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il Giornale di Divulgazione Scientifica del GDS
N U M E R O
07 il Gatto Di Schrödinger
L U G L I O 2 0 1 4
in questo numero: Editoriale 2
Grandi Della Scienza:
John von Neumann 4
Laboratori scientifici e proposte
divulgative 7
Raffreddamento da fusione
(Gianni Marigo) 8
La chimica dei colori naturali
(Valentina Saitta) 16
La Quinta Dimensione
(Alex Casanova) 18
AccaDueO (Fabiano Nart) 29
Gocce Di Scienza 33
Informazioni utili 35
il Gatto Di Schrödinger
della quinta dimensione, portando alla ribalta
storie sconosciute ai più e volti non sempre noti
del passato: in questo caso quello del fisico fin-
landese Gunnar Nordström.
Se c’è la fisica, non può mancare la chi-
mica! Per questo numero estivo ho voluto intro-
durvi alle peculiarità dell’acqua, dato che in
questo periodo si dovrebbe farne abbondante
uso (il condizionale è dovuto alle temperature
piuttosto basse di questa estate). L’acqua è un
composto chimico semplice, quasi banale, ma
ha delle proprietà uniche e senza le quali la no-
stra vita sarebbe molto difficile, se non impossi-
bile.
Non mancano come sempre le nostre
rubriche. Per i “Grandi della Scienza” il nostro
Consigliere Dott. Giovanni Pellegrini ci racconta
del grande genio ungherese, matematico, fisico
e informatico John von Neumann. Per dirne u-
na, questo scienziato a dieci anni conversava in
greco antico col padre e padroneggiava sei lin-
gue. Le “Gocce di Scienza”, che raccolgono
citazioni, pillole e spigolature scientifiche, sono
state questa volta curate dal nostro Segretario
Dott. Manolo Piat, che si è anche occupato del-
la rubrica sui numeri: questa volta il protagoni-
sta è il 7.
Non mi rimane che augurarvi buona let-
tura e, per qualcuno, buone vacanze!
Il Presidente del GDS
dott. Fabiano Nart
Cari lettori tutti, se anche voi, come il
sottoscritto, siete assidui frequentatori della
montagna in tutte le salse, escursionismo o
ultratrail che sia, avrete notato gli ancora ab-
bondanti accumuli di neve che si trovano do-
ve solitamente in questo periodo c’è spazio
per prati e fiori. Non è un caso quindi che ab-
biamo voluto dedicare la copertina di questo
settimo numero all’articolo del collega e amico
Dott. Gianni Marigo dell’ARPAV di Arabba e
vecchia conoscenza del Dolomiti in Scienza.
Nel suo contributo il Dott. Marigo ci illustra,
con l’uso di semplici concetti termodinamici,
come il limite delle nevicate dipenda da molti
fattori: il più sorprendente, e forse il meno no-
to, è il raffreddamento da fusione, che può far
abbassare di molto il limite delle nevicate, ol-
tre lo zero termico.
Rimaniamo in Dolomiti anche con
l’articolo della Dott.ssa Valentina Saitta, rela-
trice all’ultimo Dolomiti in Scienza. Il contribu-
to è una rivisitazione del seminario
dell’inverno scorso, ma con molta più chimica!
Si parla difatti della chimica dei colori naturali,
ovvero di quei composti colorati che si posso-
no estrarre dalle sostanze naturali, tra le quali
molte sono autoctone del nostro territorio.
Con il nostro consigliere Dott. Alex Ca-
sanova cambiamo completamente argomen-
to: chi lo conosce sa che ama sbizzarrirsi con
l’aspetto epistemologico e storico delle grandi
ricerche in campo fisico. Questa volta ci parla
2
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Editoriale
il Gatto Di Schrödinger
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Curiosità scientifiche sul numero 7
Sette sono i numeri del “Gatto di Schrödin-
ger” usciti finora: sette è quindi il numero del quale
questa rubrica vi racconterà alcune curiosità scien-
tifiche.
Dal punto di vista matematico, il 7 gode di
molte particolari proprietà. Innanzitutto è un numero
primo: precisamente il quarto, tra il 5 e l’11. Inoltre
si tratta di un numero primo di Mersenne, cioè della
forma 2n-1, dove n è ancora primo (in questo caso
n=3), nonché un numero primo sicuro, cioè della
forma 2p+1, dove p è ancora primo (in questo caso
p=3). Il 7 è anche un numero idoneo (non può es-
sere espresso nella forma ab+bc+ac, dove a, b e c
sono interi positivi) e un numero felice (sostituendo
iterativamente il numero con la somma dei quadrati
delle sue cifre, si ottiene alla fine 1). È anche un
numero di Carol, perché può essere espresso nella
forma 4n - 2
n + 1 - 1.
Sono sette i problemi matematici del Millen-
nio (Millennium Problems), posti all'attenzione dei
matematici dal Clay Mathematics Institute nel mag-
gio del 2000: solo uno di essi è stato finora risolto,
e per la risoluzione di ognuno è previsto un premio
di un milione di dollari.
In chimica, 7 è, innanzitutto, il numero atomi-
co dell'Azoto (N). È anche un numero che ricorre in
alcune classi o gruppi di interesse chimico: sette
sono gli elementi del primo gruppo del sistema peri-
odico: idrogeno, litio, sodio, potassio, rubidio, cesio,
francio; sette sono anche i termini della scala di
fusibilità dei minerali di Kobell (stibnite, natrolite,
almandino, actinoto, adularia, bronzite, quarzo);
sette, inoltre, sono le classi di simmetria dei sistemi
cristallini (cubico, esagonale, tetragonale, trigonale,
rombico, monoclino e triclino). Nella scala di durez-
za relativa dei minerali (Mohs), infine, il numero 7
corrisponde al quarzo.
Nel mondo della fisica, sette sono i colori
dell'arcobaleno, cioè le bande di frequenza nelle
quali è convenzionalmente suddiviso lo spettro visi-
bile: giallo, arancione, rosso, verde, blu, indaco e
violetto. Sette sono anche le grandezze fisiche fon-
damentali, ognuna delle quali viene misurata, se-
condo il Sistema Internazionale, da una specifica
unità di misura: lunghezza (metro), massa
(chilogrammo), tempo o durata (secondo), corrente
elettrica (ampere), temperatura termodinamica
(kelvin), quantità di sostanza (mole), intensità lumino-
sa (candela).
In astronomia, l'ammasso aperto delle Pleiadi
è tradizionalmente considerato come formato da set-
te stelle, anche se in realtà ne contiene di più.
Sette sono anche le stelle più luminose delle
costellazioni dell'Orsa Maggiore e dell'Orsa Minore.
Alle sette stelle dell’Orsa Maggiore si ricollega anche
il termine “settentrione”: in latino, infatti, “septem trio-
nes” significa "i sette tori da traino", espressione con
la quale gli antichi si riferivano alle stelle della celebre
costellazione. Sette sono gli oggetti celesti del Siste-
ma Solare visibili a occhio nudo dalla Terra: il Sole, la
Luna e i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove, Sa-
turno. “7 Iris" è il nome di un asteroide che prende il
nome dalla divinità Iris, rappresentativa dell'arcobale-
no.
In medicina, sono sette le ossa del tarso pre-
senti nel piede umano: calcagno, astragalo, scafoide,
cuboide, tre cuneiformi. Sette sono anche le vertebre
cervicali. In biologia, sette sono i tipi di virus secondo
la classificazione di Baltimore.
Sette paia di enormi spine caratterizzavano il
dorso dell’Hallucigenia, un misterioso animale marino
vissuto tra il Cambriano inferiore e il Cambriano me-
dio, cioè tra 520 e 505 milioni di anni fa. I suoi resti
sono stati rinvenuti nei giacimenti di Burgess Shales
in Canada e di Maotianshan in Cina.
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Far infuriare il proprio professore di ma-
tematica è probabilmente un’impresa che è
riuscita a molti. Ridurlo alle lacrime è
senz’altro cosa degna dei pochi più perfidi. Ma
commuoverlo grazie al proprio talento mate-
matico è cosa per pochi eletti e uno di questi
pochi è John von Neumann.
Fig. 1. John von Neumann.
John von Neumann nasce János Lajos
Neumann da un’agiata famiglia di commer-
cianti e banchieri di Budapest il 28 dicembre
1903. Già nei primi anni della sua vita rivela
immediatamente il suo straordinario talento
matematico: all’età di 6 anni è in grado di effet-
tuare a mente divisioni con numeri di 8 cifre e
familiarizza con i concetti di calcolo differenzia-
le e integrale all’età di 8 anni. Il padre insiste
affinché John frequenti scuole e istituti appro-
priati alla sua età e tuttavia, per assecondare i
talenti del figlio, provvede a impiegare dei tutori
privati per istruirlo nei campi nei quali egli mani-
festa particolare predisposizione. All’età di 15
anni comincia a studiare calcolo avanzato sotto
l’egida di Gábor Szegö: al loro primo incontro, il
professore è così colpito dallo straordinario ta-
lento del ragazzo che scoppia in lacrime.
Dopo aver ottenuto un dottorato in mate-
matica all’università di Budapest all’età di 22
anni e una laurea in ingegneria chimica al poli-
tecnico di Zurigo, quest’ultima per assecondare
le volontà del padre, von Neumann comincia la
sua straordinaria carriera accademica. I contri-
buti di von Neumann ai più disparati campi di
matematica, fisica ed economia sono tali e tanti
che risulta impossibile elencarli tutti: ci limitere-
mo quindi alle vere e proprie pietre miliari della
sua sfolgorante carriera scientifica.
L’esperienza di Gottinga è senz’altro una
della parentesi più importanti della prima vita
accademica di von Neumann. Sotto la supervi-
sione di David Hilbert si dedica con fervore allo
studio dell’approccio assiomatico alla matema-
tica, approccio che caratterizzerà tutto il suo
percorso accademico. Appreso il teorema di
Grandi Della Scienza: John von Neumann
(Budapest, 28 dicembre 1903 – Washington, 8 febbraio 1957)
di Giovanni Pellegrini (GDS)
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incompletezza di Kurt Gödel alla Conferenza
di Könisberg, è il primo, oltre a Gödel stesso,
a realizzarne la portata rivoluzionaria. Nel giro
di un paio di mesi, dimostra come dal teorema
di incompletezza discenda l’indimostrabilità
della coerenza dell’aritmetica e invia immedia-
tamente il suo manoscritto a Gödel. Lo stesso
gli risponde prontamente con il proprio mano-
scritto, già peraltro inviato a una rivista scienti-
fica, dove dimostra lo stesso risultato. Von
Neumann riconosce immediatamente la pater-
nità di questo importante risultato a Gödel,
tuttavia il suo prestigio esce ingigantito da
questo episodio, dove dimostra di poter appli-
care il suo intelletto, dalla potenza apparente-
mente sconfinata, a qualsiasi problema gli si
ponga sottomano. Sempre nello stesso perio-
do von Neumann pubblica un ulteriore rivolu-
zionario articolo, contenente la dimostrazione
del famoso teorema Minimax, che diverrà in
futuro la pietra fondante della teoria dei Gio-
chi.
