IL FONDAMENTO, LE FINALITA’ E I PRINCIPI PORTANTI … · sono norme, riconducibili al principio...

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Relazione, con alcuni aggiornamenti, tratta dal volume FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010 1 IL FONDAMENTO, LE FINALITA’ E I PRINCIPI PORTANTI DELLA POTESTA’ DISCIPLINARE IN GENERALE E NELLA MAGISTRATURA IN PARTICOLARE 1 di Vito Tenore Magistrato della Corte dei Conti Docente presso la SSPA SOMMARIO: 1. Fondamento e finalità del potere disciplinare in generale (nell’impiego pubblico, nell’impiego privato, nelle libere professioni) e nei confronti dei magistrati in particolare. – 2. La diversa natura giuridica (amministrativa, giurisdizionale, contrattuale) dei molteplici procedimenti disciplinari presenti nell’ordinamento e i suoi riflessi applicativi. – 3. Il cattivo funzionamento della macchina disciplinare nella pubblica amministrazione in generale e nella magistratura in particolare: cause e possibili soluzioni. – 4. I principi portanti del procedimento disciplinare: a) obbligatorietà dell’azione disciplinare e della segnalazione disciplinare; b) proporzionalità sanzionatoria e divieto di automatismi punitivi; c) parità di trattamento; d) tempestività. - 5. I principi portanti del procedimento disciplinare: e) tassatività delle sanzioni e (tendenziale) tipicità degli illeciti; f) gradualità sanzionatoria; g) contraddittorio procedimentale; h) trasparenza del procedimento; i) terzietà dell’organo titolare della potestà disciplinare; k) potestà disciplinare verso ex appartenenti alla p.a. ed alla magistratura in particolare; l) la corrispondenza tra contestazione degli addebiti e fatti sanzionati nel provvedimento punitivo finale. – 6. Autonomia dell’illecito disciplinare da altri illeciti. 1. Fondamento e finalità del potere disciplinare in generale (nell’impiego pubblico, nell’impiego privato, nelle libere professioni) e nei confronti dei magistrati in particolare. La potestà disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) nei confronti dei magistrati ordinari, dei Consigli di Presidenza per i magistrati amministrativi e contabili, al pari dell’omologo potere riconosciuto alla pubblica amministrazione nei confronti dei restanti dipendenti (civili e militari, privatizzati o meno), al potere riconosciuto al datore privato nei confronti dei propri lavoratori ed al potere punitivo attribuito agli ordini professionali nei confronti dei propri iscritti, rappresenta un mezzo di imparziale autoregolamentazione interna delle condotte patologiche che si realizzano nel “micro-ordinamento” di appartenenza del lavoratore (o del professionista), ostative al corretto raggiungimento dei fini istituzionali, attraverso un rapido ed efficace strumento punitivo, volto a prevenire, dissuadere e, nel contempo, sanzionare, dall’interno, violazioni di regole che sono i pilastri dello status del magistrato, del lavoratore (o del professionista). In altre parole, l’appartenenza all’ordine giudiziario, ad una pubblica amministrazione, ad una azienda privata o ad un ordine professionale, comporta l’osservanza di regole, di rango legislativo, regolamentare o contrattuale, la cui violazione, ferme restando le eventuali concorrenti responsabilità “generali” (civile, penale, amministrativo-contabile, v. infra Capitolo V), origina 1 La relazione, con alcuni aggiornamenti, è tratta dal volume FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010.

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Relazione, con alcuni aggiornamenti, tratta dal volume FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010

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IL FONDAMENTO, LE FINALITA’ E I PRINCIPI PORTANTI

DELLA POTESTA’ DISCIPLINARE IN GENERALE E NELLA MAGISTRATURA IN PARTICOLARE1

di Vito Tenore

Magistrato della Corte dei Conti Docente presso la SSPA

SOMMARIO: 1. Fondamento e finalità del potere disciplinare in generale (nell’impiego pubblico, nell’impiego privato, nelle libere professioni) e nei confronti dei magistrati in particolare. – 2. La diversa natura giuridica (amministrativa, giurisdizionale, contrattuale) dei molteplici procedimenti disciplinari presenti nell’ordinamento e i suoi riflessi applicativi. – 3. Il cattivo funzionamento della macchina disciplinare nella pubblica amministrazione in generale e nella magistratura in particolare: cause e possibili soluzioni. – 4. I principi portanti del procedimento disciplinare: a) obbligatorietà dell’azione disciplinare e della segnalazione disciplinare; b) proporzionalità sanzionatoria e divieto di automatismi punitivi; c) parità di trattamento; d) tempestività. - 5. I principi portanti del procedimento disciplinare: e) tassatività delle sanzioni e (tendenziale) tipicità degli illeciti; f) gradualità sanzionatoria; g) contraddittorio procedimentale; h) trasparenza del procedimento; i) terzietà dell’organo titolare della potestà disciplinare; k) potestà disciplinare verso ex appartenenti alla p.a. ed alla magistratura in particolare; l) la corrispondenza tra contestazione degli addebiti e fatti sanzionati nel provvedimento punitivo finale. – 6. Autonomia dell’illecito disciplinare da altri illeciti.

1. Fondamento e finalità del potere disciplinare in generale (nell’impiego pubblico, nell’impiego privato, nelle libere professioni) e nei confronti dei magistrati in particolare.

La potestà disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) nei confronti dei

magistrati ordinari, dei Consigli di Presidenza per i magistrati amministrativi e contabili, al pari dell’omologo potere riconosciuto alla pubblica amministrazione nei confronti dei restanti dipendenti (civili e militari, privatizzati o meno), al potere riconosciuto al datore privato nei confronti dei propri lavoratori ed al potere punitivo attribuito agli ordini professionali nei confronti dei propri iscritti, rappresenta un mezzo di imparziale autoregolamentazione interna delle condotte patologiche che si realizzano nel “micro-ordinamento” di appartenenza del lavoratore (o del professionista), ostative al corretto raggiungimento dei fini istituzionali, attraverso un rapido ed efficace strumento punitivo, volto a prevenire, dissuadere e, nel contempo, sanzionare, dall’interno, violazioni di regole che sono i pilastri dello status del magistrato, del lavoratore (o del professionista).

In altre parole, l’appartenenza all’ordine giudiziario, ad una pubblica amministrazione, ad una azienda privata o ad un ordine professionale, comporta l’osservanza di regole, di rango legislativo, regolamentare o contrattuale, la cui violazione, ferme restando le eventuali concorrenti responsabilità “generali” (civile, penale, amministrativo-contabile, v. infra Capitolo V), origina

1 La relazione, con alcuni aggiornamenti, è tratta dal volume FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010.

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reazioni interne, espressive della potestà disciplinare che fa capo agli organi datoriali o, comunque, di vertice del micro-ordinamento di appartenenza, o a specifici organismi creati ad hoc (sezione disciplinare del C.S.M., uffici disciplinari, consigli degli ordini etc.).

Queste regole non rappresentano un mero “galateo” del buon lavoratore o professionista, ma sono norme, riconducibili al principio del rispetto del “comportamento idoneo al fine istituzionale”, la cui inosservanza assume giuridica rilevanza sotto il profilo puntivo-disciplinare. La violazione delle norme di condotta non interessa però esclusivamente l'ordine di appartenenza, e la relativa responsabilità non costituisce uno strumento di garanzia del mantenimento dello status quo al suo interno, ma le regole disciplinari sono preordinate alla tutela dell'ordinamento giuridico generale in considerazione della rilevanza esterna, per la collettività, dei compiti assolti dall’amministrazione e dai suoi dipendenti, e dai magistrati in particolare: il bene affidato alla cura della sezione disciplinare del C.S.M. non riguarda il solo ordine giudiziario, quale «corporazione», ma la generalità dei cittadini, lo Stato-comunità.

Tale potere, nell'impiego presso la p.a.2, viene fondato sul principio di buon andamento della amministrazione (art.97 cost.) e sul conseguenziale rapporto di supremazia speciale del datore pubblico ed è qualificato come classico potere pubblicistico, con connotazione fortemente autoritaria ed influenzata dal diritto penale. Tali caratteristiche, non estensibili al personale magistratuale (sottoposto solo alla legge e non ad un “datore”) e attenuatesi dopo la c.d. privatizzazione del rapporto di lavoro con la p.a.3, conservano la loro attualità per il personale militare e delle forze di polizia4, operante in strutture ancora oggi ontologicamente e necessariamente gerarchizzate.

Nel lavoro privato (ed oggi nell’impiego pubblico privatizzato), invece, il potere disciplinare trova la sua giustificazione nella relazione di subordinazione che lega il prestatore di lavoro al datore di lavoro, e rivendica comunque un suo peculiare spazio nell'ambito della paritetica dialettica contrattuale, quale tipico strumento organizzativo dell'imprenditore5.

2 Tra i più significativi contributi monografici sulla materia disciplinare “privatizzata” v. TENORE, PALAMARA, BURATTI, Le cinque responsabilità del pubblico dipendente, Milano, Giuffrè, 2013; TENORE, La responsabilità disciplinare nel pubblico impiego dopo la riforma Brunetta, Milano, Giuffrè, 2010; NOVIELLO-TENORE, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2002; MAINARDI, Il potere disciplinare nel lavoro privato e pubblico, art.2106, in SCHLESINGER (a cura di), Il codice civile. Commentario, Milano, 2002. Più di recente v. AA.VV. (a cura di VIGEZZI), Le sanzioni disciplinari, Milano, 2003; AA.VV., Il sistema disciplinare nel lavoro pubblico, Formez, Roma, 2004; AA.VV. (a cura di CATELANI), Il codice di comportamento dei dipendenti della p.a., Milano, 2005; DI PAOLA, Il potere disciplinare nel lavoro privato e nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2006. Per una vasta rassegna di giurisprudenza in materia disciplinare e sul pubblico impiego in generale v. APICELLA, CURCURUTO, SORDI, TENORE, Il pubblico impiego privatizzato nella giurisprudenza, Milano, 2005. A livello manualistico v. FALCONE, Commento agli artt.54-56, d.lgs. n.165 del 2001, in AMOROSO, DI CERBO, FIORILLO, MARESCA, Il diritto del lavoro, III, Il lavoro pubblico, Milano, 2006; MAINARDI, La responsabilità e il potere disciplinare, in CARINCI, ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Torino, 2004. 3 Sul tema, tra i molteplici contributi, v. TENORE (a cura di), Il manuale del pubblico impiego privatizzato, Roma Epc libri, 2010. 4 Sulla disciplina, di stato e di corpo, nel peculiare ordinamento militare cfr. POLI, TENORE (a cura di), L’ordinamento militare, Milano, 2006, 620 ss.; POLI-TENORE, I procedimenti amministrativi tipici ed il diritto di accesso nelle forze armate, Milano, 2003, 238 ss. Per la disciplina del personale della Polizia di Stato v. SGALLA, BELLA, BELLA, Manuale di disciplina per il personale della Polizia di Stato, Roma, 2001; TENORE, FRISCIOTTI, SCAFFA, La responsabilità ed il procedimento disciplinare nelle forze armate e di Polizia, (in corso di pubblicazione), Roma, 2009. 5 Sul potere disciplinare nell’impiego privato v. tra i tanti contributi, prescindendo da articoli e note a sentenza, si segnalano: GRANDI, Il procedimento disciplinare in sede aziendale e in sede sindacale, in Le sanzioni disciplinari nella contrattazione collettiva, Milano, 1966; ZANGARI, Potere disciplinare e licenziamento, Milano, 1971; SPAGNUOLO VIGORITA, Il potere disciplinare dell'imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori, in I poteri

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Peraltro appare preferibile valorizzare la genesi comune del potere disciplinare nell’impiego pubblico (privatizzato) e privato, considerandolo come l'indispensabile potere punitivo dell'organizzatore, ovvero di chi, avendo il compito di organizzare il lavoro altrui per il perseguimento di un interesse pubblico o privato, deve avere anche gli strumenti per rendere effettivo ed efficace il suo potere direttivo e, quindi, deve poter punire chi infrange regole connesse appunto all'esecuzione della prestazione lavorativa, venendosi così a trovare in una naturale posizione di supremazia giuridica: il potere disciplinare, per i requisiti sostanziali, per le singolari modalità di esercizio e per le pene (conservative ed espulsive) nelle quali si manifesta, conserva dei connotati innegabilmente autoritari, attribuendo nell'ambito del rapporto lavorativo una posizione in concreto di supremazia privata, incompatibile, in linea di principio, con la parità e l'uguaglianza delle parti.

Nelle libere professioni, infine, la fissazione di regole legislative e deontologiche (che completano e dettagliano precetti legislativi) e la previsione di una potestà sanzionatoria interna nei confronti degli appartenenti, sono un mezzo imparziale di autoregolamentazione dell’ordinamento professionale attraverso un rapido ed efficace strumento punitivo a garanzia del mantenimento di uno standard di qualità minimo nell'esercizio della professione, nonché della credibilità e affidabilità sociale nella categoria e nelle funzioni della stessa: i sistemi disciplinari interni tutelano dunque il decoro ed il prestigio della classe professionale, e le aspettative di quanti si affidano a professionisti per l'esatto adempimento della loro volontà6. In un momento storico caratterizzato da scomposti impeti legislativi tesi alla liberalizzazione di vasti settori dell’economia ed al connesso ridimensionamento delle libere professioni, la credibilità e l’affidabilità di queste ultime, che passa

dell'imprenditore e i limiti derivanti dallo statuto dei lavoratori, Milano, 1972; SPAGNUOLO VIGORITA, Le sanzioni disciplinari, in L'applicazione dello statuto dei lavoratori. Tendenze ed orientamenti (a cura di PERA), Milano, 1973; MONTUSCHI, Potere disciplinare e rapporto di lavoro, Milano, 1973; MONTUSCHI, sub art. 7, in GHEZZI, MANCINI, MONTUSCHI, ROMAGNOLI, Lo statuto dei diritti dei lavoratori, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Rimini, 1979; BORTONE, sub art. 7, in Lo statuto dei lavoratori, Commentario (diretto da GIUGNI), Milano, 1979; FILODORO-MIRANDA, L'arbitrato e le sanzioni disciplinari in materia di lavoro, Milano, 1979; MONTUSCHI, La giustificazione del potere disciplinare nel rapporto di lavoro, in AA.VV., Le pene private (a cura di BUSNELLI e SCALFI), Milano, 1985; VARDARO-GAETA, Sanzioni disciplinari I. Rapporto di lavoro privato, in Enc. giur., vol. XXXI, Roma, 1992; PAPALEONI, Il procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore, Napoli, 1996; AMBROSIO-FERRARA, Il licenziamento disciplinare tra pubblico e privato, Napoli, 1998; INCANTALUPO, Le sanzioni disciplinari, Milano, 1999. 6 Gli studi sui sistemi disciplinari nelle libere professioni si segnala TENORE, Deontologia e nuovo procedimento disciplinare nelle libere professioni, Milano, Giuffrè, 2013; tra i vari contributi sulla responsabilità disciplinare dei notai v. TENORE, CELESTE, La responsabilità disciplinare del notaio ed il relativo procedimento, Milano, 2008; SANTARCANGELO, Il procedimento disciplinare a carico dei notai, Milano, 2007; TRAPANI, L’apparato sanzionatorio nel novellato disciplinare notarile tra conferme e novità, in Riv.Notariato, 2007, f.3; BRIENZA, Il nuovo procedimento disciplinare: problemi vecchi e nuovi, in Federnotizie, 2007, n.16, 1; BRIENZA, Brevi annotazioni sull’attività ispettiva e su altri profili del nuovo procedimento disciplinare, in Federnotizie, 2007, 29; CEOLIN, Il nuovo procedimento disciplinare notarile Commento al d. legisl. 1° agosto 2006 n. 249 in Studium iuris, 2007, 1; DI FABIO Manuale di notariato, Milano, 2007, 396; CONDO’, Modifiche alla figura, ai poteri e ai doveri del consiglio notarile, in Federnotizie, n.3, 2007, 60.

Sulla responsabilità disciplinare degli avvocati e di altri professionisti, oltre al citato TENORE, Deontologia e nuovo procedimento, v. DANOVI, Il procedimento disciplinare nella professione di avvocato, Milano, 2005; MODONESI, Il procedimento disciplinare avanti ai consigli degli ordini degli ingegneri e degli architetti, in Rass.forense, 1998, 333; DANOVI, Corso di ordinamento forense e deontologia, Milano, 1995, 248 ss.; DANOVI, Codice delle professioni intellettuali, Milano, 1989; DE VECCHI-FRIGENI-PAJARDI-VERNA, Deontologia e legislazione professionale dei dottori commercialisti, dei ragionieri, e dei periti commerciali, Milano, 1987; CELONA, Disciplina e deontologia degli agenti di cambio, Milano, 1987; IBBA, La categoria «professionale intellettuale», in IBBA LATELLA PIRAS DE ANGELIS MACRÌ, Le professioni intellettuali, Torino, 1987, 123 ss.; CATELANI, Gli ordini ed i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, 1976, 153 ss.; LEGA, voce Ordinamenti professionali, in NNDI, vol. XII, Torino, 1965, 9 ss.; LEGA, La libera professione, Milano, 1950, 73 ss.; RASPONI, Il potere disciplinare, Padova, 1942, 193 ss.; ZANOBINI, L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Trattato dir. amm. diretto da Orlando, vol. II, parte III, Milano, 1935, 374 ss.

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anche attraverso la rigorosa azione autocorrettiva disciplinare, rappresenta un basilare presupposto per difendere l’importante ragion d’essere delle libere professioni7: solo un ordine efficiente, tecnicamente preparato ed eticamente ineccepibile può garantire la sua sopravvivenza in un sistema che sembra ispirarsi alla regola lassista secondo cui “tutti possono fare tutto”: a nostro avviso invece, lavori complessi possono e devono invece essere espletati da pochi, ben selezionati professionisti, costantemente aggiornati e adeguatamente sanzionati se contravvengano alle regole che reggono un determinato ordinamento.

Venendo, da ultimo, al sistema della responsabilità disciplinare dei magistrati, ivi compresi gli uditori giudiziari8, da sempre istituto centrale per misurare il livello di responsabilità e di indipendenza degli stessi9, esso trae il proprio fondamento, come detto, non già in una “supremazia speciale” della p.a. nei confronti dei propri dipendenti, ma in valori e finalità ancor più rilevanti rispetto ad altre categorie di lavoratori o di professionisti: controllare il corretto esercizio della funzione giudiziaria10 e garantire la qualità della giustizia, senza però ledere o interferire con l’indipendenza dell’esercizio della funzione stessa o ingabbiare il magistrato nelle strette maglie di comportamenti giuridicamente imposti. Il suo basilare referente, per i magistrati ordinari, va rinvenuto nella Costituzione che, all’art. 105, attribuisce al Consiglio superiore della magistratura,

7 Sulle finalità di interesse generale, che devono essere perseguite dagli ordini professionali e sono a base del loro riconoscimento da parte del legislatore, cfr., in particolare, ZANOBINI, L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Trattato dir. amm. diretto da Orlando, vol. II, parte III, Milano, 1935, 383 ss.; CATELANI, Gli ordini ed i collegi professionali nel diritto pubblico, Milano, 1976, 21 ss. e 87 ss., il quale, in particolare, fa riferimento all'art. 41, comma 2, Cost. Più in generale, sui fini pubblicistici degli enti professionali, si vedano: LEGA, voce Ordinamento professionale, in NNDI, vol. XII, Torino, 1965, 9 ss.; LEGA, La libera professione, Milano, 1950, 4 ss.; PISCIONE, voce Professioni (disciplina delle), in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, 1040 ss. L'interesse generale opera, pertanto, come limite alla garanzia costituzionale del diritto al lavoro intellettuale, sulla quale si vedano: CATELANI, Gli ordini, cit., 9 ss.; VIRGA, Libertà giuridica e diritti fondamentali, Milano, 1947, 143 ss.; PERA, voce Professione (libertà di), in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, 1033 ss.; MANCINI, Principi fondamentali, in Comm. Cost. diretto da Branca, Bologna-Roma, 1982, 982 ss. Dai rilievi svolti nel testo discende il monito a tutti gli ordini professionali a superare, in sede disciplinare, quegli atteggiamenti di protezionismo interno, per ragioni extragiuridiche, nei confronti di micro e (talvolta) macro illegalità poste in essere da propri adepti o, al contrario, a fare uso non imparziale (strumentale) della leva disciplinare: la tolleranza di tali fenomeni nel lungo periodo mina in radice la moralità, ancor prima che la legalità, della categoria professionale e concorre alla sua scomparsa o, quanto meno, al discredito sociale. 8 L'ordinamento disciplinare dei magistrati ha carattere unitario ed è irrilevante la circostanza che l'incolpato rivesta lo status di uditore senza funzioni al momento in cui è commessa l'infrazione, come si evince dalla previsione di illeciti per fatti che sono estranei all'espletamento di funzioni giudiziarie; ne consegue che la sanzione applicabile agli uditori è identica a quella prevista per i magistrati con funzioni e può essere scontata anche dopo che sia cessato il tirocinio. È invece necessario, per esercitare il potere disciplinare ed individuare la procedura applicabile, che la qualità di magistrato sussista al momento in cui la sanzione è inflitta (Cass., sez.un., 18 giugno 2008 n.16541, in Diritto & Giustizia, 2008 con nota di MANDALARI). 9 FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010; ROSSI, Il potere disciplinare, in Il Consiglio superiore della magistratura, a cura di MAZZAMUTO, 2001, Giappichelli Ed., 69 ss.; FERRAJOLI, L’etica della giurisdizione penale (contributi per una definizione della deontologia dei magistrati), in Questione giustizia, 1999, n. 3, 482 ss.; ZANCHETTA, Appunti sulla deontologia dei magistrati, in Questione giustizia, 2000, n. 2, 330 ss. Da ultimo AA.VV. (a cura di ALBAMONTE-FILIPPI), Ordinamento giudiziario, leggi, regolamenti e procedimenti, Torino, 2009; AAVV. (a cura di CARCANO), Ordinamento giudiziario: organizzazione e profili processuali, Milano, 2009. 10 Sul punto C.cost., **1981 n.100, in Foro.it., 1981, I, 2360 secondo cui i magistrati, per dettato costituzionale, debbono essere imparziali ed indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio della funzione giurisdizionale, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell'adempimento del loro compito.

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secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.

Le competenze in materia disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, come le altre competenze previste dall’art. 105 cost., traggono poi il loro fondamento nel precedente art. 104 che, nel disporre l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, pone l’organo consiliare a presidio di questi valori11. Analoga, ma non identica, garanzia di indipendenza connota lo status dei magistrati amministrativi e contabili ex art.108 cost. come più volte rimarcato dalla Consulta12.

Il sistema disciplinare tradizionale per i magistrati ordinari trovava poi la sua regolamentazione nella legge sulle guarentigie della magistratura 31 maggio 1946 n.511 (artt. 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38), nella legge istitutiva del Consiglio superiore 24 marzo 1958 n.195 (artt. 10, primo comma, n. 3, 14, primo comma, n. 1) e nel relativo regolamento di attuazione e di coordinamento 16 settembre 1958 n.916 (artt. 57, 58, 59, 60, 61 e 62)13.

Questo ordinamento era improntato, sino al 2006, sui principi della atipicità dell’illecito disciplinare, della discrezionalità nell’esercizio della relativa azione e della riconducibilità delle regole processuali all’abrogato codice di procedura penale di tipo inquisitorio.

Su questo assetto normativo, com’è noto, è intervenuta la riforma del 200614, attuativa della legge delega 25 luglio 2005, n. 150, prima con il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (la c.d. legge Castelli) e, poi, con le modificazioni ad esso apportate dalla legge 24 ottobre 2006, n. 269 (la c.d. legge Mastella) e dalla l. 30 luglio 2007 n.111.

