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Il Giappone: geopolitica & storia. Il Giappone è un arcipelago costituito da 5 grandi isole - Honshu, Kyushu, Shikoku, Hokkaido, Okinawa e da 6800 isole più piccole. Honshu, l’isola centrale e più grande, costituisce circa il 60 % del paese e ospita più della metà della popolazione, Kyushu a sud ovest, è stato il punto di contatto più vicino ai paesi asiatici specialmente con la penisola coreana, Shikoku, più piccola e meno popolosa, si trova tra Honshu e Kyushu, Hokkaido è la più settentrionale, Okinawa è l’isola maggiore dell’arcipelago delle Ryukyu a sud ovest di Kyushu. Il Giappone ha soltanto tre grandi pianure che hanno giocato un importante ruolo nella storia del paese e sono stati importanti centri agricoli, economici, politici e culturali: La piana del Kanto (Tokyo 35 milioni di abitanti) La piana di Kinki o Yamato (Kyoto e Osaka) La piana di Nobi (Nagoya)

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Il Giappone: geopolitica & storia. Il Giappone è un arcipelago costituito da 5 grandi isole - Honshu, Kyushu, Shikoku, Hokkaido, Okinawa e da 6800 isole più piccole.

• Honshu, l’isola centrale e più grande, costituisce circa il 60 % del paese e ospita più della metà della popolazione,

• Kyushu a sud ovest, è stato il punto di contatto più vicino ai paesi asiatici specialmente con la penisola coreana,

• Shikoku, più piccola e meno popolosa, si trova tra Honshu e Kyushu, • Hokkaido è la più settentrionale, • Okinawa è l’isola maggiore dell’arcipelago delle Ryukyu a sud ovest di Kyushu.

Il Giappone ha soltanto tre grandi pianure che hanno giocato un importante ruolo nella storia del paese e sono stati importanti centri agricoli, economici, politici e culturali:

• La piana del Kanto (Tokyo 35 milioni di abitanti) • La piana di Kinki o Yamato (Kyoto e Osaka) • La piana di Nobi (Nagoya)

Data la lunga catena montuosa e le abbondanti precipitazioni, il Giappone è solcato da numerosi fiumi che scendono velocemente dalle impervie montagne verso le vicine coste, purtroppo di breve corsa e non collegati tra loro. La morfologia del territorio non offre una rete fluviale navigabile e i fiumi vengono utilizzati meramente per l’irrigazione agricola.

I Giapponesi hanno sviluppato una buona cultura navale usandola per i collegamenti interni. Il mare interno, Seto, funge da autostrada navale collegando i grandi insediamenti del Kyushu (Kitakyushu, Fukuoka e Nagasaki) con una serie di prospere città lungo la costa occidentale dello Honshu, tra le quali Hiroshima, Kobe e Osaka. Anche la costa orientale dello Honshu è collegata alla regione del mare interno dai numerosi porti naturali lungo la costa pacifica, fra cui Nagoya e Tokyo. La costa occidentale dello Honshu, seppur meno sviluppata, ha collegamenti navali diretti fra Niigata e gli insediamenti circostanti e con Sapporo nell’Hokkaido.

Un’altra particolarità geografica del Giappone è la distanza dell’arcipelago dal continente asiatico. Il punto più vicino tra il Kyushu e la penisola coreana misura 190 km, un quarto in più della distanza tra l’Inghilterra e la Francia. La Cina si trova a 800 chilometri di distanza, l’Hokkaido si avvicina a nord alle isole russe Sakhalin nel mare di Okhotsk, ma questa parte della Siberia è sempre stata quasi totalmente disabitata. La corrente oceanica chiamata Kuroshio (lett. corrente nera) è stata utilizzata per millenni dai navigatori per solcare la rotta dal sud est asiatico alle coste occidentali giapponesi attraverso l’arcipelago delle Ryukyu. Altre isole e atolli minori giapponesi sono sparsi nel Pacifico. La distanza del Giappone dal continente euroasiatico ha fatto si che nella storia il Giappone non sia stato raggiunto e conquistato dai suoi vicini se non per brevissimi periodi. Con un paesaggio montagnoso, un sistema fluviale non navigabile, una lunga pianura costiera e pericolose rotte navali quale unico collegamento tra le isole e i paesi vicini, la società giapponese si è sviluppata come una serie di isole all’interno delle isole, piccole isole sociali ed economiche su isole geografiche appena più grandi. Le aree popolate del Giappone coprono la superficie che si vede nella mappa sottostante.

