IL JIHADISMO NEI BALCANI: I NUOVI FOCOLAI BOSNIACI · afghana contro i sovietici. Shaban utilizzò...

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©ISPI2014 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. AnalysisNo.264, luglio 2014 IL JIHADISMO NEI BALCANI: I NUOVI FOCOLAI BOSNIACI Giovanni Giacalone Negli anni ’90, in seguito al crollo del blocco sovietico, i Balcani divennero teatro di sanguinose guerre civili, come in Bosnia (1992-1995) e in Kosovo (1996-1999). Il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche dell’ex Federazione di Jugoslavia, l’odio etnico latente, influenti motivazioni economiche, interessi e ambizioni personali di leader politici furono tutti elementi che contribuirono a porre fine, in modo drammatico, all'esperienza della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. La Bosnia, dilaniata dalla guerra, divenne terra di infiltrazione per gruppi di mujahideen, supportati e finanziati dall’estero, principalmente dall’Arabia Saudita e giunti sul posto con l’obiettivo di diffondere il wahabismo, sfruttando il bisogno che le popolazioni bosniache di fede musulmana avevano nel combattere serbi e croati. Giovanni Giacalone, GMA Islamic Studies, sociologo AIS sezione religione, ricercatore presso la European Foundation for Democracy

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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.

Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.

AnalysisNo.264, luglio 2014

IL JIHADISMO NEI BALCANI: I NUOVI FOCOLAI BOSNIACI

Giovanni Giacalone

Negli anni ’90, in seguito al crollo del blocco sovietico, i Balcani divennero teatro di sanguinose guerre civili, come in

Bosnia (1992-1995) e in Kosovo (1996-1999). Il nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche dell’ex Federazione

di Jugoslavia, l’odio etnico latente, influenti motivazioni economiche, interessi e ambizioni personali di leader politici

furono tutti elementi che contribuirono a porre fine, in modo drammatico, all'esperienza della Repubblica Socialista

Federale di Jugoslavia.

La Bosnia, dilaniata dalla guerra, divenne terra di infiltrazione per gruppi di mujahideen, supportati e finanziati

dall’estero, principalmente dall’Arabia Saudita e giunti sul posto con l’obiettivo di diffondere il wahabismo, sfruttando

il bisogno che le popolazioni bosniache di fede musulmana avevano nel combattere serbi e croati.

Giovanni Giacalone, GMA Islamic Studies, sociologo AIS sezione religione, ricercatore presso la European

Foundation for Democracy

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In seguito agli accordi di Dayton del 21 novembre 1995, che posero fine al

conflitto nei Balcani, la maggior parte dei combattenti stranieri lasciarono

la Bosnia per spostarsi sul fronte ceceno, iracheno e afghano, ma diverse

centinaia di loro decisero invece di rimanere nel paese.

In seguito a matrimoni con donne locali e grazie al contributo alla nazione,

il governo bosniaco concesse loro la cittadinanza, su approvazione dello

stesso leader Alija Izetbegovic. Fu così che, con il tempo, i mujahideen

iniziarono a formare delle vere e proprie comunità all’interno della Bosnia

e vennero raggiunti da altri seguaci, molti dei quali giovani musulmani

bosniaci, che avevano aderito all’islam salafita.

Il fenomeno non risparmiò neanche Kosovo, Macedonia e Sangiaccato

serbo; tutte zone nelle quali, negli ultimi 10 anni, si è registrato un

incremento degli episodi di intolleranza, non soltanto nei confronti dei

non-musulmani, ma anche nei confronti dell’Islam tradizionale balcanico,

considerato dai wahabiti troppo laico e in alcuni casi “fuorviante” a causa

di pratiche sufi da loro ferocemente avversate, come nel caso della

confraternita dei Bektashi in Macedonia, vittima di ripetuti attacchi da

parte degli islamisti radicali.

È indubbio che due aspetti sono risultati fondamentali per l’espansione

del Wahabismo nei Balcani, quello dottrinario-propagandistico da una

parte e quello finanziario dall’altra. Predicatori radicali come Jusuf Barcic,

Nusret Imamovic, Bilal Bosnic, Bakir Halimi, Muhamed Fadil Porca sono

diventati fonte di ispirazione per molti musulmani balcanici, sia in loco

che all’estero.

Centrale è stato inoltre il ruolo di varie organizzazioni caritatevoli e ONG

come la Al Haramain Islamic Foundation, la International Islamic Relief

Organization, la World Assembly of Muslim Youth, la Third World Relief

Agency (TWRA) e diverse altre, con ingenti flussi di denaro provenienti

dai paesi del Golfo.1234

Finanziatori e promulgatori del wahabismo hanno saputo sfruttare bene il

disagio socio-economico giovanile nell’area balcanica, dove speranze e

aspettative per le nuove generazioni del periodo post-guerra sono ancora

oggi ai minimi termini a causa dell’inflazione e dell’alto tasso di

disoccupazione.

