fiamma bianca e incandescente prende vita. Con il fuoco che gli danzanelle mani afferra i cardini della porta e li scalda finché non si fondono in due pozzeviscose di ferro liquido e rovente. L’ostacolo successivo, ovvero una grata di metalloarrugginita, è ancora più facile da superare e Cal la rimuove nel giro di pochi secondi.

Un altro pezzo di tunnel crolla con un violento boato, come un rombo di tuono, mamolto distante. I ratti, ora più tranquilli, spariscono nel buio da cui sono venuti e quella èla cosa che mi rasserena di più. Le loro piccole ombre, benché ripugnanti, mi infondonouno strano senso di pace interiore: insieme, abbiamo seminato la morte.

Crance indica il passaggio con la grata scardinata e ci invita a infilarci dentro, ma Cal

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tentenna; la sua mano, ustionante, è ancora appoggiata al metallo, e quando molla lapresa lascia un’impronta sul ferro rosso incandescente.

«Lo Spicciolo?» domanda buttando un’occhiata lungo il tunnel che prosegue. Calconosce Baia del Porto molto meglio di me. Del resto, lui qui ci ha vissuto: ha abitato aPoggio Oceanico ogni volta che la famiglia reale si trasferiva da queste parti. Senza ombradi dubbio, si sarà fatto un bel po’ di giri tra i vari moli e i vicoletti della città, propriocome stava facendo la prima volta che ci siamo incontrati.

«Signorsì» risponde Crance con un rapido cenno del capo. «Non posso portarvi piùvicino di così al Centro di sicurezza. Egan mi aveva dato istruzioni di farvi passare per ilmercato del pesce, dove ci sono i suoi uomini pronti ad acciuffarvi, per non parlare dellapattuglia di agenti di sicurezza. Non se l’aspetta mica che passiamo per piazzaleSpicciolo e non avrà messo nessuno di guardia.»

Il modo in cui lo dice mi fa saltare i nervi. «Perché?»«Lo Spicciolo è territorio dei Teschi di Mare.»I Teschi di Mare. Un’altra gang di gentaglia accomunata, se va bene, da tatuaggi più

inquietanti dell’ancora sul braccio di Crance. Se non fosse stato per le macchinazioni diMaven questi delinquenti avrebbero aiutato una loro sorella rossa, e invece si sonotrasformati in nemici pericolosi tanto quanto qualunque soldato argenteo.

«Non intendevo quello» proseguo, avvalendomi del tono principesco di Mareena percamuffare la paura. «Perché adesso ci aiuti?»

Qualche mese fa, l’immagine dei tre corpi sepolti dalle macerie nella galleria miavrebbe terrorizzata, ma ormai ne ho viste talmente tante che rivolgo a malapena unpensiero ai compari di Crance e alle loro ossa rotte. Il contrabbandiere, invece,nonostante la sua indole criminale, non sembra del tutto a suo agio. Si lancia unosguardo alle spalle, nell’oscurità, dove sono rimasti i Marinai che ha aiutato a uccidere.Può darsi che fossero amici.

Del resto, ci sono amici che anch’io tradirei e vite che metterei a repentaglio, pur divincere le mie battaglie. L’ho già fatto in passato. Non è difficile lasciar morire dellepersone, quando le loro morti permettono a qualcos’altro di restare in vita.

«Non sono certo tipo da giuramenti, albe rosse o qualsiasi altra scemenza voi tuttiandate farneticando» borbotta e stringe forte il pugno. «Non mi lascio incantare daquesti paroloni. Ma voi state facendo molto di più che parlare. Per come la vedo, qui sitratta di tradire il mio capo… oppure il mio sangue.»

Il suo sangue. Cioè, io.A ogni parola tagliente che pronuncia, i suoi denti scintillano nella luce fioca del

tunnel. «Persino i ratti vogliono uscire dalle fogne, signorina Barrow.»Poi varca la soglia con la grata divelta e si incammina verso la superficie, dove

potrebbero ucciderci tutti.Io lo seguo.Raddrizzo le spalle e mi preparo ad affrontare il baccano e qualsiasi cosa ci attenda in

fondo al riparo sicuro fornito dal tunnel. Non sono mai stata a Baia del Porto prima d’ora,ma la cartina, unita al mio sesto senso per la corrente elettrica, è più che sufficiente atracciare nella mia mente uno schema di strade e circuiti. Avverto le luci di piazzale

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Spicciolo e i mezzi di trasporto militari che si dirigono verso il forte. Tra l’altro, mi trovomolto a mio agio nelle città. Le folle, i vicoli stretti e i diversivi forniti dal trambusto delleattività quotidiane mi permettono di mimetizzarmi come piace a me.

Lo Spicciolo è un altro mercato, vivace quanto il Gran Giardino a Summerton o quelloche si tiene in piazza a Palafitte. Eppure, il posto in cui ci troviamo è più lercio, piùcaotico e sgombro di signorotti argentei, ma brulica di rossi ed è animato daglischiamazzi della gente che tira sul prezzo. Un luogo perfetto per nascondersi. Noisbuchiamo al piano inferiore, un groviglio sotterraneo di bancarelle separate da tendonidi tela sporchi d’unto. Eppure non c’è fumo né puzza, qua sotto. Noi rossi saremo anchepoveri, ma non stupidi. Mi basta alzare lo sguardo e sbirciare attraverso il grande bucocon le grate nel soffitto per capire che la carne affumicata e il pesce puzzolente vengonovenduti ai piani superiori, in modo che i cattivi odori si dissolvano nel cielo. Al momento,siamo circondati da venditori ambulanti, artigiani, tessitori, e ciascuno cerca di rifilare lapropria merce a clienti che non hanno il becco di un tetrarca. I soldi danno loro alla testa.I mercanti li vorrebbero, gli acquirenti vorrebbero tenerseli e sono tutti accecati daldenaro. Nessuno si accorge del gruppetto di furfanti addestrati che è appena sgattaiolatofuori da un buco defilato nel muro. So che dovrei avere paura, ma stare in mezzo alla miagente mi infonde una strana sicurezza.

Crance guida la fila e la sua camminata da omaccione nerboruto si trasforma inun’andatura zoppicante, come quella di Shade. Il contrabbandiere nasconde il visoall’ombra del cappuccio che estrae dallo smanicato. A un occhio distratto potrebbesembrare un vecchietto malconcio, peccato sia tutt’altro. Mette addirittura un bracciosotto la spalla di Shade per aiutarlo a camminare. Mio fratello non deve preoccuparsi dicoprirsi la faccia, e così si concentra per non inciampare sul suolo sconnesso. Farleychiude la fila e mi sento tranquilla, sapendo che ho lei a coprirmi le spalle. Nonostantetutti i segreti che nasconde, penso di potermi fidare: non sarà in grado di prevedere certetrappole, ma di sicuro sa come uscirne. In questo mondo fatto di tradimenti, non potreisperare di meglio.

Sono passati mesi dall’ultima volta in cui ho rubato qualcosa. E quando sfilo un paiodi scialli grigio antracite da una bancarella, i miei movimenti sono rapidi e precisi, maavverto un’insolita fitta di rimorso. Qualcuno ha realizzato quei coprispalle; qualcuno hafilato e tessuto la lana per ricavarne scampoli di stoffa ruvida. Qualcuno ne avràcertamente bisogno. Ma, del resto, ne ho bisogno anch’io. Ne ho preso uno per me e uno perCal. Lui afferra subito il cencio di lana sfilacciato e si copre testa e spalle, per nasconderela sua fisionomia riconoscibilissima. Io faccio altrettanto, appena in tempo.

Infatti, dopo aver percorso sì e no qualche metro tra la folla nel mercato scarsamenteilluminato, passiamo proprio accanto a una specie di bacheca, dove di solito vengonoaffissi annunci di vendita, ritagli di giornale e necrologi. Tutte queste fesserie da rossisono state ricoperte da una discutibile distesa di stampe. Dei bambini scorrazzanointorno alla bacheca e strappano i pezzi di carta fin dove riescono ad arrivare, poi silanciano addosso i coriandoli bianchi, come fossero manciate di neve. Soltanto unabambina, dai capelli neri arruffati e i piedi marroni scalzi, si degna di guardare cosastanno facendo. Osserva i due volti familiari che la fissano di rimando da una dozzina di

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manifesti enormi, austeri e lugubri, con un titolo nero dai caratteri cubitali: RICERCATIDALLA CORONA PER TERRORISMO, TRADIMENTO E OMICIDIO. Dubito che la maggior partedella gente che affolla lo Spicciolo sappia leggere, ma il messaggio è piuttosto chiaro.

La foto di Cal non è il solito ritratto reale che lo faceva apparire forte, maestoso edelegante. Tutt’altro: si tratta di un’immagine sgranata, ma riconoscibile, un fotogrammaestrapolato da uno dei tanti filmati che lo hanno immortalato negli attimi prima della suamancata esecuzione, nel Circo delle ossa. Il suo viso è smunto, stravolto dal lutto e daltradimento, mentre i suoi occhi brillano di una rabbia irrefrenabile. I muscoli del collosono tesi e in risalto. Sembra che ci sia addirittura del sangue secco sul suo colletto, il chegli conferisce proprio l’aspetto dell’assassino. Del resto, è quello per cui Maven vuolefarlo passare. I manifesti più in basso sono stracciati o ricoperti di scritte, la cui grafia,irruenta e calcata, è difficile da decifrare. “L’ammazzasovrani”, “l’esule.” Questi epitetilacerano la carta, come se le parole potessero far sanguinare la pelle fotografata. E tra unappellativo e l’altro si legge: “Trovatelo, trovatelo, trovatelo”.

Come per Cal, anche la mia immagine è stata presa dai video girati nel Circo delleossa. Ricordo benissimo quel momento. Era poco prima di varcare il cancello d’ingressodell’arena, mentre ascoltavo il rumore degli spari che colpivano Lucas alla testa. Inquell’istante, ho realizzato di essere in procinto di morire e, quel che è peggio, di essereinutile. L’ormai defunto Arven si trovava accanto a me e aveva disattivato il mio potere,riducendomi a una nullità. Nella foto, ho gli occhi sgranati, impauriti e sembro davveropiccola. Non assomiglio per niente alla sparafulmini, ma soltanto a una ragazzinaspaventata. Una persona che nessuno sarebbe disposto a seguire, figuriamoci aproteggere. Sono certa che sia stato Maven in persona a scegliere questo fotogramma, percostruire e proiettare un certo tipo di immagine. Ma qualcuno non si è lasciato incantare.Qualcuno ricorda la frazione di secondo in cui ho dato sfogo alla mia forza, ai fulmini,prima che la ripresa dell’esecuzione venisse interrotta. Qualcuno sa chi sono e l’ha scrittosui manifesti, affinché tutti possano vedere.

“La regina rossa, la sparafulmini, è viva. Sorgete, rossi come l’alba. Sorgete. Sorgete.Sorgete.”

Ogni parola mi sembra un marchio a fuoco che brucia in profondità. Ma non possiamoattardarci davanti a delle foto segnaletiche. Do un colpetto a Cal e lo distolgo dalla vistabrutale dei nostri volti provati. Lui si lascia allontanare di buon grado e segue Shade eCrance nel viavai della folla. Io reprimo l’istinto di tenerlo stretto e di cercare di alleviareun po’ di peso dalle sue spalle. Ma per quanto voglia sentirlo vicino, non posso. Devoguardare avanti e stare alla larga dal fuoco del principe decaduto. Devo congelare i mieisentimenti per difendermi dall’unica persona che continua a incendiarli.

Districarsi attraverso lo Spicciolo è più facile del previsto. Un mercato di soli rossi nonsuscita il minimo interesse da parte di nessuno; di conseguenza, ci sono ben pochi agentie telecamere ai piani inferiori. Tengo comunque i sensi all’erta e individuo giusto qualcheocchietto elettronico che riesce a spiarci, nonostante il caotico susseguirsi di bancarelle evetrine. Vorrei poterli mettere fuori uso, invece di continuare goffamente a evitare i lorosguardi inquisitori, ma sarebbe troppo pericoloso. Un misterioso cortocircuitoattirerebbe di certo l’attenzione. Gli agenti di sicurezza sono più difficili da aggirare.

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Risaltano tra la folla con le loro uniformi nere e, a mano a mano che risaliamo i pianiinterrati dello Spicciolo, diventano sempre di più. La maggior parte sembra annoiata dalfrenetico andirivieni dei rossi, ma alcuni tengono gli occhi ben aperti e scrutano lafiumana con sguardo indagatore.

«Stai gobbo» bisbiglio, e strattono Cal per il polso. A quel gesto, un brivido mipercorre la mano, risale lungo il braccio e mi costringe a mollare la presa all’istante.

Ma Cal obbedisce e incurva la schiena per nascondere la propria altezza. Eppure,potrebbe non bastare. Tutto quello che stiamo facendo potrebbe non bastare.

«Preoccupati di lui. Dobbiamo essere pronti, nel caso se la desse a gambe» replica Calin un sussurro; le sue labbra sono così vicine che mi sfiorano l’orecchio. Tira fuori un ditodalle pieghe dello scialle e indica Crance. Ma mio fratello marca a vista ilcontrabbandiere e lo tiene stretto per lo smanicato. Non si fida neanche per sogno delMarinaio, proprio come tutti noi.

«A lui ci pensa Shade. Tu cerca di tenere giù la testa.»Cal sospira a denti stretti, spazientito. «Sta’ a vedere. Se ha intenzione di svignarsela,

lo farà nel giro dei prossimi trenta secondi.»Non ho bisogno di chiedergli come faccia a esserne tanto sicuro. A giudicare

dall’andamento della folla, in una trentina di secondi dovremmo arrivare in cima allascalinata ricurva e pericolante e raggiungere il pianterreno dello Spicciolo. Ora riesco aintravedere il cuore del mercato, proprio sopra di noi, illuminato dal sole dimezzogiorno. La luce è quasi accecante, per noi che siamo stati sottoterra fino a poco fa.Lassù le bancarelle sembrano permanenti, più professionali e redditizie. Nell’aria c’èodore di carne alla griglia; proviene da una specie di cucina all’aperto. Dopo giorni dicibo confezionato e pesce salato, mi viene l’acquolina in bocca. Sopra di noi svettanoarchi di legno logori che sorreggono un tendone pieno di strappi e toppe. Qualche trave èpiuttosto danneggiata, usurata dalle intemperie.

«Non scapperà» si intromette Farley sottovoce. «O meglio, di certo non correrà daEgan. Rischia di perdere la testa per aver tradito i Marinai. Se davvero sta pensando difuggire, lascerà la città.»

«Faccia un po’ quello che vuole!» ribatto in un bisbiglio. Non ho mica bisogno di unaltro rosso a cui badare. «Ha già svolto la sua funzione. Ormai non ci serve più, no?»

«E come la mettiamo se finisce in gattabuia e lo interrogano?» interviene Cal con untono calmo ma minaccioso, che mi rammenta cosa dobbiamo fare per tutelarci.

«Ha lasciato che tre dei suoi morissero per me, per salvarmi.» Non ricordo nemmeno iloro volti, non posso concedermelo. «Dubito che la tortura sia un grosso problema perlui.»

«Tutti cedono ai sussurri di Elara Merandus» commenta Cal perentorio. «Io e te losappiamo meglio di chiunque altro. Se Crance dovesse finire tra le grinfie della regina, ciscoveranno. E troveranno anche i novisangue di Baia.»

Se.Cal vuole uccidere un uomo basandosi su una parolina così terribile. Prende il mio

silenzio per assenso e, benché mi vergogni ad ammetterlo, non ha tutti i torti. Per lomeno, non mi costringerà a farlo, sebbene il fulmine possa uccidere in modo rapido,

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tanto quanto il fuoco. A dire il vero, però, muove le dita sotto lo scialle, dove so che hanascosto un coltello. Mi tremano le mani e prego che Crance righi dritto, che non facciapassi falsi e non si becchi una pugnalata alla schiena per avere osato aiutarmi.

Il pianterreno dello Spicciolo è più chiassoso dei livelli sottostanti, un tripudio disuoni e colori. Devo limitare un poco la ricettività dei miei sensi e ignorare tutto quelloche posso per non impazzire. Avverto le luci sopra di me gemere, sfinite dal fluireirregolare della corrente: l’impianto elettrico è difettoso e in certi punti arranca. Mi tremal’occhio per il fastidio. Il segnale delle telecamere, invece, è più intenso e i loro obiettivisono puntati sulla guardiola degli agenti di sicurezza, posta al centro del mercato. Sitratta di un casotto poco più grande di una bancarella, con sei pareti composte da cinquefinestre (una per ogni lato) e una porta, più un tetto a scandole. Peccato soltanto chequella specie di stand straripi di agenti, invece che degli articoli più disparati. Sonodavvero troppi, mi rendo conto con orrore crescente.

«Più in fretta» sussurro. «Dobbiamo andare più in fretta.»Velocizzo il passo, supero Cal e Farley e per poco non vado a sbattere contro la schiena

di Crance. Shade si gira con sguardo torvo, ma non fissa me, e neanche gli altri. Hanotato qualcosa tra la folla. Anzi, qualcuno.

«Ci stanno pedinando» borbotta, e stringe la presa sul braccio di Crance. «Teschi diMare.»

D’istinto, scosto appena il cappuccio per dare un’occhiata. Individuarli è piuttostofacile: hanno le teste rasate a zero e dei teschi bianchi dalle ossa frastagliate tatuati sulcranio. Sono almeno in quattro e si fanno strada tra la folla, seguendoci come farebberodei gatti con dei topolini. Ci affiancano, due a destra e due a sinistra. Se la situazione nonfosse tragica, mi metterei a ridere per quei tatuaggi abbinati. La gente intorno a noi liriconosce e si sposta per farli passare, per lasciarli andare a caccia.

Evidentemente, gli altri rossi temono quei criminali, ma io no. Un gruppetto diteppistelli non è niente in confronto alla potenza della dozzina di agenti di sicurezza chesi aggira intorno alla guardiola. Potrebbero essere lestopassi, fortibraccia, azzeratori…argentei in grado di farcela pagare con il sangue e la sofferenza. Per lo meno, so che nonsono pericolosi quanto gli argentei di corte: i sussurranti, i setosi e i silenti. Individui conle stesse abilità della regina Elara non indossano umili uniformi nere; persone del generegovernano eserciti e regni, non certo qualche misero metro di mercato, e sono moltolontane da qui. Per il momento.

Per nostra sorpresa, il primo colpo non ci arriva alle spalle, ma ci sorprende da davanti.Quella che sembrava una vecchia befana ricurva si rivela in realtà una donna molto agilee afferra Crance per il collo con il suo bastone nodoso. Getta il contrabbandiere a terra eintanto si toglie il mantello, mostrando la testa rasata e il tatuaggio a forma di teschio.

«Il mercato del pesce non ti basta più, Marinaio?» gli sbraita contro la donna, mentreosserva Crance cadere di schiena. Shade, che si appoggiava all’uomo e alla stampella perrimanere in piedi, finisce pure lui al suolo.

Io faccio per aiutarli e scatto in avanti, ma mi sento prendere per la vita e tirareindietro, tra la folla. Sempre più gente si ferma a guardare, in cerca di un po’ diintrattenimento. Nessuno ci riconosce, in quella schiera di volti, nemmeno i quattro

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Teschi di Mare che ci stavano pedinando. Non siamo noi il loro obiettivo… non ancora.«Continua a camminare» mi tuona Cal nell’orecchio.Ma io punto i piedi. Non mi farò portare via, nemmeno da lui. «Non me ne vado senza

Shade.»Appena Crance prova a rialzarsi, la donna gli tira una bastonata e si sente l’impatto

del legno contro le ossa. Lei è molto veloce e si volta subito verso Shade, che però èabbastanza furbo da restare a terra con le mani in alto, in segno di resa apparente.Potrebbe scomparire all’istante e mettersi in salvo con un semplice salto, ma sa di nonpoterlo fare. Non con tutti quegli sguardi puntati addosso. Non con la postazione degliagenti di sicurezza proprio lì, a due passi.

«Siete tutti dei ladri e dei buffoni!» brontola una signora poco lontano. Sembra l’unicainfastidita dalla scena. I commercianti, gli avventori del mercato e anche i ragazzetti distrada osservano il tutto con grande interesse, mentre gli agenti non muovono un dito;anzi, si godono il siparietto con sguardo divertito. Ne adocchio addirittura un paio che sipassa qualche moneta e scommette sulla rissa in corso.

Si sente un’altra bastonata. Stavolta è la spalla ferita di Shade a essere stata colpita. Luistringe i denti nel tentativo di trattenere un grido di dolore, ma gli sfugge comunque erisuona per tutto lo Spicciolo.

È come se avessero picchiato anche me e rabbrividisco, mentre mio fratello siaccartoccia su se stesso.

«Non ti ho mai visto prima, Marinaio» gracchia la donna e lo picchia di nuovo, conforza, per lanciare un messaggio. «Ma di certo Egan ti riconoscerà. Pagherà per riavertisano e salvo, anche se malconcio.»

Serro il pugno e chiamo a me il fulmine, ma avverto solo il fuoco. La sua pelle caldacontro la mia, le sue dita che mi si insinuano nella mano stretta. Cal. In questa posizionenon posso innescare la scintilla senza fargli del male. Un lato di me vorrebbe andareavanti lo stesso, scacciarlo via e salvare mio fratello in un’unica semplice mossa. Ma nonci porterebbe da nessuna parte.

Sussulto quando mi rendo conto che non potrebbe esserci diversivo migliore diquello… né momento migliore per svignarcela. “Shade non è un diversivo!” grida unavoce nella mia testa. Mi mordo il labbro e per poco non mi faccio sanguinare. Non possoabbandonarlo, non posso. Non posso perderlo di nuovo. Ma non possiamo neanche restare.È troppo pericoloso e c’è così tanto altro in ballo.

«Il Centro di sicurezza» sussurro, sforzandomi di non far tremare la voce. «Dobbiamotrovare Ada Wallace e l’unico modo è passare per il Centro.» Le parole che pronunciosubito dopo sanno di sangue. «Dovremmo andare.»

Shade lascia che il colpo successivo lo faccia stendere di lato, in modo da avereun’angolazione migliore. I nostri sguardi si incrociano. Spero che capisca. Muovo lelabbra senza emettere alcun suono. “Il Centro di sicurezza” gli mimo per fargli saperedove raggiungerci non appena se la sarà cavata. Perché lui se la caverà. Del resto, è unnovosangue come me. Questa gente non può neanche competere con lui.

Sono quasi riuscita a convincermi.Shade sembra avvilito all’idea che non lo salverò, eppure annuisce. Poi la ressa lo

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inghiotte e lo perdo di vista. Mi volto di spalle prima che gli arrivi un’altra bastonata, masento comunque il rumore sordo e violento del legno sulle ossa. Rabbrividisco di nuovo ele lacrime mi bruciano gli occhi. Vorrei guardare indietro, ma devo andarmene, devo farequello che va fatto e dimenticare quello che va dimenticato.

La gente intorno a noi acclama e si accalca per vedere, il che ci rende ancora più facilesvicolare e addentrarci nel centro di Baia del Porto.

Le strade intorno allo Spicciolo sono come il mercato stesso: affollate, chiassose,puzzolenti e piene di gente di pessimo umore. Non mi aspetto nulla di meglio dal settorerosso della città, dove le case sono fitte e si affacciano sui vicoli, formando porticiombreggiati stracolmi di spazzatura e mendicanti. Non ci sono agenti nei paraggi, troppopresi dallo scontro tra bande al mercato o dai crolli nel tunnel ormai lontano. Ora è Cal aguidarci e continua a dirigersi verso sud, allontanandosi dal cuore rosso di Baia.

«Ma hai capito dove siamo?» domanda Farley e gli lancia un’occhiata sospettosa,quando Cal si infila nell’ennesimo vicoletto tortuoso. «O ti sei perso come me?»

Lui non si degna di risponderle e la liquida con un rapido gesto della mano. Passiamoaccanto a un’osteria dove dalle finestre si intravedono già le ombre degli ubriaconiincalliti che si accalcano al bancone. Cal sofferma lo sguardo sulla porta dipinta di unrosso acceso e violento. Immagino sia uno dei posti che frequentava, quando riusciva asgattaiolare di nascosto fuori da Poggio Oceanico per andare a sbirciare di persona comeprocedevano realmente le cose nel proprio regno, senza il filtro edulcorato dell’altasocietà argentea. “È così che farebbe un buon re” mi aveva detto una volta. Ma come hoavuto modo di scoprire in seguito, la sua idea di buon re era zeppa di difetti. Le orde dimendicanti e ladri che ha incontrato nel corso degli anni non sono state sufficienti aconvincerlo. Il principe ha assistito alla fame e alle ingiustizie che attanagliavano il suopopolo, ma questo non è bastato a innescare un cambiamento né a destare la suapreoccupazione. Fino a quando il suo stesso mondo non lo ha sbranato e poi risputato…rendendolo un orfano, un esiliato e un traditore.

Lo seguiamo perché dobbiamo. Perché ci serve un soldato, un pilota: un merostrumento che ci aiuti a portare a termine i nostri obiettivi. È quello che mi racconto,mentre gli sto dietro. Ho bisogno di Cal per dei nobili motivi. Per salvare delle vite. Pervincere.

Ma, al pari di mio fratello, ho anch’io una stampella. La mia, però, non è di metallo. Èfatta di carne, fuoco e occhi color bronzo. Se solo potessi liberarmene. Se fossiabbastanza forte da lasciar andare il principe e abbandonarlo al suo desiderio divendetta. Lasciarlo morire o vivere, come meglio crede. Ma ho bisogno di lui e non riesco atrovare la forza per lasciarlo andare.

Nonostante siamo piuttosto distanti dal mercato del pesce, per strada c’è un tanfotremendo. Mi porto lo scialle al naso per sentire meno puzza. Ma questo non è odore dipesce, mi rendo conto pian piano. Anche gli altri l’hanno capito.

«Non dovremmo passare di qui» mormora Cal; allunga una mano per fermarmi, ma iogli sguscio sotto il braccio e Farley mi segue a ruota.

Usciamo dalla stradina secondaria e sbuchiamo in quella che un tempo doveva essere

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una piazza con un modesto giardino. Ora vige un silenzio di tomba, le finestre delle casee le vetrine dei negozi sono sprangate. I fiori sono bruciati e la terra si è trasformata incenere.

Decine di corpi dalle facce viola e gonfie pendono dagli alberi spogli, con dei cappiintorno al collo. Sono stati completamente denudati e addosso hanno soltantomedaglioni rossi tutti uguali. Niente di lussuoso, solo quadrati di legno intagliato appesia uno spago grezzo. Non ho mai visto simili collane e mi concentro su quelle perdistogliere lo sguardo dai visi di così tanti cadaveri.

A giudicare dal miasma e dal nugolo di mosche che li avvolge, devono essere lì già daun po’.

Sono ormai avvezza alla morte, ma queste salme sono peggio di qualsiasi altra io abbiamai visto… o generato.

«I provvedimenti?» mi chiedo a voce alta. Che questi uomini e donne abbiano infrantoil coprifuoco? Che abbiano detto qualcosa di inopportuno? Che siano stati giustiziati perordini impartiti da me? “Non erano i tuoi ordini” ricordo a me stessa d’istinto. Ma ciònon attenua il mio senso di colpa. Nulla può farlo.

Farley scuote la testa. «Questi sono gli uomini della Vigilanza Rossa» borbotta. Fa peravanzare, ma poi ci ripensa. «Nelle città più grandi, le comunità rosse sono più popolosee hanno guardie e agenti propri, per mantenere la pace e far rispettare le nostre leggi,visto che la Sicurezza argentea se ne frega.»

Ecco perché i Teschi di Mare hanno attaccato Crance e Shade così apertamente, davantia tutti. Sapevano che nessuno li avrebbe puniti. Sapevano che i vigilanti rossi eranomorti.

«Dovremmo tirarli giù» propongo, ma so che è impossibile. Non abbiamo tempo diseppellirli e non siamo certo a caccia di guai.

Mi costringo a voltarmi dall’altra parte. La vista è abominevole e non me la scorderò,ma non piango neanche. Cal è rimasto lì ad aspettare, a una certa distanza, come se nonavesse il diritto di mettere piede nella piazza con gli impiccati. Non dico niente, ma sonod’accordo. È stata la sua gente a fare questo. La sua gente.

Farley non riesce a restare compita quanto me. Cerca di nascondere le lacrime che lesalgono agli occhi e io faccio finta di non vederle, mentre riprendiamo a camminare.

«Arriverà la resa dei conti. Risponderanno per questo» sibila a denti stretti; il suo tonoè teso come un cappio.

Più ci allontaniamo dallo Spicciolo, più la città appare ordinata. I vicoli si allargano ediventano strade che svoltano dolcemente, invece di formare delle curve a gomito. Gliedifici, da queste parti, sono fatti di pietra o cemento levigato e non danno l’impressionedi crollare al primo soffio di vento forte. A giudicare dalle porte e dalle persianevermiglie, suppongo che alcune abitazioni, molto curate ma piuttosto piccole,appartengano ai rossi più affermati della città. Le loro case, infatti, sono contrassegnatedal nostro colore, marchiate, così che tutti sappiano chi e cosa ci vive dentro. I rossi che siaggirano per la strada sono altrettanto evidenti: quasi tutti domestici, con un braccialettodi spago rosso legato al polso. Alcuni hanno distintivi a strisce appuntati sul petto,

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ciascuno con una combinazione di colori ben precisa, in base alla famiglia presso la qualeprestano servizio.

Quello che ci passa più vicino porta un distintivo rosso e marrone: casato Rhambos.Riaffiorano alla mente le lezioni di lady Blonos, un miscuglio confuso di informazioni

che ricordo a malapena. Quello dei Rhambos è uno dei Gran casati e i loro membri sono igovernatori della regione Faro, in cui ci troviamo. Sono fortibraccia. Una delle ragazzedella loro famiglia ha preso parte al Torneo delle regine: un affarino minuto di nomeRohr, che avrebbe potuto farmi a pezzi. Ho incontrato anche un altro Rhambos, nel Circodelle ossa. Avrebbe dovuto essere uno dei miei giustizieri, e invece sono stata io aucciderlo. Gli ho lanciato una scarica elettrica che gli ha fatto sfrigolare lo scheletro.

Mi sembra ancora di sentirlo urlare e mi viene quasi da ridere al pensiero, dopo lavisione orripilante della piazza con gli impiccati.

I servitori del casato Rhambos svoltano a ovest e intraprendono una lieve salita versola collina che dà sul golfo. Non c’è dubbio che siano diretti alla dimora del propriopadrone. Dev’essere una delle tante ville che costellano il pendio. Ciascuna sfoggia paretidi un bianco immacolato, tetti azzurro cielo e alte guglie argentate che culminano instelle dalle punte aguzze. Seguiamo la strada tortuosa che sale verso l’altura e ciavviciniamo al palazzo più grande di tutti. Sembra incoronato da una miriade di stelle edè cinto da mura trasparenti e scintillanti: vetrodiamante.

«Poggio Oceanico» mi spiega Cal, che nota il mio sguardo incantato.Il complesso domina la cresta del colle; pare un gatto bianco e paffuto che poltrisce

pacifico dietro le mura cristalline. Come nella reggia del Biancofuoco, il tetto è decoratocon fiamme di metallo dorate, forgiate così sapientemente che sembrano danzare allaluce del sole. Le finestre, pulite in maniera impeccabile, sfavillano come gioielli; tuttofrutto dell’olio di gomito di chissà quanti domestici rossi. Dal palazzo provengono irumori fastidiosi e insistenti dei lavori in corso. Solo Maven sa cosa stiano combinandoalla residenza reale. Una parte di me vorrebbe andare a sbirciare e sono costretta asoffocare questo mio lato curioso e incosciente. Se mai rimetterò piede in un palazzo,sarà in catene.

Cal non riesce a guardare a lungo il Poggio. Ormai per lui non è altro che un ricordolontano, un posto in cui non può più andare, una casa a cui non può fare ritorno.

Un aspetto che abbiamo in comune, mi sa.

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15

I gabbiani se ne stanno appollaiati sulle stelle che adornano ciascun tetto e ci osservanomentre ci aggiriamo tra le ombre fredde, al riparo dal sole di mezzogiorno. Mi sentovulnerabile, esposta ai loro sguardi rapaci, come un pesce che sta per essere agguantatoper pranzo. Cal ci fa camminare a un passo sostenuto e noto che anche lui avverte ilpericolo. Persino nei vicoletti, dove si affacciano soltanto le porte di servizio e gli alloggidei servitori, siamo comunque fuori luogo, con i nostri cappucci e i vestiti sdruciti.Questa parte della città è tranquilla, silenziosa, pulitissima e… pericolosa. Più ciaddentriamo nella zona, più mi irrigidisco. La tenue pulsazione della corrente elettrica siintensifica e avverto un ronzio costante provenire da ogni casa che superiamo. Sentol’energia che sfrigola addirittura sopra le nostre teste, trasportata da cavi mimetizzati frai tralci delle piante rampicanti o fra le tende da sole a strisce blu. Eppure non percepiscola presenza di telecamere. I mezzi di trasporto circolano solo lungo le strade principali e,per il momento, siamo passati inosservati, grazie a un paio di diversivi violenti.

Cal ci guida rapidamente all’interno di quello che chiama il “settore astrale”. Agiudicare dalle migliaia di stelle disposte su centinaia di tetti a cupola, il nome delquartiere è piuttosto azzeccato.

Ci fa passare per i vicoli, stando attento a tenersi a debita distanza da PoggioOceanico, finché non sbuchiamo su una strada principale molto trafficata. Se ricordobene la cartina, si tratta di una diramazione di via del Porto, che mette in collegamentoPoggio Oceanico (e gli edifici annessi) con il vivace porto e forte Patriota, situato in fondoalla strada protesa nelle acque del golfo. Dal punto in cui ci troviamo, la città si sviluppatutta intorno a noi e sembra un dipinto bianco e blu.

Ci mescoliamo tra i rossi che affollano i marciapiedi. Il lastricato bianco della strada èinvaso da veicoli militari di varie dimensioni che spaziano da piccole auto a due posti amezzi blindati su ruote; la maggior parte ha una spada incisa sulla carrozzeria: il simbolodell’esercito. A Cal brillano gli occhi sotto il cappuccio, mentre osserva i veicoli chesfilano a uno a uno. Io sono più attratta dai mezzi di trasporto civili. Sono di meno, mascintillano e sfrecciano come saette nel traffico cittadino. Sui più particolari sventolanobandierine colorate, da cui si deduce il casato a cui appartengono o il passeggero chetrasportano. Per fortuna, non scorgo da nessuna parte il rosso e il nero del casato Calore,di Maven, né il bianco e blu del casato Merandus, di Elara. Se non altro, questa giornatanon ci riserva proprio il peggio.

Il pigia pigia della folla ci costringe a camminare appiccicati, Cal alla mia destra eFarley a sinistra. «Quanto manca?» sussurro mentre mi sistemo il cappuccio sulla testa.Nonostante i miei sforzi per seguire la strada, mi sono persa. Troppe curve e cambi didirezione per starci dietro.

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Cal mi fa un cenno con il capo e indica una bolgia di persone e mezzi di trasportodritto davanti a noi. Sussulto alla vista di quello che è senza ombra di dubbio il cuorepulsante di Baia del Porto. Il cocuzzolo dell’altura che domina la città è cinto da mura dipietra bianca e vetrodiamante. Non si vede molto del palazzo, al di là dei cancelli blusfavillanti, punteggiati da scaglie argentate, eppure scorgo qualche torretta stellata chesvetta verso l’alto. È un luogo magnifico, ma freddo e crudele, tagliente come un rasoio.Pericoloso.

Sulla cartina, questa zona sembrava un semplice spiazzo situato davanti ai cancelli diPoggio Oceanico, collegato al porto e alle mura di forte Patriota, in fondo al dolce pendio.Ma la realtà è molto più complessa. Nel posto in cui ci troviamo, sembra che i due mondidi questo regno si mescolino e, per una frazione di secondo, rossi e argentei siriuniscono. Scaricatori di porto, soldati, domestici e nobili si incrociano sotto la cupola dicristallo che sovrasta l’enorme patio. Una fontana posta al centro del cortile forma vorticid’acqua ed è circondata da fiori bianchi e blu che non sono ancora stati intaccatidall’autunno. I raggi del sole risplendono attraverso la cupola e inondano di lucedanzante quell’esplosione di colori sgargianti. In fondo al viale, dalla parte oppostarispetto a noi, si intravedono i cancelli del forte, rischiarati dalla luce cangiante che siirradia dalla cupola. Come quelli del palazzo reale, anche questi sono lavorati ad arte, altiuna dozzina di metri, realizzati in argento e bronzo lucidato, intrecciati insieme performare immensi pesci guizzanti. Se non fosse per le decine di soldati nelle vicinanze e ilterrore che mi attanaglia, li troverei davvero spettacolari. Oltre i cancelli si scorge unponte e, ancora più in là, verso il mare, forte Patriota. Colpi di clacson, grida e risate siaggiungono al trambusto che ci circonda e sono costretta a guardarmi i piedi perriprendere fiato. La ladruncola che è in me è deliziata da tutta quella confusione, ma, peril resto, sono a dir poco terrorizzata e ho i nervi a fior di pelle. Mi sento un cavo elettricoambulante, che stenta a trattenere le proprie scintille.

«E dire che stasera non è nemmeno la notte della stella solitaria» mormora Cal consguardo distratto. «L’intera città va in visibilio per quella festa.»

Non ho la forza né il bisogno di rispondergli. La notte della stella solitaria è una festaargentea, organizzata in memoria di una battaglia navale che risale a decenni fa. Per menon significa nulla, ma mi basta osservare Cal e il suo sguardo assorto per capire che perlui è diverso. Ha assistito ai festeggiamenti tenuti in questa stessa città e li ricorda conaffetto. La musica, le risate, gli abiti di seta. Forse addirittura i fuochi d’artificiosull’acqua e un banchetto reale per concludere degnamente il tutto. I sorrisi diapprovazione del padre, le battute scambiate con Maven. Ha perso ogni cosa.

Ora sono io a essere assorta. Quella vita è andata, Cal. Non dovrebbe più renderti felice.«Non preoccuparti» aggiunge lui, e si rasserena. Scuote la testa e si sforza di

nascondere un sorriso triste. «Siamo quasi arrivati. Quello è il Centro di sicurezza.»L’edificio che indica si trova su un lato della piazza gremita di gente e le sue pareti

bianche risaltano in modo netto rispetto al groviglio del traffico sottostante. È unafortezza meravigliosa, con le finestre dai vetri spessi e una scalinata che conduce a unaterrazza circondata da colonne decorate a scaglie, come enormi code di pesce.Camminamenti sorvegliati da ronde di guardia formano una specie di ponte che collega

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le mura in vetrodiamante di Poggio Oceanico con il resto del complesso. Il tetto delCentro di sicurezza è blu, adornato da guglie appuntite anziché stelle. Si tratta dipinnacoli di ferro spietati, alti quasi due metri. Suppongo che siano stati messi lì per imagnetron, da usare in caso di attacco. Il resto dell’edificio è tutto così: ricoperto di armia disposizione degli argentei. Piante rampicanti e piene di spine si attorcigliano intornoalle colonne, per i crescifoglia, mentre per gli acquatici sono state predisposte un paio diampie pozze d’acqua ferma e scura. Come se non bastasse, ogni ingresso è piantonato daguardie armate con lunghi fucili spianati.

La cosa peggiore, però, sono gli stendardi, che sventolano nella brezza marina ependono da mura, torrioni e colonne. Su quei gonfaloni non è disegnata la lanciaargentata, emblema della Sicurezza, bensì la corona fiammeggiante, nera, bianca e rossa,con le punte che creano volute di fuoco. Quei vessilli rappresentano Norda, il regno,Maven e tutto ciò che stiamo cercando di distruggere. In più, in mezzo a quelli, sui propristendardi dorati c’è Maven. O meglio, la sua immagine. Con lo sguardo fisso, la coronadel padre sul capo e gli occhi spietati della madre, ha l’aspetto di un ragazzo giovane maforte, un principe all’altezza della situazione. LUNGA VITA AL RE c’è scritto sotto ogniriproduzione del suo viso, pallido e severo.

Nonostante i ragguardevoli sistemi di difesa e l’espressione inquietante di Maven, nonposso fare a meno di sorridere. Il Centro, infatti, è stracolmo di elettricità, la mia arma.Quell’energia è più potente di qualsiasi magnetron, crescifoglia o fucile. È dappertutto.Ed è mia. Se solo potessi usarla a mio piacimento. Se solo non dovessimo nasconderci.

Se. Odio questa insulsa parolina.Resta lì, sospesa nell’aria, così vicina che potrei quasi toccarla. Se non riuscissimo a

entrare? Se non trovassimo Ada e Wolliver? Se Shade non facesse ritorno? L’ultimo pensierobrucia più di tutto il resto. Malgrado la mia vista da falco, allenata a scrutare tra la folla,non riesco a scorgere mio fratello da nessuna parte. Dovrebbe essere facile individuareuno zoppo che si appoggia a una stampella, eppure proprio non lo vedo.

Un’ondata di panico acuisce i miei sensi e perdo un po’ dell’autocontrollo conquistatoa fatica. Mi mordo il labbro per evitare di ansimare. Dov’è?

«E ora che facciamo? Aspettiamo?» chiede Farley. Le trema la voce; anche lei ha paurae, come me, setaccia la fiumana di gente con lo sguardo, in cerca di mio fratello. «Temoche nemmeno voi due possiate intrufolarvi là dentro, senza l’aiuto di Shade.»

Cal sbuffa beffardo e non la degna neanche di un’occhiata, troppo indaffarato adanalizzare i sistemi di difesa del Centro. «Non avremmo il minimo problema aintrufolarci. Solo che potrebbe significare mandare in fumo l’intero edificio, e nonsarebbe l’approccio più discreto.»

«No, per niente» mormoro io, se non altro per distrarmi. Ma per quanto provi aconcentrarmi sui miei piedi o sulle mani esperte di Cal, continuo a essere preoccupataper Shade. Finora non avevo mai davvero dubitato che ci raggiungesse. È la creatura piùveloce che esista, in grado addirittura di teletrasportarsi; un gruppetto di teppistelli delporto non dovrebbe costituire una minaccia per uno come lui. È quello che mi sono dettaallo Spicciolo, quando l’ho lasciato lì. Quando l’ho abbandonato. Lui si è beccato unapallottola al mio posto, qualche giorno fa, e io in cambio l’ho dato in pasto ai Teschi di

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Mare, come un agnello tra i lupi.A Naercey, ho detto a Shade che non mi fidavo di lui. Suppongo che neanche lui

dovrebbe fidarsi di me.Infilo la mano dentro il cappuccio e mi massaggio il collo, nel tentativo di sciogliere i

muscoli contratti, ma non ne traggo alcun beneficio. Il motivo è che siamo lì a perderetempo davanti a un vero e proprio plotone d’esecuzione, come polli che aspettano diessere spennati. E mentre temo per la sorte di Shade, temo anche per la mia. Non possofarmi prendere. Non accadrà.

«L’ingresso sul retro» affermo convinta. Ogni casa ha una porta, ma ha anche dellefinestre, un buco sul tetto o una serratura difettosa. Insomma, c’è sempre un modo perentrare.

Cal aggrotta la fronte; per una volta, è smarrito. Non bisognerebbe mai mandare unsoldato a fare il lavoro del ladro. «Meglio aspettare Shade» ribatte. «Non si accorgerannonemmeno della sua presenza. Ancora un paio di minuti…»

«Ogni secondo che sprechiamo, mettiamo a repentaglio la vita dei novisangue. E poiShade non avrà il minimo problema a rintracciarci.» Mi incammino verso una stradinalaterale di via del Porto. Cal borbotta, ma mi viene dietro lo stesso. «Gli basterà seguire lacolonna di fumo.»

«Fumo?» impallidisce.«Un incendio controllato» proseguo, a mano a mano che elaboro il piano. I miei

pensieri corrono talmente veloci che quasi non faccio in tempo a trasformarli in parole.«Qualcosa di contenuto. Un muro di fuoco che li tenga a bada per un po’, finché nontroviamo i nomi che ci servono. Un paio di reclute acquatiche non dovrebbero dartitroppo filo da torcere, ma, se così fosse…» metto la mano a conca e lascio che unaminuscola scintilla mi percorra il palmo «… nel caso ci sono io. Farley, immagino che tusappia come funziona il sistema dei registri, non è vero?»

Lei non ci pensa un attimo e annuisce; una strana espressione orgogliosa le illumina ilviso. «Era ora» commenta. «Che senso ha trascinarvi in giro dappertutto, se non virendete utili?»

Cal si rabbuia e il suo sguardo torvo mi ricorda quello del suo defunto padre. «Sai cosacomporterà tutto questo, non è vero?» mi mette in guardia, come se fossi una specie diragazzina. «Maven capirà subito chi è stato. Scoprirà dove siamo. E cosa stiamo facendo.»

Mi volto di colpo verso Cal, seccata sia per il fatto di doverglielo spiegare, sia perchénon si fida a lasciarmi prendere alcuna decisione. «Abbiamo portato via Nix più di dodiciore fa. Prima o poi, qualcuno si accorgerà della sua scomparsa, se non è già successo.Verrà sporta una denuncia. Credi davvero che Maven non stia tenendo d’occhio ogninome sulla lista di Julian?» Scuoto la testa. Come ho fatto a non pensarci prima?«Scoprirà cosa stiamo tramando nell’attimo in cui verrà a sapere della sparizione di Nix.Quello che faremo qui non conta. Qualunque cosa accada, a partire da oggi, sarà una verae propria caccia all’uomo. Setacceranno la città per stanarci e daranno l’ordine diucciderci a vista. Quindi tanto vale anticipare i tempi.»

Lui non ribatte, il che però non significa che sia d’accordo. Ma non m’importa. Cal nonconosce questo lato del mondo, lo schifo e il fango in cui dovremo immergerci. Io invece

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sì.«È ora che la smettiamo di risparmiarci, Cal» aggiunge Farley.Anche stavolta, nessuna risposta. Il principe ha lo sguardo avvilito, quasi disgustato.

«È la mia gente, Mare» bisbiglia infine. Un’altra persona si sarebbe messa a strillare, maCal non è tipo da urli. I suoi sussurri, di solito, sono pieni di rabbia, ma stavolta avvertosoltanto la sua determinazione. «Non li ucciderò.»

«Ma sono argentei» gli faccio notare. «Non ucciderai degli argentei?»Scuote lentamente la testa. «Non posso.»«Eppure, poco fa, eri pronto a far fuori Crance su due piedi» insisto con un sibilo.

«Anche lui appartiene alla tua gente o comunque vi apparterrebbe, se tu fossi re. Maimmagino che il suo sangue sia del colore sbagliato, non è così?»

«Non…» farfuglia «… non è la stessa cosa. Se lui scappasse e venisse catturato,correremmo il rischio…»

Gli si bloccano le parole in gola e lascia la frase in sospeso. Perché non c’è più nienteche lui possa dire. È un ipocrita, punto e basta. Per quanto equo si professi, il suo sangueè argenteo, così come il suo cuore. E per lui nulla è più importante.

“Vattene” vorrei dirgli. Quella parola mi lascia l’amaro in bocca, ma non riesco a farlauscire. Benché la sua lealtà nei confronti degli argentei sia irritante almeno quanto i suoipregiudizi, non riesco a compiere quello che dovrei. Non posso lasciarlo andare. Lui hatorto marcio e io non riesco a lasciarlo andare.

«Allora non ucciderli» esclamo infine. «Ma ricordati che lui l’ha fatto. Ha ucciso la miagente… e anche la tua. Loro lo seguono, ormai, e ci uccideranno in nome del loro nuovore.»

Punto il dito verso la strada principale e indico gli stendardi che ritraggono il viso diMaven. Colui che ha sacrificato degli argentei per la Guardia Scarlatta, per trasformareribelli in terroristi e liberarsi in un colpo solo dei propri nemici. Colui che ha assassinatochiunque a corte mi conoscesse davvero: Lucas, lady Blonos e le mie domestiche, tuttimorti a causa della mia diversità. Maven, colui che ha aiutato a uccidere il padre e hacercato di giustiziare il fratello. Colui che deve essere annientato.

Una piccola parte di me teme che Cal se ne vada. Potrebbe dileguarsi nella città emettersi in cerca di quel poco di pace che ancora persiste nel suo cuore. Ma non lo farà.La sua rabbia, benché sepolta in profondità dentro di lui, è più forte della sua ragione.Avrà la propria vendetta, proprio come io avrò la mia. Anche se ci costerà tutto ciò cheabbiamo di più caro.

«Da questa parte.» La sua voce risuona forte: non c’è più tempo per i sussurri.Mentre svoltiamo l’angolo e ci dirigiamo sul retro del Centro di sicurezza, attivo i miei

sensi e mi concentro sulle telecamere di servizio che si susseguono lungo le mura. Mimetto in contatto sorridendo con i loro circuiti e le mando in tilt. Una dopo l’altra, cadonotutte come mosche, al mio comando.

L’ingresso secondario è riccamente ornato, incantevole quanto quello principale, maun po’ più piccolo: un ampio gradone, come una specie di veranda, un portone conun’inferriata d’acciaio ricurvo e soltanto quattro agenti armati, che stringono dei fucililucidati di tutto punto, ma sembrano un po’ impacciati. Nuove reclute. Osservo le fascette

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colorate che hanno sul braccio, da cui si deducono casati e abilità. Uno di loro non haalcuna fascetta: un argenteo di ceto inferiore, senza una grande famiglia alle spalle e conun’abilità meno potente rispetto agli altri. I suoi commilitoni sono un banshee del casatoMarinos, un’agghiacciante del casato Gliacon e un fortebraccio del casato Greco. Notocon estremo piacere che non ci sono fascette bianche e nere del casato Eagrie nei paraggi,il che significa niente lungimiranti in grado di prevedere l’immediato futuro e capirecosa stiamo per fare.

Gli agenti ci vedono arrivare, ma non si preoccupano di mettersi sull’attenti. I rossinon costituiscono certo una minaccia, non per degli argentei. Quanto si sbagliano.

Solo quando ci attardiamo davanti ai gradini dell’entrata secondaria, ci degnanofinalmente di un po’ di attenzione. Il banshee, poco più che un ragazzino, con gli occhiallungati e gli zigomi alti, ci sputa sui piedi.

«Non vi fermate, brutti rossi schifosi.» La sua voce è tagliente, come il filo di un rasoio.Naturalmente, non lo stiamo a sentire. «Vorrei presentare un reclamo» dichiaro con

voce forte e chiara, ma tengo lo sguardo fisso a terra. Avverto un’ondata di calore accantoa me e, con la coda dell’occhio, scorgo Cal che stringe i pugni.

Gli agenti scoppiano in una risata fragorosa e si scambiano sorrisi grotteschi. Ilbanshee fa addirittura qualche passo avanti e mi si piazza di fronte. «La Sicurezza non dàretta a quelli come te. Sbrigatela con la Vigilanza Rossa.» Riprendono tutti a sganasciarsi.La risata del banshee mi ferisce le orecchie, ancora sensibili. «Sono certo che muoianodalla voglia di incontrarvi…» prosegue, con un ghigno ripugnante «… nel GiardinoArido.»

Accanto a me, Farley stringe tra le mani il coltello che tiene nascosto sotto la giacca. Iola fulmino con lo sguardo, nella speranza di impedirle di accoltellare qualcuno prima deltempo.

Il portone d’acciaio si apre e dal Centro esce un altro agente, che borbotta qualcosa auno dei suoi colleghi lì fuori. Tendo l’orecchio e sento le parole “telecamera” e “rotta”.Ma il commilitone scrolla le spalle e si volta a guardare i vari dispositivi di sicurezza,disseminati lungo le mura sopra di noi. Non nota niente di sospetto. Del resto, comepotrebbe?

«Toglietevi di mezzo» continua il banshee e ci liquida con un gesto della mano, comese fossimo dei cani da scacciare. Quando vede che non ci muoviamo di un millimetro, siinsospettisce e stringe gli occhi in due fessure nere e sottili. «O volete che vi arresti perintrusione?»

Si aspetta che noi ce la diamo a gambe, dato che di questi tempi un arresto equivale auna condanna a morte. Ma noi restiamo fermi dove siamo. Se quel banshee non fossecosì stupido e crudele, proverei una certa pena per lui.

«Se vuoi puoi provarci» lo sfido e mi porto le mani sul cappuccio.Lascio cadere lo scialle, che svolazza a terra come un pipistrello grigio, prima di

accartocciarsi ai miei piedi. È un piacere alzare lo sguardo e scorgere l’espressione dipuro terrore che attraversa il volto del banshee, non appena mi riconosce.

Non ho un aspetto particolarmente memorabile: capelli castani, occhi marroni ecarnagione scura. Sono piena di lividi, ho le ossa a pezzi, mi sento piccola e affamata. Ho

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il sangue rosso e un carattere sanguigno. Non dovrei far paura a nessuno, eppure ilbanshee sembra davvero terrorizzato. Lui sa che tipo di potere cova sotto i miei lividi.Conosce la sparafulmini.

Incespica sui gradini e cade all’indietro, mentre continua ad aprire e chiudere la bocca,nel tentativo di radunare le forze per gridare.

«È… è lei» balbetta l’agghiacciante alle sue spalle, e mi punta contro un dito tremanteche si trasforma subito in ghiaccio. Non posso fare a meno di sorridere soddisfatta eraccolgo le scintille tra le mani. Il loro sibilo dirompente mi trasmette una sicurezzainaudita.

Cal ci mette il carico da novanta e con un gesto fluido e teatrale si sfila il travestimentoe si rivela per quello che è: il principe che gli agenti sono stati addestrati a seguire e poiobbligati a temere. Il bracciale di Cal emette un crepitio e una fiammata avvolge il suoscialle e lo trasforma in una bandiera infuocata.

«Il principe!» esclama sconvolto il fortebraccio. È in totale ammirazione e non sembraintenzionato a reagire. Del resto, fino a pochi giorni fa Cal era una leggenda per loro, noncerto un mostro.

Il banshee è il primo a riprendersi dallo shock e imbraccia il fucile. «Arrestateli!Arrestateli!» strilla, e noi ci abbassiamo all’istante per evitare l’onda d’urto sonica chemanda in frantumi le finestre alle nostre spalle.

Il boato stordisce gli agenti e rallenta i loro riflessi. Il fortebraccio non osa avvicinarsie si fruga addosso per estrarre una delle pistole infilate nelle varie fondine, cercandoinvano di non farsi sopraffare dalla scarica di adrenalina. L’agente che è rimasto sullasoglia del portone ha il buonsenso di rintanarsi all’interno del Centro di sicurezza. Deiquattro restanti ce ne sbarazziamo facilmente. Il banshee non ha modo di lanciare unaltro urlo, perché si becca subito una bella scarica elettrica. Il fulmine gli attraversa colloe petto, prima di penetrargli nel cervello. Per una frazione di secondo, riesco a percepirele sue vene e i nervi che si divaricano come rami nella carne. L’argenteo si accascia sulposto e piomba in un sonno buio e profondo.

Una ventata di freddo pungente mi attanaglia e quando mi volto di scatto, mi ritrovouna parete di stalattiti che sfrecciano verso di me, guidate dall’agghiacciante. Per fortuna,grazie alla vampata di fuoco scagliata da Cal, si sciolgono prima di trafiggermi. Lefiamme si abbattono sull’agghiacciante e sul fortebraccio, li circondano e li intrappolano,così che io possa portare a termine il lavoro. Un altro paio di scariche elettriche e i dueargentei perdono conoscenza e crollano al suolo. L’ultimo agente, quello non ancoraidentificato, tenta di scappare e si precipita verso il portone ancora aperto, come unanimale terrorizzato. Farley lo agguanta per il collo, ma lui se ne libera e la scaraventalontano. È un telecinetico, ma è piuttosto debole e ce lo scrolliamo di dosso in un batterd’occhio. Raggiunge ben presto i compagni stesi a terra e i suoi muscoli continuano acontrarsi per via delle scariche elettriche che gli ho scagliato contro. Do anche un’altrascossa al banshee, per punirlo della sua cattiveria. Il suo corpo si dimena sui gradinicome farebbe un pesce nelle reti di Kilorn.

Il tutto avviene nel giro di pochi secondi. Il portone è ancora aperto e si muovelentamente sui grossi cardini. Io lo blocco prima che si richiuda e infilo un braccio

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all’interno del Centro di sicurezza. In quell’ambiente fresco e ventilato avverto un flussodi energia proveniente dalle luci, dalle telecamere e dalle mie stesse dita. Con un unicorespiro profondo disattivo tutto, e la stanza che ci attende piomba nel buio più totale.

Cal scavalca con cautela i corpi inermi degli agenti, mentre Farley si sfoga e tira calci adestra e a manca. «Questo è per la Vigilanza» ringhia e spacca il naso al banshee. Cal laimmobilizza, prima che combini altri danni, sospira e le mette un braccio intorno allespalle, incitandola a salire i gradini e varcare la soglia. Lancio un’ultima occhiata al cielo,poi mi intrufolo nel Centro e mi richiudo il pesante portone d’acciaio alle spalle.

I corridoi scuri e le telecamere disattivate mi ricordano l’esperienza nella Casa del Sole,quando ci siamo introdotti nelle segrete del palazzo per salvare Farley e Kilorn da mortecerta. Allora, però, io ero quasi una principessa. Ero vestita di seta e avevo Julian acoprirmi le spalle e ammaliare ogni sentinella che incontravamo, piegandola al nostrovolere. Era stato un lavoro pulito, senza spargimenti di sangue, se non il mio. Nel Centrodi sicurezza le cose andranno diversamente. Posso solo sperare di ridurre al minimo lefatalità.

Cal sa bene dove andare e continua a guidarci, ma si limita a schivare gli agenti checercano di fermarci. È piuttosto aggraziato, per essere un bruto, e respinge a spallate icolpi di fortibraccia e lestopassi. Continua a non voler far loro del male e delega a mel’ingrato compito. Il fulmine ha lo stesso potere distruttivo del fuoco e ci lasciamo allespalle una scia di corpi inermi. Dico a me stessa che sono soltanto svenuti ma, nella foganella battaglia, non posso averne la certezza. Non riesco a controllare le scaricheelettriche con la stessa facilità con cui le genero ed è probabile che io abbia ucciso unpaio di agenti. Non m’interessa e non importa neanche a Farley, che continua adaffondare il suo coltellaccio nelle ombre in cui ci imbattiamo. Quando giungiamo adestinazione, la lama che stringe in mano è ormai intrisa di sangue argenteo. Troviamoad attenderci una porta piuttosto ordinaria.

Al suo interno, però, avverto qualcosa di straordinario: una macchina enorme cheemana energia elettrica.

«Ci siamo. La sala dei registri» annuncia Cal. Tiene lo sguardo fisso sulla porta,incapace di osservare la strage che abbiamo compiuto. Come promesso, inonda difiamme il corridoio intorno a noi e innalza un muro di fuoco per proteggerci, mentre cimettiamo all’opera.

Quando varchiamo la soglia della stanza, mi aspetto di rinvenire montagne di carta eliste stampate, come quella che Julian mi ha affidato. Invece, mi ritrovo a fissare unaparete di lucine lampeggianti, monitor e pannelli di controllo che pulsano indolenti,condizionati dalla mia interferenza con i loro circuiti. Senza pensarci troppo, poso unamano sul metallo freddo e cerco di calmarmi e tranquillizzare il respiro. La macchina deiregistri risponde a tono ed entra in funzione, con un sonoro ronzio. Un monitor prendevita e mostra una videata in bianco e nero abbastanza sfocata. All’improvviso compaionosullo schermo righe di testo che fanno sussultare me e Farley. Non abbiamo mai visto néimmaginato una cosa del genere.

«Incredibile» sussurra Farley e allunga una mano con fare incerto. Sfiora il monitor e

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segue la scritta con il dito, mentre legge lentamente. Grandi lettere compongono ladicitura CENS IMENTO E REGIS TRI. E sotto, scritti più in piccolo: “Regione Faro, Stato delReggente, Norda”.

«Non c’era una cosa simile, a Coraunt?» domando a Farley, e mi chiedo come abbiafatto a trovare l’indirizzo di Nix nel villaggio.

Scuote pigramente la testa. «A Coraunt c’è a malapena un ufficio postale, figuriamocise hanno un affare del genere.» Con un sorrisone, preme uno dei tanti pulsanti sotto loschermo luminoso. Poi ne schiaccia un altro e un altro ancora. Ogni volta, il monitor siillumina e compaiono domande sempre diverse. Lei ridacchia come una bambina econtinua a pigiare.

Poso la mano sulla sua. «Farley.»«Scusami» risponde. «Un aiutino, vostra altezza?»Cal non si allontana dalla porta e si guarda intorno, per controllare che non arrivino gli

agenti. «Il tasto “cerca”, quello blu.»Premo il pulsante prima di Farley. Lo schermo si rabbuia per un istante, poi si illumina

di blu. Compaiono tre opzioni, ciascuna all’interno di un riquadro bianco lampeggiante:CERCA PER NOME, CERCA PER LOCALITÀ, CERCA PER GRUPPO S ANGUIGNO. Schiaccio alla sveltail tasto S CEGLI e seleziono il primo riquadro.

«Digita il nome che cerchi, poi premi il tasto “continua”. Una volta trovato quello cheti serve, schiaccia il pulsante “stampa”, così esce la copia con tutti i dati» spiega Cal. Mauna sonora imprecazione attira il suo sguardo, quando un agente entra in contatto con labarriera infuocata e si ustiona. Si sente uno sparo e provo compassione per la stupidaguardia che prova a contrastare il fuoco con i proiettili. «Fate in fretta.»

Le mie dita aleggiano sulla tastiera con una lentezza frustrante, mentre cerco le letterenecessarie per comporre il nome “Ada Wallace”. Poi la macchina riprende a ronzarerumorosamente e lo schermo lampeggia tre volte, prima che compaia una pagina fitta ditesto. La scheda include addirittura una fotografia della donna, quella della sua cartad’identità. Resto incantata davanti all’immagine della novosangue e osservo la sua pelledorata e lo sguardo dolce. Mi sembra che abbia un’espressione triste, benché la foto siadavvero minuscola.

Si sente il boato di un altro sparo e sussulto. Mi concentro sul testo e scorro alla sveltale informazioni personali di Ada. Conosco già data e luogo di nascita, e anche lamutazione sanguigna che la rende una novosangue come me. Farley scruta le parole sulmonitor con il mio stesso trasporto. «Ecco qua.» Indico il passaggio che ci interessa;erano giorni che non mi sentivo così felice.

“Mestiere: domestica, assunta alle dipendenze del governatore Rem Rhambos.Indirizzo: piazza Lungacque, settore Canale, Baia del Porto”.

«So dov’è!» esclama Farley schiacciando con foga il pulsante S TAMPA. La macchinasputa fuori un foglio su cui sono riportate le informazioni tratte dalla scheda di Ada.

L’apparecchio continua a ronzare e trova il nome successivo ancora più in fretta.“Wolliver Galt. Mestiere: mercante, impiegato presso il birrificio Galt. Indirizzo: Giardinodella Battaglia e via dello Strino, settore Trepietre, Baia del Porto”. Almeno su questo,Crance non mentiva. Dovrò stringergli la mano, se mai lo rivedrò.

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«Avete fatto?» grida Cal dalla porta, e sento lo sforzo nella sua voce. È solo unaquestione di tempo, prima che gli acquatici accorrano e il suo muro di fiamme venga giù.

«Quasi» mormoro, e riprendo a battere sulla tastiera. «Scommetto che questoaggeggio non riguarda solo gli abitanti di Baia, non è così?» Cal non risponde, troppopreso a sostenere lo scudo di fuoco, ma io so di aver ragione. Con un sorriso a trentaduedenti, estraggo la lista di Julian e sfoglio le prime pagine. «Farley, avvia l’altro schermo.»

Lei scatta sull’attenti come un soldato e si mette a premere allegramente i pulsanti,finché anche il secondo monitor si accende con un ronzio. Continuiamo a passarci la listamentre digitiamo un nome dopo l’altro e intanto raccogliamo le stampe con leinformazioni. Troviamo tutti e dieci i novisangue della regione Faro: la ragazza dellabaraccopoli di Nuovofumo, una settantenne di Cancorda, due gemelli delle isole Bahrn ecosì via. I fogli si accumulano per terra e ciascuno dice più di quanto possa fare la lista diJulian. Dovrei essere euforica, al settimo cielo per questa svolta, eppure qualcosa frena ilmio entusiasmo. Così tanti nomi. Così tante persone da salvare. E noi siamo così lenti. Nonriusciremo mai a trovarli tutti in tempo, non in questo modo. Nonostante il jet, lamacchina dei registri e tutti i tunnel sotterranei che Farley conosce, qualcuno loperderemo. È inevitabile.

Poi quel pensiero si disintegra, proprio come il muro alle mie spalle, che esplode inuna nuvola di polvere. Tra le macerie depositate a terra, intravedo la sagoma frastagliatadi un uomo dalla pelle grigia e rocciosa, dura come una testa d’ariete. “Un pelleroccia” èl’unica cosa che riesco a pensare, prima che lui parta alla carica, afferrando Farley per lavita. Lei riesce lo stesso ad agguantare la sfilza di stampe e a strappare i preziosi foglidalla bocchetta della macchina, trascinandoseli dietro come una bandiera bianca.

«Arrendetevi!» ruggisce il pelleroccia, che appende Farley alla finestra più lontana. Leisbatte la testa contro lo spesso pannello di vetro e lo incrina, poi ribalta gli occhiall’indietro.

Un attimo dopo, il muro di fuoco è nella stanza insieme a noi e circonda Cal, che èentrato come un toro inferocito. Io sfilo i fogli dalla mano di Farley e li metto via, insiemealla lista, perché non finiscano carbonizzati. Cal si dà subito da fare e viene meno al suoproposito di non colpire alcun argenteo. Scaraventa il pelleroccia lontano da Farley, perpoi scacciarlo via con una fiammata e rispedirlo nel buco del muro da cui è apparso. Labarriera di fuoco si innalza di nuovo e impedisce all’agente di tornare alla carica. Per ilmomento.

«Ora avete fatto?» ringhia Cal; i suoi occhi sono tizzoni ardenti.Annuisco e volto lo sguardo verso la macchina dei registri, che emette un ronzio triste,

come se sapesse cosa sto per fare. Con il pugno stretto, mando in sovraccarico i suoicircuiti e la travolgo con un’ondata di energia distruttiva. Ogni monitor e ogni trattinolampeggiante esplode in una cascata di scintille, che spazza via proprio quello per cuisiamo venuti. «Fatto.»

Farley si allontana barcollando dalla finestra, con una mano alla tempia e il labbroinsanguinato, ma si regge ancora in piedi, implacabile. «Credo che sia giunto il momentodi squagliarsela.»

Mi basta lanciare un’occhiata alla finestra, la via di fuga più ovvia, per capire che siamo

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troppo in alto per buttarci. Eppure, le grida e i passi concitati provenienti dal corridoiosono presagio di un destino altrettanto funesto. «Già, ma dove?»

Cal fa una smorfia e allunga la mano verso il pavimento di legno lucido.«Giù.»Una palla di fuoco esplode ai nostri piedi e penetra nel parquet, carbonizzando gli

intricati motivi ornamentali e intaccando le solide travi sottostanti, come un cane cherosicchia la carne. Nel giro di pochi secondi, il pavimento si incrina, cede sotto il nostropeso e noi precipitiamo nella stanza inferiore, e poi in quella ancora più sotto. Le gambenon mi reggono, ma Cal mi tiene per il colletto e non mi fa incespicare. Poi mi trascinavia, senza mai mollare la presa su di me, e ci guida verso un’altra finestra.