Agli inizi degli anni ‘30 von Neumann è
ripetutamente ospite a Princeton, dove a parti-
re dal 1933 diventa membro dell’Institute for
Advanced Studies assieme, tra gli altri, ad Al-
bert Einstein. Poco dopo, con l'arrivo dei nazi-
sti al potere, abbandona definitivamente la
sua posizione accademica in Germania, pren-
de il nome di John von Neumann e occupa
quella che sarà la sua cattedra a Princeton
fino alla fine dei suoi giorni. Il periodo ameri-
cano è con grande probabilità il più prolifico
della carriera di von Neumann, con contributi
di inestimabile importanza nei campi più di-
sparati. È in questo periodo che von Neumann
formula l’assiomatizzazione della meccanica
quantistica, scrive il libro “Theory of Games and
Economic Behavior” assieme a Oskar Morgen-
stern e rivolge la sua attenzione ai problemi del
calcolo elettronico, fino a definire la cosiddetta
architettura di von Neumann, sulla quale si ba-
sa tuttora il design della maggior parte dei com-
puter.
Fig. 2. John von Neumann con Robert Oppenhei-
mer (da www.computerhistory.org).
Un trattamento a parte merita il suo coin-
volgimento nel Manhattan Project. Viscerale
anticomunista, a causa delle sue precedenti
esperienze europee, è stato uno dei padri della
prima bomba atomica occupandosi del concet-
to di “lente esplosiva”, ovvero del meccanismo
deputato a comprimere il carico di materiale
fissile per innescare la reazione di fissione nu-
cleare. Non contento, si dedica con successo
al progetto della bomba H assieme a Edward
Teller. Tale impegno militaristico getterà
un’ingiusta ombra sulla sua figura di accademi-
co, tanto da ispirare la figura del Dottor Strana-
more del celeberrimo film di Stanley Kubrik.
John von Neumann non è però stato solo
famoso per la sua produzione scientifica, ma
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anche per la sua giovialità e socialità. Amante
dei bei vestiti, si narra che David Hilbert sia
stato così colpito dalla sua eleganza da chie-
dergli quale fosse il suo sarto durante la di-
scussione della tesi di dottorato. Sono diventa-
te leggendarie le feste nella sua casa di Prin-
ceton, feste che si tenevano anche più volte a
settimana. Oltre ai vestiti, von Neumann ama-
va mangiare e bere, tanto da far dire alla mo-
glie che egli potesse contare qualsiasi cosa,
tranne le calorie.
Fig. 3. John von Neumann con Albert Einstein (da
picturesdotnews.wordpress.com).
Le migliori descrizioni di von Neumann, e
del suo brillante intelletto, sono però quelle che
vengono date dai suoi colleghi. George Pólya,
suo professore al politecnico di Zurigo, diceva
di lui:
“Johnny è stato l’unico studente di cui io abbia
mai avuto paura. Se durante una lezione ac-
cennavo a un teorema non ancora dimostrato,
era molto probabile che a fine lezione lui arri-
vasse da me con la dimostrazione scribacchia-
ta su un pezzetto di carta”.
Il premio Nobel Hans Bethe diceva poi di
lui:
“A volte mi sono chiesto se una mente come
quella di von Neumann non dimostri che esiste
una specie superiore a quella umana”.
Un tumore alle ossa, probabilmente do-
vuto all’eccessiva esposizione alle radiazioni
durante uno dei test della bomba H, lo costrin-
ge su una sedia a rotelle e lo porta alla morte
l’8 febbraio 1957. L’eredità lasciata da von
Neumann è sconfinata e forse, per descriverla,
è meglio rifarsi nuovamente alle parole di Hans
Bethe:
“Mi sembra appropriato dire che, se interpretia-
mo l’influenza di uno scienziato in maniera ab-
bastanza ampia da includere l’impatto delle
sue scoperte in campi al di fuori della scienza
stessa, John von Neumann sia stato il mate-
matico più importante mai vissuto. ”
Bibliografia
Israel, G. “The World as a Mathematical
Game: John von Neumann and Twentieth
Century Science”, Science Networks. His-
torical Studies. Birkauser 2009. ISBN 978-
3764398958.
h t t p : / / i t . w i k i p e d i a . o r g / w i k i /
John_von_Neumann ( v is i ta to i l
13/07/2014).
h t t p : / / e n . w i k i p e d i a . o r g / w i k i /
John_von_Neumann ( v is i ta to i l
13/07/2014).
Halmos, Paul R. "The legend of John von
Neumann." American Mathematical
Monthly (1973): 382-394.
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comprendono biologia, chimica, fisica, geo-
logia e matematica.
Ecco alcuni dei titoli dei laboratori scientifici
che possiamo proporre: “Il luna park della chi-
mica”, “Magie o elettromagnetismo?”,
“Immersi nei fluidi”, “Ma tu li mangi i sassi?”,
“Guarda, mamma: un dinosauro!”, “Boom! Si è
svegliato il vulcano!”, “Il terremoto? Niente pa-
ura!”, “Tutti i colori della matematica”,
“Matemagica”, “Bricolage matematico”, “C’era
una volta un re”. Le lezioni-laboratorio per le
scuole secondarie di II grado includono: “I bu-
chi neri sono rock!”, “La matematica è rock”,
“Numeri e parole”. Tra gli science-show per
famiglie: “La Terra fuori dall’orbita: a zonzo
per il sistema solare” e “La bella matematica”.
E in occasione delle Giornate della Scienza,
non potrà mancare la magia delle bolle di sa-
pone giganti!
Contattateci, quindi, per richiedere i nostri la-
boratori e gli altri interventi didattici e consulta-
te il sito per il catalogo dettagliato (e-mail: in-
[email protected], sito: http://
www.gdsdolomiti.com).
Da qualche anno, il GDS (Gruppo Divulgazio-
ne Scientifica Dolomiti “E. Fermi”) sta inve-
stendo la maggior parte delle proprie risorse
nella realizzazione di laboratori didattici di
carattere scientifico, destinati a scuole di ogni
ordine e grado, ma anche a biblioteche, mu-
sei, ed enti pubblici e privati di ogni genere.
Gli interventi proposti sono curati dagli esperti
e dai relatori del GDS. Avendo maturato in
questo settore una notevole esperienza, rite-
niamo di poter offrire un contributo di elevata
qualità e uno strumento di grande efficacia
per mostrare ai ragazzi la bellezza e l'aspetto
divertente delle discipline scientifiche, senza
mai trascurare rigore e precisione.
In questi giorni sta uscendo la nuova edizione
del nostro Catalogo, che raggruppa gli inter-
venti proposti per tipologia: sono disponibili
laboratori scientifici per bambini e ragazzi
dai 6 ai 13 anni, lezioni-laboratorio per ra-
gazzi delle scuole secondarie di II grado,
ma anche science show per famiglie, Gior-
nate della Scienza e le classiche conferen-
ze del GDS. Le aree scientifiche coperte
Laboratori scientifici e proposte divulgative
il Gatto Di Schrödinger
Ricordiamo che il limite della nevicata
rappresenta la quota oltre la quale la precipita-
zione assume prevalentemente (90%) forma
solida (Kappenberger e Kerkmann, 1997), e
non la quota oltre la quale si verifica un accu-
mulo di neve al suolo. Solitamente il limite del-
la nevicata è inferiore alla quota di accumulo
al suolo.
Il raffreddamento da fusione
Il meccanismo di raffreddamento
dell’atmosfera a opera della fusione della neve
è già stato analizzato in numerosi lavori
(Findeisen, 1940; Wexler et al., 1954; al.): du-
rante una precipitazione nevosa, a meno che
la temperatura negativa o prossima a 0°C
dell’intera colonna d’aria consenta alla neve di
scendere direttamente fino alla quota del fon-
dovalle, la neve inizia a cadere in uno strato di
atmosfera con temperature positive, iniziando
così il processo di fusione. Tale processo è un
cambiamento di stato dell’acqua da ghiaccio
ad acqua liquida, e necessita quindi di calore,
MoltI fattori atmosferici concorrono a de-
terminare tale quota, tra i quali quello sicura-
mente più importante è la natura termica della
massa d’aria, in altre parole lo Zero Termico,
ovvero l’altitudine nella libera atmosfera alla
quale si trova l’isoterma di 0°C. Tuttavia, a pa-
rità di condizioni iniziali generali, il limite della
neve può risultare drasticamente diverso in
funzione principalmente dell’intensità e della
durata della precipitazione e anche in funzione
della morfologia del terreno.
Tra le variabili più importanti c’è sicura-
mente l’effetto di raffreddamento dell’aria in-
dotto dalla fusione della neve precipitante, il
così detto “raffreddamento da fusione”, che
può causare cali del limite della nevicata an-
che rilevanti.
Un altro aspetto da tenere in considera-
zione, soprattutto nelle fasi iniziali di un evento
precipitativo, è l’Umidità Relativa della massa
d’aria nello strato limite, ovvero nello strato più
prossimo al terreno. 8
Raffreddamento da fusione: la quota della nevicata in funzione dell’intensità
della precipitazione e della morfologia del territorio
di Gianni Marigo
(ARPAV - Centro Valanghe di Arabba – Ufficio Meteorologia Alpina)
Nell’imminenza di una precipitazione invernale, in caso di temperature sufficientemente vicine a 0°C,
è lecito chiedersi se la precipitazione stessa sarà sotto forma liquida (pioggia) o solida (neve); non è
sufficiente osservare le condizioni termiche a inizio evento per poter pronosticare correttamente fino
a che quota la precipitazione nevosa sarà in grado di spingersi.
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La colonna d’aria che si trova al di sotto
della quota dello Zero Termico tende quindi a
raffreddarsi fino a raggiungere una situazione
di isotermia prossima a 0°C (Kain et al., 2000).
Raggiunta tale temperatura il processo di raf-
freddamento si arresta, poiché non viene più
assorbito ulteriore calore latente, in quanto
non più necessario a un ulteriore raffredda-
mento, poiché a questo punto si arresta anche
il processo di fusione.
