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2011 j k GENNAIO a cura di Guido Falgares

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2011j kG E N N A I O

a cura di Guido Falgares

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2011j kG E N N A I O

"Non potrei tradire

la mia origine,

rinnegare i principi

di tutta la mia vita.

Sono figlio della libertà,

è a lei che devo tutto

quello che sono"

29 dicembre 1860

CAMILLO BENSO,conte di Cavour

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IL GOURMET

Perchè, quando, chi, dove, come?

PERCHÉ il Gourmet? Perché aggiungere altra carta a quella che gior-nalmente è prodotta nel mondo dell’enogastronomia? In un momento,poi, in cui si pensa che il multimediale possa avere il sopravvento.Perché in giro c’è necessità di una rivista che, senza nessun pregiudi-zio, nessuna simpatia, racconti il nostro mondo con un linguaggiosemplice, senza paura di banalizzare, ma per allargare il numero degliamici facendoli accostare al mondo del cibo e del vino con nuovo entu-siasmo. E con arte.

QUANDO? Fare parte dell’Ueg è stato un motivo di orgoglio, realiz-zare un sogno bellissimo: coniugare cultura, vino e gastronomia.

Il cibo, il vino, intesi come espressioni artistiche e culturali digrande rilievo, possono, attraverso il nostro impegno, diventare veicolodi scambio, di conoscenza reciproca. Basti pensare al nostro desideriodi riunirci nelle diverse regioni d’Italia, per conoscerne il patrimoniostorico-artistico-culturale, indipendentemente se siamo al sud, al nordo chissà dove. Ed è come se dimenticassimo da dove veniamo, le nostreorigini, ma solo per fonderle con quelle di altri.

CHI ci sta all’impresa? Tutti e con entusiasmo. Quello stesso checi ha unito nella grande amicizia con il cibo, il vino e l’arte. Unacollaborazione senza preamboli, vera e leale. Oltre alla fantastica“pattuglia” di tutti i soci, importanti firme del giornalismo del vino,del cibo e della cultura collaboreranno a rendere il Gourmet, giornodopo giorno, unico nel suo genere. In modo del tutto indipendente. Ipadroni del giornale sono i suoi lettori, per parafrasare Montanelli.

EDITORIALE

Questi mesi della mia Presidenza sono passati ed è rimasto intattol’istinto di fermarsi e ripensare tutto, “perché così non va”. Ma non

ci si è fermati a un generico “no”. La nostra più forte motivazione èsempre stata quella di non risolverci nel rifiuto, ma di tradurre le ragionidi scontento in un lavoro strutturato e propositivo. Questo, almeno,l’obiettivo. Il rifiuto è più unificante della proposta. La proposta provocanecessariamente confronto e dialettica ma, soprattutto, implica untragitto per tentativi, dove sono probabili errori e ripensamenti.

Adesso un nuovo impegno. Con il tradizionale entusiasmo che è con me, compagnia garbatadi volontà e certezze. Sono state le grandi esperienze di comunicazione del vino e del cibo aportarmi fin qui. È il momento giusto per scrivere del vino e del cibo, nel miglior modo possi-bile. Come? Una regola del giornalismo inglese è quella delle “five dabliù”. Le cinque V doppie:why, when, who, where, what. Quasi un gioco che regola la costruzione di un articolo.

Potenza 2010XIV Gran Convegno“Brindisi di Montagna”

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IL GOURMET

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DOVE realizzeremo il Gourmet? Nei salotti privilegiati del vino, delcibo e dell’arte; partecipando a presentazioni, dibattiti, conferenze eseminari.

COME? Il Gourmet deve piacere, attrarre e conquistare; ma è, anche,pensato per rispondere alle necessità di un pubblico esigente, perquesto ospiterà molte proposte del cibo e del vino del mondo nelledescrizioni e nelle degustazioni. Comunicheremo anche le nostreemozioni, quelle ricevute dai vini, dai cibi dell’eccellenza, informan-dovi delle novità, frutto di una capillare ricerca.

E poi avremo i commenti e i suggerimenti sulla tecnica della degu-stazione e sui “matrimoni d’amore”.

Il Gourmet sarà una rivista con le istruzioni per fornirvi un utile stru-mento di conoscenza.

Il Gourmet sarà la quadratura del cerchio. E poi sarà bello. Riusciràa farsi conservare nel posto giusto della Vostra casa. Ed è per questoche potrai dargli del tu.

Con un grande abbraccioGuido

Caratterizzanno il nostro “Gourmet”:

il mio Editoriale,

i “Percorsi” di storia, di arte, di letteratura

le “Rubriche” di cibo, vino, birra, distillati, sigari e tanti abbinamenti.

Potenza 2010 - XIV Gran Convegno, i signori Nino Masella e Angelo Grando

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IL GOURMET

Salvatore Fonseca nasce il 2marzo 1912 a Venezia. L’espe-

rienza di Fonseca è internazionale,con particolare amore come quello,ben intuibile, per la pittura diChagall. Studiare la natura conocchio smaliziato, trasferire l’imma-gine nell’anima e caricarla diemozione, di un pizzico di umori-smo e tanta poesia. Lasciare poi allamano il miracolo della realizzazione.

È la surreale ricetta di Fonseca,pittore e uomo dalla vita inquieta.La pittura di Fonseca è un poco ilracconto di un poeta melanconico,sensibile e sornione in bilico traentusiasmo e freddezza, tra amoree perplessità. Anni di pittura in soli-tudine iniziata nella luce della Siciliae continuata sotto gli smorzati cielidi Milano e quelli ancora più smor-zati di Parigi e di Londra.

GUIDO FALGARES

Fonseca: il viaggio malinconico e il colore

Caro vecchio Totò adios

Recupero Totò a Parigi, la prima-vera del ‘49. Ha un messaggio di

Carlin Brizzolara, che ci fu capitanonei parà. Carlin è di Noceto. E statocon Guareschi in un collegioparmense dove il prefetto eraCesare Zavattini. Ci ha lui pure lavoglia di penna, con la quale si nascea dispetto di mamma (o con la suadolce complicità, nei lunghi mesi disoave pena). Totò è passato da lui aIvrea; ha saputo di me “envoyé spécialpermanent” a Parigi; si è preposto dilavorare insieme, lui con la punta delbastoncino intinto nella china, io conla tastiera di una volgare portatile.Carlin redige la rivista del signorAdriano Olivetti, che vagheggia lariforma politica e sociale del mondo.Sulla sua rivista ospiterebbe disegni diTotò e didascalie da me battute conpolpastrelli se non altro assidui.