Dunque l’islam salafita ha saputo riaccendere le speranze in molti giovani

che hanno così trovato una nuova ragione di vita, la “religione”.

1http://www.balkanpeace.org/index.php?index=/content/analysis/a15.incl

2http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?id=53104&lng=en

3 A. PANOVSKI, “The spread of Islamic extremism in the Republic of Mecedonia”,

Monterey, Naval Postgraduate School, 2011.

4http://serbianna.com/blogs/michaletos/archives/172

I mujahideen iniziarono a

formare delle vere e

proprie comunità

all’interno della Bosnia e

vennero raggiunti da altri

seguaci, molti dei quali

giovani musulmani

bosniaci, che avevano

aderito all’islam salafita

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Un’ ideologia totalizzante che impone la Sharia e contrappone la “ummah”

(comunità) globale fondata sul puro Tahwid (monoteismo) a qualunque

altro tipo di ideologia, denunciando la corruzione delle istituzioni e

opponendosi a qualsiasi forma di pensiero o pratica ritenuta anti-islamica,

a prescindere che giunga da contesti laici, cristiani o musulmani.

Purtroppo gli effetti collaterali di tale fenomeno non sono tardati ad

arrivare; dai primi pericolosi segnali degli anni ’90 con l’attentato alla

caserma della polizia di Pola nel 1995 e le perlustrazioni all’ambasciata

americana di Tirana nel 1998, fino agli odierni e ripetuti assalti a

comunità islamiche non wahabite;dagli attentati di Sarajevo e di

Francoforte del 2011 alle recenti partenze di jihadisti per la Siria; tutti

elementi chehanno dimostrato come il problema del radicalismo islamico

nei Balcani meriti la massima attenzione.

Oggi in Bosnia vige una distinzione tra una componente maggioritaria

composta dai “vecchi” musulmani tradizionali, eredi della tradizione

turco-balcanica, che tentano di preservare il proprio patrimonio

tradizionale, multiforme, che incorpora peculiarità dell’islam sufi e turco

con abitudini locali e i “nuovi” musulmani, al momento ancora minoritari,

influenzati dall’ideologia radicale, che aspirano ad imporre le dottrine

salafite e wahabite nel paese.

I mujahideen in Bosnia

Come precedentemente illustrato, durante la guerra in Bosnia dei primi

anni ’90 ci fu un vero e proprio flusso di mujahideen che si recarono nel

paese balcanico per andare a combattere a fianco dei musulmani bosniaci,

installandosi principalmente nelle città di Mostar, Sarajevo, Zenica e

Zepce e dando vita a deiveri e propri battaglioni come l’unità “El-Mujahed”,

che venne inglobata nel 3° corpo dell’esercito bosniaco. Secondo un

rapporto dell’International Crisis Group il numero dei mujahideen che

hanno combattuto in Bosnia prima del 1995 sarebbero tra i 2000 e i 50005.

Uno dei principali centri di supporto per i mujahideen era Milano, da dove

operava il ben noto Anwar Shaban (Abu Abderrahman al-Masri), ex imam

del Centro Culturale Islamico di viale Jenner e veterano della guerra

afghana contro i sovietici. Shaban utilizzò il Centro di viale Jenner come

base per il reclutamento di combattenti da mandare in Bosnia nell’unità

“El-Mujahed”, come luogo per la preparazione di documenti falsi e come

centrale di comunicazione con i militanti oltre Adriatico.

Nel giugno del 1995 con l’operazione “Sfinge” la polizia italiana arrestò

numerosi elementi legati alla cellula jihadista; AnwarShaban riuscì però a

fuggire in Bosnia dove venne ucciso, insieme ad altri tre militanti, il 14

5 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail//?id=92320&lng=en.

Durante la guerra in

Bosnia dei primi anni ’90 ci

fu un vero e proprio flusso

di mujahideen che si

recarono nel paese

balcanico per andare a

combattere a fianco dei

musulmani bosniaci,

installandosi

principalmente nelle città

di Mostar, Sarajevo, Zenica

e Zepce e dando vita a

deiveri e propri battaglioni

come l’unità “El-Mujahed”,

che venne inglobata nel 3°

corpo dell’esercito bosniaco

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dicembre 1995, in uno scontro a fuoco con l’HVO croato nei pressi di

Zepce6.

Altro personaggio che combatté in Bosnia negli “El-Mujahed” e ottenne la

cittadinanza bosniaca nel 1995 è il pakistano Khalid Sheikh Muhammad,

attualmente detenuto nel carcere di Guantanamo con l’accusa di essere

uno dei principali organizzatori dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11

settembre 2001, dell’attentato di Bali del 2002 e di numerosi altri.