Densità abitativa del Giappone;

50 -20 abitanti per km2 200-700 abitanti per km2 +700 abitanti per km2

L’estensione territoriale è di 378,000 Km2, i ¾ del territorio sono ricoperti da montagne e foreste. Soltanto il 12% è adibito all’agricoltura e soltanto il 3% è abitato. I territori giapponesi sono rappresentati come il mare per dare l’idea di quanti territori disabitati ci siano nell’arcipelago. Ecco cosa si intende per “isole sociali e culturali all’interno delle isole geografiche”

REGIONI RIVALI. La storia giapponese è una serie di lotte intestine che hanno tormentato il paese nel tentativo di creare uno stato unificato e centralizzato. Questi sanguinosi conflitti interni derivano dalla scarsità di territori coltivabili e dalla conseguente lotta per i diritti territoriali e l’approvvigionamento alimentare. Il clima temperato, la ricchezza del suolo e l’efficienza dei contadini giapponesi garantivano un elevata produzione agricola annuale. Tuttavia la scarsità della terra arabile scatenava forti contese per monopolizzarla. Dopo l’avvento delle risaie (in acqua), dal III secolo a.C. fino al XIX secolo d. C. il sistema sociale, politico ed economico giapponese si è fondato sul riso. Il potere politico rimase nelle mani di chi controllava i territori agricoli e le riserve alimentari, e poteva chiedere il pagamento delle tasse in riso. I clan rivali combattevano ininterrottamente per controllare le principali pianure, quella di Yamato (anche detta Kinki) e la piana del Kanto.

I Kamon dei principali clan giapponesi. Stemmi di famiglia nati nel XI secolo per distinguere le più importanti famiglie giapponesi,ed in seguito i più importanti clan di samurai. Anticamente solo queste famiglie avevano stemmi, che servivano per distinguersi, perchè spesso i loro cognomi potevano essere simili. Solo a loro era concesso di avere un nome ed un cognome, mentre la popolazione "comune" aveva soltanto un nome proprio. In seguito, dopo il periodo Meiji, tutti ebbero diritto ad un cognome, e i Kamon si diffusero facilmente in tutto il Giappone.

In base alla mitologia giapponese l’imperatore Jimmu, nipote della dea del sole Amaterasu no Mikami, disceso dal regno celeste nel Kyushu, conquista lo Honshu centrale stabilendo la sede imperiale nella pianura che nel 660 d.C. prenderà il nome di Yamato. La tribù Yamato, infatti, riesce a prendere il potere e soggiogare le altre tribù verso il 300 – 400 d.C. scacciando verso i territori del nord ( Honshu e Hokkaido) gli autoctoni Ainu. Più tardi sotto l’influsso cinese viene stabilito un governo centralizzato e una imponente burocrazia che rende collettiva la proprietà della terra, ma impone un sistema di tassazione basato sulla produzione agricola, grazie al quale il clan dominante mantiene il potere. I primi learder Yamato stabiliscono la discendenza ereditaria dei futuri imperatori giapponesi. La dinastia giapponese è la più antica al mondo ancora formalmente regnante. La capitale viene stabilita a Nara nel 710 e viene trasferita a Kyoto nel 794.

(Kyoto, Palazzo Imperiale) La pianura di Yamato, grazie alla sua posizione, permetteva il controllo su quasi tutte le regioni vicine, era protetta da una catena montuosa, era ricca di campi per la coltivazione e di un mare interno pescoso, e riusciva a mantenere scambi commerciali con i paesi stranieri. Il potere centralizzato era però grandemente ostacolato dalla geografia montuosa del paese. La corte imperiale affrontò numerose sfide per mantenere e consolidare il potere nei territori distanti, per limitare i poteri regionali della nobiltà, per rafforzare le leggi e riscuotere le tasse. Verso la metà del IX secolo i nobili delle province avevano sottratto i propri territori al controllo della burocrazia imperiale e si erano alleati con gruppi militari in lotta per il dominio. I clan più potenti trasformarono la corte in un governo fantoccio, poi inaugurarono la lunga tradizione giapponese del ‘governo nascosto’.

