ASL Lo Straniero

Itinerari filosofico-fotografici Prof. Georgia Zeami 1

Per una determinazione dei significati e dei termini in uso nel fenomeno delle migrazioni

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• Prima di addentrarci nell’analisi antropologica e sociale del

fenomeno delle migrazioni, si rende necessario far chiarezza sui

termini impiegati nell’uso comune talvolta impropriamente.

Troppo spesso, infatti, si usano come sinonimi termini quale

migrante, emigrante, immigrato, profugo, richiedente asilo, apolide, nomade.

In realtà questi termini, seppur pensati all’interno di un comune

contesto di senso, non sono affatto sinonimi, al contrario

ognuno di essi indica una specifica condizione sociale, oltre che

giuridica, in cui viene a trovarsi in un determinato momento

della sua vita – che tuttavia può anche durare per sempre – un

uomo.

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• Migrante: è colui che, per diverse ragioni – economiche, politiche, giuridiche o personali – decide di abbandonare, o è costretto a farlo, il proprio paese d’origine per pianificare la propria esistenza in un altro luogo. Il migrante, insomma, è colui che si sposta da un posto a un altro, il suo viaggiare non conduce necessariamente a un approdo definitivo. La storia umana ha conosciuto fin dal suo sorgere il fenomeno delle migrazioni, ovvero l’esodo in massa di intere popolazioni che si spostavano, periodicamente o una volta sola nel corso di un’epoca, verso luoghi maggiormente adatti a soddisfare le mutate esigenze della comunità o piuttosto meglio idonei a rispondere alle loro esigenze rispetto al luogo d’origine. Le migrazioni, insomma, sarebbero delocalizzazioni di intere popolazioni in ordine a necessità materiali inderogabili. Ovviamente da sempre nel corso della storia spostamenti in massa di un gran numero di individui hanno generato situazioni di criticità tanto in ordine alla condivisione dello spazio vitale, quanto in relazione all’incontro-scontro tra culture e tradizioni differenti.

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• Immigrato: è colui che, abbandonando il proprio luogo d’origine, ha deciso di stabilirsi in un altro paese. Con tale termine si designa la condizione sociale, politica e civile di un individuo osservata dalla prospettiva del paese accogliente. Giuridicamente possiamo distinguere l’immigrato clandestino, ovvero quell’individuo che è entrato in modo non regolare in un paese e che permane in una condizione di irregolarità giuridica, dall’immigrato regolare (indicati genericamente col nome di stranieri residenti), e cioè colui che è entrato in un paese con un regolare permesso di soggiorno, di studio o di lavoro, e poi ha deciso di prolungare la propria permanenza in quel determinato territorio, acquisendone in taluni casi la cittadinanza. D quel momento cessa di essere immigrato e diviene cittadino.

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• Emigrante: è colui che ha lasciato il proprio paese d’origine alla ricerca di un altro paese nel quale le condizioni di vita siano migliori per sé e per la propria famiglia. Con tale termine si designa la condizione sociale, politica e civile di un individuo osservata dalla prospettiva del paese d’origine. Giuridicamente l’emigrante può continuare a essere cittadino del paese che ha lasciato (talvolta egli acquisisce una doppia cittadinanza), facendo parte ad esempio, anche se da molti anni ha lasciato la propria patria, del corpo elettorale (vd. Italiani residenti all’estero).

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• Profugo: è colui che è stato costretto ad abbandonare il proprio paese a causa della guerra, di eventi naturali catastrofici o di persecuzioni razziali. Letteralmente profugo è colui che fugge, che cerca scampo, dunque, strictu sensu, il profugo non è chi che desidera lasciare il proprio paese per migliorare la propria condizione sociale, culturale o economica, ma piuttosto colui che non ha altra via di scampo. Nella lingua greca ogni migrante era chiamato profugo, quasi a voler marcare l’idea che nessuno, se non costretto da eventi indipendenti dalla propria volontà, possa desiderare di abbandonare la propria casa, le proprie tradizioni, i propri dei e la propria famiglia.

