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IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETTERE DI GIOVANNI VIRGILIO PASQUETTO IL L’UOMO NEL SUO “ESSERE IN RELAZIONE CON”1 Secondo il lessico giovanneo, questa dimensione dell'essere dell’uomo comprende, sostanzialmente, cinque tipi di rapporto: con Dio, con Gesù, con il mondo esterno, con il tempo e con la salvezza intesa in senso dinamico. II/l. RAPPORTO DELL’UOMO CON DIO Un ottimo punto di partenza, per quanto concerne il tema in questione, ce lo offrono i tre passi che leggiamo, rispettivamen- te, in Gv 3, 16-17, in lGv 1, 1-4 e in lGv 5, 11-13. Eccoli: - Gv 3,16-17: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio (infatti) non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui - lGv 1,1-4: “Ciò che era fin da principio,ciò che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbia- mo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita se fatta visibile, noi l'abbiamo vista e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e s'è resa visibile a noi), ciò che abbiamo visto e udito, noi l’annunciamo a voi, perché anche voi siate in 1 In un precedente articolo [TERESIANUM 47 (1996/1) 103-137] abbiamo trattato degli “elementi costitutivi dell’uomo". Teresianum 47 (1996/2) 493-535

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IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETTERE DI GIOVANNI

VIRGILIO PASQUETTO

IL L’UOMO NEL SUO “ESSERE IN RELAZIONE CON” 1

Secondo il lessico giovanneo, questa dimensione dell'essere dell’uomo comprende, sostanzialmente, cinque tipi di rapporto: con Dio, con Gesù, con il mondo esterno, con il tempo e con la salvezza intesa in senso dinamico.

II/l. RAPPORTO DELL’UOMO CON DIOUn ottimo punto di partenza, per quanto concerne il tema in

questione, ce lo offrono i tre passi che leggiamo, rispettivamen­te, in Gv 3, 16-17, in lGv 1, 1-4 e in lGv 5, 11-13. Eccoli:

- Gv 3,16-17: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio (infatti) non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui

- lGv 1,1-4: “Ciò che era fin da principio,ciò che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbia­mo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita se fatta visibile, noi l'abbiamo vista e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e s'è resa visibile a noi), ciò che abbiamo visto e udito, noi l’annunciamo a voi, perché anche voi siate in

1 In un precedente articolo [TERESIANUM 47 (1996/1) 103-137] abbiamo trattato degli “elementi costitutivi dell’uomo".

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comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta";

-1 Gv 5,11-13: “Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita. Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio".

L’importanza assunta dalle tre citazioni è dovuta al fatto che esse contengono, in sintesi, tutti i principali elementi in cui si esprime il rapporto dell’uomo con Dio e anticipano così, in un quadro d’insieme, quanto andremo registrando successivamen­te in maniera più articolata.

Quali sono questi elementi? Tentando di unificarli al massi­mo, li possiamo individuare e compendiare nel seguente pro­spetto:

- L’uomo è un essere amato da Dio e, per questo, chiamato a possedere la vita eterna (Gv 3,16-17);

- 1 mezzi attraverso cui Dio comunica all’uomo la vita eterna sono l’invio sulla terra del proprio Figlio e la fede in lui (Gv 3,16);

- La vita eterna comunicata all'uomo è la vita che Dio ha tra­sfuso, da sempre, nel Figlio. Chi possiede dunque, attraverso la fede, il Figlio possiede anche la vita eterna (lGv 5,11-13);

- Osservata nella sua dinamica interna, la trasmissione della vita da Dio all'uomo mediante il Figlio percorre un tragitto discendente e graduale: in un primo momento, passa da Dio a Gesù e si rende, in forza del suo essere carne, visibile, tangibile (lGv 1,2); in un secondo momento, si trasferisce da Gesù ai cri­stiani conferendo loro il potere di entrare in intima comunione con Lui e con il Padre (lGv 1,3); in un terzo momento, suscita nei cristiani l’esperienza di una grande gioia (lGv 1,4).

Se dai testi or ora citati ci si sposta sul vocabolario propria­mente detto, notiamo che il rapporto dell’uomo con Dio si attua, tenendo dinanzi le sue diverse componenti strutturali, a livello di figliolanza e di comunione. Questo rapporto è, invece, del tutto assente in chi vive nel peccato.

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1. I l lessic o della “F igliolanza D ivina" d el cristiano

Le principali formule usate nel Vangelo e nelle Lettere di Giovanni sono: "figli di Dio" (xeicva Geoìi)2, “essere generati da Dio" (7Evvri0fivai é k t o d 0eo d )3, “essere da Dio” (sivai e k t o d 0£ol>)4, "nascere dall’alto” o “nascere di nuovo" (7EWT|0TÌvai avco0sv)5 “nascere dallo Spirito” (7Evvr|0rjvai£K TWEÌipaToq)6.

1.1. Testi e annotazioni sulla formula “figli di Dio" (réicva 0sou)a) I testiGv 1,12: “A quanti l’hanno accolto, (il Verbo) ha dato il potere

di diventare ‘figli di Dio’: a quelli che credono nel suo nome”;Gv 11,51-52: “Questo però (Caifa) non lo disse da se stesso ma,

essendo sommo sacerdote, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, bensì anche per riunire insieme ‘i figli di Dio' che erano dispersi ";

1 Gv 3,1: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati ‘figli di Dio' e lo siamo realmente!";

1 Gv 3,2: "Carissimi, noi già ora siamo ‘figli di Dio’ ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perchè lo vedremo così com’egli è”;

1 Gv 3,10: "Da questo si distinguono ‘i figli di Dio’ dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello".

2 Gv 1,12; 11,52; lGv 3,1.2; 3,10; 5,2.3 Gv 1,13; lGv 2,29; 3,9; 4,7; 5,1.4.18.4 Gv 8,47; 1Gv 3,10; 4,4.6; 5,19; 3 Gv 11.5 Gv 3,3.7.6 Gv 3,5.6.8. Per queste varie formule (pp. 89-113) e il tema della figlio­

lanza divina dei cristiani studiato in tutte le sue espressioni, cfr. soprattutto M. V ellanickal, The Divine Sonship o f Christians in the Johannine Writings, Rome 1977 (AnBib - 72); a mo’ di complemento, cfr. pure W e s H oward- B roo k , Becoming Children o f God: John’s Gospel and radical Discipleship, Maryknoll 1994.

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b) Annotazioni sui testi- Ancora prima di essere, in realtà, figli di Dio, esiste il potere

di diventarlo e questo potere è dono di Dio, grazia (Gv 1,12)7. Ciononostante, si esige nell'uomo una piena disponibilità d’ani­mo e l’acquisizione progressiva di una fede incondizionata nella persona di Gesù (Gv 1,12)8;

- La chiamata a essere figli di Dio riguarda tutti gli uomini e diventa realtà tramite la morte in croce di Gesù (Gv ll,51-52)9. Alla base di tutto rimane, comunque, l’infinito amore del Padre celeste (lGv 3,1)10;

- I credenti in Gesù sono figli di Dio in senso vero, non metaforico (lGv 3,1); per questo, si distinguono radicalmente dai figli del diavolo (lGv 3,IO)11;

- Stando a lGv 3,10, i segni che rivelano se si è figli di Dio sono la pratica della giustizia (vita santa), l'amore ai fratelli e l’assenza del peccato12 ; i segni attraverso i quali si mostra di essere figli del diavolo consistono invece nel non praticare la giustizia, nel non

7 Cfr. la presenza del verbo "diede" (eScoKev); per una trattazione più ampia e articolata sull’intero argomento, cfr. invece O. B attaglia, La ‘teolo­gia del dono’. Ricerca di teologia biblica sul tema del ‘dono di Dio’ nel Vangelo e nella I Lettera di Giovanni, Assisi 1971.

8 Questo duplice requisito è contenuto nelle rispettive formule: "a quanti l’accolsero” - “a quelli che credono nel suo nome”. Per un suo approfondi­mento, cfr. M. Vellanickal, op. cit., pp. 105-161; M. T heobald , Die Fleischwerdung des Logos, Miinster 1988, pp. 229-238.

9 Cfr. D. M arzotto , L ’unità degli uomini nel Vangelo di Giovanni, Brescia 1977, pp. 141 -150 e M. V ellanickal, op. cit., pp. 214-225; per uno studio monografico e più ampio sul tema, cfr. pure Cilia L ucio , La morte di Gesù e l’unità degli uomini (Gv 11, 47-53; 12, 32), Bologna 1992.

10Cfr. soprattutto le parole: “Quale grande amore ci ha dato il Padre...".11 “C’è da notare pure che in lGv 3,10 le due figliolanze (divina e diaboli­

ca) non riguardano tanto la loro origine (essere generati da Dio o dal diavo­lo), quanto piuttosto l’influsso esercitato su di esse dai rispettivi padri (Dio o il diavolo). Per questo, chi vive santamente e ama i fratelli m ostra di agire sotto l’influsso di Dio; chi pecca, non am a i fratelli o, addirittura, li odia mostra di agire sotto l’influsso del demonio; al riguardo, cfr. M. V ellanickal, op. cit., pp. 299-302.

12 In questo contesto, cfr. pure iw . 7-9. 11-12.

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amare i fratelli, nell’odiarli e nel condurre una vita di peccato13 ;- Benché la figliolanza divina dei credenti in Gesù sia vera,

autentica, su questa terra rimane imperfetta e, in un certo senso, incompiuta. Essa sarà piena e totale solo nella visione beatifica, cioè quando Dio lo "si vedrà così come egli è" (lGv 3,2)14.

1.2. Testi e annotazioni sulla formula “essere generati da Dio" ("/EvvriGfjvai ¿k tot» 0eon)

a) I testiGv 1,13: "... i quali non da sangue, né da volere di carne, né da

volere di uomo, ma ‘da Dio sono stati generati"'15;lGv 2,29: “Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiun­

que opera la giustizia ‘è stato generato da lui’”;lGv 3,9: “Chiunque ‘è stato generato da Dio’non commette pec­

cato, poiché un germe divino dimora in lui, e non può peccare, poiché ‘è stato generato da Dio'”;

lG v 4,7: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, poiché l’amore è da Dio. Chiunque ama 'è stato generato da Dio’ e conosce Dio";

lGv 5,1: “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, ‘è stato generato da Dio’; e chi ama colui che ha generato (il generante), ama pure chi ‘da lui è stato generato’”;

lGv 5,4: “Tutto ciò che ‘è stato generato da Dio' vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede";

lGv 5,18: “Sappiamo che chiunque ‘è stato generato da Dio’ non pecca, ma che il ‘generato da Dio’ (ó 7EVvr|0£Ì<;ek tou Geoù), (cioè Gesù), lo custodisce e il maligno non lo tocca”.

13 Cfr. anche i w. 7-9. 11-12 e Gv 8,44. Per ulteriori approfondimenti del tema, cfr. B. M oriconi, “Lectio Divina" della Prima Lettera di Giovanni, Padova 1995, pp. 102-115.

14 Sul commento al testo di lGv 3,2, cfr. soprattutto M . Vellanickal op. cit., pp. 331-351; R.E. B r ow n , Le Lettere di Giovanni, Assisi 1986, pp. 541- 546. 578-587; B. M o ricon i, op. cit., pp. 92-101.

15 Alcuni autori leggono il testo anche al singolare. Al riguardo, cfr. M. Theobald , op. cit., pp. 238-247; A. G arcía-M o ren o , El Evangelio según Juan. Introducción y Exégesis, Badajoz-Pamplona 1996, pp. 298-299.