Il fenomeno di raffreddamento da fusio-
ne avviene in maniera più rilevante all’interno
di masse d’aria “protette”, ovvero all’interno di
valli e zone chiuse, dove non avvengono signi-
ficativi scambi delle masse d’aria rispetto alla
circolazione generale, soprattutto quando la
quota dello Zero Termico non supera in ma-
niera significativa il limite altitudinale superiore
dell’orografia circostante (Unterstrasser e
Zängl, 2006). Nelle zone ampie e aperte, dove
sono più facili gli scambi di masse d’aria, il raf-
freddamento da fusione agisce in maniera me-
no significativa.
La velocità con cui l’atmosfera si raffred-
da è quindi direttamente proporzionale
all’intensità della precipitazione e, secondo
studi recenti (Theriault e Stewart, 2008), an-
che all’entità del sollevamento verticale della
massa d’aria, concorrendo in questo caso an-
che il raffreddamento adiabatico dovuto
all’espansione della massa d’aria a causa del-
la minore pressione. D’altra parte, velocità ver-
ticali positive e intensità di precipitazione sono
due parametri strettamente collegati tra loro in
maniera il più delle volte direttamente propor-
zionale.
il così detto calore latente di fusione (fig. 1); in
altre parole la fusione della neve assorbe calo-
re dall’atmosfera circostante, iniziando così a
raffreddare la colonna d’aria sottostante lo Ze-
ro Termico. L’entità del raffreddamento risulta
proporzionale all’intensità della precipitazione
e quindi al volume della massa di ghiaccio in
discesa al di sotto del limite dello Zero Termi-
co; la quantità di calore latente assorbito dal
processo di fusione è espresso dalla formula:
ΔQ = Lƒ ρℓ Rm
dove Lƒ è il calore latente di fusione a 0°C
(3.34 x 105 J Kg
-1), ρℓ la densità dell’acqua
liquida, e Rm l’altezza della precipitazione li-
quida-equivalente espressa in metri
(Lackmann et al., 2001); dalla formula si dedu-
ce facilmente che la quantità di calore latente
assorbita dal processo di fusione e, quindi, il
conseguente raffreddamento dell’atmosfera,
sono direttamente proporzionali all’intensità
della precipitazione, ovvero al termine Rm che
rappresenta il contenuto di acqua precipitabile
nell’atmosfera.
Fig. 1. Cambiamenti di stato dell’acqua e calori
latenti.
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il Gatto Di Schrödinger
tazioni per almeno alcune ore è un fattore ne-
cessario affinché il raffreddamento da fusione
possa manifestarsi nelle proporzioni sopra de-
scritte.
Inoltre, eventuali variazioni dell’intensità
della precipitazione possono comportare
un’accentuazione o un’attenuazione del feno-
meno; un esempio tipico è riscontrabile nelle
fasi terminali di un evento caratterizzato da
forti precipitazioni: quando l’intensità inizia a
scemare nell’imminenza della fine dei fenome-
ni, il limite della nevicata, che si era progressi-
vamente abbassato, tende a rialzarsi poiché la
natura termica della massa d’aria non è drasti-
camente cambiata e il precedente raffredda-
mento indotto dalla fusione è da considerarsi
solo temporaneo.
In condizioni di gradiente verticale di
temperatura standard (6.5°C/1000 m), il limite
della neve può scendere, secondo le osserva-
zioni effettuate sulle Alpi italiane, solitamente
200/300 m sotto lo Zero Termico in caso di
debole precipitazione, 400/500 m in caso di
precipitazione moderata, 600/800 m in caso di
precipitazione intensa (fig. 2), anche di più in
caso di fenomeni accompagnati da instabilità,
durante i quali, specie nella stagione primave-
rile, al fenomeno del raffreddamento da fusio-
ne si aggiunge il rovesciamento di aria fredda
tipico delle precipitazioni di natura convettiva
(Kappenberger e Kerkmann, 1997).
Il raffreddamento da fusione necessita di
una sufficiente durata della precipitazione, poi-
ché l’assorbimento di calore latente avviene in
maniera progressiva; generalmente, in condi-
zioni di aria già satura, il protrarsi delle precipi-
10
Fig. 2. Calo del limite della
nevicata in funzione
dell’intensità.
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il Gatto Di Schrödinger
la Td. La sublimazione del ghiaccio, cioè il
passaggio dallo stato solido direttamente a
quello aeriforme, sottrae calore latente in
maniera più cospicua rispetto al processo di
fusione (fig. 1), raffreddando l’atmosfera con
maggiore velocità. In maniera empirica si
potrebbe osservare che, con il prolungarsi
delle precipitazioni, l’UR aumenterebbe fino
a raggiungere il 100% mentre la temperatura
dell’aria scenderebbe e la Td nel frattempo
di conseguenza aumenterebbe ulteriormen-
te, fino a diventare pari a quella dell’aria a
completa saturazione; tale comune tempera-
tura equivarrebbe più o meno alla media tra
la temperatura dell’aria e la Td iniziali, in
questo caso circa -0.43°C. Tutto ciò assu-
mendo come costanti tutte le altre variabili
atmosferiche, in particolare la pressione, e in
condizione di massa d’aria isolata, ovvero in
assenza di avvezioni di aria di natura termi-
ca e igrometrica diversa.
t = 4°C, UR = 100%, Td = 4°C: in questo ca-
so l’inizio della precipitazione non comporte-
rebbe un calo termico per sublimazione, poi-
ché la massa d’aria è già satura. In questo
caso la Td non cambierebbe e solo precipita-
zioni prolungate e insistenti potrebbero ab-
bassare il limite della nevicata per un raffred-
damento da fusione.
Le condizioni iniziali di UR influiscono
quindi più che altro sul tempo di raffreddamen-
to della colonna d’aria sottostante lo Zero Ter-
mico, risultando il raffreddamento più veloce in
caso di massa d’aria inizialmente povera di
umidità (Theriault e Stewart, 2008). In pratica,
il rapporto tra temperatura dell’aria e UR, ov-
Umidità nell’aria
Qualora all’inizio della precipitazione la
colonna d’aria non presenti completa satura-
zione, ovvero presenti un valore di Umidità
Relativa (UR) inferiore al 100%, particolare
rilevanza assume la Temperatura di Rugiada o
“dew point” (Td), direttamente dipendente
all’UR stessa. La Td è la temperatura che do-
vrebbe raggiungere l’aria per provocare la
condensazione del vapore acqueo in essa
presente ed è funzione dell’Umidità contenuta
nell’atmosfera. Per esempio, a una pressione
standard di 1013.25 hPa, a un livello di UR del
50% (la metà dello spazio disponibile
nell’atmosfera è occupato da acqua, perlopiù
sotto forma di vapore acqueo) e a una tempe-
ratura dell’aria di +4°C a livello del suolo, la Td
è pari a -4.86°C: ciò significa che, qualora ini-
ziasse a precipitare sarebbe probabile la cadu-
ta di neve, nonostante l’elevata temperatura
iniziale; qualora invece, a parità di temperatura
dell’aria, l’UR fosse già pari al 100%, ovvero si
avesse saturazione, la Td coinciderebbe con
quella dell’aria, cioè ci si troverebbe già nella
condizioni di condensazione della massa
d’aria e si osserverebbe la caduta di pioggia.
Per chiarire:
t = 4°C, UR = 50%, Td = -4.86°C: con l’avvio
della precipitazione l’aria inizierebbe a raf-
freddarsi per effetto della sublimazione della
neve che cade in uno strato di atmosfera
non saturo, processo che al pari di quello di
fusione assorbe calore dall’atmosfera circo-
stante; al contempo, la precipitazione au-
menterebbe il livello di UR dell’aria per ap-
porto di acqua (ghiaccio), aumentando così
11
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il Gatto Di Schrödinger
sivamente con il prolungarsi della precipitazio-
ne per effetto del raffreddamento da fusione;
in certi casi, infatti, lo strato isotermico della
colonna d’aria creatasi da questo processo
può raggiungere fino a 800/1000 m di spesso-
re, in caso di prolungata moderata o forte in-
tensità delle precipitazioni.
Nei settori ventilati il limite si mantiene
invece costantemente poco al di sotto dello
Zero Termico, poiché il rimescolamento inibi-
sce il propagarsi del processo di raffredda-
mento da fusione per il continuo apporto di
masse d’aria più mite che sostituiscono quella
preesistente, e solo un’eventuale aumento
dell’intensità della precipitazione potrà far ca-
lare, anche se in maniera non sostanziale, il
limite della nevicata (fig. 4); tale fenomenologi-
a è evidente sui primi contrafforti di una catena
montuosa direttamente interessata da correnti
d’aria umida in grado di produrre precipitazioni
da Stau (es. le Prealpi venete) in caso di inten-
so flusso.
vero la Td, dà una idea piuttosto precisa della
qualità termica della massa d’aria
nell’imminenza di una precipitazione: tanto più
bassa risulta l’UR iniziale e di conseguenza la
Td, tanto più basso risulterà il limite della nevi-
cata a parità di temperatura dell’aria iniziale.
Rimescolanza nei bassi strati
Il processo di raffreddamento da fusione
può verificarsi secondo la regola generale rap-
portata all’intensità della precipitazione solo
nel caso in cui la precipitazione stessa non sia
accompagnata da forte rimescolanza nei bassi
strati; già altri autori (Lackmann et al., 2002;
Kain et al., 2000) hanno dimostrato come con-
dizione necessaria per avere un marcato raf-
freddamento da fusione sia la presenza di una
debole avvezione orizzontale di temperatura,
ovvero venti deboli nei bassi strati (fig. 3). In
pratica, nel caso di settori poco arieggiati, il
limite della nevicata tende a scendere progres-
12
Fig. 3. Calo del limite della
nevicata in assenza di
rimescolanza.
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
fusione (Unterstrasser e Zängl, 2006). Come
già sopra esposto, in caso di forti e prolungate
precipitazioni il limite della nevicata può scen-
dere nelle valli interne anche 800/1000 m sotto
la quota dello Zero Termico, anche in assenza
di precedenti strati di inversione termica, per il
solo effetto dell’isotermia da fusione (figg. 5 e
6).
Fig. 5. Calo del limite della nevicata
in una valle larga.
Solitamente il valore massimo di velocità
del vento nei bassi strati che consente la for-
mazione di importanti strati di isotermia da fu-
sione si aggira attorno a 0,2/0,4 m/s; oltre tali
valori il rimescolamento è tale da inibire in
buona parte il raffreddamento da fusione
(Robert-Luciani et al; 2009).
