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Cap.3° Il farsi del lessico

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Cap.3° Il farsi del lessico

i prerequisiti della denominazione

• Intorno alla fine del suo primo anno di vita il bambino comunica intenzionalmente tramite:

• il mostrare

• il dare

• l’indicare

• Queste azioni sono accompagnate da vocalizzi: lallazione o babbling (il bambino è sensibile agli stimoli linguistici dell’ambiente)

• Babbling canonico e bambini sordi

Lallazione o babbling

• La fase dei primi vocalizzi è detta lallazione o - per utilizzare un termine usato in letteratura babbling e consiste nella produzione di suoni (ad. es, ta-ta, pa-pa) a cui inizialmente non è associato nessun significato che però assomigliano così tanto ai suoni del linguaggio adulto che i genitori sono portati a riconoscere in essi delle vere e proprie parole.

• Tale somiglianza con i suoni del linguaggio adulto la dimostrazione che il bambino è sensibile all’ambiente linguistico in cui vive e alle caratteristiche acustiche della lingua cui è esposto:

• Babbling canonico e bambini sordi.

funzione delle prime parole

“i bambini intorno all’anno di età cominciano a utilizzare i suoni vocalici, che erano già presenti nella lallazione, per riconoscere, categorizzare, nominare oggetti, in sostanza per imparare a “suddividere” la massa delle impressioni sincretiche che li circondano, a isolare gli oggetti, le persone, gli eventi ecc. l’uno dall’altro, dando a essi un nome”.

Il bambino impara che gli oggetti possono essere trattati diversamente grazie al linguaggio. (p.104)

Vincoli, principi prerequisti

• Parlare di vincoli, prerequisiti o principi che soggiacciono all’acquisizione delle prime parole (…) significa innanzitutto collocare il bambino in un contesto sociale in una situazione condivisa in cui è centrale “la comprensione che il bambino ha delle azioni che le persone compiono; perché sono le persone, non le parole, ad essere impegnate nell’atto linguistico della denominazione” (…)

• “La conoscenza a priori che rende possibile il linguaggio non è fisica o linguistica, ma è la conoscenza sociale”

Imitazione neonatale

• Negli ultimi anni l’importanza dell’imitazione neonatale è stata riconosciuta e condivisa sempre di più negli studi di psicologia dello sviluppo e psicologia del linguaggio.

• Lungi dal costituire qualcosa di negativo e/o di semplicemente ripetitivo, l’imitazione è da considerarsi come un momento evolutivamente molto importante affinché un nuovo nato della specie umana “entri” nella lingua della comunità storico-sociale di cui fa parte.

• Di fatto l’imitazione può essere considerata l’inizio dell’interazione sociale del neonato.

imitazione neonatale

• l’imitazione è un momento evolutivamente molto importante.

• Saussure

• Jakobson: imitare non è copiare. L’imitazione è strettamente connessa alla creatività.

primi processi imitativi

• I processi imitativi sono un fenomeno assai complesso che ha inizio nelle prime ore di vita con l’imitazione “facciale” da parte del bambino, in cui quest’ultimo imita la protrusione della lingua e delle labbra e l’apertura della bocca degli adulti che interagiscono con lui fino ad arrivare, nel periodo compreso tra i 12 e i 21 di vita, a imitare almeno 4 gesti dell’adulto, ossia mostrare la lingua, spingere in avanti le labbra, aprire la bocca e muovere le dita, giungendo poi intorno agli 8-10 mesi a imitare azioni nuove in maniera sempre più intenzionale.

sincronia interattiva

La cosiddetta "sincronia interattiva" nei neonati è il primo segno: bambini di poche settimane di vita producono col corpo una serie di micro-movimenti in risposta al linguaggio umano; una specie di "danza" attivata dalla voce umana, dal ritmo della lingua (qualunque lingua).La stessa "danza" non compare quando il bambino sente altri suoni, il che, da un lato, depone a favore di una sensibilità innata alla voce umana e dall'altro indica come il linguaggio non sia un fatto puramente mentale o astratto, ma coinvolga anche il corpo. Anche colui che parla accompagna il linguaggio con dei micromovimenti (mimici e del corpo) che rendono le sue verbalizzazioni significative, "calde", tali da motivare l'ascoltatore a partecipare alla "danza".

