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Anno V n. 1 ISSN 1972-7704 20 marzo 2013 www.csddl.it Rivista telematica Diffusione gratuita di Gaetano Veneto* Sono passati pochi giorni dall’apertura delle urne elettorali che hanno visto risultati, in larga misura, tutt’altro che inattesi. Non è compito di questo gior- nale affrontare direttamente i problemi politici e le prospettive, invero oscure ed ad alto rischio, per un Paese che continua a per- dere paurosamente colpi sul pia- no economico e sociale e, per quanto ci interessa direttamente, a restringere sempre più i già ridottissimi spazi e le prospettive di lavoro per i nostri giovani, professionisti e non e, per tutti, in particolare le donne, nel no- stro Mezzogiorno e, guardandoci attorno, in una Puglia ex terra felix. Dopo più di un anno di una ritenuta inevitabile parentesi “tecnico-governativa” che ha affondato, peggiorandoli, tutti gli indici della produzione, dei con- sumi, degli investimenti e dell’occupazione, inseguendo una forsennata politica di auste- rità senza porsi nessuna prospet- tiva di rilancio, in nessun settore, ci troviamo oggi a dover discute- re, su queste colonne su cosa e come proporre i temi del lavoro, mentre i giovani, se non tutti certamente la maggior parte di essi, hanno espresso tutta la loro sfiducia, o la disperazione, in un voto di condanna senza prospet- tive, inseguendo miti catartici del tutto improbabili, nelle finalità e nei mezzi, per raggiungerle. Facile sarebbe per chi scrive ricordare l’esecrazione qui già manifestata per le soluzioni pro- poste dall’infelice governo tecni- co in tema di prolungamento, non programmato né modulato, dell’età lavorativa, insieme ad una soluzione, forse più ridicola che tragica, del problema degli “esodati”. Tutta l’Europa ha sorriso di un provvedimento preso da un Mi- nistro, quello delle lacrime pro- prie e del sangue altrui che, vedi caso, era stato scelto come “tecnico”, proprio perché è do- cente di tecniche attuariali nel campo della previdenza e, per- tanto, avrebbe dovuto garantire dai gravi errori che Ministri pre- cedenti “politici” avevano senz’altro compiuto nelle infelici gestioni di un Ministero, quello del Welfare, tanto importante in Italia. Ancor più siamo costretti a ricordare quanto scritto su queste colonne sull’assalto a diritti ac- quisiti dai lavoratori dopo decen- ni di battaglie in tema di stabilità nei rapporti di lavoro. Il macabro balletto sulla steri- lizzazione, o più o meno ampia amputazione, del testo e dello spirito dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori - punta di diaman- te della più generale aggressione alla legge n. 300, lo Statuto che ha segnato il momento più im- portante del felice matrimonio fra capitalismo “liberale” del nostro Paese e democrazia sinda- cale - è l’altra grande prova di un declino della cultura politica e sociale della nostra Italia con i riflessi sulle tematiche del diritto del, e al, lavoro, che non poteva non esprimersi nei risultati elet- torali recenti, segnale di com- prensibile quanto generica e, per ora, ambigua protesta “catartica”. * Professore di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Bari “Occorrono pochi e chiari interventi per invertire la rotta” continua a pagina 2 La moderna bilateralità nasce nell’ambito degli ac- cordi sindacali stipulati tra le Parti sociali datoriali e dei lavoratori dal 1983 in poi e rappresenta l’esperienza più emblematica di un modo di fare relazioni sindacali quantomeno alternativo, se non proprio antitetico ri- spetto ai meglio conosciuti modelli di bargaining di stampo industriale. Si può senza dubbio affer- mare, infatti, che l’esperienza della bilateralità sia lo specchio dei settori produttivi di cui è diretta emanazione. In tal senso quello dell’artigianato non soltanto è un esempio calzante, ma rappresenta al giorno d’oggi lo stato dell’arte della mi- gliore bilateralità. Ad un così positivo svilup- po del sistema ha senza dubbio contribuito la cifra genetica tipica del mondo artigiano in cui datore di lavoro e lavoratore non sono parti frontalmente contrap- poste come negli stilemi ti- pici della lotta di classe, ma sono piuttosto soggetti che spesso lavorano fianco a fianco, intimamente connes- si non soltanto da interessi comuni, ma anche da un rapporto che, lungi dall’essere mera “utilizzazione” della forza lavoro, assume nella stra- grande maggioranza dei casi, i connotati della più schietta “collaborazione”. BILATERALITA’ BILATERALITA’ BILATERALITA’ BILATERALITA’ Un modo doveroso di fare Relazioni Industriali di Dario Longo continua a pagina 2

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Anno V n. 1 ISSN 1972-7704 20 marzo 2013 www.csddl.it Rivista telematica Diffusione gratuita

di Gaetano Veneto*

Sono passati pochi giorni dall’apertura delle urne elettorali che hanno visto risultati, in larga misura, tutt’altro che inattesi.