Non c’è bisogno che mi dica cosa fare.Il fuoco e il fulmine insieme mandano in frantumi lo spesso pannello di vetro. Poi ci

buttiamo e sono convinta di saltare nel vuoto. Invece, atterriamo su uno deicamminamenti di pietra e rotoliamo sulla superficie dura. Farley ci segue con un balzo e,nello slancio, finisce dritta addosso a una guardia, cogliendola di sorpresa. Prima chel’agente possa reagire, lei lo scaraventa giù dal parapetto e un tonfo raccapricciante cilascia intuire che non si è trattato di una caduta piacevole.

«Continuate a correre!» ringhia Cal, mentre si tira su in piedi.Ci scapicolliamo lungo quella specie di ponte ad arco e dal Centro di sicurezza

raggiungiamo la residenza reale di Poggio Oceanico, più piccola rispetto alla reggia delBiancofuoco, ma altrettanto inquietante. E altrettanto nota a Cal.

In fondo al camminamento, vedo una porta che si apre e sento le grida di altreguardie, altri agenti. Un autentico plotone d’esecuzione. Invece di prepararsi acombattere, Cal si fionda contro la porta di metallo e la richiude con una spallata, per poisigillarla con le sue mani incandescenti.

Farley indietreggia e si guarda intorno atterrita; osserva il passaggio sbarrato e il pontealle nostre spalle. Sembra una trappola bella e buona, anzi peggio. «Cal…?» lo chiamaallarmata, ma lui la ignora.

Il principe mi tende la mano. I suoi occhi… non ho mai visto nulla di simile. Purofuoco e fiamme.

«Ora dovrò lanciarti» mi dice, senza preoccuparsi di indorare la pillola. Dietro di lui,qualcosa fa tremare la porta saldata.

Non c’è tempo per discutere né per fare domande. Mi gira la testa, sono in preda alpanico, ma lo afferro per il polso e lui stringe il mio. «Esplodi un colpo, quando arrivi.» Sifida del fatto che io abbia capito cosa intende.

Con un grugnito, mi lancia per aria e io mi libro nel vuoto, verso un’altra finestra dallasuperficie lucente. Spero che non sia vetrodiamante. Una frazione di secondo prima discoprirlo, le mie scintille obbediscono ai miei comandi e disintegrano il vetro in un boatodi schegge sfavillanti. Oltrepasso l’infisso e atterro su una moquette dorata e sontuosa.Intorno a me, noto scaffali di libri, nonché il familiare odore stantio del cuoio e dellacarta: sono finita nella vecchia biblioteca del palazzo. Un attimo dopo, anche Farley vienecatapultata attraverso la cornice della finestra. La mira di Cal è davvero impeccabile e leimi piomba dritta addosso.

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«Alzati, Mare!» sbotta subito e per poco non mi stacca un braccio per tirarmi su. Il suocervello lavora più velocemente del mio e lei si affaccia alla finestra prima di me, con lebraccia tese. Io la imito, frastornata, mentre tutto continua a girare.

In alto, sul ponte, gli agenti si riversano sul camminamento da entrambe le estremità,mentre al centro imperversa un rogo di fiamme: Cal. Lì per lì, mi sembra immobile, poiinvece capisco. Ha spiccato un balzo, viene verso di noi, si allunga, precipita.

Il fuoco del principe si estingue un secondo prima che lui vada a sbattere contro ilmuro… mancando per un soffio il davanzale della finestra.

«Cal!» grido, e per poco non volo giù anch’io.La sua mano sfiora la mia e ho un tuffo al cuore, all’idea di vederlo morire sotto i miei

occhi. Per fortuna, mi accorgo che è rimasto aggrappato a Farley, che lo tiene stretto perl’altro braccio. Lei emette un ruggito sovrumano e contrae i muscoli, mentre, non si sacome, riesce a reggere novanta chili di principe senza farlo cadere.

«Aiutami a tenerlo!» urla. Ha le nocche bianche per lo sforzo.Ma io scaglio una saetta verso l’alto, in direzione del ponte, contro gli agenti con le

pistole puntate sulla sagoma a penzoloni di Cal: un bersaglio fin troppo facile. Le guardiedesistono, mentre la pietra comincia a incrinarsi. Un altro colpo e il ponte crollerà.

Voglio farlo crollare.«MARE!» strilla Farley.Devo aiutarla, devo tirarlo su. Cal mi afferra la mano e per poco non mi si spezza il

polso per lo sforzo. Lo issiamo il più in fretta possibile e lo trasciniamo oltre il davanzale,dentro la stanza, nel silenzio disarmante di una sala piena di libri innocui.

Persino Cal sembra sconvolto dalle nostre peripezie. Resta disteso per un attimo, congli occhi sbarrati e il fiatone. «Grazie» sbuffa infine.

«Non ora!» sbraita Farley. Come ha già fatto con me, tira su anche lui. «Facci uscire diqui.»

«Sì.»Ma invece di dirigersi verso la porta riccamente ornata della biblioteca, attraversa di

corsa la stanza e si precipita accanto alla libreria a muro piena di volumi. Si guarda un po’intorno, in cerca di qualcosa. Si sforza di ricordare. Poi, con un sospiro, tira una spallatacontro uno scaffale che ruota di lato e lascia intravedere un passaggio stretto in discesa.

«Per di qua!» esclama mentre mi spinge dentro.I gradini sono scivolosi, consumati dal viavai di chissà quante persone nel corso dei

decenni. Ci addentriamo in una spirale che scende gradualmente verso il basso, avvoltida una luce fioca, offuscata dalla polvere. Le pareti sono di pietra antica, molto spessa, ese qualcuno ci stesse seguendo, di certo non lo sentirei arrivare. Cerco di capire dove citroviamo, ma la mia bussola interiore gira come una trottola impazzita. Non conoscoquesto posto e non so dove siamo diretti. Posso soltanto seguire.

Sembra che la scala a chiocciola termini in un vicolo cieco, ma prima che provi adaprirmi un varco nella parete con un fulmine, Cal mi tira indietro. «Vacci piano» mi dice,e posa la mano su una pietra un po’ più levigata delle altre. Con gesti lenti, appoggial’orecchio al muro e si mette in ascolto.

Io sento soltanto il battito del cuore che mi rimbomba nella testa e il nostro respiro

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affannoso. Cal sente qualcosa di più, o meglio, di meno. Cambia espressione di colpo eassume uno sguardo serio, che non riesco a interpretare. Benché abbia tutto il diritto diavere paura, non sembra spaventato. Anzi, semmai è fin troppo calmo. Sbatte le palpebreun paio di volte e si sforza di origliare al di là della parete. Mi chiedo quante altre voltel’abbia fatto, quante volte sia sgattaiolato fuori da questo palazzo.

Solo che, allora, gli agenti erano lì per proteggerlo, per servirlo. Mentre ora lo voglionouccidere.

«Statemi dietro» sussurra infine. «Due volte a destra, poi a sinistra, verso il cancellodel cortile.»

Farley digrigna i denti. «Il cortile?» domanda furiosa. «Vuoi davvero semplificare lavita ai tuoi amichetti, eh?»

«Il cortile è l’unica via d’uscita» ribatte. «I tunnel sotto Poggio Oceanico sonobloccati.»

Lei fa una smorfia contrariata e stringe il pugno. Le sue mani sono vuote, purtroppo:ha perso il coltello già da un pezzo. «Per caso c’è un’armeria nei paraggi?»

«Magari» sibila Cal. Poi mi lancia un’occhiata e mi osserva le dita. «Dovremoaccontentarci delle nostre abilità.»

Non posso fare altro che annuire. “Ne abbiamo affrontate di peggio” dico a me stessa.«Pronta?» sussurra il principe.Serro i denti. «Pronta.»La parete ruota senza intoppi su un asse centrale e rivela un altro passaggio. Ci

addentriamo tutti e tre con passo felpato. Proprio come nella biblioteca, anche in questoluogo non c’è nessuno; si tratta di un ambiente sontuosamente ammobiliato, conrifiniture sfarzose sulle tinte del giallo. Il tutto versa in evidente stato di abbandono eincuria, compresi gli arazzi dorati, ormai sbiaditi. Cal si attarda un istante a fissare icolori, poi ci mette subito fretta.

Andiamo due volte a destra. Prima ci infiliamo in un altro passaggio segreto e poidentro uno strano armadio a doppio fondo. Il principe emana vampate di calore, mentresi prepara alla tempesta di fuoco che dovrà scatenare. Io faccio altrettanto e l’elettricitàmi fa rizzare i peli sulle braccia e carica l’aria di un’energia scoppiettante.

Sento delle voci rimbombare dall’altro lato della porta alla quale ci stiamoavvicinando. Voci e rumori di passi.

«Subito a sinistra» mormora Cal. Fa per prendermi per mano, poi ci ripensa. Nonpossiamo correre il rischio di sfiorarci, non ora che il nostro tocco è mortale. «Scappate.»

Cal esce per primo e il mondo al di là della porta viene travolto da uno tsunami difuoco che si propaga nell’immenso salone, inonda il pavimento di marmo e i tappetipregiati e si inerpica sulle pareti dorate. Una lingua fiammeggiante lambisce un dipintoche sovrasta la sala. È un ritratto gigantesco, fatto di recente. Il nuovo re Maven, nelquadro, ha un ghigno compiaciuto, come quello di un gargoyle, ma quando il fuocoavvolge la tela e comincia a bruciarla, il calore diventa insopportabile e le sue labbradisegnate con cura cominciano a sciogliersi e a deformarsi in una smorfia mostruosa, chemeglio si addice al suo animo malvagio. L’unica cosa che rimane indenne alle fiammesono due stendardi dorati di seta sbiadita, appesi dalla parte opposta del salone. Non so

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proprio a chi appartengano.Gli agenti che ci aspettavano fuggono via gridando, ustionati, nella speranza di non

bruciare vivi. Cal si apre un varco tra le fiamme e traccia un percorso sicuro che possiamoseguire anche noi. Farley gli sta incollata dietro e si infila davanti a me, poi si copre labocca per cercare di non respirare troppo fumo.

Le guardie rimaste, acquatici e pelleroccia resistenti al fuoco, non riescono però aproteggersi da me. Stavolta, il fulmine che mi scaturisce dalle mani si allarga in unaspecie di ragnatela luminosa di pura energia. Mi concentro solo sul tenere Cal e Farley alriparo dalla tempesta elettrica, mentre tutti gli altri non hanno la loro stessa fortuna.

Sono abituata a questo genere di fughe, eppure mi bruciano i polmoni a ogni respiro.Immettere aria diventa sempre più difficile e doloroso. Dico a me stessa che è colpa delfumo, però quando varco l’ingresso principale di Poggio Oceanico, il dolore non svanisce.Cambia soltanto.

Siamo circondati.Schiere e schiere di agenti vestiti di nero e soldati dalle uniformi grigie bloccano

l’uscita del cortile. Tutti armati, tutti in attesa.«Arrenditi, Mare Barrow!» grida uno degli agenti. Ha un tralcio fiorito attorcigliato

intorno al braccio, mentre nell’altra mano stringe una pistola. «Arrenditi, TiberiasCalore!» Nel pronunciare il nome di Cal, l’uomo tentenna, restio a rivolgersi in manieracosì informale a un principe. In un’altra situazione, mi metterei a ridere.

Farley punta i piedi tra me e Cal. È disarmata, senza alcuno scudo, eppure si rifiuta diinginocchiarsi. La sua forza è sorprendente.

«E ora che facciamo?» sussurro, consapevole che non esista una risposta a quelladomanda.

Cal continua a guardarsi intorno, in cerca di una soluzione che non troverà mai. Allafine, posa gli occhi su di me. Ha lo sguardo così vuoto. Così solo.

Poi una mano mi afferra con delicatezza per il polso.Il mondo si fa buio intorno a me e, per un lungo istante, mi sento comprimere e

soffocare; sono schiacciata e in trappola.Shade.Detesto la sensazione del teletrasporto, ma in questo momento l’assaporo con gusto.

Mio fratello sta bene. E noi siamo vivi. Un attimo dopo, mi ritrovo in ginocchio a fissare ilselciato di un vicoletto freddo e umido, molto lontano dal Centro di sicurezza, da PoggioOceanico e dal raggio d’azione degli agenti.

Sento qualcuno che vomita, poco più in là… credo si tratti di Farley, a giudicare dalrumore. Immagino che teletrasportarsi dopo aver sbattuto la testa contro una lastra divetro non sia proprio l’ideale.

«Cal?» chiamo nell’aria fresca del pomeriggio che avanza. Un piccolo brivido di paurami attanaglia; è la punta di un iceberg che rischia di travolgermi, ma per fortuna lui mirisponde, lì vicino.

«Sono qui» dice, e si allunga per toccarmi la spalla.Invece di avvicinarmi a lui e lasciare che il suo calore mi consumi, mi ritraggo. Con un

lamento, mi alzo in piedi e Shade mi si para davanti. Ha lo sguardo torvo, sembra

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arrabbiato, e mi preparo a ricevere una bella strigliata. Non avrei dovuto abbandonarlo. Èstato ingiusto da parte mia fare una cosa del genere.

«S…» faccio per scusarmi, ma non riesco a finire la frase. Lui mi stritola in unabbraccio che mi toglie il respiro e io lo stringo con la stessa intensità. Sento che tremaun pochino, ancora preoccupato per la sua sorellina. «Sto bene.» Sussurro talmente pianoche solo lui può sentire la bugia.

«Non c’è tempo per queste cose» sbotta Farley, che si alza in piedi a fatica. Si guardaintorno, ancora un po’ scombussolata, ma capisce perfettamente dove siamo. «Il Giardinodella Battaglia è da quella parte, qualche strada più in là, verso est.»

Wolliver. «Giusto.» Annuisco e mi allungo verso di lei per sorreggerla. Non dobbiamoperdere di vista la nostra missione, nemmeno dopo una sconfitta del genere.

Tengo gli occhi puntati su Shade, nella speranza che capisca quello che provo. Luiscuote la testa e liquida così le mie scuse. Non perché non le accetti, ma perché è troppobuono per volerle ricevere.

«Facci strada» dice rivolto a Farley e si intenerisce un po’, di fronte alla cocciutadeterminazione della ragazza, che va avanti imperterrita, nonostante le ferite e ilvoltastomaco.

Cal ci mette un po’ a rialzarsi, non avvezzo al teletrasporto, ma si riprende il più infretta possibile e ci segue per le viuzze del settore della città noto come Trepietre. Haancora addosso l’odore del fumo e cova una rabbia profonda. Nel Centro di sicurezzasono morti degli argentei, uomini e donne che seguivano semplicemente degli ordini.Quelli che un tempo erano i suoi ordini. Mi rendo conto che non sia facile da digerire, madeve farlo. Se vuole restare con noi e con me, deve scegliere da che parte schierarsi.

Spero che scelga di stare dalla nostra. Spero di non dover mai più rivedere quellosguardo vuoto sul suo volto.

Ci troviamo in un settore rosso, una zona relativamente sicura, per il momento; in più,Farley continua a farci passare per vicoletti nascosti e, pur di non essere scoperti, ciinfiliamo persino in un paio di negozi deserti. Gli agenti di sicurezza gridano e sfreccianonelle vie principali, mentre tentano di riorganizzarsi e dare un senso a quanto appenasuccesso nel Centro. Non ci cercano da queste parti, non ancora. Non hanno chiaro cosasia Shade né quanto sia veloce o quanto lontano possa trasportarci.

Ci addossiamo contro una parete e aspettiamo che un agente ci superi, senza vederci.È distratto, come tutti gli altri, e Farley ci fa restare nascosti nell’ombra.

«Scusami» borbotto rivolta a Shade; sento il dovere di dirlo.Ancora una volta, lui scuote la testa e mi dà addirittura una spintina amichevole con la

stampella. «Basta con le scuse. Hai compiuto quello che dovevi. E poi guardami: stobenone. Non mi sono fatto niente.»

Non mi sono fatto niente. Non fisicamente, ma a livello emotivo e psicologico? L’hotradito, ho tradito mio fratello. Come qualcun altro che conosco. Per poco non sputo a terradalla rabbia, pur di scacciare il pensiero di avere qualcosa in comune con Maven.

«Dov’è Crance?» domando. Ho bisogno di concentrarmi su qualcos’altro.«L’ho messo in salvo dai Teschi di Mare, poi se n’è andato per la sua strada. È scappato

come se gli avessero dato fuoco.» Shade si fa serio al ricordo. «Ha seppellito tre Marinai

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nei tunnel. Non c’è più posto qui per lui.»Conosco la sensazione.«E tu come stai?» Mio fratello volta la testa di scatto e fa un gesto vago in direzione di

Poggio Oceanico. «Dopo tutto quello che è successo?»Dopo essere quasi morta. Di nuovo.«Ti ho detto che sto bene.»Shade increspa le labbra: non è soddisfatto. «D’accordo.»Sprofondiamo in un silenzio teso e aspettiamo che Farley riprenda a camminare. È

spalmata contro la parete del vicolo, ma riparte non appena ci sfila davanti una scolarescachiassosa. Ci spostiamo usando gli studenti come copertura per attraversare la stradaprincipale, poi ci intrufoliamo in un altro labirinto di stradine laterali.

Infine, chiniamo la testa per passare sotto un arco basso, o meglio: gli altri chinano latesta; io ci passo semplicemente sotto. Appena sbuco dall’altra parte, Shade si blocca dicolpo e allunga la mano per fermarmi.

«Mi dispiace, Mare» bisbiglia, e per poco le sue scuse non mi buttano di nuovo a terra.«Come sarebbe a dire “ti dispiace”?» domando; mi scappa quasi da ridere per

l’assurdità. «Ti dispiace per cosa?»Lui non risponde, in vistoso imbarazzo. Un brivido che non ha nulla a che vedere con

la temperatura esterna mi attanaglia, mentre Shade fa un passo indietro e mi permette diguardare quello che si cela oltre il passaggio a volta.

C’è una piazza, evidentemente destinata ai rossi. Il Giardino della Battaglia. È unluogo ordinario, ma tenuto piuttosto bene, con una vegetazione rigogliosa; tra le piante,ci sono diverse statue di pietra grigia che rappresentano dei guerrieri. Quella al centro èla figura più imponente, con un fucile a tracolla sulla schiena e un braccio scuro teso amezz’aria.

La mano della statua è rivolta a est.Dalla mano pende una corda.Alla corda è appeso un corpo.Il cadavere non è stato denudato e non indossa il medaglione della Vigilanza Rossa. È

un ragazzo giovane e basso, la sua pelle è ancora fresca. L’hanno giustiziato da poco,un’ora fa al massimo. Eppure, nei dintorni della piazza, non ci sono né parenti in lutto néguardie. Nessuno che lo osservi penzolare.

Nonostante i capelli biondicci gli ricadano sugli occhi e gli coprano buona parte delviso, so benissimo di chi si tratta. È il ragazzo che ho visto in una delle schede deiregistri, che sorrideva nella foto della sua carta d’identità. Ora non sorriderà mai più.Sapevo che sarebbe successo. Lo sapevo. Ma questo non allevia certo il dolore, o il senso difallimento.

È Wolliver Galt, un novosangue ridotto a un corpo senza vita.Piango per il ragazzo che non ho mai conosciuto, per il ragazzo che non ho fatto in

tempo a salvare.

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16

Cerco di dimenticare i volti dei defunti. Continuare a scappare per salvarsi la pelle èun’ottima fonte di distrazione, ma nemmeno la costante minaccia di morte puòcancellare tutto quanto. È impossibile scordare certe perdite. Walsh, Tristan e oraWolliver occupano gli angoli più reconditi della mia mente, come ragnatele grigie che sifissano in profondità. La mia esistenza ha decretato la loro condanna a morte.

Poi, naturalmente, ci sono coloro che ho ucciso con le mie stesse mani, per scelta. Manon piango la loro morte. Non posso pensare a quello che ho fatto, non ora. Ci sonoancora troppi pericoli in agguato.

Cal è il primo a voltare le spalle al corpo appeso di Wolliver. Lui ha già la sua schiera didefunti che lo perseguita e non vuole aggiungere un altro fantasma alla collezione.«Dobbiamo andarcene di qui.»

«No…» Farley si appoggia di peso alla parete e si preme una mano sulla bocca,ansimando in preda al ribrezzo, mentre cerca di non rimettere di nuovo.

«Su, coraggio» la conforta Shade posandole una mano sulla spalla. Lei prova ascrollarselo di dosso, ma lui non si muove di un millimetro e la osserva sputare sui fioridel giardino.

«Era giusto che lo vedeste» soggiunge, e lancia un’occhiata paternalistica a me e a Cal.«Questo è quello che succede quando commettiamo degli errori.»

La sua rabbia è giustificata. Dopotutto, abbiamo fatto scoppiare uno scontro a fuoconel cuore di Baia del Porto, e sprecato così l’ultima ora di vita di Wolliver, ma sono troppostanca per lasciarmi rimproverare.

«Non è il posto adatto per farci la predica» ribatto. Ci troviamo davanti a una tomba epersino parlare, qui, mi sembra sbagliato. «Dobbiamo tirarlo giù.»

Prima che io riesca a fare un passo verso la salma di Wolliver, Cal mi prende per unbraccio e mi trascina via. «Che nessuno tocchi quel corpo» ringhia. Resto scioccata daquanto la sua voce somigli a quella del padre.

«Quel corpo ha un nome» sbraito, non appena mi riprendo dallo shock. «Solo perché ilsuo sangue non è dello stesso colore del tuo, non significa che possiamo lasciarlo così!»

«Adesso lo tiro giù» borbotta Farley, che raddrizza la schiena.Shade la segue a ruota. «Ti aiuto.»«Fermi! Wolliver Galt aveva una famiglia, giusto?» insiste Cal. «Dove sono i suoi

parenti?» Con la mano libera, indica il giardino deserto e le finestre sprangate intorno anoi. Nonostante il chiasso distante della città, che continua a marciare verso l’imbrunire,la piazza è silenziosa e tranquilla. «La madre di certo non lo lascerebbe qui da solo…Possibile che nessuno pianga la sua morte? Non c’è neanche un agente che sputi sul suocadavere o un corvo che spolpi la sua carcassa… Perché?»

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Conosco la risposta.È una trappola.Stringo la presa sul braccio di Cal e gli conficco le unghie nella pelle, talmente rovente

che rischia di prendere fuoco. Un’espressione di terrore, molto simile alla mia, gliattraversa il viso, mentre scruta un vicolo scuro. Con la coda dell’occhio, intravedo lasagoma di una corona: quella che un folle ragazzino si ostina a indossare ovunque vada.

Poi sento uno strano ticchettio, come un insetto metallico che fa schioccare le tenaglie,pronto a divorare un pasto succulento.

«Shade» sussurro, e allungo l’altra mano verso mio fratello. Lui ha il dono delteletrasporto e ci salverà; ci porterà lontano da tutto questo.

Shade, infatti, non ha un attimo di esitazione e si fionda verso di me.Ma non fa in tempo a raggiungermi.Lo osservo sgomenta, mentre un paio di lestopassi lo afferrano per le braccia e lo

scaraventano a terra di schiena. Lui sbatte la testa contro la pietra e ribalta gli occhiall’indietro. Sento le grida indistinte di Farley, mentre i lestopassi lo trascinano via allavelocità della luce. I loro corpi sono una macchia confusa e, quando scaglio un fulminenella loro direzione e li costringo a voltarsi, sono già vicini al passaggio a volta. Unascarica di dolore mi trafigge il braccio. Avverto coltellate di calore bianco, eppure vedosolo le mie scintille, la mia stessa forza. Non dovrebbero farmi male. Il ticchettiocontinua e mi rimbomba nella testa, sempre più veloce. Io cerco di ignorarlo, dicombatterlo, ma mi si offusca la vista. Vedo delle macchie nere, che appaiono escompaiono a ogni schiocco. Cos’è questo rumore? Qualunque cosa sia, mi sta facendo apezzi.

In quello stato di stordimento, scorgo due fiammate che divampano intorno a me. Unaè intensa e luminosa, mentre l’altra è scura, un serpente di fumo e fuoco. Da qualcheparte, Cal ruggisce in preda al dolore. “Scappa” credo che mi dica. Di certo ci provo.

Mi ritrovo a strisciare sul selciato e riesco a malapena a vedere a un palmo di naso, mafaccio una gran fatica. Che cos’è? Che cos’è? Che mi succede?

Qualcuno mi afferra per un braccio, in una morsa pungente. Mi volto di scatto e miallungo verso il mio aggressore, dove immagino sia il suo collo, ma non vedo nulla.Sbatto le dita contro un’armatura riccamente intagliata e levigata. «L’ho presa» dice unavoce che riconosco. Ptolemus Samos. Scorgo a stento il suo viso. Occhi neri, capelliargentati e la carnagione del colore della luna.

Con un urlo, chiamo a raccolta tutta la forza che mi è rimasta e lo colpisco con unfulmine. Grido tanto quanto lui, che mi stritola il braccio, mentre una vampata di fuocomi brucia le viscere. Anzi, no, non è fuoco. So cosa si prova a essere bruciati e questa èuna sensazione diversa.

Mi arriva un calcio allo stomaco e mi lascio rotolare, ancora e poi ancora, finché non miritrovo a faccia in giù, per terra, nel giardino, con il viso graffiato e sanguinante. L’aromafresco dell’erba è un balsamo lenitivo che placa momentaneamente il dolore, quel tantoche basta per permettermi di tornare a vedere. Quando riapro gli occhi, però, vorreiessere di nuovo cieca.

Maven è rannicchiato davanti a me e mi osserva con la testa inclinata, come farebbe un

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cagnolino curioso con un giocattolo. Alle sue spalle infuria la battaglia, ma è una lottaimpari. Con Shade immobilizzato e me a terra, restano soltanto Cal e Farley. Lei ora hauna pistola, ma le serve a poco, dato che Ptolemus devia i proiettili a ogni piè sospinto.Cal, per lo meno, riesce a sciogliere qualsiasi cosa si avvicini, fonde coltelli e incendiatralci più in fretta che riesce. Ma non può durare a lungo. Ormai sono alle strette.

Per poco non mi metto a urlare. Siamo sfuggiti a una trappola solo per cadere inun’altra.

«Guardami, per favore.»Maven si sposta e mi blocca la visuale, ma non gli darò la soddisfazione di degnarlo di

un solo sguardo. Soprattutto per il mio bene. Piuttosto, mi concentro sul ticchettiocostante che nessun altro sembra sentire. Ogni secondo che passa è una pugnalata.

Maven mi afferra per il mento e mi strattona, costringendomi a stare faccia a faccia conlui. «Sei così testarda» commenta con disapprovazione. «Una delle tue qualità piùaffascinanti. Insieme a questa» soggiunge mentre mi passa un dito sulla guancia, sporcadi sangue rosso.

Tic.Stringe la presa sul mento e mi fa vedere le stelle dal male. Il ticchettio rende il dolore

ancora più intenso, più profondo. Con estrema riluttanza, incrocio i suoi occhi azzurrifamiliari e osservo il suo viso pallido, dai lineamenti severi. Noto con orrore che èproprio come lo ricordavo. Ha l’aria riservata e dimessa di un ragazzo tormentato. Non èil Maven dei miei ricordi angosciosi, il fantasma fatto di ombre e sangue. Ora è di nuovoreale. Riconosco la determinazione nel suo sguardo; è la stessa che ho visto sul pontedella nave di suo padre, mentre navigavamo lungo il fiume verso Archeon, lasciandoci ilmondo alle spalle. Allora mi aveva baciata e mi aveva promesso che nessuno mi avrebbefatto del male.

«Te l’ho detto che ti avrei trovata.»Tic.Sposta la mano dal mio mento alla gola e mi stringe quel tanto che basta per farmi

stare zitta, senza però impedirmi di respirare. Il suo tocco è rovente. Io boccheggio,incapace di incamerare abbastanza aria nei polmoni per urlare.

Maven, mi fai male. Smettila.Ma lui non è sua madre, non può leggere i miei pensieri. Mi si annebbia di nuovo la

vista. Vedo dei puntini neri davanti agli occhi, che si allargano e si contraggono a ogniterribile tic.

«E ho detto anche che ti avrei salvata.»Mi aspetto che serri la presa. Invece, la morsa rimane costante. Mi posa l’altra mano

sulla clavicola e sento il suo palmo ardente sulla pelle. Mi sta ustionando, marchiando afuoco. Riprovo a urlare, ma mi esce a malapena un mugolio.

«Sono un uomo di parola.» Inclina di nuovo la testa. «Quando voglio.»Tic. Tic. Tic.Il mio cuore cerca di stare al ritmo, batte all’impazzata e minaccia di esplodere; non

sopravvivrò.«Smettila…» riesco a bofonchiare con voce strozzata, mentre allungo una mano nel

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vuoto, in cerca di mio fratello. Ma è sempre Maven ad afferrarla e mi brucia anche quella.Ogni parte di me va a fuoco.

«Ora basta» mi pare di sentirlo dire, ma non è rivolto a me. «Basta, ho detto!»Sembra che gli sanguinino gli occhi, gli ultimi due punti luminosi in un mondo che si

va oscurando. Strisce azzurro pallido mi attraversano la vista e tracciano linee frastagliatetaglienti come il ghiaccio che mi circondano e mi intrappolano. Avverto soltanto ilbruciore.

È l’ultima cosa che ricordo, prima che un boato e un lampo di luce abbagliante mifracassino il cervello. Poi non resta altro che il dolore.

C’è troppo di tutto, eppure, stranamente, non c’è nulla. Né proiettili né coltelli népugni né fuoco né tralci verdi strangolanti. Si tratta di un’arma che non ho mai affrontatoprima d’ora… perché è la mia. Il fulmine, l’elettricità, le scintille, un sovraccarico dienergia che va persino oltre i miei limiti. Ho già invocato una tempesta giorni fa, nelCirco delle ossa, e mi ha sfinito. Ma questo, qualsiasi cosa Maven abbia fatto, mi stauccidendo. Mi dilania, nervo dopo nervo, mi frantuma le ossa e mi lacera i muscoli. Mista distruggendo dall’interno.

All’improvviso, me ne rendo conto. È questo che hanno provato quelli che ho ucciso? Èquesto che si prova a morire fulminati?

“Controllo” mi diceva sempre Julian. Controllalo. Ma è davvero troppo. Sono una digache tenta di contenere un oceano. Se anche potessi fermare questa cosa, non riuscireicomunque a trovare il modo di superare il dolore lancinante che mi pervade. Non possoallungare le braccia, non posso muovermi. Sono intrappolata all’interno del mio stessocorpo e grido tra me e me. Presto sarò morta. E almeno questo finirà. Eppure non succede. Ildolore si protrae in un’aggressione continua contro ciascun senso. Pulsa, ma nondecresce, cambia ma non cessa. Nel mio campo visivo appaiono macchie bianche, piùluminose del sole, poi un’esplosione di rosso le scaccia via. Io strizzo gli occhi e cerco difarla sparire, di controllare almeno qualcosa in me, ma mi sembra che non succeda nulla.E se anche fosse, non lo capirei.

La mia pelle ormai dev’essere andata, distrutta a furia di scariche elettriche. Forseavranno pietà di me e mi lasceranno morire dissanguata. Sarebbe comunque una mortepiù rapida di questo abisso bianco.

“Uccidetemi” continuo a ripetere tra me e me. È l’unica cosa che riesco a concepire,l’unica cosa che voglio, ormai. I vari pensieri, relativi ai novisangue, Maven, mio fratello,Cal e Kilorn, sono spariti del tutto. Persino i visi che mi perseguitavano, le facce deimorti, sono scomparse. È buffo: ora che sto per morire, i fantasmi decidono diabbandonarmi.

Vorrei che tornassero indietro.Vorrei non dover morire sola.

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17

«Uccidetemi.»Nel pronunciare quella parola, mi brucia la gola; dev’essere in fiamme, a furia di urla e

grida. Mi aspetto di sentire il sapore del sangue… anzi, non mi aspetto niente. Mi aspettodi essere morta.

A mano a mano che riacquisto sensibilità, però, mi rendo conto di non essere unammasso di carne viva e ossa. Non sanguino nemmeno. Sono tutta intera, benché lasensazione sia ben diversa. In un impeto di forza di volontà, mi costringo ad aprire gliocchi e, al posto di Maven e degli altri carnefici, mi ritrovo davanti occhi verdi e un voltofamiliare.

«Mare.»Kilorn non mi dà modo di riprendere fiato. Mi abbraccia e mi stringe forte al petto,

facendomi sprofondare di nuovo nel buio. Non posso fare a meno di irrigidirmi a quelcontatto, mentre rivivo il ricordo del fuoco e dei fulmini che mi attraversano le ossa.

«Va tutto bene» mormora. C’è qualcosa di molto rassicurante, nel modo in cui parla; lasua voce vibra profonda. Si rifiuta di lasciarmi andare, anche quando involontariamentelo respingo. Lui sa cosa voglio, anche se i miei nervi logori non lo riescono a sopportare.«È finita, stai bene. Sei tornata fra noi.»

Per un attimo, resto ferma immobile e nascondo le dita tra le pieghe della sua vecchiacamicia. Mi concentro su di lui per non pensare al mio tremore. «Tornata?» sussurro.«Dove siamo?»

«Lasciala respirare, Kilorn.»Mi sento prendere per il braccio. Solo Cal può avere una mano così calda. Mi tiene

stretta con cautela, quel tanto che basta per farmi concentrare sulla sua pressione, che miaiuta a scivolare fuori dall’incubo e tornare nel mondo reale, una volta per tutte. Miallontano lentamente da Kilorn, per vedere cosa mi aspetta di preciso al mio risveglio.

A giudicare dall’odore di terriccio umido, ci troviamo sottoterra; però non siamo inuno dei tunnel di Farley. Se il mio sesto senso per l’elettricità non m’inganna, siamolontani da Baia del Porto. A dire il vero, non avverto neanche un briciolo di corrente, ilche significa che dobbiamo essere ben distanti da qualunque città. Siamo al sicuro, in unrifugio scavato nel terreno e nascosto dalla foresta, secondo un progetto preciso. È statocostruito da rossi, non c’è ombra di dubbio. Con ogni probabilità è già stato usato dallaGuardia Scarlatta in passato e sembra tutto vagamente tendente al rosa. Le pareti e ilpavimento sono di terra battuta, mentre il tetto spiovente è fatto di zolle d’erbarinforzate da pali di metallo arrugginiti. Non ci sono decorazioni; anzi, non c’èpraticamente nulla all’interno. Vedo solo qualche sacco a pelo, incluso il mio, del ciboconfezionato, una lanterna spenta e un paio di casse di provviste provenienti dal jet. La

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mia casa a Palafitte era una reggia, in confronto a questo posto, ma non mi lamento. Tiroun sospiro di sollievo, felice di essere fuori pericolo e finalmente libera dal doloreaccecante.

Kilorn e Cal lasciano che mi guardi intorno, nella stanza spartana, e giunga alle mieconclusioni. Sono entrambi smunti dalla preoccupazione e nell’arco di quelle poche ore sisono trasformati in due vecchietti. Non posso fare a meno di fissare le loro occhiaieprofonde e le espressioni accigliate; mi domando cosa possa averli ridotti così. Poi miricordo. La luce che penetra di taglio dalle strette finestre è di un arancione acceso, quasirosso, e la temperatura si è abbassata. Si avvicina la notte. Il giorno è giunto al termine. Enoi abbiamo perso. Wolliver Galt è morto, un novosangue innocente, condotto al macelloda Maven. Così come Ada, a quanto ne so. Ho fallito con entrambi.

«Dov’è il jet?» domando; cerco di alzarmi in piedi, ma tutti e due si allungano perfermarmi e mi tengono giù, avvolta nel sacco a pelo. Sono estremamente delicati, come sepotessi rompermi al minimo urto.

Kilorn è quello che mi conosce meglio e nota subito il mio fastidio. Si accovaccia e milascia un po’ di spazio. Lancia un’occhiata a Cal e gli fa un cenno controvoglia, in modoche sia il principe a raccontare.

«Non potevamo volare a lungo con te a bordo in quello… stato» mi spiega e distoglielo sguardo dal mio viso. «Siamo riusciti a fare una cinquantina di chilometri, prima chemandassi il jet in tilt, come una lampadina sovraccarica. Per poco non l’hai fritto,quell’affare. Abbiamo dovuto scaglionare i voli e muoverci a piedi, nascondendoci nelbosco, finché non ti sei calmata.»

«Mi dispiace.» Non riesco a dire altro, ma lui liquida le mie scuse con un cenno dellamano.

«Hai riaperto gli occhi, Mare. Per me conta solo questo» mi rassicura Cal.Un’ondata di sfinimento minaccia di travolgermi e mi chiedo se combatterla o meno.

Poi Cal sposta la mano dal mio braccio e mi sfiora il collo. Sussulto per il gestoinaspettato e mi volto a guardarlo, con occhi sgranati e interrogativi, ma lui è concentratosulla mia pelle, su qualcosa che ho addosso. Segue con le dita strane linee frastagliate chepartono dal mio collo e si diramano verso la spina dorsale. Non è l’unico ad averle notate.

«Che roba è?» chiede Kilorn preoccupato. La regina Elara sarebbe fiera del suosguardo torvo.

Allungo la mano anch’io e tasto quegli strani segni. Sento delle righe in rilievo; le piùgrandi procedono a zigzag sulla nuca. «Non lo so.»

«Sembrano…» Cal ha un attimo di esitazione, mentre passa il dito su una sporgenzaparticolarmente evidente e mi fa venire i brividi. «Cicatrici, Mare. Cicatrici da fulmine.»

Mi allontano da lui in fretta e furia e mi costringo ad alzarmi in piedi, ma mi cedono legambe e Kilorn mi afferra al volo. Sono esterrefatta. «Vacci piano» mi rimprovera il mioamico mentre mi tiene stretta per i polsi.

«Cos’è successo a Baia del Porto? Cosa… cosa mi ha fatto Maven? È stato lui, non èvero?» Ho l’immagine della corona nera ancora impressa nella mente, come un marchio afuoco. Del resto, anche quelle cicatrici sono marchi a fuoco. Le sue impronte su di me. «Haucciso Wolliver e ci ha teso una trappola. E voi perché cavolo siete tutti rosa?»

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Kilorn si prende gioco della mia rabbia, come al solito. Ma la sua è una risata spenta,forzata, fatta più per il mio bene che per il suo. «È il tuo occhio» mi spiega, e mi sfiora laguancia sinistra. «Ti è scoppiato un capillare.»

Chiudo prima un occhio, poi l’altro, e mi rendo conto che ha ragione. Il mondo vistocon il sinistro è completamente diverso, tinto di rosso e rosa da venature di sangue. Ildolore provocato dalla tortura di Maven ha causato anche questo. Cal non si alza insiemea noi, anzi si distende e si appoggia all’indietro sulle mani. Suppongo che sappia che mitremano ancora le gambe e che ben presto mi ritroverò di nuovo a terra. Ha l’incredibilecapacità di intuire questo genere di cose, il che mi fa davvero imbestialire.

«Sì, Maven si è intrufolato a Baia del Porto» risponde serio e concentrato. «Non ne hafatto una questione di stato, in modo che noi non ce ne accorgessimo, e si è avventatocontro il primo novosangue che ha trovato.»

Mi scappa un gemito di dolore, al ricordo del ragazzo. Wolliver aveva soltanto diciottoanni e la sua unica colpa era quella di essere nato diverso, di essere come me.

“Cosa sarà stato?” mi chiedo mentre piango il soldato che abbiamo perso. “Quale saràstata la sua abilità?”

«Maven non ha dovuto fare altro che aspettare» prosegue Cal e contrae un muscolodella guancia. «Ci avrebbero catturati tutti quanti, se non fosse stato per Shade. Tuofratello ci ha salvati, nonostante la commozione cerebrale. Gli ci sono voluti un bel po’ disalti e in diversi casi ci è mancato davvero poco, ma ce l’ha fatta.»

Espiro lentamente, sollevata. «Farley sta bene?» domando. Cal annuisce. «E io sonoviva.»

Kilorn serra la presa. «Come sia possibile, non lo so.»Mi porto una mano sulla clavicola e avverto una fitta lancinante sotto la camicia.

Mentre gli altri incubi, ovvero le varie atrocità inflitte al mio corpo, sono ormai svaniti, ilmarchio di Maven è ancora fresco e reale.

«È stato doloroso quello che ti ha fatto?» chiede Cal, e Kilorn lo deride.«Nel caso l’avessi scordato, la sua prima parola, dopo quattro giorni, è stata

“uccidetemi”» sbotta lui, ma Cal non fa una piega. «Qualsiasi cosa le abbia fatto quellamacchina, è stato sicuramente doloroso.»

Il ticchettio. «Una macchina?» Impallidisco e alterno lo sguardo tra i due ragazzi,allibita. «Aspettate, quattro giorni? Sono rimasta incosciente per così tanto tempo?»

Ho dormito per quattro giorni. Non ho fatto nulla per quattro giorni. Un’ondata di panicomi schizza nelle vene come acqua ghiacciata e scaccia via tutti i ricordi del dolore subìto.Quanta gente sarà morta, mentre ero intrappolata nella mia testa? Quanta gente avrannoappeso agli alberi e alle statue, nel frattempo? «Vi prego, ditemi che non mi siete stati dietrotutto il tempo. Ditemi che avete fatto qualcosa, per favore.»

Kilorn scoppia a ridere. «Be’, mi pare che mantenerti in vita sia già qualcosa diparecchio importante.»

«Sì, ma voglio dire…»«So cosa vuoi dire» ribatte, e finalmente mette un po’ di distanza tra noi. Con quel

briciolo di dignità che mi resta, mi risiedo sul sacco a pelo e reprimo l’istinto dilamentarmi.

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«Comunque no, Mare, non siamo rimasti qui con le mani in mano.» Kilorn si volta, siappoggia alla parete in terra battuta e guarda fuori dalla finestra. «Anzi, devo dire che cistiamo dando un bel po’ da fare.»

«Continuano a cercare i novisangue.» La mia non è una domanda, ma Kilorn annuiscelo stesso. «Persino Nix?»

«Quel torello si è rivelato piuttosto utile» commenta Cal sfiorandosi l’ombra di unlivido sul mento. Ha sperimentato di persona la forza di Nix. «Ed è anche molto bravo aconvincere le persone. Come Ada, del resto.»

«Ada?» domando, sorpresa nel sentire il nome della novosangue che credevo morta.«Ada Wallace?»

Cal annuisce. «Dopo essere sfuggito ai Teschi di Mare, Crance l’ha fatta scappare daBaia del Porto. È corso subito a prenderla, nella villa del governatore, prima che Mavenassaltasse il palazzo. Quando siamo arrivati al jet, Crance e Ada erano lì ad aspettarci.»

Per quanto sia felice di saperla viva, non posso fare a meno di provare una punta dirabbia. «E ora l’avete gettata di nuovo in pasto ai lupi? Sia lei sia Nix?» Stringo il sacco apelo caldo e lanuginoso, in cerca di un po’ di conforto. «Nix è un pescatore, mentre Adafa la domestica. Come avete potuto esporli a un simile pericolo?»

Cal abbassa lo sguardo, imbarazzato per la sgridata, mentre Kilorn se la ride allafinestra. Il viso del mio amico è illuminato dalla luce calante del tramonto, immerso inun rosso profondo, come se fosse ricoperto di sangue. In realtà, è il mio occhio ferito agiocarmi brutti scherzi, eppure quell’immagine mi dà i brividi. A dirla tutta, però, la suarisata e il suo solito sminuire le mie paure sono la cosa che mi spaventa di più.

Persino in un momento del genere, Kilorn non prende nulla sul serio. A furia di ridere,si scaverà la fossa.

«Che c’è di tanto divertente?»«Ti ricordi l’anatroccolo che Gisa aveva portato a casa?» ribatte, e ci coglie tutti alla

sprovvista. «Era piccola, avrà avuto circa nove anni. Aveva sottratto il cucciolo alla madree cercava di fargli mangiare la zuppa…» Si interrompe per soffocare un’altra risatina. «Telo ricordi, non è vero?» Nonostante il sorriso, ha lo sguardo duro e insistente di chi vuolefarmi capire qualcosa.

«Kilorn» sospiro. «Non abbiamo tempo per queste cose.»Ma lui prosegue imperterrito, e intanto cammina avanti e indietro. «Qualche ora dopo

è arrivata la madre e si è messa a girare intorno alla palafitta, con gli altri anatroccoli alseguito. Facevano un gran baccano, con i loro qua-qua. Bree e Tramy hanno cercato discacciarli via, ricordi?» Me lo ricordo bene, proprio come lui. Guardavo dalla veranda imiei fratelli, che tiravano pietre alla mamma anatra. Ma il volatile non si dava per vinto econtinuava a chiamare il proprio piccolo. L’anatroccolo rispondeva al richiamo dellamadre e si dimenava tra le braccia di Gisa. «Alla fine, hai convinto tua sorella a restituirel’animaletto. “Non sei mica un’anatra” le hai spiegato. “Voi due non siete fatti per stareinsieme”. E così, hai riconsegnato l’anatroccolo a sua madre e hai guardato tutte quelleanatre scorrazzare via, in fila, verso il fiume.»

«Non ho ancora capito qual è il punto di tutta questa storia.»«Mi pare abbastanza chiaro, invece» mormora Cal con voce vibrante e profonda.

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Sembra quasi stupito dalle proprie parole.Kilorn getta un’occhiata al principe e gli rivolge un lieve cenno di gratitudine. «Nix e

Ada non sono degli anatroccoli e tu non sei certo la loro madre. Se la sanno cavarebenissimo da soli.» Poi mi lancia un sorrisetto birichino e riprende con le solite battute.«Tu, invece, non mi sembri messa tanto bene.»

«Ma non mi dire!» Provo ad abbozzargli un sorriso, ma c’è qualcosa che non va: misento tirare il viso e, di conseguenza, anche la pelle del collo. Le nuove cicatrici in quelpunto mi danno fastidio quando parlo e mi fanno un gran male, se le metto in tensione.Un’altra cosa che Maven mi ha portato via. Sarà felicissimo di sapere che non posso piùsorridere senza provare un dolore tremendo. «Farley e Shade sono con loro, almeno?»

I ragazzi annuiscono contemporaneamente e mi scappa quasi da ridere alla vista. Sonosempre stati come il giorno e la notte. Kilorn è magrolino, mentre Cal è robusto. Kilornha capelli fulvi e occhi verdi, mentre Cal è bruno e i suoi occhi sono tizzoni ardenti.Eppure lì, alla luce del tramonto, dietro il velo di sangue che mi offusca la vista,cominciano ad assomigliarsi.

«E anche Crance» aggiunge Cal.Strabuzzo gli occhi, perplessa. «Crance? È qui? Con noi?»«Non che avesse tanti altri posti dove andare» osserva Cal.«E voi… vi fidate di lui?»Kilorn si appoggia al muro e si infila le mani in tasca. «Ha salvato Ada e ha dato una

mano a portare qui anche altra gente, negli ultimi giorni. Perché non dovremmo fidarci?Solo perché è un ladro?»

Come me. Com’ero io. «Messaggio ricevuto.» A ogni modo, non posso dimenticarequanto mi sia già costata la fiducia mal riposta. «Non possiamo metterci la mano sulfuoco, però.»

«Questo vale per chiunque» sbuffa Kilorn infastidito. Striscia la scarpa per terra,vorrebbe aggiungere qualcos’altro, ma sa che non deve.

«Ora è fuori con Farley. Non è male come esploratore» aggiunge Cal a sostegno dellatesi di Kilorn. Sono sconvolta.

«Voi due siete d’accordo su qualcosa? In che razza di mondo mi sono svegliata?»Un sorriso sincero illumina i loro volti.«Non è poi così tremendo come lo dipingi» commenta Kilorn indicando il principe.Cal si mette a ridere. È una risata lieve, condizionata da tutto quello che è successo.

«Penso lo stesso di lui.»Do un colpetto a Cal, solo per assicurarmi che dica sul serio. «Non sto sognando, non

è vero?»«Per i miei colori, no!» mormora Cal, e il suo sorriso svanisce di nuovo. Si passa una

mano sul mento e si gratta la barba. È da quando eravamo ad Archeon che non si rade,dalla notte in cui ha guardato morire suo padre. «Non ci crederai, ma Ada è ancora piùutile di certi delinquenti.»

«Ci credo.» Mi balena nella mente una sfilza di abilità, una più potente dell’altra.«Cos’è in grado di fare?»

«Nulla che io non abbia già visto» confessa. Il bracciale che ha al polso emette delle

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scintille che ben presto si trasformano in una palla infuocata. La sfera fiammeggiantevolteggia per un attimo nella sua mano, senza però incendiargli la manica. Poi Cal lagetta svogliatamente nella piccola buca scavata al centro del pavimento. Il fuoco emanauna luce e un calore che rimpiazzano il sole ormai al tramonto. «È sveglia come non mai.Ricorda ogni parola di ogni libro che c’era nella biblioteca del governatore.»

E così svaniscono le mie speranze di avere un altro guerriero tra noi. «Davvero utile»ribatto sarcastica. «Le chiederò di raccontarci una storia.»

«Te l’ho detto che non avrebbe capito» commenta Kilorn.Cal insiste: «Ha una memoria impeccabile e un’intelligenza fuori dal comune. Ricorda

alla perfezione ogni istante di ogni giorno, ogni volto che vede, ogni parola che sente. Èin grado di memorizzare ogni rivista medica, libro di storia o cartina. E vale lo stesso perle lezioni pratiche».

Benché avrei preferito che fosse in grado di scatenare delle tempeste, posso capire ilvalore di una persona del genere. Se solo Julian fosse qui. Passerebbe giorno e notte astudiare Ada, cercherebbe di comprendere la sua strana abilità. «Lezioni pratiche? Segueuna specie di allenamento?»

Un lampo d’orgoglio attraversa lo sguardo di Cal. «Non sono un istruttore, ma stofacendo del mio meglio per insegnarle quello che so. Se la cava già piuttosto bene con learmi da fuoco e proprio stamattina ha finito di leggere il manuale di volo delfreccianera.»

Mi esce un suono strozzato per la sorpresa. «Sa pilotare il jet?»Cal scrolla le spalle e, con una smorfia soddisfatta, risponde: «Ha portato gli altri a

Cancorda e dovrebbero tornare presto. Ma fino ad allora, cerca di riposare».«Sono quattro giorni che riposo. Riposati tu» sbotto. Poi mi avvicino e lo scuoto per la

spalla con la poca forza che ho. Lui non fa una piega. «Sembrate due zombie.»«Qualcuno doveva pur accertarsi che continuassi a respirare» interviene Kilorn; il suo

tono è leggero e un’altra persona penserebbe a una battuta, ma io so che non è così.«Qualsiasi cosa Maven ti abbia fatto, non deve più succedere.»

Il ricordo di quel dolore bianco e rovente è ancora troppo fresco e non posso fare ameno di ritrarmi, al pensiero di subire un altro supplizio del genere. «Sono d’accordo.»

L’idea del nuovo potere che Maven ha per le mani ci fa riflettere tutti quanti. PersinoKilorn, che non sta mai fermo un attimo, in questo momento è immobile. Fissa fuoridalla finestra e osserva il manto della notte che avanza. «Cal, hai qualche proposta, nelcaso Mare s’imbatta di nuovo in quell’affare?»

«Se avete intenzione di farmi la ramanzina, sarà bene che prima beva un po’ d’acqua»intervengo, rendendomi conto all’improvviso di avere la gola secca. Kilorn si mettesubito in moto, desideroso di essermi d’aiuto. Così, resto sola con Cal e la temperaturaaumenta.

«Credo che fosse una specie di sonar. Modificato, naturalmente» riprende Cal. Torna aposare lo sguardo sul mio collo, sulle cicatrici lasciate dai fulmini che si protendonoverso la spina dorsale. Con una confidenza che mi sorprende, ripercorre quelle linee conil dito, come se celassero qualche indizio. La parte razionale di me vorrebbe allontanarlo,impedire al principe del fuoco di esaminare i miei marchi, ma lo sfinimento e il desiderio

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prevalgono su ogni altro pensiero. Il suo tocco mi dà sollievo, sia a livello fisico siaemotivo. È la prova che c’è qualcun altro insieme a me, che non sono più sola inquell’abisso.

«Qualche anno fa, nei laghi, ci siamo dilettati con i sonar. Inviavamo onde radio chegettavano nello scompiglio le navi dei lacustri e rendevano impossibile la comunicazionetra le varie imbarcazioni. Solo che valeva lo stesso anche per le nostre flotte e dovevamonavigare tutti alla cieca.» Segue con le dita un tratto di cicatrice sporgente che si diramaverso la mia scapola. «Suppongo che questo apparecchio generi onde elettriche ocomunque interferenze in grado di lasciarti senza poteri, di renderti cieca e di farrivoltare contro di te il tuo stesso fulmine.»

«L’hanno costruito talmente in fretta. Sono passati solo pochi giorni dallo scontro nelCirco delle ossa» bisbiglio. Qualsiasi rumore più forte di un sussurro potrebbeinfrangere la fragile quiete in cui ci troviamo.

La mano di Cal si ferma sulla mia pelle. «Maven trama alle tue spalle da molto primadel Circo delle ossa.»

Adesso lo so. L’ho imparato a mie spese. Qualcosa dentro di me si sgancia, si rompe e mifa piegare la schiena. Nascondo la faccia tra le mani. Qualsiasi muro io abbia innalzatoper tenere alla larga i ricordi, pian piano si sta sgretolando. Ma non posso lasciare che misotterri. Non posso permettere che gli errori commessi mi seppelliscano. Quando Cal miavvolge con il suo calore, mi stringe nel suo abbraccio e infila la testa nell’incavo del miocollo, mi abbandono a lui. Lascio che mi protegga, nonostante nella cella sull’isola diTuck ci fossimo giurati che non l’avremmo più permesso. Siamo soltanto una distrazionel’uno per l’altra, e le distrazioni possono rivelarsi fatali. Eppure, stringo le sue mani tra lemie e le nostre dita si intrecciano fino a diventare una cosa sola. Il fuoco sta perspegnersi, le fiamme sono ormai ridotte a braci. Ma Cal è ancora lì. Non mi lascerà mai.

«Cosa ti ha detto?» mi sussurra.Mi tiro un pochino indietro, così che lui possa vedere. Con mano tremante, scosto il

colletto della camicia e gli mostro l’opera di Maven. Cal sgrana gli occhi, appena scorge ilmarchio: una M frastagliata incisa a fuoco sulla mia pelle. Resta con lo sguardo fisso permolto tempo e temo che possa bruciarmi di nuovo con la sua rabbia.

«Ha detto di essere un uomo di parola» gli ripeto. Quella frase è sufficiente a farglidistogliere lo sguardo dalla mia cicatrice nuova di zecca. «Che mi avrebbe trovataovunque… e che mi avrebbe salvata.» Scoppio in una risata vuota. L’unica persona da cuiMaven dovrebbe salvarmi è se stesso.

Cal mi sistema con delicatezza il colletto della camicia e nasconde il marchio delfratello. «Questo lo sapevamo già. Però adesso abbiamo scoperto il vero motivo.»

«Cioè?»«Maven mente con la stessa facilità con cui respira e sua madre comanda le sue redini,

ma non il suo cuore.» Cal spalanca gli occhi e mi supplica di capire. «Non sta dando lacaccia ai novisangue per proteggere il suo trono, ma per ferire te. Per trovarti. Per fartitornare da lui.» Si stringe il pugno sulla coscia. «Maven ti vuole più di qualsiasi altra cosaal mondo.»

Se Maven fosse qui in questo momento, gli caverei quegli orribili occhi inquietanti.

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«Be’, non mi può avere.» Mi rendo conto di cosa questo comporti, e anche Cal lo capisce.«Nemmeno se ponesse fine al massacro dei novisangue?»Sento le lacrime bruciarmi gli occhi. «Non tornerò da lui per nessuno al mondo.»Mi aspetto che mi giudichi, e invece sorride e abbassa la testa, imbarazzato per la

propria reazione, così come lo sono io per la mia.«Ho temuto che ti avremmo persa.» Le sue parole sono scelte con cura, di proposito.

Mi chino in avanti e gli poso una mano sul pugno chiuso. Non ha bisogno di altroincoraggiamento per continuare. «Ho temuto che ti avrei persa. Non sai quante volte.»

«E invece eccomi qui» rispondo.Mi prende il collo tra le mani, come se non mi credesse. Quel gesto mi ricorda

vagamente la stretta di Maven, ma reprimo l’istinto di scansarmi. Non voglio che Cal sitiri indietro. È così tanto tempo che scappo, da prima che iniziasse tutto questo. Persino aPalafitte ero una fuggitiva. Correvo per sottrarmi alla mia famiglia, al destino e aqualsiasi emozione non volessi provare. E continuo a correre tuttora. Scappo da chi mivuole uccidere… e da chi mi vuole bene. Quanto vorrei che tutto questo finisse. Vorreirestare ferma senza dover morire né far morire qualcun altro. Ma non è possibile. Devoandare avanti, devo farmi del male per salvarmi e fare del male agli altri per salvarli. Faredel male a Kilorn, Cal, Shade, Farley, Nix e chiunque altro sia così stupido da seguirmi.Sto trasformando anche loro in fuggitivi.

«Allora lo affronteremo.» Cal avvicina le labbra, sempre più calde, a ogni parola. Serrala presa su di me, come se da un momento all’altro qualcuno potesse venire a prendermie portarmi via da lui. «È quello che ci siamo prefissati, perciò lo faremo. Costituiremo unesercito e lo uccideremo. Lui e sua madre.»

Uccidere un re non cambierà nulla. Qualcun altro prenderà il suo posto. Ma è pursempre un inizio. Se non possiamo sfuggire a Maven, dobbiamo fermarlo il primapossibile. Per i novisangue. Per Cal. Per me.

Sono un’arma in carne e ossa, una spada vivente. Sono nata per uccidere un re, perporre fine a un regno del terrore prima ancora che inizi. Il fuoco e il fulmine hannoaizzato Maven e il fuoco e il fulmine lo abbatteranno.

«Non gli permetterò di farti di nuovo del male.»Il suo respiro, così vicino, mi fa venire i brividi. Strano, visto che in realtà sono avvolta

da un calore pazzesco. «Ti credo» mento.Poiché sono una debole, mi getto tra le sue braccia. Poiché sono una debole, lo bacio,

in cerca di qualcosa che mi faccia smettere di scappare, che mi faccia dimenticare.Evidentemente, siamo entrambi due deboli.

Mentre mi accarezza, sento un dolore diverso. È più intenso di quello causato dallamacchina di Maven e arriva più in profondità. Fa male come un vuoto, come un pesonegativo. Sono una spada, frutto del fulmine, di questo fuoco… e di quello di Maven. Unomi ha già tradita e l’altro potrebbe lasciarmi da un momento all’altro. Ma non ho paurache mi spezzino il cuore. Non ho paura del dolore.

Mi aggrappo a Cal, Kilorn, Shade e al pensiero di salvare quanti più novisanguepossibile, perché mi spaventa di più l’idea di svegliarmi nel vuoto, in un luogo senzaamici né famiglia, in cui non sono altro che un fulmine isolato, nel buio di una tempesta

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solitaria.Se sono davvero una spada, sono fatta di vetro e sento che comincio a frantumarmi.

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18

Il problema, con il caldo, è che per quanto tu possa avere freddo, per quanto tu possaavere bisogno di calore, alla fine diventa sempre e comunque troppo. Ho il ricordo dimolti inverni trascorsi con la finestra spalancata per lasciare entrare il freddo violento ecombattere così il fuoco che bruciava nel camino, al piano di sotto. C’era qualcosa, inquell’aria pungente, che mi aiutava a dormire. Così come ora le boccate profonde dibrezza autunnale mi aiutano a calmarmi, a dimenticare che Cal è rimasto da solo alrifugio. “Non avrei dovuto farlo” penso, e mi premo una mano sulla pelle febbricitante.Non è soltanto una distrazione che non posso permettermi, è un dolore immenso che mista per travolgere. La sua lealtà è a dir poco vacillante. Un giorno se ne andrà, morirà o mitradirà, come hanno già fatto molti altri. Un giorno mi farà del male.

Il sole, intanto, è sparito all’orizzonte e dipinge il cielo con pennellate di rosso earancione scuro. Forse. Non mi fido granché dei colori che vedo. Non mi fido granchénemmeno di molto altro, a dire il vero.

Il rifugio è stato scavato sulla cima di una collina, nel bel mezzo di un’ampia raduracircondata da una foresta. Domina una vallata tortuosa ricoperta di alberi, laghi e unanebbia perenne e vorticante. Ci sono cresciuta, nei boschi, eppure questo posto lo sentoestraneo tanto quanto Archeon o la Casa del Sole. Fin dove arriva lo sguardo, non si vedeniente che sia stato fatto dall’uomo, non c’è nessuna eco lontana di villaggi di boscaioli odi paesini di agricoltori. Ma immagino ci sia una pista d’atterraggio nascosta da qualcheparte, visto che continuiamo a usare il jet. Dovremmo trovarci nell’entroterra di Norda, inuna zona più settentrionale e interna rispetto a Baia del Porto. Non conosco bene lo Statodel Reggente, ma mi pare che si tratti della regione dei Grandiboschi, dove regnanonatura selvaggia, profili dolci di montagne verdi e una zona di tundra ghiacciata che fa daconfine con le Terre dei Laghi. È una zona dove vive poca gente, governata in modotollerante dagli agghiaccianti del casato Gliacon, nonché un posto perfetto dovenascondersi.

«Hai finito con lui?»Kilorn è poco più di un’ombra, appoggiato al tronco di una quercia dai rami che

puntano verso il cielo. Ai suoi piedi c’è un bottiglione d’acqua abbandonato. Non hobisogno di guardarlo in faccia per capire che è arrabbiato. Mi basta ascoltarlo.

«Non essere scortese.» Sono abituata a dargli ordini, ma questo mi esce più come unarichiesta. E come mi aspettavo, lui la ignora e va avanti a brontolare.

«A quanto pare, tutte le dicerie hanno un fondo di verità. Persino quelle al veleno chemette in giro il piccolo Maven furibondo. “Mare Barrow ha sedotto il principe per poiindurlo a uccidere il padre”. È sconvolgente sapere che ha comunque detto una mezzaverità.» Poi muove un paio di passi felpati in avanti; sembra quasi un setoso del casato

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Iral, che avanza con movenze feline per assestare il colpo finale. «Perché è evidente che ilprincipe sia stato stregato.»

«Se continui a parlare, giuro che ti trasformo in una pila elettrica.»«Dovresti lavorare a qualche nuova minaccia» ribatte con un sorriso tagliente. Nel

corso degli anni, si è ormai abituato alle mie spacconate e non riesco più a spaventarlocon nulla, neanche con i fulmini. «È un uomo potente, sotto tutti i punti di vista. Nonfraintendermi, sono contento che tu lo tenga in pugno.»

Non mi trattengo e gli scoppio a ridere in faccia. «Contento? Tu sei geloso, punto ebasta. Non sei abituato a condividere niente. E non ti piace nemmeno sentirti inutile.»

Inutile. La parola lo ferisce, lo capisco da come contrae il muscolo del collo. Eppurequesto non gli impedisce di mettersi di fronte a me e bloccarmi con la sua altezza la vistadelle stelle che si affacciano nel cielo notturno sopra di noi.

«Ma la vera domanda è: sei caduta anche tu vittima di un incantesimo? Ti sta usandocome tu usi lui?»

«Io non uso proprio nessuno.» Bugia, e lo sappiamo entrambi. «E tu non sai neanchedi cosa stai parlando.»

«Hai ragione» mi risponde con tono calmo.Per poco non mi cedono le gambe per la sorpresa. In oltre dieci anni di amicizia, non

ho mai sentito quelle due parole uscire dalla bocca di Kilorn Warren. Ha la testa duracome un ceppo d’albero, è talmente sicuro di sé da mettersi da solo nei guai ed è un verobastardo per la maggior parte del tempo… eppure ora, qui, sulla cima di questa collina, ècome non è mai stato prima. Sembra piccolo e ingenuo, un barlume della mia vitapassata che tremola ostinato nel nulla. Stringo le mani tra loro per impedirmi diallungarle verso di lui, di toccarlo per capire se Kilorn esiste ancora.

«Non so cosa ti sia capitato quando eri Mareena. Non ero lì con te ad aiutarti in quelperiodo. Non ti dirò che capisco o che mi dispiace per te. Non è quello che ti serve.»

Ma è esattamente ciò che vorrei, almeno potrei arrabbiarmi con lui e non dovrei starelì a sentire tutto quello che sta per dirmi. Peccato che Kilorn mi conosca troppo bene.

«La cosa migliore che posso fare è dirti la verità o almeno ciò che penso sia la verità.»Malgrado abbia la voce ferma, le spalle si alzano e si abbassano seguendo il ritmo

profondo e pesante dei suoi respiri. Ha paura. «Poi starà a te credermi oppure no.»Contraggo le labbra in un tic, rivelando un sorriso doloroso. Sono ormai troppo

abituata a farmi manipolare e plagiare, spingere a pensare o a fare determinate coseproprio da chi mi è più vicino. Compreso Kilorn. Ma ora lui mi sta offrendo la libertà chevolevo da tanto tempo. Una possibilità di scelta, per quanto minima possa sembrare. Èconvinto che io sia in grado di decidere… io invece no.

«Ti ascolto.»Inizia a dire qualcos’altro, poi si ferma. Le parole gli si strozzano in gola, si rifiutano di

uscire. E per un attimo, quegli occhi verdi sembrano stranamente lucidi.«Che c’è, Kilorn?» sospiro.«Che c’è» mi fa eco lui, scuotendo la testa. Dopo un secondo infinito, sembra scattare

qualcosa dentro di lui. «So benissimo che non provi quello che provo io. Hai un’altraimmagine di noi.»

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Di colpo, ho una voglia matta di sbattere la testa contro una roccia. Noi. Mi sembrastupido parlarne, uno spreco insensato di tempo e di energia. Ma soprattutto è una cosaimbarazzante e mi mette a disagio. Le guance mi vanno a fuoco. Questa è unaconversazione che non avrei mai voluto affrontare con lui.

«E mi sta bene» prosegue, prima che riesca a fermarlo. «Non mi hai mai guardatocome ti guardo io, neanche quando eravamo a casa, prima che succedesse tutto questo.Ho sempre sperato che un giorno le cose cambiassero, ma…» Si stringe nelle spalle.«Amarmi non fa per te.»

Quando ero la Mare Barrow di Palafitte, la pensavo proprio così. Mi chiedevo cosasarebbe successo se fossi riuscita a sopravvivere alla leva militare, cosa mi avrebberiservato il futuro. Un bel matrimonio con l’amico pescatore dagli occhi verdi, dei figli daamare, un’umile palafitta in cui vivere. Mi sembrava un sogno, allora, una cosaimpossibile. Ed è tuttora così. Sarà sempre così. Non provo niente per Kilorn, non quelloche vorrebbe lui. E mai ci riuscirò.

«Kilorn» sussurro, e faccio un passo verso di lui. Ma lui ne fa due indietro. «Kilorn, seiil mio migliore amico, sei uno di famiglia.»