• A. Oliverio, “motricità, linguaggio, apprendimento”

Empatia e processi imitativi

• «L’empatia può essere definita come la capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti.» (S. Bonino, dizionario di psicologia dello sviluppo)

Alzare un braccio

La corteccia premotoria ha quindi il compito di preparare all’azione, anche se la decisione di compiere un movimento dipende da “decisioni” prese dalle aree anteriori della corteccia frontale – l’area prefrontale 46 che si attiva qualche millesimo di secondo prima della corteccia premotoria – e infine da quella motoria. Quando perciò decidiamo di compiere un movimento, la decisione viene presa dalla corteccia prefrontale e l’azione della mano discende da una cascata di eventi, nell’ordine la corteccia prefrontale, quella premotoria e infine quella motoria. (A. Oliverio, motricità, linguaggio e apprendimento, p.10)

Neuroni specchio

L’autonomia dell’io, però, non è totale, nel senso che la motricità occupa un posto talmente rilevante nella nostra mente e nelle strategie cognitive che il nostro cervello reagisce in modo inconscio ai movimenti compiuti dagli altri: la nostra corteccia premotoria si attiva infatti anche quando osserviamo gli altri compiere un movimento, anche quando non abbiamo alcuna intenzione di muoverci ma sono gli altri a muoversi. Anche se non ce ne rendiamo conto, la corteccia cerebrale “fotocopia” i movimenti che vediamo effettuare intorno a noi attraverso l’azione dei cosiddetti mirror neurons (neuroni specchio), un particolare tipo di neuroni caratterizzati dalla capacità di “rispecchiare” i movimenti altrui. (A. Oliverio, motricità, linguaggio e apprendimento, p.10)

Neuroni specchio

I neuroni specchio sono localizzati nella corteccia premotoria dei primati e si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere un movimento. Ad esempio, se una scimmia afferra un oggetto, nella scimmia che la osserva si attivano quei neuroni che, nella corteccia premotoria, potrebbero preparare i neuroni della corteccia motoria a realizzare una simile azione. I neuroni specchio stabiliscono quindi una sorta di ponte tra l’osservatore e l’attore, sono attivi anche nella nostra specie e sono al centro di comportamenti imitativi, molto importanti soprattutto nella fase infantile.(A. Oliverio, motricità, linguaggio e apprendimento, p.10)

Neuroni specchio e apprendimento

D’altronde questi stessi neuroni giocano un ruolo fondamentale nell’intelligenza linguistica, quando un bambino piccolo impara ad imitare i suoni degli adulti, a compiere quei movimenti delle labbra e del volto che lo porteranno ad imitare, sia pure con qualche sforzo, i movimenti che ha visto mettere in atto dagli adulti: la motricità, e i mirror neurons che ne facilitano alcuni aspetti, è un aspetto molto importante dello sviluppo infantile. È attraverso l’osservazione e l’azione motoria che un bambino compie una serie di apprendimenti concreti che, man mano, si trasformeranno in concetti astratti.(A. Oliverio, motricità, linguaggio e apprendimento, p.10)

neuroni specchio

• Questo particolare tipo di neuroni mostra come il riconoscimento degli altri, delle loro azioni e delle loro intenzioni dipende in prima istanza dal nostro patrimonio motorio

• In sostanza, il sistema dei neuroni specchio svolge un ruolo fondamentale nell’imitazione, in quanto codifica l’azione osservata in termini motori, rendendo in tal modo possibile una replica, costituendo i l correlato neurofisiologico della nostra capacità di imitazione così come della nostra capacità di comprendere le azioni altrui.

attenzione condivisa e lo sviluppo della referenza.