(Shogun Minamoto no Yoritomo, 1192)

Nel XII secolo il potere si era ormai trasformato in un ordinamento di tipo feudale guidato da uno Shogun, termine dell’epoca Yamato per designare il generale in comando durante la guerra. Il primo shogun stabilì il suo bakufu (lett. governo tenda) nella piana del Kanto a Kamakura vicino a Tokyo. Gli imperatori, senza reali poteri, continuarono formalmente a governare dalla corte di Kyoto, lo shogunato però divenne il vero centro del potere. La pianura del Kanto non era solo molto più grande e produttiva di quella Yamato, ma aveva una posizione strategica migliore, poteva facilmente controllare i centri abitati lungo il mare interno e aveva un ottimo accesso al mare per la pesca, il commercio e i trasporti nella baia di Tokyo. Oltre ai propri territori agricoli nella piana del Kanto, il potere dello shogunato fu in grado di controllare le pianure e le acque della costa del Pacifico. Alla metà del XIV secolo il potere tornò nella pianura Yamato, quando il clan Ashikaga destituì il governo Kamakura e stabilì il proprio shogunato a Kyoto, utilizzando le

istituzioni imperiali già esistenti. Questa riaffermazione della piana Yamato come base del potere politico non ebbe grande successo, perchè nei secoli successivi scoppiò una sanguinosa guerra civile nella regione. Le armi da fuoco, ottenute grazie ai primi contatti con i Portoghesi verso la metà del XVI secolo, non cambiarono la natura dei conflitti, ma aprirono la strada ad una maggiore centralizzazione. Tre potenti shogun unificarono il paese, disarmarono i loro rivali, proibirono il possesso delle armi alle classi più umili e aprirono la strada al clan Tokugawa che stabilì un nuovo shogunato ad Edo, l’attuale Tokyo, nel 1600.

(Shogun Tokugawa Ieyasu, 1600)

A questo punto il trionfo della pianura del Kanto fu definitivo. Anche quando il clan Tokugawa fu spodestato e l’imperatore riprese il potere durante la Restaurazione Meiji nel 1868, la corte imperiale si spostò da Kyoto a Tokyo, riconoscendo la piana del Kanto come sede del potere nazionale. Spostando la sede imperiale a Tokyo, i Giapponesi eliminarono la rivalità politica con la piana Yamato, concentrando tutti i poteri nel cuore economico del paese, il Kanto. INTROVERSIONE : chiusura Il Giappone è caratterizzato dalla sua separazione geografica dal continente asiatico. Questa collocazione ha portato sia vantaggi che svantaggi, ed ha fatto sì che il comportamento dei Giapponesi riflettesse sia la loro insularità sia il bisogno di superarla, con tendenza alternata alla chiusura e all’apertura. Il Giappone non subì quasi immigrazioni o invasioni. Dopo l’ondata migratoria del 300 a.C. che portò il popolo Yamato (considerato oggi il gruppo etnico giapponese) nell’arcipelago, le isole non hanno più avuto grandi afflussi migratori. Gli Ainu, indigeni dell’arcipelago, furono spinti verso il nord dai primi Yamato e lì restarono fino alla colonizzazione da parte dei Giapponesi e l’assimilazione forzata verso la metà del XIX secolo. Anche la minaccia di invasione militare straniera fu praticamente inesistente: fino alla II guerra mondiale il Giappone non fu mai invaso. Nel 1280 l’esercito mongolo tentò d’invadere il paese due volte, ma fu impossibile per la flotta mongola mantenere il flusso dei rifornimenti attraverso il tempestoso stretto coreano. Al secondo tentativo d’invasione la flotta mongola fu distrutta da un tifone, che i giapponesi provvidenzialmente chiamarono kamikaze, (lett. vento divino). Il Giappone rimase quasi inespugnabile persino in epoca moderna. La grande difficoltà di una invasione da terra fu il principale motivo dell’utilizzo da parte statunitense della bomba atomica per mettere in ginocchio il paese durante la II guerra mondiale.