Il suo sorriso sanguina tristezza. «E lo sarò sempre, fino alla fine dei miei giorni.»Non ti merito, Kilorn Warren. «Scusami» mormoro con voce strozzata. Non so cos’altro

dire, non so nemmeno per cosa mi sto scusando.«Non puoi mica controllarlo, Mare» risponde lui, e resta così distante. «Non si può

scegliere chi amare. Vorrei tanto che si potesse, credimi, più di ogni altra cosa al mondo.»Sono a pezzi. La pelle mi va ancora a fuoco, mentre ripenso alla sensazione di poco fa,

all’abbraccio di Cal. Ma malgrado tutte le fibre del mio essere siano contrarie, nella partepiù profonda di me, volo con la mente oltre la radura, verso due occhi color ghiaccio, unapromessa vuota e un bacio a bordo di una barca.

«Sei libera di amarlo quanto vuoi, non te lo impedirò. Ma almeno, ti prego, nonlasciare che ti controlli. Fallo per me, per i tuoi genitori, per tutti noi.»

E penso di nuovo a Maven. Maven, però, è lontano, un’ombra sull’orlo affilato delmondo. Può provare a uccidermi, ma non può controllarmi, non più. Kilorn si riferisce disicuro all’altro fratello, il figlio decaduto del casato Calore. Cal. Il mio scudo controincubi e cicatrici. Ma lui è un guerriero, non un politico né un criminale. Non è in gradodi manipolare nessuno, tantomeno me. Non è nella sua natura.

«È un argenteo, Mare. Non sai di cosa sia capace né cosa voglia veramente.»Credo che non lo sappia neanche Cal. Il principe esiliato è ancora più allo sbando di me.

Non ha alleati né persone fidate intorno a sé, a parte una sparafulmini piuttostoimprevedibile. «Non è come lo dipingi tu» gli rispondo. «Al di là del colore del suosangue.»

Un ghigno beffardo gli attraversa il viso come una lama sottile e tagliente. «Non cicrederai davvero?»

«No, io non ci credo» gli rispondo triste. «Io lo so. E questo rende tutto ancora piùdifficile.»

Una volta pensavo che il sangue fosse in assoluto la cosa più importante al mondo, lalinea di demarcazione tra buio e luce, uno spartiacque indiscutibile, invalicabile. Rendeva

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gli argentei esseri potenti, freddi e brutali; inumani, in confronto ai miei fratelli rossi.Credevo che quelle creature non avessero nulla a che vedere con noi, incapaci com’eranodi provare dolore, rimorso o affetto. Ma gente come Cal, Julian e persino Lucas mi hannodimostrato quanto mi sbagliassi. Sono umani proprio come noi, pieni di paure esperanze come noi. Certo, non sono privi di colpe, ma questo neanche noi. Neanch’io.

Se solo fossero i mostri che Kilorn crede che siano. Se solo le cose fossero davvero così semplici.Di nascosto, nell’angolo più recondito del mio cuore, invidio Kilorn e la sua rabbia miopee ignorante. Vorrei pensarla anch’io come lui. Ma ho visto e sofferto fin troppo.

«Uccideremo Maven e sua madre» aggiungo con sicurezza glaciale. Uccidi il fantasma,uccidi l’ombra. «Morti loro, i novisangue saranno al sicuro.»

«Così Cal potrà reclamare il suo trono e riportare tutto com’era.»«Questo non succederà. Nessuno gli permetterà di tornare sul trono, né i rossi né gli

argentei. E ho come l’impressione che nemmeno lui lo voglia.»«Ma davvero?» Mi sale un odio istantaneo per quel sorrisetto malizioso che gli

increspa le labbra. «Di chi è stata allora l’idea? Di uccidere Maven, dico.» Di fronte allamia mancata risposta, il sorrisetto si fa più marcato. «Proprio come pensavo.»

«Grazie per la tua onestà, Kilorn.»Quella manifestazione di gratitudine coglie di sorpresa sia lui sia me. Siamo entrambi

cambiati, negli ultimi mesi, ormai molto diversi dai due ragazzini di Palafitte, pronti adazzuffarsi per qualunque inezia. Quelli erano due bambini, e ormai sono spariti persempre.

«Terrò di certo presente ciò che mi hai detto.» Le lezioni di etichetta non mi sono maistate più utili di adesso: mi danno modo di congedare Kilorn senza ferirlo, come unaprincipessa con un servitore.

Ma Kilorn non è uno che si fa liquidare tanto facilmente. Socchiude gli occhi, che sifanno due fessure verde scuro, in grado di vedere attraverso la mia maschera di cortesia.Sembra così disgustato che mi aspetto sputi per terra da un momento all’altro. «Ungiorno non molto lontano ti perderai.» Fa un respiro profondo. «E io non sarò lì al tuofianco a indicarti la strada.»

Volto le spalle al mio migliore amico. Per quanto possano essere sensate, quelle parolemi fanno male e non voglio ascoltarle. Il terreno duro scricchiola sotto il peso dei suoistivali, mentre lui se ne va con passo pesante, lasciandomi lì immobile a fissare il bosco.Sento in lontananza il rombo di un jet che ritorna da noi.

Restare sola è la cosa che più mi spaventa. E allora perché faccio così? Perché respingole persone a cui voglio più bene? Che cavolo c’è di sbagliato in me?

Non lo so.E non so come farlo sparire.

Mettere insieme un esercito è la parte più semplice. Le schede personali raccolte a Baiadel Porto ci guidano nella ricerca dei novisangue, in paesi e villaggi sparsi per la regioneFaro, da Cancorda a Taurus, fino ai porti quasi sommersi delle isole Bahrn. La lista diJulian ci permette di avanzare, di poter raggiungere ogni singola zona di Norda. Persinoa Delphie, la città più meridionale del regno, si arriva con poche ore di volo, grazie al jet.

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Ogni centro abitato, per quanto piccolo possa essere, ha la sua guarnigione di agentipronti a catturarci e consegnarci al re. Ma gli uomini della Sicurezza non sono in grado dicontrollare tutti gli obiettivi contemporaneamente, e Maven non è ancora abbastanzaforte, all’interno del suo regno, da riuscire a rapire centinaia di persone da un giornoall’altro. Noi colpiamo in modo imprevedibile, senza uno schema, e di solito li cogliamoalla sprovvista. A volte ci va bene, e non si accorgono nemmeno del nostro passaggio.Shade viene spesso a darci una mano, così come Ada e Nix. Lei è bravissima ad aggirarele mura della città… e lui ad attraversarle.

Ma poi passa tutto in mano mia. Sono sempre io ad avvicinare i novisangue, a spiegareloro cosa siano e che tipo di pericolo rappresentino per il re. Alla fine lascio a loro lascelta, ma di solito decidono tutti di restare in vita, cioè di venire con noi. Garantiamo unpassaggio sicuro alle loro famiglie, e quelli che sono rimasti da soli li inviamo alle basi eai rifugi gestiti dalla Guardia Scarlatta. “Al comando” come dice Farley, conquell’espressione che si fa sempre più criptica, ogni giorno che passa. Qualcuno vieneaddirittura mandato sull’isola di Tuck, a cercare la protezione del colonnello. Inovisangue lui li odia, ma Farley mi ha assicurato che non tradirebbe mai un rosso.

I novisangue che scoviamo sono per lo più terrorizzati, alcuni persino furiosi, mentrealtri, pochi, sono sorpresi (soprattutto i bambini). La maggior parte di loro non sa checosa sono. Alcuni invece sì, e sono già tormentati dalle mutazioni causate dal nostrosangue.

Nei sobborghi della città di Haven, incontriamo Luther Carver. È un bambino di ottoanni dai capelli folti e neri; è piuttosto basso per la sua età ed è figlio di un falegname. Lotroviamo nella bottega del padre, esonerato dalla scuola per poter imparare il mestiere.Ci vuole veramente poco a convincere il signor Carver a lasciarci entrare, benché continuia scrutare Cal e persino Nix con sospetto. Il bambino si rifiuta di guardarmi negli occhi enon fa che agitare nervosamente le minuscole dita. Trema quando gli parlo e continua achiamarmi “la sparafulmini”.

«Il tuo nome è sulla lista perché sei speciale, perché sei diverso» gli dico. «Hai capito acosa mi riferisco?»

Il ragazzino scuote la testa con veemenza e agita la frangetta. Ma il padre, da bravogenitore, resta in piedi alle sue spalle come un guardiano. E annuisce con fare lento esolenne.

«Va tutto bene, Luther. Non è una cosa di cui vergognarsi.» Mi allungo sul tavolo senzatoccare gli oggetti intricatissimi realizzati da Carver. Ma le dita di Luther sfuggono allamia presa e il ragazzino si porta le mani ai fianchi.

«Non è niente di personale» interviene il padre, che posa il palmo sulla spalla delfiglioletto per tranquillizzarlo. «Luther non è… non vuole farvi del male. È una cosa cheva e viene, ma sta peggiorando. Voi, però, siete in grado di aiutarlo, non è vero?» Quelpover’uomo sembra davvero afflitto, ha la voce rotta. Il mio cuore è tutto con lui e michiedo che farebbe mio padre in una situazione del genere. Circondato da persone ingrado di capire tuo figlio, di aiutarlo… ma che per farlo devono portartelo via. «Voi losapete perché è cosi?»

È una domanda che mi sono posta anch’io molte volte, una domanda che mi rivolgono

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quasi tutti i novisangue. Ma una risposta ancora non ce l’ho. «Mi dispiace, signore, manon lo so. Sappiamo soltanto che le nostre abilità sono il risultato di una mutazione,qualcosa nel nostro sangue che per ora non si riesce a spiegare.»

Penso a Julian e ai suoi libri, alle sue ricerche. Non ha mai avuto modo di parlarmi afondo della Divisione, di quel preciso momento, nel passato, in cui il sangue argenteo si èscisso dal sangue rosso. È riuscito solo a dirmi che è successo e che ha determinato ilmondo in cui viviamo. Suppongo che nel mio tipo di sangue si sia verificata una nuovaDivisione. Stava proprio conducendo delle ricerche su di me, quando è stato catturato.Cercava la risposta a questa precisa domanda, ma non ne ha avuto la possibilità.

Cal si sposta al mio fianco. Poi fa il giro del tavolo e mi aspetto di vedere la solitamaschera intimidatoria che non abbandona mai. Invece sorride gentile e per poco non glisi illuminano anche gli occhi. Si accovaccia di fronte a Luther e il bambino rimanepietrificato, sconvolto non solo dalla presenza di un principe, ma dal fatto che quelprincipe sia tutto concentrato su di lui.

«Vostra altezza» squittisce, e prova addirittura a fare un inchino. Alle sue spalle, ilpadre non è altrettanto accomodante e guarda Cal di traverso. I principi argentei nonsono certo tra i suoi ospiti preferiti.

Eppure, il sorriso di Cal si allarga ancora di più, mentre i suoi occhi rimangono fissisul bambino. «Chiamami pure Cal» dice porgendogli la mano. E di nuovo, Luther siritrae, ma Cal non sembra darci troppo peso. Anzi, scommetto che se l’aspettava.

Luther arrossisce, le sue guance si tingono di un rosso scuro e bellissimo. «Midispiace.»

«Non fa niente» gli risponde Cal. «Facevo sempre così anch’io, quand’ero piccolo.Forse ero un po’ più piccolo di te, ma poi ho avuto tanti e tanti maestri. Ne avevo bisognoanch’io, proprio come te» aggiunge e gli fa l’occhiolino. Malgrado la paura, il bimboaccenna un sorriso. «Ma tu hai soltanto tuo padre, dico bene?»

Il ragazzo deglutisce, il piccolo pomo d’Adamo sale e ridiscende. Poi Luther fa di sìcon la testa.

«Io ci provo…» interviene Carver, che torna a stringere la spalla del figlio.«La capiamo benissimo, signore» lo rassicuro. «Più di chiunque altro.»Luther dà un colpetto a Cal con la scarpa: la curiosità ha preso il sopravvento. «Che

cosa può fare paura a uno come te?»Davanti ai nostri occhi, Cal allunga le mani, che si trasformano di colpo in fiamme vive

e incandescenti. È uno spettacolo straordinario, un fuoco languido e danzante che brucialentamente. Giallo e rosso, pigro nei movimenti. Se non fosse per il calore, sembrerebbequasi più un’opera d’arte che un’arma. «All’inizio non sapevo come controllarlo»confessa Cal, mentre giocherella con le fiamme tra le dita. «Avevo paura di bruciare lealtre persone. Mio padre, i miei amici, mio…» Per poco non gli muore la frase in gola.«Mio fratello più piccolo. Ma poi ho imparato a fargli fare quello che volevo. Ho imparatoa evitare di ferire le persone che volevo proteggere. Puoi riuscirci anche tu, Luther.»

Il bambino lo guarda incantato; il padre, invece, non sembra altrettanto convinto. Manon è il primo genitore che ci troviamo davanti, e io sono preparata alla domanda che staper arrivare. «Quelli che voi chiamate novisangue… loro ci riescono? Riescono a… a

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controllare quello che sono?»Una ragnatela di scintille mi scaturisce dalle mani. Dei fulmini viola di luce perfetta

serpeggiano e poi spariscono nella mia pelle senza lasciar traccia. «Sì, signor Carver.»Con una velocità sorprendente, l’uomo recupera un vasetto da una mensola e lo porge

al figlio. Una pianta, forse una felce, spunta dalla terra che c’è dentro. Chiunque, al postodel bambino, sarebbe confuso, invece Luther sa benissimo cosa vuole il padre. «Forza,ragazzo mio» lo incoraggia il genitore con voce dolce e gentile. «Fa’ vedere a questisignori cosa bisogna sistemare.»

Prima che abbia modo di risentirmi per l’espressione usata, Luther ha già allungato lamanina tremante. Avvicina il dito a una foglia di felce e la sfiora con fare cauto ma sicuro.Non succede niente.

«È tutto okay, Luther» lo incoraggia il padre. «Puoi farglielo vedere.»Il bimbo ci riprova, aggrotta la fronte e si concentra al massimo. Stavolta prende la

pianta dallo stelo e la stringe nel piccolo pugno. A quel tocco, la felce si accartoccialentamente su se stessa, diventa nera, si accascia… e muore. Rimaniamo impietriti aquella vista, mentre il signor Carver afferra qualcos’altro da un ripiano alle proprie spallee lo appoggia sul grembo del figlio. Guanti di pelle.

«Prendetevi cura di lui» ci dice. Serra i denti per combattere la tempesta che gli si èscatenata nel cuore. «Dovete promettermelo.»

Come tutti i veri uomini, rimane impassibile, quando gli stringo la mano.«Le do la mia parola, signor Carver.»Solo una volta tornati al rifugio, che abbiamo iniziato a chiamare “la Tana”, mi

concedo un momento di solitudine. Per pensare, per raccontare a me stessa che la miabugia era credibile. Non posso davvero promettere che questo ragazzino, o chiunquealtro come lui, sopravviva a quello che ci aspetta. Ma, ovviamente, me lo auguro e farò ditutto perché sia così.

Nonostante la tremenda abilità del bambino sia la morte stessa.

Le famiglie dei novisangue non sono le uniche a fuggire. Le condizioni di vita, dopol’entrata in vigore dei provvedimenti, sono le peggiori di sempre e questo ha spinto moltirossi a scappare nelle foreste o verso il confine, in cerca di un posto dove non sianocostretti a morire di lavoro o impiccati per non aver rigato dritto. Alcuni sono arrivati apochi chilometri dal nostro nascondiglio, nel loro cammino verso nord, verso un confinegià imbiancato da un manto di neve autunnale. Kilorn e Farley vorrebbero aiutarli, dareloro cibo o medicine; io e Cal, però, non abbiamo acconsentito. Nessuno deve sapere dinoi, e questo vale anche per i rossi in fuga, purtroppo. Continueranno a marciare versonord, fino a raggiungere la frontiera con le Terre dei Laghi. Alcuni di loro verrannocostretti ad arruolarsi nelle legioni che difendono il confine. Altri saranno così fortunatida riuscire a passare dall’altra parte, per poi morire di fame e di freddo nella tundra,invece che per colpa di un proiettile beccato in trincea.

I giorni si susseguono monotoni. Reclutamento, addestramento, e via daccapo. L’unicacosa che cambia è il tempo, perché l’inverno è ormai alle porte. Adesso, quando mi alzoal mattino, ben prima dell’alba, il terreno è ricoperto da uno spesso strato di brina. Cal

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deve occuparsi di riscaldare il jet, e liberare ruote e ingranaggi dal ghiaccio che liimprigiona. Viene spesso con noi e ci porta con il jet dal novosangue prescelto. Altrevolte, invece, preferisce rimanere a insegnare, piuttosto che mettersi in volo. In quei casi,lo sostituisce Ada, che come pilota è brava quanto lui, avendo imparato tutto alla velocitàdella luce e con la massima precisione. Inoltre, la sua conoscenza di Norda è sbalorditivae spazia dai sistemi di drenaggio alle rotte di approvvigionamento. Davvero non micapacito di come riesca il suo cervello a trattenere così tante informazioni e avere semprespazio per qualcosa di nuovo. È un vero portento, proprio come tutti gli altri novisangueche incontriamo.

Ciascuno di loro è diverso, con strane abilità che vanno ben oltre quelle note dei variargentei o qualsiasi altra cosa io possa immaginare. Luther porta avanti i suoi cautitentativi di controllare la propria abilità e fa avvizzire qualunque cosa gli passi per lemani, dai fiori agli alberelli. Cal è convinto che il ragazzino possa usare quel potere percurarsi, ma dobbiamo ancora appurarlo. C’è un’altra novosangue, una donna anziana chesi fa chiamare Nonna, e sembra essere in grado di cambiare il proprio aspetto fisico. Ciha fatto prendere un coccolone, quando ha deciso di aggirarsi per il campo con lesembianze della regina Elara. Malgrado l’età, spero di poterla impiegare presto nelleoperazioni di reclutamento. Dà il meglio di sé durante gli addestramenti con Cal, e ha giàimparato a sparare e usare il coltello come tutti gli altri. Benché nascosto nel cuore dellaregione dei Grandiboschi, il nostro sarebbe senz’altro un campo piuttosto rumoroso e dicerto attirerebbe l’attenzione, se non fosse per una donna di nome Farrah: è stata laprima recluta, dopo Nix e Ada, ed è in grado di manipolare nientemeno che il suono.Riesce ad assorbire le deflagrazioni devastanti dei colpi d’arma da fuoco, soffocando ilrumore di ogni raffica di proiettili, in modo che nella vallata non risuoni neanche un’ecolontana.

Mentre i novisangue lavorano sulle proprie abilità e cercano di imparare a controllarle,così come ho fatto io con la mia, in me sento nascere la speranza. Cal è un insegnanteeccellente, soprattutto con i bambini. Loro non hanno gli stessi pregiudizi delle reclutepiù grandi e lo seguono per il campo anche dopo che le lezioni sono finite, il che facilital’accettazione della presenza del principe esiliato anche da parte dei novisangue anziani.È difficile odiarlo, vedendolo circondato da una miriade di bambini che gli corronointorno e lo supplicano di cominciare un’altra lezione. Persino Nix ha smesso di tenerlosempre d’occhio, benché si rifiuti di rivolgergli più di un grugnito di sdegno.

Io non sono brava a insegnare come l’esiliato e arrivo addirittura a temere le sessionidel mattino o del tardo pomeriggio. Mi dico che è tutta colpa della stanchezza. Passometà delle mie giornate a fare reclutamento, in viaggio alla ricerca del prossimo nomesulla lista, ma non è questo il problema. È che non sono una buona istruttrice.

Lavoro spesso a stretto contatto con Ketha, che ha un’abilità più fisica e simile allamia.

Lei non può generare elettricità o altri elementi del genere, ma è in grado didistruggere. Alla pari degli azzeratori, può far esplodere un oggetto e ridurlo a una nubetonante di fumo e fiamme. Mentre gli argentei ci riescono solo con le cose che toccano,però, Ketha non è soggetta a questa limitazione.

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Lei attende paziente e adocchia il sasso che ho in mano. Faccio del mio meglio per nonsottrarmi al suo sguardo esplosivo, pur sapendo fin troppo bene di cosa è capace. Nellasettimana che è trascorsa da quando l’abbiamo trovata, è passata dal disintegrare pezzi dicarta, foglie e rametti, al far saltare in aria le rocce. Come per tutti gli altri novisangue,infatti, le è bastata la possibilità di esprimere la sua vera natura e l’abilità ha reagito diconseguenza, come un animale liberato dalla gabbia.

Quando Ketha si allena, le girano tutti alla larga, relegandoci nell’angolo più remotodella radura intorno alla Tana. Ma io non posso certo lasciarla sola. «Controllalo» laincito, e lei annuisce.

Vorrei poterle offrire qualcosa di più, e invece sono una guida piuttosto mediocre. Iostessa ho alle spalle appena un mese di addestramento, per la maggior parte fornito daJulian, che non era nemmeno un vero e proprio istruttore. Tra l’altro, padroneggiare leproprie abilità mi sembra una faccenda estremamente personale e a volte faccio una granfatica a spiegare a Ketha cosa voglio dire.

«Controllalo» ripete a se stessa.Stringe gli occhi e si concentra ancora di più. Che strano. Le sue iridi color fango

passano quasi inosservate, malgrado la potenza che contengono. Proprio come me, ancheKetha viene da un piccolo villaggio in riva al fiume e potrebbe sembrare mia zia o unasorella molto più grande di me. La pelle abbronzata e le punte grigie dei capellitradiscono le sue origini umili e ingiuste. Nella sua scheda c’è scritto che era unamaestra.

Mentre scaglio il sasso verso il cielo e cerco di mandarlo il più lontano possibile, mitornano in mente l’istruttore Arven e i suoi allenamenti. Lui ci faceva colpire i bersaglicon l’aiuto delle nostre abilità, per farci affinare la mira e la concentrazione. Nel Circodelle ossa, invece, ero diventata io il suo bersaglio. Allora per poco non mi ha uccisa, eadesso eccomi qui, a copiare i suoi metodi di insegnamento. Non mi sento molto a mioagio, ma riconosco che il suo era un sistema efficace.

Il sasso si polverizza, come se una bomba fosse esplosa al suo interno. Ketha applaudesoddisfatta e mi sforzo di fare lo stesso. Mi chiedo se sarà ancora così contenta, quandodovrà testare le proprie abilità su un essere vivente, invece che su una roccia. Basterebbechiedere a Kilorn di procurarci un leprotto per scoprirlo.

Ma ogni giorno che passa, lui si fa sempre più distante. Si è assunto l’incarico disfamare l’intero campo, per cui passa la maggior parte del tempo a caccia o a pesca. Senon fossi tanto presa dai miei impegni, tra reclutamenti e addestramenti vari, andrei adirgli di piantarla. E invece trovo a malapena il tempo per dormire, figuriamoci se possomettermi a corrergli dietro per ricondurlo all’ovile.

Quando cade la prima neve, il campo è abitato da una ventina di novisangue, chespaziano da vecchie signore a bimbetti iperattivi. Per fortuna, il rifugio è più grande diquanto pensassi all’inizio, e si addentra nella collina, in un labirinto di vani e tunnel.Alcuni hanno strette finestre, ma per lo più sono al buio completo e così, oltre arecuperare i novisangue, ci ritroviamo a dover sgraffignare anche delle lanterne, in ogniposto in cui andiamo. Quando nevica, la Tana ci ospita comodamente tutti e ventisei e

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resta addirittura dello spazio. Di cibo ce n’è in abbondanza grazie a Kilorn e a Farrah, chelo rende un cacciatore silenzioso e letale. Con ogni nuova ondata di reclute, arrivanoanche le provviste, che vanno dai vestiti invernali, ai fiammiferi, fino addirittura a un po’di sale. Farley e Crance usano i loro agganci criminali per procurarci quello che ci serve,ma a volte ci affidiamo ancora alla buona vecchia abitudine del furto. Nel giro di unmese, siamo ormai una macchina oliata e ben nascosta.

Maven non ci ha ancora scovati e noi lo teniamo d’occhio meglio che possiamo. Imanifesti e i giornali ci danno una grande mano. “Il re in visita a Delphie”, “Re Maven elady Evangeline incontrano i soldati di forte Lencasser”, “Il tour dell’incoronazioneprosegue per i territori dello Stato del re”. I titoli ci segnalano la sua posizione e noisappiamo benissimo cosa vogliono dire in realtà. Novisangue morti a Delphie, aLencasser e in ogni altro posto in cui si ferma. Il cosiddetto tour dell’incoronazione altronon è che un sudario di segretezza steso su una sfilza di esecuzioni.

Malgrado le nostre abilità e i trucchetti che conosciamo, non siamo abbastanza velociper salvarli tutti. Per ogni novosangue che scoviamo e conduciamo al campo, ce ne sonoaltri due che penzolano da una forca, vengono dichiarati “scomparsi” o grondano sanguechissà dove, in mezzo al fango. Alcuni cadaveri portano addosso i segni inconfondibilidella morte per mano di un magnetron, causata da una lama che li ha trafitti o da unafune di ferro che li ha strangolati. Opera di Ptolemus, non c’è ombra di dubbio, mapotrebbe esserci anche lo zampino di Evangeline, pronta a beneficiare della fama del re.Presto sarà regina e farà di tutto per tenersi stretto Maven. Un tempo, un pensiero delgenere mi avrebbe mandato su tutte le furie, ma ora non provo che pena per la ragazzamagnetron. Maven non è Cal e non ci penserà due volte a farla fuori, se la cosa glidovesse tornare utile. Così come fa con i novisangue, che uccide per mantenere in vita lesue menzogne, per metterci in fuga. Perché ha fatto male i calcoli: crede che tanticadaveri mi spingeranno a tornare indietro.

Ma non sarà così.

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19

Dopo tre giorni in cui non abbiamo trovato altro che cadaveri di novisangue, tre giorni difallimento uno di seguito all’altro, arriviamo a Templyn. Cittadina tranquilla eresidenziale sulla strada che porta a Delphie, Templyn presenta una sfilza di vaste tenuteargentee e un ammasso di casupole malferme che i rossi hanno tirato su lungo la riva delfiume. Padroni e servitori. Templyn è insidiosa: non ha grandi foreste né tunnel né stradeaffollate in cui nascondersi. Di solito, usiamo Shade per superare le mura di cinta, maoggi non è con noi. Ieri si è beccato una distorsione al ginocchio, aggravando lecondizioni del muscolo ancora in via di guarigione, per cui ho fatto in modo che nonvenisse. Manca anche Cal, che ha scelto di restare a insegnare e ha lasciato Ada alla guidadel freccianera. Eccola lì, infatti, seduta comoda sul sedile del pilota a leggere, comesempre. Io mi sforzo di non essere nervosa, di guidare il gruppo come farebbe Cal, mami sento quasi nuda senza di lui e senza mio fratello accanto. È la prima volta cheaffronto una missione di reclutamento senza di loro, e questo sarà un po’ il mio banco diprova. Per dimostrare agli altri che non sono solo un’arma da sfoderare all’occorrenza, mauna persona con tutta la voglia di combattere insieme al gruppo.

Per nostra fortuna, possiamo contare su un nuovo punto di forza davvero sbalorditivo.Un novosangue di nome Harrick, salvato dalle cave di Orienpratis due settimane fa. È alsuo primo reclutamento e speriamo che fili tutto liscio. È un tipo introverso e pieno di tic,ma ha i muscoli d’acciaio di uno spaccapietre. Io e Farley ci sistemiamo guardinghe sulcarro, al suo fianco, una a destra e una a sinistra, nel caso decida di saltare giùall’improvviso. Nix è seduto di fronte a me, mentre Crance è alla guida, ma sonoentrambi molto più presi dalla strada.

Il nostro carro si accoda alla carovana di mercanti e artigiani diretti verso il centrodella cittadina per lavorare. Crance stringe le redini della cavalla che abbiamo rubatoinsieme al carro: una povera bestia cieca da un occhio con uno zoccolo malandato. Laincita ad andare avanti, a tenere il passo degli altri per non attirare l’attenzione. Davanti anoi si profilano i confini della città, delimitati da una porta d’accesso aperta,fiancheggiata da colonne di pietra riccamente decorate. Al centro sventola una bandiera,un vessillo familiare di un casato altrettanto familiare. Quelle strisce rosse e arancionisembrano quasi sanguinare, nella luce del mattino. Casato Lerolan, azzeratori,governatori della regione di Delphie. Osservo i colori e ripenso ai corpi dei tre azzeratoriuccisi, i Lerolan ammazzati nella Casa del Sole: Belicos, il padre, fatto fuori da Farley edalla Guardia Scarlatta, e i suoi due figli gemelli, poco più che bambini, dilaniatidall’esplosione avvenuta subito dopo. Tutto il regno era stato tappezzato dalle foto deiloro volti, trasmessi in ogni programma, ennesima bandiera issata al vento dellapropaganda argentea. La Guardia Scarlatta uccide i bambini. La Guardia Scarlatta dev’essere

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annientata.Lancio un’occhiata a Farley; chissà se anche lei sa cosa significhi quello stendardo. Ma

è tutta presa dagli agenti davanti a noi. Così come Harrick. È concentrato, tiene gli occhisocchiusi, ha le mani tese e tremanti. Senza far rumore, gli sfioro un braccio e lorassicuro. «Puoi farcela» sussurro.

Lui abbozza un sorriso quasi impercettibile e io raddrizzo la schiena per infonderglicoraggio. Ho piena fiducia nella sua abilità, ha usato ogni attimo libero che aveva peraddestrarsi, ma deve credere in se stesso.

Nix si irrigidisce e contrae i muscoli sotto la maglia. Farley maschera meglio latensione, ma so benissimo che vorrebbe tanto stringere il coltello che tiene nascostonello stivale. Per il bene di Harrick, non lascerò trapelare la mia paura.

Gli agenti di sicurezza pattugliano la porta della città e squadrano ogni singolapersona che l’attraversa. Scrutano i volti e le merci senza preoccuparsi di controllare idocumenti. Per questi argentei non conta molto quello c’è scritto su un pezzo di carta;hanno l’ordine di trovare me e i miei uomini, non contadini che si sono spinti un po’troppo in là rispetto al proprio villaggio. Tra poco tocca a noi, e solo il sudore sul labbrosuperiore di Harrick rivela che ce la sta mettendo tutta.

Crance obbedisce all’ordine dell’agente e ferma cavallo e carro. Tiene gli occhi bassi,assume un’espressione rispettosa e sottomessa, mentre quello lo fissa. Come previsto,l’agente non nota nulla di strano. Crance non è un novosangue e nessuno sa che è deinostri. Maven non sta certo cercando lui. L’agente gira intorno al carro e guarda dentro.Nessuno di noi si azzarda a muoversi, non respiriamo neanche. L’abilità di Harrick nonarriva a mascherare il suono, si limita alla vista. Gli occhi dell’agente incrociano i miei emi chiedo se Harrick abbia fallito. Ma dopo un momento da infarto, quello passa oltre,con aria soddisfatta. Non ci vede.

Harrick è un tipo straordinario di novosangue. È in grado di creare illusioni e miraggi,di far vedere alla gente quello che non c’è. È riuscito a nasconderci tutti quanti, in pienaluce del giorno, rendendoci invisibili nel nostro carro vuoto.

«Ehi rosso, che fai? Trasporti aria?» chiede l’agente con un ghigno odioso.«Vado a ritirare della merce da portare a Delphie» risponde Crance, che ripete per filo

e per segno quello che Ada gli ha suggerito di dire. Ieri la ragazza si è studiata ogniminima rotta commerciale e, nel giro di un’ora, è diventata un’esperta di tutto l’import-export di Norda. «Lana filata, signore.»

Ma quello si è già allontanato, indifferente. «Avanti» ordina l’agente, e intanto agita lamano coperta da un guanto.

Il carro si rimette in moto traballante, Harrick mi prende la mano e me la stringefortissimo. Rispondo alla stretta per implorarlo di tenere duro, di continuare a lottare, diproteggerci con la sua illusione finché non saremo all’interno di Templyn e lontani dallaporta.

«Solo un minuto ancora» gli sussurro. «Ce l’hai quasi fatta.»Abbandoniamo la strada principale prima di addentrarci nel mercato e ci inoltriamo

invece nelle stradine secondarie semivuote, costeggiate da umili negozietti e case abitatedai rossi. Gli altri cominciano a cercare; sanno bene quello che dobbiamo trovare. Io,

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invece, mi concentro su Harrick. «Ce l’hai quasi fatta» gli ripeto, nella speranza di nonsbagliarmi. Tra poco la forza lo abbandonerà, lasciando svanire l’illusione e facendociapparire di colpo in mezzo alla strada. Sono tutti rossi qui, ma non ci penserebbero duevolte a denunciare un carro che trasporta i fuggitivi più ricercati del regno.

«A sinistra» ordina Nix con tono sgarbato, ma Crance esegue e guida il carro concautela verso una casa di assi di legno con le tendine color cremisi. Malgrado il solerisplenda alto nel cielo, si intravede una candela accesa alla finestra. Rossa come l’alba.

C’è un vicolo lì vicino, accanto alla casa della Guardia Scarlatta e altre due abitazioniabbandonate. Dove si trovino gli abitanti non lo so, ma è probabile che siano scappatiper via dei provvedimenti, o che siano stati uccisi per averci provato. Mi sembra un buonnascondiglio. «Ora, Harrick» gli dico. Lui mi risponde con un sospiro enorme. L’illusioneè svanita e non siamo più protetti. «Ottimo lavoro.»

Senza perder tempo, saltiamo giù dal carro e ci dirigiamo con fare furtivo verso la casadella Guardia, avvalendoci del tetto sporgente per nasconderci meglio che possiamo.Farley va avanti e bussa tre volte alla porta laterale, che si apre subito. All’interno regnaun buio totale. Farley entra senza esitazioni e noi la seguiamo.

La mia vista si abitua ben presto all’oscurità e rimango sconvolta dalla somiglianzacon la mia vecchia casa di Palafitte. Semplice, disordinata, due stanze appena, con unpavimento di assi di legno nodose e delle finestre sudice. Le lampadine appese al soffittonon fanno luce o sono rotte o non ci sono, vendute in cambio di cibo.

«Capitano» dice una voce. Una donna anziana, dai capelli color acciaio, compareaccanto alla finestra e spegne la candela. Ha il viso segnato dall’età e le mani piene dicicatrici. Noto un tatuaggio familiare, intorno al suo polso: un braccialetto rosso, propriocome quello del vecchio Will Whistle.

Com’è già successo a Baia del Porto, Farley protesta, mentre stringe la mano alladonna: «Non sono…».

Ma la signora la liquida con un gesto veloce. «Secondo il colonnello, non certo secondoil comando. Loro hanno un’altra considerazione di te.» Il comando. La donna si accorgedella mia espressione interessata e mi saluta con un cenno della testa. «Signorina Barrow,io sono Ellie Whistle.»

Sgrano gli occhi. «Whistle?» le chiedo. «È parente di…?»Ellie mi interrompe prima che possa finire la frase. «Direi di no. Whistle è più che

altro un soprannome. Significa che mi occupo di contrabbando. Ci chiamano anche “iFischi” perché è quello che siamo, tutti quanti: dei fischi nel vento». Ma certo. Will e il suovecchio furgoncino non facevano che trasportare merce rubata o di contrabbando, emolta di quella roba gliela procuravo io. «Faccio parte anch’io della Guardia Scarlatta»aggiunge.

Almeno questo, lo sapevo. Farley si è messa in contatto con la sua gente, nelle ultimesettimane, con quelli che non sono sotto il comando del colonnello e si sono residisponibili ad aiutarci e a mascherare i nostri movimenti.

«Ottimo» le rispondo. «Stiamo cercando la famiglia Marcher.» Due di loro, per laprecisione. Tansy e Matrick Marcher; gemelli, a giudicare dalla data di nascita. «Vannoallontanati dalla città nel giro di un’ora, se possibile.»

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Ellie mi ascolta con sguardo attento e professionale. Poi si muove e intravedo la pistolache porta al fianco. Lancia un’occhiata a Farley, che annuisce, e lei fa altrettanto. «Inquesto posso aiutarvi.»

«E ci servono anche delle provviste» aggiunge Farley. «Va bene del cibo, se c’è, ma deivestiti invernali andrebbero meglio.»

Ellie annuisce di nuovo. «Ci proveremo» assicura. «Preparerò tutto quello chepossiamo darvi il più in fretta possibile. Un paio di mani in più potrebbero tornarmi utili,però.»

«Eccole» si offre Crance. Con la sua stazza velocizzerà senz’altro le operazioni.Io e Farley stentiamo a credere che Ellie sia così bendisposta e ci scambiamo delle

occhiate intense, mentre la signora si mette subito al lavoro. Apre le dispense e sollevaalcune assi del pavimento, rivelando scomparti nascosti, disseminati per tutta la casa.

«Grazie per la collaborazione» le dice Farley mentre si guarda alle spalle, sospettosa.Lo sono anch’io, per questo tengo sotto controllo ogni minimo movimento della donna. Èanziana ma energica, e mi chiedo se siamo davvero soli in casa.

«Come dicevo, prendo ordini dal comando e loro mi hanno detto: “Aiuta il capitanoFarley e la sparafulmini, costi quel che costi”» ci spiega, senza perdere tempo a guardarcimentre parla.

Io sgrano gli occhi, scioccata, ma piacevolmente sorpresa. «Poi mi aggiorni su questafaccenda» sussurro a Farley. Ancora una volta, resto colpita da quanto sia organizzata eradicata la Guardia Scarlatta.

«Più tardi» ribatte Farley. «Allora, la famiglia Marcher?»Mentre Ellie le dà indicazioni, io mi avvicino a Harrick e Nix. Se il primo è ancora un

principiante, il secondo è ormai un esperto di reclutamenti. Ho perso il conto di quantevolte mi abbia accompagnata in territori ostili, e gliene sarò per sempre grata.

«Pronti, ragazzi?» chiedo sgranchendo le dita. Nix fa di tutto per apparire scorbutico eindifferente, da vero veterano delle nostre missioni; colgo invece un lampo di paura nellosguardo di Harrick. «Non sarà difficile come entrare in città, vedrai. Avrai meno personeda nascondere. In più, stavolta non ci sono gli agenti a controllare. Ce la puoi fare.»

«Grazie, ehm, Mare.» Raddrizza la schiena, gonfia il petto e sorride, per farmicontenta. Ricambio il sorriso, benché abbia pronunciato il mio nome con voce tremante.Molti di loro non sanno come chiamarmi. Mare, signorina Barrow, sparafulmini, qualcunosi lancia addirittura in un “mia signora”. Il soprannome mi ferisce, ma mai quantol’ultimo appellativo. Per quanto io faccia, per quanto provi a essere una di loro,continuano a considerarmi diversa. Un capo, forse, o magari un’appestata da tenerelontana, ma sempre e comunque un’estranea. Sempre divisa da loro.

Fuori, nel vicolo, Crance comincia a caricare il carro, senza curarsi di noi, che svaniamoin un soffio con la grazia di un portaombra. A differenza di quel tipo di argentei, però,Harrick non si limita a manipolare la luce e a giocare con il buio e la luminosità, ma puòaddirittura fare apparire tutto ciò che desidera. Un albero, un cavallo, un’altra persona.Ora che siamo per strada, ci ha mascherati da rossi qualunque, con tanto di cappucci efacce sporche. Non ci riconosciamo nemmeno tra di noi. Dice che così è più facilerispetto a farci scomparire, ed è anche un’alternativa più sicura, in mezzo alla folla. In

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questo modo, evitiamo che la gente si insospettisca, a furia di sbattere contro il nulla.Farley ci guida grazie alle indicazioni di Ellie. Dobbiamo attraversare la piazza del

mercato, sotto lo sguardo di molti agenti di sicurezza, ma nessuno di loro ci ferma. I mieicapelli svolazzano nel vento leggero e una ciocca biondo platino mi ricade sugli occhi. Perpoco non scoppio a ridere. Capelli biondi… proprio io! La casa dei Marcher è piccola e haun secondo piano costruito con i piedi, che minaccia di crollarci addosso da un momentoall’altro. Ma c’è un grazioso giardino sul retro, invaso da un groviglio di piante rampicantie alberi spogli. D’estate, deve avere un aspetto magnifico. Ci facciamo largo inquell’intrico, prestando la massima attenzione a non far scricchiolare le foglie secche aterra.

«Ora siamo invisibili» mormora Harrick sottovoce. Alzo gli occhi verso di lui e miaccorgo che è sparito. Sorrido, anche se nessuno può vedermi.

Qualcuno raggiunge la porta sul retro prima di me e bussa. Nessuna risposta.All’interno non si sente il minimo fruscio. Magari sono usciti per andare al lavoro. È stataFarley a bussare, e ora impreca sottovoce. «Che facciamo? Aspettiamo?» sbuffa. Nonriesco a vederla, ma noto le nuvolette di vapore all’altezza del suo viso.

«Harrick non è una macchina instancabile» intervengo parlando per lui. «Aspettiamodentro.»

Mentre mi avvicino alla porta, sbatto contro la spalla di Farley. Mi inginocchio davantialla serratura. È di quelle semplici. Potrei scassinarla a occhi chiusi e in effetti si rivela ungioco da ragazzi. Tempo pochi secondi e veniamo accolti da un clic appagante e familiare.

La porta si spalanca con un sonoro cigolio e resto ferma immobile, in attesa di quelloche ci aspetta dentro. Così come la casa di Ellie, anche questa è molto buia eapparentemente abbandonata. Eppure non mi fido, e rimango impalata ancora unattimo, con le orecchie tese. Nessun movimento sospetto all’interno, e non percepisconemmeno la minima scossa di corrente. I Marcher devono aver finito le razioni dielettricità, oppure non ne hanno affatto. Soddisfatta, faccio cenno agli altri di seguirmi,ma non succede niente. Non ti vedono, idiota.

«Andiamo» sussurro, e avverto la presenza di Farley dietro di me.Una volta richiusa la porta alle nostre spalle, torniamo visibili. Sorrido a Harrick,

riconoscente per la sua abilità e per la forza che sta dimostrando, ma uno strano odoremi paralizza sul posto. L’aria è stantia, rafferma e leggermente rancida. Con un rapidogesto della mano, porto via almeno un centimetro di polvere dal tavolo della cucina.

«Forse sono scappati. L’hanno fatto in tanti» si affretta a rammentarci Nix.Qualcosa cattura la mia attenzione: un sibilo quasi impercettibile. Non è una voce, ma

una scintilla, così tenue che per poco non sfuggiva anche a me. Viene da una cestaaccanto al camino, coperta da uno straccio rosso e sporco. Mi avvicino, attratta da quelminuscolo segnale.

«Non mi piace. Dobbiamo tornare da Ellie e ricompattarci. Harrick, recupera le forze epreparati per una nuova illusione» ordina secca Farley nel modo più calmo possibile.

Sfioro la pietra del camino con le ginocchia, mentre mi chino accanto alla cesta.L’odore è sempre più intenso, viene proprio da lì dentro. Così come la scintilla. Nondovrei farlo. So che quello che vedrò non mi piacerà. Lo so, ma non posso fare a meno di

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tirar via lo straccio. Il tessuto è appiccicoso, ma do uno strattone e scopro ciò chenasconde. Dopo un attimo di stordimento, realizzo che cos’ho davanti agli occhi.

Cado all’indietro, mi agito goffamente, boccheggio, sto per gridare. Le lacrimesgorgano più in fretta di quanto credessi possibile. Farley è la prima a precipitarsi al miofianco e mi abbraccia, tenendomi stretta. «Che c’è? Mare, che…»

Si blocca di colpo e le parole le muoiono in gola. L’ha vista. E anche gli altri. Nix sta pervomitare e mi sorprendo che Harrick non svenga.

Nella cesta c’è una neonata di pochi giorni. Morta. E non di stenti o di abbandono. Lostraccio è intriso del suo sangue. Il messaggio è disgustosamente chiaro. I Marcher sonomorti.

Una delle due manine è chiusa a pugno a causa del rigor mortis e stringe unminuscolo dispositivo. Un allarme.

«Harrick» sibilo tra le lacrime. «Nascondici.» Lui spalanca la bocca, confuso. Spintadalla disperazione, gli afferro una gamba. «Nascondici.»

Mi scompare davanti agli occhi appena in tempo.Degli agenti si affacciano alle finestre e si fiondano dentro da ogni porta della casa,

urlando, con le pistole spianate. «Arrenditi, sparafulmini! Siete circondati!» ruggiscono aripetizione, come se ribadire il concetto facesse qualche differenza.

Sgattaiolo sotto il tavolo della cucina in assoluto silenzio.Spero solo che anche gli altri abbiano il buonsenso di nascondersi. Almeno una

dozzina di agenti si sono riversati nella casa e corrono avanti e indietro.In quattro si staccano dal mucchio e si dirigono al piano di sopra, mentre intravedo un

paio di stivali che si blocca davanti alla cesta con la bambina.La mano libera dell’agente è scossa da un fremito, e capisco che sta guardando quel

corpicino esanime. Dopo un momento infinito, lo sento vomitare nel caminetto.«Ehi, riprenditi, Myros» gli dice un altro tirandolo via. «Povera piccola» aggiunge

passando davanti alla cesta. «Niente di sopra?»«Niente!» risponde uno di loro mentre scende. «Dev’essere stato un

malfunzionamento dell’allarme.»«Sicuro? Il governatore ci scannerà, se scopre che ci siamo sbagliati.»«Lei vede qualcuno qua intorno, signore?»Resto quasi senza fiato, quando l’agente mi si accovaccia di fronte. Muove gli occhi

avanti e indietro sotto il tavolo, attento. Sento una leggera pressione contro la gamba:uno degli altri. Non mi azzardo a rispondere nemmeno con un colpetto. Trattengo ilrespiro.

«No, nessuno» dichiara infine l’agente mentre si rialza. «Falso allarme. Tornate allevostre postazioni.»

Se ne vanno veloci come sono arrivati, ma io non mi azzardo a riprendere fiato finchénon sento i loro passi parecchio lontani. Poi tiro una boccata d’aria, tremante, mentreHarrick fa sparire l’illusione e torniamo tutti visibili.

«Ottimo lavoro» esclama Farley, che espira e dà una pacca sulla spalla a Harrick.Anche lui, come me, fa fatica a parlare e ha bisogno di aiuto per alzarsi in piedi.

«Avrei potuto batterli» brontola Nix, che spunta da sotto le scale. Si fionda verso la

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porta a passi svelti e, con una mano già sul pomello, aggiunge: «Ma non ho voglia difarmi trovare qui se dovessero tornare».

«Mare?» Farley mi sfiora il braccio con fare fin troppo gentile, soprattutto per lei.Mi rendo conto che sto di nuovo fissando il cadaverino. Non c’era alcun neonato sulla

lista di Julian, nessun bambino sotto i tre anni. Stando alle schede che abbiamo e a quelleche Maven dovrebbe avere a disposizione, la piccola non era una novosangue. È statauccisa solo perché si trovava qui. Per niente.

Mi tolgo la giacca con grande determinazione. Non l’abbandonerò in quello stato, consolo il sangue a farle da coperta.

«Mare, no. Così sapranno che siamo stati in questo posto…»«E lascia che lo sappiano.»L’avvolgo con la giacca e combatto con tutta la forza che ho l’istinto di sdraiarmi

accanto a lei e non alzarmi mai più. Accarezzo il suo minuscolo pugnetto gelido. C’èqualcosa sotto. Un biglietto. Svelta e in silenzio, me lo infilo in tasca, senza farmi vederedagli altri.

Quando finalmente torniamo da Ada al jet, trovo il coraggio di leggerlo. Porta la datadi ieri. Ieri. Ci siamo andati così vicino.

22 ottobreLa busta è un po’ macabra, lo so. Ma necessaria. Così capisci cosa stai facendo, cosa mi stai

costringendo a fare a questa gente. Ogni cadavere è un messaggio per te e per mio fratello. Arrendetevi etutto questo finirà. Arrendetevi e molte altre persone continueranno a vivere. Sono un uomo di parola.

Al nostro prossimo incontro,Maven

Torniamo alla Tana che è notte fonda. Non riesco a mangiare, non riesco a parlare, nonriesco a dormire. Gli altri discutono di quello che è successo a Templyn, ma nessuno osachiedermi niente. Solo mio fratello ci prova, ma io scappo a rifugiarmi nei cunicoli piùprofondi del nascondiglio. Mi rannicchio in quel buco striminzito che mi fa da camera emi convinco che ho bisogno di restare un po’ da sola, per il momento. Di solito, di notte,odio quella stanza solitaria, odio stare separata dagli altri. E ora la odio ancora di più,eppure non ce la faccio a unirmi a loro. Anzi, aspetto che tutti si siano addormentati,prima di mettermi a girovagare. Prendo una coperta, ma non può molto contro il freddo,né quello interiore né quello che arriva dall’esterno.

Mi racconto che è solo il freddo autunnale che mi spinge in camera sua, e non il sensodi vuoto che sento allo stomaco. Non l’abisso ghiacciato che si allarga sempre di più, aogni fallimento. Non il biglietto che ho nella tasca, che mi sta scavando un buconell’anima.

Il fuoco danza sul pavimento, all’interno di una piccola buca circondata da pietre.Persino in quello strano gioco di ombre riesco a capire che è sveglio. Ha gli occhifiammeggianti, ma non sono arrabbiati. E nemmeno confusi. Con una mano solleva lecoperte della branda e si fa da parte per lasciarmi spazio accanto a lui.

«Fa freddo qui» gli dico.Credo che sappia cosa intendo realmente.

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«Farley mi ha raccontato tutto» sussurra mentre mi sistemo. Mi cinge la vita in unabbraccio caldo e tenero, che vuole solo mettermi a mio agio. Poi mi posa l’altra manosulla schiena e tiene il palmo premuto sulle cicatrici. “Sono qui” mi vuole dire.

Vorrei parlargli dell’offerta di Maven. Ma che senso avrebbe? La respingerebbe cosìcome ho già fatto io, poi dovrebbe pure condividere con me la vergogna di aver rifiutato.Gli causerebbe solo dolore, che poi è il fine ultimo di Maven. E in questo non lo lasciocerto vincere. Ha già conquistato me. Non conquisterà anche Cal.

Non so come, ma mi addormento. Non sogno nulla.

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20

Da quel giorno in avanti, la sua camera da letto è diventata la nostra. Un tacito accordo,che ha dato a entrambi qualcosa a cui aggrapparsi. Siamo troppo stanchi per fare altroche dormire, ma sono certa che Kilorn sospetti che non sia così. Ormai non mi parla più,e ignora totalmente Cal. Una parte di me vorrebbe unirsi agli altri nelle camerate piùgrandi, dove i bambini bisbigliano fino a tarda notte e la Nonna è costretta a richiamarliin continuazione. Serve a fare gruppo. Ma se ci fossi anch’io, non farei altro chespaventarli, così resto con Cal, l’unica persona che non abbia davvero paura di me.

Non mi tiene sveglia di proposito, ma ogni notte lo sento rigirarsi nella branda. I suoiincubi sono peggiori dei miei, e so esattamente che cosa sogna: il momento in cui hadecapitato il padre. Faccio finta di dormire, perché so che non vuole farsi vedere in quellostato. Ma sento le sue lacrime sulla guancia. A volte credo che mi brucino la pelle, ma poi,quando mi sveglio, non trovo cicatrici in più. Non di quelle che si possono vedere,almeno.

Nonostante passiamo tutte le notti insieme, io e Cal non parliamo tanto. Non abbiamomolto da dirci, a parte aggiornarci sui relativi incarichi. Non gli racconto del primobiglietto e nemmeno dei successivi. Per quanto lontano, Maven riesce ancora a frapporsitra me e lui. Lo vedo negli occhi di Cal: è come un parassita che si è insinuato nella mentedel fratello, per avvelenarlo dall’interno. E sta facendo lo stesso anche con me, siaattraverso i biglietti sia con i ricordi. Non so perché, ma non riesco a distruggerli né aparlare con qualcuno della loro esistenza.

Dovrei bruciarli, ma non lo faccio.Ho trovato un’altra lettera a Corvium, durante l’ennesimo reclutamento. Sapevamo che

Maven era diretto in quella zona, per far visita all’ultima grande città prima delle distesedi polvere di Campo Cenere. Pensavamo di poterlo battere sul tempo. Invece, quandosiamo arrivati noi, il re se n’era già andato.

31 ottobreMi aspettavo di vedervi il giorno dell’incoronazione. Pensavo fosse proprio il genere di eventi che quelli

della Guardia Scarlatta adorano rovinare, anche se in realtà è stata una cerimonia piuttosto intima. Inteoria stiamo ancora portando il lutto per nostro padre, e una cosa troppo in grande sarebbe parsainappropriata. Soprattutto con Cal ancora in giro, libero di muoversi con te e la tua marmaglia. A detta dimia madre, sembra che qualcuno gli sia rimasto fedele, ma non preoccuparti. Ce ne stiamo occupando.Nessuna crisi di successione dinastica verrà a portartelo via. Se ne hai modo, fagli tanti auguri di buoncompleanno da parte mia e assicuragli che sarà l’ultimo.

Manca poco anche al tuo, non è vero? Non ho dubbi sul fatto che lo passeremo insieme.Al nostro prossimo incontro,

Maven

Sento la sua voce pronunciare ogni singola parola, usa l’inchiostro come una lama. Mi

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si accartoccia lo stomaco e per poco non vomito la cena sul pavimento. La nausea ci metteparecchio a passare e mi spinge giù dalla branda, lontano dall’abbraccio di Cal, verso lascatola di provviste buttata nell’angolo. Come facevo anche a casa, tengo le miecianfrusaglie nascoste e, in fondo alla scatola, ci sono altri due biglietti stropicciatifirmati da Maven.

Finiscono entrambi alla stessa maniera. Al nostro prossimo incontro.Sento una stretta alla gola che minaccia di soffocarmi. A ogni parola, la morsa si

stringe, come se l’inchiostro da solo bastasse a strangolarmi. Per un attimo, temo di nonriuscire più a respirare. Ma non perché Maven continui a tormentarmi. No, il motivo èdieci volte peggio.

Perché anche a me manca qualcuno. Mi manca il ragazzo che credevo lui fosse.Il suo marchio brucia ancora nei miei ricordi. Mi chiedo se lo senta anche lui. Cal si

rigira nella branda alle mie spalle, ma stavolta non per colpa di un incubo: è ora dialzarsi. Nascondo in fretta i biglietti e me ne vado, prima che lui apra gli occhi. Non hovoglia di vedere la sua pietà, non ancora. Sarebbe troppo da sopportare.

«Buon compleanno, Cal» bisbiglio nel cunicolo deserto.

Mi sono scordata la giacca e appena esco dal rifugio il freddo pungente di novembre mifa venire la pelle d’oca. La radura è ancora in ombra prima dell’alba, tanto che riesco amalapena a intravedere il profilo della foresta. Ada se ne sta appollaiata su un ciocco dilegno, vicino alle braci del fuoco di bivacco, imbacuccata in un ammasso tremante disciarpe e coperte di lana. Sceglie sempre l’ultimo turno di guardia, perché preferiscealzarsi prima di tutti gli altri. Ha un cervello talmente sviluppato da riuscire a leggere ilibri che le porto e tenere contemporaneamente d’occhio i boschi intorno a noi. Spesso,prima ancora che gli altri si sveglino, ha già acquisito una nuova competenza. Lasettimana scorsa ha imparato il Tirax, la lingua di una strana nazione sudorientale, oltread aver appreso i principi base della chirurgia. Oggi, però, non ha in mano alcun librorubato chissà dove, e non è sola.

Ketha è in piedi davanti al fuoco, a braccia conserte. Muove le labbra velocemente, manon riesco a capire cosa stia dicendo. Accoccolato accanto a Ada c’è Kilorn, con i piediquasi dentro le braci. Mi avvicino furtiva e noto l’espressione concentrata del mio amico.Stringe un bastoncino, con cui traccia delle linee per terra, nella polvere. Sono lettere.Rozze, scritte alla svelta per comporre parole elementari come “nave”, “armi”, “casa”.

L’ultima che scarabocchia è un po’ più lunga delle altre: “Kilorn”. A quella vista, mi siinumidiscono di nuovo gli occhi. Stavolta, però, sono lacrime di gioia, un sentimento chemi è quasi sconosciuto. Ho l’impressione che il vuoto dentro di me si riduca, anche se dipoco.

«È difficile, ma vedo che hai afferrato il concetto» lo incoraggia Ketha con un mezzosorriso. È proprio una maestra.

Prima che riesca ad avvicinarmi ancora, Kilorn si accorge della mia presenza e spezzain due il bastoncino che ha utilizzato per scrivere. Senza neanche salutarmi, si alza inpiedi e si carica in spalla lo zaino da caccia. Legato al suo fianco luccica un coltello,freddo e affilato come le zanne di ghiaccio che pendono dagli alberi nei boschi.

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«Kilorn, che fai?» chiede Ketha, ma poi mi vede e capisce. «Ah.»«Era comunque ora di andare a caccia» interviene Ada e allunga la mano verso di lui.

Malgrado il colore caldo della sua pelle, le punte delle dita della ragazza si tingono di bluper via del freddo. Ma Kilorn sfugge alla sua presa, e lei si ritrova a stringere un pugno diaria gelida.

Io non faccio nulla per fermarlo. Anzi, mi tiro indietro e gli lascio tutto lo spazio chedesidera. Mentre s’incammina verso gli alberi, si copre il viso con il cappuccio della suanuova giacca. È di pelle marrone, di buona qualità e imbottita di lana: l’ideale per stare alcaldo e mimetizzarsi al tempo stesso. L’ho rubata una settimana fa a Haven. Non credevoche Kilorn avrebbe accettato un regalo del genere da parte mia, e invece, a quanto pare,riconosce anche lui l’importanza di proteggersi dal freddo.

La mia presenza non infastidisce soltanto lui. Ketha mi sbircia di sottecchi e per poconon arrossisce. «Voleva imparare» si giustifica, quasi dispiaciuta. Poi mi spinge via e faritorno al calduccio e ai relativi comfort della Tana.

Ada la osserva mentre se ne va. I suoi occhi dorati sono accesi, ma tristi. Batte la manosul ciocco di legno accanto al suo e mi fa cenno di sedermi. Io mi accomodo e lei misistema una delle sue coperte sulle gambe, in modo da coprirmi per bene. «Ecco qua,signorina.» Faceva la domestica, a Baia del Porto, e malgrado la libertà appena acquisita,le vecchie abitudini sembrano dure a morire. Continua a chiamarmi “signorina”, benchéle abbia chiesto di smetterla almeno un milione di volte. «Credo che abbiano bisogno didistrarsi un po’, tutto qui.»

«Mi sembra un’ottima idea. Nessun insegnante aveva mai ottenuto risultati del generecon Kilorn. Dopo vado a ringraziarla.» Se non scappa via di nuovo. «Abbiamo tutti bisognodi distrarci un po’, Ada.»

Lei annuisce e sospira. Poi increspa le labbra scure e carnose in un sorriso amaro econsapevole. Noto che il suo sguardo guizza prima verso la Tana, dove dorme metà delmio cuore, poi verso la foresta, dove si è appena avventurata l’altra metà. «C’è Cranceinsieme a lui. Farrah li raggiungerà tra poco. E non ci sono orsi in giro» aggiunge mentrescruta l’orizzonte ancora buio. Di giorno, se la nebbia ci desse tregua, potremmo scorgerele montagne in lontananza. «Quei bestioni dovrebbero starsene buoni, ormai. Belliaddormentati per tutto l’inverno.»

Orsi. A casa, a Palafitte, avevamo sì e no qualche cerbiatto, altro che questi mostrileggendari dell’entroterra. I depositi di legname, le squadre addette all’abbattimentodegli alberi e il traffico fluviale erano più che sufficienti a tenere alla larga animali piùgrandi di un procione. La regione dei Grandiboschi, invece, pullula di animali selvatici.Valli e colline sono invase da cervi enormi dalle corna minacciose, volpi curiose e, di tantoin tanto, si sente anche l’ululato di qualche lupo. Non ho ancora avuto modo di vedere ilfamigerato orso dei boschi, ma Kilorn e gli altri cacciatori ne hanno avvistato uno qualchesettimana fa. Si sono salvati dalle sue fauci solo grazie all’abilità di Farrah di assorbire isuoni e al buonsenso di Kilorn, che li ha fatti restare sottovento.

«Dove le hai imparate queste cose sugli orsi?» le domando, se non altro per riempire ilsilenzio con qualche chiacchiera di circostanza. Ada capisce benissimo il mio intento, mami asseconda.

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«Al governatore Rhambos piace andare a caccia» risponde con una scrollata di spalle.«Aveva una tenuta fuori città e i suoi figli l’hanno riempita di tutte le bestie più stranesolo per fargliele uccidere. Erano per lo più orsi, creature meravigliose, dalla pelliccianera e gli occhi penetranti. A dire il vero, erano piuttosto mansueti, se lasciati in pace oaccuditi dal nostro guardiacaccia. La piccola Rohr, la figlia del governatore, avrebbevoluto un cucciolo tutto per sé, ma gli animali sono stati fatti fuori prima che avessero iltempo di accoppiarsi.»

Me la ricordo, Rohr Rhambos. Una fortebraccio dalle sembianze di un topolino, mache era in grado di polverizzare una roccia a mani nude. Ha preso parte al Torneo delleregine, tanto tempo fa, quando ero anch’io una domestica, proprio come Ada.

«Dubito che quello che ha fatto il governatore si possa definire andare a caccia»continua Ada. Un velo di tristezza le offusca la voce. «Li ha buttati tutti in una fossa perpoi affrontarli e rompere l’osso del collo a quelle povere bestie. I suoi figli hanno fattoaltrettanto, a mo’ di allenamento.»

Gli orsi possono sembrare belve feroci e spaventose, ma a giudicare dal tono di Ada,pare proprio che non sia così. Lo sguardo vitreo della donna mi dice che ha visto la fossacon i propri occhi e ricorda ogni istante dell’accaduto. «È una cosa orribile.»

«Tu hai ucciso uno dei suoi figli, lo sai? Si chiamava Ryker. Era uno dei carnefici cheavevano scelto per giustiziarti.»

Non ho mai voluto sapere il suo nome. Non ho mai fatto domande su coloro che houcciso nel Circo delle Ossa e nessuno mi ha mai raccontato niente. Ryker Rhambos,folgorato sulla sabbia dell’arena, ridotto a un mucchietto di carne abbrustolita.

«Chiedo scusa, signorina. Non volevo turbarti.» Ada si è ricomposta e ha assunto lasolita espressione tranquilla, insieme alle buone maniere tipiche di una donna abituata aservire. Per una persona con le sue abilità, posso solo immaginare quanto debba esserestato terribile guardare senza poter parlare, senza poter mai dimostrare il proprio valoreo rivelare la sua vera natura. E quel che è peggio è che lei, a differenza mia, non puònascondersi dietro lo scudo di una mente imperfetta. Sente e conosce tante di quelle coseda rischiare di esserne travolta. Come me, deve continuare a scappare.

«Mi turbi soltanto quando mi chiami “signorina”.»«Temo sia un vizio che mi è rimasto.» Si sposta per prendere qualcosa che tiene

nascosto tra le coperte. Percepisco il suono distinto della carta stropicciata e mi aspetto divedere l’ennesimo comunicato con i dettagli del tour dell’incoronazione di Maven. Adainvece mi porge un documento dall’aria piuttosto ufficiale, benché sia tutto sgualcito econ i lembi bruciacchiati. Si vede chiaramente la spada rossa, simbolo dell’esercito diNorda. «Shade l’ha trovato addosso a quell’agente, a Corvium…»

«Il tizio che ho fritto.» Passo un dito sul foglio mezzo carbonizzato: è annerito, ruvidoal tatto e rischia di disintegrarsi da un momento all’altro. Fa strano che il documento siasopravvissuto, mentre chi ce l’aveva addosso no. «Sembrano istruzioni» mormorodecifrando gli ordini. «Per delle legioni di rinforzo.»

Lei annuisce. «Dieci legioni dovranno prendere il posto delle nove che difendono letrincee di Campo Cenere.»

Legione Tempesta, Legione Martello, Legione Spada, Legione Scudo… I nomi e i numeri

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sono elencati in modo chiarissimo. Cinquemila soldati rossi per ciascuna unità, piùcinquecento ufficiali argentei che confluiranno a Corvium, per poi dirigersi tutti insiemealla volta di Campo Cenere, per sostituire i soldati al fronte. Un dato terribile, ma che dicerto non mi riguarda.

«Meno male che siamo già stati a Corvium.» Non mi viene in mente altro da dire.«Almeno abbiamo evitato centinaia di argentei in giro per la città.»

Ada mi posa una mano sul braccio con delicatezza. Anche attraverso le maniche, sentoil freddo delle sue dita abili e affusolate. «Dieci per sostituirne nove. Perché?»

«Per sferrare un’offensiva?» Continuo a non capire perché debba essere un mioproblema. «Forse Maven vuole dare spettacolo, dimostrare di essere un guerriero eoscurare il nome di Cal…»

«Non credo. Un attacco del genere richiederebbe almeno quindici legioni, cinque datenere di guardia e dieci con cui avanzare.» Ada muove gli occhi avanti e indietro, comese riuscisse a visualizzare l’intera battaglia. Resto di stucco: a quanto ne so, non abbiamomanuali di tattiche militari in giro per il campo. «Il principe è un vero esperto in fatto diguerra» mi spiega. «Ed è anche un ottimo insegnante.»

«Quindi immagino che tu l’abbia già fatto vedere a Cal?»La sua esitazione mi basta come risposta.«Credo si tratti di una sentenza di morte» dice con un filo di voce mentre abbassa lo

sguardo. «Nove legioni destinate ad altrettante postazioni, mentre la decima ècondannata a morire.»

Sarebbe una follia, persino per Maven. «Non ha senso. Perché sprecare cinquemilasoldati validi?»

«Il nome ufficiale è Legione Stiletto.» Mi indica quelle parole sul foglio. Come tutte lealtre, è una legione composta da cinquemila soldati rossi, in marcia verso le trincee. «Mail governatore Rhambos la chiamava in un altro modo: Piccola Legione.»

«Piccola…?» Di colpo, tutto si fa chiaro e vengo catapultata con la mentenell’infermeria sull’isola di Tuck, con il colonnello che mi alita sul collo. Voleva barattareCal per salvare cinquemila bambini diretti verso una morte precoce. «Le nuove leve. Deiragazzini.»

«Dai quindici ai diciassette anni. La Legione Stiletto è la prima, tra le legioni dibambini, che il re ha dichiarato “pronta a combattere”.» Ada non fa nulla per celare ilproprio sdegno. «Se va bene, avranno sì e no due mesi di addestramento alle spalle.»

Ricordo com’ero a quindici anni. Facevo già la ladra, ma ero piccola e scema, più presadal desiderio di dare fastidio a mia sorella che dal futuro che mi aspettava. Ero ancoraconvinta di poter sfuggire alla leva militare. Fucili e trincee ridotte in cenere non avevanoancora iniziato a infestare i miei sogni.

«Verranno massacrati.»Ada si stringe nelle coperte, con sguardo severo. «Credo sia proprio questa l’idea.»So cosa vuole e cosa vorrebbero molti altri, se fossero a conoscenza degli ordini di

Maven impartiti all’esercito di bambini. Quei ragazzini stanno per essere spediti aCampo Cenere per colpa dei provvedimenti; è un modo per punire tutto il regno a causadell’insurrezione della Guardia Scarlatta. Mi sento come se li avessi condannati a morte

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io stessa, e immagino che molti altri la pensino così. Ben presto scorrerà un oceano disangue sulle mie mani e non posso fare nulla per impedirlo. Sangue innocente, comequello della neonata di Templyn.