• co-orientazione visiva o attenzione congiunta è all’origine delle capacità di comprendere le intenzioni altrui. Fonda l’ntersoggettività e il pensiero narrativo

• l’attenzione condivisa, dove il guardare e il nominare coesistono, costituisce una sorta di proto-conversazione.

• critica di Piaget e l’egocentrismo infantile.

Attenzione congiunta e sviluppo della referenza.

• Intersoggettività primaria

• «[…] la prima e più primitiva fase dell’attenzione congiunta è quella di stabilire un contatto oculare prolungato. Il suo inizio costituisce un’importante pietra miliare per la madre. […] esso determina molta vocalizzazione da parte della madre e, poco dopo del bambino. Entro la fine del secondo mese il contatto oculare appare ben fissato. La madre e il piccolo cominciano a mostrare l’alternanza dei turni nello stabilire e nell’interrompere il contatto.»

Attenzione congiunta 2

• «Per quanto riguarda il secondo stadio, la madre ha cominciato a introdurre degli oggetti fra il bambino e se stessa come obiettivi dell’attenzione comune. La madre all’età di tre mesi introdusse gli oggetti in due modi. Il primo consisteva nell’interporre l’oggetto tra il bambino e se stessa, mentre fra i due c’era contatto oculare. Mentre faceva questo cambiava la sua espressione in una forma standard caratteristica. (tono ascendente dell’intonazione)

• L’altro modo era quello di prendere l’oggetto su cui era già concentrata l’attenzione del bambino e agitarlo nello spazio compreso tra lei e il piccolo.» (Bruner, Il linguaggio del bambino, 56)

• Si è scoperto che:

• «le madri erano più portate a usare una struttura intonazionale ascendente quando esse si riferivano a qualcosa di diverso da quello a cui i loro bambini erano intenti. Una seconda più rilevante scoperta, collegata a questa, riguarda il fatto che una bambina era più portata a spostare il centro della sua attenzione all’oggetto tenuto in mano dalla madre quando questa usava un tono intonazionale ascendente che non quando usava una diversa intonazione.» (Bruner, Il linguaggio del bambino, 58)

Deittici indifferenziati

• «La prima fase dell’attenzione comune, che ha luogo sotto il controllo della madre, sembra così comparire nel bambino che scopre nel linguaggio della madre dei segnali che indicano che la madre sta prestando attenzione a “qualcosa a cui guardare” L’età di sette mesi sembra quella in cui i nostri bambini raggiungono la sensibilità per i deittici indifferenziati.» (Bruner, Il linguaggio del bambino, 58)

deittico

• Si chiama deittico ogni elemento linguistico che, in un enunciato, fa riferimento 1) alla situazione nella quale tale enunciato viene prodotto, 2) al momento dell’enunciato,3) al soggetto parlante; i dimostrativi gli avverbi di luogo e di tempo, i pronomi personali, gli articoli sono deittici.

• Es. Oggi io mangio qui con te

Attenzione condivisa vs egocentrismo

• Una fase di sviluppo si riferisce alla capacità del bambino di individuare cosa occupa l’attenzione di un altro.

• Scaife e Bruner fanno un esperimento «che comportava un adulto seduto di fronte a un bambino (i soggetti avevano un’età che andava dai tre mesi a poco più di un anno). L’adulto dapprima stabiliva un contatto oculare e poi si girava 90 gradi a sinistra o destra e guardava intensamente verso l’esterno. Il girarsi era accompagnato dall’enunciato “oh, guarda!” messo in rilevo. I due terzi dei nostri bambini fra gli otto e i dieci mesi seguirono il cambiamento della linea dello sguardo, e quelli di un anno lo fecero tutti.»

Ulteriore esperimento

• L’esperimento venne ripetuto e svelò caratteristiche aggiuntive nella struttura dello sguardo che segue un altro sguardo.