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• Richiedente asilo: è colui che perseguitato nel proprio paese per reati religiosi, politici o di opinione chiede il permesso di soggiornare in un altro Stato per scampare ad esempio a una condanna (in molti casi sui richiedenti asilo politico grava la pena capitale). La giurisdizione italiana, in linea con quella europea, riserva accoglienza ai richiedenti asilo politico. Tuttavia non sempre la richiesta di asilo politico viene accolta dal paese ospite, dunque può darsi il caso in cui a un uomo che fugga dal proprio paese, nel quale è ingiustamente perseguito, venga rifiutata la richiesta di asilo politico e si trasformi di fatto in un immigrato clandestino.

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• Apolide: è colui che è privo di una determinata cittadinanza, ovvero risulta non essere cittadino di nessun paese. Si può essere apolidi per nascita – e cioè il proprio status giuridico non è stato mai regolarizzato da nessuna istituzione – o per ragioni politiche e giuridiche – ciò significa che si è perso il diritto di godere della propria cittadinanza a seguito di reati o si è deciso di rinunciare alla propria cittadinanza senza tuttavia acquisirne una nuova –. La normativa internazionale sulla tutela dei diritti umani non prevede alcun tipo di differenza sostanziale nel trattamento rispetto agli apolidi, dal momento che la tutela è riservata all’individuo indipendentemente dalla sua cittadinanza. Diverso è invece il trattamento all’interno dei singoli Stati, ovvero si pone la questione del quadro normativo di riferimento – e cioè a quale statuto e di quale paese – per giudicare i reati, i doveri e i diritti degli apolidi.

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• Nomade: è colui che ha deciso di articolare la propria esistenza in modo non stanziale. Il nomadismo, endemico nella storia dell’umanità sino all’avvento delle tecniche rudimentali di produzione agricola, è rimasta prerogativa di alcune popolazioni che per cultura, tradizioni e religione scelgono di non fissare la propria dimora in un solo territorio, ma vanno spostandosi di luogo in luogo portando con sé la propria casa. Caratteristica del nomadismo è perciò la mancanza di un radicamento al suolo, ma non l’assenza, come spesso erroneamente si crede, di un’identità culturale. Il popolo a oggi più noto per il nomadismo è la comunità Rom presente, con livelli di concentrazione differenti, in estese regioni del pianeta. La parola Rom non indica una zona geografica, ma sta a significare semplicemente ‘uomo’. Il fatto che la quasi totalità delle popolazioni mondiali abbia optato per una cultura del radicamento stanziale rende l’opzione del nomadismo non ben accetta, mal compresa e, in generale, con ragioni anche pregnanti tanto dal punto di vista giuridico che politico, difficilmente gestibile da parte delle autorità e degli organismi degli Stati ospitanti.

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• Per comprendere appieno il fenomeno storico

mondiale delle migrazioni è necessario

comprendere perché intere popolazioni, lungo il

corso delle diverse epoche, hanno deciso di

spostarsi.

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Volontaria

• Il flusso migratorio, ovvero lo

spostamento di un intero

popolo o di singoli individui,

è determinato da ragioni

intrinseche, quali il

miglioramento delle

condizioni di vita o di lavoro,

o la ricerca di un maggiore

benessere economico.

Forzata

• Il flusso migratorio è forzato,

ovvero le popolazioni sono

spinte a varcare i confini del

proprio paese o deportate in

massa in altri paesi.

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• Le invasioni barbariche

• Il più grande flusso migratorio

volontario che ha conosciuto

l’Europa è stato probabilmente

quello delle invasioni barbariche,

una consistente penetrazione di

diversi gruppi etnici, all’inizio

dell’alto Medioevo, stanziatisi

definitivamente entro i territori

centro occidentali del nostro

continente.

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• La deportazione degli schiavi neri nelle Americhe

• Imponente e gravido di implicazioni sociali, razziali e culturali è stata la tratta degli schiavi africani dopo la scoperte delle Americhe. Al centro del cosiddetto ‘commercio triangolare’, la deportazione di uomini e donne dall’Africa centrale e settentrionale è stato un fenomeno di proporzioni immense: si calcola che nel corso di tre secoli vennero costrette a lasciare il proprio paese circa 12 milioni di persone.