Forma delle valli, il “Volume factor”
Anche la morfologia del territorio e in
particolare la forma delle valli, specie quelle
interne, può significativamente influenzare il
limite della nevicata. In particolare, in assenza
di forte rimescolanza nei bassi strati, nelle valli
più strette e chiuse il limite della neve tende a
scendere di più che non nelle valli larghe o
nelle aree aperte, a parità di intensità della
precipitazione. Nelle valli strette infatti la ridu-
zione del volume d’aria rispetto a una zona
aperta riduce l’ammontare della precipitazione
necessaria al raffreddamento per effetto della
13
Fig. 4. Inibizione del calo
del limite della nevicata per
rimescolanza.
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
f = Volume rettangolare (Vr) /
Volume trapezoidale (Vt)
Il “Volume factor” agisce in maniera effi-
cace solo quando la massa d’aria contenuta
nella valle può essere assunta come presso-
ché isolata dal punto di vista dinamico rispetto
all’ambiente circostante; tale condizione può
essere approssimativamente considerata reali-
stica se lo Zero Termico si trova al di sotto
dell’altezza delle creste delle montagne circo-
stanti; in caso contrario, l’avvezione di aria più
mite al di sopra delle creste che delimitano le
valli può significativamente inibire in partenza
il processo di raffreddamento da fusione. In un
sistema di valli complesso, con più valli tributa-
rie, è necessario considerare l’intero volume
d’aria e l’altitudine della cresta di delimitazione
dell’intero dominio per poter stimare
l’ammontare di precipitazione necessario al
raffreddamento del volume d’aria che si trova
all’interno delle valli, in funzione del “Volume
factor” (Unterstrasser e Zängl, 2006; Steina-
cker, 1984).
Conclusioni
Il processo del raffreddamento da fusio-
ne è uno dei fattori che maggiormente influen-
zano il limite di una nevicata ed esso dipende
in maniera sostanziale dall’intensità della pre-
cipitazione. Tuttavia, molti altri fattori interven-
gono a determinare tale limite, tra cui la pre-
senza o meno di turbolenza nei bassi strati,
nonché la morfologia del territorio, in particola-
re la forma delle valli; in merito a quest’ultimo
fattore, è anche necessario valutare la quota
Fig. 6. Calo del limite della nevicata
in una valle stretta
Il rapporto tra il volume d’aria che può
essere raffreddato su una zona piana e quello
che può essere raffreddato in una valle, a pari-
tà di intensità della precipitazione, è definito
“Volume factor”; tale valore, che viene utilizza-
to nella modellistica numerica, è tanto maggio-
re quanto più profonda e stretta risulta la valle;
esso risulta pari a 1 per una ipotetica valle di
forma rettangolare, ovvero con le pareti perfet-
tamente verticali, e ha un valore massimo di 2
per un’ipotetica valle a forma perfettamente
triangolare; il “Volume factor” (f) è espresso
dal rapporto tra il volume rettangolare ipotetico
e il volume trapezoidale che rappresenta la
forma semplificata della valle (fig. 7):
Fig. 7. Schema di determinazione
del “Volume factor”.
14
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
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dello Zero Termico in rapporto all’altitudine dei
rilievi che circondano le valli, risultando poco
efficace il raffreddamento da fusione in caso di
Zero Termico più elevato rispetto alle creste.
Si deduce quindi che la previsione del
limite di una nevicata risulta essere un aspetto
alquanto complesso della previsione del tem-
po in montagna, dipendendo da una serie di
fattori soggetti a notevole variazione locale e
temporale; il previsore non può quindi prescin-
dere da un’approfondita conoscenza della
morfologia del proprio territorio, nonché dalla
disponibilità di modelli previsionali attendibili
per quanto riguarda perlomeno la quota dello
Zero Termico, l’intensità e la durata delle pre-
cipitazioni e la velocità del vento nei bassi
strati.
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15
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
Uno dei “mondi colorati” più complessi e
interessanti è quello vegetale, che offre peral-
tro anche numerose possibilità di impiego del
colore a scopo tintorio, decorativo, creativo,
alimentare: basti osservare ortaggi e verdure,
frutti e bacche, spezie ed erbe, fiori, cortecce e
legni di vegetali spontanei o coltivati, oltre ai
licheni e alle piante tintorie pure.
In base alla struttura molecolare, i colo-
ranti vengono classificati principalmente in:
Antrachininoci : ROSSI , come
l’alizarina, la purpurina, la pseudopurpu-
rina; o GIALLI/ARANCIO, come la rubia-
dina, la mungistina (beta-metiletere
dell’alizarina).
Flavonoidi: GIALLI, come la luteolina
(Reseda luteola), la ramnetina (bacche
del Rhamnus), la fisetina (Rhus cotinus),
la morina (Chlorophora/Morus tinctoria),
la quercetina (presente come glucoside
nella corteccia della quercia americana
Quercus tinctoria).
Chinonici: ROSSI, come l’alcannina
(dalla radice dell’Alcanna tinctoria e
dell’Anchusa tinctoria), l’henna o lawso-
ne (nella “Lawsonia inermis” e nella
“Lawsonia alba”), lo juglone (contenuto
nel mallo delle noci, in particolare nella
specie “Juglans nigra”).
Le definizioni di “colore” sono molteplici
e vi sono anche definizioni di “non colore”. Per
questo si leggono sovente interpretazioni del
termine “colore” dal punto di vista scientifico,
artistico e letterario, e tutte hanno in comune
tre elementi: luce, materia e occhio.
Secondo la biofisica, il colore è una per-
cezione di luce riflessa da un oggetto sui nostri
occhi. Per l’artista, il colore è una sostanza
usata per dipingere. Per il poeta, invece, “il
colore è lo sforzo della materia per diventare
luce” (Gabriele D'Annunzio).
In natura il colore ha numerose funzioni,
tra i quali l'attrazione sessuale a scopo ripro-
duttivo, l'avvicinamento degli insetti impollina-
tori e degli uccelli che si cibano di frutti e ne
diffondono i semi, la difesa dai predatori, l'invio
di messaggi di pericolo; oppure sono sempli-
cemente prodotti del metabolismo dell'organi-
smo stesso, e tutto il resto rimane un mistero!
Fig. 1. (da stilenaturale.com)
16
La chimica dei colori naturali
di Valentina Saitta (biologa freelance)
La natura è una tavolozza di colori! I colori delle terre, dei minerali, degli animali e dei vegetali in par-
ticolare sono conosciuti e impiegati sin dall'antichità e appartengono ad alcune categorie di coloranti
classificabili chimicamente in famiglie di composti. Ma cos'è il colore? Che funzioni ha in natura?
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
porpora reale, derivati rispettivamente da pa-
rassiti e molluschi. La tabella seguente riporta
inoltre classi chimiche, minoritarie ma non me-
no importanti.
Avvicinandoci alla realtà quotidiana, si-
curamente almeno una volta avrete fatto un
risotto alla luteina e caroteni (zafferano), un
pollo alla curcumina (curcuma), avrete bevuto
un succo di mirtillidina (mirtillo) o un infuso di
karkadè, oppure preparato un liquore allo ju-
glone (nocino). Avrete pasteggiato con tannini
di varia origine (tè, caffè, vino rosso). Durante i
vostri viaggi avrete visto spezie e tinture a ba-
se di lawsone (henna o hennè) per tatuaggi e
capelli, o comunque decorato la vostra casa
con fiori colorati. Pelli, gusci d'uovo e lana tinte
con le piante hanno colori inconfondibili e uni-
ci.
Questa è la natura: biodiversa, sorpren-
dente e sicuramente difficile da riprodurre arti-
ficialmente.
Fig. 2. Pianta di robbia – parte aerea (sx) e radici
(dx) (da omero.it)
Carotidinoidi: ARANCIO, come la cro-
cetina (dal “Crocus sativus”, zafferano) e
la bixina (dai semi della “Bixia orellana”).
Calconici: la cartamina (dal “Chartamus
tinctoria”, cartamo o zafferanone o cardo
dei tintori).
Indigoidi: l’indaco o la indigotina (dall’
“Isatis tinctoria” o guado, e dalla
“Indigofera tinctoria”) e la porpora reale
(ottenuta da molluschi marini).
Antocianidici: la pelargonidina (dal fior-
daliso, pelargonia scarlatta e dalie); la
cianidina (dai petali delle rose, del papa-
vero, del fiordaliso e della Dalia cactus
rossa), la delfinidina (dal fiore del delphi-
nium e della salvia), la mirtillidina (dal
mirtillo).
Sicuramente vengono riconosciute nu-
merose piante comuni, alcune autoctone altre
alloctone, ma insieme ai sopracitati ci sono
altri pigmenti di valore storico di origine anima-
le come l'acido chermesico e l'acido carminico,
molecole della classe degli antrachinoni, e la 17
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
L'obiettivo era molto alto, l'idea tanto affa-
scinante quanto esotica. L'articolo venne spedi-
to il 3 aprile 1914 e pubblicato lo stesso anno
sul numero 15 dell'importante rivista tedesca
Physikalische Zeitschrift. All'epoca l'idea di una
quinta dimensione non fece subito presa, ma
nel corso degli anni il suo fascino ammaliante
attirò l'attenzione di molti fisici illustri.
L'articolo di questo semisconosciuto fisi-
co finlandese proponeva una teoria in grado di
unificare le forze fondamentali allora note: la
forza elettromagnetica e la forza di gravità.
Questo era possibile introducendo una quinta
dimensione dello spazio, o meglio dello spazio-
tempo. La nostra intuizione ci dice che lo spazio
è quel tessuto invisibile all'interno del quale ci
muoviamo. Esso è caratterizzato da tre dimen-
sioni. Possiamo infatti muoverci avanti e indie-
tro, verso l'alto e verso il basso, a sinistra e a
destra. Queste tre direzioni di movimento indi-
cano altrettante dimensioni spaziali. Ci convin-
ciamo della tridimensionalità dello spazio anche
pensando a quante informazioni sono necessa-
rie per individuare la posizione di un oggetto
sulla superficie terrestre; sono sufficienti infatti
tre numeri, le cosiddette coordinate: la latitudi-
ne, la longitudine e l'altitudine rispetto a un pun-
to di riferimento convenzionalmente riconosciu-
Introduzione
Quel giorno di 100 anni fa Gunnar
Nordström concluse il suo articolo. Al suo in-
terno faceva il proprio ingresso sul palcosce-
nico della fisica il concetto di extra dimensio-
ne. Il sommario di quella fondamentale me-
moria recita così:
Si evidenzia come un approccio unificato del
campo elettromagnetico e del campo gravita-
zionale sia possibile considerando lo spazio-
tempo quadridimensionale come una superfi-
cie in un universo a cinque dimensioni.