Non è compito di questo gior-nale affrontare direttamente i problemi politici e le prospettive, invero oscure ed ad alto rischio, per un Paese che continua a per-dere paurosamente colpi sul pia-no economico e sociale e, per quanto ci interessa direttamente, a restringere sempre più i già ridottissimi spazi e le prospettive di lavoro per i nostri giovani, professionisti e non e, per tutti, in particolare le donne, nel no-stro Mezzogiorno e, guardandoci attorno, in una Puglia ex terra felix.

Dopo più di un anno di una ritenuta inevitabile parentesi “tecnico-governativa” che ha affondato, peggiorandoli, tutti gli indici della produzione, dei con-sumi, degli investimenti e dell’occupazione, inseguendo una forsennata politica di auste-rità senza porsi nessuna prospet-tiva di rilancio, in nessun settore, ci troviamo oggi a dover discute-re, su queste colonne su cosa e come proporre i temi del lavoro, mentre i giovani, se non tutti certamente la maggior parte di essi, hanno espresso tutta la loro sfiducia, o la disperazione, in un voto di condanna senza prospet-tive, inseguendo miti catartici del tutto improbabili, nelle finalità e nei mezzi, per raggiungerle.

Facile sarebbe per chi scrive ricordare l’esecrazione qui già manifestata per le soluzioni pro-poste dall’infelice governo tecni-co in tema di prolungamento, non programmato né modulato,

dell’età lavorativa, insieme ad una soluzione, forse più ridicola che tragica, del problema degli “esodati”.

Tutta l’Europa ha sorriso di un provvedimento preso da un Mi-nistro, quello delle lacrime pro-prie e del sangue altrui che, vedi caso, era stato scelto come “tecnico”, proprio perché è do-cente di tecniche attuariali nel campo della previdenza e, per-tanto, avrebbe dovuto garantire dai gravi errori che Ministri pre-cedenti “politici” avevano senz’altro compiuto nelle infelici gestioni di un Ministero, quello del Welfare, tanto importante in Italia.

Ancor più siamo costretti a ricordare quanto scritto su queste colonne sull’assalto a diritti ac-quisiti dai lavoratori dopo decen-ni di battaglie in tema di stabilità nei rapporti di lavoro.

Il macabro balletto sulla steri-lizzazione, o più o meno ampia amputazione, del testo e dello spirito dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori - punta di diaman-te della più generale aggressione alla legge n. 300, lo Statuto che ha segnato il momento più im-

portante del felice matrimonio fra capitalismo “liberale” del nostro Paese e democrazia sinda-cale - è l’altra grande prova di un declino della cultura politica e sociale della nostra Italia con i riflessi sulle tematiche del diritto del, e al, lavoro, che non poteva non esprimersi nei risultati elet-torali recenti, segnale di com-prensibile quanto generica e, per ora, ambigua protesta “catartica”.

* Professore di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Bari

“Occorrono pochi e chiari interventi per invertire la rotta”

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La moderna bilateralità nasce nell’ambito degli ac-cordi sindacali stipulati tra le Parti sociali datoriali e dei lavoratori dal 1983 in poi e rappresenta l’esperienza più emblematica di un modo di fare relazioni sindacali quantomeno alternativo, se non proprio antitetico ri-spetto ai meglio conosciuti modelli di bargaining di stampo industriale.

Si può senza dubbio affer-mare, infatti, che l’esperienza della bilateralità sia lo specchio dei settori produttivi di cui è diretta emanazione.

In tal senso quello dell’artigianato non soltanto è un esempio calzante, ma rappresenta al giorno d’oggi

lo stato dell’arte della mi-gliore bilateralità.

Ad un così positivo svilup-po del sistema ha senza dubbio contribuito la cifra genetica tipica del mondo artigiano in cui datore di lavoro e lavoratore non sono parti frontalmente contrap-poste come negli stilemi ti-pici della lotta di classe, ma sono piuttosto soggetti che spesso lavorano fianco a fianco, intimamente connes-si non soltanto da interessi comuni, ma anche da un rapporto che, lungi dall’essere mera “utilizzazione” della forza lavoro, assume nella stra-grande maggioranza dei casi, i connotati della più schietta “collaborazione”.

BILATERALITA’BILATERALITA’BILATERALITA’BILATERALITA’ Un modo doveroso di fare Relazioni Industriali

di Dario Longo

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ISSN 1972-7704 Anno V n. 1, 20 marzo 20132

A questo punto, ancora una volta, da queste colonne ed in ogni nostra espressione, con pa-role, scritti o fatti, si pone urgen-te l’esigenza di prendere posizio-ne chiara, inequivocabile e pun-tuale su “che fare” e “come” pro-cedere per assumere iniziative indilazionabili volte ad incidere su situazioni patologiche che rischiano di incancrenirsi, senza offrire poi nessuno spazio di in-tervento.

Per parlare in concreto, senza accedere alla tentazione di imitare linguaggi che in questi giorni, malgrado o forse anche e soprat-tutto per la “nuova ondata grilli-na”, sembrano imitare se non peg-giorare l’antico politichese, andia-mo ai fatti.