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b) Annotazioni sui testi- Come risulta dalle diverse citazioni, il verbo usato da

Giovanni per indicare la generazione (o la nascita) dell’uomo da Dio è "yevvdv”16;

- Nei LXX questo verbo designa, per lo più, l’atto del conce­pire o del generare da parte della donna17; nella letteratura pro­fana e nel N. Testamento si riferisce, invece, al concepimento da parte o di ambedue i genitori o del solo padre18. Quando è chia­m ata in causa la madre, si adopera, in genere, il verbo “xÌKTetv"19;

- Nei testi del Vangelo e delle Lettere di Giovanni "yevvov" appare, praticamente, sempre al passivo (''YEvvr|0TÌvoa ek -con 0eou”). Essi mettono dunque l'accento tanto sull’idea di “origine divina" dell’uomo, quanto su quella di "passività", di "dono". In questo senso, l'uomo diventa figlio di Dio in quanto proviene da lui per via di generazione e di generazione gratuita (non provocata, ma subita). Si tratta ancora di una generazione che non ha nulla a che vedere con l’atto generativo proveniente dal rapporto fra uomo e donna. Esso è di ordine soprannaturale e divino (Gv 1,13);

- Altra peculiarità giovannea è l’uso del verbo "tevvccv” sia all’aoristo20 che al perfetto21. Data la natura dei rispettivi tempi verbali, il duplice impiego lascia, ovviamente, intendere che esi­ste un duplice atto generativo nei confronti dei cristiani come figli di Dio: quello iniziale, coincidente con il battesimo (uso del- l'aoristo), e quello che, una volta iniziato, si prolunga nel tempo sotto forma di nascita continuata e di progressiva maturazione (uso del perfetto)22;

16 Per un esame approfondito di questo verbo, off. M .V ellanickal, op. cit., pp. 96-103.

17 In ordine alla madre è infatti usato circa 208x; in ordine al padre, circa 22x.

18 Per il NT, cfr. Mt 1,2-16 (in ordine al padre) e Le 1,13.57 (in ordine alla madre).

19 Cfr. Mt 1,21.23.25; Le 1,31;2,7; Ap 12,4.5.13.20 Cfr. Gv 1,13;3,3.4; lGv 5,18.21 Cfr. Gv 3,6.8; lGv 2,29; 3,9;4,7; 5,1.4.18.22 Per questi concetti, cfr. M. V e l la n ic k a l , op. cit. p p . 163-200; G.

F e r r a r o , Lo Spirito e Cristo nel Vangelo di Giovanni, Brescia 1984, p p . 55-70.

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- Chi è generato da Dio si sente indotto, sotto la spinta di una forza interiore nuova, a credere in Gesù come unico Messia e Salvatore (lGv 5,1), ad amarlo (lGv 5,1), a imitarne la vita (lGv 2,29), a praticare la carità fraterna (lGv 4,7) e a entrare in quel particolare stato di impeccabilità che in lGv 3,9; 5,18 è sancito con le parole: "Chiunque è stato generato da Dio non pecca"23;

- L’impeccabilità, di cui si parla in lGv 3,9; 5,18, è piena e totale solo a livello di tensione2*. Per quanto riguarda invece l’e­sperienza quotidiana, anche coloro che sono generati da Dio devono costatare di cadere spesso in peccato25 e di avere quindi bisogno di un ripetuto perdono del Signore26;

- L’idea che nel mondo ci possano essere, come si rileva in lGv 3,9,5,18, persone talmente influenzate dall’azione divina da diventare, in un certo senso, impeccabili, la si trova anche nella letteratura biblico-giudaica non giovannea. Per i Profeti, ad esempio, l'assenza del peccato è una caratteristica del tempo messianico27. Secondo gli scritti sapienziali, chi ascolta la paro­la di Dio non può peccare28. Nei libri apocrifi si afferma più volte che l’essere impeccabili costituisce uno dei momenti più qualificanti degli ultimi tempi e il privilegio di chi si nutre della sapienza divina29.1 monaci di Qumran attribuiscono a se stessi o alla loro comunità i titoli "santi dell’Altissimo"30, gli “uomini santi”31, "gli uomini della perfetta santità”32, “l’assemblea

Dal duplice uso qui menzionato si capisce pure perché il perfetto di yew av appaia soprattutto nelle Lettere (indirizzate a una com unità cristiana spiri­tualmente molto impegnata).

23 Per questo tema, cfr. I. D e L a P o tterie , L'impeccabilità del cristiano secondo lG v 3, 6-9, in "I. D e L a P o tterie - S. Lyonnet, La vita secondo lo Spirito", Roma 1971, II ed., pp. 235-258.

24 Questa tensione è dovuta alla partecipazione della vita di Dio e alla immissione nel credente del “germe divino", di cui in lGv 3,9. Sulla natura di questo germe, cfr. I. D e La P o tterie , art. cit., pp. 248-257.

25 Cfr. lGv 1,8. 10; 2,1-2; 5,16.26 Cfr. Gv 1,9; 2,1-227 Cfr. Is 60,21; Gr 31,31-34; Ez 36,27-28.28 Cfr. Pro 9,6; Sir 24,22; Si 119, 11.29 Cfr. Test. L. 18,9; Giub 5,12; lEnoc 6,8.30 Cfr. CD 20,8.31 Cfr. 1QS 5,13.32 Cfr. CD 20,2.5.7.

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santa"33, "il consiglio dei santi”34, “una casa di perfezione e di verità in Israele"35. Gli stessi monaci insegnano che la purifica­zione dai peccati avviene mediante la conoscenza della parola di Dio e l’influsso vivificante del suo spirito36. Per il N. Testamento, è impeccabile chiunque si lascia generare dalla parola di Dio presente in Cristo37 o entra a far parte del nuovo popolo messia­nico38;

- Altro dato qualificante della generazione divina è porre i cri­stiani in una situazione di vittoria iniziale sul mondo; a rendere questa vittoria effettiva e a trasformarla in una costante dell'esi­stenza cristiana è invece la fede (lGv 5,4);

- Oltre a essere frutto della generazione divina, il condurre una vita santa sull'esempio di Gesù e il praticare l'amore frater­no diventano anche il principale segno attraverso il quale il cri­stiano mostra di essere realmente nato da Dio.

1.3. Testi e annotazioni sulla formula “essere da Dio" (etvaiSK xou 0eou)

a) I testiGv 8,47: "Chi ‘è da Dio’ ascolta le parole di Dio; per questo voi

non le ascoltate, perché non 'siete da Dio';lGv 3,10: "Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del

diavolo: chi non pratica la giustizia non e da Dio ’: né lo è chi non ama il fratello";

lGv 4,4: "Voi ‘siete da Dio’: e avete vinto questi falsi profeti, poi­ché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo”;

lGv 4,6: “Noi 'siamo da Dio’. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non ‘è da Dio’ non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore;

33 Cfr. 1QS 9,2.34 Cfr. 1QH 4,25.35 Cfr. 1QS 8,936 Cfr. 1QS 4,20-23.37 Cfr. Gc 1,21; lP t 1,22-25.38 Cfr. 2Pt 1,10.

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lGv 5,19: “Noi sappiamo che ‘siamo da Dio': mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno”;

3Gv 11: “Carissimo (Gaio), non imitare il male, bensì il bene. Chi fa il bene ‘è da Dio'; chi fa il male non ha veduto Dio”.

b) Annotazioni sui testi- La formula “essere da” (elvat Ék ) ricorre spesso in Giovanni

e può assumere diverse accezioni39: quella di origine (provenien­za) in senso stretto40, di appartenenza a un gruppo o a una comunità genericamente intesa41, di appartenenza a un gruppo o a una comunità a livello di comunione42, di appartenenza a un determinato spazio (o influsso) spirituale (modo di pensare o di vivere)43;

- Stando a questi dati, la formula giovannea “essere da Dio "(elvat Ék t o d 0eou) non include, di per sé, l'idea di “prove­nienza” né, tanto meno, quella di figliolanza divina. In realtà, è proprio questo il senso che vi attribuisce l'autore sacro e noi lo veniamo a sapere dalla formula parallela “essere generati da Dio" (■yEvvr|0T]voa Ék t o u 0eot>), di cui si è trattato nel paragrafo prece­dente;

- Escludendo alcune coincidenze con i testi relativi alle due formule già esaminate ("figli di Dio” - "essere generati da Dio”), le novità dei passi concernenti la formula "essere da Dio” (elvat èie to t) 0eou) sono riassumibili nei seguenti enunciati: * L'essere da Dio include, con quello di figliolanza, anche un rapporto di appartenenza (lGv 4,4.6;5,19) e di comunione (lGv 5,19-20). * Questo genere di rapporto con Dio induce il cristiano ad aprir­si alla parola di Gesù (Gv 8,47) e a radicarsi in una triplice cer­tezza: certezza che solo nella comunità giovannea, e non già nel gruppo di coloro che ne sono usciti (secessionisti), si conserva

39 Per queste diverse accezioni della formula, cfr. M. Vellanickal op. cit., p. 95.

40 Cfr. Gv 1,46; 4,22; 7,17.22.52; 1Gv 4,17.41 Cfr. Gv 3,1; 6,64.70; 7,50; 10,16. 26; 12,20; 18,17. 25.42 Cfr. lGv 2,19.43 Cfr. Gv 3,31; 8,23; lGv 2,16; 4,5-6.

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l'autentica parola di Gesù (lGv 4,4.6)44; certezza che il mondo, in quanto rappresentante della cultura che si oppone al vangelo, appartiene non a Dio ma al demonio (lGv 5,19)45; certezza che il Dio di cui si è figli è molto più potente sia del demonio che del mondo e che non è dunque il caso di temerli (lGv 4,4)46. * Chi non arriva alle suddette certezze mostra di agire non sotto l’in­flusso dello Spirito di Dio (spirito di verità) ma dietro istigazio­ne dello spirito demoniaco (spirito dell’errore) (lGv 4,6)47. * Ciò che garantisce l’autenticità della figliolanza divina dei cristiani e della conoscenza del Signore è la santità della vita e la pratica defl'amore fraterno (3Gv 9-11)48.

1.4. Testi e annotazioni sulla formula “nascere dall’alto" o “nascere di nuovo" (7Evvr|0fivai avcoGev)

a) I testiGv 3,3: “Rispose Gesù (a Nicodemo): In verità, in verità, ti dico,

se uno non nasce dall'alto' [‘di nuovo’] (7Evvq0rfavco0£v), non può vedere (possedere)*9 il Regno di Dio"4,

Gv 3,7: “Non ti meravigliare, se ti ho detto: dovete ‘nascere dal­l’alto’ [‘di nuovo'] (7Evvr|0fjvai avcoGev).

44 Per il commento a lGv 4,4.6, cfr., fra l’altro, A. D a lbesio , "Quello che abbiamo udito e veduto". L'esperienza, cristiana nella Prima Lettera di Giovanni, Bologna 1990, pp. 91-136; in un contesto più ampio, cfr. pure J. Zu m stein , La communauté johannique et son histoire in “AA.W., La Communauté johannique et son histoire”, Genève 1990, pp. 359-374.

45 Cfr. A. D albesio , op. cit. pp. 199-213.46 Cfr. le parole: “Figlioli, voi siete da Dio (upeiqéK xon 0EOX) eote) e avete

vinto questi falsi profeti poiché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo”.

47 Cfr. l’espressione: "Chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distin­guiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore". Per un commento accu­rato del testo, cfr. I. D e La P o tterie , La vérité dans Saint Jean, II, Rome 1977 (AnBib - 74), pp. 905-980.

48 Cfr. M. Vellanickal, op. cit., pp. 295-316; A. Dalbesio op. cit., pp. 175-197.49 Cfr. in Gv 3,5 la formula parallela “entrare nel Regno di Dio".

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b) Annotazioni sui testi- A rigore di termini, la formula greca "yewriGfjvai avco0£v”

che incontriamo in ambedue le citazioni può essere tradotta tanto con “nascere dall'alto", cioè "da Dio", che con “nascere di nuovo". La prima accezione (‘nascere dall’alto’) è tenuta, gene­ralmente, dai Padri greci e da diversi autori moderni, come Lagrange, Schnackenburg, I. de la Potterie, M. Vellanickal, ecc.; la seconda invece è preferita dai Padri latini50;

- Dal punto di vista esegetico, l’interpretazione dei Padri greci sembra godere di una maggiore garanzia. Anzitutto, perché è sempre questo il senso che Giovanni riserva al term ine "avco0£v”51; in secondo luogo, perché la formula “YEWT|0fjvai ocvco0£v” di Gv 3,3.7 è parallela alla formula "7£vvTj0rívai ek 7üV£Ú(xaT0i;” (nascere dallo Spirito) di Gv 3,5.6.852;

- Se la nostra lettura è corretta, il tipo di nascita indicato in Gv 3,3.7 dalla formula "7EWT|0fivca avco0£v” riguarda, da parte dell’uomo, il passaggio da un modo di essere puramente umano a un modo di essere divino. Negli stessi testi si enuncerebbe quindi il principio che per possedere il Regno di Dio (o entrarvi) è necessario compiere questo tipo di passaggio o, come specifi­ca ulteriormente van den Bussche, “partire da zero e ricomin­ciare la propria esistenza facendo appello a una situazione ini­ziale totalmente diversa"53 .

1.5. Testi e annotazioni sulla formula “nascere dallo Spirito" (7Evvri0fivat ek TcvEÓparoq)

a) I testiGv 3,5: "Rispose Gesù (a Nicodemo): In verità, in verità ti dico,

se uno non ‘nasce da acqua e da Spirito’, non può entrare nel Regno di Dio";

50 Per l’intera questione, cfr. R. S chnackenburg , Il Vangelo di Giovanni, I, Brescia 1973, pp. 526-529; M. Vellanickal, op. cit., pp. 172-174.