Uno degli svantaggi della posizione remota del Giappone fu che le idee innovative e le tecnologie arrivarono con grande ritardo. La società giapponese non partecipò alla competizione di idee che caratterizzò altre società , perché poco in contatto con altri popoli e isolata per lunghi periodi. I primi secoli del periodo Yamato sono narrati dalla mitologia giapponese, e le prime cronache storiche del Giappone sono opera di osservatori stranieri, Cinesi e Coreani. Solo nel VIII secolo, dopo aver adottato e modificato la scrittura cinese, i Giapponesi scrissero e tramandarono la loro storia. I Giapponesi si sono periodicamente negati al mondo esterno, bloccando le comunicazioni e focalizzando la propria attenzione sulle questioni interne. A volte la cultura giapponese ha riconfermato se stessa contro i modelli stranieri, in altri casi influenze esterne hanno minacciato l’autorità dell’elite politica o la sicurezza nazionale. Quando le dinastie Tang e Song scomparirono, la corte imperiale giapponese interruppe i regolari scambi diplomatici con la Cina. Più tardi il Giappone, temendo i Mongoli che avevano invaso sia la Cina che la Corea, optò per un isolamento forzato dal IX al XIII secolo. Quando gli Europei presero i primi contatti con i Giappone, il cristianesimo e il mercantilismo europeo si diffusero così velocemente che l’autorità politica dovette affrontare momenti d’insubordinazione e instabilità da parte di quegli elementi della società che stavano adottando idee e pratiche europee. Quando il clan Tokugawa prese il potere, intorno al 1600, epurò il cristianesimo e autorizzò solo alcuni piccoli porti allo scambio commerciale con i soli Portoghesi e Cinesi, mantenendo ermeticamente chiuso e relativamente stabile il resto del paese sotto un regime feudale per circa tre secoli. Quando il Giappone avvertiva più rischi che vantaggi nel rimanere in contatto con l’esterno, si isolava, ed era in grado di farlo grazie alla sua posizione geografica. ESTROVERSIONE: apertura In altri periodi il Giappone superò la propria insularità recuperando velocemente per imitazione il ritardo accumulato e prendendo a prestito saperi e tecnologie da culture più avanzate. Questo è avvenuto durante il periodo di emulazione sinofila. I Giapponesi sono unici nella capacità di fare velocemente proprie tradizioni straniere. La prima fase di assorbimento della cultura cinese inizia intorno al 550 d.C., quando la corte Yamato adotta il buddhismo (dopo profonde lotte interne), il confucianesimo e tutte le competenze amministrative e organizzative che ne derivano, introdotte principalmente da ambasciate e missioni coreane e cinesi. Dal VII al X secolo il Giappone invia studiosi in Cina con l’obbiettivo di ricreare in patria lo stesso sistema culturale, militare e politico, appropriandosi non solo dell’ingegneria civile, ma soprattutto della scrittura.

Le rotte delle ambasciate giapponesi versi il continente Le rotte della pirateria giapponese.

Quando arrivarono i Portoghesi, nel XVI secolo, i Giapponesi appresero subito l’arte di forgiare armi da fuoco e cannoni. Dagli Olandesi impararono a rilegare libri e appresero le basi degli studi scientifici e medici. I Giapponesi fecero proprie anche caratteristiche degli Inglesi, dei Francesi, degli Americani, e specialmente l’industrializzazione e lo sviluppo socio-politico dei Tedeschi. Nel periodo del dopo guerra il Giappone copiò gli USA nello sviluppo di una economia capitalista. Il desiderio giapponese di adottare tecnologie, conoscenze e risorse dei propri vicini spesso si tradusse in lunghi periodi di assorbimento. L’abilità navale giapponese rese possibile missioni sia militari che commerciali nei paesi vicini. La Corea è il paese più vicino al Giappone e strategicamente il più allettante, e ha spesso pagato le spese dell’aggressione giapponese.