La Regione Puglia è sull’orlo del défault per quanto concerne la sanità, con conseguenti decrementi dei servizi e delle offerte occupa-zionali, e ancora il lavoro con la dichiarata vicinissima fine di ogni disponibilità finanziaria per copri-re l’intervento della Cassa Integra-zione per decine di aziende, specie medio piccole e conseguentemente garantire, sia pur parzialmente, i redditi dei lavoratori. La Bridge-stone a Bari, con calma ed insieme

rapidità feroci, dichiara che “solo” 950 famiglie possono passare a “miglior vita economica” perché in Italia e, ancor più (si badi bene, è dichiarazione dell’Azienda) in Puglia non è “economicamente profittevole” continuare a produrre e lavorare. Nel frattempo l’Ilva continua nel balletto, abbastanza opinabile e sgradevole, se non provocatorio, tra risanamento am-bientale e diritto a produrre e, con-seguentemente, far lavorare: anco-ra una volta iniziativa economica privata e tutela dei diritti della collettività, cittadini e lavoratori, si scontrano, mentre si riprende a morire in fabbrica. Eppure qualco-sa bisogna dire e fare: si tratta di stanare tutti i protagonisti della politica centrale e locale, regionale innanzitutto, perché propongano pochi e chiari interventi, volti ad invertire la rotta, attorno ai quali si possa discutere, senza attendere nuove elezioni o crolli di un intero sistema, dimenticando che la Pu-glia, l’Italia e l’Europa, sono come cerchi eccentrici all’interno di un mare più grande nel quale, se parte uno tsunami, gli effetti devastanti colpiranno innanzitutto, o forse solo, le così dette civiltà capitali-stiche occidentali che, almeno fino ad oggi, nel campo del lavoro, vedono una progressiva regressio-ne che sembra quasi inarrestabile. Questo giornale attende suggeri-menti da collaboratori e lettori e, sin dal prossimo numero, cercherà di proporre progetti ed idee con-crete che coinvolgano gli interessi, dei giovani in particolare, da tra-sformare in realtà per una Puglia ed un Paese che meritano istituzio-ni rappresentative, con i loro rap-presentanti, finalmente degne ed adeguate alle attuali esigenze.

continua dalla prima pagina

Nella foto il prof. Gaetano Veneto

L’ATTUALE MOMENTO E LA CRISI DEL LAVORO

Non è dunque un caso che proprio nell’ambito dell’artigianato la bilateralità abbia trovato terreno fertile per crescere e svilupparsi: essa, infatti, non è altro che la sublimazione di un modus operandi improntato al reciproco rispetto ed alla collaborazione che, nato tra le mura della bottega, si ritrova arricchito di significati e risultati nel rapporto tra Organizzazioni sindacali ed Associazioni datoriali. In epoca recente il Legislatore, complice la sempre più grave penuria di risorse pubbliche, ha mostrato un crescente interesse nei confronti degli Enti Bilaterali, in un processo di riscoperta dei meccanismi mu-tualistici che, è bene ricordarlo, nei primi del ‘900 rappresentavano l’unico sostegno per i lavoratori in caso di sospensioni o riduzioni dell’attività produttiva. Da allora, se per l’industria sono stati creati istituti come quello della cassa integrazione, lo stesso non è accaduto in ambiti come quello dell’artigianato e dell’impresa diffusa. In tali settori, il compito di definire un sistema efficace di ammortizzatori è spettato alle Parti sociali. L’impianto così definito si è dimostrato nel tempo non soltanto efficace, ma anche efficiente, ben lungi dagli sprechi di un sistema pubblico che ha spesso tracimato nel mare ma-gnum dell’assistenzialismo.

A partire dall’esperienza del sostegno al reddito, il concetto della bilateralità ha ben presto esteso la propria operatività ad altri campi: la sicurezza sui luoghi di lavoro, la formazione continua dei dipen-denti e, più recentemente, la sanità integrativa sino ad arrivare ad una molteplicità di prestazioni rivolte sia ai lavoratori che ai titolari di impresa e calibrate, in modi e forme differenziati, in riferimento ai singoli territori regionali ma pur sempre contraddistinte dalla cifra stilistica e sostanziale della gestione condivisa tra Sindacati e Asso-ciazioni datoriali. Per ciò che riguarda l’artigianato, il sistema della bilateralità è incentrato su singoli fondi regionali che fanno capo ad un unico Ente nazionale, l’EBNA (Ente Bilaterale Nazionale dell’Artigianato). Gli accordi interconfederali sottoscritti negli ultimi 10 anni, in particolar modo quello del 23 luglio 2009, applicativo di quella che è stata la prima vera intesa di riforma degli assetti contrat-tuali (21 novembre 2008) in Italia, hanno disegnato un’architettura in cui le prestazioni bilaterali diventano “diritto contrattuale di ogni sin-golo lavoratore, che pertanto matura, nei confronti delle imprese non ade-renti al sistema bilaterale, il diritto alla erogazione diretta delle prestazioni da parte dell’impresa datrice di lavoro”, unitamente ad un elemento re-tributivo aggiuntivo da erogarsi in busta paga.