In seguito agli accordi di Dayton del novembre 1995, che posero fine alle

ostilità, gran parte dei combattenti arabi vennero fatti uscire dal paese su

pressioni statunitensi, mentre altri riuscirono a ottenere la cittadinanza,

sposando donne bosniache e in seguito al loro contributo come volontari.

Grazie a ingenti finanziamenti ottenuti da benefattori del Golfo, furono in

grado di costruire centri religiosi in diverse zone della Bosnia, con

l’obiettivo di promuovere l’Islam radicale.

A vent’anni dalla fine della guerra, la Bosnia resta uno dei paesi più poveri

d’Europa, con istituzioni deboli, frammentate e con tensioni tutt’ora

presenti, dovute a divisioni etniche e religiose.

La situazione economica e lavorativa è drammatica, con una

disoccupazione che nell’aprile 2014 risultava del 44,09%7. In tali

condizioni è estremamente semplice per predicatori radicali far presa sui

giovani con una propaganda che bersaglia l’ideale di “democrazia”, per

contrapporlo a un utopico stato fondato sulla Sharia, presentata come

soluzione di tutti i mali.

Come illustrato da Vlado Azinovic, esperto di sicurezza nei Balcani e

autore del libro “al-Qaeda’s presence in Bosnia-Herzegovina”, un paese

con istituzioni assenti, in preda a una forte crisi politica, dove vige un

indebolimento dei valori morali, diventa terreno fertile per la propaganda

degli imam radicali e purtroppo i fatti dimostrano che è esattamente ciò

che sta accadendo.8

Imam radicali tra Bosnia e Austria

La prima comunità salafita in Bosnia venne fondata dall’imam bosniaco

Jusuf Barcic nel villaggio di Bocinje, ed era principalmente composta da

arabi ex combattenti dell’unità “El-Mujahed”9.

6 Rapporto su testimonianza Luka Babic, 04-10-2007

7 http://www.tradingeconomics.com/bosnia-and-herzegovina/unemployment-rate

8 http://www.rferl.org/content/bosnia-islamists/24916517.html

9 Jusuf Barcic, imam autoproclamato, iniziò a predicare in Bosnia dopo essere rientrato

dall’Arabia Saudita nel 1999, dove studiò teologia. Divenne noto nel febbraio 2007 per

aver tentato, assieme ad alcuni seguaci, di occupare la moschea Careva di Sarajevo. Ci

furono violenti scontri con i fedeli presenti in moschea, contrari alla visione di Barcic e

A vent’anni dalla fine della

guerra, la Bosnia resta uno

dei paesi più poveri

d’Europa, con istituzioni

deboli, frammentate e con

tensioni tutt’ora presenti,

dovute a divisioni etniche e

religiose

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Barcic si rifiutava di riconoscere leggi e istituzioni bosniache e creò una

vera e propria società parallela fondata sulla sharia. Secondo

l'establishment religioso bosniaco ufficiale, l'attività di Barcic veniva

finanziata da Muhamed Fadil Porca, un religioso bosniaco e capo della

moschea di Al-Tawhid, con sede a Vienna, col quale aveva studiato in

Arabia Saudita. In seguito alla morte di Barcic nel 2007, la leadership

passò in mano a NusretImamovic10.

In alcune zone della Bosnia-Erzegovina come a Bihac, Teslic, Zepce,

Zenicae Gornja Maoca sono ormai presenti delle vere e proprie “sacche”

wahabite dove si seguono alla lettera gli insegnamenti di Abu Muhammad

al-Maqdisi, predicatore giordano-palestinese ben noto per le sue posizioni

radicali. Nelle zone vivono centinaia di famiglie che non si mescolano con i

“miscredenti” e dove l’accesso è precluso a visitatori e giornalisti, anche in

modo violento, come dimostrano gli attacchi a due generali della Nato che

si sono inoltrati nel paese per errore e un impiegato di un’organizzazione

umanitaria, aggredito con un ascia. Molti bambini non seguono inoltre

lezioni nelle scuole pubbliche ma piuttosto nelle scuole coraniche locali.

Non riconoscendosi nella Islamiska Zaidenica, la principale

organizzazione islamica di Bosnia, i wahabiti vivono secondo le leggi

sharaitiche, senza telefoni o televisioni e seguendo i sermoni di imam

radicali come BilalBosnic e NusretImamovic, entrambi molto attivi anche

su internet con siti e canali YouTube come www.putvjernika.com (Il

cammino dei Credenti), www.studiotewhid.it.gg e www.sahwa.info,

nonché il canale Muzdaxx, che raccoglie numerosissimi filmati di Bosnic11.

Bilal Bosnic è ben noto nell’area di Gornja Maoca per i suoi sermoni nei

quali fa affermazioni del tipo: «tutto ciò che va da Prijedor al Sangiaccato

appartiene ai musulman...Un giorno anche il Vaticano sarà musulmano».