Fig. 1. Gunnar Nordström all'età di 35 anni
18
La Quinta Dimensione
di Alex Casanova (GDS)
L'idea di extra dimensione compie cento anni. Venne introdotta per la prima volta nel 1914 con l'in-
tento di unificare le interazioni allora note, l'elettromagnetismo e la gravitazione. Dopo un secolo di
storia quell'idea tanto esotica quanto affascinante continua a essere presente nelle moderne teorie
di unificazione. Perché non tornare a quel lontano 1914 per capire l'origine di quest'idea così longe-
va?
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
studiate: la forza di gravità e la forza elettro-
magnetica. È vero che da tempo erano noti i
fenomeni della radioattività ed è altrettanto
vero che alcuni fenomeni nuovi stavano apren-
do la strada all'avvento della Meccanica Quan-
tistica. Ma questo ci porterebbe inesorabilmen-
te fuori strada.
All'epoca parlare di forza di gravità signi-
ficava parlare di legge di Newton, mentre elet-
tromagnetismo era sinonimo di equazioni di
Maxwell. Più in generale, fisica significava
meccanica newtoniana, anche se durante la
seconda metà dell'800 la sua inossidabile re-
putazione vacillava sotto i colpi di nuovi espe-
rimenti e di nuove teorie.
Secondo la meccanica newtoniana spa-
zio e tempo costituiscono il palcoscenico dove
si sviluppano i fenomeni fisici. In tal senso, per
descrivere un fenomeno fisico è necessario
individuarne la posizione su questo palcosce-
nico tramite la scelta di opportune coordinate.
È altresì importante dotarsi di un orologio per
fissare l'istante di tempo in cui tale fenomeno
avviene, o l'intervallo di tempo in cui si svilup-
pa. Questo offre la possibilità a un osservatore
di scegliersi il proprio sistema di coordinate e il
proprio orologio. Tuttavia, osserviamo un solo
mondo, quindi ci aspettiamo di descrivere gli
stessi fenomeni nello stesso modo, attraverso
le stesse leggi fisiche. Detto in altre parole, ci
aspettiamo che queste leggi siano invarianti
per trasformazioni tra sistemi di coordinate. In
fisica questo concetto prende il nome di
"Principio di Relatività", un principio fondamen-
tale per rendere oggettiva la descrizione della
Natura.
to da tutti. Quindi, alla domanda: "Quante di-
mensioni ha lo spazio?", senza indugio tutti
rispondiamo: "Lo spazio ha tre dimensioni". Di
fronte a un aspetto che ci appare così eviden-
te, è difficile pensare che lo spazio possa es-
sere caratterizzato da altre dimensioni. Questo
comporta uno sforzo di astrazione notevole,
uno sforzo che cento anni fa venne considera-
to necessario per raggiungere un obiettivo più
importante: l'unificazione di tutte le forze.
Oggi, la fisica moderna è ancora alla ri-
cerca di una buona teoria in grado di unificare
tutte le forze fondamentali della Natura. Ag-
giungere dimensioni allo spazio sembra esse-
re una buona tecnica per raggiungere tale sco-
po e molti gruppi di ricerca in giro per il mondo
continuano a indagare sulla bontà di quell'idea
nata cento anni fa.
Per capire come nasce l'idea di una
quinta dimensione spaziale dobbiamo tornare
indietro nel tempo per ripercorrere alcune tap-
pe fondamentali dello sviluppo della fisica mo-
derna. Dobbiamo tornare ai primi anni del
1900, quando la nascente Teoria della Relati-
vità di Einstein e di Minkowski stava cambian-
do il modo di concepire lo spazio e il tempo,
rivoluzionando così il modo di guardare il mon-
do che ci circonda.
Spaziotempo ed Elettromagnetismo
Pensiamo di tornare al 1900. Qual era
l'orizzonte delle conoscenze fisiche di allora?
Semplificando notevolmente, possiamo dire
che verso la fine del 1800 e l'inizio del 1900
due erano le forze fondamentali conosciute e
19
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
ni elettrici e magnetici, ma anche i fenomeni
ottici: la luce è un'onda elettromagnetica.
Le equazioni di Maxwell mostrano uno
straordinario potere di sintesi in grado di unifi-
care fenomeni fino alla seconda metà dell'otto-
cento disgiunti. Ma le equazioni di Maxwell
convivono male con la meccanica newtoniana.
Infatti queste equazioni non sono invarianti per
le stesse trasformazioni rispetto alle quali risul-
tano invarianti le leggi della meccanica newto-
niana. Il tanto fondamentale principio di relati-
vità vacilla: i due osservatori di prima descrivo-
no lo stesso fenomeno elettromagnetico in
modo differente. Non è il solo problema: la lu-
ce, nel suo moto di propagazione, sembra non
rispettare le leggi della meccanica newtoniana.
Infatti, la sua velocità si dimostra sperimental-
mente costante a dispetto del moto della sor-
gente che la emette. Questi problemi, che
mettevano a dura prova la meccanica newto-
niana, vennero superati verso la fine dell'otto-
cento e l'inizio del novecento grazie al lavoro
di Hendrik Antoon Lorentz (1853-1928), Al-
bert Einstein (1879-1955) ed Hermann Min-
kowski (1864-1909).
Lorentz fu il primo a dedurre matemati-
camente quali fossero le trasformazioni per le
quali le equazioni di Maxwell risultavano inva-
rianti; queste trasformazioni, che oggi cono-
sciamo con il nome di "trasformazioni di Lo-
rentz", mettevano in evidenza un nuovo modo
di concepire il tempo. Questa variabile non era
più assoluta, ma rientrava in queste nuove tra-
sformazioni in modo da cambiare a seconda
del moto dell'osservatore.
Un modo per pensare a trasformazioni
fra sistemi di coordinate è quello di prendere
due osservatori e far sì che il secondo sia in
moto rispetto al primo. Le leggi della meccani-
ca newtoniana sono invarianti nel momento in
cui il secondo si muove dritto con velocità co-
stante rispetto al primo. Questo significa che i
due osservatori, studiando il medesimo feno-
meno, scriveranno le stesse leggi della mec-
canica e non saranno in grado di capire real-
mente quale dei due è in moto rispetto all'altro.
Cosa dire invece del tempo che i nostri
osservatori misurano sui loro orologi? Limitan-
dosi a fenomeni meccanici (per esempio, la
caduta di un corpo per effetto della gravità o il
moto rotatorio di un oggetto), quello che pos-
siamo concludere è che il tempo scorre alla
stessa maniera per entrambi, ovvero due feno-
meni simultanei per il primo osservatore sono
simultanei anche per il secondo. In questi ter-
mini, il tempo è assoluto e scorre in maniera
identica indipendentemente dal moto dell'os-
servatore e del suo orologio. Ma non possia-
mo di certo autolimitarci a osservare solo feno-
meni meccanici, per quanto la meccanica ne-
wtoniana abbia ottenuto numerosi successi.
Come comportarci con i fenomeni elettroma-
gnetici?
Per prima cosa bisogna dire che quan-
do parliamo di fenomeni elettromagnetici par-
liamo dell'attrazione/repulsione di due cariche
elettriche o di due magneti, parliamo di corren-
ti elettriche, parliamo anche di luce. Uno degli
aspetti fondamentali delle equazioni di Ma-
xwell è che tramite quattro equazioni matema-
tiche non solo è possibile descrivere i fenome-
20
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
Lo stesso Lorentz ebbe difficoltà ad
accettare una conseguenza così rivoluzionaria
delle sue trasformazioni.
Fu Einstein che ebbe il coraggio di af-
frontare il problema in modo deciso e senza
pregiudizi. Assunse come postulati le seguenti
affermazioni:
la velocità di propagazione della luce è
costante indipendentemente dal moto della
sorgente;
due osservatori in moto l'uno rispetto
all'altro con velocità costante scrivono le stes-
se leggi della meccanica e dell'elettromagneti-
smo.
Dedusse così le trasformazioni di Lo-
rentz, accettando il nuovo modo di concepire il
tempo. La simultaneità di due eventi diventava
ora un concetto relativo e la meccanica newto-
niana un caso particolare di una meccanica
relativistica per corpi che si muovono a veloci-
tà molto più piccole rispetto a quella della luce.
Assumere come costante la velocità di
propagazione della luce aveva come conse-
guenza che il tempo non era più assoluto, ma
dipendeva ora dal moto dell'osservatore (si
veda il box "L'esperimento ideale di Einstein
sulla Relatività della Simultaneità" a pag. 22).
Le stesse definizioni di tempo e spazio (o me-
glio, distanza fra due punti nello spazio) dipen-
devano da questa costanza: per definire il
tempo mediante la sincronizzazione di due
orologi lontani era necessario considerare la
distanza spaziale fra loro; viceversa, la distan-
za fra punti lontani comportava la necessità di
definire un sistema di orologi sincronizzati.
Fig. 2. In alto Einstein e Lorentz a Leida nel 1921.
In basso Hermann Minkowski.
Il tempo, in altre parole, scorre in modo
diverso a seconda del moto dell'osservatore.
Naturalmente un tale concetto costituiva un
fulmine a ciel sereno per l'epoca: dovevano
essere riviste le leggi delle meccanica newto-
niana oppure sfuggiva qualcosa ai fisici dell'e-
poca? 21
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
e colonne; ragionando in uno spaziotempo a
quattro dimensioni, questa tabella è fatta di
quattro righe e quattro colonne, per un totale
di sedici elementi in grado di accomodarsi al
suo interno. La matrice è però antisimmetrica,
ovvero gli elementi delle caselle in alto a de-
stra devono essere uguali, ma con segno op-
posto, a quelli delle caselle in basso a sinistra
rispetto alla diagonale principale della tabella
(si veda il box “Il tensore Elettromagnetico” a
pag. 23).
In questo modo per definire il tensore
elettromagnetico sono necessari e sufficienti
solo sei elementi. Questi sei elementi sono le
componenti del campo elettrico e del campo
magnetico; infatti, essendo due grandezze vet-
toriali, in ogni punto dello spazio il campo elet-
trico e il campo magnetico sono definiti da tre
componenti ciascuno. In altre parole, tre nu-
meri attraverso i quali si possono definire in-
tensità, direzione e verso del vettore campo
elettrico e del vettore campo magnetico. In
questo modo, in un unico oggetto di natura
geometrica vengono condensate tutte le infor-
mazioni sul campo elettromagnetico.