(Conquista della Corea durante la Guerra Imjin, 1592-1598) Le vie commerciali della penisola coreana erano spesso utilizzate dalle flotte straniere, e dalla Corea potevano arrivare i potenziali invasori, Mongoli o Russi. Le forze giapponesi invasero la Corea molte volte: fra il IV e VIII secolo, verso la fine del XVI secolo, nel XIX e verso l’inizio del XX secolo, stabilendo una dominazione militare e spesso relazioni di tipo semi-coloniale. L’espansione commerciale raggiunse il picco durante il periodo Ashikaga, quando i mercanti giapponesi e i pirati (chiamati wokou) estesero il proprio dominio lungo l’arcipelago delle Ryukyu fino a Formosa (Taiwan), lungo tutta la costa orientale cinese, e da Hainan alle coste vietnamite e tailandesi fino allo stretto di Malacca. Durante il XIX e il XX secolo la spinta espansionistica giapponese prese una svolta militarista. Il Giappone invase Taiwan, la Corea, la Siberia, la Manciuria, la Cina e gran parte del sud est asiatico, fino alla II guerra mondiale. L’oscillazione giapponese tra chiusura e apertura estrema era solitamente breve, ma creava forti contrasti nel comportamento dei Giapponesi, spesso dovuti alle forze discordanti in campo. Da qui l’analogia del Giappone con una società terremotata, una società che periodicamente sperimenta cambiamenti sociali e politici così improvvisi come i movimenti tellurici che frequentemente scuotono le sue fondamenta. IMPERATIVI GEO POLITICI. Quattro imperativi geopolitici condizionano l’atteggiamento della società giapponese come entità culturale e geografica :

• Stabilire e mantenere un autorità centralizzata e l’unità interna • Esercitare la sovranità sulle isole periferiche e sui mari circostanti • Assicurarsi l’autonomia tenendo sotto controllo strategico la Corea e Taiwan, ed anche

le isole Sakhalin e le isole Kurili al nord. • Acquisire i beni, le risorse e la mano d’opera che le mancano espandendo il proprio

potere militare o commerciale all’estero, verso la Siberia, le Manciuria, la Cina e il sud est asiatico.

Il militarismo giapponese: una strategia sovrana. Gli imperativi geopolitici giapponesi si sono realizzati tutti in era moderna, grazie al susseguirsi di eventi che hanno portato al confronto con gli Stati Uniti nel Pacifico durante la II guerra mondiale. Il controllo centrale e l’unità nazionale. Durante il periodo Tokugawa dal 1600 al 1868 il Giappone aveva una struttura governativa di tipo feudale decentralizzata, ma era completamente tagliato fuori dal resto del mondo. Anche se la società fu molto stabile durante tutto il periodo a parte qualche tumulto popolare a causa della scarsità delle riserve alimentari, durante il XIX secolo emersero diverse fazioni in lotta per il potere, mentre la presenza straniera, assidua e pressante, cercava di convincere il paese ad aprirsi al commercio mondiale. Nel 1853 la famosa nave statunitense del Commodoro Perry pretese a cannoni spiegati che il Giappone aprisse i suoi porti al commercio. I Giapponesi dovettero scegliere fra essere colonizzati come i loro vicini (compresa l’ammirata Cina), oppure votarsi all’industrializzazione in modo da negoziare con gli occidentali sullo stesso livello. Questo portò nel 1868 alla Restaurazione Meiji. Un gruppo radicale di giovani samurai dai territori occidentali del paese fece un colpo di stato contro lo shogunato Tokugawa e re-insediò l’imperatore come guida della nazione, avviando un rapido processo di centralizzazione e modernizzazione del sistema militare, politico e socio economico del paese. Nuovamente unificato sotto una stabile leadership, il Giappone affrontò il secondo imperativo: esercitare egemonia sui territori vicini. Tokyo costruì una moderna flotta navale e militare. Alcuni leader Meiji volevano invadere la Corea (come nel 1590). Questa proposta non fu accettata, ma fu invece lanciata nel 1874 una spedizione contro Taiwan, con la scusa di rivendicare i diritti sulle Ryukyu. Queste isole offrono un comodo passaggio attraverso il mare meridionale cinese per avvicinarsi al cuore del paese e sono perciò strategicamente importanti per il Giappone (come dimostrerà l’uso di Okinawa da parte degli statunitensi come base per i raid aerei sul paese durante la II guerra mondiale). Nel 1894 il Giappone guardò nuovamente alla Corea come possibile ponte di una potenza nemica. Il Giappone combattè una guerra con la Cina per il controllo della penisola, aumentando la sua influenza sulla Corea ed ottenendo Taiwan e la penisola di Shandong, avamposto cruciale per il commercio nel mare orientale cinese. Il Giappone tentò inoltre di evitare che Mosca si estendesse in Manciuria e nella vicina Corea. Dal 1904 al 1905 Tokyo sconfigge Mosca e si assicura territori strategici come la parte meridionale delle isole Sakhalin e altri territori sul mare di Okhotsk, tutte potenziali vie di attacco contro il Giappone. Nel 1910 il Giappone annesse formalmente la Corea e portò Taiwan sotto il suo controllo, adempiendo ai primi tre imperativi.

