IL KOSOVO E I BALCANI NELLE MAGLIE DELL’ … · Montenegro,odireligionedeltuttodiversa Italia,...

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- il Comunista - Bimestrale - Una copia L.2.000 Abb.ann. 12.000; sost. 25.000 - El programa comunista - Rivista teorica in spagnolo Unacopia L. 5.000 - le prolétaire - Bimestrale - Una copia L.2.000 Abb. ann. 12.000;sost. 25.000 -programmecommuniste- Rivista teorica in francese Una copia L. 5.000 DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx a Lenin, alla fondazione dell' Internazionale Comunista e del Partito Comunista d' Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell' Internazionale, contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell'organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco. IL COMUNISTA anno XVII - N. 66 Giugno1999 Spedizione in Abbonamento postale - Milano 70 % - Filiale di Milano organo del partito comunista internazionale IL KOSOVO E I BALCANI NELLE MAGLIE DELL’ IMPERIALISMO guerra e pace dell’ imperialismo americano e dei suoi attuali alleati europei Questo è il portato dei civilissimi paesi occidentali che si sono arrogati il “diritto” di “ingerenza umanitaria” a suon di bombardamenti della Jugoslavia. Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale non vi è stata alcuna “dichiarazione di guerra” formale da parte della Nato; e non vi è stata nemmeno la solita foglia di fico del “mandato ONU”, ma solo la secca decisione di intervenire militarmente contro uno Stato che ha avuto l’ ardire di non piegarsi ai disegni delle maggiori potenze mondiali, e degli Stati Uniti in particolare. Il pretesto? Fermare la sua opera “interna” di repressione sistematica e di pulizia etnica nei confronti della popolazione kosovara di origine albanese. Che sia un pretesto lo confermano le decine e decine di situazioni nel mondo in cui la pulizia etnica, insomma la cacciata armi alla mano di intere popolazioni di ceppo o di religione diversi, è stata ed è attuata normalmente: basta ricordare il modo in cui è stato fatto nascere lo Stato di Israele contro i palestinesi, l’ecatombe di armeni, la repressione sistematica dei curdi, per non parlare delle popolazioni indiane nell’America del Nord e dei neri, o delle popolazioni indios in America Latina, o dei pogrom di ebrei in Russia o l’ antisemitismo della civilissima Europa, degli zingari in tutti i paesi. La pulizia etnica è un portato storico delle società divise in classi che la società capitalistica - l’ ultima società divisa in classi che la storia umana conosca - ha elevato all’ennesima potenza. Finchè esisterà il capitalismo, finchè le classi borghesi manterranno il potere nelle loro mani, il razzismo, la discriminazione razziale, la pulizia etnica a mano armata non spariranno mai. Perché spariscano, perché vengano eliminati per sempre dalla vita sociale umana ci vuole una forza sociale e di classe geneticamente antagonista alla borghesia e a tutte le classi possidenti, e questa forza è solo il proletariato che per dirigerla in modo storicamente e praticamente efficace, deve diventare classe per , classe rivoluzionaria , diretta dall’ organo rivoluzionario per eccellenza, il partito politico di classe, il partito comunista rivoluzionario e, quindi, internazionale. 79 giorni di bombardamenti continui ai quali l’ imperialismo italiano, assieme all’ americano, britannico, tedesco, e francese, ha partecipato pienamente, volutamente e interessatamente mettendo a disposizione le proprie basi militari, la propria marina militare e la propria aviazione, provando così per la prima volta un vero e proprio intervento di guerra. Al consesso delle 24 marzo - 10 giugno 1999: 79 giorni di bombardamenti continui, sulle città serbe e kosovare, da parte delle forze aeree delle maggiori potenze imperialiste del mondo riunite nella Nato. Più di mille morti civili, diverse migliaia di militari serbi ammazzati (alcuni giornali parlano di 5000 soldati); distruzione sistematica di ponti, aeroporti, fabbriche, centrali elettriche, ospedali, caserme, depositi militari, palazzi delle televisioni ecc.; alcune città rase praticamente al suolo come Pristina; l’ economia jugoslava distrutta e spinta nell’arretratezza di cinquant’anni fa. Alcuni giornali riportano un dato per la ricostruzione: oltre 50 miliardi di dollari, contro i 77 miliardi di dollari che è costata finora la guerra alla Serbia, cifra che la permanenza delle truppe Nato in Kosovo per molto tempo farà salire parecchio. grandi potenze del mondo, l’ Italia guidata da ex picisti, ex socialisti, ex democristiani, ex extraparlamentari di sinistra - guidata, in sostanza, da personale politico perfettamente riciclabile a seconda dei momenti storici e delle esigenze della patria borghese - può vantare il privilegio di essere considerata un “alleato affidabile”, una forza importante che ha quindi “diritto” di ottenere un “riconoscimento” da parte degli altri potenti briganti imperialisti del mondo. Nel gioco imperialistico della spartizione del mondo, l’ Italia rivendica una fettina di influenza - e di territorio politico ed economico - più ampia che in precedenza. Alla faccia dei kosovari albanesi e dei proletari di qua e di là dell’Adriatico! Ogni intervento militare ha più spiegazioni. Vi sono le ragioni ideologiche, di propaganda,che servonoper raccogliere consensi, per “compattare” la popolazione intorno allo sforzo militare; vi sono ragioni diplomatiche, di convenienza e di alleanza fra Stati, e vi sono ragioni economiche e politiche, oltre che militari. Le motivazioni ideologiche che ogni borghesia dominante adduce a sostegno delle proprie ragioni e dei propri interessi sono sempre e soltanto una copertura, un inganno. Lo sono state quelle che difendevano la democrazia contro il totalitarismo ieri, quando la società umana sembrava divisa tra fascismo e antifascismo; come lo sono quelle che difendono oggi i diritti umani dei popoli contro la pulizia etnica , quando la propaganda borghese di ogni genere vuol far credere che la società umana sia divisa fra garanti dei diritti umani e aggressori di popolazioni indifese. Dove sta l’inganno? L’inganno, in verità, è duplice: sia gli “aggressori” che gli “aggrediti” sostengono lo stesso impianto ideologico, si rifanno agli stessi accordi internazionali sanciti nella carta dell’ONU, difendono lo stesso principio della sovranità nazionale, sono interessati allo stesso titolo alla conservazionesocialecapitalistica, dunque allo sfruttamento più intensivo possibile del lavoro salariato. La Jugoslavia post- titina, borghese quanto la Jugoslavia di Tito, rivendica il diritto di risolvere i propri problemi interni con i mezzi e i metodi che ritiene più opportuni: lo ha fatto e lo fa contro gli operai in sciopero, lo ha fatto e lo fa contro coloro che considera terroristi”o“fiancheggiatori”, come nel caso dei “ribelli” kosovaro-albanesi che siano o no membri del recentissimo UCK (sedicente esercito di liberazione del Kosovo). E’ questo un diritto che ogni borghesia dominante si arroga, naturalmente con la forza, e che mette in pratica innanzitutto all’ interno del territorio che domina, all’ interno del proprio Stato e di quei paesi che ha eventualmente conquistato con la guerra; è esattamente quello che ha fatto e fa Londra nei confronti dell’Irlanda e di quelli che erano i suoi domini coloniali, così come la Francia rispetto alla sue colonie, e la stessa Italia quando si era impossessata di Libia, Etiopia, Eritrea, Somalia, Albania. La borghesia serba contro tutti La borghesia serba, oggi, nel tentativo di rafforzare il proprio dominio politico ed economico all’ interno del territorio che controlla, in una parte del quale vivono popolazioni di origine diversa, come gli albanesi nel Kosovo, gli ungheresi nella Vojvodina, i montenegrini nel Montenegro, o di religione del tutto diversa Italia, alleato leale e affidabile: l’intervento militare Nato contro la Jugoslavia, e la sua conclusione dopo 79 giorni di incessanti bombardamenti di obiettivi militari e di obiettivi civili scambiati per militari, hanno dato la possibilità a baffino D’Alema di esternare la più bieca posizione imperialistica della classe dominante italiana. L’11 giugno scorso, alla base di Katlanovo in Macedonia dove stazionava il contingente militare italiano di 5.500 soldati pronti ad entrare in Kosovo per la loro “missione di pace”, D’Alema si è rivoltoaloroconquesteparole: “ L’Italia esce da questo conflitto con un maggior prestigio internazionale. Inquesti tre mesi abbiamo fatto cose che hanno meritato il rispetto di tutti”(la Repubblica, 12.6.99). E’ noto che ad una potenza imperialista ciò che sta più a cuore nell’ attività della propria alleanza è “il maggior prestigio internazionale”eil“rispetto di tutti”, grazie ai quali essa ha l’occasione di rafforzare il proprio peso e la propria influenza mondiale e di fare migliori affari che in precedenza. Ma quali “cose” hanno fatto gli Italia: il governo D’Alema fa la guerra alla Serbia e guadagna in prestigio internazionale, sulla pelle dei proletari serbi e kosovari, come su quella dei proletari italiani irreggimentati dai sindacati nel sostegno militare dell’imperialismo italiano italiani per meritarsi il rispetto di tutti? Prima di tutto i raid aerei dei propri Tornado, naturalmente. Nella ripresa filmata diretta di uno di questi raid, documenta la Repubblica, e utilizzata assieme ad altre 1378 missioni di guerra dell’ aeronautica italiana dal ministro della Difesa Scognamiglio come esempio del coinvolgimento italiano nella guerra alla Serbia, si sono sentite le voci dei piloti italiani mentre inquadravano e colpivano l’obiettivo prefissato: “Ce l’hai?”, “Ce l’ho”. “Ok. Vai, vai... 30 secondi”. “Ce l’hai?”, “Ce l’ho. Ho ricontrollato tutto, tutto Ok”.“Tutto Ok dietro”.“15 secondi... 10... 5 secondi...”. “Vai, vai...”. “Smash, colpito!”. Non è un videogioco, è andata proprio così, con l’orgoglio e l’entusiasmo finali per aver colpito il bersaglio, tra l’altro senza pericoli di contraerea. Conversazioni di questo tipo hanno caratterizzato tutte le missioni aeree Nato, ovviamente, anche quelle che hanno colpito molti obiettivi civili “scambiati” per militari o per gli ormai famosi “errori”, come le scuole (Segue a pag. 5) (Segue a pag. 2) Un milione di infortuni e circa 1300 morti ogni anno sono il tragico bilancio ufficiale di una guerra non dichiarata, ma che si svolge di fatto quotidianamente nei posti di lavoro in Italia. Cifre ufficiali di per sè già gravi, ma che non rappresentano tuttavia la realtà, visto che tengono conto soltanto del lavoro regolare e degli incidenti denunciati, tagliando fuori completamente tutte le imprese che lavorano in nero (e allora gli infortuni salirebbero almeno a 2 milioni l’anno, secondo le stime dei bonzi sindacali). L’ Italia, dunque, secondo questi dati, oltre ad avere un incremento consistente degli infortuni e delle malattie professionali (perlomeno di quelle riconosciute) avrebbe anche la maglia nera di questo tragico primato in Europa. INFORTUNISULLAVORO UNA GUERRA NON DICHIARATA CHE FINIRA’ SOLO CON L’ELIMINAZIONE DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO Questi dati danno in verità più il senso di una tendenza che della effettiva realtà; infatti, una serie di malattie prodotte e acquisite sul posto di lavoro non vengono riconosciute semplicemente perché le sempre nuove sostanze che vengono introdotte nei cicli produttivi, e le nuove tecnologie, agiscono intaccando la salute dei proletari dopo anni! E fino a quando il numero di morti o di invalidi non sarà molto consistente e chiaramente collegato a quelle determinate cause, specifiche di quella produzione e di quella metodologia produttiva, gli organismi ufficiali non ne daranno notizia: è risaputo che determinate sostanze causano gravi danni alla salute umana, è risaputo che molte sostanze usate nei cicli produttivi, e presenti nei prodotti finali pronti all’ utilizzo o al consumo, fanno insorgere tumori magari dopo venti, trent’anni, ma fino a quando la medicina borghese ufficiale non ha catalogato numerosi casi di ugual natura, quelle morti, quelle malattie evidentemente professionali, non vengono “riconosciute” - e quindi gli interventi pratici, oltre che legislativi, non sono sottoposti ad obbligo alcuno. Insomma il capitale e la borghesia che lo maneggia, nell’epoca della rivoluzione tecnologica continua, si sono dati un cospicuo margine di tempo (20-30 anni almeno, ma per il DDT se ne sono presi 70) prima di dover intervenire in qualche modo per temperare gli effetti disastrosi di molte produzioni nocive. Citiamo ad esempio il caso dell’amianto, oppure del CUM, due sostanze largamente impiegate all’epoca del boom economico, l’una soprattutto nell’edilizia per le sue proprietà isolanti, l’altra nella produzione di svariati tipi di plastiche; esse rispondevano ad obiettivi sempre importanti per i capitalisti: basso costo di produzione, largo impiego per il mercato, grandi quantità di profitto intascate. Solo dopo molti anni in cui si sono registrati centinaia di casi mortali - e sono causa di morti tuttora - si è arrivati a bandirle e denunciarle come produzioni nocive per la salute dell’uomo (non solo per chi le lavora ma anche per coloro che ne vengono poi a contatto, come ad (Segue a pag. 9) - L'economia mondiale sotto un vulcano; - Le BR sono tornate?; - La vera opposizione agli interventi militari e di guerra è nella lotta di classe del proletariato; - La solidarietà proletaria internazionalista; - Terrrorismo e comunismo VII; - La repressione non ci deve fermare. NELL'INTERNO

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- ilComunista-Bimestrale-UnacopiaL.2.000Abb.ann.12.000;sost.25.000-Elprogramacomunista-

Rivista teorica inspagnoloUnacopiaL.5.000

- leprolétaire-Bimestrale -UnacopiaL.2.000Abb.ann.12.000;sost.25.000-programmecommuniste-

Rivista teorica in franceseUnacopiaL.5.000

DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO : la linea da Marx a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d' Italia; alla lotta della sinistracomunista contro la degenerazione dell' Internazionale, contro la teoria del socialismo in unpaese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchipartigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell'organo rivoluzionario,a contatto con la classe operaia, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco.

IL COMUNISTAanno XVII - N. 66

Giugno1999Spedizione in Abbonamento

postale - Milano70 % - Filiale di Milano

organo del partito comunista internazionale

IL KOSOVO E I BALCANINELLE MAGLIE DELL’

IMPERIALISMOguerra e pace dell’ imperialismo

americano e dei suoi attuali alleati europei

Questo è il portato dei civilissimipaesi occidentali che si sono arrogati il“diritto” di “ingerenza umanitaria” a suondi bombardamenti della Jugoslavia. Per laprima volta dalla fine della seconda guerramondiale non vi è stata alcuna“dichiarazione di guerra” formale da partedella Nato; e non vi è stata nemmeno lasolita foglia di fico del “mandato ONU”,ma solo la secca decisione di interveniremilitarmente contro uno Stato che ha avutol’ ardire di non piegarsi ai disegni dellemaggiori potenze mondiali, e degli StatiUniti in particolare. Il pretesto? Fermarela sua opera “interna” di repressionesistematica e di pulizia etnica nei confrontidella popolazione kosovara di originealbanese. Che sia un pretesto loconfermano le decine e decine di situazioninel mondo in cui la pulizia etnica, insommala cacciata armi alla mano di interepopolazioni di ceppo o di religione diversi,è stata ed è attuata normalmente: bastaricordare il modo in cui è stato fattonascere lo Stato di Israele contro ipalestinesi, l’ecatombe di armeni, larepressione sistematica dei curdi, per nonparlare delle popolazioni indianenell’America del Nord e dei neri, o dellepopolazioni indios in America Latina, odei pogrom di ebrei in Russia o l’antisemitismo della civilissima Europa,degli zingari in tutti i paesi.

La pulizia etnica è un portatostorico delle società divise in classi che lasocietàcapitalistica - l’ultimasocietàdivisain classi che la storia umana conosca - haelevato all’ennesima potenza. Finchèesisterà il capitalismo, finchè le classiborghesi manterranno il potere nelle loromani, il razzismo, la discriminazionerazziale, la pulizia etnica a mano armatanon spariranno mai. Perché spariscano,perché vengano eliminati per sempre dallavita sociale umana ci vuole una forzasociale e di classe geneticamenteantagonista alla borghesia e a tutte leclassi possidenti, e questa forza è solo ilproletariato che per dirigerla in modostoricamente e praticamente efficace, devediventare classe per sè , classerivoluzionaria , diretta dall’ organorivoluzionario per eccellenza, il partitopolitico di classe, il partito comunistarivoluzionario e, quindi, internazionale.

79 giorni di bombardamenticontinui ai quali l’ imperialismo italiano,assieme all’ americano, britannico,tedesco, e francese, ha partecipatopienamente, volutamente einteressatamente mettendo a disposizionele proprie basi militari, la propria marinamilitare e la propria aviazione, provandocosì per la prima volta un vero e propriointervento di guerra. Al consesso delle

24 marzo - 10 giugno 1999: 79 giorni di bombardamenti continui, sulle cittàserbe e kosovare, da parte delle forze aeree delle maggiori potenze imperialistedel mondo riunite nella Nato. Più di mille morti civili, diverse migliaia di militariserbiammazzati (alcunigiornaliparlanodi5000soldati);distruzionesistematicadi ponti, aeroporti, fabbriche, centrali elettriche, ospedali, caserme, depositimilitari, palazzi delle televisioni ecc.; alcune città rase praticamente al suolocome Pristina; l’ economia jugoslava distrutta e spinta nell’arretratezza dicinquant’anni fa. Alcuni giornali riportano un dato per la ricostruzione: oltre50 miliardi di dollari, contro i 77 miliardi di dollari cheè costata finora la guerraalla Serbia, cifra che la permanenza delle truppe Nato in Kosovo per moltotempo farà salire parecchio.

grandi potenze del mondo, l’ Italia guidatada ex picisti, ex socialisti, exdemocristiani, ex extraparlamentari disinistra - guidata, in sostanza, da personalepolitico perfettamente riciclabile aseconda dei momenti storici e delleesigenzedella patria borghese - può vantareil privilegio di essere considerata un“alleato affidabile”, una forza importanteche ha quindi “diritto” di ottenere un“riconoscimento” da parte degli altripotenti briganti imperialisti del mondo.Nel gioco imperialistico della spartizionedel mondo, l’ Italia rivendica una fettina diinfluenza - e di territorio politico edeconomico - più ampia che in precedenza.Alla faccia dei kosovari albanesi e deiproletari di qua e di là dell’Adriatico!

Ogni intervento militare ha piùspiegazioni. Vi sono le ragioni ideologiche,di propaganda,che servonoper raccogliereconsensi, per “compattare” la popolazioneintorno allo sforzo militare; vi sono ragionidiplomatiche, di convenienza e di alleanzafra Stati, e vi sono ragioni economiche epolitiche, oltre che militari.

Le motivazioni ideologiche cheogni borghesia dominante adduce asostegno delle proprie ragioni e dei propriinteressi sono sempre e soltanto unacopertura, un inganno. Lo sono statequelle che difendevano la democraziacontro il totalitarismo ieri, quando lasocietà umanasembrava divisa tra fascismoe antifascismo; come lo sono quelle chedifendono oggi i diritti umani dei popolicontro la pulizia etnica , quando lapropaganda borghese di ogni genere vuolfar credere che la società umana sia divisafra garanti dei diritti umani e aggressori dipopolazioni indifese. Dove sta l’inganno?

L’inganno, in verità, è duplice: siagli “aggressori” che gli “aggrediti”sostengono lo stesso impianto ideologico,si rifanno agli stessi accordi internazionalisanciti nella carta dell’ONU, difendono lostesso principio della sovranità nazionale,sono interessati allo stesso titolo allaconservazionesocialecapitalistica, dunqueallo sfruttamento più intensivo possibiledel lavoro salariato. La Jugoslavia post-titina, borghese quanto la Jugoslavia diTito, rivendica il diritto di risolvere i propriproblemi interni con i mezzi e i metodi cheritiene più opportuni: lo ha fatto e lo facontro gli operai in sciopero, lo ha fatto elo fa contro coloro che considera“terroristi” o “fiancheggiatori”, come nelcaso dei “ribelli” kosovaro-albanesi chesiano o no membri del recentissimo UCK(sedicente esercito di liberazione delKosovo). E’ questo un diritto che ogniborghesia dominante si arroga,naturalmente con la forza, e che mette inpratica innanzitutto all’ interno del

territorio che domina, all’ interno delproprio Stato e di quei paesi che haeventualmente conquistato con la guerra; èesattamente quello che ha fatto e fa Londranei confronti dell’Irlanda e di quelli cheerano i suoi domini coloniali, così come laFrancia rispetto alla sue colonie, e la stessaItalia quando si era impossessata di Libia,Etiopia, Eritrea, Somalia, Albania.

La borghesia serba contro tutti

La borghesia serba, oggi, neltentativo di rafforzare il proprio dominiopolitico ed economico all’ interno delterritorio che controlla, in una parte delqualevivonopopolazionidioriginediversa,comegli albanesi nel Kosovo, gli ungheresinella Vojvodina, i montenegrini nelMontenegro, o di religione del tutto diversa

Italia, alleato leale e affidabile:l’intervento militare Nato contro laJugoslavia, e la sua conclusione dopo 79giorni di incessanti bombardamenti diobiettivi militari e di obiettivi civiliscambiati per militari, hanno dato lapossibilità a baffino D’Alema di esternarela più bieca posizione imperialistica dellaclasse dominante italiana.

L’11 giugno scorso, alla base diKatlanovo in Macedonia dove stazionava ilcontingente militare italiano di 5.500soldati pronti ad entrare in Kosovo per laloro “missione di pace”, D’Alema si èrivoltoaloroconquesteparole: “L’Italiaesce da questo conflitto con un maggiorprestigio internazionale. Inquesti tre mesiabbiamo fatto cose che hanno meritato ilrispetto di tutti” (la Repubblica, 12.6.99).

E’ noto che ad una potenza imperialistaciò che sta più a cuore nell’ attività dellapropria alleanza è “il maggior prestigiointernazionale” e il “rispetto di tutti”,grazie ai quali essa ha l’occasione dirafforzare il proprio peso e la propriainfluenza mondiale e di fare migliori affariche in precedenza.

Ma quali “cose” hanno fatto gli

Italia: il governo D’Alema fa la guerraalla Serbia e guadagna in prestigio

internazionale, sulla pelle dei proletariserbi e kosovari, come su quella

dei proletari italiani irreggimentati daisindacati nel sostegno militare

dell’imperialismo italiano

italiani per meritarsi il rispetto di tutti?Prima di tutto i raid aerei dei propriTornado, naturalmente. Nella ripresafilmata diretta di uno di questi raid,documenta la Repubblica, e utilizzataassieme ad altre 1378 missioni di guerradell’ aeronautica italiana dal ministro dellaDifesa Scognamiglio come esempio delcoinvolgimento italiano nella guerra allaSerbia, si sono sentite le voci dei pilotiitaliani mentre inquadravano e colpivanol’obiettivo prefissato: “Ce l’hai?”, “Cel’ho”. “Ok. Vai, vai... 30 secondi”. “Cel’hai?”, “Ce l’ho. Ho ricontrollato tutto,tutto Ok”. “Tutto Okdietro”.“15 secondi...10... 5 secondi...”. “Vai, vai...”. “Smash,colpito!”.

Non è un videogioco, è andataproprio così, con l’orgoglio e l’entusiasmofinali per aver colpito ilbersaglio, tra l’altrosenzapericoli dicontraerea.Conversazionidi questo tipo hanno caratterizzato tutte lemissioni aeree Nato, ovviamente, anchequelle che hanno colpito molti obiettivicivili “scambiati” per militari o per gliormai famosi “errori”, come le scuole

(Segue a pag. 5)(Segue a pag. 2)

Un milione di infortuni e circa 1300 morti ogni anno sono il tragico bilancioufficiale di una guerra non dichiarata, ma che si svolge di fatto quotidianamente nei postidi lavoro in Italia. Cifre ufficiali di per sè già gravi, ma che non rappresentano tuttavia larealtà, visto che tengono conto soltanto del lavoro regolare e degli incidenti denunciati,tagliando fuori completamente tutte le imprese che lavorano in nero (e allora gli infortunisalirebbero almeno a 2 milioni l’anno, secondo le stime dei bonzi sindacali). L’ Italia,dunque, secondo questi dati, oltre ad avere un incremento consistente degli infortuni edelle malattie professionali (perlomeno di quelle riconosciute) avrebbe anche la maglianera di questo tragico primato in Europa.

INFORTUNISULLAVORO

UNA GUERRA NON DICHIARATACHE FINIRA’ SOLO CON L’ELIMINAZIONE

DEL MODO DI PRODUZIONECAPITALISTICO

Questi dati danno in verità più ilsenso di una tendenza che della effettivarealtà; infatti, una serie di malattie prodottee acquisite sul posto di lavoro non vengonoriconosciute semplicemente perché lesempre nuove sostanze che vengonointrodotte nei cicli produttivi, e le nuovetecnologie, agiscono intaccando la salutedei proletari dopo anni! E fino a quando ilnumero di morti o di invalidi non sarà

molto consistente e chiaramente collegatoa quelle determinate cause, specifiche diquella produzione e di quella metodologiaproduttiva, gli organismi ufficiali non nedaranno notizia: è risaputo che determinatesostanze causano gravi danni alla saluteumana, è risaputo che molte sostanze usatenei cicli produttivi, e presenti nei prodottifinali pronti all’ utilizzo o al consumo,fanno insorgere tumori magari dopo venti,

trent’anni, ma fino a quando la medicinaborghese ufficiale non ha catalogatonumerosi casi di ugual natura, quelle morti,quelle malattie evidentementeprofessionali, non vengono “riconosciute”- e quindi gli interventi pratici, oltre chelegislativi, non sono sottoposti ad obbligoalcuno. Insomma il capitale e la borghesiache lo maneggia, nell’epoca dellarivoluzione tecnologica continua, si sonodati un cospicuo margine di tempo (20-30anni almeno, ma per il DDT se ne sonopresi 70) prima di dover intervenire inqualche modo per temperare gli effettidisastrosi di molte produzioni nocive.

Citiamo ad esempio il casodell’amianto, oppure del CUM, duesostanze largamente impiegate all’epocadel boom economico, l’una soprattuttonell’edilizia per le sue proprietà isolanti,l’altra nella produzione di svariati tipi diplastiche; esse rispondevano ad obiettivisempre importanti per i capitalisti: bassocosto di produzione, largo impiego per ilmercato, grandi quantità di profittointascate. Solo dopo molti anni in cui sisono registrati centinaia di casi mortali - esono causa di morti tuttora - si è arrivati abandirle e denunciarle come produzioninocive per la salute dell’uomo (non soloper chi le lavora ma anche per coloro chene vengono poi a contatto, come ad

(Segue a pag. 9)

- L'economia mondiale sotto un vulcano; - Le BRsono tornate?; - La vera opposizione agli interventi

militari e di guerra è nella lotta di classe delproletariato; - La solidarietà proletaria

internazionalista; - Terrrorismo e comunismo VII; -La repressione non ci deve fermare.

NELL'INTERNO

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '992

CORRISPONDENZA E ORDINAZIONI

VANNOINDIRIZZATEA:ILCOMUNISTA

C. P. 10835 - 20110 MILANOVERSAMENTIA:

R. DE PRA' ccp n. 30129209,20100 MILANO

Direttore responsabile :RaffaellaMazzuca -Redattore-capo : Renato De Prà -Registrazione Tribunale Milano N.431/82.Stampa : Print Duemila s.r.l.,Albairate (Milano)

IL KOSOVO E I BALCANI NELLE MAGLIE DELL’ IMPERIALISMO

guerra e pace dell’ imperialismo americano e dei suoi attuali alleati europei

come i musulmani del Sangiaccato, e neltentativo di riconquistare il peso politico ediplomatico nell’area balcanica che avevaai tempi di Tito e che ha progressivamenteperso a causa delle separazioni (sostenutecome si sa dagli imperialismi europei esoprattutto da quello germanico) diSlovenia, Croazia, Macedonia e Bosnia, èspinta inevitabilmenteacompattare l’interapopolazione serba - dunque borghesi,contadini, proletari - accentuando allamassima potenzauna dellearmi più efficaciche possiede ogni borghesia: ilnazionalismo. E come ogni nazionalismo,anche quello serbo aveva ed ha bisogno diattuarsi non solo attraverso campagneideologiche e propagandistiche - come èavvenuto e avviene (ben sintetizzate dalloslogan: dove vive un serbo quella èSerbia, o incentrate nelle cosiddetteorigini storiche della Serbia proprio inKosovo grazie alla ormai famosa battagliadi Kosovo del 1389 - che in realtà è statauna tremenda sconfitta - contro l’imperoottomano - ossia contro i turchi - lanciatoallaconquistadell’Europa);essohabisognodi attuarsi attraverso fatti concreti eimportanti, tendenzialmente definitivi. Eunodi questi, per la borghesia serba guidataoggi da Milosevic, doveva essere lasottomissione definitiva della popolazionealbanese del Kosovo, storicamente ribellee causa di continua instabilità; che è lostesso obiettivo che si è posta ad es. laborghesia turca (e con questa le borghesieiraniana, irachena e siriana) nei confrontidella popolazione curda, non a caso trattatacome un popolo di terroristi vista la facilitàdi presa popolare delle campagneideologiche “contro il terrorismo”. Nellostesso tempo, la borghesia serba intendevaregolare i conti con il proletariato che indiverse occasioni - come lo scioperogenerale del marzo-aprile 1981, i duriscioperi dei minatori nel febbraio-marzodel 1989, i continui movimenti proletari diprotesta controla discriminazionesalarialetra proletari albanesi e serbi dal 1990 inpoi - l’aveva impegnata in lotte socialimettendo in situazione critica l’interoapparato dominante. E non c’ è come ilnazionalismo, sostenuto in questo caso dagiustificazioni razziali antialbanesi e, inseguito ai bombardamenti Nato,antioccidentali, per tentare di avviluppareil proletariato nella morsa delcollaborazionismo interclassista.

Ma la borghesia serba, in questotentativo di non indebolirsi oltre nell’ areabalcanica, si è andata a scontrare con lepolitiche di potenza dei più grandiimperialisti del mondo. Stati Uniti, GranBretagna,Germania, Italia,ossia la strutturaportante della Nato in Europa, e al lorofianco la Francia che è forza non inseritanella Nato (ancora per molto?) e dall’altraparte la Russia che è rimasta potenzanucleare di prima forza ma senza satelliticome ai tempi del Patto di Varsavia, hannotra di loro certamente interessi contrastantiche prima o poi provocheranno urti moltoforti; ma oggi nei riguardi dei Balcani -ossia di una zona di confine tra Occidentee Oriente europeo, strategica, e di granderilevanza anche rispetto al controllo “dall’alto” del Medio Oriente petrolifero -appaiono in qualche modo cointeressate adimensionare decisamente le aspirazionidella Serbia, e con esse quelle della Russiache continua a tentare di riguadagnare pesoeposizioni strategichesul versanteeuropeoanche a scapito del “fratello slavo” serbo.

Ieri, con la Russia che stava aguardare anche perchè non era nellecondizioni di far nulla di diverso, prima laSlovenia e la Macedonia, poi la Croazia einfine la Bosnia, attraverso guerre anchemolto cruente, sono state messe dallepotenze imperialistiche europee eamericana nelle condizioni di separarsidalla Serbia“edificando”Stati indipendentidalla vecchia Jugoslavia, venendo cosìaccorpate nelle zone di influenza inparticolare della Germania, degli StatiUniti e dell’ Italia ; con l’ immissione poinell’ Alleanza Atlantica di Polonia, Cechiae Ungheria, l’accorpamento di fatto nelleoperazioni Nato dell’ Albania (che ormai èun protettorato dell’ Italia) e dellaMacedonia (che ormai è un protettoratodegli USA), e con l’intervento militaredella Nato contro la Serbia, il disegno dispartizione delle zone di influenza nell’area dei Balcani ha avuto una decisa

(da pag. 1) accelerazione.Oggi e domani nell’ attuale

Repubblica federale di Jugoslavia laprospettiva è segnata: le possibilità dellaborghesia serbanonandrannooltrea quantoil concerto degli imperialismi più forti delmondo decideranno; e per quanto vengaavviato un processo di “rinnovamentodemocratico” al suo interno, la dipendenzadai più forti paesi crescerà e, con essa,aumenterà pesantemente la pressione sulproletariato jugoslavo.

E’ almeno da dieci anni, ossia dalcrollo dell’URSS, che il disegno degliimperialisti occidentali è in opera, maperché si attuasse aveva bisogno, comesempre per i borghesi, di pretestiideologici “sostenibili “, che facesseropresa sulle classi borghesi epiccoloborghesi, che paralizzassero ancorpiù il proletariato nella sua arretratezza

politica e nelle sue difficoltà economicheesociali, eavevabisognodiunacongiunturapolitico-diplomatica nei rapportiinterimperialistici in grado di giustificareun intervento militare come quelloavvenutocontrola Jugoslavia.Così, mentresi autoproclamavano difensori dei “dirittiumani” dei kosovari, le potenzeimperialistiche occidentali si sono assunteil “diritto” di intervenire militarmentecontro la Jugoslavia semplicemente perchèquest’ultima non accettava le lorocondizioni rese appositamenteinaccettabili al noto incontro diRambouillet. E, come ormai succede daquando il condominio russo-americano sulmondo è caduto con il crollo dell’URSS,nonvi è iniziativa degli imperialisti europeiche non sia provocata, spinta, influenzata,concordata più o meno segretamente, daWashington.