51 Cfr. Gv 3,31; 8,23; 19,11.52 Cfr. anche la formula affine, già esaminata, “nascere da Dio" (TevvqGrjvai

ÉKtou 0eot>): Gv 1,13; 1Gv2,29; 3,9; 5,1.4.18.53 H. Van D e n B u ssch e , Giovanni, Assisi 1970, p.185.

5 0 4 VIRGILIO PASQUETTO

Gv 3,6: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che ‘è nato dallo Spirito' è spirito".

Gv 3,8: "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene né dove va; così chiunque ‘è nato dallo Spirito”'.

b) Annotazioni sui testi- In Gv 3,5 la formula “nascere dallo Spirito” (yevvri Bri voci ¿ k

irveupocTCx;) equivale alla formula parafrasata “nascere da Dio sotto l'azione (o in virtù) del suo Spirito”5*. Abbinata alla formu­la "nascere dall’acqua"{Gv 3,5) designa quindi la figliolanza divi­na ricevuta al momento del battesimo55;

- In Gv 3,6 il "nascere dallo Spirito" si oppone al "nascere dalla carne" e questo contrasto è espresso attraverso le parole: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito"56. Secondo la versione data comunemente dagli autori, il senso del testo può essere così tradotto: “Come colui che nel suo agire si lascia abitualmente guidare da motivazioni umane finisce per identificarsi in tutto e per tutto con l'umano, allo stes­so modo chi si lascia abitualmente guidare da motivazioni pro­venienti dall’azione dello Spirito di Dio finisce per identificarsi, in un certo senso, con lo Spirito Divino e a diventare una sola cosa con Lui”57;

- Secondo Gv 3,8, il "nascere dallo Spirito” nel senso or ora precisato è un evento che dipende esclusivamente daH'iniziativa

54 Cfr. M. Vellanickal, op. cit., pp. 169-197.55 L’acqua a cui si accenna nel testo è infatti l’acqua battesimale. Al

riguardo, cfr. I. D e L a P o tterie , "Nascere dall’acqua e nascere dallo Spirito". Il testo battesimale di Gv 3,5, in "La vita secondo lo Spirito", pp. 35-74.

56 Per la presenza di questo contrasto a livello lessicale e antropologico, cfr. V. Pasquetto, Il lessico antropologico del Vangelo e delle Lettere di Giovanni, Teresianum 47 (1996/1) 112-113. 124-125.

57 Secondo questa versione, il termine "carne" non ha dunque il significa­to negativo che vi attribuisce, generalm ente, l’Apostolo Paolo [cfr.E .S c hw eizer , art. “c a p i ;”, GLNT, voi. XI, coll. 1330-1363]. Riguarda invece l’uomo non ancora generato da Dio e, dunque, come essere inserito in uno spazio puram ente umano. In concreto, la natura um ana nella sua incapacità di elevarsi alla sfera della fede e della vita divina [cfr. M. V ellanickal, op. cit., pp. 198-199],

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 0 5

di Dio. L’uomo può, tutt'al più, riconoscerne la presenza e lasciarsi coinvolgere nella sua misteriosa azione58.

1.6. Ulteriori appunti sulla "figliolanza divina" del cristianoa) Una figliolanza diversa da quella di Gesù- Nonostante gli uomini abbiano la possibilità di diventare

veri figli di Dio, la loro figliolanza si distingue considerevolmen­te da quella di Gesù. In effetti, solo Gesù è chiamato “Figlio uni­genito del Padre”59; solo di Gesù si dice che "chi vede lui vede anche il Padre”60; mai Gesù chiama il Padre celeste "Padre nostro”61; la figliolanza divina dei cristiani è indicata con il ter­mine "tékvov”62, quella di Gesù con il termine "uicx;”63; Dio è Padre di Gesù da sempre, dei cristiani solo a partire dalla risur­rezione di Gesù64; solo Gesù ha in comune con il Padre alcuni specifici attributi, come la preesistenza65, l’onniscienza66, l'onni­potenza67, la perfetta unità di essere e di agire68.

58 Per questo significato, cfr. V. Pasquetto , Da Gesù al Padre, Roma 1983, pp. 166-167.

59 Cfr. Gv 1,14.18; 3,18; 1Gv 4,9.60 Cfr. Gv 14,9.61 Cfr., fra l’altro, anche l’esempio significativo di Gv 20,17; "Gesù disse a

(Maria Maddalena): ... Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.

62 Cfr. Gv 1,12; 11,52; lGv 3,1.2.10; 5,2.63 Cfr. Gv 1,18.34.49; 3,17.18.35.36; 5,19.20; 10,36; 17,1; 19,7; 20,31; 1 Gv

1,3; 2,22.23; 3,8; 4,9.15; 5,5, ecc.64 Cfr. G v 20,17 e il s u o c o m m e n to in V. Pasquetto , "Incarnazione e com u­

nione con Dio”. La venuta di Gesù nel mondo e il suo ritorno al luogo d ’origi­ne secondo il IV Vangelo, R o m a 1982, p p . 192-201.

65 Cfr. Gv 1,1-2; 8,58; 17,5.24.66 Cfr. Gv 5,18; 12,33; 16,29.67 Cfr. Gv 5,17.20.3668 Cfr. Gv 10,30;14,10-11;16,15;17,10.22-23.

5 0 6 VIRGILIO PASQUETTO

b) Di che tipo di Padre si è figli?- Di un Padre che trova precisamente nella paternità l'attri­

buto più qualificante e onorifico del suo essere divino69;- Di un Padre non chiuso in sé stesso, ma aperto all’uomo e

impegnato in prima persona nella salvezza dell’uomo70;- Di un Padre innamorato degli uomini e per questo pronto a

consegnare il proprio Figlio anche alla morte71;- Di un Padre che ha mandato il proprio Figlio nel mondo per

salvare il mondo, non per condannarlo72;- Di un Padre che non esclude nessuno dal suo amore e che

preferisce al culto esterno, ritualistico, quello interno, dei senti­menti, del cuore73;

- Di un Padre che riflette il suo vero volto nella carne di Gesù in quanto carne operante a servizio dell’uomo e divenuta, per questo, epifania del suo amore misericordioso74;

- Di un Padre che desidera entrare in comunione con gli uomini e trasformarli in una cosa sola con la sua persona75;

- Di un Padre che pone al centro e a sintesi dei comandamenti

69 L’appellativo divino "Padre" (jiaxrip) compare infatti circa 130x nel Vangelo e una quindicina di volte nelle Lettere. Per quanto concerne, in par­ticolare, questo tema nell’ambito del IV Vangelo, cfr. G. S egalla, Dio Padre di Gesù nel quarto Vangelo, SC 117 (1989) 196-224.

70 E’ infatti Lui che prende l’iniziativa d’inviare nel m ondo Gesù (Gv 4,34; 5,23,6,38; 12,44; 16,5...). In questo contesto, assume un’ eloquente rilevanza anche il fatto che spesso al Padre si applica l’appellativo "Colui che invia" (ó 7té[iA|«xq); al riguardo, cfr. V. P asquetto , Incarnazione e comunione con Dio..., pp. 92-97.

71 Cfr. Gv 3,16; lGv 4,9-10.72 Cfr. Gv 3,16-17; 12,47; 1Gv 4,14.73 Cfr. Gv 4 ,23-24 e il su o c o m m e n to in I. D e L a P o tterie , La vérité dans

Saint Jean, II, p p . 673-706.74 Cfr. soprattutto Gv 1,14 e lo studio monografico sull’intero Prologo di

M .T heobald , Die Fleischwerdung des Logos, M ünster 1988.75 Cfr. Gv 17,20-26; in specie, G. S egalla, La preghiera di Gesù al Padre

(Gv 17), Brescia [SB - 63] 1983; G. F erraro , "Mio-tuo". Teologia del possesso reciproco del Padre e del Figlio nel Vangelo di Giovanni, Città del Vaticano 1994.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 0 7

affidati ai discepoli l'appello ad amarsi reciprocamente come Lui li ha amati76.

c) Giovanni e la tradizione precedente- La dottrina giovannea sulla figliolanza divina del cristiano si

distingue nettamente da quella contenuta negli scritti biblici ed extrabiblici precedenti. Questo vale, in particolare, nei confron­ti dell’A. Testamento, della letteratura qumranica, dell'ermeti­smo, del giudaismo ellenistico di Filone, dei Vangeli Sinottici e delle Lettere paoline77;

- Nell’A. Testamento e nella letteratura qumranica la figliolan­za riguarda più il popolo che i singoli individui78 ed è presa in senso metaforico79. Secondo Giovanni, essa coinvolge diretta- mente i singoli ed è reale; si estende inoltre a tutti i credenti, senza distinzione di razza o di cultura80;

- Per l'ermetismo, si diventa figli di Dio mediante la cono­scenza e L'immersione nell'Uno" (componente conoscitiva e panteistica)81. In Giovanni resta chiara la distinzione tra Dio e i cristiani, come pure tra la figliolanza divina di questi ultimi e quella di Gesù82;

- Secondo il giudaismo ellenistico di Filone, gli uomini sono figli di Dio in quanto sue creature o in quanto osservano la Legge mosaica (componente etica). Per Giovanni, la loro figlio­

76 Cfr. Gv 13,34-35; 15,12-13.17; lGv 4,7-21. Per una visione più articola­ta e am pia del tema, cfr. invece J.-O. Tuñi, Amar como Jesús. Sentido del man­damiento del amor en el cuarto evangelio, Sai Terrae 70(1982) 717-728; F.F. S egovia , Love Relationships in the Johannine Tradition. Agape/Agapan in I John and in the Fourth Gospel, Chico 1982, passim; A. Garcia-M o r en o , El Evangelio según San Juan. Introducción y Exegesis, Badajoz-Pamplona 1996, pp. 219-275.

77 Per le annotazioni che seguono, cfr., in specie, M .V ellanickal, op. cit., pp. 7-87.

78 Cfr. Es 4,22-23; 1QH 9,35.79 Cfr. Gn 6,2; Es 4,22-23; 2Sam 7,14; Sp 2,13; 1QS 4,4-9.21.23.80 Cfr Gv 1,12; 11,47-54; lGv 3,1-2.81 Per ulteriori precisazioni, cfr. V. PASQUETTO, Da Gesù al Padre (cit.), pp.

431-434.447.82 Cfr. quanto dicemmo sopra a proposito di questo tema specifico e del­

l’uso della formula "essere generati da Dio”.

5 0 8 VIRGILIO PASQUETTO

lanza è di ordine soprannaturale e si esprime non solo a livello etico (osservanza della Legge), ma anche sul piano dell’essere (figliolanza in senso proprio);

- I Vangeli Sinottici presentano la figliolanza divina degli uomini più sul piano pratico che su quello della sua natura spe­cifica. Indicano, cioè, quali devono essere i sentimenti e gli atteggiamenti da tenere nei riguardi del Padre celeste, ma senza precisare in che cosa consista, dal punto di vista ontologico, l’es­sere figli di questo Padre83. Per Giovanni, lo abbiamo ormai più volte ripetuto, gli uomini diventano figli di Dio in senso stretto e non soltanto nei riguardi dei sentimenti o degli impegni;

- Quando trattano della figliolanza divina dei cristiani, le Lettere paoline danno grande risalto più all’idea di “appartenen­za” e di “comunione”che a quella di "origine”84. Per Giovanni, si è figli di Dio soprattutto perché "si è stati generati da Lui"85.

2. I l lessic o della "C o m u n io ne”

Esso ha per punto di riferimento, nel suo insieme, il termine “comunione” (koivcovìoc) e le formule “essere in" (elvai fev), “rima­nere in" (péveivév).

2.1. Testo e annotazioni sul termine “comunione" (KOtvcovia)a) Il testolGv 1,3: “Ciò che abbiamo visto e udito lo annunciamo a voi,

affinché anche ‘voi abbiate comunione con noi’ (iva Koà u|I£l; Koivcoviav e%r|T£ |L£0 T||lcùv). Quanto alla ‘nostra comunione’ (teatri Koivcovia 5ef| f||j.£T£pa), ‘essa’ è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo (lieta xou naxpòc; Kat pexa xou utou auxou Iqaou Xptaxou)”.

83 Al riguardo, cfr. W. M archel , "Abba, Pere!". La prière du Christ et des chrétiens, Roma 1963 (AnBib - 19/A); H. S churm ann , Il Padre Nostro alla luce della predicazione di Gesù, Roma 1967.