Si tratta del primo, vero sistema organico di welfare contrattuale, di almeno una decina d’anni in anticipo sui più recenti tentativi di stampo eteronormativo che, in ragione della crisi economica, solleci-tano la creazione di analoghi sistemi di mutualità. La stessa l. n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), nel ridefinire il corpus degli ammor-tizzatori sociali fa esplicito riferimento agli Enti Bilaterali ed in parti-colare a quello dell’artigianato (art.3, comma 14), come modello di riferimento per la creazione di un sistema compartecipato sempre più efficiente e sempre meno assistenziale.

Ad oggi l’EBAP, Ente Bilaterale dell’Artigianato Pugliese, costituito dalle sigle datoriali e sindacali maggiormente rappresentative del mondo dell’artigianato della nostra regione, associa più di 7.000 im-prese ed eroga prestazioni e servizi ad una platea di più di 20.000 lavoratori. Le prestazioni, in continua crescita, vanno dal sostegno al reddito in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, agli incentivi in caso di assunzione o trasformazione del rapporto a tempo indeterminato; dai contributi per investimenti aziendali sulla sicurezza all’intervento in caso di ripristino/ricostruzione per gli eventi di forza maggiore; dal sostegno alla formazione professionale fino ad interventi innovativi di assoluto rilievo sociale come l’integrazione al reddito per congedi parentali o per prolungamento dell’astensione facoltativa per l’assistenza a figli minori con handi-cap o per l’integrazione della contribuzione volontaria in caso di trasformazione del rapporto di lavoro in part-time in chiave di assi-stenza alla prole. Sono queste alcune delle prestazioni che l’EBAP eroga e che rappresentano solo una piccola parte del più articolato ed efficiente sistema di welfare contrattuale esistente oggi in Italia.

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BILATERALITA’ Un modo doveroso di fare Relazioni Industriali

Preiscrizioni fino al 30 giugno 2013

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Anno V n. 1, 20 marzo 2013 ISSN 1972-3

La grave crisi economica che sta mettendo in ginocchio il nostro Pae-se, in una con la instabilità politica, crea non pochi disagi a tutti i cittadi-ni.

Ricordare il Prof. Marco Biagi ad undici anni dalla sua tragica scom-parsa non può e non deve essere un semplice momento di commemora-zione, ma deve imporre la riflessione sui Suoi validi ed attuali insegnamen-ti.

Non può addebitarsi al Prof. Biagi il disastro posto in essere dai politicanti e dagli amministratori pubblici nell’utilizzare a proprio piacimento la flessibilità facendo pretestuosa-mente dilagare la precarietà.

Non si può inoltre sottacere che il precariato, frutto di applicazione ab-norme della legge, è diffuso nella pubblica amministrazione ove però la legge Biagi non si applica.

Il Prof. Biagi non intendeva dare spazio al precariato, considerando la flessibilità nel lavoro come uno stru-mento moderno che consentisse a tutti ed in particolare ai più meritevo-li di poter trovare immediatamente spazio nell’ambiente di lavoro.

La stessa legge denominata “Biagi” ha subito una serie di interventi che di fatto l’hanno discostata da quei principi riportati nel Suo “Libro Bian-

co” del 2001. L’insegnamento di Marco Biagi è un punto di partenza per un nuovo ap-proccio ai problemi del lavoro. Rileggere oggi lo stesso “Libro Bian-co” e poi confron-tarne i contenuti con quanto accadu-to in quest’ultimo decennio può esse-re utile per rilevare le distorsioni consi-

derando i principi illustrati non solo in quella pubblicazione ma anche nei primi articoli della legge 30 del 2003 e del d.lgs. 276 del 2003.

Il 15/01/2002 Marco Biagi in una conferenza concludeva ricordando che il Libro Bianco, criticato soprat-tutto da alcune parti della sinistra in realtà non era nulla di originale poi-ché rifletteva “… una tendenza che è propria anche della migliore sinistra, quella che ragiona e quella che non si

chiude gli occhi”. Ed ancora, sempre in quella stessa

conferenza tenuta due mesi prima della Sua scomparsa riferendosi alla legislazione vigente anche in tema di sicurezza sul lavoro rilevava: “Abbiamo leggi sugli infortuni sul lavo-ro; inosservate, che danno scarsi risultati e che purtroppo non impediscono a un sacco di gente di morire sul lavoro ogni anno! Vogliamo creare non tanto delle sanzioni che assomigliano alle grida manzoniane, ma vogliamo cambiare le tecniche sanzionatorie? Vogliamo dare un premio all’imprenditore che realizzerà un ambiente sicuro? Vogliamo dargli delle convenienze ? Vogliamo dire che gli diamo degli sconti sul piano contributivo e fiscale, se l’ambiente di lavoro sarà si-curo ? Sono tentativi … Questo è il management by objectives: se nella tua azienda tu ti impegni a non fare rea-lizzare infortuni sul lavoro oppure li fai decrescere del 20 per cento, ecc., io legi-slatore ti premio”.