Ora il Giappone aveva la possibilità di espandersi in qualsiasi direzione nella regione. I suoi obbiettivi erano principalmente economici. Dopo l’industrializzazione l’obbiettivo del paese era ottenere le risorse di cui aveva bisogno per mantenere il suo vasto impero. La rapida crescita industriale aveva reso il paese consapevole dei limiti delle sue risorse naturali. La crescita industriale richiede continui apporti di materie prime (petrolio, ferro, carbone e gomma). Occorreva anche più cibo per la crescente popolazione giapponese, che tra il 1868 e il 1926 passò da 30 a 60 milioni. Il paese aveva bisogno di incrementare la produzione più velocemente dei vicini. Politici e militari erano consapevoli che il futuro del Giappone moderno sarebbe dipeso dalle importazioni, le quali dipendono dalla libertà delle rotte commerciali. Nel 1930 il Giappone conquistò la Mongolia e utilizzò la Cina come bacino di forza lavoro e di risorse naturali. Ma l’equilibrio con la Cina si deteriorò velocemente, scoppiò la guerra. Anche le tensioni con l’occidente raggiungevano l’apice. Gli Stati Uniti preoccupati dei loro interessi nel Pacifico diedero al Giappone un ultimatum e imposero l’embargo petrolifero (all’epoca gli Stati Uniti rifornivano il Giappone del 80% del petrolio necessario alle sue industrie). Tokyo poteva capitolare, oppure impossessarsi delle enormi risorse del sud est asiatico, specialmente dell’Indonesia ricca di petrolio ma controllata dagli Olandesi. Oppure poteva colpire gli Olandesi e gli Inglesi, entrambi alleati degli Stati Uniti, e quindi entrare in guerra anche con gli Stati Uniti. I Giapponesi rischiarono e persero: attaccarono preventivamente la flotta statunitense a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 affondando il paese in una guerra totale con gli Stati Uniti, mentre scippavano tutte le risorse del sudest asiatico per ottenere la tanto agognata indipendenza economica totale. La vittoria statunitense nella II guerra mondiale tolse al Giappone la sovranità persino sulle isole dell’arcipelago. Gli Stati Uniti ricostruirono il Giappone, ma imposero una costituzione che preclude la possibilità di mantenere un esercito e una flotta militare, per impedire qualsiasi futura minaccia giapponese al dominio navale Usa nel Pacifico. Ma i Giapponesi si rimisero rapidamente in piedi e tornarono a cercare i propri obbiettivi geopolitici, questa volta con l’aiuto degli Stati Uniti. Restituendo la sovranità al Giappone con il Trattato di pace di San Francisco del 1952 e con l’alleanza del 1960 Washington soddisfece i primi tre obbiettivi geopolitici giapponesi. Dal punto di vista giapponese sia la Corea del Sud che Taiwan erano paesi sicuri, grazie alla comune alleanza con gli Stati Uniti.

L’impero giapponese e la sua sfera di influenza marittima e territoriale nel 1941.