Totò mi scopre a Rue deLongchamp, che è la più signoriledopo Rue de la Pompe. Abito chezMadame Sonneck, che si vanta di averrifiutato D’Annunzio quando suomarito dirigeva uno stabilimento

della Montecatini. Madame Sonneck èla Francia, anzi notre tante la France.Ha denti perfetti, seno contenuto dasoutien-gorge metallico; busto che larende unichiappica al cospetto delmondo. Totò viene atterrito dallosguardo grigio, felino (se le porcellepossono mai essere gatte) diMadame Sonneck, letteralmentesdilinquita al suo primo apparire.Eccolo tuttora disegnato dalle puntenon secche della mia memoria: icapelli corti, radi, all’umberta; unafronte ossuta, felicemente convessa;occhi scuri da antico ibero; nasolungo, ricurvo, non semita; boccatagliata su labbra sottili; dentidistanti fra loro da uomo fortunato;gambe lunghe, neppure tantopovere di muscoli. Il suo sorriso èquasi timido, da introverso maler-betto. Madame Sonneck lo spogliad’acchito, ricavandone una valuta-zione morfologica da immediatocoup du canapé. Il solo incomodosono io. Devo proteggere Totò daquesta Circe petite-bourgeoise. Gliocchi ridenti del mio compagno

GIANNI BRERA Milano, 18 Maggio 1988

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IL GOURMETcolgono a volo la situazione e laspregiano. II baciamano a madame èun atto di corrente ipocrisia. Comerestiamo soli e soddisfatti a scolarciun Remy Martin, continuo la ricogni-zione pittorica del mio vecchiocompagno para. Totò mi si raccontafino a Tarquinia (dove l’ho solo intra-visto) e fino all’Africa, dove il cronistanon l’ha potuto seguire. I ricordi piùbelli sono di Spagna. Totò scopreincisivi da lepre nel prodigarmi unsorriso neppur tanto convinto.Estolle il pomo d’Adamo come unbalconcino romantico sotto il qualedeclamare sonetti o cantare madri-gali. Dice: “La Spagna è bella e glispagnoli sono hermanos”. Appenaarrivato, mi danno il comando di unacompagnia e l’ordine di sopprimereun caposaldo fastidioso. II caposaldosorge su un dosso. Io precedo lacompagnia e mi corico per avanzarecon il minor rischio. Sento risatechiotte alle mie spalle. Mi volgo insospetto: noto che nessun si attentaa chinarsi di un mignolo. II caratterespagnolo è troppo fiero: el corajeespañol no lo permite! Dal caposaldoci raggiungono raffiche micidiali.Perdo un buon terzo degli effettivi enon raggiungo l’obiettivo. La seraguato i miei prodi e dico: “Ho moltoammirato il vostro modo di agire;ma adesso avrei voglia di piangerechi è morto – consentitemi di dirlo-cosi da coglione”. I soldati impetti-scono: qualcuno mi guarda male.Nessuno è disposto – me lo dice ilsergente – a farsi vedere tanto fifoneda avvicinarsi al nemico strisciandoper terra. “Molto bene” approvo io:“Se credete che la mia sia fifa, visbagliate di grosso: anzi, vi pentireteamaramente”.

Mentre Totò racconta, i suoiocchi mi abbandonano, come dietroa svagate visioni. “E com’è finita?”“Che da quel giorno sono stato inpiedi anch’io. E sai come mi hannochiamato, allora? El loco”.

Vien fuori bene Totò da questiricordi ammattiti a loro volta.Parliamo di paracadutismo solo

perché Brizzolara vuole disegni pari-gini con didascalie che ne sianodegne. Ci teniamo a vicenda, senzadircelo. Totò va scoprendo Parigi eme la rivela con schizzi velocissimi.Case viste di sbieco, comignoliastrusi, gente che se ne torna a casacon la baguette del pane (ha, chebuono!) sottobraccio, un prete e unaragazza alla stazione del metrò, lasiringa della Torre Eiffel che evocaApollinaire: “Bergère ô tour Eiffel letroupeau des ponts bêle ce matin”.

Brizzolara ci manda soldiniminimi. Festeggiamo in gargote perarabi distinti. Un povero sarto ebreomi loda per la fattura del vestito cheindosso. Totò viene proclamato daun negretta, che se ne intende, laqueue la plus longue de l’Empire fran-cais.. Madame Sonneck mi appareallora in tutta la sua sagacia di misu-ratrice cum oculis (o secondo morfo-logia). Le mani di Totò sono rubatealla “Danse des squelettes”, oppure aqualche pittore spagnolo di gustomacabro (va bene Zurbazan?). Ladestra arronciglia e stringe ilpennello come una pinza. Totò,

strizza le palpebre perchè non abbiaa distrarlo il mondo vicino. IIsoggetto nasce come se la pennellatal’avvolgesse, al modo d’un filo che sidipana per l’occasione.

Finito il ‘49, Parigi è lontanacom’è lontano Totò, inquieto pelle-grino del mondo. Ricevo saluti daLondra, da Catania, mi pare, eancora da Londra. II suo profilo dauccello non rapace punta al voltodella sua donna, che a me sembrabellissima. Chissà che non l’abbiafuggita ogni volta per troppo amore;chissà che non lo infastidissero gliamici. Pare adesso che Totò sia allafonda nel suo mare, e che famiglia eamici, finalmente, abbiano la megliosulla sua voglia di andarsene lontano,sulle ali d’un vento sconosciuto.Caro vecchio Totò, vedi se puoisostare. Se uno vola via, alla lungaresta solo. Prova una volta a pren-dere sul serio te stesso e la paura, ituoi amici e l’amore. Adios.

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IL GOURMET

Non nascondo il mio stuporequando, tramite una telefonata, GuidoFalgares mi chiedeva gentilmente sepotevo inviargli uno scritto, una rifles-sione sull’Anniversario dell’Unità d’Ita-lia da inserire nel giornale dell’Associa-zione dei Gourmet.

Riflettendo su quanto sopra, perinciso, non essendo il sottoscrittonemmeno appartenente a tale associa-zione, conclusi che il Presidente miaveva interpellato forse per sentiresull’argomento una voce, un pensieroda parte di una persona che, al di fuoridell’aspetto culturale, certo non puòvantare quei quarti di appartenenzanazionale che sono normali per i natioltre la riva destra dell’Isonzo.

Stimolato da questo aspetto,tenterò di dire qualcosa su questaricorrenza che la nazione tutta siaccinge a commemorare più che, amio avviso, festeggiare durante questoanno. In questo periodo gli organi distampa, televisivi ecc. iniziano a divul-gare documenti, scritti, ricordanze chepiù o meno enfatizzano l’Anniversario.Il tutto lo trovo più che doveroso elegittimo in un momento in cui, data lasituazione, si corre seriamente ilrischio di dubitare anche sull’apparte-nenza a questa nazione.

Seguendo, per quanto possibile, lemanifestazioni sopra accennate, nonnascondo che mi pervade un senti-mento più di amarezza che di gioia.Uno stato d’animo di mestizia sorge inme, ripensando a come si sono inne-scate, concretizzate, e normalizzatepoi, le varie fasi risorgimentali. All’ini-zio, colmi di tensioni patriottichesupportati da altissime idee nazionali,unitarie ed illuministiche, dopo chepopolo e borghesia progressistahanno, con grandi sacrifici, saputoconcretizzare i loro proponimenti.Nella compagine unitaria dello Stato

Italiano che andava formandosi, èseguito poi un clima, non dico diRestaurazione, ma situazioni che tradi-vano i principi e le aspettative alle qualigli attori di tante lotte e battaglie sierano ispirati.

Ci sono periodi memorabili chetestimoniano quanto sopra affermato.

Il primo immediatamente dopo il61, quando la patria piemontese sipresentava alle popolazioni del Sud condivisioni di bersaglieri con compititristemente noti. La prima riflessioneche uno si pone è quella di immaginarei sentimenti che potevano scaturire inquelle genti, passate dai festeggiamentiad una situazione di pesante oppres-sione. A conforto di quanto sopra, valela pena ricordare che le motivazioniche dettero origine a questi motiprotestatari da parte delle suddettepopolazioni, erano dovute essenzial-mente ad una richiesta di progresso edammodernamento sociale rispetto aquelle condizioni che i governi appenaabbattuti le avevano da sempre mante-nute ed assuefatte.