In un altro sermone il predicatore salafita ha incitato i suoi seguaci ad

«amare tutti coloro che amano Allah e odiare tutti coloro che odiano Allah;

fu necessario l’intervento delle forze di polizia bosniache. Nel 2001 un tribunale

bosniaco lo condannò a sette mesi di reclusione per violenza domestica nei confronti

della moglie. Barcic morì il 30 marzo 2007 in un incidente automobilistico. Al suo

funerale presenziarono circa tremila salafiti provenienti da Bosnia, Slovenia,

Sangiaccato serbo,Germania e Austria.

http://www.isn.ethz.ch/layout/set/print/content/view/full/73?id=53104&lng=en

http://www.wavemagazine.net/arhiva/06/soc/vehabije.htm

http://strategicanalysis.wordpress.com/2007/page/32/

10 Come documentato ampiamente in: A. CERESNJES - R. GREEN, “The Global Jihad

Movement in Bosnia. A time bomb in the heart of Europe”, Memri, 2012 e dal rapporto

del Parlamento Europeo, Direttorato Generale per le Politiche Estere dell’Unione:

“SalafistWahhabbitesupport to educational, social and religiousinstitutions” del 2013:

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/etudes/join/2013/457136/EXPO-AFET_

ET(2013)457136_EN.pdf

11 http://www.youtube.com/user/mudzaxx

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odiare gli infedeli, anche se sono nostri vicini o vivono nelle nostre case». 121314

Nel luglio del 2011 venne inoltre pubblicato in rete un video, ripreso anche

dal Memri, nel quale si vede Bosnic mentre canta: «con l’esplosivo sul

nostro petto prepariamo la nostra strada verso il paradiso… La splendida

jihad si è innalzata sulla Bosnia… Se Allah vuole l’America sarà distrutta

dalle sue fondamenta».15

Bosnic è ben noto anche per i suoi tour che attirano numerosi seguaci in

Austria, Germania, Svizzera, Olanda, Belgio e anche in Italia dove è stato

ospite di alcune comunità islamiche tra cui a Pordenone e Cremona, con

tanto di video pubblicati dai suoi seguaci su YouTube.

Secondo alcuni rapporti il villaggio di Gornja Maoca è da anni luogo di

transito per jihadisti stranieri in viaggio per lo Yemen, l’Iraq e la Siria e il

nome di Bosnic è più volte comparso in relazione alle attività di trasporto

dei guerriglieri16.

C’è poi Nusret Imamovic, classe 1971 e successore di Jusuf Barcic,

bosniaco naturalizzato austriaco, veterano della guerra di Bosnia ed ex

imam della moschea King Fahd di Sarajevo,il quale fa spola tra Vienna e

Gornja Maoca. Imamovic divenne meglio conosciuto al grande pubblico

bosniaco quando, assieme ad altri sei salafiti, tre dei quali cittadini

austriaci, aggredì il serbo-bosniaco Mihajlo Kisic a Brcko, nel 2006. Dopo

un breve processo, i sette vennero condannati a pene simboliche in libertà

vigilata e alcuni di loro ritornarono a Vienna17.

Altro elemento di spicco del radicalismo bosniaco è il già citato Muhamed

Fadil Porca, residente in Austria, imam del centro islamico Tewhid di

Vienna, nella quale è più volte stata segnalata la presenza dello stesso

Imamovic. Secondo alcuni funzionari della Comunità islamica di Bosnia,

Porca sarebbe tra gli organizzatori di viaggi in Bosnia per i musulmani

radicali provenienti da Germania e Austria18.

12 http://acdemocracy.org/the-ideology-of-militant-islamism-in-southeastern-europe/

#_edn20

13 http://www.memrijttm.org/bosnian-salafi-preacher-bilal-bosni-sings-songs-of-jihad-

with-explosives-on-our-chests-we-pave-the-way-to-paradise.html

14 R. ISRAELI, From Arab Spring to Islamic Winter, New Brunswick, Transaction,

2013, p.222

15 http://rogersparkbench.blogspot.it/2012/06/with-explosives-on-our-chests-we-pave.

html

16 http://www.memri.org/report/en/print6471.htm

17 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?lng=en&id=98336

18 http://www.jamestown.org/programs/tm/single/?tx_ttnews%5Btt_news%5D=4532

&tx_ttnews%5BbackPid%5D=182&no_cache=1#.U6kXkfl_ukE

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Secondo documentazioni del governo austriaco, Asim Cjvanovic, il

quarantunenne bosniaco che nell’ottobre del 2007 cercò d’infiltrarsi

all’interno dell’ambasciata statunitense di Vienna con uno zaino imbottito

di esplosivo, al momento dell’arresto aveva con sé un testo, “Namaz u

Islamu” pubblicato proprio dal centro islamico Tewhid di Fadil Porca192021.