84 Per le diverse formule usate, al riguardo, da Paolo, cfr. V. P a squetto , Mai più schiavi!, Roma 1988, pp. 336-338.

85 A proposito di questo tema, cfr. quanto abbiamo detto sopra.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 0 9

b) Annotazioni sul testo- Letta alla luce del testo e del contesto immediato (w. 1-2.4),

la comunione con Dio presentata qui da Giovanni ha un suo identikit ben definito. Si tratta di una comunione con Dio in quanto Dio e in quanto Padre (v. 3) (componente divina e filiale); di una comunione che include anche la persona di Gesù come Figlio di Dio e Messia (v. 3) (componente cristologica e soteriolo- gica); di una comunione che abbraccia tutti i credenti (v. 3) e tende, di sua natura, a renderli pienamente felici (v. 4)86 (compo­nente antropologica); di una comunione che ha le sue radici nel­l'evento delllncarnazione e nel suo successivo annuncio tra­smesso ininterrottamente da coloro che ne furono i testimoni diretti (w. 1-3) (componente storica ed ecclesiologica)87;

- Pur offrendo, sulla natura della comunione con Dio, ele­menti di grande spessore dottrinale, il testo e il contesto imme­diato di lGv 1,3 non sono gli unici punti di riferimento a cui l’autore sacro si appella. Per individuare tutte le componenti della dinamica (o struttura) interna di questo tipo di comunio­ne, è necessario avere dinanzi anche il modo di procedere del­l’intera Lettera di Giovanni;

- Osservata in uno sguardo d’insieme, la Lettera intende esporre i diversi criteri in base ai quali è possibile registrare se esiste o meno la vera comunione. Da parte sua, questo lavoro di controllo si svolge in tre direzioni: in ordine al rapporto con "Dio-luce”s&, in ordine al rapporto con “Dio-santità”S9, in ordine al rapporto con “Dio-amore"90;

86 A proposito del v. 4, cfr. le parole: "Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia perfetta"

87 Per tutti questi dati, cfr., in particolare, A. D a lbesio , op. cit., pp. 98-136; per uno sguardo d’insieme sul tema della "comunione” come esperienza qua­lificante della comunità giovannea, cfr. invece V. P a squetto , La comunità cri­stiana nell'esperienza dell'Apostolo Giovanni, RVS 49 (1995) 576-599.

88 Cfr. 1, 5-2, 28.89 Cfr. 2, 29-4,6.90 Cfr. 4, 7-5,13. Per questo tipo di prospettiva globale della Lettera e degli

elementi che la giustificano, cfr. A. Da lbesio , op. cit., pp. 65-84; E. M alatesta, Interiority and Covenant. A Study o f e lv a i év and pévav év in thè First Letter o f Saint John, Rome (AnBib - 69) 1978, pp. 77-79; V. P asquetto ,

5 1 0 VIRGILIO PASQUETTO

- 1 criteri relativi al primo genere di rapporto (con "Dio-luce”) sono l’adesione aperta e continuata alla parola di Gesù91, lo stare lontani da ogni forma di peccato92, l'osservanza di quanto Dio comanda93, la pratica dell'amore fraterno94, il rifiuto della men­talità del mondo in quanto contrapposta all'annuncio evangeli­co95 e il non seguire le dottrine diffuse dai falsi profeti (o anti­cristi)96;

- 1 criteri relativi al secondo genere di rapporto (con “Dio-san- tità”) coincidono, sostanzialmente, con i precedenti. Anche qui si pone dunque l’accento sulla bontà della vita97, l'assenza del peccato98, l’amore fraterno99, l'opposizione alla cultura del mondo100 e dei falsi profeti101, l'osservanza dei comandamenti divini102 e la fede nel Gesù storico103;

- 1 criteri relativi al terzo genere di rapporto (con “Dio-amore”) si riducono, in linea di massima, soltanto a due: pratica dell’a­more fraterno104 e aperta professione di fede in Gesù come Figlio

L’uomo nella prospettiva dei Vangeli e delle Lettere Cattoliche, in “AA.W , Temi di antropologia teologica”, Roma, Teresianum, 1981, pp. 134-136.

91 E’ questo il senso della formula “camminare nella luce" (év t5) <|)am TtepuiatEiv) di cui in 1,7 e a cui si contrappone la formula di 1,6 “cammina­re nelle tenebre" (év tcò okotci Tteputaxetv). Per questo senso da attribuire alle due formule, cfr. A. D albesio , op. cit., pp. 128-136.

92 Cfr. 1,7-2,2.93 Cfr. 2,3-6.94 Cfr. 2,7-11.95 Cfr. 2,15-17.96 Cfr. 2,18-28. Con ogni probabilità, questi falsi profeti o anticristi sono

coloro che hanno abbandonato la comunità giovannea per seguire dottrine a sfondo gnostico (secessionisti); al riguardo, cfr. R.E. B row n , Le Lettere di Giovanni, Assisi 1986, pp. 84-177; J. Zu m stein , Visages de la Communauté johannique in “AA.W., Origine et posterité de l’Evangile de Jean" (LD - 143), Paris 1990, pp. 87-106; A. D albesio , op. cit., pp. 92-98.

97 In 2,29; 3,7.10 essa è indicata con la formula “operare la giustizia”.98 Cfr. 3,3-6.8-9.99 Cfr. 3,10-18.23.100 Cfr. 4,4-5.101 Cfr. 4,1-6.102 Cfr. 3,24; 4,6103 Cfr. in specie le parole: "È da Dio ogni spirito che riconosce che Gesù è

venuto nella carne" (4,2); cfr. pure 4,3.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 1 1

di Dio, vero Uomo e Salvatore105;- Con i cosiddetti “criteri di riconoscimento'', nella Lettera sono

segnalati anche i personaggi che operano la comunione. Essi sono: il Padre, in quanto iniziatore e termine della comunione106; Gesù, in quanto Figlio di Dio incarnato107, rivelatore del Padre108, trasmettitore della sua vita109 e principale agente della santifica­zione delle anime110; lo Spirito Santo, in quanto principio ispi­ratore della fede e della carità111.

2.2. Testi e annotazioni sulla formula “essere in" (eTvoaév)112a) I testiGv 17,20-21: “Non prego solo per questi (i discepoli), ma anche

per quelli che tramite la loro parola crederanno in me, affinché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, ‘siano anch’essi in noi’ (kocì ooitoì év ti(1lv 2>atv) una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”;

Gv 17,26: “lo ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò cono­scere, perché l'amore con il quale mi hai amato ‘sia in essi’ (év outou; T)) e io in loro”;

lG v 2,5: "Chi osserva la sua parola (di Dio), in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di ‘essere in Lui' (oxi év avrai éa|iev)";

lGv 2,15: “Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, ‘l’amore del Padre non è in Lui' (onte ’écmv f) a-yócTiri -tot) mxpòt; év aura))’';

104 Cfr. 4,7-21.105 Cfr. 5,1-21.106 Cfr. 2,29-3,10; 4,9.10.14.107 Cfr. 1,1-4; 4,2-3; 5,1-21.108 Cfr. 1,1-4.109 Cfr. 4,9;5,11.20.110 Cfr. 1,7;4,9.14;5,18.1)1 Cfr. 3,23-24;4,1-6.13.112 Per l’esame della formula nel Vangelo e nelle Lettere di Giovanni, cfr.

E . M a la te s ta , op. cit. p p . 27-36.

5 1 2 VIRGILIO PASOUETTO

lGv 5,11: “E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e ‘questa vita è nel suo Figlio' (ra t cauri ri incori év xcò ut© anxou écxtv)”;

lGv 5,20: “Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E ‘noi siamo nel vero Dio' (Katéagèv év xco a.A.r|0iv©), in quanto siamo nel suo Figlio Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e la vita eterna”.

b) Annotazioni sui testi- Nei testi citati la formula di comunione "essere in" (eivat év)

è espressa in modo differenziato e con riferimenti che ne arric­chiscono notevolmente il contenuto;

- Stando ad essi, rileviamo che la comunione con Dio impor­ta la presenza della sua persona (Gv 17,21; lGv 2,5; 5,20), della persona e della vita del suo Figlio Gesù (Gv 17,21; lGv 5,11.20), dell'amore con cui il Padre e il Figlio si amano da sempre in seno alla Trinità (Gv 17,21) e di una continua tensione verso una certa "unità di essere” (Gv 17,21);

- Dagli stessi testi risulta che il Padre comunica ai cristiani la sua vita non direttamente, ma attraverso l’Incarnazione e l’atti­vità terrena del Figlio (lGv 5,11-13.20). D’altro canto, Gesù non è solo lo strumento meritorio di cui il Padre si serve per trasmet­tere la propria vita, bensì colui che fa fluire la vita del Padre tra ­smettendo la vita da lui posseduta (lGv 1,1-3; 5,11-13.20). Basta dunque mettersi in comunione con Gesù per partecipare in pie­nezza la vita divina;

- Pur essendo dono di Gesù (Gv 17,20-21.26)113, la comunione con Dio è legata al soddisfacimento di determinati impegni da parte del cristiano. I principali di questi impegni sono l’ascolto della parola evangelica (Gv 17,20-21; lGv 2,5), il rifiuto del mondo come entità contrapposta a Gesù (lGv 2,15) e l'esercizio dell'amore fraterno come proiezione visibile dell'amore che inter­corre tra il Padre e il Figlio (Gv 17,20-21);

113 Infatti, secondo questi testi, la comunione con Dio è la conseguenza della preghiera di Gesù.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 1 3

- Secondo lGv 2,5.15, questi diversi impegni assumono anche carattere di verifica. Dimostrano cioè che la comunione con Dio esiste per davvero114.

2.3. Testi e annotazioni sulla formula “rimanere in" (pévetv év)115a) I testiGv 14,23: “Rispose Gesù a Giuda (non Iscariota): Se uno mi

ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verre­mo a lui ‘e rimarremo (prenderemo dimora) in lui' (m t povqv itap’ arnia rcotriaópeGa)116 ;

lG v 2,14: “Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e ‘la paro­la di Dio rimane in voi' (ó "kòyoq toh Geoó évópiv pévet);

1 Gv 2,24: “Quanto a voi, tutto ciò che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi ciò che avete udito da principio, ‘anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre' (KaìópEÌq év x<5 uco Kat év reo ttaxpì gEvetxE)”;

1 Gv 3,9: “Chiunque è nato da Dio non può peccare, perché ‘un suo germe (divino) rimane in lui' (aTiéppa aóxoó év aóxco pévet); e non può peccare perché è nato da Dio”;

lGv 3,24: “Chi osserva i suoi comandamenti (di Gesù) 'rimane in Dio e Dio in lui’ (év aóxco pévet Kaì aóxòq év aóxco ). E da que­sto conosciamo che ‘rimane in noi’: dallo Spirito che ci ha dato";

lGv 4,12: “Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, ‘Dio rimane in noi’ (ó Geòq évT\piv pévet) e l'amore di Lui è perfetto in noi";

lGv 4,13: "Da questo si conosce che ‘noi rimaniamo in Lui ed Egli in noi’ (év orinò) pévcopev Kat aóxòq évqpiv): Egli ci ha fatto dono del suo Spirito";

lGv 4,15: "Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, ‘Dio rimane in lui ed egli in Dio’ (ó Geo«; év aóxco pévei Kat aóxòq év xco 0eó5)";

114 Al riguardo, cfr. quanto abbiamo notato sopra sulla struttura intema della Lettera.

115 Per l’esame della formula nel Vangelo e nelle Lettere di Giovanni, cfr. E . M alatesta, op. cit., pp . 27-36 .

5 1 4 VIRGILIO PASQUETTO

lGv 4,16: "Noi abbiamo riconosciuto e creduto all ‘amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore 'rìmane in Dio e Dio rimane in lui' (év x© Geco pévei kocí ó Geòq év avrai gévei)”.

b) Annotazioni sui testi- La formula “rimanere in" (pévetv év) aggiunge a quanto

abbiamo detto antecedentemente sulla comunione con Dio un nuovo elemento: quello della continuità, della stabilità117. Quando Dio entra in comunione di vita con l’uomo, questa comunione non la vuole più interrompere;

- Naturalmente, come precisano i testi or ora citati, si tratta di una “non interruzione” legata all’adempimento di determinati requisiti. Quali? Secondo Gv 14,23 e lGv 3,24, rimane nella comunione con Dio e con Gesù chi “li ama e osserva la loro parola”; secondo lGv 2,14. 24, questa comunione è in stretto rapporto con il “permanere”, nellanimo del cristiano, dell'inse­gnamento evangelico118; secondo lGv 4,12.16, può mettersi in comunione con un Dio che è, di sua natura, amore, solo chi ama i fratelli; secondo lGv 4,15, si esige, tra l'altro, che si riconosca e si professi apertamente la fede nella divinità di Gesù;

- Nel testo di Gv 14,23 si presenta il permanere del Padre e di Gesù nell’anima del credente come una vera e propria "inabita­zione”. Da Gv 14,16-17 veniamo pure a sapere che essa riguarda anche lo Spirito Santo. Vi leggiamo infatti: “(Gesù disse:) Io pre­gherò il Padre ed egli vi darà un altro Paráclito (Avvocato), per­ché sia con voi per sempre (‘iva psG' ùpcov dq xòv alcova 7|), lo Spirito di verità /.../ Egli dimora presso di voi e sarà in voi (nap’ ùpiv pévei Kat év ópiv eaxai) 119;

116 Come si può vedere, la formula “(liveiv év” subisce qui una lieve varian­te; il senso resta comunque identico.

117 E’ questa infatti l’idea espressa dal verbo “pévetv” sia in genere che negli scritti giovannei in specie. Per un’informazione più articolata e com­pleta sul tema, cfr. J. H e is e , Bleiben. “Mévetv” in den Johanneischen Schriften, Tübingen 1967.