Credo quindi che Biagi avesse le idee chiare: sono altri quelli che sem-brano non averle mai … volute inten-dere.

A undici anni dalla tragica scomparsa del grande giuslavorista

il Suo insegnamento risulta quanto mai attuale

di Antonio Belsito

Nella foto il compianto prof. Marco Biagi

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ISSN 1972-7704 Anno V n. 1, 20 marzo 20134

Come è noto con la legge 12 giugno 1984, n. 222 il legisla-tore ha completamente rivi-sto la disciplina della invali-dità pensionabile, sostituen-do alla precedente nozione di capacità di guadagno la nozione di capacità di lavoro e prevedendo due eventi che danno luogo, al loro verifi-carsi, a due prestazioni di-verse: l’assegno di invalidità e la pensione di inabilità.

In passato, invece, il riferi-mento alla riduzione della capacità di guadagno com-portava non soltanto un giu-dizio medico-legale sull’idoneità psico-fisica del soggetto al lavoro, ma insie-me a questo concorreva an-che una valutazione di carat-tere socio-economico sulle sue possibilità concrete di guadagno all’interno dello specifico mercato del lavoro nel quale si trovava a vivere. In questo modo il trattamen-to di invalidità ha conosciuto una vastissima applicazione specie nelle aree più depres-se del nostro paese finendo con l’assumere una impro-pria funzione assistenziale di tutela generica della disoccu-pazione e di integrazione del reddito per centinaia di mi-gliaia di famiglie.

Il nuovo concetto di inva-lidità ha fatto sorgere una questione di grande rilievo sul piano dei principi che è quella relativa al cosiddetto “ rischio precostituito”. Si in-tende per tale la condizione del soggetto già invalido pri-ma dell’inizio del rapporto assicurativo.

Nella vigenza dell’art.10 del R.d.l. n. 636 del 1939 si era consolidata una giuri-sprudenza che escludeva la possibilità di erogare la pen-sione di invalidità quando il rischio si era già verificato.

A base di questa giuri-sprudenza era la convinzione

che alla tutela previdenziale potessero applicarsi in virtù del richiamo dell’art. 1886 del c.c. – in base al quale le assicurazioni sociali sono disciplinate dalle leggi spe-ciali e, in mancanza, si appli-cano le norme del contratti di assicurazione provata – le norme di cui all’art. 1895 del-lo stesso codice, che dichiara nullo il contratto di assicura-zione quando il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclu-sione del contratto stesso.

La profonda evoluzione subita dal fondamento della tutela previdenziale derivan-te dall’art. 38 della Costitu-zione ha superato la norma di richiamo di cui all’art. 1886 c.c..

Con due sentenze la Corte Costituzionale, pur escluden-

do l’applicabilità delle dispo-sizioni del codice civile, ave-va concluso che l’elemento del rischio precostituito do-veva ritenersi insito anche nel precetto dell’art. 38, 2° comma, della Costituzione.

Ad avviso della Corte la disciplina dell’invalidità pen-sionabile comportava la con-seguenza che il soggetto il quale si inseriva nel mondo del lavoro con capacità ridot-ta oltre il terzo, non avrebbe potuto mai conseguire la pensione di invalidità, pur essendo tenuto alla contribu-zione. E ciò anche nell’ipotesi di una riduzione ulteriore della capacità di guadagno. La Corte, nel giudicare irra-zionale tale disciplina, ha considerato che l’alea che legittima la tutela è rappre-sentata dalla eventuale mo-

dificazione della situazione preesistente a causa dell’aggravarsi delle infermi-tà già in atto o dell’intervento di nuove in-fermità. Ulteriori questioni si pongono in rapporto alle ipotesi nelle quali la meno-mazione della capacità lavo-rativa sia dovuta a dolo o a colpa dell’assicurato.

Nel caso di dolo, cioè di una menomazione procura-tasi dal soggetto con la finali-tà di ottenere la prestazione, è applicabile l’art.40 del d.P.R. n. 488/1968 che preve-de nel fatto un reato.

Rilevante è perciò l’intenzione rivolta a procu-rare la prestazione. Ne con-segue che qualora lo stato invalidante derivi da tentato suicidio non può negarsi la concessione della prestazio-ne di invalidità, sussistendo-ne beninteso i requisiti.

In tale ipotesi, infatti, l’azione del soggetto è volon-taria, ma certamente non rivolta all’intento di conse-guire la prestazione.