Come meglio si vedrà nel successivo Capitolo VIII, tale novellato regime, a differenza di quello previgente, non opera per i magistrati amministrativi e contabili, in quanto il d.lgs. 23 febbraio 2006 n.109 e succ.mod., in base al relativo art.30, opera per i soli magistrati ordinari: tale non trasponibilità dei nuovi principi, origina non pochi problemi per le restanti magistrature speciali.

Il nuovo sistema normativo si è sostituito integralmente al vecchio, con l’abrogazione (art. 31, d.lgs. n.109) delle relative disposizioni contenute nel r.d.l. n. 511 del 1946 (artt. 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38), nella legge n. 195 del 1958 (art. 14, co.1, n. 1) e nel d.P.R. n. 916 del 1958 (artt. 57, 58, 59, 60, 61 e 62).

Le ragioni di una riforma del sistema disciplinare di così ampia portata sono certamente quelle dettate dall’esigenza di un ammodernamento dei principi generali della deontologia giudiziaria - da moltissimo tempo ormai ricondotta nell’alveo della giurisdizione15, e dal peso 11 Ne consegue che, per sottrarre al Consiglio superiore della magistratura le attribuzioni in materia disciplinare, andrebbe modificato, con l’art. 105 della Costituzione, anche l’art. 104. 12 Da ultimo C.cost., 27 marzo 2009 n.87, in www.cortecostituzionale.it. 13 Per una felice sintesi dei caratteri del regime disciplinare per i magistrati ordinari prima della riforma del 2006 v. FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2008, 414 ss. 14 Tra i più recenti contributi specificamente dedicati alla riforma del sistema disciplinare a seguito della riforma dell’ordinamento giudiziario v. la dottrina citata nella successiva nota 18. 15 C.cost., 29 gennaio 1971 n.12, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale “Non è controvertibile che la legislazione vigente, sui procedimenti disciplinari a carico dei magistrati, con espresse e non equivoche statuizioni - come quelle secondo cui il provvedimento disciplinare (cfr. la rubrica dell'art. 35 del r.d.l. n. 511 del 1946) va adottato con "sentenza" impugnabile (art. 17, ult. comma della legge 24 marzo 1959, n. 195) con ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, ed il procedimento, a differenza di quello per ai dipendenti pubblici, viene instaurato da soggetti (Ministro della giustizia, ex art. 107, secondo comma, della Costituzione, e procuratore generale, presso la Corte di cassazione, ex art. 14 della legge 24 marzo 1958, n. 195) del tutto estranei al collegio deliberante - ha inteso stabilire, a tutela dell'indipendenza dei magistrati, che il procedimento stesso si svolga nelle forme e nei modi e con le garanzie tipiche della funzione giurisdizionale. Pertanto la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, di cui agli

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sempre più crescente sul corpus della magistratura - onde adeguare il sistema ai principi costituzionali in tema di ordinamento giudiziario, sintetizzabili nella imparzialità del giudice, nell’indipendenza della magistratura e nella sua subordinazione esclusiva alla legge, in vista dell’efficienza della tutela giurisdizionale offerta ai cittadini.16

In buona sostanza, le finalità che in materia disciplinare tutti vorrebbero che siano realizzate sono quelle, per un verso, di assicurare che i magistrati siano effettivamente perseguiti e sottoposti a sanzione per i loro comportamenti scorretti e per gli abusi che compiono nell’esercizio delle loro funzioni e, per altro verso, di garantire che i magistrati non siano arbitrariamente perseguiti ogni qualvolta che, facendo il loro dovere, si scontrino loro malgrado con interessi forti e soggetti reattivi o mossi da intenti emulativi.17

Queste finalità, evidentemente, sono difficili da realizzare, soprattutto in un momento storico - come quello attuale - caratterizzato da un forte conflitto tra “politica” e “giustizia” e dal venir meno delle sicurezze costituite dai capisaldi della Carta Costituzionale; in particolare, della consapevolezza che l’autonomia ed indipendenza della magistratura è un valore da difendere non in quanto tale, ma in quanto strumentale ad una effettiva realizzazione del principio secondo cui tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge.

Ciò malgrado, la peculiarità della sistema della disciplina dei magistrati18 e del c.d. “minimo etico” esigibile, determinava l’esigenza, proveniente da più parti, di procedere ad una riforma che incidesse, particolarmente, attraverso i diversi profili della tipizzazione degli illeciti disciplinari, dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare e delle regole del procedimento disciplinare.19

artt. 1 e 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, esercitando funzioni di carattere giurisdizionale, deve ritenersi legittimata a promuovere, in base all'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, giudizi di legittimità costituzionale.”. In dottrina, v. nota adesiva di DEVOTO, Giudizio disciplinare e indipendenza dei magistrati, in Giur.it., 1972, I, 47 ss.; più recentemente, A. PATRONO, La responsabilità disciplinare dei magistrati, in Cass. Pen., 1998, 1099 ss., che ritiene il carattere giurisdizionale del giudizio disciplinare in buona sostanza costituzionalmente imposto, in quanto necessario in funzione della tutela dell’indipendenza del magistrato incolpato. v. anche Cass., sez. un. civ., 29 ottobre 1974 n. 3255; id., 3 marzo 1970 n.506; id., 27 gennaio 1969 n.240, tutte in Ced Cassazione. 16 Così E. ROSI, Gli illeciti disciplinari, in Dir.pen. e proc., 2005, n. 12, 1505 e, più recentemente, La responsabilità disciplinare dei magistrati dal decreto legislativo Castelli del 2005 alla legge n. 269 del 2006, in L’ordinamento giudiziario. Itinerari di riforma, a cura di MAZZAMUTO, Jovene Ed., 2008, 213 ss. 17 N. ROSSI, Sorvegliare e punire…”, in Quest.giustizia, 2004, n. 5, 831; v. anche G. ICHINO, Le denunce nei confronti di magistrati tra strumentalità e sottovalutazione, in Quest. giustizia, n. 6, 1127 ss. 18 Evidenziata anche da C.cost., 13 aprile 1995 n.119 che, nel richiamare la precedente sua sentenza n. 71 del 1° marzo 1975, ha affermato che “pur ravvisando una matrice comune nel procedimento a carico dei dipendenti pubblici e dei magistrati nell’esigenza di assicurare l’interesse pubblico al buon andamento e all’imparzialità delle funzioni statali in bilanciamento con i diritti costituzionalmente rilevanti dei singoli, (…) per i magistrati i due termini del bilanciamento assumono una connotazione ulteriore. Da un lato, infatti, l’interesse pubblico in gioco riguarda il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale (assistito dalla speciale garanzia di autonomia ed indipendenza ex art. 101, secondo comma, della Costituzione); mentre, dall’altro lato la tutela del singolo va commisurata alla salvaguardia del dovere di imparzialità e della connessa esigenza di credibilità collegate all’esercizio della funzione giurisdizionale”. 19 Sulla riforma del procedimento disciplinare per i magistrati in generale, v. in dottrina: FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010; DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati, Milano, 2013; AA.VV. (a cura di ALBAMONTE-FILIPPI), Ordinamento giudiziario, leggi, regolamenti e procedimenti, Torino, 2009; AAVV. (a cura di CARCANO), Ordinamento giudiziario: organizzazione e profili processuali, Milano, 2009; CASSANO, Prime riflessioni in tema di procedimento disciplinare, in L’ordinamento giudiziario. Itinerari di riforma, a cura di MAZZAMUTO, Napoli, 2008, 161 ss.; ROSSI, La responsabilità disciplinare dei magistrati dal decreto legislativo Castelli del 2005 alla legge n. 269 del 2006, in L’ordinamento giudiziario. Itinerari di riforma, a cura di MAZZAMUTO, Napoli., 2008, 213 ss.; SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2008, 154 ss.; AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008; FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2008, 409 ss.; DAL CANTO, La responsabilità disciplinare: aspetti

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2. La diversa natura giuridica (amministrativa, giurisdizionale, contrattuale) dei molteplici procedimenti disciplinari presenti nell’ordinamento e i suoi riflessi applicativi.

Come si è sopra segnalato, la responsabilità disciplinare non connota solo lo status del

magistrato, ma la stessa si rinviene in tutto il pubblico impiego, nel lavoro privato e nelle libere professioni.

I molteplici regimi esistenti, pur avendo comuni principi portanti, analizzati nei successivi parag.4 e 5, presentano talune settoriali peculiarità e, soprattutto, una diversa natura giuridica: difatti, per ragioni storiche e costituzionali, come ribadito di recente anche dalla Corte costituzionale con la pronuncia 19 maggio 2008 n.18220, “l'esercizio della funzione disciplinare nell'ambito del pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni si esprime con modalità diverse che caratterizzano i relativi procedimenti a volte come amministrativi, altre volte come giurisdizionali, in rispondenza a scelte del legislatore, la cui discrezionalità in materia di responsabilità disciplinare spazia entro un ambito molto ampio”. Ne consegue, secondo la cennata sentenza della Consulta, che la disciplina del procedimento a carico dei magistrati incolpati, prevista dall'art. 34 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), si svolge secondo moduli giurisdizionali in base al principio costituzionale di garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura sancito dall'art. 101 della Costituzione. Quindi, esso non è comparabile con il procedimento disciplinare degli altri settori della pubblica amministrazione non privatizzata21, né con il procedimento disciplinare previsto nell’impiego privato (o nell’impiego pubblico privatizzato), ove la natura dell’iter punitivo non è né giurisdizionale, né amministrativo, ma è negoziale, in quanto rinviene il suo fondamento e la sua regolamentazione nella contrattazione collettiva recepita nei contratti individuali di lavoro, che sostanziali, in Foro It., 2008, V, 117 ss.; PANIZZA, La responsabilità disciplinare: aspetti processuali, in Foro It., 2008, V, 126 ss.; CASO, Il pubblico impiego non privatizzato. Magistrati e avvocati dello Stato, a cura di CARINCI e TENORE, Milano, 2007, 423 ss.; CIAMPOLI, Magistrati (illecito disciplinare dei), in Dig.disc.pen., a cura di GAITO, 2008, 653 ss.; SORRENTINO, Prime osservazioni sulla nuova disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, in Quest.giust., 2007, 54 ss.; SCOLA, Nuovo commentario minimo alla riformata riforma dell’ordinamento giudiziario, in Foro amm., 2007, nn. 7-8, 2327 ss.; PERRONE, Diritto alla manifestazione del pensiero per gli appartenenti all’ordine giudiziario e “processo catodico”: cosa cambia con la riforma della deontologia giudiziaria, in Giust.civ., 2007, 457 ss.; CICALA, Terzietà del giudice e sistema disciplinare dei magistrati, in Riv.dir.priv., 2007, n. 2, 417 ss.; FUZIO, Le dichiarazioni dei magistrati agli organi di informazione: limiti e rilevanza disciplinare, in Foro It., 2007, V, 71 ss.; ERBANI, Gli illeciti disciplinari del magistrato, in AA.VV. (a cura di CARCANO), Il nuovo ordinamento giudiziario, Milano, 2006, 297 ss.; BELTRANI, Come (ri)cambia l’illecito disciplinare, in Dir. e giust., 2006, n. 41, 88 ss.; CARCANO (a cura di), Il nuovo ordinamento giudiziario, in Il nuovo ordinamento giudiziario, 2006, Milano, 327 ss.; DAL CANTO, La responsabilità disciplinare: aspetti sostanziali, in Foro It., 2006, V, 44 ss.; DE NARDI, Non è ancora “giusto processo disciplinare, in Guida al dir., 2006, n. 20, 48, ss.; DI PAOLA, Illeciti disciplinari: questo è il catalogo. Spunta “l’interferenza” con altri poteri, in Quest.giust., 2007, 103 ss.; ERBANI, La giustizia disciplinare, in Quest.giust., 2006, I, 128 ss.; GIORDANO, Il procedimento disciplinare, in Dir.pen.e proc., 2006, n. 3, 283 ss.; MOROZZO DELLA ROCCA, Il d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109: note minime sulla successione di norme in materia di disciplina dei magistrati, in Giust.civ., 2006, 254 ss.; SAULLE PANIZZA, La responsabilità disciplinare: aspetti processuali, in Foro It., 2006, V, 47 ss.; TRICOMI, Contiene la tipizzazione degli illeciti il penultimo tassello di attuazione, in Guida al dir., 2006, n. 20, 44 ss.; VIGNA, Ecco il nuovo procedimento disciplinare, in Dir.e giust., 2005, n. 31, 98 ss.; ROSI, Gli illeciti disciplinari, in Dir.pen. e proc., 2005, n. 12, 1505 ss. 20 C.cost., 19 maggio 2008 n.182, in www.cortecostituzionale.it. In terminis C.cost., *** 1976 n. 145. 21 In terminis C.cost., *** 1992 n. 289.

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attribuisce pattiziamente al datore tale potestà sanzionatoria a fronte di inadempimenti contrattuali del lavoratore22. Sul piano applicativo, la natura amministrativa e non giurisdizionale di taluni procedimenti disciplinari e la natura provvedimentale (e non giurisdizionale) del relativo provvedimento sanzionatorio, comporta rilevanti conseguenze, così schematizzabili:

a) applicabilità delle regole sul procedimento e sul provvedimento amministrativo (motivazione, tempistica procedimentale, accesso, contraddittorio etc.) sancite dalla l. 7 agosto 1990 n.24123, che risultano non operanti (rectius operanti, ma sulla base di norme settoriali) in procedimenti giurisdizionali;

b) non trasponibilità ai procedimenti amministrativi delle regole del codice di procedura civile e penale previste per i procedimenti giurisdizionali (es. accompagnamento coattivo di testimoni; obbligo di difesa tramite avvocati; dovere di giuramento per i testimoni, cause di impedimento a comparire ex art.486 c.p.c. etc.);

c) esperibilità dei rimedi amministrativi (ricorso gerarchico e ricorso straordinario al Presidente della Repubblica) accanto a quelli giurisdizionali nei confronti dei provvedimenti amministrativi punitivi, rimedi non utilizzabili a fronte di sanzioni aventi natura giurisdizionale;

d) esercitabilità dell’autotutela (revoca, modifica, annullamento, sospensione di atti: v. art.21-bis seg., l. n.241 del 1990) nei confronti di provvedimenti amministrativi (ovvero le sanzioni inflitte) eventualmente illegittime, potere precluso in sede giurisdizionale;

e) non sollevabilità di questioni di illegittimità costituzionale in sede procedimentale-amministrativa, essendo ex lege (art.1, l.9 febbraio 1948 n.1, art.23, l.11 marzo 1953 n.87) consentita la rimessione alla Consulta solo “nel corso di un giudizio innanzi ad una autorità giurisdizionale”;

f) non necessità di una difesa tecnica da parte di un avvocato, imposta per i processi ma non per i procedimenti amministrativi24;

22 Sul fondamento della potestà disciplinare nell’impiego pubblico privatizzato e nell’impiego privato, si rinvia alla dottrina citata nelle precedenti note 1 e 4. 23 Tra i tanti contributi sulla legge 241 del 1990 dopo le rilevanti modifiche apportate dalle leggi n.15 ed 80 del 2005, v. TENORE, Incidenza della nuova legge n.241 del 1990 sulle pubbliche amministrazioni, Padova, 2006; DE ROBERTO, La legge generale sull’azione amministrativa, Torino, 2005; Aa.Vv. (a cura di CARINGELLA, DE CAROLIS, DE MARZO), Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, 2005; CARINGELLA, SEMPREVIVA, Il procedimento amministrativo, Napoli, 2005; CARANTA, FERRARIS, RODRIGUEZ, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2005; Aa.Vv. (a cura di M.A. SANDULLI, Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo, Atti del convegno organizzato (in collaborazione tra l’Università Bocconi, Il Foro Amm.-TAR e la Scuola per le professioni legali di Pavia) presso l’Università Bocconi di Milano il 25 maggio 2005, su “Riforma della l. 241/1990 e processo amministrativo: una riflessione a più voci”, pubblicati sul supplemento al n. 6/05 del Foro Amm.-TAR., 2005; Aa.Vv. (a cura di ITALIA e M.A. SANDULLI), L’azione amministrativa, commento alla l. 7 agosto 1990 n. 241 modificata dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005 n. 35, Milano, 2005; TOMEI (a cura di), La nuova disciplina dell’azione amministrativa, Commento alla legge n. 241 del 1990 aggiornata alle leggi n. 15 e n. 80 del 2005, Padova, 2005; ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della L. n. 241/1990, in www.giustamm.it, 2005; GALLO, La riforma della legge sull’azione amministrativa ed il nuovo titolo V della nuova Costituzione, in www.giustamm.it, 2005; CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90, I parte, in www.giustamm.it, 2005. 24 Il punto è rilevante alla luce della differente natura giuridica del procedimento disciplinare per i magistrati ordinari (natura giurisdizionale) e amministrativi/contabili (natura amministrativa): solo nel primo caso la difesa da parte di un avvocato è doverosa, come oggi statuito dall’art.22, co.2 del d.lgs. n.109 del 2006 che ha recepito agli indirizzi della Consulta che, con sentenza 16 novembre 2000 n.497 (in www.cortecostituzionale.it), aveva statuito l’illegittimità del previgente art.34, co.2, r.d. 31 maggio 1946 nella parte in cui escludeva che il magistrato ordinario sottoposto a procedimento disciplinare potesse farsi assistere da un avvocato.

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g) inapplicabilità alle sanzioni disciplinari–provvedimenti amministrativi degli istituti della amnistia, grazia, indulto e condono, che riguardano le sole sanzioni penali25;

h) inapplicabilità della sospensione feriale dei termini ex art.1, l. 7 ottobre 1969 n.742, che riguarda il solo processo innanzi al giudice e non il procedimento amministrativo;

i) esclusione della costituzione di parte civile nel procedimento disciplinare avente natura di procedimento amministrativo del soggetto (cliente, collega etc.) danneggiato dal lavoratore o dal libero professionista, non trattandosi di un processo;

j) inipotizzabilità di un patteggiamento processual-penalistico in un procedimento disciplinare di natura amministrativa (salvo previsione settoriale di similari istituti: si pensi all’oblazione prevista nel regime disciplinare notarile o al patteggiamento disciplinare del regime contrattuale del pubblico impiego privatizzato);

k) natura non pubblica delle sedute dell’ufficio disciplinare, in quanto la regola della pubblicità delle udienze vale (salvo eccezioni) per i processi e non per i procedimenti amministrativi (salvo eccezioni previste da legge o da regolamenti interni).

Sul piano concettuale e teorico, la distinzione tra processo e procedimento amministrativo, da

cui derivano i predetti corollari, è chiara e netta. Tuttavia, per lo specifico procedimento disciplinare concernente i magistrati ordinari, la distinzione si attenua, desumendosi dalla concreta regolamentazione normativa, anteriore e successiva alla novella del 2006, una natura atipica e quasi ambivalente dell’istituto. Difatti quello nei confronti dei magistrati ordinari (a differenza di quello concernenti i magistrati amministrativi e contabili, avente inequivoca natura amministrativa26) è notoriamente un procedimento disciplinare avente una discussa natura27, da taluni definita “ibrida”, ma sempre avvicinata dalla giurisprudenza costituzionale e della Cassazione, e da ultimo dalla predetta sentenza n.182 del 2008 della Consulta, a quella giurisdizionale e non amministrativa: ne sono conferma i pregressi frequenti richiami del giudice delle leggi28 a “paradigmi di carattere giurisdizionale” che connotano il peculiare procedimento sanzionatorio per i magistrati e i richiami nella relativa regolamentazione, ma nei limiti della compatibilità29, alle norme processuali applicabili (v. il richiamo al c.p.p. contenuto nell’art.16, co.2 e 3, d.lgs. n.109 per le indagini disciplinari, o nell’art.18, co.4 e 5 per il dibattimento disciplinare), o la proponibilità di questioni di legittimità costituzionale da parte della commissione disciplinare del CSM, oggi testualmente

25 Le disposizioni in tema di concessione di amnistia ed indulto (nella specie, d.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865) non sono suscettibili di applicazione analogica in materia di infrazioni e sanzioni disciplinari a carico di magistrati, alla stregua delle distinzioni ontologiche di questa rispetto ai reati ed alle sanzioni penali: Cass., sez.un., 23 dicembre 1988 n.7035, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc. 12. 26 TENORE, La responsabilità disciplinare dei magistrati amministrativi e contabili, in FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010. 27 Sul problema della natura giuridica del procedimento disciplinare per i magistrati ordinari tra i numerosi contributi v. BIONDI, La responsabilità del magistrato. Saggio di diritto costituzionale, Milano, 2006, 266 ss.; DAL CANTO, La responsabilità disciplinare del magistrato nella giurisprudenza costituzionale, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 163 ss. 28 Per una panoramica sulle numerose sentenze della Corte costituzionale che hanno affermato una tendenziale assimilazione tra procedimento disciplinare e quello giurisdizionale, senza però mai una piena sovrapposizione, si rinvia all’accurato studio di DAL CANTO, La responsabilità disciplinare cit., 165 ss. Sulla natura giurisdizionale del procedimento disciplinare che si svolge davanti all’apposita sezione del CSM, diversa da quella amministrativa propria dei procedimenti innnanzi al plenum del CSM, v. Cass., sez.un., 11 febbraio 2003 n.1994, in Foro it., . 29 Sulla applicabilità del c.p.p. nei limiti della compatibilità v. C.cost., 22 luglio 2003 n.262, in in Foro it., 2003, I, 3225.

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prevista (art.15, co.8, lett.b, d.lgs. n.109 cit.) ma già in passato ritenuta possibile30. Ulteriori evidenti indici sintomatici della natura giurisdizionale del procedimento svolto innanzi al CSM sono dati dalla natura pubblica delle udienze (salvo eccezioni, mentre per le magistrature speciali il procedimento amministrativo disciplinare viene svolto a porte chiuse), dalla ricorribilità delle pronunce innanzi alla Cassazione a sezioni unite, dalla possibile difesa tramite avvocati, dalla terzietà decisoria dei componenti della sezione disciplinare, rimarcata dalla Consulta in caso di annullamento con rinvio della sanzione al medesimo organo punitivo ma in diversa composizione31.

La dottrina ha evidenziato che “il principio ispiratore della riforma, anche al netto delle modifiche apportate nel 2006, risulta essere quello, peraltro condivisibile, della giurisdizionalizzazione ulteriore del procedimento, ormai quasi interamente delineato sul modello di quello penale”32. Del resto, anche sul piano testuale, l’art.19 del d.lgs. n.109 conferma la natura giurisdizionale statuendo che “La Sezione disciplinare provvede con sentenza, irrogando una sanzione disciplinare ovvero, se non è raggiunta prova sufficiente, dichiarando esclusa la sussistenza dell'addebito. I motivi della sentenza sono depositati nella segreteria della sezione disciplinare entro trenta giorni dalla deliberazione”. Tale sentenza ha, secondo la Cassazione, natura di sanzione amministrativa33.