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Implicazioni antropologiche, linguistiche e culturali

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• Le migrazioni, insomma, sembrano una costante della storia

mondiale. Prima di vedere, tuttavia, qual è lo specifico della

nostra situazionale nazionale in epoca contemporanea, e dunque

quale sia l’impatto dei flussi migratori oggi in Italia, è necessario

fare un lungo passo indietro nella storia per provare a vedere in

che modo i popoli del passato hanno rappresentato, interpretato

e fotografato i migranti e le migrazioni.

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• Nella civiltà omerico-arcaica il concetto di alterità, e dunque la

netta distinzione tra ‘noi e gli altri’, recava in sé la traccia di una

comunanza e non quella di una differenza. Questo significa che

tutti potevano trovarsi nella vita nella condizione di chi è

‘bisognoso di aiuto e di accoglienza’, di conseguenza l’ospitalità

era sacra.

• Per Omero, ma ancora per Eschilo, colui che tratta male lo

straniero ‘non ha alcun senso di giustizia e non è timorato di

Dio’; riservare accoglienza al ‘supplice e allo straniero’ è un

dovere perché bisogna trattar loro ‘come fratelli’.

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• Odisseo viene accolto con grande ospitalità dal figlio Telemaco e

dalla moglie Penelope, sebbene entrambi non conoscano ancora

la sua identità, mentre viene offeso e deriso dai Proci. In questo

straordinario affresco della dinamica tra accoglienza e resistenza

si delineano i caratteri di una dialettica della reazione nei

confronti dello straniero che permane sino ai nostri giorni.

Mentre infatti i familiari di Odisseo fanno appello alla

compassionevole figura del mendicante e al suo triste destino di

erranza, i Proci, osservando il supplice da un punto di vista

strettamente economico, lo considerano un peso, una spesa

inutile sfamarlo, un individuo, insomma, improduttivo per la

società.

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• Certo l’ospitalità dovuta a un singolo è ben diversa da quella che si riserva a un gruppo o addirittura a un popolo intero che emigra. I greci non mancarono di attestare forme anche violente di razzismo e intolleranza, ma allo stesso tempo ci hanno lasciato profonde riflessioni politiche, economiche e sociologiche sulle cause delle migrazioni.

• E di più s’interrogarono sulle responsabilità che le pòleis più ricche non potevano non avere sulla sorte di quelle più piccole e più povere. Se ad esempio la città di Atene metteva in ginocchio una piccola comunità dell’Asia minore non poteva poi sottrarsi al dovere di gestire coloro che da quella fuggivano. Da qui le proposte di alcuni giuristi di risolvere in loco i problemi economici, sociali e politici, la necessità di gestire e contenere quel senso di rabbia e smarrimento che sorge in chi vede il proprio paese devastato e si sente defraudato da un bene, ma anche i suggerimenti di ordine pubblico che imporrebbero, per coloro che fuggono dal proprio paese per stabilirsi in un altro, il rispetto delle tradizioni differenti, anche consentendo l’edificazione di luoghi di culto.

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• Molteplici sono i luoghi dell’Antico Testamento nei quali si suggerisce di non chiudere mai le porte al ‘forestiero’ perché dietro di lui potrebbe celarsi un angelo. L’ospite insomma potrebbe essere foriero della parola di Dio e, come tale, andrebbe sempre accolto e ascoltato; ma potrebbe anche essere anche tramite del Diavolo. In questo il testo biblico rivela la grande saggezza dell’umanità e la percezione dialettica che rispetto allo straniero, al supplice, al migrante i popoli, sin dai tempi più remoti, hanno avuto.