«Non possiamo fare niente per loro.» Abbasso lo sguardo per non cogliere ladelusione negli occhi di Ada. «Non possiamo combattere contro intere legioni.»

«Mare…»«A te viene in mente un modo per aiutarli?» la interrompo con voce piena di rabbia e

la costringo a restare in silenzio, avvilita. «Allora come potrei inventarne uno io?»«Certo, hai ragione. Signorina.»Usa apposta quel titolo per ferirmi. «Ti lascio al tuo turno di guardia» borbotto e mi

alzo in piedi, con il documento ancora in mano. Lo piego lentamente e me lo metto intasca.

Ogni cadavere è un messaggio per te e per mio fratello.Arrendetevi e tutto questo finirà.«Tra poche ore decolliamo per Pitarus.» Ada conosce già il piano di reclutamento di

oggi, ma ripeterglielo mi dà qualcosa da fare. «Cal sarà il pilota, quindi puoi dare a Shadela lista delle provviste che ci servono.»

«Stai attenta» mi risponde. «Il re è di nuovo a Delphie, a un’ora di volo da dove saretevoi.»

Il solo pensiero mi fa formicolare le cicatrici. Soltanto un’ora mi separerà dallemanipolazioni e dalle torture di Maven. Dalla sua macchina del terrore che è riuscita a rigirarecontro di me il mio stesso potere.

«Delphie? Di nuovo?»Cal esce dalla Tana e si avvicina a noi, con i capelli arruffati dal sonno. I suoi occhi,

però, non sono mai stati tanto svegli. «Perché di nuovo?»«Ho letto un comunicato a Corvium e pare che sia andato a trovare il governatore

Lerolan» gli risponde Ada, sorpresa dall’improvviso interesse di Cal per i nostri discorsi.«Per porgergli di persona le proprie condoglianze.»

«Per Belicos e i suoi figli.» Ho incontrato Belicos una sola volta, pochi minuti primache morisse, e mi era sembrato una persona gentile. Non meritava la fine che hocontribuito a fargli fare. E nemmeno i suoi figli.

Cal, però, strizza gli occhi contro il sole che sorge. Vede qualcosa che noi non vediamo,qualcosa che neanche le liste e i fatti di Ada possono aiutarci a capire. «Maven nonsprecherebbe mai il suo tempo per una cosa del genere, nemmeno per salvare leapparenze. I Lerolan non valgono nulla per lui, e ha già ucciso tutti i novisangue diDelphie, quindi deve avere una ragione più che valida per tornarci.»

«E quale sarebbe?» domando.Lui spalanca la bocca, come se si aspettasse che la risposta rotolasse fuori da sola.

Dopo un po’, finalmente scuote la testa. «Non ne sono sicuro.»Perché non si tratta di una manovra militare. Qui si parla di qualcos’altro, qualcosa che

Cal non può comprendere. Lui è portato per la guerra, non per gli intrighi di palazzo.Questi ultimi sono prerogativa di Maven e di sua madre, e noi non abbiamo speranzecontro di loro, in quel campo. Il massimo che possiamo fare è sfidarli sul nostro, di

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campo, con la forza, e non con la mente. Ma di forza ce ne serve molta di più, e in fretta.«Si va a Pitarus» annuncio a voce alta, con tono irrevocabile. «E di’ alla Nonna che

viene con noi.»Da quando è arrivata, infatti, la signora non fa che chiedere di poterci dare una mano,

e Cal ritiene che sia ormai pronta. Harrick, invece, non ha più preso parte ad alcunreclutamento. Non dopo Templyn. E non lo biasimo.

Non c’è bisogno che Cal mi indichi dove inizia la regione degli Squarci. Mentreabbandoniamo lo Stato del re per entrare nello Stato del principe, le fenditure saltanosubito all’occhio, viste da quassù. Con il jet sorvoliamo una serie di fosse tettonicheintervallate da catene montuose. Quei solchi lunghi e profondi sembrano quasi fattiapposta, come dei graffi incisi sulla terra. Ma nemmeno gli argentei potrebbero lasciaresegni tanto immensi. Questa zona si è formata migliaia di anni fa, per opera di qualcosadi molto più potente e distruttivo. L’autunno sanguina su questo territorio e dipinge laforesta sottostante di tutte le sfumature del fuoco. Siamo molto più a sud rispetto allaTana, eppure scorgo dei cumuli di neve, in cima alle montagne, che si nascondono dalsole nascente. Come la regione dei Grandiboschi, anche quella degli Squarci è una landadesolata, ma la ricchezza di quest’area si basa sul ferro e sull’acciaio, anziché sullegname. La capitale, Pitarus, è l’unica città presente, nonché centro nevralgicoindustriale della regione. È stata costruita sulla biforcazione di un fiume che collega gliimpianti siderurgici al fronte di guerra, e le varie cittadine carbonifere del Sud al restodel regno. Benché la regione degli Squarci sia ufficialmente governata dai tessivento delcasato Laris, essa è da sempre la patria del casato Samos. In quanto proprietari di tutte leminiere di ferro e delle acciaierie, questi magnetron sono coloro che controllano davveroPitarus e l’intera regione. Evangeline potrebbe aggirarsi nei dintorni e, se siamofortunati, avrò modo di fargliela pagare per tutto il male che ha commesso.

La valle più vicina a Pitarus dista più di venti chilometri dalla città, ma è un punto bennascosto e quindi perfetto per atterrare. Peccato che vi sia anche la pista più accidentatache io abbia mai visto, e mi chiedo se stavolta non abbiamo davvero passato il segno.Tuttavia, Cal riesce a mantenere il controllo del freccianera e ci riporta a terra sani e salvi,per quanto un po’ scossi.

La Nonna applaude, elettrizzata dal volo. Un sorriso a trentadue denti le illumina ilviso pieno di rughe. «È sempre così divertente?» chiede mentre ci osserva.

Seduto di fronte a lei, Shade fa una smorfia nauseata. Non si è ancora abituato avolare, e si sforza di non vomitarle addosso la colazione.

«Dobbiamo trovare quattro novisangue.» La mia voce rimbomba nella fusoliera e facessare di colpo lo sferragliamento di fibbie e cinture di sicurezza. Shade si sente meglioed è tornato tra noi, seduto accanto a Farley. Poi ci sono la Nonna e Gareth Baument, unaltro novosangue. Questo sarà il suo terzo reclutamento in quattro giorni, da quando Calha deciso che l’ex stalliere poteva essere un valido aiuto nelle nostre missioni giornaliere.Una volta lavorava nientemeno che per lady Ara Iral in persona, come addetto allamanutenzione dell’enorme stalla della tenuta di famiglia, situata lungo il fiume dellacapitale. A corte la chiamavano tutti “la Pantera” per i suoi capelli neri splendenti e le

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movenze feline. Gareth è molto meno lusinghiero e la definisce più volentieri “stronzasetosa”.

Per fortuna, quel lavoro presso il casato Iral l’ha aiutato a mantenersi agile e in forma;inoltre, le sue abilità sono davvero di tutto rispetto. Quando gli ho chiesto se sapeva farequalcosa di speciale, mi sono ritrovata spalmata sul soffitto. Gareth ha manipolato laforza di gravità che mi teneva ancorata al terreno. Se fossimo stati all’aperto,probabilmente sarei finita tra le nuvole. Ma preferisco lasciare a lui questa prerogativa.Infatti, oltre a far schizzare le persone in aria, Gareth è in grado di usare la propria abilitàper volare.

«Gareth darà un passaggio in città alla Nonna, che entrerà nel Centro di sicurezza conle sembianze del generale lord Laris.» Sposto lo sguardo su di lei, ma mi ritrovo a fissareun signore un tantino più anziano, rispetto alla donna che ho imparato a conoscere.L’uomo annuisce e muove le dita come se non le avesse mai usate prima. Non mi lascioingannare: sotto quella maschera c’è la Nonna, che finge di essere il comandanteargenteo della flotta aerea. «Ci procurerà l’elenco dei quattro novisangue di Pitarus e diquelli che vivono nel resto della regione. Noi li seguiremo a piedi e Shade ci tirerà fuoritutti quanti.»

Come al solito Farley è la prima ad alzarsi dal sedile. «Buona fortuna con lui, Nonna»esordisce mentre punzecchia Gareth con un dito. «Se il volo in jet ti è piaciuto,impazzirai per quello che sa fare.»

«Non mi piace quel sorriso, signorinella» ribatte la Nonna con la voce di Laris. L’ho giàvista trasformarsi altre volte, prima d’ora, eppure non riesco mai ad abituarmi a quellostrano spettacolo.

Gareth, accanto a lei, scoppia a ridere e l’aiuta a tirarsi su. «Farley ha volato con mel’ultima volta e mi ha imbrattato tutti gli stivali, quando siamo atterrati.»

«Mai fatto niente del genere» protesta lei che però, si precipita in fondo all’aereo, forseper nascondere il viso paonazzo. Shade la segue, come fa sempre, e cerca di soffocare unarisatina con la mano. Farley non è stata bene, ultimamente, e ha fatto di tutto pernasconderlo, provocando l’ilarità generale.

Cal e io siamo gli ultimi a scendere, benché non abbia alcun motivo di aspettarlo. Luiesegue le solite operazioni, gira manopole e preme interruttori che spengono le varieparti del jet in rapida successione. Una alla volta, le sento sprofondare in una sorta dimorte elettrica, finché non resta soltanto il lieve ronzio delle batterie cariche. Hol’impressione che quel silenzio batta al ritmo del mio cuore, e all’improvviso avverto ilbisogno impellente di scendere dal jet il più in fretta possibile. C’è qualcosa che miterrorizza nel restare da sola con Cal in pieno giorno. Di notte, invece, non c’è nessunaltro che vorrei vedere.

«Dovresti parlare con Kilorn.»La sua voce mi gela sul posto e resto inchiodata a metà della rampa posteriore.«Non voglio.»Sento il calore che aumenta sempre di più, mentre lui si avvicina. «Strano, di solito le

dici molto meglio, le bugie.»Mi volto e mi ritrovo il suo petto davanti. La tuta da volo, integra quando se l’è infilata

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un mese fa, ora presenta diversi segni di usura. Per quanto cerchi di tenersi alla largadalle nostre battaglie, la battaglia è comunque arrivata a toccarlo.

«Conosco Kilorn meglio di te e non c’è niente che io possa dirgli per fargli passare larabbia.»

«Lo sai che chiede sempre di venire con noi?» Ha lo sguardo cupo e le palpebrepesanti; è l’aspetto che ha di solito poco prima di addormentarsi. «Me lo domanda tuttele sere.»

Il tempo trascorso alla Tana mi ha resa più schietta e facile da leggere, come un libroaperto. Non c’è dubbio che Cal riesca a captare la confusione che provo o le mie piccolescosse di gelosia. «È venuto a parlare con te? Non mi rivolge più la parola a causa tua…come cavolo gli salta in mente di…?»

All’improvviso, mi posa le dita sotto il mento e mi fa voltare la testa, costringendomi aguardarlo negli occhi. «Non è con me che ce l’ha. Non è arrabbiato perché noi…»Stavolta è lui a non finire la frase. «Ti rispetta così tanto da lasciarti prendere le tuedecisioni.»

«È quello che ha fatto capire anche a me.»«Ma tu non gli credi.» Il mio silenzio è più eloquente di qualsiasi risposta. «So bene

perché pensi di non poterti fidare di nessuno… per i miei colori, se lo so. Ma non puoiaffrontare tutto quanto da sola. E non dire che hai me, perché sappiamo bene entrambiche non credi nemmeno a questo.» Il dolore nella sua voce per poco non mi abbatte. Glitremano le dita, le sento fremere sulla mia pelle.

Libero il viso dalla sua presa, lentamente. «Non l’avrei detto.» Una mezza bugia. Nonho alcun diritto su Cal e non concederò mai a me stessa di fidarmi di lui, ma allo stessotempo non riesco nemmeno a prendere le distanze dal principe. Ogni volta che ci provo,finisco per tornare sui miei passi.

«Non è un bambino. Non devi più proteggerlo.»Da non crederci: per tutto questo tempo, Kilorn è stato arrabbiato con me solo perché

ho cercato di salvargli la pelle. Mi viene quasi da ridere all’idea. Come ho osato fare unacosa del genere? Come ho osato volerlo tenere al sicuro? «Bene, allora portalo pure con noi, laprossima volta. Lascia che inciampi dritto in una tomba.» So bene che Cal si è accorto chemi trema la voce, ma è così gentile da far finta di ignorarlo. «E poi, da quando in qua tipreoccupi per lui?»

Riesco a malapena a sentire cosa mi risponde, mentre mi allontano. «Non lo dico per ilsuo bene.»

Gli altri, intanto, ci aspettano sulla pista. Farley si fa trovare indaffarata ad assicurarela Nonna al petto di Gareth con un arnese di fortuna preso da uno dei sedili. Shade,invece, si fissa i piedi. A giudicare dallo sguardo severo che ha messo su, direi che hasentito tutto. Mi lancia un’occhiataccia mentre gli passiamo davanti, ma non dice niente.Più tardi mi toccherà sorbirmi un’altra ramanzina, ma non adesso; ora la nostra massimaattenzione è rivolta a Pitarus e a quello che, si spera, sarà un altro reclutamento andato abuon fine.

«Braccia in dentro e testa in giù» sono le istruzioni di Gareth per la Nonna, la quale,sotto i nostri occhi, si trasforma di nuovo, abbandona l’aspetto corpulento del generale

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Laris e riacquista le sembianze di una signora molto più bassa e minuta. Poi riprende asistemarsi le cinture.

«Così sono molto più leggera da trasportare» spiega con una risatina. Dopo giorni egiorni di discorsi seri, seguiti da notti senza riposo, quella scenetta mi fa scoppiare aridere. Non posso farci niente e mi devo coprire la bocca con una mano.

Gareth le dà dei goffi colpetti sulla testa. «Non smetti mai di stupirci, Nonna. Chiudipure gli occhi, se hai bisogno, non c’è problema.»

Ma lei scuote la testa. «Ho passato tutta la vita con gli occhi chiusi» commenta. «Maipiù!»

Quand’ero bambina e sognavo di volare come un uccello, non avrei mai immaginatouna cosa del genere. Gareth non piega le gambe e non irrigidisce alcun muscolo. Non sidà nemmeno una spinta. Al contrario, distende semplicemente i palmi delle mani, liporta in posizione parallela rispetto alla pista e comincia a sollevarsi da terra. La gravitàintorno a lui si è allentata, come se il filo che lo teneva legato al suolo si fosse sciolto.Gareth si innalza verso il cielo, con la Nonna allacciata a sé, e acquista sempre piùvelocità, finché non diventano una macchiolina nell’azzurro. Poi il filo torna a tendersi etrascina quel puntino su e giù all’orizzonte, formando dolci archi regolari: si tende e siallenta, finché i due non scompaiono oltre il crinale più vicino. Da quaggiù sembra quasiuna cosa tranquilla e naturale, ma dubito che la sperimenterò mai sulla mia pelle. Volarecon il jet mi basta e avanza.

Farley è la prima a distogliere lo sguardo dall’orizzonte e torna a concentrarsi sullamissione. Indica la collina sopra di noi, coronata da alberi dalle chiome rosse e dorate.«Andiamo?»

Le rispondo mettendomi in marcia alla guida del gruppo e imposto un passosostenuto che ci porterà in cima alla cresta, per poi valicarla. Stando alla nostra ormaivasta collezione di cartine, dall’altra parte dovremmo trovare il villaggio di minatori diRosen. O almeno quello che ne rimane. Un incendio scoppiato qualche anno fa nelleminiere di carbone ha distrutto l’intero paese e ha costretto rossi e argentei adabbandonare quelle zone molto ricche, ma anche molto instabili. Secondo le letture cheAda ha fatto, sono scappati tutti alla svelta, e questo potrebbe significare una bella dosedi rifornimenti per noi. Al momento, ho intenzione di attraversare il villaggio senzaprendere nulla, poi vedremo cosa possiamo portarci via al ritorno.

Una volta oltrepassato il crinale, la prima cosa che mi colpisce è l’odore acre dellacenere. Pervade la parte occidentale del pendio e si fa sempre più intenso, a mano a manoche scendiamo. Io, Farley e Shade ci copriamo subito il naso con la sciarpa, mentre Calnon è turbato dalle pesanti esalazioni di fumo. O meglio, non dovrebbe esserlo. Invece loannusa, con aria titubante.

«Qualcosa sta ancora bruciando» sussurra, e tiene d’occhio gli alberi. A differenzadell’altro lato del crinale, qui olmi e querce sembrano ormai morti. Hanno poche foglie, iltronco grigio e tra le radici nodose non cresce neanche qualche erbaccia. «In profondità.»

Se Cal non fosse con noi, sarei terrorizzata da quell’incendio sotterraneo e persistente.Ma persino il calore rovente delle miniere non può nulla contro di lui. Il principepotrebbe respingere un’esplosione, se lo volesse, e così andiamo avanti e attraversiamo il

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bosco morente, in un piacevole silenzio.I vari ingressi delle miniere, tappati in modo frettoloso con delle assi, punteggiano il

fianco della collina. Da uno degli accessi esce fumo, una scia di nuvole grigie e opacheche si levano verso il cielo caliginoso. Farley reprime l’istinto di andare a curiosare, manon rinuncia certo ad arrampicarsi sui rami più bassi degli alberi o sulle rocce, perguardarsi meglio intorno. Esplora la zona con circospezione, sempre all’erta. E semprecon Shade nei paraggi, che non le toglie mai gli occhi di dosso. Mi ricordano Julian eSara, due ballerini che si muovono al ritmo di una musica che nessun altro può sentire.

Rosen è il posto più grigio che io abbia mai visto. L’aria è carica di vortici di cenere chericoprono l’intero villaggio come un manto di neve e formano dei cumuli chesommergono gli edifici per gran parte della loro altezza. La caligine soffoca il villaggio inuna coltre di nebbia permanente che offusca addirittura il sole. Ripenso alle baraccopolidegli hi-technici di Grigiofumo, ma a differenza di quell’orribile posto, in cui la vitacontinuava a pulsare come un cuore annerito e indolente, questo luogo è ormai morto datempo, ucciso da un incidente, da una scintilla esplosa nelle viscere della terra. Solo la viaprincipale è rimasta in piedi, un insieme mediocre di negozi di mattoni e casette dilegno. Il resto è collassato o è stato divorato dalle fiamme. Mi chiedo se ci sia anchepolvere di ossa, in tutta quella cenere che respiriamo.

«Non c’è corrente.» Non avverto nulla, nemmeno il segnale di una lampadina. Sentoche la tensione mi si allenta nel petto. Rosen è un villaggio abbandonato da tempo e nonrappresenta alcun pericolo per noi. «Controlliamo le finestre.»

Gli altri seguono il mio esempio e passano le maniche sporche sulle vetrine dei negozi.Do un’occhiata all’interno dell’edificio più piccolo, tra quelli rimasti in piedi; è poco piùgrande di un armadio, schiacciato tra la centrale del villaggio e la scuola semidistrutta.Quando la vista si abitua al buio, mi rendo conto di avere davanti file e file di libri. Stipatisugli scaffali, ammassati in pile disordinate o sparpagliati sul pavimento sudicio. Sorridocontro il vetro, mentre penso al bottino che potrei riportare alla Tana per Ada.

Uno schianto mi fa saltare il cuore in gola. Mi volto di scatto e vedo Farley in piedi difronte alla vetrina di un negozio. Ha un pezzo di legno in mano e ci sono dei vetri rotti aisuoi piedi. «Erano intrappolati» si giustifica, mentre indica qualcosa all’internodell’edificio.

Un attimo dopo, uno stormo di corvi fuoriesce dalla vetrina in frantumi. I volatiliscompaiono ben presto nel cielo livido, ma il loro verso continua a riecheggiare per unbel pezzo. Sembra un pianto disperato di bambini che soffrono.

«Per i miei colori» impreca Cal sottovoce, e scuote la testa rivolto a Farley.Lei scrolla le spalle e gli lancia un sorrisetto beffardo. «Non avrò mica spaventato sua

altezza reale?»Cal fa per rispondere, divertito, ma qualcuno lo interrompe. È una voce che non

conosco e viene da una persona che non ho mai visto.«Non ancora, Diana Farley.» L’uomo sembra materializzarsi dalla cenere. Pelle, capelli

e vestiti sono dello stesso grigio del villaggio fantasma. Gli occhi, invece, sono di un rossosangue luminoso e raccapricciante. «Ma lo farai. Tutti voi lo farete.»

Cal invoca il fuoco, io i fulmini e Farley punta la pistola verso l’uomo grigio. Tuttavia,

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nessuna di queste cose sembra spaventarlo. Al contrario, fa un passo in avanti e il suosguardo cremisi si ferma su di me.

«Mare Barrow» sospira, come se il mio nome gli causasse un dolore immenso. Gli siinumidiscono gli occhi. «Mi sembra di conoscerti da sempre.»

Nessuno di noi si muove, tutti paralizzati alla vista di quell’individuo. Dev’essere lasua espressione, mi dico, o forse i capelli lunghi e grigi. Ha un aspetto molto particolare,persino per noi. Ma non è questo che mi tiene inchiodata sul posto. C’è qualcos’altro chemi rende nervosa, una specie di sesto senso che non riesco a comprendere. Benchél’uomo sembri provato dall’età, incapace di tirare anche solo un pugno, figuriamoci dicombattere con Cal, non posso fare a meno di avere paura di lui.

«Chi è lei?» La mia voce tremolante rimbomba nel villaggio deserto.L’uomo inclina la testa e ci scruta a uno a uno. Il suo sguardo si fa sempre più triste, a

ogni secondo che passa, tanto che penso possa scoppiare a piangere da un momentoall’altro. «I novisangue di Pitarus sono morti. Il re vi aspetta là.» Prima che Cal aprabocca per chiedere quello che tutti noi stiamo pensando, l’uomo grigio alza la mano. «Loso perché l’ho visto, Tiberias. Proprio come ho visto voi arrivare qui.»

«Che intendi con “visto”?» gli ringhia contro Farley, che avanza a passi svelti verso dilui. Stringe ancora in mano la pistola, pronta a usarla. «Parla!»

«Che caratterino, Diana!» la rimbrotta l’uomo, mentre la schiva a una velocitàdisarmante. Lei lo osserva sbigottita, poi gli si scaglia contro per agguantarlo. Ma luiriesce di nuovo a scansarla.

«Farley, fermati!» Resto anch’io sorpresa dal mio stesso ordine. Lei mi fulmina, maobbedisce e si apposta alle spalle di quello strano individuo. «Come si chiama, signore?»

Anche il sorriso dell’uomo è grigio come i suoi capelli. «Questo non ha alcunaimportanza. Il mio nome non è sulla vostra lista. Io vengo da oltre i confini del regno.»

Prima che io abbia modo di chiedergli come faccia a sapere della lista di Julian, Farleyprende la rincorsa e salta in aria a tutta velocità, senza fare il minimo rumore. L’uomo,voltato di spalle, non può vederla, eppure si sposta con agilità dalla sua traiettoria. Farleycade di faccia nella cenere e impreca, ma si rialza in piedi all’istante. Ora gli tiene lapistola puntata sul cuore. «Sai schivare anche questo?» ruggisce mentre carica l’arma.

«Non ce ne sarà bisogno» ribatte l’uomo con un sorrisetto ironico. «Non è vero,signorina Barrow?»

Ma certo. «Farley, lascialo andare. È un novosangue anche lui.»«Sei… sei un lungimirante» farfuglia Cal, e avanza con passo incerto lungo la strada

ricoperta di cenere. «Puoi vedere il futuro.»L’uomo risponde con un gesto di scherno. «I lungimiranti vedono solo quello che

cercano. Il loro campo visivo è più ristretto di un filo d’erba.» Ci fissa di nuovo con quelsuo sguardo triste e scarlatto.

«Io, invece, vedo tutto.»

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21

Solo dopo che lo abbiamo seguito all’interno della carcassa bruciata della taverna diRosen, l’uomo grigio ricomincia a parlare e si presenta, mentre noi ci accomodiamointorno a un tavolo carbonizzato. Ha un nome sorprendentemente semplice. Jon. Ma è lapresenza più inquietante con cui io abbia mai avuto a che fare. Ogni volta che puntaquegli occhi color sangue su di me, ho la netta sensazione che riesca a guardarmi dentro,mettendosi in contatto con quella cosa malconcia che un tempo era il mio cuore. Eppure,tengo i miei pensieri per me, se non altro per dare modo a Farley di esprimere le proprierimostranze. Lei alterna grida a brontolii e continua a ribadire che non possiamo fidarcidi quello strano uomo comparso dal nulla in mezzo alla cenere. In un paio di occasioni,Shade è costretto a intervenire per calmarla e le posa le mani sulle braccia per tenerlaferma. Jon assiste a tutto questo con un sorriso teso e la fissa con sguardo intimidatorio,mentre lei prosegue con le sue lamentele. L’uomo riprende a parlare solo quando Farleysi decide finalmente a chiudere il becco.

«Vi conosco molto bene tutti e quattro, quindi possiamo saltare le presentazioni»esordisce, e tende la mano verso Shade. Mio fratello emette un suono strozzato e si tiraindietro. «Vi ho trovati perché sapevo dove sareste andati. Non ci è voluto molto a farcoincidere il mio tragitto con il vostro» aggiunge spostando lo sguardo verso Cal, chesbianca all’istante. Ma Jon non si sofferma più di tanto su di lui. Fissa me, piuttosto, e ilsuo sorriso si addolcisce un po’. Sarebbe un ottimo acquisto, benché piuttosto inquietante, devoammettere. «Non ho alcuna intenzione di venire con voi alla Tana, signorina Barrow.»

Stavolta sono io a rimanere a bocca aperta. Prima che riesca a riprendermi e chiederglicome abbia fatto, Jon mi risponde di nuovo ed è come una pugnalata fredda in pienostomaco. «No, non so leggere nel pensiero, ma riesco a prevedere cosa sta per succedere.Cosa state per dire, per esempio. Così facciamo prima.»

«Ma che efficienza!» gracchia Farley. È l’unica a non essere rimasta sbalorditadall’uomo. «Perché non ci racconti quello che sei venuto a dirci e la facciamo finita? Anzi,meglio ancora, dicci direttamente cosa succederà.»

«Il tuo sesto senso funziona alla grande, Diana» le risponde Jon mentre china la testagrigia. «I vostri amici, la donna che si trasforma e il tizio che vola, torneranno presto.Hanno incontrato resistenza nel Centro di sicurezza di Pitarus e avranno bisogno di curemediche. Nulla che Diana non sia in grado di gestire, mentre sarete in volo sul vostrojet.»

Shade fa per schizzare in piedi, ma Jon gli fa cenno di restare seduto. «Tranquillo, c’èancora tempo. Il re non ha alcuna intenzione di farli seguire.»

«E perché no?» domanda Farley scettica.Gli occhi cremisi dell’uomo incontrano i miei e sembrano dirmi che tocca a me

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rispondere. «Gareth può volare, cosa che nessun argenteo è in grado di fare. E Maven nonvuole assolutamente che venga visto in giro, nemmeno dai suoi soldati più fedeli.» Cal,accanto a me, annuisce in silenzio: conosce suo fratello tanto, o – sarebbe il caso di dire –poco, quanto me. «Ha raccontato a tutto il regno che i novisangue non esistono e non haalcuna intenzione di cambiare la sua versione dei fatti.»

«Uno dei suoi tanti errori» osserva Jon con voce lontana e sognante. Moltoprobabilmente sta osservando un futuro remoto che nessuno di noi può comprendere.«Ma lo scoprirete presto.»

Mi aspetto che Farley inveisca contro l’ennesima frase sibillina, ma Shade la batte sultempo. Si sporge in avanti, con le mani sul tavolo, e sovrasta Jon. «Sei venuto qui per fartibello? O per farci perdere tempo?»

Non posso fare a meno di chiedermelo anch’io.Ma l’uomo resta impassibile di fronte alla rabbia che mio fratello cerca di controllare.

«In effetti è proprio così, Shade. Ancora pochi chilometri e i lungimiranti di Maven viavrebbero visti arrivare. Avresti forse preferito cadere nella sua trappola? Lo ammetto:posso vedere le azioni, non i pensieri. Forse volevi essere catturato e giustiziato, questonon lo so.» Ci scruta tutti, a uno a uno, il suo tono è sorprendentemente spensierato.Increspa un angolino della bocca e abbozza un mezzo sorriso. «La missione di Pitarus sisarebbe conclusa con la morte e con destini addirittura peggiori.»

Destini peggiori. Sotto il tavolo, Cal mi stringe la mano, come se percepisse il tremito diterrore che mi attanaglia lo stomaco. Senza farci caso, apro il palmo verso di lui e lascioche le sue dita trovino le mie. Non voglio neanche domandare quali destini peggiorifossero previsti per noi. «Grazie, Jon.» La voce mi esce densa di paura. «Per avercisalvato.»

«Tu non hai salvato proprio un bel niente» si affretta a intervenire Cal, e serra la presasulla mia mano. «Qualsiasi altra decisione presa lungo il cammino avrebbe potutocambiare quello che hai visto. Un passo falso nel bosco o il battito di ali di un uccello. Sobene come vedono le persone come te e quanto può rivelarsi sbagliata una delle vostreprofezie.»

Il sorriso di Jon si fa sempre più marcato e gli taglia in due la faccia, il che fa infuriareCal quasi quanto l’essere chiamato con il suo nome di battesimo. «Vedo più lontano e piùchiaro di qualsiasi argenteo tu abbia mai conosciuto. Ma sarai tu a scegliere se ascoltarequello che ho da dire. Anche se poi finirai con il credermi» aggiunge con un occhiolino.«Più o meno quando vedrai la prigione. Julian Jacob è un vostro amico, se non sbaglio?»

Ora a tremare sono le mani di entrambi.«S-sì» balbetto con occhi spalancati e pieni di speranza. «È ancora vivo, non è vero?»Lo sguardo di Jon si fa di nuovo distante e prende a borbottare tra sé e sé parole

incomprensibili, annuendo di tanto in tanto. Contrae le dita sul tavolo e le muove avantie indietro come un rastrello che dissoda la terra.

Rimugina su qualcosa, ma cosa?«Sì, è vivo. Ma è stato condannato a morte, così come…» Fa una pausa, riflette. «Sara

Skonos.»Gli attimi successivi si svolgono in modo strano: Jon risponde a tutte le nostre

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domande prima ancora che queste ci escano dalla bocca. «Maven ha intenzione diannunciare le esecuzioni per piazzare un’altra trappola diretta a te e ai tuoi. Si trovanonella prigione di Corros. Non è abbandonata, Tiberias, è stata ristrutturata perimprigionarvi degli argentei. Pietra silente alle pareti, armatura in vetrodiamante esoldati di guardia. No, tutto questo non soltanto per Julian e Sara. Ci sono anche altridissidenti, in quelle celle, incarcerati per aver contestato il nuovo re o aver contrariatosua madre. I membri del casato Lerolan, così come quelli del casato Iral, si sono rivelatiparticolarmente ostili. E i prigionieri novisangue stanno dando prova di essere pericolositanto quanto quelli argentei.»

«Novisangue?» Non riesco a trattenermi e interrompo la raffica di risposte di Jon, cheriprende subito a parlare.

«Quelli che non siete mai riusciti a trovare, quelli che avete creduto morti. Sono statiportati via per essere analizzati, esaminati, ma lord Jacos si è rifiutato di studiarli.Persino dopo le tante… richieste persuasive.»

Sento il sapore della bile che mi sale in bocca. Non può che voler dire torture.«Ci sono cose ben peggiori del dolore, signorina Barrow» commenta Jon con

tenerezza. «I novisangue sono ormai alla mercé della regina Elara. Ha intenzione diusarli… e con precisione.» Sposta lo sguardo e incrocia quello di Cal, con cui si scambiaun’occhiata di dolorosa comprensione. «Se non li fermerete in tempo, la regina e suofiglio sfrutteranno i prigionieri come armi contro gli stessi novisangue. Il che sarebbeuna deriva davvero troppo, troppo oscura. Non dovete permettere che questo accada.»Affonda le unghie rotte e sporche nel tavolo e traccia dei solchi profondi nel legnoannerito. «Non dovete.»

«Che succede se riusciamo a liberare Julian e gli altri?» chiedo, e mi sporgo in avantisulla sedia. «Riesci a vederlo?»

Non sono in grado di capire se mente. «No. Vedo solo il sentiero presente e il puntolontano in cui conduce. Per esempio, ora vedo te che sopravvivi alla trappola di Pitarusper poi morire quattro giorni dopo. Indugiate troppo prima di compiere l’assalto aCorros. No, aspetta, è appena cambiato, ora che te l’ho detto.» Sfoggia l’ennesimo sorrisostrano, triste. «Mmm.»

«Ma che stupidaggine» sbotta Cal mollando la presa sulla mia mano. Si alza in piedi econ voce grave e decisa, come il rombo di un tuono, aggiunge: «Si diventa matti a furia diascoltare previsioni come le tue. La conoscenza di un futuro incerto porta alla rovina».

«L’unica prova che abbiamo è la tua parola» interviene Farley. Per una volta si trovad’accordo con Cal, e la cosa stupisce entrambi. Lei calcia indietro la sedia con una mossaveloce e violenta. «Insieme a un paio di trucchetti da quattro soldi.»

Trucchetti. Anticipare tutto ciò che avremmo detto e prevedere gli attacchi di Farleyprima ancora che lei si muovesse non mi sembrano proprio dei trucchetti. Però è moltopiù facile credere che quello che Jon fa e dice sia impossibile. È lo stesso motivo per cui lagente ha creduto alle bugie che Maven ha messo in giro sul mio conto e sui novisangue.Molte persone hanno visto il mio potere con i loro occhi, eppure hanno scelto di fidarsi diquello che erano in grado di capire, invece che della verità. La pagheranno cara per la lorostupidità e io di certo non commetterò lo stesso errore. C’è qualcosa in Jon che mi scuote

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e il mio istinto mi dice di avere fiducia, se non nell’uomo, almeno nelle sue visioni. Ciòche dice è vero, anche se il motivo che lo spinge a rivelarcelo potrebbe essere tutt’altroche onorevole.

Quel suo sorriso esasperante si affievolisce e si tramuta in un cipiglio che rivela uncarattere irascibile. «Vedo la corona gocciolare sangue. Una tempesta senza tuoni.Un’ombra agitarsi in un letto di fiamme.» Cal contrae la mano lungo il fianco. «Vedolaghi inondare le rive e inghiottire uomini in un attimo. Ne vedo uno, in particolare, diuomo, con un occhio rosso, un cappotto blu e la pistola fumante…»

Farley batte un pugno sul tavolo. «Adesso basta!»«Io gli credo.» Quelle parole hanno un sapore strano.Non riesco a fidarmi dei miei stessi amici, eppure eccomi qui, ad allearmi con un

maledetto sconosciuto senza pensarci due volte. Cal mi guarda come se mi fossespuntata di colpo un’altra testa, i suoi occhi urlano una domanda che non osa fare a vocealta. Io posso solo alzare le spalle ed evitare il peso cocente degli occhi rossi di Jon, chescrutano ed esaminano ogni centimetro della sparafulmini. Per la prima volta, dopo tantotempo, vorrei avere un’armatura di seta e argento, e l’aspetto del leader che fingo diessere. Invece, non faccio altro che tremare nel mio maglione consunto, sotto cui cerco dinascondere ossa e cicatrici. Per fortuna, Jon non può vedere il marchio che porto, anchese qualcosa mi dice che ne è comunque al corrente.

Coraggio, Mare Barrow. Chiamo a raccolta tutte le mie forze, alzo il mento e mi sistemomeglio sulla sedia, voltando di fatto le spalle ai miei compagni. Jon mi sorride in quellaluce funerea.

«Dove si trova la prigione di Corros?»«Mare…»«Puoi scaricarmi lungo la strada» sbotto svelta contro Cal, senza preoccuparmi delle

conseguenze del mio colpo verbale. «Non li lascio certo lì perché diventino le marionettedi Elara. E non abbandono Julian, non di nuovo.»

Le rughe sul volto di Jon si fanno profonde e rivelano tanti decenni di sofferenze.Nascosta sotto i segni del tempo e i capelli grigi c’è una persona più giovane di quantopensassi. Quanto deve aver visto per arrivare a ridursi così? “Tutto” capisco. “Ognisingola cosa orribile o meravigliosa che sia mai accaduta. La morte, la vita e tutto quelloche c’è in mezzo.”

«Sei esattamente come credevo che fossi» mi sussurra mentre mi copre le mani con lesue. Sotto la sua pelle si intravede una rete di vene blu e viola, piene di sangue rosso.Quella vista mi dona un tale sollievo. «Sono felice di averti incontrata.»

Gli rispondo con un sorriso tenue ma cortese; è il massimo che io possa fare. «Dov’è laprigione?»

«Non ti lasceranno andare da sola.» Jon lancia un’occhiata alle mie spalle. «Ma questolo sappiamo entrambi, non è vero?»

Una vampata di calore mi invade le guance e mi trovo costretta ad annuire.Jon fa altrettanto e sposta lo sguardo sul tavolo. Assume di nuovo un’espressione

sognante e mi lascia andare le mani. Si alza con aria incerta e intanto continua a guardarequalcosa che noi non possiamo vedere. Poi tira su con il naso e si sistema il colletto,

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esortandoci a fare lo stesso.«Piove» ci avvisa un attimo prima che uno scroscio d’acqua si rovesci sul tetto sopra di

noi. «Peccato che dobbiamo camminare.»

Quando arriviamo al jet, dopo aver camminato nel fango, sotto la pioggia battente, misento un topolino mezzo annegato. Jon mantiene sempre un passo costante e ci faaddirittura rallentare un paio di volte per “dar modo alle cose di allinearsi”, come dicelui.

Pochi secondi dopo aver intravisto il jet, capisco cosa intende. Gareth scende giù dalcielo, come una lenta meteora dai vestiti zuppi e impregnati di sangue. Atterra senzagrossi problemi e il fagotto che tiene in braccio, un neonato a quanto sembra, schizza inaria trasformandosi davanti ai nostri occhi. La Nonna piomba a terra in modo brusco,mette male i piedi e finisce con tutto il peso su un ginocchio. Shade le è subito accantoper sorreggerla, mentre Farley si porta il braccio di Gareth sulle spalle. Lui si appoggia alei riconoscente e trascina la gamba insanguinata e fuori uso.

«Ci hanno teso un’imboscata a Pitarus» grugnisce tra la rabbia e il dolore. «La Nonnase l’è cavata senza neanche un graffio, io invece sono stato circondato. Ho dovutocapovolgere un intero isolato della città per riuscire a svignarmela.»

Benché Jon ci abbia assicurato che nessuno li avrebbe seguiti, non posso fare a menodi fissare il cielo scuro. Ogni sbuffo di nuvola mi sembra un altro jet in avvicinamento,ma non sento né percepisco nulla, al di là del rombo lontano dei tuoni.

«Non verrà nessuno, signorina Barrow» mi tranquillizza Jon sovrastando il rumoredella pioggia. Il suo folle sorriso è tornato.

Gareth lo osserva, confuso, ma fa di sì con la testa. «Non credo che ci abbiano seguiti»conferma in un rantolo di dolore.

Farley migliora la presa e si carica in spalla quasi tutto il suo peso. Per quanto siaconcentrata ad aiutare Gareth a raggiungere il jet, non distoglie lo sguardo da Jonnemmeno per un istante. «E la piccola bestia era lì?»

Gareth annuisce. «C’erano le sentinelle, quindi il re non doveva essere troppolontano».

Lei impreca, ma non si capisce con chi sia più arrabbiata. Se con Maven, per aver tesoun’imboscata ai nostri amici, o con Jon per averci azzeccato.

«La gamba sembra messa peggio di quanto sia in realtà» grida Jon sopra il rumoredella pioggia. Indica Gareth mentre Farley lo aiuta a salire la rampa del jet. Poi punta ildito verso la Nonna, ancora rannicchiata accanto a Shade. «È stremata e ha freddo. Unpaio di coperte dovrebbero bastare.»

«Non sono mica una vecchia bacucca da avvolgere in una coperta e dimenticare in unangolo» gli ringhia contro la Nonna da terra. Si alza in piedi più in fretta che può e loincenerisce con lo sguardo. «Lasciami camminare, Shade, o ti tartasso di rimproveri finoa farti svenire.»

«Come vuoi, Nonna» borbotta Shade, che trattiene a stento un sorrisetto divertito,intanto che la donna gli marcia impettita davanti. Lui le lascia ampio spazio di manovra,ma resta sempre a distanza ravvicinata. La Nonna sale fiera sul jet, a testa alta e con la

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schiena dritta come un fuso.«L’hai fatto apposta» ringhia Cal mentre passa accanto a Jon e gli tira una spallata. Il

principe si dirige verso il jet senza voltarsi, neanche quando l’uomo grigio scoppia in unafragorosa risata alle sue spalle.

«E ha funzionato» risponde Jon, a voce talmente bassa che solo io riesco a sentirlo.Fidati delle visioni, non dell’uomo.Una bella lezione da imparare.«Cal non ama particolarmente questi giochetti psicologici» lo metto in guardia e gli

punto un dito contro. Concentro una scarica elettrica sul polpastrello dell’indice: laminaccia è evidente. «E nemmeno io.»

«Io non gioco mai.» Jon scrolla le spalle e si tamburella la tempia. «Neanche dabambino. Sai com’è, era un po’ difficile per me trovare dei validi avversari.»

«Non è quello…»«So benissimo cosa intendevi, signorina Barrow.» Quel suo sorrisetto tranquillo, prima

inquietante, ora mi crea frustrazione. Giro i tacchi e faccio per raggiungere il jet, ma dopopochi passi mi accorgo che Jon non mi segue.

Fissa la pioggia, con occhi grandi e luminosi. Non sta avendo una visione. Se ne stasemplicemente fermo a godersi la sensazione dell’acqua fredda e pulita che gli libera lapelle dalla cenere.

«Ed è qui che ci separiamo.»L’energia del jet che riprende vita mi rimbomba nel petto, eppure la sento così lontana

e insignificante. Riesco solo a fissare Jon. Sembra che stia per svanire, nella luce offuscatadal nubifragio. Grigio come la cenere, grigio come la pioggia, fugace come entrambe lecose.

«Pensavo che ci avresti dato una mano con la prigione.» La mia voce è sopraffatta dalladisperazione e non faccio nulla per nasconderlo. Ma questo non sembra sortire alcuneffetto su Jon, così cambio tattica. «Maven sta dando la caccia anche a te. Vuole uccideretutti quelli come noi e ti farà fuori non appena ne avrà l’occasione.»

L’uomo scoppia in una risata talmente fragorosa che è costretto a piegarsi in due.«Credi davvero che non sappia quando morirò? Lo so bene, signorina Barrow, e non saràper mano del re.»

Serro i denti, irritata. Come può lasciarci così? Tutti gli altri hanno scelto di lottare. Perchélui no? «Sai bene che avrei modo di farti venire con noi.»

Nel grigiore dell’acquazzone, i miei fulmini sembrano scintillare più del solito. Saetteviola e bianche sibilano nella pioggia, si dimenano tra le mie dita e mi procurano brivididi piacere lungo la schiena.

Jon sorride di nuovo. «Lo so, ma so anche che non lo farai. Non temere, signorinaBarrow, ci incontreremo di nuovo.» Inclina la testa, pensieroso. «Sì, succederà.»

Sto solo facendo quello che ho promesso. Gli sto dando la possibilità di scegliere. Eppure, mici devo mettere d’impegno per non trascinarlo con me dentro il jet. «Abbiamo bisogno dite, Jon!»

Ma lui ha già cominciato a indietreggiare. Diventa sempre più difficile intravederlo.«Fidati se ti dico che non è così. Ti lascio queste istruzioni: volate verso la periferia di

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Siracas, fino al Lago della Piccola Spada. Proteggete quello che troverete lì, altrimenti ivostri amici in prigione saranno spacciati.»

Siracas, Lago della Piccola Spada. Ripeto quelle parole tra me e me per memorizzarle.«Non domani, non stasera, ma ora. Dovete partire ora.»Il rombo del jet aumenta e fa tremare anche l’aria intorno a noi. «Cosa dobbiamo

cercare?» urlo per sovrastare quel frastuono alzando la mano per ripararmi il viso dallapioggia turbinante. È davvero fastidiosa, ma mi costringo comunque a tenere gli occhiaperti, anche solo per lanciare un ultimo sguardo all’uomo grigio.

«Lo capirete!» sento in quel diluvio. «E parla con Diana, se dovesse avere dei dubbi.Dille che la risposta alla sua domanda è “sì”.»

«Quale domanda?»Ma lui alza un dito, quasi a volermi rimproverare. «Pensa al tuo destino, Mare Barrow.»«E cioè?»«Sorgi. E fallo da sola.» Quella frase mi risuona nelle orecchie come l’ululato di un

lupo. «Vedo quello che potresti diventare, non più fulmine, ma tempesta. Una tempestache inghiottirà il mondo intero.»

Per un attimo, ho come l’impressione che gli si siano illuminati gli occhi, due fari rossisu sfondo grigio che mi bruciano dentro e prevedono ogni futuro. Le sue labbra formanodi nuovo quel sorriso esasperante e lasciano che il bagliore dei suoi denti si rifletta nellaluce argentea intorno a noi. Poi svanisce.

Salgo sul jet sola e furibonda, e Cal ha il buonsenso di lasciarmi sbollire in santa pace.Soltanto la disperazione è più forte della rabbia. Sorgi da sola. Da sola. Mi affondo leunghie nel palmo della mano, nel tentativo di scacciare la tristezza con il dolore. I destinipossono cambiare.

Farley non ha lo stesso tatto di Cal. Impegnata a bendare la gamba di Gareth, con ledita appiccicose di sangue scarlatto, alza lo sguardo e commenta sprezzante: «Megliocosì, tanto quel vecchio pazzo non ci serviva di certo».

«Quel vecchio pazzo avrebbe potuto vincere la guerra in un lampo.» Shade le dà uncolpetto sulla spalla e si guadagna per tutta risposta un’occhiataccia. «Pensa a cosa è ingrado di fare con la sua abilità.»

Dal sedile del pilota, Cal mi scruta in cagnesco. «Ha già fatto abbastanza.» Mi osservamentre prendo posto accanto a lui ancora in ebollizione. «Hai davvero intenzione diassaltare una prigione segreta, costruita per gente come noi?»

«Preferisci lasciar morire Julian?» Nessuna risposta, solo un sibilo leggero. «Ecco,proprio come pensavo.»

«D’accordo, allora» sospira, e il jet comincia a muoversi. Le ruote sobbalzano sulterreno irregolare sotto di noi. «Dobbiamo ricompattarci, buttare giù un piano insieme.Chiunque voglia venire è il benvenuto, ma niente bambini.»

«Niente bambini» concordo. La mente vola a Luther e agli altri piccoli novisanguerimasti alla Tana. Troppo giovani per combattere, ma non abbastanza per essererisparmiati dalle grinfie di Maven. A loro non piacerà essere lasciati indietro, ma so benequanto Cal tenga a quei bambini. Non permetterà a nessuno di loro di vedere il latosbagliato di un’arma da fuoco.

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«Di qualunque cosa stiate parlando, io ci sto.» Gareth lancia un’occhiata verso di noi etiene i denti stretti per combattere il dolore alla gamba. «Anche se non mi dispiacerebbesapere per cosa mi sto arruolando.»

La Nonna gli dà un buffetto con la mano ossuta, in segno di scherno. «Adesso non èche perché ti hanno sparato a una gamba puoi permetterti di non stare attento. Si trattadi irrompere in una prigione.»

«Ben detto, Nonna» commenta Farley. «Un’impresa disperata, secondo il mio modestoparere. Fidarsi delle parole di uno psicopatico.»

Con quella frase, passa la voglia di scherzare anche alla Nonna, che mi guarda comesolo una nonna sa fare. «È così, Mare?»

«“Psicopatico” mi pare un tantino esagerato» borbotta Shade, che però non negaquello che tutti stanno pensando. Sono l’unica a credere a Jon, e loro si fidano di me a talpunto da seguirmi. «Ciò che ha detto su Pitarus si è rivelato esatto, così come tutte lealtre cose. Perché dovrebbe mentire proprio sulla prigione?»

Sorgi e fallo da sola.«Non ha mentito!»Il mio grido zittisce tutti e resta solo il rombo familiare dei motori, che aumenta fino a

diventare un sordo ruggito che fa vibrare il jet, mentre il terreno sotto di noi sprofondaverso il basso. La pioggia riga i vetri e non si vede niente, ma Cal è un bravo pilota e nonci fa precipitare. Dopo qualche secondo, ci immergiamo nelle nuvole grigio piombo perpoi sbucare di nuovo fuori, alla luce del sole di mezzogiorno. È come liberarsi di unazavorra.

«Portaci al Lago della Piccola Spada» mormoro. «Jon ha detto che lì troveremoqualcosa, qualcosa che ci aiuterà.»

Mi aspetto altre proteste, ma nessuno osa contraddirmi. Non è saggio far infuriare unasparafulmini mentre si vola all’interno di un tubo metallico.

I tuoni rimbombano sotto di noi, dentro le nuvole, e annunciano i fulmini che sipreparano a scatenarsi nella tempesta. Enormi saette si scagliano al suolo e io le sento,una per una, come se fossero un’estensione di me stessa. Sono fluide, eppure taglienticome il vetro, in grado di incenerire qualsiasi cosa si trovi sul loro cammino. Il Lago dellaPiccola Spada non è molto lontano; si trova oltre il margine settentrionale della tempestae riflette come uno specchio il cielo che va pian piano schiarendosi. Cal lo sorvola unavolta e si mantiene abbastanza in alto da restare nascosto tra le nuvole. Poi individua unapista d’atterraggio mezza nascosta dagli alberi che ricoprono le colline intorno al lago.Appena atterriamo, scatto su in piedi, anche se non ho la minima idea di cosa stocercando.

Shade mi segue a ruota, mentre mi precipito giù per la rampa, impaziente diraggiungere il lago. Se la memoria non mi inganna, dovrebbe essere a poco più di unchilometro da qui, verso nord. Lascio che la mia bussola interiore prenda il sopravvento,ma non arrivo nemmeno alla prima fila di alberi, che un rumore familiare mi inchiodasul posto.

Il clic di una pistola.

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22

Tiene la pistola nel modo sbagliato. Lo capisco persino io. È un’arma di metallo nera elucente, con una canna lunga circa trenta centimetri: è troppo grande per lei. È fatta perstare nelle mani di un soldato esperto, non in quelle di una ragazzina esile e tremante.“Forse è proprio un soldato” mi rendo conto con fredda chiarezza. “Un’argentea.” Lapistola è molto simile a quella con cui una sentinella mi ha sparato, molto tempo fa, nelleprigioni nascoste nelle viscere della Casa del Sole. Quel proiettile mi ha colpito come unamartellata e mi si è conficcato nella pancia. Se non fosse stato per Julian e un guaritorecurasangue sotto il suo controllo, sarei morta. Malgrado la mia abilità, alzo le mani, con ipalmi ben in vista, in segno di resa. Sarò anche la sparafulmini, ma non sono certoimmune ai proiettili. Lei, però, interpreta la mia mossa come un gesto di sfida, anziché disottomissione. Si irrigidisce, ha una gran voglia di premere il grilletto, proprio sotto ilsuo dito.

«Non ti muovere» mi intima, e fa addirittura un altro passo verso di me. La suacarnagione, di un colore ricco e profondo come il mogano, le permette di mimetizzarsialla perfezione con i tronchi scuri della foresta. Eppure, riesco lo stesso a intravedere ilcolorito rossastro sulle sue guance e la fitta rete di venuzze scarlatte che le irrorano laparte bianca degli occhi. Resto senza fiato. È una rossa. «Non pensarci nemmeno.»

«Non faccio niente» le dico inclinando la testa. «Ma non posso garantire per lui.»Lei resta interdetta, confusa. Non ha neppure il tempo di avere paura. Shade le

compare alle spalle, materializzandosi dal nulla, e la immobilizza con una mossa da veroesperto. La pistola le cade di mano e io la raccolgo al volo, ancor prima che tocchi ilterreno roccioso. Lei sbraita e si divincola, ma con Shade che la tiene bloccata non puòfare altro che inginocchiarsi. Si piega anche lui insieme a lei, mentre continua a tenerlaferma, con un’espressione severa. Quella ragazzina pelle e ossa non può nulla contro miofratello.

Stringere in mano la pistola mi fa uno strano effetto. Non è il mio genere di arma: nonho mai neanche sparato in vita mia. Mi viene quasi da ridere a pensarci. Essere arrivatafin qui senza avere esploso un solo colpo.

«Toglimi quelle manacce argentee di dosso!» ringhia la ragazzina mentre cerca diliberarsi dalla presa di Shade. Non è forte, ma potrebbe sgusciare via facilmente, conquei muscoli lunghi e asciutti che si ritrova. Farla stare ferma è come cercare diimmobilizzare un’anguilla. «Io là non ci torno! Non ci torno! Dovrete uccidermi!»

Delle scintille mi attraversano la mano vuota, mentre con l’altra tengo ancora stretta lapistola. La vista dei miei fulmini la paralizza all’istante. Muove soltanto gli occhi e lispalanca in preda al terrore.

Tira fuori la lingua alla svelta per inumidirsi le labbra secche e screpolate. «Lo sapevo,

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ti avevo riconosciuta.»Il calore di Cal lo precede e mi avvolge in un caldo tepore ancor prima che il principe

si precipiti al mio fianco. Dalle dita gli scaturiscono fiamme blu per la paura, ma siaffievoliscono poco dopo, non appena scorge la ragazzina.

«Ho un regalo per te» annuncio, e gli passo la pistola. Lui la osserva e ci vedeesattamente quello che ci ho visto io.

«Come te la sei procurata questa?» chiede mentre si accovaccia per guardare negliocchi la ragazza. Quei modi freddi e risoluti mi riportano con la mente all’ultima volta incui l’ho visto interrogare qualcuno. Il ricordo delle urla e del sangue ghiacciato di Farleymi rivolta tuttora lo stomaco. Non ricevendo alcuna risposta, Cal si irrigidisce e diventaun fascio di muscoli. «La pistola! Come?!»

«L’ho presa!» sbotta la ragazza furiosa e riprende a dimenarsi. Le scricchiolano learticolazioni a ogni movimento.

Io fremo insieme a lei e fisso mio fratello negli occhi. «Lasciala andare, Shade. Credoche sia tutto sotto controllo.»

Lui annuisce, lieto di poter liberare quella ragazzina scalmanata. Appena la lascia, leiincespica in avanti, ma si riprende prima di stramazzare a terra e schiva decisa Cal, checerca di aiutarla. «Non mi toccare, brutta lordità.» Mette in mostra i denti scintillanti esembra quasi che lo voglia azzannare.

«Lordità?» borbotta Cal sottovoce, confuso quanto la ragazza.In piedi davanti a lei, Shade socchiude gli occhi e capisce. «Lordità… Lord… Argenteo!

È il gergo dei bassifondi» ci spiega. «Da quale città vieni?» le chiede con un tono moltopiù gentile rispetto a quello di Cal. Questo disorienta la ragazza, che per un attimoosserva Shade con gli occhi neri iniettati di paura. Poi torna a fissare me, comeipnotizzata dalle piccole scintille che mi sfavillano tra le dita.

«Da Nuovofumo» risponde infine. «Mi hanno prelevata a Nuovofumo.»Mi rannicchio anch’io accanto a lei, così da poterla studiare meglio. È proprio il

contrario di me: alta e slanciata, mentre io sono bassa; i suoi capelli, raccolti in tantetreccine, sono di un nero petrolio lucente, invece i miei sono di un marrone sbiadito conqualche sfumatura grigia. È più piccola di me, glielo leggo in faccia. Quindici, sedici annial massimo, ma il suo sguardo rivela una stanchezza ingiustificata e inspiegabile, per lasua giovane età. Ha le dita lunghe e storte: i macchinari devono avergliele spezzate unnumero spropositato di volte. Se viene dalla baraccopoli di Nuovofumo, allora è una hi-technica, costretta a lavorare nelle fabbriche e nelle catene di montaggio di una città natanel fumo. Ha dei tatuaggi sul collo, ma non sono simboli scontati come l’ancora diCrance. “Ci sono anche delle cifre” mi rendo conto. NF-ARPP-188907. Caratteri grandi ecorposi, alti almeno cinque centimetri, che le arrivano fino a metà gola.

«Non è un granché, non è vero, sparafulmini?» mi sfida non appena si accorge del miosguardo fisso sul tatuaggio. Il disprezzo trasuda dalle sue parole, come veleno dai dentidi un serpente. «E a te non piace occuparti delle cose sgraziate.»

Ha assunto un tono graffiante e sono sempre più tentata di mostrarle quanto possoessere sgraziata io, se lo voglio. Tuttavia, decido di mettere a frutto gli insegnamentiricevuti a corte e mi comporto come molti altri si sono comportati con me: le rido in

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faccia. Sono io ad avere il coltello dalla parte del manico, e questo deve esserle chiaro. Lasua espressione si fa ancora più aspra, infastidita dalla mia reazione.

«L’hai presa da un argenteo?» insiste Cal indicando la pistola. Non fa nulla permascherare la propria incredulità. «Chi ti ha aiutata?»

«Nessuno. Dovresti saperlo bene» ribatte. «Ho dovuto fare tutto da sola. L’agenteEagrie non mi ha vista arrivare.»

«Che cosa?» È solo per via delle lezioni di Lady Blonos che evito di restare a boccaaperta. Una guardia del casato Eagrie, quello dei lungimiranti. Sono tutti in grado divedere l’immediato futuro, una specie di versione minore di Jon. Persino per un argenteoè quasi impossibile riuscire ad attaccarli senza che loro lo sappiano in anticipo,figuriamoci per una ragazzina rossa. Non è possibile.

Lei si limita a scrollare le spalle. «Pensavo che gli argentei fossero tosti, invece è statoun gioco da ragazzi. E combattere è stato meglio che restare a marcire in cella. Adaspettare che mi capitasse qualsiasi cosa avessero in mente per me.»

In cella.Casco all’indietro, sbalordita. «Sei scappata dalla prigione di Corros.»I nostri sguardi si incrociano e vedo che le trema il labbro inferiore. È l’unico segnale

di paura che lascia trasparire, sotto quella maschera di rabbia.Cal mi afferra per il gomito e mi aiuta a tirarmi su. «Come ti chiami?» le chiede con un

tono leggermente più gentile. La tratta come un animale impaurito, cosa che lainfastidisce all’inverosimile.

Scatta in piedi in un lampo, con i pugni chiusi, e le si gonfiano le vene sulle braccia,piene di cicatrici accumulate negli anni di lavoro in fabbrica. Socchiude gli occhi e, per unistante, temo che possa fuggire via. Invece, punta i piedi a terra e raddrizza la schienacon orgoglio.

«Mi chiamo Cameron Cole e, se non vi spiace, ora me ne andrei per la mia strada.»È più alta di me, graziosa ed elegante come una dama di corte. Se mi metto dritta, le

arrivo a malapena al mento, eppure quel guizzo di paura non la abbandona. Sabenissimo chi e che cosa sono.

«Cameron Cole» ripeto. Mi torna alla mente la lista di Julian e con essa il suo nome etutte le informazioni su di lei. Poi ripenso alla scheda stampata a Baia del Porto, conmolti più dettagli di quanti ne avesse scoperti Julian. Mi sento quasi come Ada, mentre lesputo addosso quello che ricordo con parole svelte e sicure. «Nata il 3 gennaio 305 aNuovofumo. Mestiere: apprendista meccanico presso l’officina Assemblaggio eRiparazioni, settore Piccola Produzione. Indirizzo: unità quarantotto, blocco dodici,settore Dormitorio, Nuovofumo. Gruppo sanguigno: non applicabile. Mutazionegenetica, specie sconosciuta.» Lei resta a bocca aperta, ed emette un suono strozzato.«Dico giusto?»

Riesce a malapena ad annuire. Il «sì» che segue è quasi un sussurro.Shade emette un fischio appena percettibile. «Maledetto Jon» mormora mentre scuote

la testa. Io gli faccio un cenno. Ci ha mandati fin qui per trovare una persona, non unacosa.

«Sei una novosangue, Cameron. Proprio come Shade e come me. Una rossa, con abilità

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tipiche degli argentei. Ecco perché ti hanno rinchiuso nella prigione di Corros e perchései stata in grado di evadere. Qualunque sia la tua abilità, ti ha permesso di liberarti cosìda poterci incontrare.» Faccio un passo verso di lei, desiderosa di abbracciare la mianuova sorella novosangue, ma schizza via e mi evita.

«Non sono certo scappata per incontrare voi» sbotta.Io le sorrido e faccio del mio meglio per metterla a suo agio. Dopo tutti i reclutamenti

che ho compiuto, le parole mi escono senza problemi. So esattamente cosa dire e cosa leimi risponderà. È sempre la stessa storia. «Non devi per forza venire con noi, questo èovvio, ma da sola morirai. Re Maven ti troverà di nuovo…»

Fa un altro passo indietro, e la cosa mi sorprende. Poi sghignazza e scuote la testa.«L’unico posto in cui andrò è Campo Cenere e non c’è niente che tu o i tuoi fulminipossiate fare per impedirmelo.»

«Campo Cenere?» domando perplessa.Accanto a me, anche Cal fa del suo meglio per mantenere toni civili. Ma il suo meglio

non è un granché.«Che idiozia!» esclama. «Laggiù ci sono più argentei di quanti tu possa immaginare. E

ognuno di loro ha l’ordine di ucciderti a vista. Se proprio sei fortunata, ti metteranno dinuovo in prigione.»

La ragazza storce la bocca. «Laggiù ci sono il mio fratello gemello e altri cinquemilacome lui che marciano dritti verso la morte. E ci sarei anch’io insieme a loro, se non miavessero sbattuta in prigione per chissà quale motivo. Potrà essere normale per voiabbandonare la vostra gente, ma per me non funziona così.»

Il suo respiro si fa pesante e affannoso. Riesco quasi a scorgere la bilancia che hadentro la testa, con la quale soppesa le proprie opzioni. Non è difficile leggerle dentro,pensieri ed emozioni le si riflettono in ogni movimento del viso. Non batto ciglio,quando la vedo scappare tra gli alberi. Nessuno la segue, e sento addosso lo sguardo diShade e Cal, indecisi sul da farsi.

Mi sono ripromessa che avrei dato a tutti la possibilità di scegliere. Ho lasciato andareJon, benché avessimo un gran bisogno di lui. Ma qualcosa mi dice che abbiamo ancorapiù necessità di Cameron e che non possiamo affidare una decisione del genere a unaragazzina. Lei non sa quanto sia importante per noi, indipendentemente dalla sua abilità.In qualche modo, è riuscita a scappare da Corros e ora ci aiuterà a rientrarci.

«Prendetela» sussurro. Mi sembra una cosa sbagliata.Con un cenno severo, Shade scompare tra gli alberi. In mezzo al bosco riecheggiano le

urla di Cameron.

Ho lasciato a Farley il sedile accanto al pilota per sedermi di fronte a Cameron e tenerlad’occhio. È immobilizzata, ha le mani legate con una cintura di sicurezza. Questo, unitoalla quota alla quale ci troviamo, dovrebbe toglierle la voglia di scappare. Ma non hoalcuna intenzione di rischiare. Per quanto ne so, magari è in grado di volare, o disopravvivere a un lancio da un aereo. Vorrei approfittare del viaggio verso la Tana perrecuperare un po’ di sonno, di cui ho veramente bisogno, ma tengo gli occhi aperti esostengo il suo sguardo con quanta più intensità possibile. “Ha fatto la scelta sbagliata”

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mi ripeto ogni volta che i sensi di colpa mi assalgono. “Lei ci serve e vale troppo, nonpossiamo perderla.”

La Nonna, seduta accanto a lei, non fa che chiacchierare e la intrattiene con raccontisulla Tana e sulla propria vita. Mi aspetto che da un momento all’altro tiri fuori lefotografie ormai datate dei suoi nipotini, come fa sempre, ma Cameron resta impassibilecome nessun altro di noi riesce a fare. Nemmeno una vecchietta così gentile è in grado dipenetrare il guscio di quella ragazzina imbronciata, che se ne sta in silenzio e con gliocchi bassi a fissarsi i piedi.

«E quindi, dimmi, cara, qual è la tua abilità: una maleducazione sovrumana?» sbottainfine la Nonna, stufa di venire ignorata.

Se non altro, questo spinge la ragazza a distogliere gli occhi dal pavimento e a voltarela testa.

Apre la bocca per rispondere a tono, ma al posto della vecchietta si ritrova a fissare ilsuo stesso volto. «Ferma la catena, Nonna!» impreca nel gergo dei bassifondi. Ha gliocchi fuori dalle orbite e contorce le mani legate, nel tentativo di liberarsi. «Ehi, lo vedeteanche voi?»

Scoppio a ridere con aria minacciosa, senza preoccuparmi di nascondere il mio ghigno.Ottima, la strategia della Nonna: spaventare la ragazza per farla parlare. «La Nonna puòcambiare aspetto» le spiego. «Gareth, invece, manipola la gravità.» Gareth fa un cennocon la mano dalla barella improvvisata fissata a un lato dell’aeroplano. «E il resto lo saigià.»

«Io sono inutile» cinguetta Farley dal proprio sedile; intanto però giocherella con unpugnale, rivelando quanto sia grande la sciocchezza che ha appena pronunciato.

Cameron sbuffa mentre segue con gli occhi i movimenti del coltello. «Proprio comeme.» Non c’è dispiacere nella sua voce, lo dice come un dato di fatto.

«Questo non è vero.» Appoggio la mano sul diario di Julian al mio fianco. «Vorreiricordarti che sei riuscita a sfuggire a un lungimirante.»

«Be’, è l’unica cosa che io abbia mai fatto in vita mia.» Le cinghie intorno alle suebraccia si tendono, ma riescono a tenerla ferma. «Hai beccato una che non sa fare niente,sparafulmini. Non ti conviene perdere tempo con me.»

Una frase del genere, pronunciata da chiunque altro, sarebbe suonata triste, maCameron è ben più sveglia di quanto vuole far credere. Pensa che io non capisca cosa statentando di fare. Ma per quanto possa dire, per quanto possa cercare di apparire inutile,non le crederò.

Il suo nome è sulla lista e non certo per errore. Forse ancora non sa cos’è, ma di sicurolo scopriremo. E poi non sono mica cieca: anche mentre reggo il suo sguardo di sfida,facendole così credere di avermi già fregata, in realtà sono ben consapevole del gioco acui sta giocando. Le sue dita abilissime, allenate in fabbrica, lavorano alle cinghie che latengono prigioniera, in modo lento ma efficace. Devo tenerla d’occhio, altrimenti nel girodi poco si libererà.

«Conosci Corros meglio di chiunque altro, tra noi.» Mentre parlo, la Nonna torna adassumere le proprie sembianze naturali. «Per me questo è sufficiente.»

«C’è qualcuno che sa leggere la mente, fra i tuoi? Perché solo così riuscirai a tirarmi

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fuori qualche informazione.» Mi aspetto quasi che mi sputi sui piedi.Malgrado gli sforzi, perdo la pazienza. «O sei inutile oppure opponi resistenza.

Scegline una.» Lei inarca le sopracciglia, colpita dal mio tono. «Se proprio vuoi mentire,almeno fallo come si deve.»