118 Ad esso si riferisce la formula “ciò che avete udito da principio" di lGv 2,24; in proposito, cfr. A. D albesio , op. cit., pp. 104-106.

119 Per ulteriori informazioni, cfr. I. D e La P o tterie , La vérité, I, pp. 341- 361; G. F erraro , Lo Spirito e Cristo, pp. 157-179.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 1 5

- Oltre che ospite permanente dell'anima, lo Spirito Santo è colui che garantisce, attraverso le ispirazioni interiori, quando è il caso di parlare di vera o falsa comunione con Dio (lGv 3,24; 4,13)120. Essa è vera allorché poggia sulla parola di Gesù così come l'ha accolta e trasmessa la Chiesa di cui fa parte l’Apostolo Giovanni (lGv 3,24)121.

3. I l lessico d el “peccato”

Per cogliere bene il senso di questo lessico, è necessario fer­marsi su una duplice serie di testi: quella relativa ai termini usati da Giovanni per designare il peccato e quella che presenta l’e­lenco dei peccati più gravi. Fra i primi, abbiamo i termini “pec­cato" (apapxioc), "peccati" (agapxiai), "ingiustizia" (aSudoc), “ini­quità" (àvopta); tra i secondi, i peccati dei giudei, del mondo, degli eretici (secessionisti) e del demonio122.

3.1. Testi e annotazioni sui termini "peccato" (apocpxioc), "pec­cati” (apapxiai), "ingiustizia" (aSucioc), "iniquità" (avopia).

a) I testi sul termine “peccato” (apapxioc)Gv 1,29: “Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse:

Ecco l’Agnello di Dio, ecco ‘colui che toglie il peccato del mondo' (ó a ’ipcov xr|v apapxiav xob KÓapou)”;

Gv 8,21: “Gesù disse loro (ai farisei): Io me ne vado e voi mi cercherete, ma ‘morirete nel vostro peccato’ (év xrf apapxiaupcòv COTO0avsra0£)”;

Gv 8,34: “Gesù rispose (ai giudei): In verità, in verità vi dico: 'chiunque commette il peccato è schiavo del peccato' (ndqó notcov xf|v apapxiav SoùÀóqécrav xfjc, apapxiaq)”;

120 Per un commento approfondito di questi testi, cfr. E. M alatesta, op. cit. pp. 272-282.

121 Al riguardo, cfr. E. M alatesta, op. cit., pp. 272-282.293-309.122 Per una visione d’insieme della dottrina giovannea sul peccato, cfr.

N. Lazure, Les valeurs morales de la théologie johannique, Paris 1965, pp. 285- 328; B. M aggioni, Il peccato in S. Giovanni (Gv e lGv) SC 106 (1978) 235-252.

5 1 6 VIRGILIO PASQUETTO

Gv 8,46: "(Gesù chiese ai giudei:) Chi di voi ‘può convincermi di peccato?' (té; éi;ñpcóv é/VéT̂ si pe nepì cxpapxia«;;). Se dico la ve­rità, perché non mi credete? “;

Gv 9,41: "Gesù rispose loro (ai farisei): Se foste ciechi, ‘non avreste alcun peccato’ (ov>k av éi%8T£ ápapxíav); ma siccome dite: Noi vediamo, 'il vostro peccato rimane’ (f| ápapxíoc npcbv pévet)”;

Gv 15,22: “Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, ‘non avrebbero alcun peccato’ (ápapxíav oÓk éixoaav); ma ora ‘non hanno scuse per il loro peccato’ (itpcxjxxaiv oÓk exoncnv Jiepì xp; ápapxía; aóxcov)";

Gv 15,24: "Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai fatto, ‘non avrebbero alcun peccato’ (ápapxíav o Ó k éixooav); ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre";

Gv 16,8-9: "E allorché sarà venuto, Egli (il Paráclito) ‘convin­cerà il mondo quanto al peccato’ (kXkfc^x xòv KÓopov jiepì ápapxía;), alla giustizia e al giudizio. ‘Quanto al peccato, perché non credono in me'(nepì ápapxía; pév, oti ov maievovaiv eiqèjié)";

Gv 19,11: “Rispose Gesù (a Pilato): Chi mi ha consegnato nelle tue mani ‘ha un peccato più grande’ (peí^ova ápapxíav £X£t)";

1 Gv 1,7; “Il sangue di Gesù, suo Figlio, ‘ci purifica da ogni pec­cato' (Ka0api^eiTipà; anò Ttáari; ápocpTÍa;)”;

lGv 1,8: "Se diciamo di 'essere senza peccato’ (ápapxíav oÉk exopev), inganniamo noi stessi e la verità non è in noi";

lGv 3,4: “ ‘Chiunque commette il peccato’ (rcag ó tcolcdv xr|v ápapxíav) commette anche iniquità, poiché ‘ilpeccato è l'iniquità’ (n ócpapxia ¿oxìvtì ávopía)";

lGv 3,5: “Voi sapete che Egli (il Figlio di Dio)123 è apparso per togliere i peccati e che ‘in Lui non c ’è peccato’ (ápapxía év avnxp ovk ’éaxiv)”;

lGv 3,8: “‘Chi commette il peccato' (ó toiiov xriv ápapxíav) viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è venuto per distruggere le opere del diavolo ";

lGv 3,9: "Chiunque è nato da Dio ‘non commette peccato’ (ápapxíav oó noiei), perchè un suo seme (divino) dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio”;

lG v 5,16-17: “Se uno vede il proprio fratello ‘commettere un

123 Cfr. v. 8.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 1 7

peccato che non conduce alla morte’ (ápapxávovxa ápapxíav pr| 7ipò; Gàvaxov), preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a ‘coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte’. C'è infatti ‘un peccato che conduce alla morte' (eaxiv ápapxía Tipo; 0áva- xov); per questo dico di non pregare. 'Ogni ingiustizia, è peccato' (naca ááucía ápapxíaéaxiv), ma ce ‘il peccato che non conduce alla morte’ ".

b) I testi sul termine “peccati" (ápapxíai)Gv 8,24: “Vi ho detto che ‘morirete nei vostri peccati’ (ànoGa-

veíaGeév xai; ápapxíai;úpa>v); infatti, ‘se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati’ (éàv yáp pr| 7uax£Ùar|T£ oxt éyco api, ájtoGavEÍaGeév Tai;ápapxíai;úpcóv);

Gv 9,34: “(I farisei) replicarono (al cieco): ‘Sei nato tutto nei peccati (év ápapxíai; crb éyevvfiGri; oloc) e vuoi insegnare a noi?. E lo cacciarono fuori";

Gv 20,23: "(Gesù disse:) A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno ritenuti’ (av xtvcov á<j)f¡T£ xa; ápapxía;á<t>é(Dvxai aúxor;, áv xivcov KpaxrjxE K£Kpáxnvxai)”;

lGv 1,9: “Se ‘riconosciamo i nostri peccati’ (ópoXoycópev xá; ápapxía; Tipciv), Egli (Dio), che è fedele e giusto, ‘ci perdonerà i peccati’ ('iva à<j>rf ppiv xa; ápapxía;) e ci purificherà da ogni ingiu­stizia";

lGv 2,2: ‘"Egli (Gesù Cristo) è vittima di espiazione per i nostri peccati' (aùxò;ÌÀaapò; éaxiv 7t£pì xcóv àpapxicóv épcóv); non sol­tanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo";

1 Gv 2,12: "Scrivo a voi, figlioli, perché ‘vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome' (oxi á<j)£COVxai úpw aíápapxiái 8iá tò ovopa aúxoñ)”;

lGv 3,5: “Voi sapete che Egli (il Figlio di Dio)nA 'è apparso per rimettere i peccati’ (é(j)av£pcD0r| iva xá;ápapxiá; api]) e che in lui non c ’è peccato";

lGv 4,10: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ‘ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati’ (àréaxEiXEV xòv ntòv aúxoñ itaxapóv 7t£pì xcóv àpapxicóv t|p®v)".

124 Cfr. v. 8.

5 1 8 VIRGILIO PASQUETTO

c) I testi sul termine "ingiustizia" (àSuda)Gv 7,18: “Chi parla da se stesso cerca la propria gloria; ma chi

cerca la gloria di colui che l’ha mandato è veritiero, e ‘in lui non c'è ingiustizia' (aSuda év ani© o u k eaxiv);

1 Gv 1,9: “Se riconosciamo i nostri peccati, Egli, che è fedele e giusto, ci perdonerà i peccati e ‘ci purificherà da ogni ingiustizia’, (KaSapicnjritiaqÓOTÒ Tiacriqàòuaaq)”;

lGv 5,17: ‘“Ogni ingiustizia è peccato’ (naca a8uda agap tia éaxfv), ma c'è il peccato che non conduce alla morte".

d) Il testo sul termine "iniquità" (àvopia)lGv 3,4: “Chiunque commette il peccato, ‘commette anche ini­

quità’ (m i tt] v avogiav no tei), poiché ‘il peccato è l'iniquità' (H agapTÌa éaxìv q avopia)”.

e) Annotazioni sui testi- Omettendo, per il momento, analisi e considerazioni su cui

dovremo tornare in altre circostanze125, notiamo che, secondo i passi qui riportati, nel peccato si riscontra la presenza di molte­plici componenti: antropologica, cristologica, ecclesiologica, teologica, etica, satanica, escatologica;

- La componente antropologica è legata al fatto che tutti gli uomini sono, escluso Gesù (Gv 8,46, lGv 3,5)126, peccatori127; in specie, alla dichiarazione di lGv 1,8: "Se diciamo d' essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi"128;

125 In particolare, quando tratteremo, secondo lo schema dato nel prece­dente articolo, del rapporto dell’uomo con Gesù, con il mondo esterno e con la salvezza intesa in senso dinamico.

126 Cfr. le parole: “Chi di voi può convincermi di peccato?" (Gv 8,46); "in Lui non c'è peccato" (1 Gv 3,5).

127 Per lo più, questo dato è espresso attraverso l’uso del term ine "peccati” al plurale (cfr. Gv 9,39; 20,23; lGv 2,2.12; 3,5; 4,10).

128 Cfr. anche lGv 1,10. Strettam ente parlando, Giovanni si rivolge qui solo ai cristiani; è chiaro, comunque, che il principio vale per tutti gli uom i­ni. Al riguardo, cfr. Gv 1,29; lGv 2,2.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 1 9

- In lGv 2,16 si precisa ancora che la causa originaria di que­sta situazione universale di peccato risiede nella "concupiscenza della carne”, nella "concupiscenza degli occhi” e nella “superbia della vita”129;

- Per concupiscenza della carne s'intende tutto ciò che induce l'uomo a cercare, d'istinto e in modo disordinato, solo il proprio soddisfacimento130; per concupiscenza degli occhi, ogni forma di stimolo che giunge all’uomo tramite la vista e che potremmo pure denominare, servendoci di termini abbastanza appropriati, cupidigia, avidità, bramosia131; per superbia della vita, l’atteggia­mento di coloro che si ritengono autosufficienti e padroni del mondo per il semplice motivo che possiedono beni materiali in sovrabbondanza132;

- La componente cristologica ha il suo punto di riferimento nell'idea che ogni peccato è, fondamentalmente, rifiuto della persona e della parola di Gesù o, se si preferisce, un modo di pensare e di agire contro la fede in Gesù. A registrarlo sono soprattutto i passi nei quali Gesù, parlando del peccato del mondo, lo qualifica come un “non credere in lui” (Gv 16,9), oppu­re, polemizzando con i giudei, rimprovera loro d’essere "in situa­zione di peccato" in quanto non credono in ciò che lui dice o fa (Gv 15,22.24);

- Strettamente connessi con questa prospettiva sono anche i testi dove si afferma che i giudei, appunto perché non hanno cre­duto, per partito preso, a Gesù, "sarebbero morti nei loro pecca­ti” (Gv 8,21.24) o che la loro cecità spirituale li avrebbe portati,

129 II te s to c o m p le to rec ita : “Tutto quello che è nel mondo, la concupiscen­za della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non viene dal Padre ma dal mondo". P e r u n su o c o m m e n to a p p ro fo n d ito , cfr. R .E . B row n , Le Lettere, p p . 428 -437 .450-456 .