La presenza in Austria di predicatori e seguaci salafiti di origine bosniaca

non è un caso visto che Vienna, assieme a Milano, negli anni ’90 fu un

importante centro logistico e finanziario per il governo bosniaco ed ospitò

diverse agenzie umanitarie islamiche che raccolsero fondi utilizzati per

armare l'esercito bosniaco e per organizzare il trasferimento di

combattenti stranieri in Bosnia. Inoltre, secondo fonti istituzionali

bosniache, centinaia di combattenti ottennero la cittadinanza bosniaca

proprio tramite l’ambasciata di Vienna.

Per quanto riguarda i finanziamenti, società di spicco fu la Third World

Relief Agency (TWRA), con sede a Vienna e fondata nel 1987 dal sudanese

Al-Fatih Ali Hassanein, considerato dagli inquirenti molto vicino all’ex

presidente bosniaco Aliat Izetbegovic.

Tra il 1992 e il 1995 circa 350 milioni di dollari in donazioni, provenienti

principalmente da paesi islamici, passarono nelle casse della TWRA; la

metà di questi fondi vennero utilizzati per finanziare il governo bosniaco.

Nel 1996, due anni dopo che Ali Hassanein aveva lasciato l’Austria per

trasferirsi in Turchia, la polizia austriaca fece irruzione negli uffici della

TWRA. Le successive indagini dimostrarono aveva origine da donazioni

provenienti dall’Arabia Saudita2223.

Mujahideen e attentati in Europa

Mettendo da parte, per motivi di spazio, i numerosi attacchi interni al

territorio balcanico, che hanno preso di mira comunità sufi, musulmani

“moderati” e cristiani, è possibile notare come la Bosnia è più volte stata

definita come “centro di addestramento” per jihadisti stranieri che hanno

poi pianificato attentati contro obiettivi internazionali.

Il 20 ottobre 1995 una Fiat 131 Mirafiori imbottita con 70kg di esplosivo

Tnt venne fatta detonare da un attentatore-suicida fuori della stazione di

Polizia Primorje-Gorani, a Rijeka. Nell’esplosione vennero gravemente

19 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail//?id=53864&lng=en

20 http://www.parlament.gv.at/PAKT/VHG/XXIV/J/J_11447/fnameorig_250761.html

21 Il testo può essere visualizzato al link:

https://archive.org/stream/NamazUIslamu-OdAbdestaDoZikra-dzemat-sabah#page/n1

/mode/2up

22 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail//?id=53864&lng=en

23 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?id=53104&lng=en

La presenza in Austria di

predicatori e seguaci

salafiti di origine bosniaca

non è un caso visto che

Vienna, assieme a Milano,

negli anni ’90 fu un

importante centro logistico

e finanziario per il governo

bosniaco ed ospitò diverse

agenzie umanitarie

islamiche che raccolsero

fondi utilizzati per armare

l'esercito bosniaco e per

organizzare il

trasferimento di

combattenti stranieri in

Bosnia

Mettendo da parte, per

motivi di spazio, i

numerosi attacchi interni

al territorio balcanico, che

hanno preso di mira

comunità sufi, musulmani

“moderati” e cristiani, è

possibile notare come la

Bosnia è più volte stata

definita come “centro di

addestramento” per

jihadisti stranieri che

hanno poi pianificato

attentati contro obiettivi

internazionali

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ferite due persone e in misura lieve altre ventisette.

L’attentato venne rivendicato pochi giorni dopo dalla Gamaa al-Islamiya

egiziana, in risposta all’arresto da parte della polizia croata di un loro

leader, Abu Talalal-Qasimy, catturato mentre cercava di infiltrarsi in

Bosnia, probabilmente per raggiungere l’unità “El-Mujahed”.

Sulla scena dell’esplosione gli inquirenti croati ritrovarono frammenti di

un passaporto canadese che aiutarono a risalire all’identità

dell’attentatore, precedentemente finito sotto indagine in Italia per

rapporti con Anwar Shaban, l’ex imam del Centro milanese di viale Jenner.

Secondo l’intelligence americana fu proprio Shaban a coordinare

l’attentato di Rijeka; un rapporto degli investigatori francesi confermò

inoltre che la leadership dell’unità “El-Mujahed” era strettamente legata

alla Gamaa al-Islamiya.

Ulteriori indagini della polizia croata portarono all’identificazione di

Hassan al-Sharif Mahmud Saad, come soggetto presente sulla scena poco

prima dell’esplosione, allontanatosi alla guida di una Mercedes.

Saad, segnalato anche lui in viale Jenner, sparì da Milano nel giugno 1995

assieme a tutta la famiglia alla volta di Zenica, dove si sarebbe unito al

battaglione “El-Mujahed”24252627.