Nemmeno rileva ai fini preclusivi della prestazione l’eventuale colpa del sogget-to nella determinazione dello stato invalidante. Ciò sia per-ché a questi fini la legge con-templa esclusivamente l’ipotesi del dolo, sia perché esistono numerosi fattori che determinano l’insorgere e l’aggravarsi delle infermità indipendentemente dal com-portamento tenuto dal sog-getto. Anche nel caso di etili-smo o di uso di droghe non sussiste la condizione preclu-siva all’erogazione della pre-stazione in invalidità, salvo che si verifichi l’ipotesi, alta-mente improbabile, di una condotta del soggetto inten-zionalmente finalizzata alla precostituzione delle condi-zioni per l’erogazione della pensione.

di Mario Di Corato

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Anno V n. 1, 20 marzo 2013 ISSN 1972-7704 5

Negli ultimi anni, il feno-meno del mobbing, è stato ampiamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica, nonché del nostro legislatore, da parte di giuri-sprudenza e dottrina.

In particolare, la Suprema Corte, ha tentato, per quanto possibile secondo le preroga-tive costituzionali attribuite-le, di fornire una risposta a quei cittadini che, avendo subito una serie di ripetute vessazioni sul posto di lavo-ro, adiscano l’autorità giudi-ziaria per ottenere il ristoro del danno biologico subito.

Si aggiunga che diverse regioni, prima fra tutte il Lazio, hanno tentato negli ultimi anni, di legiferare in materia di vessazioni sul posto di lavoro, ricevendo tuttavia la censura della Cor-te Costituzionale, per viola-zione dell’articolo 117 della Costituzione, disciplinante il riparto di competenze tra Stato e regioni.

Appare ormai chiaro che anche la legislatura decimo settima, stante il quadro di ingovernabilità che si pro-spetta, trascorrerà senza da-re i natali ad una legge sul

mobbing, tanto auspicata dai più autorevoli giuslavoristi.

Pur tuttavia, è molto im-portante che l’attenzione mediatica, su un fenomeno così subdolo e pericoloso, resti alta, in attesa di tempi politicamente migliori.

A tal proposito, sembra interessante osservare il pa-norama normativo spagnolo, trattandosi di un ordinamen-to, per molti aspetti simile al nostro.

Orbene, pur non essendo-ci in terra iberica, una legge civilistica in materia di mob-bing, non sarebbe corretto affermare che il fenomeno è stato ignorato.

Infatti, basta sfogliare il giovane Codigo Penal, in vigore dal 1995, per accor-gersi di una norma di gran-de interesse, quale l’articolo 173.

Il primo comma, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni, chiunque “infligga ad altra persona un trattamento degradante, mi-nando gravemente la sua integrità morale”.

Con legge organica del 22 giugno 2010, a tale periodo sono stati aggiunti altri due

incisi, il primo dei quali ri-guarda proprio le vessazioni sul lavoro, ovvero il fenome-no dell’acoso laboral (per uti-lizzare la terminologia spa-gnola).

Tale inciso prevede che saranno puniti con la stessa pena coloro che, “in qualun-que rapporto di lavoro, uti-lizzando la propria posizio-ne sovraordinata”, pongano in essere atti ostili e vessatori nei confronti di altro lavora-tore.

Una formulazione siffatta, appare certamente equivoca-bile, e quantomeno criticabi-le sotto il profilo della chia-rezza terminologica.

Tuttavia è lecito affermare che in Spagna le vessazioni sul lavoro hanno una rile-vanza penale, tanto da esse-re classificate tra i delitti contro l’integrità morale.

Ma v’è di più. Nel giugno 2011 il gover-

no spagnolo ha approvato un regolamento, che tipizza alcuni comportamenti, in-quadrandoli nel c.d. acoso laboral.

Tra i principali comporta-menti individuati dal regola-mento, ricordiamo, il sottrar-

re al lavoratore qualunque mansione, lasciandolo dun-que senza far nulla, il ripren-derlo di continuo e davanti a tutti, nonché diffondere noti-zie false sulla sua vita priva-ta. Alla luce di tale regola-mento, che comunque ha valenza solo nelle pubbliche amministrazioni, le condotte citate, sono considerate co-me “mobbizzanti”, ovvero classificabili nell’ acoso labo-ral.

Ordunque, sebbene in Spagna non esista una legge civile sul mobbing, e proba-bilmente, sia lontana dall’essere scritta, il fenome-no trova comunque una trac-cia di regolamentazione, sia sotto il profilo penale, sia attraverso una norma di ran-go inferiore a quello legisla-tivo, quale il regolamento, tipico strumento dei governi europei.

Questo dovrebbe essere senz’altro uno sprone per il nostro legislatore, con l’auspicio che il fenomeno del mobbing, tragicamente devastante per chi lo subi-sce, possa essere limitato attraverso una seria politica a tutela dei lavoratori.

Il mobbing in terra spagnolaIl mobbing in terra spagnolaIl mobbing in terra spagnolaIl mobbing in terra spagnola

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di Valerio Antonio Belsito

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ISSN 1972-7704 Anno V n. 1, 20 marzo 20136

La sicurezza delle donne sul lavoro è sempre stata associata, essenzialmente, al suo stato di gravidanza mentre del tutto disat-tesa è stata l’analisi dei rischi connessa alla differenza tra i sessi sul piano biologico, fisiolo-gico e sociale che, in quanto non riconosciuti, non possono essere prevenuti.