30 Sulla legittimazione riconosciuta alla sezione disciplinare del CSM a sollevare questione di illegittimità costituzionale ex pluribus C.cost., 26 ottobre 2007 n.356, in Foro it., 2007, I, 3333; CSM, sez.disc., ord.24 ottobre 2008, in Foro it., 2008, III, 45; id., sez.disc., 16 settembre 1994, ivi, 1995, III, 58 con osservazioni di GROSSO. In dottrina ROMBOLI, La Corte costituzionale compie cinquant’anni: Corte ed autorità giudiziaria, ivi, 2006, V, 324. 31 Come è noto, la Consulta, con decisione 22 luglio 2003 n.262 (in Foro it., 2003, I, 3225, Giust. civ., 2003, I, 2324), ha affermato che è costituzionalmente illegittimo l'art. 4 l. 24 marzo 1958 n. 195, nel testo modificato dall'art. 2, l. 28 marzo 2002 n. 44, nella parte in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della sezione disciplinare. Premesso che sussiste un interesse costituzionalmente protetto a che il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, il cui svolgimento in forme giurisdizionali è affidato alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che costituisce emanazione del medesimo Consiglio, si svolga in modo tale da non ostacolare l'indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore e che detto interesse deve essere posto a raffronto con il principio di imparzialità terzietà della giurisdizione, espresso dagli art. 24 e 111 cost., le norme denunciate violano gli art. 3, 24 e 111 cost., sotto il profilo dell'imparzialità della giurisdizione, poiché non prevedono una soluzione organizzativa che impedisca, nelle ipotesi di annullamento con rinvio di una decisione della sezione disciplinare da parte delle sezioni unite della Cassazione, che lo stesso collegio giudicante si pronunci due volte sulla medesima "res iudicanda"; soluzione che deve essere individuata nella elezione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, in aggiunta ai membri supplenti della sezione disciplinare già previsti, di ulteriori componenti, in modo da consentire la costituzione, per numero e categoria di appartenenza, di un collegio giudicante diverso da quello che abbia pronunciato una decisione successivamente annullata con rinvio dalle sezioni unite della Cassazione. 32 DAL CANTO, La responsabilità disciplinare cit., 169. 33 Si segnalano recenti decisioni delle sezioni unite che affermano la natura amministrativa della sanzione inflitta all’esito del procedimento giurisdizionale: v. Cass., sez.un., 20 dicembre 2006 n. 27172, in Foro it., 2008, I, 923 e in Giust. civ. Mass., 2006, 12, secondo cui in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, le sanzioni disciplinari, sebbene applicate da un organo titolare di poteri giurisdizionali, costituiscono pur sempre sanzioni amministrative, alle quali non sono automaticamente riferibili i principi propri delle sanzioni penali, e che restano quindi sottoposte, in via generale, al principio di legalità ed irretroattività, il quale comporta l'assoggettamento della condotta alla legge in vigore al tempo del suo verificarsi, con la conseguenza che, in mancanza di un'espressa previsione, non può trovare applicazione il principio di retroattività della legge successiva più favorevole. Tale principio, in particolare, non è invocabile, in riferimento al nuovo regime della responsabilità disciplinare introdotto dal d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, in virtù della disciplina transitoria di cui all'art. 32-bis, inserito dall'art. 1, co. 3, lett. q, l. 24 ottobre 2006 n. 269, il quale, nel far salvo il principio che la nuova normativa si applica solo ai procedimenti disciplinari promossi a decorrere dalla sua entrata in vigore, si limita a stabilire che per i procedimenti promossi successivamente, ma aventi ad oggetto fatti commessi in epoca anteriore, continua ad applicarsi la normativa precedente, solo se più favorevole.

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La fase a monte del procedimento disciplinare in senso stretto, ovvero quella delle indagini preliminari tese ad apprezzare la reale esistenza di fatti aventi gli estremi per essere qualificati illeciti disciplinari (es. attività di accertamento del Procuratore Generale ex art.15, co.1, d.lgs. n.109; attività ispettiva del Ministro della Giustizia) ha invece natura inequivocabilmente amministrativa al pari di ogni ulteriore attività del plenum del CSM, con i corollari che ne derivano.

Come detto, la natura giurisdizionale del giudizio innanzi alla sezione disciplinare del C.S.M. è rimarcata dalla Cassazione in numerose sentenze in cui si rimarca la differenza dal procedimento, di natura amministrativa, svolto innanzi ai Consigli di Presidenza delle magistrature speciali (v. Capitolo VIII, parag.1 e 2)34.

In estrema sintesi, come ebbe a dire la Corte costituzionale nella sentenza 22 luglio 2003 n.26235, il procedimento disciplinare per i magistrati “pur ispirandosi ad un modello giurisdizionale, ha profili strutturali e funzionali del tutto tipici e peculiari”. Il problema “ontologico” della reale natura del procedimento de quo è comunque, in concreto, attenuato dalla compiuta regolamentazione normativa che disciplina ogni profilo funzionale e strutturale del particolare procedimento sanzionatorio interno.

La relativa assai peculiare regolamentazione sarà analizzata nel corso del prosieguo di questo studio.

34 I provvedimenti resi dal Consiglio di Presidenza del Consiglio di Stato, in esito a procedimento disciplinare a carico di magistrato amministrativo (come gli analoghi provvedimenti resi dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti), sono atti amministrativi, non giurisdizionali, e, quindi, non sono impugnabili con ricorso alle sezioni unite della Corte di Cassazione, considerato che il richiamo delle norme del procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, operato dall'art. 32 l. 27 aprile 1982 n. 186, non vale ad attribuire al predetto consiglio di presidenza natura di organo giurisdizionale (natura spettante alla sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura), e che, inoltre, la non esperibilità del suddetto ricorso non implica lesione del diritto di difesa dell'interessato (art. 24 cost.), restando le sue posizioni tutelabili in sede giurisdizionale davanti al giudice amministrativo: Cass., sez.un., 20 aprile 2004 n. 7585, in Giust. civ., 2005, 4, I, 1059; id., sez.un., 10 aprile 2002 n. 5126, in Giust. civ., 2002, I, 2169, con nota di SALVATO; id., sez.un., 20 settembre 2000 n.1049, in Foro it., 2001, I, 2322; id., sez.un., 1 ottobre 1999 n.710, in Foro it., 1999, I, 2809; id., 11 dicembre 1992 n. 871, in Foro it., 1993, I, 2898 con nota di CARUSO e in Cons. Stato, 1993, II, 727. 35 C.cost., 22 luglio 2003 n.262, in Foro it., 2003, I, 3225, secondo cui “Fermo dunque il presupposto della spettanza del potere disciplinare al Consiglio superiore, il legislatore, nell'attribuirne l'esercizio alla Sezione disciplinare, è stato indotto a "configurare il procedimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale" dall'esigenza precipua di tutelare in forme più adeguate specifici interessi e situazioni connessi allo statuto di indipendenza della magistratura (sentenze n. 497 del 2000 e n. 289 del 1992). I caratteri giurisdizionali del procedimento disciplinare non comportano peraltro, in base alle sue peculiarità e finalità, un riferimento automatico alle norme del processo penale, "l'utilizzo dei cui moduli procedurali (d'altronde previsti solo in via integrativa dagli artt. 32 e 34 del r.d.lgs. n. 511 del 1946) non è affatto sintomatico di una coincidenza che abiliti ad assimilarne i presupposti e a confrontarne gli esiti" (sentenza n. 119 del 1995). In realtà, il procedimento disciplinare, pur ispirandosi ad un modello giurisdizionale, ha profili strutturali e funzionali del tutto atipici e peculiari, come, in particolare, dimostra la fase della decisione, che è demandata ad un apposito collegio elettivo -alla cui scelta partecipano anche i due magistrati titolari delle funzioni di vertice della Corte di cassazione- composto in prevalenza da "pari", in funzione di garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, mentre la relativa pronuncia è sottoposta ad un regime di impugnazione costituito dal ricorso diretto alle Sezioni unite civili della Corte di cassazione (sentenza n. 289 del 1992). La peculiarità e l'atipicità del procedimento disciplinare trovano giustificazione essenzialmente nel fatto che esso si incentra necessariamente sulla Sezione disciplinare, espressione diretta -"emanazione"- del Consiglio superiore della magistratura (sentenza n. 145 del 1976), cosicché sussiste un interesse costituzionalmente protetto a che il procedimento stesso, comunque configurato dal legislatore ordinario, si svolga in modo tale da non ostacolare l'indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore“. In terminis C.cost., *** 1971 n.12, in ** che parla della decisione della sezione disciplina del CSM come “sentenza” impugnabile innanzi alle sezioni unite della Cassazione e del procedimento disciplinare che si svolge “secondo forme, modi e garanzie tipiche della funzione giurisdizionale”.

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3. Il cattivo funzionamento della macchina disciplinare nella pubblica amministrazione in generale e nella magistratura in particolare: cause e possibili soluzioni.

Non solo quello previsto per i magistrati, ma tutti i molteplici sistemi disciplinari presenti

nel nostro ordinamento (soprattutto nell’impiego pubblico e nelle libere professioni, in misura assai minore nell’impiego privato) sino ad oggi non hanno offerto, con qualche encomiabile eccezione, adeguata prova di efficienza, a causa di varie concorrenti circostanze, così schematizzabili:

a) per la stasi propulsiva sovente riscontrabile in capo agli organi segnalatori o promotori del procedimento punitivo interno (dirigenza, consigli degli ordini professioni, vertici giudiziari locali e organi di autogoverno delle magistrature) nel (non) richiedere, a fronte di fatti illeciti riscontrati commessi da lavoratori (o professionisti), l’attivazione attraverso idonee segnalazioni della macchina disciplinare ai competenti organi, o, da parte di questi ultimi, nel metterla in moto nonostante il principio generale della “obbligatorietà” dell’azione disciplinare all’interno della p.a., sul quale ci si soffermerà nel successivo parag. 4 a) di questo Capitolo;

b) per il buonismo punitivo degli organi disciplinari, sovente propensi ad archiviare o ad infliggere risibili sanzioni conservative a fronte di fatti gravi che meriterebbero sanzioni espulsive;

c) per il perdonismo o per il formalismo interpretativo (dalle conseguenze demolitorie su sanzioni inflitte) che traspare dalla lettura di alcune decisioni, non solo della magistratura (ordinaria o amministrativa, a seconda dei regimi), ma anche dei collegi arbitrali di disciplina (nei settori in cui operano: es. pubblico impiego privatizzato) ove le sanzioni disciplinari vengono regolarmente impugnate con esito assai spesso vittorioso (annullamento o derubricazione delle sanzioni comminate con discutibili motivazioni);

d) per gli errori gestionali e applicativi spesso commessi dai titolari dell’azione disciplinare, pagati a caro prezzo nella successiva fase contenziosa (giurisdizionale o arbitrale);

e) per la genericità di taluni precetti concernenti comportamenti sanzionabili, individuati in modo alquanto generico (rectius poco tassativo), e, come tale, suscettibile di utilizzi buonisti-perdonisti o, specularmente, di utilizzi persecutori-intimidatori (il riferimento, per i magistrati ordinari, è al noto art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, analizzato nel successivo paragrafo 5, lett.a)36.

La complessa stratificazione normativa, la genericità di taluni precetti, la lentezza nella gestione del procedimento (in violazione di termini perentori o del generale principio di immediatezza/tempestività) e la diffusa incertezza su questioni nodali (soprattutto procedurali, tecnicamente assai complesse) della materia disciplinare, sono state (e lo sono a tutt’oggi) senz’altro concausa del cattivo funzionamento (per errori ed omissioni) della “macchina disciplinare” nell’impiego pubblico (ivi compresa la magistratura), nell’impiego privato, nelle libere professioni.

Tali errori gestionali sono stati in parte crudamente riscontrati e stigmatizzati, in sede di controllo gestionale, dalla Corte dei conti in alcuni eloquenti referti sulla pessima gestione del procedimento punitivo all’interno della p.a. (esclusa la magistratura)37, ma sono ben desumibili

36 In base a tale art.18, r.d.lgs.n.511, si aveva illecito tutte le volte che “il magistrato manchi ai suoi doveri o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario”. 37 Le eloquenti delibere della Corte dei conti sul reale funzionamento del sistema disciplinare e cautelare nell'impiego pubblico negli ultimi anni, adottate ai sensi dell'art.3, co.4, l. 14 gennaio 1994 n.20, sono rinvenibili per esteso in TENORE, Gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego, Roma Epc libri, 2007. Esse sono le seguenti: C.conti, sez.contr.

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anche dalla lettura dei repertori giurisprudenziali, cartacei o informatici, sulla materia disciplinare, che evidenziano, nei vari micro-ordinamenti, il frequente annullamento di sanzioni inflitte da datori di lavoro (pubblici o privati), da ordini professionali o dal Consiglio Superiore della Magistratura, per molteplici e diffusi vizi sostanziali o procedurali.

Le concorrenti cause del malfunzionamento della macchina punitiva interna (quella disciplinare) vanno poi ricercate sia nel suddetto frequente comportamento “buonista”, protezionista e tollerante dei vertici della amministrazione pubblica, ivi compresa la magistratura (o dei vertici delle libere professioni) nei confronti di micro e macro illegalità all’interno dei rispettivi ordinamenti38, comportamento senza dubbio favorito anche dalla pregressa genericità dei precetti sanzionabili (il riferimento è al previgente regime disciplinare per i magistrati, connotato da scarsa tipicità degli illeciti anteriormente alla riforma del 2006).

Tale buonismo si può tradurre sia nella stasi nella segnalazione di illeciti agli organi titolari dell’iniziativa punitiva, sia nel perdonismo/protezionismo in sede procedimentale dagli organi giudicanti: sotto il primo profilo, occorre rammentare che, come nell’impiego pubblico privatizzato (v. i CCNL) l’obbligo di iniziativa disciplinare si fonda sulla doverosa segnalazione dei fatti di possibile valenza disciplinare gravante sui vertici degli uffici, la cui inosservanza è testualmente sanzionata dal recente d.lgs. 27 ottobre 2009 n.150 attuativo della legge delega “Brunetta” 4 marzo 2009 n.15 (art.6, co.2, lett.e). Tale dovere è ribadito, anche per i magistrati ordinari, dall’art.14, co.4, del d.lgs. n.109, che sancisce “Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici hanno l'obbligo di comunicare al Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio nonché i procuratori aggiunti debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio o dell'ufficio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare”. Tale inerzia assume valenza disciplinare in capo agli statici vertici locali che omettano di effettuare segnalazioni ai competenti organi.

Ulteriore concausa della stasi disciplinare, non riguardante il personale magistratuale ma i soli dipendenti pubblici privatizzati, è data dal lusinghiero funzionamento dei collegi arbitrali di disciplina (c.d. CAD). Questi ultimi sono troppo spesso propensi (forse a causa della loro composizione eccessivamente sindacalese), da un lato, a formalistici approcci alla materia disciplinare, destinati a portare all’invalidazione delle sanzioni comminate sulla scorta di discutibili vizi procedurali dell’iter sanzionatorio, e, dall’altro, ad un perdonismo ingiustificato, che ha condotto a sorprendenti derubricazioni delle sanzioni comminate (spesso dal licenziamento alla sospensione dal servizio e retribuzione sino a 10 giorni) nei confronti di autori di gravissimi illeciti

n.7 del 2006; C.conti, sez.contr., 20 giugno 2001 n.25/01/G, in www.giust.it; id., sez.contr.St., 25 giugno 1999 n.60, in Giorn.dir.amm., 1999, 1214; id., sez.contr.St., 26 marzo 1998 n.23, in Riv.C.conti, 1998, n.3, I, 14; id., 4 aprile 1997 n.70, in Riv.C.conti, 1997, n.3, I, 26 e in Il lavoro nelle p.a., 1998, 289; id., 10 gennaio 1996 n.4, in Riv.C.conti, 1997, n.1, I, 4 e ivi, 1996, n.1, III, 263, nonchè in Cons.St., 1996, II, 480. 38 Come rimarcato da attenta dottrina "dove vi è un forte interesse del datore ad ottenere alti livelli di produttività è molto più frequente anche la vigilanza sui comportamenti illeciti rilevanti dal punto di vista disciplinare, mentre dove il datore di lavoro non è interessato a conseguire un'alta produttività anche l'attenzione verso il fatto disciplinare è scadente. A maggior ragione questo vale per le pubbliche amministrazioni che, in quanto svolgano quelle attività che sono loro riservate per legge, non sono in competizione con nessuno: l'interesse a perseguire la devianza disciplinare è dunque un interesse minimo, tanto quanto minimo è l'interesse che ha la pubblica amministrazione a tenere alto il livello della produttività" (LIGNANI, La responsabilità disciplinare dei dipendenti dell'amministrazione statale, in AA.VV., a cura di SORACE, Le responsabilità pubbliche, Padova, 1998, 379). In sintonia con tale visione è anche un profondo conoscitore della pubblica amministrazione, il quale afferma testualmente che "nel rapporto pubblicistico, manca un padrone sollecito a far rispettare i doveri dei dipendenti e, poichè anche la materia disciplinare è stata devoluta alla competenza dirigenziale, custodi dell'osservanza dei doveri dei dipendenti sono i loro stessi "colleghi", i quali, per colleganza o per connivenza, sono poco disposti ad adottare misure severe per ottenere dai dipendenti il rispetto della legalità" (VIRGA, La responsabilità disciplinare, in Atti del XLIV convegno di studi di scienza dell'amministrazione, Milano, 1999, 308).

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sulla scorta di singolari motivazioni39. La recente legge 4 marzo 2009 n.15 ne ha opportunamente previsto l’abrogazione (art. 7, lett.o).

Mentre su alcune ragioni del cattivo funzionamento del procedimento disciplinare - quale la tolleranza-stasi del datore di lavoro pubblico, sovente latitante, ed il protezionismo degli ordini professionali (o dei dirigenti locali-(non) segnalatori e degli organi di autogoverno delle magistrature) - alcun intervento correttivo appare possibile se non attraverso un ricambio generazionale ed una responsabilizzazione e depoliticizzazione (o desindacalizzazione) dei vertici degli ordinamenti di appartenenza, titolari dell’azione disciplinare e sovente “poco terzi”, alcuni concreti interventi sono invece attuabili, da subito, per la concorrente causa di malfunzionamento del procedimento punitivo interno, ovvero la sua scarsa conoscenza causata anche dalla complessa stratificazione delle fonti in materia e dalla difficoltà interpretativa di taluni precetti (spesso assai generici), che hanno spesso condotto a ritrosie nell’attivare i (poco conosciuti) meccanismi sanzionatori interni per “timore di sbagliare”, o ad incappare in vizi sostanziali o procedurali, che hanno portato ad annullamenti giurisdizionali delle (rare) sanzioni inflitte. Per tale secondo problema la soluzione deve a nostro avviso passare per due strade:

a) un aggiornamento-snellimento della regolamentazione dei molteplici procedimenti disciplinari, attraverso l’individuazione di tassative e tipiche fattispecie sostanziali di illecito e attraverso un iter procedimentale agile e rapido, seppur garantista del diritto alla difesa dell’incolpato;

b) una idonea attività formativa non solo dei componenti degli organi titolari della potestà disciplinare (talvolta non adeguatamente preparati sulla complessa materia, per carenze culturali o tecniche, o per indolenza nel doveroso aggiornamento professionale), ma anche della “base”, ovvero dei soggetti tenuti alle segnalazioni degli illeciti (nella magistratura ci si riferisce ai magistrati direttivi e semidirettivi), e degli stessi lavoratori o dei professionisti, sovente non a conoscenza di obblighi o doveri la cui inosservanza assurge a rilevanza di illecito disciplinare.

Sotto il primo profilo, i più recenti interventi legislativi e contrattuali, sembrano aver finalmente recepito la necessità di meglio tipizzare gli illeciti e snellire l’iter procedimentale: emblematici in tal senso appaiono non solo la infra-analizzata nuova regolamentazione del procedimento disciplinare per i magistrati delineata dal d.lgs n.109, ma anche la novellata procedura per i dipendenti pubblici privatizzati40 e quella per alcune autorevoli categorie professionali (il riferimento è a quella notarile, il cui iter punitivo interno è stato radicalmente novellato nel 2006)41.

Sotto il secondo profilo (quello formativo), la valorizzazione del momento etico-deontologico-disciplinare, sembra finalmente emergere sia in sede di reclutamento di talune categorie di pubblici dipendenti e liberi professionisti, i cui concorsi o esami di abilitazione prevedono materie orali su tali tematiche, sia nella successiva attività formativa e di aggiornamento, encomiabilmente svolta da pubbliche amministrazioni (in primis da quella militare, da sempre attenta alla conoscenza della materia tra i propri appartenenti) ed ordini professionali a favore dei propri adepti nel corso del rapporto di lavoro o professionale42.

39 Per una istruttiva lettura delle motivazioni addotte da alcuni CAD per derubricare le sanzioni inflitte dagli uffici disciplinari si rinvia alle documentate delibere della Corte dei conti citate nella precedente nota 35. 40 V. la dottrina citata nella precedente nota 2. 41 V. la dottrina citata nella precedente nota 6. 42 Tra i più approfonditi corsi e seminari in materia di procedimenti disciplinari maggiormente seguiti da pubblici dipendenti o liberi professionisti si segnalano quelli tenuti a livello centrale o locale dall’istituto Cenacolo Giuridico di Roma (www.cenacologiuridico.it).

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Tale mutamento di filosofia, teso al reale rispetto delle regole comportamentali sul lavoro e nella vita di relazione e ad un conseguenziale sistematico intervento sanzionatorio interno a fronte della loro inosservanza, è auspicabile anche alla luce della amara constatazione che le restanti risposte approntate dall’ordinamento a fronte di illeciti posti in essere da pubblici dipendenti o da liberi professionisti, non sortiscono spesso quella duplice finalità, di prevenzione e repressione, che è lo scopo ultimo di qualsiasi forma di sanzione (penale, civile, amministrativo-contabile e disciplinare): la responsabilità penale, a causa di riti alternativi premiali, ritardi della giustizia, sospensioni condizionali della pena, prescrizioni, amnistie etc., ha sensibilmente perso la sua portata preventiva, dissuasiva e punitiva; la responsabilità civile, a causa sia dei lunghi tempi della giustizia, che della sua inutilità a fronte della incapienza di alcuni debitori condannati (dopo anni), non sempre rappresenta un idoneo ristoro del terzo danneggiato a fronte di colpevoli errori di lavoratori o professionisti. Analoghe conclusioni valgono per la responsabilità amministrativo-contabile devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti: la indisponibilità economica di molti condannati, o la maliziosa sottrazione di beni da parte degli stessi, rende spesso vana la statuizione di condanna pecuniaria della magistratura contabile.

Ed allora, a fronte di comportamenti illeciti di lavoratori pubblici (ivi compresi i magistrati), di lavoratori privati o di liberi professionisti, la sanzione disciplinare è oggi, a nostro avviso, uno strumento basilare, ben più efficace, sul piano preventivo, dissuasivo e punitivo, della reazione penale, civile ed amministrativo-contabile, sia perché più rapida, sia perche più efficace, soprattutto se espulsiva.

4. I principi portanti del procedimento disciplinare: a) obbligatorietà dell’azione disciplinare e della segnalazione disciplinare; b) proporzionalità sanzionatoria e divieto di automatismi punitivi; c) parità di trattamento; d) tempestività.

Come si è in precedenza anticipato, il procedimento disciplinare sia nelle magistrature, sia nell’ambito delle libere professioni, sia nel diritto del lavoro, pubblico o privato, civile o militare, si fonda su alcuni principi portanti, che possiamo definire il “minimo comun denominatore” di qualsiasi sistema disciplinare. Solo alcuni di questi principi hanno una portata applicativa limitata al solo impiego pubblico e a talune libere professioni, non risultando applicabili nell’impiego privato (es.obbligatorietà dell’azione disciplinare): i restanti principi hanno invece, salvo settoriali diversità che verranno evidenziate, portata generale. Tali principi sono così schematizzabili:

a) l’obbligatorietà dell’azione disciplinare e della segnalazione disciplinare. A differenza di quanto previsto nell’impiego privato, dove la scelta datoriale di sanzionare o meno il lavoratore è discrezionale (nei limiti del divieto di discriminazioni e del rispetto della parità di trattamento) in quanto espressiva di prerogative manageriali (c.d. valutazione costi-benefici)43, nell’impiego presso la p.a. l’azione disciplinare è obbligatoria, in quanto rispondente ai principi costituzionali di buon andamento della p.a. e di legittimità dell’azione amministrativa, al cui doveroso perseguimento è ostativa la impunita tolleranza di fenomeni di illegalità all’interno dell’apparato pubblico44. La mancata attivazione di procedimenti disciplinari (per buonismo, per indolenza, o addirittura per dolo) o il loro immotivato abbandono può dunque originare responsabilità disciplinari, amministrativo-contabili, dirigenziali (ex art.21, d.lgs. n.165 del 2001) e penali in capo all’inerte

43 Cass., sez.lav., 25 luglio 1984 n.4382, in Mass.giur.lav., 1985, 444. 44 Sul punto v. la dottrina citata in NOVIELLO-TENORE, La responsabilità cit., 180.