Il secondo periodo risorgimentalesi concludeva alla fine della 4° guerraper l’indipendenza, ovvero alla finedella Prima Guerra Mondiale, dopoche i governi allora in carica mantene-vano larghi strati della popolazionecontadina al fronte, con la promessadella Riforma Agraria e della sparti-zione del latifondo (altro che con lafinalità di liberare Trento e Trieste), siconcludeva così questo periodo menofulgido per i più, con l’instaurazione diventi anni di oscurantismo morale e inparte materiale.

Il terzo periodo invece (SecondaGuerra Mondiale), dopo la finedell’apocalisse che riduceva l’Italia adun cumulo di macerie, come tuttiricordano, e per non parlare della miaprovincia e dei drammi che ancora

Riflessioni sul 150° Anniversariodell’Unità d’ItaliaLORIS COK

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IL GOURMEToggi stentano a rimarginarsi, c’è statoun grande periodo in cui sembrava diriscoprire i più nobili sentimenti disolidarietà umana e sociale. In questasituazione permeata comunque digrandi tensioni c’era almeno da partedi tutti il grande anelito alla ricostru-zione ed al vivere civile senza bavagli.Pur non essendo mai stato un demo-cristiano, per onestà intellettuale micorre l’obbligo di ricordare, in questafase storica uomini della statura poli-tica e morale di un Alcide De Gasperi,figura di grande onestà che nelprofondo della sua solitudine perso-nale e politica seppe riscattare e ridaredignità all’Italia (ricordare il discorsoalla conferenza di Pace di Parigi del1947).

Passati poi gli anni 50 ed imboccatigli anni 60, ecco smorzarsi tutti glientusiasmi, lasciando posto agli “intel-ligenti”, agli “scolari della politica”,assistendo inesorabilmente al deterio-ramento della situazione socio-politicasino alla nostra quotidianità.

Mi si potrà dire che lo sviluppo diquesti fenomeni sono insiti nel DNAumano. Io dico invece che questotriste altalenarsi di eventi è da ricon-dursi ad una scarsa cultura e ad unacompleta mancanza del “Senso delloStato”, che a parte poche luminosefigure non è stato mai prerogativa dellaclasse dirigente italiana.

Ho parlato di commemorazionepiù che di festeggiamenti in quanto ilpercorso dell’Unità d’Italia del Primo edel Secondo Risorgimento è caratte-

rizzato più da grandi e piccoli fatti rivo-luzionari, con conseguenti repressionie sangue, che da aspetti felici e gioiosiseguiti alla conclusione di questi.

Approfondimenti su questo temapotrebbero essere impostati suun’analisi storica partendo, ad esem-pio, dalla Rivoluzione Giacobina del1799, tratteggiando le figure delCuoco e del Filangieri al Sud cosìcome al Nord, quelle del Cattaneo edel Verri e di altri innumerevoli prota-gonisti del risveglio risorgimentaled’Italia. L’Italia, ricordiamolo, frantu-mata culturalmente e territorialmentecominciava a far germogliare nono-stante tutto quei semi di riscattonazionale, premessa inequivocabile allelotte sfociate poi nell’anelito unitarionazionale.

Su quanto sopra e sugli eventicronologici risorgimentali è statoscritto e vivisezionato tutto o quasi,per cui aggiungere una qualche origina-lità storica e / o documentaristica ècompito degli storici. Da parte miainvece, semplice cittadino, può essereespressa soltanto un’opinione sullesequenze storiche accadute.

Tuttavia vorrei concludere che isacrifici, i caduti e le lotte sociali chehanno portato all’Unità e alla Libertà diquesto paese non possono esseresvenduti così facilmente ai predicatoridella disgregazione nazionale, anche sela situazione politica in cui versa ilnostro paese non è sicuramente oggitra le più confortanti per sostenerecome allora la fede nell’unità d’Italia.

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IL GOURMET

A forza di parlare di tradizioniinconsciamente pensiamo che i nostrivini, soprattutto quelli più blasonati,siano sempre stati buoni ed apprezzati,così come lo sono oggi. Molto istrut-tiva è la lettura di due pubblicazioni:“Un secolo di munu” dell’AccademiaItaliana Della Cucina e “L’Italia a tavolaattraverso i munù” di DomenicoMusci editrice Il Punto. L’una e l’altradedicate ai menu (o menù) cheabbracciano il periodo interessato equello successivo. Sorprende, chenormalmente, fino a fine secolo,fossero scritti in francese. In primaistanza si potrebbe pensare che ilnascituro Regno d’Italia, nato col forteimpulso del Regno di Sardegna, domi-nio di Savoia, in quanto francese d’ori-gine, per forza di cose, fosse permeatodi usi costumi e della lingua d’oltralpe.Sappiamo però che il francese eralingua ufficiale solo nella parte fran-cese, Nizza e Savoia, poi scambiatecon la Francia (Napoleone III) dopo lasanguinosa seconda guerra d’indipen-denza del 1859, prodroma dellanascita della nostra patria. Mentrenella parte italiana: Sardegna, Liguria ePiemonte: lingua ufficiale, anche se nonmolto popolare, era l’italiano.Sorprende inoltre che insieme ai piattifossero francesi soprattutto i vini, main questo caso, non si tratta di vini

italiani tradotti nella lingua d’oltralpe,perché sono francesi d’origine, quasisempre: Champagne, Bordeaux, Bour-gogne. Se ciò avveniva senza soluzionedi continuità, i vini italiani dovevanogodere di scarsa reputazione anche daparte dei maggiorenti dei luoghi diproduzione. All’epoca il gap fra i viniitaliani e quelli francesi era infatti bensuperiore a quanto riteniamo oggi-giorno. Zeffiro Ciuffoletti nella sua“Storia del vino in Toscana” riportache secondo il direttore della statisticadi allora: Piero Maestri nel 1864 siprodussero in Italia circa 28 milioni diettolitri. Vittorio degli Albizi proprie-tario dei vigneti di Pomino e Nipoz-zano, sosteneva invece: che la produ-zione fosse di soli 24 milioni. Nellostesso periodo la Francia produceva68 milioni di ettolitri e ne esportavapiù di 3, e fra questi, già oltre 6 milionidi bottiglie di Champagne, mentre leesportazioni italiane, pari a circa300mila ettolitri pareggiavano di pocole importazioni, le prime fatte ovvia-mente di quei vini di qualità che ritro-viamo nei suddetti menu. L’Italia chepure aveva avuto in passato un gran-dissimo successo coi passiti (moscati,malvasie, vini greci ) allora chiamati: viniliquori, non riuscì a fare altrettantocoi vini da pasto. Rileggendo le notedegli studiosi del periodo emerge di

Centocinquantenario dell’Unità d’ItaliaFotografia della viti-enologia risorgimentale e post-unitaria

TOMMASO BUCCI

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IL GOURMET

continuo il vero nervo scoperto dellanostra enologia: il paradosso chenonostante le eccellenti condizioninaturali; i nostri vini al contrario deifrancesi non reggevano al trasporto.Giovanni Pieri, presidente dell’Accade-mia senese dei Fisiocritici, vantando labontà del suo vino, prodotto in unaspecie di campo di ricerca a Prescianoalle porte della città, sosteneva orgo-gliosamente che fosse immune dal sugeneralizzato difetto: “ Cotal vino ovefavorito dalla annata bene indovi-nata nel taglio delle uve, loconservo per gli anni in botti, inbottiglie: in queste gli ho fatto vali-care i mari, gli ho fatto passare, eripassare la linea equinoziale inbuona salute”. Le spiegazioni eranomolteplici e conosciute insieme aisuggerimenti per migliorare.