Contrae l’angolo della bocca in un ghigno malvagio. «Ah già, dimenticavo che su quelcampo sei imbattibile.»

Odio i ragazzini.«Non fare tanto la prepotente» continua, scagliando le parole come fossero pugnali. La

sua voce e il rombo del jet riempiono l’aria. Tutti gli altri ascoltano con attenzione,soprattutto Cal. Mi aspetto di avvertire un’ondata di calore da un momento all’altro.«Puoi anche provare a comandarci tutti a bacchetta, ma ormai non sei più una lordità.Andare a letto con un principino non fa certo di te una regina.»

Le luci sopra di lei cominciano a tremolare, unico indizio della mia rabbia. Con la codadell’occhio, vedo che Cal stringe la presa sui comandi del jet. Anche lui sta facendo delsuo meglio per mantenersi calmo e ragionevole. Ma quel diavolo di ragazzina è cosìdifficile da gestire. Perché mai Jon non ci ha mandato una cartina, piuttosto?

«Cameron, tu ci dirai per filo e per segno come sei scappata da quella prigione.» LadyBlonos sarebbe orgogliosa della mia compostezza. «Ci dirai com’è fatta, dove si trovano lecelle, dove sono posizionate le guardie, dove tengono gli argentei, i novisangue equalsiasi altra cosa ricordi, fino all’ultimo maledettissimo dettaglio. Sono stata chiara?»

Con una scrollata di spalle si butta all’indietro una delle tante treccine. È l’unicomovimento che riesce a fare senza dover forzare cinghie e cinture che la tengonoprigioniera. «E io che ci guadagno?»

«L’innocenza.» Faccio un respiro profondo. «Se non parli, abbandonerai tutte quellepersone al proprio destino.» Mi tornano alla mente le parole di Jon, un’eco ossessionanteche risuona come un avvertimento. «Le condannerai a morte, se non peggio. Ti offro lapossibilità di salvarti dal senso di colpa che questo comporta.» Sensazione che conosco fintroppo bene.

Avverto una lieve pressione sulla spalla: Shade. Si appoggia a me per farmi capire chelui c’è. Un fratello di sangue e un compagno d’armi, un altro con cui condividere vittorie ecolpe.

Ma invece di acconsentire, come farebbe qualunque altra persona dotata dibuonsenso, Cameron sembra addirittura più infuriata di prima. Il viso si rabbuia, unnuvolone grigio di emozioni. «Non posso credere che tu abbia il coraggio di dire unacosa del genere. Proprio tu che hai abbandonato così tanta gente, dopo averlacondannata alla trincea.»

Per Cal è davvero troppo. Sbatte un pugno sul bracciolo del sedile. Il colpo rimbombasecco intorno a noi. «Non è stato un suo ordine…»

«Ma è stata comunque colpa tua. Tua e della tua stupida banda di pezzenti rossi.»Lancia un’occhiataccia a Farley e tronca sul nascere qualsiasi possibilità di replica daparte sua. «Prima hai giocato con le nostre famiglie, con le nostre vite, mentre tinascondevi nei boschi. E ora ti credi una specie di eroina, che vola di qua e di là a salvaretutti quelli che secondo te sono speciali, che valgono il prezioso tempo della

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sparafulmini! Scommetto che ti sarà capitato di attraversare le baraccopoli e i villaggi piùpoveri. E scommetto che non ti sei nemmeno accorta di quello che ci hai fatto.» Il sanguele sale alla testa insieme alla rabbia e le colora le guance di una tonalità scura e violenta.Non posso fare altro che restare lì a fissarla. «I novisangue, gli argentei, i rossi; è semprela stessa storia che si ripete, per l’ennesima volta. Ci sono quelli speciali, quelli che sonomeglio degli altri e poi ci sono quelli che continuano a non avere nulla.»

Sento la nausea che mi attanaglia, un’ondata premonitrice di terrore. «Che vuoi dire?»«Divisione. Ecco che voglio dire. Favorire un gruppo di persone invece che un altro. Tu

sei alla ricerca di quelli come te, per proteggerli, addestrarli e mandarli poi a combatterela tua guerra. Non perché siano loro a volerlo, ma perché tu hai bisogno di loro. E che midici di quei ragazzini che andranno a combattere? Di loro non te ne frega niente. Lisostituirai come si fa con le candele delle macchine, solo che queste candele piangono ecamminano.»

Le luci sfarfallano di nuovo, più in fretta di prima. Malgrado la velocità, percepiscoogni singolo giro che fanno i motori dell’aereo. La sensazione mi manda fuori di testa.«Sto solo cercando di salvare la gente dalle grinfie di Maven. Vuole trasformare inovisangue in armi, il che significa altre morti e altro sangue che…»

«Stai facendo esattamente la stessa cosa che hanno fatto loro.» Indica Cal con le manilegate, che tremano in preda alla collera. Ho ben presente la sensazione e cerco dinascondere il fremito di rabbia che mi attraversa le dita.

«Mare.» Ma il richiamo di Cal cade nel vuoto, sovrastato dal battito tonante del miocuore.

Cameron sputa veleno. Ci prova gusto. «Un’era fa. Quando gli argentei erano nuovi.Quando erano pochi, perseguitati da quelli che pensavano fossero troppo diversi.»

Stringo la presa sul bordo del sedile e affondo le unghie in qualcosa di solido.Controllo. I gemiti del jet mi fischiano nelle orecchie, un rumore acuto in grado quasi dispaccare le ossa.

Il velivolo sobbalza e Gareth lancia un grido, mentre si afferra la gamba. «Cameron,piantala!» urla Farley, che armeggia svelta con le cinture. Queste si sganciano in rapidasuccessione. «Se non la smetti da sola, ci penso io.»

Ma Cameron ha occhi, e rabbia, solo per me. «Guarda dove ci ha portato quella strada»ringhia e si sporge in avanti, fin dove le cinghie le consentono di arrivare. Senza neancherendermene conto, scatto in piedi e perdo quasi l’equilibrio per le oscillazioni dell’aereo.Riesco a malapena a sentire la sua voce, tra i fischi metallici che mi rimbombano nelcranio. In men che non si dica, libera le mani e slaccia il resto delle cinture con unaprecisione disarmante. Balza in piedi e comincia a sbraitarmi in faccia. «Tra cent’anni, unre novosangue siederà sul trono che tu gli avrai costruito con le ossa di quei bambini.»

Dentro di me si lacera qualcosa. È la barriera tra l’umano e l’animale, tra la ragione e lapazzia. Dimentico all’istante il jet, l’altitudine e anche tutti gli altri, che fannoaffidamento sul mio autocontrollo, messo a dura prova. Il mio unico pensiero è educarequell’insolente, farle capire esattamente chi e che cosa stiamo cercando di salvare.Quando il mio pugno si scontra con il suo mento, mi aspetto di vedere le scintille correrlelungo la pelle e trascinarla a terra.

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Invece, vedo soltanto le mie nocche livide.Lei mi fissa, sorpresa tanto quanto me. Tutt’intorno a noi, le luci tremolanti tornano

fisse e il jet riesce finalmente ad assestarsi. I gemiti che sento in testa si placano di colpo,come se sui miei sensi fosse calata una coltre di silenzio. Fa male come un pugno nellostomaco, e cado su un ginocchio.

Shade mi afferra subito per un braccio e mi sostiene con preoccupazione fraterna. «Vatutto bene? Che succede?»

Nella cabina di pilotaggio, Cal gira la testa avanti e indietro e alterna lo sguardo tra mee il pannello di controllo. «Siamo di nuovo stabili» dichiara, cosa che purtroppo non sipuò dire di me. «Mare…»

«Non sono io.» Sudo freddo sulla fronte e mi ritrovo a combattere un’ondata di nauseaimprovvisa. Il respiro si fa corto e affannoso, come se mi risucchiassero l’aria daipolmoni. Qualcosa mi soffoca. «È lei.»

La ragazzina fa un passo indietro, troppo scioccata per mentire. Ha la bocca spalancatadalla paura. «Non ho fatto niente. Niente, lo giuro.»

«No, certo, non l’hai fatto apposta, Cameron.» E questo la sorprende più di ogni altracosa. «Ora calmati… smettila… ti prego.» Non riesco a respirare, non riesco davvero piùa respirare. Mi aggrappo a Shade e gli affondo le unghie nella pelle. Il panico mi trafiggei nervi, del tutto privi di fulmini.

Shade lascia che mi appoggi di peso alla sua spalla inferma, ignorando una leggerafitta di dolore. Almeno lui è abbastanza sveglio da capire cosa voglio dire. «La staiannullando, Cameron. Stai disattivando le sue abilità. Così la annienterai.»

«Ma non posso… Come…?» Quegli occhi scuri sono pieni di terrore.Mi si annebbia la vista, ma intravedo Cal che mi sfreccia accanto. Cameron si tira

indietro e cerca di schivarlo, come farebbe qualsiasi altra persona sana di mente al postosuo, ma il principe sa bene cosa fare. Ha addestrato me e molti bambini a superareepisodi simili di caos da superpoteri.

«Lascia andare!» le dice, deciso e irremovibile. Non è un tono dolce, ma nemmenorabbioso. «Respira, dentro con il naso, fuori con la bocca. Lascia andare quello che staitenendo.»

Ti prego, lascia andare. Lascia andare. Ormai boccheggio, ogni respiro è più corto delprecedente.

«Lasciala andare, Cameron.»È come se mi avessero piazzato un macigno sul petto, che mi comprime e rischia di

uccidermi.«Lasciala andare.»«Ci sto provando!»«Calmati.»«Ci sto provando.» La sua voce è più tranquilla, più controllata. «Ci sto provando.»Cal annuisce e fa dei movimenti dolci, come le onde del mare. «Così, ci siamo.»Boccheggio di nuovo, ma stavolta l’aria mi incendia i polmoni. Riesco a riprendere

fiato. I miei sensi sono offuscati, ma pian piano ritornano. Si fanno più forti a ognirespiro.

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«Ci siamo» ripete Cal, e si guarda alle spalle. I suoi occhi incontrano i miei e latensione si allenta tra di noi. «Ci siamo.»

Non riesco a guardarlo a lungo. Devo pensare a Cameron, alla sua paura. Ha gli occhichiusi e la fronte corrugata per la concentrazione. Le sfugge soltanto una lacrima, che leriga la guancia, mentre si massaggia il collo, proprio dove c’è il tatuaggio. Ha appenaquindici anni. Non si merita tutto questo. Non dovrebbe essere così spaventata da sestessa.

«Sto bene» mi sforzo di dire, e lei apre gli occhi di colpo.Poco prima che le porte del suo cuore tornino a serrarsi, colgo un senso di sollievo che

le distende il viso. Ma non dura molto. «Questo non cambia nulla, Barrow.»Se potessi alzarmi, lo farei, ma mi tremano i muscoli per la debolezza. «Vuoi che

succeda anche a qualcun altro? Magari proprio a tuo fratello, quando lo troverai?»Eccolo qua. L’accordo che dobbiamo stringere. E lo sa anche lei.«Ci farai entrare nella prigione di Corros e noi ti insegneremo a usare la tua abilità. Ti

renderemo la persona più micidiale sulla faccia della terra.»Temo che mi pentirò di aver pronunciato queste parole.

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23

La mia voce rimbomba in modo strano nell’ampio ingresso del rifugio. Il temporale cheimperversava sulla regione degli Squarci ci ha raggiunto. Un miscuglio pesante di neve epioggia gelata si riversa all’esterno, oltre la parete di terra. Insieme all’ululato dellatempesta arriva anche il freddo, ma Cal fa del suo meglio per scacciarlo via. Gli abitantidella Tana si stringono gli uni accanto agli altri e cercano di scaldarsi intorno al fuoco chelui ha appiccato nella buca scavata al centro del pavimento. Gli occhi di ciascuno di lororiflettono la luce del falò e si trasformano in una miriade di gioielli rossi e arancioni chescintillano a ogni guizzo di fiamma, tutti fissi su di me. Quindici paia in totale. Oltre aCameron, Cal, Farley e mio fratello, ogni adulto che vive nella Tana è venuto ad ascoltarequello che ho da dire. Ketha, Harrick e Nix sono seduti accanto ad Ada. Fletcher, uncurapelle insensibile al dolore, avvicina troppo le mani al fuoco. Gareth lo tira via primache si bruci. E ci sono anche Darmian, invulnerabile come Nix, e Lory che viene dalleisole rocciose di Kentosport. Persino Kilorn ci ha onorati della sua presenza. Se ne staseduto immobile in mezzo ai suoi compagni di caccia, Crance e Farrah.

Per fortuna, non ci sono bambini presenti. Non possono prendere parte a unamissione del genere, devono restare qui, il più al sicuro possibile. La Nonna è con loronella camerata e li intrattiene con le sue trasformazioni, mentre chiunque, al di sopra deisedici anni, è venuto a sentirmi raccontare ciò che abbiamo appreso sulla strada perPitarus. Siedono tutti rapiti, in silenzio, con i volti segnati dallo shock, dalla paura o dalladeterminazione.

«Jon ha detto che quattro giorni sono troppi. Quindi dobbiamo farcela in tre.»Tre giorni per attaccare una prigione, tre giorni per pianificare il tutto. Mi sono

allenata duramente con gli argentei per più di un mese e ho alle spalle anni e anni diesperienza per le strade di Palafitte. Cal è stato addestrato come un soldato sin dallanascita, Shade ha trascorso oltre un anno nell’esercito e Farley, pur non avendo un’abilitàin particolare, è un capitano di tutto rispetto. Sì, ma gli altri? Mentre osservo le nostreforze, radunate davanti a me nella Tana, la mia risolutezza viene meno. Se solo avessimopiù tempo. Ada, Gareth e Nix sono i nostri pezzi da novanta: le loro abilità sono perfetteper le irruzioni e poi si addestrano da tempo, qui al campo. Gli altri sono potenti (Ketha èin grado di disintegrare gli oggetti con un battito di ciglia), ma inesperti. Sono qui dapochi giorni, qualche settimana al massimo, e vengono dai bassifondi o da villaggisperduti, dove non erano niente e nessuno. Mandarli a combattere sarebbe come mettereun bambino alla guida di un camion. Costituirebbero un pericolo per tutti, soprattuttoper loro stessi.

Ciascuno di noi sa bene che è una follia, un’impresa impossibile, ma nessuno dice dino. Persino Cameron ha il buonsenso di tenere la bocca chiusa. Fissa il fuoco e si rifiuta

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di alzare lo sguardo. Non riesco a osservarla a lungo. Mi rende triste e furiosa, oltre ognilimite. Rappresenta esattamente tutto quello che cercavo di evitare.

Farley è la prima a trovare le parole. «Ammesso e non concesso che quel pagliaccio diJon abbia detto il vero riguardo alle proprie abilità, niente ci assicura che il resto non siauna bugia.» Si sporge in avanti e la sua silhouette si staglia netta contro la luce del fuoco.«Potrebbe benissimo essere una spia al servizio di Maven. È stato lui stesso a dirci cheElara inizierà a controllare i novisangue, no? E se stesse già controllando lui? Se lo stesseusando per farci da esca? Ha detto che Maven ci avrebbe teso una trappola. E se fosseproprio questa?»

Mi sento sprofondare, mentre osservo alcuni annuire alle sue parole. Crance, Farrah eFletcher. Mi aspetto che anche Kilorn si unisca alla sua squadra di caccia, e invece restaimmobile e taciturno, così come Cameron, non osa guardami.

Da ogni lato mi si infrangono contro ondate di caldo. Vengono dal fuoco davanti a mee da Cal, appoggiato al muro di terra alle mie spalle. Il principe irradia calore come unafornace, e intanto mantiene un silenzio di tomba. Sa bene che non è il caso di parlare.Molti tollerano la sua presenza solo perché ci sono io o per quello che fa con i bambini oentrambe le cose. Quindi non posso contare su di lui per mettere insieme il mio esercitodi soldati. Devo farlo da sola.

«Io gli credo.» Quelle parole hanno un sapore stranissimo in bocca, ma sono solidecome rocce. Questa gente insiste a trattarmi come un leader, quindi tanto valecomportarsi come tale. Li convincerò a seguirmi. «Trappola o non trappola, io andrò aCorros. Due sono i destini a cui vanno incontro i novisangue intrappolati laggiù: morire oessere usati come marionette da quella manipolatrice che tutti chiamano regina. Edentrambi sono inaccettabili.»

Mormorii di assenso si levano tra quelli che cerco di portare dalla mia parte. Gareth, sututti, mi mostra la sua lealtà annuendo. Ha visto Jon con i propri occhi e non ha bisognodi essere convinto.

«Non costringerò nessuno a venire con me. Così come in passato, anche adesso avetetutti la possibilità di scegliere.» Cameron scuote la testa, ma non dice niente. Shade leresta sempre vicino, nel caso decida di compiere qualche altra stupidaggine. «Non saràfacile, tuttavia non è impossibile.»

Se continuo a ripeterlo, magari finirò per crederci anch’io.«Come sarebbe a dire?» se ne viene fuori Crance. «Se ho capito bene, la prigione è

stata costruita proprio per annientare quelli come te. Non ci saranno soltanto sbarre elucchetti da superare. Ci saranno lungimiranti a ogni ingresso, una flotta di guardieargentee, un arsenale, telecamere ovunque, pietra silente… e questo solo se saraifortunata, sparafulmini.»

Accanto a lui, Fletcher deglutisce a fatica. Quell’uomo pallido e in carne non avverte ildolore, ma è senz’altro in grado di percepire la paura. «E se tu non fossi così fortunata?»

«Chiedilo a lei.» Inclino la testa in direzione di Cameron. «Lei è riuscita a scappare.»Un fremito agita il gruppo come una folata di vento che corre sul pelo dell’acqua. Gli

occhi non sono più puntati su di me ed è meraviglioso potersi rilassare un po’. Alcontrario, Cameron si irrigidisce e sembra quasi chiudersi a riccio, per proteggersi da

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tutti quegli sguardi.Persino Kilorn alza gli occhi, ma non verso Cameron. La scruta appena e poi posa lo

sguardo su di me, mentre mi addosso alla parete. Il sollievo che ho appena provatosvanisce, rimpiazzato da un miscuglio di emozioni che non so identificare. Non è paura,né rabbia. No, si tratta di qualcosa di diverso. Nostalgia. Nella luce mutevole del fuoco,con la tempesta che impazza all’esterno, ho come l’impressione che siamo tornati unragazzo e una ragazza, accoccolati sotto una palafitta, in cerca di riparo dai gemitidell’autunno. Se solo qualcuno potesse riportarmi indietro nel tempo, mi aggrappereigelosamente a quei giorni, invece di lamentarmi del freddo e della fame. Adesso sonoinfreddolita e affamata tanto quanto allora, ma non c’è coperta in grado di scaldarmi nécibo che riesca a saziarmi. Niente sarà più lo stesso. È tutta colpa mia. E Kilorn mi haseguita in questo incubo.

«Ma sa parlare questa?» sghignazza Crance, stanco di aspettare che Cameron aprabocca.

A Farley scappa da ridere. «Anche troppo, per i miei gusti. Forza, Cole, dicci tuttoquello che ti ricordi.»

Mi aspetto che Cameron perda di nuovo le staffe e si avventi su Farley, magariprendendola addirittura a morsi sul naso, ma evidentemente la presenza del pubblico latranquillizza. Ha capito il mio gioco, però non fa niente per opporsi. Ci sono troppi occhipieni di speranza, troppi animi desiderosi di contrastare il male. Non può ignorarli.

«È subito dopo Delphie» sospira, e si rabbuia al ricordo. «Vicino all’Acquitrino, cosìvicino che si sente quasi l’odore delle radiazioni.»

L’Acquitrino segna il confine meridionale di Norda, una barriera naturale che separala nostra nazione dal Piè di Monte e dai principi argentei che regnano in quel territorio.Proprio come Naercey, anche l’Acquitrino è una distesa di rovine, ormai troppo desolataperché gli argentei la reclamino. Nemmeno la Guardia Scarlatta si azzarda a passare perquelle zone, dove le radiazioni non sono un inganno e il fumo di secoli ristagna ancoranell’aria.

«Ci tenevano isolati» continua Cameron. «Uno in ogni cella, e molti avevano amalapena la forza di restare sdraiati sulle brandine. C’era qualcosa in quel posto chefaceva stare male tutti gli altri.»

«Pietra silente.» Rispondo alla sua domanda inespressa; ho presente la sensazione.Sono stata rinchiusa per ben due volte in una cella del genere, ed entrambe le volte misono sentita prosciugare le forze.

«Poca luce, poco cibo.» Si mette un po’ più comoda e strizza gli occhi davanti allefiamme. «Non potevamo nemmeno parlare. Le guardie non volevano ed erano sempre dipattuglia. A volte arrivavano delle sentinelle e portavano via qualcuno. Certi erano troppodeboli persino per camminare e dovevano trascinarli. Non credo che la prigione fossepiena, però. Ho visto molte celle vuote intorno a me.» Le si blocca il respiro. «Sempre dipiù, ogni maledetto giorno che passava.»

«Descrivi la struttura» le intima Farley, mentre dà un colpetto a Harrick con il gomito.Ho capito cos’ha in mente.

«Noi stavamo nel nostro blocco, quello dei novisangue prelevati dalla regione Faro. Era

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un enorme cubo, con quattro piani di celle lungo le pareti. C’erano passerelle checollegavano i vari livelli, tutti intricati, e i magnetron di notte le tiravano via. Stessodiscorso per le celle, se dovevano aprirle. Magnetron dappertutto.» Li maledice, e nonposso certo biasimarla per la sua rabbia. In quella prigione non c’erano uomini comeLucas Samos, nessun magnetron gentile come quello che è morto per me ad Archeon.«Non avevamo finestre, ma sul soffitto c’era un lucernario. Piccolo, eppure sufficiente afarci intravedere il sole per qualche minuto.»

«Più o meno così?» le chiede Harrick mentre si strofina le mani. Di fronte ai nostriocchi, sopra il falò, si materializza una delle sue illusioni, un’immagine che comincia agirare lentamente. Una scatola fatta di linee di un verde sbiadito. Mentre la mia vista siabitua a quello che ho davanti, capisco che si tratta di una sagoma tridimensionale delblocco della prigione in cui è stata rinchiusa Cameron.

Lei lo osserva concentrata e studia ogni centimetro della proiezione. «Un po’ piùgrande» mormora, e le dita di Harrick prendono a saltellare. L’illusione risponde. «Altredue passerelle. Quattro ingressi al piano superiore, uno per ogni parete.»

Harrick segue le istruzioni e manipola l’immagine fino a quando Cameron non sidichiara soddisfatta. Intanto abbozza un sorriso: è un gioco da ragazzi per lui, unabazzecola, come disegnare. Noi tutti fissiamo in silenzio la riproduzione e ci scervelliamoper escogitare il modo di entrare là dentro.

«Una cava» geme Farrah, e si prende la testa tra le mani. In effetti, il blocco dellaprigione sembra proprio una buca quadrata scavata in profondità.

Ada è meno pessimista e molto più interessata ad analizzare con minuzia ognidettaglio. «Dove portano i vari ingressi?»

Con un sospiro, Cameron rilassa le spalle. «Ad altri blocchi. Quanti, di preciso, non loso. So solo che ne ho attraversati tre di fila prima di uscire.»

L’illusione si modifica e compaiono nuovi blocchi accanto a quello di Cameron. Quellavisione è come un pugno in pieno stomaco. Celle su celle, ingressi su ingressi. Millepunti in cui potremmo commettere un passo falso e fallire. Ma Cameron è scappata. Senzaaddestramento e senza avere idea di cosa è in grado di fare.

«Hai detto che c’erano anche degli argentei in quella prigione, giusto?» Cal prende laparola per la prima volta, da quando abbiamo iniziato, e ha un umore piuttosto nero.Non si avvicina nemmeno alla zona illuminata dal fuoco. Per un attimo, sembra l’ombrache Maven ha sempre sostenuto di essere. «Dove, esattamente?»

Una risata sonora e rabbiosa, sgradevole come un sasso che graffia il metallo, escedalla bocca di Nix, che punta un dito accusatorio contro di lui. «Perché mai vorrestisaperlo? Non vorrai mica liberare i tuoi amichetti? E magari farli tornare alle lorofesticciole, nelle loro magioni? Puah, che marciscano laggiù!» Agita una mano nerborutain direzione di Cal e la sua risata si fa fredda come una tempesta autunnale. «Quellodovresti lasciarlo qui, Mare. Anzi, meglio ancora, mandarlo proprio via. Ha intenzione diproteggere soltanto i suoi.»

La mia bocca si muove più veloce del mio cervello, ma stavolta si trovano d’accordo.«Ognuno di voi sa benissimo che le cose non stanno così. Cal ha versato il suo sangue pertutti quanti noi, ci ha protetti, per non parlare dell’addestramento che ha impartito a

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ciascuno di voi. Se vuole sapere dove si trovano gli argentei, è per una ragione benprecisa, non certo perché vuole liberarli.»

«A dire il vero…»Mi volto di scatto, con gli occhi fuori dalle orbite, mentre il mio stupore rimbomba

nella stanza. «Vuoi davvero liberarli?»«Pensateci bene. Sono rinchiusi là dentro perché si sono opposti a Maven o a Elara o a

entrambi. Mio fratello è salito al trono in circostanze piuttosto strane, e molti, moltiargentei non crederanno mai alle menzogne di sua madre. Alcuni sono abbastanza furbida mantenere un profilo basso e aspettare il momento giusto, ma altri no. E per i lorointrighi da cortigiani finiscono in prigione. Poi, naturalmente, ci sono quelli come mio zioJulian, che ha insegnato a Mare a capire cosa fosse. Ha aiutato la Guardia Scarlatta, hasalvato Kilorn e Farley dalla condanna a morte, eppure il suo sangue è di un argentoaccecante. Anche lui è rinchiuso in quella prigione insieme ad altri che come lorocredono in un’uguaglianza al di là del colore del sangue. Non sono nostri nemici, non inquesto momento» risponde. Non è più a braccia conserte, ora gesticola con foga e cercadi farci capire ciò che il soldato che è in lui vede con estrema chiarezza. «Se li liberiamotutti, si scatenerà il caos a Corros. Loro attaccheranno le guardie e faranno di tutto perscappare da lì. Non potrebbe esserci diversivo migliore.»

Persino Nix abbassa la cresta, sopraffatto da quella proposta rapida e risoluta. Perquanto odi Cal, che ritiene responsabile della morte delle figlie, nemmeno lui può negareche si tratti proprio di un ottimo piano. Forse il migliore tra tutti quelli che avremmopotuto partorire.

«Senza contare…» prosegue Cal, tornando a ritirarsi nell’ombra. Stavolta, le sue parolesono solo per me. «… che Julian e Sara saranno tra gli argentei, non certo tra inovisangue.»

Oh. In tutta quella fretta mi ero scordata, chissà come, che il loro sangue non ha lostesso colore del mio. Sono argentei anche loro.

Cal incalza e prova a spiegarsi al meglio. «Ricordati quello che sono e cosa provano.Non sono gli unici a vedere la rovina di questo mondo.»

Non sono gli unici. La logica mi dice che ha ragione. Del resto, nel breve periodo ditempo trascorso con gli argentei, ho incontrato Julian, Cal, Sara e Lucas, quattro personetutt’altro che crudeli, come invece mi sarei aspettata. Devono essercene altri come loro.Maven sta cercando di eliminarli come sta facendo con i novisangue di Norda, per cuigetta dissidenti e oppositori politici a marcire in prigione, per farli finire neldimenticatoio.

Cameron si morde il labbro per l’agitazione; i suoi denti scintillano alla luce del fuoco.«I blocchi degli argentei sono come i nostri, scaglionati, in una specie di mosaico. Unblocco argenteo e uno di novisangue, uno argenteo e uno di novisangue, e così via.»

«A scacchiera» commenta Cal con un filo di voce annuendo.«Per tenerli separati. Piùfacili da controllare, più facili da combattere. E tu come sei scappata?»

«Una volta alla settimana ci facevano camminare, per impedirci di morire. Certeguardie ci scherzavano persino su; dicevano che le celle ci avrebbero ucciso, se non ciavessero fatto uscire un po’. Gli altri si trascinavano a stento, figuriamoci se potevano

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combattere. Ma io no. Le celle non mi facevano stare male.»«Perché non hanno alcun effetto su di te» osserva Ada con voce pacata, calma e

persino gentile. Mi ricorda così tanto Julian da farmi sussultare. Per una frazione disecondo, mi ritrovo di nuovo nella sua classe piena di libri, e sono io a essere esaminata.«Le tue abilità silenti sono così forti che le normali misure di sicurezza con te nonfunzionano. Sono come due effetti che si annullano, credo. Silente contro silente.»

Cameron si stringe nelle spalle, disinteressata. «Sarà.»«E così sei fuggita mentre vi facevano passeggiare» continua Cal sottovoce, parlando

più a se stesso che per chiunque altro. Analizza ogni dettaglio, si mette nei panni diCameron e immagina la prigione durante la fuga, così da poter individuare il modo perentrare. «I lungimiranti non hanno visto che cosa avevi in mente, per questo non hannopotuto fermarti. Sorvegliavano gli accessi, vero?»

Lei annuisce. «Ce n’era uno che controllava ogni blocco. Gli ho preso la pistola, hotenuto la testa bassa e sono scappata di corsa.»

Crance emette un fischio sommesso, impressionato dal coraggio della ragazza. Ma Calnon si lascia abbagliare e incalza: «E che mi dici delle porte? Solo un magnetron è ingrado di aprirle».

A questo punto, Cameron si lascia andare a un sorrisetto nervoso. «A quanto pare, gliargentei non sono più tanto stupidi da lasciare il comando di tutte le celle e di tutti gliaccessi a un mucchio di manipolatori di metalli. C’è un interruttore, azionabile con unachiave, che apre le porte nel caso non si avessero magnetron a portata di mano, oppure lerichiude con lastre di pietra, se uno decidesse di giocare sporco.»

“Temo sia a causa mia” rifletto tra me e me. “Ho usato Lucas per aprire le celle nellaCasa del Sole. Maven vuole essere sicuro che nessun altro possa fare lo stesso.”

Cal scocca uno sguardo verso di me, mentre pensa esattamente la stessa cosa. «E tu cel’hai questa chiave?»

Cameron scuote la testa e si indica i segni sul collo. Il tatuaggio è nero, spicca scurodella sua pelle. È il marchio che la identifica come hi-technica, una schiava dellefabbriche e del fumo. «Sono un’apprendista meccanico.» E agita le dita storte. «Quegliinterruttori sono fatti di ingranaggi e cavi. Solo un idiota avrebbe bisogno di una chiaveper farli funzionare.»

Cameron sarà pure una rompiscatole, ma di certo è utile. Devo ammetterlo.«Sono stata chiamata alle armi, nonostante avessi già un lavoro a Nuovofumo»

prosegue con tono dimesso.«La prigione, Cameron» la interrompo. «Dobbiamo concentrarci su…»«Lavorano tutti, là, e una volta non ci si poteva arruolare nemmeno se si voleva.» Mi

parla sopra, con voce più forte e potente. Se mi mettessi a competere, finiremmo perurlarci contro. «I provvedimenti hanno cambiato tutto. C’è stata una lotteria. Nepescavano uno ogni venti, tra i quindici e i diciassette anni. Io e mio fratello siamo statiestratti. Entrambi. Quante probabilità potevano esserci che accadesse?»

«Meno del tre per cento» risponde Ada con un sussurro.«Ci hanno separato. Io sono stata arruolata nella Legione Faro, a forte Patriota, mentre

Morrey l’hanno spedito nella Legione Stiletto. Hanno fatto così con tutti quelli che

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potevano creare dei casini, chiunque guardasse male un agente. Finire nella LegioneStiletto equivale a essere condannati a morte. Cinquemila ragazzini che hanno avuto ilcoraggio di ribellarsi, e ora marciano dritti verso una fossa comune.»

Digrigno i denti. Il ricordo del documento con gli ordini militari mi brucia ancoranella memoria, vivido e potente.

«Non appena lasceranno Corvium, la loro marcia si trasformerà in un corteo funebre,un massacro. Attraverseranno le trincee e punteranno dritti verso il cuore di CampoCenere. Morrey ce l’hanno mandato perché ha cercato di abbracciare nostra madreun’ultima volta.»

La mia flebile speranza di detenere il comando svanisce. Lo leggo nei volti di ciascunodei miei novisangue, mentre tentano di digerire le parole di Cameron. Lo sguardo di Adaè il peggiore di tutti. Mi fissa senza batter ciglio. Non è un’espressione cattiva, ma vuota:si sforza di evitare che il suo giudizio diventi visibile, invano. Il fuoco divampa al centrodel pavimento e trasforma la parte bianca dei suoi occhi in lapilli rossi e dorati.

«In quella prigione ci sono argentei e novisangue.» Cameron sa bene di averli tutti inpugno, ormai, e rincara la dose. «Ma ci sono anche cinquemila ragazzini, cinquemilabambine e bambini rossi che stanno per sparire per sempre. Volete lasciarli morire?Allora seguite pure quello che vi dicono lei…» mi indica con un cenno della testa «… e ilsuo principino.»

Le dita di Cal si contraggono vicino alle mie, ma io mi tiro indietro. Non qui. Sannotutti che condividiamo la stanza, e chissà cos’altro pensano. Ma non regalerò a Cameronpiù munizioni di quante non ne abbia già.

«Vi dice sempre che avete la possibilità di scegliere, eppure non sa neanche cosasignifichi quella parola. Io sono stata costretta a venire qui, presa e portata via comeavevano già fatto il legionario prima e le sentinelle pochi giorni dopo. La sparafulmininon permette a nessuno di scegliere.»

Si aspetta che contrattacchi, però io rimango in silenzio. Mi sento sconfitta, e lei lo sabene. Dietro ai suoi occhi, gli ingranaggi si sono già messi a girare. Mi ha ferita una voltae può farlo ancora. Ma allora, perché rimane? Potrebbe annullarci tutti e andarsene. Perchéresta?

«Mare salva le persone.»La voce di Kilorn sembra diversa, più matura. La nostalgia pungente di prima ritorna a

stringermi il petto.«Mare ha salvato ciascuno di voi dalla prigione o dalla morte. Ha rischiato la propria

vita ogni singola volta che ha messo piede in ognuna delle vostre città. Non è perfetta,ma non è nemmeno un mostro, questo proprio no. Fidatevi» aggiunge, e intanto continuaa rifiutarsi di guardarmi. «Io di mostri ne ho visti. E ne vedrete anche voi, se lasciamo inovisangue nelle mani della regina. Poi, quella stessa regina vi farà scannare gli unicontro gli altri, finché non rimarrà nulla di quello che siete e nessuno che ricordi cosaeravate.»

Altro che mani. Quelle di Elara sono delle morse che stritolano tutti senza misericordia.Mi aspetto che le parole di Kilorn non abbiano un grande seguito, ma mi sbaglio di

grosso. Gli altri lo guardano con rispetto e attenzione. Non è lo stesso modo in cui

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guardano me. Quando mi osservano, i loro occhi sono sempre velati di paura. Io sono ungenerale per loro, un leader, Kilorn invece è un fratello. Gli vogliono bene, come non nepotrebbero mai volere a Cal e nemmeno a me. Lo ascoltano.

E così, da un momento all’altro, Kilorn strappa la vittoria dalle mani di Cameron.«Ridurremo quella prigione in polvere» tuona Nix posando una mano sulla spalla di

Kilorn. La presa è troppo stretta, ma il mio amico non fa una piega. «Io ci sto.»«Anch’io.»«Anch’io.»«Io pure.»Le loro voci mi rimbombano nella testa. Più volontari di quanti avessi sperato. Gareth,

Nix, Ada, Ketha l’esplosiva, Darmian, l’altro distruttore invulnerabile, Lory con i suoisensi ipersviluppati e, naturalmente, la Nonna che aveva già promesso di unirsi algruppo. Crance, Farrah, Fletcher e Harrick l’illusionista, invece, restano seduti insilenzio, irrequieti.

«Ottimo.» Faccio un passo avanti e li fisso tutti con lo sguardo più intenso che ho. «Perquanto riguarda gli altri, avremo bisogno di voi qui, per evitare che i bambini mettano aferro e fuoco la foresta. E per proteggerli, se dovesse succedere qualcosa.»

Qualcosa. Un altro raid, un attacco totale che potrebbe trasformarsi nel massacro dicoloro che ho cercato di proteggere più di tutti gli altri. Ma restare qui è meno pericolosoche attaccare Corros, così si lasciano andare a un sospiro di sollievo. Cameron osserva leloro espressioni rilassate con il viso deformato dall’invidia. Resterebbe volentieri conloro, se potesse, ma poi chi la addestrerebbe? Chi le insegnerebbe a usare e controllare lesue abilità? Non Cal e di certo non io. Il prezzo da pagare non le piace per niente, ma lopaga comunque.

Con lo sguardo passo in rassegna i volontari, a uno a uno, nella speranza di trovarliconcentrati e determinati. Invece, nei loro occhi leggo solo paura, dubbio e, cosa ancorapeggiore, pentimento. Di già, ancora prima di iniziare. Cosa darei ora per avere quelloche resta della Guardia Scarlatta di Farley o anche solo i soldati lacustri del colonnello.Loro almeno credevano un minimo, se non in se stessi, almeno nella propria causa. Devocrederci io per tutti loro. Devo tornare a indossare la maschera ed essere la sparafulmini di cuihanno bisogno. Mare può aspettare.

Mi domando se avrò mai la possibilità di tornare a essere Mare.«Ho bisogno che mi rispieghi tutto da capo» dice Cal rivolto a Cameron, mentre indica

l’illusione fluttuante della prigione di Corros. «Voi, invece, mangiate e addestratevimeglio che potete. Non appena si placa la tempesta, voglio vedervi tutti fuori, nelcampo.»

Gli altri scattano sull’attenti, incapaci di disobbedire. Se io ho imparato a parlare comeuna principessa, Cal ha sempre saputo come parla un generale. Lui comanda. È quelloper cui è portato, è quello per cui è nato. E ora che ha una missione, un obiettivo benpreciso da conseguire, oltre a reclutare e nascondersi, tutto il resto scompare. Persino io.Faccio come gli altri e lo lascio ai suoi piani mormorati sottovoce. Quegli occhi colorbronzo brillano alla luce fioca dell’illusione, come stregati. Harrick resta lì e, ligio aldovere, tiene in vita la sua creazione.

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Non seguo i novisangue all’interno della Tana, in quei tunnel e quei pertugi dovepossono allenarsi senza fare del male a nessuno. Preferisco affrontare la tempesta, cosìesco all’aperto e mi lascio investire da un’esplosione di pioggia gelata. Il calore di Calsvanisce in fretta alle mie spalle.

Io sono la sparafulmini.Le nuvole sopra di me sono scure, turbinano nel cielo cariche di pioggia e neve. Per un

acquatico sarebbe facile manipolarle, così come per uno scatenatempeste. Quando eroMareena, raccontavo a tutti che mia madre era una scatenatempeste del casato Nolle, ingrado di influenzare gli agenti atmosferici come io controllo l’elettricità. Nel Circo delleossa, ho attirato a me i fulmini dal cielo, mandando in frantumi lo scudo viola perproteggere me e Cal dai soldati di Maven che si stavano avvicinando. Quello sforzo,allora, mi aveva indebolita, ma adesso sono più forte. Devo essere più forte.

Strizzo gli occhi nella pioggia e ignoro le gocce d’acqua che mi pungono il viso. Ilcappotto invernale che indosso si inzuppa, ho le dita delle mani e dei piedi congelate, manon si intorpidiscono. Sento tutto quello che devo sentire, dalla rete pulsante di fulminisotto la pelle a quello che c’è oltre le nuvole, che batte lentamente come un cuore scuro.Più mi concentro su quell’entità, più si intensifica e sembra che inizi a sanguinare. Saettedi elettricità statica si dipanano dal vortice che non riesco a vedere e si aggrovigliano conle nuvole basse cariche di pioggia. Mi si rizzano i peli sulla nuca, mentre un’altratempesta prende forma, crepitando di energia.

Una tempesta di fulmini. Chiudo il pugno e stringo la presa intorno a quello che hocreato, nella speranza che risuoni con vigore.

Il primo colpo di tuono, però, è piuttosto sommesso, un rombo quasi impercettibile,seguito da una debole saetta che si scarica nella vallata e si intravede appena, attraverso ilvelo di nevischio e pioggia. Il secondo fulmine è più forte, con venature viola e bianche.Resto senza fiato quando lo vedo, orgogliosa ed esausta al tempo stesso. Ognideflagrazione mi procura una sensazione meravigliosa, ma mi prosciuga tutta l’energia dicui si carica.

«Non hai mira.»Kilorn è appoggiato vicino all’ingresso della Tana, attento a restare il più asciutto

possibile, sotto la sporgenza del tetto. Lontano dal fuoco, sembra più cupo e più magroche mai, benché mangi tanto quanto faceva a Palafitte. Evidentemente, le lunghe sedutedi caccia e la rabbia costante cominciano a sortire qualche effetto.

«Immagino che per noi sia meglio così, visto che insisti a volerti esercitare così vicinoal rifugio» aggiunge, e indica la vallata. In lontananza, si vede un alto pino che fuma. «Mase hai intenzione di migliorare, fai un favore a tutti quanti e vatti a fare due passi più inlà.»

«Ma come? Ora mi parli?» sbuffo e cerco di nascondere il fiatone. Strizzo gli occhi efisso l’albero fumante. Una debole saetta si scaglia un centinaio di metri più in là, benlontano dal punto che avevo preso di mira.

Un anno fa, Kilorn sarebbe scoppiato a ridere per i miei sforzi e mi avrebbe presa ingiro fino a farmi reagire. Ma ormai è cresciuto e maturato, sotto tutti i punti di vista. Isuoi modi infantili stanno via via scomparendo. Un tempo li odiavo. Ora, invece, mi

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mancano.Si tira su il cappuccio della felpa e si nasconde i capelli tagliati male. Essendosi

rifiutato di farsi tosare da Farley, che gli avrebbe propinato il suo stesso taglio a spazzola,ha lasciato che Nix si cimentasse, così ora ha una chioma fulva di ciocche irregolari. «Milascerai venire a Corros?» mi chiede infine.

«Ti sei offerto volontario.»Il sorriso che gli compare sul volto è bianco come la neve che ci cade intorno. Se solo

non desiderasse così tanto venire. Se solo mi ascoltasse e restasse qui. Ma Cal dice cheKilorn si fida di me a tal punto da lasciarmi prendere le mie decisioni. Quindi devopermettergli di fare altrettanto.

«Grazie per esserti schierato dalla mia parte prima» continuo, sincera.Lui inclina la testa e si sposta i capelli dagli occhi. Poi si mette a giocherellare con il

muro di terra dietro di lui e scrolla le spalle, fingendosi disinteressato. «Dopo tutte lelezioni con gli argentei, credevo che avessi imparato a convincere la gente. Ma del resto,sei sempre stata un po’ lenta.»

Scoppiamo a ridere all’unisono, come facevamo un tempo. In quel preciso momentosiamo diversi da quello che siamo diventati, eppure gli stessi che siamo sempre stati.

Erano settimane che non ci parlavamo e non mi ero resa conto di quanto mi fossemancato. Per un attimo, ho l’istinto di svuotare il sacco, ma riesco a controllarequell’impulso doloroso. Mi fa male trattenermi, non dirgli niente dei biglietti di Maven,dei volti morti che vedo ogni notte o degli incubi che tengono sveglio Cal. Vorreiraccontargli tutto. Conosce Mare come nessun altro, così come io conosco Kilorn, ilpescatore. Ma queste persone non esistono più. Queste persone devono per forza non esistere più.Non potrebbero sopravvivere in un mondo come questo. Ho bisogno di essere qualcun altro,qualcuno che non faccia affidamento su niente e su nessuno, se non sulla propria forza.Ma con lui mi viene così semplice tornare a essere Mare e dimenticare la persona che,invece, mi tocca essere.

Il silenzio ci circonda, soffice come le nuvolette di vapore che ci escono dalla bocca,nell’aria fredda.

«Se muori, ti ammazzo.»Lui mi sorride triste. «Anch’io.»

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24

Stranamente, dormo più nei tre giorni successivi di quanto non abbia fatto in settimane.Le dure esercitazioni all’aperto, abbinate alle lunghe sessioni di pianificazione, cisfiniscono. Le spedizioni di reclutamento sono cessate del tutto e non mi mancano perniente. Ogni singola missione era fonte di sollievo o di orrore, ma in entrambi i casi midistruggeva. Troppi morti impiccati, troppi figli che hanno deciso di lasciare le propriemadri, troppe persone strappate alla vita che conoscevano. Nel bene e nel male, l’ho fattoa tutti. Ma ora che l’aereo è a terra e io passo il tempo immersa tra cartine e planimetrie,avverto un altro tipo di vergogna. Ho abbandonato quelli che sono ancora là fuori; hoabbandonato i ragazzi della Piccola Legione, proprio come ha detto Cameron. Quantibambini e neonati dovranno ancora morire?

Ma io sono solo una, una ragazzina ormai incapace di sorridere. Sebbene la nascondaagli altri dietro la mia maschera di fulmini, quella ragazzina è ancora lì, sconvolta e congli occhi sbarrati dalla paura. La respingo in ogni attimo di lucidità, ma continua aperseguitarmi. Non se ne va mai.

Dormono tutti della grossa, persino Cal, che si assicura che ciascuno riposi il piùpossibile, dopo l’addestramento. Se Kilorn ha ripreso a parlarmi ed è tornato cosìall’ovile, Cal si allontana sempre più, con il passare delle ore. È come se nella sua testanon ci fosse più spazio per la conversazione; Corros lo ha già intrappolato. Si svegliaprima di me per buttare giù altre idee e altri elenchi, scarabocchiando su ogni brandellodi carta che riusciamo a racimolare.

Ada è il suo asso nella manica: memorizza tutto con una tale attenzione che temopossa bucare le cartine con gli occhi. Cameron è sempre nei paraggi. Malgrado leraccomandazioni di Cal, sembra esausta ogni minuto di più. Ha occhiaie profonde e,appena può, ne approfitta per appoggiarsi o sedersi da qualche parte. Eppure non silamenta, almeno non davanti agli altri.

Oggi, il nostro ultimo giorno prima dell’irruzione, è di umore particolarmente nero esi sfoga sui suoi bersagli di addestramento, cioè io e Lory.

«Basta» sibila Lory a denti stretti. Cade in ginocchio e agita la mano in direzione diCameron. La ragazzina serra il pugno, ma poi lascia andare, mentre la sua abilitàsvanisce e si porta via l’opprimente coltre di silenzio. «Dovresti annientare i miei sensi,non me» aggiunge Lory, che fatica a rimettersi in piedi. Benché venga dalla gelidaKentosport, una città portuale semidimenticata a strapiombo sul mare, spesso battutadalla neve e dalle tempeste marine, si stringe nel cappotto. Il silenzio di Cameron, infatti,non si limita a privarti delle armi che hai in dono dalla nascita, ma ti annichilisce deltutto. Il battito del cuore rallenta, la vista si offusca e la temperatura corporea scende. Tiscombussola dentro, nel profondo.

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«Scusa.» Cameron ha preso a parlare quasi a monosillabi, un gradito cambiamentorispetto alla sua vecchia spacconaggine. «Faccio pena.»

Lory le risponde per le rime. «Be’, sarà il caso che migliori, e alla svelta. Partiamostanotte, Cole, e tu non vieni solo a farci da guida turistica.»

Non è da me porre fine ai litigi. Istigarli, sì; assistere, senza dubbio; ma troncarli?Tuttavia, non c’è tempo per bisticciare. «Lory, basta così. Cameron, un’altra volta.»

In quella circostanza, il tono pomposo da lady Mareena mi torna utile ed entrambes’interrompono per ascoltarmi. «Blocca i suoi sensi. Rendila normale. Controlla ciò chelei è.»

Cameron contrae un muscolo della guancia, ma non dà voce alle proprie rimostranze.Per quanto possa lamentarsi, sa bene che deve farlo. Se non per noi, almeno per se stessa.Imparare a controllare la sua abilità non è soltanto la cosa migliore che possa fare, ma èanche parte del nostro accordo: io l’addestro e lei ci porta a Corros.

Lory non è altrettanto ben disposta. «Dopo tocca a te, Barrow» brontola rivolta a me. Ilsuo tagliente accento del lontano Nord non perdona, proprio come Lory e la dura terrada cui proviene. «Cole, se mi fai stare di nuovo male ti sventro nel sonno.»

In qualche modo, quella minaccia suscita in Cameron l’increspatura di un sorriso.«Puoi provarci» replica, e stende le lunghe dita storte. «Dimmi quando lo avverti.»

Io le osservo, in attesa di un segnale. Tuttavia, proprio come non è facile scorgere ilpotere di Cameron, lo stesso vale per quello di Lory. La sua cosiddetta abilità dipercezione implica che ogni cosa che sente, vede, tocca, odora o gusta è incredibilmenteamplificata; ecco perché è in grado di vedere lontano quanto un falco, sentire il rumore diun ramoscello che si spezza a un chilometro di distanza e seguire le tracce come unsegugio. Se solo cacciare le piacesse. Ma Lory è più incline a fare la guardia al campo esorvegliare i boschi con la sua vista e il suo udito ipersviluppati.

«Tranquilla» la assisto. Cameron corruga la fronte per la concentrazione ed è allora checapisco: un conto è lasciarsi andare, rompere i propri argini interiori e permettere chetutto fuoriesca. È di certo più facile che trattenersi, porsi un freno, rimanere saldi, fermi ein controllo. «È tuo, Cameron. Ti appartiene. Risponde al tuo volere.»

Colgo un guizzo nei suoi occhi, ma non è la solita collera. È orgoglio. Capisco anchequello. Per ragazze come noi, che non avevano niente e non si aspettavano niente, èinebriante sapere di aver qualcosa che ci appartiene, che nessun altro può rivendicare oportarci via.

Alla mia sinistra, Lory sbatte le palpebre e strizza gli occhi. «Sta funzionando» dice.«Riesco a malapena a sentire al di là del campo.»

Non ci siamo ancora, la sua abilità persiste. «Un po’ di più, Cameron.»Cameron esegue i miei ordini e tira fuori anche l’altra mano. Le dita si contraggono al

ritmo di quello che dev’essere il suo battito cardiaco, mentre trasforma ciò che sente inquello che vuole che sia. «E adesso?» domanda, quando Lory inclina la testa.

«Che cosa?» grida l’avversaria, che strizza gli occhi sempre di più. Ci sente e ci vede astento.

«È questo il tuo obiettivo.» Senza pensarci, mi avvicino e poggio le mani sulle spalle diCameron. «È a questo che devi puntare. Presto sarà semplice come premere un pulsante,

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un gesto così comune che sarà impossibile dimenticarlo. Ti verrà spontaneo.»«Presto?» chiede, e si volta di scatto verso di me. «Partiamo stanotte.»Senza riflettere, l’afferro per il mento e la costringo a guardare Lory. «Non ci pensare.

Pensa piuttosto a quanto tempo puoi tenerla così senza farle del male.»«Sono del tutto cieca!» strilla Lory a voce fin troppo alta. Sei anche del tutto sorda, mi sa.«Qualunque cosa tu stia facendo, sta funzionando» dico a Cameron. «Non c’è bisogno

che me lo riveli, basta solo che tu sappia che questo è il tuo innesco.» Mesi fa, Julian miaveva detto la stessa cosa, ovvero che dovevo trovare l’innesco che mi aveva fattoscatenare le saette nel Giardino a spirale. Ora so che traggo forza dal lasciarmi andare, esembra proprio che anche Cameron abbia scoperto in che modo attivare la sua.

«Ricorda come ti senti in questo momento.»Nonostante il freddo, una gocciolina di sudore le scorre lungo la nuca e scompare nel

colletto. Cameron digrigna i denti e serra la mandibola per trattenere un grugnito difrustrazione.

«Diventerà più semplice» continuo, e le riappoggio le mani sulle spalle. Avverto latensione dei suoi muscoli, rigidi e contratti come funi troppo tirate. La sua abilità nongenera scompiglio soltanto nei sensi di Lory, ma indebolisce anche lei. Se solo avessimo piùtempo. Un’altra settimana o anche solo un giorno.

Almeno Cameron non dovrà trattenersi, quando arriveremo a Corros. Dentro laprigione voglio che infligga quanto più dolore possibile. Tra il suo temperamento equello che ha passato in cella, mettere fuori gioco le guardie non dovrebbe essere troppodifficile per lei. Cameron ci aprirà un varco sicuro tra pietre e carne. Ma cosa accadrebbese incontrasse la persona sbagliata? Se s’imbattesse in un novosangue e non loriconoscesse? Se annullasse Cal oppure me? La sua è forse l’abilità più potente che ioabbia mai visto o percepito, e non voglio certo caderne vittima un’altra volta. Basta il solopensiero a farmi accapponare la pelle. Quando sento le scintille reagire nel profondodelle mie ossa e scoppiettarmi nei nervi, devo ricorrere alle mie stesse lezioni perricacciarle indietro e tenere a bada i fulmini. Benché mi obbediscano e si riducano a undebole ronzio appena percettibile, le scintille continuano a covare dentro di me, carichedi energia. Nonostante mi trovi in uno stato di preoccupazione e stress costanti, pare chela mia abilità sia cresciuta. È più forte di prima, la sento viva e sana. “Almeno una parte dime lo è” penso. Sotto i fulmini, infatti, si annida qualcos’altro.

Il freddo non accenna ad andarsene. Non ha mai fine ed è peggio di qualsiasi fardello.È una voragine che mi divora da dentro: si diffonde come la muffa, come un’infezione, etemo che un giorno mi lascerà vuota, finché non resterà solo il guscio della sparafulmini,il cadavere ambulante di Mare Barrow.

Nella sua cecità, Lory ribalta gli occhi e cerca invano di vedere attraverso la cortina dioscurità che Cameron ha innalzato. «Ricomincio a sentirlo» dice a voce alta. Il sibilo diquelle parole tradisce il suo dolore. Sebbene sia tosta come gli scogli salmastri su cui ècresciuta, nemmeno Lory riesce a rimanere tranquilla davanti alle armi di Cameron. «Èsempre peggio.»

«Lasciala.»Passa un attimo un po’ troppo lungo per i miei gusti, poi Cameron abbassa le braccia.

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Il suo corpo si rilassa e sembra quasi restringersi, mentre Lory cade nuovamente inginocchio. Si massaggia le tempie e sbatte le palpebre a ripetizione, per far tornare ipropri sensi.

«Ahi» mormora, e lancia a Cameron un sorrisetto complice.La ragazzina hi-technica non ricambia la cortesia. Anzi, gira i tacchi, con un

movimento brusco che le fa ondeggiare le treccine, e si ritrova faccia a faccia con me oforse dovrei dire con la punta della mia testa. Sul suo viso leggo rabbia, quella rabbia checonosco molto bene. Stanotte le tornerà utile.

«Sì?»«Per oggi ho finito» sbotta e mostra i denti, di un bianco accecante.Non posso fare a meno di incrociare le braccia e raddrizzare la schiena il più possibile.

L’occhiataccia che le lancio mi fa sentire molto lady Blonos. «Avrai finito tra due ore,Cameron, e dovresti augurarti di avere più tempo. Ci serve ogni secondo che riusciamo aprenderci…»

«Ho detto che ho finito» ripete. Per avere quindici anni, sa essere di una rigiditàdisarmante. I muscoli del suo lungo collo sono imperlati di sudore e ha il fiatone, macombatte l’impulso di ansimare, nel tentativo di affrontarmi in un rapporto alla pari. Neltentativo di sembrare una mia pari. «Sono stanca, ho fame e sto per essere trascinata in unabattaglia che non ho la minima voglia di combattere, di nuovo. Col cavolo che muoio astomaco vuoto.»

Alle sue spalle, Lory ci osserva con gli occhi sbarrati, senza batter ciglio. So cosafarebbe Cal. “Insubordinazione”, è così che la chiama, e non è tollerabile. Dovreiinsistere di più con Cameron, obbligarla a fare un giro di corsa della radura e magarivedere se riesce ad abbattere un uccello con la sola forza della sua abilità. Cal lometterebbe subito in chiaro: “Non è lei che comanda”. Lui conosce i soldati, ma questaragazzina non appartiene alle sue truppe. Non si piegherà al mio volere né al suo. Hapassato troppo tempo a obbedire ai fischi dei cambi turno, a rispettare gli oraritramandati da generazioni di operai ridotti in schiavitù. Ora che Cameron ha assaggiatola libertà, non si sottometterà più ad alcun ordine che non le vada di seguire. E, sebbenetrascorra ogni attimo del suo tempo a protestare, rimane. Malgrado la sua abilità, rimane.

Non la ringrazierò per questo, ma almeno la lascerò mangiare. Così, in silenzio, mifaccio da parte.

«Trenta minuti di riposo, poi torni qui.»Le brillano gli occhi per la collera e quello sguardo familiare mi fa quasi sorridere.

Non posso fare a meno di ammirarla. Chissà, un giorno forse potremmo addiritturadiventare amiche.

Non è d’accordo, ma non discute e si allontana a passi decisi dal nostro angolo nellaradura. Gli altri intorno a noi la seguono con lo sguardo mentre se ne va, dopo avertenuto testa alla sparafulmini. Non m’importa un bel niente di quello che potrebberopensare; io non sono il loro capitano e neppure la loro regina. Non mi considero némeglio né peggio di nessuno di loro ed è ora che comincino a vedermi per quella chesono veramente: un’altra novosangue, un’altra combattente, niente di più.

«Kilorn ha portato del coniglio» dice Lory, se non altro per rompere il ghiaccio.

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Annusa l’aria e si lecca le labbra, in un modo che farebbe inorridire lady Blonos. «Sembrasucculento, oltretutto.»

«Vai, allora» mormoro, e agito una mano in direzione del fuoco che hanno accesodall’altro lato della radura, per cucinare. Non se lo fa ripetere due volte.

«Comunque Cal deve avere la luna storta» aggiunge, mentre mi saltella accanto.«Continua a imprecare e prendere a calci la roba.»

Mi basta guardarmi intorno per capire che Cal non è qui fuori. Per un attimo restoesterrefatta, poi ricordo: Lory è in grado di sentire quasi tutto, se smette di ascoltare. «Mene occupo io» la rassicuro e m’incammino a passo svelto. Lei fa per seguirmi, poi ciripensa e mi lascia correre avanti. Non mi curo di nascondere la mia preoccupazione: Calnon è facile alla rabbia. Inoltre, pianificare è un’attività che lo tranquillizza e lo rendeaddirittura felice. Perciò, qualunque sia la ragione della sua collera, angustia anche me,molto più di quanto dovrebbe, alla vigilia dell’attacco.

La Tana è quasi deserta, sono tutti fuori ad allenarsi. Persino i bambini sono andati aguardare gli adulti imparare a picchiare, sparare e controllare le proprie abilità. Sonolieta di non averli tra i piedi, dato che di solito mi tirano per le mani e mi assillano condomande sciocche sul loro eroe: il principe esiliato. Non ho certo la pazienza di Cal con ibambini.

Giro l’angolo e per poco non vado a sbattere contro mio fratello, che proviene dallecamere. Farley lo segue con un sorriso sulle labbra che scompare nell’attimo esatto in cuimi vede. Oh.

«Mare» bofonchia lei a mo’ di saluto, però non si ferma e mi supera con passo deciso.Shade tenta di fare lo stesso, ma io allungo un braccio per bloccarlo.«Posso aiutarti in qualche modo?» mi chiede. Gli tremano le labbra, mentre combatte

una battaglia persa contro quel suo odioso sorrisetto spensierato.Cerco di guardarlo in cagnesco, se non altro per salvare le apparenze. «Non dovresti

essere fuori ad allenarti?»«Temi che non faccia abbastanza esercizio fisico? Mare, ti assicuro» mi strizza

l’occhiolino «che ne facciamo eccome.»In effetti, non fa una piega. È da un bel pezzo, infatti, che lui e Farley sono

inseparabili. Mi scappa comunque un gemito di stupore e gli tiro un buffetto sul braccio.«Shade Barrow!»

«Oh, andiamo, lo sanno tutti. Non è colpa mia se tu non l’hai capito.»«Potevi dirmelo» borbotto, in cerca di un motivo per rimproverarlo.Lui si limita a fare spallucce, sempre con il sorriso stampato sulle labbra. «Come tu mi

dici tutto di Cal?»«È…» diverso, vorrei dire. Noi non sgattaioliamo via in pieno giorno e di notte non

combiniamo granché. Ma Shade alza la mano per fermarmi.«In realtà, non voglio proprio saperlo, se non ti spiace. E ora, se vuoi scusarmi, credo

di dover andare ad allenarmi, come mi hai gentilmente fatto notare tu.»Batte in ritirata, con le mani in alto, come un uomo che si arrende dopo aver perso una

battaglia. Lascio che se ne vada e lo congedo con un saluto, mentre io stessa stento atrattenere un sorriso. Una minuscola gemma di felicità mi sboccia nel petto, un

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sentimento sconosciuto, dopo tanti giorni di disperazione. La proteggo, come farei con lafiamma di una candela, per mantenerla viva e splendente. Ma la vista di Cal la soffoca inun batter d’occhio.

È nella nostra stanza, seduto su una cassa capovolta, con un grande pezzo di carta,ormai familiare, aperto sulle ginocchia. È il retro di una delle mappe del colonnello,ricoperto di linee disegnate con zelo: la cartina della prigione di Corros o almeno ciò chene rimane nei ricordi di Cameron. Mi aspetto di vedere del fumo levarsi dagli angoli dellacartina, ma Cal si limita ad alimentare il mucchietto di cenere che brucia per terra. Quelfuocherello emette una luce ballerina di colore rosso, con cui leggere non dev’esseresemplice, infatti il principe strizza gli occhi. In un angolo della stanza, giace indisturbatala mia scatola, piena degli ossessionanti biglietti di Maven.

Sposto lentamente un’altra cassa e mi siedo accanto a lui. Benché Cal non sembrinemmeno accorgersene, so che deve avermi notata; non sfugge niente ai suoi sensi disoldato. Quando la mia spalla urta la sua, non alza lo sguardo dalla cartina, ma mi fascivolare la mano sulla gamba e mi avvolge nel suo calore. Lui non molla la presa e ionon lo respingo. Non ci riesco mai.

«Adesso cosa c’è che non va?» chiedo, mentre gli poso la testa sulla spalla. “Così riescoa vedere meglio la cartina” mi dico.

«A parte Maven, sua madre, il fatto che mi fa schifo il coniglio e la struttura diquest’inferno di prigione? Va tutto bene, grazie per avermelo chiesto.»

Vorrei scoppiare a ridere, ma riesco a malapena a tirar fuori un sorriso. Scherzare nonè da lui, non in momenti come questo. Quel genere di cattivo gusto è una prerogativa diKilorn.

«Se ti può consolare, Cameron sta migliorando.»«Davvero?» Sento la voce che gli rimbomba nel petto e risuona dentro di me. «È per

questo che sei qui e hai smesso di addestrarla?»«Ha bisogno di mangiare, Cal. Non è un blocco di pietra silente.»Con lo sguardo ancora rivolto allo schizzo di Corros, sibila: «Non me lo ricordare».«Cal, è solo nelle celle, non in tutto il resto della prigione» gli rammento. Spero che mi

dia retta e si riprenda; deve scuotersi da quello strano umore. «Andrà tutto bene, a pattoche non ci rinchiudano lì dentro.»

«Dillo a Kilorn, allora.» Con mio disappunto, ridacchia della sua stessa battuta e miricorda molto più uno scolaretto che il soldato di cui abbiamo bisogno. Oltretutto, serrala stretta sul mio ginocchio, non così forte da farmi male, ma abbastanza da farmi intuirele sue intenzioni.

«Cal?» Scaccio la sua mano come se fosse un ragno. «Ma che problemi hai?»Finalmente, solleva la testa di scatto e mi guarda. Continua a sorridere, ma nei suoi

occhi non c’è neanche un barlume di allegria. Qualcosa di oscuro attraversa il suosguardo e lui si trasforma in una persona che non riconosco affatto. Non aveva questoaspetto nemmeno nel Circo delle ossa, prima che suo fratello lo condannasse a morte.Era spaventato, sconvolto, un relitto d’uomo, eppure era ancora Cal. Potevo fidarmi diquella persona terrorizzata, ma ora posso fidarmi di questa? Di questo ragazzosorridente, dallo sguardo disperato, che non sa tenere le mani a posto? Chi è costui?

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«Vuoi che ti faccia un elenco?» risponde con un sorriso ancora più ampio, che mi fascattare qualcosa dentro. Gli assesto un violento pugno sulla spalla. Nonostante la suacorporatura robusta, Cal non si oppone all’impeto della botta e si lascia cadereall’indietro. L’assenza di reazione mi coglie di sorpresa, così, nello slancio, cado anch’ioinsieme a lui e finiamo entrambi sul pavimento di terra battuta. Cal sbatte la testa con untonfo e si lamenta per il dolore. Ma quando tenta di rialzarsi, lo spingo di nuovo giù,bloccandolo sotto di me.

«Tu non ti muovi di qui finché non ti dai un contegno.»Con mia grande sorpresa, si limita a scrollare le spalle. Mi fa addirittura l’occhiolino.

«Resto qui volentieri.»«Bleah!» Un tempo, le nobildonne di Norda sarebbero svenute, se il principe Tiberias

avesse ammiccato loro, ma a me l’occhiolino di Cal fa venire la nausea. Lo colpisco dinuovo, stavolta allo stomaco. Almeno ha il buonsenso di tenere la bocca chiusa, mentresbatte le palpebre divertito. «Adesso mi dici qual è il tuo problema.»

Quello che era iniziato come un sorriso si tramuta in un’espressione accigliata e Calbutta la testa all’indietro. Aggrotta la fronte, mentre osserva il soffitto. Sempre meglio checomportarsi come un idiota.

«Cal, altre undici persone verranno con noi a Corros. Undici.»Stringe i denti, sa dove voglio andare a parare. Undici persone che moriranno, se non

mettiamo a segno il nostro colpo, e innumerevoli vittime a Corros, se le lasciamo da sole.«Anch’io ho paura.» Mi trema la voce, più di quanto vorrei. «Non voglio deluderle e

nemmeno che si facciano del male.»Mi posa di nuovo la mano sulla gamba, ma stavolta il suo tocco non è inopportuno né

insistente; vuole essere solo un promemoria. Sono qui.«Ma soprattutto…» resto con il fiato sospeso, prima di ammettere la dura verità «… ho

paura per me stessa. Ho paura del sonar, di provare di nuovo certe sensazioni. E ho pauradi quello che mi farebbe Elara, se finissi nelle sue grinfie. So di valere più di molti altriper quello che ho fatto e che posso fare. Il mio nome e la mia faccia hanno lo stessopotere dei miei fulmini e ciò mi rende importante; mi rende un premio ancora piùambito.» Mi rende sola. «Odio pensare questo, ma non posso farci niente.»

Quello che era cominciato come il crollo nervoso di Cal è diventato il mio. In una notteoscura, su una strada rovente per la calura estiva, gli ho rivelato i miei segreti. Se alloraero la ragazza che aveva tentato di rubare il suo denaro, ora che l’inverno è alle portesono la ragazza che gli ha rubato la vita.