Nel 1995 venne segnalata la presenza in Bosnia di due cittadini sauditi

che combattevano con i mujahideen, Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar

che faranno parte del commando di dirottatori del volo American Airlines

77 che, l’11 settembre 2011, si schiantò nei pressi del Pentagono28293031.

Nell’ottobre del 2005 la polizia bosniaca fece una retata in un

appartamento nei sobborghi di Sarajevo, trovando armi da fuoco, esplosivi

e materiale video; venne arrestato Mirsad Bektašević, cittadino svedese di

origine bosniaca, assieme ad altri due militanti: il danese di origine turca

Abdulkadir Cesur e il bosniaco Bajro Ikanovic . secondo gli investigatori il

gruppo stava pianificando un attentato all’ambasciata britannica di

Sarajevo32333435.

24 E. KOHLMAN, “The Afghan-Bosnian Mujahideen Network in Europe”, Swedish

National Defence College, http://www.aina.org/reports/tabmnie.pdf

25 http://www.apnewsarchive.com/1995/Car-Bomb-Explodes-in-Croatian-City-Driver-

Killed/id-fd267d6afc95d73f8fe035633ea14758

26 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail//?id=92320&lng=en

27 http://www.hercegbosna.org/dokumenti_upload/20091209/herceg_bosna200912091

748280.pdf

28 September 11th 2001 Commission Report, Chapter 5.2, pp. 153-159.

29 http://www.9-11commission.gov/report/911Report_Ch5.htm

30 https://www.princeton.edu/~achaney/tmve/wiki100k/docs/Nawaf_al-Hazmi.html

31 https://www.princeton.edu/~achaney/tmve/wiki100k/docs/Khalid_al-Mihdhar.html

32 http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2005/11/30/AR200511300

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Nel marzo del 2008 Rijad Rustempasic, Muhamed Meco, Abdulah Handzic

eEdis Velicvennero arrestati in Bosnia. La polizia sequestrò mine

anticarro, mirini laser, apparecchiature elettroniche, carte topografiche e

manuali di bombe. Secondo gli investigatori il gruppo, che era da tempo

sotto stretto monitoraggio, stava tramando attacchi alle chiese cattoliche e

le forze internazionali presenti in Bosnia durante la Pasqua cristiana. I

quattro vennero rilasciati tre mesi dopo, da un tribunale bosniaco, per

insufficienza di prove3637383940.

Il 2 marzo 2011 Arid Uka, albanese del Kosovo, aprì il fuoco contro alcuni

soldati americani all’aeroporto di Francoforte, uccidendone due e

ferendone altrettanti. Le indagini portarono alla luce che Uka aveva

ricevuto addestramento nell’enclave salafita bosniaca di Zenica,tra la fine

del 2010 e l’inizio del 2011414243.

Il 28 ottobre 2011 Mevlid Jasarevic, si presentò davanti all’ambasciata

statunitense di Sarajevo e sparò un centinaio di colpi di Kalashnikov verso

l’edificio prima di essere neutralizzato e arrestato dalle forze speciali

bosniache.

Jasarevic, originario di Novi Pazar, era già noto alle forze dell’ordine

austriache e serbe, aveva trascorso diverso tempo nell’enclave salafita di

Gornja Maoca444546.

Secondo alcune fonti serbe uno dei mandanti dell’attentato, sarebbe

l’egiziano Imad al-Misri, uno dei leader religiosi di importanza chiave

2098.html

33 http://www.thelocal.se/20070618/7639

34 http://www.internationalcrimesdatabase.org/Case/942/Bekta%C5%A1evi%C4%87

-et-al/

35 http://www.svd.se/nyheter/inrikes/mirsad-bektasevic-overford-till-sverige_3159935.

svd

36 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?lng=en&id=106554

37 http://www.globaljihad.net/view_page.asp?id=2071

38 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail//?ots591=4888CAA0-B3DB

-1461-98B9-E20E7B9C13D4&lng=en&id=52023

39 http://www.paginedidifesa.it/2008/punzo_080618.html

40 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail//?ots591=4888CAA0-B3DB

-1461-98B9-E20E7B9C13D4&lng=en&id=88472

41 http://www.faz.net/aktuell/politik/inland/anschlag-in-frankfurt-lebenslange-haft

-fuer-flughafenattentaeter-11644726.html

42 http://www.huffingtonpost.com/2012/02/10/arid-uka-frankfurt-sentenced_n_12677

70.html

43 http://www.mirror.co.uk/news/uk-news/arid-uka-admits-terror-outrage-114088

44 http://www.theguardian.com/world/2011/oct/28/us-embassy-bosnia-gunman

45 http://www.sarajevotimes.com/mevlid-jasarevic-is-sentenced-to-18-years-in-prison/

46 http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sarajevo-attentato-all

-ambasciata-USA-106272

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dell'unità “ElMujahid”. L’uomo ha già scontato una pena detentiva in

Egitto dal 2001 al 2009, dopo essere stato espulso dalla Bosnia su

pressione degli Stati Uniti. Una volta uscito dal carcere, el-Misri è

nuovamente apparso nei Balcani.