L’imperialismoitalianoacacciadi territoridi dominio

In tutta questa vicenda l’imperialismo italiano - che non nascondemire di potenza verso la sponda orientaledell’ Adriatico - ha tentato, ed è in parteriuscito, a dar più peso ai propri interessipolitici e diplomatici; tutto ciò che avvienenell’area mediterranea, dell’ Adriatico edei Balcani in particolare, ha inevitabiliripercussioni sull’ Italia, data la contiguitàdei territori, e questo è un fatto che trovaradici in tutto il lungo arco storico che havisto lo sviluppo delle civiltà mediterraneenelle diverse epoche. L’Italia, da tempometa di migrazioni massicce di diseredatie disperati dai Balcani, dunque, ha suoiinteressi imperialistici distinti inquest’area, e perciò non può essereconsiderata una semplice portaereidell’esercito a stelle e strisce. La lenta madecisa occupazione militare di puntinevralgici dell’ Albania col pretesto dicontrollare le emigrazioni clandestineverso l’ Italia, la sempre più insistentepenetrazione economica e finanziaria inSerbia (di cui il controllo della retetelefonica jugoslava da parte dell’ italianaTelecom è la punta di diamante) sono ipunti di forza degli interessi specifici dell’imperialismoitaliano nell’area. Se a questoaggiungiamo i traffici strettamenteconnessi della mafia pugliese e della mafiaalbanese (droga, armi, prostituzione) siallarga il quadro strategico degli interessiitaliani verso i Balcani. Questo non toglieche l’ imperialismo italiano, nei confrontidi quello statunitense, sia più debole edebba spesso accettarne i diktat.

Nello stadio imperialistico disviluppo del capitalismo, comesottolineava Lenin, è inevitabile che glistessi paesi forti e imperialisti cadano, perun periodo più o meno lungo, sottol’influenza di paesi imperialistici piùpotenti; influenza che può essere spezzata,o resa ancor più pesante, dall’andamentodelle guerre fra Stati imperialisti. L’imperialismo esprime due particolarità(sempre Lenin): “reazione politica sututta la linea e intensificazione dell’oppressione nazionale, conseguenze delgiogo dell’ oligarchia finanziaria e dell’eliminazione della libera concorrenza”(1).La reazionepoliticanondipendequindidal governo che in un certo periodo è allaguida di un paese imperialista; può essereun governo repubblicano o democraticocome negli USA, di centro destra o dicentro sinistra come in Italia, cristianosociale o socialdemocratico come inGermania, conservatore o laburista comeinGranBretagna, socialista ogollista comeinFrancia,ma lasuapolitica saràcomunquee sostanzialmente reazionaria, poichè è lafase imperialista dello sviluppocapitalistico - e la conseguente difesa degliinteressi nazionali del proprioimperialismo - a dettare la politica deigoverni borghesi. E il fatto che l’oppressione nazionale non sia una politicalegata esclusivamente al periodo delpossesso fisico di colonie da parte deipaesi capitalisti più forti, è dimostratodall’ aumento a 360 gradi della dipendenzaeconomica, e quindi politica e militaredella maggior parte dei paesi del mondo daun pugno di paesi ricchi che dominanosull’ intero pianeta. I vertici dei G7, e oggispesso dei G8 (con la Russia) - ma undomani potrebbero essere dei G9comprendendo anche la Cina - stanno adimostrare, se mai ve n’ era bisogno, che idestini del mondo sono governati da un

pugno di paesi ricchi, gli imperialismi piùforti che opprimono la stragrandemaggioranza delle nazioni. E la primaoppressione è certamente economica, mavi sono in più l’ oppressione politica,militare, culturale, razziale, religiosa chesu quella economica poggiano saldamente.Non c’è come mettere alla fame un popolo,un paese, per dominarlo!

L’ Italia di sinistra, del governoD’Alema, non sfugge a questa legge dell’imperialismo, come non sfugge alcungoverno borghese. La guerra, e dunqueogni azione ed intervento militare, non èche la continuazione della politica conaltri mezzi - sosteneva con grande realismoil barone Von Clausewitz. Ed è vero perciòanche il percorso inverso, e cioè che se laguerra è imperialista significa che lapolitica di cui è la continuazione è politicaimperialista, dunque il governo e lo Statoche la emana è governoeStato imperialista.D’Alema (ex rappresentante di un Pci chenegli anni Cinquanta, solo edesclusivamente per ragioni elettorali e dipropaganda politica, aveva coniato loslogan: fuori la Nato dall’Italia, fuoril’Italia dalla Nato - slogan cheridicolmente è stato ripreso daRifondazione comunista - pensando cosìdi prendere le distanze dalla soffocanteAmerica per andare ad abbracciare la“mitica” Russia staliniana), non fa cheapplicare con grande cura la politicaimperialista del capitalismo italiano, fuorie dentro i confini nazionali. Da questopunto di vista è una marionetta quanto losono i suoi degni compari, da Tony Blair aBill Clinton a Jospin, Chirac e Schroeder,poichè le ragioni di fondo che hanno mossoquesti paesi all’ intervento di guerra controla Serbia rispondono sia alle esigenze,prioritarie per ogni imperialismo, diopprimere ogni velleità di autonomia eindipendenza, e di concorrenza da parte diqualsiasi altro paese, sia alle esigenze diognuno di loro di non rimanere emarginatidal gioco delle grandi potenze.

La Jugoslavia è alle porte dell’Europa e confina ad occidente, oltre checon l’ Albania, attraverso il Montenegro eil suo pezzo di mare Adriatico con l’ Italia;a sud con la Macedonia (sotto influenzaamericana), e quindi con Grecia e Turchia(paesi Nato); a nord con Ungheria (paeseNato), Croazia e Bosnia, sotto influenzatedesca; ad est con la Bulgaria, tesa piùverso l’occidente europeo che a rinsaldarela vecchia “fratellanza slava” con la Serbia,e la Romania, ormai occidentalizzata. Ognipolitica che la borghesia serba adotta inpatria non può non avere un riflessoimmediato al di fuori dei suoi confini,soprattutto in un periodo in cui la nuovaspartizione delle zone di influenza fra i piùgrandi paesi imperialisti del mondo non èancora avvenuta. Non è un caso che daquando è finito il “bipolarismo” America-Russia sul mondo ogni stormir di fronda aMosca, a Bucarest, a Belgrado, a Scopje, aZagabria, a Sarajevo o a Podgorica, aBudapest o a Varsavia, a Riga o a Kiev, aBaku o a Praga, viene ascoltato conapprensione a Roma, a Vienna, a Berlino, aParigi, a Londra e a Washington, a Tokio eoggi anche a Pechino.

Finito il dominio di Mosca suipaesi dell’ Europa dell’ Est non poteva chescatenarsi la caccia da parte degliimperialismi occidentali ai territorilasciati in balia di se stessi. E il colpomigliore finora è riuscito alla Germania

che con l’ annessione della Germania dell’Est ha sancito l’ apertura di uno scontrointerimperialistico di lunga duratarelativamente alla nuova spartizione delmercato mondiale e, in particolare, deipaesi dominati in precedenza dall’imperialismo russo sia sul versanteeuropeo che su quello balcanico e asiatico.Ridimensionato fortemente l’imperialismo russo, e caduti quindi gliequilibri nell’ Europa dell’ Est che avevanopermesso ad esempio alla Jugoslavia di

Tito di attuare una politica di relativa“equidistanza” fra America e Russia,ottenendo vantaggi da entrambe, laJugoslavia era destinata, alla pari degli altripaesi dell’Est europeo, a diventare terrenodi aperta caccia per gli imperialismioccidentali. E in questo scontro l’ Italia fala sua parte, con le missioni commerciali,conl’ impiantodifabbriche,condelegazionidiplomatiche e militari e magari sotto l’effetto propagandistico delle visite diGiovanni PaoloII, papa casualmente slavo.

Il capitale finanziario, che ormaidall’ inizio del secolo domina incontrastatosu tutto il mondo, detta costantemente lepriorità ai governi borghesi di tutti i paesi;mutando i rapporti di forza economici efinanziari tra i vari paesi, mutano diconseguenza i rapporti di forza tra lepotenze imperialiste. E mutano le alleanze“inter-imperialiste “. Il disfacimento delPatto di Varsavia, conseguenza deldisfacimento dell’ URSS, ha innestato uncontinuoproiettarsi degli Stati dell’ Europadell’ est verso il ricco Occidenteimperialistico, passando così da una“colonizzazione “ di tipo militare da partedella ex URSS ad una “colonizzazionefinanziaria “ da parte degli Stati Uniti,della Germania, dell’Italia, della Francia,della Gran Bretagna e soprattutto deigrandi monopoli internazionali che,come ormai tutti sanno, concentranocapitali provenienti da diversi paesi. Esonogli interessi di questi grandi monopoli,veri e propri punti di forza dell’imperialismo, che dettano legge, chespingono i rispettivi governi nazionaliad intraprendere azioni di ogni tipo, daquelle commerciali agli accordieconomico-finanziari, da quellediplomatiche a quelle militari, pur diassicurarsi, in una lotta senza esclusione dicolpi, quelli cheLenin chiamava “territorieconomici”, ossia territori in cui ogni piùpiccola risorsa esistente - dalle attivitàeconomiche alle risorse naturali, dalcapitale alla forza lavoro locali - vengaindirizzata soltanto nella direzione diingrossare i loro profitti, o perlomeno dinon danneggiarli.

I dieci anni di guerre in Jugoslavianon si potranno mai spiegare con le tesiche vorrebbero addossarne le colpe allediverse pulizie etniche, al caratterebarbaro delle popolazioni balcaniche, allevolontà dispotiche di piccoli dittatorilocali, a contrasti religiosi e a odii razzialile cui origini si perderebbero nella nottedei tempi. Si possono invece spiegareseguendo i criteri di interpretazione delmarxismo, che fanno sempre dipendere lapolitica borghese e imperialistica (dunqueanche la sua continuazione logica, che è laguerra borghese e imperialistica) dagliinteressi economici dei capitalismi piùforti; e,nell’epocadell’ imperialismo, dagliinteressi economici e di dominio dei trust,dei monopoli più forti del mondo. Ibombardamentia tappetodellecittà,oquellicosiddetti “intelligenti”, la “puliziaetnica”,i massacri, l’affamamento di interepopolazioni, la deportazionedi massa, ognitipo di violenza su donne, vecchi e bambiniche ogni guerra borghese svela, sono imezzi materiali che le borghesiedominanti, dall’una edall’altraparte, usanoo cercano di usare sistematicamente perrafforzare il proprio dominio “in casapropria” e per schiacciare i nemici “a casaloro”.

In terra jugoslavasi sonoscontrati,e si scontrano, interessi che oltrepassanodi gran lunga il problema della repressionedella popolazione kosovara di originealbanese da parte serba. Si scontranointeressi legati alle industrie degliarmamenti, che finalmente possonocontare sull’ uso pratico, e in una guerrareale, delle più diverse armi, interessi delleindustrie legate allo sforzo bellico, dalle

telecomunicazioni alle acciaierie, daltessile all’ alimentare, dall’industriamineraria ai trasporti all’ industriapetrolifera e chimica, e interessi legati airapporti di forza fra i diversi Statiimperialisti dove gli europei tentano diguadagnare una più decisa autonomiamilitare e finanziaria dagli USA. Gli StatiUniti tentano di controllare passo passoogni piccolo rafforzamento militare deglialleati-nemici, la Russia tenta di non farsiestromettere del tutto dallo scacchiereeuropeo.

Ikosovarialbanesi, inquestiultimidieci anni, hanno subito un’ oppressionenazionale da parte del governo serbo diMilosevic che si è intensificata semprepiù proporzionalmente con l’ aumentaredell’ isolamento della borghesia serbarispetto alle altre borghesie balcaniche, daquella croata a quella bosniaca, da quellaslovena a quella bulgara e perfino da quellamacedone, verso le quali i capitalioccidentali affluivano più copiosamenteche a Belgrado. Per non parlare dellaTurchia, che nell’area balcanica ha mire daimperialismo regionale e per questo si vaa scontrare con la Serbia che ha le stessemire. E i proletari albanesi del Kosovo,oltre all’ oppressione salarialecaratteristica di ogni paese capitalistico,hanno forzatamente condiviso con il restodella popolazione albanese del Kosovo l’oppressione nazionale.

I kosovari albanesi, perlopiùpiccoli e piccolissmi contadini, dopo ledistruzioni delle loro case, dei lorovillaggi, del loro bestiame, delle loroattrezzature, delle strade, dei ponti, dellecentrali elettriche e delle fabbriche,staranno molto peggio di prima, perchè,oggi alla stessa stregua dei “nemici” serbi,

La sorte del Kosovo, e della Jugoslavia,è nelle mani degli imperialisti occidentali e dei loro interessi

E’ a disposizione il nr. 448 (Feb-Apr. 1999) del nostro giornale inlingua francese

le prolétaire

sommario:

- L’économie mondiale sous unvolcan (1)

- A propos de la “Parité”: Les limitesinfranchissables à l’égalité entreles sexes sous le capitalisme

- De la Commune à la TroisièmeInternationale (A.Bordiga,“L’Unità”, 29.3.1924)

- Avant comme après son Congrès:La collaboration entre les classes,seul credo de la CGT

- Problèmes du mouvement deschomeurs à Naples

- Correspondance. Les prolétairesde l’électro-ménager passé à lamoulinette

- Nouvelles de luttes ouvrières dansle monde: Iran, Autralie(correspondance)

(Segue a pag. 10)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99 3

Queste affermazioni sono statesostenute sia dalle analisi degli istituti diprevisione economica, sia da quelle delFMI che, nel rapporto pubblicato lo scor-so dicembre, scartava qualunqueprospettiva di crisi economica mondialeper il 1999 e prevedeva solo un rallenta-mento della crescita internazionale(2,5%). Molti giornalisti ed economistiamericani (in particolare quelli che lavora-no nelle società finanziarie e nelle banchedi investimento) continuano a sostenereche l’economia degli Stati Uniti, locomo-tiva dell’economia mondiale, sarebbedefinitivamente uscita dall’epoca dellecrisi e che, utilizzando una saggia politicamonetaria che la metta al riparo dagliscossoni esterni, avrebbe la certezza diuna crescita rapida, senza inflazione eperpetua...

In parte si tratta senz’altro - comesempre - di un ottimismo interessato od’obbligo; ma questo ottimismo si basacomunque su alcuni fatti concreti:innanzitutto sulla solidità delle piazzeborsistiche occidentali e principalmentedella capofila, la borsa americana, o, perusare le parole del rapporto del FMI, il“relativo ritorno alla calma dei mercatifinanziari” dopo la tempesta scatenatadalla crisi russa. Questo ritorno alla calmafu poco dopo turbato dallo scoppio dellacrisi finanziaria brasiliana, a dispetto diun massiccio “piano di salvataggio” mes-so in atto dal FMI. Ma la buona tenuta diWall Street permise ai capitalisti finanziariamericani, e non solo, di tirare un nuovosospiro di sollievo. La borsa americana ri-prese la sua corsa al rialzo: all’inizio difebbraio l’indice delle azioni superava dipiù del 25% quello dell’anno precedente.

Il prezzo (in gergo “corso”) delleazioni è in teoria la corrispondente partedel dividendo versata agli azionisti del-l’impresa che le ha emesse. Se i profittidell’impresa sono in aumento, aumenteràil dividendo versato e quindi, di conse-guenza, il corso delle azioni salirà.Questo corso dipende dunque inevitabil-mente dalle previsioni fatte sui profittifuturi, con tutte le incertezze che questogenere di previsioni comportano e con lerelative possibilità di manipolazioni especulazioni. Quando si verifica un au-mento generale del corso delle azionisuperiore all’aumento reale dei profittidelle imprese, ci si trova in presenza diquello che i media chiamano elegante-mente “bolla speculativa”: il movimentoin ascesa sembra essere autosostenuto;le azioni non sono più acquistate per iprofitti che le imprese si aspettano, maperché potranno essere rivendute ad unprezzo maggiore, come se acquisisseroun valore proprio, scollegato dal mercatoreale dell’economia, e in costante aumen-to. Questo stato di cose può durare perun certo periodo, ma prima o poi la bollascoppia e il prezzo delle azioni viene bru-scamente ricondotto alla realtà.

A una bolla speculativa di questogenere si è assistito in Giappone verso lafine degli anni 80, bolla che è scoppiatacon la recessione dei primi anni 90: ilprezzo delle azioni si è abbassato oggipraticamente di due terzi (-64% all’iniziodi febbraio) rispetto al tetto raggiunto aquell’epoca. Le pesanti perdite subitenon solo dalle organizzazioni finanziarie,ma anche dalle imprese che si rivolgeva-no alla borsa per acquisire nuovocapitale, costituiscono uno degli elementiche permettono di spiegare le difficoltàdell’economia giapponese a ritrovare,dopo di allora, i ritmi di crescita cono-sciuti in passato.

Ed è proprio una bolla finanziariadi questo genere che, secondo lo stessoparere di numerosi economisti, si è creatanella borsa americana. Nel dicembre 1996

L’ ECONOMIA MONDIALE SOTTO UN VULCANO- (prima parte) -

il presidente della Banca centrale ameri-cana, spaventato dall’aumento sfrenatodel corso delle azioni, aveva lanciato unsolenne avvertimento contro l’ “irrazio-nale esuberanza dei mercati” - paroleche non hanno peraltro impedito alle au-torità americane di alimentare questaesuberanza ogni volta che la crescita eco-nomica sembrava in pericolo; diconseguenza, da allora il corso delle azio-ni è ulteriormente aumentato di più di dueterzi! E questo aumento della borsa haavuto luogo mentre la crescita dei profittidelle imprese americane non ha fatto cherallentare. Nel terzo trimestre del ’98 i pro-fitti sono addirittura diminuiti per la primavolta dalla recessione economica (1991).Anche se le ultime statistiche pubblicateindicherebbero un rimbalzo dei profittinell’ultimo trimestre, questa caduta sta aindicare che il lungo ciclo di crescita eco-nomica (il più lungo conosciuto dagliStati Uniti in periodo di pace) sta per fini-re e che una nuova recessione si stapreparando nella più grande potenza ca-pitalistica, ultimo bastione di fronte aduna generalizzazione della crisi attuale.

E mentre gli esperti borghesi so-gnano un “atterraggio dolce”, unrallentamento progressivo dell’attivitàeconomica, ci sono molte probabilità in-vece che la fine di questo ciclo sia tantopiù drastico e che si accompagni a unaserie di crack o di cedimenti da un capoall’altro del pianeta, in quanto la crescitaè stata drogata attraverso i meccanismidella speculazione borsistica e finanzia-ria.

* * *

La crisi attuale è nata nel corsodella prima metà del 1997 nei paesi chia-mati i nuovi draghi : Thailandia,Malaysia, Indonesia, Corea del Sud,Singapore ecc.; i paesi asiatici in rapidacrescita che erano stati vantati dagli eco-nomisti come modelli di sviluppo per ipaesi poveri di tutto il mondo. La crisi,all’epoca chiamata “asiatica”, ha poi col-pito il Giappone e, qualche mese dopo,ha travolto la Russia, provocando ognivolta tempeste nelle borse di tutto il mon-do. L’ultima vittima in ordine di tempo èstato il Brasile, all’ inizio di quest’ anno. Imedia, i governi e le formazioni politicheborghesi di destra e di sinistra presenta-no le cose in questo modo: Tuttivogliono alimentare l’idea che questa cri-si sia una sorta di incidente totalmenteestraneo alle economie occidentali e lacui unica minaccia è rappresentata da fe-nomeni di contagio soprattutto di tipofinanziario, dai quali è necessario e possi-bile proteggersi (1).

La realtà è ben diversa: non sitratta di una crisi asiatica, ma di unacrisi dell’economia capitalistica mondia-le di cui questi paesi, dall’ economiafragile e strettamente dipendente dalcommercio internazionale, sono stati leprime vittime: la mondializzazione (oglobalizzazione) dell’economia di cui tan-to parlano i media borghesi, vale a direun maggior livello diinternazionalizzazione delle economie na-zionali capitalistiche, può solo rafforzarela mondializzazione della crisi.

Ciò che può far sembrare verosi-mili le interpretazioni comuni è che - adifferenza della crisi del 1974-1975, bruta-le e pressoché simultanea nei grandipaesi capitalistici - la crisi attuale, che in-teressa le varie regioni economiche delmondo le une dopo le altre, si sviluppacon relativa lentezza. E’ un fenomeno cheavevamo già notato nel caso della reces-sione mondiale del 1991. Allora glieconomisti parlarono di una “recessioneanglosassone”, dalla quale l’ Europa

LA MONDIALIZZAZIONE DELLA CRISI

avrebbe dovuto restare al riparo, ma che,iniziata alla fine del 1990 negli Stati Uniti,in Gran Bretagna e in Canada, ha raggiun-to gli altri paesi dell’ Europa, appuntocon lentezza, solo nel 1993 (2). Gli econo-misti europei assicuravano che, graziealla nuova moneta -l’ Euro -, l’Europa sa-

Questo il titolo comparso quest’ inverno in prima pagina del più noto quotidianofrancese “Le Monde”, mentre altri giornali esprimevano timore per le “bombe” nel campodell’economia mondiale.

Poco tempo prima, quando la crisi economica in Russia aveva scatenato unaburrasca sulle piazze borsistiche mondiali, i responsabili americani dichiaravano che ilmondo correva il pericolo di sprofondare nella più grave crisi degli ultimi cinquant’anni.Ma alcuni mesi più tardi, dopo che Wall Street aveva sorprendentemente resistito allacrisi finanziaria brasiliana, gli stessi personaggi vantano il buono stato di salutedell’economia americana e affermano, in sintonia col FMI, che sarà possibile evitare unacrisi economica mondiale, e che gli stessi Stati Uniti, grazie alla loro potenza e all’abilitàdei loro governanti, potranno ormai sfuggire alle recessioni economiche. I responsabilieuropei, fieri della loro famosa moneta comune, rincarano la dose.

rebbe stata ormai al riparo dalle crisi esarebbe diventata la regione del mondo amaggior tasso di crescita. Sono bastatepoche settimane per dissipare questoeuro-entusiasmo e perché rivedessero alribasso le loro previsioni di crescita...

LA SITUAZIONE NEI GRANDI PAESI IMPERIALISTI

Un esame della situazione dei grandi paesi imperialisti alla fine dello scorso anno cifornisce un quadro contraddittorio:

Andamento del Prodotto Interno Lordoin %

Paesi 1995 1996 1997 1998

USA 2.4 3.4 3.9 3.5

Giappone 1.4 3.9 0.8 -2.9

Germania 1.8 1.3 2.2 2.8

Francia 2.1 1.6 2.3 3.1

Italia 2.9 0.7 1.5 1.4

Regno Unito 2.7 2.3 3.5 2.7

(Fonti: OCSE, «Perspectives Economiques»,

nn. 62, 63, 64, corretti grazie agli ultimi dati disponibili)

Il PIL (Prodotto Interno Lordo),parametro molto usato dagli economistiborghesi, riflette in modo inadeguato imovimenti reali dell’economia. Ci permet-te comunque di constatare la diminuzionedelle entrate nel periodo di crisi dei variimperialismi.

Entrato in recessione nella secon-da metà del 1997, il Giappone alla fine del1998 era nel cuore della crisi, mentre glialtri grandi paesi capitalistici non vi era-no ancora entrati, perlomeno secondo idati di questa tabella. Per il 1998, questecifre sono solo stime effettuate dagliesperti dell’ OCSE. Alla fine di febbraio diquest’anno, la Bundesbank ha pubblica-to delle stime secondo le quali il PILtedesco, nell’ultimo trimestre 1998, eracalato dello 0,4%: la più potente econo-mia europea sarebbe quindi già entrata inrecessione, accompagnata dall’ Italia chenello stesso periodo avrebbe avuto uncalo dello 0,3%.

Nel Quadro 1 abbiamo indicato levariazioni del PIL dei paesi capitalisticipiù sviluppati senza indicare i nomi deipaesi: il carattere ciclico e coniugato del-l’attività economica di tali paesi risultaassolutamente evidente.

Le statistiche relative alla produ-zione industriale forniscono indicazionimolto più precise di questa attività eco-nomica. Esaminandone le variazionitrimestrali del 1998, abbiamo, in cifre per-centuali parametrate all’anno intero, iseguenti valori: Stati Uniti: 5,4 ; 4,6 ; 3 ;

2,1%; Giappone: -3,9 ; -8,5 ; -8,6 ; -6,7%;Germania: 5,7 ; 3,4 ; 3,7 ; 1%; Francia: 7,2; 5,5 ; 3,3% (il dato dell’ultimo trimestrenon è ancora disponibile); Italia: 3,4 ; 1,3; 0,4 ; 1,7%; Gran Bretagna: 0 ; 1,3 ; 0,7 ;0,6% (Fonte: Eurostat).

Per il 1998, dunque, si constata ungenerale rallentamento della crescita in-dustriale (Stati Uniti compresi), ma,ancora una volta, con differenze notevolifra i vari paesi. Va sottolineato che solo ilGiappone ha subito in generale un calovistoso della produzione industriale (-6,9% annuo), il più forte dalla crisieconomica mondiale del 1975. Gli altrigrandi paesi imperialisti hanno visto laloro produzione in continua crescita, an-che se a ritmo sempre più debole; equesta crescita ha comunque in partecompensato l’andamento del tutto nega-tivo del Giappone.

Il Quadro 2 indica le variazioni del-la crescita industriale nell’arco di 10 anni,dal 1988 al 1997. E’ graficamente evidentel’impatto della crisi precedente (1991-1993) e il carattere limitato dellasuccessiva ripresa: i tassi di crescita dal1994 in poi non hanno più raggiunto i li-velli del boom precedente al 1991. Vi sipuò notare, inoltre, come alla fine del1997 solo la Germania presentava unacrescita negativa di quasi il 6% - che poinel corso del 1998 è stata rimontata -compensata però dal resto dei maggioripaesi imperialisti in crescita positiva, seb-bene limitata.

NUVOLE SCURE SUL SOL LEVANTE

Vale la pena di soffermarsi sulcaso del Giappone, poiché è emblematicodei problemi tipici del modo di produzio-ne capitalistico. Il lettore non sisorprenderà nell’apprendere che in que-sto paese, la cui crisi supera ormai, perdurata, quella del 1975, la caduta dei pro-fitti delle imprese è vertiginosa: per ilprimo semestre dell’anno fiscale 1998-99viene stimata intorno al 67% per le impre-se quotate alla borsa di Tokio, mentre il20% del totale delle imprese giapponesiregistrerebbero addirittura un deficit.Nell’ industria la caduta viene valutataintorno al 31%; la più colpita è l’industriadella siderurgia: -122% (sic!), seguitadall’ industria della cartotecnica (-56%),delle macchine elettriche (-48%) ecc. Al-cuni gioielli del capitalismo nipponico,come i giganteschi marchi dell’elettronicaHitachi e Toshiba, hanno subito le primeperdite dagli anni Cinquanta.

Il risultato è che alcune delleKeiretsu, le sei grandi alleanze che domi-nano l’economia giapponese, si trovanoin gravi difficoltà. Queste alleanze sonole eredi degli Zaibatsu (i cartelli, i trust)smantellati dagli americani dopo la disfat-ta giapponese nella seconda guerra

mondiale; sono gruppi che gravitano at-torno ad una grande banca che negarantisce un regolare finanziamento(come in Italia i gruppi sostenuti eforaggiati da Mediobanca e dal famosodott. Cuccia), o che raggruppano diverseimprese che si prestano reciproco aiuto eche hanno acquisito una determinante in-fluenza all’interno dell’apparato statale.Le Keiretsu sono state una delle armi piùefficaci per la conquista dei mercati inter-nazionali da parte delle grandi impresenipponiche. Ma oggi la situazione si è ro-vesciata: la debolezza di alcune grandiimprese, e in primo luogo delle banche,puo’ trasformarsi in un grave pericolo perle altre imprese alleate. La Keiretsu Mitsuiè in grave difficoltà a causa del quasi fal-limento della Sakura Bank nonostante ilsalvataggio organizzato dallo Stato. Lostesso vale per la Keiretsu Dai-Ichi-Kangin e per l’omonima banca. LaKeiretsu Fuyo che raggruppa attorno allabanca Fuji imprese importantissime, qualiNissan (seconda fabbrica di automobiligiapponese), Hitachi, Canon, acciaierie,società immobiliari, commerciali ecc., giàil novembre scorso non è stata in gradodi salvare la grande società finanziaria

Yamaichi Securities. Il clamoroso falli-mento è stato uno dei più grandi dellastoria del Giappone. Oggi è la banca Fujia trovarsi in difficoltà, mentre una buonaparte delle grandi imprese di questa alle-anza sono anch’esse in deficit e nonsono più in grado come in passato di aiu-tarsi a vicenda: ecco come si spiegal’impensabile, l’apertura di negoziati perla vendita di tutta o parte della Nissan -che si piega sotto il peso del deficit e lecui vendite sono precipitate al livello del1970 - ad imprenditori stranieri! In realtà,di fronte all’ incapacità della banca Fujie della Industrial Bank (suoi tradizionalifornitori di capitali) di estinguere i debitidella Nissan, lo Stato ha annunciato chenon lascerà fallire questa importantissimaazienda e perciò si è mosso per trovareun partner industriale necessariamentestraniero, dato che nessun gruppo auto-mobilistico giapponese gode disufficiente buona salute da poterne pro-spettare una fusione.

Ma sono forse gli insuccessi dellaKeiretsu Mitsubishi che meglio mostranola profondità del malessere economico. Ilpiù potente gruppo industriale nipponicoera fino a pochi anni fa il terrore degliindustriali americani, all’ epoca in cui sipermetteva il lusso di comprare nel cuoredi New York il famoso RockefellerCenter, simbolo del capitalismo yankee,mentre le sue merci invadevano gli scaf-fali dei negozi americani. Le società diquesto gruppo sono oggi vicine ad unlivello di profitto del 4% circa, contro iloro concorrenti americani ed europei chepossono ancora contare su livelli di pro-fitto che vanno dal 10 al 15% (3). Ma,spaziando un po’ sul complesso delle so-cietà che fanno parte di questo grandetrust, se ne trae un quadro davvero pococonfortante per i capitalisti giapponesi: laBank of Tokio-Mitsubishi che rappre-senta il centro del gruppo ha subitopesanti perdite, così come l’ azienda au-tomobilistica Mitsubishi Motors che hadichiarato di essere alla ricerca di un so-cio straniero per tirarsi fuori dalla crisi; ele compagnie Mitsubishi Electric ,Mitsubishi Chemical, ecc. sprofondanosempre più nel deficit. La compagnia pe-trolifera Mitsubishi Oil è stata giàvenduta ad una società che non fa partedella Keiretsu, mentre la banca di investi-menti Nikko Securities ha dovutoaccettare l’ingresso nel suo capitale diuna banca americana per superare le suedifficoltà finanziarie...

Nel tentativo di combattere la re-cessione, lo Stato giapponese, secondo isuoi tradizionali interventi in economia,ha immesso nel mercato nazionale unagrande massa di capitali (non meno di830 miliardi di dollari, ossia circa un milio-ne e mezzo di miliardi di lire) sotto formadi “piani di rilancio” (riduzioni delle impo-ste, grandi lavori pubblici, ecc.) e di pianidi salvataggio delle banche insolventi (lepiù fragili sono state praticamente “na-zionalizzate”). Insomma, una volta ancoraun capitalismo nazionale di grande impor-tanza come quello giapponese, ha dovutoricorrere a ricette di tipo “fascista” per af-frontare la grave crisi che lo attanaglia.Ma i risultati sono stati più che deluden-ti; infatti l’attività economica nell’ ultimoperiodo ha fatto ulteriori passi indietro.La Banca Centrale, mostrando lo smarri-mento delle autorità, ha quindi abbassatoil tasso di interesse quasi a zero (in realtàallo 0,01% per i prestiti giornalieri, 200volte meno che negli Stati Uniti)... Ridur-re il costo del denaro è un innegabileaiuto per le imprese, ma rischia di rendereancor più fragile il sistema bancario che,nonostante i piani governativi, rimane ilpunto più critico dell’economia. Avendoalimentato per anni la crescita con prestitialle aziende a basso tasso di interesse,perfino alle aziende meno redditizie, men-tre dall’altra parte si impegnava a fondoin operazioni borsistiche o immobiliarifortemente speculative allo scopo di rico-stituire i profitti, il settore bancario efinanziario giapponese crolla oggi sotto idebiti e gli investimenti “nonperformanti”, ossia non sufficientementeredditizi. E’ per questo che le banche sisono rifiutate di seguire il calo dei tassilanciato dalla Banca Centrale, e sono mol-to reticenti a prestare denaro: investire intitoli e azioni negli Stati Uniti o in Europa

(Segue a pag. 4)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '994

L’ ECONOMIA MONDIALE

SOTTO UN VULCANO- (prima parte) -

AMERICA COL FIATO CORTO

Mentre il numero due dell’econo-mia mondiale, il Giappone vedesquagliare i profitti delle sue aziende, chene è del numero uno, la cui “buona salu-te” è ammirata da tutti i suoi concorrenti?

Ebbene, contrariamente a quanto sipotrebbe credere, anche negli USA i profittinon sono un granché: per la prima voltadalla recessione del 1991, i profitti delleaziende hanno incominciato a scendere apartire dal secondo trimestre del 1998. Sen-za dubbio questo calo è ancora lieve, ma è ilsegnale che annuncia l’arrivo della reces-sione ormai prossima. Nel quarto trimestredel 1998 il calo è stato solo del 3% per leimprese nel loro insieme, ma è più marcatoper l’industria. Ai profitti si sono sostituitele perdite nell’industria metallurgica, inquella della carta e nell’industria petrolifera.I cali più consistenti dei settori che riman-gono comunque redditizi hanno interessatol’industria chimica (-54%), l’industria side-

rurgica (-54%), l’industria dei beni di con-sumo domestico (-33%). Nell’ industriamanifatturiera (macchine utensili, mecca-nica, tessile ecc.) il calo dei profitti è statocirca del 20% e del 13% nel settore automo-bilistico (4).