A tal proposito non si parla soltanto dei possibili rischi diver-si tra i due generi conseguenti dall’esposizioni a possibili agenti chimici e biologici, ma anche a quelli derivanti da situazioni di stress lavoro correlato e tensioni psico-sociali a cui le donne sono maggiormente esposte rispetto ai loro colleghi uomini.

Sebbene con il decreto legi-slativo n. 81/2008 il legislatore abbia introdotto un nuovo ap-proccio nella valutazione dei rischi alla salute ed alla sicurezza nei luoghi di lavoro, consideran-do oltre a quelli già noti (chimico, biologico, fisico, ergo-nomico, ecc.), anche i rischi di carattere organizzativo e psicoso-ciale, la valutazione di quelli ulteriori connessi alle differenze di genere ha mantenuto, sostan-zialmente, una posizione neutra-le, nonostante la previsione della Commissione consultiva perma-nente con il compito di promuo-vere la considerazione della dif-ferenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi ed alla predisposizione delle misure di prevenzione e del Sistema infor-mativo nazionale per la preven-zione, con la finalità di fornire dati utili per orientare, program-mare, pianificare e valutare l’efficacia della attività preventi-va.

A tal proposito non si parla soltanto dei possibili rischi diver-si tra i due generi conseguenti dall’esposizioni a possibili agenti chimici e biologici, ma anche a quelli derivanti da situazioni di stress lavoro correlato e tensioni psico-sociali a cui le donne sono maggiormente esposte rispetto ai loro colleghi uomini. Con riguar-do ai processi di lavoro ed ai sistemi organizzativi le donne evidenziano una maggiore debo-lezza sul piano della sicurezza, più contenuto riguardo ai rischi da infortunio ed alquanto mag-giore per le malattie professionali e nelle patologie derivanti da

discriminazioni, pratiche di mo-lestie e mobbing.

La criticità di tali aspetti è legata al tipo di attività che le stesse prestano, essendo concen-trate prevalentemente nei servizi, nella pubblica amministrazione, nella sanità ed in settori tradizio-nalmente meno “pesanti” rispetto all’industria (nella quale svolgo-no prevalentemente compiti am-ministrativi) o all’agricoltura. L’ambiente di lavoro, pertanto, si dimostra essere uno degli indica-tori sull’impatto antinfortunisti-co.

Un’analisi preventiva efficace sui rischi alla salute ed alla sicu-rezza delle donne, tuttavia, non può prescindere anche da altri fattori come i tempi di lavoro, le modalità e gli stili, i riconosci-menti, i benefici, le carriere, la cultura e la famiglia, intersecan-dosi con tutti gli aspetti struttura-li dei sistemi di genere: dal lavo-ro di mercato, al lavoro di cura all’organizzazione dei tempi, alla capacità di produrre reddito o di avere, meramente, voce in meri-to. Il pericolo di esposizione del-le donne ai rischi anche sociali è, altresì, legato ai modelli di orga-

nizzazione del lavoro declinati su sistemi di flessibilità che esclu-dono le donne da determinate posizioni professionali, da com-petenze non stereotipate e da polivalenze che deprimono i ta-lenti e le motivazioni al lavoro.

Tali considerazioni non trova-no ancora una effettiva corri-spondenza nella diffusione di una cultura della sicurezza e del be-nessere lavorativo.

Se infatti l’attenzione è stata posta su importanti interventi legislativi sul tema generale della salute e della sicurezza, di fatto la continua definizione di proce-dure, norme e regole che favori-scano il rispetto e l’attenzione nei confronti della sicurezza nel lavoro e sui luoghi di lavoro, non consente una prospettiva di lungo periodo di processi innovativi, quanto piuttosto un rispetto me-ramente formale delle prescrizio-ni. Sullo specifico tema della salute e della sicurezza delle donne lavoratrici, seppur partico-lare attenzione è stata data dalle recenti innovazioni legislative, è mancata la consapevolezza e la riflessione agli specifici rischi di

genere connessi all’attività lavo-rativa.

Tale carenza emerge non solo a livello statistico, che trascura la variabile di genere nell’analisi degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, ma anche con riguardo alla stessa percezio-ne da parte delle donne dei rischi specifici sul lavoro ai quali sono esposte. Infatti il livello di perce-zione del rischio in generale, da quello ambientale e del luogo di lavoro, a quello legato allo stress e alle relazioni sociali sul luogo di lavoro, nonché a quello relati-vo a infortuni e malattie, è al-quanto sottostimato dalle donne lavoratrici, spesso ignare, soprat-tutto, di quelli di lungo periodo, anche in ragione della scarsa partecipazione a specifici corsi di formazione sulla salute e sicurez-za.