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organo titolare dell’azione disciplinare, come ribadito dal recente d.lgs. n.150 del 2009 attuativo della legge delega 4 marzo 2009 n.15 (art.6, co.2, lett.b-e, e art.7, co.2, lett.i)45. Pertanto, assai opportunamente, il principio, già confermato per tutte le carriere magistratuali dall’art.9 della l.13 aprile 1988 n.117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati )46, con la riforma del 2006, è stato specificamente ribadito, ma nei limiti infraprecisati, per i magistrati ordinari: difatti, mentre ai sensi dell’art.14, co.2 “Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere, entro un anno dalla notizia del fatto, l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di cassazione“, in base all’art.14, co.3 “Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha l'obbligo di esercitare l'azione disciplinare, dandone comunicazione al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede”. La norma è decisamente innovativa in quanto tratto caratteristico della disciplina previgente era quello della discrezionalità dell’esercizio della relativa azione, la cui titolarità - ieri come oggi - era sia del Procuratore generale della Corte di Cassazione, sia, attraverso il primo, del Ministro della giustizia. Anche questo aspetto, in stretto collegamento con l’altro dell’assenza di ogni tipizzazione dell’illecito, aveva suscitato ampio dibattito in dottrina ed in sede politica per il possibile uso strumentale dell’azione disciplinare un tempo discrezionale47. I sostenitori del principio di obbligatorietà dell’azione disciplinare ritenevano che, in una situazione ove i confini del lecito e dell’illecito erano sfumati per l’assenza di un codice dei fatti disciplinarmente rilevanti, l’attribuzione di un potere discrezionale nell’esercizio dell’azione rischiava di compromettere la certezza del diritto e la parità di trattamento di tutti i magistrati e poteva favorire i meccanismi di difesa o di persecuzione a seconda dei motivi più vari, per nulla inerenti al profilo deontologico, quali l’appartenenza a certe correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati, a certe ideologie o a certe posizioni politiche (o di politica giudiziaria). Altri invece ammonivano sui rischi insiti nel principio di obbligatorietà dell’azione, affermando ad esempio che, se l’azione è obbligatoria, ogni esposto, ogni denuncia, ogni segnalazione, per quanto palesemente infondata o pretestuosa, diventa necessariamente oggetto di analisi e di giudizio, con un meccanismo che può portare, da una parte, ad aumentare vertiginosamente il lavoro della Procura generale prima e della sezione disciplinare poi e, dall’altra, ad innescare la moltiplicazione di denunce, esposti, anche per ragioni di ritorsione, confondendosi spesso la giusta e legittima pretesa di controllo sull’operato dei giudici con l’immediata iniziativa disciplinare (e penale), anche in pendenza di rituale impugnazione, nei confronti di quei magistrati autori di decisioni non condivise.48 45 Cfr. NOVIELLO-TENORE, La responsabilità cit., 270 ss. 46 Secondo l’art.9, l. n.117 del 1988 “1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5. Resta ferma la facoltà del Ministro della giustizia di cui al secondo comma dell'articolo 107 della Costituzione. 2. Gli atti del giudizio disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d'ufficio, nel giudizio di rivalsa”. 47 La Commissione bicamerale presieduta dall’on. D’ALEMA aveva previsto nei suoi lavori preparatori l’azione disciplinare obbligatoria: v ROSSI, La giustizia disciplinare, in Questione Giustizia, “Giustizia e Bicamerale”, 1997, 560 ss.; ZAGREBELSKY, La riforma dell’ordinamento giudiziario in Commissione bicamerale, in Foro It., 1997, 5, 245 ss., ove si afferma molto criticamente: “la Commissione, che ha purtroppo preso le mosse dall'analisi della vicenda storica della Magistratura nell'ultimo cinquantennio svolta dall'on. Parenti nella seduta della Commissione del 12 febbraio 1997, a cui il Relatore on. Boato, in larga misura, si è associato ella seduta del 18 febbraio successivo, senza essere in grado di approvare proposte, non è però rimasta improduttiva di effetti: essa, infatti, ha certificato la squalificazione del sistema giudiziario e dei frutti che esso ha dato. Dalla qualificazione del sistema alla cancellazione delle sentenze che ha prodotto il passo può essere breve. In ogni caso, chi volesse in futuro ottenere la seconda, troverebbe utile avere fin da ora provveduto alla prima”.

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Altri ancora ritenevano che il principio di obbligatorietà dell’azione disciplinare garantisse il principio di uguaglianza, ma a caro prezzo, perché esso elimina il margine di discrezionalità del Procuratore generale funzionale a non intraprendere azioni per condotte di minima o nessuna rilevanza.49 Per questo, la legge n. 269 del 2006 ha opportunamente introdotto, fermo restando il cennato art.14, co.3, la previsione di cui all’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, secondo cui “l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza”: tale norma, unitamente alla tipizzazione degli illeciti, pur confermando, a contrario, la generale obbligatorietà dell’azione disciplinare (art.14, co.3 cit.), allarga la latitudine dell’apprezzamento sulla sussistenza del fatto tipico da parte del Procuratore Generale, ancorabile, a nostro avviso, al principio di offensività (in una accezione disciplinare e non penale: ergo valutando l’offensività alla luce delle norme disciplinari sostanziali del d.lgs. n.109) delle condotte tipiche50. Parimenti la discrezionalità propulsiva del Ministro, tradotta legislativamente in una mera “facoltà” di iniziativa (art.14, co.2, d.lgs. n.109 del 2006), non esprime a nostro avviso una libertà assoluta, che potrebbe scadere in arbitrio o in disparità di trattamento, ma va ancorata alla ragionevole valutazione della concreta condotta a fronte dei più tassativi parametri di offensività introdotti nel 200651. In sintesi, la “facoltà” di iniziativa testualmente attribuita al solo Ministro (e non già al Procuratore Generale) va sempre letta alla luce del generale principio di “obbligatorietà” dell’azione disciplinare ove i fatti evidenzino manchevolezze di verosimile rilevanza disciplinare: ne sono riprova le norme che consentono al Ministro di formulare l’incolpazione nei casi in cui il P.G. abbia richiesto al CSM pronuncia di non luogo a procedere (art.17, co.6 e 7), o che abilitano il Ministro a chiedere l’estensione ad altri fatti dell’azione disciplinare (art.14) o l’integrazione della contestazione (art.17, co.3). Accanto alla obbligatorietà del promovimento dell’azione disciplinare da parte degli organi titolari, va rammentato il concorrente e basilare obbligo di segnalazione di fatti di possibile valenza disciplinare ai suddetti organi da parte dei dirigenti dell’ufficio ove opera il dipendente autore dell’illecito: senza tale basilare momento conoscitivo-propulsivo l’azione disciplinare non ha inizio per carenza di notizia del fatto, che può essere appresa con tempestività e puntualità solo da chi opera, con funzioni apicali, nel medesimo ufficio del magistrato negligente. Tale obbligo di segnalazione, già logicamente desumibile dal sistema, è stato testualmente ribadito per i dirigenti pubblici privatizzati dai CCNL e per i magistrati ordinari dall’art. 14, co.4, del d.lgs. n.109, che sancisce “Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici hanno l'obbligo di comunicare al Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio nonché i procuratori aggiunti debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio o dell'ufficio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare”.

48 L’A.N.M., nel documento a commento dello schema di decreto legislativo approvato in via provvisoria dal Consiglio dei ministri il 28 ottobre 2005 in tema di responsabilità disciplinare, esprimeva perplessità sul punto (Associazione Nazionale Magistrati, Osservazioni, in www.associazionemagistrati.it). In dottrina, v. IZZO, Dubbi sulla tipicità di talune ipotesi riformistiche di illecito disciplinare nel contesto di una riflessione su etica e responsabilità della magistratura e nell’avvocatura”, in Libertà e autonomia nel futuro della magistratura, a cura di SCIACCA, 2005, 152; MELE, La responsabilità disciplinare dei magistrati, op. cit., 105 ss. 49 Così GIORDANO, Il procedimento disciplinare, op. cit., 284. 50 Sul punto FUZIO, L’azione disciplinare obbligatoria del procuratore generale, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 33 ss. Sul tema si tornerà più ampiamente infra, Cap. IV***. 51 Sul tema MOGINI, L’azione disciplinare del Ministro della Giustizia, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 22 ss.

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Come si vede, i soggetti tenuti alla segnalazione sono molteplici e l’inerzia nella segnalazione assume di per sé valenza disciplinare per i soggetti a ciò obbligati ex lege. b) La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi. Tale regola, valevole per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex art.11, l. n.689 del 1981, etc.), è trasfusa, per l’illecito disciplinare nel lavoro privato, nell’art.2106 c.c., richiamato anche dall’art.55 del d.lgs. n.165 del 2001 per l’impiego pubblico52 ed è costantemente riaffermato dalla giurisprudenza per tutte le carriere pubbliche, privatizzate o meno53. Nel sistema disciplinare dei magistrati ordinari, il principio è chiaramente recepito nell’art.12, d.lgs. n.109, che correla ciascuna sanzione a tipologie di illeciti di varia e crescente gravità, tenendo conto, a nostro avviso, anche di circostanze attenuanti e ravvedimenti post-factum o della recidiva. Secondo univoca giurisprudenza la valutazione della gravità della condotta dell'incolpato, anche sotto il profilo dell'entità della sua incidenza negativa sul prestigio dell'ordine giudiziario ed al fine della sanzione da infliggere, rientra negli apprezzamenti di merito della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, la cui valutazione non può essere oggetto di riesame in sede di ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, restando sindacabili solo la correttezza e

52 Nel pubblico impiego gli stessi contratti collettivi, nel ribadire il principio (v. art.25, co.1, CCNL Ministeri 1994-1997 confermato dai CCNL 2002-2005 e 2006-2009), forniscono poi i parametri, oggettivi e soggettivi, per giungere alla quantificazione della giusta (ergo proporzionata) sanzione, facendo riferimento, oltre che all’eventuale recidiva o del concorso di persone nell’illecito, anche alla “intenzionalità del comportamento, alla rilevanza della violazione di norme o disposizioni; al grado di disservizio o di pericolo provocato dalla negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento; all’eventuale sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti (generiche , n.d.a.); alle responsabilità derivanti dalla posizione di lavoro occupata dal dipendente; al concorso nella mancanza di più lavoratori in accordo tra loro; al comportamento complessivo del lavoratore, con particolare riguardo ai precedenti disciplinari, nell’ambito del biennio previsto dalla legge; al comportamento verso gli utenti”. 53 Ex pluribus v. Cons.St., sez. VI, 9 novembre 2005, n. 6262 (in Foro amm.-CDS, 2005, 11 3376), secondo cui in materia di procedimento disciplinare, l'amministrazione ha il dovere di valutare, previo compiuto accertamento dei fatti, la gravità dell'infrazione commessa dal dipendente al fine di individuare, secondo criteri di proporzionalità e gravità, la giusta sanzione, all'uopo indicandone le ragioni con congrua motivazione; in particolare, qualora sia stata comminata la più grave delle sanzioni previste dal vigente ordinamento (destituzione), il provvedimento che la infligge deve essere assistito da una motivazione particolarmente rigorosa, puntuale e completa, pena l'illegittimità dello stesso per violazione dell'art. 3 comma 1 l. n. 241 del 1990.

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la congruità della relativa motivazione54. Non mancano casi in cui la Cassazione ha censurato il non gongruo iter motivazionale delal sezione disciplinare55. Corollario di tale principio, la cui inosservanza comporta l’annullamento della sanzione “eccessiva” (o, secondo alcuni, la possibile derubricazione-conversione della sanzione da parte del giudice56), è dato dal divieto di automatismi sanzionatori: come meglio si vedrà nel successivo paragrafo 6 di questo Capitolo e nel successivo Capitolo V, la Corte costituzionale ha più volte ricordato che non è possibile introdurre nei sistemi disciplinari, con legge o regolamenti (o contratti collettivi), sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali a condanne penali, dovendo il titolare dell’azione disciplinare sempre rivalutare autonomamente (senza soluzioni coartate o automatiche) i fatti già vagliati in sede penale per coglierne i possibili profili disciplinari57 da giudicare secondo il predetto principio di proporzionalità. Tale ultima regola subisce però attenuazioni in taluni casi ove la sanzione disciplinare è imposta quale riflesso coartato di pene 54 Ex pluribus Cass., sez.un., 27 luglio 2007 n.16625 e n.16618, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8 (nella seconda fattispecie, le Sezioni unite hanno confermato l'impugnata sentenza disciplinare , ritenendola corretta e congruamente motivata, con la quale l'apposita sezione del Csm aveva inflitto la sanzione dell'ammonimento a carico di un sostituto procuratore della Repubblica assegnato alla D.D.A, in relazione alla condotta dell'incolpato consistita nell'aver rilasciato, nel corso di un procedimento dinanzi alla sezione del riesame, una dichiarazione al difensore dell'imputato sottoposto a custodia cautelare dal g.i.p. su richiesta della stessa D.D.A., nella quale aveva attestato il buon livello di collaborazione del detenuto, senza però informare della sua iniziativa i colleghi dell'ufficio, il coordinatore della D.D.A. ed il Procuratore distrettuale); id., sez.un., 23 marzo 2007 n. 7102 (fattispecie relativa a prelievo ed esposizione sull'auto privata di paletta della Polizia di Stato da parte di magistrato del p.m. non nell'esercizio di compiti istituzionali); id., sez.un., 7 febbraio 2007 n.2685 (fattispecie di irrogazione della sanzione disciplinare dell'ammonimento ad un magistrato che, assieme al coniuge e al fratello, aveva costituito una società in accomandita semplice, rivestendo in essa la posizione di socio accomandante, la quale aveva proceduto all'acquisito di beni immobili partecipando ad aste giudiziarie bandite presso il tribunale nel quale detto magistrato svolgeva le funzioni di p.m.); id., sez.un., 20 dicembre 2006 n.27172, in Foro it., 2008I, 923; id., sez.un., 5 maggio 2006 n.10313; id., sez.un., 19 settembre 2005 n.18451; id., sez.un., 12 ottobre 2004 n.20133; id., sez.un., 5 dicembre 2001 n.15422, in Giust. civ. Mass., 2001, 2102; id., sez.un., 9 ottobre 2001 n.12366, in Giust. civ. , 2001, I, 2619. 55 Per un caso recente v. Cass., sez. un., 23 agosto 2007 n. 17919, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8, secondo cui il ritardo nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari, ancorché sia sistematico, non può da solo integrare un illecito disciplinare del magistrato dal momento che occorre anche stabilire se il ritardo in questione sia sintomo di mancanza di operosità oppure trovi giustificazione in situazioni particolari (che l'incolpato deve tempestivamente dedurre in sede di procedimento disciplinare attivando così il potere-dovere della sezione disciplinare del Csm di accertarne la veridicità probatoria) collegate alla complessiva situazione di lavoro del magistrato tenendo presente i profili qualitativi e quantitativi nonché gli aspetti inerenti la complessiva organizzazione dell'ufficio e le funzioni (ordinarie e, eventualmente, straordinarie) svolte dal magistrato . (Nella specie, le Sezioni unite hanno cassato con rinvio la sentenza del giudice disciplinare con la quale era stata irrogata al magistrato incolpato la sanzione dell'ammonimento in relazione all'illecito disciplinare ricollegabile al ritardo reiterato nel deposito di 44 sentenze, tra penali e civili, di diversi altri provvedimenti giurisdizionali conseguenti all'esercizio di ulteriori funzioni e all'omesso deposito di alcune altre sentenze, trascurando di considerare e di accertare il carico di lavoro e le ulteriori plurime funzioni esercitate dal magistrato come ritualmente dedotte, così pervenendosi all'emanazione di una decisione con motivazione viziata, siccome inadeguata, essendosi risolta, in relazione alle giustificazioni prospettate dal ricorrente, unicamente nell'affermazione che "le ragioni addotte dall'incolpato non erano sufficienti a giustificare i ritardi nel deposito dei provvedimenti"). 56 Sulla proporzionalità e sulla convertibilità della sanzione non proporzionata nella “giusta” sanzione ex art.1424 c.c. applicabile anche agli atti unilaterali (quale la sanzione disciplinare) ex art.1324 c.c., v., nel pubblico impiego ed in quello privato, la dottrina e la giurisprudenza citate da NOVIELLO-TENORE, La responsabilità cit., 31, 578 ss. 57 Non ogni illecito penale comporta ex se un illecito disciplinare e viceversa: il fatto ritenuto penalmente rilevante potrebbe non esserlo sotto il profilo disciplinare o potrebbe comportare sanzioni blande a fronte di condanne penali “pesanti”. Sulla autonomia dei due illeciti, si rinvia al Capitolo V, parag.3 di FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010ed alla giurisprudenza costituzionale ivi richiamata con riferimento a pubblici dipendenti e a liberi professionisti.

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accessorie penali58 (es. condanna penale comportante interdizione perpetua dai pubblici uffici; condanna superiore ad anni tre per reati contro la p.a. ex art.32-quinquies c.p., introdotto dall’art.5, l. n.97 del 2001; sospensione dall’esercizio dell’attività professionale del libero professionista) o, per la sospensione cautelare, quale riflesso di misure penali restrittive della libertà. Per chiudere sul principio di proporzionalità in generale, l’entità minima e massima delle sanzioni disciplinari comminabili è frutto di scelta legislativa insindacabile sotto il profilo della incostituzionalità, come più volte ribadito dalla Consulta59. c) La parità di trattamento tra lavoratori in sede disciplinare. Il principio della uniformità di trattamento a fronte di condotte identiche non opera nell’impiego privato, come la Cassazione ha più volte affermato stante l’intuitus personae delle valutazioni disciplinari e la difficoltà nel comparare comportamenti posti in essere in circostanze e tempi diversi, ribadendo anche la discrezionalità datoriale nell’esercizio dell’azione disciplinare “privata”, con il solo limite del divieto di trattamenti discriminatori60. Nell’impiego con datore pubblico e nel sistema disciplinare magistratuale invece, i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della p.a. e di terzietà decisoria degli organi punitivi di natura giurisdizionale impongono il doveroso rispetto della parità di trattamento sanzionatoria, anche se è innegabile che per l’organo punitivo (sez. disciplinare del C.S.M. o altro) individuare due casi identici, sotto il profilo soggettivo (dolo, colpa grave, colpa), oggettivo (fatto storico) e delle circostanze è assai difficile, se non impossibile. Un decisivo contributo per la piena ed uniforme applicazione di tale regola può esser dato da repertori e banche-dati dei precedenti sulle sanzioni disciplinari inflitte in ciascun ordinamento settoriale e sulle pronunce della magistratura, anche se è innegabile (e le sanzioni inflitte dal CSM ne sono un esempio emblematico) che il giudizio su fatti identici, per alcuni comportamenti (soprattutto

58 Come si vedrà nel successivo Capitolo V, parag.3, lett.c), la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittime le norme statuenti tali eccezionali automatismi disciplinari in quanto applicativi, in sede interna, di pene accessorie statuite dal giudice penale, di cui il titolare dell’azione disciplinare non può che prendere atto senza alcun vaglio discrezionale. 59 Da ultimo, seppur con riferimento al previgente regime che prevedeva “l’ammenda” e non l’attuale “sanzione pecuniaria”, v. C.cost., 18 marzo 2005, n. 113, in Giur. cost., 2005, 2, secondo cui è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 54, 97 e 111 cost., la q.l.c. dell'art. 137 l. 16 febbraio 1913 n. 89, "nella parte in cui determina l'ammontare delle ammende notarili". Premesso che la norma censurata, infatti, è stata più volte sottoposta a scrutinio di costituzionalità da parte della Corte costituzionale, la quale, pur constatando la irrisorietà della misura delle sanzioni pecuniarie ivi stabilite, ha ritenuto preclusa ogni possibilità di intervento, poiché la determinazione dei precetti così come il tipo e l'entità delle rispettive sanzioni costituiscono scelte spettanti alla discrezionalità del legislatore, deve rilevarsi che la pronuncia auspicata dal rimettente provocherebbe una situazione di diseguaglianza e di grave pregiudizio all'interno del sistema sanzionatorio, poiché rimarrebbero del tutto privi di conseguenze disciplinari, ancorché di consistenza irrisoria, comportamenti più gravi di quelli per i quali è prevista la sanzione dell'avvertimento o della censura, e che, nel sistema disciplinare stabilito per i notai, "il profilo sanzionatorio morale" deriva non tanto dalla entità della sanzione medesima quanto dalla stessa sottoposizione al procedimento disciplinare, che reca in sè un notevole grado di afflittività, mentre non sussiste la dedotta violazione del principio di eguaglianza, in quanto la sanzione dell'ammenda non è contemplata per gli illeciti disciplinari di altre categorie professionali. In precedenza, sul punto, in terminis C.cost., 30 gennaio 2003, n. 18, in Giust. civ., 2003, I, 1177.

60 Sulla inconfigurabilità in generale del principio di parità di trattamento nell’impiego privato v. Cass., sez.un., 29 maggio 1993 n.6031, in Foro it., 1993, I, 1794, con nota di MAZZOTTA; id., 17 maggio 1996 n.4570, ivi, 1996, I, 1989 e, con riferimento specifico al potere disciplinare, Cass., sez.lav., 22 febbraio 1995 n.2018, in Mass.giur.lav., 1995, 379. Sulla discrezionalità nell’esercizio del potere disciplinare privato Cass., sez.lav., 25 luglio 1984 n.4382, in Mass.giur.lav., 1985, 444.

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extralavorativi o non penalmente rilevanti) risente del sentire etico del momento storico e della evoluzione dei costumi61. d)La tempestività dell’azione disciplinare. Come nell’impiego privato e in quello pubblico (privatizzato o meno), anche nel regime disciplinare magistratuale l’attivazione e la conclusione del procedimento disciplinare deve essere tempestiva, e cioè immediata, per garantire sia l'effettività del diritto di difesa dell'incolpato (dal momento che, minore è il lasso di tempo tra la commissione della presunta infrazione ed il procedimento disciplinare, maggiore è la possibilità per l'incolpato di reperire valide argomentazioni difensive e prove di supporto), che l'interesse dell’ordine di appartenenza ad una reazione congrua ed esemplare per i colleghi e per gli utenti del servizio (es. il servizio giustizia). Tale principio, ritenuto immanente nel sistema privato (ex art.7, l. n.300 del 1970, c.d. Statuto dei lavoratori), è stato formalmente codificato, nel pubblico impiego, oltre che sul piano giurisprudenziale62, nell’art.55, co.5, d.lgs. n.165 del 2001 (che parla di “tempestiva contestazione scritta degli addebiti”) e nei contratti collettivi, che hanno introdotto, come già in passato prima della privatizzazione aveva fatto il d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3, una serie di termini, che cadenzano il procedimento disciplinare63. Nel regime disciplinare delle libere professioni il principio è codificato, oltre che nell’istituto della prescrizione (es. per i notai v.art.146, l. n.89 del 1913), in varie norme settoriali. Per la magistratura ordinaria la regola della tempestività nell’inizio e nella conclusione dell’iter punitivo è ribadita: - dall’art.15, co.1-bis del d.lgs. n.109 del 2006, che ha introdotto una sorta di “prescrizione” dell’azione (in passato sconosciuta) statuendo che “1-bis. Non può comunque essere promossa l'azione disciplinare quando sono decorsi dieci anni dal fatto”; - dall’art.14 secondo il quale “Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere, entro un anno dalla notizia del fatto, l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di cassazione“; - dal successivo art.15, che nei primi commi stabilisce che “1. L'azione disciplinare è promossa entro un anno dalla notizia del fatto, della quale il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha conoscenza a seguito dell'espletamento di sommarie indagini preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione del Ministro della giustizia. La denuncia è circostanziata quando contiene tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare. In difetto di tali elementi, la denuncia non costituisce notizia di rilievo disciplinare. (omissis). 2. Entro due anni64 dall'inizio del procedimento il Procuratore generale deve formulare le richieste conclusive di cui 61 Il riferimento, tra i tanti, è alle “relazioni extraconiugali” del magistrato con personale di cancelleria, condotta un tempo (anni ’60) disciplinarmente censurata in quanto in contrasto con il generale (e generico) principio dell’art.18, r.d. n.511, ed oggi pacificamente irrilevante sotto il profilo disciplinare. V. le decisioni citate da FERRI, Gli illeciti disciplinari fuori dall’esercizio delle funzioni, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 83 ss. 62 Sulla tempestività nell’impiego pubblico privatizzato v. da ultimo Cass., sez.lav., 28 settembre 2006 n.21032, in www.italgiure.giustizia.it. 63 Termini cadenzano il procedimento disciplinare nell’impiego pubblico dal suo inizio (contestazione entro 20 gg. dalla conoscenza dei fatti) alla sua fine (120 gg. dalla contestazione), anche nei riflessi temporali di giudizi penali parallelamente (rectius pregiudizialmente) in corso. 64 Tale termine biennale ci sembra eccessivo e non in sintonia con il principio di tempestività. La critica è condivisa da DELLI PRISCOLI (intervento in AA.VV., a cura di VOLPI, La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 54) il quale, in veste di Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, ha predisposto una circolare “pungolatoria” indirizzata ai Procuratori preposti ad istruttorie disciplinari per invitarli a concluderle entro il più ragionevole termine semestrale. Ovviamente lo sforamento di tale termine non potrà essere fatto valere in sede contenziosa dall’incolpato a fronte del più lungo termine biennale inopportunamente fissato dal legislatore.