Il mercantilismo giapponese Sicuri che la stabilità del paese fosse garantita dall’impegno statunitense (dottrina Yoshida) i Giapponesi si dedicarono al quarto imperativo geopolitico: l’acquisizione di risorse attraverso il commercio anziché la guerra. Il primo passo fu quello di sviluppare una politica industriale. L’economia prebellica nipponica si basava sugli zaibatsu, enormi monopoli industriali creati dalle oligarchie durante il periodo Meiji. I dirigenti degli zaibatsu erano i Mitsubishi, i Mitsui, gli Sumitomo e gli Yasuda. Gli zaibatsu operavano in industrie strategiche come quella dell’acciaio, delle miniere, dei prodotti chimici, delle costruzioni, dei macchinari e spedizioni, ed erano profondamente collegati al governo militare e all’economia bellica. Nell’epurazione post bellica gli Stati Uniti spodestarono molti dei principali dirigenti e richiesero che le aziende fossero parcellizzate per creare competizione sul mercato. Tuttavia gli Stati Uniti cambiarono la propria politica quando la Guerra Fredda si intensificò. Era necessario che il Giappone mantenesse un forte apparato industriale, quindi gli zaibatsu non furono mai del tutto smantellati; Mitsubishi, Mitsui e Suitomo sopravvissero. Si vennero velocemente a formare nuovi gruppi industriali dai resti degli zaibatsu e da aziende emergenti, chiamate keiretsu (company group). I keiretsu mantennero la stessa struttura degli zaibatsu. Ogni gruppo possedeva una banca centrale e diverse minori, ognuna delle quali possedeva le azioni del gruppo e garantiva prestiti preferenziali alle aziende del gruppo. In questo modo i keiretsu controllavano tutta l’economia, con aziende in ogni settore strategico. Ogni keiretsu era integrato verticalmente con i fornitori minori, i commercianti all’ingrosso e i rivenditori, formando una catena di distribuzione continua e dedicata. A differenza degli zaibatsu prebellici, che avevano una severa catena di comando, le singole società dei grandi gruppi industriali del Giappone moderno hanno libertà di competere l’una con l’altra. I keiretsu mantengono ancora una fortissima relazione con il potere politico come nel Giappone del dopoguerra. Il passo successivo vide l’uso del potere produttivo per aumentare il traffico marittimo e aprire le tratte marittime mondiali, rinforzando il flusso dei rifornimenti e agevolando le esportazioni. Negli anni 50 e 60 il Giappone riuscì a garantirsi facile accesso alle materie prime. Il Giappone divenne un gigante del commercio globale, il boom economico fu incredibile. Gli Stati Uniti garantirono alle case di produzione giapponesi accesso privilegiato alle tecnologie e al proprio mercato di consumatori, tollerando la politica protezionista del Giappone in difesa dell’economia nazionale, il controllo dei capitali e il ricorso alla

"Dottrina Yoshida", dal nome del primo ministro che la concepì. Fondandosi sul ricorso alla protezione militare degli USA, la "dottrina Yoshida" ha escluso il paese dalla partecipazione ai meccanismi delle alleanze internazionali, salvaguardandolo da scelte diplomatiche complesse. Ha inoltre rassicurato i paesi vicini contro un possibile riarmo nipponico, ottenendo così la riapertura dei loro mercati, ed è servita ad avvantaggiare l'economia nazionale, grazie all'assenza di spese militari. (foto) Shigeru Yoshida, (1878 – 1967)