Il vigneto specializzato era del tuttoo quasi inesistente, essendo abituale lacoltura promiscua. Inoltre si dedica-vono più attenzioni ai cereali coltivatigra i filari che alle viti. I primi infattierano visti come essenziali dai viticul-tori dell’epoca, perlopiù mezzadri, chegiudicavano un lusso la produzione diuve specialmente se di qualità. Aquesta insensibilità si sommava lascarsa volontà ad investire nella vignada parte dei proprietari che trovavanopiù conveniente godersi senza spese il

cinquantapercento che gli consegnavala mezzadria con le culture di base.Come dimenticare poi che nello stessofilare si piantavano vitigni differenti condifferenti epoche di maturazione,mentre la data di raccolta era unica.Per inciso dal sito dei Padelletti, storicacasata montalcinese, riportiamo: “Ilvino prodotto dalle sue colline era,come d’uso nel Chianti, una misceladi vari vitigni che fiorivano inepoche diverse, per ridurre i rischidelle gelate tardive e delle grandi-nate precoci.” Per avere una buonaproduzione di cereali, i vigneti eranoquasi sempre posti nei piani fertili anzi-chè in collina . Le viti, salvo rare ecce-zioni, come la coltura ad alberello delsud Italia, erano maritate a piante dafrutto e non, tenute perciò, eccessiva-mente alte da terra.

Le tecniche di cantina eranoeufemisticamente molto approssi-mative, perché mancavano sia lascienza che i mezzi per applicarla.Inoltre in Italia abbiamo introdottomolto tardi l’uso della bottiglia ed inalcuni casi, come in Toscana,abbiamo insistito col fiasco impa-gliato inducendo ulteriori difficoltà.Vedasi testimonianza di FrancoBiondi Santi, che nella sua recentebiografia (Questa è la mia terra; M.Boldrini, B. Bruchi, A. Cappelli;Protagon editori) ci racconta laversione tranquilla del Moscadello(moscatello nel testo): “allora ilmoscatello veniva vendemmiatoa maturazione fisiologica, vinifi-cato in bianco e poi attraversoinfinite filtrazioni sempre piùstrette, limpidissimo, dopo unanno veniva imbottigliato. Madopo un mese riprendeva afermentare e le bottiglie, pulcia-nelle, scoppiavano.” La situazioneera ovunque scoraggiante, seppurcon qualche spinta propulsiva. IlPiemonte sia per la vicinanza con laFrancia, sia per i fermenti risorgi-mentali era la regione più attiva. Livi fu il tentativo partendo dallagrande quantità di moscato ditrasformarlo in uno Champagne

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IL GOURMETitaliano, dando origine ad una veraindustria enologica. I produttoripiemontesi furono spinti a nuovisbocchi commerciali perché dopoche il governo austriaco avevaabbassato nel 1833 i dazi sul vinopiemontese per il lombardo venetoe gli stati emiliani, li aumentò nuova-mente nel 1846, in risposta alleistanze dei viticoltori veneti edungheresi. Patrizia Cirio (Le cantinestoriche canellesi) ci racconta che inquegli anni si parlava di: “ Champa-gne moscato” o di “Moscato cham-pagne”. Ora la cosa ci appare inve-rosimile, perché siamo legati allostereotipo dello Champagne secco(brut), ma dobbiamo ricordare chein quel periodo questo vino eradolce. Le prime versioni brut per ilmercato inglese di metà ottocentoelaborate dalla casa vinicolaPerrier-Jouet non ebbero successo.Bisognerà attendere fino al 1874perché le cose cominciassero acambiare. Il Veneto aveva unabuona produzione di vini fatti conuve semiappassite secondo la seco-lare filosofia dei vini “greci”, come: ilRecioto della Valpolicella, il Torco-lato del vicentino, il Picolit del trevi-giano, del tutto simili allo fursatvaltellinese. Le Venezie, dopo l’an-nessione al Regno d’Italia nel 1866 aseguito della terza guerra d’indipen-denza persero, con molti rimpianti,il ricco mercato austriaco. VittorioDegli Albizi, toscano di residenza,ma francese per nascita e frequenta-zioni, rivoluzionò di fatto la viticul-tura della regione introducendo consuccesso nuovi vitigni nei vigneti diPomino e Nipozzano. Soprattuttointrodusse criteri di razionalità conl’impianto di vigneti specializzati insostituzione dei tradizionali promi-scui. Insieme a lui altri uomini piùvocati all’impresa e più permeati dabasi scientifiche fecero fare grandipassi in avanti ai vini Toscani, dueper tutti: Bettino Ricasoli nelChianti e Clemente Santi a Montal-cino. Dulcis in Fundo la Sicilia, doveprende avvio l’epopea garibaldina

che sarà la pietra fondativa delRegno d’Italia. È interessante notareche lo sbarco dei mille fu favoritodalla marina inglese, colà presente,per i forti interessi legati proprio alcommercio del vino Marsala. È notoinfatti, che questa diede una nontrascurabile copertura allo sbarcodelle nostre camicie rosse. Il casoha voluto, i latini avrebbero detto ilfato; che il Marsala, l’erede piùimportante della grande tradizionedei vini passiti o vini greci, quelli chenell’ottocento erano comunementedefiniti: vini liquori, che comeabbiamo detto, hanno rappresen-tato la gloria secolare enologicadella nostra Italia; diventasse ancheinvolontario attore dell’unità nazio-nale, quando solo poco prima siasseriva: “La parola Italia è unaespressione geografica, unaqualificazione che riguarda lalingua, ma che non ha il valorepolitico che gli sforzi degli ideo-logi rivoluzionari tendono adimprimerle.» (Metternich 1847).

Già negli anni dell’unità la viticul-tura europea faceva i conti con lapernospera e l’oidio, ma il peggioera in arrivo: il morbo della fillos-sera. Questa comparve in Francianel 1867 e dodici anni dopo nel1879 in Italia prima a ValmadreraComo poi ad Imperia e Caltanisettanel 1880; Piero Zoi riporta cheMontalcino insieme ad altri trecomuni senesi fu dichiarata ufficial-mente infetta per gli anni 1903-1904. Gli estesi vigneti specializzatiresero la viticultura francese piùesposta di quella italiana alla fillos-sera, tant’è che a fine ottocento ivini italiani erosero cospicue fette dimercato a quelli transalpini. Non acaso proprio in quegli anni i menu omenù dai quali siamo partiti comin-ciarono ad arricchirsi di vininostrani. Purtroppo i francesiseppero debbellare il morbo e rior-ganizzarsi molto prima di noi, ricon-quistando rapidamente le posizioniperdute.