130 In questo contesto, cfr. pure Ga 5,16-17; Rm 13,14; Ef 2,3. Nella lettu­ra della formula dissentiamo, in parte, da quanto scrive R.E. B row n (Le Lettere, pp. 430-433). Sul tema cfr. pure N. L azure, "La convoitise de la chair en U n 2,16", RB 76 (1969) 161-205.

131 Cfr. R .E . B row n , Le Lettere, p p . 433-435 .132 Cfr. R .E . B row n , Le Lettere, p p . 435 -436 . U n a d e sc r iz io n e v iva e re a l i­

s t ic a d i q u e s to c o m p o r ta m e n to l 'a b b ia m o n e l te s to d i G c 4,13-16.

5 2 0 VIRGILIO PASQUETTO

inevitabilmente, alla dannazione eterna (Gv 9,41)133;- Nonostante ogni peccato sia, in definitiva, un peccato d'in­

credulità nei confronti di Gesù, questi è venuto sulla terra con il preciso scopo di togliere e perdonare il peccato134. Esiste, comunque, un peccato che neppure Gesù è in grado di rimette­re: quello che in lGv 5,16-17 prende il nome di ‘‘peccato che con­duce alla morte" (óqiapxia Ttpoq Gavaxov), in contrapposizione al “peccato che non conduce alla morte" (dgapTÌa oh Ttpòc; Gavaxov). A parte la terminologia, il peccato “che conduce alla morte”, cioè alla dannazione eterna, altro non è se non il tentativo, da parte dell’uomo, di programmare il proprio destino secondo criteri puramente umani e nell’assoluta trascuranza della parola divina rivelatasi in Gesù135. In lGv 3,4 questo peccato è chiamato anche “l'iniquità" (f| avopia)136;

- La componente ecclesiologica del peccato è in stretto rap­porto con quanto afferma il testo di lGv 3,4 sul peccato come iniquità. Dal contesto (lGv 2,18-3,6)137 si apprende infatti che tra coloro che si erano macchiati di iniquità c’erano anche i cosid­detti “secessionisti138, cioè persone che avevano fatto parte della comunità giovannea e poi l’avevano lasciata per seguire dottrine

133 Al riguardo, cfr. S. S abugal, La curación del ciego de nacimiento (Jn 9, 1-41), in “AA.W., Segni e Sacramenti nel Vangelo di Giovanni”, Roma 1977, pp. 121-164; F.J. M oloney , The Johannine Son o f Man, Rome, II ed., pp. 142- 159; J.W. H o lleren , Seeing thè Light: A narrative Reading o f John 9, ETL 69/4 (1993) 354-382.

134 Cfr., fra i passi riportati nel testo, Gv 1,29; 20,23; lGv 1,7.9; 2,2.12; 3,5; 4,10.

135 Per questi concetti, cfr. R.E. B row n , Le Lettere, pp. 828-840. Guardando le cose in una prospettiva più ampia e coinvolgente l’intero pensiero giovan­neo, si potrebbe anche dire che "il peccato ordinato alla morte" è il peccato proprio del mondo. Di esso tratterem o più diffusamente in seguito.

136 Che si tratti, effettivamente, dello stesso tipo di peccato, risulta dall’ar­ticolo di I. D e La P o tterie , "Il peccato è l'iniquità" (lGv 3,4), in "La vita secondo lo Spirito”, pp. 75-97.

137 Cfr. anche lGv 4,1-6.138 In lGv 2,19 si accenna a loro attraverso le parole: “Sono usciti di mezzo

a noi ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; doveva invece rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri".

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 2 1

in netto contrasto con la "Tradizione apostolica” o della "Grande Chiesa"139;

- La componente teologica è direttamente collegata con il prin­cipio giovanneo secondo il quale chi pecca mostra di non tro­varsi in uno stato di vera comunione con Dio. Eventualmente, esiste una comunione a metà o solo fittizia. E’ infatti proprio dell' "essere generati da Dio” escludere, nel modo più assoluto, qualsiasi tipo di peccato. Al riguardo, non lascia adito a dubbi il testo di lGv 3,9: "Chiunque è nato da Dio non commette pecca­to, poiché un suo seme (divino) dimora in lui, e non può pecca­re perché è nato da Dio". Lo stesso concetto riappare nella dichiarazione parallela di lGv 5,19: "Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca”140;

- La componente etica è presente in modo speciale nei tre passi dove il peccato prende la denominazione di "tónda"141, cioè di "ingiustizia” o di “trasgressione di un determinato ordi­ne divino”142. In lGv 3,10 si specifica pure che tra i "peccati d’in­giustizia” più gravi il primo posto lo occupa l’assenza di un vero amore fraterno143;

- Alla componente satanica del peccato si riferisce esplicita­mente il testo di lGv 3,8: 'Chi commette il peccato viene dal dia­

139 Per un’ampia e articolata informazione su questi cosiddetti secessioni­sti (o eretici), cfr. R .E .B r o w n , Le Lettere, pp. 83-168; A. D a lb esio , op. cit., pp. 92-98; B.P r e t e , Anticristo e anticristi in lG v 2,18, in “AA.W., Testimonium Christi. Scritti in onore di J. Dupont”, Brescia 1985, pp. 439-452; J. P a in t e r , The “Opponents" in 1 John , NTS 32(1986) 48-71; B. M o r ic o n i "Lectio Divina" della Prima Lettera di Giovanni, Padova 1995, pp. 79-91.

140 Nella stessa linea va letto il testo, apparentem ente oscuro, di Gv 8,34: “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato". Infatti, la formula "schiavo del peccato" è da prendere qui in opposizione alla formula "figlio di Dio” e da interpretare nel modo che segue: chi pecca mostra di essere non già figlio di Dio, bensì uno schiavo, cioè una persona che non ha niente in comune con lui, con la sua vita, con la sua famiglia. Per questa lettura, cfr. I.De La P o r t e r ie , La vérité, II, pp. 825-866.

141 Cfr. Gv 7,18;lGv 1,9; 5,7.142 E ’ q u e s to in fa tt i il s e n so d a a t t r ib u i re al te rm in e ; in p ro p o s ito , cfr.

R .E .B row n , Le Lettere, p p . 301-302.143 Vi leggiamo infatti: “Chi non pratica la giustizia, non è da Dio né lo è chi

non ama il suo fratello".

5 2 2 VIRGILIO PASQUETTO

volo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio"144. Meno esplicita e chiara è invece la ragione che induce Giovanni a sta­bilire un diretto rapporto fra peccato e attività satanica. Tenendo conto di altri riferimenti giovannei145, con ogni probabilità l'uni­ca risposta da dare è che, in fondo, il demonio svolge, nei riguar­di del male, lo stesso ruolo che svolge Dio in ordine al bene. Come Dio si dà continuamente da fare per trasmettere nell’uo­mo la sua stessa vita146 e renderlo, in un certo senso, impeccabi­le147, così il demonio si dà continuamente da fare per spingere l’uomo al peccato e sottrarlo, con astuzie e menzogne, all’influs­so benefico di Dio. Fortunatamente, il cristiano ha la gioia di costatare, secondo quanto si riporta in lGv 3,8, che "il Figlio di Dio è venuto per distruggere le opere del diavolo”!148;

- La componente escatologica la s'incontra, strettamente par­lando, solo nei peccati che Giovanni chiama 'per la morte” (itpòq 9avaxov)149o “iniquità” (avopia)150. E’ infatti soltanto questo tipo di colpe che pone l’uomo, data la sua natura151, in uno stato di condanna eterna152.

144 Nel testo parallelo di Gv 8,44, indirizzato, sotto forma di monito, ai giu­dei, Gesù aveva espresso, più o meno, lo stesso concetto attraverso le paro­le: "Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, per­ché è menzognero e padre della menzogna".

145 Cfr. Gv 12,31; 14,30; 16,11.146 Cfr. quanto abbiamo detto sopra a proposito della "figliolanza divina"

del cristiano.147 Cfr. lGv 3,6-9 e il suo commento in I.D e La P o tterie , L ’impeccabilità

del cristiano secondo lG v 3, 6-9 in “La vita secondo lo Spirito”, pp. 235-258.148 Per questo tema, cfr. anche Gv 12,31; 14,30; 16,11.149 Cfr. lGv 5,16-17.150 Cfr. lGv 3,4.151 Come abbiamo rilevato sopra, si tratta di peccati di "totale chiusura

alla voce del vangelo” e, dunque, proposti come “alternativa” al progetto sal­vante di Cristo.

152 Cfr. I .D e La P o t t e r ie "Il peccato è l'iniquità" (cit.), p. 91. Per una visio­ne più articolata del tema alfinterno dell’escatologia giovannea, cfr. invece A. S t im p l e , Blinde Sehen. Die Eschatologie in Traditionsgeschichtlichen Prozess des Johannesevangeliums, Berlin 1990.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 2 3

3 .2 .1peccati dei giudei, del mondo, degli eretici e del demonioa) I peccati dei giudei153Il lessico giovanneo presenta, al riguardo, un lungo e scon­

certante elenco. Essi sono così impegnati nell’osservanza della Legge per la Legge, da non ammettervi alcuna deroga, neppure quando si tratta della salute di una persona (Gv 5,16); ascoltano la parola di Dio, ma secondo le loro vedute umane e in una pro­spettiva che esclude, appunto perché basata su ragioni esclusi­vamente umane, il carattere divino della stessa parola rivelata (Gv 5,38)154; non credono a colui che il Padre ha mandato (5,38); "non vogliono andare a Gesù per avere la vita” (5,40); "sono privi dell'amore di Dio” (5,42); vanno a gara "per prendere gloria gli uni dagli altri” e non si curano affatto della "gloria che viene da Dio" (5,44); mormorano contro Gesù (6,41); gli danno continua- mente la caccia per arrestarlo (7,30) e ucciderlo (7,1); sono tal­mente cocciuti nel loro rifiuto aprioristico di Gesù, da non lasciare alcuna speranza di ravvedimento prima della morte (8,21)155; rigettano la rivelazione di Gesù con lo stesso odio con

153 II termine "giudei” lo prendiam o in senso ampio. Lo si estende così anche ai farisei e ai sacerdoti. Per una prospettiva d’insieme sul ruolo stori­co-simbolico svolto dai Giudei nel IV Vangelo, cfr. pure F. F est o r a z z i, 7 Giudei e il IV Vangelo, in "AA.W, San Giovanni”, Brescia 1964, pp. 225-260; A. Ca ro n , Les “ioudàioi" dans l'Evangile de Jean, Ottawa 1987; M. D e J o n g e , The Conflict between Jesus and thè Jews and thè radicai Christology o f thè Fourth Gospel, PRS 20/4 (1993) 341-355.

154 Nella stessa linea va letto il testo di Gv 8,47: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio". Il senso del testo è infatti il seguente: i giudei pensano di ascoltare e vivere la parola di Dio; di fatto, però, non l'ascoltano né la vivono, in quanto la interpretano secondo criteri puram ente umani e finiscono così per ridurla a parola umana. Per uno studio più approfondito di Gv 5,38 e di Gv 8,47 all’interno dei loro contesti, cfr., rispettivamente, U .C . V o n W a h l d e , The Witness to Jesus in John 5,31-40 and Belief in thè Fourth Gospel, CBQ 43(1981) 385-404;F. M a n n s , "La vérité vous fera libres". Etude exégétique de Jean 8, 31-59, Jéru- salem 1976; M .V ella n ick a l , op. cit., pp. 253-260.

155 E’ questo infatti il senso delle parole pronunciate da Gesù in Gv 8,21: “morirete nel vostro peccato". Al riguardo, cfr. V. P a sq u etto , Incarnazione e comunione con Dio (cit.), pp. 225-232; per lo stesso tema, ma in un contesto

5 2 4 VIRGILIO PASQUETTO

cui la rigetta il demonio (8,44)156; ritengono Gesù un indemo­niato (8,52) e, appena se ne presenta l'occasione, tentano pure di lapidarlo (8,59); sono spiritualmente ciechi e incapaci, per orgo­glio, di riconoscersi tali (9,41); nei confronti del cieco nato che, con semplicità e sincerità, li invita a riflettere sul carattere m ira­coloso della sua guarigione, non sanno far altro se non distri­buire insulti e scomuniche (9,28.34); durante il tempo della pas­sione e morte di Gesù sono sempre al primo posto nel dichia­rarlo colpevole e nel favorire con ogni mezzo che sia condanna­to alla pena capitale157.