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all'articolo 17, commi 2 e 6; entro due anni dalla richiesta, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nella composizione di cui all'articolo 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195, si pronuncia”. L’art.15 prevede poi numerosi termini infraprocedimentali ispirati al principio di immediatezza e tempestività. Al successivo comma 7, l’art.15 cit. aggiunge che “Se i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si estingue, sempre che l'incolpato vi consenta”. Gli art.14 e 15 fissando dunque termini decadenziali sia per il Ministro della Giustizia, sia per il Procuratore Generale (oltre che per il CSM) e tali termini sono da ritenere autonomi, non potendosi ritenere ragionevole il loro reciproco condizionamento da parte dei due organi, atteso che nessun obbligo di reciproca comunicazione è previsto a carico dei due soggetti circa la pendenza di una segnalazione o notizia di illecito disciplinare65.

Le norme si interessano, assai opportunamente, anche dell’individuazione esatta del dies a quo del termine decadenziale e si pongono in sintonia, per il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, con la copiosa elaborazione giurisprudenziale che, nell’impiego privato, ha riguardato, da un lato, la valutazione dell'immediatezza dell’azione disciplinare, ancorandola alla conoscenza “piena” del fatto66 e non alla ricezione di meri generici esposti e, dall'altro, la relatività del requisito dell’immediatezza, da accertare non in astratto, ma in concreto, con riferimento ad eventuali peculiarità dell'infrazione ed ai tempi indispensabili per il relativo accertamento67. Tale indirizzo teso ad ancorare il dies a quo alla conoscenza piena era stato confermato dalla giurisprudenza anche sotto la vigenza del pregresso regime disciplinare magistratuale68, anche se tale conoscenza piena non richiede che i fatti stessi per essere oggetto di addebito debbano essere già provati, e cioè già dimostrati nella loro veridicità. In generale, infatti, è proprio il procedimento disciplinare il luogo nel quale - attraverso l'espletamento dell'istruttoria prima sommaria e poi formale - deve innanzi tutto accertarsi la effettiva sussistenza delle condotte o dei fatti materiali addebitati al magistrato come illeciti. Diversamente ragionando - e se cioè il procedimento disciplinare fosse preordinato funzionalmente solo alla valutazione della rilevanza di fatti già aliunde accertati - sarebbero in buona sostanza inutili da un lato ogni attività d'indagine da parte 65 In terminis MOGINI, L’azione disciplinare del Ministro della Giustizia, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 27 ss. 66 Ergo conoscenze lacunose, non supportate da minimali riscontri istruttori (es. referti ispettivi, testimonianze, documenti) non originano un obbligo di promovimento del procedimento e di successiva contestazione dell’addebito da parte dei competenti organi, tenuti però ad un doveroso preliminare riscontro istruttorio. 67 Sulla relatività (ragionevole elasticità) nell’interpretare il concetto di immediatezza v. la giurisprudenza citata da NOVIELLO-TENORE, La responsabilità cit., 186 ss. E' noto che nell'impiego privato la magistratura si è spesso soffermata sul principio di immediatezza della contestazione ex art.7, l. 20 maggio 1970 n.300, chiarendo che tale requisito va inteso in senso relativo, dovendosi valutare la buona fede del datore ex art.1175 e 1375 cod.civ. e, dunque, l'eventuale complessità delle indagini necessarie per l'accertamento dell'illecito, e aggiungendo che il ritardo nella contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore precludendogli una adeguata difesa: cfr., tra le tante, Cass., sez. lav., 20 giugno 2006 n.14115, in Giust.civ.Mass., 2006, 6; id., sez.lav., 19 agosto 2004 n.16291, ivi, 2004, 7-8; Cass., sez. lav., 17 giugno 2002 n.8730; id., sez.lav., 23 novembre 1991, n.12617, in Not.giur.lav., 1992, 244; Cass., sez.lav., 21 aprile 2001 n.5947, in www.giust.it, n.5, 2001; id., 22 aprile 2000 n.5308, in CED Cassazione, RV 535980; id., n.11095 del 1997, ivi. Tale tesi, come già evidenziato, è recepita nell'impiego pubblico privatizzato, da Cons.St., sez.IV, 1 marzo 2001 n.1132, in Cons.St., 2001, I, 519. La valutazione del giudice di merito, secondo la predetta Cassazione, è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. 68 Che la nozione di "notizia del fatto che forma oggetto dell'addebito" deve essere intesa come conoscenza certa di tutti gli elementi costitutivi - nel profilo oggettivo - dell'illecito, con la conseguenza che non è idonea a far decorrere il termine annuale l'acquisizione di dati insufficienti per una esauriente formulazione dell'incolpazione v., ad es., Cass., sez.un., n.***1995 n.7577.

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degli Organi disciplinari successiva al promovimento dell'azione e dall'altro la previsione, nella normativa di settore, di mezzi istruttori (si pensi alle testimonianze) prioritariamente finalizzati all'accertamento dei fatti più che alla loro valutazione69.

Problematica appare poi l’individuazione del dies ad quem, che qualifichi come “intrapresa” (tempestivamente) l’azione disciplinare: i primi commentatori70 e la stessa giurisprudenza71, ritengono che l’azione possa considerasi iniziata, a differenza di quanto ritenuto in altri regimi disciplinari (ove l’inizio del procedimento coincide con la contestazione degli addebiti72), indipendentemente dalla comunicazione all’interessato, sin dal momento in cui sia resa manifesta la volontà dell’organo legittimato ad esercitare l’azione di procedere a carico dell’interessato: ciò si verifica nel momento stesso in cui il Ministro fa richiesta al P.G. di procedere (ai sensi dell’art.14, co.2, del d.lgs. n.109) o in cui quest’ultimo comunica al Ministro ed al CSM l’inizio del procedimento ai sensi dell’art.14, co.3, del citato d.lgs. n.109”.

Si analizzerà nel successivo Capitolo IV il rilevante problema della natura, ordinatoria o perentoria, dei termini (non solo di quello iniziale e finale, ma anche di quelli infraprocedimentali ex art.15, d.lgs. n.109) che cadenzano il procedimento disciplinare in ossequio al principio di immediatezza, oggetto di numerosi contenziosi nel pubblico impiego, anche se va sin da ora rimarcata la peculiare previsione, non riscontrabile in altri ordinamenti disciplinari se non in quello dei magistrati contabili73 (ma a nostro avviso anche in altri ordinamenti desumibile da una interpretazione logico-sistematica), secondo cui la decadenza della potestà disciplinare correlata allo sforamento di termini perentori per la sua attivazione o conclusione, non opera qualora l’incolpato non lo consenta (art.15, co.7, d.lgs. n.109 cit.): la peculiare norma valorizza evidentemente il diritto del magistrato ad ottenere una assoluzione piena, nel merito, in sede disciplinare, evitando la facile, ma non appagante, scappatoia procedurale decadenziale, a tutela imperitura della propria immagine, lesa dal semplice fatto di essere stato sottoposto ad un procedimento sanzionatorio interno, nel quale l’interessato è giustamente libero di “urlare” e provare la propria innocenza nella pubblica udienza di cui all’art.18, d.lgs. n.109.

5. I principi portanti del procedimento disciplinare: e) tassatività delle sanzioni e

(tendenziale) tipicità degli illeciti; f) gradualità sanzionatoria; g) contraddittorio procedimentale; h) trasparenza del procedimento; i) terzietà dell’organo titolare della

69 In terminis su fattispecie relativa a magistrato amministrativo v. Cons.St., sez.IV, 26 maggio 2006 n.3161, in www.giustizia-amministrativa.it. 70 Il periodo tra virgolette è tratto da FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2008, 423 ss. 71 Cass., sez.un., 20 dicembre 2006 n.27172, in Foro it., 2008, I, 923; id., sez.un., 21 luglio 2004 n.13602, ivi Rep., 2004, voce Ordinamento giudiziario. 72 Per la coincidenza dell’inizio del procedimento disciplinare con la contestazione degli addebiti v. TENORE, Gli illeciti disciplinari cit., 31. 73 Per i magistrati contabili, come si vedrà nel Capitolo VIII, parag.2.1 di FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010, l’art.6, co.3 del regolamento interno n.510/CP/2000 stabilisce che “il Presidente della Corte dei conti, se il Consiglio non ritiene di deliberare il proscioglimento, fissa la data della trattazione orale con decreto da notificarsi all’incolpato - a cura (ancora una volta inopportunamente) dell’Ufficio Studi e documentazione del Consiglio - almeno quaranta giorni prima di essa ma non oltre un anno dall’inizio del procedimento disciplinare, pena l’estinzione di quest’ultimo sempre che l’incolpato vi consenta”.

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potestà disciplinare; k) potestà disciplinare verso ex appartenenti alla p.a. ed alla magistratura in particolare; l) la corrispondenza tra contestazione degli addebiti e fatti sanzionati nel provvedimento punitivo finale.

e) La tassatività delle sanzioni disciplinari e la (tendenziale) tipicità degli illeciti. Come in altri rami del “diritto punitivo” (es. diritto penale74, sanzioni amministrative), anche in quello disciplinare le sanzioni comminabili al magistrato, al lavoratore o dall’ordine professionale ai propri affiliati sono un numerus clausus, per esigenze di certezza e in ossequio al favor libertatis. Queste ultime, previste dall’art.5 del d.lgs. n.109 del 2006 sono oggi: a) l'ammonimento; b) la censura; c) la perdita dell'anzianità; d) l'incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo; e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni; f) la rimozione. Sanzioni inflitte al di fuori di tale elenco tipico sono pertanto illegittime. Ne consegue che l’uso “paradisciplinare” ed atipico di altre misure gestionali da parte degli organi titolari della potestà sanzionatoria, quali il trasferimento di sede per incompatibilità ambientale si presterebbe a censure in giudizio, come spesso avvenuto in passato nell’impiego pubblico anteriormente alla privatizzazione. In tutti i regimi disciplinari alla tassatività delle sanzioni non fa riscontro, come del resto nello stesso diritto penale, una tassatività rigorosa degli illeciti punibili (c.d. infrazioni), né una riserva di legge assoluta: sotto il profilo della tassatività, nei vari sistemi disciplinari a fronte di fattispecie estremamente puntuali, la normativa prevede varie norme “a condotta libera”75. Inoltre, anche il rigore del principio della riserva di legge viene mitigato dalla legittima introduzione di ulteriori illeciti da parte dei principi deontologici elaborati in vari ordinamenti settoriali.

Nel regime disciplinare concernente i magistrati ordinari, i politici (dei diversi schieramenti), gli studiosi del diritto ed anche molti magistrati lamentavano il dato di fatto che la previgente disciplina anteriore alla novella del 2006 - basata sulla c.d. atipicità dell’illecito disciplinare - non indicasse quali potessero essere i fatti costituenti infrazione ai doveri deontologici. La norma fondamentale in materia era costituita dall’art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, in base al quale si aveva illecito tutte le volte che “il magistrato manchi ai suoi doveri o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario”.

In concreto, l’individuazione delle ipotesi di illecito spettava alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura76. Questo organo giurisdizionale, seppur tenendo conto dei 74 Sulla tassatività delle sanzioni penali v. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2007, 59 ss. 75 Si pensi, nel regime disciplinare notarile all’art.147, co.1, lett.b, l. n.89 del 1913 che sanziona il notaio che “compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile”. I concetti di decoro e prestigio della classe notarile risentono, come in altri ordinamenti professionali, dell’evoluzione sociale ed etica del Paese: un emblematico raffronto può essere effettuato leggendo i massimari della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1960 ad oggi, per desumere l’evoluzione interpretativa, in sede disciplinare, di tali nozioni in relazioni a casistiche analoghe verificatesi nel corso degli anni e che hanno avuto come protagonisti magistrati per condotte lavorative e, soprattutto, extralavorative 76 V. da ultimo Cass., sez.un., 1 luglio 2008 n.17929, secondo la quale “lede il prestigio dell'ordine giudiziario, essendo ragionevolmente sussumibile nell'ambito della clausola generale di cui all'art. 18 r.d.l. n. 511 del 1946, il comportamento del magistrato che si assenti dall'ufficio per molti mesi, chiedendo e ottenendo lunghi periodi di aspettativa per motivi di salute o di congedo straordinario, e nello stesso periodo svolga attività sportiva, incompatibile con le lamentate condizioni fisiche, anche diffusa attraverso i mezzi di informazione. (Sulla base del suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza di merito relativa a magistrato che, durante i suddetti periodi, si allenava alla partecipazione di regata transoceanica)”; v. anche Cass., sez. un., 23 marzo 2005 n.6214, secondo la quale “Ai fini della configurabilità dell'illecito disciplinare non è sufficiente il compimento, da parte del magistrato, di atti scorretti o contrari alla legge, essendo altresì necessario che tali atti siano idonei ad incidere negativamente sulla fiducia e considerazione di cui il magistrato deve godere, ovvero a compromettere il prestigio dell'ordine giudiziario; il relativo

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suoi stessi precedenti giurisprudenziali e delle prassi applicative77, era del tutto libero così nella individuazione delle fattispecie come nell’applicazione delle relative sanzioni e di esercizio di funzioni che, in passato, sono state definite di carattere “paralegislativo”, con possibile rischio di uso distorto o “domestico” della leva punitiva interna.78

Tale circostanza aveva fatto dubitare taluno persino della legittimità costituzionale dell’art. 18, con riferimento agli artt. 101, co.2 e 108, co.1, cost., i quali, nel sancire, rispettivamente, che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” e che “le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge”, hanno introdotto in materia di ordinamento giudiziario una riserva assoluta di legge che, inevitabilmente si estende alla individuazione normativa dei principi della deontologia giudiziaria, ma la Consulta ebbe a dichiarare la costituzionalità della previsione79.

Parte della dottrina, in particolare, affermava che l’assenza di una tipizzazione degli illeciti disciplinari, per un verso, poteva impedire nel relativo procedimento di perseguire effettivamente e di sottoporre a sanzione i magistrati che avessero commesso abusi o scorrettezze deontologicamente rilevanti, nell’esercizio o fuori delle loro funzioni;80 per altro verso, poteva però anche consentire che i magistrati fossero arbitrariamente perseguiti attraverso un uso distorto, intimidatorio e persecutorio dell’illecito disciplinare81. Assai discutibile era poi la valutazione come illecito, ai sensi del predetto art.18, r.d.lgs. n.511, di talune condotte extralavorative82.

Dunque, la tipizzazione degli illeciti disciplinari, con o senza la previsione di una norma di chiusura, era vista dai più come un’esigenza di razionalità del sistema che potesse, al contempo, accertamento compete al giudice disciplinare ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione”; Cass., sez.un., 15 ottobre 2003 n.15399, secondo la quale “Stante l'ampia formulazione dell'art. 18 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, per accertare se il comportamento del magistrato sia o no rilevante sul piano disciplinare, è legittimo il ricorso a modelli deontologici o clausole di carattere generale ai quali la condotta del magistrato deve uniformarsi, tanto più che una elencazione tassativa dei singoli divieti ed obblighi rischierebbe di rendere insindacabili atteggiamenti che, pur non essendo espressamente contemplati, sono tuttavia considerati riprovevoli dalla coscienza collettiva o all'interno della categoria di cui fa parte l'interessato”. 77 A titolo meramente esemplificativo, i filoni di condotte extralavorative più di frequente ritenuti in contrasto con l’art.18, r.d.lgs. n.511 da parte del CSM sono stati quelli concernenti abusi della qualifica professionale, frequentazioni assidue di pregiudicati o malfamati, assunzioni di incarichi extragiudiziari senza autorizzazione, emissioni di assegni bancari privi di copertura, ricezione di ingenti somme in prestito da avvocato con restituzione tardiva. Le stesse sono state sostanzialmente recepite nell’art.3, d.lgs. n.109 del 2006. 78 DEVOTO, Il ruolo del CSM, in L’ordinamento giudiziario, a cura di PIZZORUSSO, 1974, 279 ss. e, per certi aspetti v. ZAGREBELSKY, La responsabilità disciplinare dei magistrati: alcuni aspetti generali, in Riv. Dir. Proc., 1975, 416 ss.; contra Cass., sez. un., 20 novembre 1998 n.11732, che ha respinto definitivamente l’idea di una funzione sostanzialmente paranormativa da parte della sezione disciplinare, trattandosi di attività autenticamente ermeneutica, dovendo il giudice disciplinare limitarsi a valutare se, nel caso concreto, il comportamento contestato sia sussumibile alla fattispecie astratta descritta dall’art. 18; nello stesso senso, Cass., sez. un., 18 gennaio 2001 n.5; 20 novembre 1998 n.11732; n. 359 del 16 gennaio 1998. 79 PERRONE, Diritto alla manifestazione del pensiero per gli appartenenti all’ordine giudiziario e “processo catodico”: cosa cambia con la riforma della deontologia giudiziaria, op. cit., 461. C.cost., 7 maggio 1981 n.100 (in Foro it., 1981, I, 2360), ha invece dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento a detta norma. Per una completa ricostruzione della questione v. MELE, La responsabilità disciplinare dei magistrati, 1987, Milano, 51 ss.; FERRI, Gli illeciti disciplinari fuori dall’esercizio delle funzioni, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 83 ss. con ampi richiami dottrinali. 80 V. per un excursus critico nei confronti del c.d. “lassismo” o “perdonismo” del giudice disciplinare BRUTI LIBERATI, PEPINO, Autogoverno o controllo della magistratura?, 1998, 150 ss. 81 Anche l’A.N.M. si era espressa in un primo tempo, nel lontano 1975, in senso favorevole per l’obbligatorietà attraverso un’apposita proposta che prevedeva una serie di ipotesi tipizzate di illecito disciplinare. 82 Sul tema FERRI, Gli illeciti disciplinari cit., 83 ss. con ampi richiami dottrinali.

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garantire ed assicurare la certezza del diritto e, a ciascun magistrato, la sua piena indipendenza, esterna come interna al sistema del governo autonomo della magistratura83.

Recependo tali critiche, la previsione di ipotesi tipizzate di illecito disciplinare statuite dagli art. 2 (condotte lavorative) e 3 (condotte extralavorative) della novella del d.lgs. n.109 del 2006 (come modificata dalla l. n.269 del 2006) segna il passaggio da un sistema nel quale la identificazione dei comportamenti sanzionabili era affidata alla capacità degli organi di governo della magistratura di rendersi interpreti del comune sentire del corpo giudiziario, ad un diverso sistema ispirato al principio di legalità84, anche se la tipizzazione ha recepito in gran parte indirizzi della sezione disciplinare del CSM, orientamenti delle Sezioni Unite della Cassazione, del codice deontologico approvato dall’ANM nel 199485, del disegno di legge Flick del 1996, a cui sono state aggiunte nuove formulazioni86.

Non è stata prevista una “norma di chiusura” auspicata da parte della dottrina, per cui la rigorosa tassatività renderà non punibili fatti (soprattutto extralavorativi) ritenuti eticamente e socialmente disdicevoli, ma non censiti nelle norme predette, che potranno essere solo oggetto, in futuro, di eventuali integrazioni o rettifiche. Del resto il rischio di una rigorosa tipizzazione degli illeciti era stata ben evidenziata nella nota sentenza n.100 del 1981 della Consulta87 che ritenne legittimo il previgente art.18, r.d. n.511 cit.

Le prime applicazioni della nuova disciplina tipizzata degli illeciti dimostrano, invero, come questa sia più gravosa e più rischiosa per il magistrato incolpato rispetto alla precedente. Prova ne sia che la Sezione disciplinare del CSM ha più volte di recente affermato che il raffronto in concreto tra il vecchio art. 18 e le nuove fattispecie tipizzate, al fine di stabilire quale sia la norma più

83 Sez. Disc. CSM, n. 71 del 27 giugno 2008, secondo la quale “la tipizzazione degli illeciti disciplinari era vista dai più come un’esigenza di razionalità del sistema che potesse, al contempo, garantire ed assicurare la certezza del diritto e, a ciascun magistrato, la sua piena indipendenza, esterna come interna al sistema del governo autonomo. Le prime applicazioni della nuova disciplina tipizzata degli illeciti stanno dimostrando diverse rigidità del sistema, che possono riverberarsi, a seconda dei casi, tanto in danno dell’incolpato, quanto in suo favore”. 84 DELLI PRISCOLI, La responsabilità disciplinare, in L’ordinamento giudiziario. Itinerari di riforma, a cura di MAZZAMUTO, Jovene Ed., 2008, 140; MOROZZO DELLA ROCCA, Disciplina giudiziaria: il d.lgs. n. 109 del 2006 e il trattamento più favorevole, in Giust.civ., 2007, I, 348 ss. Per una rigorosa ricostruzione del passaggio dalla atipicità dell’illecito disciplinare vagliato dalla commissione disciplina del CSM al regime di tipicità del d.lgs. n.109 del 2006, v. DAL CANTO, La responsabilità disciplinare del magistrato nella giurisprudenza costituzionale, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 141 ss. Critico nei confronti della intervenuta tipizzazione, ritenendo preferibile il previgente sistema che richiedeva oltre al comportamento irregolare anche la lesione del prestigio e del decoro della magistratura è BERRUTI, Il giudizio dinanzi alla sezione disciplinare del CSM, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 55 ss. L’autore evidenzia come nell’attuale sistema la tipizzazione porta a ritenere non illecito ciò che non è previsto dalla legge e a non vedere fatti che potrebbero essere eticamente censurabili. 85 Sul codice deontologico adottato dall’Associazione nazionale magistrati sulla base dell’art.58-bis, d.lgs. n.29 del 1993 (oggi art.54, d.lgs. n.165 del 2001), oltre ai rilievi sviluppati nel Capitolo III, parag.16, di FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010, v. AA.VV. (a cura di ASCHETTINO, BIFULCO, EPINEUSE, SABATO), Deontologia giudiziaria, Napoli, 2006, con ricca bibliografia. Sui restanti codici deontologici adottati dalle altre magistrature v. i testi e le osservazioni pubblicate in Foro It., 1996, III, 38. 86 Per un ragionato confronto tra le fattispecie previste nell’originaria versione della l. n.109 del 2006 e quelle previste dalla novella apportata dalla l. n.269 del 2006, oltre a quanto si dirà nel successivo Capitolo III, v. la dottrina citata da FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2008, 417, nt.68. 87 C.cost., 1981 n.100, in Foro.it., 1981, I, 2360, affermò che è da escludere che l'art. 18 della legge sulle guarentigie della magistratura si ponga in contrasto con gli art. 101 comma 2, e 108 cost., poiché ogni previsione normativa in materia non può non avere portata generale, in quanto una indicazione tassativa renderebbe legittimi comportamenti non previsti ma egualmente riprovati dalla coscienza sociale.