A tal proposito seppur l’accordo sulla formazione sotto-scritto il 21 dicembre 2011 in sede di Conferenza Stato-Regioni abbia determinato «la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione, non-ché dell’aggiornamento» dei lavoratori e delle lavoratrici, come definiti dall’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 81/2008, lo stesso non disciplina compiuta-mente né la formazione dei lavo-ratori in merito a rischi specifici - rinviando alla mera previsione di cui all’art. 28, comma 1 del cita-to decreto legislativo, in riferi-mento ai rischi ricollegabili a gruppi particolari di lavoratori (lavoratrici in stato di gravidan-za, differenze di genere, età, pro-venienza da altri paesi, tipologia contrattuale) - né contiene una previsione formativa differenzia-ta per genere.

Un approccio strutturalmente attento alla soggettività dovrebbe comportare non solo il coinvolgi-mento dei lavoratori nell’azione preventiva, attraverso l’acquisizione di competenze volte ad individuare stress, fatica, stanchezza, rischi lavorativi, prima che questi fattori agiscano cronicamente, ma anche la parte-cipazione del medico competente all’effettuazione della valutazio-ne dei rischi da individuarsi ad personam oltre che su gruppi omogenei (per esposizione, ad esempio, ad agenti biologici, cancerogeni e mutageni).

Sicurezza e salute nei luoghi di lavoroSicurezza e salute nei luoghi di lavoroSicurezza e salute nei luoghi di lavoroSicurezza e salute nei luoghi di lavoro

di Daniela Cervellera

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Anno V n. 1, 20 marzo 2013 ISSN 1972-7704 7

Il giorno 1 febbraio si è i n a u g u r a t o p r e s s o l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, nell’aula delle lauree “Gaetano Con-tento” il Master di II livello in Gestione e Prevenzione mul-tidisciplinare del mobbing, or-ganizzato dai dipartimenti di Giurisprudenza e di Medici-na e Chirurgia della Univer-sità di Bari.

Prima di queste quattro edizioni, negli anni prece-denti, si erano tenute altre due di primo livello

Alla presentazione del cor-so, tenuta dal coordinatore del master prof. Tommaso Germano, dai condirettori prof. Gaetano Veneto e prof. Sergio Schonauer e dai do-

centi prof. Francesco Fischet-ti e avv. Antonio Belsito, hanno preso parte gli oltre trenta iscritti al master.

La lezione inaugurale è inoltre stata seguita, nel po-meriggio, dall’incontro sul tema: Mobbing e discrimina-zioni. I nuovi licenziamenti, con relatori il prof. Nicola De Marinis dell’Università degli Studi del Molise , il prof. Ga-etano Veneto ed il prof. Tom-maso Germano, con gli inter-venti dell’avv. Antonio Belsi-to e quello dei neo diplomati che hanno commentato alcu-ne parti del volume I nuovi licenziamenti elaborato a cura del prof. De Marinis.

S o n o i n t e r v e n u t i , nell’ordine, il dott. Mario

Togo, la dr.ssa Annamaria Palmieri, il dott. Pasquale La

nera e la dr.ssa Daniela Gian-nini.

Con l’adesione di oltre 30 iscritti si è inaugurato a Bari il master di II livello in Prevenzione e gestione multidisciplinare del mobbing, giunto alla sua quarta edizione

Da sinistra il prof. Nicola De Marinis, il prof. Tommaso Germano, il prof. Gaetano Veneto e l’Avv. Antonio Belsito

Sabato 16 marzo, nell’aula “ G a e t a n o C o n t e n t o ” dell’Università degli Studi di Bari si è concluso il corso d e l l ’ a n n o a c c a d e m i c o 2011/2012 con la seduta di diploma dei frequentanti il master di II livello di Preven-

zione e Gestione multidisci-plinare del mobbing.

La Commissione, presie-duta dal prof. Tommaso Ger-mano, componenti prof. Ser-gio Schonauer, prof. France-sco Fischetti, prof.ssa Maria Costantino, avv. Antonio Bel-

sito, avv. Daniela Cervellera, ha approvato tutte le prove finali dei candidati che hanno discusso le loro rispettive tesi.

Un plauso finale è stato rivolto dal presidente prof. Tommaso Germano a tutti i partecipanti, ai docenti ed al

tutor (dr.ssa Mariella Basile) per l’impegno profuso e gli ottimi risultati conseguiti in questa terza edizione.

Ai neo diplomati vanno gli auguri della Redazione .

Bollettino del Centro Studi Diritto dei Lavori ——————— Anno V n. 1

Supplemento al n. 1 Anno VIII de

la bilancia Reg. Tribunale Trani n. 14/06

20 marzo 2013 ISSN 1972-7704

Direttore Scientifico Gaetano Veneto

Direttore Responsabile Luca De Ceglia

Direttore Editoriale Antonio Belsito

In Redazione: Daniela Cervellera

Caporedattore

Antonio De Simone, Maria Mangiatordi, Maurantonio

Di Gioia, Domenico Di Pierro

e-mail: [email protected]

Nella foto i neo diplomati al master insieme ai docenti

TUTTI DIPLOMATI CON MERITO I CORSISTI DELLA PRECENDENTE EDIZIONE DEL MASTER

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ISSN 1972-7704 Anno V n. 1, 20 marzo 20138