Dato che, secondo tutte le previ-sioni, questo calo dovrebbe proseguireper tutto il 1999, gli economisti americaniavanzano l’ idea di una crescita economi-ca coniugata a una crisi dei profitti: l’attività economica continuerebbe a cre-scere, mentre i profitti delle imprese nonsmetterebbero di scendere. Quanto ha ra-gione Marx! Vi puo’ essere un solosbocco a una situazione tanto bizzarra: labancarotta economica, oppure una guer-ra mondiale più micidiale e distruttiva diquella del 1939-45, guerra che soltanto larivoluzione proletaria potrebbe fermare ointerrompere - come successe con la ri-voluzione bolscevica del 1917 -.

L’ ANDAMENTO DEI PREZZI

L’indice dei prezzi alla produzionepuò dare un’ indicazione indiretta dell’evoluzione dell’ attività economica: quan-do la sovraproduzione ingorga i mercati, icapitalisti sono costretti ad abbassare iprezzi delle loro merci per poterle smaltire.Ne deriva una diminuzione dei loro profit-ti (o una vendita in perdita). Il calo deiprezzi alla produzione sul lungo periodopuò senza dubbio dipendere dall’aumen-to della produttività e dai progressitecnologici: storicamente il valore dellemerci industriali, e dunque anche il loroprezzo, diminuisce per questa ragione.

Tuttavia, nell’ esaminare il movimentocomplessivo dei prezzi alla produzione - enon i prezzi in un settore in rapida tra-sformazione tecnologica come ad es.quello dei componenti elettronici - sulbreve periodo, questo fattore può esseretrascurato. Inoltre, i borghesi lamentanocon sempre più forza i rischi di una defla-zione, mostrando così che essi tremanoproprio per i loro profitti, dunque che èproprio la difficoltà a smaltire le merciprodotte che pesa sul prezzo. Altro ele-mento che va a pesare sullacomposizione dei prezzi delle merci è an-

(1) Questopuntodi vista messoincirco-lazione dalla propaganda borghese hasuscitato la fioritura di tutta una serie diproposte tipicamente piccoloborghesi chemiranoacontrollare, regolamentareodisci-plinare i flussi finanziari per far scompariregli effettiperturbatori.

(2) Vedi “A che punto è la crisi capita-listicamondiale?”,in“ilcomunista”n.40-41,giugno 1994. Lo scarto dell’ Europa occi-dentale era dovuto in parte al piccolo boomeconomico tedesco prodotto dall’inglobamento dell’economia della ex Ger-maniadell’Est.

(3) Secondo il settimanale “BusinessWeek” (edizioneeuropea),15.3.99:“Fallofa Keiretsu”.

(4) Cfr. “Corporate scoreboard 1998”,in“BusinessWeek”,1.3.99.

(da pag. 3)

è evidentemente molto più vantaggiosooggi che elargire prestiti allo 0% ad im-prese semifallite!

Per anni al primo posto nel campodella crescita economica grazie alla facili-tà di credito e all’ appoggio di tuttol’apparato economico e statale alle impre-se in difficoltà, l’imperialismo giapponeseha potuto attraversare senza gravi dannila serie di crisi che colpivano ben più du-ramente i suoi concorrenti. Ma,dialetticamente, oggi è vittima dei suoisuccessi: la crescita per anni artificial-mente gonfiata è sfociata in una enormesovraproduzione, mentre l’ indiscriminatosostegno alle imprese meno redditizie hafinito col far cadere il tasso di profittomedio dell’intera economia. Oggi il Giap-pone ha troppe fabbriche di automobili,troppe acciaierie, troppe industrieiperproduttive perché il mercato naziona-le e mondiale sia in grado di assorbire laloro produzione. Esiste, d’altra parte, uneffetto benefico per il capitalismo che lecrisi - a causa, o meglio grazie ai lorodanni - producono sul capitalismo stes-so: questo effetto benefico consiste nelfatto che eliminando le imprese più debo-li, le meno redditizie e sopprimendograndi quantità di merci e forze produtti-ve in eccesso, la sovraproduzione si puòridurre al punto da permettere una ripre-sa, alle volte anche energica, del ciclo diespansione economica. Naturalmente,sopprimere forze produttive, significa peril capitale sopprimere anche salari, dun-que posti di lavoro, e gran parte dell’impianto di “garanzie” e di ammortizza-tori sociali nei confronti della forza lavorosalariata che hanno permesso finora al

capitalismo giapponese - risorto dal ma-cello dell’ ultima guerra mondiale - dilegare alla propria sorte la totalità delproletariato nipponico; per i proletari ciòsignifica abbattimento del loro potered’acquisto e disoccupazione, in una pa-rola: miseria crescente.

Obbedendo a questa legge, d’al-tra parte individuata chiaramente dalmarxismo centocinquant’anni fa, il primoministro, verso la metà di marzo, solleci-tava gli industriali giapponesi asbarazzarsi delle loro capacità produttivein eccesso allo scopo, appunto, di rimet-tere in sesto l’economia. Questosignificherebbe liquidare intere fette del-l’apparato economico giapponese,eliminare gran parte dei dispositivi e deimezzi che proteggevano l’economia dallecrisi, realizzare al più presto le misure diliberalizzazione economica adottate negliultimi anni dagli imperialismi concorrentie infine, ma non ultimo, colpire la classeoperaia togliendole le numerose “garan-zie” - dagli alti livelli dei salari agliimpieghi a vita - di cui godevano nellegrandi aziende, ed espellendone una par-te dal processo di produzione.

In sintesi, sapendo che tutto que-sto richiede parecchio tempo, possiamoasserire senza paura di essere smentitidai fatti che la crisi giapponese non è perniente vicina alla fine. Le ultime statisti-che note indicano d’altronde che,contrariamente ai pii desideri dei capitali-sti, l’ arretramento economico registratonell’ ultimo trimestre del 1998 si è ulte-riormente accentuato. La produzioneindustriale nel 1999 dovrebbe scenderedell’8,4%, rendendo l’attuale crisi la piùgrave in assoluto per il Giappone dallafine dell’ ultima guerra mondiale.

“fiancheggiamento” del terrorismo - ilproletariato italiano, e con lui i proletari ditutti i paesi capitalistici avanzati, èindietreggiato di molto: anche i tentativi diorganizzazione classista in opposizione aisindacati tricolore vennero spazzati via acausadella dupliceazioneriformista,quellaclassica del sindacalismo tricolore cherestava l’unico interlocutore con cui ilpadronato e lo Stato trattavano, e quella delriformismo “con la pistola” che bruciò inuna decina d’anni molte energie proletariespinte a rompere con la pace sociale e conil collaborazionismo incanalandolenell’alveo del terrorismo individualista eresistenziale. Sulla questione delterrorismo il partito fece uno studio nel1978 che non ha perso assolutamente diattualità e che consigliamo di leggere acoloro che intendono approfondire laquestione (1).

L’ uccisione di D’Antona appare,quindi, molto più parte di un disegno daservizi segreti che non di una “rinascita”delle Brigate Rosse. L’ Italia, governataper la prima volta dagli ex picisti, ha dovutoaffrontare una situazione interna moltocritica sul piano della tenuta politica: ilcontrasto fra l’ imperialismo americano egli imperialisti europei nella “gestione”della frammentazione della ex Jugoslavia,iniziatofindalla separazionedellaSloveniadalla Federazione Jugoslava dieci anni fa eproseguito con la guerra fra serbi e croatie soprattutto con la guerra in Bosnia, si èincanalato in un pericoloso budello con lavicenda del Kosovo. Strategicamentetroppo importante rispetto al teatrobalcanico, l’Italia non poteva nè starsene inposizione di neutralità nè aveva la forza diimporre ad altri una sua “soluzione” nonguerreggiata del conflitto che stava perscoppiare; essa era chiamata dagliimperialismi più potenti e militareschi-gli Usa e la Gran Bretagna - a fare fino infondo la “sua parte” all’ interno delledecisioni della Nato. I contrasti a livello dimaggioranza governativa (cossuttiani everdi lanciati a frenare la partecipazioneitaliana all’intervento militare), e l’opposizione rifondarola e pacifista, nondeponevano a favore di un governoD’Alemachebensaldoalpontedicomandonon sembrava. L’ uccisione di D’Antona -non a caso un artefice del patto sociale,così da apparire un bersaglio “giusto” perle nuove “brigate rosse” - ha di fattoricompattato maggioranza ed opposizionidi destra e di sinistra sul fronte della difesadella democrazia e delle istituzioni “controil terrorismo”. Ed ha contribuito a farpassare sulla testa degli operai le decisioniche confindustria e governo stavano

prendendo in merito al rinnovo delcontratto della categoria operaia piùimportante, i metalmeccanici. Ed è certoche la classedominantesi attendeuneffettoprolungato del consenso democratico cosìottenuto, e del timore operaio di passareper “terrorista” solo se si accenna adatteggiamenti intransigenti di lotta.

Non esiste attualmente unasituazione generale adatta alla“rivitalizzazione” di un rinnovatoterrorismo rosso del tipo brigatista.Crediamo molto di più che i metodi deibrigatisti di ieri (compresi i modi distendere i documenti di rivendicazione)siano stati semplicemente ripresi da unaregia ben diversa, da una regia legatastrettamente ai “poteri forti” nazionali einternazionali. Se poi fra gli attori sia statoinserito qualche residuato della stagionebrigatista di vent’anni fa, non cambia lasostanza di oggi.

Cui prodest? Solo alla classeborghese dominante, e soprattutto ad unasua frazione filo-americana.

Le «brigate rosse» son tornate?

Il collaboratore del ministro delLavoro Bassolino, l’avvocato D’Antona, èstato ucciso con sei colpi di pistola, lamattina del 20 maggio, appena uscito dicasa. E’ di 28 pagine il documento firmato“brigate rosse” con cui si rivendica questauccisione. Naturalmente stampa, radio, tvdanno forte risalto alla vicenda: da ogniangolo si grida al “terrorismo rosso” checolpisce nuovamente, da ogni angolo sialzano grida all’unione democratica controil terrorismo!

Ma è davvero terrorismo “rosso”?La situazione sociale, oltre che

politica, che caratterizzò gli anni Settantain Italia, ma anche in Germania e inFrancia,in cui il brigatismo rosso ebbe la possibilitàobiettiva di svilupparsi, è completamentesorpassata. Il proletariato non esprimesussulti di lotta radicale come allora, nonesistono più le condizioni grazie alle qualila violenza del padronato e dello Statotrovavano un tentativo di risposta da partedi gruppi delusi dal cedimento delriformismo ma ancora illusi di poterstravolgere i rapporti di forza fraproletariato e borghesia attraverso quellochechiamammoall’epoca “riformismoconla pistola”. Il terrorismo rosso dellevecchie “brigate rosse” aveva le sue radiciideologiche nello stalinismo resistenziale,che in parte aveva ancora presa su alcunistrati non indifferenti di proletariato, e sinutriva della spinta a resistere con la lottaalla più pesante pressione del capitale chein molte fabbriche i proletari riuscivano adesprimere. La stessa classe dominanteitaliana, e i suoi apparati repressivi,affrontavano per la prima volta, e talvoltasenza comprendere del tutto dimensione evastità del fenomeno, la forma terroristicadella rabbia sociale - soprattutto da parte distrati di piccola borghesia in pericolo diproletarizzazione ed elementi proletariattirati dai metodi militari delle “colonne”brigatiste.Questa relativadifficoltàdapartedel potere borghese nel controllare espegnere rapidamente il fenomeno socialedel brigatismo rosso, ha alimentatoobiettivamente il “mito” delle BrigateRosse in tutta la loro prima fase di sviluppo.

Oggi, la situazione in cui versa ilproletariato è davvero molto diversa. Nonsolo il riformismo classico, ma ilcollaborazionismo più osceno hannocontribuito a sfiancare e demoralizzare iproletari rispetto alla loro stessa lottaelementare di difesa immediata. Negli oltrevent’anni che ci separano dal periodo in cuiil brigatismo rosso condizionava in tutto eper tutto ogni lotta proletaria - bastavascendere in sciopero senza preavviso, ofare un picchetto per essere accusati di

E’ uscito un nuovo opucoletto dal titolo

AUSCHWITZ: il grande alibidella democrazia

in esso sono contenuti articoli recentie passati sulla “questione” dell’ olocaustoe dell’ipocrisia congenita della democraziaborghese che sullo sterminio degli ebreida parte del nazifascismo ha costruito lasuanuovaverginitàdopoil secondomacelloimperialistico.

Gli articoli sono:

- Auschwitz: il grande alibi dellademocrazia (1960)

- Auschwitz o il grande alibi: ciò che noineghiamo e ciò che noi affermiamo

- Su Auschwitz, sull’ antisemitismo, sull’anti-antisemitismo...

- Auschwitz, ovvero lo sterminio di ebrei,zingari, prigionieri politici, è statovolutoe fatto dal nazismo, ma approvato dagliAlleati

Appendice- “Mouvement Communiste”,

portavoce delle peggiori idiozie dell’ideologia borghese

L’opuscoletto di 30 pagine costa L.3.000 (spese di spedizione comprese)

(1) Si tratta dell'opuscolo"Il terrorismoe il tormentato cammino della ripresagenerale della lotta di classe", disponibileper chi lo richiede

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TABLEAU1Variation duPIB en%-Principaux impérialismes

TABLEAU2Indice de la production industrielle en %- Source Eurostat

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-5 %

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5 %

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E UJ a p o n

A lle m a g ne

F ra nc eIta lieU K

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E U

Ja p o n

A lle m a g ne

F ra nce

Ita lie

U K

TABLEAU3Indice des prix à la production en % - Source Eurostat

che la forte caduta dei prezzi delle materieprime, che dura da parecchi mesi.

Nel Quadro 3 (andamento deiprezzi alla produzione) si dimostra che ilGiappone è il più toccato: i prezzi alla pro-duzione hanno incominciato a scendere apartire dal 1992, all’ epoca della prece-dente crisi economica internazionale, e inseguito essi non sono più risaliti. Le im-prese giapponesi fanno indubbiamenteuna gran fatica a ricostituire i loro marginidi guadagno; esse hanno potuto conti-nuare a funzionare e a intasare il mercatosolo indebitandosi, solo grazie ai capitaliforniti facilmente dalle banche. Ed ecco ilrisultato di questa crescita drogata: ilmercato è saturo, il sistema bancario èsotto rischio di bancarotta, e le impresecrollano schiacciate dai debiti.

(1-continua)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99 5

elementari a Belgrado il 25 marzo (38morti), gli edifici civili nella cittadinamineraria di Aleksina il 5 aprile (diversimorti), il treno a Grdelica il 12 aprile(55 morti), una colonna di profughi aDjakovica il 14 aprile (75 morti), la sededella televisione jugoslava a Belgrado il23 aprile (16 morti), case a Surdulica il27 aprile (20 morti), una corriera sulponte di Luzane nei pressi di Pristina il1° maggio (47 morti), l’ospedale civile eil mercato di Nis il 7 maggio (20 morti),l’ambasciata cinesea Belgrado l’8maggio(3 morti), un accampamento di profughi aKorisa il 13 maggio (100 morti), unospedale il 19 maggio a Belgrado (3morti), il ponte di Varvajn il 30 maggio(11 morti), casea Novi Pazar il 31 maggio(23 morti), l’ospizio di Surdulica il 31maggio (20 morti) - stando a quantoriportato da l’Unità (10.6), da LaRepubblica, Internazionale e altri giornali-, e non vi si riportano tutti gli altri civilicolpiti dalle bombe nella distruzione difabbriche, ponti, case scambiate percaserme ecc. in tutta la Serbia

Ma le bombe intelligenti? Comenei bombardamenti di Bagdad: abbiamosbagliato bersaglio, ci scusiamo!, e sicontinua a bombardare fino alla fine delle“missioni”.

La propaganda militaresca dellaNato ha sostenuto che grazie al suointervento di guerra contro la Serbia unterzo delle forze armate serbe sarebbestato messo KO, e questo è reputato unsuccesso militare di prim’ordine, insiemeal fatto di aver ucciso 5000 soldati serbisenza perderne nemmeno uno dei propri.A molti giornalisti che hanno documentatosul posto come sono andate le cose nonrisulta proprio che l’esercito el’armamento della Serbia abbiano subitodanni così ingenti. La “Washington Post”,citata da l’Unità del 10.6, annuncia, dopoaver fatto ammenda delle critiche alladecisione di bombardare la Serbia: “AvevaragioneBill Clinton. Ha vinto cinquemilaa zero”, come se si trattasse di una partitaai punti! In una corrispondenza da Pec,l’inviato di Repubblica (15.6), mentredescrive le difficoltà del contingenteitaliano nel raggiungere Pec e installarsinella “sua” area di competenza, afferma:“E vieppiù che si saliva verso la cittàsede del patriarcato si aveva la nettaconferma di come le bombe della Natoavessero fatto pochissimi danni allamacchina militare di Milosevic.Spuntavano infatti come funghi dacascinali decine e decine di T-55, diblindati leggeri e pesanti e nessuno cheportasse un sol segno di essere statocolpito. Intatti”. E non c’è motivo di noncredere che quello che si dice per laregione di Pec non valga anche per le altrezonedel Kosovo. Ma è conogni probabilitàanche questo il motivo, il fatto cioè che leforze armate serbe con il loro armamentopesante e leggero non siano state“sgominate” dalla furia umanitaria deglialleati occidentali, che i generali serbihanno negoziato con tanta caparbietà ilperiodo necessario al ritiro dal Kosovoottenendo almeno 11 giorni di tempo.

Altro obiettivo militare mancato!Altra dichiarazione interessante

di D’Alema: “Perfino i nostri avversari,non dico nemici, hanno apprezzato ilfatto che l’Italia pur nella fermezza dellasua posizione non ha mai rinunciato aricercare una via politica e diplomatica”,alla quale fa eco la dichiarazione delministro della Difesa il quale, parlando deiraid aerei dell’aviazione italiana, enaturalmente Nato, ha affermato chel’obiettivo “non era la sconfitta nèl’umiliazione militare della Serbia” mala “pacificazione della zona”! Ecco unbell’esempio di propaganda imperialista:sipartecipaarmati finoai denti ad iniziativemilitari, oltre che politiche, economiche,diplomatiche, che coinvolgonodirettamente gli interessi imperialisti delproprio Statoe dei propri gruppi finanziari,si bombarda e si uccidono anche civiliinermi, ma non si rinuncia a cercare unasoluzione “politica” per la quale si adotta ilmetodo di non sgominare, non “umiliare”le forze militari nemiche, pardon!,“avversarie”.

Questa è stata una guerra aerea, in

Italia: il governo D’Alema fa la guerra alla Serbia eguadagna in prestigio internazionale, sulla pelle dei

proletari serbi e kosovari, come su quelladei proletari italiani irreggimentati dai sindacati nel

sostegno militare dell’imperialismo italiano

cui le truppe occidentali non si sonofisicamente sporcate le mani in una guerraterrestre, tipo di intervento quest’ultimoche in realtà nessuno, a parte la GranBretagna, voleva veramente. Sono statiabbattuti alcuni velivoli, uno dei famosibombardieri “invisibili” e un paio dielicotteri Apache, ma nessun soldato dellaNato, durante i 79 giorni di bombardamentiha immolato la sua vita a quei “valoriumani” come “la dichiarazione dei dirittidell’uomo, il diritto alla vita, alla libertàe alla speranza per tutti gli europei senzadistinzione di razza, religione oconvinzioni politiche” di cui il nostroministro della Difesa ha parlato ai militariitaliani in Macedonia. E il diritto alla vitadeicivili serbi ealbanesimassacratidurantei bombardamenti Nato? Le più modernebombe delle potenze imperialisticheoccidentali davvero non hanno fatto alcunadistinzionedi razza, religioneoconvinzionipolitiche!

Nello stesso tempo, ildemonizzato Milosevic dava ordine ai suoiufficiali di intensificare la repressione e lacacciata della maggior parte dellapopolazione albanese del Kosovo,spingendo l’enorme massa di centinaia dimigliaia di profughi, come bombe umane,ai confini dell’ Albania, della Macedonia,del Montenegro. I metodi atroci eterroristici usati dall’esercito serbo e dallemilizie paramilitari serbe nei confrontidell’intera popolazione kosovara albanesenon si differenziano di molto dai metodiusati dai berretti verdi americani inVietnam,daipiedsnoirs francesi inAlgeria,dagli italiani in Somalia o in Etiopia, dagliinglesi nelle loro mille colonie e in Irlanda,dai tedeschi nelle occupazioni militari deiloro eserciti. La giovane borghesia serbaha imparato ad utilizzare il terrorismo diStato, i metodi repressivi più brutali ed

efficaci, la raffinatezza della “puliziaetnica” dalla borghesie più anziane, dalleborghesie europee e americana che hannoaccumulato in questo senso moltissimaesperienza nell’ oppressionedei più diversipaesi del mondo!

Quando la borghesia accentua lapropaganda nazionalistica significa cheintende compattare il suo popolo, e inparticolare la partepiù ostica rappresentatadal proletariato, intorno alla difesa deisuoi interessi di classe dominante controaltre borghesie che li minacciano, perutilizzare presto o tardi questocompattamento sul terreno dello scontromilitare e ricavarne un vantaggio in terminidi profitti attuali e futuri. La borghesiaserba in tema di nazionalismo non ha fattonulla di nuovo rispetto a quello che ogniborghesia, di qualsiasi paese, ha fatto, fa efarà. Quando la borghesia più potenteaccentua la propaganda imperialisticafacendo suonare le trombe dei “valoriumani” da difendere in qualche parte delmondo significa che in quella parte delmondo intende difendere e imporre i propriinteressi imperialistici contro qualsiasiostacolo si frapponga; se questaimposizione avviene “pacificamente”, conaccordi politici, diplomatici, economici,finanziari, oppure “manu militari” conoperazioni di polizia o di guerra, dipendedalla situazione in cui si trovano i rapportidi forza tra le più potenti borghesieimperialiste. Nel caso della ex Jugoslavia,per la caratteristica di rappresentare uncrocevia vitale nei rapporti tra Occidente eOriente e dunque zona di contrasti storiciprovocati dalla necessità di controllo diquesto crocevia, nessun paese imperialistapoteva permettersi di rimanere alla finestraad osservare come i propri concorrentimondiali si andavano impossessando diquesto territorio.

La divisione della ex Jugoslaviain tanti Stati differenti non è stata soltantoil risultato di una implosione inevitabiledate le crisi consecutive che hannodestabilizzato tutta l’area slava a partiredalla ex URSS, ma è stata una “necessità”per le diverse potenze imperialistiche incontrasto fra di loro - e in primo luogo laGermania che da dieci anni ha iniziato lasua più profonda penetrazione nei Balcaniseguita dall’Italia che ha sempre mostratoparticolare interesse per questa zona - nelsensodi spartirsi oggiancora pacificamentetra di loro una zona del mondo di alto pesostrategico per tutti. Le guerre che leborghesie jugoslave si sono fatte, e checontinuano a farsi, in questi anni hanno inqualche modo contribuito a mantenere lapace fra le potenze imperialistiche i cuireciproci rapporti di forza non sono ancoragiunti a maturare lo scontro militare direttofra di loro. E le guerre che le borghesielocali si fanno inAfrica, nel Medio Oriente,in Estremo Oriente hanno funzioni simili;esse non sono soltanto l’inevitabileesplosione dei contrasti nazionali fraborghesie regionali in lotta di concorrenzafra di loro, ma sono anche una valvola disfogo dei contrasti interimperialistici frale maggiori potenze del mondo che, inquesto modo, allontanano il momento incui dovranno vedersela faccia a faccia inuna guerra mondiale.

I “diritti umani”, i valori dellalibertà e della speranza, la difesa dei piùdeboli dalle vessazioni e dalla repressionedei più forti, sono soltanto carta straccia,spot televisivi per il quotidianoimbottimento dei crani, pasto per la serieinterminabile di servitori e parassiti delcapitale che altro compito non hanno senon quello di demoralizzare e deprimere iproletari rendendoli mansueti e produttivicome buoi. Il “rispetto” che D’Alemaincassa presso i suoi compari imperialistiè il rispetto di alleati e concorrenti chehanno in verità un interesse comunefondamentale: rendere il proletariato ilmeno resistente possibile alla massicciaspremitura di plusvalore necessaria allasopravvivenza del capitale, e nello stessotempo abituarlo a sacrificare tempo,energie e figli alla causa dell’ imperialismonostrano! E i sindacati tricolore Cgil-Cisl-

Uil, e al loro fianco la Fisaf, i macchinistidello Sma e del Comu hanno dato a lorovolta un sostegno consistente al premieritaliano, innanzitutto sospendendoimmediatamente lo sciopero nelle ferrovieche doveva tenersi il 26 marzo, masoprattutto mantenendo il proletariatosotto il giogo dell’iniziativa militare dellaborghesia italiana per tutto il periodo diguerra facendo proprie le ragioni di questainiziativa, sia quella militare con la Natosia quella “umanitaria” con la “missionearcobaleno”: l’intervento nel Kosovo èstata una “necessità determinatadall’atteggiamento oltranzista diMilosevic” (D’Antoni), “credo siaimportante evitare il ricorso agli scioperinei servizi pubblici per dare forza alleiniziative umanitarie” (Cofferati), (ilMessaggero, 26.3).

I proletari devono sapere chepiegandosi alle esigenze del capitalismonazionale senza opporvisi e senza lottarecontro di esso, in realtà finiscono percondividere la responsabilità di ogni tipodi oppressione che il capitalismo attua,non solo all’interno dello Stato nazionale,ma anche all’esterno. I proletari italianinon hanno bombardato la Serbia o ilKosovo; essi caso mai hanno dimostratoin mille occasioni di avere spirito disolidarietà verso le migliaia di profughikosovari che scappavano dalla fame dallamiseria e dalle atrocità della guerra e chehanno gettato la loro vita sulle spondeitaliane dell’ Adriatico. Ma la mancanza diopposizione di classe contro l’avventuramilitare italiana, inAlbania, inMacedonia,in Kosovooggi, ieri in Somalia o in Libano,e domani chissà dove, pone il proletariitaliani obiettivamente sullo stesso fronteborghese e imperialista che opprime ereprime i proletari albanesi, serbi,kosovari, macedoni, somali o libanesi. Solospezzando i vincoli che ilcollaborazionismo politico e sindacale hacostruito con la borghesia dominante iproletari riusciranno a rompere edistruggere la loro obiettiva complicitàcon il militarismo e con l’imperialismonostrano, per saldare invece lapropria sortedi proletari con la sorte dei fratelli diclasse di ogni altro paese.

(da pag. 1)

In attesa che si definiscano i progetti diricostruzione del Kosovo e della Serbiadalle distruzioni di due mesi e mezzo dibombardamenti Nato, di bombardamenti eincendi da parte serba, ricostruzione chevedrà in prima fila gli Stati europei, l’Italiaha comunque continuato la sua opera dipenetrazione economica in Jugoslaviamalgrado l’ embargo al quale Belgrado èstata sottoposta fin dal 1992, dall’epocacioè della guerra in Bosnia. Lo documentaun servizio apparso nel supplementoeconomico de la Repubblica (29.3.99).

“Negli ultimi sette anni - vi si legge -le aziende di casa nostra hanno sviluppatonotevoli rapporti commerciali con Serbiae Montenegro, distribuendo prodottimade in Italy, e avvalendosi delle impreselocali (concentrate soprattutto nellaVojvodina, la “pianura padana”jugoslava) per la trasformazione diprodotti che venivano poi reimportati peressere venduti tanto in Italia quanto suimercati terzi”. Dal che, per inciso, sideduce che il tasso di sfruttamento delproletariato jugoslavo è notevolmente altose i capitalisti italiani guadagnano di piùesportando in Jugoslavia materie prime datrasformare in prodotti che vengonosuccessivamente importati in Italia peressere qui venduti o rivenduti in altrimercati! “Un’attività considerevole chenon è stata fermata nemmeno dalleulteriori sanzioni decise in seguito allaquestione del Kosovo, che hanno vietatogli investimenti stranieri e i creditigovernativi alla Serbia, hanno congelatoi beni finanziari del governo locale ehanno vietato l’accesso alle capitalieuropee per gli aerei della compagnia dibandiera Jat”.

Sanzioniononsanzioni,gliaffariprimaditutto!“Nel 1998, le esportazioni italiane

nel paese di Milosevic hanno superatogli 842 miliardi di lire, quasi centomiliardi in più dell’anno precedente,dando luogo ad un saldo attivo di 177miliardi. Un’attività concentrata neiprodotti delle industrie manifatturiere:macchine, apparecchi, chimica, tessile,legno”. Naturalmente sono i grandi gruppia dare il là alle attività economiche efinanziarie in Jugoslavia. Prima di tutto laTelecom, e ovviamente la Fiat, seguite da

Roma - Belgrado: gli affari sono affari

Benetton e Barilla. Nessuno vuol farsisfuggire un mercato così a portata di manoe nel quale il lavoro “costa” molto menoche in Italia. Telecom Italia “è una delleaziende italiane più coinvoltenell’economia del paese balcanico. Nelgiugno del 1997 il gestore ha acquisitoper 893 milioni di marchi tedeschi il29% di Telekom Serbia, dando il via a unprocesso di modernizzazione dellestrutture che gestiscono oggi più di 2milioni di utenti di telefonia fissa e 12mila telefonini”.Seguela Fiat che“tramiteIveco ha creato una piccola joint venturecon lasocietà localeZcz per la produzionedi veicoli leggeri”. E Barilla e Benetton,che operano nel mercato balcanico datempo, attendono il momento propizio perrafforzarsi con proprie strutture data lagrande disponibilità di forza lavoro a bassocosto.

Ovviamente, con la guerra l’attivitàproduttiva e distributiva si è parecchioinceppata anche per questi grandi gruppi.“Dopo otto anni di minacce - si leggeancora nel servizio giornalistico citato -nessuno si aspettava che la Natopassasse alle vie di fatto. Ma l’esperienzadella guerra in Croazia insegna che sel’attacco non durerà a lungo gli scambicommerciali fra Italia e Jugoslavia nonsi interromperanno: al limitediminuiranno in intensità per qualchetempo”. Eccolo il linguaggio pragmaticodeicapitalisti, gli affari innanzi tutto:quantimorti? non importa, tanto di mano d’operacen’è inabbondanza!;quantecasedistrutte?tante?, città intere rase al suolo? bene!, siricostruisce e si fanno altri affari! I pontisono stati bombardati?, il Danubio non èpiù navigabile come prima per il cumulo dimacerie finite nel fiume? niente di male, sidraga il fiume, si tirano su ponti nuovi, sirifanno strade e ferrovie! I soldi necessarialla ricostruzione? ce li mettono loro, icapitalisti europei che dopo una guerracosì cruenta vi portano... pace, serenità,speranza, pane e lavoro! Proletari serbi,kosovari, montenegrini, della Vojvodina edelSangiaccatopreparatevi:dietro lespalledelle missioni militari di pace che aveteaccolto come “liberatori” spuntano gliartigli dei peggiori capitalisti del mondo,quelli più forti e tanto, tanto democratici!

YOUGOSLAVIE.L’oppositionréelleaux interventionsmilitaires et aux actes de guerre réside dans la lutte

révolutionnaireduprolétariatet danssa réorganisationclassiste et internationaliste contre toute forme d’oppression

bourgeoise et de nationalisme

E’ il titolo dell’opuscoletto n.23 de “le prolétaire” uscito in giugno; essocontiene la serie di articoli pubblicati nei nostri giornali dal 1987, inizio dellacrisi jugoslava, all’ aprile del 1999, e costa L. 5.000. Questo opuscolo è lacontinuazione dell’opuscolo n.20 uscito nel 1993 e intitolato: “Ex-Yougoslaviecontre toutes les alternatives bourgeoises, nationalistes, fédéralistes,démocratiques”. Qui di seguito il sommario:

- Introduction. L’aggresseur c’est le capitalisme! L’aggressé c’est le prolétariat!- Non à l’intervention impérialiste en Yougoslavie! A bas tous les nationalismes

et toutes les oppressions bourgeoises!- Kosovo: L’humanitarisme intéressé de l’impérialisme occidental et le cynique

terrorisme anti-albanais du capitalisme serbe en haillons sont le deux faces dela meme médaille

- Non à une intervention impérialiste en Albanie!- Les rivalités impérialistes attisent les affrontements en Bosnie- Un soutien ouvert aux forces serbes- Yougoslavie: La mystification de l’humanitarisme impérialiste- Yougoslavie: Solidarité et unité de tous les prolétaires contre toutes les forces

bourgeoises démocratiques et nationalistes!- Yougoslavie: Contre le nationalisme, contre le chauvinisme, contre le racisme,

la seule position prolétarienne est pour l’unité de classe- Yougoslavie: Nationalisme contre lutte de classe!- Les prolétaires yougoslaves à l’honneur!

E’ a disposizione il nr. 96 (Ottobre 1998) della rivista teorica di partito

programmecommunistesommario:

- La perspective du communisme trouve dans l’Octobre bolschévique uneformidable confirmation. Leçon historique et internationale de la révolutionprolétarienne et de la contre-révolution bourgeoise

- Les grandes questions historiques de la révolution en Russie. La Russie dansl’histoire mondiale, dans la Grande Révolution et dans la societé contemporraine

- Repli et déclin de la révolution bolschévique- Annexe. Co-rapport de Zinoviev au XIVe Congrès du PCR (décembre 1925)- Sur le fil du temps. Danse des fantoches: de la conscience à la culture- La question de la reprise de la lutte de classe du prolétariat et les taches des

communistes (Reunion de San Donà, déc. 1992) (fin)- Notes pour les thèses sur la questions d’organisation (1964)- Les trotskystes et la nature de l’URSS. La charlatanerie des Spartacistes- Notes de lecture. Parution du quatrième tome de la Storia della Sinistra

Comunista

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '996

Proletari! Compagni!

Le azioni militari di questi giorni iniziate dai paesidell’Alleanza Atlantica, e guidate dagli Stati Uniti, contro laJugoslavia, fanno parte di una “guerra” interimperialistica peruna nuova spartizione imperialistica del mondo.