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favorevole per l’incolpato nel regime transitorio, si risolve sovente nel senso della applicazione della disciplina abrogata, che non prevedeva tra l’altro in nessun caso un tetto minimo di sanzione e che assicurava comunque al giudice una più ampia discrezionalità nella effettuazione del concreto apprezzamento della lesione del prestigio dell’ordine giudiziario e della credibilità della funzione giudiziaria esercitata, ma sul punto si attendono ulteriori interventi delle sezioni unite della Cassazione88.

f) La gradualità sanzionatoria. Il sistema sanzionatorio disciplinare deve ispirarsi alla progressiva e graduale crescita delle sanzioni comminabili a fronte di comportamenti progressivamente più gravi. Tale ascesa punitiva non deve prevedere salti logici tra una sanzione e l’altra. Orbene, il sistema disciplinare per i magistrati appare tendenzialmente ossequioso di tale principio, prevedendo una gamma sanzionatoria adeguatamente graduata: in base all’art.5 del d.lgs. n.109 del 2006 le sanzioni comminabili sono oggi: a) l'ammonimento; b) la censura; c) la perdita dell'anzianità; d) l'incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo; e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni; f) la rimozione. g) Il contraddittorio procedimentale. Un basilare principio, sostanziale e processuale, che caratterizza ogni procedimento punitivo, e, dunque, anche quello disciplinare, quale che sia la sua natura nei vari ordinamenti (giurisdizionale, amministrativo, contrattuale), è dato dal contraddittorio, ovvero il diritto dell’incolpato di potersi difendere, venendo sentito o producendo prove e documenti, prima che l’organo titolare di potestà sanzionatoria adotti misure afflittive. Il principio, espressivo del diritto alla difesa anche in sede procedimentale, ancor prima che in sede processuale, si riscontra, oltre che nel regime disciplinare magistratuale, anche nell’impiego privato, nell’impiego pubblico e nei regimi disciplinari professionali. Anche la legge 7 agosto 1990 n.241 sul procedimento amministrativo, applicabile, come già evidenziato, ai procedimenti disciplinari di natura amministrativa, ha codificato in via generale tale basilare principio di civiltà giuridica (v. art.7, 9, 10, 10-bis, 22 seg.) per ogni procedimento curato dalla p.a. L’attuale sistema disciplinare per i magistrati ordinari, come meglio si vedrà nel successivo Capitolo IV, è dunque assai garantista e rispettoso del principio del contraddittorio, come lo era anche nel previgente assetto anteriore alla novella apportata nel 2006. Ne sono evidente conferma: la previa contestazione degli addebiti prevista a pena di nullità (art.15, co.4 e 5, d.lgs. n.109) e la connessa necessaria corrispondenza tra sentenza/sanzione e accusa/contestazione (v. il successivo punto l), l’ampia tutela difensiva con ampli mezzi istruttori (art.18, d.lgs. cit.), il possibile ricorso, per esigenze di difesa, non solo a colleghi magistrati ma anche ad avvocati del libero foro (art.14, co.4 cit.)89, che rappresenta una facoltà e non un obbligo (essendo possibile l’autodifesa come statuito anche dalla Consulta90), il pieno accesso agli atti del fascicolo disciplinare (art.17, co.1).

88 Cfr. Sez. Disc. CSM, n. 38 del 18 aprile 2008; id., 22 febbraio 2008 n.14. Sul regime intertemporale tra vecchio e nuovo regime e sul principio di irretroattività del nuovo procedimento, trattandosi di iter teso ad adottare sanzioni amministrative cui non si applica la regola dell’effetto retroattivo della norma penale più favorevole sopravvenuta v. Cass. Sez.un., 20 dicembre 2006 n.27172, in Foro it., 2008, I, 923. 89 Si rammenta che la Consulta, con sentenza 16 novembre 2000 n.497 (in **) aveva statuito l’illegittimità del previgente art.34, co.2, r.d. 31 maggio 1946 nella parte in cui escludeva che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare potesse farsi assistere da un avvocato. Sulla difesa del magistrato nell’attuale regime del d.lgs. n.109 v. SAPONARA, La difesa dell’incolpato, in AA.VV. (a cura di VOLPI), La responsabilità dei magistrati, Napoli, 2008, 45 ss. 90 Sulla assenza di un obbligo di difesa tecnica e sulla possibilità di autodifesa del magistrato anche nel previgente regime v. C.cost., 13 aprile 1995 n.119, in Foro it., 1995, I, 1401. Da ultimo Cass., sez.un., 20 dicembre 2006 n.27172, ivi, 2008, I, 923. In passato la Consulta (C.cost., 16 novembre 2000 n.497, ivi, 2001, I, 383 con osservazioni di PANIZZA) aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.34, co.2, r.d.lgs. n.511 del 1946 nella parte in cui escludeva che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare potesse farsi assistere da un avvocato.

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h) La trasparenza del procedimento disciplinare. In perfetta sintonia con l’evoluzione del sistema legislativo verso la trasparenza della pubblica amministrazione (v. l. 7 agosto 1990 n.241) si pone anche il procedimento disciplinare. Anche in quello magistratuale, la trasparenza-accesso agli atti è codificata dall’art.17, co.1, d.lgs. n.109 del 2006 secondo cui “Compiute le indagini, il Procuratore generale formula le richieste conclusive di cui ai commi 2 e 6 e invia alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il fascicolo del procedimento, dandone comunicazione all'incolpato. Il fascicolo è depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell'incolpato, che può prenderne visione ed estrarre copia degli atti“. Può pacificamente affermarsi, in sintonia con pacifici approdi giurisprudenziali cui si è giunti in altri regimi disciplinari (e più in generale cui si è pervenuti sul tema del rapporto accesso-privacy) che il diritto di accesso agli atti del procedimento in esame da parte dell’interessato prevarrà, per la valenza costituzionale sottesa alla visione-acquisizione (diritto alla difesa: art.24, 103, 113 cost.), sulla riservatezza di eventuali terzi (es. testimoni escussi in sede istruttoria, documenti di terzi contenenti dati sensibili acquisiti agli atti etc.), come chiarito sia dalla giurisprudenza amministrativa91, sia dall’art.59, del T.U. sulla privacy (d.lgs.30 giugno 2003 n.196), sia dall’art.24, co.7, l. 7 agosto 1990 n.241.

Più delicato, ma risolvibile ai sensi del sunteggiato indirizzo giurisprudenziale, è l’ulteriore problema della possibilità di accedere ad atti del fascicolo disciplinare di altro soggetto (es.da parte di un collega, da parte di un avvocato, da un privato parte di un giudizio istruito dal magistrato sotto procedimento disciplinare). Va evidenziato che il diritto all’accesso (ovvero a vedere documenti della p.a. ed ottenerne copia) non è una azione popolare spettante a chiunque, ma solo e soltanto a chi abbia un interesse “diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata o collegata al documento al quale è chiesto accesso” (art.22, co.1, lett.b, l.n.241). Tale interesse va dimostrato dal soggetto istante nella domanda di accesso e, di solito, consiste nella prospettata necessità di difendersi in giudizio o di promuovere azioni (civili, penali, disciplinari, amministrativo-contabili) di tutela. A fronte della prospettazione di tale interesse giuridicamente rilevante, l’amministrazione non ha alcun sindacato sulla veridicità o meno di quanto affermato, ma il titolare deve esternare le ragioni per cui intende accedere e, soprattutto, la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il diritto d'accesso è preordinato. Nei casi concreti sopra prospettati, non riterremmo esclusa in capo al terzo (collega, avvocato o privato) l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante all’accesso (che andrà esternato ella domanda), qualora il richiedente voglia utilizzare le acquisizioni concernenti atti (es. dichiarazioni di testi, risultanze ispettive) per difendersi in analogo procedimento disciplinare o per prospettare, in un contenzioso pendente o imminente presso la Commissione disciplinare, che in un caso similare il trattamento sanzionatorio della stessa per la medesima fattispecie è stato più benevolo92. Parimenti, in altro caso, l’autore di un esposto disciplinare nei confronti di un magistrato potrebbe avere interesse non già a sapere, per mera curiosità (non avente giuridica rilevanza93), che esito 91 Sul rapporto accesso-privacy, si rinvia a TENORE, L’incidenza della nuova legge n.241 del 1990 sulle pubbliche amministrazioni, Padova, 2006, 278 ss., con ampi richiami dottrinali e giurisprudenziali. 92 Es. nel proprio procedimento è stata inflitta la destituzione, mentre in un precedente analogo è stata comminata la sospensione. Sul principio di parità di trattamento in sede disciplinare v. i rilievi sopra sviluppati. Per un caso concreto, nel pubblico impiego, v. TAR Lazio, Roma, sez. I, 1 giugno 2004, n. 5163 (in Foro amm.-TAR, 2004, 1693) secondo cui il dipendente pubblico sottoposto a procedimento disciplinare in corso che abbia interesse, per esigenze difensive, ad accedere ai documenti inerenti al distinto procedimento disciplinare celebratosi a carico di un terzo ha titolo all'ostensione documentale richiesta, senza che l'amministrazione possa opporgli generiche esigenze di riservatezza. 93 È correttamente motivato il diniego di accesso che dia conto della carenza di un interesse concreto e attuale alla conoscenza degli atti di cui viene chiesta l'ostensione, evidenziata dall'Amministrazione nel provvedimento impugnato, laddove si evidenzia che gli atti richiesti non sono minimamente influenti sul procedimento disciplinare a carico

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abbia avuto la propria segnalazione, ma ad acquisire elementi istruttori rilevanti per una parallela azione civile-risarcitoria (o per un esposto penale) intrapresa o da intraprendere nei confronti del magistrato per i medesimi fatti sottoposti al vaglio disciplinare (o archiviati previamente dal Procuratore Generale o dal Ministro), come più volte ribadito, in generale, dalla giurisprudenza94. Non è da escludere, dunque, anche un accesso al deliberato del Procuratore Generale che, ritenendo non rilevante l’esposto95, lo abbia archiviato, non inoltrando al CSM richiesta di azione disciplinare. i) Terzietà dell’organo titolare della potestà disciplinare. Su un piano generale valevole per ogni regime disciplinare, la terzietà dell’organo giudicante in sede disciplinare non è codificata da alcun principio costituzionale o legislativo, come accade invece nella diversa sede processuale per il giudice. Nell’impiego pubblico ed in quello privato la potestà punitiva compete al datore di lavoro attraverso un suo ufficio interno (l’ufficio procedimenti disciplinari): è dunque una parte negoziale che, sulla base di previsione legislativa o contrattuale, sanziona l’altra (il lavoratore) ed in caso di dell'istante e che l'intera istanza non risulta motivata a garantirle il diritto alla difesa ma piuttosto a soddisfare una mera curiosità: TAR Lombardia, Milano, sez. III, 21 marzo 2006, n. 657, in Foro amm.-TAR, 2006, 3, 893.

L'autore di un esposto, in seguito al quale è stato dato avvio ad un procedimento disciplinare a carico di un libero professionista, non è titolare di un interesse personale e concreto all'accesso ai relativi atti, poiché non è parte di detto procedimento, il quale riguarda l'Amministrazione, l'incolpato e chi svolge l'attività accusatoria: TAR Marche, Ancona, 30 marzo 2005, n. 274, in Foro amm.-TAR, 2005, 3, 698. 94 In terminis, di recente, in materia di procedimento disciplinare nelle libere professioni, Cons. St., ad.plen., 20 aprile 2006, n. 7 (in Corriere del merito, 2006, 6, 815, con nota di MADDALENA e in Guida al diritto, 2006, 20, 106, con nota di FORLENZA), secondo cui la qualità di autore di un esposto al quale abbia fatto seguito un procedimento disciplinare a carico di un professionista è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi (l’aver proposto parallela azione civile nei confronti del professionista), a radicare nell'autore medesimo la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell'art. 22 l. n. 241 del 1990, legittima all'accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare (coinvolgente terzi) che da quell'esposto ha tratto origine, né varrebbe affermare in senso contrario la circostanza che l'autore dell'esposto è rimasto estraneo al procedimento disciplinare che ne è seguito (tale avversa tesi era stata in passato propugnata da Cons.St., sez.IV, 8 luglio 2003 n.4049, in www.giustizia-amministrativa.it.; TAR Lazio, sez. III, 3 aprile 2002, n. 2720 secondo cui in linea generale, nei riguardi dei documenti del procedimento disciplinare a carico di altri soggetti il terzo che richieda di accedervi è privo di quella "situazione giuridicamente rilevante" prescritta ai fini dell'esercizio del relativo diritto dall'art. 22 comma 1, l. 7 agosto 1990 n. 241, poiché egli, ancorché autore di esposto, non è parte del predetto procedimento che si svolge tra l'amministrazione, l'incolpato ed il "p.m. o altra figura similare). In altra sentenza è stato affermato che il cliente di un avvocato, che ha presentato un esposto al Consiglio dell'ordine rappresentando alcune irregolarità e violazione di obblighi professionali che sarebbero stati commessi dal legale nella cura di una pratica, ha diritto ad accedere agli atti del procedimento disciplinare avviato a seguito dell'esposto, non sussistendo ragioni di riservatezza del professionista, in quanto si tratta di accedere non a dati sensibili ma ad atti aventi stretto riferimento ai rapporti contrattuali intercorrenti con il cliente: Cons.St., sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7111, in Foro amm.-CDS, 2006, 12, 3290. Altra pronuncia ha statuito che in materia di procedimento disciplinare a carico di avvocati e procuratori, non sussiste violazione del dovere di riservatezza qualora sia consentito l'accesso a documenti del procedimento disciplinare; infatti, il diritto di accesso ai documenti di procedimenti amministrativi, anche se disciplinari, previsto dagli art. 21 ss. della legge n. 241 del 1990, compete a chiunque abbia un concreto e apprezzabile interesse personale a prenderne visione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che tale interesse era stato correttamente riconosciuto al denunziante, un avvocato nei cui confronti la collega incolpata aveva adoperato espressioni oltraggiose ed espresso giudizi negativi): Cass., sez.un., 25 maggio 2001, n. 218, in Giust. civ. Mass., 2001, 907. 95 Occorre ribadire, come evidenziato nel Capitolo II e nel Capitolo IV, parag.3 di FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010, che i Consigli distrettuali, in base all’art.153, co.2, l. n.89 (“Il procedimento è promosso, senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante”) e in base all’art.267, r.d. 10 settembre 1914 n.1326, hanno l’obbligo di effettuare un previo filtro valutativo sugli esposti nei confronti dei notai e sui fatti addebitati, prima di inoltrare richiesta di attivazione del procedimento disciplinare alle Co.re.di.

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irragionevolezza o illegittimità della sanzione si ricorre al giudice. Parimenti nelle libere professioni la potestà disciplinare è riservata non ad un “organo terzo”, ma allo stesso Consiglio dell’ordine, garante di interessi della stessa classe professionale96 o talvolta ad un organo misto (composto da professionisti interni e presieduto da un magistrato97). Per i magistrati ordinari l’attribuzione della potestà disciplinare all’organo di autogoverno interno, trova invece il suo basilare referente nella Costituzione che, all’art. 105, attribuisce al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Le competenze in materia disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, come le altre competenze previste dall’art. 105 cost., traggono poi il loro fondamento nel precedente art. 104 che, nel disporre l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, pone l’organo consiliare a presidio di questi valori.98

La eclettica composizione dei componenti del CSM, la peculiare estrazione professionale dei componenti togati che porta ad una “attitudine” alla terzietà e l’esistenza, dopo la riforma del 2006, di una più tassativa formulazione degli illeciti, garantiscono a nostro avviso una innegabile terzietà valutativa , che solo una occasionale distorta logica protezionistica o correntizia potrebbe attenuare. Tale terzietà decisoria della sezione disciplinare del CSM, soprattutto in un procedimento avente natura giurisdizionale e non amministrativa (quello previsto per i Magistrati ordinari), è stata rimarcata anche dalla Consulta nell’affermare, in ossequio ai principi di imparzialità e terzietà della giurisdizione, espresso dagli art. 24 e 111 cost., che è costituzionalmente illegittimo l'art. 4, l. 24 marzo 1958 n. 195, nel testo modificato dall'art. 2, l. 28 marzo 2002 n. 44, nella parte in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della sezione disciplinare99. l) La permanenza della potestà disciplinare anche nei confronti di ex magistrati. Il sistema disciplinare relativo ai magistrati anteriore alla novella del 2006 presentava una peculiarità non riscontrabile nei restanti sistemi disciplinari (p. impiego, libere professioni, impiego privato): qualora il magistrato cessasse di appartenere all’ordine giudiziario (per dimissioni, per decadenza, per transito in altra amministrazione, per dispensa per infermità, per morte etc.) prima del passaggio in giudicato della pronuncia che applicasse la sanzione disciplinare, il ricorso in Cassazione avverso la sanzione diveniva inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse. Parimenti la sezione disciplinare del CSM non poteva più sanzionare l’ex dipendente cessato in corso di procedimento. 96 Sulla legittimità di tale regime interno nel sistema disciplinare degli avvocati v. DANOVI, Il procedimento disciplinare nella professione di avvocato, Milano, 2005, 23. 97 Nel sistema disciplinare notarile si è prescelto un organo diverso dal Consiglio (che può richiedere l’attivazione del procedimento punitivo ex art. 153, l. n.89), ovvero le Co.re.di., organo elettivo, temporaneo e a composizione prevalentemente notarile con un Presidente di estrazione magistratuale. Non può dunque parlarsi di organo terzo in senso stretto, dovendosi rinvenire la terzietà di tale peculiare organo sanzionatore, oltre che nella sua separazione strutturale e funzionale dai singoli consigli notarili distrettuali, nella terzietà tecnico-giuridica che lo connota: il pieno contraddittorio che caratterizza il regime disciplinare notarile e la serenità di giudizio fondata sulle risultanze istruttorie esprimono e consentono la terzietà delle Co.re.di. che viene completata dalle norme sulle cause di incompatibilità dei membri eletti (art.150-bis, l. n.89 novellata) e sui criteri automatici di assegnazione dei procedimenti ai vari collegi (art.151, co.3, l. n.89), nonché dai principi deontologici sulla imparzialità e indipendenza dei notai nell’ambito degli organi di categoria (art.26, principi di deontologia prof.le del 26 gennaio 2007). 98 Ne consegue che, per sottrarre al Consiglio superiore della magistratura le attribuzioni in materia disciplinare, andrebbe modificato, con l’art. 105 della Costituzione, anche l’art. 104. 99 C.cost., 22 luglio 2003 n.262, in Foro it., 2003, I, 3225 con osservazioni di SABATELLI, e in Giust. civ., 2003, I, 2324 citata nella precedente nota **24. Sulla terzietà decisoria del CSM v. anche Cass., sez.un., 11 febbraio 2003 n.1994, in Foro it., Rep.2003, voce Ordinamento giudiziario, n.168.

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Tale conclusione, ribadita dalle sezioni unite della Cassazione in più occasioni100, ivi compreso il caso di morte101, era desunta, a contrario, dall’art.19, u.co., r.d. 31 maggio 1946 n.511 (abrogato oggi dall’art.31, d.lgs. n.109 del 2006) che non consentiva al magistrato incolpato di fatti punibili con la sanzione della destituzione di sottrarsi al procedimento disciplinare presentando le dimissioni che il Ministro poteva respingere. Intervenuta l’abrogazione del suddetto art.19, r.d. n.511 del 1946, ci si è posti il problema della possibilità, nell’attuale sistema delineato dal d.lgs. n.109 del 2006 e succ.mod., di confermare o meno la sussistenza, in assenza di norma sul punto, dell’effetto estintivo del potere disciplinare a fronte della intervenuta o sopravvenuta cessazione del magistrato dal servizio. In motivato dissenso con parte della dottrina102 che, sulla base di un (erroneo) richiamo alla asserita pacifica giurisprudenza amministrativa in tal senso pronunciatasi nel restante pubblico impiego, si è di recente espressa in senso positivo alla sopravvenuta cessazione del potere punitivo per “carenza di interesse” delle parti ad una sanzione disciplinare inutiliter data, riteniamo, invece, che di regola tale potestà punitiva del CSM permanga nei confronti dell’ex magistrato, salvo che in alcune residuali ipotesi infraprecisate. Come è noto il problema non riguarda i soli magistrati, ma anche i restanti pubblici dipendenti, i dipendenti di imprese private e i liberi professionisti.

Nel pubblico impiego la permanenza della potestà disciplinare (intesa sia come inizio ex novo che come prosecuzione di procedimento già attivato) nei confronti di un lavoratore che si dimetta è, dopo iniziali incertezze, principio oggi pacifico, sia al fine di evitare successive istanze di riammissione in servizio (precluse invece a chi sia stato licenziato o destituito essendo requisito per l’accesso, e dunque anche per la riammissione, nella PA la mancanza di sanzioni espulsive: argomento ex art.2, d.P.R. 9 maggio 1994 n.487, ribadito settorialmente per i magistrati dall’art.2, co.1 e co.2 lett.b-bis del d.lgs. 5 aprile 2006 n.160103), sia per evitare richieste di restitutiones in integrum (differenze tra retribuzione piena ed assegno alimentare) da parte di dipendenti cautelarmente sospesi (spesso per anni in attesa del giudicato penale, percependo assegno alimentare) e poi dimessisi (o comunque cessati dal servizio) senza ricevere sanzione disciplinare (si rammenta che quella espulsiva, retroagendo alla data della misura cautelare, preclude la restitutio in integrum104). La conclusione, nell’impiego pubblico, favorevole alla permanenza della 100 Cass., sez.un., 12 aprile 2005 n.7440, in D&G - Dir. e giust., 2005, 20, 45, e in Giust. civ. Mass., 2005, 4; id., sez.un., 26 maggio 1995 n.5806, in Giust. civ. Mass., 1995, 1075; id., sez.un., 8 agosto 1991 n.8639, Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 8. 101 Secondo Cass, sez.un., 5 marzo 1993 n.2674, in Giust. civ. Mass. 1993, 438, la morte del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare , sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronuncia irrogativa della sanzione, comporta, con la cessazione del rapporto di servizio del magistrato medesimo la cessazione della materia del contendere e, quindi, l'inammissibilità, per sopravvenuto difetto d' interesse , del ricorso per cassazione proposto contro la decisione della sezione disciplinare del C.S.M., con esclusione della possibilità di qualsiasi altra pronuncia, e, in particolare, di quella di estinzione dell'illecito disciplinare , applicandosi nel procedimento d'impugnazione instaurato con il ricorso predetto le norme processuali civili anziché i principi propri del procedimento penale. 102 FANTACCHIOTTI, FIANDANESE, Il nuovo ordinamento giudiziario, Padova, 2008, 431. La nostra avversa tesi è ribadita in FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010. 103 Difetterebbe in capo al magistrato da riammettere in servizio o che volesse partecipare a concorsi pubblici, ivi compreso quello in magistratura, sia il requisito della mancanza di sanzioni disciplinari (art.2, co.1, d.lgs. n.160 del 2006) sia quello della condotta incensurabile (art.2, co.2, let.b-bis, d.lgs. cit.). 104 Il principio giurisprudenziale della portata retroattiva della sanzione disciplinare espulsiva alla data della misura cautelare della sospensione è pacifico sia nell’impiego privato (ex pluribus, Cass., sez.lav., 9 settembre 2008 n.22863, in Giust. civ. Mass., 2008, 9, 1332; id., sez. lav., 24 luglio 1998 n.7296; id., sez.lav., 23 gennaio 1998 n.624) che pubblico (tra le tante Cons.St., sez.IV, 3 febbraio 2006 n.477, in www.giustizia-amministrativa.it).