svalutazione della moneta per promuovere le esportazioni. Il governo giapponese pescò dai risparmi dei cittadini attraverso il sistema bancario postale e lo investì attraverso il ministero della finanza e il ministero del commercio internazionale per sviluppare i settori strategici. I politici insieme ai burocrati e ai direttori d’azienda formavano un triangolo di ferro che governò la politica e l’economia giapponese per tutto il periodo della guerra fredda. Nel 1967 il Giappone divenne la seconda economia mondiale. Tokyo concentrò i suoi sforzi sull’estero e creò rapporti di produzione e scambi internazionali. Gli investimenti esteri continuarono ad aumentare fino al 1980, quando la super abbondanza di capitale permise alle banche giapponesi di fare prestiti per promuovere l’industrializzazione nelle economie vicine. Gli investimenti nipponici seguirono lo stesso percorso delle conquiste del Giappone all’inizio del XX secolo: Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e il Sud est asiatico, anche la Cina. Così il Giappone riuscì ad ottenere l’accesso ai mercati che aveva tentato di conquistare durante la II Guerra Mondiale. ECONOMIA POST GUERRA FREDDA La strategia commerciale giapponese funzionò bene fino alla fine della Guerra Fredda, ma con il crollo dell’Unione Sovietica e l’apertura della Cina al commercio Washington non aveva più alcun interesse a favorire l’economia giapponese. Nel 1990 ebbe inizio un periodo di dieci anni di crisi finanziaria e recessione. Il governo fece ricorso a tutti i mezzi a disposizione per prevenire il collasso dell’intero sistema finanziario; il deficit aumentava e il debito pubblicò sfiorò il record. Nel 2003 il Giappone riaffiorò da una decade di malessere economico. Ma la crisi economica mondiale del 2008-2009 ha reso vani i piccoli passi in avanti degli anni precedenti. FORZE ARMATE POST GUERRA FREDDA Dopo la Guerra Fredda le forze militari giapponesi si ricostituirono. Uno dei motivi dell’accelerazione del riarmo giapponese fu la comparsa della Cina sia sulla scena economica che su quella militare; inoltre la minaccia del regime nord coreano fornì al Giappone una buona scusa. Alcune questioni di sovranità territoriale su isole periferiche rimangono ancora aperte con i vicini, come alcune contese sui limiti di sovranità su acque ricche di risorse naturali: Takeshjima (Dokdo) è disputata alla Corea del Sud, le isole Senkaku (Diaoyutai) sono in disputa con la Cina, i territori settentrionali (isole Kurili) con la Russia. Inoltre il Giappone ha ancora basi statunitensi sul suo territorio che vorrebbe rimuovere. I Giapponesi continuano, giustamente, ad essere preoccupati della vulnerabilità delle rotte marittime, fonti dei preziosi rifornimenti di materie prime. La maggior parte delle importazioni di petrolio deve passare dallo stretto di Malacca, punto nevralgico e fortemente instabile. Con l’obbiettivo di assicurare queste rotte il Giappone ha rafforzato la sua flotta navale e ne ha ampliato l’utilizzo. Le navi giapponesi sono già state coinvolte in missioni nello stretto di Malacca, nell’Oceano Indiano e alle Coste della Somalia. Questioni territoriali e attività navali regionali diverranno più competitive negli anni a venire quando il Giappone e gli altri paesi asiatici dovranno affrontare la sempre maggiore ingerenza cinese. Il Giappone mantiene un importante ruolo in questioni internazionali con missioni di peacekeeping e in risposta ad emergenze umanitarie. La fanteria giapponese è stata utilizzata come forza di contrapposizione dalle Nazioni Unite sulle alture del Golan, in Mozambico e

Cambogia. L’esercito giapponese ha avuto un ruolo importante nella missione umanitaria del 2004 seguita allo tsunami che ha colpito il sudest asiatico. IL GIAPPONE A UN BIVIO La maggiore minaccia agli imperativi strategici giapponesi nel XXI secolo è l’invecchiamento e la riduzione della popolazione. Dal 1970 al 1990 il numero di anziani è raddoppiato, e questo dato ha giocato un ruolo fondamentale nella crisi economica degli anni ‘90. La generazione nata tra il 1971 e il 1974 (baby boom), ha causato un crollo drammatico delle nascite, per numerosi fattori socio economici tra cui la maggior densità abitativa, l’alta percentuale di divorzi e i costi di mantenimento dei figli. Quando questa generazione raggiungerà l’età del pensionamento , pochissimi giovani saranno disponibili a portare avanti l’economia del paese. In base alle statistiche del Japan Statistics Bureau, la popolazione del Giappone ha raggiunto i 128 milioni nel 2004 e si stima che diminuisca a 115 milioni entro il 2030 e a 95 milioni nel 2050. Tra il 2010 e il 2050 i bambini sotto i 14 anni diminuiranno dal 13% della popolazione a meno del 9%, gli over 65 aumenteranno dal 23% a quasi il 40%. La popolazione in età lavorativa passerà dal 65% al 52%.

Con l’invecchiamento della popolazione l’economia rallenta e vengono meno anche le possibilità in campo politico e militare. Si assisterà ad un lento ma costante declino economico proporzionato alla riduzione della forza lavoro e del numero di consumatori. Le finanze pubbliche continueranno a diminuire a causa della diminuzione dei profitti delle aziende e dei redditi privati che si tradurranno in minori entrate erariali e in una maggiore spesa pubblica, che dovrà però farsi carico delle pensioni e della salute della popolazione che invecchia. (I Giapponesi sono il popolo più longevo al mondo).

Quindi il Giappone ha raggiunto un bivio storico. Il Giappone è probabilmente all’inizio di un ennesimo periodo di chiusura. Il Giappone però potrebbe anche divenire pioniere di una società tecnologicamente avanzata nell’età del post-consumo, che riesca a gestire un intenso incremento produttivo di servizi nonostante la diminuzione dei consumi. Emanuela Borgnino