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IL GOURMET

Il concetto moderno di culturapuò essere inteso come quel bagagliodi conoscenze ritenute fondamentalie che sono trasmesse di generazionein generazione per migliorare lapropria esistenza. Essa, in terminiumanistici ha permesso di “coltivare”l’animo umano, ed in termini antro-pologici ha permesso di creare con ilvariegato insieme di costumi, atteg-giamenti, piaceri ed altro, le abitudinidelle diverse popolazioni o societàdel mondo. È grazie a questa ricercache l’uomo ha trovato nel cibo ancheun piacere e non solo una fonte disostentamento. Così come nel bere enel…fumare. Tutto questo è statopossibile grazie alla caparbietà deinostri antenati che hanno cominciato amiscelare le materie prime provandoaccostamenti mescolanze misture finoad inventare un concetto riassumibilenella parola inglese “blend” cheracchiude in sé tutto questo. Quandodegustiamo un cibo, un vino, un sigaro,proviamo un prodotto che è il risultatodi uno studio una ricerca, molte voltedurato diversi anni, alle volte secoli.Tale ricerca comincia dalla coltivazionedella materia prima, fino ad arrivare allasapiente mescolanza dei vari tipi di essae non solo, per creare il blend voluto.Tutto ciò è uguale se parliamo di cibo,tè, vino, caffè, liquori in genere, tabac-chi da pipa e sigari. È stato illuminanteun viaggio fatto a Santo Domingo allamanifattura di Endrik Kelner produt-tore dei famosi sigari Davidoff è gran-dissimo esperto. Oltre a visitare levarie piantagioni di tabacco e cono-scere i loro tipi e sottotipi, ho avutol’opportunità di provare dei sigari siacon il classico blend “Dominicano”, dalgusto soave, che in purezza, cioè dei

sigari fatti apposta con una sola speciedi tabacco al fine di provare le qualitàorganolettiche di ogn’una di esse, infu-mabili! La prova di degustazione (e didisgustazione) mi ha fatto capire l’im-portanza del blend, la difficoltà della suarealizzazione e l’assoluta determina-zione da parte di tutti quelli che lavo-rano il tabacco per l’ottenimento delprodotto finale. Ed è stato proprio lìche, tra sigari realizzati con vari tipi difoglie di tabacco miscelati tra loro (alfine di provare i vari “blend”), ed i variformati che danno anch’essi unavariante al gusto, ho pensato alla nostra“pasta con le sarde”. Piatto sicilianis-simo ed esempio di un perfetto blend.Prodotti molto diversi tra loro: salsa dipomodoro con estratto concentrato,zucchero, uva passa, pinoli, finochiettodi montagna e...sarde. Una serie diingredienti usati distintamente in mododiverso in cucina che, legandosi magi-stralmente riesce ad appagare con ilsuo insieme tutto il palato riuscendo,proprio grazie alla equilibrata varietà, araggiungere ogni millimetro del nostropalato regalando le sensazioni checonosciamo.

continua...

La cultura...del blendCARLO RIGGIO

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IL GOURMET

Cerere accetta volentieri ilcortese invito del Giornale deiGourmet a aprire con questonumero una rubrica sul tema dellebirre. Interverranno oltre a noi, inmodo diretto o indiretto, speciali-sti, conoscitori esperti di questaantichissima bevanda, oggi in grandecrescita di qualità, varietà e apprez-zamento anche in Italia.

Traggo dall’introduzione all’ora-mai introvabile libro di LorenzoDabove (Kuaska) “Le Birre”: “LaBirra non esiste, ma esistono leBirre! Ci sono, infatti, Birre con lestesse calorie di un succo d’aranciae le Birre caloriche come un pastocompleto. Birre adatte ad ogni mo-mento della giornata e a ogni climae stagione. Birre semplici e beve-rine dai profumi e sapori delicatiper una rapida pausa a pranzo eBirre complesse e raffinate che nonsfigurano in conviti importanti e dialto livello.

Ci sono Birre leggere e speziate,dissetanti e rinfrescanti, da bereavidamente d’estate, e Birre forti,calmanti e da meditazione, dasorseggiare con moderazione primadi andare a letto. Troviamo Birreacidule e acetiche, Birre pepate esecche. Esistono Birre pulite e deli-catamente amarognole e Birre dolcie ricche di tostature, Birre classichebasate su ricette antichissime eBirre nuove frutto di ricerche esperimentazioni di birrai creativi efantasiosi”.

L’affermazione iniziale può appa-rire provocatoria, invece offre unachiave di lettura originale per cono-scere ed apprezzare una bevandaaffascinate ma poco conosciutalegata alle tradizioni locali ed alterritorio, ricca, quindi di cultura.

Ancora da “le birre”: “…mi piacepensare che giunti all’ultima paginadel libro, contagiati dal germe diquesta cultura, contro cui perfortuna non esiste antidoto, anche ilettori piu’ pantofolai sentano l’irre-frenabile desiderio di assaggiare piùbirre possibili di tutti gli stili e ditutti i paesi e volino subito aBruxelles, Praga, Londra, Bamberga,San Diego e in tutti gli altri luoghisacri per i cultori della birra diqualità”. Cercheremo di sfatareluoghi comuni, di evidenziare lecaratteristiche delle birre di qualitàrispetto a quelle di massa.

Tratteremo, nella dimensioneconsentita da una rubrica aspettistorici, attuali, di cronaca, di curio-sità e di cultura della birra, i suoi“stili”, le sue leggende, dei simpaticiallegri frati custodi della tradizionenei periodi più bui, del grandefervore attuale della ripresa fratradizione e innovazione da partedelle patrie birrarie storiche e deinuovi paesi di più recente culturama di ampia qualità e innovazione,primi di tutti gli Stati uniti e oraanche L’Italia.

Vedremo ancora come si fa labirra, le sue materie prime e lavarietà di abbinamenti ai cibi consimpatiche curiosità per la facilità diincontro anche con i più ostici,sperando come dice Kuaska cheanche i Gourmets più pantofolai,siano presi dall’irrefrenabile deside-rio di assaggiare più birre possibili emagari volino con noi per cono-scere in giro per il mondo tuttoquello che c’è di buono e di bello suquesta bevanda e come in tutti ipaesi sia un forte elemento di alle-gra aggregazione e socializzazione.

La birra, anzi...le birreMAURO RICCI (Presidente Ass. Culturale Cerere)

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IL GOURMET

L’Italia è ricca di innumerevoli tesorialimentari, molti di questi sono “testi-moni della storia”, ancora in vita e inottimo stato di salute… Diciamo chel’aggettivo più consono al prodotto chestiamo per presentare, non è tanto“ottimo” quanto “buono”, dove l’acce-zione del termine include, in primis, ilsignificato principe del terminebuono=gradevole, piacevole, ...insomma, ecco a voi la “sempre fresca”,Mozzarella di Bufala! La mozzarella siproduce in piu’ parti d’Italia,ma quella dicui vogliamo trattare è quella di bufala lacui produzione elettiva si restringe aalcune regioni del centro e sud Italia eche primeggia per qualità organolettichenutrizionali e di gradevolezza comples-siva. Fra le varie produzioni, tutte dibuon livello è quella campana che haottenuto la D.O.P.

Il disciplinare che tutela la denomina-zione di origine protetta (DOP)“Mozzarella di Bufala Campana”, trat-tando il legame storico e fisiologico conil territorio, così riporta: “molti docu-menti confermano che fin dalla fine del1200 la bufala si allevava nell’Italia meri-dionale in modo economicamentevalido”. Testimonianze storiche eviden-ziano la presenza dei bufali nell’Italiameridionale già nel sesto secolo, altreritengono che l’allevamento sia statointrodotto da Annibale, ma ancora altreattribuiscono l’introduzione del bufalo inCampania chi ai Saraceni, prima in Siciliae poi nella paludosa piana del fiume Gari-gliano (915 D.C.), chi ai Longobardi (trail VI e il X secolo). Certamente le carat-teristiche pedoclimatiche del contestoproduttivo, così come contemplate dalDisciplinare della DOP campana, riguar-dano zone che nel passato erano paludi,pianeggianti o di bassa collina, dove l’al-levamento bufalino viene effettuato conil sistema brado e semibrado o constabulazione semilibera. Ad oggi l’alleva-

mento bufalino sta attraversando unmomento di crescita dovuto a diversifattori, alcuni dei quali sono riconducibilialla non regolamentazione della produ-zione di latte mediante l’istituzione delle“quote” e dalla resa produttiva informaggio che è quasi il doppio rispettoalla resa da latte bovino; la razza piùdiffusa è la razza mediterranea italiana.