Tra il 1992 e il 1995, più di duemila jihadisti sono passati attraverso

l’addestramento religioso di quaranta giorni condotto da Imad el-Misri, un

prerequisito per l’ammissione nella brigata “El-Mujahid”. 474849

Jihadisti bosniaci in partenza per la Siria da Austria e Italia

Un altro problema che il governo bosniaco, come quelli di altri paesi

europei, si è recentemente trovato a dover fronteggiare è quello dei

jihadisti in partenza per la Siria, circa 150 secondo le ultime stime.

La Camera alta del Parlamento bosniaco ha così approvato una serie di

pene volte a poter condannare i cittadini del paese balcanico recatisi

all’estero a combattere a fianco degli estremisti islamici.

Attraverso alcune modifiche al codice penale, è stato inserito un articolo

diviso in sei commi che rende illegale “la formazione” e l’ “arruolamento in

unità paramilitari” destinate a essere impiegate fuori dai confini nazionali.

Codice che prevedrà in futuro condanne fino a 10 anni di reclusione50.

Carcere previsto anche per chi farà proselitismo per arruolare e

addestrare nuovi guerriglieri; per questi ultimi, le pene potranno arrivare

a dieci anni. Il testo è stato reso disponibile sul sito del Parlamento della

Bosnia-Erzegovina. 51

I jihadisti bosniaci non partono solo dalla Bosnia; lo scorso 10 aprile,

infatti, due ragazze minorenni austriache di origine bosniache, Samra

Kesinovic (16) e Sabina Selimovic (15) sono scomparse dalle loro abitazioni

di Vienna per ricomparire pochi giorni dopo in alcune foto su Facebook,

con fucile alla mano e con velo integrale nero; un’immagine che non può

non ricordare le ormai note “vedove nere” cecene che parteciparono

all’assalto al Teatro Dubrovka di Mosca nel 2002.

I genitori delle ragazze, che fuggirono dalla guerra di Bosnia negli anni ’90,

hanno dichiarato che Samra e Sabina avevano recentemente iniziato a

frequentare una moschea di Vienna dove predica Ebu Tejma, ben noto per

47 http://pressrs.ba/sr/vesti/vesti_dana/story/4200/Imad+al+Masri+pod+lupom+FBI.

html

48 http://www.bulgaria-italia.com/notizie-est/printer77fc.asp

49 Bosnia and Herzegovina Agency for Investigation and Documentation report

06/12/2001

50 http://www.reuters.com/article/2014/04/29/us-syria-crisis-bosnia-idUSBREA3S0

PN20140429

51 https://www.parlament.ba/default.aspx?langTag=bs-BA&pril=b

Un altro problema che il

governo bosniaco, come

quelli di altri paesi

europei, si è recentemente

trovato a dover

fronteggiare è quello dei

jihadisti in partenza per la

Siria, circa 150 secondo le

ultime stime

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le sue posizioni radicali e con tanto di blog e canale YouTube dal nome

Muhadzir5253.

Un altro caso è quello di Ismar Mesinovic, imbianchino di 36 anni,

originario della città bosniaca di Doboj in Bosnia, dopo aver vissuto in

alcuni comuni della Valbelluna, era arrivato a Longarone nel 2011 dove

viveva con la moglie e il figlio di due anni e mezzo.

La scorsa estate, in seguito alla separazione dalla moglie, Mesinovic si era

recato assieme al figlio prima in Germania e poi in Bosnia a trovare i

parenti, dopo di che non si è più saputo nulla fino alla notizia della sua

uccisione, rimbalzata sia su siti web bosniaci che sui social network con

tanto di foto del suo cadavere.

Non risulta ancora chiaro quale sia stato il motivo che ha portato alla

repentina partenza per la Siria di Mesinovic ma, secondo un’analisi delle

sue foto e dei post sui social network, gli analisti hanno rilevato come nel

2010 il ragazzo non portasse ancora la barba tipica salafita e come

apparisse in foto con la moglie senza velo.

Nel 2011 le cose sembrano cambiare, Ismar diventa più religioso, inizia a

frequentare assiduamente centri islamici della sua zona e a navigare sulla

rete, cosa che di per se non implica necessariamente l’inizio del suo

processo di radicalizzazione, ma che è comunque significativo.

All’inizio di giugno del 2013, a Pordenone,era stata segnalata la presenza

di Bilal Bosnic, con tanto di volantini in bosniaco che pubblicizzavano il

tutto; quel Bilal Bosnic che nei filmati diffusi sul web incita alla jihad e

che sarebbe un punto di riferimento per i militanti in transito verso il

Medio Oriente; non è da escludere che all’incontro fosse presente anche

Mesinovic54.