La comprensione dei fenomeni elettro-
magnetici ha aperto le porte alla rivoluzione
relativistica: spazio e tempo non sono più enti-
tà assolute e autonome e la descrizione dei
fenomeni fisici si realizza tramite la definizione
di oggetti geometrici come lo spaziotempo di
Minkowski o il tensore elettromagnetico. Ma
cosa dire della forza di gravità di fronte a que-
sto nuovo scenario fisico?
Spazio e tempo sembravano in tal sen-
so strettamente collegati, dotati quasi di un
legame simbiotico fino ad allora inesplorato.
Fu Minkowski che fra il 1907 e il 1908 spinse
in là questo concetto, fino a farlo diventare un
principio matematico-geometrico ben definito.
Ecco l'incipit del suo famoso articolo del 1909
(traduzione dell'autore):
Le concezioni di spazio e di tempo che deside-
ro presentarvi sono sorte dal terreno della fisi-
ca sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Esse
sono radicali. D'ora in poi lo spazio in sé il
tempo in sé sono condannati a svanire in pure
ombre, e solo una specie di unione tra i due
concetti conserverà una realtà indipendente.
Spazio e tempo perdevano la loro auto-
nomia a favore di un nuovo ente geometrico,
lo spaziotempo. Non si doveva più ragionare
in uno spazio tridimensionale, palcoscenico
per gli eventi che nel tempo andavano svilup-
pandosi e concatenandosi. Bisognava ragio-
nare direttamente in quattro dimensioni. Lo
spazio tridimensionale diventava ora uno spa-
ziotempo quadridimensionale, dove la distan-
za fra due eventi veniva calcolata non solo
come distanza spaziale fra i punti dove si svol-
gevano tali eventi, ma anche come distanza
percorsa dalla luce nell'intervallo di tempo che
separava i due eventi.
Con il suo nuovo strumento matematico
Minkowski riuscì a riscrivere le equazioni di
Maxwell in modo estremamente sintetico, fa-
cendo uso di un nuovo oggetto geometrico da
lui stesso introdotto, il "tensore elettromagneti-
co". Questo tensore può essere pensato come
una sorta di matrice, una tabella fatta di righe
22
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
L'esperimento ideale di Einstein sulla Relatività della Simultaneità
Nella sua esposizione divulgativa, Einstein spiega come la simultaneità degli eventi e il concetto stesso di tempo siano relativi tramite il seguente famoso esperimento ideale del treno: "Le nostre considerazioni sono state finora svolte rispetto a un particolare corpo di riferimento, a cui abbiamo dato il nome di "banchina fer-roviaria". Supponiamo che un treno molto lungo viaggi sulle rotaie con la velocità costante v e nella direzione indicata dalla Figura 3.
Fig. 3. Il treno dell’esperimento ideale di Einstein
Le persone che viaggiano su questo treno useranno vantaggiosamente il treno come corpo rigido di riferi-mento (sistema di coordinate); esse considerano tutti gli eventi in riferimento al treno. Ogni evento, poi, che ha luogo lungo la linea ferroviaria ha pure luogo in un determinato punto del treno. Anche la definizione di simultaneità può venir data rispetto al treno nello stesso preciso modo in cui venne data rispetto alla banchi-na. Ora però si presenta, come conseguenza naturale, la seguente domanda: due eventi (per esempio i due colpi di fulmine A e B) che sono simultanei rispetto alla "banchina ferroviaria" saranno tali anche rispetto al treno? Mostreremo subito che la risposta deve essere negativa. Allorché diciamo che i colpi di fulmine A e B sono simultanei rispetto alla banchina intendiamo: i raggi di luce provenienti dai punti A e B dove cade il ful-mine si incontrano l'uno con l'altro nel punto medio M dell'intervallo A B della banchina. Ma gli eventi A e B corrispondono anche alle posizioni A e B sul treno. Sia M' il punto medio dell'intervallo sul treno in moto. Pro-prio quando si verificano i bagliori del fulmine, questo punto M' coincide naturalmente con il punto M, ma es-so si muove verso la destra del diagramma con la velocità v del treno. Se un osservatore seduto in treno nel-la posizione M' non possedesse questa velocità allora egli rimarrebbe permanentemente in M e i raggi di lu-ce emessi dai bagliori del fulmine A e B lo raggiungerebbero simultaneamente, vale a dire s'incontrerebbero proprio dove egli è situato. Tuttavia nella realtà (considerata con riferimento alla banchina ferroviaria), egli si muove rapidamente verso il raggio di luce che proviene da B, mentre corre avanti al raggio di luce che pro-viene da A. Pertanto l'osservatore vedrà il raggio di luce emesso da B prima di vedere quello emesso da A. Gli osservatori che assumono il treno come loro corpo di riferimento debbono perciò giungere alla conclusio-ne che il lampo di luce B ha avuto luogo prima del lampo di luce A. Perveniamo così al seguente importante risultato: gli eventi che sono simultanei rispetto alla banchina non sono simultanei rispetto al treno e vicever-sa (relatività della simultaneità); ogni corpo di riferimento (sistema di coordinate) ha il suo proprio tempo par-ticolare: un'attribuzione di tempo è fornita di significato solo quando ci venga detto a quale corpo di riferimen-to tale attribuzione si riferisce. Orbene, prima dell'avvento della teoria della relatività, nella fisica si era sem-pre tacitamente ammesso che le attribuzioni di tempo avessero un significato assoluto, cioè fossero indipen-denti dallo stato di moto del corpo di riferimento. Abbiamo però visto or ora che tale ipotesi risulta incompati-bile con la più naturale definizione di simultaneità."
A. Einstein, "Relatività: esposizione divulgativa", Universale Bollati Boringhieri, Torino, 1991. Traduzione di
Virginia Geymonat.
23
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
massa interagiscono con una forza diretta-
mente proporzionale al prodotto delle masse e
inversamente proporzionale al quadrato della
distanza fra i corpi. In altre parole, l'intensità
dell'interazione è maggiore fra corpi con mas-
sa più grande e decresce all'aumentare della
loro distanza. Possiamo così dire che la sor-
gente della forza di gravità è una qualsiasi di-
stribuzione di massa; passando nelle sue vici-
nanze, un secondo corpo sperimenterà una
La gravità rivista e corretta
Come visto nel paragrafo precedente, la
Relatività Speciale aveva rivoluzionato il modo
di concepire lo spazio e, soprattutto, il tempo.
La meccanica newtoniana era diventata un
caso particolare della meccanica relativistica e
questo ebbe inevitabili ripercussioni anche sul-
la legge di gravitazione universale di Newton.
Questa legge ci dice che due corpi dotati di 24
L U G L I O 2 0 1 4
Il tensore Elettromagnetico
Fig. 4. Rappresentazione grafica del tensore elettromagnetico
Il tensore elettromagnetico può essere pensato come una tabella formata da quattro righe e quattro colonne,
per un totale di sedici elementi. Nella Figura 4a ogni casella rappresenta uno di questi elementi. Il tensore
elettromagnetico è antisimmetrico; questo significa che gli elementi della diagonale principale (caselle di co-
lore rosso) assumono un valore fisso pari a zero, mentre il contenuto delle caselle verdi deve essere uguale
e di segno opposto al contenuto delle corrispondenti caselle blu, come indicato per le caselle collegate dalla
freccia. In questo modo, una tabella così strutturata è definita dal contenuto delle sole caselle blu. In esse
trovano posto tutte le informazioni necessarie e sufficienti per definire il campo elettromagnetico (Figura 4b):
nelle caselle nere si accomodano le tre quantità utili a definire il vettore campo elettrico, mentre nelle caselle
viola trovano posto le informazioni sul vettore campo magnetico.
0 10
0
-10 0 -3
3 0
0
0
0
0
(a) (b)
il Gatto Di Schrödinger
La legge di gravitazione universale, così
come formulata da Newton o espressa me-
diante l'uso del potenziale gravitazionale, era
incompatibile con la Teoria della Relatività
Speciale formulata da Einstein e da Minko-
wski.
I problemi erano sostanzialmente due:
1. la forza di gravità agisce a distanza istanta-
neamente;
2. la forza di gravità si genera considerando le
variazioni del potenziale solo nelle tre direzioni
dello spazio, trascurando il tempo.
La Relatività Speciale prevede che i se-
gnali e le informazioni associate alle interazio-
ni fra corpi si propaghino a velocità finita, con
valore massimo pari alla velocità di propaga-
zione della luce nel vuoto. Altresì, spazio e
tempo non possono più essere considerati co-
me entità autonome, ma bisogna ragionare in
termini di una geometria quadridimensionale
dove coordinate spaziali e coordinata tempora-
le si combinino opportunamente.
Dopo l'avvento della nuova Teoria della
Relatività, fra i fisici dell'epoca si scatenò subi-
to la discussione su come rendere compatibile
la gravità con il nuovo principio di relatività. Lo
stesso Einstein fu coinvolto nel dibattito, fatto
di numerose pubblicazioni e qualche sana po-
lemica. Fra coloro che proposero una nuova
teoria per la gravità relativisticamente compati-
bile c'era anche il nostro Gunnar Nordström,
quel fisico poco conosciuto che veniva dalla
Finlandia
La sua teoria della gravità rivista e cor-
forza attrattiva la cui intensità decrescerà
all'aumentare della distanza dalla sorgente.
La legge di gravitazione universale può
essere matematicamente riformulata conside-
rando una funzione definita in ogni punto dello
spazio, che i fisici chiamano potenziale gravi-
tazionale. Possiamo pensare al potenziale
gravitazionale come a una colonna di acqua la
cui altezza varia da punto a punto dello spazio
che circonda una distribuzione di massa. In
alcuni punti la colonna d'acqua sarà più alta, in
altri più bassa, tutto dipende da come è fatta la
distribuzione di massa in esame. Se mettiamo
in comunicazione fra loro due colonne con li-
velli d'acqua differenti, è noto che l'acqua fluirà
dalla colonna più alta verso la colonna più
bassa, in modo da azzerare l'iniziale differen-
za. É proprio la differenza di potenziale a ge-
nerare una forza attrattiva sui corpi che si tro-
vano in prossimità della sorgente che ha pro-
dotto quel potenziale.
Possiamo così sintetizzare:
nello spazio circostante una distribuzio-
ne di massa si produce un potenziale gravita-
zionale;
le differenze di potenziale fra i diversi
punti dello spazio generano una forza sui corpi
che si trovano in prossimità della distribuzione
di massa.