La parte peggiore della mia confessione esita a venire a galla e si agita nella mia testacome un uccellino in gabbia. Mi sbatte sui denti e mi prega di lasciarla libera di uscire.«Mi manca» bisbiglio, incapace di sostenere il suo sguardo. «Mi manca la persona checredevo che fosse.»

La mano del principe si chiude a pugno sulla mia gamba e inizia a emanare calore.Rabbia. Interpretare le emozioni di Cal è semplice, il che mi offre un po’ di tregua, dopotutto il tempo trascorso in un covo di iene bugiarde. «Manca anche a me.»

Alzo lo sguardo di scatto e lo osservo, sbigottita oltre ogni immaginazione.«Non so cosa renderebbe più facile dimenticarlo: se credere che non sia sempre stato

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così e che sua madre lo abbia avvelenato, oppure che è un mostro dalla nascita.»«Nessuno nasce mostro.» Eppure vorrei che a certe persone accadesse. Sarebbe più facile

odiarle, ucciderle e, una volta morte, dimenticare i loro volti. «Neppure Maven.»Senza pensarci mi stendo con il cuore contro il suo. Battono all’unisono e riflettono i

nostri ricordi condivisi di un ragazzo dagli occhi azzurri con una gran parlantina.Intelligente, compassionevole, un principe dimenticato che non rivedremo mai più.«Dobbiamo lasciarlo andare» sussurro sul suo collo. «Anche se significa ucciderlo.»

«Sempre che sia a Corros…»«Cal, posso farlo io, se tu non ci riesci.»Resta in silenzio per quella che mi pare un’eternità e che invece non dev’essere più di

un minuto. Comunque, per poco non mi addormento. Il suo calore è più invitante delmiglior letto di qualsiasi palazzo. «Se sarà a Corros, perderò il controllo» ammette infine.«Gli darò la caccia con tutti i mezzi di cui dispongo, sia a lui sia a Elara. Lei sfrutterà lamia rabbia e la rivolterà contro di te. Mi obbligherà a ucciderti, come mi ha costretto a…»

Gli poso le dita sulle labbra per impedirgli di finire la frase che gli procura un doloreimmenso. In quell’istante, scorgo un uomo mosso esclusivamente dalla vendetta, a cui èrimasto soltanto il cuore che io gli ho spezzato. Un altro mostro in attesa di assumere lasua vera forma.

«Non lascerò che accada» gli dico, nel tentativo di allontanare le nostre paure piùrecondite.

Cal non mi crede, lo intuisco dall’oscurità del suo sguardo. Quel vuoto che ho visto aPoggio Oceanico minaccia di tornare.

«Non moriremo, Cal. Siamo andati troppo oltre perché succeda.»La sua risata vacua mi fa male. Mi allontana le mani con delicatezza, senza però

lasciarmi il polso. «Sai quanti sono morti, tra le persone a cui volevo più bene?»So che sente il mio battito, sono troppo vicina per mascherare il dolore che provo per

lui, ma Cal per poco non deride la mia pietà.«Tutti. Sono stati eliminati tutti. Da lei.» La regina Elara. «Prima li uccide e poi ne

cancella il ricordo.»Qualcun altro, al mio posto, potrebbe dare per scontato che si riferisca al padre o

addirittura all’idea che aveva del fratello, ma io so che non è così. «Coriane.» Sussurro ilnome di sua madre, la sorella di Julian, la regina maliarda. Cal non se la ricorda, ma dicerto piange la sua morte.

«Ecco perché Poggio Oceanico era il mio posto preferito. Era suo. Mio padre l’avevadonato a lei.»

Socchiudo gli occhi e intanto cerco di rammentare il palazzo di Baia del Porto, al di làdell’incubo che è stato. Mi sforzo di ricordare che aspetto avesse, mentre lottavamo per lasopravvivenza. Pian piano, mi tornano in mente le tinte che dominavano gli interni. Oro,giallo sbiadito, beige pergamena, come le vesti di Julian. Il colore del casato Jacos.

Ecco perché Cal sembrava così triste, ecco perché non è stato capace di dar fuoco aglistendardi dorati. Erano gli stendardi di sua madre.

Non so che cosa significhi essere orfani; in fondo, ho sempre avuto un padre e unamadre. Che benedizione sia l’ho capito solo quando mi hanno portato via da loro. In

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questo momento, non mi sembra giusto sentire la loro mancanza, sapendoli al sicuro,mentre i genitori di Cal sono morti e non torneranno. Ora, più che mai, detesto il freddoche ho dentro e la mia paura egoistica di essere lasciata sola. Tra i due, Cal è più solo diquanto io sarò mai.

Tuttavia, non possiamo indugiare nei nostri pensieri e ricordi, non ci è concessosoffermarci su di essi in questo istante. «Parlami della prigione» lo stimolo con un nuovoargomento. Per quanto sia dura, tirerò fuori Cal da questa crisi nera.

Emette un sospiro talmente profondo che gli si scuote tutto il corpo, però mi è gratoper la distrazione. «È una cava, una fortezza protetta dalla sua stessa ingegnosa struttura.Gli accessi sono al piano superiore e sovrastano le celle. È tutto collegato da passerellecomandate dai magnetron. Basta un loro movimento del polso e precipiteremo per dodicimetri, finendo sul fondo di una specie di barile. Massacreranno noi e chiunque faremouscire.»

«E che mi dici dei prigionieri argentei? Non credi che opporranno resistenza?»«Non dopo settimane trascorse nelle celle silenti. Certo, saranno un ostacolo, ma non

insormontabile. E la loro condizione fisica ne rallenterà la fuga.»«Tu… intendi lasciarli fuggire?»Il suo silenzio è una risposta più che sufficiente.«Ma potrebbero rivoltarsi contro di noi là dentro, oppure darci la caccia in seguito.»«Non sono un politico, ma credo che un’evasione darà a mio fratello ben più di un

grattacapo, soprattutto se i fuggiaschi sono i suoi prigionieri politici.»Scuoto la testa.«Non ti convince?»«Non mi fido.»«Sai che novità» commenta ironico, e mi passa le dita sulle cicatrici che l’apparecchio

di suo fratello mi ha lasciato sul collo. «Ma non sarà la forza bruta a condurti alla vittoria,Mare. Non importa quanti novisangue riuscirai a radunare, gli argentei saranno semprepiù numerosi e sempre in vantaggio.»

Che buffo sentire un soldato che perora una forma diversa di lotta.«Spero che tu sappia cosa stai facendo.»Fa spallucce. «Gli intrighi politici non sono propriamente il mio forte» ammette, «ma

farò un tentativo.»«Anche se significasse scatenare una guerra civile?»Mesi fa, Cal mi aveva spiegato cosa avrebbe comportato una rivolta: una guerra su

entrambi i fronti, tra persone con il sangue di ogni colore. Rossi contro rossi, argenteicontro argentei e tutto quello che ci passa in mezzo. Mi aveva detto che non avrebbemesso a rischio l’eredità di suo padre per una guerra del genere, anche se fosse stata unaguerra giusta. Cal si rifiuta di rispondere e il silenzio cala di nuovo tra noi. Immagino chenon sappia più da che parte stare. Non è un ribelle e nemmeno un principe, e non è piùsicuro di nulla, a parte il fuoco che gli brucia nelle ossa.

«Saremo anche in minoranza numerica, ma questo non gioca a nostro sfavore»continuo. Più forte di entrambi. È quello che mi ha scritto Julian, quando ha scoperto cosafossi. Julian che, con mia grande sorpresa, potrei rivedere presto. «I novisangue

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posseggono delle abilità contro cui gli argentei non sono preparati, neppure tu.»«Dove vuoi arrivare?»«Affronti questa cosa come se fossi al comando delle tue truppe, dotate di abilità che

riesci a comprendere, per le quali ti sei addestrato.»«E?»«Vorrei proprio vedere cosa succederebbe se una guardia cercasse di sparare a Nix o se

un magnetron tentasse di mandare al tappeto Gareth.»Cal ci mette un attimo a capire cosa intendo dire: Nix è invulnerabile, più forte di un

pelleroccia, e Gareth non cadrà molto in fretta, dato che è in grado di manipolare lagravità. Non avremo un esercito, ma di certo abbiamo soldati e abilità che le guardieargentee non sanno come combattere. Non appena il quadro gli diventa chiaro, Cal miprende il viso tra le mani e lo solleva per schioccarmi un bacio focoso e deciso, fin troppobreve per i miei gusti.

«Sei un genio» mormora balzando in piedi. «Torna da Cameron, fai preparare tuttiquanti.» Afferra la cartina, euforico e pieno di energia. Sulle sue labbra torna a farcapolino un sorrisetto malizioso, ma stavolta non mi dà fastidio. «Questo piano potrebbedavvero funzionare.»

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25

La Tana sfarfalla alle mie spalle e osservo sbalordita quella che negli ultimi mesi è stata lamia casa, mentre scompare nella notte con un rapido movimento della mano di Harrick.Se la collina rimane, e così anche la radura, ogni traccia del nostro accampamento vienespazzata via come sabbia da un ciottolo. Non riusciamo più neanche a sentire le voci deibambini, che fino a un attimo prima se ne stavano lì a salutarci. Farrah ne attutisce ilsuono e, insieme a Harrick, getta una coltre protettiva intorno ai novisangue più giovani.Nessuno è mai arrivato nemmeno vicino a scovarci, ma con quest’ulteriore difesa misento più sollevata di quanto non voglia ammettere. In molti lanciano grida di vittoria,come se occultare la Tana fosse già di per sé un motivo sufficiente per festeggiare. Miinfastidisce che sia Kilorn a guidare il coro, con i suoi fischi assordanti, eppure non lorimprovero, non ora che finalmente siamo tornati in buoni rapporti. Gli lancio invece unsorriso forzato, mentre digrigno dolorosamente i denti per trattenere quello che vorreipotergli dire davvero: “Risparmia le energie”.

Shade, che mi cammina accanto, è silenzioso quanto me. Non si volta a osservare laradura ormai deserta, ma tiene lo sguardo puntato in avanti, verso il bosco freddo eoscuro e il compito che ci attende. Ha quasi smesso di zoppicare e ora procede a ritmosostenuto. Io sto al passo con determinazione, mentre ci trasciniamo dietro tutti gli altri.Il tragitto fino al jet non è molto lungo e cerco di assaporarne ogni secondo. L’aria freddadella notte mi pizzica il viso scoperto, ma il cielo è assolutamente terso. Niente neve,niente tempeste… per ora. A dire il vero, una tempesta sta per arrivare, che sia io aportarla oppure qualcun altro, e non so proprio chi sopravvivrà per vedere l’alba.

Shade mi posa una mano sulla spalla e borbotta qualcosa che non afferro. Ha due ditastorte che devono ancora guarire, da quella volta in cui siamo andati a reclutare la Nonnaa Cancorda. Shade era finito nelle grinfie di un fortebraccio e, prima che riuscisse ascappare via con un balzo, quello gli ha frantumato le prime dita della mano sinistra.Farley lo ha medicato subito, naturalmente, ma la vista di quelle dita sbilenche mi faancora rabbrividire. Mi ricorda Gisa, un’altra Barrow a cui hanno spezzato le ossa percolpa delle mie azioni.

«Ne vale la pena» ripete, stavolta a voce più alta. «Stiamo facendo la cosa giusta.»Lo so. Per quanto abbia paura per me e per le persone a me care, so che andare a

Corros è la scelta giusta. Anche senza la garanzia di Jon, credo nel percorso che abbiamointrapreso. Come faremmo altrimenti? Non possiamo abbandonare i novisangue aisussurri di Elara, non possiamo permettere che li uccida o li trasformi in gusci vuoti esenz’anima assoggettati ai suoi ordini. Dobbiamo agire per impedire che prenda formaun mondo ancora più orribile di quello in cui viviamo adesso.

A ogni modo, l’affermazione di Shade mi dà conforto, come il calore di una coperta.

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«Grazie» mormoro, e poso la mano sulla sua.Mi risponde con un sorriso, una mezzaluna di denti che riflette quella calante nel

cielo. Nell’oscurità, somiglia moltissimo a nostro padre, tolta la vecchiaia, la sedia arotelle e i fardelli di una vita andata a rotoli. Li accomuna la stessa intelligenza, la stessascaltra diffidenza che li ha mantenuti in vita entrambi, quando erano al fronte, e che oramantiene in vita Shade, su un campo di battaglia molto diverso. Mi dà un buffetto sullaguancia, un gesto familiare che mi fa sentire una bambina. Eppure non mi infastidisce,mi ricorda che condividiamo lo stesso sangue, non per mutazione ma per nascita, equesto è un legame più profondo e più forte di qualsiasi abilità.

Cal marcia alla mia destra e fingo di non avvertire il suo sguardo. So che anche lui stapensando a suo fratello e ai suoi legami di sangue andati distrutti. Dietro di lui, Kilorn,avvinghiato al suo fucile da caccia, scruta i boschi, attento a ogni ombra. Malgrado letante differenze, quei due ragazzi hanno in comune un particolare davvero sconvolgente:sono entrambi orfani, entrambi abbandonati, e io sono la loro unica ancora.

Il tempo scorre troppo velocemente per i miei gusti. Sembrano trascorsi solo pochiistanti e stiamo già fendendo l’aria a bordo del freccianera. Ogni secondo che passaaccelera sempre di più, mentre sfrecciamo verso la scogliera scura davanti a noi. “Ne valela pena” mi dico, continuando a ripetermi le parole di Shade. Devo restare calma, perl’aereo. Non devo far trasparire la paura, per gli altri. Ma il cuore mi martella talmenteforte nel petto che temo che chiunque possa sentirlo.

Per combattere quel battito assillante stringo il casco che ho sulle ginocchia e neabbraccio la sagoma liscia e fresca. Fisso il metallo lucido ed esamino il mio riflesso. Laragazza che vedo mi è in parte familiare e in parte estranea: Mare, Mareena, lasparafulmini, la regina rossa e nessuna di loro. Non ha un’aria spaventata. Sembrascolpita nella roccia, con i suoi lineamenti severi, la treccia attaccata alla testa e ungroviglio di cicatrici sul collo. Non ha diciassette anni, è senza età, argentea e non, rossa enon, umana… e non. Un vessillo della Guardia Scarlatta, un volto sui manifesti deiricercati, la causa della rovina di un principe, una ladra… un’assassina. Una marionettache può assumere qualsiasi forma tranne la propria.

Dato che sono nere e argento, le tute da volo supplementari a bordo del jet ciforniscono una sorta di uniforme raffazzonata che ci servirà anche come travestimento.Gli altri si danno un gran da fare con le loro divise e apportano le modifiche necessarieper riuscire a indossarle. Come sempre, Kilorn armeggia con il colletto, nel tentativo diallentare un po’ la rigidità del tessuto. Nix riesce a malapena a chiudere la cerniera sullapancia, che pare sul punto di strapparsi da un momento all’altro. Tutto il contrario dellaNonna che, pur navigando nella sua tuta, non si preoccupa di rimboccare le maniche oarrotolare le gambe dei pantaloni, come invece devo fare io. Tanto, quando il jet atterrerà,lei assumerà delle sembianze diverse, che mi faranno rivoltare lo stomaco e palpitare ilcuore, in un’esplosione di innumerevoli emozioni.

Per fortuna il freccianera è stato concepito per il trasporto militare, per cui lo spazio alsuo interno basta e avanza per tutti. Credevo che il peso extra ci avrebbe rallentato, ma agiudicare dal pannello di controllo viaggiamo alla solita velocità di crociera, anzi, forseanche un po’ più spediti. Cal pilota l’aereo meglio che può e ci tiene al riparo dal chiarore

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lunare, nascosti tra le nubi autunnali che sormontano la costa di Norda.Guarda fuori dal finestrino e i suoi occhi guizzano dalle nuvole alle spie della

strumentazione che ha davanti. Nonostante tutti i viaggi trascorsi seduta accanto a lui,nella cabina di pilotaggio, non ho ancora compreso la funzione di uno solo di quegliaggeggi. Anche a Palafitte ero una pessima studentessa e questo aspetto non è cambiato.È che non ho la sua testa; conosco soltanto le scorciatoie, so come imbrogliare, mentire,rubare e riesco a intuire quello che la gente nasconde. In questo preciso momento, peresempio, sono certa che Cal stia nascondendo qualcosa. I segreti di chiunque altro mifarebbero paura, ma so che quello che il principe tiene per sé non può ferirmi. Cerca solodi sotterrare le proprie paure e debolezze. È stato cresciuto secondo gli ideali di forza epotere, nient’altro. Tentennare era l’errore più grande che potesse commettere. Gli hoconfessato che anch’io sono spaventata, ma qualche parola bisbigliata non è sufficiente ascalfire anni di convinzioni. Proprio come me, anche Cal indossa una maschera e nonlascerà che io veda cosa c’è dietro.

“Tanto meglio così” pensa il mio lato pratico. Invece l’altra me, quella che tiene fintroppo al principe esiliato, è terribilmente preoccupata. Sono consapevole del pericolofisico che questa missione rappresenta, ma prima di oggi pomeriggio non mi aveva maisfiorato il pensiero del rischio emotivo. Una volta a Corros, cosa diventerà Cal? Ne usciràuguale a prima? Ne uscirà vivo?

Farley controlla la nostra scorta di armi per la dodicesima volta. Quando Shade cercadi aiutarla, lo respinge, ma senza troppa convinzione. Intercetto persino un sorrisettocomplice tra i due, poi lei gli concede di contare i proiettili contenuti in un pacchetto conla scritta CORVIUM . Un altro carico rubato: dev’essere opera di Crance. Insieme ai contattidi Farley è riuscito a trafugare più pistole, coltelli e armi varie di quanto avrei maicreduto possibile. Tutti saranno armati, delle proprie abilità e di qualsiasi altra cosascelgano. Io voglio soltanto i miei fulmini, ma i miei compagni sono più avidi e chiedonopugnali, pistole o, nel caso di Nix, la spietata lancia retrattile, che è stata la sua preferitanelle ultime settimane. La tiene stretta a sé e accarezza l’acciaio affilato con trasporto. Unaltro, al suo posto, si sarebbe già fatto un bel taglio, ma Nix ha la pelle più dura dellamedia. Darmian, l’altro novosangue invulnerabile, segue il suo esempio e si appoggia uncoltellaccio da macellaio sulle ginocchia bitorzolute. Il filo della lama balugina come sesupplicasse di tranciare delle ossa.

Mentre osservo la scena, Cameron afferra un coltellino con mano tremante, standoben attenta a tenerlo nel fodero. Ha trascorso gli ultimi tre giorni ad affinare la propriaabilità e non si è esercitata con il coltello. Il pugnale è la sua ultima risorsa, quella di cuimi auguro non abbia bisogno. Quando si accorge che la guardo, assume un’aria affranta eper un attimo temo che mi dia una rispostaccia o, peggio ancora, che possa vedereattraverso la mia maschera. Invece, mi rivolge un cenno di riconoscimento.

Ricambio il gesto, come se le tendessi una mano invisibile in segno di amicizia, ma ilsuo sguardo si fa più duro e un attimo dopo gira la testa dall’altra parte. Il messaggio èchiaro: “Siamo alleate, non amiche”.

«Manca poco» esordisce Cal, e mi dà un colpetto sul braccio perché mi volti. “È troppopresto” sento urlare nella mia testa, sebbene sappia che siamo in perfetto orario.

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«Funzionerà.» Mi trema la voce. Per fortuna, mi sente solo Cal, che però non coglie lamia debolezza e lascia che covi. «Funzionerà» ripeto con tono ancora più flebile.

«Chi è in vantaggio?» mi chiede.Le sue parole dapprima mi sconvolgono, poi mi feriscono e infine mi tranquillizzano.

Arven soleva porre quella stessa domanda durante gli allenamenti, quando facevaduellare i propri allievi in battaglie per il sangue e la gloria. L’aveva rivolta di nuovoanche nel Circo delle ossa, prima che un fortebraccio di nome Rhambos lo infilzassecome un grosso porco schifoso. Detestavo quell’uomo, ma questo non significa che ionon abbia imparato niente da lui.

Abbiamo l’effetto sorpresa, abbiamo Cameron, abbiamo Shade, Gareth, la Nonna ealtri cinque novisangue, contro i quali nessun argenteo potrà mai essere preparato. Poiabbiamo Cal, un genio militare.

E soprattutto abbiamo una causa. Abbiamo alle spalle l’alba rossa che ci implora disorgere.

«Siamo noi in vantaggio.»Il sorriso di Cal è forzato tanto quanto il mio, eppure riesce comunque a trasmettermi

un po’ di calore. «Questa sì che è la mia ragazza!»Ancora una volta, le sue parole mi scatenano emozioni contrastanti che mi

scombussolano.A spazzare via il pensiero di Cal dalla mia testa ci pensano lo schiocco e il sibilo di

un’interferenza emessa dalla radio. Mi giro a guardare la Nonna, che, per tutta risposta,annuisce. Osservo il suo corpo mutare davanti a me e vedo l’anziana donna trasformarsiin un ragazzo dagli occhi azzurro ghiaccio e i capelli neri, ma privo di anima. Maven.Oltre al suo aspetto, cambiano anche gli abiti: la tuta da volo viene rimpiazzata da un’altauniforme nera intonsa, con tanto di fila di medaglie lucenti e mantello color cremisi. Hauna corona adagiata sui boccoli corvini e devo trattenermi per non assecondare l’impulsodi scagliarla fuori dal jet.

Gli altri hanno un’espressione rapita, sbalorditi alla vista del falso re. Io, invece, provosoltanto odio e una punta di rimorso. La gentilezza della Nonna traspare nonostante ilsuo travestimento e fa assumere alle labbra di Maven un tenero sorriso che riconosco fintroppo bene. Per un doloroso istante, rivedo il ragazzo che credevo fosse e non il mostroche si è poi rivelato.

«Bene» mi sforzo di dire, con la voce impastata per l’emozione. L’unico che sembraaccorgersene è Kilorn, che distoglie di scatto lo sguardo dalla Nonna. Riesco appena ascuotere la testa, come a dirgli di non preoccuparsi. Abbiamo cose più importanti a cuipensare.

«Torre di controllo di Corros, qui è Avio Uno» annuncia Cal alla radio. Durante gli altrivoli, si è sempre sforzato di sembrare annoiato e disinteressato, nelle comunicazioniobbligatorie con le varie basi, mentre ora è deciso e professionale. Del resto, ci stiamospacciando per il jet personale del re, noto come Avio Uno, un mezzo al di sopra diqualsiasi controllo. E Cal sa che tono dovrebbero avere queste particolari comunicazioni,perché le ha sentite con le proprie orecchie. «Corona in avvicinamento.»

Niente oscuri codici identificativi né richieste di atterraggio. Solo un’autorità risoluta,

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alla quale qualsiasi operatore all’altro capo dell’apparecchio avrebbe difficoltà a opporsi.Com’era prevedibile, infatti, risponde una voce balbettante.

«Ri-Ricevuto Avio Uno» dice l’uomo, con un tono basso e stridulo che tradisce tutta lasua ansia. «Mi perdoni, ma l’arrivo di sua maestà non era previsto per domanipomeriggio?»

Domani. Il quarto giorno, quello in cui Jon ha detto che saremmo morti… e aveva ragione.Maven si porterà dietro un esercito di guardie, dalle sentinelle ai guerrieri più letali,come Ptolemus ed Evangeline. Non possiamo competere con loro.

Agito una mano dietro la schiena per farle segno, ma la Nonna è già al suo posto. Lasua somiglianza con Maven mi fa accapponare la pelle.

«Il re segue esclusivamente i propri programmi» dice alla radio, mentre le guance le sicolorano d’argento. Anche se il tono non è abbastanza tagliente, la voce è inconfondibile.«E di certo non renderò conto a te, che sei poco più di un usciere.»

Il tonfo che si sente all’altro capo della radio non può che essere l’operatore cadutodalla sedia.

«Ce-Certamente, ci mancherebbe, vostra maestà.»Dietro di noi, qualcuno soffoca una risata nella manica. Con ogni probabilità è Kilorn.Cal fa un cenno alla Nonna, poi riprende il trasmettitore. Scorgo in lui lo stesso dolore

che avverto io nel profondo. «Atterraggio previsto tra dieci minuti. Preparate Corros perl’arrivo del re.»

«Me ne occuperò personal…»Prima che l’operatore possa finire la frase, Cal spegne la radio e si concede un breve

sorriso di sollievo. Gli altri riprendono a esultare e a festeggiare una vittoria inesistente.Sì, abbiamo superato un ostacolo, ma ce ne saranno molti altri. E sono tutti laggiù, suicampi grigio-verdi che costeggiano le terre desolate di Acquitrino e nascondono laprigione che potrebbe essere la nostra condanna.

A est una venatura rossastra ha già tinto l’orizzonte, ma quando il freccianera tocca laliscia pista d’atterraggio di Corros, il cielo sopra di noi è ancora blu scuro, come il fondodel mare. Sebbene non si tratti di una base militare ricolma di hangar e squadroni di jet ècomunque un’infrastruttura argentea, e l’atmosfera di pericolo che incombe su ogni cosaè palpabile. Mi infilo il casco per nascondere il volto. Cal e gli altri fanno lo stesso e siabbassano le visiere. A chi è all’oscuro dei nostri piani dobbiamo sembrare spaventosimentre, tutti neri e mascherati, scortiamo il giovane e spietato re verso la propriaprigione. Si spera che le guardie non facciano caso proprio a noi, più preoccupate per lapresenza del re che dei suoi accompagnatori.

Non ce la faccio più a stare seduta e mi alzo dal sedile più in fretta che posso, facendopenzolare e tintinnare le cinture di sicurezza. Svolgo il mio dovere, anche se non vorrei, eprendo la Nonna a braccetto. Sembra Maven anche al tatto.

«Degnali appena di uno sguardo» le dico con la voce ovattata dal casco. «Sorridi senzaessere affabile. Niente chiacchiere e niente convenevoli. Comportati come se avessi unmilione di segreti e fossi tu l’unica persona abbastanza importante da conoscerli tutti.»

Lei annuisce e ascolta senza batter ciglio. Del resto, sia io sia Cal le abbiamo insegnato

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come farsi passare per Maven. Il mio vuol essere soltanto un promemoria, un po’ comedare un’ultima sbirciatina al libro prima della verifica.

«Non sono una stupida» ribatte con una tale freddezza che per poco non le tiro unpugno in faccia. “Non è Maven” mi risuona nella testa, più forte di una campana.

«Credo che tu abbia capito» interviene Kilorn alzandosi in piedi. Mi afferra per ilbraccio e mi allontana appena. «Mare ha rischiato di ucciderti.»

«Tutti pronti?» urla Farley dal fondo del jet. Ha già la mano alzata vicino al bottonedella rampa, ed è impaziente di premerlo.

«Ai vostri posti!» abbaia Cal con un tono che ricorda un po’ troppo un sergenteistruttore. Noi, però, obbediamo e ci disponiamo in ranghi ordinati, come ci hainsegnato, con la Nonna in testa. Lui si mette al suo fianco e assume il ruolo della suaguardia del corpo più letale.

«Andiamo a prendere qualche decisione sbagliata» commenta Farley e ho comel’impressione di sentirla sorridere, mentre schiaccia il pulsante.

Un sibilo… ed ecco che gli ingranaggi si muovono, i cavi vibrano e la coda dell’aereo sispalanca per salutare l’ultimo mattino, per alcuni di noi.

Una dozzina di soldati attende a rispettosa distanza dal freccianera. Sono tutti schieratiin una formazione provata e riprovata e, alla vista della novosangue mascherata da re,scattano all’unisono e le rivolgono un perfetto saluto formale: mano sul cuore, ginocchioa terra. La visiera del casco fa sembrare il mondo più scuro, ma non riesce a celare ilgrigio nebuloso delle loro uniformi militari né il complesso basso e dimesso alle lorospalle. Nessun cancello di bronzo né mura di vetrodiamante… Non ci sono nemmeno lefinestre. C’è solo un unico blocco piatto di cemento che si protende sui campiabbandonati di questa landa desolata. La prigione di Corros. Mi concedo uno sguardoall’aereo e alla pista che si allunga verso l’orizzonte, dove regnano ombre e radiazioni.Riesco a scorgere soltanto un paio di jet, parcheggiati nell’oscurità, con le loro pancemetalliche piene e rotonde. Aerei del carcere, utilizzati per trasportare i detenuti. Setutto va secondo i piani, presto torneranno in azione.

Ci avviciniamo a Corros in silenzio, sforzandoci di marciare tutti allo stesso passo. Calè accanto alla Nonna e tiene il pugno serrato lungo il fianco, mentre io sono subitodietro. Alla mia destra c’è Shade, Cameron avanza alla mia sinistra. Farley e Kilorn sonoal centro della formazione, sempre con le mani sulle pistole. L’aria stessa, pervasa dalpericolo, sembra carica di elettricità.

Non è la morte che temo, non più. Mi ci sono trovata faccia a faccia troppe volte peraverne ancora paura. È la prigione a spaventarmi, il pensiero di essere catturata, costrettain catene e trasformata nella stupida marionetta della regina. È questo che non riuscirei asopportare. Preferirei morire cento volte piuttosto che affrontare un simile destino.Ciascuno di noi lo preferirebbe.

«Vostra maestà» esordisce uno dei soldati, che ha l’ardire di alzare lo sguardo sullapersona che crede essere il re. Il distintivo sul petto, tre spade incrociate di metallo rosso,segnala che è un capitano, mentre le spalline blu e rosso acceso possono solo indicare icolori del suo casato. Un Iral. «Benvenuto nella prigione di Corros.»

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Come da istruzioni, la Nonna lo degna appena di uno sguardo e agita la mano pallidain segno di congedo. Questo dovrebbe bastare a convincere chiunque della sua presuntaidentità. Eppure, mentre i soldati attendono in piedi, il capitano ci squadra uno per uno;ha notato le nostre uniformi e l’assenza di sentinelle a scortare il sovrano. Il suo sguardotagliente si sofferma soprattutto su Cal e sul suo casco. Tuttavia, non dice una parola e isoldati si dispongono in formazione accanto a noi. I loro passi rimbombano insieme ainostri. Haven, Osanos, Provos, Macanthos, Eagrie. Su alcune uniformi riconosco i coloridelle varie famiglie. L’ultima è appunto di un Eagrie, il casato dei lungimiranti, il nostroprimo obiettivo. Tiro Cameron per la manica e faccio un lieve cenno in direzionedell’uomo dalla barba bionda e dagli occhi sfuggenti, con le righe bianche e nere sullaspalla.

Lei inclina la testa e serra i pugni lungo il corpo, in uno stato di quieta concentrazione.L’assalto è iniziato.

Il capitano affianca la Nonna dall’altro lato e marcia davanti a me con un passo cosìfelpato che fatico a sentirlo. È un setoso. Ha la stessa pelle abbronzata, gli stessi capelli diun nero lucente e i medesimi tratti spigolosi di Sonya Iral e di sua nonna, l’agile epericolosa Pantera. Posso solo augurarmi che il capitano non abbia anche il suo stessotalento per gli intrighi, o portare a termine la nostra missione sarà molto più difficile delprevisto.

«Abbiamo quasi ultimato le modifiche che avete ordinato, vostra maestà» dice, e c’èun che di caustico nelle sue parole. «Ogni blocco di celle è stato sigillato singolarmente,come richiesto, e il prossimo carico di pietra silente arriverà domani, insieme alla nuovaunità di guardie.»

«Bene» risponde la Nonna con aria disinteressata e accelera un po’ il passo,costringendo il capitano a adeguare il suo per restarle dietro. Anche Cal aumenta il ritmoe noi di conseguenza. Sembra un inseguimento.

Se il Centro di sicurezza di Baia del Porto era un bell’edificio in pietra scolpita e vetroscintillante, Corros è grigia e deprimente come la landa desolata che la circonda. Arompere la monotonia della prigione c’è solo l’ingresso, una singola porta di ferro nero afilo con il muro. Niente cardini, niente serrature né maniglie: sembra un abisso, unabocca spalancata. Tuttavia, riesco a percepire la corrente elettrica che circonda la porta,proveniente dal piccolo pannello quadrato lì accanto. “L’interruttore azionabile con unachiave”, proprio come aveva detto Cameron. La chiave pende da una catena nera al collodi Iral, che però non la stacca.

Ci sono anche delle telecamere, avverto i piccoli occhi penetranti puntati sulla porta.Tuttavia non mi disturbano affatto, mi preoccupano di più il capitano setoso e i suoisoldati, che ci accerchiano e ci costringono a proseguire la marcia.

«Temo di non conoscere né lei, pilota, né il resto dell’equipaggio, se è per questo.» Ilcapitano pungola Cal sporgendosi in avanti per guardare oltre la Nonna e fissarlo conuno sguardo di pietra. «Vi dispiacerebbe identificarvi?»

Stringo il pugno per impedire alle mie dita di tremare. Cal non fa nulla del genere,anzi gira a malapena la testa, restio persino a mostrare di aver notato il capitano dellaprigione. «Pilota va più che bene, capitano Iral.»

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Come prevedibile, Iral si inalbera. «Il penitenziario di Corros è sotto il mio comando ela mia protezione, pilota. Se crede che vi lascerò entrare senza…»

«Senza che cosa, capitano?» Ogni parola che esce dalla bocca della Nonna è taglientecome una lama e mi trafigge nel profondo. Il capitano si blocca di colpo e le sue guance sitingono d’argento, mentre ingoia un’incauta risposta per le rime. «L’ultima volta che hocontrollato, Corros apparteneva a Norda. E a chi appartiene Norda?»

«Sto solo facendo il mio lavoro, vostra maestà» farfuglia, ma ha già perso la suabattaglia. Si porta di nuovo la mano sul cuore, in segno di saluto. «La regina mi haincaricato di difendere questa prigione e io desidero soltanto obbedire ai suoi ordini,nonché ai vostri.»

La Nonna annuisce. «In tal caso le ordino di aprire la porta.»Iral china la testa e cede il passo. Uno dei suoi soldati, un’anziana donna con

un’austera treccia argentata e la mascella squadrata, si fa avanti e poggia una mano sullaporta di ferro. Non ho bisogno di vedere le righe nere e argento sulle sue spalline persapere che fa parte del casato Samos. Sotto il suo tocco da magnetron, il ferro si muove esi frantuma in schegge frastagliate che si ritraggono con brusca efficienza. Veniamoinvestiti da una folata di aria gelida, che porta con sé un vago sentore di umidità con unanota acre. Sangue. Eppure l’atrio è rivestito di piastrelle spoglie di un bianco accecante,senza l’ombra di una macchia. La Nonna è la prima a mettere piede là dentro e noi laseguiamo.

Accanto a me, Cameron sta tremando, così le do un colpetto con il gomito. Se potessi,le stringerei la mano. Posso solo immaginare quanto debba essere atroce per lei tuttoquesto… Io sarei a pezzi se dovessi tornare ad Archeon. Ciononostante, lei sta rientrandonella sua prigione per me.

L’ingresso è stranamente vuoto. Nessuna immagine di Maven né stendardi. Nondovendo far colpo su nessuno, questo posto non ha bisogno di decorazioni. C’è solo ilronzio delle telecamere. I soldati del capitano Iral riprendono in fretta le proprieposizioni e si mettono ai lati di ciascuna delle quattro porte che ci circondano. Quella allenostre spalle, di colore nero, si richiude con l’assordante stridore del metallo che scorresul metallo. Le porte a destra e a sinistra, invece, sono dipinte d’argento e risplendononella luce abbacinante della prigione, mentre dritto davanti a noi c’è quella che dovremoattraversare, di un ripugnante color rosso sangue.

Iral, tuttavia, si ferma all’improvviso e indica una delle porte argentate. «Immaginoche vogliate vedere sua maestà la regina.»

Sono grata per i caschi che indossiamo, senza i quali il capitano noterebbe l’orroredipinto sul volto di ciascuno di noi. Elara è qui. Mi si rivolta lo stomaco all’idea diaffrontarla e sto quasi per rimettere dietro la visiera. Malgrado tutti i suoi sforzi, persinola Nonna sbianca e le si blocca la parola. Sento la presenza di Kilorn alle mie spalle, apochi centimetri di distanza. Non dice nulla, ma riesco comunque a percepire i suoipensieri. Scappa. Scappa. Scappa. Ormai, però, non posso più scappare.

«Sua maestà è qui?» sbotta Cal, e per un attimo temo che abbia perso il controllo.«Ancora?» aggiunge, improvvisando una bugia. Il sospetto, tuttavia, si fa largo nellamente del capitano, lo vedo dilagare nel suo sguardo.

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Per fortuna la Nonna scoppia in una fragorosa risata con un’espressione forzata,fredda e distaccata. «Sa bene che mia madre ha sempre fatto quello che voleva»rimprovera Cal. «Ma io sono qui per affari di tutt’altro genere, capitano. Non c’è alcunbisogno di disturbarla.»

Il capitano le offre in risposta un sorriso remissivo, che gli deforma il volto in unasmorfia e imbruttisce i suoi bei lineamenti. «Benissimo, signore.»

Kilorn mi dà un colpetto sul braccio e avverto una certa urgenza nel suo tocco. Vedequel che vedo io: il capitano non si fida più di noi. Mi volto, afferro Cameron per il gomito eglielo stringo. È il suo segnale. Sotto la mia presa, sento i suoi muscoli irrigidirsi. Staconvogliando tutte le sue energie nel tentativo di bloccare l’abilità di Eagrie e impedirglidi vedere ciò che sta per succedere. Un lampo di confusione gli attraversa il viso, ma illungimirante si scuote dallo stordimento e fa uno sforzo per concentrarsi su di noi. Nonriesce a capire che gli sia preso.

«Cosa siete venuto a fare?» insiste Iral, ancora con quel suo mordace ghignodemoniaco sulle labbra, mentre fa un fiacco passo verso di noi. Sarà anche il suo ultimo.«Vi prego di rimuovere i vostri caschi.»

«No» replico io.Inspiro adagio e assumo il controllo delle telecamere che ci hanno puntato addosso.

Quando Iral apre la bocca per gridare io espiro, e quegli apparecchi esplodono in unapioggia di scintille, come fuochi artificiali. Poi tocca alle luci, che iniziano a lampeggiare,finché non ci ritroviamo immersi in un susseguirsi di buio pesto e luce accecante. Noisiamo preparati a tutto questo, i soldati di Corros no.

Una fiammata avvolge le pareti circostanti e getta una strana luce ballerina sullepiastrelle bianche. Sbarrando ogni porta con vampate che raggiungono il soffitto, il fuocoimprigiona i militari nell’oscurità intermittente insieme a noi. Il soldato Osanos, unacquatico, si affretta a produrre del vapore, ma non basta per combattere le fiammecrepitanti di Cal. Un pelleroccia si avventa su di me, ma mentre osservo la sua pelletrasformarsi in pietra davanti ai miei occhi, quello va a sbattere contro il muro noto comeNix Marsten. Anche Darmian scende in campo e i due novisangue invulnerabili sipreparano a fare a pezzi la guardia. Gli altri se la cavano altrettanto bene: Ketha piantaun’esplosione nel cuore del telecinetico Provos, che lo squarcia da dentro e lo annienta.La guerriera Haven fa del suo meglio per sconfiggere le mie tenebre con l’abilità dicondensare le ombre in una foschia scura, in grado di scoppiare all’improvviso egenerare una luce di un fulgore abbagliante. Devo chiudere gli occhi, perché nemmeno icaschi riescono a schermare quel bagliore accecante, ma quando li riapro, Haven è a terra.Ha un taglio profondo sul collo e sputa sangue argenteo sulle piastrelle, mentre miofratello la sovrasta brandendo un coltello. Dietro di lui, Eagrie crolla in ginocchiourlando, con la testa tra le mani.

«Non ci vedo!» geme e si tormenta gli occhi, finché alle lacrime di dolore non siaggiunge anche il sangue. «Non vedo niente, che sta succedendo? Che cos’è? Che cosa seitu?» grida contro nessuno.

Cameron è la prima a sfilarsi il casco. Non ha mai ucciso un uomo prima d’ora,nemmeno quando è evasa. Glielo leggo in faccia, nell’orrore che la contorce. Eppure non

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molla, non so dire se per coraggio o brutalità. Il suo silenzio prende il sopravvento e si fasempre più intenso, finché l’uomo al suolo smette di piangere, di graffiarsi, di respirare.Spira con gli occhi sbarrati, lo sguardo fisso nel nulla, cieco e sordo nei suoi ultimi istantidi vita. Dev’essere come venire sepolti vivi.

Nel giro di un minuto è tutto finito. Dodici argentei sono a terra morti, alcuni bruciati,altri folgorati, altri ancora trafitti da una pallottola o con il cranio spaccato. Le vittime diKetha sono quelle messe peggio. Con il suo operato ha ricoperto un’intera parete dischizzi e ora ansima rumorosamente, mentre evita di guardare ciò che ha fatto. La suaabilità esplosiva è a dir poco raccapricciante.

Soltanto Lory, che ha affrontato il magnetron insieme a Gareth, è rimasta ferita. Hauna scheggia di metallo conficcata nel braccio, ma niente di grave. Farley arriva per primain suo soccorso, estrae quella specie di lama e la fa tintinnare al suolo. Lory emette soloun grugnito di dolore.

«Ci siamo scordati le bende» mormora Farley con una mano sulla ferita sanguinante.«Tu ti sei scordata le bende» ribatte Ada; poi tira fuori uno scampolo di tessuto bianco

dalla tuta e lo arrotola al braccio di Lory con fare esperto. Un attimo dopo è giàmacchiato.

Kilorn ride sotto i baffi; è l’unico in grado di apprezzare una battuta in un momentocome questo. Constato con sollievo che sta benissimo, tutto assorto a ricaricare il fucile.Dalla canna esce del fumo e ci sono almeno due corpi crivellati dai suoi colpi. Chiunquealtro potrebbe pensare che non gliene importi nulla, ma io so che non è così. Malgrado lerisa, Kilorn non è affatto compiaciuto del proprio cruento lavoro.

Non lo è nemmeno Cal, chino sul cadavere del capitano Iral per sfilargli con cautela lachiave nera dal collo. “Non li ucciderò” mi aveva detto una volta, prima che assaltassimoil Centro di sicurezza di Baia del Porto. Ha infranto la sua promessa, il che lo feriscemolto più a fondo di qualsiasi combattimento.

«Nonna» bofonchia senza riuscire a distogliere lo sguardo da Iral. Con dita tremanti,gli chiude gli occhi per sempre. Dietro di lui, la Nonna fissa Iral, concentrata sul suo viso.Ci impiega un istante ad assumerne le sembianze e io emetto un lieve sospiro di sollievo.Faccio davvero fatica a sopportare anche solo un Maven fasullo.

Il sibilo di un’interferenza crepita dalla cintura di Iral. È la sua radiolina: il centro dicomando sta cercando di contattarlo. «Capitano Iral! Capitano Iral, che succede?Abbiamo perso il contatto visivo.»

«Solo un malfunzionamento» risponde la Nonna con la voce di Iral. «Può darsi che siestenda.»

«Ricevuto, capitano.»Cameron distoglie lo sguardo dal corpo di Eagrie e appoggia una mano sulla porta

rossa.«Per di qua» dice a voce talmente bassa che la sentiamo a malapena, oltre il gocciolio

del sangue e i gemiti dei moribondi.Percepisco il centro di comando della prigione come un nervo pulsante che controlla

tutte le telecamere della struttura. Mi attrae a sé e mi trascina attraverso i tortuosicorridoi, rivestiti di mattonelle bianche proprio come l’ingresso, benché non altrettanto

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pulite. Se mi avvicino, tra una piastrella e l’altra riesco a scorgere del sangue, ormaidiventato marrone, con il passare del tempo. Hanno tentato di lavare le tracce di qualsiasicosa sia successa qui, ma non sono stati abbastanza meticolosi. Il sangue rosso non è facileda pulire. Ci vedo lo zampino della regina in tutto questo, qualsiasi incubo abbia messo inatto nelle viscere di Corros.

È qui da qualche parte e porta avanti la sua terribile opera. Forse sta persino venendo acercarci, incuriosita dal trambusto. Mi auguro di sì. Spero che giri l’angolo in questo precisoistante, così che io possa ucciderla.

Ma quando siamo noi a voltare l’angolo, invece della regina Elara ci ritroviamo davantiun’altra porta priva di serratura, con una grande D dipinta sopra. Cameron, il coltello inmano, le corre incontro e comincia a staccare il pannello elettrico. Si svita in un secondo elei affonda le dita tra i cavi.

«Dobbiamo passare di qui per arrivare al comando» spiega, e fa un cenno con il capoin direzione della porta. «Ci sono due magnetron di guardia. Tenetevi pronti.»

Cal si schiarisce la voce con calma e le fa dondolare la chiave davanti al naso. «Oh»bofonchia lei, rossa per l’imbarazzo, e gliela sfila di mano. Con un’espressione accigliatala inserisce nell’apposita fessura del quadro. «Dimmi tu quando.»

«Gareth» comincia Cal, ma il novosangue si è già fatto avanti ed è pronto di fronte allaporta metallica. La Nonna, ancora camuffata da capitano Iral, prende posto accanto a lui.Sanno entrambi cosa fare.

Gli altri, invece, non mostrano la stessa sicurezza. Ketha sembra sul punto di piangeree continua ad accarezzarsi le braccia, come se temesse di aver perso un arto. Farley cercadi aiutarla, ma viene respinta. Sento un tuffo al cuore quando mi rendo conto che non socome incoraggiare Ketha. Avrà bisogno di un abbraccio o di uno schiaffo?

«Guardaci le spalle» le abbaio contro, optando per una via di mezzo. Lei trema e mifulmina con lo sguardo. Le si è sciolta la treccia, per cui si sposta indietro le ciocche dicapelli scuri, poi annuisce lentamente. Mentre si gira sul posto per sorvegliare ilcorridoio vuoto dietro di noi, tira su con il naso e il suono rimbomba sulle piastrelle.

«È l’ultima volta» mormora, ma mantiene la sua posizione. Darmian e Nix le vannoaccanto, in una dimostrazione di solidarietà, più che di forza. Se non altro, costituirannoun’ottima barriera, quando le guardie capiranno che cosa sta succedendo quassù. E non civorrà molto.

Proprio come me, Cal sa che dobbiamo fare in fretta. «Ora» e si addossa alla pareteinsieme a noi.

La chiave gira. Avverto l’elettricità passare attraverso l’interruttore e invadere ilmeccanismo della porta, che con uno stridore si ritrae all’istante all’interno della pareteper rivelare un cavernoso blocco di celle. In netto contrasto con i corridoi di mattonellebianche, le celle sono grigie, fredde e sporche. Si sente un gocciolio d’acqua in lontananzae l’aria è intrisa di un’umidità malsana. Quattro piani di celle, impilati l’uno sull’altro,sprofondano nell’oscurità. Non ci sono scale né pianerottoli a collegare i vari livelli.Quattro telecamere, ciascuna in un angolo del soffitto, monitorano tutto dall’alto.Spegnerle è una sciocchezza. L’unica luce è di un giallo violento e tremolante, benché dalpiccolo lucernario sopra di noi si intraveda il cielo tendente all’azzurro, indice che il sole

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sta sorgendo. Lì sotto, su una passerella di metallo riflettente e scintillante, ci sono duemagnetron in uniforme grigia. Quando sentono il rumore dei passi in avvicinamento, sivoltano entrambi.

«Che cosa…?» dice il primo e avanza verso di noi. Sull’uniforme ha i colori del casatoSamos. Alla vista della Nonna accanto a Gareth si blocca di colpo. «Capitano Iral,signore.» Con un gesto della mano, il soldato Samos solleva delle lastre di metallo dalpavimento e, sotto i nostri occhi, costruisce una nuova fila di passerelle per permettere aGareth e alla Nonna di proseguire.

«Sangue fresco?» sghignazza l’altro magnetron, e fa cenno a Gareth con un ghignod’intesa. «Di quale legione sei?»

La Nonna taglia corto prima che Gareth possa rispondere. «Aprite le celle, è ora di faredue passi.»

Con nostro disappunto, i soldati si scambiano sguardi confusi. «Ma li abbiamo fattiuscire ieri, non gli spetta più fino a…»

«Gli ordini sono ordini e anch’io ho i miei» ribatte la Nonna. Solleva la chiave di Iral egliela agita davanti, in chiaro segno di minaccia. «Aprite le celle.»

«Allora è vero, il re è tornato un’altra volta?» chiede Samos scuotendo la testa. «Nonc’è da stupirsi che sia scoppiato il putiferio al comando. Immagino che si siano dovutidare una mossa per l’arrivo del sovrano, soprattutto visto che sua madre è ancora neiparaggi.»

«È un tipo strano, la regina» aggiunge l’altro con una grattata di mento. «Non so checosa faccia nel Pozzo e non voglio neanche saperlo.»

«Le celle» ripete la Nonna con voce dura.«Certo, signore» borbotta il primo magnetron. Dà una gomitata all’altro e si girano

contemporaneamente verso le decine di celle che si susseguono lungo le pareti. Moltesono vuote, ma in alcune intravedo delle ombre straziate dalla morsa della pietra silente.Prigionieri novisangue che stanno per essere liberati.

La passerella continua ad allungarsi e i pezzi si posizionano con un clangore chericorda i colpi di un enorme martello contro un muro di alluminio. Si formano dellespecie di ballatoi per ogni piano di celle, lungo tutto il perimetro del blocco, mentre altrelastre di metallo si girano e si piegano a formare gradini che collegano tra loro i varilivelli. Per un attimo sono sopraffatta dalla meraviglia: ho sempre visto i magnetronintenti a combattere e a utilizzare le loro abilità per uccidere e distruggere, mai percreare qualcosa. In questo momento, non mi è difficile immaginarli assorti nellaproduzione di jet e mezzi di trasporto di lusso o nella manipolazione di pezzi di ferrofrastagliato per realizzare bellissimi archi lisci e sottili come lame. Per non parlare degliabiti di metallo che piacevano tanto a Evangeline. Devo ammettere che erano davveromagnifici, sebbene la ragazza che li indossava fosse un mostro. Tuttavia, quando le sbarredi ogni singola cella si spalancano e i prigionieri possono finalmente risvegliarsi dal lorotorpore, dimentico tutto lo stupore e la meraviglia. Questi magnetron sono carcerieri,assassini che obbligano degli innocenti a soffrire e morire dietro le sbarre, in nome delleragioni poco convincenti che Maven dà loro. Non fanno che eseguire degli ordini, certo,però scelgono comunque di farlo.

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«Andiamo, fuori di qui.»«In piedi, è ora di portarvi a spasso, brutti cagnacci.»I magnetron si muovono in rapida successione e trottano verso il primo gruppo di

celle. Trascinano i novisangue di peso giù dalle loro brande e buttano sulla passerellaquelli che non riescono ad alzarsi abbastanza in fretta. Una ragazzina atterrapericolosamente vicino al bordo e per poco non cade giù. Somiglia così tanto a Gisa chefaccio un passo avanti. Kilorn deve tirarmi indietro con uno strattone. «Non ancora» miringhia nell’orecchio.

Non ancora. Serro i pugni, le mani mi prudono e mi pregano di farle sfogare sulle dueguardie che si avvicinano sempre di più alla porta. Non ci hanno visto, per il momento,ma ci vedranno, questo è poco ma sicuro.

Cal è il primo a togliersi il casco. Samos si ferma all’improvviso, come se gli avesserosparato. Sbatte le palpebre una sola volta, non riesce a credere ai propri occhi. Primaancora che possa reagire, i suoi piedi si staccano dal suolo e schizza su, verso il soffitto.Anche l’altro fa la stessa fine, non appena perde la sua debole presa sulla forza di gravità.Gareth li fa rimbalzare entrambi e li catapulta contro il soffitto di cemento con un ultimonauseante scricchiolio di ossa rotte.

Come un solo corpo, invadiamo il blocco di celle il più in fretta possibile. Per primacosa, raggiungo la ragazzina caduta e la tiro su. Ha il respiro affannoso e il suo corpicinotrema. L’effetto intollerabile della pietra silente, però, è svanito e le sue pallide guanceumidicce riprendono un po’ di colorito.

Mi tolgo il casco.«La sparafulmini» mormora, e mi sfiora il viso. Mi si spezza il cuore.Una parte di me vorrebbe prenderla in braccio e scappare via, per sottrarla a tutto

questo, ma il nostro compito è tutt’altro che finito e io non posso andarmene. Nemmenoper la ragazzina. Perciò l’aiuto a rimettersi in piedi, su gambe tremanti, e con delicatezzalibero la mano dalla sua presa.

«Seguiteci meglio che potete. Combattete meglio che potete!» grido all’intero blocco.Mi sporgo dalla passerella per assicurarmi che tutti riescano a vedermi e sentirmi. Giù infondo, i pochi prigionieri ancora vivi nelle celle più in basso hanno già cominciato larisalita delle scale di metallo. «Stanotte ce ne andremo da questa prigione, insieme evivi!»

Arrivata a questo punto, dovrei avere imparato a non mentire. Ma una bugia è ciò dicui loro hanno bisogno per andare avanti e se il mio inganno ne salverà anche solo uno,allora sarà valso il prezzo della mia anima.

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26

Le telecamere oscurate non possono proteggerci a lungo e, a quanto pare, il tempo cheavevamo a disposizione è scaduto. Tutto comincia con esplosioni nel corridoio. A ogniscoppio, sento le urla di Ketha, atterrita da ciò che ha fatto e che continua a fare a carne eossa. Ogni grido lacerante si ripercuote nel blocco di celle e paralizza i novisangue, giàabbastanza lenti di loro.

«Non fermatevi!» abbaia Farley. La sua frenetica energia è scomparsa per cedere ilposto a una ferma autorità. «Seguite Ada! Seguite Ada!» Li conduce come un branco dipecore e ne trascina molti di peso su per le scale. Shade, che con i suoi balzi trasporta ipiù anziani e i più deboli dai piani inferiori, sebbene la cosa disorienti gran parte di loro,è di maggiore aiuto. Kilorn, invece, con le sue braccia lunghe, si rende utile nell’impedirealla gente di cadere dal ballatoio.

Ada agita le braccia per convogliare i novisangue verso la porta accanto a lei, che hauna grande C nera dipinta sopra. «Con me» grida. Il suo sguardo guizza su ciascuno diloro: sta contando. Molti sono inspiegabilmente attratti da me, per cui li devo addiritturaspingere nella sua direzione. La ragazzina, per lo meno, ha recepito il messaggio; saltellaverso Ada e le si aggrappa alla gamba, nel tentativo di ripararsi dal trambusto. Nelblocco, infatti, i muri di cemento e le lastre di metallo trasformano i rumori in ululatibestiali che rimbombano in modo orribile. Poco dopo, risuonano anche degli spari,seguiti dalla risata inconfondibile di Nix. Eppure, avrà ben poco da ridere, se questoassalto continuerà.

Ora arriva la parte che mi fa più paura, quella a cui ho opposto la più strenuaresistenza. Ma Cal è stato chiaro: “Dobbiamo dividerci”, coprire una superficie maggiore,liberare più prigionieri e soprattutto farli uscire di qui sani e salvi. Perciò, attraversocontrocorrente la fiumana di novisangue. Cameron è al mio fianco. Lancia la chiaveall’indietro e Kilorn l’afferra con destrezza. Ci guarda andare via senza il coraggio dibatter ciglio. Potrebbe essere l’ultima volta che mi vede, e lo sappiamo entrambi.

Cal mi segue, sento il suo calore a metri di distanza. Al nostro passaggio, rende lapasserella così incandescente da fonderla, isolandoci dagli altri. Quando raggiungiamo laporta all’altro capo del blocco, quella contrassegnata dalla scritta COMANDO, Cameron simette a trafficare con il pannello elettrico. Io non posso fare altro che fissare Kilorn e miofratello; alterno lo sguardo tra l’uno e l’altro per memorizzare i loro volti. Ketha, Nix eDarmian ci raggiungono di corsa nel blocco, per sfuggire alla carica che non riescono piùa contenere. Un attimo dopo arrivano anche i proiettili, che rimbalzano sul metallo esulla pelle di Nix. Ancora una volta il mondo rallenta e io vorrei che si fermasse del tutto.Vorrei che Jon fosse qui a dirmi cosa fare, a dirmi che ho compiuto la scelta giusta. Adirmi chi morirà.

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Una mano calda, quasi ustionante, mi sfiora la guancia per distrarmi a forza da tutto ilresto. «Concentrati» mi fulmina Cal. «Mare, ora dovrai dimenticarti di loro. Fidati delletue azioni.»

Riesco a malapena ad annuire. Stento a parlare. «Sì.»Alle nostre spalle, il blocco di celle si svuota. Davanti a noi, l’interruttore si aziona e la

porta si apre.Cal mi spinge dentro insieme a lui e io atterro con un urto violento su un altro

pavimento di piastrelle. Il mio corpo reagisce più in fretta della mia mente e i fulminis’innescano tutt’intorno a me. Disintegrano il pensiero di Shade e Kilorn, finché restanosoltanto il centro di comando in fondo al corridoio e quello che devo fare.

Proprio come Cameron aveva detto, si tratta di una stanza triangolare impenetrabile,di vetrodiamante smerigliato, con pannelli di controllo, monitor, sei soldati indaffarati eporte di metallo molto simili a quelle per accedere ai blocchi. Sono tre in tutto, una suciascuna parete. Corro verso la prima, convinta che si aprirà, certa che i soldati delcomando si dimostreranno all’altezza della situazione. Invece, con mia grande sorpresa,rimangono tutti seduti alle loro postazioni e mi fissano con gli occhi sbarrati, pieni dipaura. Batto un pugno contro la porta e il dolore che mi pervade la mano mi dà piacere.«Aprite!» grido, come se servisse a qualcosa. Il soldato più vicino sussulta e si allontanadalla parete con un balzo. Anche lui indossa un distintivo da capitano.

«No!» ordina, e allunga una mano per fermare i propri uomini.In alto, una sirena comincia a mugghiare.«Se è questo che vogliono» mormora Cal dirigendosi verso l’altra porta.Uno schianto mi fa sobbalzare. Mi volto e vedo grossi blocchi di granito scorrere e

sostituire la porta metallica che abbiamo appena varcato. Cameron sorride soddisfattaaccanto al pannello elettrico e gli dà addirittura dei colpetti affettuosi. «Così dovremmoaver guadagnato qualche minuto.» Quando si rialza in piedi, le scricchiolano le ginocchia.Alla vista del centro di comando, tuttavia, s’imbroncia. «Quei maledetti idioti hannopaura» ringhia, e fa un gesto molto volgare, di quelli che si addicono più ai vicolimalfamati di Palafitte. «Possiamo raggiungerli attraverso il vetro?»

Per tutta risposta, punto lo sguardo sui monitor, che esplodono in rapida successione etravolgono i soldati in una pioggia di scintille e vetri rotti. L’ululato della sirena diventaun tenue lamento e infine si estingue. Ogni pezzo di metallo all’interno del centro dicomando sfrigola di elettricità, come un uovo che cuoce in padella, e costringe i soldati araccogliersi al centro della stanza. Uno di loro si accascia e si afferra la testa tra le mani,in un gesto che ormai riconosco: trema sotto l’influenza del pugno stretto di Cameron,nel tentativo di combattere le continue ondate della sua abilità soffocante. Rivoli disangue gli fuoriescono da naso, orecchie e bocca. Nel giro di poco, muore asfissiato.

«Cameron!» sbraita Cal, ma lei finge di non sentirlo.«Julian Jacos!» picchio di nuovo sul vetro. «Sara Skonos! Dove sono?»Un altro soldato stramazza a terra tra i lamenti.«Cameron!»La ragazza non mostra alcun segno di volersi fermare. Perché mai dovrebbe? Quella

gente l’ha imprigionata, torturata, affamata e l’avrebbe anche uccisa. Vendicarsi è un suo

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diritto.I soldati si rannicchiano per sottrarsi alla furia bianca e viola dei miei fulmini, che si

sono fatti più intensi e ora rimbalzano all’interno della scatola di vetro. È tutto uncrepitio e uno scoppiettio di saette, che esplodono sempre più vicine a loro.

«Mare, smettila…» continua a strillare Cal, ma io lo sento a malapena.«Julian Jacos! Sara Sko…»Il capitano, che ormai si muove carponi sul pavimento, si getta contro la parete davanti

a me. «Blocco G! Superate quella porta!»«Basta, andiamo!» ringhia Cal. Dentro il modulo di comando, il capitano lancia

un’occhiata al proprio principe decaduto.Cameron scoppia in una risata forte e cristallina. «Tu vorresti lasciarli in vita? Sai cosa

ci hanno fatto? Cos’hanno fatto a chiunque, qui dentro, argentei compresi?»«Per favore, vi prego, eseguivamo solo degli ordini, gli ordini del re…» supplica il

capitano, accucciato per scampare a un’altra scarica elettrica. Alle sue spalle la secondavittima di Cameron si accartoccia su se stessa, mentre soccombe al silenzio. Le lacrimegli restano impigliate tra le ciglia, come gocce di cristallo. «Vostra altezza, imploro pietà,la vostra pietà…»

Penso alla ragazzina che abbiamo liberato poco fa. Aveva gli occhi rossi e le sisentivano le costole sotto i vestiti. Penso a Gisa e alla sua mano fratturata. Penso allaneonata ricoperta di sangue a Templyn. Bambini innocenti. Penso a tutto quello che mi èsuccesso a partire dalla fatidica estate in cui la morte di un pescatore ha dato inizio aquesto pasticcio. No, non è stata colpa sua, è stata colpa loro. Sono state le loro leggi, la levaobbligatoria, il tragico destino che hanno imposto a ciascuno di noi. Sono stati loro. Se la sonocercata questa fine. Persino ora, mentre io e Cameron li stiamo distruggendo, implorano lapietà di Cal. Supplicano un re argenteo e sputano sulle regine rosse.

Guardo il principe attraverso il vetro smerigliato, che gli deforma il viso e lo rendemolto simile a Maven. «Mare» sussurra, se non altro per se stesso.

Ma i suoi bisbigli non possono fermarmi. Sento qualcosa di nuovo dentro di me, chemi è familiare ed estraneo al tempo stesso. Un potere che non deriva dal sangue, ma dallapossibilità di scegliere, che scaturisce da quello che sono diventata e non da come sononata. Scosto lo sguardo dalla faccia distorta di Cal. So di essere deformata tanto quantolui.

Mostro i denti con un ringhio.«I fulmini non conoscono pietà.»Una volta ho visto i miei fratelli bruciare delle formiche con un vetrino. Questo è

simile… ma molto peggio.

Se i blocchi di celle sigillati singolarmente rendono ai prigionieri la fuga difficile, quasiimpossibile, è però vero che ostacolano anche la comunicazione tra le guardie. Laconfusione è efficace tanto quanto i fulmini e le fiamme. Le guardie sono riluttanti adabbandonare le proprie postazioni, soprattutto perché corre voce che ci sia in giro il re. Ècosì che, nel blocco G, ci imbattiamo in quattro magnetron intenti a discutereanimatamente.

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«Hai sentito la sirena, c’è qualcosa che non va…»«Se va bene, è soltanto un’esercitazione, un’esibizione per il reuccio…»«Ma non riesco a comunicare via radio con il comando.»«Non li hai sentiti prima? Le telecamere hanno dei problemi, ora staranno partendo

anche le radio. Forse è di nuovo la regina con i suoi giochetti, quella strega maledetta.»Ne trafiggo uno con un fulmine, per attirare la loro attenzione. «Hai sbagliato strega.»Prima che la passerella metallica crolli sotto i miei piedi, mi aggrappo alle sbarre a

sinistra della porta e mi tengo salda. Cal, invece, va a destra e, sotto il suo toccoinfuocato, le sbarre diventano rosse fino a liquefarsi. Cameron resta sulla soglia; ha lafronte madida di sudore, ma non accenna a rallentare il ritmo. Uno dei magnetronruzzola giù dal proprio piedistallo retrattile e si stringe la testa tra le mani, mentre fa unvolo di tre piani fino a sfracellarsi sul pavimento di cemento e morire sul colpo. Fuoridue.

Vengo travolta da una grandinata di schegge metalliche, ciascuna delle quali è unminuscolo pugnale fatto apposta per uccidere. Prima che mi ci costringano loro, mollo lapresa e scivolo lungo le sbarre, fino ad appoggiare i piedi sul bordo sottile della cellasottostante. «Cal, mi serve un aiutino!» urlo, e intanto schivo un’altra raffica diframmenti affilati, a cui rispondo con una delle mie scariche. Il magnetron si tuffaapparentemente nel vuoto, ma in realtà il suo metallo si sposta con lui e gli permette dicorrere a mezz’aria.

Con mio disappunto, Cal mi ignora e continua a fondere le sbarre della cella. Ha laschiena avvolta dalle fiamme, per proteggersi da qualsiasi arma l’altra magnetron possascagliargli addosso. Lo scorgo a stento, tra le lingue di fuoco, ma quel poco che vedo èsufficiente. È terribilmente arrabbiato e il perché non è un mistero. Mi odia per averucciso quegli argentei, per aver fatto quello che lui non è stato in grado di fare. Mai avreipensato di assistere al giorno in cui Cal, il soldato, il guerriero, avrebbe avuto paura diagire. Adesso è concentrato ad aprire quante più celle possibile e, ignorando le miepreghiere di aiuto, mi costringe a combattere da sola.

«Cameron, mandalo al tappeto!» strillo alla mia improbabile alleata.«Con molto piacere» sibila lei allungando una mano verso il magnetron che mi sta

attaccando. Lui incespica, ma non cade. Cameron si è indebolita.Mi sposto verso il basso, aggrappata alle sbarre, rischiando di scivolare con i piedi,

mentre le dita sono sempre più indolenzite. Sono abituata a correre, non adarrampicarmi, e sono quasi incapace di combattere in queste condizioni. Quasi. Una lamaaffilata a forma di rombo mi graffia la guancia e mi procura una ferita sul viso. Un’altrami taglia il palmo della mano. Quando afferro la sbarra successiva, la mia presa è ormaidebole e scivola sul mio stesso sangue. Precipito per un paio di metri e atterroviolentemente nelle viscere del blocco. Per un attimo non riesco nemmeno a respirare e,quando riapro gli occhi, vedo un gigantesco spuntone che sfreccia dritto verso la miatesta con un sibilo. Rotolo per schivare il colpo letale, ma ne piovono altri e altri ancora:per rimanere in vita, devo procedere a zigzag sul pavimento. «Cal!» grido un’altra volta,più arrabbiata che spaventata.

Lo spuntone successivo si scioglie prima di raggiungermi, ma gli schizzi delle gocce di

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ferro rovente mi arrivano troppo vicini e mi ustionano la schiena. Quando il tessuto dellatuta mi si squaglia sulle cicatrici, non riesco a trattenere un urlo. È il dolore piùlancinante che abbia mai provato, secondo solo a quello provocato dal sonar e dall’atrocecoma che ne è seguito. Crollo a terra in ginocchio, con le gambe attraversate da scosse diagonia.

A quanto pare, il dolore è un altro dei miei inneschi.Il lucernario sulle nostre teste va in frantumi e una scarica di fulmini esplode verso di

me. Per una frazione di secondo, è come se un albero viola fosse spuntato dal sottosuoloe si fosse ramificato nello spazio aperto al centro del blocco G. La saetta coglie disorpresa una dei due magnetron superstiti, senza lasciarle neppure il tempo di urlare.L’altro è quasi finito, costretto ad acquattarsi sotto una lamiera, rannicchiato perdifendersi dalla volontà incalzante di Cameron.