Alcune considerazioni conclusive

Lo sviluppo delle reti jihadiste in Bosnia potrebbe essere suddiviso in due

fasi separate ma strettamente correlate.

La prima, che potremmo definire “fase d’infiltrazione”, ha avuto inizio nei

primi anni ’90 in concomitanza con lo scoppio della guerra civile quando

numerosi mujahideen arabi, molti dei quali reduci dell’Afghanistan e

legati a gruppi radicali nei loro paesi d’origine, si introdussero in Bosnia

per combattere affianco dei musulmani locali. Si trattava di un’occasione

d’oro per i mujahideen che avevano finalmente l’occasione di penetrare e

52 http://muhadzir.wordpress.com/

53 https://www.youtube.com/user/Muhadzir1

54 http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/PORDENONE/pordenone_imbianchino_

terrorista_siria_reclutamento_jihad/notizie/515781.shtml

La “fase d’infiltrazione”, ha

avuto inizio nei primi

anni ’90 in concomitanza

con lo scoppio della guerra

civile quando numerosi

mujahideen arabi, molti

dei quali reduci

dell’Afghanistan e legati a

gruppi radicali nei loro

paesi d’origine, si

introdussero in Bosnia per

combattere affianco dei

musulmani locali

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agire attivamente in Europa diffondendo la loro visione radicale dell’islam,

con la speranza di trovare terreno fertile in un paese di tradizione

musulmana, seppur moderata, che in quel momento si trovava ad

affrontare un sanguinoso conflitto di matrice non prettamente religiosa

quanto piuttosto etnico-nazionalista.

La seconda fase, di sviluppo, ha avuto inizio in seguito agli accordi di

Dayton del 1995, quando alcune centinaia di mujahideen che avevano

combattuto nella guerra civile si insediarono in Bosnia, dando vita a

quelle “sacche” che sono poi diventate roccaforti dell’Islam radicale. È in

questi luoghi che predicatori radicali trovano terreno fertile per la

propaganda di stampo jihadista e molti seguaci disposti alla mobilitazione

violenta, come dimostrano i fatti analizzati; insomma, delle vere e proprie

basi del jihadismo in Europa.

Bisogna inoltre tener presente che tale pericolo è esteso ad altre zone dei

Balcani, visto che queste “enclaves” sono presenti non soltanto in Bosnia

ma anche in Macedonia, Kosovo e Sangiaccato serbo; tutti contesti

altrettanto pericolosi che meriterebbero di essere trattati.

Vi è poi il rischio di passare a una terza fase, quella del “ritorno” dei

jihadisti partiti per andare a combattere a fianco dei jihadisti in Siria.

Anche se è molto difficile avere stime attendibili, secondo gli esperti

sarebbero circa 450 i jihadisti balcanici presenti in Siria e intorno ai 150

quelli partiti dalla Bosnia nell’ultimo anno.

Le autorità bosniache sono ben consapevoli di ciò e del rischio che un loro

ritorno potrebbe comportare per la sicurezza interna del paese. Non è un

caso che nell’aprile 2014 il Parlamento bosniaco ha approvato una serie di

pene volte a poter condannare i cittadini del paese balcanico recatisi

all’estero a combattere a fianco degli estremisti islamici.

Mirsad Djugum, deputato del partito SBB, è stato molto chiaro durante la

presentazione dei provvedimenti in Parlamento55:

«Queste persone ritornano in Bosnia dopo un periodo all’estero e

intraprendono attività di propaganda, incoraggiando altri a commettere i

medesimi atti criminali»56.

Questa potenziale “terza fase” non è un pericolo soltanto per la Bosnia, ma

anche per il resto d’Europa, che si troverebbe a dover fronteggiare una

vera e propria minaccia interna. La Bosnia è considerata da alcuni

analisti un “anello debole” per quanto riguarda le misure preventive nei

55 SBB, Savez za boljubudućnostBosne i Hercegovine (Alleanza per un future migliore

Bosnia Herzegovina). Partito di centro-destra fondato nel settembre 2009 da

FahrudinRadoncic.

56 http://www.reuters.com/article/2014/04/29/us-syria-crisis-bosnia-idUSBREA3S0PN

20140429

La fase, di sviluppo, ha

avuto inizio in seguito agli

accordi di Dayton del 1995,

quando alcune centinaia di

mujahideen che avevano

combattuto nella guerra

civile si insediarono in

Bosnia, dando vita a quelle

“sacche” che sono poi

diventate roccaforti

dell’Islam radicale

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confronti dei cosiddetti “jihadisti di ritorno” e come illustrato anche dal

sopra citato Vlado Azimovic, un inasprimento del codice penale potrebbe

non essere sufficiente a contrastare il fenomeno57.

57Ibid