Questo ragionamento ci porta alla con-
clusione che la forza di gravità può essere de-
scritta completamente dal potenziale gravita-
zione e dalle sue variazioni da punto a punto
nello spazio. 25
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
gnetico permetteva di rendere queste equazio-
ni più compatte, condensando le informazioni
del campo elettrico e del campo magnetico in
un unico oggetto di natura geometrica;
• la forza di gravità poteva essere descrit-
ta partendo dalle variazioni spazio-temporali di
un unico oggetto, il potenziale gravitazionale.
Facciamo due conti:
• il campo elettromagnetico è definito da 6
elementi: tre componenti del vettore campo
elettrico e tre componenti del vettore campo
magnetico;
• il campo gravitazionale è definito da 4
elementi: le variazioni del potenziale gravita-
zionale in uno spaziotempo a quattro dimen-
sioni.
Quindi per definire completamente lo
stato del campo elettromagnetico e del campo
gravitazionale in ogni punto dello spaziotempo
servono 10 elementi. L'idea che ebbe Nor-
dström fu quella di ridefinire il tensore elettro-
magnetico introducendo una quinta dimensio-
ne dello spazio. Dieci elementi infatti si acco-
modano perfettamente in un tensore elettro-
magnetico fatto ora da cinque righe e da cin-
que colonne (Figura 5).
In altre parole, Nordström proseguì sulla
strada indicata da Minkowski realizzando un'u-
nificazione di carattere geometrico: l'elettroma-
gnetismo a quattro dimensioni si combinava
con la gravità per generare una sorta di elet-
tromagnetismo a cinque dimensioni.
retta, proposta nel 1912, era una diretta gene-
ralizzazione della teoria newtoniana alla luce
dei precetti relativistici:
1. l'equazione che lega la distribuzione di
massa al potenziale gravitazionale tiene conto
ora della propagazione a velocità finita del se-
gnale;
2. la forza si genera tenendo conto non solo
delle variazioni del potenziale nello spazio, ma
anche nel tempo.
Questa prima teoria fu ulteriormente svi-
luppata da Nordström, che con gli anni diven-
ne un importante interlocutore per un Einstein
impegnato fin dal 1907 nella ricerca della sua
versione della gravità rivista e corretta.
La strada di Nordström verso l'Unificazione
Prima che Einstein giungesse al termine
della sua ricerca, Nordström propose una teo-
ria unificata dell'elettromagnetismo e della gra-
vità, dove faceva il proprio debutto la quinta
dimensione. L'articolo venne completato il 30
marzo 1914, quando Nordström si trovava a
Helsinki. Fra il 1906 e il 1907 trascorse un pe-
riodo a Gottingën, dove ebbe modo di seguire
le lezioni di Minkowski. Queste lezioni ebbero
un'enorme influenza sul giovane fisico finlan-
dese, come dimostra la strada che imboccò
per giungere all'unificazione.
Riassumiamo quanto detto finora:
• l'elettromagnetismo era descritto dalle
equazioni di Maxwell; grazie al lavoro di Min-
kowski, la definizione di un tensore elettroma-
26
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
Conclusioni
La quinta dimensione e questa teoria di
unificazione non erano appoggiate su solide
basi: la gravitazione, così come era spiegata
da Nordström, non era corretta da un punto di
vista sperimentale e l'invisibilità della quinta
dimensione rimaneva una questione fisica a-
perta. Nonostante queste difficoltà, la teoria di
Nordström ha il merito di mettere in luce alcuni
aspetti importanti dell'evoluzione del pensiero
fisico moderno:
l'idea di sviluppare una teoria unificata di
tutte le forze fondamentali prevale sull'intuizio-
Tuttavia è ragionevole chiedersi dove sia
questa quinta dimensione e perché non si ma-
nifesti come le altre dimensioni spaziali a cui
siamo abituati. La risposta che diede Nor-
dström non era molto soddisfacente, soprattut-
to perché mancava una reale spiegazione fisi-
ca. Tramite un assunto puramente matemati-
co, Nordström si limitò a escludere la dipen-
denza di tutte le grandezze fisiche misurabili
dalla coordinata associata alla quinta dimen-
sione. Questo significa che ciò che misuriamo
non dipende dalla quinta dimensione, renden-
dola di fatto invisibile.
27
L U G L I O 2 0 1 4
Fig. 5. Avendo introdotto una quinta dimensione, il tensore elettromagnetico può essere esteso con una quin-
ta riga e una quinta colonna. Gli elementi che definiscono ora questo tensore sono dieci: oltre al campo elet-
trico (caselle nere) e al campo magnetico (caselle viola), trovano spazio quattro caselle azzurre che conten-
gono le variazioni del potenziale gravitazionale nelle quattro dimensioni (le tre dimensioni spaziali ordinarie
più la dimensione temporale).
0 10
0
-10 0 -3
3 0
(a) (b)
0
0
0
0
0
0
il Gatto Di Schrödinger
Bibliografia
A. Einstein, “On the Electrodynamics of
Moving Bodies”. Ann der Phys, 17,
1905. In H. A. Lorentz et al. The Princi-
ple of Relativity, Dover, New York 1952.
A. Einstein, “Il significato della Relativi-
tà”. Bollati Boringhieri, Torino, 1959
(traduzione A. Radicati di Brozolo).
A. Einstein, "Relatività: esposizione di-
vulgativa", Universale Bollati Boringhieri,
Torino, 1991 (traduzione di V. Geymo-
nat).
H. Minkowski, “Space and Time”.
Physik. Zeitschr. 10, 104 (1909). In H. A.
Lorentz et al. The Principle of Relativity,
Dover, New York 1952.
G. Nordström, “The Principle of Relativ-
ity and Gravitation”. Physik. Zeitschr. 13,
1126-1129 (1912).
G. Nordström, “On the Possibility of Uni-
fying the Electromagnetic and the Gravi-
tational fields”. Physik. Zeitschr. XV, 504
-506 (1914).
J. D. Norton, "Einstein, Nordström and
the Early Demise of Scalar, Lorentz Co-
variant Theories of Gravitation". Arch.
Hist. Ex. Sci., 45, 17 (1992).
F. Ravndal. "Scalar Gravitation and Ex-
tra Dimensions". Invited talk at "Gunnar
Nordstrom symposium on Theoretical
Physics", Helsinki, 2003.
ne di uno spazio tridimensionale; nel corso
degli anni l'idea di extra dimensione è stata
spesso associata a teorie di unificazione, co-
me oggi nella Teoria delle Stringhe, una delle
migliori candidate alla grande unificazione del-
le forze fondamentali. In altre parole, il concet-
to di extra dimensione si lega al tentativo di
spiegare quello che non capiamo nello spazio
ordinario attraverso l'applicazione di una fisica
ben nota, come quella delle equazioni di Ma-
xwell, in uno spazio non ordinario fatto di di-
mensioni aggiuntive invisibili;
la nascita del concetto di extra dimensio-
ne si pone in maniera continua rispetto allo
sviluppo della Teoria della Relatività e con es-
sa evidenzia l'importanza crescente della geo-
metria nell'ambito della comprensione profon-
da dei fenomeni naturali.
L'avvento della Relatività Generale e la
sua conferma sperimentale fra il 1915 e il
1919 scrissero la parola fine sulla teoria di
Nordström, ma non su quell'idea alternativa di
pensare a uno spazio popolato da dimensioni
invisibili. Questo concetto continuò a galleg-
giare nel limbo della fisica, per essere risco-
perto qualche anno più tardi sempre sulla stra-
da dell'unificazione fra elettromagnetismo e
gravitazione. Ma questa è un'altra storia da
raccontare.
28
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
Struttura atomica
L’acqua ha formula chimica H2O, quindi
un atomo di ossigeno lega due atomi di idro-
geno. Approssimando i pesi atomici di ossige-
no e idrogeno a 16 e 1, il peso molecolare
dell’acqua è 18. La sua struttura è quella ripor-
tata in Fig. 1, quindi un angolo formato dai due
idrogeni con l’ossigeno di 104,45° e una lun-
ghezza di legame O-H di 95,84pm.
L’angolo di legame H-O-H non è un ca-
so, ma è determinato dalla particolare configu-
AccaDueO
di Fabiano Nart (GDS)
L’acqua è un bene prezioso: tanto prezioso che ha spesso costituito il tema di molte dispute politi-
che ed è stata difesa con forza da molti gruppi di attivisti. L’acqua è vita, sia perché la vita si svi-
luppò nell’acqua, sia perché l’acqua è essenziale per il proseguimento della nostra esistenza e di
tutte le specie viventi. L’acqua ci serve anche per molte attività accessorie, senza le quali la nostra
vita sarebbe più difficile o meno divertente. Per citarne alcune: con l’acqua ci laviamo, la utilizzia-
mo per cucinare la pasta o per fare il pane, è ingrediente dei cocktail quando si trova in fase soli-
da, e sempre in fase solida ci permette di sciare durante l’inverno. L’acqua è versatile e molto par-
ticolare nelle sue caratteristiche: e tutto questo deriva dalla sua natura atomica inferiore.
29
razione dell’atomo di ossigeno che è ibridizza-
to sp3. Senza scendere nei dettagli delle teorie
di legame, per la comprensione di questo arti-
colo è sufficiente sapere che quando è ibridiz-
zato sp3 l’ossigeno possiede due doppietti e-
lettronici, quindi due orbitali atomici completa-
mente occupati e non in grado di creare ulte-
riori legami chimici. Nonostante non interven-
gano in formazione di legami, dal punto di vi-
sta geometrico devono essere trattati come
due “legami fittizi”, cioè come due ingombri
sterici che pretendono il proprio volume e
L U G L I O 2 0 1 4
Fig. 1. Struttura della molecola di acqua.
il Gatto Di Schrödinger
cesso di carica negativa sull’ossigeno e un
eccesso di carica positiva sui due idrogeni. Si
crea quindi un dipolo (diretto verso l’ossigeno)
che rende il legame covalente polare e la mo-
lecola d’acqua, di conseguenza, polare. Que-
sta proprietà microscopica è alla base delle
eccezionali proprietà che possiamo riscontrare
in pratica. La prima è il suo buon potere sol-
vente, pensiamo difatti a quante sostanze di-
luiamo in acqua: saponi, detersivi, medicinali,
colori, sostanze chimiche come varecchina
(ipoclorito di sodio), ammoniaca, acido muriati-
co (acido cloridrico) ecc. I suoi dipoli permetto-
no di creare interazioni dipolo-dipolo, dipolo-
dipolo indotto o dipolo-monopolo che permet-
tono alle molecole della sostanza aggiunta di
essere separate e solvatate.