Le potenze imperialistichepiù forti economicamente almondo - gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania, la Francia,e al loro fianco l’Italia - e che si fanno passare per le piùdemocratiche e più rispettose dei “diritti umani” e del “dirittointernazionale”, dimostrano con la guerra alla Jugoslavia diessere le più aggressive ogni volta che da qualche parte delpianeta ci sia qualche forza o qualche Stato che non si pieghifacilmente ai loro interessi “superiori”.

Ai superdemocratici americani o inglesi, ai democraticipereccellenza francesi, ainuovidemocratici italiani e tedeschi,della sorte dei kosovari, come di quella dei curdi e ieri deipalestinesi, o degli hutu o tutsi, dei somali o dei bosniaci, noninteressaassolutamentenulla, senonper le conseguenzechele turbolenze-chelostessocapitalismogenera inmodosemprepiù acuto in ogni angolo della terra -, in quelle che sono statechiamate le “zone delle tempeste”, possono comportare nel“riordino” delle influenze politiche, economiche, miilitari, alquale si sono apprestati da almeno 25 anni gli imperialismi piùpotenti.

Gliavvertimentie lepressionisullaTurchia,eaddiritturala guerra all’ Irak non hanno fermato la repressione e le stragidicurdi;comegliavvertimentie lepressionisuIsraelenonhannofermato larepressioneelestragidipalestinesi. LemissioniOnu,le cosiddette forze di interposizione, gli embarghi non hannoevitatonè fermato laguerradi ierinellaex-Jugoslavia traSerbiae Croazia, tra Croazia Serbia e Bosnia, di tutti contro tutti. El’intervento militare delle borghesie occidentali organizzatenella Nato contro la Serbia non eviterà la “pulizia etnica” controi kosovari, come non la sta evitando nonostante le bombe suBelgrado e Pristina.

Le missioni umanitarie dell’ONU, delle più diverseorganizzazioni “non governative”, dei più vari gruppi e partitipacifisti,aldilàdelledichiarazioniointenzionidei loroorganizzatorio partecipanti, non hanno mai avuto alcuna possibilità reale dievitare le azioni repressive che le classi dominanti borghesi, inqualsiasi paese, hanno portato e portano contro i proletari e leminoranze etniche; semmai hanno “preparato” il terreno arepressioni e massacri ancor più orrendi. A dimostrazione chela visione e l’azione umanitariste e pacifiste in realtà sono soloillusorie e quindi impotenti.

E’ la forza, e non il “diritto”, a decidere in ognicampo; tanto più nel campo degli scontri di interessi. Quandoloscontrodi interessiè fraStatiborghesi, laguerracommercialeofinanziaria,aduncerto livellodi tensione,si trasforma inguerraguerreggiata (è la politica fatta con altri mezzi, quelli militari).Quandoloscontrodi interessiè fraclassi,dunquefraproletariatoe classi borghesi, è lotta di classe che, ad un certo livello ditensione e di organizzazione delle rispettive forze, puòtrasformarsi in lotta rivoluzionaria.

L’interventomilitarechegliStati imperialisti occidentalisotto il comando di Washington stanno svolgendo contro laJugoslaviadiMilosevic, è l’attuazionedellapolitica imperialistadei paesi più potenti del mondo fatta con altri mezzi da quellidiplomatici e del “dialogo”, con i mezzi militari.

I briganti di Washington forzano la mano ai loro fratelliinbrigantaggio internazionaleeuropei, tutti alleatioggi (echissàfinoaquando),perdimostrarecheèWashingtonchecomanda.Berlino, Londra, Parigi, Roma, e con loro Madrid e Ottawa,partecipano a questa gigantesca operazione di polizia. E tuttivanno a bombardare in Serbia, in Montenegro e nello stessoKosovo i tantodecantati “obiettivimilitari”, con il seguitodimortifra i civili come avviene sempre in tutti i bombardamenti. Ilmotivo? “Fermare la repressione serba contro la popolazionekosovara”, e “obbligare Molosevic” ad accettare il “piano dipacificazione”delKosovoche ipiùpotenti imperialistidelmondohanno preparato! Dalla Russia e dalla Cina si sono levate le“proteste” contro la decisione d’attacco militare presa dallaNato; ma solo perchè questa decisione le ha semplicementescavalcate.

Larealtàèdi frontea tutti: il “nuovoordinemondiale”sarà il risultato di una serie di atti di forza, e di guerra,realizzati dagli Stati imperialisti che non solo hanno interessipolitici, economici, strategici e militari precisi dadifendere o daimporre nelle varie zone del mondo, ma che hanno anche lapreparazione effettiva per sostenere, nel tempo oltre che nellospazio, quegli atti di forza e di guerra. Oggi, soprattutto dopo ilcrollodell’URSSedella forzaeconomicaemilitaresovietica,attidi forza e di guerra possono essere realizzati inogni angolo delpianetasoltantodagliStatiUniti, i quali - inomaggiosoprattutto

LA VERA OPPOSIZIONE AGLI INTERVENTI MILITARI E DI GUERRAE’ NELLA LOTTA DI CLASSE DEL PROLETARIATO,

NELLA SUA RIORGANIZZAZIONE CLASSISTA E INTERNAZIONALISTACONTRO OGNI FORMA DI OPPRESSIONE BORGHESE E DI NAZIONALISMO

alle alleanze con i paesi delle due coste dell’Atlantico, e sotto ilpretesto della difesa dei principi di democrazia contro i principidel totalitarismo,dicuisimacchierebberonaturalmenteiSaddame i Milosevic - hanno maggior interesse a rendere, nello stessotempo, complici ma sottoposti i paesi più forti dell’Europa.

A questo “nuovo ordine mondiale” è ovviamenteinteressatoanchel’imperialismoitalianocheoggièrappresentatoda un governo composto da ex-picisti, ex-stalinisti, ex-antimperialismoamericano, inogni casoconvinti nazionalisti eborghesi a tutti gli effetti

La cosiddetta “causa” del Kosovo, che per il 90% è diorigine albanese, e musulmana, viene sventolata dagli StatiUniti, e dagli alleati europei fra i quali l’Italia si differenzia per lasua tradizionale facciata umanitaristae dispostaad accoglierei profughi kosovari (ma non più di alcune migliaia!), come unvessillomilitaredi libertà,di “dirittodiunpopolo”avivere inpace.Macon lostessovessillodi libertà,didirittodi unpopoloaviverein pace, marciano in manifestazione i nostri più agguerritidifensori della Costituzione della Repubblica italiana -Rifondazione comunista, con al seguito un po’ di verdi, di preti,diestremistidelpartitodiD’Alema-,coloro iqualinonhannoaltraprospettivadalanciarechequella frittae rifritta,eassolutamenteimpotente, dell’ intervento dell’ONU, scordandosi che sotto ilnaso dei caschi blu si sono verificati regolarmente eccidi,massacri, villaggi rasi al suolo, mentre gli interessi imperialistie nazionalborghesi scorrevano a fianco senza intoppi.

Proletari! Compagni!

i comunisti rivoluzionari non sono mai indifferenti difronte all’oppressione che le classi dominanti sviluppanosistematicamente contro le masse proletarie, o contro leminoranzenazionali.

I comunisti rivoluzionari sono contro ogni forma dioppressione, e non aspettano il crepitio delle mitragliatrici o ilrombo dei bombardieri per alzare la voce contro le classidominantiborghesi.

L’unicoedefficacemezzoper fermare l’oppressione, larepressione, lestragi finoallaguerra, cheognipotereborghese,neipropri confininazionalioaldifuorideipropriconfini, attuaalloscopo di conservare e rafforzare il proprio dominio di classesull’intera società, è la lotta di classedel proletariato controla borghesia.

La lotta di classe realizzata dal proletariato in completaindipendenza dalla politica, dalle organizzazioni e dai mezzidella collaborazione interclassista, è la politica del proletariatocontrolaborghesia, contro lapropriaborghesiainnanzitutto.Lottare contro le operazioni di polizia e di guerra che la propriaborghesiaorganizzacontroaltripaesi,nonsignificasolidarizzarecon i borghesi “buoni”, i “borghesi “umanitari” e rispettosi dei“diritti” contro i borghesi “cattivi”, “barbari”, “totalitaristi”; per ilproletariato deve significare la rottura della solidarietà confrazioni della borghesia, la rottura della complicità con lademocrazia e quindi anche con il parlamentarismo: significaorganizzare leproprie forzeperdifendereesclusivamentei propri interessi di classe, siaeconomici chesociali epolitici,sia in fabbrica che fuori di essa, sia nella propria “patria” chefuori di essa.

Per icomunisti rivoluzionarinonvisaràmaiuninterventomilitare dei paesi imperialisti - pur se diretto sotto l’egida delleNazioni Unite - da “appoggiare”, o da “preferire”. La direttiva è:disfattismo contro la collaborazione fra le classi, control’unione patriottica, contro gli obblighi delle alleanze chei poteri borghesi hanno preso per se stessi, contro ogniazione di polizia o di guerra che la classe dominantedecidedi fare,anchesequestadecisionevenissefuoridalparlamento.

Siamo stati contro l’appoggio ai crediti di guerra nel1914,siamostati per il disfattismorivoluzionarioanchedi frontealla seconda guerra mondiale, sia quindi contro il frontenazifascistacheil frontedemocraticoeresistenziale;siamostaticontro ogni intervento imperialistico fra le due guerre mondiali,e dopo la fine della seconda, si trattasse degli interventicolonialisti odegli interventi “liberatori”, Libiao Vietnam; siamostati contro l’intervento militar-poliziesco in Libano, in Somalia;siamo contro ogni tipo di intervento militare in qualsiasi paesedel mondo - perchè sono stati e sono interventi e guerreborghesi, esclusivamente indifesadi interessiborghesi! Siamoperciò coerentemente contro la partecipazione dell’Italia allacosiddetta“OperationDeterminatedForce”controlaJugoslavia.Ma non siamo dalla parte della “aggredita” Jugoslavia che, perquantoarretrata,èsempreborgheseecapitalistaalparideisuoi“aggressori”.

Noi siamo dalla parte dei proletari jugoslavi,montenegrini, kosovari o macedoni, siamo dalla parte delproletariatoqualunquesia lasuanazionalità, lasuaorigineetnica, perchè soltanto superando le barrierenazionalistiche è possibile per i proletari riconoscersi intutto il mondocome unicaesolidaleclasse, capacediunaprospettiva storica che esca dal girone infernale dell’oppressione e della repressione, delle “pulizie etniche” edalle guerre. Superando le barriere nazionalistiche, i proletariaccedono alla lotta di classe, cioè alla lotta in cui i proletariorganizzano ladifesadei loro interessidiclasse,dunquecontroil regime di sfruttamento del lavoro salariato, del profitto, delmercato, della proprietà privata, dell’appropriazione privata ditutte le ricchezzeprodottesocialmente.Restareprigionieridell’ideologia nazionalistica, dell’ ideologia democratica, dellacollaborazione interclassista, significa restare legati mani epiediagli interessidellapropriaborghesiacheutilizza iproletaricome massa di manovra, e come carne da cannone.

> CONTRO L’ INTERVENTO MILITARE DELL’IMPERIALISMO OCCIDENTALE IN JUGOSLAVIA,

PERCHE’ SIAMO CONTRO OGNI GUERRABORGHESE E CONTRO OGNI BORGHESIA IN GUERRA

> CONTRO LA PARTECIPAZIONE DELL’ ITALIA ALLEOPERAZIONI MILITARI IN JUGOSLAVIA E IN QUALSIASIALTRA PARTE DEL MONDO,

PERCHE’ CON LA CLASSE DOMINANTEBORGHESE VI DEVE ESSERE ROTTURA E NONCOMPLICITA’

> CONTRO LA REPRESSIONE ANTIALBANESE INKOSOVO,

PERCHE’ SIAMO CONTRO OGNI FORMA DIRAZZISMO E DI REPRESSIONE NAZIONALISTICA

> CONTRO OGNI FORMA DI NAZIONALISMO, SERBO,KOSOVARO, MONTENEGRINO O MACEDONE CHE SIA,

PERCHE’ ALIMENTA LA DIVISIONE FRA IPROLETARI E LO SCONTRO FRA DI ESSI A ESCLUSIVOBENEFICIO DEI BORGHESI E DEI CAPITALISTI

> CONTRO OGNI FORMA DI COLLABORAZIONISMO E DIUNIONE INTERCLASSISTA FRA PROLETARIATO EBORGHESIA,

PERCHE’ PARALIZZANO L’AZIONE PROLETARIADI CLASSE

> CONTRO OGNI POLITICA DEMOCRATICA,PARLAMENTARISTA, PACIFISTA, UMANITARISTA,

PERCHE’ ILLUDE E DEMORALIZZA ILPROLETARIATO RENDENDOLO PIU’ SCHIAVO DELLABORGHESIA DOMINANTE

>>PER LA RIORGANIZZAZIONE CLASSISTA DELPROLETARIATO ALDISOPRA DI OGNI DIFFERENZANAZIONALE,

PERCHE’ SOLO UNENDOSI SUL TERRENOCLASSISTA I PROLETARI DI TUTTO IL MONDO PO-TRANNO VINCERE CONTRO LA BORGHESIA E ILCAPITALISMO

>> PER LA RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSEINTERNAZIONALISTA CONTRO LA GUERRABORGHESE, CONTRO OGNI FORMA DI OPPRESSIONEECONOMICA, POLITICA O MILITARE,

PERCHE’ E’ L’UNI-CA PROSPETTIVA IN CUI ILPROLETARIATO PUO’ IMPORRE LA SUA ALTERNATIVASTORICA AL REGIME SCHIAVISTICO E SANGUINARIODEL CAPITALE

>> PER LA FORMAZIONE DEL PARTITO COMUNISTAINTERNAZIONALE, GUIDA TEORICA E PRATICA DELPROLETARIATO SIA NELLA SUA LOTTA DI DIFESADEGLI INTERESSI IMMEDIATI CHE DELLA LOTTARIVOLUZIONARIA CONTRO LE CLASSI BORGHESI PERLA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO E L’ INSTAU-RAZIONE DELLA DITTATURA PROLETARIA,

PERCHE’ E’ IL SOLO ORGANO DELLA FUTURARIVOLUZIONE IN GRADO DI DARE COSTANTEMENTE ALPROLETARIA-TO L’ ORIENTAMENTO CLASSISTA,ALDILA’ DEGLI ALTI E BASSI DELLA LOTTA DI CLASSE,ALDISOPRA DELLE RITIRATE E DELLE SCONFITTE, EIN GRADO DI FAR TRASCRESCERE LA LOTTAPROLETARIA DAL TERRENO IMMEDIATO AL

TERRENO RIVOLUZIONARIO E GENERALE

partito comunista internazionale - il comunistaMilano, 26.3.1999

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99 7

IL PROLETARIATOSI OPPONE ALLA GUERRA

BORGHESECON LA LOTTA DI CLASSE

Che interesse hanno i proletari serbi nella repressione contro lapopolazione kosovara?

Nessuno!Che interesse hanno i proletari serbi a solidarizzare con la propriaborghesia sfruttatrice che li chiama a difendere la Serbia contro gliattacchi armati degli imperialisti occidentali?

Nessuno!

Che cosa differenzia i proletari serbi dai proletari kosovari, daiproletari albanesi, croati, macedoni, montenegrini, o di qualsiasi altropaese del mondo?

Sostanzialmente nulla, perchè tutti sono schiacciati dallerispettive borghesie nelle condizioni di senza-riserve, di salariati. Tuttisoffrono di condizioni di vita che peggiorano sempre più, di fame, didisoccupazione, di miseria. Le differenze di nazionalità, di religione, dicolore della pelle, di etnia, sono differenze che i proletari superanonella comunanza degli interessi di classe, nella lotta in difesa delleproprie condizioni di vita e di lavoro; ma che i borghesi alimentano esfruttano a difesa dei propri interessi di sfruttatori del lavoro salariato,e che usano per accecare i proletari rispetto ai veri loro interessi, e pertrasformarli in carne da macello!Che interesse hanno i proletari kosovari a solidarizzare con lapropria borghesia e con le borghesie imperialiste che bombardano laSerbia?

Nessuno!Che benefici hanno avuto dall’intervento armato dei paesi della Nato,dai bombardamenti a Pristina, a Belgrado, a Novi Sad, a Nis, a Pancevo,a Podgorica? E’ forse terminata la “pulizia etnica” in Kosovo?

Nessun beneficio!La cacciata di centinaia di migliaia di kosovari dalle loro case

e terre, le distruzioni di case e beni da parte dell’esercito serbo e dellemilizie serbe, le uccisioni, gli eccidi, gli stupri e le violenze di ognigenere subiti e che ancora si stanno verificando, sono in realtàaumentati enormemente con l’intervento militare della Nato. Larepressione antialbanese da parte della borghesia serba non si èfermata! I bombardamenti cosiddetti “intelligenti” delle forze armatedella Nato hanno colpito anche colonne di profughi kosovari, comehanno prodotto stragi di civili serbi nelle diverse città bombardate.

Che cosa rappresentano veramente gli aiuti cosiddetti

umanitari che le borghesie di mezzo mondo inviano in Albania e inMacedonia per i profughi kosovari?

E’ il modo borghese di giustificare il proprio dominio direpressione e di massacro in ogni parte del mondo, e di coprire con unpretesto “nobile” il più ampio uso di mezzi militari al fine di difenderesporchi interessi politici di potenza in quella particolare area!

Che interesse hanno i proletari italiani a solidarizzare con lapropria classe borghese dominante, anche se con governo D’Alema e dicosiddetta sinistra, nell’intervento militare contro la Serbia?

Nessuno!Che interesse hanno i proletari italiani a solidarizzare con ilregime borghese serbo, con a capo oggi Milosevic, per opporsiall’intervento della Nato contro la Serbia?

Nessuno!

Sono gli stessi borghesi che tagliano le pensioni, tolgono illavoro a migliaia di salariati, stritolano i proletari occupati con la piùfetente produttività e flessibilità, provocano centinaia di migliaia didisoccupati; sono gli stessi borghesi che per accumulare profitti nonhanno alcuno scrupolo nello sfruttamento del lavoro nero, del lavorominorile, nel risparmio nei sistemi di manutenzione e di sicurezza, nellicenziare dal posto di lavoro, nello sfrattare dalla casa,nell’incarcerare per un nonnulla, sono questi stessi borghesi chechiedono ai proletari di solidarizzare nella loro avventura militarescanei Balcani!

I proletari devono rispondere NO!E sono i borghesi più democratici, quelli pacifisti, quelli più

riformisti ed ecologisti, insomma quelli che non si battono e non sibatteranno mai per difendere effettivamente gli interessi proletari divita e di lavoro contro i tagli dei salari, dei servizi sociali e dellepensioni, perchè i loro grandi principi sono ispirati alla collaborazioneinterclassista che nella realtà uccide gli interessi proletari per salvaregli interessi borghesi; sono questi borghesi che chiamano asolidarizzare con la Serbia di Milosevic contro la Nato, trasformandoMilosevic in una vittima quando in realtà non è che un rappresentante diuna borghesia assassina quanto lo è la borghesia italiana, americana,britannica, francese o tedesca!

I proletari devono rispondere NO!

La guerra che i paesi della Nato, Stati Uniti in testa, ma benaccompagnati dall’Italia, dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dallaGermania - e, nella speranza che la guerra perduri, si è fatta avantianche la Spagna - stanno facendo nei Balcani contro la Serbia, è diesclusivo interesse borghese e imperialistico: in gioco ci sono irapporti interimperialistici fra potenze oggi alleate, ma entrati incontrasto in una zona del pianeta considerata strategica soprattutto perl’Europa.

Di interesse proletario, in questa guerra - come in tuttele guerre fra Stati borghesi -, non ce n’è nemmeno una goccia.

I proletari, in funzione dei loro interessi di classe non soltantoimmediati, ma anche futuri, non devono spendere una goccia di sudore,di sangue, di energia per sostenere la guerra borghese! Ma i proletari,ancor oggi annebbiati dalla democrazia e dalle illusioni riformiste, resiimpotenti da decenni di collaborazione con la borghesia attraversosindacati tricolore e partiti riformisti, sono in realtà paralizzati nellaloro azione indipendente e di classe. Essi sono ancora spinti amobilitarsi “contro la guerra” con metodi e mezzi del tutto borghesi epiccoloborghesi, che sono il pacifismo, l’equidistanza, la caritàumanitaria.

I veri metodi e mezzi della risposta proletaria alleiniziative borghesi - in pace o “in guerra” - sono quelli legati allalotta di classe, all’opposizione di classe concreta e pratica che non sisvolge con le marce per la pace, ma sul terreno della lotta:cominciamo ad incrociare le braccia, a scioperare, a colpire gliinteressi borghesi non nelle “idee” ma nei fatti, nelle loro tasche,nei loro profitti. E’ possibile fare delle azioni contro gliinteressi borghesi, di pace o di guerra, anche oggi in mancanza diuna grande forza proletaria di classe, organizzata e indipendente?Sì: nessuna solidarietà alla borghesia, ai padroni, nelle loroinziative cosiddette umanitarie: i soldi per le spedizioni militari cisono, ma non ci sono per il rinnovo dei contratti?, non ci sono per darelavoro a migliaia di disoccupati? I proletari fermino la produzione, itrasporti, le comunicazioni, incrocino le braccia, scendano insciopero per difendere esclusivamente le loro condizioniimmediate! Perchè difendendo in modo organizzato i loro interessiimmediati sul terreno della lotta di classe, i proletari si mettono nellecondizioni di agire anche contro le iniziative politiche e militari dellapropria borghesia, si mettono nelle condizioni di rompere lacollaborazione interclassista e la obiettiva complicità con i propripadroni, i quali usano questa complicità per schiacciare ancor più nonsolo i “propri” proletari, ma anche i proletari degli altri paesi, magaribombardando le loro città e le loro case!

CONTRO LA BORGHESIA, SEMPRE, NELLE SUE INIZIATIVEDI GUERRA O DI PACE, PERCHE’ LE CONDIZIONI DISFRUTTAMENTODELLAVOROSALARIATOSONOPRESENTIIN PACE COME IN GUERRA!

CONTRO I METODI DEL PACIFISMO, DELLACOLLABORAZIONE FRA LE CLASSI, DELLA COMPLICITA’FRA PROLETARI E BORGHESI, CONTRO L’UNIONEPATRIOTTICAENAZIONALE!

PERLARIORGANIZZAZIONECLASSISTADEIPROLETARI,INDIPENDENTE E DIRETTA, A DIFESA ESCLUSIVA DEGLIINTERESSI DICLASSE IMMEDIATI EFUTURI!

Partito comunista internazionale (il comunista)- 23 Aprile 1999 -

Pubblichiamo qui di seguito il volantino sull’ intervento militareNato in Serbia, distribuito dai compagni a Mestre e a San Donà.

A CHI GIOVA LA GUERRA, SENON AI PADRONI?

La guerra che si sta consumando in Jugoslavia è unaguerra tra fazioni borghesi che si contendono un territorio, dellerisorse, degli uomini da sfruttare. I proletari non hanno nessuninteresse in questo tipo di guerre, ma solo conseguenze nefasteda pagare.

Il governo borghese italiano si allea con le potenzeimperialiste piùforti economicamente e militarmente del mondo,non per impedire i massacri nel Kosovo, ma per imporre aigoverni dei paesi minori le loro direttive superiori, i lorointeressi a livello planetario.

I bombardamenti della NATO non sono serviti adeliminare quelle tensioni nei Balcani che i borghesioccidentali -soprattutto l’ Italia - vedono minacciosamente avvicinarsi alle portedei propri paesi, con il conseguente carico umano; anzi, il problemasi è ingigantito, le bombe che colpiscono i profughi che scappanodal Kosovo o la popolazione civile della Serbia non sono un“tragico errore”, ma la chiara dimostrazione che della vita deiproletari se ne infischiano altamente. Cade completamente lagiustificazionevergognosadell’interventomilitarea“difesa”dellapopolazione del Kosovo, ed emerge quella reale del regolamento diconti frabriganti imperialisti.

Gli opportunisti di Rifondazione comunista, i Verdi o ipacifistidell’ultima odella primaora dall’ iniziodeibombardamenti, che alzano la voce contro l’ intervento militaredell’Italia a fianco della NATO, perchè fatto in offesa a paesiesterni, domani sarannoprontissimi all’interventomilitare, i primi, ea tacere gli ultimi, in una guerra a “difesa” dello Stato borghesedemocraticoitaliano, per gli interessi borghesi enazionali, dunquedella classe sfruttatrice (e sappiamo in guerra quanto è ambiguo iltermine “difesa”, con il gioco delle reciproche accuse e falsità suchi inizia per primo). In questo caso i proletari dovranno alloraversare il proprio sangue per il patrio suolo, conteso tra fazioniborghesi di nazionalità diversa, lo stesso motivo per cui “Belgrado”e “Pristina” si stanno combattendo oggi.

Questi opportunisti di marca staliniana sfruttanoil naturalesentimentodi solidarietà internazionale delproletariatoper scopielettorali e ruolopoliticooccupato (poltrone in parlamentocomprese), ma in realtà non osteggeranno mai - come inmvecefanno i comunisti rivoluzionari - le guerre borghesi, e tanto menodedicherannole loroforze alla preparazione rivoluzionaria.

Il collaborazionismo sindacale di CGIL-CISL-UIL,degnecinghiedi trasmissione della politica deipartiti che guidano ilgoverno guerrafondaio, definendo la guerra una “necessitàcontingente” e non organizzando nessuno sciopero generalenazionale, per l’ ennesima volta dimostra che nulla essi hanno ache spartire con le esigenze, con i bisogni, con le necessità deiproletari. Questi spudorati sostenitori di massacri di proletariche hanno solo la sventura di abitare in un’altra nazione, sannosolo piangere di fronte ai conti dei padroni, hanno solo pietà dellasopravvivenza delle aziende dei propri padroni; altro cheinternazionalismo operaio come qualche volta hanno avuto ilcoraggiodicianciare

Ciò che resta da fare ai proletari è di rifiutare qualsiasiappoggioalle rispettive borghesienazionali in questi atti dibrigantaggioimperialistaenazionalista, impegnare lapropriaborghesia sul fronte interno della lotta di classe, della guerra controgli sfruttatori, per ipropri interessi immediati chesignifica: difesadelle condizioni di vita e sul posto di lavoro, del salario checontinua a diminuire a causa dei tagli poderosi che si stannoulteriormente portandonella sanità, nei servizi sociali, nellepensioni, per una prospettiva di vita che non sia di purasopravvivenza e sempre più spesso al di sotto di questa.

Si tratta della ripresa di metodi e obiettivi di lotta che laclasse operaia deve necessariamente riprendere come abitudine dalsuo passato di esperienze vissute e che hanno dimostrato che soloun’organizzazioneindipendentedallecompatibilitàeconomico-aziendali o nazionali può efficacemente mettere in atto.

La collaborazione interclassista proposta e attuata daipartiti opportunisti, e dai sindacati collaborazionisti, parte dalpianoeconomico aziendale e nazionale, e porta sul piano politico piùgenerale alla collaborazione nelle guerre dei borghesi; per questomotivo non bisogna dare tregua alla propria borghesia. Così devonofare i proletari serbi e quelli albanesi del Kosovo, così come quellidei paesi della NATO e nei confronti dei rispettivi governi borghesi.

I proletari devono fare la guerra di classe anzichèpartecipare a quella dei borghesi; nella guerra borghese essi sonochiamati solamente a versare il loro tributo di sangue, sofferenze emaggior sfruttamento, che in tempo di “pace” viene giustificatodai democratici borghesi con le esigenze dellosviluppo economico,e in tempo di guerra con le esigenze dell’economia di guerra; finitala guerra, con le esigenze della ricostruzione dell’ apparatoproduttivo. In pratica, sia in “pace” che in guerra, i proletaridevono sempre pagare, devono dare sangue e sudore, non esistetregua!

Per questo motivo l’ unica guerra giusta che ad essi restada fare è quella di classe contro tutte le borghesie del mondocapitalista. Oltretutto, chi oggi sta distruggendosistematicamentecon la guerra nei Balcani, domani scenderà in campo per

concorrere all’affare della ricostruzione; ogni guerra borghese èrigeneratrice per il capitale in crisi e mortale per il proletariato chenon si ribella; se quest’ ultimo rinuncia ai propri interessi di classetanto più sarà impotente di fronte alle guerre volute dai borghesiper difendere i propri interessi e i propri spazi di mercato domani.

Partitocomunista internazionale (il comunista)San Donà, 20/4/99

Questo è il titolodell’introduzione all’opuscolettosulla Jugoslavia, prodotto daicompagni francesi e distribuito il25 aprile scorso, che quipubblichiamo.

Dopo otto anni, la guerracivile, largamente alimentata dagliimperialismi dominanti e dalle lorocorti militar-umanitarie, colpiscei proletari della ex Jugoslavia. Ilprolungamento di questa guerra nelKosovo, abitato per la stragrandemaggioranza dauna popolazionediorigine albanese, è lacontinuazione logica dell’accanimento della borghesia serbanel costruire una Serbiadominatrice in questa regione ditempeste, utilizzando tutti i mezzia sua disposizione, fossero anche ipiù barbari. Ma come abbiamospiegato negli articoli apparsi nellanostra stampa, e qui riprodotti, icomunisti combattono l’idea,veicolata con grandi mezzipropagandistici, che il responsabiledi questo disordine di guerra edisastro umano, in una parola chel’aggressore, siano la Serbia e iserbi, riuniti intorno al loro leaderMilosevic, demonizzato perl’occasione in un “Saddam deiBalcani” dalla democraziaborghese.

Ogni guerra imperialistae borghese alla scala mondiale perla spartizionedelle riservedi caccia

planetarie, come ogni conflittoborghese regionale per unadivisione territoriale diversa daiprecedenti confini, sono sempre ilrisultatodello scoppiobrutale dellecontraddizioni accumulate in unlungoperiododa blocchi capitalistinazionali con interessi divergenti.

Non esiste un aggressorefautore della guerra: vi è alcontrario un sistema capitalista cheprovoca e moltiplica le aggressionireciproche di tutti contro tutti, atutti i livelli e a tutte le ampiezze.L’aggressione di una borghesiaverso un’altra borghesia, nelsistema capitalistico, è un fattopermanente; essa inizia attraversol’aggressione commerciale efinanziaria con cui si cerca contutti i mezzi - talvolta nonconfessabili come le informazionidi carattere militare per spiare ipropri concorrenti economici - diallontanare i propri avversari da unmercato troppo ristretto per darspazio a tutti. E in questa guerrainfernale dove gli Stati maggiori siriuniscono nei saloni felpati deiConsigli di Amministrazione deigrandi gruppi dell’oligarchiafinanziaria mondiale, sono iproletari e le masse diseredate chefanno le spese dell’aggressivitàpermanente del capitalismo con lesue conseguenze di sacrifici, di

L’aggressore è il capitalismo!L’aggredito è il proletariato!

(Segue a pag. 12)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '998

KOSOVO, SERBIA, MACEDONIA, MONTENEGRO,ALBANIA

MAQUALI“DIRITTI UMANI”?

Proletari aprite gli occhi!

LE BORGHESIE NAZIONALI BALCANICHE, GLI IMPERIALISMIEUROPEI, L’IMPERIALISMO AMERICANO E ANCHE QUELLO RUSSO,OGNUNO, A SECONDA DELLE PROPRIE FORZE, TENTA DI IMPORRESUGLI ALTRI I PROPRI INTERESSI CAPITALISTICI E DI POTENZA.NELLA EX-JUGOSLAVIA SI STA CONSUMANDO UNA TRAGEDIAPREPARATA DA DIECI ANNI, FIN DAL CROLLO DELLA JUGOSLAVIATITINA.

IN QUESTI DIECI ANNI I SERBI HANNO AMMAZZATO SLOVENI ECROATI, ALBANESI, MACEDONI E BOSNIACI; I CROATI HANNOAMMAZZATO SERBI, BOSNIACI E MONTENEGRINI; I BOSNIACIHANNO AMMAZZATO SERBI E CROATI, E DIETRO OGNI BORGHESIASLAVA CI STAVA UN IMPERIALISMO PIU’ FORTE, LA GERMANIA,LA RUSSIA, LA FRANCIA, L’AMERICA, L’ITALIA, LA GRANBRETAGNA, MA ANCHE LA GRECIA, L’AUSTRIA, L’UNGHERIA, LASVIZZERA.I MASSACRI, ORA DEGLI UNI ORA DEGLI ALTRI, SI SONOSUSSEGUITI, GIUNGENDO IN BOSNIA A LIVELLI CHE SEMBRAVANOIRRAGGIUNGIBILI IN UNA SITUAZIONE INTERNAZIONALE NON DIGUERRA MONDIALE. IN KOSOVO QUEI LIVELLI SONO STATI

SUPERATI!DA DIECI ANNI IL NAZIONALISMO SERBO PREPARA LE PREMESSEIDEOLOGICHE, POLITICHE E MILITARI PER IL FERREO CONTROLLODEL TERRITORIO RIMASTO DAL CROLLO DELLA EX JUGOSLAVIA, ESOTTO IL SUO TALLONE DI FERRO SONO RIMASTI IN PARTICOLAREGLI UNGHERESI DELLA VOIVODINA E GLI ALBANESI DEL KOSOVO.MA SONO I QUASI 2 MILIONI DI KOSOVARI ALBANESI CHE HANNORAPPRESENTATO LA SPINA PIU’ ACUTA NEL FIANCO DELLABORGHESIA SERBA. MA QUI NON SI TRATTA TANTO DI “PULIZIAETNICA”, SI TRATTA DI UNA RAPIDA E FORZATAPROLETARIZZAZIONE DI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI KOSOVARI!E QUESTO FATTO E’ INTERESSE OBIETTIVO DI TUTTI I BORGHESI

DEL MONDO.