La mozzarella come tipologia è una“pasta filata”. Per trovare prove storichedell’esistenza delle paste filate ci affi-diamo a ciò che riporta uno storico dellaChiesa Metropolitana di Capua, Monsi-gnore Alicandri: in un suo lavoro cita undocumento in cui si legge che presso ilMonastero di S. Lorenzo in Capua -siamo nel XII secolo - i frati offrivano,come ristoro ai pellegrini, un pezzo dipane e una mozza o provatura. Loscritto recita testualmente: “…unamozza o provatura con un pezzetto dipane era la prestazione che i monaci delmonastero di S. Lorenzo in Capuadavano in agnitionem dominii al CapitoloMetropolitano il quale ogni anno, perantica tradizione, nella quarta fiera dellelegazioni, recavasi processionalmente inquella Chiesa…”. Il termine “mozza-rella”, così, è strettamente legato allalocuzione “mozza” che non è altro chela provatura, e forse anche la provola,come si può intuire nel testo citato diMonsignore Alicandri.

Curiosando tra i contratti per l’ap-palto del prodotto della “Reale Industriadella Pagliara delle bufale”, era dispostoche la mozzarella doveva restare nellasalsa 24 ore mentre la provola 48.Sembra sempre più evidente che lamozzarella era un sottoprodotto dellapreparazione della provola, sottopro-dotto non per qualità, ma per la suaevidente difficoltà nel mantenere lafreschezza durante il trasporto, condi-zione indispensabile per la mozzarella. Alcontrario la provola veniva affumicata in

La mozzarella!PIETRO PAPPALARDO (ONAF)

con il contributo di MAURO RICCI

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IL GOURMETmodo da poterla conservare più a lungo.La mozzarella dunque doveva essere unprodotto usato nell’ambito familiare deiproduttori o a un mercato ristretto dipalati raffinati. Nel 1570 apparve il testoche renderà immortale BartolomeoScappi, cuoco segreto alla Corte di PapaPio V, operatore di una cucina che ogginon esiteremmo a definire “internazio-nale”, in un ambiente dove pervenivanospecialità da ogni parte d’Italia e d’Eu-ropa. Il trattato diviso in sei libri si dimo-strò essere l’opera più matura sulleesperienze culinarie della civiltà rinasci-mentale italiana, ed in questa si ritrova:“…capo di latte, butirro fresco, ricottefiorite, mozzarelle fresche et neve dilatte…”. La mozzarella di bufala èprodotta esclusivamente con latte dibufala intero e fresco. Sono da garantirelivelli minimi di grasso nel latte del 7.2%nonché di proteine del 4.2%. Dopo unmassimo di 60 ore dalla mungitura illatte viene acidificato per addizione disiero innesto naturale e riscaldato a39°C. La coagulazione è ottenuta concaglio naturale di vitello. La rottura dellacagliata viene proseguita fino ad otte-nere granuli della grandezza di una noce.La maturazione della cagliata avvienesotto siero per un tempo variabile inrelazione alla carica di microrganismipresenti nei fermenti aggiunti, ma oscil-lante intorno alle 5 ore dalla immissionedel caglio. Al termine della maturazionela cagliata viene ridotta a strisce poste inappositi recipienti dove. con l’aggiunta diacqua a 95°C, viene filata e poi mozzata,onde assicurare ai singoli pezzi ottenutila forma e le dimensioni previste -Questi vengono prima posti in acquafredda per pochi minuti e poi in salamoiaper la fase di salatura cui segue il confe-zionamento. Per quanto riguarda, lecaratteristiche del liquido di «governo»nel quale è immesso il prodotto dalmomento del confezionamento finoall’atto dell’immissione al consumo,viene mantenuto acidulo (con la possibi-lità d’impiegare acido lattico o acidocitrico) ed eventualmente salato. LaMozzarella di Bufala presenta le seguenticaratteristiche: oltre alla forma tondeg-giante, si possono trovare in commercio

altre forme tipiche delle zone di produ-zione, quali bocconcini, trecce, perline,ciliegine, nodini, ovoline con una pezza-tura che varia da 10 a 800 grammi aseconda della forma, per la forma atrecce è consentito il peso fino a 3 Kg.

L’aspetto esterno è di colore biancoporcellanato con crosta sottilissima dicirca un millimetro e superficie liscia,mai viscida né scagliata. Internamente lapasta ha una struttura a foglie sottili,leggermente elastica nelle prime otto -dieci ore dopo la produzione ed il confe-zionamento, successivamente tendentea divenire più fondente, senza difettiquali occhiature, provocati da fermenta-zioni gassose o anomale; assenza diconservanti, inibenti e coloranti. Altaglio è fattore di qualità l’evidentepresenza di scolatura in forma di lievesierosità biancastra, grassa, dal profumodi fermenti lattici. Il sapore è caratteri-stico e delicato, con un perfetto equili-brio tra il dolce, l’acidulo ed il sapido. Inbocca si apprezza la struttura tipica dellepaste filate fresche con una buonapresenza di latticello alla masticazione. Siapprezzano note aromatiche percepibilial naso ma, soprattutto, come sensazioniretro nasali, si percepiscono note ricon-ducibili alla famiglia dei lattici (yogurt,burro, cagliata acida), e note animali tipi-che della specie allevata. Chimicamenteil prodotto ha grasso sulla sostanzasecca superiore al 52% ed umiditàmassima del 65%. “Per un’ottimale degu-stazione della mozzarella, l’ideale è nonmanipolarla troppo; consumarla fresca,magari condita con un filo di olio extravergine di oliva”.

Le possibilità di utilizzo in cucina chequesto formaggio offre sono molteplici:tagliata a pezzettini in insalate miste,servita su piccoli toast con pomodorinisecchi, accompagnata con pomodorofresco e una foglia di basilico (insalatacaprese), fritta in bocconcini o nellaricetta napoletana più famosa, la mozza-rella in carrozza: due fette di pan carréfarcite con mozzarella, impanate e fritte,oppure sul suo trono per eccellenza,unaltro simbolo della nostra Italia: la Pizza.

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Descrizione

Questa volta per il tradizionalescambio degli auguri, abbiamoscelto di avvalerci della professiona-lità dello chef Michele Cocchi che,presso la Villa Cà Bianca - luogotranquillo ed elegante nella primacampagna bolognese - , ci ha deli-ziato con piatti di sua creazione.Alla cena erano presenti circa 30persone tra soci e famigliari, nostrigraditi ospiti anche il PresidenteNazionale Guido Falgares, il Coor-dinatore Italia Centrale LucianoFranchi e Signora Maria Grazia el’amico di Imola Umberto Ciompi.

Abbiamo iniziato con deliziosibocconcini (gli ora tanto di moda“finger food”), proseguendo poicon un budino di squacquerone confico caramellato come antipasto.Siamo passati ai primi: Ravioli dipatate con crema di taleggio, specke noci e Garganelli con ragout

GIACOMO MARLAT

I signori Luciano Franchi e Guido Falgares,“un brindisi di auguri”

Gli antipastiAbbiamo iniziato con deliziosi bocconcini“Finger Food”, proseguendo poi con un budinodi squaquerone con fico caramellato

I primiRavioli di patate con crema di taleggioSpeck, noci e garganelli con ragout d’anatra

I SecondiLombatina di vitello con pistacchi e pomodorino passitoTortino di patate gratinato

I DolciGolosi bicchieri di dolci stagionaliTorta tenerellaGelato di crema con frutti di bosco caldiPanettone

I ViniVini delle cantine Zuffa e Condi MassiSpumante, per il tradizionale brindisi di Natale

Il Menù

Redazionale VILLA Cà BIANCA11-12-2010Bologna, Modena e Reggio Emilia

EventoQuando

Consolato organizzatore

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d’anatra e come secondo unalombatina di vitello con pistacchi epomodorino passito accompagnatoda un tortino di patate gratinato.