Ma la cosa più sorprendente si capisce
paragonando l’acqua a sostanze con peso
molecolare molto simile, come ammoniaca
NH3 (17), od omologhe come acido solfidrico,
H2S. L’acqua possiede difatti un´alta tempera-
tura di ebollizione, requisito fondamentale per
rimanere liquida anche ad alte temperature
sulla Terra. Questo è dovuto ai legami dipolo-
dipolo, meglio legami idrogeno, che si instau-
rano tra le varie molecole d’acqua come ripor-
tato in Fig. 3. In caso di ammoniaca o acido
solfidrico le interazioni non sono così forti.
Proviamo a immaginare per esempio
un’acqua con un legame dipolare meno forte:
vorrebbe dire che a temperature più basse di
100°C diventerebbe vapore, con conseguenze
catastrofiche per la vita sulla Terra e la relativa
evoluzione.
quindi concorrono alla minimizzazione
dell’energia della molecola e quindi alla sua
forma. Difatti, se consideriamo questo aspetto,
la molecola di acqua dovrebbe essere rappre-
sentata conformemente alla Fig. 2.
Fig. 2. Struttura che considera i doppietti solitari.
I due doppietti solitari, non essendo im-
pegnati in un legame direzionale occupano un
volume maggiore rispetto ai due legami O-H e
la loro repulsione è molto forte. La struttura è
tetraedrica, come una piramide con al centro
l´ossigeno, ma a differenza di una struttura
perfettamente in equilibrio con angoli di
109,5°, l’angolo H-O-H si rimpicciolisce a
104,5° proprio a causa dell’effetto
“comprimente” dei doppietti solitari.
Proprietà chimico-fisiche e loro effetto sul-
le proprietà macroscopiche
Come riportato in Fig. 1 e in virtù della
maggiore elettronegatività dell’ossigeno, si
crea uno sbilanciamento di cariche lungo i due
legami chimici covalenti O-H, che vede un ec-
30
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
solidificando e diventando ghiaccio si ottiene
un solido meno denso dell’acqua liquida che
può galleggiare. Oltre a rendere i cocktail di-
vertenti e freschi sulle labbra, questo consente
la vita in acqua, dato che l’acqua dolce forma
uno strato di ghiaccio in superficie, ma rimane
liquida in profondità. Il comportamento anoma-
lo dell’acqua è dovuto al fatto che i legami a
idrogeno a 0°C bloccano le molecole d’acqua
in una forma tetraedrica (con simmetria esago-
nale) che occupa più spazio rispetto alle mole-
cole in fase liquida. In fase liquida le molecole
sono ancora soggette a legami idrogeno, ma
sono più instabili e possono assumere geome-
trie più compatte o formare una sorta di
“catena polimerica”.
Le tre fasi dell’acqua, solida, liquida e
aeriforme, sono rappresentate nel diagramma
di stato riportato in Fig. 4. Il punto triplo è il
punto dove coesistono contemporaneamente
tutti e tre gli stati di aggregazione.
L’occasione di questo articolo è propizia
per fare chiarezza sulla differenza tra vapore e
gas. Partiamo dal fatto che la denominazione
Fig. 3. Legami idrogeni tra molecole d’acqua.
I legami idrogeno sono anche i respon-
sabili di un’altra peculiarità dell’acqua: il suo
punto di massima densità. A differenza di mol-
te altre sostanze che raggiungono la massima
densità al punto di solidificazione, l’acqua rag-
giunge il suo massimo a circa 4°C, cioè quan-
do è ancora in fase liquida. Scendendo da 4 a
0°C, l’acqua diminuisce la sua densità, quindi
31
Fig. 4. Diagramma di stato dell’acqua.
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
sa, invece, l’acqua agisce da acido cedendo
un protone H+, quindi liberando OH- in soluzio-
ne.
NH3 + H2O ↔ NH4+ + OH-
Come conseguenza dei due comporta-
menti sopra citati, l’acqua presenta autoprotoli-
si, ovvero si dissocia in H3O+ e OH-.
2H2O ↔ H3O+ + OH-
Conclusioni
L’intento di questo articolo era rendere
note le molte e importanti peculiarità di una
molecola tanto semplice quanto importante
per la vita e dimostrare come tutte, o almeno
quelle riportate, siano riconducibili alle sue
proprietà chimico-fisiche.
Molto ci sarebbe da dire ancora
sull’acqua. Ad esempio, basti pensare che è
presente nel corpo umano al 65%, quindi ha
dei ruoli biologici fondamentali. Oppure pos-
siamo pensare ai molti studi che si svolgono
nell’universo per la sua ricerca sugli altri corpi
celesti. Non dimentichiamo l’uso ingegneristico
che si fa dell’acqua, ad esempio per la produ-
zione di energia elettrica.
Bibliografia
P. W. Atkins, L. Jones, “Chimica genera-
le”, Zanichelli, 1998.
P. W. Atkins, J. de Paula, “Chimica fisi-
ca”, Zanichelli, 1982.
corretta dello stato di aggregazione è aerifor-
me. Nel caso però in cui l’aeriforme possa tor-
nare liquido per aumento della pressione,
quindi per compressione, esso viene detto va-
pore; viene invece detto gas se ciò non è pos-
sibile. Lo si vede tracciando un’immaginaria
retta in verticale nella zona vapore e nella zo-
na gas; partendo dal vapore si finisce nel liqui-
do, partendo dal gas si finisce invece nel fluido
supercritico, cioè in uno stato intermedio con
proprietà sia di liquido che di aeriforme. Un
gas può tornare liquido solo con un effetto
combinato di aumento pressione e diminuzio-
ne temperatura: cioè ci si deve spostare a sini-
stra del punto critico.
Ai legami idrogeno si deve imputare an-
che l’alto calore specifico (energia necessaria
per aumentare la temperatura di 1 grammo di
sostanza di 1°C): quando somministriamo ca-
lore, infatti, non tutto serve per aumentare
l’energia cinetica delle molecole d’acqua, ma
gran parte serve per rompere i legami idroge-
no.
L’acqua ha interessanti proprietà nelle
reazioni chimiche, ad esempio in elettrochimi-
ca, grazie al suo potere anfotero di poter rea-
gire come acido o come base. A un valore di
pH di 7 l’acqua presenta una dissociazione
tale per cui la concentrazione di H+ e OH
- è
uguale. In presenza di un acido più forte di
essa, ad esempio acido cloridrico HCl, l’acqua
agisce da base acquisendo un H+.
HCl + H2O ↔ H3O+ + Cl-
In presenza di una base più forte di es-
32
L U G L I O 2 0 1 4
Gocce Di Scienza
a cura di Manolo Piat (GDS)
il Gatto Di Schrödinger
I profumi della frutta sono dati da parti-
colari composti chimici che vanno sotto il no-
me di esteri. Gli esteri sono molto diffusi in na-
tura, ma si preparano anche in laboratorio,
anzi quelli sintetizzati sono più numerosi di
quelli naturali. Gli esteri sono la combinazione
di altri due composti chimici molto noti: un aci-
do carbossilico e un alcol. Ad esempio, il pro-
fumo della banana è dato dall'acetato di isoa-
mile, composto ottenuto dalla condensazione
tra l'acido acetico e l'alcol isoamilico, l'uno u-
sato in cucina e l'altro invece non molto noto,
ma utilizzato nei laboratori. Le concentrazioni
di questi esteri nella frutta sono molto basse,
qualche punto percentuale; se si annusasse
l'acetato di isoamile tale quale sarebbe inaf-
frontabile e parleremo di fetore più che di pro-
fumo.
“La vita organica, ci dicono, si è evoluta gra-
dualmente dal protozoo al filosofo e questa
evoluzione, ci assicurano, rappresenta senza
dubbio un progresso. Disgraziatamente, chi ce
lo assicura è il filosofo, non il protozo-
o.” (Bertrand Russell)
Il matematico statunitense Norbert Wiener
(1894-1964) era famoso per la sua distrazio-
ne. Il giorno del suo trasloco si era annotato il
nuovo indirizzo, ma perse l'appunto e si recò a
quello vecchio. Solo allora si ricordò del traslo-
co e - speranzoso - chiese a una ragazza se
sapesse dove si era trasferita la famiglia Wie-
ner. "Sì, papà" rispose la ragazza. "Mamma mi
ha mandato a cercarti. Ti accompagno io". 33
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
arbitraria sostenuta da una parte politica sen-
za prove oggettive o dimostrazioni certe. Que-
sto utilizzo del termine “teorema” è del tutto
improprio, perché un teorema è, al contrario,
una verità dimostrata definitivamente attraver-
so un procedimento logico indiscutibile. Per
questo tipo di affermazione è preferibile utiliz-
zare invece il termine “congettura”, anch’esso
usato dai matematici, appunto col significato di
ipotesi non ancora dimostrata.
Anche se può sembrare strano, il piane-
ta Nettuno non fu scoperto da un astronomo,
ma da un matematico, il francese Urbain Le
Verrier. Questo studioso notò che i movimenti
orbitali di Urano erano, per così dire,
"sbagliati", in base alle leggi di Newton; dove-
va quindi esserci qualcosa che ne disturbava
l'orbita. Le Verrier calcolò la posizione di que-
sto "qualcosa" e la comunicò a un amico a-
stronomo: puntando il telescopio in quella dire-
zione videro Nettuno.
"Nella vita non c'è nulla da temere, solo da
capire." (Marie Curie)
In matematica esistono delle verità che
vengono fissate come principi fondamentali
alla base di una teoria e che vengono conside-
rate vere a priori, senza bisogno di alcuna di-
mostrazione. Da questi principi fondamentali di
una teoria matematica, che sono chiamati as-
siomi, discendono poi altre verità, non meno
importanti per la teoria, che però devono esse-
re dimostrate rigorosamente, appunto sulla
base degli assiomi. Queste affermazioni dimo-
strabili sono chiamate teoremi. Possiamo cita-
re ad esempio il teorema di Pitagora sui trian-
goli rettangoli, la cui dimostrazione si basa su-
gli assiomi della geometria euclidea.
Nell’odierno linguaggio giornalistico, soprattut-
to politico, si usa impropriamente la parola
“teorema” con il significato di illazione o tesi
34
L U G L I O 2 0 1 4
il Gatto Di Schrödinger
Il Gatto di Schrödinger è una iniziativa del
Gruppo Divulgazione Scientifica Dolomiti
“E. Fermi” di Belluno.
Questo numero è stato realizzato a Belluno
nel mese di luglio 2014.
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In copertina: La Marmolada innevata fotogra-
fata al tramonto (tratta da Wikipedia): da sini-
stra Punta Penia, la cima più elevata, e il Gran
Vernel (si veda l’articolo di Gianni Marigo a
pagina 8).
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