DA DIECI ANNI GLI IMPERIALISMI EUROPEI E AMERICANOSVOLGONO UNA INSISTENTE CAMPAGNA DI PROPAGANDA ANTI-SERBA - PRIMA IN FUNZIONE DELL’ “INDIPENDENZA” DELLASLOVENIA E DELLA CROAZIA DALLA SERBIA CHE LE VOLEVAMANTENERE UNITE IN UNA FEDERAZIONE POST-TITINA CHEASSOMIGLIAVA MOLTO ALLA “GRANDE SERBIA”, POI IN FUNZIONEDELLA “PACIFICAZIONE” NELLA BOSNIA RESASISANGUINOSAMENTE “INDIPENDENTE” DA CROAZIA E SERBIA, ORAIN FUNZIONE DELL’ “AUTONOMIA” DEL KOSOVO, E DOMANIMAGARI DELL’ INDIPENDENZA DEL MONTENEGRO, DELLAMACEDONIA O DELL’AUTONOMIA DELLA VOIVODINA -PROPAGANDA PREPARATORIA DELL’INTERVENTO MILITARE CHEE’ ANCORA IN ATTO.

I PROLETARI SERBI,KOSOVARI,ALBANESI, MACEDONI,MONTENEGRINI, CHE INTERESSI HANNO INQUESTI SCONTRIDI GUERRA IN CUI LE RISPETTIVE BORGHESIE NAZIONALITENTANOIN TUTTIIMODI DIACCAPARRARSI QUOTEDIPOTERE E PEZZI DI TERRITORIO PER RAFFORZARE SE STESSEE PER POTER SFRUTTARE PIU’ EFFICACEMENTE DOMANI I

“PROPRI”PROLETARI? NESSUNINTERESSE!EI PROLETARI ITALIANI, TEDESCHI,FRANCESI,BRITANNICI,

AMERICANI, RUSSI, CHEINTERESSI HANNOASOSTENEREL’INTERVENTOMILITAREDELLE“PROPRIE”BORGHESIE

IMPERIALISTECONTROLASERBIA? NESSUNINTERESSE!

IL PRETESTO DELLA BORGHESIA SERBA PER LAREPRESSIONE E I MASSACRI IN KOSOVO: STRONCARE ILTERRORISMO ALBANESE IDENTIFICATO NELL’ INSIGNIFICANTEUCK!

IL METODO DELLA BORGHESIA SERBA: CACCIATA DALLECASE E DALLE TERRE DEL KOSOVO DELLA MAGGIOR PARTE DEGLIABITANTI DI ORIGINE ALBANESE, DISTRUGGERE LE LORO CASE,DERUBARLI DEI LORO BENI, MASSACRARLI SE TENTANO ANCHEUNA MINIMA RESISTENZA, DEPORTARLI A CENTINAIA DI MIGLIAIAROVESCIANDO QUESTA ENORME MASSA DI PROFUGHI IN ALBANIAE IN MACEDONIA NEL DOPPIO OBIETTIVO DI LIBERARSI DI LORO EDI DESTABILIZZARE I GIA’ DEBOLI PAESI CONFINANTI.

L’OBIETTIVO DELLA BORGHESIA SERBA: RESISTERE ALLEPRESSIONI DEGLI IMPERIALISMI EUROPEI E AMERICANO,CONQUISTARE UNA POSIZIONE DI LEADERSHIP NEI BALCANI INCONCORRENZA CON TURCHIA, UNGHERIA, AUSTRIA, CROAZIA,COMPATTARE SUI PROPRI INTERESSI IL PROPRIO PROLETARIATO .

IL PRETESTO DEGLI IMPERIALISTI AMERICANI, TEDESCHI,ITALIANI, FRANCESI: IMPEDIRE CHE SI ATTUI UN GENOCIDIO (LAFAMOSA “PULIZIA ETNICA”) NEI CONFRONTI DELLA POPOLAZIONEKOSOVARA DI ORIGINE ALBANESE

IL METODO DEGLI IMPERIALISTI ORGANIZZATI NELLANATO: DETTARE CONDIZIONI ALLA SERBIA CHE LA SERBIA NONPOTRA’ ACCETTARE SE NON DOPO ESSERE STATA PIEGATAMILITARMENTE, PASSARE ALLA FASE DELL’INTERVENTO MILITARECON BOMBARDAMENTI SISTEMATICI, PREPARARE L’EVENTUALEPASSAGGIO ALLA FASE MILITARE DELL’ INTERVENTO CON TRUPPETERRESTRI OCCUPANDO IL TERRITORIO.

GLI OBIETTIVI: OGNI IMPERIALISMO HA IN VERITA’ SUOIOBIETTIVI SPECIFICI CHE IN PARTE CONTRASTANO CON QUELLIDEGLI ALLEATI. TUTTI CERTAMENTE HANNO INTERESSE CHENELLA REGIONE BALCANICA VI SIA UN CONTROLLO

IMPERIALISTICO “OCCIDENTALE” E NON RUSSO, E IN QUESTA

DIREZIONE VI SONO STATI GIA’ DEI PASSI: SLOVENIA E CROAZIASONO “INDIPENDENTI” E QUINDI SONO SOTTO LA TUTELAOCCIDENTALE (IN PARTICOLARE DI QUELLA TEDESCA, CHE NONPIACE TROPPO NE’ AGLI USA NE’ ALLA FRANCIA), L’UNGHERIA FAORA PARTE DELLA NATO (PERCIO’ E’ COMPLETAMENTE SOTTO LATUTELA OCCIDENTALE, IN PARTICOLARE DEGLI USA E DELLAGERMANIA); LA GRECIA E LA TURCHIA SONO GIA’ DA TEMPOASSIMILATE NEGLI INGRANAGGI DELLA NATO, COSI’ COME LAMACEDONIA.MA IN QUESTA VICENDA L’IMPERIALISMO AMERICANO VUOLEOTTENERE QUALCOSA DI PIU’: STA DICENDO AGLI ALLEATIEUROPEI CHE E’ LUI CHE DECIDE QUANDO DOVE E CONTRO DI CHI“E’ GIUSTO” INTERVENIRE MILITARMENTE, ALDILA’ DELLE CARTECOSTITUTIVE DELL’ONU E DELLA STESSA NATO; E STA DICENDOALLA RUSSIA CHE LE CONVIENE PRIMA O POI SUBORDINARSI ALGIGANTE AMERICANO SE VUOLE I FINANZIAMENTI PER RIMETTERELA PROPRIA ECONOMIA IN MARCIA, E DI DIMENTICARSI ILPERIODO IN CUI, DA “SUPERPOTENZA”, DETTAVA LEGGENELL’EUROPA DELL’EST. E’ PER QUESTO CHE LA MAGGIOR PARTEDELLE MACCHINE DA GUERRA E DI UOMINI IMPEGNATINELL’INTERVENTO MILITARE IN SERBIA SONO AMERICANI.

DI FATTO, A TRE SETTIMANE DALL’INIZIO DEI MASSICCIBOMBARDAMENTI NATO CONTRO LA SERBIA, NON SONOTERMINATE LE DEPORTAZIONI IN MASSA E LE UCCISIONI DEIKOSOVARI, E NON VI E’ STATO IL PRESUNTO RAPIDO CEDIMENTODA PARTE DEL GOVERNO MILOSEVIC.CIO’ SIGNIFICA CHE LA “GUERRA” CHE GLI IMPERIALISTI

OCCIDENTALI STANNO FACENDO ALLA SERBIA SARA’ LUNGA; PERI KOSOVARI - CHE TUTTI I GOVERNI IMPEGNATI MILITARMENTEDICONO DI VOLERLI DIFENDERE - LA LORO TRAGEDIACONTINUERA’ A LUNGO, E PER LE POPOLAZIONI DELLA NUOVAJUGOSLAVIA NON MANCHERANNO PRIVAZIONI, FAME,DISOCCUPAZIONE.

LARISPOSTAATUTTO QUESTONON STA NELLASOLIDARIETA’ CONLACLASSE

DOMINANTE ITALIANA E IL SUO GOVERNOCHE STA“AGGREDENDO”LASERBIADEL“CATTIVO”MILOSEVIC,

NON STA NEMMENO NELLA SOLIDARIETA’ CON LACLASSEDOMINANTESERBACHEE’STATA“AGGREDITA”DAI“CATTIVI”AMERICANI

ENON STA TANTOMENO NELLAPOSIZIONE PACIFISTACHE INVOCA LA PACE AGLI STESSI GOVERNANTI E AGLISTESSI BORGHESI CHE STANNO FACENDO LA LORO GUERRA

LA RISPOSTA PROLETARIA E’ UNA RISPOSTA DICLASSE

CONTRO OGNI BORGHESIA IN GUERRA E CONTRO LA PROPRIA

BORGHESIA NAZIONALE PRIMA DI TUTTO:

PER IL RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE ITALIANEDALLE ZONE DI GUERRA E DALL’INTERVENTO MILITARECONTRO LA SERBIA, E CONTRO OGNI COINVOLGIMENTOANCHE SOLO A LIVELLO DI STRUTTURE COME PORTI,AEROPORTI ECC. DELL’ITALIA NELLA GUERRA CONTRO LASERBIA!

CONTRO OGNI BORGHESIA IN TEMPO DI PACE, E CONTRO LAPROPRIA BORGHESIA NAZIONALE PRIMA DI TUTTO:

PER LA RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSE CONTROOGNI FORMA DI PACE SOCIALE E DI CONCILIAZIONE DEGLIINTERESSI FRA BORGHESI E PROLETARI, COSTRUENDOPIATTAFORME DI LOTTA CHE PREVEDONO LA DIFESA DELSALARIO OPERAIO, LA DIMINUZIONE DRASTICA DELL’ORARIODI LAVORO, IL SALARIO AI DISOCCUPATI, LA FINE DI OGNISUBORDINAZIONE DEGLI INTERESSI IMMEDIATI PROLETARIALLE COMPATIBILITA’ AZIENDALI!

CONTRO OGNI FORMA DI OPPRESSIONE E REPRESSIONE, ETNICA,RAZZIALE, CULTURALE, RELIGIOSA, SESSUALE CHE OGNIBORGHESIA ADOTTA PER DOMINARE E CONTROLLARE PIU’EFFICACEMENTE SOPRATTUTTO IL PROLETARIATO:

CONTRO IL CONTROLLO DELL’IMMIGRAZIONE,CONTRO I LAGER DEI CENTRI “D’ACCOGLIENZA”, PER LAPARITA’ NORMATIVA E SALARIALE FRA PROLETARI ITALIANIE IMMIGRATI E PER LA PARITA’ DEI DIRITTI DI TUTTI IPROLETARI DI QUALSIASI NAZIONALITA’!

CONTRO OGNI FORMA DI COLLABORAZIONISMO, A LIVELLOPOLITICO SINDACALE E ORGANIZZATIVO:

PER LA RIORGANIZZAZIONE CLASSISTA DEIPROLETARI AL DI FUORI DEGLI ACCORDI CAPESTROSOTTOSCRITTI DAI SINDACATI TRICOLORE E DAI LOROEPIGONI, E PER L’USO DEI MEZZI E DEI METODI DELLA LOTTADI CLASSE ALDIFUORI E CONTRO LA SUBORDINAZIONE DELLALOTTA AI NEGOZIATI TRA VERTICI: E’ LA LOTTA CHE DECIDEIL LIVELLO DEI NEGOZIATI E DEGLI ACCORDI!

partito comunista internazionale (il comunista)17-Aprile-1999

In Kosovo, in Serbia, inMontengro, in Albania, inMacedonia si sta consumando unaguerra di interessi borghesi fra lediverse borghesie nazionali diquesta regione balcanica, in cuisono intervenuti armati finoai dentigli imperialismi più potenti dellaterra.

Gli interessi dellaborghesia serba sono quelli dicontrollo ferreo del territorionazionale rimasto dal crollo dellaex-Jugoslavia titina, KosovoVojvodina eSangiaccatocompresi,confini che tutte le borghesiariunite nelle Nazioni Unite hannoaccettato come legittimi alla finedelle guerre con la Croazia e laBosnia; e sono quelli delcompattamento più spinto in sensonazionalistico serbo di tutta lapopolazione, anche se ciò hacomportato e comporta larepressione più dura dellenazionalità albaneseoggi, edomaniprobabilmente di quelle ungheresee romena presenti in Vojvodina.

Gli interessi della giovanee debole borghesia albanese sonoquelli di uscire dal ghetto in cui ilregime precedente di HenverHodja l’aveva cacciata e diaggrapparsi agli imperialismimondiali più forti - leggi Germania,Stati Uniti, e non ultima l’Italia -per partecipare alla ripartizioneanche solo delle briciole dellosfruttamento mondiale del lavorosalariato; e sonoquelli di rafforzarele potenzialità di sfruttamento

esistenti del “proprio” proletariato.Nei confronti degli albanesi delKosovo, la borghesia di Tirana hal’interesse di legare a sè unapopolazione e un territorio,sognandouna“GrandeAlbania”allaparidellaborghesia serbachesognauna “GrandeSerbia”; naturalmentenella “Grande Albania” potrebbesfruttare più facilmente unapopolazione e un proletariato cheparla la sua stessa lingua, che si rifaalle sue stesse tradizioni e cheproifessa la sua stessa religione,lingua tradizionie religionediverseda quelle dei serbi.

Gli interessi dellaborghesia montenegrina, con ilcrollo della ex-Jugoslavia titina,corrispondevano in una certamisura a quelli della borghesiaserba insieme alla quale hariorganizzato una repubblicafederale jugoslava; ma con ilpassare degli anni la supremaziaserba schiaccia sempre più gliinteressi specifici della borghesiamontenegrinaaprendoconessa unacontrasto che con la presentesituazione di guerra andrà semprepiù approfondendosi. Essa, d’altraparte, ha in mano l’unico sbocco almare di Belgrado e ciò costituiràmotivo di grandi contrasti sia fraSerbia e Montenegro che fra Serbiae imperialismi occidentaliinteressati a ridimensionarefortemente la forza e il pesomilitare della Serbia nella regionebalcanica e nell’Adriatico.

Gli interessi della

borghesia macedone, altra deboleegiovaneborghesianazionale, sonoquelli di non farsi schiacciare dallaborghesia serba o da quella grecafra le quali si trova situata, e perciòsi affitta volentieri ora al serviziodella Serbia, ora al servizio dellaGrecia, ora al servizio degliimperialismi europei o americano,con una politica di cosiddetta“equidistanza” attraverso la qualespera di potersi proteggere controinfluenze troppo invadenti; ma ciònon la salverà dalla colonizzazioneeuroamericana.

I contrasti economici epolitici fra le diverse borghesiepresenti nei Balcani non sonorisolvibili “pacificamente”, comeha dimostrato la guerra fra Serbia eCroazia, fra Croazia Serbia eBosnia, e come è dimostrato da piùdi dieci anni dalla repressioneserbain Kosovo contro la popolazionedi origine albanese.

Ma c’è una differenza trala guerra balcanica di ieri e quelladi oggi.

La guerra fra Croazia eSerbia, e fra Croazia Serbia eBosnia, è stata condotta localmentesenza l’intervento diretto delleforze militari degli Statiimperialistici più potenti delmondo - anche se ogni fazioneborghese locale poteva contaresull’appoggio dei diversi Statiimperialistici, in particolare StatiUniti, Germania, Francia, Russia,Italia - ed è rimasta confinata nellaregione non sviluppando aldifuori,

Gli interessi borghesi, alla base dei contrastieconomici politici e militari nei Balcani

e soprattutto in Europa, leconseguenze dirette delladestabilizzazione balcanica e letensioni sociali provocate dagliscontri nazionalistici. Quelleguerre hanno comunque generatouna diversa suddivisionedelle zonedi influenza dei paesi imperialisticipiù potenti, spostando ad esempioSlovenia e Croazia sotto unpartneriato economico efinanziario con Germania e Italia,la Serbia sotto le ali della Francia edella Russia. Ed hanno provocatolo spostamento di qualche milionedi profughi cacciati dalle propriecase e terre. La guerra in Bosnia-Erzegovina, ad esempio, secondocifre ufficiali, ha prodotto1.900.000 profughi.

La guerra odierna, che lepotenze più grandi del mondo, e inparticolare gli Stati Uniti e la GranBretagna, stanno facendo contro laSerbia, ha ovviamente findall’inizio una dimensioneinternazionaleeconvoglia interessiinterimperialistici nell’areabalcanica in modo molto piùdiretto.Lagrandespintamilitarescacon la quale gli Stati Uniti e la GranBretagna, e dietro di loro laGermania, hanno affrontato la“questione del Kosovo” e deicosiddetti “diritti umani”, segnalaun loro interesse particolarmenteforte in quest’area che, a causadell’intervento militare Nato cosìmassiccio, assume dimensionestrategica di prima grandezza.

Nuove brochures di partito in francese

E’ a disposizione la ristampa del volume intitolato

ELEMENTSDEL’ECONOMIEMARXISTE

che contiene il testo che porta lo stesso titolo e che esponele sezioni dalla Ia alla VIIa del Primo Libro del Capitale diMarx, e, in Appendice, altri due testi ad esso collegati, eprecisamente:1. Sul metodo dialettico; 2. Il formulario economico.

“Il testo, nella sua forma originaria, si proponeva “incerto modo di sceverare e allineare la parte economica”del Capitale; ma da tutte le sue pagine, come da quelledella ciclopica opera di Marx, si levano sia il grido dibattaglia della classe operaia in lotta per l’abbattimento del modo di produzione borghese di cuidenunzia le infamie nascoste dietro il paraventodemocratico e della sua soprastruttura statale, sia l’anticipata visione della società in cui il genere umanouscirà finalmente dalla sua preistoria e,ricongiungendosi idealmente ai primordi di una vitaassociata comunitaria, baserà tutti i rapporti diproduzione e di convivenza umana su criteri nonmercantili, non individualistici, non volgarmentecontingenti, ma finalmente umani e razionali.“E’ dunque insieme economia, “filosofia”, politica:insomma guerra di classe.”

Il volume, di 150 pagine, brossurato, costa L. 15.000(spese di spedizione comprese).

Lo stesso testo è disponibile oggi in italiano soltanto infotocopia.

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99 9

Lasolidarietà proletariae internazionalistapoggia sul terreno della dichiarata ed effettiva lotta di classe contro

la propria borghesia nazionale e contro la borghesia di ogni altro Stato;essa mira all’unione dei proletari di tutto il mondo, non all’ unione dei “popoli”

gli strati sociali suoi alleati.Da comunisti marxisti ci

facciamo e ci faremo sempre orientare daigrandi obiettivi della lotta rivoluzionaria -dallegrandi paroled’ordinedel comunismorivoluzionario: formazione del partito diclasse, disfattismo rivoluzionario in pacee in guerra, lotta rivoluzionaria per laconquista violenta del potere politico,dittatura proletaria esercitata dal partito diclasse, interventi dispotici nella società invista della distruzione del modo diproduzione capitalistico, guerrarivoluzionaria contro guerra imperialista,ecc. -, e non tralasceremo mai di indicarequesti obiettivi rivoluzionari come la rottamaestra della lotta di classe rivoluzionaria.Ma il compito dei comunisti rivoluzionarinon è solo quello di riconfermare erafforzare i principi, la teoria, ilprogramma, i punti nodali della prospettivadel comunismo; è altrettanto vitale,rimanendonel solcodellebattagliedi classee delle lezioni storiche del movimentocomunista internazionale, maneggiare ilmarxismonellenecessarievalutazioni dellesituazioni concrete e nella necessariacritica a tutte le posizioni che, spessospacciandosi per proletarie, comuniste erivoluzionarie, in realtà tengonoimprigionato il proletariato - o loriconducono attraverso illusorie vie più“dirette” o più “facili” - nella situazione disudditanza e di dipendenza dalla borghesianazionale.

Di fronte alla guerra che gli Statidella Nato hannocondotto contro la Serbia,molte sono state le voci di protesta control’intervento militare; in genere sono statequasi tutte di natura pacifista, avanzando larichiesta che i poteri forti delegassero allavia diplomatica e politica la soluzione delconflitto serbo-albanese in Kosovo,prendendo dunque le difese del “popoloserbo” e del “popolo kosovaro-albanese”i cui rispettivi governanti e dirigentiavrebbero dovuto accordarsi in virtù dellepressioni degli Stati più forti. Alcuneformazioni politiche (come Rifondazionecomunista, ma anche la Lega Nord) si sonodistinte per un loro supposto “anti-imperialismo” schierandosi contro laguerra della Nato, e soprattutto control’imperialismo americano, in difesa delloStato Jugoslavo; dunque, avanzando laposizione della difesa della borghesia piùdebole contro quella più forte. Ovviamentenessuna di queste posizioni può esserespacciata per proletaria, e tantomeno percomunista.

C’è poi chi, pur dichiarandoorigini da sinistra comunista, non si èdiscostato da un antimperialismofondamentalmente borghese. Parliamodell’ Organizzazione ComunistaInternazionalista (OCI) che pubblica ungiornale intitolato “Che fare”. Il nr. 49,aprile-maggio 1999, di questo giornale èinteramente dedicato alla questione dellaguerra Nato in Jugoslavia.

Va detto che tutto il contenuto diquesto numero del “Che fare” è indirizzatocontro gli imperialismi americano edeuropei, “aggressori” che hanno scatenatola guerra Nato contro la Serbia, ed èdichiaratamente in difesa del popolo serboe dell’ “aggredita” Serbia. Quanto all’aggressione serba contro la popolazionealbanese del Kosovo si minimizza a talpunto da sostenere che le “intransigenze ele repressioni di Milosevic nei confrontidei kosovari” debbono essere considerate“per lo più presunte” (“Quello disostanziale che si puo’ rimproverare aMilosevic non è tanto la repressionediretta contro i kosovari, le cui ‘vittime’in effetti si contano sulle dita, ma laseparazione istituzionalizzata nei loroconfronti...”).

L’ OCI rappresenta una delleforme di antimperialismo borghese vestitecon le parole del comunismo, che spesso iproletari si sono trovati anche in passatotra i piedi. E’ proprio quando esso sirichiama, per nobilitare le proprieposizioni, a Lenin e Bordiga, che l’ Ocidimostra il suo sostanziale trasformismo.Vale la pena leggere un passo dall’ articolocon cui si apre il numero del loro giornalecitato, ed intitolato: Contro la guerraimperialista, dalla parte del popolo serboe di tutti i popoli balcanici. Ad un certopunto, criticando “certe interpretazioni”che “hanno corso in certi ambienti‘rivoluzionari’ che osano, talora, persino

richiamarsi alle tradizioni della sinistracomunista”, nell’ articolo, tentandoevidentemente di difendere le “tradizionidella sinistra comunista” contro chisostiene (ma non è dato di sapere di qualegruppo si tratti) che, nelle guerre in corso,l’unica realtà di tali guerre consiste in talescontro causato dalla caduta tendenzialedel saggio di profitto, si afferma: “Noicredevamo conLenine Bordiga, di sapereche lo scontro inter-imperialistico si faper e sulla pelle dei popoli del mondo,sulle loro terre votate alla spartizione edal macello. Credevamo di sapere che lacaduta non tendenziale, ma effettuale dibombe su di essi chiama i popolidirettamente coinvolti a ribellarsi e chequesto è il fattore decisivo in grado dirimettere in moto la guerrainternazionalista di classe chiamandoalle proprie responsabilità le metropoli”.

Non c’era bisogno davvero discomodare Lenin e Bordiga; nè l’uno nèl’altro si sono mai sognati di concepire unautomatismo così volgare: la ribellionedei “popoli” bombardati, repressi omassacrati, di per sè non è mai stata fattoredecisivo per la guerra internazionalista diclasse. Lo dimostra non soltanto la serieinterminabile di guerre locali e regionaliche hanno punteggiato tutto il corso storicodal secondo dopoguerra in poi (dalle guerreanticoloniali in Africa alle guerre di Coreae del Vietnam, dalle guerre cosiddetterivoluzionarie di Cuba o di Nicaragua), mala stessa seconda guerra mondiale e, primaancora, la guerra di Spagna. Perché sirimetta in moto la guerra internazionalistadi classe ci vuole la combinazione storicadi fattori oggettivi e soggettivi che nonrisiede mai in un solo “fattore decisivo”:ci vuole, volendo sintetizzare, unasituazione internazionale di crisicapitalistica e borghese di grandeprofondità, la contemporanea avanzata, inpaesi chiave per la tenuta del dominiocapitalistico nel mondo, di un movimentoproletario classista organizzato sul terrenoeconomico esociale, la presenza del partitodi classe non soltanto teoricamente eprogrammaticamente saldo sulle basimarxiste ma ben radicato nella classeproletaria e con una influenza decisiva suisuoi strati più avanzati. Dove sono presentiquesti fattori, in Jugoslavia? In Iraq?

Rivolgendosi “Ai lavoratoriitaliani”, l’ OCI ribadisce che: “il nostronemico non è il popolo serbo! è il governoD’Alema, lo Stato tricolore, la borghesiaitaliana!”. Vi è anche qui una ripresacoerente della posizione or ora ricordata:“Chi è oppresso e umiliato, prima o poi siribella!”, e dagli con la ribellione...Commentando la presenza degli immigratinelle metropoli europee, si dà loro sottosotto l’incarico di “destabilizzare” la pacesociale delle nostre metropoli e siprospetta a loro e al proletariato nostranola guerra popolare come la soluzione“giusta”. Leggiamo:”Lavorano ormai inEuropa 15 milioni di arabo-islamici,centinaia di migliaia di slavi, di curdi.Lavorano qui perchè i capitali europei,le forze armate europee, i governieuropei hanno invaso i loro paesi, lihanno ridotti alla fame, vi hanno impostodei regimi sanguinari e li hanno costrettiall’emigrazione. Bene: fino a che puntopensiamo che questi proletari extra-comunitari continueranno a rimaner‘quieti’? Fino a che punto potrannoassistere inermi alle infamie e alsaccheggio compiuti nei loro paesi daigangster del capitalismo occidentale?Quando i proletari italiani erano sotto ilpugno di ferro del fascismo non lo hannosopportato per l’eternità: a un certopunto si sono messi in moto per cambiarela loro condizione. Perchè i proletariimmigrati dovrebbero agirediversamente? Perchè non dovrebberorispondere con la guerra alla guerra chei ‘nostri’ governi stanno portando neiloro paesi? Stiamone certi: essi lofaranno. E sarà una guerra giusta”.L’esempio sui proletari italiani che lottanocontro il fascismo non è svolto con lachiara rivendicazione della resistenzapartigiana antifascista; lo si lascia peròintuire. Anche se si usa il termine“proletari”, in realtà si parla di “popolo”,come in effetti si continua a parlare dipopolo serbo, popolo kosovaro, popolibalcanici. E “popolo”, da marxisti,sappiamo che non è solo un concettoborghese, ma rappresenta il reale

interclassismo tipico della democraziaborghese, e in questo caso è stato usatonella concezione tipica dell’ antifascismoborghese che tanto in comune ha con l’antimperialismo borghese col quale sigiustifica il fatto che il proletariatocondivida obiettivi, metodi, mezzi e lottacon una parte della borghesia (quella piùradicale, più instabile, più ribelle, e ingenere “più” democratica) contro un’altraparte di borghesia (ad esempio la borghesiadi un paese debole contro la borghesia diun paese forte e imperialista).

Abbiamo interpretato male?Nei 14 punti che l’ OCI dedica

alla “Questionedel Kosovo”,vi sonoalcunipassaggi che non possono dare adito adequivoci. Leggiamo il punto 10). “Ladomanda che persino taluni pretesi‘comunisti’ si pongono (“Che cosaavrebbe dovuto fare Belgrado perrisolvere equamente la questione delKosovo?”) è, marxisticamente, del tuttodestituita di fondamenta. Se si intendeche Milosevic o chi per esso avrebbedovuto dare maggiori autonomie alKosovo, noi replichiamo: di questeautonomie ce n’erano già inabbondanza, ma se ce ne fossero statedieci volte tanto non si sarebbe fattoalcun passo avanti verso la‘pacificazione’. Il problema non consistenel grado di autonomia nazionaleformale, che presuppone separazionenazionale di popoli su basi borghesi difatto, ma nella unità sostanziale di classe(del proletariato, del contadiname, delpiccolo produttore) contro l’insiemedelle proprie rappresentanze politicheistituzionali, contro la manomissionedell’Occidente e per il socialismo.(‘Piccolo’ problema che si presenteràanche da noi, in ‘Padania’)”. Che l’unitàsostanziale di classe si possa fare unendoproletariato, contadiname e piccoliproduttori, ossia unendo proletariato epiccola borghesia, non solo non fa partedel bagaglio teorico e politico dellaSinistra comunista, e nemmeno di Lenin -non diciamo di Marx ed Engels -, ma èconcezione tipica degli sciovinistimascherati da rivoluzionari. Ci si riempiela bocca di termini che appaiono marxisti,ma in realtà si sta facendo passare unaconcezione disfattista dell’ integrità e dellamonoliticità del marxismo, giustificandolatatticamente con analisi cosiddettedialettiche delle situazioni.

Al punto 13), in cui si tratta deibombardamenti Nato e del “popolokosovaro nella triste condizione di doverfuggire dalla propria terra o rimanervida ospite-ostaggio”, viene lanciata “lasola via d’uscita che rimane”: “è che ilproletariato serbo risollevi la bandieradell’unità dei tutti i popoli della (ex)Jugoslavia nella lotta control’imperialismo in nome di quellafratellanza e unità sbandierata daltitoismo, ma che solo in una prospettivasocialista può trovare la suarealizzazione; è che il proletariato e le

masse povere albanesi, di qualsiasi stato,si svincolino, nella stessa prospettiva, daun’illusione di ‘entrata in Europa’ chela stessa esperienza di Tirana hamostrato fallace (...); è che il proletariatodelle metropoli sorregga questi sforzischierandosi apertamente control’azione dei propri stati” (sottolineatonel testo originale). Dunque la prospettivaper il proletariato serbo, e con lui di tutti iproletari dei Balcani, è quella dell’unionepopolare contro l’imperialismo (insomma,una specie di resistenza slava invece cheantifascista, antiamericana ogenericamenteantimperialista); aiproletaridei paesi imperialisti il compito di lottarecontro l’intervento militare dei propri Stati- il che è legittimo anche per i verdi, per laLega Nord e per i Rifondaroli - ma nellaprospettiva di sostenere l’unione popolarejugoslava. E’ davvero una posizioneoriginale!, una specie di pan-jugoslavismo!

Certo che in altre parti del suogiornale, l’OCI usa concetti che appaionoin realtà in contraddizione con quanto lettoin questi passi. Nell’articolo intitolato “Aigiovani nati senza camicia”, si lancia unaprospettiva tremendamente rivoluzionaria:“per lottare contro la guerra nella ex-Jugoslavia occorre preparare un’altraguerra, la guerra di classe contro lacatena del capitalismo internazionaleretta dagli USA. A partire naturalmentedall’anello che ci stringe da vicino:quello del governo italiano, dei capitalistiitaliani, delle basi militari Nato e nonNato dislocate sul territorio italiano,delle azioni di guerra lanciate da quicontro i Balcani”. Ma che significa“preparare la guerra di classe” per “lottarecontro la guerra nella ex-Jugoslavia”?Paroloni, paroloni! La guerre che leborghesie si fanno nella ex-Jugoslavia, aiconfini fra Eritrea ed Etiopia, fra Pakistane India, nei paesi dell’Africa centrale, e inMedio Oriente, finiscono e riprenderanno,con episodi ancor più cruenti e orrendi, ela “guerra di classe” che il proletariato undomani porterà alle borghesie di tutto ilmondo è ancora molto lontana. La verità èche ciò che ci separa dalla guerra di classerivoluzionaria di domani è l’arretratezzadel proletariato delle metropoli, rigettatodal collaborazionismo e dalla complicitàcon le proprie borghesie nazionali nellacondizione di rinuncia anche alla piùelementare lotta classista di difesaimmediata; arretratezza alla quale danno illoro non secondario contributo formazionipolitiche di falsa sinistra, come l’ OCI, cheineggiano all’unione del proletariato conla piccola borghesia, alla difesa delleborghesie “aggredite” dalle borghesie“aggressive”, che praticano una politicache chiamano “marxista” ma che nonintendono vincolare al marxismo stesso. Ilpartito di classe non sarà mai il risultatodell’attività di gruppi politici del tipo OCI,nontantoacausadiunamancanzadivolontànel perseguire la sua formazione, masoprattutto per la mancanza di attinenzacon il marxismo e con la battaglie di classedella Sinistra comunista.

Liberi di andare verso il popoloserbo, con Milosevic o con i suoi prossimisostituti; liberi di andare verso il popolo“padano” per il quale prevedete una bellaunione fra proletariato, contadiname epiccoli produttori! Ma giù le mani dalmarxismo!

(1-continua)

L’ intervento militare degliimperialisti occidentali, riuniti sotto lebandiere della Nato, contro la Serbia hasuscitato diverse reazioni nella sinistracosiddetta “internazionalista”.

Una delleposizioni rivoluzionarieclassiche, e invarianti dal punto di vista delmarxismo, rispetto alle azioni militari ealla guerra condottedallapropriaborghesiaè quella del disfattismo rivoluzionario.

Che significa disfattismorivoluzionario? Vuol dire che ilproletariato dello Stato borghese che hamosso guerra ad un altro Stato agisce coni mezzi della lotta di classe e rivoluzionaria(scioperi contro l’ intervento militare,blocchi delle partenze dei militari, paralisidei trasporti, manifestazioni di strada,propaganda antimilitarista nelle fileproletarie e nelle file dell’ esercito,allargamento degli scioperi ai diversisettori di produzione e di distribuzione,ecc.) allo scopo di impedire o almenorendere davvero difficile alla propriaborghesia la preparazione e l’attuazionedei suoi interventi militari.