Al termine di questa maratona culi-naria abbiamo molto gradito i golosibicchierini di dolci stagionali, latorta tenerella e il gelato di cremacon frutti di bosco caldi.

I vini delle cantine Zuffa e CondiMassi hanno accompagnati tutti ipiatti e naturalmente non potevamancare il panettone e lo spumanteper il tradizionale brindisi.Molto graditi durante l’interventodel Presidente Nazionale il suoapprezzamento per gli incontri delnostro Consolato e i suoi Auguri.

Al termine della cena ai nostri socie graditi ospiti, è stato consegnatocome consuetudine, un presente aricordo dell’anno in corso di chiu-sura.

Anche questa volta abbiamo“marcato il territorio” conse-gnando allo Chef un piatto con illogo dell’U.E.G. a ricordo dellaserata.

Dopo gli auguri di Buone Feste eun brindisi beneaugurante, il Vice-Console Piero Lanzoni ha datol’arrivederci, anche a nome dell’as-sente per motivi famigliari ConsoleGiacomo Marlat, all’ormai tradi-zionale cena di inizio anno che sisvolgerà come al solito presso ilRistorante Officina del Gusto diCastenaso; durante questa cenaverrà presentato il programmasociale del 2011.

Il signor Piero Lanzoni e lo Chef Michele Cocchi

Da sinistra: I signori Raffaella Cinelli, Ernesto Amaducci,Annia e Patrizio Lattanzio

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Quest’anno i Gourmet dellaRomagna hanno deciso di organiz-zare il Convivio degli auguri diNatale entro le mura di Cesena,

È proprio nei pressi del centro diCesena, per l’esattezza vicino allachiesa romanica dell’Osservanza, alRistorante “Guttaperga”, che alle12,30 di domenica 12 dicembre2010 ci siamo ritrovati per gustareinsieme un bel menù a base dipesce.

I piatti più votati dai partecipantisono stati: polipo caldo morbidissimoe saporito su spinaci saltati al burro epurè di patate, la chitarra ai frutti dimare molto gustosa e ricca, mazzan-colle al sale in abbondanza cotte alpunto giusto dal lasciare al lorointerno il gusto del mare, biscotteriasecca che ricordava i bei tempipassati dalla nonna.

Il vino preferito: Albana seccà 09Tre Monti.

Il direttore di sala ed i giovanichefs Luca Legni e Lara Parinihanno eseguito il loro lavorocon cordialità e competenza.

Sui tavoli elegantemente apparec-chiati facevano bella mostra compo-

Console di RomagnaFRANCA CANTERGIANI BETTINI

Via Toscana 18847023 CESENA FCTel. 0547-300333-Fax-368014

PRANZO DEGLI AUGURI DI NATALE

Ristorante GuttapergaVia S. Francesco d’Assisi 200

12 dicembre 2010 ore 12,30

In alto:Guido Falgares e Franca con la Senatrice Laura Bianconi

In basso:Franca Bettini con la Senatrice Laura Bianconi

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sizioni floreali inneggianti al Natale.Su un tavolo a parte i bellissimipacchi infiocchettati coi regali atten-devano i partecipanti.

I nostri ospiti, il PresidenteNazionale UEG Guido Falga-res, il Direttore della Rivista“La Madia” Elsa Mazzolini, e laSenatrice Laura Bianconi,apprezzando l’ottimo pranzo hannoavuto per noi gentili parole chehanno messo in evidenza il calore, lasimpatia e l’amicizia che traspiravanell’aria durante il nostro Convivio.

La Romagna ancora una volta hatrasmesso il clima sereno e edaffettuoso che unisce i vari compo-nenti della nostra Associazione.

Elsa Mazzolini in questa occa-sione ha chiesto se i nostri sociricevevano regolarmente la RivistaLa Madia e se avevano qualchecommento o consiglio da proporre.Tutti i partecipanti erano d’accordonell’affermare che la Rivista era unatteso, gradito momento di letturae di riflessione e che gli argomentierano ben trattati. In un simpaticodialogo una nostra socia ha eviden-ziato la freschezza e chiarezza diesposizione in particolare negli arti-coli di Elsa.

Franca ha ringraziato IL PresidenteNazionale Guido Falgares che peressere presente al nostro Convivioaveva affrontato un lungo viaggio.

La Senatrice Bianconi, apprez-zando la nostra compagnia, ci haprospettato un gemellaggio conun’Associazione di ParlamentariSommellier.

Gli ospiti hanno anche notato l’en-tusiasmo che accomuna i socistorici ai più giovani ... futuro dellaRomagna.

AUGURIAMOA TUTTI I GOURMETS

UN SERENO 2011Lo Chef Luca Legni

Il Presidente Nazione UEG Guido Falgares si rivolge al Direttoredella Rivista “La Madia” Elsa Mazzolini

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Il Consolato Del Veneto si è ritro-vato per il tradizionale pranzo degliauguri presso il ristorante La Peca aLonigo, in provincia di Vicenza (2Stelle Michelin), il locale si trovaarroccato su una collina, nellacampagna veneta, un edificio cheall’interno regala un ambientecurato ed originale, assoluta-mente rilassante: l’atmosferaricorda i salotti delle caseborghesi degli anni ‘70, moltafunzionalità, niente ostentazione.

Dalle finestre del ristorante,sulle dolci e verdi colline deBerici, si ammira la “RoccaPisano”, progettata da VincenzoScamozzi, erede di Andrea Palla-dio. Il nome del locale in dialettosignifica “impronta” infatti l’in-contro lascia davvero un segno,un ricordo, un’impronta nellamemoria.

Armonia, eleganza, equilibriosono le caratteristiche della

Ristorante La Peca12 Dicembre 2010Lonigo (Vicenza)

Il Commento

Da sinistra: il signor Angelo Grando, i proprietari del ristorante“La peca”, i signori Pierluigi e Nicola Portinari, la signora Sonia Moro,la signora Portinari

Bigoli integrali con acciughe, alicimarinate e gelato di cipolle rosse

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Dalla CucinaBenvenuto dalla cucina

Zotoli e calamaretti con gelatina del loro nero, crema di fagioli Zalet e sedano di montagna

Zuppa di mais con lumache alle erbe perledi Asiago Mezzano e funghi

Bigoli integrali con acciughe, alici marinatee gelato di cipolle rosse

Risotto al limone e Provolone Valpadana,ragout di prete del maialino e gelatina al prezzemolo

Braciola di cervo farcita di fegato grassopanata alle erbe con sugo di marasche all’aceto d’uva Sirk

Aspettando il dolce

Come una cassata ai mandarinicon gelato al pistacchio di Bronte e capperi disidratati

Dalla CantinaMetodo Classico Brut 2004 Cà Rovere – Alonte (Vi)

Riesling Valle dell’Agno 2009 – Tenuta La Bertolà Trissino (Vi)

Sassaia 2006 Angiolino Maule – Gambellara (Vi)

Cuvèe Rouge Cinsault-Carignan-Syrah 2003 Hochar – GhazirLibano

Galarey 2009 Fontanafredda – Serralunga D’Alba (Cn)

Il Menu

Zotoli e calamaretti concrema di fagioli Zalet,gelatina del loro nero esedano di montagna

Risotto al limonee ProvoloneValpadana,

ragout di pretedel maialino

e gelatinaal prezzemolo

Zuppa di mais con lumache alle erbe,perle di Asiago mezzano e funghi

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IL GOURMETcucina di Nicola Portinari, fonda-tore assieme al fratello Pierluiginel 1987 del ristorante dove latradizione e l’identità del territo-rio si fondano con l’estro ed ilrigore di un’arte senza tempo. Èuna cucina d’autore e di saporiautentici, i suoi menù ed il suostile raccolgono l’eredità dellacultura enogastronomia locale ene allargano i confini per lasciare ilsegno, seducendo il palato epuntando a creare nuove espe-rienze di gusto.