Il lessico giovanneo segnala ancora che la loro avversione contro Gesù è così determinata e minacciosa da impedire qual­siasi minima esternazione di simpatia nei suoi confronti158.

b) I peccati del mondo159Anch'essi, come quelli dei giudei, si qualificano, in definitiva,

per la presenza di un rigetto totale e senza appello di Gesù, della sua persona, del suo vangelo, della sua mentalità160.

più ampio, cfr. invece J .B la n k , Krisis. Untersuchungen zur Johanneischen Christologie und Eschatologie, Freiburg 1964; R .K ü h s c h e l m , Verstockung. Gericht und Heil. Exegetische und bibeltheologische Untersuchung zum soge­nannten "Dualismus" und "Determinismus" in Joh 12,35-50, Frankfurt 1990.

156 A questo concetto si riferisce l’accusa di Gesù: "Voi avete per padre il diavolo”. Il totale rigetto di Gesù è indicato bene anche nel testo di Gv 19,21 dove si annota che essi rifiutano la scritta della croce “Re dei giudei”.

157 Cfr. Gv 18,14.22.35.40; 19,6.7.15.21.158 Al riguardo, cfr. Gv 7,13; 9,22; 19,38; 20,19. In specie, il testo di Gv 9,22:

"Questo dissero i suoi genitori (del cieco nato) perché avevano paura dei giu­dei; infatti i giudei avevano stabilito che se uno lo avesse riconosciuto come il Messia venisse espulso dalla sinagoga".

159 Ovviamente, il mondo è preso qui in senso etico-religioso, non fisico o relativo all'insieme degli uomini in quanto uomini (umanità). Di tutto que­sto si parlerà più diffusamente in seguito.

160 Per uno studio approfondito di questo dato e del concetto etico-reli­gioso di "mondo" (tcóa|io<;) in Giovanni, cfr. F.-B raun , Le péché du monde selon Saint Jean, RTh 65 (1965) 181-201; H.S c h l ie r , L ’uomo e il mondo nell’Evangelo di Giovanni, in “Id., Riflessioni sul NT”, Brescia 1969, pp. 313- 327; L. S c h o t tr o ff , Der glaubende und feindliche Welt, Neukirchen-Vluyn 1970, pp. 1-114.228-296; T. O n u k i, Gemeinde und Welt im Johannes-

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 2 5

In effetti, è proprio del mondo non riconoscere Gesù come Messia e Salvatore (Gv 1,10), odiarlo (Gv 15,18.19; 17,14), per­seguitare i suoi discepoli (Gv 16,20; lGv 3,13), vivere in uno “spazio culturale” del tutto diverso da quello in cui vive Gesù (Gv 17,6.14.16), regolare il proprio agire non secondo il vangelo ma secondo la triplice concupiscenza di cui in lGv 2,16 e tro­varsi nell’impossibilità di credere sia nel Dio di Gesù (Gv 17,25)161 sia nello Spirito da lui inviato (Gv 14,17).

Stando così le cose, è dunque perfettamente comprensibile iche Gesù o Giovanni parlino del mondo come di una realtà ope­rante sotto l'influsso diretto del demonio162 e, perciò stesso, destinato a una condanna eterna (Gv 16,8-11)163.

c) I peccati degli eretici (secessionisti)Per “peccati degli eretici" (o secessionisti) s’intendono i pec­

cati propri di coloro che avevano fatto parte, in un primo tempo, della comunità giovannea e che ne erano poi usciti per seguire dottrine a sfondo prevalentemente gnostico164.

Tentando una sintesi, con l’ausilio dei dati offertici dalla prima Lettera di Giovanni li possiamo dividere in una duplice categoria: peccati riguardanti la persona di Cristo e peccati riguardanti la comunità di Cristo.

In ordine a Cristo, essi rigettavano la sua identità di Messia (lGv 2,22;5,1) e di Figlio di Dio (lGv 2,22-23)165, il fatto dell’In­carnazione (lGv 4,2-3; 5,6), il valore redentivo della morte in croce (lGv 5,6-8), l'insegnamento evangelico nel suo complesso (lGv 2,3-6; 3,24; 5,3), l’amore del prossimo (lGv 2,9-11; 4,20-21)

evangelium, Neukirchen-Vkuyn 1984; G. Z e v in i, Gesù, ì discepoli e il mondo nel Vangelo di Giovanni, PSV 28 (1993) 117-133.

161 Cfr. anche lGv 3,1; 5,4-5.162 Gv 12,31; 14,30; 16,11; 1Gv 5,19.163 Essendo già condannato, è logico che Gesù, in Gv 17,9, dica pure: “Io

non prego per il mondo"; al riguardo, cfr. anche 1Gv2,17: "Il mondo passa con la sua concupiscenza”.

164 Per informazioni più complete e articolate sul tema, cfr. la bibliografia riportata nella Nota 139.

165 Cfr. anche lGv 3,23,4,15; 5,1.5.

5 2 6 VIRGILIO PASQUETTO

e il peccato inteso come disobbedienza alla volontà di Dio mani­festata all'uomo attraverso il vangelo (lGv 8-IO)166.

In ordine alla comunità di Cristo, tendevano invece a un com­portamento di tipo intimistico che, oltre a prescindere da qual­siasi legame con l’annuncio evangelico fatto da Gesù durante la sua vita pubblica167, non dava alcun peso alla "Tradizione Apostolica” o Tradizione della "Grande Chiesa”, fra i cui testi­moni c’era, appunto, anche l'autore della Lettera168.

d) I peccati del demonioIn linea di massima, i suoi peccati coincidono con quelli dei

giudei e del mondo. E' infatti lui, in ambedue i casi, a originar­li169. Secondo i testi di Gv 8,44 e di lGv 3,8, sarebbe, comunque, più esatto parlare, anziché di peccati del demonio, del demonio come ispiratore e scaturigine di ogni peccato170.

In Gv 8,44 si precisa pure che questa attività di istigazione al peccato il demonio la esercita in quanto è del suo essere demo­niaco opporsi radicalmente sia alla parola di Dio che alla parola di Gesù171. In altri termini, perché è proprio del demonio ribel­

166 Stando a lGv 1,8-10, sem bra che i secessionisti riducessero il peccato a semplice ignoranza: era considerato peccatore chi non conosceva la dot­trina propria degli gnostici a cui essi avevano aderito; chi la conosceva dove­va ritenersi senza peccato e, addirittura, impeccabile. Per questo, cfr. A. D a lb esio , op. cit. pp. 92-94.

167 Cfr. lGv 2,6.23.28; 3,3.6-7; 4,2-3168 In questo senso, cfr. lGv 1,1-3; 2,18-21; 4,6; 5,18-20. Cfr. pure A. Da lbesio ,

op. cit. pp. 94-98 (con ampia Bibliografia).169 p er ji suo rapporto con i peccati dei giudei, cfr. Gv 8,44; per quello con

i peccati del mondo, cfr. Gv 12,31; 14,30; 16 11.170 Infatti, nel primo leggiamo: "Egli (il diavolo) è stato omicida (attraverso

l’istigazione al male) sin dal principio"; nel secondo: “Chi commette il peccato viene dal diavolo poiché il diavolo è peccatore sin dall 'inizio".

171 La radicale opposizione del diavolo alla parola di Dio e di Gesù è indi­cata apertamente nelle espressioni. "Egli non ha perseverato nella verità (nella parola di Dio)" - "In lui non c ‘è verità (adeguamento alla parola di Dio)" - "Quando dice il falso (ciò che si oppone alla parola di Dio), parla di ciò che gli appartiene di sua natura" - "E’ il padre della menzogna (l'ispiratore di tutto ciò che si contrappone alla parola di Dio)". Per la lettura di queste diverse espres­sioni sul tema della "menzogna-falsità" (non verità), cfr. I. D e L a P o t t e r ie , La vérité, II, pp. 906-954.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 2 7

larsi al progetto salvante di Dio e impedire, attraverso le straor­dinarie risorse di cui dispone, che esso si attu i172.

4. Appro fo n dim en to e attualizzazione d el lessico

Quanto abbiamo sinora scritto sul lessico concernente il rap­porto dell’uomo con Dio si è limitato a registrare i dati prove­nienti direttamente dalla formulazione esterna e letterale del testo.

Varcando questi limiti, desideriamo ora approfondire e attua­lizzare il discorso.

4 .1 . In ordine al lessico della “figliolanza divina" del cristianoDalle pagine precedenti risulta che, a livello di vocabolario,

questo tipo di figliolanza è espresso mediante le formule: essere generati da Dio, essere da Dio, essere figli di Dio, nascere dall’alto, nascere di nuovo, nascere dallo Spirito. Ne deformeremmo e svi­liremmo tuttavia il contenuto, se ci fermassimo solo a questo.

La provenienza da Dio per via generativa importa una serie di elementi che, pur includendola, vanno ben oltre la semplice amministrazione del battesimo (Gv 3,5) e lasciano apertamente intendere come essa non sia qualcosa di accaduto una volta per sempre.

Secondo il modo di vedere di Giovanni, si nasce sul serio e senza ipocrisia da Dio nella misura in cui si cresce nella fede in Gesù (Gv 1,12)173, si accoglie la sua parola (8,47)174, la si mette in

172 Per questo, fra gli altri appellativi, gli si attribuisce, in Gv 8,44, anche quello di "omicida” (£K£ivo<;av0pco7tOKTOVO<; rjv ixn’ apxqi;).

173 II concetto è rilevato bene dalle parole: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nom e”. Per una loro lettura in questo senso, cfr, oltre ai vari commentari del IV Vangelo, M .T h eobald , Die Fleischwerdung des Logos (cit.), pp. 229 -2 47 .329-344 .

174 Cfr. l’espressione: “Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; per questo voi non ascoltate, perché non siete da Dio ".

5 2 8 VIRGILIO PASQUETTO

pratica (lGv 4,6), si conduce una vita santa (lGv 3,IO)175, si evita ogni genere di peccato176, si è sensibili alla voce dello Spirito (Gv 3,5-8), ci si converte di continuo177 e ci si pone, non a paro­le, bensì con atti concreti, a servizio dei fratelli178 .

Un ulteriore monito ci viene dalle parole di Gesù: “Il Figlio non può fare se non quello che vede fare dal Padre. Ciò che Egli fa, anche il Figlio lo fa" (Gv 5,19) - "Io non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 5,30)179.

Nella sua qualità di Figlio di Dio, Gesù sente che il principa­le dovere da svolgere nei confronti del Padre celeste è quello di una piena e totale sottomissione. A un certo momento, arrivèrà pure a dire: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha manda­to" (Gv 4,34).

E' risaputo che il cibo, pur rimanendo originariamente un'en­tità distinta da chi se ne nutre, perde, una volta assimilato, i suoi precedenti connotati e diventa un tutt’uno con l'organismo che l’assimila.

Dichiarando che “suo cibo è fare la volontà di colui che lo ha mandato”, Gesù afferma dunque che il sottomettersi in tutto e per tutto al Padre non è solo un impegno, ma costituisce la ragion d'essere della sua Figliolanza divina e che venir meno a questa obbedienza significherebbe perdere, alla radice, la pro­pria identità di Figlio, cioè autodistruggersi.

Se ciò è vero, sull'esempio di Gesù il cristiano non può ridur­re il suo essere figlio di Dio a un semplice atto fisiologico né pen­sare che tutto si risolva nelle fatidiche parole: “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".

Il battesimo segna soltanto l’inizio di una figliolanza divina

175 Cfr. il monito del testo citato: “Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia (non vive santamente) non è da Dio".

176 Cfr. lGv 3,9; 5,18; 3Gv 11.177 Cfr. Gv 3,3.7.178 Cfr. lG v 3 ,16-18; 4 ,7 . S u q u e s to te m a , cfr. p u re A.D albesio , La comu­

nione fraterna, dimensione essenziale della vita cristiana secondo il IV Vangelo e la Prima Lettera di Giovanni, L a u r 36/1-2 (1995) 19-33.

179 Per questa annotazione e le seguenti, cfr. V. P a sq u etto , Espiritualidad Bíblica, Madrid 1995, pp. 260-262.

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tutta da dimostrare e da costruire attraverso un cammino porta­to avanti, giorno dopo giorno, secondo le indicazioni del Signore.

Egualmente importante e da non scordare mai, per quanto concerne la figliolanza divina del cristiano, è l’insegnamento che ci viene dagli altri detti di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3,16-17) - “Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna" (Gv 6,40).

Per il cristiano, come per Gesù, la coscienza d'essere figlio di Dio deve portare a riconoscere in Lui un Padre amoroso e impe­gnato allo spasimo nel procurare la salvezza dell’uomo.