In che stadio dello sviluppo dellalotta di classe è possibile per il proletariatorecepire ed attuare effettivamente ildisfattismo rivoluzionario contro la guerraborghese? Ciò è possibile soltanto in unostadio avanzatodella lotta classista, poichèsenza aver sviluppato nel corso di anni ildisfattismo sociale ed economico - dunquela rottura con il collaborazionismointerclassista caratteristico di tutte levarianti del riformismo, da quellosocialdemocratico classico a quellostalinista e nazionalcomunista -, attraversoil quale esso ha riorganizzato le proprieforze intorno ad associazioni economichee sociali classiste sul terreno della difesaimmediata, il proletariato non avrà lapossibilità pratica di affrontare conefficacia e determinazione lo scontro conla propria borghesia sul terreno dell’antimilitarismo, del disfattismo contro leazioni di guerra della propria classedominante. Non è una questione di“volontà”, o di semplice parola d’ordine dalanciare: è una questione di materialisticosviluppo dello scontro sociale fra interessidi classe antagonistici, quelli delproletariato,dei lavoratori salariati, equellidi tutte le altre classi sociali che sullosfruttamento del lavoro salariato poggianoi loro privilegi di classe, a partire dallaborghesia dominante. Se sul terreno delloscontro sociale immediato, dunque sulterreno della difesa proletaria dellecondizioni di vita e di lavoro, non si creanole condizioni obiettive e “politiche” dellariorganizzazione classista del proletariatoatta a condurre questa lotta di difesa dagliattacchi borghesi sul terreno immediato,non ci si puo’ aspettare che il proletariatosia in grado di mobilitarsi attraverso lalotta classista sul terreno sociale e politicopiù ampio. In altre parole, se i proletari nonsono in grado di difendersi in modoefficace sul terreno del rinnovo delcontratto di lavoro, dell’ aumento delsalario e della diminuzione dell’ orario dilavoro giornaliero, tanto meno saranno ingrado di affrontare la borghesia dominantee il suo Stato sul terreno della lotta controla guerra.

La condizione del proletariatooccidentale, e in grandissima parte delproletariato mondiale, attualmente èpurtroppo proprio quella della suaincapacità a lottare efficacemente sulterreno della difesa immediata. E’ perquesto che non vi sono state mobilitazioniproletarie e di classe contro l’ interventomilitaresco degli Stati della Nato inJugoslavia; a quanto si sa, non vi sono statenemmeno mobilitazioni proletarie e diclasse nella stessa Jugoslavia contro laguerra antialbanese che la borghesiadominante rappresentata dai variMilosevic, Milutinovic, Draskovic ecc, hascatenato in questi ultimi anni.

Le grandi parole d’ordine delcomunismo rivoluzionario sono in realtàobiettivi della lotta rivoluzionaria, dunquenon mobilitano di per sè le masse proletariein qualsiasi frangente ma vengono da esseassimilate, fatte proprie, nella situazionein cui lo scontro sociale fra le classi famaturare la polarizzazione delle forzesociali sui due grandi fronti della guerra diclasse: il fronte di classe proletario controil fronte di classe della borghesia e di tutti

“Emma for president”, è stato iltitolo di una campagna propagandistica deiradicali italiani qualche mese prima chefinisse ilmandatopresidenzialedi Scalfaro.Il faccione della Bonino, ex ribelle efemminista degli anni 70, per qualche annocommissaria europea per gli “aiutiumanitari”, ha cominciato ad ammiccaredai manifesti, dagli striscioni, dallatelevisione. E con l’attacco militare Natoalla Jugoslavia si è cominciato a vederlaspesso in televisione, nei canali pubblicicome nei canali berlusconiani, in visita neiterribili campi che in Albania e inMacedonia si andavano formando conl’arrivo di centinaia di migliaia di profughikosovaro-albanesi in fuga dai massacriprovocati dall’esercito e dalle milizie dellaSerbia e dai bombardamenti Nato.

La commissaria europea nonperse però occasione di sostenere lapolitica militaresca della Nato, e quindidel governo D’Alema, pur evidenziandosempre sul suo volto le pieghe amare etristi di dolore per quei profughi disperati.

Emma Bonino, prefetto in Kossovoo in quale altra parte del mondo?

La campagna propagandistica, è un fatto,ha avuto grande successo. La Bonino non èdiventata la prima presidente donna dellaRepubblica italiana, visto che i partiti dellamaggioranza lehannopreferito ilpiù freddoemenopassionaleCiampi,mahacomunquemesso le basi per ottenere un successoragguardevole alle elezioni europee del 13giugno. Sono stati infatti il suo “carisma”,il suo passionale trasporto perl’umanitarismo borghese così vitale ad unademocrazia decomposta e non piùcredibile, il suo essere “di movimento” enon “di partito” ma al contempo moltomolto “istituzionale”, che hanno catturatovoti a palate. Il popolo elettore moderato,sia di destra che di sinistra, ha così trovatoun nuovo personaggio al quale affidare leproprieaspettative; lagiostra delle illusionie degli inganni caratteristica di ogni tornataelettorale ha così trovato nuovo impulso,una “ragione per andare a votare” in tempi

(Segue a pag. 14)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '9910

IL KOSOVO E I BALCANI NELLE MAGLIEDELL’ IMPERIALISMO

(da pag. 2) collegamenti, che mettono alla sua (delcapitale finanziario concentratosi in pochemani, NdR) dipendenza non solo i medie i piccoli proprietari e capitalisti, maanche i piccolissimi” (Lenin) (2).

dipenderanno molto di più da quella “fittae ramificata rete di relazioni e di

Le soluzioni borghesi dei contrasti etnici, sociali o fra statinon portano che all’ aggravamento dei contrasti

Alla catena di dipendenzaeconomica e finanziaria delle borghesiepiù deboli da quelle più forti, si sovrapponeuna catena di oppressioni, che partono daquella fondamentale che è l’ oppressionesalariale sul proletariato di qualsiasinazionalità per ramificarsi in ulteriorioppressioni, nazionale, razziale, religiosao sessuale.

E non esiste alcuna “soluzione”borghese in grado di superare la serie dioppressioni che caratterizzano la modernasocietà capitalistica; nè la soluzione ditipo democratico - come l’America el’Inghilterra, culle della democrazia nelmondo, hanno ampiamente dimostrato - nèquella di tipo centralistico e fascista -come cento esempi oltre a quelli dellaGermanianazistaodell’ Italiafascistahannodimostrato e dimostrano. Non esistono“terze vie”, così care agli intellettualipiccoloborghesi che vorrebbero laconservazione del capitalismo mal’eliminazione dei suoi effetti peggiori, enon esistono soluzioni di tipo gradualisticoattraverso le quali, passo passo, e con la“buona volontà di tutti”, ogni aspettospigoloso del capitalismo possa esseresmussato e superato.

I socialdemocratici e gradualistidi prima, seconda e terza generazione lehannoprovate sempre, anchedallepoltronedei ministeri e dei governi, ma hannosoltanto dimostrato di essere al serviziodel capitale finanziario, dunquedell’imperialismo, quanto lo erano e losono tutti gli altri politici borghesi; inazionalcomunisti di prima, seconda eterza generazione hanno continuato aprofessare fiducia nelle “terze vie”, ma èbastato avere il governo in mano perdimostrare che di vie da seguire, anche perloro, ce n’è una sola, quella di risponderein modo adeguato e, come ormai si èabituato a dire D’Alema, “coraggioso” alleesigenze dell’economia nazionale e dellasua competitività nel mercatointernazionale. Ma come dimostrano lemille guerre locali scoppiate dopo la finedella seconda guerra mondiale, i millecontrasti di carattere economico,commerciale, finanziario, militare che

quotidianamente e contemporaneamenteesplodono in più parti del mondo, ogniloro “soluzione” borghese, per quanto“politica”, democratica, concordata fra leparti, stretta con patti ufficiali e solenni,resta una soluzione precaria che pone lebasi per un loro ripresentarsi in formesempre più acute e brutali. E se queste“soluzioni” riguardanoinparticolare i paesicapitalisticamente deboli - e qui l’elenco èlunghissimo, dall’ Angola al Congo, dallaPalestina al Libano, dall’ Afghanistan alPakistan, dalla Somalia all’ Etiopia alRuanda alla Liberia, dalla Colombia all’Indonesia al Caucaso alla Jugoslavia, ecc.ecc. - la loro precarietà si aggrava e siacutizzano enormemente gli elementi dicrisi successiva.

Le ragioni dell’ imperialismosono le uniche ragioni che si impongononella società capitalistica; la solaalternativa va cercata fuori delle forzepolitiche parlamentari e borghesi, fuoridelle tesi gradualiste e riformiste, fuoridelle tesi pacifiste o concentrazioniste: vacercata nella forza di classe delproletariato, tutta da rigenerare - certo! -ma l’ unica in grado di spezzare la catenadelle mille oppressioni che caratterizzanola moderna società borghese. La veraalternativa non potrà mai essere:democrazia o fascismo, democrazia odittatura, perchè la storia ha ampiamentedimostrato che queste sono facce dellastessa medaglia, sono metodi di governodella stessa classe dominante, la borghesia.Caso mai, lo sviluppo del capitalismo sottola fase imperialistica porta all’ ennesimapotenza la dittatura del capitale, e dunquela dittatura di una manciata di paesisuperindustrializzati sull’intero pianeta,seppellendo definitivamente ogni velleitàdemocratica e pacifista. Quando ilproletariato è sul suo terreno, sul terrenodella lotta di classe e rivoluzionaria, questaverità la riconosce appieno, come lariconobbenegli anni Venti diquestosecolo,e non ha timore di misurarsi sul terrenodello scontro aperto nella guerra di classee rivoluzionaria contro non solo la propriaborghesia, ma le borghesie del mondointero.

Dai bombardamenti aerei all’occupazione militare a terra

Se la congiuntura internazionalecomporta la difesa da parte dei governidella propria politica imperialistica nonsolo sul terreno economico e finanziario,politico e diplomatico, ma anche su quellomilitare - come in tanti casi finora avvenuti,dal Libano alla Somalia, dal Golfo PersicoallaexJugoslavia -, allora il “fedelealleato”è chiamato a “fare il suo dovere”:partecipare alla politica imperialistica deipaesi più potenti del mondo fino all’intervento militare, fino al bombardamentodi Belgrado, fino all’ occupazione militaredi un altro paese! E non solo e non tanto perservilismo nei confronti della più forteAmerica,maognunoancheperscopipropri,per poter rivendicare una fetta di “potere”nel dopoguerra! Ed è quel che è successo,visto che il Kosovo, finiti i bombardamentiNato e serbi, e rifluiti i 40 mila militariserbi verso la Serbia, è stato spartito dai“vincitori” in 5 zone poste sotto comandobritannico, tedesco, statunitense, francesee italiano; con l’ immissione di uncontingente russo aggregato alle forze d’occupazione britanniche.

La guerra è finita, sostengono tuttii gazzettieri del mondo, ed ha avuto un vero“vincitore”, Washington; ma pare, dandoloro ascolto, che abbia “vinto” anche l’Europa che si è presa il carico non solo dipartecipare ai bombardamenti Nato prima,ma soprattutto dell’ occupazione militaredel Kosovo ora. Il pretesto per iniziare ibombardamentiNatol’abbiamovistoprima:impedire al governo di Belgrado la “puliziaetnica” dei kosovari albanesi. Questoobiettivo è stato mancato in pieno, viste ledeportazioni in massa di quellepopolazioni. Il pretesto per l’occupazionemilitare del Kosovo? Far rientrare nei loro

villaggi e nelle loro città il milione e mezzocircadikosovarialbanesi fuggitiodeportatidurante l’ultimo anno e soprattutto durantei famosi 79 giorni. Quali villaggi, qualicittà? Moltissime case sono distrutte,incendiate,nonc’èacqua,nonc’èelettricitàe non c’è un granchè da mangiare; in checondizioni dovrebbero vivere i kosovarialbanesi di ritorno alla loro terra? L’oppressione serba è stata di fatto sostituitadall’ oppressione combinata di Stati Uniti,Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia.

Che spazio potranno avere in Kosovo imovimenti di protesta per il pane, perl’acqua, per le condizioni igieniche, in unasituazione in cui sono i militari armati finoai denti a decidere quello che si deve o nonsi deve fare, dove si può andare e dove no,dove ci si deve fermare e dove no? Chespazio portranno avere, una volta cheriaprono le miniere di piombo e di zinco, ele fabbriche, i movimenti di protesta deilavoratori per condizioni di vita e di lavoromeno schiavistiche, in una situazione in

cui ogni luogo ritenuto importante risorsaeconomica da difendere (dunque non soloi comandi militari ma anche le fabbriche ele miniere, i ponti e le centrali ricostruiti)sarà piantonato dai carri armati? I militariNato della KFOR, ossia i guardiani armatidel Kosovo per conto delle potenzeimperialistiche, sono stati salutati daglialbanesi come “liberatori”; e come“liberatori” sono stati salutati dai serbirimasti a Pristina anche i paracadutisti russidella Sfor di stanza in Bosnia e giunti, ascorno dei britannici, a Pristina prima diloro; ebbene questi “liberatori” sonoinvece i garanti del nuovo ordineimperialistico che le maggiori potenze delmondo hanno deciso di attuare in Serbia, apartire dal Kosovo.

L’opposizione borghese alla guerra

Ma nei nostri opulenti paesioccidentali, nel frattempo, durante lacontinua pioggia di bombe in Serbia e inKosovo e la contemporanea e micidiale“pulizia etnica” contro i kosovari albanesi,quale opposizione si è levata? Purtropposoltanto opposizione borghese!

Chi, come RifondazioneComunista di Bertinotti e la Lega di Bossi(bell’ accoppiata davvero!), si è messo“contro” l’intervento militare della Nato ela partecipazione italiana ad esso, ma indifesa della Serbia, dunque in difesa dellaborghesia serba che nella vicenda appariva“aggredita” dagli imperialisti americani.Chi, come i Comunisti Italiani di Cossuttae i Verdi (altra bell’ accoppiata!), hacontinuato a minacciare di uscire dalgoverno “se” i bombardamenti non fosseroterminati e “se” non si fosse intrapresa unainiziativa diplomatica per la soluzione“politica” della questione del Kosovo, manon è mai uscito dal governo chel’intervento di guerra ha continuato a farlofino in fondo. Chi, come il governoD’Alema,ha lanciatocontemporaneamentele proprie forze armate nell’interventomilitare contro la Serbia e la pacifica“missione arcobaleno” a sostegno deiprofughi albanesi dal Kosovo nei campi diconcentramento, pardon!, nei campi diraccolta nei quali i profughi avevano ben

poca speranza di liberarsi dalla fame, dallasete e dalla sporcizia. A dimostrazione chele forze democratiche, in qualsiasi modoallocate nell’arco istituzionale, a destra alcentro o a sinistra, sono in realtà del tuttoimpotenti rispetto alla guerra; e lo sononon per caso, ma perchè in condizionipolitiche mutate come appunto avvienecon le azioni di guerra, esse non fanno chedare continuità alla loro vera politicache è sostanzialmente di difesa dellaconservazione capitalistica o dicollaborazionismo con le forze cheesprimono direttamente quella difesa. Daqueste forze il proletariato non puòaspettarsi nessuna difesa dei suoiinteressi, nè immediati nè tantomenopolitici più generali. D’ altra parte, lacontinua gragnuola di misure antioperaieche i diversi governi che si sono succedutihanno sfornato finora dimostra che se sifannogli interessidell’economianazionale,della competitività delle merci nazionali,non si può andare contro gli interessiinternazionali dell’imperialismo di casa;in realtà non si fa che rafforzare ancor piùgli interessi internazionali del proprioimperialismo andando ancor più adintensificare l’ oppressione salariale esociale nei confronti del proprioproletariato!

E i proletari?

ogni paese vive, ma non se ne accorgeancora, sta nella rottura con le suetradizioni di classe, con le sue esperienzedi solidarietà internazionalista, con le suelotte in difesa esclusiva dei propri interessidi classe riconoscendo a viso apertol’antagonismo che lo oppone a tutte leclassi borghesi del mondo, e alla classeborghese nazionale in primo luogo. Perquesta rottura, per questo risultato tutto afavore della borghesia e del rafforzamentodel suo dominio sulla società, hannoprofuso energie inestimabili generazionidi collaborazionisti, di venduti alpadronato, di politicanti di ogni specie, ditraditori della causa proletaria, di falsicomunisti e falsi rivoluzionari, disfruttatori permanenti della classeproletaria, di parassiti all’ ingrasso.

La tragedia che il proletariatodei paesi opulenti vive, ma non se neaccorge, è la sua complicità con lapropria borghesia non solo nellosfruttamento del lavoro salariato che lovede come schiavo diretto dei propripadroni, ma anche nellosfruttamentoancorpiù bestiale e disumano dei proletari delle

Iproletari italianichehannofatto?E quelli francesi, tedeschi, inglesi,americani? Cheopposizione all’ interventodi guerra in Serbia e in Kosovo? Da unproletariato in cui si è radicato da decenniuna specie di spontaneismocollaborazionista,a suavolta innestatodallapluridecennale politica interclassista ditutti i partiti cosiddetti socialisti ocomunisti di origine staliniana, e di tutti isindacati operai ma in realtà tricolore; daun proletariato in cui sono state inoculatea dosi massicce e costanti droghe di ognidenere, dall’ elezionismo ai metodidemocratici e negoziali nelle lotte, dall’interesse individuale al razzismo, daldisinteresse per la sorte di altri proletari,disoccupati o schiavizzati, al pacifismo; daun proletariato in cui si è radicata neltempo la rinuncia alla lotta come mezzo didifesa principale contro le classi avverse ein difesa dei propri interessi specifici diclasse, non era e non è possibile attendersidi colpo la sana reazione classista controle imprese di guerra delle proprie borghesienazionali.

La tragedia che il proletariato di

nazioni più deboli e più povere da partedella propria opulenta borghesia. In questosenso l’ oppressione salariale enazionale, sofferta dal proletariato e dallepopolazioni delle nazioni più povere, che èoppressione borghese, è condivisa dalproletariato dei nostri paesi ricchi; il tenoredi vita più alto del proletariato dei paesiricchi lo si deve anche al brutalesfruttamento del proletariato e delle massecontadinedella stragrandemaggioranzadeipaesi del mondo, che è costituita appuntodai paesi più poveri, poichè la borghesiaimperialista utilizza una parte dei suoiprofitti per pagare meglio una parte deisalariati e legarli in questo modo ai suoiinteressi.

E’ attraverso questa catena dioppressioni che la borghesia imperialistadei paesi più ricchi si compra il consensodel proprio proletariato attraverso la suasegmentazione in strati differenziati, inaristocrazia operaia , in operai“garantiti”, in operai precari , indisoccupati, in lumpenproletariat. E alproprio servizio, per ottenere stabilmenteil consenso proletario, si è comprata, e sicompra continuamente, una sterminata filadi sindacalisti (“esperti” in relazionisindacali e industriali), di economisti(“esperti” in marketing), di psicologi(“esperti” in rincretinimento dei cervelli),di organizzatori (“esperti” inintensificazione dei ritmi di lavoro), dipolitici (“esperti” in ideologieingannatrici), di poliziotti in divisa e non lacui funzione è chiarissima ad ogniproletario fin da bambino.

La rinascita del proletariato inquanto classe capace di propria iniziativa edi lotta per i propri interessi di classe stanello spezzare la catena di oppressioniche la borghesia, con l’ indispensabilecontributo delle forze collaborazioniste,ha costruito allo scopo di dominare conpiù sicurezza e per lungo tempo la societàintera. Date le condizioni di sottomissionedel proletariato europeo e americano allerispettive borghesie imperialiste, puòapparire impossibile che esso possa ungiornousciredaquesta condizioni, romperecompletamente con la fitta rete di relazionicollaborazioniste con cui la borghesia èriuscita a paralizzarlo e a farne un suocomplice.Date lecondizionidi arretratezzasul piano politico e sul piano della difesaimmediata delle condizioni di vita e dilavoro, in cui il proletariato dei paesi ricchiè stato spinto dalla politica e dalla praticadel collaborazionismo tricolore, puòsembrare difficile credere che si possapresentare domani una situazione in cui ilproletariato, questo proletariato, i figli e inipoti di questi proletari, possano rialzarela testa e riprendere nelle proprie mani ildestino delle proprie lotte, delle propriesperanze, delle proprie vite.

La borghesia imperialista appareinvincibile, riesce a spezzare, corrompere,annullareogni movimentodi lotta chetendaad uscire dai rigidi canoni delle relazionisociali cheessa ha dettatoeche fa rispettarecon le proprie forze dell’ ordine e con ipropri eserciti. Allora, sarà mai possibileimboccare la via della rivoluzioneproletaria, la via dello sconvolgimentoprofondo della vita economica e socialecapitalistica per innestarvi una societàdiversa, un modo di produzione che abbiaper suo fine la soddisfazione dei bisognidella specie umana e non quelli del mercatoe dei profitti capitalistici? Una società incui non vi sarà più alcun bisogno nè diaccumulare giganteschi profitti nè diguerre per spartire il mondo in zone diinfluenza imperialistica, per il semplicemotivo che il modo di produzionecapitalistico, che è alla base di tutti glieffetti orrendi e devastanti che la societàborghese presenta ogni giorno, sarà statodistrutto e sostituito con il modo diproduzione comunistico che si baserà sullasocietà di specie e non più sulla societàdivisa in classi antagoniste? E’ un’ utopiaquesta? No, è il futuro della società umana,per il quale la classe proletaria, pur nonrendendosene assolutamente conto oggi,e pur immersa nella putrefazione di unasocietà degenerata che immola al dioprofittomilionidiviteumane, saràchiamataa lottare e a combattere per la specie umanae non solo per se stessa in quanto classe diquesta società borghese.

Le crisi economiche, politiche,di guerra che costellano la sopravvivenzadella società borghese non fanno altro cherimettere costantemente in primo pianol’impossibilità da parte delle classiborghesi di superare e risolveredefinitivamente le contraddizioni dellasocietà presente; e rendono sempre piùpesante lo sfruttamento e l’ oppressionedel capitalismo sulle classi sfruttate e sulle

(Segue a pag. 11)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99 11

masse di tutto il mondo. Le condizioni dimaturazione dei contrasti sociali al puntodi rottura delle complicità interclassiste edel collaborazionismo sono molto più lentedi quanto non abbiano sperato irivoluzionari di ieri e di quanto non sperinoi rivoluzionari di oggi; ma come sonoinesorabili le crisi capitalistiche,altrettanto inesorabile è il processo dimaturazione degli antagonismi di classe.Sarà lo stesso capitalismo, saranno lestesse classi borghesi attraverso i lorotentativi di arginare lecrisiodi“risolverle”,a gettare il proletariato sul terreno dellalotta di classe: non sarà mai una “scelta”,piuttosto sarà il risultato materiale,oggettivo dell’accumulo gigantesco diforzeproduttivenonpiù comprimibili nellacaldaia della società capitalistica. Questacaldaia scoppierà liberando le energie ditutte le classi: e la classe proletaria,riconquistando il suo programma di classe,il suomovimentoclassista e internazionale,i suoi metodi e mezzi di lotta, la sua viarivoluzionaria, si lancerà nell’ assalto alcielo per farla finita per sempre con ilcapitalee la suaorrenda società di parassiti.

I comunisti non corrotti dallademocrazia, dal politicantismo personale,dal pacifismo sociale, dalle tecnologieavanzate, non abbacinati dalla potenzaeconomica e militare del capitalismo, icomunisti marxisti che non hanno daperdere che le illusioni e gli inganni concui la borghesia influenza i proletari e lecatene economiche e sociali con cui laborghesia tiene avvinto il proletariato allasua sorte di classe dominante, non hannotimore di guardare la realtà per quella cheè; nell’ epoca della marea rossa montanteverso la conquista rivoluzionaria del poterepolitico, o nell’ epoca della plumbearinuncia da parte del proletariato a lottaresul terreno di classe. I comunisti marxistiguardano al futuro, si fanno orientaredal futuro rivoluzionario non da utopistima da materialisti ed è perciò chedialetticamente ripropongono alproletariato il suo passato di lotta, il suopassato rivoluzionario, quelle tradizioniclassiste che la storia ha fissato per sempre,e non potranno mai essere cancellate, nelleprime rivoluzioni proletarie del 1848, nellaComune di Parigi del 1871 e, soprattutto,nella rivoluzione d’Ottobre in Russia nel1917.

I comunisti marxisti nonabbandonano ilprogramma rivoluzionario,non fanno dipendere la bontà delprogramma marxista dalla sua attuazione omenonell’ arcodellapropriavita personale,

non rinunciano alla rivoluzione proletariasolo perchè questa si allontana nel tempo.I comunisti marxisti sono materialistidialettici, non individualisti, non volgarianalisti borghesi. Perciò il lavoro purminimo, grigio, praticamente sconosciutoalle masse proletarie di tutto il mondo, chei comunisti rivoluzionari svolgono inquesto lunghissimo periodo dicontrorivoluzione borghese e dicontemporanea rinuncia alla lotta da partedelproletariatodeipaesi capitalisticamenteavanzati, è lavoro tremendamente difficile,sì, ma rappresenta il seme necessario a farcrescere la pianta del comunismo didomani. Le nostre parole difficilmenteraggiungono oggi il proletariato, e quand’anche lo raggiungono risultano ad essoquasi sempre incomprensibili. Masappiamo che non sono le parole in sè amodificare le situazioni, bensì le situazioninel loro mutare che modificano la capacitàdi comprensione dei propri interessi e deipropri bisogni da parte delle masseproletarie. Ai comunisti marxisti spetta ilcompito di mantenersi coerenti sul filodel tempo, il compito di studiare ilmarxismo costantemente e alla luce dellediverse situazioni che si presentano, ilcompito di organizzare le proprie forze inpartito politico di classe, il compito dimantenere la propria attività politica astretto contatto con la classe proletaria econ i problemi della sua lotta, il compito diimportare nel proletariato e nelle sue lottela teoria rivoluzionaria, ossia tanto i bilancidelle lotte proletarie del passato quanto losbocco delle lotte proletarie avvenire. Chesi tratti di problemi di carattere sindacale,che si tratti di problemi di sopravvivenza,che si tratti di questioni legate allarepressione, alla disoccupazione, allaguerra. Senza questo grigio lavoroquotidiano, il partito comunistarivoluzionario non sarà mai in grado didirigere domani le masse proletarie allaconquista rivoluzionaria del potere nè,tantomeno, sarà in grado di esercitare ladittatura proletaria che è l’unico baluardocapace di resistere alle controffensiveborghesi ed è l’unico mezzo rivoluzionarioin grado di intervenire nell’ economiacapitalistica per distruggerla da cima afondo e sostituirla con l’economiacomunistica.

(1) Vedi Lenin, “L’ imperialismo,fase suprema del capitalismo”, in Opere,vol. 22, Ed. Riuniti, Roma 1966, p. 286.

(2) Vedi Lenin, “L’ imperialismo...”,cit., p. 285.

IL KOSOVO E I BALCANI NELLEMAGLIE DELL’ IMPERIALISMO

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esempio i viaggiatori nei treni); ma tuttoquesto avveniva dopo che i capitalistiinteressati avevano praticamente esauritole loro scorte immagazzinate, e potevanoquindi dare il via adaltri cicli di produzionedi profitto attraverso lo smantellamento,la bonifica, il riciclaggio e la famosa“ecoproduzione” (produzione ecologica)!I proletari non possono certo star tranquilliper la loro salute: le nuove tecnologie, lenuove lavorazioni, le nuove metodologieproduttive rispondono esattamente aglistessi criteri di quelle precedenti: bassicosti di produzione, largo impiego sulmercato, grandi quantità di profitto daintascare. E nei bassi costi di produzioneentrano non solo i bassi salari, e comunquela produttività più alta possibile, ma ilrisparmio più efficace e immediatopossibile su tutte le spese, prime fra tuttela prevenzione e la manutenzione!

Ai padroni interessa poco saperequali sono le conseguenze di determinateproduzioni sulla salute dei lavoratori: dimanodopera ce n’è in abbondanza, e puòessere sempre sostituita. Sennò a cheservirebbe la disoccupazione?

L’obiettivo unico dei capitalisti èquello di investire i loro capitali in attivitàeconomiche che rendano profitto, e il più

INFORTUNISULLAVORO

UNA GUERRA NON DICHIARATA CHE FINIRA’SOLO CON L’ELIMINAZIONE DEL MODO DI

PRODUZIONE CAPITALISTICO

alto profitto possibile nel più breve tempopossibile. E’ la salute del capitale, e delprofitto, che sta in cima ai pensieri di ognicapitalista, e non tanto la salute dei suoidipendenti salariati. Chi dovrebbe avere unatteggiamento contrario a questa logicasono le organizzazioni sindacali deilavoratori; un tempo, per quanto riformiste,opponevano comunque alle ragioni delprofitto la salute e la vita dei lavoratori. Imetodi che usavano erano spesso inefficaci(scioperi con largo preavviso, di duratabreve,maigenerali,negoziati interminabili,compromessi di ogni sorta pur di vederscritto su qualche documento il nome deisindacalisti nelle commissioni“paritetiche”, ecc.), ma l’obiettivo disalvaguardia della salute e della vita deilavoratori era comunque rivendicato. Dadecenni ormai i sindacati tricolore, dunquecollaborazionisti, hanno sposato negliobiettivi oltre che nei fatti le stesseesigenze dei padroni, mettendo la primoposto sempre e comunque la buona salutedelle aziende, tenendo d’occhio il mercatoe la concorrenza fra capitalisti, eprodigandosi affinché la produttività dellavoro si alzi sempre più. La salute deilavoratori e la loro vita immediata e futurasono passate in secondo piano, non sonopiù la cosa più importante: sono unavariabile indipendente dalla loro volontà edalle loropreoccupazioni, ma tragicamente

dipendente dalla sfrenata corsa al profittoe dalla micidiale lotta di concorrenza chesi trasforma - per opera anche dei sindacaticollaborazionisti - in cinica concorrenzafra lavoratori stessi. Ormai, nelleassembleeoperaie, quando si tengono, ci si sente direchiaramente dai bonzi sindacali che ènecessario battere la concorrenzainternazionale, aumentare la competitivitàdei prodotti italiani, migliorarne la qualitàin modo che siano più appetibili al mercato:tutto questo, naturalmente, se si vuolemantenere il posto di lavoro!

Unodei principali fattoridi rischioper i lavoratori salariati è il ricatto delpostodi lavoro,al qualeovviamenteè legatala possibilità di un salario e quindi la stessasopravvivenza. Questo ricatto fa diminuirel’attenzione da parte dei lavoratori verso lapropria sicurezza e verso quella deicompagni di lavoro. L’estremaframmentazione dei lavoratori e l’aumentodella concorrenza fra lavoratori stessi portain generale ogni operaio a pensare che lacosa più importante sia appunto il propriolavoro individuale, e che il modo piùefficace per tenerselo stretto è quello dipiegarsi sistematicamente alle esigenze delpadrone. E’ come se in fabbrica, in azienda,i compagni di lavoro non esistessero comeuomini in carne e ossa ma fossero dellesemplici macchine alle quali si richiedesoltanto di funzionare e basta! E questasituazione decreta purtroppo un dominioancor più pesante del Capitale sul Lavoro,dominio che viene costantementerafforzato da tutte le organizzazionicosiddette “di sinistra”, politiche,sindacali, sociali, economiche, culturali,che in realtà hanno accettato questa societàcapitalistica e borghese come l’unicasocietà umana possibile.

La situazione è ulteriormentepeggiorata con l’introduzione di unamaggiore precarietà creata - con accordivoluti dalla triade governo, padronato,sindacati tricolore - dai contratti a termine,dal lavoro interinale, dall’ abbattimento delsalario e dal ricatto costante dellicenziamento. Il ribasso dei salari per glioperai “fissi” ha portato all’aumento delleore straordinarie, e quindi ha allungatonei fatti l’orario di lavoro (altro che 35ore, sbandierate da tutti i peggioririformisti!); inevitabilmente aumenta lostress dovuto alla presenza continua infabbrica, grazieancheal fattocheuna quotasempre più consistente del salario vienelegataallaproduttivitàeffettivamentesvoltanell’arcodell’annoper ogni singolooperaio(tutti i motivi di assenza dal posto di lavorodiventano così una perdita consistente sulsalario percepito).

In tutti questi anni, dal boomeconomico in poi, ogni operaio ha potutotoccare con mano, e sulla propria pelle,come per i padroni e per i sindacaticollaborazionisti le questioni dellaprevenzione delle malattie professionali edella sicurezza sul lavoro sono diventatesempre più un “lusso” che l’economianazionale “non si può permettere”. Ormai,dentro e fuori i posti di lavoro, la ricercaspasmodica di profitto sconvolgecontinuamente l’ambiente, inteso sia comeambiente di lavoro che come ambiente incui si vive. Tutto ciò che risulta ostacoloalla realizzazione del profitto nel più brevetempo possibile viene sistematicamentetolto di mezzo, senza remore einfischiandosene altamente dellecondizioni di coloro che lavorano o vivonoin quelle determinate pericolose e nocivesituazioni. Ma ogni governo democraticoche si rispetti è dotato di leggi che“difendono” la salute dei cittadini e deilavoratori e che “puniscono” i fuorilegge.E così, per andare ancor più incontro allenuove esigenze della produzione e dellacompetitività, i nostri governanti hannoconcepito una legge (la 626) di caraturaeuropea, che in sintesi scarica laresponsabilità della sicurezza del lavorodirettamente sulle spalle dell’ operaio, dellavoratore salariato, al quale si demanda lavalutazione degli eventuali pericoli nell’espletamento delle mansioni che gli sonostate date dal padrone. Il padrone dunquedecide quali mansioni, in che condizionigenerali le si deve ottemperare e in chetempi si devono eseguire; all’ operaio ilcompito di svolgerle bene, in fretta, e senzafarsi male! E se si fa male, sarà colpa sua!Il padrone così può pensare esclusivamenteadorganizzare l’ attività dell’ impresa per l’ottenimento del massimo di profitto

possibile. La regolamentazione di legge,nella sua stratosferica ipocrisia, imponedunque che l’ operaio venga debitamenteinformato di tutte le attenzioni che deveavere nel fare il suo lavoro, e che vi sianole dovute segnalazioni (insomma comenei pacchetti di sigarette sui quali èobbligatoria ladicitura“nocivoalla salute”,ma si viene sistematicamente stimolati afumare); ed impone che gli operaiadoperino mezzi di protezione individuali(che spesso non sono a disposizione osono del tutto inadeguati) e denuncinopreventivamente le situazioni di rischio ai“responsabili della sicurezza”, i qualiresponsabili della sicurezza possono nonaccettare la valutazione di pericolo datadall’operaio. Spesso succede che, permettere a tacere le cose e perché ilproblema non assuma dimensioni generalie più ampie (quindi più dispendiose per ilpadrone), l’ operaio che denuncia carenzedi prevenzione e di misure di sicurezza peril lavoro che deve svolgere vienesemplicemente spostato in un altro postomentre altri più ricattabili continuano alavorarvi o lo vanno a sostituire.