Al nostro arrivo fa capolino daltavolo un ampio menù personaliz-zato per l’evento che ci fa intuireuna decisiva scelta delle materieprime e una attenzione rivolta allatradizione del territorio, unlegame che rivela la storia e l’iden-tità del locale continuamenterichiamati con guizzi interessanti.Il benvenuto dalla cucina inizia con“zotoli e calamaretti con gelatinadel loro nero, crema di fagiolizalet e sedano di montagna”: lafreschezza e la croccantezza arri-vano dal sedano aromatico e imicrocubetti gelificati di nero diseppia, molto sapidi, si uniscononell’insieme.

A seguire “zuppa di mais conlumache alle erbe, perle di Asiagomezzano e funghi”; quindi i “bigoliintegrali con acciughe, alici mari-nate e gelato di cipolle rosse”: lapasta è cotta perfettamente, icubetti di pane tostato danno un

tocco ruffiano, il gelato alla cipolladi Troppa è la chiave di volta ditutta l’opera: piacevole contrastocaldo/freddo che arricchisce iltutto. Successivamente il “risottoal limone e provolone Valpadana,rogout di prete del maialino egelatina al prezzemolo”; piacevo-lissima la “braciola di cervo farcitadi fegato grasso, panata alle erbecon sugo di marasche all’acetod’uva Sirk. Per finire “come unacassata ai mandarini con gelato dipistacchio di Bronte e capperi disi-dratati”, semplicemente perfetto,straordinario.

Il contrasto dolce/salato si èrivelato un gioco condotto conmaestria con differenti equilibri,senza scadere nella disarmonia. Ivini in abbinamento, principal-mente locali, si sono rivelati all’al-tezza delle portate, stupore egrande gusto ha suscitato la cuveèRouge 2003 Hoclar, Ghazin-Libano.

Il servizio è stato impeccabile ediscreto, preciso ma contenuto; lacucina dai sapori molto precisi,costruita attorno ad una materiaprima, una cicina di energia legataalla ricca tradizione. Oltre l’ospi-talità e l’eleganza, il ristorante hamesso in evidenza la vocazione dicoinvolgere i propri clienti in unpercorso che va dalla gastronomiaalla dimensione estetica.

Potenza 2010 - XIV Gran ConvegnoIl volo dell’Angelo...

Come una cassata ai mandarinicon gelato al pistacchio diBronte e capperi desidratati

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Mi son trovato improvvisamente agestire le vigne di mio padre, qualcheanno fa. E ho dovuto mettere da partequegli interessi letterari e musicali chefino a quel momento avevano assorbitoquasi tutto il mio tempo. Interessi matu-rati lungo un percorso di studi diviso trale Lettere Moderne e il Diploma inPianoforte, tra l’Università e il Conserva-torio, a Catania.

Le vigne di mio padre, della mia fami-glia: una tradizione risalente all’imme-diato dopoguerra, e che si fondava sullacoltivazione estensiva del Nerello Masca-lese, per lo più finalizzata alla produzionedi vino sfuso destinato al mercato locale.

Ho cercato subito di puntare sullaqualità, raccogliendo gli stimoli cheprovenivano dall’esterno: dalla presenzasull’Etna, nord in particolare, di produt-tori di grande esperienza, che – a partireda quest’ultimo decennio – sono riusciti afar conoscere le notevoli potenzialitàqualitative dei vini dell’Etna, sia in ambitolocale e nazionale, che in contesti interna-zionali. Accanto ad essi, sta nascendo unanuova generazione di produttori che - inun clima di vivido confronto e scambio diconoscenze, esperienze e saperi – sta

cercando di comprendere a fondo lanotevole ricchezza di questo nostroterritorio vitivinicolo, di dare concre-tezza alla sua vocazione all’eccellenza,data principalmente da quelle piccolegrandi sfumature che ai vini dell’Etnavengono dalla micro-diversità territoriale.

Fare un vino che sia espressione di unterritorio implica necessariamente unameticolosa attenzione al sistema-vigne diquel territorio. Nel mio piccolo, capire levigne ha significato cercare di interveniresu di esse nel modo meno invasivo possi-bile. E questo non è difficile: basta guar-dare alle pratiche di coltivazione che civengono dalla tradizione dei nostricontadini, semmai intervenendo, ridu-cendola, sulla quantità, a vantaggio dellaqualità.

È per me fondamentale selezionarel’uva da portare in cantina: perché –operando in vigne vecchie, alcune di uncentinaio di anni, che danno complessitàinimmaginabili per una vigna giovane –devo tener conto della disomogeneitàdelle vigne, dei diversi tempi di matura-zione dell’uva, dei problemi legati allatardiva maturazione del Nerello Masca-lese. Compio così diversi passaggi invendemmia, che mi consentono di speri-mentare in vari momenti, a vari livelli, irisultati ottenibili dalle mie vigne. E ditradurli in vini che siano il più possibileespressione di quel determinato, speci-fico territorio.

Vini che si creano nel tempo, dunque;particolare dopo particolare; ma con allabase una precisa idea di vino. Secondoun’impostazione per così dire diacronica,per passi successivi. Ed è, questa impo-stazione di metodo, la stessa che il piani-sta utilizza nello studio e nell’interpreta-zione di uno spartito. In questo senso mipiace poter associare il vino all’arte, allamusica, al di là delle correnti banalizza-zioni. Così come la musica, anche il vinopuò essere un’arte del tempo, un’artemista, che accoglie profumi e sapori,tradizioni e suggestioni, e li raccoglie tuttinel suo scrigno: la bottiglia.

Così come l’arte, anche il vino, attra-verso lo stimolo dei nostri sensi, puòessere strumento di conoscenza: dell’es-senza, dello spirito di un territorio.

Lo spirito del vino!GIROLAMO RUSSO

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f fIl Panaio

Il PanaioGiuseppe Scialabba da oltre 30 anni nel suo fornosforna varietà di pane sempre nuove e fantasiose.Recentemente ha acquistato, dall’Azienda AgricolaMontepaldi nel comune di San Casciano Val di Pesa, unantico grano chiamato “Verna”. Macinandolo, ha cosìiniziato a produrre il pane a km 0, dove lo 0 si confi-gura come marchio di riconoscimento. In collaborazionecon la già citata l’Azieda Agricola Montepaldi e il mulino“Molini del Ponte di Castelvetrano” Giuseppe, mossodalla sua passione, è sempre alla ricerca di antichequalità di grani; la Tumminia e la semola SenatoreCappelli ne sono solo alcuni esempi. Grazie alla suaesperienza “Il Panaio” riesce a panificare senza l’aiuto diadditivi chimici e a sfornare un pane ancora genuino alievitazione naturale.

Giuseppe Scialabba alias Il Panaio, si trova a in Toscana aMercatale Val di Pesa.

GUIDO FALGARES