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potestà punitiva verso ex dipendenti è stata definitivamente condivisa dalla decisione 6 marzo 1997 n. 8 della adunanza plenaria del Consiglio di Stato105. La magistratura amministrativa ha correttamente confermato tale indirizzo favorevole alla permanenza della potestà disciplinare anche in caso di decesso del dipendente dimessosi dopo aver trascorso un periodo in sospensione cautelare, per prevenire eventuali richieste di restitutio in integrum degli eredi106. Per gli avvocati l’art.37, r.d.l. 27 novembre 1933 n.1578 ha previsto che non è consentita la cancellazione dall’albo a domanda del professionista che abbia in corso un procedimento disciplinare, al fine di evitare che l’astuto legale, evitando l’azione disciplinare, possa poi richiedere la reiscrizione107. Per i notai, la miglior dottrina, avallata di recente da pronunce di organi disciplinari, ha ritenuto che il professionista cessato sia ben sanzionabile, sia per evitare riammissioni in servizio successive, sia per chiarire rilevanti riflessi pensionistici settoriali108. Nell’impiego privato non si rinvengono precedenti109. La diversa regola ostativa all’azione disciplinare avverso il dipendente cessato (v. Capitolo IV, parag.5.3), un tempo prevista per i magistrati ordinari e desunta indirettamente dall’art.19, r.d. n.511 del 1946 cit. a fronte della carenza di interesse punitivo, oggi non esiste più nell’attuale regime disciplinare del 2006, per cui riteniamo che la potestà punitiva in capo alla sezione disciplinare del CSM nei confronti di un magistrato cessato dal servizio permanga per tre basilari 105 Cons.St., ad. plen., 6 marzo 1997, n. 8, in Foro it. 1997, III, 249 e in Vita not., 1997, 790 con nota di TARDIVO; Cons.St., comm.spec.p.i., 20 gennaio 1997 n.374, in Cons.St., 1997, 1321; Cons. St., sez.IV, 20 novembre 2008 n.5757, in www.giustizia-amministrativa.it; id., sez.IV, 11 maggio 2007 n. 2273, ivi; id., sez.IV, 29 dicembre 2005 n.7561, ivi; id., sez.IV, 26 giugno 2003 n.3827, ivi. In terminis anche il parere 17 dicembre 2004 n.162622 dell’Avvocatura Generale dello Stato, in Rass.Avv.St., 2004, n.4, 1312 e la delibera C.conti, sez.contr.Stato, 10 gennaio 1996 n.4 (leggibile integralmente in TENORE, Gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, Roma, 2007, in Appendice), secondo cui le dimissioni di un pubblico dipendente , presentate in pendenza di un procedimento penale per uno dei reati previsti dall'art. 85 del t.u. n. 3 del 1957 dimissioni che l'amministrazione ha l'obbligo di accettare, non esplicano alcuna influenza sul procedimento disciplinare già iniziato o da iniziare giacché, qualora le dimissioni costituissero causa ostativa alla prosecuzione o all'inizio dell'azione disciplinare , il dipendente , condannato con sentenza irrevocabile, potrebbe beneficiare di un'eventuale riammissione in servizio o comunque avere ulteriori rapporti di impiego con l'amministrazione, essendo il rapporto cessato per atto volontario e non in virtù di un formale provvedimento di destituzione; appare pertanto censurabile il comportamento di quelle amministrazioni che, interpretando diversamente la normativa citata, si astengono da qualunque attività disciplinare nei confronti di un dipendente , anche condannato con sentenza irrevocabile, dopo la presentazione delle dimissioni 106 Cons. St., sez.VI, 26 giugno 2003 n.3827, in Cons.St., 2003, I, 1409. Contra, in caso di morte di un magistrato, Cass., sez.un., 5 marzo 1993 n.2674 citata nella precedente nota 101. 107 Sul punto DANOVI, Il procedimento disciplinare nella professione di avvocato, Milano, 2005, 10 ss. Per Pret.Firenze, 22 maggio 1995 (in Giur. it., 1987, I, 2, 278) la cancellazione dall'albo professionale per dimissioni non fa venir meno per il consiglio dell'ordine l'obbligo di definizione del procedimento disciplinare e l'illegittima delibera di chiusura del procedimento disciplinare va disapplicata. 108 Sul punto TENORE-CELESTE, La responsabilità disciplinare del notaio ed il relativo procedimento, Milano, 2008, 41. 109 Si segnala però che la Cassazione ha affermato che qualifica le dimissioni del lavoratore dal rapporto di lavoro quale atto unilaterale recettizio di esercizio di un diritto potestativo, rispetto al quale il destinatario dell'atto (il datore di lavoro) non può che subire gli effetti tipici del negozio, individuabili nella estinzione del rapporto di lavoro e delle posizioni giuridiche a questo afferenti. Le dimissioni sono pertanto idonee a risolvere il rapporto di lavoro indipendentemente dalla accettazione del datore di lavoro, acquisendo le stesse efficacia, a norma dell'art. 1334 c.c., dal momento in cui la comunicazione delle stesse arriva a conoscenza del destinatario, o, più precisamente, quando il soggetto destinatario venga posto nelle condizioni di prendere conoscenza delle dimissioni rese dal lavoratore (cfr. Cass., sez.lav., 30 ottobre 2001 n. 13523, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 599 con nota di STANCHI; id., sez.lav., 9 maggio 1985 n. 2909; 20 novembre 1990 n. 11179; 19 agosto 1996 n. 7629). Tale giurisprudenza non afferma comunque che dopo tale dimissioni “imposte” al datore questi perda la potestà disciplinare per fatti commessi in costanza di rapporto.

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ragioni giuridiche (tra loro alternative e non necessariamente cumulative), che palesano un evidente interesse in capo alla PA o allo stesso incolpato all’inizio e/o alla chiusura dell’iter punitivo interno:

1) se il procedimento si chiudesse con sanzione espulsiva, la riqualificazione della cessazione dal servizio per rimozione in luogo di altra causa di cessazione (es.per transito ex art.211, co.2, r.d. 30 gennaio 1941 n.12 in altra magistratura, in quanto, oltre al pensionamento per raggiunti limiti di età, anche le dimissioni, a cui il novellato art.11, r.d. cit. ha equiparato la decadenza per inosservanza del termine per assumere le funzioni, per i soli magistrati ordinari sono ostative alla riammissione in servizio ex art.211, r.d. n.12 del 1941110) precluderebbe una eventuale istanza di riammissione in servizio su richiesta dell’interessato111 o la partecipazione ad un nuovo concorso pubblico (impedita dall’art.2,

110 Prima della novella all’art.11, r.d. n.12 del 1941 apportata dall’art. 28 del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 che ha equiparato la decadenza alle dimissioni statuendo che “Il magistrato decaduto dall'impiego ai sensi del primo comma si considera aver cessato di far parte dell'ordine giudiziario in seguito a dimissioni“, erano sorti numerosi contenziosi in cui era stata rimarcata la differenza tra dimissioni e decadenza ai fini della possibile riammissione in servizio del magistrato, prevista per il solo caso di decadenza (ed entro 1 anno di tempo), dall’originario art.11, r.d. n.12 cit e dagli art. 127 e 132, primo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Oggi, dopo la novella del 2006, sia in caso di decadenza che di dimissioni la riammissione in servizio del magistrato è preclusa dall’art.211 cit. e, dunque, l’unico residuale caso di riammissione in servizio consentita è quella del magistrato ordinario transitato in altra magistratura speciale che voglia far rientro ex art.211, co.2, cit. Prima di tale novella del 2006 all’art.11 cit., la Consulta, con decisione 30 gennaio 2002 n.10 (in Giur. cost. 2002, 64, e in Giust. civ., 2002, I, 545) aveva affermato che è manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 cost., la q.l.c. dell'art. 211, co. 1, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, nella parte in cui, vietando la riammissione in magistratura al magistrato cessato dal servizio in seguito a sua domanda, realizzerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto al caso in cui è stata dichiarata la decadenza dall'impiego per assenza ingiustificata dall'ufficio (che consente la riammissione in servizio ex art. 127 e 132, primo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) nonché una irragionevole disparità di trattamento dei magistrati ordinari rispetto ai magistrati amministrativi e contabili, per i quali le dimissioni non precludono la successiva riammissione in servizio, in quanto, premesso che spetta al legislatore un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere del pubblico impiego, in mancanza di un valido termine di confronto e tenuto conto che non è possibile instaurare un utile confronto tra la cessazione del rapporto di impiego per dimissioni e quella per decadenza (situazioni non comparabili come statuito da C.cost. n.433 del 1994), che la norma censurata è una norma speciale in ragione della peculiarità di "status" dei magistrati e non può essere perciò comparata con norme generali, e che l'ordinamento vigente non contempla uniformità di regolamentazione nello stato giuridico delle diverse magistrature, deve escludersi che la disposizione censurata sia manifestamente irragionevole o arbitraria. La magistratura amministrativa, sempre prima della novella del 2006 all’art.11, r.d. n.12 del 1941, aveva più volte ribadito che l'art. 21,1 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, recante l'ordinamento giudiziario, introduce una disposizione speciale volta a limitare e non certo ad ampliare le possibilità di rientro in servizio per il personale di magistratura rispetto alla generalità degli impiegati civili dello Stato, in ragione della particolare "dignità" inerente alle funzioni svolte, proprie dell'autonomo potere dello Stato e della connessa configurazione dell'ingresso nello (e quindi anche dell'uscita dallo) ordine giudiziario come vera e propria scelta di vita, tendenzialmente definitiva ed irreversibile; pertanto il diniego di riammissione del magistrato cessato dal servizio "in seguito a sua domanda da qualsiasi motivo determinata" è ipotesi che (salva la fattispecie del passaggio ad altra magistratura prevista dall'art. 7, l. 2 aprile 1979 n. 97) si aggiunge alle ulteriori ipotesi ostative - che non vengono, quindi, sostituite - contemplate per la generalità degli altri impiegati civili dello Stato dall'art. 132, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (ex pluribus Tar Lazio, Roma, sez.I, 10 giugno 1988 n.881, in Foro amm., 1989, 266). Si rammenta poi che l'art. 211, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12, che consente la riammissione del magistrato ordinario nei ruoli della medesima magistratura conservando l'anzianità di servizio maturata nel ruolo di altra magistratura, non è una norma di carattere generale che consenta la stessa operazione anche per i magistrati appartenenti alle magistrature speciali e in particolare per i magistrati che chiedono la riammissione nei ruoli della Corte dei conti che avevano lasciato per entrare nei ruoli dei Tar, a ciò opponendosi l'art. 60, r.d. n. 1634 del 1933 sull'ordinamento della Corte dei conti che stabilisce espressamente che la riammissione sia dei magistrati che degli impiegati della stessa Corte segue le regole dettate per gli impiegati civili dello Stato (dall'art. 132, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3), per le quali il dipendente riammesso in servizio viene collocato all'ultimo posto del ruolo, relativamente alla qualifica rivestita (così Cons. St., sez.IV, 29 gennaio 2008 n.250, in Foro amm. CDS, 2008, 1, 111). 111 Sul coordinamento delle norme per la riammissione in servizio dei magistrati ordinari (art.11, 211 e 276, r.d. n.12 del 1941 e art.132, d.P.R. n.3 del 1957) prima della novella all’art.11, r.d. n.12 del 1941 apportata dal d.lgs. n.109 del 2006,

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d.P.R. 9 maggio 1994 n.487), ivi compreso quello in magistratura, per carenza di requisiti morali dell’art.2, co.1 e co.2, lett.b-bis del d.lgs. 5 aprile 2006 n.160112, necessari, a nostro avviso, sia per l’ingresso che per la riammissione in servizio. Analoghe conclusioni (valutare la riammissibilità in servizio) valgono qualora la richiesta di reintegro riguardasse un magistrato astrattamente riammissibile in base alla legge 24 dicembre 2003, n. 350 e al d.l. 16 marzo 2004, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2004, n. 126 (c.d. leggi Carnevale)113, ma per il quale occorre valutare se vi siano ulteriori e distinte ragioni giuridiche (quale una sanzione disciplinare, magari espulsiva, per diversa vicenda, inflitta dopo la cessazione dal servizio) ostative alla riammissione imposta ex lege;

2) se il magistrato, prima della cessazione (per dimissioni, decadenza, raggiunti limiti di età, transito in altra magistratura, o altro) fosse stato posto in sospensione cautelare obbligatoria o facoltativa percependo assegno alimentare, qualora non intervenisse la sanzione disciplinare espulsiva ritenendosi esaurita la potestà punitiva nei confronti di un ex magistrato, quest’ultimo avrebbe diritto, come accaduto in passato prima della riforma del 2006, alla restitutio in integrum (differenza tra assegno alimentare e retribuzione piena). Tale inconcepibile ricostruzione stipendiale non avrebbe invece luogo se anche nei confronti dell’ex magistrato il CSM concludesse l’iter punitivo con sanzione espulsiva che, retroagendo alla data della misura cautelare, non darebbe luogo a restitutio in integrum (conservando l’interessato solo quanto percepito a titolo di assegno, stante la natura alimentare dello stesso), salvo che nel caso di inflizione di sanzione non espulsiva o di assoluzione di sede disciplinare;

3) il magistrato incolpato potrebbe avere un interesse morale e di tutela dell’immagine (aventi valenza sociale e giuridica) ad una trattazione del procedimento per “urlare la sua innocenza” e per giungere ad una sua motivata conclusione assolutoria “piena”, che potrebbe eventualmente dare impulso ad eventuali reazioni civili e penali nei confronti di autori di calunniosi esposti occasionanti l’azione disciplinare o di persecutorie (ma inipotizzabili) iniziative del CSM114. Del resto tale interesse del magistrato ad una decisione

oltre alla giurisprudenza citata nella precedente nota, v. per una fattispecie regolata dall’art.11, r.d. n.12 del 1941 prima della modifica apportata dall’art. 28 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, v.Tar Lazio, Roma, sez.I, 30 marzo 2005 n.2289, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui il magistrato che sia stato dichiarato decaduto dal servizio ai sensi dell'art. 127 lett. c), t.u. n. 3 del 1957 a causa della sua protratta assenza ingiustificata è titolare della facoltà di riammissione ai sensi dell'art. 132 della stessa fonte, resa applicabile dalla norma di chiusura dell'art. 276, r.d. n. 12 del 1941, senza essere tenuto a rispettare per esercitarla il termine annuale previsto ad altri fini dall'art. 11, medesimo regio decreto. 112 Difetterebbe in capo al magistrato da riammettere in servizio o che volesse partecipare a concorsi pubblici, ivi compreso quello in magistratura, sia il requisito della mancanza di sanzioni disciplinari (art.2, co.1, d.lgs. n.160 del 2006) sia quello della condotta incensurabile (art.2, co.2, let.b-bis, d.lgs. cit.). 113 In base a tali leggi è oggi consentito ai magistrati, pubblici dipendenti, sospesi dal servizio e poi prosciolti in sede penale, con formule più o meno ampie, di ottenere, sulla base di certi presupposti, il ripristino del rapporto di impiego, nonché una piena e satisfattiva reintegrazione nel rapporto di servizio: v. infra Cap. V, parag.5.3 e Cap.VII. 114 Tale ultimo interesse sembra escluso in alcune sentenze della Cassazione che, nel previgente sistema, hanno affermato (Cass., sez.un., 1 luglio 1980 n.4120, in Giust.civ., 1980, I, 2097; id., sez.un., 8 agosto 1991 n.8639, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 8) che il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età (o la dispensa per infermità, nel secondo caso citato) di un magistrato, che intervenga nelle more del giudizio di cassazione, da questi promosso contro la decisione della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, che gli abbia inflitto la sanzione della rimozione, determina l'inammissibilità del ricorso medesimo, per sopravvenuto difetto d'interesse, tenuto conto che quel collocamento a riposo e le posizioni soggettive con esso acquisite non possono essere caducati o modificati per effetto di una successiva pronuncia della S.C., ancorché, sia stata precedentemente disposta in via cautelare la sospensione dell'incolpato dalle funzioni, e che il potere disciplinare, rivolto a conseguire esigenze di funzionalità dell'ordinamento, non ha ragione di esplicare se non in costanza del rapporto di servizio. L’impiegato non fa valere nel procedimento disciplinare un suo interesse di carattere generale, riferito alla sua persona nella totalità delle sue espressioni (come

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nel merito è valorizzato in altra norma, l’art.15, co.7 del d.lgs. n.109 del 2006 che consente all’interessato ad opporsi alla estinzione del procedimento nei propri confronti per sforamento dei termini perentori, segno evidente dell’esistenza del diritto ad una pronuncia pienamente assolutoria.

A fronte di tale tesi da noi prospettata, l’unico caso in cui parrebbe risultare palese la carenza di interesse del CSM a proseguire iniziative disciplinari nei confronti di magistrati cessati dal servizio potrebbe riguardare il magistrato che non si trovi nelle tre predette condizioni, ovvero che sia stato incolpato disciplinarmente, ma sia poi cessato dal servizio e non sia più riammissibile in servizio (ovvero sempre, salvo l’ipotesi dell’art.21, co.2, r.d. n.12 del 1941 e, ancor più rara, della l.24 dicembre 2003, n. 350 e della l.11 maggio 2004, n. 126 cit.), che non abbia trascorso periodi in sospensione cautelare (ergo non originante problemi di eventuale restitutio in integrum) e che non abbia chiesto all’organo di autogoverno di proseguire l’iniziativa disciplinare nonostante le dimissioni (ergo non interessato ad una assoluzione “piena”). Ove la sezione disciplinare del CSM e poi la Cassazione recepissero tale tesi affermativa di una ultravigenza della potestà punitiva avverso ex magistrati dimessisi in costanza o nell’imminenza di procedimento disciplinare, si porrebbe un ulteriore e consequenziale problema in ordine ai riflessi di una misura espulsiva nell’eventuale nuovo rapporto di lavoro intrapreso presso altra amministrazione (es. transito in altra magistratura o in altra P.A.): come sostenuto in altri studi, ai quali è sufficiente rinviare115, in tale evenienza si avrebbe un effetto non già invalidante ma caducante sul nuovo rapporto di lavoro per sopravvenuto venir meno di un requisito per l’accesso al pubblico impiego, ovvero il non essere stati destituiti o licenziati (v. art.2, d.P.R. 9 maggio 1994 n.487 e norme di settore di analogo tenore). k) La corrispondenza tra contestazione degli addebiti e fatti sanzionati nel provvedimento punitivo finale. Il principio, valevole non solo in sede penale (art.521 e 522 c.p.p. ), ma anche in ogni regime disciplinare e più volte ribadito dalle sezioni unite della Cassazione per la magistratura116, tutela il diritto alla difesa parallelamente codificato in sede processuale nell’art.112 c.p.c.: anche se nel corso dell’istruttoria disciplinare emergessero fatti ulteriori o diversi, la sanzione da infliggere al dipendente incolpato dovrà riguardare, a pena di nullità per violazione del contraddittorio, solo e soltanto i fatti contestati117. Pertanto, l’emersione in fase istruttoria di fatti ulteriori e diversi potrà

quello morale di essere ritenuto non colpevole), ma solo l’interesse specifico a non subire sanzioni che incidano in modo concreto sullo svolgimento del rapporto di servizio…Pertanto non è configurabile un interesse giuridico delle parti alla definizione del procedimento disciplinare dopo la cessazione del rapporto di servizio. 115 Ci sia consentito il richiamo a TENORE, Gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego cit., 27. 116 Ex pluribus Cass., sez. un., 1 luglio 2008 n.17935, secondo la quale “viola il canone della necessaria correlazione tra contestazione e decisione (…) la sentenza della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che irroga all’incolpato una sanzione, ritenendolo responsabile, oltre che del fatto ritualmente addebitatogli, anche di uno ulteriore e diverso, che abbia assunto valore determinante ai fini della decisione e relativamente al quale l’incolpato stesso non sia stato posto in grado di far valere le proprie difese”. V. anche, in riferimento al sistema abrogato, Cass., sez.un., 7 febbraio 2007 n.2685, che, per fatto contestato, intende “non solo quello indicato specificamente nel capo d'incolpazione, ma anche il complesso degli elementi aggiuntivi portati a conoscenza dell'incolpato e sui quali egli è stato posto nelle condizioni di difendersi” e, in senso analogo, Cass., sez.un., 20 dicembre 2006 n.27172, in Foro it., 2008, I, 923; id., sez.un., 28 maggio 2001 n.227, ivi, Rep.2001, voce Ordinamento giudiziario, n.151; id., sez.un., 16 gennaio 1998 n.358, ivi Rep. voce cit., n.287. Tali sentenze hanno chiarito che deve intendersi per fatto contestato non solo quello indicato specificamente nel capo di incolpazione, ma quanto risulta da tutto il complesso degli elementi portati a conoscenza dell’incolpato e sui quali lo stesso è stato messo in grado di difendersi 117 Sul principio generale del diritto disciplinare di immodificabilità dei fatti (ma non della loro qualificazione) della contestazione disciplinare nell’impiego pubblico e privato v. la giurisprudenza e la dottrina citati da NOVIELLO-TENORE, La responsabilità cit., 194. Il principio è stato ribadito dalla giurisprudenza, per l’illecito disciplinare

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portare ad una distinta ed autonoma contestazione. Tale generale principio è settorialmente confermato per i magistrati ordinari dagli art.14, co.5 e 15, co.4 del d.lgs. n.109 del 2006, che abilitano il Procuratore Generale a nuove contestazioni per fatti emersi nel corso dell’istruttoria, ma previa nuova contestazione all’incolpato, a pena di nullità. Il principio ricordato ha originato diversi contenziosi negli ordinamenti professionali, in ordine a censurati sconfinamenti della sanzione rispetto ai fatti contestati, confluiti in importanti pronunciamenti esplicativi delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno chiarito che “in tema di procedimento disciplinare a carico degli esercenti le libere professioni (forensi nel caso di specie), per aversi mutamento del fatto con riferimento al principio di correlazione tra addebito contestato e sanzione, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali (naturalisticamente intesi, come comprensivi delle caratteristiche spaziali e temporali), del fatto concreto, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'addebito da cui scaturisca una reale violazione del contraddittorio e dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente formale tra contestazione e sanzione, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'incolpato, attraverso l'iter del processo, abbia avuto conoscenza dell'accusa e sia stato messo in condizione di difendersi e discolparsi”118. Anche per il procedimento disciplinare riguardante i magistrati, la Cassazione si è soffermata sulle condizioni che consentono di ritenere integrata una modificazione del fatto, con conseguente mancanza di correlazione fra addebito contestato e sentenza-sanzioni inflitta, chiarendo che nel procedimento disciplinare a carico di magistrati si ha modificazione del fatto, dalla quale scaturisce la mancanza di correlazione fra l'addebito contestato e la sentenza, solo quando venga operata una trasformazione o sostituzione degli elementi costitutivi dell'addebito e non quando gli elementi essenziali della contestazione formale restano immutati nel passaggio dalla contestazione all'accertamento dell'illecito, variando solo elementi secondari e di contorno 119.

notarile: nel procedimento disciplinare a carico del notaio vige il fondamentale principio della correlazione tra l'accusa e i fatti addebitati nel provvedimento sanzionatorio. È, quindi, preclusa al giudice disciplinare la irrogazione di una sanzione per fatti diversi da quelli contestati, ma gli compete certamente il potere di qualificazione del fatto in modo diverso rispetto alla contestazione in quanto ciò non incide sul diritto di difesa dell'incolpato, alla cui tutela è preordinato il predetto principio della correlazione tra l'accusa e i fatti addebitati nel provvedimento sanzionatorio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittima la qualificazione, operata dalla Corte d'appello in termini di illecito disciplinare, del fatto contestato - consistente nel non avere il notaio prestato la sua collaborazione al Consiglio notarile che gli aveva richiesto la consegna di una certa documentazione al fine di accertare la fondatezza della contestazione rivoltagli - ritenendo tale condotta inquadrabile nell'ambito della previsione di cui all'art. 147 l. not.): Cass., sez. III, 15 luglio 1998, n. 6908, in Giust. civ. Mass., 1998, 1531 e in Vita not., 1998, 1732. In terminis Cass., sez.III, sez. III, 29 marzo 2003, n. 4843, in Giust. civ. Mass. 2003, 658 e in Vita not. 2003, 1037; id., sez.III, 28 marzo 2003 n.4701, in D&G - Dir. e giust., 2003, 16 99. Sulla libertà nelle modalità di comunicazione della contestazione nel procedimento disciplinare degli avvocati v. DANOVI, Il procedimento disciplinare cit., 95. 118 Cass., sez. un., 26 aprile 2000, n. 289, in Giust. civ. Mass., 2000, 701. 119 Cass., sez.un., 28 maggio 2001 n.227, ivi, Rep.2001, voce Ordinamento giudiziario, n.151 (nella specie al magistrato, appartenente all'ufficio del p.m., era stato contestato di aver tenuto una condotta ostruzionistica a fronte della legittima richiesta del Procuratore di avere in visione un fascicolo oggetto di un'istanza di avocazione al P.G.; la S.C. ha confermato la decisione della sezione disciplinare del Csm, escludendo la rilevanza, ai fini della correlazione tra accusa e sentenza, del fatto che nell'addebito era detto che: - il magistrato aveva dato disposizioni alla segretaria di riferire che il fascicolo era a casa sua e non genericamente, come accertato, nella sua disponibilità; - lo stesso aveva invitato la segretaria a non consegnarlo, mentre si era limitato a consentire che l'appuntato inviato dal p.m. si cercasse il fascicolo anziché invitare la segretaria a consegnarglielo); id., sez.un., 16 luglio 1998 n.6956, ivi, Rep, voce cit., n.228.