«Julian!» grido, quando l’aria si rischiara. «Sara!»Cal, con le mani a megafono intorno alla bocca, salta giù dall’altra parte del

pavimento. Si rifiuta di guardarmi, preferisce cercare tra le celle. «Zio Julian!» ruggisce.«Io aspetto quassù» dice Cameron, che ci osserva dalla porta aperta al piano superiore.

Fa ciondolare le gambe e ha persino la sfrontatezza di fischiettare, mentre lanciaun’occhiata all’ultimo magnetron rimasto in vita, che continua a gemere.

Il blocco G è malsano quanto il D, quello dei novisangue, e, grazie a me, ora è anchesemidistrutto. Da un buco in mezzo al pavimento si leva del fumo. È tutto ciò che restadel mio enorme fulmine. È buio pesto, lì sotto, ma da quanto riesco a vedere, le celle inbasso sono tutte piene. Qualche prigioniero si è trascinato fino alle sbarre per assistere altrambusto. Quante facce riconoscerò? I loro visi, però, sono troppo tesi, troppo smunti;hanno la pelle livida per la paura, la fame e il freddo. Dubito che riuscirei a riconoscerepersino Cal, dopo un paio di settimane quaggiù. Mi aspettavo che riservassero untrattamento migliore agli argentei, ma immagino che i prigionieri politici siano pericolosiquanto i mutanti, tenuti nascosti.

«Qua» gracchia una voce.Malgrado le ustioni sulla schiena protestino a ogni passo, mi metto a correre e per

poco non inciampo sul corpo del magnetron. Davanti alla cella da cui proveniva la voceincontro Cal; ha le mani infuocate, pronte a fondere le sbarre per salvare suo zio e fareammenda per alcune delle sue colpe.

L’uomo rinchiuso ha l’aria debilitata, è vecchio e fragile come i suoi amati libri. La suapelle è diventata bianca, i pochi capelli che gli sono rimasti sono sottili e le rughe sul suoviso si sono moltiplicate e fatte più profonde. Credo che gli manchi addirittura qualchedente. Ma i suoi familiari occhi castani sono inconfondibili, così come la scintillad’intelligenza che gli illumina lo sguardo. Julian.

Non ce la faccio ad aspettare e per poco non mi avvicino troppo al metallo inliquefazione. Julian. Julian. Julian. Il mio maestro, il mio amico. La prima sbarra cede e Calla strappa via con forza, creando spazio a sufficienza perché io possa sgusciare dentro.Quasi non mi accorgo della pressione asfissiante esercitata dalla pietra silente,concentrata come sono sul rimettere in piedi Julian. Si sente debole, come se gli sipotessero spezzare le ossa da un momento all’altro, e, per un istante, mi chiedo se sarà in

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grado di uscire vivo da qui. Poi la sua stretta su di me si fa più salda, mentre corruga lafronte per la concentrazione.

«Portatemi da quella guardia» dice con un ringhio che tradisce un po’ del suo vecchiospirito «e tirate fuori Sara.»

«Certo, siamo venuti anche per lei.» Mi appoggio il suo braccio sulla spalla per aiutarloa camminare. Benché sia molto più alto di me è inaspettatamente leggero. «Siamo venutiper tutti.»

Mentre lo facciamo uscire dalla cella, Julian incespica, ma riesce a mantenerel’equilibrio. «Cal» mormora in cerca del nipote. Gli prende il volto tra le mani e studia ilviso del principe esiliato, come farebbe con un vecchio libro. «Sono successe delle cose,non è vero?»

«Sì» grugnisce Cal, senza guardarmi.La prigionia lo ha cambiato nell’aspetto, ma non nella sostanza. Con aria molto

solenne Julian fa un cenno di assenso. La sua comprensione è di grande conforto per Cal.«Non c’è posto per pensieri simili qui e ora. Dopo.»

«Dopo» ripete Cal, e si decide infine a voltare gli occhi sfavillanti su di me. Mi sentobruciare. «Dopo.»

«Vieni, Mare, aiutami a raggiungere quello straccio d’uomo immondo» dice con il ditopuntato verso la guardia a terra, priva di sensi ma ancora in vita. «Vediamo se posso dinuovo rendermi utile.»

Esaudisco la sua richiesta e gli faccio da stampella, mentre zoppica verso il soldatocaduto. Nel frattempo, Cal sta già armeggiando con la cella di Sara, che si trova dallaparte opposta rispetto a quella di Julian, a portata d’orecchio e di vista, ma non di mano.Un’altra piccola tortura che hanno dovuto subire.

Ho già visto Julian fare questa cosa in passato, ma mai con simile sforzo o dolore. Glitremano le dita, mentre apre un occhio alla guardia, e deglutisce più volte alla ricercadella voce di cui ha bisogno. La sua voce ammaliante.

«Non importa, Julian, possiamo trovare un altro modo…»«In un altro modo finiremo con il farci ammazzare, Mare. Non ti ho insegnato proprio

niente?»Malgrado la situazione in cui ci troviamo, mi scappa un sorriso che cerco di

nascondere, mentre combatto l’impulso di abbracciare il mio vecchio mentore.Con gli occhi semichiusi, Julian finalmente espira. Gli si gonfiano le vene del collo, poi

spalanca gli occhi di scatto. «Svegliati» dice con voce più incantevole di un tramonto.Davanti a noi, la guardia esegue l’ordine e schiude anche l’altro occhio. «Apri le celle,tutte quante.» Uno stridore serpeggia e rimbomba tra i vari piani del blocco, mentre lesbarre di ogni singola cella si piegano e si spalancano all’unisono. «Costruisci le scale e lepasserelle. Collega tutto.» Clang. Clang. Clang. Ogni frammento di metallo, gli spuntoni,le schegge elettrizzate, persino le gocce fuse si appiattiscono e cambiano forma,unendosi tra di loro in rapida successione. «Vieni con noi». La voce di Julian vacilla nelproferire l’ultimo ordine, ma il magnetron gli ubbidisce lo stesso, benché un po’ arilento.

«È una fortuna che siate venuti oggi» mi dice Julian, mentre lo aiuto a raddrizzarsi.

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«Ieri ci hanno fatto uscire, perciò siamo meno deboli del solito.»Medito se dirgli di Jon, della sua abilità e dei suoi consigli. A Julian piacerebbe tanto

sapere di lui. “Dopo” mi dico. “Dopo.”Per la prima volta, nutro qualche speranza.Ci sarà un dopo.

A Corros si scatena il finimondo. In ogni corridoio, dietro ogni porta si sente l’eco deglispari. Il gruppo di argentei spossati ci segue senza energie, benché qualcuno abbiaancora la forza di lamentarsi. Non mi fido affatto di loro e, per tenerli d’occhio, per poconon mi metto a camminare all’indietro. Molti si distaccano dalla comitiva e sgusciano via,ansiosi di scappare da questo posto, altri si addentrano nelle profondità della prigione,assetati di vendetta. I pochi che restano con noi hanno l’aria abbattuta per la vergogna diessersi accodati alla ragazza sparafulmini. Eppure mi seguono e combattono comemeglio possono. Sembra di gettare un sasso in uno stagno: all’inizio le increspature sonopiccole, poi diventano sempre più ampie. Ogni blocco cade con maggiore facilità delprecedente, finché i magnetron all’interno si trovano costretti a fuggire da noi. Gliargentei si avventano sui propri traditori come lupi famelici e ne uccidono più di me.Tuttavia, neppure questo può durare a lungo. Quando un azzeratore del casato Lerolan fasaltare una barriera di pietra e ci apre il blocco J, i detriti non precipitano, ma schizzanoper aria. Prima ancora che riesca ad afferrare cosa sta succedendo, vengo risucchiata inun vortice di fumo, schegge e sussurri sinistri.

Cameron mi afferra la mano, ma le scivola la presa e sparisce in quella che dev’esserefoschia. Un acquatico. Riesco a intravedere soltanto delle ombre e una tetra luce gialla chemi ricorda un sole distante e caliginoso. Prima di precipitare in quell’oblio, allungo lebraccia alla ricerca di un appiglio. La mia mano, quella ferita, si chiude intorno a unagamba fredda e flaccida e resto paralizzata dallo shock. «Cal!» grido, ma l’ululato delvortice sovrasta le mie urla.

Con un grugnito, risalgo la gamba. Dev’essere di un cadavere, perché non si muove.Una paura agghiacciante mi squarcia la mente e si fa strada con le sue gelide ditaaffusolate. Sono quasi tentata di mollare la presa per non vedere il volto attaccato a quelcorpo. Potrebbe non essere nessuno, potrebbe essere chiunque.

Provare sollievo è sbagliato, ma è quello che sento. Non so chi sia l’uomo incastrato trale sbarre della sua cella, con una gamba fasciata e l’altra a penzoloni. Di certo è unprigioniero, ma non lo conosco e non lo piangerò. Ho la schiena martoriata dalle ustioni edalle cicatrici e per un secondo mi appoggio alle sbarre. In questo blocco, la forza digravità è stata alterata. Gareth è qui, il che significa che Kilorn, Shade e Farley nondovrebbero essere troppo lontani. Sono andati dalla parte opposta della prigione, aliberare i blocchi di celle più distanti. Qualcosa deve averli trattenuti o intrappolati.

Prima che riesca a urlare, mi sento di nuovo cadere e ho come l’impressione che ilblocco giri su se stesso. Eppure non sono le celle a muoversi, è la gravità stessa. «Gareth,basta!» grido nel vuoto. Ma non mi risponde nessuno, o meglio, nessuno che vorreisentire.

Piccola sparafulmini.

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A momenti quella voce mi spacca il cranio.La regina Elara.Stavolta rimpiango il sonar. Vorrei che qualcosa mi uccidesse, concedendomi la

salvezza della morte. Continuo a precipitare, forse così verrò accontentata. Forse moriròprima che s’insinui nel mio cervello e mi sguinzagli contro tutte le cose e le persone cheamo. Ma sento già i suoi tentacoli che s’impossessano della mia mente. Le mie dita sicontraggono sotto il suo controllo e le scintille cominciano a sfrigolare. No, ti prego no.

Colpisco con violenza la parete opposta del blocco e probabilmente mi rompo unbraccio, ma non provo dolore. Si è presa anche quello.

Con un urlo straziante, faccio ciò che è necessario: uso l’ultimo briciolo di volontà chemi è rimasto per infilarmi tra le sbarre piegate sotto di me e rinchiudermi nella cella dipietra silente, che annulla le mie abilità ma anche le sue. Le scintille si estinguono, il suocontrollo viene meno e un dolore lancinante mi attraversa il braccio sinistro fino allaspalla. Rido tra le lacrime. Che ironia: Elara ha costruito questa prigione per far del malea me e agli altri novisangue e adesso questa stessa prigione è l’unica cosa che leimpedisca di riuscirci.

La sua prigione è il mio ultimo rifugio.Dalla parete in fondo alla cella (che ora immagino sia il pavimento) osservo la danza

della foschia. Gli spari si diradano, non so se perché le munizioni cominciano ascarseggiare o perché mirare è impossibile, data la pessima visibilità. Una spira di fuocodivampa nelle vicinanze e mi aspetto di vedere Cal, ma la sua sagoma non compare mai.Lo chiamo comunque: «Cal!». La mia voce è debole: la pietra che mi ha salvato cominciaad avere la meglio su di me. Sento che mi preme sul collo come un peso.

Elara non ci mette molto a stanarmi. Con gli stivali sfiora le sbarre della mia gabbia eper un attimo credo di avere le allucinazioni. Dov’è finita la regina gloriosa e sfavillanteche ricordavo? Gli abiti e i gioielli sono scomparsi, rimpiazzati da una linda uniforme blucon qualche dettaglio bianco. Persino i capelli, di solito arricciati e intrecciati allaperfezione, ora sono tirati all’indietro in un semplice chignon. Quando noto le ciocchegrigie sulle tempie, scoppio di nuovo a ridere.

«La prima volta che ci siamo incontrate, eri in una cella proprio come questa» riflettead alta voce, e si china in avanti per guardarmi meglio. «Le sbarre non mi fermarono inquell’occasione e non mi fermeranno neanche adesso.»

«Allora entra» le dico, mentre sputo sangue. Ho perso un dente, non c’è dubbio.«Sei ancora la stessa ragazza di allora. Credevo che il mondo ti avrebbe cambiata, e

invece…» inclina la testa con un ghigno beffardo da gatta «… sei stata tu a cambiare unpo’ il mondo. Se mi tendi la mano, puoi cambiarlo ancora di più.»

Per poco non soffoco dalle risate. «Mi credi davvero tanto stupida?» Continua a farlaparlare, continua a distrarla. Presto qualcuno la vedrà, devono vederla.

«Fa’ come ti pare» sospira e si alza in piedi. Rivolge un cenno a qualcuno che nonriesco a scorgere. Con una sorda e sconfortante rassegnazione mi rendo conto che sonoguardie. Quando la sua mano riappare, stringe una pistola. Il dito è già sul grilletto. «Misarebbe piaciuto entrare nella tua testa un’altra volta. Hai delle illusioni incantevoli.»

“Una magra vittoria” penso, mentre chiudo gli occhi. Non avrà mai i miei fulmini, non

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avrà mai me. Una vera vittoria.Mi sento di nuovo cadere.Eppure, non sono i proiettili a colpirmi, bensì le sbarre, contro cui sbatto la faccia con

forza. Riapro gli occhi appena in tempo per vedere Elara volare via da me, mentre lapistola le cade di mano. Il suo bel viso è deturpato da un’orrenda espressione di rabbia.Le sue guardie si disperdono insieme a lei e spariscono nelle nubi giallastre. Qualcunomi afferra per il braccio sano e mi tira a sé.

«Su, Mare, non posso tirarti fuori da solo» mi apostrofa Shade, che sta cercando difarmi passare tra le sbarre. Senza fiato, mi do una bella spinta. Credo che sia sufficiente,perché all’improvviso il mondo si restringe, la nebbia si dilegua e, appena riapro gliocchi, vengo accecata dalle piastrelle bianche.

Per poco non stramazzo a terra dalla gioia. A dire il vero, mi accascio sul serio, quandovedo Sara corrermi incontro a braccia aperte, seguita a ruota da Kilorn e Julian. Qualcunaltro mi afferra e mi avvolge nel suo calore. Mi gira sul fianco e io emetto un sibilo didolore.

«Prima il braccio, poi le bruciature e le cicatrici» dice Cal, tutto preso. Non riesco atrattenere un gemito, quando Sara mi tocca e una gradevole anestesia si diffonde nel miobraccio. Qualcosa di fresco mi colpisce la schiena e guarisce le ustioni, che si eranosicuramente infettate. Ma, prima che la curapelle possa occuparsi delle mie orridecicatrici in rilievo, vengo tirata in piedi e allontanata da Sara.

La porta in fondo al corridoio esplode verso l’esterno, demolita dai rami di un troncod’albero che crescono rapidissimi. Segue la foschia, che turbina verso di noi a granvelocità. Per ultime compaiono le ombre. So a chi appartengono.

Cal incendia i rami che ci vengono addosso con una palla di fuoco, ma il vorticemugghiante risucchia i tizzoni ardenti. «Cameron?» strillo e allungo la testa, in cercadell’unica persona che può fermare Elara. Ma Cameron non c’è da nessuna parte.

«È già fuori, ora vattene» grida Kilorn spingendomi in avanti.So che Elara vuole me. Non solo per la mia abilità, ma anche per la mia faccia. Se

riuscisse a controllarmi, potrebbe usarmi di nuovo come sua portavoce, per mentire alpaese e farmi fare quello che vuole. Ecco perché corro più in fretta degli altri. Sonosempre stata la più veloce. Quando mi guardo alle spalle sono diversi metri più avanti equello che vedo mi raggela.

Cal si sta tirando dietro Julian di peso, non perché sia debole, ma perché continua acercare di fermarsi. Vuole affrontarla. Vuole opporre la sua voce alla mente di lei, ai suoisussurri. Vuole vendicare la sorella morta, un amore ferito, un orgoglio infangato e fatto apezzi. Cal, però, non perderà anche l’ultimo brandello di famiglia che gli è rimasto equasi se lo trascina via. Sara è attaccata a Julian e gli tiene una mano, in preda alla paurama incapace di urlare.

Poi giro l’angolo e urto qualcosa. Anzi, qualcuno.Ara, la Pantera, capo del casato Iral, mi fulmina con i suoi occhi neri come il carbone.

Ha le dita ancora grigio-bluastre, a causa dalla pietra silente, e i suoi vestiti sono in realtàlogori cenci. La sua forza, però, sta già tornando, come dimostra lo sguardo d’acciaio.Non c’è altra via, devo passare di lì. Invoco le saette per ucciderla. Anche lei ha sempre

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saputo che ero diversa.È più veloce di me a reagire e mi afferra per le spalle con un’agilità sovrumana.

Tuttavia, invece di spezzarmi il collo o sgozzarmi, mi tira di lato, mentre qualcosa miscompiglia i capelli. Una lama rotante, affilata come un rasoio e grande quanto un piattoda portata, mi schizza accanto al viso, a pochi centimetri dal naso. Finisco a terra,sopraffatta dallo shock, e stringo tra le mani la testa che ho rischiato di perdere. Sopra dime, Ara Iral non cede terreno, mentre schiva tutte le lame che sfrecciano su di noi.Provengono dalla parte opposta del corridoio, dove un’altra persona del passato staforgiando dischi di metallo con le lamelle della propria armatura.

«Tuo padre non t’ha insegnato il rispetto per gli anziani?» gracchia Ara, che si chinacon destrezza, per evitare un’altra lama di Ptolemus. Poi afferra al volo la successiva egliela riscaglia contro. Un numero davvero notevole ma inutile, purtroppo, visto che lui larespinge con un sorrisetto.

«Allora, rossa, pensi di fare qualcosa anche tu?» Ara mi dà un colpetto con la puntadel piede.

La fisso per un attimo, attonita. Poi mi tiro su a stento e mi obbligo a restare in piedi.Un pizzico del mio terrore svanisce. «Con piacere, lady Ara.»

In fondo al corridoio il ghigno di Ptolemus si fa sempre più minaccioso. «Adessofiniamo quello che mia sorella ha iniziato nell’arena» ringhia.

«Quello da cui tua sorella è fuggita, vorrai dire» lo correggo, mentre scaglio una saettadiretta alla sua testa. Lui si butta contro la parete e, nel tempo che impiega a riprendersi,Ara accorcia le distanze tra loro e spicca un balzo, dandosi la spinta con un calcio sulmuro di piastrelle. Sfrutta lo slancio e con una gomitata rompe la mascella a Ptolemus.

Io la seguo e, a giudicare dai passi martellanti alle mie spalle, non sono la sola.Fuoco e lampi. Nebbia e vento. Pioggia di metallo, vortici di tenebre, esplosioni come

di minuscole stelle. E proiettili, proiettili di continuo, subito dietro di noi. Avanziamoattraverso la battaglia tempestosa, nella speranza di raggiungere l’uscita, grazie allamappa che noi tutti abbiamo cercato di memorizzare. Dovrebbe essere qui, no, qui, no,qui. Tra la foschia e l’oscurità perdersi è facilissimo. E poi c’è Gareth, che continua adalterare la gravità e qualche volta fa più male che bene. Quando finalmente riusciamo atrovare l’atrio d’ingresso, la stanza con la porta rossa, quella nera e le due argentate, sonodi nuovo coperta di lividi e le forze rischiano di abbandonarmi alla svelta. Non voglionemmeno pensare agli altri, a Julian e a Sara, che riuscivano a malapena a camminare.Dobbiamo uscire all’aria aperta, sotto il cielo, sotto i fulmini che possono salvarci tutti.

Fuori è sorto il sole. Ara e Ptolemus continuano a ballare la loro danza cruenta, mentreAcquitrino appare in lontananza, come una foschia grigia all’orizzonte. Io ho occhi soloper il freccianera e per l’altro jet parcheggiato sulla pista. Una folla di novisangue eargentei si accalca intorno ai velivoli e carica tutto quello che trova a portata di mano.Alcuni spariscono tra i campi, nella speranza di scappare a piedi.

«Shade, portalo sull’aereo» strillo e, in corsa, afferro Cal per il colletto. Prima chepossa protestare, mio fratello esegue gli ordini e con un balzo lo conduce un centinaio dimetri più avanti. Shade mi capisce al volo, su questo posso sempre contarci; abbiamosolo due piloti e Cal è uno di quelli. Non può morire qui, non ora che siamo a un passo

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dalla fuga. Abbiamo bisogno che faccia il suo dovere e che lo faccia per bene. Non passanemmeno un secondo che Shade è già di ritorno e abbraccia Julian e Sara, che sparisconoinsieme a lui. Tiro un sospiro di sollievo.

Fare appello alle poche risorse che mi restano, invocarle dal profondo delle mie ossami rallenta e m’indebolisce, mi priva della volontà e la trasforma in qualcosa di più forte.Per mia gioia, il cielo si rannuvola.

Kilorn si ferma accanto a me e imbraccia il fucile. Spara con estrema precisione e fafuori i nostri inseguitori a uno a uno. Molti uomini si parano davanti alla regina perproteggerla, non so se per volere proprio o di Elara. Presto avrà accesso alla mia abilità,oltre che alla sua. Ho un’unica chance.

Si svolge tutto al rallentatore. Lancio un’occhiata ai due argentei, intenti a combatteretra me e gli aerei. Una lama lunga e sottile, che sembra un ago gigante, infilza il collo diAra. Ne fuoriesce una fontana argentata. Nello slancio, Ptolemus fa una giravolta e dirigela lama verso di me. Io mi acquatto, avendo intuito quello che credo essere il peggio.

Non posso certo prevedere cosa sta per succedere.Solo una persona potrebbe. Jon. Ma lui si è dissociato da tutto questo, ha lasciato che

capitasse. Non ci ha voluto avvisare. Non gli importava.Shade compare davanti a me con l’intenzione di sottrarmi al pericolo, invece si becca

lo spietato ago scintillante dritto nel cuore. Non si rende conto di quello che staaccadendo, non prova alcun dolore. Muore ancora prima che le sue ginocchia tocchino ilsuolo.

Non ricordo più nulla fino al momento in cui siamo in volo. Il mio viso è un fiume dilacrime che non riesco ad asciugare. Continuo a fissarmi le mani, sporche di sangue dientrambi i colori.

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27

Questo non è il freccianera.No, Cal è al comando di un enorme aereo cargo, costruito per trasportare mezzi

pesanti o macchinari, anche se ora, nella sua stiva, ci sono oltre trecento prigionieri evasi,molti dei quali feriti, tutti sotto shock. La maggior parte sono novisangue, ma ci sonoanche degli argentei che stanno per i fatti loro e attendono con pazienza il propriomomento. Almeno per oggi hanno tutti lo stesso aspetto, vestiti di stracci, sfiniti eaffamati. Non mi va di raggiungerli di sotto, così rimango al piano superiore del velivolo.Se non altro, qui è tranquillo; questa sezione dell’aereo è separata dalla stiva da una scalastretta e dalla cabina di pilotaggio da una porta chiusa. Non riesco a superare i duecadaveri ai miei piedi. Uno giace coperto da un lenzuolo bianco, macchiato di sanguerosso in un unico punto, all’altezza del cuore trafitto. Farley si inginocchia su di lui,pietrificata, e infila una mano sotto il sudario per stringere quella fredda e priva di vita dimio fratello. L’altra salma, invece, mi rifiuto di coprirla.

Elara è brutta da morta. I fulmini le hanno contratto i muscoli e ha le labbra increspatein un ghigno che da viva non era in grado di fare. La semplice uniforme che indossava siè fusa con la sua pelle e dei capelli biondo cenere non è quasi rimasta traccia: il fuocoglieli ha bruciati tutti, tranne qualche ciocca sfibrata. Anche gli altri corpi, quelli dellesue guardie, erano deformati come il suo. Li abbiamo lasciati a marcire sulla pista didecollo. Ma la regina è tuttora inconfondibile. Chiunque ne riconoscerà la salma, me neaccerterò io stessa.

«Dovresti andare a stenderti.»Kilorn è turbato da quel cadavere, questo è chiaro, ma non ne capisco il motivo.

Dovremmo danzare sulle ossa di Elara. «Fatti dare un’occhiata da Sara.»«Di’ a Cal di cambiare rotta.»Sbatte le palpebre, perplesso. «Cambiare rotta? Ma che stai dicendo? Torniamo alla

Tana, a casa…»Casa. Mi faccio beffe di una parola così infantile. «Torniamo a Tuck. Diglielo, per

favore.»«Mare.»«Per favore.»Kilorn resta immobile. «Sei diventata matta? Ti sei forse scordata quello che è successo

laggiù e quello che ti farà il colonnello se torni?»Matta. Come mi piacerebbe. Vorrei davvero andare fuori di testa, visto che razza di

tortura è diventata la mia vita. Sarebbe un tale sollievo impazzire. «Può provarci, questo ècerto. Ma ormai siamo troppi anche per lui. E quando vedrà che cosa gli porto, dubito checi respingerà di nuovo.»

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«Il corpo?» inspira, tremante. “Non è il cadavere che gli fa paura” realizzo, “sono io.”«Intendi mostrargli il corpo?»

«Intendo mostrarlo a tutti.» Poi, con tono più fermo, ripeto: «Di’ a Cal di cambiarerotta. Lui capirà».

La mia frecciatina lo ferisce, ma non m’importa. Nel ritirarsi per fare quanto gli hochiesto, s’irrigidisce. La porta della cabina di pilotaggio sbatte alle sue spalle, però ioquasi non ci faccio caso. Sono presa da cose ben più importanti di questi insulti meschini.Chi è Kilorn per mettere in discussione i miei ordini? Non è nessuno. È solo unapprendista pescatore baciato dalla sorte e protetto dalla mia stupidità. Non come Shade,un novosangue in grado di teletrasportarsi, un grande uomo. Come può essere morto? Enon è il solo. No, di sicuro ce ne sono stati altri rimasti indietro che hanno fatto dellaprigione la propria tomba. Lo sapremo solo quando atterreremo e vedremo chi ancora èriuscito a fuggire a bordo del freccianera. E stavolta atterreremo sulla pista dell’isola, nonci nasconderemo in una remota zona boschiva per poi scarpinare.

«E questo te l’aveva detto, il tuo veggente?»Sono le prime parole che Farley pronuncia, da quando abbiamo lasciato Corros. Non

ha ancora versato una lacrima, ma ha la voce rauca, come se avesse passato gli ultimigiorni a urlare. Gli occhi, cerchiati di rosso e con le iridi di un azzurro vivido, sonospaventosi.

«Quel mentecatto di Jon, che ci ha detto di fare questa cosa?» continua, e si volta perguardarmi in faccia. «Ti ha detto che Shade sarebbe morto? Te l’ha detto? Suppongo cheper la sparafulmini fosse un piccolo prezzo da pagare, pur di accaparrarti più novisangueda controllare, più soldati per una guerra che non hai la minima idea di comecombattere. Un misero fratello in cambio di più seguaci che ti baciassero i piedi. Non èstato un cattivo affare o sbaglio? Soprattutto dal momento che ci è andata di mezzoanche la regina. Chi se ne frega di un morto che non conosce nessuno, quando seiriuscita ad avere il suo di cadavere?»

Il mio schiaffo la fa arretrare, più per la sorpresa che per il dolore. Mentre cade, afferrail lenzuolo, lo tira di lato e scopre il volto cereo di mio fratello. Almeno ha gli occhichiusi, potrebbe anche essere addormentato. Non riesco a guardarlo a lungo, così faccioper rimettere il telo al suo posto, ma Farley mi tira una spallata, sfruttando la suanotevole altezza per spingermi contro la parete.

La porta della cabina di pilotaggio si spalanca con un botto e i due ragazzi escono dicorsa, richiamati dal rumore. In un attimo Cal manda Farley al tappeto con un colpettodietro il ginocchio che la fa inciampare. Kilorn è meno fantasioso e si limita a cingermicon le braccia e a sollevarmi da terra.

«Era mio fratello!» grido.La sua risposta è un urlo. «Era molto di più!»Quelle parole mi risvegliano un ricordo.Se dovesse avere dei dubbi. Jon mi ha detto di dirglielo. Se dovesse avere dei dubbi. E di

certo Farley ne ha, in questo momento.«Una cosa Jon me l’ha detta» le rivelo, mentre tento di liberarmi da Kilorn. «Una cosa

che dovresti sentire.»

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Fa uno scatto per prendermi, ma Cal la spinge di nuovo a terra e si becca una gomitatain faccia per il disturbo. Ciononostante, non lascia la sua salda presa sulle spalle diFarley, che, pur non potendo andare da nessuna parte, continua a lottare.

Farley, non sai mai quando mollare. Un tempo ti ammiravo per questo, adesso, invece, riescosolo a compatirti.

«Mi ha dato la risposta alla tua domanda.»Farley si blocca di colpo, ha il fiato corto, è terrorizzata. Ha lo sguardo fisso e gli occhi

sgranati. Riesco quasi a sentire i battiti del suo cuore.«Ha detto di sì.»Non ho idea di cosa voglia dire quel “sì”, ma la demolisce. Farley si lascia cadere sulle

mani e nasconde il viso dietro un sipario di corti capelli biondi. Scorgo comunque le suelacrime. Non lotterà più.

Lo sa anche Cal, che si allontana dalla sua sagoma tremante. Per un pelo non inciampasul braccio contratto di Elara, ma lo scarta con un sussulto. «Dalle un po’ di spazio»mormora, e mi afferra con una stretta dolorosa. Quasi mi trascina via, malgrado le mieproteste.

Non voglio lasciarla. Non Farley, Elara. Nonostante le ferite, le ustioni e gli occhi vitrei,non mi fido del suo cadavere e temo che possa tornare in vita. È una preoccupazioneassurda, eppure è ciò che provo.

«Per i miei colori, ma che ti prende?» ringhia, mentre sbatte la porta della cabina dipilotaggio alle nostre spalle, chiudendo fuori i singhiozzi sordi di Farley e lo sguardotorvo di Kilorn. «Sai bene cos’era Shade per lei…»

«E tu sai cos’era per me» ribatto. Comportarmi da persona civile non è in cima alle miepriorità, ma faccio uno sforzo. Tuttavia, la voce mi trema comunque. Il mio fratello piùcaro. L’avevo già perso in passato e ora l’ho perso di nuovo. E stavolta non tornerà. Non c’èalcuna possibilità di ritorno. «Però non mi vedi gridare contro le persone.»

«Hai ragione. Tu le ammazzi e basta.»Emetto un sibilo, mentre respiro a denti stretti. Allora è questo il punto? Per poco non

gli scoppio a ridere in faccia. «Almeno uno di noi due ne è capace.»Mi aspetto una lotta a suon di urli, come minimo. Invece, quello che ottengo è

addirittura peggio. Cal, nel tentativo di mettere quanta più distanza possibile tra di noi,indietreggia di un passo e urta la plancia di comando. In genere sono io che mi ritiro, maora non più. Nei suoi occhi, qualcosa va in pezzi e rivela le ferite che nasconde sotto lasua pelle fiammeggiante. «Mare, che ti è successo?» sussurra.

Che mi è successo? Neanche un singolo giorno senza preoccupazioni, ecco cosa mi è successo. Etutto per prepararmi a questo, al destino che mi sono guadagnata con la mutazione del miosangue… oltre ai tanti sbagli che ho scelto di commettere, Cal compreso. «Mio fratello è appenamorto, Cal.»

Lui, però, scuote la testa senza staccarmi gli occhi di dosso. Il suo sguardo brucia. «Haiucciso quegli uomini al centro di comando, li avete uccisi tu e Cameron mentre visupplicavano. E Shade non era ancora morto, perciò non dare la colpa a lui di questo.»

«Erano argentei…»«Io sono argenteo.»

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«E io sono rossa. Non fare come se non ne avessi uccisi a centinaia.»«Ma non per me stesso e non nel modo in cui li hai uccisi tu. Io ero un soldato che

eseguiva degli ordini, obbedivo al mio re. E quei soldati erano innocenti proprio come loero io, quando mio padre era ancora in vita.»

Le lacrime mi pizzicano gli occhi e mi implorano di liberarle. Tra i miei ricordifluttuano volti di soldati e agenti assassinati, troppi per riuscire a contarli. «Perché mistai dicendo questo?» mormoro. «Ho fatto ciò che dovevo per sopravvivere e salvare dellepersone… per salvare te, proprio te, stupido, testardo principe di niente. Tu più di tuttidovresti sapere che razza di fardello devo portare. Come osi provare a farmi sentire piùin colpa di quanto già non mi senta?»

«Ti voleva trasformare in un mostro.» Con un cenno del capo indica la porta e ilcadavere deforme oltre la soglia. «Sto solo cercando di assicurarmi che non succeda.»

«Elara è morta.» Sono parole dolci come il vino. Se n’è andata, non può farmi del male.«Non può più controllare nessuno.»

«Eppure non provi rimorso per i morti, anzi, fai tutto il possibile per dimenticarli. Haiabbandonato la tua famiglia senza una parola. Non sei in grado di controllarti. Passimetà del tuo tempo a sottrarti al comando e per l’altra metà ti comporti come una speciedi martire intoccabile incoronata di rimorsi, come se fossi l’unica persona che si starealmente consacrando alla causa. Guardati intorno, Mare Barrow. Shade non è il solo aessere morto a Corros. E tu non sei l’unica che fa dei sacrifici. Farley ha tradito suo padre.Hai costretto Cameron a unirsi a noi contro il suo volere, hai scelto di fregartene di tuttotranne che della lista di Julian e adesso vorresti abbandonare i bambini alla Tana. E percosa poi? Per passare sulla testa del colonnello? Per accaparrarti un trono? Perammazzare chiunque ti guardi nel modo sbagliato?»

Mi sento come una bambina che riceve una lavata di capo, incapace di parlare, dicontrobattere, di fare qualsiasi altra cosa se non trattenere le lacrime. Ce la metto tuttaper contenere le scintille.

«E continui a restare aggrappata a Maven, una persona che non esiste.»A questo punto, potrebbe anche mettermi le mani al collo e stringere. «Hai frugato tra

le mie cose?»«Non sono cieco. Ti ho vista sfilare i biglietti dai corpi. Credevo che li avresti strappati,

ma quando non l’hai fatto… penso di aver voluto vedere che intenzioni avessi: bruciarli,buttarli via, rispedirli intrisi di sangue argenteo… ma tenerli no. Leggerli mentredormivo al tuo fianco, no.»

«Hai detto che mancava anche a te, l’hai detto» sussurro, e devo trattenermi per nonpestare i piedi come una bambinetta frustrata.

«È mio fratello, mi manca in una maniera molto diversa.»Qualcosa di tagliente mi graffia il polso e mi rendo conto di essere io che, nel mio

stato pietoso, mi sto scorticando per mascherare con il dolore fisico l’agonia che provodentro. Cal mi guarda, combattuto.

«In ogni singola cosa che ho fatto, c’eri tu a sostenermi» rispondo. «Se mi stotrasformando in un mostro, allora lo stai diventando anche tu.»

Lui abbassa lo sguardo. «L’amore rende ciechi.»

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«Se è questa la tua idea di amore…»«Non so neppure se sei capace di amare» sbotta, «se riesci a vedere qualcos’altro

all’infuori di armi e strumenti. Persone da manipolare, controllare e sacrificare.»Non esiste una possibile difesa contro un’accusa del genere. Come posso provargli che

ha torto? Come posso mostrargli quello che ho fatto, quello che sto cercando di fare equello che sono diventata per tenere al sicuro tutti coloro a cui voglio bene? Quanto misono sbagliata. Come mi sento male. Quanto dolore mi provocano le cicatrici e i ricordi.Come mi hanno ferita le sue parole. Non ho modo di dimostrare l’amore che provo perlui, per Kilorn e per la mia famiglia. Non sono capace di tradurre questo sentimento inparole e non dovrei nemmeno farlo.

Perciò non lo farò.«Dopo il bombardamento di Archeon, Farley e la Guardia Scarlatta si sono avvalsi di

un notiziario argenteo per rivendicare l’attacco.» Parlo adagio, sono metodica e tranquillanella mia esposizione. È l’unica cosa che mi mantenga sana di mente. «Ora farò la stessacosa con il corpo della regina. Mostrerò a ogni persona in questo regno la donna che houcciso e i prigionieri che teneva rinchiusi, novisangue e argentei. Non permetterò più aMaven di controllare questo gioco con le bugie che rifila ai sudditi. Quello che abbiamocompiuto noi non basta per rovesciarlo. Dobbiamo lasciare che ci pensi il paese.»

Cal resta a bocca aperta. «Una guerra civile?»«Casati contro casati, argentei contro argentei. Solo i rossi resteranno uniti e per

questo vinceremo. Norda cadrà e noi sorgeremo, rossi come l’alba.» Un piano semplice,oneroso e letale per entrambe le parti. Tuttavia, è un passo che dobbiamo compiere. Cihanno costretti a imboccare questa strada molto tempo fa, io sto solo facendo quel che va fatto.«Potrai andare a recuperare i bambini della Tana dopo che saremo atterrati a Tuck. Ma ioho bisogno del colonnello, mi servono le sue risorse per mettere in moto tutto questo. Locapisci?»

Abbozza a malapena un cenno di assenso.«Dopodiché, be’, io andrò a nord, a Campo Cenere, da quelli che ho tanto voluto

abbandonare. Tu puoi fare come credi, altezza.»«Mare.» Quando mi sfiora il braccio, mi tiro indietro e per poco non vado a sbattere

contro la parete.«Non toccarmi mai più.»Le mie parole hanno il suono di una porta sbattuta. E immagino che sia proprio così.

Tuck è silenziosa e schifosamente assolata. Nessuna nuvola né un alito di vento, solo unautunno frizzantino e la luce del sole. Shade non sarebbe dovuto morire in una giornatacosì bella, eppure è successo. Sono morti in troppi.

Sono la prima a scendere dall’aereo cargo, seguita a ruota da due barelle, entrambecoperte. Kilorn e Farley si stringono intorno alla prima, ciascuno con una mano sul corpodi Shade. Ma è l’altra che m’interessa adesso. Gli uomini che la sorreggono sembranospaventati dalla salma, proprio come lo ero io. Eppure, le ultime ore in cui ho potutoriflettere in pace, con lo sguardo fisso sul cadavere freddo di Elara, mi hanno dato unostrano conforto. Non si risveglierà. Proprio come Cal non mi rivolgerà più la parola, non

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dopo tutto quello che ci siamo detti. Non so in che punto della fila si trovi e nemmeno sedeciderà di scendere. Mi dico di non preoccuparmi, pensare a lui è uno spreco di tempo.

Devo schermarmi gli occhi per riuscire a vedere il colonnello che blocca la pista. Se nesta appollaiato su un mezzo medico, attorniato da infermieri con il camice bianco. Adadeve avergli anticipato via radio che avremmo avuto bisogno di parecchio aiuto. Ilfreccianera che lei pilotava è già qui, l’unica ombra scura in vista. Quando il primo deiprigionieri evasi alle mie spalle mette piede sulla pista di atterraggio, la familiare rampanera cala dall’altro velivolo. Quelli che ne escono al seguito di Ada sono meno numerosidi quanto mi aspettassi. La ragazza apre la rapida marcia verso il muro di lacustri armati,guardie impassibili e curiosi. Mi maledico sottovoce. I miei saranno laggiù, in attesa divedere i loro figli, ma ne ritroveranno soltanto una.

Non t’importa della tua famiglia. Forse Cal aveva ragione, perché di sicuro mi dimenticodi loro molto più spesso di quanto farebbe una qualsiasi persona capace d’intendere e divolere.

«Ferma lì, signorina Barrow» abbaia il colonnello con la mano alzata. Faccio quello chemi chiede e mi blocco a circa cinque metri di distanza. Sono abbastanza vicina da vedere ifucili puntati contro di noi e, cosa ancora più importante, gli uomini dietro le armi. Sonoall’erta, ma non sul punto di sparare. Non hanno ricevuto l’ordine di uccidere, nonancora. «Sei venuta a restituirmi quello che hai rubato?»

Mi sforzo di ridere per tranquillizzare gli animi. «Le porto un regalo, colonnello.»Solleva l’angolo della bocca. «È così che chiami queste…» sta cercando la parola giusta

per descrivere la folla esausta e coperta di stracci che mi segue «… persone?»«Fino a questa mattina erano prigionieri in un carcere segreto chiamato Corros.

Detenuti per ordine di re Maven, utilizzati per esperimenti, torturati e uccisi.» Lancioun’occhiata alle mie spalle e mi aspetto di scorgere cuori infranti e gente a pezzi. Invece,quello che noto è un orgoglio indefesso. La ragazzina che ha rischiato di cadere dallapasserella sembra prossima alle lacrime, eppure tiene i suoi minuscoli pugni serratilungo i fianchi. Non piangerà. «Sono novisangue come me.» Dietro di lei, un adolescenteprotettivo dalla carnagione diafana e i capelli arancioni le sta vicino come se fosse la suaguardia. «E argentei, colonnello.»

La reazione è esattamente quella che mi aspettavo. «Tu, razza di idiota, hai portato quidegli argentei?!» tuona in preda al panico. «Pronti a fare fuoco!»

I lacustri, due file da circa venti uomini l’uno, eseguono l’ordine. I fucili scattanoall’unisono e vengono caricati. Pronti a sparare. Alle mie spalle, i prigionieri sussultano earretrano. Tuttavia, nessuno supplica, sono stufi di supplicare.

«È tutta una finta.» Trattengo un sorriso.Il colonnello si porta la mano al fianco, dove tiene la pistola. «Non mettermi alla

prova.»«Conosco i suoi ordini, colonnello, e non sono quelli di uccidere la sparafulmini. Il

comando mi vuole viva, non è così?» Ripenso alle parole di Ellie Whistle, una delle tanteguardie a cui era stato dato l’ordine di aiutarmi nella mia missione. Lei non poteva nientecontro il colonnello, ma il colonnello non può niente contro il comando, chiunque essisiano.

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Il colonnello perde un po’ del suo vantaggio, ma non si tira indietro.«Portatela avanti» esclamo con tono secco e lo sguardo rivolto alle barelle. Due uomini

eseguono l’ordine il più in fretta possibile e posano la lettiga di Elara ai miei piedi. I fuciliseguono ogni loro passo incerto. Anche adesso avverto i reticoli di puntamento sul miocuore, sul mio cervello, su ogni centimetro del mio corpo.

«Il suo regalo, colonnello.» Do un colpetto alla barella con la punta del piede e tocco ilcorpo sotto il lenzuolo bianco. «Non vuole vederlo?»

Il suo occhio buono guizza così rapidamente tra la folla che è quasi impossibileaccorgersene. Quando individua Farley, la ruga che gli attraversa la fronte si distendeappena. Afferro il perché e inorridisco. Credeva che l’avessi uccisa.

«Chi è, Barrow? Il principe? Hai fatto fuori la migliore moneta di scambio che avevi?»«Quasi.» Una voce si leva dalla calca. Cal.Non mi volto a guardarlo, preferisco rimanere concentrata sul colonnello, che sostiene

il mio sguardo senza un minimo di esitazione. Adagio e con una mano alzata, scosto illenzuolo e la scopro perché tutti la vedano. Le sue membra si sono irrigidite. Le dita, inparticolare, sono contratte, e dalla carne della mano destra spuntano pezzetti di ossa. Iprimi a reagire sono i tiratori, che abbassano leggermente i fucili. Uno o due emettonoaddirittura un rantolo e si coprono la bocca per soffocare il suono. Il colonnello rimanecompletamente in silenzio e immobile, appagato dalla vista. Solo dopo un lungo istante,sbatte le palpebre.

«È chi credo che sia?» chiede con voce rauca.Annuisco. «Elara del casato Merandus, regina di Norda. Madre del re. Uccisa da

novisangue e argentei, nella prigione che ha costruito per loro.» Questa spiegazionedovrebbe tenerlo buono per il momento.

Il suo occhio rosso brilla. «Cosa intendi farne?»«Il re e tutto il paese meritano la possibilità di dirle addio, non crede?»Quando sorride, il colonnello è identico a Farley.

«Di nuovo» abbaia il colonnello Farley, mentre torna in posizione.«Mi chiamo Mare Barrow» ripeto alla telecamera, sforzandomi di non sembrare

ridicola. Del resto, è la sesta volta che mi presento negli ultimi dieci minuti. «Sono nata aPalafitte, un villaggio nella vallata del fiume della capitale. Ho il sangue rosso, ma a causadi questo…» e allungo le mani per sprigionare due sfere di elettricità «… sono statacondotta alla corte di re Tiberias Sesto, dove mi hanno dato un nuovo nome e una nuovaidentità e mi hanno trasformato in una menzogna vivente. Mi hanno chiamata MareenaTitanos e hanno raccontato al mondo intero che sono argentea dalla nascita. Ma non losono.» Con una smorfia, mi passo il coltello sul palmo della mano, sulla pelle già piena diferite. Il mio sangue risplende come un rubino, nella luce violenta dell’hangar deserto.«Re Maven vi ha detto che era un inganno.» Le scintille danzano attraverso il taglio nellamano. «Ma non lo è. E non lo sono nemmeno gli altri come me, voi tutti che siete natirossi con strane abilità argentee. Il re sa che esistete e vi sta dando la caccia. Ve lo dicoadesso, fuggite. Venite a cercarmi. Cercate la Guardia Scarlatta.»

Accanto a me, il colonnello raddrizza la schiena con orgoglio. Ha una sciarpa rossa

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avvolta intorno al viso, come se il suo occhio insanguinato non fosse sufficiente ariconoscerlo. Ma non mi lamento. Ha ammesso i propri errori e ha accettato di accoglierei novisangue. Ora riconosce il valore e la forza delle persone come me. Non puòpermettersi di averci come nemici.

«A differenza dei sovrani argentei, noi non facciamo distinzioni tra noi e gli altri rossi.Lotteremo per voi e moriremo per voi, se questo significa creare un mondo nuovo. Posatele accette, le vanghe, gli aghi e le scope. Imbracciate le armi. Unitevi a noi. Combattete.Sorgete, rossi come l’alba.»

Quello che segue mi fa rivoltare lo stomaco e venire voglia di sfregarmi la pelle conl’acido. Quando infilo le dita tra i suoi capelli sfilacciati per sorreggerle la testa di frontealla decrepita telecamera sfrigolante, devo lottare per trattenere le lacrime. Per quantoodi Elara, odio ancora di più questa sceneggiata. La trovo contro natura e contro quelpoco di buono che potrebbe essermi rimasto dentro. Ho già perso Cal, anzi… l’hobuttato via, ma ora mi sento come se stessi perdendo la mia stessa anima. Ciononostante,pronuncio le parole che devo dire. In fondo, ci credo, e questo mi è un po’ di aiuto.

«Combattete e vincete. Questa è Elara, regina di Norda, e l’abbiamo uccisa. Questanon è una guerra impossibile e, insieme a voi, possiamo vincerla una volta per tutte.»

Rimango in posizione e faccio del mio meglio per non batter ciglio. Se lo facessi,infatti, le lacrime sgorgherebbero. Mi concentro su qualsiasi cosa per non pensare alcadavere che stringo tra le mani. «In questo preciso istante, gli uomini della Guardiastanno lasciando le proprie roccaforti per aspettare chiunque voglia rispondere al nostroappello.»

«Armatevi, fratelli e sorelle» interviene il colonnello, facendosi avanti. «Siete piùnumerosi dei vostri padroni e loro lo sanno. Vi temono. Hanno paura di voi e di quelloche diventerete. Affidatevi ai Fischi nei boschi, vi condurranno a casa.»

Dopo sei tentativi, finalmente riusciamo a concludere in perfetta sincronia. «Sorgete,rossi come l’alba.»

«Quanto a voi, argentei di Norda…» parlo in fretta, mentre serro la presa su Elara «…il vostro re e la vostra regina vi hanno mentito e tradito. Questa mattina, la GuardiaScarlatta ha liberato una prigione e al suo interno abbiamo trovato sia rossi che argentei.C’erano membri scomparsi dei casati Iral, Lerolan, Osanos, Skonos, Jacos e altri. Sonostati incarcerati ingiustamente, torturati con la pietra silente e lasciati a morire percrimini inesistenti. Adesso sono con noi, e sono vivi. I vostri cari scomparsi sono vivi.Sorgete per aiutarli. Sorgete per vendicare coloro che non siamo riusciti a salvare. Sorgetee unitevi a noi. Perché il vostro re è un mostro.» Fisso dritto in camera, certa che vedràquesto filmato. «Maven è un mostro.»

Il colonnello mi guarda a bocca aperta, offeso. La telecamera si spegne e lui si strappala sciarpa dalla collera. «Che stai facendo, Barrow?»

Lo fisso di rimando. «Le sto rendendo la vita molto più semplice, colonnello. Dividi econquista.» Indico lo staff che sta manovrando la telecamera, di cui non mi sono presa labriga di imparare i nomi. «Andate nelle caserme degli argentei e fate loro qualcheripresa. Non inquadrate le guardie. Tenete a mente le mie parole. Questo videoincendierà il paese e nemmeno Maven sarà in grado di estinguere le fiamme.»

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Non serve che parlino per dimostrarmi che sono d’accordo. Alzo i tacchi. «È tutto.»Il colonnello mi segue e continua a tallonarmi, anche quando mi faccio largo fuori

dall’hangar. «Barrow, non mi pare di aver detto che avevamo finito…» tuona, ma appenami fermo di scatto si blocca anche lui, alle mie spalle. Non ho bisogno dei fulmini perspaventare la gente. Non più.

«Allora mi faccia voltare, colonnello.» Allungo un braccio all’indietro e lo sfido atirare, a mettermi alla prova. «Su, coraggio.»

Un tempo quell’uomo ha sbattuto Cal in prigione. È alla testa di chissà quanti soldati echissà quanti altri uomini ha ucciso. Non so quante battaglie abbia visto né quante voltesia scampato alla morte.

Non ha alcuna ragione di temere una ragazza come me, eppure mi teme. Sono tornataa Tuck da sua pari, forse anche qualcosina di più, e lui lo sa.

Mi volto lentamente e lo guardo in faccia, solo perché adesso mi va di farlo. «Che cosal’ha cambiata, colonnello? Perché so che non sono stati il suo buonsenso e nemmeno gliordini del suo comando.»

Dopo un lunghissimo istante, mi fa un cenno con il capo. «Seguimi. Hanno chiesto divederti.»

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28

Fra i trecento evasi di Corros e i rinforzi del colonnello, raggruppati ovunque sull’isola,Tuck mi appare più piccola di come la ricordavo. Seguo il colonnello in mezzo a tuttaquella gente e mi sforzo di stare al passo. Molti dei nuovi soldati sono lacustri, portati viadi nascosto dal lontano Nord, come del resto le armi e le provviste scaricate in massa suimoli. C’è però anche un discreto numero di persone provenienti da Norda, tra cuicontadini, servitori, disertori e persino qualche hi-technico tatuato. Sono tutti intenti aaddestrarsi negli spiazzi tra le caserme. Molti sono arrivati negli ultimi mesi. Sono solo iprimi dei tanti sfuggiti ai provvedimenti, e di sicuro ne seguiranno degli altri. Il pensierodi per sé mi susciterebbe anche un sorriso, ma di questi tempi sorridere è diventatomolto difficile: mi provoca dolore sia alle cicatrici sia alla testa. Sulla pista alle nostrespalle si sente il rombo familiare di un aereo e il freccianera si alza in volo. Scommettoche è diretto alla Tana e che ai comandi c’è Cal. Tanto meglio. Non ho bisogno diritrovarmelo tra i piedi a controllare e giudicare ogni mia mossa.

Caserma uno. L’ultima volta mi ci sono intrufolata di nascosto, adesso invece ci entroalla luce del sole e con il colonnello al mio fianco. Attraversiamo gli stretti corridoi delbunker sottomarino e, a ogni svolta, i suoi lacustri si fanno da parte per lasciarmipassare. Conosco benissimo questo posto, dato che ne sono stata prigioniera, ma quaggiùnon c’è più nulla che mi spaventi. Seguiamo le tubature che corrono lungo il soffitto, finoal cuore pulsante della caserma e dell’isola intera. La sala di controllo, seppure piccola, èaffollata, piena di monitor, apparecchi radio e cartine dispiegate su ogni superficie piana.Mi aspetto di trovare Farley che abbaia ordini, ma non la vedo. C’è invece un belmiscuglio di lacustri in divisa blu e uomini della Guardia vestiti di rosso. Soltanto duepersone si distinguono tra la folla con le loro pesanti uniformi di un verde sbiadito conqualche dettaglio nero. Non ho idea di quale paese o regno rappresentino.

«Sgombrate la stanza» mormora il colonnello. Non ha motivo di urlare, visto che gliobbediscono in fretta.

Tutti a eccezione della coppia vestita di verde. Ho come l’impressione che quei duestiano aspettando questo momento. C’è una bizzarra sincronia nel loro modo dimuoversi, tanto che si voltano verso di noi nello stesso identico istante. Noto i distintiviappuntati alle loro uniformi: un cerchio bianco con un triangolo verde scuro all’interno. Èlo stesso simbolo che ho visto sulle casse trafugate, l’ultima volta che sono stata qui.

I due uomini sono gemelli, di quelli davvero inquietanti. In qualche modo, infatti,sono ancor più che identici. Hanno i capelli neri, talmente folti e ricci da sembrare deiberretti, gli occhi color fango, la carnagione scura e le barbe curate. L’unica differenza traloro è la cicatrice, una riga frastagliata sulla guancia: uno ce l’ha a destra e l’altro asinistra. Per distinguerli. Rabbrividisco, quando mi accorgo che sbattono persino le

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palpebre nello stesso momento.«Signorina Barrow, è un piacere riuscire finalmente a conoscerla.» Cicatrice destra mi

tende la mano, ma io sono restia a stringergliela. Lui, tuttavia, non sembra farci caso econtinua: «Mi chiamo Rash e mio fratello…».

«Tahir, al suo servizio» lo interrompe l’altro. Piegano il capo in un elegante inchino, dinuovo con una sincronia impressionante. «Abbiamo fatto un lungo viaggio per trovare leie i suoi. E abbiamo aspettato…»

«… per un tempo che ci è parso ancora più lungo» conclude la frase Rash per lui. Poisquadra il colonnello e, nel profondo del suo sguardo, colgo un briciolo di antipatia. «Leportiamo un messaggio e un’offerta.»

«Da parte di chi?» Mi sento mancare il respiro, sono frastornata. Questi tizi hanno unlegame talmente innaturale che sono senza dubbio dei novisangue, ma non vengono néda Norda né dalle Terre dei Laghi. Hanno detto di aver fatto un lungo viaggio. Di dovesono?

Rispondono in coro: «Della Libera Repubblica di Monforte».All’improvviso, vorrei che Julian fosse qui con me, per aiutarmi a ricordare le sue

lezioni e le mappe che teneva sempre a portata di mano. Monforte, una nazionemontuosa così lontana che potrebbe anche trovarsi dall’altra parte del mondo. Julian,però, mi ha detto che è come Piè di Monte, a sud, ovvero governata da un gruppo diprincipi, tutti argentei. «Non capisco.»

«Neanche il colonnello Farley, all’inizio…» commenta Tahir.Rash si intromette: «… poiché la Repubblica è ben protetta, nascosta dalle

montagne…».«… dalla neve…»«… dalle mura…»«… secondo un preciso disegno.»Che fastidio.«Ci perdoni» aggiunge Rash, che ha percepito il mio disagio. «La nostra mutazione

collega i nostri cervelli. Può essere piuttosto…»«Inquietante» finisco io per lui, strappando un sorriso a entrambi. Il colonnello

continua a fissarli accigliato, con il suo brillante occhio rosso. «Quindi anche voi sietenovisangue come me?»

Annuiscono insieme. «A Monforte ci chiamano ardenti, ma ogni nazione ha il proprionome. Non si riesce a trovare un accordo su come battezzare i rossi-argentei» spiegaTahir. «Siamo tanti, sparsi in tutto il mondo. Alcuni di noi vivono allo scoperto, comenella Repubblica, altri in clandestinità, come nel vostro paese.» Si volta verso ilcolonnello e prosegue: «Tuttavia, il nostro legame è più profondo dei confini tra le varienazioni. Ci proteggiamo fra di noi, visto che nessun altro lo farà. Monforte si è nascostaper vent’anni, mentre eravamo impegnati a costruire la nostra Repubblica sulle ceneri diun’oppressione brutale. Credo che lei lo capisca». In effetti lo capisco. Non mi accorgoquasi di sorridere, malgrado il dolore che mi provoca. «Adesso, però, non ci nascondiamopiù. Abbiamo un esercito e una flotta e non li lasceremo più con le mani in mano. Nonfinché regni come Norda, le Terre dei Laghi e tutti gli altri continueranno a esistere. Non

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mentre i rossi muoiono e gli ardenti affrontano destini ancora peggiori.»Ah. E così il colonnello non ci accetta per bontà o addirittura necessità, bensì per

paura. Ora è entrato in campo un nuovo giocatore, un giocatore che lui non capisce. Senon altro, hanno un nemico in comune, almeno questo è chiaro. Gli argentei. Quelli comeMaven. Allora anche noi abbiamo un nemico in comune. Vengo attraversata da un brivido chenon posso ignorare: Cal è un argenteo e anche Julian. Cosa penseranno di loro? Proprio comeil colonnello, devo restare seduta e capire cosa vogliono esattamente queste persone.

«Il presidente Davidson, il capo della Repubblica, ci ha inviati in qualità diambasciatori per tendere una mano alla Guardia Scarlatta, in segno di amicizia»prosegue Rash, mentre tamburella le dita sulla coscia. «Due settimane fa il colonnelloFarley ha accettato di buon grado questa alleanza e così anche i suoi superiori, i generalirossi del comando.»

Il comando. Le parole sibilline di Farley mi sembrano un po’ più chiare, adesso. Nonaveva mai spiegato cosa intendesse dire con quell’espressione, ma ora comincio a coglierequalcosina di più sulla Guardia. Benché non abbia mai sentito parlare dei generali rossi,rimango impassibile. I gemelli non sanno quanto mi venga o non mi venga detto,tuttavia, a giudicare da come parlano, considerano anche me un capo, che esercita uncerto controllo sulla Guardia Scarlatta. In realtà, ce l’ho a malapena su me stessa.

«Ci siamo già alleati con gruppi e sottogruppi simili in altre nazioni di tutto ilcontinente e abbiamo creato una rete complessa come i raggi di una ruota, di cui laRepubblica rappresenta il centro.» Rash mi guarda fisso negli occhi. «A ogni ardente suquest’isola offriamo un passaggio sicuro verso un paese che non solo vi proteggerà, ma vidarà la libertà. Non devono combattere, devono soltanto vivere e farlo da uomini liberi.Questa è la nostra offerta.»

Il cuore mi batte all’impazzata. Dovete soltanto vivere. Quante volte ho sperato in unapossibilità del genere? Troppe per poterle contare. Ci speravo già a Palafitte, quando credevodi essere penosamente normale, quando non ero niente. Volevo soltanto vivere. Palafittemi ha insegnato quanto è preziosa e rara una vita normale. Ma mi ha anche insegnatoqualcos’altro, una lezione ancora più importante. Tutto ha un prezzo.

«E cosa chiedete in cambio?» mormoro, anche se non vorrei sentire la risposta.Rash e Tahir, senza aprire bocca, si scambiano delle occhiate eloquenti. Non ho alcun

dubbio che i due fratelli siano in grado di comunicare tra loro senza bisogno di parlare,come faceva Elara con i suoi sussurri. «Il presidente Davidson chiede che sia lei ascortarli» rispondono all’unisono.

Una “richiesta”. Le richieste non esistono.«Lei è una sobillatrice nata e ci sarà di grande aiuto in questa guerra imminente.» Non

devono combattere. Avrei dovuto immaginare che non valesse per me. «Avrà la sua unitàpersonale e potrà scegliere gli ardenti da avere al suo fianco…»

Un re novosangue siederà sul trono che tu gli avrai costruito.È quello che mi ha detto Cameron un paio di giorni fa, quando l’ho obbligata a unirsi a

noi. Adesso so esattamente come si è sentita e quanto potrebbero esseremostruosamente vere le sue parole.

«Soltanto ardenti, giusto?» replico, mentre mi alzo con aria risoluta. «Soltanto

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novisangue? Ditemi, com’è realmente la vostra Repubblica? Avete solo barattato ipadroni argentei con altri padroni?»

I fratelli rimangono seduti e mi osservano con sguardi taglienti. «Hai frainteso, MareBarrow» risponde Tahir, mentre si sfiora la cicatrice sotto l’occhio sinistro. «Noi siamocome te, abbiamo sofferto per quello che siamo e vogliamo soltanto che nessun altrosubisca lo stesso destino. Offriamo un rifugio alla nostra razza. In particolare a te.»

Bugiardi, tutti e due. Non mi stanno offrendo proprio niente, se non un altro palco sucui salire ed esibirmi.

«Sto bene dove sono.» Fisso il colonnello nel suo occhio buono. Non ha più lo sguardotorvo. «Non scapperò via, non adesso. Qui c’è da fare. Questioni da rossi che non viriguardano. Potete prendervi tutti i novisangue che vorranno venire con voi, ma non me.E se cercherete di farmi fare qualunque cosa contro la mia volontà, vi friggo entrambi.Non m’interessa di che colore sia il vostro sangue o quanto sosteniate di essere liberi.Dite al vostro capo che non mi faccio comprare con le promesse.»

«E con le azioni?» Inarcando un sopracciglio depilato, Rash mette una nuova offertasul piatto. «Le azioni ti farebbero passare dalla parte del capo?»

Ho già percorso questa strada. Ne ho avuto abbastanza di re, a prescindere da come sifacciano chiamare. In ogni caso, sputare sulla proposta dei gemelli non mi porterà danessuna parte, perciò alzo le spalle. «Mostratemi queste azioni e vedremo.» Con unarisatina, faccio per andarmene. «Portatemi la testa di Maven Calore e il vostro capo potràusarmi come poggiapiedi.»

La risposta di Tahir mi gela il sangue. «Tu hai ucciso la leonessa. Cosa vuoi che siauccidere il cucciolo.»

Esco dalla sala di controllo a passo spedito.«È strano, signorina Barrow.»«Che cosa?» ringhio in faccia al colonnello. Non mi lascia nemmeno uscire dalla

caserma in santa pace. Il suo sguardo sincero, però, mi coglie di sorpresa, è come semostrasse una sorta di comprensione. Proprio lui, l’ultima persona che mi aspettocapisca.

«Sei tornata con molti più sostenitori al seguito, ma hai perso quelli con cui eripartita.» Solleva il sopracciglio, mentre si appoggia alla parete fredda e umida delcorridoio. «Il ragazzo del villaggio, il tuo principe e mia figlia, sembrano tutti evitarti. Epoi, naturalmente, tuo fratello…» Faccio un rapido passo avanti e lui si blocca all’istante,ammutolendo per la paura. Dopo un lungo momento di esitazione, mormora: «Le miecondoglianze. Non è mai facile perdere un familiare».

Ripenso alla fotografia nel suo alloggio. Aveva un’altra figlia e una moglie, duepersone che adesso non sono qui. «Serve a tutti un po’ di tempo» commento, e spero chesia sufficiente.

«Non dargliene troppo. Non è bene lasciare che rimuginino sulle tue colpe.»Non ho il cuore di ribattere, perché so che ha ragione. Me la sono presa con tutte le

persone a me più care e ho rivelato loro il mostro che dimora in me.«E che mi dici della questione da rossi cui hai accennato prima?» continua. «C’è niente

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che dovrei sapere?»Sul jet, ho detto a Cal che sarei andata a nord. Una parte di me l’ha fatto per rabbia,

tanto per dimostrargli qualcosa. Ma l’altra parte l’ha detto perché sa che è la cosa giustada fare. Perché ho ignorato la situazione troppo a lungo.

«Qualche giorno fa abbiamo intercettato un documento con degli ordini. Stannomandando a Campo Cenere la prima legione di bambini.» Mi sento mancare il respiro alricordo di quello che ha detto Ada. «Li massacreranno, li obbligheranno a marciare oltrele trincee, dritto nella striscia della morte. Li stermineranno tutti e cinquemila.»

«Novisangue?» m’incalza il colonnello.Scuoto la testa. «Non che io sappia.»Posa una mano sulla pistola, raddrizza la schiena e sputa sul pavimento. «Bene, il

comando mi ha ordinato di aiutarti. Credo sia giunto il momento di fare qualcosa di utileinsieme.»

L’infermeria è tranquilla, è un bel posto dove aspettare. Sara, a cui è stato dato ilpermesso di lasciare la caserma assegnata agli argentei, si è occupata in fretta dei feriti.Ora i letti sono tutti vuoti, a eccezione di uno. Me ne sto sdraiata sul fianco e fisso l’altafinestra che ho davanti. L’azzurro ingannevole del cielo è sfumato in un grigio acciaio.Magari è in arrivo un altro temporale o forse sono i miei occhi a essersi incupiti. Oggiproprio non ce la faccio a vedere altro sole. Le lenzuola, lise dai troppi lavaggi, sonosoffici e devo trattenere l’impulso di tirarle su fino a coprirmi la testa. Come se questobastasse a impedire ai ricordi di venirmi a cercare e di infrangersi su di me come un’ondadi ferro. Gli ultimi istanti di Shade, i suoi occhi spalancati, la sua mano che mi cerca,prima che il sangue zampilli dal suo petto. Stava tornando indietro a salvarmi e questol’ha ucciso. Mi sento come molti mesi fa, quando sono andata a nascondermi nel bosco,incapace di affrontare Gisa e la sua mano fratturata. Ora non riesco a sopportare ilpensiero di tornare dalla mia famiglia e vedere il vuoto che ha lasciato Shade. Di sicuro sistaranno domandando dove sono, dov’è la ragazza che gli è costata un figlio. Ma lapersona che mi trova nell’infermeria non è un Barrow.

«Torno più tardi o hai finito di autocommiserarti?»Mi alzo a sedere di scatto e vedo Julian, in piedi in fondo al mio letto. Ha ripreso

colore e, per gentile concessione di Sara, ha di nuovo tutti i denti. A eccezione dei vestitispaiati, rimanenze dei magazzini di Tuck, sembra di nuovo il vecchio Julian. Mi aspettoun sorriso, forse addirittura un grazie, ma di certo non un rimprovero. Non da lui.

«Non si può avere neanche un attimo di pace da queste parti?» sbuffo, e mi ributto sulcuscino sottile.

«Secondo i miei calcoli, te ne stai nascosta qui da quasi un’ora. Mi sembra più di unattimo, Mare.» Il vecchio maestro fa del suo meglio per essere gentile, ma non funziona.

«Se proprio vuoi saperlo, sto aspettando il colonnello. Dobbiamo pianificareun’operazione e, mentre noi parliamo, lui sta arruolando volontari.» Beccati questa. Julian,però, non si lascia scoraggiare tanto facilmente.

«E tu hai pensato che schiacciare un pisolino fosse meglio di… be’, vediamo… fare undiscorso agli altri novisangue, magari calmare un mucchio di argentei molto nervosi, farti

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visitare o persino parlare con la tua famiglia in lutto?»«Julian, non mi sono mancate le tue lezioni.»«Sei brava a mentire, Mare» risponde con un sorriso.Accorcia le distanze tra noi quasi troppo in fretta, quando viene a sedersi accanto a

me. È fresco di doccia e profuma di pulito. Ora che siamo così vicini, mi accorgo diquanto è dimagrito e del vuoto che ha negli occhi. Neppure Sara sa curare le ferite dellamente. «Una lezione presuppone un ascoltatore. E tu di certo non mi ascolti più.»Abbassa la voce e mi fa inclinare il viso per costringermi a guardarlo. Sono così stancache lo lascio fare. «Non ascolti nessuno, se è per questo. Nemmeno Cal.»