Non gli è quindi consentito, per alcuna ragione, aver paura di Dio né, tanto meno, immaginarselo poliziotto o giustiziere.

Se Dio è Padre, l'unico atteggiamento da assumere è quello della fiducia, della confidenza e dell’affettuoso abbandono a Lui.

Nei rapporti con gli altri urge invece che dia una più convin­ta e palese testimonianza del fatto che gli incontri di Dio con l’uomo sono sempre incontri d'amore.

Incontri ordinati a salvaguardare la dignità della persona umana, non a deprimerla; a infondere speranza, non a gettare nella disperazione; a unire e a comporre, non a dividere; a crea­re fraternità, non a imporre schiavitù; a servire, non a essere ser­viti; a promuovere le giuste rivendicazioni degli strati più debo­li della società, non a propiziarsi esclusivamente la benevolenza dei potenti.

L’ultima considerazione riguarda l'impegno ad acquisire una struttura mentale che, senza svalutare la dignità della ragione umana, non può limitarsi al puro e semplice razionale.

La nascita da Dio pone il cristiano in uno spazio ontologico- religioso che trascende l'umano e lo induce a prendere per guida, sempre e dovunque, il Dio della fede, non il Dio della ragione, inclusa l'eventualità prospettata dal testo di Is 55, 8-9: “Oracolo del Signore. I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie e i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”.

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Nel lessico giovanneo tutto questo lo si rievoca, con grande chiarezza e senza mezzi termini, attraverso le formule “nascere da Dio", “nascere dall’alto", “nascere di nuovo” "nascere dallo Spirito ”180.

4.2. In ordine al lessico della “nascita dallo Spirito (di Dio)”Oltre al senso or ora menzionato, la formula "nascere dallo

Spirito (di Dio)”181 contiene, all'interno e nella prospettiva del vocabolario giovanneo, alcune sfumature che vale la pena evi­denziare.

Anzitutto, ce da tener presente che nell'ottica della tradizio­ne biblica l’appellativo “Spirito di Dio ” ha sempre a che fare con interventi destinati a non lasciare mai le cose come sono182.

Dove opera lo Spinto di Dio, lì nascono uomini nuovi183, cuori nuovi184, popoli nuovi185, cristiani nuovi186, situazioni nuove187.

Per Giovanni, dunque, la presenza dello Spirito di Dio nell'a­nima dei credenti ha, tra gli altri compiti, anche quello d'impos­sessarsi della loro vita e di renderla ogni giorno diversa: più pal­pitante, più giovane, più dinamica, più pasquale188.

Consapevoli che questa, e soltanto questa, è la realtà, non sarebbe, forse, male riflettere un po' sul monito di Madeleine Delbrèl:

18° Riguardo all'esame di queste formule, cfr. sopra, ad loc.181 Cfr. 3,5.6.8.182 Per uno sguardo d’insieme sullo Spirito Santo nella tradizione biblica,

cfr. V. P a s q u e t to , L o Spìrito Santo nella storia della salvezza, in "AA.W., Lo Spirito Santo nella vita spirituale”, Roma -Teresianum (Coll. "Fiamma Viva” -22), 1981, pp. 7-40.

183 Cfr. ISam 10,6.184 Cfr. Ez 36,25-27; 2Cor 3,3-4.185 Cfr. Ez 37,9-14 (testo sulle ossa inaridite e vivificate).186 Cfr. Rm 8,13.187 Cfr. Is 32,15-16 a proposito del "deserto trasform ato in giardino” e

Gv 20,22 dove si presenta la storia post-pasquale guidata dallo Spirito di Gesù risorto come una “nuova creazione”. Per il senso di quest’ultimo testo, cfr. pure G. F e r r a r o , Lo Spirito e Cristo nel Vangelo di Giovanni, Brescia 1984, pp. 305-324.

188 Cfr. Gv 20,22, di cui nella Nota precedente.

"Signore, tanti santi che ci sono dati per modello sono vissuti come degli assicurati. Essi avevano templi ufficiali per pregare, metodi ben definiti per far penitenza, codici precostituiti di con­sigli e di divieti. Per noi, invece, tu ti rifiuti di fornirci una carta topografica. Il nostro cammino si fa di notte. L’unica cosa che ci garantisce è il libero gioco della tua fantasia”.Un utile richiamo a lasciare più spazio, sotto l’azione incal­

zante dello Spirito, alla fantasia di Dio ci giunge pure dalla rab­biosa invettiva di André Gide: "Comandamenti di Dio, voi avete addolorato la mia anima! Comandamenti di Dio, fino a quando continuerete a tracciare limiti? Fino a quando continuerete a insegnare che debbono essere sempre di più le cose da proibi­re?”.

La seconda riflessione ce la propone l’avvertimento di Gesù: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capa­ci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,12-13).

Come abbiamo già rilevato in un'altra occasione189, qui si afferma che lo Spirito Santo è stato incaricato da Gesù a intro­durre i credenti alla piena comprensione dell’annuncio evange­lico in modo graduale e tenendo conto sia dell'evolversi della storia umana che delle necessità proprie dei singoli.

L’evangelista ritiene così che la parola di Gesù non è mai qualcosa di integralmente acquisito, bensì oggetto di sempre nuove ricerche, di sempre nuove conoscenze, di sempre nuove scoperte.

E' fuori discussione che Gesù, durante la sua vita terrena, ha detto tutto quello che occorreva dire in ordine alla salvezza. Ma non nei minimi dettagli.

Egli si è limitato a offrire segnalazioni di carattere generale. Il compito di individuare, approfondire, estendere e applicare ai casi concreti il suo insegnamento lo ha lasciato invece all’azione interiore dello Spirito.

Naturalmente, questa sua attività illuminatrice lo Spirito la

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189 Cfr. V. P a s q u e t t o , La comunità cristiana nell’esperienza dell'Apostolo Giovanni, in “AA.W., La Comunione. Ricchezze e tensioni", Roma- Teresianum (Coll. "Fiamma Viva" - 36), 1995, pp. 240-241.

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svolge non in forma miracolistica, ma con l'ausilio di un cuore ben disposto e pronto a mettere da parte, come nota il testo di Gv 3,4-8190, le proprie vedute umane.

Nel suo stile vivo e immaginoso, Alessandro Pronzato coglie bene l'idea allorché, rivolgendosi a Dio, gli confessa:

"Pure io volevo aggregarmi a coloro che si definiscono servi della Parola, ma che, in realtà, assumono atteggiamenti da padro­ni e da maestri della Parola. Che se l’annettono. Che l'ammini­strano. Che s’identificano con la Parola. Che vorrebbero far cre­dere che le loro parole sono intercambiabili con la Parola. Che lasciano intendere di parlare la tua lingua come parlano le altre lingue.

"Fortunatamente, tu ti sei incaricato di guarirmi da questa malattia affascinante e contagiosa e, in luogo della soddisfazione di stare alla pari con la Parola, mi offri la gioia di ritrovarmi sem­pre molto distante da essa. La gioia d'incontrarmi non con la Parola che conferma le mie parole, ma con la Parola che le smen­tisce e le annulla. La gioia di accogliere la mia inettitudine e il mio scomparire come possibilità offerta alla tua Parola di crescere nel­l’intimo del cuore”191.

4.3. In ordine al lessico della "comunione con Dio”Gli studiosi sono, oggi, praticamente concordi nel ritenere

che obiettivo della prima Lettera di Giovanni è offrire l’elenco dei pricipali criteri attraverso i quali ai lettori è possibile verifi­care se la comunione con Dio, di cui si parla nel prologo (lGv 1,1-4), esista per davvero o non sia invece il caso di ammettere che essa rimane una mera velleità192.

A parte l'enumerazione dei criteri193, la cosa che maggior­mente interessa dal punto di vista antropologico è questo porre

190 Per un’analisi approfondita di questa pericope e del suo contesto, cfr. soprattutto M . V ella nick a l , op. cit., pp. 163-213.

191 A le s s a n d r o P r o n z a to , Un Vangelo per cercare. Giovanni, Torino 1986, p. 117.

192 Al riguardo, cfr. sopra, Nota 90.193 Cfr. sopra, pp. 509-511.

IL LESSICO ANTROPOLOGICO DEL VANGELO E DELLE LETT. DI GIOVANNI 5 3 3

l'accento sull’importanza della verifica come l’unico strumento idoneo e metodologicamente efficace per conoscere se una per­sona è o meno in comunione con il Signore.

Abitualmente, i cristiani si reputano in comunione con Dio per il semplice fatto che hanno ricevuto il battesimo e si acco­stano, di tanto in tanto, ai sacramenti della riconciliazione e del­l'eucaristia. Mostrano così di dare la preferenza più all’etica del­l’essere anziché all’etica dell'agire o del farsi. Per Giovanni, inve­ce, è proprio quest’ultima ad attirare le sue simpatie e a persua­derlo che la comunione bisogna costruirla, crearla mediante la testimonianza delle opere.

Inutile aggiungere, tanto è evidente, che osservata da questa angolatura, la comunione con Dio si presenta come una realtà in continuo divenire e, sotto certi aspetti, pure a rischio.

Trattandosi infatti di una comunione in stretta dipendenza dall’agire di una persona, ora può esserci, crescere, ma qualche tempo dopo anche svanire e dissolversi.

Altra conseguenza diretta e immediata della comunione con Dio è, nella prospettiva giovannea, l'amore ai fratelli. Perché?

Perché Dio è amore e chi si mette a contatto con Dio non può non sentirsi indotto a effondere sugli altri questo amore che gli brucia dentro194.

Hanno così valore di principio gli ammonimenti: "Amiamoci gli uni gli altri, perché chiunque ama è generato da Dio e cono­sce Dio... Dio infatti è amore e chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui”195.

Il terzo rilievo è contenuto nella frase con cui Giovanni chiu­de il brano della sua prima Lettera dedicato per intero al tema della comunione con Dio. Essa recita: "Queste cose vi scrivo, per­ché la nostra gioia sia perfetta" (lGv 1,4).

Allorché prende possesso di un’anima, Dio intende portarla, anche se in modo graduale, all’esperienza di una grande gioia e a quel tipo di consolazione spirituale cui accenna S. Paolo nel testo di 2Cor 1,3-4:

194 Cfr. lGv 4,8.16.195 lGv 4,7.16.

5 3 4 VIRGILIO PASQUETTO

"Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci con­sola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi con­solare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio”.Non si deve, comunque, pensare che questa gioia raggiunga

gli interessati in modo automatico e senza le dovute predisposi­zioni.

Per averla, occorre essere disposti interiormente e non pen­sare, neppure per un attimo, che Dio, come non di rado si lascia intendere in certi ambienti integralisti, sia geloso della felicità umana.

Per Giovanni, Dio non solo non è geloso della felicità umana ma ha inviato nel mondo Gesù e ha deciso di inabitare nel cuore dell’uomo allo scopo di renderlo felice.

Chi dice di essere in comunione con Dio e, nello stesso tempo, si sente abitualmente triste, avvilito, depresso, demora­lizzato non ha dunque per nulla compreso quanto appassionato e liberante sia l’amore dell'Ospite che porta dentro.

Chi conosce realmente le intenzioni del Dio che abita la sua anima e si apre a lui con la semplicità del fanciullo non può non gioire.

4.4 In ordine al lessico del "peccato"Da quanto abbiamo detto sopra a proposito della terminolo­

gia adoperata da Giovanni per designare il peccato e le persone che peccano si traggono, a livello antropologico, soprattutto due conseguenze.

La prima è che il peccato non esiste in sé ma in rapporto a un determinato soggetto. La seconda, che la natura intima del pec­cato consiste, in ultima analisi, nella mancanza di fede in Gesù. Meglio, nel non voler credere, per motivi ispirati a una visione puramente umana del proprio essere e della propria storia, alla parola di Gesù.

In base a questa prospettiva, per Giovanni non c’è dunque che un solo grande peccato: quello dell’incredulità. Per quanto riguarda invece i peccati al plurale, essi non sono che segni e

manifestazioni d'incredulità o, se si preferisce, peccati contro la fede.

Se tutto ciò è vero, l'unico modo per sottrarsi all’influsso del peccato o liberarsene è accogliere in sé e far fruttare sempre più, attraverso l’azione interiore dello Spirito, il seme della parola di Dio presente, secondo lGv 3,9, nell’anima di ogni credente196.

(continua)

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196 Cfr. I.De L a P o t t e r ie , L ’impeccabilità del cristiano secondo lG v 3, 6-9, in "I.De L a P o t t e r ie - S. Ly onn et , La vita secondo lo Spirito”, Roma 1971, II ed., pp. 235-258, passim.