La tradizione proletaria di classevuole che la sicurezza sul posto di lavorovenga pretesa edifesaconla lottaassociata,sul terreno dello scontro fra interessiantagonisti: quelli borghesi che rincorronoil massimo profitto anche a scapito dellasalute e della vita umana, e quelli proletariche portano in primo piano le esigenze divita innanzitutto dei proletari stessi chesubiscono invece la sistematicaaggressione del sistema capitalistico edelle istituzioni borghesi che lo difendono.Negli anni 60/70, questa tradizione nonera stata ancora cancellata dalcollaborazionismo sindacale e politico; inquegli anni gli operai lottavano ancora convigore contro la nocività e per un’ attivitàlavorativa menopericolosa. I mezzi di lottaerano gli scioperi, gli abbandoni spontaneidell’ attività lavorativa quando si creava lasituazione di pericolo, i cortei interni allefabbriche; talvolta si trattava col padronecon la lotta in piedi. E si ottenneromiglioramenti nelle condizioni di lavorodei proletari in tema di ambiente di lavoroe di medicina preventiva. Ma i sindacaticollaborazionisti hanno continuato apropagandare che il vero problema in temadi sicurezza è l’ informazione sullenormative antinfortunistiche e, oggi, sullalegge 626, come se l’ informazione datadai padroni fosse di per sè sicura esufficiente.

Il servitorame sindacalista, conl’appoggio pieno di padronato e governoborghese, ha cancellato la tradizioneproletaria di classe, mentre al suo posto hainoculato nelle vene proletarie il velenodella collaborazione interclassista, oquello della rinuncia alla lotta. Di frontead incidenti gravi e mortali sul lavoro larisposta sindacaltricoloreè sempre ispirataalla fatalità e con qualche minuto disilenzio crede di potersela cavare (comedi fronte ai 13 morti nei cantieri diRavenna, o allo stillicidio di morti neicantieri edili). Il cinismo con cui i borghesiaffrontano gli episodi di tragedia operaiaha conquistato ormai l’ intera schiera disindacalisti prezzolati a vari livelli. E’davvero istruttivo cogliere a quale vitatiene veramente il collaborazionismosindacale: per D’Antona, loro esponente,ucciso dalle nuove BR, proclamano 15minuti di sciopero nazionale generale; nonche 15 minuti siano tanti ma in anni in cuidi scioperi generali, adifesa della micidialegragnuola di misure antioperaie che i varigoverni hanno decretato, non se ne tengonopiù, questo ha uncertosignificato. Equantiminuti di sciopero nazionale generale sonostati proclamati da questi sindacati per i1300 operai uccisi ogni anno da nuovi evecchi capitalisti interessati soltanto adintascare profitti? NESSUNO!

Verrà giorno che i sindacaticollaborazionisti dovranno rendere contoai proletari di tutta l’opera di copertura deimisfatti padronali; verrà giorno che iproletari solleveranno la testa rigettandola politica della rinuncia edell’individualismo ed imboccando lastrada della aperta lotta di classeanticapitalistica; allora i bonzi sindacalisveleranno la lorovera funzionediaguzzinidella classe operaia e non resterà loro chevestire la casacca delle guardie padronali;allora ai proletari non resterà che lottarecoi metodi e i mezzi di classe e dell’associazionismo classista con cuidifendere i propri interessi, i propri diritti,la propria vita.

In effetti i proletari non hannomolte vie da scegliere di fronte a loro: orinunciano e continuano a rinunciare areagire con la lotta e l’unità di classe nellalotta, e allora la serie interminabile dimani e gambe tranciate, occhi polmonistomaci reni distrutti, corpi maciullati,

malattie di ogni genere, non finirà maiperchè i padroni non smetteranno maispontaneamente di risparmiare sul frontedella sicurezza, della prevenzione, deimateriali; oppure, riprendono a lottare, adire basta ad ogni tipo di sopruso e diangheria, collegandosi alle esperienze dilotta del passato quando ogni volta chec’era un incidente sul lavoro si fermavanotutti, si bloccava la produzione facendopagare cara al padrone la causa immediatao lontana di quell’incidente. E il ricatto delposto di lavoro si combatteva con lasolidarietà operaia, con l’unità nella lotta,con la determinazione a non farla passareliscia a coloro che pensano esclusivamentead intascare profitti sulla pelle deilavoratori; si combatteva contro la logicadelle “compatibilità”, o del cosiddetto“nuovo modello di sviluppo” che in realtàaccresceva ladipendenza dei proletaridalleesigenze delle aziende e dei loro problemi“di mercato”, con la lotta unitaria; sicombatteva contro la crescenteprecarizzazione del lavoro, e contro ilcontemporaneo aumento della fatica dalavoro, dei ritmi, degli orari, con la lottaunitaria, determinata, solidale; e siscendeva in lotta in solidarietà con glioperai che venivano licenziati, o colpitidalla repressione poliziesca a causa delloro impegno nella lotta classista.

I colpi che i proletari hanno preso,prendono e prenderanno non troverannomai risposta adeguata nelle leggi borghesi,nelle petizioni, nei confronti democraticidi cui i bonzi sindacali vannoparticolarmente ghiotti. Da tutta questaspazzatura democratica gli operai nonhanno mai ottenuto qualcosa di buono; essihanno ottenuto qualcosa soltanto con lalotta, e più il padronato era intimorito dallalotta operaia più gli operai ottenevano sulsalario, sui contratti, sull’ambiente dilavoro, sulla sicurezza nei posti di lavoro.Alla lotta si deve tornare!

E’ la lotta di classe che producefiducia fra gli operai, che chiarisce i ruolidi coloro che fingono di difendere gliinteressi proletari e di coloro che invece lidifendono effettivamente; è la lotta diclasse che fa emergere la necessità diriorganizzarsi sul terreno dello scontroantagonistico fra le classi, e che rivelaquali interessi effettivamente si difendononello scontro e da che parte ci si schiera; èla lotta di classe che sviluppa esperienzanelle file operaie e che fa capire quanto siae sia stata impotente la politica della ciecadelega agli apparati sindacalicollaborazionisti, quanto illusoria sia statala speranza che i sindacalisticollaborazionisti ottenessero comunquequalchebricioladi vantaggioper gli operai.

Lottare oggi contro la logica delladifesa del profitto ad ogni costo, per laprevenzione dagli infortuni sul lavoro, perl’ eliminazione della nocività nell’ambiente che quotidianamente i proletarisono costretti ad subire per la maggiorparte della loro vita; lottare per ridurre laesposizione prolungata a lavorazioni esostanze nocive, per ridurre i ritmi e l’orario di lavoro giornaliero. Lottare pertutto questo non è meno importante chelottare per difendersi dalla diminuzionedel potere d’ acquisto dei salari, o contro ilmeccanismo perverso che lega il salarioalla presenza in fabbrica. Lottare oggi indifesa delle condizioni di vita, e nonsoltantodellecondizioni di lavoro, significaanche non essere vittime domani diinfortuni gravi o mortali.

L’appiccicoso umanitarismoborghese che per mesi ha bombardato lecase e la vita quotidiana di tutti, attraversogiornali e televisioni, al fine di convincerei proletari a sostenere l’intervento militaredel governoD’AlemainJugoslavia, mentreda un lato piangeva sulla sorte dei profughikosovari di origine albanese, dall’ altronon riusciva a trattenere la smania diapprofittare della situazione per potermettere le mani su un territorio e sugliaffari che ogni guerra sviluppa a dismisura- dalle armi ai trasporti, dalletelecomunicazioni alla ricostruzione unavolta terminati i bombardamenti -. Ma sitace completamente sull’ altra guerra,quella sui posti di lavoro che miete piùvittime e non si ferma mai: al lavorocome in guerra!, ma non c’è mai pace!Non ci sono alternative: l’unico modoper i proletari per difendersi dallaguerra borghese contro le lorocondizioni di sopravvivenza e contro laloro vita è di organizzarsi inassociazioni di difesa e lottare, lottareduro a difesa degli esclusivi interessidi classe proletari su di un terreno discontro sul quale le altre classi socialinon verranno mai in aiuto alproletariato perchè è dallosfruttamento del lavoro salariato cheesse ricavano la loro ricchezza, i loroprivilegi, la loro sopravvivenza.

(da pag. 1)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '9912

brutalità, di vessazioni, di massacri, ivicomprese le deportazioni in massa di interepopolazioni sotto la minaccia militare epoliziesca, come ad esempio l’anno scorsoin Thailandia con il rinvio oltre frontiera dicentinaia di migliaia di proletari immigrati.Non bisogna mai dimenticare, oltre tutto,che l’ Europa che noi oggi conosciamofonda le sue radici sulla più gigantescapulizia etnica della storia: iniziata dalnazismo, essa è stata continuata da partedegli Alleati antifascisti che, dopo la finedella guerra, hanno spostato milioni dipersone per allocarle - come merci daimmagazzinare - all’interno delle nuovefrontiere tracciate dagli imperialismivincitori.

Quando per la difesa degliinteressi economici di un gruppocapitalistico particolare non sono piùsufficienti le sole armi tradizionalidell’accresciuta competitività (ossia di unosfruttamento accresciuto del proletariato),della maggiore potenza finanziaria, dellapiù pesante aggressività commerciale, inquanto vi si para contro una coalizione dialtri gruppi capitalistici o perchèriemergono i problemi ricorrenti dellasuddivisione territoriale fra borghesienazionali interessate a rafforzare le basidel proprio capitalismo nazionale - come èproblema endemico nei Balcani -, quandoquelle armi tradizionali non bastano, allorasi cominciano a sentire nuovamente ilcrepitio delle mitragliatrici e i colpi dicannone. L’aggressione economica di unocontro altri si trasforma in aggressionemilitare generalizzata. Perfino laseparazione della piccola Slovenia dalla exRepubblica federale jugoslava è stata unatto di aggressione contro l’entità dello

Stato jugoslavo da parte della borghesiaslovena che fece valere brutalmente ilprimato dei suoi interessi nazionaliparticolari sull’interesse generale delloStato federale. L’aggressione non fudirettamente militare - la Slovenia non haparacadutato truppe su Belgrado - mapolitica; raggiunse però una tale sogliacritica, rispetto al mantenimento dei fragiliequilibri nazionali locali, che provocò lareazione militare della borghesia serba.

In questa gigantesca esplosionedella ex Jugoslavia, ogni borghesianazionaleoparanazionalehaavutointeressead allargare la propria zona geografica diinfluenza o, perlomeno, non avendosufficientepotenza di fuocoa disposizione,ad assicurarsi un peso politico infilandosisotto le ali delle potenze imperialiste,rappresentate dall’ ONU o dalla Nato. Ciòè valido anche per i nazionalisti kosovari(va ricordata nel1990 l’autoproclamazionedella “Repubblica del Kosovo” dopo cheBelgradoaveva ridottoaniente l’autonomiadella provincia del Kosovo) e per le altreregioni ancora sotto la cappa serba, laVojvodina e il Montenegro. Non vi sonodunque da un lato uno Stato, una borghesiao una frazione della borghesia che siano“aggressori” e dall’altro lato degliinnocenti borghesi “aggrediti”. Tuttipartecipano all’aggressione permanentedel capitalismo che si traduce indeterminate circostanze in guerra: è ilcapitalismo che è aggressivo!

Come spieghiamo negli articoliraccolti in questo opuscolo, sono i proletarie le masse diseredate di ogni nazionalità edi ogni religione che subisconoquotidianamente questa aggressionecontinua, in tempo di pace attraverso illoro sfruttamento secondo le stesse regolecapitalistiche in tutto il mondo - ed è ciò

che dimostra la loro identità internazionaledi classe - e in tempo di guerra attraversoun aggravamento ancor più terribile delleloro condizioni di sfruttamento, un loroutilizzo come carne da cannone sui frontimilitari, e oggi purtroppo, attraverso illoro imprigionamento nei discorsisciovinisti e guerreschi del tenore dei“loro” borghesi nazionali.

Le guerre nella ex Jugoslaviahanno rimesso in piena luce l’ impotenzadel proletariato, localmente einternazionalmente, a raggrupparsi eunirsi in difesa dei propri interessi diclasse chesonoantinazionali, antiborghesi,anticapitalisti e opposti ad ogni forma dicollaborazione e di compiacenza con la“propria”borghesia, chequesta appartengaal campo degli imperialismi democraticioccidentali o a quello dei sedicenti“aggressori” o “aggrediti”. E’ questaindipendenza di classe che i proletari ditutte le nazionalità, razze, religioni, etnie,ecc. devono riconquistare lottando senzaconcessioni politiche contro tutti i tentatividi legarli in un modo o in un altro a degliinteressi nazionali. Questa indipendenza èla condizione assoluta per la lotta delproletariato di tutte le nazionalità dell’exJugoslavia contro la guerra che si fanno ledifferenti frazioni nazionali borghesi. Essaè altrettanto necessaria perchè la classeoperaia - soprattutto della nazionedominante - possa prendere in carico lalotta contro ogni forma di oppressionenazionale, etnica, razziale, ecc., evitandole trappole del democratismo o delpacifismo, che la farebbero ritornare nellebraccia della borghesia.

L’ indipendenza di classe èanche una condizione assoluta nei paesiimperialisti dominanti e principalmente inquelli che intervengono militarmente odiplomaticamente nel conflitto perincrinare la potenza dell’imperialismo alsuo interno stesso e opporre al suo “nuovoordine mondiale” la sua propria forza diclasse internazionale e internazionalista.

L’aggressore è il capitalismo!L’aggredito è il proletariato!

(da pag. 7)

I bolscevichi, protesta Kautsky,“volevano vincere i contadini ricchi nellecampagne accordando diritti politici soloai contadini più poveri. in seguito, hannorestituito ai contadini ricchi il diritto diessere rappresentati” (57).

Kautsky enumera le“contraddizioni” apparenti della nostrapolitica verso i contadini senza porre laquestione del suo orientamento generale edelle contraddizioni interne inerenti allasituazione economica e politica del paese.

Il contadiname russo quale èentrato nella organizzazione dei soviet sicomponeva di tre strati: i contadini poveri,che vivono in gran parte della vendita dellaloro forza-lavoro e che acquistano i viverinecessari al loro consumo; lo strato deicontadini medi che sono autosufficientigrazie ai prodotti delle loro coltivazioni,dei quali vendono il surplus in una certaproporzione; lo strato superiore, cioè iricchi, i kulaki, che acquistanosistematicamente forza-lavoro e vendonosu vasta scala i prodotti delle lorocoltivazioni. Non c’è bisogno di dire che intutto il Paese questi gruppi non sidistinguevano nè per segni particolari, nèper la loro omogeneità. I contadini poverierano tuttavia in generale nel loro insiemegli alleati naturali ed incontestabili delproletariato delle città, mentre i kulakierano altrettanto ed inconciliabilmente isuoi nemici; lo strato contadino più ampio,quello medio, era il più oscillante.

Se il paese non fosse stato cosìstremato, se il proletariato avesse avuto lapossibilità di fornire alle masse contadinela quantità indispensabile di beni diconsumo e di mezzi di coltura, l’unionedella maggioranza dei contadini lavoratoricon il nuovo regime sarebbe stata moltopiù facile. Ma il disordine economico delpaese, che non era effetto della nostrapolitica agraria e di approvvigionamento,ma derivava da cause anteriorisopravvissute all’avvio di questa politica,per un lungo periodo privò le città di ognipossibilità di fornire alla campagnaprodotti dell’industria tessile ometallurgica, generi coloniali, ecc.L’industria però non poteva rinunciare atrarre dalle campagne degliapprovvigionamenti, quand’anche minimi.Il proletariato esigette dal contadinamedegli anticipi in viveri, dei prestitieconomici sui valori che si preparavasoltanto a creare. Il simbolo di questi valorifuturo era il segno di credito, poi svalutato.Ma la massa contadina non è affatto capacedi astrazione storica. Legato al potere deisoviet dalla liquidazione delle grandiproprietà, e vedendo in esso una garanziacontro la restaurazione dello zarismo, nonè però raro che il contadiname rifiuti diconsegnargli del grano, trovando l’affaresvantaggioso finché non riceve in cambionè tessuti, nè chiodi, nè petrolio.

Il potere dei soviet tendevanaturalmente a far gravare gran parte dell’imposta per l’ approvvigionamento suglistrati superiori del contadiname. Ma nelleinformi condizioni sociali della campagna,i kulaki più influenti, abituati a guidare icontadini medi, trovavano decine di modiper scaricare il peso dell’imposta sullelarghe masse contadine e renderle cosìostili al potere dei Soviet. Mettere inguardia i contadini poveri, destare la loroostilità nei confronti dei kulaki,s’imponeva. A questo servirono i comitatidi contadini poveri. Si creavano alla base, apartire dagli elementi che erano stati inprecedenza schiacciati, respinti in secondopiano, privati di ogni diritto. Tra di loro vifu ovviamente un certo numero di elementisemiparassitari, cosa che fornì il temaprincipale della propaganda demagogicadei “socialisti” populisti, i cui discorsitrovavano un’eco piena di gratitudine nelcuore dei kulaki. Di per se stessa, laconsegna del potere nelle campagne aicontadini poveri aveva un significatorivoluzionario incommensurabile. Al finedi dirigere i semiproletari della campagna,ilpartito inviavadeglioperaid’avanguardiache svolgevano un lavoro inestimabile. Icomitati di contadini poveri diventavanoveri organi di attacco contro i kulaki. Conl’appoggio del potere statale, intimaronocon ciò stesso allo strato di contadini medidi scegliere, non solo tra il potere deisoviet e quello dei proprietari, ma anche

Terrorismo e comunismo

- VII -La politica contadina

tra la dittatura del proletariato e deglielementi semiproletari della campagna, el’arbitrio dei kulaki. In seguito ad una seriedi esperienze alcune delle quali moltocrudeli, il contadiname fu obbligato aconvincersi che il regime dei soviet, cheaveva cacciato i proprietari e i poliziotti,impone a sua volta nuovi obblighi aicontadini e da loro esige sacrifici. Questapedagogia politica ad uso di decine dimilioni di contadini poveri non fu nèpiacevole, nè comoda come in un’aulascolastica, e non diede risultatiincontestabili e immediati. Ci furonorivolte dei contadini medi, alleatisi aikulaki, e che invariabilmente ricadevanoogni volta sotto la direzione dei grossiproprietari controrivoluzionari; si ebberodegli abusi commessi da agenti locali delpotere sovietico, in particolare da comitatidi contadini poveri. Ma lo scopo politicoessenziale venne raggiunto. Se i potentikulaki non furono completamenteannientati, furono colpiti in profondità epersero la loro fiducia in se stessi. Purrestando politicamente informe, così comelo è economicamente, la categoria deicontadinimedisi abituò aconsiderarecomeproprio rappresentante non lo sbraitantekulak, ma l’operaio avanzato delle città.Una volta conseguito questo risultato dicapitale importanza, i comitati di contadinipoveri, istituzioni temporanee, cuneoacuminato piantato nella massa contadina,dovettero cedere il posto ai soviet, neiquali i contadini poveri sono rappresentatiassieme ai contadini medi.

I comitati di contadini poverivissero circa per sei mesi, dal giugno aldicembre 1918. Kautsky non vede che“oscillazioni” dellapolitica dei soviet,nellaloro organizzazione come nella lorosoppressione. Si astiene però dalla minimaallusione alle lezioni politiche da trarne. Edel resto, da dove le ricaverebbe?L’esperienza che noi facciamo a questoproposito è senza precedenti ed i problemiche il potere dei Soviet risolvepraticamente non hanno ricette libresche.In ciò che Kautsky chiama contraddizionipolitiche, vi sono in realtà delle manovreattive del proletariato all’interno dellamassa contadina friabile e ancora indivisa.Il veliero deve ben manovrare controvento,e nessuno tuttavia si sogna di vedere dellecontraddizioni nelle manovre che loconducono alla meta.

Nella questione delle comuniagricole e delle aziende sovietiche, sipossono ugualmente notare parecchie“contraddizioni”, che indicano insiemedegli errori isolati e delle tappe differentidella rivoluzione. Quante terre conserveràlo Stato sovietico in Ucraina e quante neconsegnerà ai contadini? Cheorientamentodare alle comuni agricole? Sotto qualeforma sostenerle per non farne dei vivaidel parassitismo? Come garantirne ilcontrollo? Altrettanti problemiassolutamente nuovi posti dall’operaeconomica socialista. Questi problemi nonsono risolti in anticipo nè in teoria, nè inpratica, e la nostra linea programmatica diprincipio deve persino trovare ancora nellaloro soluzione la sua effettiva applicazionee la sua verifica sperimentale, a prezzo diinevitabili deviazioni temporanee a destrao a sinistra.

Ma Kautsky ritorce contro di noipersino il fatto che il proletariato russoabbia trovatounappoggionelcontadiname:“Esso inserì anche nel sistema bolscevicoun elemento economicamente reazionario,da cui la Comune di Parigi rimase esente(!); perché la sua dittatura del proletariatonon si appoggiò mai ai Consigli dicontadini” (58).

Come se potessimo raccoglierel’eredità dell’ordine feudale borgheseeliminando a piacimento l’ “elementoeconomico reazionario” ! Ma non è tutto.Avendo avvelenato il potere dei soviet conun “elemento reazionario”, il contadinamecihaprivatidel suoappoggio.Oggi“esecra”i bolscevichi. Kautsky lo sa da fonte sicura,grazie ai radiotelegrammi di Clémenceaue alle informazioni confidenziali deimenscevichi.

Di fatto, ampi settori delcontadiname soffrono della mancanza deiprodotti manifatturiero indispensabili. Maè parimenti sicuro che tutti gli altri regimi- e se ne sono visti molti, in differenti parti

della Russia, nel corso degli ultimi tre anni- gravarono sulle spalle dei contadini inmodo infinitamente più pesante. Nè ilgoverno monarchico, nè il governodemocratico hanno potuto aumentare leriserve di merci. L’uno e l’altro avevanobisogno dei grano e dei cavalli deicontadini. Per condurre la loro politica, igoverni borghesi, ivi compresi quelli deikautskisti-menscevichi, si servivano di unapparatopuramenteburocratico che tenevaconto infinitamente meno che l’apparatosovietico - formato da operai e contadini -dei bisogni dell’economia contadina. Ilrisultato è che a dispetto delle sueesitazioni, del suo malcontento e persino

Continuiamo la pubblicazione della traduzione in italiano, curata da noi, del testodi Trotsky «Terrorismo e comunismo» dal n° 63 - Dicembre 1998

delle sue rivolte, il contadino medioconcluse che alla fine dei conti, quali chesianoper lui ledifficoltà sotto ibolscevichi,sarebbe infinitamente più dura sotto ognialtro regime. E’ perfettamente esatto cheil sostegno dei contadini fu “risparmiato”alla Comune di Parigi. Questa, incompenso, non fu risparmiata dall’esercitocontadino di Thiers! Mentre il nostroesercito, composto per quattro quinti dacontadini, si batte con entusiasmo esuccesso per la Repubblica dei Soviet. Equesto solo fatto, smentendo Kautsky ecoloroche lo ispirano, dà ilmiglior giudiziodella politica contadina del poteresovietico.

Il potere sovietico e gli specialisti

“I bolscevichi - racconta Kautsky- all’inizio pensarono di fare a meno degliintellettuali, degli specialisti”. Convintisiin seguito della necessità degli intellettuali,hanno cessato le loro crudeli rappresagliee si sono messi ad attirare l’ intelligentsiacon ogni tipo di misure, ed in particolarecon alti compensi. E Kautsky ironizza: “Dimodo che la buona maniera di attirare gliintellettuali consiste nel malmenarli primasenza pietà” (59). Precisamente. Colpermesso di tutti i filistei, la dittatura delproletariato consiste anche, precisamente,nel “malmenare” le classi un tempodominanti per obbligarle a riconoscere ilnuovo ordine e a sottomettervisi. Cresciutanel pregiudizio dell’ onnipotenza dellaborghesia, l’ intelligentsia professionalerestò a lungo senza credere, senza potercredere, che la classe operaia era realmentecapace di amministrare il paese, che nonaveva preso il potere per combinazione,che la dittatura del proletariato era un fattoindiscutibile. L’ intelligentsia borgheseconsiderava dunque con grande leggerezzai suoi obblighi verso lo Stato operaio, anchequandoentravaal suoservizio, e trovava deltutto semplice e naturale, in regimeproletario, ricevere denaro da Wilson,Clemenceau o Mirbach per fare dell’agitazione antisovietica, oppure per svelaresegreti militari e risorse tecniche alleguardie bianchee agli imperialisti stranieri.Bastava mostrarle con i fatti - emostrarglielo con fermezza - che ilproletariato non aveva preso il potere perconsentire a proprie spese simili scherzi.

Nelle pene rigorose decretatecontro l’ intelligentsia, il nostro piccolo-borghese idealista vede “le conseguenze diuna politica che tende ad attirare gliintellettuali non con la persuasione, ma apedate“ (60). Kautskydunque s’ immaginasul serio che si possa condurre l’intelligentsia all’ opera di edificazionesocialista con la sola persuasione - e ciòmentre in tutti gli altri paesi regna ancorauna borghesia che non indietreggia davantiad alcun mezzo per intimidire, corrompereo sedurre l’ intelligentsia russa, al fine difarne lo strumento dell’ asservimentocoloniale della Russia.

Anziché analizzare il corso dellalotta, Kautsky per ciò che concerne laintelligentsia dà delle ricette scolastiche.

E’ completamente falso che ilnostro partito, non rendendosi conto dell’importanza dell’ intelligentsia nella operaeconomica e culturale che abbiamo davantia noi, abbia tentato di farne a meno. Alcontrario. Allorché la lotta per la conquistaed il consolidamento del potere toccava ilpiù alto grado di intensità e la maggioranzadell’ intelligentsia svolgeva il ruolo di unbattaglione d’assalto della borghesia,combattendoci apertamente o sabotandole nostre istituzioni, il potere dei sovietcombatteva senza pietà gli specialistiproprio perché si rendeva conto del loroenorme valore organizzativo quando silimitano a compiere gli incarichi affidatiloro da una delle classi fondamentali, enon tentano di edificare una politica“democratica” indipendente. Solo dopo

che la resistenza dell’ intelligentsia vennespezzata da un a lotta implacabile, si aprì lapossibilità di invitare gli specialisti allavoro. Ci impegnammo subito in questadirezione, e nonsi rivelò osa tanto semplice

Dei rapporti esistenti nellasocietà capitalista tra l’operaioe il direttoredi fabbrica, l’impiegato e il direttore, ilsoldato e l’ufficiale, permaneva unaprofonda diffidenza di classe nei confrontidegli specialisti. Questa diffidenza eracresciuta durante il primo periodo dellaguerra civile, quando l’ intelligentsia si eraaccanita a spezzare la rivoluzione operaiacon la fame e il freddo. Eliminare questostato d’animo, passare dall’antagonismoviolento alla collaborazione pacifica, nonera facile. Le masse operaie dovevanoabituarsi a vedere nell’ ingegnere, nell’agronomo, nell’ ufficiale, non più l’oppressore di ieri, ma l’utile collaboratoredi oggi, lo specialista indispensabile, adisposizione del potere operaio econtadino. Abbiamo già mostrato comeKautskyabbia tortonell’ attribuirealPoteredei Soviet l’ intenzione di principio dirimpiazzaregli specialisti condei proletari.Ma è certo che una propensione in talsenso doveva manifestarsi nelle larghemasse del proletariato. Una classe giovane,che ha appena provato a se stessa di sapersuperare gli ostacoli più grandi, che hafatto a pezzi il velo mistico che circondavail potere dei possidenti, che si è convintache “le arti umane non sono un regalo deglidei”, questa classe rivoluzionaria ènaturalmente portata, nei suoi elementimeno maturi, a sopravvalutare sulle primela sua capacità di risolvere ogni questionesenza far ricorso all’ aiuto degli istruitispecialisti della borghesia.

Tutte le volte che queste tendenzesi sono manifestate in un modo un minimopreciso, le abbiamo combattute fin dalprimo giorno.

“Attualmente, essendo assicuratoil potere dei Soviet - dicevamo allaConferenza urbana di Mosca il 28 marzo1918 - la lotta contro il sabotaggio devetendere a trasformare i sabotatori di ieri inservitori, agenti, direttori tecnici, ovunqueil nuovo regime ne abbia bisogno. Se non ciriusciamo, se non attiriamo tutte le forzeche ci sono necessarie, se non le mettiamoal servizio dei soviet, allora la nostra lottadi ieri contro il sabotaggio, la lotta militare

(Segue a pag. 13)

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99 13

ERRATA

Da un compagno riceviamo un contributo importante nel controllo, nonsolo ortografico, di testi di partito pubblicati a suo tempo sia nelle edizioni

“il programma comunista” che nelle edizioni Iskra.Elenchiamo qui di seguito le errata corrige relative a tre testi.

MAI LA MERCE SFAMERA’ L’UOMOIskra Edizioni, 1979

Pag. 53, riga 5, in nota dal basso. Leggasi: socialismo romanticoPag. 57, riga 11. Leggasi: dunquePag. 57, riga 20. Leggasi: Marx, e non MarzoPag. 58, riga 3 (dal basso). Leggasi: taschePag. 59, riga 12. Leggasi: patrimonialePag. 80: sostituire la riga 16 con la riga 31, e viceversaPag. 97, riga 10. Cancellare: nonPag. 99, riga 13, dal basso: Leggasi: 11 e mezzo, e non 1 e mezzoPag. 143, riga 16. Leggasi: a, e non: ePag. 153, Nota, riga 2. Leggasi: “e che il grado tecnologico sia maggiore che nel”Pag. 154, riga 14. Leggasi al, e non: ePag. 161, righe 16-17. La frase........Pag. 169, riga 17. Leggasi: ubicazionePag. 170, riga 16. Leggasi: Smentita, e non: MentitaPag. 174, riga 15. Leggasi: dei secondi, e non: dei primiPag. 174, riga 23. Leggasi: ad ogni ettaro, e non: ad ogni redditoPag. 183, riga 5 (dal basso). Leggasi: non sul terreno..., e non: ma sul terreno...Pag. 199, riga 1. Leggasi: “arpent”, e non: “arpant”Pag. 202, riga 3 (dal basso). Leggasi: quadro XX, e non: quadro XVIIPag. 211, alla Nota 1. Leggasi: cap. VI, e non: cap. IVPag. 226, riga 10. Leggasi: Noi non ce l’abbiamo affatto, e non: Noi non l’abbiamoPag. 226, riga 27. Leggasi: secondo l’urgere, e non: secondo l’ugerePag. 230, riga 3 (dal basso). Leggasi: o (minuscolo=, e non: O (maiuscolo)Pag. 235, riga 7 (dal basso). Leggasi: sfere, e non: sfrePag. 236, riga 3 (dal basso). Leggasi: a suo tempo, e non: a suo tempoPag. 237, riga 28. Leggasi: si appioppa, e non: si appioppiaPag. 250, riga 7. Leggasi: - heri dicebamus - ci imbarcheremo, e non: - heri

dicebamus - imbarcheremoPag. 272, righe 24/25. Leggasi: (che non è poi un’azienda capitalistica di Stato..., e

non: (che è poi un’azienda...Pag. 272, Nota 2, ultima riga. Leggasi: Cfr. soprattutto pp. 492-525, e non: pp. 494-

525Pag. 301, righe 3/4. Leggasi: normale profitto (il resto è benefizio d’ impresa) che

l’imprenditore cede..., e non: normale profitto, il resto è benefizio d’ impresa chel’imprenditore cede...

Chiarimenti

Pag. 103, riga 9: votta-votta. Significa: spingi spingiPag. 177, riga 19: in malòrsega. Significa, in dialetto veneto, in maloraPag. 192, riga 23: processo Muto. Si tratta si Silvano Muto, pubblicista, noto per le

sue “rivelazioni” sul caso Wilma Montesi, la ragazza trovata morta, sulla spiaggia diTorvaianica, nell’ aprile del 1953

Pag. 193, Nota 1: coinvolgendo il mondo politico. Può essere utile riferirsi alriassunto apparso ne Il Venerdì di Repubblica del 7/7/1989, nr. 80.

Pag. 198, ultima riga: “boisseaux”. E’ stato tradotto da Amadeo Bordiga, alla francese,con la parola: bossoli, ( e così alle pagg. 199, 200, 201 e altre. In italiano si dice staio:unità di misura di capacità, usata ancora nelle campagne toscane, per il grano od altricereali. Per estensione del significato si può intendere così: quanta terra è necessaria perseminare uno staio di grano.

Pag. 204, righe 3/4 dal basso: Taganrog. Porto commerciale russo sul mar d’Azov.Il riferimento è al grano duro (con cui sono fabbricati i nostri maccheroni) che venivaimbarcato a Taganrog per l’Italia, via Odessa.

Pag. 211, riga 6: Gianchetti Paiarli. E’ come dire: Pinco Pallino.Pag. 269, riga 2: la guerra delle fanterie. Qui si allude al fatto che il capitalismo ha

proceduto alla trasformazione del contadino proprietario, legato per intere generazionialla famosa “schiappa di terra” (un fazzoletto di terra), in nulla tenente, in salariato,attraverso l’emigrazione forzata o la coscrizione.

LEZIONI DELLECONTRORIVOLUZIONIEdizioni il programma comunista, 1981

Pag. 16, riga 5: Il marxismo non è la dottrina delle rivoluzioni, ma quella dellecontrorivoluzioni...