«Hai intenzione di strillarmi in faccia anche tu?»Ha un sorriso triste. «L’ho mai fatto?»«No» sussurro, anche se non vorrei. «Non l’hai mai fatto.»«E non comincerò certo adesso. Sono solo venuto a dirti quello che hai bisogno di

sentire. Non ti costringerò ad ascoltarmi né ti obbligherò a obbedirmi. Ti lascio la libertàdi scegliere, come dovrebbe essere.»

«Okay.»«Una volta ti ho detto che chiunque può tradire chiunque. So che te lo ricordi.» Eccome

se me lo ricordo. «E ora te lo ripeto. Chiunque, qualunque cosa, può tradire chiunque.Anche il tuo stesso cuore.»

«Julian…»«Nessuno nasce malvagio, così come nessuno nasce solo. Lo si diventa per via di scelte

e circostanze. Non puoi controllare le circostanze, ma le scelte… Mare, sono moltospaventato per te. Ti hanno fatto delle cose che nessuno dovrebbe subire. Hai visto efatto esperienze orribili, che ti cambieranno. Ho paura per quello che potresti diventare,se ti venisse offerta la possibilità sbagliata.»

Anch’io.Gli stringo la mano. Quel contatto mi tranquillizza, ma è ancora debole. Nel migliore

dei casi, il nostro legame si è logorato e non so come ricucirlo. «Ci proverò, Julian»mormoro, «ci proverò.»

In un angolo della mia mente si fa largo una domanda. Un domani, quando saròdiventata meschina, quando sarò una donna come Elara, senza niente e nessuno che mivoglia bene, Julian racconterà delle storie su di me? Sarò semplicemente la ragazza che ciha provato? No, non posso pensarla così. Mi rifiuto. Sono Mare Barrow e sono più forte diquesto. Ho fatto cose terribili, per cui non merito perdono. Eppure lo leggo comunquenegli occhi di Julian e questo m’infonde una speranza inaudita. Qualsiasi azione dovròcompiere nei giorni a venire, non diventerò un mostro. Non perderò me stessa, anche sequesto mi ucciderà.

«Ora, hai bisogno che ti accompagni nella camerata della tua famiglia o pensi ditrovare la strada da sola?»

Non riesco a trattenere uno sbuffo divertito. «Perché, tu la sai, la strada?»«Non è educato dubitare degli anziani, sparafulmini.»«Un tempo avevo un maestro che mi diceva di dubitare di tutto.»Gli brillano gli occhi e il suo debole petto si gonfia d’orgoglio. «Il tuo maestro era un

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uomo intelligente.»Mi osserva con attenzione e mi accorgo che gli si spegne lo sguardo. Fissa il marchio

sulla mia clavicola. Rifletto se coprirlo o meno, poi decido di no. Non nasconderò la Mche mi è stata impressa addosso con il fuoco, non a lui.

«Sara può guarirtela» farfuglia. «Vuoi che la chiami?»Mi alzo, nonostante mi tremino le gambe. Ho tante cicatrici che vorrei mi guarisse, ma

non questa. «No.» Lasciamo che sia un promemoria per tutti noi.Usciamo a braccetto dall’infermeria deserta. I nostri passi rimbombano nella stanza

bianca sempre più tendente al grigio. Fuori, un’ombra ha oscurato il mondo. L’inverno èalle porte e presto busserà. A me, però, piace l’aria fredda, mi risveglia.

Mentre attraversiamo il cortile centrale, diretti alla caserma numero tre, mi guardointorno. Nei vari gruppetti c’è qualche faccia nota. Alcuni si addestrano, altri trasportanomerci o fanno semplicemente un giretto. Scorgo Ada, che scivola fuori da sotto unveicolo rotto con in mano un libretto di istruzioni. Lory si inginocchia accanto a lei e simette a spulciare tra un mucchio di utensili. A qualche metro di distanza individuoDarmian, che si è unito a un drappello di guardie per una corsetta. Sono gli unici dellaTana che vedo nei paraggi e mi si rivolta lo stomaco. Dove sono Cameron, Nix, la Nonna,Gareth e Ketha? Avverto un leggero senso di nausea, ma lo reprimo. Ho forza solo perpiangere l’unica persona che so per certo essere morta.

A Julian non è permesso entrare nella caserma numero tre. Me lo annuncia con unsorriso a denti stretti, ma le sue parole trasudano disprezzo. Non c’è niente e nessuno afar rispettare l’ordine, eppure lui obbedisce comunque. «Sto solo cercando dicomportarmi da “buon” argenteo» aggiunge secco. «Il colonnello è già stato così gentileda permetterci di uscire dalla nostra caserma. Non voglio tradire la sua fiducia.»

«Vengo a trovarvi più tardi» gli assicuro. «Mi sa che si sta mettendo piuttosto male làdentro.»

Julian si limita a fare spallucce. «Sara se la sta prendendo comoda con le guarigioni.Non vogliamo troppi argentei rabbiosi, affamati e al massimo delle forze in uno spaziochiuso. A ogni modo, sanno cosa avete fatto per loro. Non hanno motivo di fare storie,per ora.» Per ora. Un avvertimento semplice ma efficace. Il colonnello non sa come gestirecosì tanti rifugiati argentei e presto farà di sicuro un passo falso.

«Tenterò del mio meglio» sospiro, e aggiungo l’eventualità di dover sedare unasommossa alla mia lista sempre più lunga di cose da fare. Non piangere davanti allamamma, scusarmi con Farley, capire come salvare cinquemila bambini, fare da babysitter a unmucchio di argentei, sbattere la testa contro un muro. Mi sembra nelle mie possibilità.

La caserma è proprio come la ricordavo: un labirinto di curve e angoli. Mi perdo una odue volte, ma alla fine riesco a trovare la porta con il ritaglio di stoffa viola legato alpomello. È chiusa e devo bussare.

Mi viene ad aprire Bree, con il viso rosso dal pianto. Quella vista per poco non miuccide all’istante. «Ce ne hai messo di tempo» ringhia, facendo un passo indietro perlasciarmi entrare. Il suo tono duro mi fa rabbrividire, però non reagisco. Anzi, gli posouna mano sul braccio. Lui sussulta, ma non mi respinge.

«Mi dispiace» gli rispondo. E poi, a voce più alta, dico al resto della stanza: «Mi

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dispiace non essere venuta prima».Gisa e Tramy siedono su due sedie spaiate. La mamma è rannicchiata su uno dei letti e

papà, sulla sua sedia a rotelle, resta saldamente piantato al suo fianco. Mentre lei si voltadall’altra parte e affonda la testa nel cuscino, lui mi guarda dritto in faccia.

«Avevi altro da fare» commenta burbero come al solito, ma anche più sgarbato chemai. Me lo merito. «Lo capiamo.»

«Sarei dovuta venire qui.» Mi faccio avanti nella stanza. Come posso sentirmi persa inuno spazio così piccolo? «Ho riportato il suo corpo.»

«L’abbiamo visto» ribatte brusco Bree e va a sedersi di fronte alla mamma. Il letto acastello si avvalla sotto il suo enorme peso. «È bastata la puntura di un ago e se n’èandato.»

«Me lo ricordo» mormoro senza riuscire a trattenermi.Gisa, con le sue gambette raggomitolate sotto di sé, si contorce sulla sedia. Flette la

mano rovinata per distrarsi. «Sai chi l’ha ucciso?»«Ptolemus Samos, un magnetron.» Dentro l’arena, Cal avrebbe potuto ammazzare

quel maledetto, ma ne ha avuto pietà e la sua pietà è costata la vita a mio fratello.«Conosco quel nome» interviene Tramy, tanto per aggiungere un po’ di tensione

nell’atmosfera già pesante. «Era uno dei tuoi carnefici. Non è riuscito a uccidere te, ma hafatto fuori Shade.» Suona come un’accusa e devo abbassare lo sguardo pur di non vedereil dolore nei suoi occhi.

«Almeno l’hai vendicato?» Bree balza di nuovo in piedi, incapace di restare fermo. Misovrasta, nel tentativo di intimidirmi, ma dimentica che non ho più paura della forzabruta. «L’hai vendicato?»

«Ho ucciso molte persone.» Mi si spezza la voce, però tengo duro. «Non so neanchequante, so solo che la regina era tra loro.»

La mamma si tira su dal letto, finalmente decisa a guardarmi. Ha gli occhi inondati dilacrime. «La regina?» farfuglia senza fiato.

«Abbiamo anche il suo corpo» dico con fin troppo entusiasmo. Parlare del suocadavere è più facile che piangere mio fratello, così racconto loro della trasmissione e diquello che speriamo di fare.

Quel video orribile dovrebbe andare in onda oggi stesso, durante i notiziari della sera,che sono diventati obbligatori: un’aggiunta ai provvedimenti, affinché ogni suddito delregno ceni a suon di menzogne e propaganda. Un giovane re appassionato, un’altravittoria nelle trincee e così via. Ma non domani, quando Norda vedrà la sua regina mortae il mondo udirà la nostra chiamata alle armi. Bree fa avanti e indietro per la stanza conun sorriso da pazzo, al pensiero della guerra civile. Tramy lo segue, come sempre.Farneticano tra di loro, fantasticando già di quando marceranno su Archeon insieme epianteranno la nostra bandiera rossa sulle rovine della reggia del Biancofuoco. Gisa èmeno entusiasta.

«Immagino che non resterai qui per molto» osserva sconsolata. «Avranno bisogno chetorni sulla terraferma a reclutare.»

«No, niente reclutamenti, almeno per un po’.»Non riesco a sopportare quel barlume di speranza che si accende dentro di loro,

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soprattutto nella mamma. Sono quasi tentata di non dire niente, ma l’ultima volta sonosparita all’improvviso e non voglio rifare loro una cosa del genere. «Presto andrò aCampo Cenere.»

Papà ruggisce con una tale veemenza che mi aspetto di vederlo cadere dalla sedia arotelle. «No che non ci andrai! Non finché io sarò in grado di respirare!» Ansima perenfatizzare il concetto. «Nessuno dei miei figli tornerà in quel posto. Mai. E non osaredirmi che non posso fermarti, perché, credimi, posso e lo farò!»

In passato, Campo Cenere ha portato via a mio padre una gamba e un polmone. Papàha già dato così tanto a quel posto e immagino che ora pensi che si prenderà anche me.«Non ho dubbi che lo faresti, pa’» cerco di assecondarlo. Di solito funziona.

Ma stavolta mio padre fa un segno con la mano per zittirmi, mentre viene verso di mesulla sedie a rotelle a una tale velocità che mi urta lo stinco con la gamba. Mi fulmina conuno sguardo indemoniato e un dito tremante puntato contro la mia faccia. «Dammi la tuaparola, Mare Barrow.»

«Sai che non posso farlo.» E gli spiego il perché: cinquemila bambini, cinquemila figlidi qualcuno. Cameron ha sempre avuto ragione: le divisioni di sangue sono ancora unarealtà e non si possono tollerare oltre.

«Lascia che ci vada qualcun altro» ringhia, mentre fa del suo meglio per non cadere apezzi. Non avrei mai voluto veder piangere mio padre e ora vorrei poter dimenticarequella scena. «Può pensarci il colonnello, quel principe, qualcun altro.» Si aggrappa almio braccio come un uomo in mare.

«Daniel.» La voce della mamma è dolce, rassicurante, come una nuvola bianca esolitaria in un cielo terso. «Lasciala andare.»

Quando stacco la mano di mio padre dal mio polso, mi rendo conto che anch’io sonoin lacrime.

«Noi andiamo con lei.»Un attimo prima che io possa dirgli di non farlo, Bree ha già proferito quelle parole.

Papà diventa paonazzo, mentre la sua tristezza fa spazio alla collera. «Volete proprio chemuoia di crepacuore?» sbraita, e si sposta con la sua sedia per guardare in faccia miofratello maggiore.

«Lei non è mai stata a Campo Cenere, non sa come sia lassù» s’intromette Tramy. «Noiinvece sì. Abbiamo passato quasi dieci anni al fronte, tra tutti e due.»

Scuoto la testa e alzo una mano per fermarlo, prima che mio padre ci rimanga sulserio. «Verrà il colonnello, anche lui è stato a Campo Cenere, non c’è alcun bisogno…»

«Forse dal lato dei lacustri.» Bree è già chino sul baule e passa in rassegna i proprieffetti personali. Sta decidendo cosa portarsi dietro. «Ma le trincee di Norda sono moltodiverse. Farebbe dietrofront dopo pochi secondi.»

È forse la cosa più intelligente che gli abbia mai sentito dire. Bree non è certo noto peravere una gran testa, eppure è sopravvissuto quasi cinque anni al fronte, vale a direquattro in più rispetto alla maggioranza delle persone. Non può essere fortuna. Mi rendoconto, tra l’altro, che sono entrambi molto coraggiosi, più di quanto potessi immaginare.Un tempo pensavo a quanto della mia vita si fossero persi i miei fratelli maggiori, ma valelo stesso anche per me. Loro non sono come io li ricordo. Sono guerrieri come me.

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Il mio silenzio è sufficiente perché inizino a fare i bagagli. Vorrei potergli dire di nonvenire. Mi darebbero retta, se lo pensassi sul serio. Ma non posso. Ho bisogno di loro,proprio come avevo bisogno di Shade.

Spero solo di non scavare la fossa a un altro dei miei fratelli.Dopo un lungo istante, mi accorgo che sto tremando, così mi arrampico sul letto

accanto alla mamma e lascio che mi stringa a lungo. Faccio del mio meglio per nonpiangere, ma il mio meglio non basta.

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29

La mensa è affollata, ma non per via del pranzo. Il colonnello solo un’ora fa ha diramatol’appello per un’“operazione di massima priorità” e adesso la sala è strapiena di volontarie uomini accuratamente selezionati. I lacustri sono tranquilli, stoici e ben addestrati. Gliuomini della Guardia sono più scalmanati, a eccezione di Farley, che è l’opposto. Sebbenesia stata reintegrata nella sua carica di capitano, non sembra averlo notato. Se ne staseduta in silenzio e si arrotola una sciarpa rossa intorno alle mani con aria assente.Quando entro nella sala, affiancata dai miei fratelli, il rumore si smorza e tutti mipuntano gli occhi addosso. Tutti tranne Farley, che non alza proprio lo sguardo. Lory eDarmian battono addirittura le mani mentre attraverso la stanza, facendomi arrossire.Anche Ada si unisce agli applausi e poi, con mio grande piacere, accanto a lei scorgo laNonna, che si alza in piedi, così come Cameron. Ce l’hanno fatta. Tiro un piccolo sospiro ecerco di sentirmi sollevata. Ma non c’è traccia di Nix, Gareth e Ketha. “Potrebbero averscelto di non venire. Ormai, devono averne fin sopra i capelli del pericolo” mi dicomentre prendo posto di fianco a Farley. Bree e Tramy mi seguono a ruota e si siedonoproprio dietro di me, come se fossero le mie guardie del corpo.

Non siamo gli ultimi. Harrick, appena arrivato dalla Tana, sgattaiola dentro e mi scoccaun brusco cenno del capo. Tiene aperta la porta per far entrare Kilorn. Il ritmo dei mieibattiti raddoppia, quando vedo Cal alle sue calcagna, seguito a sua volta da Julian e Sara.Se il mio ingresso ha fatto calare il silenzio, questo è l’esatto contrario. Alla vista dei treargentei, molti balzano in piedi, soprattutto tra i lacustri. Con il baccano che fanno, non èfacile decifrare le loro grida, ma il significato è chiaro: non vi vogliamo qui.

Nel trambusto, incrocio lo sguardo di Cal, anche se solo per un istante. È lui adistoglierlo per primo, per poi andarsi a cercare un posto in fondo alla sala. Julian e Saragli stanno appiccicati e ignorano le grida di scherno, mentre Kilorn si avvia nelladirezione opposta, tirandosi dietro una sedia, e si lascia cadere di peso accanto a me. Mifa un cenno distratto, come se fossimo seduti a mangiare.

«Allora, che succede qui?» mi chiede con un volume di voce sufficiente a farsi udiresopra quel chiasso.

Fisso il mio amico perplessa. L’ultima volta che l’ho visto, mi stava strappando via daFarley e sembrava che la mia sola esistenza lo disgustasse. Adesso ci manca poco che nonmi sorrida. Tira persino fuori una mela dalla giacca e mi offre il primo morso. Tentennoun po’, poi l’accetto.

«Non eri in te» mi sussurra all’orecchio. Si riprende la mela e le dà un morso.«Facciamo finta di niente. Ma azzardati a dare di nuovo i numeri come hai fatto edovremo sistemare questa faccenda alla maniera di Palafitte. Chiaro?»

La cicatrice mi provoca una fitta di dolore mentre sorrido. «Chiaro.» E poi, sottovoce,

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in modo che solo lui possa sentirmi: «Grazie».Per un attimo tace, con una strana espressione pensierosa. Quindi, con un sorrisetto,

agita la mano. «Ma fammi il piacere, ti ho vista molto peggio di così.» È solo una bugiaconsolatoria, però gliela lascio dire comunque. «Allora, cosa sarebbe questa faccendadella massima priorità? Idea tua o del colonnello?»

In quel preciso momento, il colonnello entra nella mensa con le braccia aperte, perripristinare la calma. «Mia» mormoro, mentre le proteste si dissolvono.

«Silenzio» abbaia, con un tono simile a uno schiocco di frusta. I lacustri obbedisconoall’istante e si siedono ai propri posti con fare mansueto. Basta un’occhiataccia delcolonnello per ammutolire gli altri dissidenti. Indica il fondo della sala, dove ci sono Cal,Julian e Sara. «Quei tre sono argentei, è vero, ma si sono anche dimostrati fedeli allanostra causa. Hanno il mio permesso di stare qui e voi li tratterete come trattereste ognialtro alleato, ogni fratello o sorella sotto le armi.»

Li ha zittiti tutti, almeno per ora.«Siete qui perché vi siete offerti volontari per un’operazione senza nemmeno sapere di

che cosa si tratti. Il vostro è vero eroismo e per questo complimenti a tutti voi» continua,mentre prende posto di fronte a tutti. Ho come l’impressione che in passato abbia giàfatto qualcosa del genere. In questo contesto, i capelli rasati e l’occhio insanguinato gliconferiscono una certa autorità, come pure la voce imperiosa. «Come sapete,l’abbassamento dell’obbligo di leva ha prodotto soldati sempre più giovani, perfinoquindicenni. In questo momento, una legione così composta è in marcia verso il fronte.Sono cinquemila e hanno ricevuto un addestramento di soli due mesi.» Un brusio caricodi rabbia serpeggia tra la folla. «Dobbiamo ringraziare Mare Barrow e la sua squadra peraverci fornito quest’informazione.»

Non riesco a trattenere un sussulto. La mia squadra. Una volta era di Farley oaddirittura di Cal, di certo non mia. «La signorina Barrow è anche la prima a essersiofferta volontaria per fermare questa barbarie prima che si consumi.»

Kilorn si volta di scatto, così in fretta che gli scrocchia il crollo. Spalanca gli occhiverdi, non saprei dire se per la collera o la sorpresa. Forse entrambe le cose.

«Li hanno soprannominati la Piccola Legione» intervengo, costretta ad alzarmi in piediper rivolgermi alla folla come si deve. Mi fissano, in attesa, e ogni occhio è come unalama. Adesso le lezioni di lady Blonos mi torneranno molto utili. «Secondo leinformazioni in nostro possesso, i ragazzini verranno mandati direttamente a CampoCenere, oltre le linee di trincea. Il re li vuole morti per terrorizzare la nostra gente emetterla a tacere. E ci riuscirà, se non facciamo qualcosa. Propongo un’operazione su duefronti, condotta da me e dal colonnello Farley. Utilizzerò dei soldati che possano passareper quindicenni per infiltrarmi nella legione all’altezza di Corvium, in modo da separaregli ufficiali argentei dai ragazzi. Quindi proseguiremo fino a Campo Cenere.» Faccio delmio meglio per tenere lo sguardo incollato alla parete di fondo, ma gli occhi continuano aposarsi su Cal. Stavolta sono io a dover distogliere lo sguardo.

«Ma questo è un suicidio!» urla qualcuno.Il colonnello mi viene accanto e scuote la testa. «La mia unità aspetterà a nord, sulla

linea di trincea dei lacustri. Ho contatti con il loro esercito e posso far guadagnare alla

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signorina Barrow tempo sufficiente per arrivare. Una volta che mi avrà raggiunto,ripiegheremo sul Lago Edris. Due navi mercantili dovrebbero bastare per trasportarcitutti dall’altra parte, e da lì entreremo nelle terre contese.»

«È ridicolo.»Non ho neanche bisogno di levare lo sguardo per sapere che Cal si è alzato in piedi.

Ha le guance di un intenso color argento e stringe i pugni, irritato da un piano tantoassurdo. Quella vista mi fa quasi sorridere.

«In cent’anni, nessun esercito di Norda è mai riuscito ad attraversare Campo Cenere.Mai. E pensate di farcela con una banda di ragazzini?» Si volta verso di me conun’espressione implorante. «Avreste maggior fortuna se li riportassi a Corvium e linascondessi nei boschi, qualsiasi cosa pur di non attraversare quella maledetta strisciadella morte.»

Il colonnello non batte ciglio. «Da quanto tempo non visiti le trincee, altezza?»Cal risponde senza esitazione: «Sei mesi».«Sei mesi fa i lacustri avevano nove legioni al fronte per eguagliare l’esercito di Norda,

oggi ne hanno due. Campo Cenere è aperto e tuo fratello non se ne accorge nemmeno.»«Dunque è una trappola? Un diversivo, forse?» farfuglia Cal, cercando di trovare un

senso a quelle parole.Il colonnello annuisce. «I lacustri hanno in mente di spingersi oltre il Lago Tarion,

mentre le vostre truppe sono impegnate a difendere una striscia di terra abbandonatache non interessa a nessuno. La signorina Barrow potrebbe attraversarla bendata euscirne senza nemmeno un graffio.»

«Ed è esattamente quello che intendo fare.» A poco a poco, ritrovo coraggio. Speroalmeno di sembrare coraggiosa, perché di certo non mi ci sento affatto. «Chi viene conme?»

Kilorn è il primo ad alzarsi, come immaginavo, ma lo seguono in molti: Cameron, Ada,la Nonna, Darmian, persino Harrick. Non Farley, che rimane inchiodata alla sedia e lasciache siano i suoi luogotenenti ad alzarsi per lei. Si è legata la sciarpa troppo stretta intornoal polso e la sua mano è diventata vagamente bluastra.

Mi sforzo di non guardarlo. Di sicuro ci provo.In fondo alla sala, il principe esiliato sostiene il mio sguardo come se potesse darmi

fuoco con gli occhi. Che spreco. In me non è rimasto più niente da bruciare.

Le tombe nel cimitero di Tuck sono nuove, lo si capisce dalla terra smossa di fresco,intessuta con qualche ciuffo di erba alta. Le lapidi sono costituite da pietre, raccolte escolpite scrupolosamente dai familiari dei defunti. Quando caliamo la bara di assi diShade nella terra, tutti noi Barrow siamo raccolti intorno alla fossa e mi rendo conto chesiamo fortunati. Almeno abbiamo un corpo da seppellire, tanti non hanno nemmenoquesta fortuna. Come nel caso di Nix, Ketha e Gareth. A quanto dice Ada, non sono maisaliti sul freccianera o sull’aereo cargo. Sono morti a Corros, insieme ad altrequarantadue persone, stando al suo impeccabile conteggio. Però ne sono sopravvissutitrecento. Trecento al prezzo di quarantacinque. “È stato un buon affare” mi dico, “unaccordo semplice.” Le parole fanno male, anche nella mia testa.

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Sebbene si stringa nelle spalle contro il vento freddo, Farley si rifiuta di indossare unagiacca. C’è anche il colonnello, che si mantiene a rispettosa distanza. Non è qui perShade, ma per la figlia in lutto, benché non faccia niente per confortarla. Con mia grandesorpresa, Gisa le va accanto e le cinge la vita con un braccio. Quando Farley glielopermette, sono quasi scioccata. Non mi risulta che si siano mai incontrate, eppure sonocosì in confidenza. Per qualche ragione, sotto il cordoglio, avverto una punta di gelosia.

Nessuno sta cercando di consolare me, neppure Kilorn. Per lui il funerale di Shade ètroppo da sopportare, così se ne sta seduto in cima alla collina, abbastanza lontanoperché nessuno possa vederlo piangere. Ogni tanto affonda la testa nel petto, incapace diguardare quando Bree e Tramy cominciano a spalare la terra nella fossa.

Non diciamo una parola, è troppo difficile. Il vento mi passa attraverso con il suosibilo, quando vorrei soltanto un po’ di calore. Vorrei un tepore confortante, ma Cal non èqui. Mio fratello è morto e, nel suo cuore ostinato, lui non riesce a trovare quel briciolo diumanità per guardarci seppellirlo.

L’ultimo pugno di terra lo getta la mamma, con gli occhi asciutti. Non ha più lacrimeda versare. Almeno abbiamo qualcosa in comune.

SHADE BARROW recita la lapide. Le lettere sembrano graffi, quasi fossero state scritte dauna bestia feroce, invece che dai miei genitori. C’è qualcosa di sbagliato nel seppellirloqui. Dovrebbe essere a casa, accanto al fiume, nei boschi che tanto amava. Non suun’isola sterile, circondata da dune e cemento, con nient’altro che un cielo vuoto atenergli compagnia. Questo non è il destino che meritava.

Jon sapeva che sarebbe successo. Jon ha lasciato che accadesse. Un pensiero sinistro siimpossessa della mia mente. Forse questo è un altro scambio, un altro accordo. Magari questoè il miglior destino che avrebbe mai avuto. Il più intelligente e premuroso dei miei fratelli,quello che veniva sempre a salvarmi, che sapeva sempre cosa dire. Come ha potuto farequesta fine? Cosa c’è di giusto in tutto questo?

So meglio di tanti altri che non c’è niente di giusto in questo mondo.Mi si appanna la vista. Fisso il cumulo di terra per chissà quanto tempo, finché nel

cimitero restiamo solo io e Farley. Quando alzo lo sguardo, ha gli occhi puntati su di me,una tempesta di emozioni che infuria tra la rabbia e il dolore. Il vento le scompiglia icapelli. Negli ultimi mesi sono cresciuti e adesso le arrivano quasi al mento. Li scosta dalviso con una tale violenza che temo si faccia lo scalpo.

«Non verrò con voi.» Tira fuori a forza le parole.Non posso che annuire. «Hai già fatto abbastanza per noi, più che abbastanza. Lo

capisco.»Con uno sbuffo di scherno, ribatte: «No che non capisci. Non m’importa niente di

proteggere me stessa, non adesso». I suoi occhi tornano sulla tomba. Le scende unalacrima solitaria, ma lei non ci fa caso. «La risposta alla mia domanda» mormora,dimenticandosi di me. Poi scuote la testa e si avvicina. «Non era questa gran domanda,dopotutto. Lo sapevo, nel profondo del mio cuore. E credo che lo sapesse anche Shade.È… era… molto perspicace, non come te.»

«Mi dispiace per tutte le persone che hai perso» dico, più brusca di quanto non voglia.«Mi dispiace…»

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Farley si limita a un cenno della mano, rigettando le mie scuse. Non si preoccupanemmeno di chiedermi come faccio a saperlo. «Shade, mia madre, mia sorella. E miopadre. Sarà anche vivo, ma l’ho perso comunque.»

Ricordo la preoccupazione sul volto del colonnello, lo sprazzo di apprensione che hointravisto quando siamo tornati a Tuck. Aveva paura per sua figlia. «Non ne sarei cosìsicura. Nessun figlio potrà mai davvero perdere un padre che lo ama.»

Il vento le spazza i capelli sul viso e quasi nasconde lo sguardo sconvolto che laattraversa. Sgomento e speranza. Si passa la mano sulla pancia con una stranadelicatezza. Con l’altra mi dà un colpetto sulla spalla. «Mi auguro che tu ne esca viva,sparafulmini. Non sei poi così terribile.»

Penso sia la cosa più carina che mi abbia mai detto.Poi si gira per non voltarsi più. Quando, qualche minuto dopo, me ne vado anch’io,

faccio altrettanto.Non c’è tempo per piangere Shade o gli altri a dovere. Per la seconda volta nel giro di

ventiquattr ’ore, devo imbarcarmi sul freccianera, lasciare da parte il mio cuore eprepararmi a combattere. È stata un’idea di Cal quella di attendere la sera, perabbandonare l’isola mentre la nostra trasmissione sabotata viene mandata in onda intutta la nazione. Quando gli scagnozzi di Maven verranno a darci la caccia, noi saremogià in volo, diretti verso il campo di aviazione segreto fuori da Corvium. Il colonnelloproseguirà verso nord, sfruttando la protezione della notte per attraversare i laghi ecircumnavigare la zona. Prima dell’alba, se il piano funzionerà, saremo entrambi alcomando delle nostre legioni, ciascuno su un lato del confine. E a quel punto, la nostramarcia avrà inizio.

L’ultima volta che ho lasciato i miei genitori non c’è stato alcun preavviso. In qualchemodo, allora era stato più semplice. Dire addio è così difficile che sono tentata discappare verso il freccianera e rintanarmi nella sua sicurezza familiare. Eppure mi sforzocomunque di abbracciarli entrambi, di dar loro quel poco conforto di cui sono capace,anche se potrebbe essere una bugia.

«Li proteggerò» sussurro, e nascondo il viso sulla spalla di mia madre. Mi passa le ditatra i capelli e realizza una rapida treccia. Le punte grigie sono aumentate, mi arrivanoquasi alle spalle. «Bree e Tramy.»

«Vale anche per te» mi sussurra in risposta. «Bada anche a te stessa, Mare. Ti prego.»Annuisco, la testa ancora sulla sua spalla. Non voglio muovermi di lì.Papà mi tocca il polso e mi dà un leggero strattone. Nonostante lo scatto d’ira che ha

avuto prima, è a lui a ricordarmi che è ora di andare. I suoi occhi indugiano dietro di me,rivolti al freccianera. Gli altri sono già saliti a bordo e sulla pista siamo rimasti solo noiBarrow. Suppongo che vogliano darmi una parvenza di privacy, anche se non so proprioche farmene. Ho passato gli ultimi mesi a vivere in un buco, e prima di allora, in unpalazzo che pullulava di guardie e telecamere. Ho smesso di preoccuparmi deglispettatori.

«Per te» dice Gisa d’impulso e mi porge la mano buona, da cui pende uno scampolo diseta nera. È fresca e liscia, come una tela dipinta a olio. «Da un tempo passato.»

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Il tessuto è decorato con fiori rossi e dorati, ricamati con maestria. «Mi ricordo»mormoro, mentre passo un dito su quella perfezione che rasenta l’impossibile. Lo hacucito così tanto tempo fa, la notte prima che un agente le fratturasse la mano. Èincompleto, proprio come il suo destino precedente. Proprio come Shade. Con manitremanti, me lo annodo intorno al polso. «Grazie, Gisa.»

Mi frugo in tasca. «Anch’io ho qualcosa per te, sorellina.»Un ninnolo da pochi soldi. Quell’orecchino solitario ha lo stesso colore del mare

d’inverno che ci circonda.Le si blocca il respiro mentre lo afferra. Un attimo dopo sgorgano le lacrime e non

riesco a guardarle. Mi allontano da tutti loro e m’imbarco sul freccianera. La rampa sichiude dietro di me e, quando il mio cuore smette di battere all’impazzata, siamo già involo, altissimi sull’oceano.

Ho pochi soldati rispetto a quelli al seguito del colonnello nelle Terre dei Laghi. D’altrocanto, ho potuto portare con me solo chi sembrava abbastanza giovane da poter far partedella Piccola Legione e ho dovuto preferire chi era già stato nell’esercito e sapevacomportarsi da soldato.

Solo diciotto ragazzi della Guardia facevano al caso nostro e ora sono in volo con noi.Kilorn è seduto insieme a loro e cerca di farli sentire a proprio agio, nel nostro gruppo giàcosì affiatato. All’appello mancano sia Ada sia Darmian e Harrick. Visto che nonpotevano passare per adolescenti, sono andati con il colonnello, per sostenere comepotevano la nostra causa. Malgrado l’età avanzata, la Nonna ha meno limitazioni. Il suoaspetto, infatti, continua a cambiare e ad assumere le sembianze di diversi volti giovani.Com’era ovvio che fosse, Cameron è venuta con noi. Del resto, questa è stata anzituttouna sua idea, e ora si mette quasi a saltare dall’adrenalina. Pensa a suo fratello, quello chela legione si è portato via. Mi accorgo di invidiarla. Lei ha ancora una speranza di salvarlo.

Cal e i miei fratelli saranno i più difficili da camuffare: Bree ha un viso giovane, ma èpiù robusto di quanto potrebbe mai essere un qualsiasi quindicenne; Tramy è troppo altoe Cal troppo riconoscibile. A ogni modo, sono importanti non tanto per il loro aspetto oper la loro forza, ma per la conoscenza delle trincee. Senza di loro, non ci sarebbenessuno a guidarci in un simile ginepraio e a farci entrare nella terra desolata di CampoCenere. Io Campo Cenere l’ho visto solo in foto, nei notiziari e nei miei sogni. Dopo chela mia abilità è stata scoperta, credevo che non ci sarei mai dovuta andare. Credevo diessere scampata a quel destino. Quanto mi sbagliavo.

«Mancano tre ore a Corvium» tuona Cal, senza alzare lo sguardo dalla strumentazionedi volo. Il sedile accanto al suo, riservato a me, è visibilmente vuoto, ma non mi cisiederò, non dopo che mi ha lasciata ad affrontare il funerale di Shade da sola.

«Sorgeremo, rossi come l’alba» esclamano i ragazzi della Guardia all’unisono, mentresbattono sul pavimento i calci dei loro fucili. Ci colgono tutti di sorpresa, sebbene Cal sisforzi di non reagire. Io, tuttavia, noto comunque una smorfia di disgusto che gliincrespa le labbra. “Non faccio parte della vostra rivoluzione” mi ha detto una volta. Be’,sembrerebbe proprio di sì, vostra altezza.

«Sorgeremo, rossi come l’alba» ripeto con tono calmo ma sicuro.Cal si fa cupo, lo sguardo rivolto fuori dal finestrino. Con quell’espressione somiglia

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molto a suo padre e comincio a riflettere su come sarebbe potuto diventare. Unpensieroso principe guerriero, sposato con quella vipera di Evangeline. Maven ha dettoche non sarebbe campato oltre la notte dell’incoronazione, ma io non ci credo davvero. Èil fuoco che forgia il metallo, non viceversa. Sarebbe sopravvissuto e avrebbe regnato. Perfare cosa, però, non saprei dirlo. Un tempo pensavo di conoscere il cuore di Cal, ma orami rendo conto che è impossibile. Non si può mai conoscere a fondo il cuore di qualcuno,nemmeno il proprio.

Il tempo scorre in un silenzio opprimente. Mentre noi siamo immobili all’interno deljet, sulla terraferma le cose si sono messe in moto. Il mio messaggio sta risuonando daglischermi di tutto il regno.

Mi piacerebbe essere ad Archeon, proprio nel bel mezzo del settore commerciale, aosservare il mondo che cambia. Gli argentei reagiranno come spero? Riusciranno avedere il tradimento di Maven per quello che è? O faranno finta di niente?

«Roghi a Corvium.» Cal si avvicina al vetro della cabina, con la bocca spalancata. «Nelcentro della città e nella baraccopoli di Riofumo.» Si passa una mano tra i capelli,smarrito. «Una rivolta.»

Sento un tuffo al cuore. È scoppiata la guerra. E non abbiamo idea di cosa ci costerà.Nel resto del freccianera erompono i festeggiamenti, gli applausi e troppe strette di

mano da digerire. Nell’alzarmi dal sedile, per poco non cado, inciampando nei miei stessipiedi, io che di solito non inciampo mai. Mai. Riesco a malapena ad arrivare intera incoda all’aereo. Ho le vertigini e la nausea, sono sul punto di rimettere la cena che non homai mangiato. Poso una mano sul metallo e la superficie fredda mi calma. Un po’funziona, ma continua a girarmi la testa. Lo hai voluto tu. Lo aspettavi. Hai fatto in modo chesuccedesse. È questo l’accordo. È questo lo scambio.

Il controllo che mi ero tanto sforzata di mantenere comincia a vacillare. Percepiscol’energia del freccianera, ogni giro dei suoi motori. Nella mia testa si formano le venaturedi una mappa bianca e viola, troppo luminosa da sopportare.

«Mare?» Kilorn si alza dal proprio sedile. Fa un passo verso di me e allunga la mano.Sembra Shade nei suoi ultimi attimi di vita.

«Sto bene» mento.È come se suonasse un campanello. Cal si gira di scatto e mi scorge subito. Attraversa

il jet con passo pesante e sicuro, gli stivali martellano sul pavimento di metallo. Gli altrilo lasciano passare, troppo spaventati per fermare il principe di fuoco. Io non provo lostesso loro timore e gli volto le spalle. Lui mi gira di peso, senza preoccuparsi di esseredelicato.

«Calmati» mi aggredisce. Non ha tempo per i miei scatti d’ira. Provo un irrefrenabiledesiderio di spingerlo via, ma capisco cosa sta cercando di compiere. Annuisco, provo adargli ragione, tento di fare quello che dice e questo lo tranquillizza un po’. «Mare,calmati» ripete, stavolta solo per me, tenero come lo ricordo. Se non fosse per il rombodel freccianera, potremmo essere di nuovo alla Tana, nella nostra stanza, sulla nostrabranda, avvolti nei nostri sogni. «Mare.»

L’allarme suona pochi istanti prima che la coda dell’aereo esploda.Sbatto la schiena talmente forte che vedo le stelle. Ho in bocca il sapore del sangue e

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sento un caldo infernale. È solo grazie a Cal se non vengo incenerita. Il fuoco gli lambiscebraccia e spalle, ma per lui è innocuo come una carezza materna. Cal respinge le fiammecon il proprio potere e quelle si ritraggono con la stessa velocità con cui si sono espanse esi riducono a tizzoni ardenti. Nemmeno lui, però, è in grado di ricostruire la coda del jeto di impedirci di precipitare nel vuoto. Il rumore minaccia di farmi scoppiare la testa.Sembra il fragore di un treno o il grido di migliaia di banshee. Mi attacco a quello cheposso, che sia metallo o carne.

Quando mi si rischiara la vista, vedo un cielo nero e degli occhi color bronzo. Cistringiamo l’uno all’altra, come due bambini intrappolati in una stella cadente.Tutt’intorno a noi, il freccianera si sfalda, pezzo dopo pezzo, e ciascun nuovo squarcioprovoca uno stridore che mi fa gelare il sangue nelle vene. Ogni secondo che passasparisce un’altra parte dell’aereo, finché non restano soltanto delle sottili sbarre dimetallo. Fa un freddo gelido, fatico a respirare e mi è impossibile muovere un solomuscolo di mia spontanea volontà. Mi avvinghio alla sbarra dietro di me, tenendomistretta con tutta la forza che mi è rimasta. Con gli occhi ridotti a due fessure, osservo laterra scura di sotto, che si avvicina sempre di più. Un’ombra ci sfreccia accanto. Ha uncuore elettrico e ali lucenti. Un bocca di leone.

Mi si stringe lo stomaco, mentre quel che resta del freccianera precipita giù. Nonriesco nemmeno a trovare la forza di urlare. Gli altri, invece, sembra di sì. Li sento tutti,mentre gridano, supplicano, implorano pietà alla forza di gravità. La struttura vibraintorno a noi, accompagnata da un clangore che conosco fin troppo bene. È il suono delmetallo che sbatte contro altro metallo. Che cambia forma. Con un sussulto, capisco cosa cista succedendo.

Il jet non è più un jet. È una gabbia, una trappola di acciaio.Una tomba.Se solo riuscissi a parlare, direi a Cal che mi dispiace, che lo amo, che ho bisogno di

lui. Ma il vento e la caduta mi tolgono il respiro. Non ho più parole. Il suo tocco èdolorosamente familiare. Mi tiene una mano sul collo e mi implora di guardarlo. Propriocome me, neanche lui riesce a parlare. Sento comunque le sue tacite scuse, e lui intuiscele mie. Ci siamo solo noi due. Non vediamo più né le luci di Corvium all’orizzonte né ilsuolo che si avvicina né il destino con cui stiamo per scontrarci. Io vedo solo i suoi occhi.Brillano, persino in questa oscurità.

Il vento è troppo forte, mi tira i capelli e la pelle. La treccia che mi ha fatto mia madresi scioglie, così anche quel poco che mi restava di lei scompare. Mi chiedo chi sarà a dirlecome sono morta, sempre che qualcuno venga a sapere che fine abbiamo fatto. Che razzadi morte si è inventato Maven. Dev’essere stata una sua idea: ammazzarci insieme e darcianche il tempo di capire che cosa sta per accadere.

Quando la gabbia si arresta all’improvviso, lancio un urlo.Sotto le braccia penzoloni tra le sbarre, sento dei rigidi fili d’erba che mi sfiorano la

punta delle dita. “Com’è possibile?” mi chiedo, mentre mi tiro su. Ma è dura restare inequilibrio. Infatti cado. La gabbia oscilla a ogni mio movimento, come un’altalena appesaa un albero.

«Non ti muovere» ringhia Cal, e mi posa una mano sulla nuca. Con l’altra stringe una

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sbarra d’acciaio, che diventa incandescente nel suo pugno.Seguo il suo sguardo e osservo la radura in mezzo alla foresta in cui ci troviamo e le

persone in cerchio intorno a noi. I capelli argentati parlano chiaro: sono magnetron delcasato Samos. Tendono le braccia in avanti, in perfetta sincronia, e la gabbia fluttuaadagio verso il basso, per poi cadere con un tonfo a pochi centimetri dal suolo. Si leva unurlo generale.

«Libera.»Quella voce mi colpisce come un fulmine. Mi sbarazzo della presa di Cal e balzo in

piedi. Corro verso il bordo della gabbia, ma prima che io lo colpisca, le sbarre siabbassano e nello slancio finisco a terra, nell’erba coperta di brina, scivolando sulleginocchia. Qualcuno mi tira un calcio in pieno viso e mi accascio distesa nel fango.Scaglio una saetta nella direzione del mio assalitore, però è troppo veloce. Ad andare infrantumi al suo posto è un albero, che si spacca in due con un colpo secco.

Il fortebraccio mi piazza un ginocchio sulla schiena e mi immobilizza con una taleviolenza da togliermi l’aria dai polmoni. Delle dita mi si chiudono intorno alla gola, mac’è qualcosa di strano: sembrano ricoperte di plastica, forse dei guanti. Tento di liberarmicon graffi e scintille, eppure nulla sembra funzionare. Il mio aguzzino mi solleva senza ilminimo sforzo e mi costringe a lottare in punta di piedi per non morire strangolata.Provo a urlare, ma non serve a niente. Il panico mi attanaglia. Spalanco gli occhi, devotrovare il modo di liberarmi, ma riesco solo a scorgere i miei amici ancora confinati nellagabbia, che cercano invano di tirare via le sbarre.

Si sente di nuovo lo stridore del metallo contorcersi e piegarsi e ogni sbarra diventauna prigione a sé. Dal mio occhio pesto intravedo serpenti metallici attorcigliarsi intornoa Cal, Kilorn e gli altri. Ora hanno polsi, caviglie e collo incatenati. Persino Bree, che ègrosso come un orso, non può nulla contro quelle spire diaboliche. Cameron combattecome meglio può, annientando un magnetron dopo l’altro. Ma sono troppi: non fa intempo ad abbatterne uno che un altro ha già preso il suo posto. L’unico che riesce aresistere sul serio è Cal, capace di fondere qualsiasi sbarra provi ad avvicinarsi. Tuttavia èappena precipitato dal cielo. È a dir poco disorientato e perde sangue da una ferita sulsopracciglio. Una sbarra lo colpisce alla nuca e lo manda al tappeto in un nanosecondo.Muove le palpebre e io prego che riacquisti i sensi, ma le spire argentee lo avvolgono e lostringono sempre di più. La peggiore è quella che ha intorno alla gola, che gli affondanella pelle tanto da soffocarlo.

«Basta!» boccheggio e mi volto verso la voce. Ormai, per combattere, mi restano solo imiei miseri muscoli, che cercano invano di sottrarsi alla morsa del fortebraccio. «Basta!»

«Non sei in condizioni di trattare, Mare.»Maven è sfuggente. Rimane nell’oscurità, protetto dalle ombre. Quando vedo la sua

sagoma avvicinarsi, noto la corona dalle punte acuminate che gli cinge la testa. Poi escefinalmente allo scoperto, nel chiarore stellare, e per un attimo provo una fitta disoddisfazione. Il suo viso non è baldanzoso quanto la sua parlata. Ha gli occhi lividi, lafronte imperlata di sudore. La morte della madre ha sortito qualche effetto.

Le mani che mi stringono il collo allentano un po’ la presa per lasciarmi parlare, ma mitengono ancora sospesa a mezz’aria, con gli alluci che scivolano sull’erba gelida e sul

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fango ghiacciato.Niente accordo, niente scambio. «È tuo fratello» dico senza neanche pensarci. Ma a Maven

non importa nulla.«E quindi?» ribatte inarcando il sopracciglio.A terra Kilorn si agita, intrappolato nelle sue catene, che, per tutta risposta, si

stringono ancora di più. Lui rantola. Lì accanto c’è Cal, le palpebre tremolanti. Stariprendendo conoscenza e quando sarà di nuovo in sé Maven lo ucciderà di sicuro. Nonho tempo, neanche un secondo. Farei di tutto per tenere in vita quei due, di tutto.

Con un’ultima esplosione di rabbia, paura e disperazione, mi lascio andare. Se houcciso Elara Merandus dovrei essere capace anche di uccidere suo figlio e i suoi soldati.Ma il fortebraccio mi aspetta al varco e serra di nuovo la presa. I guanti che servono aproteggergli la pelle dai miei fulmini funzionano alla perfezione. Mentre continuo asoffocare in quella morsa, tento di chiamare il cielo in mio aiuto.

La vista, però, mi si annebbia e nelle orecchie sento pulsare un battito fiacco. Saròmorta soffocata prima che le nuvole riescano a radunarsi. E gli altri con me.

Farei qualunque cosa per tenerlo in vita. Per tenerlo con me. Per non restare sola.I miei fulmini non sono mai sembrati così deboli e fiochi. Le scintille si spengono a

poco a poco come il battito di un cuore moribondo. «Ho uno scambio da proporti»sussurro con voce roca.

«Davvero?» Maven fa un passo in avanti. Sentire la sua presenza così vicina mi faaccapponare la pelle. «Parla.»

Ancora una volta il mio strangolatore allenta la presa, però mi conficca un pollice nellacarotide. Una minaccia esplicita.

«Ti combatterò fino alla morte» dichiaro. «Tutti noi lo faremo, e moriremocombattendoti. Potremmo persino portarti con noi, proprio come abbiamo fatto con tuamadre.»

Maven sbatte le palpebre, è l’unico indizio del suo dolore. «Sarai punita per questo.Tieni bene a mente queste parole.»

Il pollice agisce di conseguenza e preme ancora di più; mi starà lasciando un lividoepocale. Ma non è questa la punizione di cui parla Maven, siamo lontani anni luce.Quello che ha in serbo per noi sarà molto, molto peggio.

Le sbarre intorno ai polsi di Cal diventano rosse e mandano bagliori incandescenti. Isuoi occhi, ridotti a due fessure, riflettono la luce delle stelle, mentre mi guarda con ilfiato sospeso. Vorrei potergli dire di stare fermo lì, di lasciarmi fare quello che devo:salvarlo come lui ha fatto con me così tante volte.

Accanto a lui, Kilorn rimane immobile. Mi conosce meglio di chiunque altro e hacapito benissimo cosa voglio dire. Pian piano serra la mascella e scuote il capo.

«Lasciali andare. Lasciali vivere» sussurro. Le mani del fortebraccio sono come catenee me le immagino mentre mi strisciano addosso, sono serpi di ferro.

«Mare, credo non ti sia ben chiaro il significato della parola “scambio”» incalza Mavencon un ghigno. «Devi darmi qualcosa.»

“Non tornerò da lui per nessuno al mondo” avevo detto a Cal tempo fa. Ero appenascampata al sonar e lui aveva capito quale fosse il vero motivo di tutta questa storia.

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“Arrendetevi” c’era scritto nel messaggio di Maven che mi implorava di tornare.«Non combatteremo. Io non combatterò.» Quando il fortebraccio molla la presa, le

mie difese si disintegrano. Abbasso la testa, incapace di sollevare lo sguardo. È come uninchino. Questo è il mio accordo: «Lascia andare gli altri e io sarò tua prigioniera. Miarrenderò. Tornerò da te».

Mi concentro sulle mie mani nell’erba. Il freddo della brina mi è familiare, mi fapensare al mio cuore e al vuoto che lo sta inghiottendo. Maven mi afferra il mento, la suamano è tiepida e brucia di un calore malato. Osare toccarmi è una prova di forza. Lui nonteme la sparafulmini o almeno è questo che vuole far trasparire. Mi costringe a guardarlo.Non vedo più nulla del ragazzo che era un tempo. In lui ora c’è solo oscurità.

«Mare, no! Non fare idiozie!» Le suppliche di Kilorn mi raggiungono appena. Illamento che mi trapana la testa è troppo forte, troppo doloroso. Non è il sibilodell’elettricità, ma qualcos’altro, dentro di me. Sono i miei stessi nervi, che urlano insegno di protesta. Allo stesso tempo, però, avverto una specie di sollievo contorto emalato. Sono stati fatti così tanti sacrifici per me e per le mie scelte. È giunto il mio turnoed è giusto che accetti la punizione che il destino ha in serbo per me.

Per Maven sono un libro aperto. Ecco perché ora mi scruta, alla ricerca di una bugiache non esiste. Io faccio lo stesso con lui. Malgrado il suo atteggiamento, ha paura diquello che ho fatto, delle parole della sparafulmini e delle ripercussioni che avranno. Èvenuto qui per uccidermi, per seppellirmi, invece ha trovato un premio più grande. Esono stata io a offrirglielo, di mia volontà. Maven è un traditore nato, ma questo è unaccordo che rispetterà. Glielo leggo negli occhi e l’ho sentito nei suoi messaggi. Lui vuoleme e farà di tutto per tenermi di nuovo al guinzaglio.

Kilorn continua a divincolarsi, ma è inutile. «Cal, fa’ qualcosa!» grida, e si avventacontro il corpo accanto a lui. Le catene cozzano tra loro ed emettono un cupo clangore.«Non permetterglielo!»

Non riesco a guardarlo. Voglio che mi ricordi diversa, in piedi, padrona di me stessa.Non così.

«Allora abbiamo un patto?» Eccomi qui, ridotta a implorare che Maven mi rimettanella sua gabbia dorata. «Sei un uomo di parola?»

Davanti a me Maven sorride nel sentirmi citare le sue frasi. Mostra i denti scintillanti.Gli altri gridano e scuotono le catene. Ma io non sento nulla. La mia mente ignora

tutto, tranne lo scambio che sono disposta a portare a termine. Immagino che Jon loavesse previsto.

La mano di Maven scende dal mento alla gola. La presa aumenta d’intensità. È piùdebole della morsa del fortebraccio, ma infinitamente più dolorosa.

«Abbiamo un patto.»

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EPILOGO

Passano i giorni. Almeno, io credo siano giorni. Trascorro la maggior parte del tempo inuna specie di sorda cecità, sottoposta all’effetto del sonar. Non fa più tanto male. I mieiaguzzini hanno perfezionato il cosiddetto dosaggio e ora non lo usano per procurarmimal di testa lancinanti, ma per mantenermi in uno stato d’incoscienza. Ogni volta che neesco, la vista mi torna a sprazzi e intravedo uomini vestiti con tuniche bianche. Girano lamanopola e la macchina riprende a ticchettare. È come un tarlo nella mia testa. Ticchetta,non smette mai. Qualche volta mi sento tirare, però mai abbastanza da svegliarmi deltutto. Altre volte sento la voce di Maven. Poi la prigione bianca diventa rossa e nera, duecolori troppo violenti da sopportare.

Stavolta, quando rinvengo, non avverto alcun ticchettio. Il mondo mi appare troppoluminoso e un po’ sfocato, ma non ricado nel torpore. Mi sveglio sul serio.

Le mie catene sono trasparenti, forse di plastica o addirittura vetrodiamante. Milegano polsi e caviglie, troppo strette per poterle definire confortevoli, eppureabbastanza lente da permettere al sangue di circolare. Le manette sono la parte peggiore:tagliano e irritano la mia pelle già dilaniata, ricoperta da ferite da lacerazione chegrondano sangue. Il rosso spicca sul mio camicione chiaro e nessuno si cura di lavarlovia. Adesso che Maven non può più nascondere quello che sono, deve mostrarlo almondo intero, qualunque sia ora il suo perverso piano. Le catene tintinnano e mi rendoconto di essere su un mezzo corazzato in moto. Di certo lo usano per i prigionieri, perchénon ha finestrini e sulle pareti ci sono degli anelli, a uno dei quali sono agganciate le miecatene, che ondeggiano appena.

Di fronte a me ci sono due uomini, entrambi vestiti di bianco ed entrambi calvi comedue gusci d’uovo. Assomigliano in modo impressionante all’istruttore Arven. Con ogniprobabilità sono suoi fratelli o cugini, il che spiegherebbe anche la sensazioneopprimente che provo e la mia difficoltà a respirare. Stanno disattivando la mia abilità emi tengono in ostaggio della mia stessa pelle. Strano che servano anche le catene. Senza imiei fulmini, sono solo una ragazza di diciassette anni, quasi diciotto ormai. Non possofare a meno di sorridere.

Passerò il compleanno da prigioniera volontaria. Un anno fa, in questo stesso periodo,ero convinta che avrei marciato verso il fronte; ora, invece, sono diretta chissà dove,rinchiusa in un veicolo in movimento insieme a due uomini che hanno tutta l’aria divolermi uccidere. Non è stato un gran miglioramento.

Suppongo che Maven avesse ragione: mi aveva avvertito che avremmo passato insiemeil mio compleanno. Sembra che sia davvero un uomo di parola.

«Che giorno è oggi?» chiedo, senza tuttavia ottenere risposta. Non battono ciglio. Laloro concentrazione su di me, il loro impegno per annichilire quello che sono, è totale e

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indistruttibile.Sento uno strano boato sordo che comincia a crescere. Viene da fuori, ma non so cosa

sia e non voglio sprecare energie per cercare di scoprirlo. Sono certa che lo capirò moltopresto.

A quanto pare, ci ho azzeccato. Pochi minuti dopo, infatti, il mezzo rallenta, si ferma eil portello posteriore si spalanca violentemente. Il boato che sentivo proviene da una follainferocita. Per una terrificante frazione di secondo, mi chiedo se mi stiano riportando nelCirco delle ossa, l’arena in cui Maven ha cercato di farmi uccidere. Vorrà finire il lavoro cheha iniziato. Qualcuno sgancia le catene dall’anello e con uno strattone mi tira in avanti.Per poco non cado giù dal veicolo, ma uno dei silenti del casato Arven mi afferra giustoin tempo. Non per gentilezza, bensì per necessità: devo sembrare pericolosa, come lasparafulmini di una volta. A nessuno importa di una debole prigioniera. Nessuno si beffadi una codarda piagnucolosa. Vogliono vedere una conquistatrice sconfitta, un trofeovivente. Ecco quello che sono, adesso.

Sono entrata in questa gabbia di mia spontanea volontà.Lo faccio sempre.Comincio a tremare, quando capisco dove mi trovo.Il ponte di Archeon. Un tempo l’ho visto sgretolarsi e bruciare sotto i miei occhi, ma

quel simbolo di forza e potere è stato ricostruito. E io devo attraversarlo, con i piedi nudipieni di tagli, in catene e con i miei carcerieri a un passo da me. Fisso il suolo, incapace dialzare lo sguardo. Non voglio vedere tutta quella gente, tutte quelle telecamere. Nonposso lasciare che mi vedano cedere. È quello che vuole Maven e non lo accontenteròmai.

Credevo che essere costretta a sfilare sarebbe stato facile, dopotutto ormai ci sonoabituata. Ma stavolta è molto peggio che in passato. I fremiti di sollievo che ho provatonella radura in mezzo alla foresta sono svaniti e hanno lasciato il posto al terrore. Sentotutti gli occhi puntati contro; mi scrutano, in cerca di un’incrinatura nel mio viso ormaicelebre. Mi sforzo di non ascoltare le grida e, per qualche secondo, addirittura ci riesco.Poi capisco quello che la maggior parte di loro sta dicendo e mi rendo conto che reggonoin mano cose terribili da mostrarmi. Nomi. Fotografie. Sono tutti gli argentei morti oscomparsi. C’è il mio zampino nel destino di ciascuno di loro. Mi urlano contro parole cheferiscono più di qualsiasi oggetto.

Quando raggiungo l’altro capo del ponte e piazza Caesar, gremita di gente, le lacrimemi salgono agli occhi troppo veloci e irruente per poterle fermare. Se ne accorgono tutti.A ogni passo mi irrigidisco sempre di più. Invoco quello che non posso avere, l’abilità chenon può salvarmi. Riesco a malapena a respirare, come se mi avessero già stretto uncappio intorno al collo. Che cos’ho fatto?

In tanti si sono raccolti sulle scale della reggia del Biancofuoco, desiderosi di assisterealla mia rovina. I nobili e i generali vestono di nero, in segno di lutto, stavolta per laregina. L’abito di Evangeline non passa certo inosservato, con quelle punte di cristalloscuro che luccicano a ogni suo movimento.

C’è soltanto una persona vestita di grigio, l’unico colore che gli si addica. Jon. Se ne stain piedi anche lui insieme agli altri e osserva il mio arrivo. Nei suoi occhi rosso sangue

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leggo una richiesta di perdono che non accetterò mai. “Non avrei mai dovuto lasciarloandare” inveisco tra me e me.

Mi aveva detto che sarei sorta da sola. Adesso so che mentiva, perché di certo sonocaduta.

La parte anteriore del palco, rialzato rispetto a tutto il resto, è vuota. È un buon postoper un’esecuzione, se è questo che Maven ha in mente. Il re se ne sta seduto lì, in attesa,su un trono che non riconosco.

I miei aguzzini mi trascinano al suo cospetto e mi obbligano ad avvicinarmi. Mi chiedose mi ucciderà davanti a tutti per poi tinteggiare gli scalini del suo palazzo con il miosangue. Quando si alza in piedi, sussulto. Mi rendo conto che ci guardiamo l’un l’altracome due promessi sposi, forti e soli davanti a una folla di persone. Ma questo non è unmatrimonio. Semmai, potrebbe essere il mio funerale, la mia fine.

Qualcosa risplende tra le sue mani. La spada di suo padre? Una scure da boia? Nonappena mi serra quell’oggetto intorno al collo, rabbrividisco. Un collare. Dorato, ornato dipietre preziose e appuntite, un bellissimo gioiello degli orrori. Le lacrime mi appannanogli occhi e fatico a vedere. Non sono più sicura di niente, all’infuori del re nella suaarmatura nera e del marchio a fuoco che mi segna la clavicola.

Dal collare pende una catena. Un guinzaglio. Sono un cane, niente di più. Maven lostringe forte nel pugno e mi aspetto che mi trascini via dal palco. Invece, resta fermo.

Dà dei rapidi strattoni per testare la resistenza della catena e io incespico davanti a lui.Le punte del collare mi si conficcano nel collo. A momenti soffoco.

«Hai fatto sfoggio del suo corpo.» Mi sfiora l’orecchio con le labbra, mentre parla adenti stretti. Le sue parole trasudano dolore. «E io farò la stessa cosa con te.»

La sua espressione è indecifrabile, ma il messaggio è chiaro. Si indica i piedi. Le suedita sono ancora più candide di come le ricordavo.

Faccio quello che mi dice.M’inginocchio.

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RINGRAZIAMENTI

Prima di ringraziare delle persone, vorrei esprimere la mia gratitudine agli avanzi di pizza che sto mangiando in questomomento. Sono davvero squisiti.

Come l’ultima volta, devo ringraziare talmente tanta gente che farò del mio meglio per includere tutti. Per primi, i mieigenitori, Heather e Louis, che continuano a sostenermi a livelli impressionanti; in tutta onestà, non ce l’avrei mai fattasenza di voi, né potrei portare avanti quest’avventura. Grazie ovviamente anche al mio fratellino Andrew, che ormai èdiventato adulto; come sia successo non lo so, ma sono davvero fiera di te e ansiosa di vederti continuare a crescere.Tantissimo affetto e gratitudine vanno ai miei nonni, George e Barbara, Mary e Frank: vi voglio un mondo di bene e duedi voi mi mancano alla follia. Ringrazio anche il resto della mia famiglia allargata, le zie, gli zii, i cugini e tutti gli altri, peril sostegno e l’amicizia. Un grazie speciale (e congratulazioni!) a Michelle, che è a sua volta un’autrice in procinto di esserepubblicata.

I ringraziamenti del primo volume erano piuttosto lunghi, per cui stavolta cercherò di essere un po’ meno prolissa.Grazie a tutti gli amici di entrambe le coste degli Stati Uniti: perdonate la mia stranezza. Un sincero ringraziamento aMorgan e Jen, che sopportano e a volte incoraggiano le mie stramberie.

Grazie infinite allo staff della Benderspink, che continua a compiere passi da gigante nella battaglia per portare Reginarossa sul grande schermo, oltre a mantenere a galla la mia carriera di sceneggiatrice: Christopher Cosmos, Daniel Vang, iJakes, JC, David e tutti gli stagisti e la loro copertura. Naturalmente, grazie anche a Gennifer Hutchison e a Sara Scott.Non vedo l’ora di vedere cosa succederà da qui in avanti. Ringrazio l’avvocato Steve Younger, che mi copre sempre lespalle, qualunque cosa accada.

Potrei scrivere pagine e pagine di ringraziamenti per i membri del team della New Leaf Literary, ma vi risparmio eriassumo: sono, senza ombra di dubbio, i migliori. Dal primo all’ultimo, ogni singola persona in quell’agenzia è dotata diun talento fuori dal comune e ringrazio il cielo di essere capitata con loro. A Jo, Pouya, Danielle, Jackie, Jaida, Jess,Kathleen e Dave: grazie di esistere e di aver accettato di occuparvi di me. A Suzie lo dico sempre, ma solo perché è vero:sei fantastica e impareggiabile, nonché la ragione per cui posso fare quello che faccio.

Qualora tutte queste smancerie non fossero già abbastanza nauseanti, proseguo. Penso davvero che il successo diRegina rossa sia una specie di piccolo miracolo, il che credo renda i componenti della HarperTeen dei santi. Innanzitutto,Kari Sutherland, la mia prima editor, nonché prima e unica offerta, che ha creduto nel mio manoscritto e l’ha reso tale. AKristen Pettit, altra perla di editor, una guida con un gran gusto nel vestire e un senso della narrazione ancor piùsviluppato: grazie per l’impegno costante e la perseveranza nel plasmare le mie idee d’argilla in meravigliose sculturenarrative. Ringrazio anche Elizabeth Lynch(pin), che lavora in modo davvero indefesso e mi sopporta con altrettantatenacia. Il resto dello staff della Harper non è da meno: Kate Jackson (nonostante il suo blog culinario mi perseguiti),Susan Katz, Suzanne Murphy e Jen Klonsky sono tutte delle maghe. Nel settore marketing, ringrazio l’instancabileElizabeth Ward, Kara Brammer, la vera superstar delle celebrità Margot Wood e il resto della community di Epic Reads.Regina rossa non avrebbe mai riscosso un tale successo senza ognuno di voi. A Gina, la mia eccezionale pubblicitaria chemi consente di incontrare lettori ancora più straordinari. Nel reparto produzione, la mia gratitudine va ad AlexandraAlexo, Lillian Sun, Stephanie Evans, Erica Ferguson, Gwen Morton e Josh Weiss; senza di voi, Regina rossa e Spada divetro sarebbero ancora delle bozze sconclusionate. Ringrazio Andrea Pappenheimer, Kerry Moynagh, Kathy Faber, SusanYeager e Jen Wygand, del settore commerciale. Inoltre, vorrei esprimere pubblicamente la mia riconoscenza a KaitlinLoss, che agevola il coordinamento con gli editori stranieri e, da ultimo, ma non certo per importanza, al team dei grafici,che credo sia composto da creature magiche. Dico, ma avete visto le copertine dei miei libri? Non è possibile che degliesseri umani abbiano fatto una cosa del genere. A ogni modo, grazie per le vostre doti artistiche, Sarah Kaufman, AlisonDonalty, Barb Fitzsimmons e Toby & Pete.

Ora che sono un’autrice pubblicata e sono entrata ufficialmente nel mondo reale della letteratura, mi rendo conto diquanto questo sia vasto (e potenzialmente spaventoso). Pertanto, ringrazio di cuore tutte le persone che hanno reso ilpassaggio da aspirante scrittrice ad autrice pubblicata così semplice e lineare. Ai blogger, i video-blogger, gli utenti diTwitter, i lettori, chi usa i piccioni viaggiatori e tutti coloro che continuano a promuovere Regina rossa e ora anche Spadadi vetro: grazie, grazie, grazie. Ai colleghi scrittori, fonte inesauribile di sostegno: sono veramente grata della vostraamicizia. Vorrei fare i vostri nomi, ma siete davvero troppi e, onestamente, mi sembra quasi di vantarmi a chiamarviamici. Ringrazio ancora una volta Emma Theriault, che va matta per “La regina”, non lesina sui commenti ed è sempre

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disponibile a chattare.Come da tradizione, ringrazio anche alcune cose che non sono persone. Be’, a dire il vero, la prima è un gruppo di

persone: i New England Patriots. L’anno scorso vi ho menzionati e avete vinto il Super Bowl, quindi manteniamo l’usanza.“Free Brady”. Grazie a Wikipedia, il National Park Service, la Scozia, Target, la San Diego Comic-Con, l’alternarsi dellestagioni, le sciarpe di cashmere, la mia splendida stampante nuova, i mappamondi, i caffè con fin troppo latte, i puntiDelta SkyMiles e i brunch. Infine, ringrazio le mie fonti d’ispirazione personali: Tolkien, Rowling, Martin, Spielberg,Lucas, Jackson, Bay. Sì, ho detto proprio Michael Bay; lasciatemi in pace.

Ci siamo quasi. Le ultime sono ripetizioni, ma sono importanti, quindi, se siete arrivati fin qui, potete anche continuarea leggere. A Morgan, Suzie e, ancora una volta, ai miei genitori. Questo inizia e finisce con voi.

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Spada di vetrodi Victoria AveyardCopyright © 2016 by Victoria Aveyard© 2016 Mondadori Libri S.p.A., MilanoTitolo dell’opera originale: Glass SwordEbook ISBN 9788852073526

COPERTINA || STEPHANIE GIRARD OF STEPHANIE GIRARD PHOTOGRAPHY |GRAPHIC DESIGNER: FRANCESCO BOTTI | ILLUSTRAZIONE © MICHAEL FROST,COPERTINA ORIGINALE DI SARAH NICHOLE KAUFMAN«L’AUTRICE» || STEPHANIE GIRARD OF STEPHANIE GIRARD PHOTOGRAPHY

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