• L’arrivo di ‘un altro’ all’intero di una comunità è percepito certo come destabilizzante: noi non sappiamo la sua provenienza, le sue intenzioni, se resterà per poco o per molto tempo. Tuttavia la saggezza veterotestamentaria impone di accoglierlo tanto come possibilità di un bene che può venire a noi, quanto come un male che è penetrato nella nostra comunità e solo se tenuto sotto controllo – alla nostra tavola ad esempio e perciò di fronte allo sguardo dei nostri familiari – può essere riconosciuto e fermato.

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• Un piccolo inciso va dedicato al concetto prettamente cristiano di ospitalità, poiché è strutturale nell’identità di questa comunità un senso di erranza e di appartenenza a un altro mondo. L’essere per così dire forestieri nello spazio mondano e dunque tutti uguali in una filiazione ultraterrena.

• I cristiani sono stati per alcuni secoli perseguitati all’intero dei confini del mondo romano, la predicazione di un’eguaglianza universale degli uomini li ha resi invisi ai poteri, il loro abbandono delle ricchezze terrene li ha fatti percepire come estranei rispetto a tutto quel complesso di valori mondani, tradizionali e pagani.

• Da qui l’idea di una comunità umana raccolta attorno alla condizione del miserevole, del supplice, del bisognoso e quel legame tra gli individui che ignora le divisioni linguistiche, territoriali o razziali.

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• La chiesa cattolica, fin dal suo sorgere, ha spesso mostrato un volto

caritatevole rispetto ai migranti, immedesimandosi con quella che è stata per

tanti secoli la condizione dei primi cristiani: erranti, perseguitati, migranti per

scelta o per imposizione, forestieri del mondo.

• L’edificazione di un senso di accoglienza profondo rispetto al supplice, il

migrante, il forestiero è diventata un vero e proprio istituto nella Chiesa

medioevale. Nei conventi e nelle abbazie era riservata sempre ospitalità al

forestiero attraverso la costruzione di una apposito edificio, normalmente

collocato all’interno delle mura ma fuori dal corpo centrale, e destinato agli

ospiti di passaggio, ai mendicanti e agli stranieri. L’ubicazione della foresteria

rispetto al corpo centrale del convento o dell’abbazia è prova di quella

dialettica tra accoglienza e sospetto riservata allo straniero, ma testimonianza

anche del principio secondo il quale la condizione dell’erranza e della

migrazione poteva riguardare ognuno di noi.

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• Caratteristico delle popolazioni arabe e beduine, il senso di

ospitalità nel mondo preislamico viene potenziato con la

predicazione maomettana.

• L’ospite è sacro e l’accoglienza che deve essere riservata prescinde

dalla sua provenienza, la sua condizione, la sua religione;

addirittura, secondo un detto popolare arabo, si prevede che

l’ospite venga accolto e sfamato per tre giorni prima che gli venga

chiesto il nome.

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• Nell’Europa moderna la condizione del migrante, sia esso immigrato o emigrante, è strettamente connessa all’espansione dovuta alle nuove scoperte geografiche. Il profugo che fugge dal proprio paese per motivazioni religiose trova, ad esempio, nel nuovo continente una terra ricca di opportunità e di libertà, allo stesso modo il commerciante europeo che si rifornisce nei mercati americani e africani interpreta l’alterità come accrescimento del proprio guadagno. Allo stesso tempo, però, se l’espansione dei mercati insinua nell’Europa un certo gusto per tutto ciò che è straniero, una filoxenìa, per l’altro l’incontro con culture differenti è spesso causa di tensioni o arroccamenti nella propria identità, ritenuta un valore da salvaguardare, e dunque genera una xenofobia.

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• Il richiamo ai valori fondativi dell’occidente, che attraversano il

mondo greco e le tradizioni delle tre grandi religioni monoteiste

– intersecate tra loro profondamente più di quanto riusciamo

oggi a immaginare – non può che essere motivo di riflessione

per noi contemporanei. Anzitutto bisognerà comprendere che le

migrazioni sono un fenomeno endemico nella storia

dell’umanità, ma di più dovremo apprendere dal nostro passato

che esiste una sacralità arcaica dell’ospitalità che differenzia

l’uomo che ha senso di giustizia da colui che non ne possiede

alcuna.

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