Questa frase ha subito un grave errore di stampa. La frase giusta è la seguente:Il marxismo non è solo la dottrina delle rivoluzioni, ma anche quella

delle controrivoluzioni...Nella riedizione del 1994, l’ Istituto Programma Comunista l’ha corretta così:“Il marxismo è la dottrina non solo delle rivoluzioni, ma anche, e più, delle

controrivoluzioni...

STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALEDELLA RUSSIA D’OGGI

Edizioni il programma comunista, 1976

Pag. 15, penultimo rigo. Leggasi: proletariatoPag. 57, riga 6. Leggasi: reazionarioPag. 291, righe 5/6, dal basso. Leggasi: che la catastrofe politica sociale e bellica,

della signoria americana sul...Pag. 291, riga 10, dal basso. Leggasi: storiche di proclamato impiego; pentimento

che lontanamente sia...Pag. 321, riga 8, dal basso. Leggasi: costituzione, e non: sostituzionePag. 324, riga 18. Leggasi: a bere, disse Duilio, lanciandoli, e non: lanciandolePag. 377, riga 1. Leggasi: del dibattito 1926), di un controllo statale comunista...Pag. 480, righe 17/18. Leggasi: dalla forma 2 alla 3: dalla piccola produzione

mercantile contadina...Pag. 487, riga 4, dal basso. Leggasi: proponevano, e non: proponevaPag. 524, riga 9. Leggasi: 1830-1870, e non: 1830-1970Pag. 603, riga 2, dal basso. Leggasi: precedente paragrafo 77, e non: 79Pag. 603, riga 12, dal basso. Leggasi: nel 1952 e nel 1956, e non: 1965Pag. 631, riga 3, dal basso. Leggasi: proprietà sociale si estende alla terra..., e non:

proprietà privataPag. 652, riga 25, dal basso. Leggasi. fino dagli anni della NEP, e non: agli anniPag. 685, Nota 1. Leggasi: novembre 1956, e non 1958Pag. 691, righe 20/21. Leggasi: nella migliore possibile rivoluzione, e non: nelle

migliori possibili rivoluzioniPag. 697, riga 23. Leggasi: Mettiamo 30-50 anni come minimo”, e non: come

massimo”Pagg. 701,702,703: invece di 1866, leggasi: 1861-65Pag. 719, riga 6. Leggasi: pure salvato il 30 e il 31 per centoPag. 727, riga 4. Leggasi: - detta “Firebird” -, e non: della “Firebird”Pag. 727, riga 15. Leggasi: E faremo tali conti, e non: tanti conti

Chiarimenti

I diversi capitoletti in cui viene trattatala questione delle nazionalità in Russia e inEuropa, si chiudono col capitoletto 68.Rivoluzione con l’ Europa (pag. 166). Inquesto lavoro del 1955, Bordiga accennaal “problema tremendo delle dueGermanie” di fronte al quale pone questaprospettiva: “la rivoluzione sola puòunirle”. Sappiamo anche che in altri lavoridi partitoBordiga svolge laprevisionedellacrisi generale e simultanea del capitalismomondiale per il 1975 (crisi cheeffettivamente avvenne), e la previsione diunacontemporaneacrisi rivoluzionaria (cheinvece non ci fu). Più volte ricordammocome i rivoluzionari vedono la rivoluzioneproletaria e comunista più vicina di quantonon avvenga; Marx ed Engels, previdero larivoluzione proletaria in Europa già nel1848, Lenin la previde, sull’onda dellarivoluzione russa, negli anni 1918-23, eBordiga nel 1975 in conseguenza dellacrisi generale del capitalismo mondiale.La storia ci dice che l’ottimismorivoluzionario non ha colto la “data”fatidica, mentre ci conferma sempre più laprevisione generale della teoria marxistaper quanto concerne lo sbocco necessariodello sviluppo capitalistico (guerre semprepiù vaste e distruttive) e la necessità dellarivoluzione proletaria per chiuderedefinitivamente con la preistoria dellesocietà di classe ed aprire la storia dellasocietà di specie, del comunismo.

Le due Germanie si sono riunificate;tale riunificazione è avvenuta sullo sfondodi una crisi generale del capitalismo

mondiale che ha visto il crollo disastrosodella seconda superpotenza mondiale, l’URSS, e il crollo inevitabile del suo“impero”, per cui i paesi europei satellitidi Mosca furono i più esposti alle mire ealle brame delle potenze imperialisticheeuropee occidentali, prima fra tutte laGermania occidentale. Approfittando diuna situazioneinternazionale incuinessunapotenza imperialistica, nemmeno gli StatiUniti d’America, avrebbe avuto interesse opotuto impedire manu militari - senzascatenare una guerra tra ex alleatioccidentali - che la Germania occidentalemettesse le mani sulla Germania orientalesu cui, d’altra parte, Mosca non aveva piùalcuna possibilità di continuare la propriaoppressione imperialistica e militare comein precedenza, la Germania di Bonn hamessoa segno la mossa della riunificazionetedesca.

Risultato rivoluzionario? No, seconsideriamo che la riunificazione hariguardato gli Stati e non il proletariatorivoluzionario tedesco. Si, se consideriamoche la prospettiva rivoluzionaria in Europanon può che passare attraverso la dittaturaoperaia tedesca. Per riprendere le paroledi Bordiga, che seguono immediatamentequelle citate sopra sul tremendo problemadelle due Germanie: “ma la rivoluzionein Europa ha bisogno di una unitàgermanica, e di una dittatura operaiatedesca, più fragile presentandosiquella inglese o francese, per diverseragioni”. Da questo punto di vista, ilproblema dell’ oppressione nazionale suitedeschi dell’ Est, provocato dallacolonizzazione militare di Mosca, è stato

superato nei fatti. Ora gli operai tedeschihanno di fronte tutta intera la propriaborghesia nazionale, il vero e dichiaratoprimo nemico di classe.

Alla pag. 176, viene usato, insiemeall’aggettivo: filisteo, l’aggettivo:tecoppesco.

Viene da Felice Tecoppa. Personaggiodel teatro di Edoardo Ferravilla (Milano,1846-1915), teppista incallito, fiero,sordido, vanaglorioso e vile. Il suointercalare abituale era: “Dio te coppa! “(Dio ti ammazza); da qui il suo cognomeTecoppa (originariamente era Manara).Opere del Ferravilla: La class de asen; Elduel del sur Panera, ecc.

Alla pag. 703, nel capitoletto 9. Perchènon si fece appello alle armi?

“Questa domanda - si legge nel testo- ebbe a porsela Trotsky, il quale avevacon altri valorosi bolscevichi, fino allamorte di Lenin e dopo, le forze armate asua dipendenza”.

Trotsky, 1935: “Indubbiamente, uncolpo di stato militare contro la frazioneZinoviev-Kamenev-Stalin non avrebbepresentato difficoltà e non avrebbeneppure provocato effusioni di sangue;ma il risultato sarebbe statol’accelerazione del trionfo dellaburocrazia e del bonapartismo contro iquali si levava l’ Opposizione disinistra”. Citazione riportata da VictorSerge, in Memorie di un rivoluzionario,La Nuova Italia edit., Firenze, 1974. Perquesto motivo Trotsky non fece appelloalle armi.

e rivoluzionaria, sarà per ciò stessocondannata come completamente inutile esterile.

“Questi tecnici, questi ingegneri,questi medici, questi maestri, questiufficiali di ieri costituiscono, come lemacchine inanimate, una parte del nostrocapitale nazionale, che abbiamo il doveredi sfruttare, di utilizzare, se vogliamo inlinea di massima risolvere i problemiessenziali che ci si pongono.

“La democratizzazione - ed è, perogni marxista, l’ abc - non consiste nelconsiderare nulla l’ importanza dellecompetenze, delle persone dotate diconoscenze speciali, e nel sostituirlesempre ed ovunque con dei collettivi eletti.I collettivi eletti, composti dai migliorielementi della classe operaia ma che nonpossiedono le conoscenze tecnicheindispensabili, non possono sostituire iltecnico uscito dalle scuole speciali e chesa fare un dato lavoro speciale. Ladiffusione della collegialità, cheosserviamo in tutti i settori, è la reazioneaffatto naturale di una classe giovane,rivoluzionaria, ancora ieri oppressa, cheripudia l’ autorità personale dei suoi capidi ieri, dei padroni e dei comandanti, ecolloca ovunque dei rappresentanti eletti.E’, dico, una reazione rivoluzionaria deltutto naturale e sana, all’ origine. Ma non èil nec plus ultra dell’ edificazioneeconomica e statale della classe proletaria.

“La tappa successiva deveconsistere nell’ autolimitazione delprincipiocollegiale, inunasanaenecessariaautolimitazione da parte della classeoperaia, che sa in quali casi l’ultima parolaspetta al rappresentante eletto degli operai,e in quali altri conviene cedere il passo altecnico, allo specialista munito diconoscenze speciali, al quale bisognaimporre una grande responsabilità, e chedeve essere sottoposto ad un controllopolitico vigilante. Ma è indispensabilelasciare allo specialista la possibilità diuna attività libera, di una creazione libera,poiché nessuno specialista un minimocapace e dotato può lavorare nell’ ambitodi sua pertinenza se è subordinato nel suolavoro ad un collettivo di persone chequesto ambito non lo conoscono. Uncontrollo sovietico collegiale, politico,ovunque e sempre, ma per le funzioniesecutive è indispensabile designare deglispecialisti tecnici, collocarli in posti diresponsabilità ed imporre loro questeresponsabilità.

“Quelli che temono questenecessità dimostrano inconsciamente unaprofonda diffidenza nei confronti delregime sovietico. Chi si immagina cheaffidando incarichi tecnici ai sabotatori diieri mettiamo in pericolo le basi stesse delregime sovietico non si rende conto che

Terrorismo e comunismo(da pag. 12) nessun ingegnere, nessun generale può far

vacillare il regime sovietico, che èinvincibile sul piano politico,rivoluzionario e militare - ma che il regimesovietico può vacillare solo per la suapropria incapacità di risolvere i problemidella organizzazione creatrice.

“Per quest’ ultimo è necessariotrarre dalle vecchie istituzioni tutto ciòche hanno di vitale e prezioso e collegaretutto alla nuova opera.

“Se non lo facessimo, compagni,non svolgeremmo i nostri compitiessenziali, poiché sarebbe impossibile,respingendo tutte le forze accumulate dalpassato, trovare nel nostro seno tutti glispecialisti necessari nel più breve terminedi tempo.

“Insomma, sarebbe come dire cherinunciamo a servirci di tutte le macchineche hanno fino ad oggi contribuito allosfruttamento dei lavoratori. Sarebbe unafollia. Attirare gli specialisti competentici è tanto necessario quanto l’ utilizzazionedi tutti i mezzi di produzione e di trasportoe, in generale, di tutte le ricchezze delpaese. Dobbiamo, e senza indugio, censirei tecnici specialisti e sottometterlieffettivamente all’ obbligo del lavoro, puroffrendo loro un vasto campo di attività edesercitando su di essi un controllopolitico” (*).

Fin dall’inizio, la questione deglispecialisti si è posta in maniera

particolarmenteacutanell’ ambitomilitare.Ed è qui che venne risolta per la primavolta, sotto la pressione di una necessitàimprocastinabile.

Nell’ amministrazione dell’industria e dei trasporti, le forme diorganizzazione indispensabili sono ancoralungi dall’ essere portate veramente atermine oggi. La causa va ricercata nelfatto che, durante i primi due anni, abbiamodovuto sacrificare gli interessi deltrasporto e dell’ industria a quelli delladifesa militare. Il corso così mutevoledella guerra civile è stato, d’altra parte, unostacolo allo stabilirsi di relazioni correttecon gli specialisti. I tecnici qualificati dell’industria e dei trasporti, i medici, i maestri,i professori, o si univano alle armate inritirata di Denikin e Kolciak, oppurevenivano portati via con la forza. Solo orache la guerra civile volge al termine lamassa degli intellettuali si riconcilia colpotere dei soviet o ad esso si piega. Iproblemi economici sono in primo piano.L’ organizzazione scientifica dellaproduzione è uno dei più importanti.Davanti agli specialisti si apre un immensocampo di attività. Per un lavoro creatore,appare indispensabile la loro indipendenza.Quanto alla direzione generale dell’industria alla scala del paese, essa èconcentrata nelle mani del partito delproletariato.

La politica internazionale del potere sovietico

“I bolscevichi - ragiona Kautsky- acquistarono la forza di attirare a sè ilpotere politico, in quanto essi erano statitra i partiti della Russia quello che avevadomandato la pace ad ogni costo, la paceseparata senza curarsi di sapere qualesarebbe stata in seguito a ciò la situazioneinternazionale, se essa avrebbe assicuratoo no la vittoria e l’ egemonia mondiale allamonarchia militare tedesca, tra i cui protettiessi a lungo si annoverarono, come i ribellidell’ India e dell’ Irlanda e come glianarchici dell’ Italia” (61).

Kautsky dunque sa solo una cosasulle cause della nostra vittoria, cioè che lanostra parola d’ordine era la pace. Nonspiega la solidità del potere sovieticoquandoquesti rimobilitò una considerevoleparte dei soldati dell’ esercito imperialistaper respingerevittoriosamente, durantedueanni, i suoi nemici politici.

Senza dubbio, la parole d’ordinedella pace ha svolto un ruolo enorme nellanostra lotta,maeraproprioperchéattaccavala guerra imperialista. Quelli che lasostenevano con maggior vigore non eranoaffatto i soldati stanchi, ma gli operai d’avanguardia, per i quali la pace nonsignificava riposo, ma una lottairreconciliabile contro gli sfruttatori.

Questi stessi operai dovevano più tardidonare la vita sui fronti sovietici in nomedella pace.

Affermare che esigevamo la pacesenza curarci dell’ influenza che essaavrebbe avuto sulla situazioneinternazionale, è ricantare l’aria dellacalunnia dei cadetti e dei menscevichi. Ilparallelo tracciato tra noi ed i nazionalistigermanofili dell’ India e dell’ Irlanda sibasa sul fatto che l’ imperialismo tedescoha tentato, in effetti, di utilizzarci comegli Indiani e gli Irlandesi.

(continua)

(57) Cfr K.Kautsky, Terrorismo..., cit.,p. 142.

(58) Cfr K.Kautsky, cit., p. 70.(59) Cfr K.Kautsky, cit., p.129.(60) Cfr K.Kautsky, cit., p.129.(*) Nota di Trotsky. Il Lavoro, la

disciplina e l’ordine salveranno laRepubblica socialista dei Soviet (Mosca,1918) Kautsky conosce questo opuscoloe lo cita a più riprese. Ciò non gli impediscedi trascurare i passi da noicitati, chechiariscono l’atteggiamento del potere deisoviet nel confronti dell’intelligentsia.

(61) Cfr K.Kautsky, cit., p. 58.

IL COMUNISTA N° 66 Giugno '99

Il programma del Partito comunista internazionaleIl Partito Comunista Internazionale è

costituito sulla base dei seguenti principistabiliti a Livorno nel 1921 alla fondazionedel Partito Comunista d’Italia (Sezionedella Internazionale Comunista).

1. Nell’attuale regime sociale capitali-stico si sviluppa un sempre crescentecontrasto tra le forze produttive e i rapportidi produzione, dando luogo all’antitesi diinteressi ed alla lotta di classe fra proleta-riato e borghesia dominante.

2. Gli odierni rapporti di produzionesono protetti dal potere dello Stato borghe-se che, qualunque sia la forma del sistemarappresentativo e l’impiego della demo-crazia elettiva, costituisce l’organo per ladifesa degli interessi della classe capitali-stica.

3. Il proletariato non può infrangere némodificare il sistema dei rapporti capitali-stici di produzione da cui deriva il suosfruttamento senza l’abbattimento violen-to del potere borghese.

4. L’organo indispensabile della lottarivoluzionaria del proletariato è il partitodi classe. Il partito comunista, riunendo insé la parte più avanzata e decisa del prole-tariato, unifica gli sforzi delle masselavoratrici volgendoli dalle lotte per inte-ressi di gruppi e per risultati contingentialla lotta generale per l’emancipazionerivoluzionaria del proletariato. Il partitoha il compito di diffondere nelle masse lateoria rivoluzionaria,diorganizzare i mezzimateriali d’azione, di dirigere nello svol-

gimento della lotta la classe lavoratriceassicurando la continuità storica e l’unitàinternazionale del movimento.

5. Dopo l’abbattimento del potere capi-talistico il proletariato non potràorganizzarsi in classe dominante che conla distruzione del vecchio apparato statalee la instaurazione della propria dittatura,ossia escludendo da ogni diritto e funzionepolitica la classe borghese e i suoi individuifinché socialmente sopravvivono, e basan-do gli organi del nuovo regime sulla solaclasse produttiva. Il partito comunista, lacui caratteristica programmatica consistein questa fondamentale realizzazione, rap-presenta organizza e dirige unitariamentela dittatura proletaria. La necessaria difesadello Stato proletario contro tutti i tentativicontrorivoluzionari può essere assicuratasolo col togliere alla borghesia ed ai partitiavversi alla dittatura proletaria ogni mez-zo di agitazione e di propaganda politica econ la organizzazione armata del proleta-riato per respingere gli attacchi interni edesterni.

6. Solo la forza dello Stato proletariopotrà sistematicamente attuare tutte le suc-cessive misure di intervento nei rapportidell’economia sociale, con le quali si effet-tuerà la sostituzioneal sistema capitalisticodella gestione collettiva della produzione edella distribuzione.

7. Per effetto di questa trasformazioneeconomica e delle conseguenti trasforma-zioni di tutte le attività della vita sociale,

andrà eliminandosi la necessità dello Statopolitico, il cui ingranaggio si ridurrà pro-gressivamente a quello della razionaleamministrazione delle attività umane.

* * * * *

La posizione del partito dinanzi allasituazione del mondo capitalistico e delmovimento operaio dopo la seconda guerramondiale si fonda sui punti seguenti.

8. Nel corso della prima metà del secoloventesimo il sistema sociale capitalistico èandato svolgendosi in campo economicocon l’introduzione dei sindacati padronalitra i datori di lavoro a fine monopolistico ei tentativi di controllare e dirigere la pro-duzioneegli scambi secondopiani centrali,fino alla gestione statale di interi settoridella produzione; in campo politico conl’aumento del potenziale di polizia e mili-tare dello Stato ed il totalitarismo digoverno. Tutti questi non sono tipi nuovi diorganizzazione sociale con carattere ditransizione fra capitalismo e socialismo,né tanto meno ritorni a regimi politici pre-borghesi: sono invece precise forme diancora più diretta ed esclusiva gestione delpotere e dello Stato da parte delle forze piùsviluppate del capitale.

Questo processo esclude le interpreta-zioni pacifiche evoluzioniste e progressivedel divenire del regime borghese e confer-

ma la previsione del concentramento edello schiramento antagonistico delle for-ze di classe. Perché possano rafforzarsi econcentrarsi con potenziale corrisponden-te le energie rivoluzionarie del proletariato,questo deve respingere come sua rivendi-cazione e mezzo di agitazione il ritorno alliberalismo democratico e la richiesta digaranzie legalitarie, e deve liquidare stori-camente il metodo delle alleanze a finitransitori del partito rivoluzionario di clas-se sia con partiti borghesi e di ceto medioche con partiti pseudo-operai a program-ma riformistico.

9. Le guerre imperialiste mondiali di-mostrano che la crisi di disgregazione delcapitalismo è inevitabile per il decisivoaprirsi del periodo in cui il suo espandersinon esalta più l’incremento delle forzeproduttive, ma ne condiziona l’accumula-zioneaduna distruzionealterna emaggiore.Queste guerre hanno arrecato crisi profon-dee ripetutenella organizzazionemondialedei lavoratori, avendo le classi dominantipotuto imporre ad essi la solidarietà nazio-nale e militare con l’uno o l’altroschieramento di guerra. La sola alternativastorica da opporre a questa situazione è ilriaccendersi della lotta interna di classefino alla guerra civile delle masse lavora-trici per rovesciare il potere di tutti gli Statiborghesi e delle coalizioni mondiali, con laricostituzione del partito comunista inter-nazionale come forza autonoma da tutti ipoteri politici e militari organizzati.

10. Lo Stato proletario, in quanto il suoapparato è un mezzo e un’arma di lotta inun periodo storico di trapasso, non trae lasua forza organizzativa da canoni costitu-zionali e da schemi rappresentativi. Lamassima esplicazione storica del suoorganamento è stata finora quella dei Con-siglidei lavoratori apparsanella rivoluzionerussa dell’Ottobre 1917, nel periodo dellaorganizzazione armata della clsse operaiasotto la guida del partito bolscevico, dellaconquista totalitaria del potere, della di-spersione dell’assemblea costituente, dellalotta per ributtare gli attacchi esterni deigoverni borghesi e per schiacciare all’in-terno la ribellione delle classi abbattute,dei ceti medi e piccolo borghesi e dei partitidell’opportunismo, immancabili alleatidella controrivoluzione nelle fasi decisive.

11. La difesa del regime proletario daipericoli di degenerazione insiti nei possi-bili insuccessi e ripiegamenti dell’opera ditrasformazione economica e sociale, la cuiintegrale attuazione non è concepibile al-l’interno dei confini di un solo paese, puòessere assicurata solo da un continuo coor-dinamentodellapolitica delloStatooperaiocon la lotta unitaria internazionale delproletariato di ogni paese contro la propriaborghesia e il suo apparato statale e milita-re, lotta incessante in qualunque situazionedi pace o di guerra, e mediante il controllopolitico e programmatico del partito comu-nista mondiale sugli apparati dello Stato incui la classe operaia ha raggiunto il potere.

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L’offensiva ideologica erepressiva che lo Stato sta operando neiconfronti dei movimenti, attraverso i suoiorgani preposti, risponde in questa fase alprevistoedinevitabileattaccosuvasta scaladella borghesia contro il proletariato.

Lo scopo è quello di impedireogni sia pur minimo tentativo dicostituzione di organismi immediatiindipendenti, in grado di opporsirealmente alla politica antiproletariadel governo.

L’emergere sempre più acutodelle contraddizioni capitalistiche mettemaggiormente in risalto la naturareazionaria del governo D’Alema,perfettamente in linea con i governiprecedenti. E’ chiaro che sotto il profilotattico vengono presi di mira elementid’avanguardia allo scopo di tenere isolatelesoggettivitàdellaclasse,criminalizzandoi comunisti e con essi ogni movimentoantaagonista.

L’intervento“umanitario”nellaexJugoslavia, nel quale l’Italia è protagonistadi primo piano, altro non è che unaaggressione con tanto di occupazionemilitare da parte delle maggiori potenzeimperialiste in un’area di alto interessestrategico, dove gli obiettivi politico-economici vengono perseguiti con altrimezzi. Già da oggi si stanno definendo itermini dell’inasprirsi dello scontrointerimperialistico che culmineràinevitabilmente in una ennesima guerramondiale. Il prezzo che il proletariatosta pagando e continuerà a pagare èaltissimo!

In questa ottica, che rientra in unastrategia di carattere più generale, lacampagna di repressione e intimidazionedelle avanguardie di lotta è di naturapreventiva.

Il movimento di lottasviluppatosi nel napoletanorappresenta oggi, anche se solo inembrione, il risveglio del proletariato,e domani su vasta scala la ripresa dellalotta di classe.

Ma lo sviluppo ulteriore dellelotte passerà necessariamente per ladinamica-scontro tra due linee: quellaclassista e l’altra riformista/opportunista, ereditata dalla politicatricolore del sindacato e dai falsi partitioperai.

Finché la direzione delle lotte

Pubblichiamo il volantino distribuito dai compagni a Napolialla manifestazione del 25 giugno contro la repressionedei movimenti di lotta dei disoccupati

LA REPRESSIONENON CI DEVE FERMARE

non passerà alle avanguardie comunisteil movimento sarà destinato a continueoscillazioni con tendenze al riflusso;ma ciò non toglie, grazie alla forte spintaoggettiva che scaturisce dallecontraddizioni materiali e sociali, chequel riflusso venga periodicamentespezzato da improvvise impennate inavanti.

Bisogna sviluppare la simbiosi trale varie organizzazioni di lotta. La lotta diogni sigla deve essere quella di tutto ilmovimento verso l’unità e la dirigenza delpartito di classe del proletariato. Solo cosìè possibile rispondere efficacemente econ continuità nel tempo agli attacchi dellaborghesia alle condizioni di vita e di lavoroproletarie, alle intimidazioni e allarepressione.

Icomunisti non sonodegli “eletti”o degli “illuminati”, ma la parte più decisaed avanzata della classe. Essi devono tenerconto delle esigenze anche minime delproletariato, base per una più vastaaggregazione e per la trasformazionedell’obiettivo economico immediato inquello politico più generale.

Le assemblee proletarie, chesono un passaggio obbligato per la ripresadella lotta di classe, non devono esseresolo un momento di discussione e didibattito, o addirittura puramenteinformative, ma devono diventare sovranedelle decisioni collettive cui il direttivo,eletto liberamente e revocabile in qualsiasimomento, deve attenersi; devono diventaremomenti organizzativi della lottaindipendente di classe.

CONTRO LA REPRESSIONEE LA CRIMINALIZZAZIONE DELLELOTTE COSTRUIAMO ORGANISMIINDIPENDENTI DI CLASSE

PER LA SOLIDARIETA’ DICLASSE A TUTTI I PROLETARICOLPITI D A L L ADISOCCUPAZIONE E DALLAREPRESSIONE

LAVORO O SALARIO DIDISOCCUPAZIONE

Partito comunista internazionale(ilcomunista) - Napoli,21.6.99

INSOSTEGNODELLA NOSTRASTAMPA

(continua dal n. 60-61)Pisa: Franco 10.000; Roma: Barbara 20.000; Ghiare di Berceto: Fausto

15.000; San Donà: i compagni 100.000 + 100.000, 450.000, Corrado 20.000;Venezia: Giuseppe T. 7.000; Milano: AD 250.000, giornali 14.500 + 13.900, RR100.000; Caserta: Domenico 30.000; San Fele: Antonio 61.000; Napoli: allariunione pubblica, sottoscrizione 60.000, giornali e testi 22.000, contributi per lariunione 120.000 + 98.500 + 64.000 + 30.400; Modica: Giampiero 12.000;Trieste: Vincenzo 20.000; San Donà: i compagni 100.000 + giornali 18.000;Milano: AD 250.000, giornali 23.500, RR 180.000, sottoscrizioni 13.600,19.600, 17.000; Genova: Luglio, giornali e testi 77.000, Agosto, giornali e testi74.000, Settembre, giornali e testi 83.000; Matera: Vito 12.000; San Donà: icompagni 900.000 + 200.000, sottoscriz. 100.000; Milano: i compagni 137.200,giornali 13.000, posta 65.600, sottoscrizioni 1.000, 6.000, 9.000, 8.000; Pisa:Franco 40.000, Renato 50.000; Mantova: Luciano 12.000; Treviso: Tullio25.000; San Martino Valle Caudina: Giuseppe 25.000; Carrara: Paolo 12.000;Caserta: Domenico 12.000; San Sperate: Paolo 50.000; Genova: Ottobregiornali e testi 123.000, Novembre giornali e testi 98.000; Reggio E.: Claudio12.000; Trieste: Vincenzo 15.000; Torre Pellice: Renato 225.000 + 20.000;Brescia: Keith 12.000; Cesena: Eugenio 100.000; Benevento: Antonio 20.000;Ravenna : Saturnino 300.000; San Giorgio di Nogaro: CDM 12.000; Basaldella:Graziano 42.000; Ariano Irp.: Antonio 12.000; Schio: Luciano 25.000; ChiusaPesio: Secondo 12.000; San Fele: Antonio 12.000; San Donà: i compagni, constrillonaggio e sottoscrizioni 500.000 + 100.000; Pozzuoli: Giuseppe 12.000;Firenze: Sergio 25.000; Torino: Aldo 12.000; Milano: spese non trattenute8.000, 12.000, 42.000, 36.000, 6.300, 5.000, 5.000, 5.000, AD 250.000, RR150.000, giornali 22.500, alla riunione int. 137.000 + 11.000, Pino 65.000;Genova: Dicembre-Gennaio giornali 104.000, testi 33.000, Febbraio-Marzogiornali 139.000, testi 29.000, Aprile giornali 132.000, testi 35.000; San Donà:i compagni 100.000 + 100.000; Trana: Elena 155.000; Settimo T.se: Franco12.000; Milano: giornali 22.400, AD 200.000, RR 100.000; Trieste: Vincenzo15.000; Cologne: Giovanni 12.000; San Donà: i compagni 200.000 + 500.000;Torino: Giovanni G. 12.000, Giovanni C. 12.000; Napoli: Massimo DR 25.000;Bolzano: Marco 100.000; Mori: Gianna 300.000; Benevento: Giovanni T.20.000; Milano: Vincenzo S. 25.000, spese non trattenute 128.000, 90.000,38.500, AD 200.000 + 200.000, RR 186.000; Cesena: Gegè 50.000; Roma:Alfredo L. 15.000; Ghiare di B.: Fausto 12.000; Milano: alla riunione 137.200+ 10.000 + 5.000 + 15.000, AD 200.000, Gastone 15.000, giornali 22.000;Imperia: Ornello 30.000; Moncalieri: Paolo G. 25.000; San Donà: i compagni100.000.

in cui anche l’elezionismo, come ogni altrometodo democratico borghese, mostratutto il suo profondo logorio.

Subito dopo i risultati elettoralida più parti si sono alzate voci di sostegnoperchè sia lei, la “pasionaria” degli “aiutiumanitari”, ad essere il commissario ONUper il Kosovo. Finiti gli attacchi dal cielo,a terra c’èbisognochequalchepersonaggiocarismatico rappresenti la parte“umanitaria” del militarismo occidentale,per controbilanciare la sua parte orrendacheha aggravatodi gran lunga lecondizionidi fame, di morte, di disperazione che giàavevano colpito le popolazioni kosovarealbanesi. Perchè allora non tirar fuori dinuovo la bella faccia pulita della Bonino, omagari di qualche altro personaggio con lestesse caratteristiche, come il gran capo di

“medecins sans frontières”? Ieri servivanocome giustificazione “umanitaria” deibombardamenti, oggi possono servirecome giustificazione “umanitaria”dell’occupazione militare della regionemartoriata: al servizio di Sua Maestà ilCapitale, ovviamente, come rappresentantidi quelle frazioni borghesi chesi incaricanodi far ingoiare ai profughi, e ai proletari inparticolare, le ragioni e gli interessi degliimperialisti.

Sepoicivolevaunadimostrazioneinpiù dellospirito“umanitario”dei radicaliitaliani, ci hanno pensato la Bonino e ilPannella i quali, incassato il premioelettorale alle europee si sono offerti “insoccorso” a destra e a manca,indifferentemente, pur di incassare unriconoscimento politico più importante.Ma i miliardi spesi in campagna elettorale,da dove sono usciti? Alcuni giornali

parlano di 24 miliardi spesi in spottelevisivi, inserzioni pubblicitarie sui piùgrandi giornali, manifesti ecc. Pare ancheche i radicali abbiano spedito 40 milioni dilettere di propaganda agli elettoristringendoli in una morsa propagandistica:se non venivano colpiti dagli spot losarebbero stati da una lettera personale!Oltre ad impegnare i 10 miliardi ricavatidalla vendita di Radio radicale 2, i radicaliavrebbero impegnato in anticipo ilrimborso elettorale che lo Statodistribuisce a tutti i partiti che superanouna determinata percentuale nellevotazioni. Insomma, se non avesserosuperato il 3%, Bonino Pannella ecompagnia se la sarebbero vista brutta sulpiano dei debiti; ma, assunto il rischio cheogni impresa aziendale si assume quandodecide di aggredire un mercato che è già inmano a molti concorrenti, i signori radicalistavolta,nella lorospeculazionenella borsaelettorale, hannofattocentro. Chepoi sianoanche quelli che si sono inventati per primiun referendum per eliminare ilfinanziamento pubblico ai partiti, pocoimporta, ovviamente; il finanziamentopubblico è servito per guadagnare allagrande nel mercato dei voti: cosa c’è dimeglio? L’obiettivo era di vincere alleelezioni, no?, ed acquisire un pesoconsistente nei giochi parlamentari in cuitutti cercano sempre uno scambio divantaggi. Se l’obiettivo è stato raggiuntocon mezzi non “radicali”, pazienza,l’importante era raggiungerlo! Come inKosovo: i radicali hanno sempre preferitoi mezzi pacifici per risolvere situazioniconflittuali, ma se per sloggiare i militariserbi dal Kosovo ci sono voluti ibombardamenti Nato, pazienza,l’importante era sloggiarli!

Certo che sloggiare i radicali coiloro compari di sinistra e di destra dalloscenario politico italiano ci vuole ben altroche una tornata elettorale: con le elezionidemocratiche vinceranno sempre iborghesi, di volta in volta vestiti dademocratici di sinistra o di detra, da laici oda cattolici, da riformisti e radicali o daconservatori. I proletari, anche solo percominciare a cambiare qualche cosa aproprio favore sul piano delle condizionidi vita e di lavoro dovranno marciare nonverso le urne elettorali, ma verso la ripresadella lotta classista affrontando a visoaperto i nemici di classe. Nemici che nonsono soltanto i “fascisti”, i destri allaBerlusconi o alla Fini, i democristiani divaria colorazione o i leghisti, ma anche l’interminabile serie di riformisti di sinistraa partire dai residuati del socialismonenniano e craxiano (da cui provengono iradicali pannelliani) ai rifondarolibertinottiani di varia estrazione (dagli exstalinisti agli ex trotskisti, ex avanguardiaoperaia, ex internazionalisti): i nemici delproletariato non mancano davvero mai; sepoi ci mettiamo nel cesto le varie bande disindacalisti tricolore, abbiamo fatto ilpieno del marciume democratico che dadecenni soffoca il proletariato.

Emma Bonino, prefetto in Kossovoo in quale altra parte del mondo?

(da pag. 9)