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6.Autonomia dell’illecito disciplinare da altri illeciti.

Il magistrato, al pari di qualsiasi altro dipendente pubblico (ma analoghe considerazioni valgono per l’impiego privato e le libere professioni) può commettere illeciti che assumono valenza non solo disciplinare, ma anche civile, penale o amministrativo-contabile. Si tratta delle note “quattro responsabilità” (a cui va aggiunta quella dirigenziale ex art.21, d.lgs. n.165 del 2001 per i soli dirigenti pubblici privatizzati) del pubblico dipendente, oggetto di molteplici studi120. Il tema sarà diffusamente analizzato nel successivo capitolo V, parag.1, a cui è sufficiente rinviare. In questa sede va esclusivamente ricordato il generale principio della autonomia tra tali illeciti, tra loro concorrenti, ma connotati da autonomia strutturale e funzionale. In altre parole, non ogni illecito disciplinare comporta un illecito penale o amministrativo-contabile e viceversa. Al titolare della potestà punitiva per ciascuno di tali illeciti competono autonomi poteri di accertamento dei presupposti sostanziali (oggettivi e soggettivi) per attivarsi. Parimenti l’esito di un giudizio penale o amministrativo-contabile non assume portata vincolante in sede disciplinare, dovendo l’organo titolare dell’azione disciplinare procedere ad autonoma rivalutazione dei fatti acclarati in sede penale (vincolanti nella solo loro storicità ex art.653 c.p.p.), civile o giuscontabile, per stabilire se detti fatti, certi sul piano fattuale dopo il giudicato, assumano valenza disciplinare alla stregua dei parametri, oggettivi e soggettivi, fissati dalle norme di settore (per i magistrati ordinari dagli art.2 e 3, l. n.109 del 2006). Tale principio generale è ribadito per i magistrati ordinari, in perfetta sintonia con gli art.653 e 445 c.p.p., dall’art.20, d.lgs. n.109 del 2006, secondo cui “1. L'azione disciplinare è promossa indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo stesso fatto, ferme restando le ipotesi di sospensione dei termini di cui all'articolo 15, comma 8. 2. Hanno autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso: a) la sentenza penale irrevocabile di condanna; b) la sentenza irrevocabile prevista dall'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale. 3. Ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione”.

L’autonomia tra illecito disciplinare e civile è confermata dall’art.9, l. n.117 del 1988. Sono dunque vietati, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, anche costituzionale, per

diverse categorie di lavoratori e professionisti, gli automatismi sanzionatori, ovvero gli acritici recepimenti da parte degli organi disciplinari delle risultanze penali che portino a sanzioni disciplinari fondate solo e soltanto sulle risultanze penali senza adeguata riponderazione delle stesse, per coglierne il risvolto disciplinare (non sempre coincidente, come detto, con quello penale, civile o giuscontabile): la Consulta ha più volte censurato i tentativi operati dal legislatore di introdurre, non solo nel pubblico impiego121, ma anche nella normativa relativa a liberi

120 Sul tema generale delle responsabilità del dipendente pubblico, tra i più recenti contributi TENORE, PALAMARA, BURATTI, Le cinque responsabilità del pubblico dipendente, Milano, 2013, con vasti richiami dottrinali. 121 Tra le varie sentenze v. C. cost., 27 aprile 1993 n. 197 (in Cons. St., 1994, II, 343 con nota di VIOLA, in Giur. cost., 1993, 1341, con nota di CANTARO, in Le Regioni, 1994, 345, con nota di F. PINTO, La cessazione dall'ufficio dei pubblici dipendenti nell'art. 1 l. 16/1992: destituzione o decadenza?, e in Giur. cost., 1993, 1349, con nota di CANTARO, Ancora su destituzione di diritto e decadenza: novità e conferme dalla più recente giurisprudenza costituzionale), con cui la Consulta ha ritenuto l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, co. 4-octies, l. n. 55 del 1990, nella parte in cui prevedeva la decadenza di diritto dall'ufficio del dipendente pubblico condannato in via definitiva per taluni reati, senza che la p.a. attivasse il previo procedimento disciplinare, valutando l'incidenza dei fatti oggetto della sentenza sul rapporto di lavoro. Secondo tale indirizzo, la decadenza automatica ex art. 15, co. 4-octies, cit., non sarebbe dissimile dall'istituto della destituzione di diritto, già previsto dall'art. 85, d.P.R. n. 3 del 1957, e già a suo tempo dichiarato

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professionisti (ivi compresi i notai: v.C.cost., 31 gennaio 1990 n. 40 relativa al pregresso art.142, l. n.89)122, automatismi sanzionatori-espulsivi di valenza disciplinare correlati ad alcune condanne in sede penale: le decadenze o destituzioni di diritto sancite da diverse norme (es. art. 142 u.co., l. 16 febbraio 1913 n. 89; art. 85, d.P.R. n. 3 del 1957; art. 15, co. 4-octies, l. 19 marzo 1990 n. 55), che non prevedevano la mediazione di una autonoma rivalutazione dei fatti di valenza penale in sede amministrativa (ergo in sede disciplinare), sono state sistematicamente dichiarate non conformi alla Costituzione. Uniche deroghe a tale doverosa previa riponderazione interna dei fatti acclarati in sede penale sono rinvenibili, per i magistrati ordinari, nell’art.12, co.5, l. n.109 del 2006, secondo cui “Si applica la sanzione della rimozione al magistrato che…(omissis)…che incorre nella interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna penale o che incorre in una condanna a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore a un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa, ai sensi degli articoli 163 e 164 del Codice penale o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell'articolo 168 dello stesso Codice”: trattasi di evenienze ben distinte, in quanto la prima (interdizione perpetua o temporanea) concerne una fatale

incostituzionale, per identici motivi (assenza di una previa valutazione in sede disciplinare dei fatti oggetto di giudizio penale), con la nota decisione 14 ottobre 1988 n. 971, in Foro it., 1989, I, 24 con nota di VIRGA.

V. anche C.cost., 11 gennaio 1991 n. 16 (fattispecie relativa a destituzione di impiegati della regione Lombardia), in Giur. cost., 1991, 102; id., n. 239 del 1996 (fattispecie relativa sospensione automatica di ufficiali riscossori di tributi); id., 17 ottobre 1996 n. 363 (fattispecie relativa a cessazione automatica dal servizio continuativo di Carabinieri), in Foro it., 1997, I, 706.

In dottrina sul tema v. MARSILI, La destituzione dei pubblici dipendenti, in Nuova rass., 1991, n. 17/18, 1818; ALBERTI, La destituzione e la decadenza di diritto nella sentenza n. 197 del 19 aprile 1993 della Corte Costituzionale, in Funz. pubbl., 1992, n. 3, 29; VIRGA, Sospensione e decadenza di consiglieri per condanna penale, in Nuova rass., 1992, 808; MARTINO-ARMOGIDA, La decadenza dal rapporto di pubblico impiego dopo la legge n. 16 del 1992, ivi, 1992, 2227; NOVIELLO, La decadenza di diritto nel pubblico impiego: un'altra forma di destituzione automatica, in Foro amm., 1993, 236; VIOLA, Il pubblico impiego nell'emergenza: la destituzione del pubblico dipendente in pendenza di procedimento penale, in Cons. St., 1994, VIII, 343; VIOLA, Ancora sul pubblico impiego dell'emergenza: il caso della sospensione obbligatoria del pubblico dipendente in pendenza di procedimento penale, in Cons. St., 1994, VIII, 1445; CAMERO, Destituzione di diritto e decadenza dall'impiego, in Nuova rass., 1994, n. 21/22, 2555; POLI, Sospensione obbligatoria ex articolo 1, legge 18 gennaio 1992 n. 16 e privatizzazione del pubblico impiego: spunti in tema di giurisprudenza tra esigenze di garantismo e necessità di difesa sociale, in Foro amm., 1996, 2163; GULÌ, Destituzione e patteggiamento, in www.giust.it. 122 L’indirizzo tendente a ritenere illegittime le «destituzioni di diritto» nell'ambito delle professioni inquadrate in ordini, correlate a sanzioni penali senza una previa valutazione in sede disciplinare, risulta ribadito da C. cost., 31 gennaio 1990 n. 40 (fattispecie relativa destituzione di notai: è costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 3 cost. - l'art. 142 comma ultimo l. 16 febbraio 1913 n. 89, nella parte in cui prevede che "è destituito di diritto" il notaio che abbia riportato condanna per alcuno dei reati indicati nell'art. 5 n. 3 della stessa legge, anziché riservare ogni provvedimento al procedimento disciplinare camerale del tribunale civile, come per le altre cause enunciate nello stesso art. 142), in Giur. cost., 1990, 142; C.cost., 19 marzo 1990 n. 158 (fattispecie relativa a radiazione dall'albo di dottori commercialisti), in Giur. cost., 1990, 979; id., 21 gennaio 1999 n. 2, in www.consulta.it., e id., 18 aprile 2000 n. 103, ivi (entrambe su fattispecie relativa a radiazione di diritto di ragionieri e periti commerciali).

Nel contempo la Consulta ha ritenuto inapplicabile tale divieto di automatismo nei casi in cui la legge preveda la decadenza automatica da autorizzazioni all'esercizio di determinate attività come conseguenza della perdita di un requisito necessario per la prosecuzione del rapporto autorizzatorio: v. C. cost., 1 luglio 1993 n. 297 (fattispecie in tema di decadenza dall'autorizzazione all'esercizio di farmacia per effetto di condanna penale), in Foro it., 1994, I, 385; id., 4 luglio 1997 n. 226 (fattispecie in tema di automatica cancellazione dal ruolo di agenti e rappresentanti di commercio condannati per alcuni reati), in Foro amm., 1997, 762; id., 21 gennaio 1999 n. 2, cit. (fattispecie relativa radiazione di diritto di ragionieri e periti commerciali). La Corte costituzionale ha inoltre ritenuto inapplicabile tale divieto di automatismo all'ipotesi di doverosa interdizione perpetua dai pubblici uffici prevista dall'art. 29, co. 1, c.p., trattandosi di pena accessoria ragionevolmente prevista dal legislatore per finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale: v. C. cost., 30 maggio 1995 n. 203, in Giur. it., 1995, I, 619, con nota di ALFANO e in Giur. cost., 1995, I, 1547, con nota di DI FILIPPO; id., 18 luglio 1997 n. 249, in Giust. civ., 1997, I, 2665; id., 21 gennaio 1999 n. 2 cit.

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presa d’atto in sede disciplinare di una pena accessoria ostativa, fattualmente e giuridicamente, alla prosecuzione del rapporto di impiego con la p.a.123 e, come tale, comportante la sanzione espulsiva (senza forse necessità nemmeno di procedimento disciplinare, a nostro avviso, stante la sua inutilità a fronte di un esito imposto), più volte ritenuta legittima dalla Consulta124 in altri regimi disciplinari. La seconda (rimozione per condanna non inferiore ad un anno per delitti non colposi) è invece un vero e proprio automatismo sanzionatorio derivante dal giudicato penale, sul quale la Corte Costituzionale potrebbe essere chiamata a pronunciarsi per valutare la ragionevolezza di una norma che impone una sanzione coartata nell’an e nel quantum senza alcuna riponderazione interna, prevalutata dal legislatore ed imposta all’organo disciplinare, che dovrà limitarsi a prenderne atto infliggendo la sanzione. Trattasi di vistosa eccezione al principio generale dell’autonomia dell’illecito disciplinare da quello penale e della autonoma rivalutazione interna-disciplinare dei fatti acclarati in sede penale, che rinviene la sua evidente ratio nella peculiare funzione del magistrato, la cui condanna penale definitiva per delitti non colposi a pena superiore ad un anno è ritenuta incompatibile dal legislatore con l’esercizio delle alte funzioni. Tale autonomia dalle statuizioni penali, civili o giuscontabili è stata più volte ribadita dalla sezione disciplinare del CSM e dalla Cassazione a sezioni unite (che hanno ritenuto rilevanti i fatti accertati in sede penale anche in caso di assoluzione “perché il fatto non sussiste”)125 e comporta, specularmente, che non sussiste alcuna preclusione alla (doverosa e tempestiva) attivazione del procedimento disciplinare a fronte di sentenze di « non doversi procedere » (es. «non doversi procedere per estinzione del reato», «non doversi procedere per assenza di condizioni di

123 Non va dimenticata l’esistenza di altre pene accessorie estintive correlate a gravi condanne: interdizione ex art.5 e 8, l. 6 febbraio 2006 n.38, per sfruttamento sessuale dei bambini, o estinzione del rapporto di lavoro per condanna non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli art.314, co.1, 317, 318, 319, 319-ter e 320 c.p. (art.32-quinquies c.p., introdotto dall’art.5, l. n.97 del 2001). 124 La Corte costituzionale, sotto la vigenza del regime dell'art. 85, lett. b), d.P.R. n. 3 del 1957, ha ritenuto inapplicabile il divieto di automatismo sanzionatorio all'ipotesi di doverosa interdizione perpetua dai pubblici uffici prevista dall'art. 29, co. 1, c.p., trattandosi di pena accessoria ragionevolmente prevista dal legislatore per finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale: v. C. cost., 9 luglio 1999 n. 286, in Foro it., 2000, I, 321; id., 30 maggio 1995 n. 203, in Giur. it., 1995, I, 619, con nota di ALFANO e in Giur. cost., 1995, 1547, con nota di DI FILIPPO; id., 18 luglio 1997 n. 249, in Giust. civ., I, 2665; id., 21 gennaio 1999 n. 2, in www.giust.it; id., 25 ottobre 1989 n. 490, in Foro it., 1990, I, 21. Sui rapporti tra l'interdizione da pubblici uffici e sanzione della destituzione, anche la prevalente giurisprudenza amministrativa ha ritenuto, sotto la vigenza del regime dell'art. 85, lett. b), d.P.R. n. 3 del 1957, la legittimità dell'automatismo espulsivo a fronte della statuizione penale: v. Cons. reg. sic., 3 aprile 2000 n. 173, in Cons. St., 2000, I, 1064; Cons. St., sez. V, 23 aprile 1998 n. 468, in Foro amm., 1998, 1081. 125 Cfr. da ultimo, Cass., sez.un., ***2009 n.17903 (in Ced Cassazione) e Sez. Disc. CSM, 18 febbraio 2008 n.13, che hanno confermato la sospensione cautelare di un magistrato incolpato, pur dopo che questi era stato assolto in sede penale perché il fatto non sussiste. Per l’autonomia dell’illecito disciplinare da quello penale, nel sistema abrogato, v. ex pluribus Cass., sez. un., 19 settembre 2005 n.18451; id., 18 ottobre 2000 n.1120 e id., 19 settembre 2005 n.18451 (in **), secondo la quale “I rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare a carico di magistrati sono regolati in via esclusiva dall'art. 29 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, secondo cui nel procedimento disciplinare fa sempre stato l'accertamento dei fatti che formarono oggetto del giudizio penale, risultanti da sentenza passata in giudicato. Tale regola non contrasta con il disposto dell'art. 653 cod. proc. pen., che disciplina l'efficacia nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, poiché il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, così come compiuto dal giudice penale, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell'ottica, indubbiamente più rigorosa, dell'illecito disciplinare”.

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procedibilità», « non doversi procedere per amnistia o per prescrizione » 126 o di sentenze di assoluzione perché il « fatto non costituisce illecito penale » (statuizione inserita nel novellato 653, co. 1, c.p.p., ma non preclusiva ad una valutazione disciplinare del fatto)127. A maggior ragione alcuna incidenza ha sul procedimento disciplinare l'avvenuta archiviazione del procedimento penale a carico del magistrato: in tali casi graverà sull’organo promotore dell’azione disciplinare solo l'onere di una più approfondita istruttoria interna128. Ciò chiarito in ordine al “peso” della decisione penale in sede disciplinare, sul piano procedurale, ovvero delle interferenze procedimentali tra i due giudizi,la normativa non brilla per chiarezza129. Da un lato l’art.20, co.1, d.lgs. n.109 ribadisce l’autonomia dell’azione disciplinare statuendo che “L'azione disciplinare è promossa indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo stesso fatto”, ma nel contempo aggiunge “ferme restando le ipotesi di sospensione dei termini di cui all'articolo 15, comma 8”: quest’ultima norma sembra invece sancire una pregiudiziale penale, statuendo che “Il corso dei termini, compreso quello di cui al comma 1-bis, è sospeso: a) se per il medesimo fatto è stata esercitata l'azione penale, ovvero il magistrato è stato arrestato o fermato o si trova in stato di custodia cautelare, riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale di condanna”.

La norma va a nostro avviso intesa nel senso di sancire un effetto sospensivo sul procedimento disciplinare e sui relativi termini derivante dall’esercizio dell’azione penale (ergo dalla richiesta di rinvio a giudizio) sino all’esito del giudicato penale, che contraddice la predetta autonomia dell’azione disciplinare da quella penale e rappresenta una ennesima applicazione (riscontrabile in altri regimi disciplinari, ma in corso di superamento) del “mito” della pregiudiziale penale, regola in astratto condivisibile (per prevenire contrasti decisionali e per consentire all’organo disciplinare di giovarsi delle approfondite istruttorie penali), ma poco utile in un Paese, come l’Italia, in cui il giudicato penale sopravviene dopo molti anni, con conseguenti intollerabili

126 Nell’impiego pubblico, per l'assenza di preclusioni disciplinari a fronte di sentenze di non doversi procedere per amnistia v., ex pluribus, Cons. St., sez. IV, 23 marzo 2000 n. 1566, in Cons. St., 2000, I, 654; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 18 febbraio 1999 n. 582, in TAR, 1999, I, 816; Tar Puglia, Bari, sez. I, 27 febbraio 1998 n. 151, ivi, 1998, I, 1562. Per l'assenza di preclusioni disciplinari a fronte di sentenze di non doversi procedere per prescrizione v. Cons. St., sez. IV, 2 giugno 2000 n. 3156, in Cons. St., 2000, I, 1353 e il parere 5 giugno 2002 reso dall'ARAN su quesito relativo al comparto Regioni-autonomie locali (in www.aranagenzia.it). 127 In base all’art. 653 c.p.p. nel testo novellato dall'art. 1, l. n. 97 del 2001, « la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (ancorché non pronunciata a seguito di dibattimento come nel previgente testo n.d.a.) ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale, ovvero che l'imputato non lo ha commesso ». 128 Cfr. Sez. Disc. CSM, 16 novembre 2007 n.97 per una fattispecie regolata dalla abrogata normativa, attinente al comportamento di un magistrato che si era assentato dall'ufficio per molti mesi, chiedendo ed ottenendo lunghi periodi di aspettativa per motivi di salute o di congedo straordinario e che, nello stesso periodo, aveva svolto attività sportiva, incompatibile con le lamentate condizioni fisiche, anche diffusa attraverso i mezzi di informazione (regate veliche ed allenamenti per la partecipazione ad una regata transoceanica). Nel pubblico impiego ex pluribus, sul punto, Tar Puglia, Lecce, sez. I, 9 marzo 1999 n. 328, in TAR, 1999, I, 2154; Tar Lazio, Roma, sez. II, 14 luglio 1993 n. 800, ivi, 1993, I, 2598. Interessante il caso vagliato da Tar Puglia, Bari, sez. I, 19 aprile 2001 n. 1199, in www.giust.it, n. 5, 2001, secondo cui l'archiviazione penale dovuta alla inutilizzabilità processuale di intercettazioni telefoniche, non preclude l'attivazione del procedimento disciplinare e l'utilizzo in tale sede interna delle predette intercettazioni ove i relativi contenuti assumano valenza disciplinare. 129 Tra i rari contributi sul tema v. il Capitolo V di FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010; SORRENTINO, Procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati: cause di sospensione e sospensione dei termini, in Quest.Giustizia, 2008, 1 ss.

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ritardi dell’azione disciplinare, che deve invece essere tempestiva per non perdere di reale efficacia, soprattutto a fronte di fatti storici di plastica ed incontrovertibile evidenza (e valenza disciplinare) già prima del procedimento penale. La sezione disciplinare del CSM ha sempre inteso tali due norme come espressive di un effetto sospensivo dell’inizio del procedimento penale su quello disciplinare intrapreso o da intraprendere sino alla sentenza penale definitiva, ferma restando, dopo il giudicato penale, la autonoma rivalutazione dei fatti ivi acclarati nella successiva sede disciplinare130 Ovviamente tale effetto preclusivo scatta solo in caso di identità dei fatti vagliati in sede penale e disciplinare, per cui nel caso in cui si proceda a carico di un magistrato per una pluralità di fatti, non sussiste l'obbligo della sospensione del procedimento disciplinare per tutti gli addebiti contestati, ma solo dell’addebito correlato (nel senso di identità del fatto contestato) al procedimento penale131. A prescindere dalla specifica normativa settoriale prevista per i magistrati ordinari, il sistema disciplinare nel pubblico impiego, proprio per i ritardi del “pregiudiziale” procedimento penale e per l’autonoma valenza degli illeciti disciplinari, si sta evolvendo verso l’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, come statuito dalla recente legge “Brunetta” 4 marzo 2009 n.15, che, all’art. 7, co.2, lett.b), ha codificato il superamento della “pregiudiziale penale” ad opera del successivo decreto delegato (attuato dall’art.69 del d.lgs. n.150 del 2009 che ha introdotto l’art.55-ter al d.lgs. n.165 del 2001), consentendo agli uffici disciplinari di perseguire i fatti di propria competenza senza dover attendere l’esito del procedimento penale e, dunque, senza subire pluriennali effetti sospensivi sull’iter punitivo intrapreso. E’ auspicabile che ciò avvenga, attraverso idoneo intervento normativo, anche nel procedimento disciplinare per i magistrati, anche in considerazione della sua natura giurisdizionale e, come tale, ossequiosa del principio costituzionale di un processo rapido e giusto (art. 111) nell’interesse sia del magistrato incolpato, sia dell’ordine di appartenenza, che deve con immediatezza far chiarezza in sede disciplinare sui fatti, evitando una pluriennale permanenza in servizio, in attesa del formale giudicato penale, di un soggetto che potrebbe discreditare o offuscare l’immagine della magistratura.

130 V. la giurisprudenza citata nel Capitolo V di FANTACCHIOTTI, FRESA, TENORE, VITELLO (con il coordinamento di TENORE), La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010. 131 Cfr. in relazione al sistema abrogato Cass., sez. un., 27 settembre 2006 n. 20888, che ha dichiarato manifestamente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede in questi casi, appunto, la sospensione relativamente anche ai fatti contestati in via disciplinare diversi da quelli per cui vi sia pregiudizialità penale.