• «La prima e più importante caratteristica era che il bambino di un anno guardava lungo la linea dello sguardo, cercava un oggetto, e, se non ne trovava nessuno ritornava al viso dell’adulto per un secondo sguardo, dopo di che si girava ancora una volta. Sembra cioè he ci fosse l’attesa di trovare un oggetto. Il secondo fatto caratteristico era che il bambino si girava alla ricerca dell’oggetto senza però lasciare che il viso dell’adulto uscisse dal perimetro del suo sguardo».

Di nuovo sull’attenzione congiunta

• «Due punti vanno ancora sottolineati: a) nell’ambito della scena percettiva la scena di attenzione congiunta è focalizzata su un sottoinsieme di entità e attività, nell’ambito della scena di attenzione congiunta, la scena referenziale e focalizzata su un sottoinsieme di entità e attività; e b) un bambino considera se stesso come uno dei partecipanti alla scena, sullo stesso piano dell’adulto e dell’oggetto di attenzione congiunta.» (Tomasello, Le origini culturali della cognizione umana, 122)

attenzione congiunta e relazione triadica

• “anche i primati non umani sono sensibili alle espressioni facciali, sono in grado di seguire con lo sguardo gli oggetti, di avere comportamenti imitativi, ecc. tuttavia l’attenzione congiunta -intesa come relazione triadica- sembra una prerogativa degli esseri umani” (p.111)

• I dati a nostra disposizione ci mostrano infatti che «uno scimpanzé sa che il suo compagno di gruppo vede la scimmia, ma non abbiamo prove che lo scimpanzé sappia che il suo compagno lo vede vedere la scimmia. In altre parole non ci sono prove che le grandi scimmie possano compiere anche un solo passaggio di lettura ricorsiva della mente». (Tomasello)

sviluppo della referenza tappe di sviluppo

• la capacità del bambino di seguire lo sguardo dell’adulto si consolida intorno ai 9 mesi.

• tra i 9 e i 12 mesi cominciano i comportamenti triadici, la coordinazione avviene tra adulto, bambino e oggetto.

• Si può parlare di un triangolo referenziale: bambino, adulto e oggetto. All’interno di questo triangolo, l’adulto pronuncia enunciati per mantenere l’attenzione dei bambini.

indicare• intorno ai 9 mesi di vita vi è la comparsa del gesto

deittico: il bambino punta il dito intenzionalmente per indicare qualcosa.

• un gesto profondamente radicato nella natura umana, basato sulla tendenza naturale a interpretare intenzionalmente le azioni altrui.

• I bambini lo acquisiscono naturalmente.

• All’inizio l’indicare è un tentativo di afferrare qualcosa che non è vicino. Il tentativo non riuscito del bambino suscita l’intervento di un’altra persona.

• L’indicare diventa un gesto per gli altri.

additare

• Per capire un gesto ostensivo (additare) dobbiamo essere capaci di rispondere a un quesito del genere: “Qual è la sua intenzione nel dirigere in questo modo particolare la mia attenzione?” Ma per farlo con una qualche certezza dobbiamo, nel caso prototipico, condividere un qualche genere di attenzione o di esperienza passata

• La capacità di creare un terreno concettuale comune - attenzione congiunta, esperienza condivisa, conoscenza comune. è una condizione assolutamente critica di tutta la comunicazione umana.

attività deittica infantile

• Nelle descrizioni classiche, i bambini additano comunicativamente per due motivi: per chiedere cose (modo imperativo) oppure per condividere con altri le loro emozioni ed esperienze ( modo dichiarativo), senza differenze d’età per la comparsa dei due tipi diversi.

origini ontogenetiche dell’additare 1

• In modo sorprendente, nessuno sa che origine ontogenetiche abbia la gestualità deittica. Più specificamente, nessuno sa se additare sia una riutilizzazione compiuta dagli infanti a partire da qualche altro comportamento oppure se lo apprendano da altri per imitazione.

origini ontogenetiche dell’additare 2

• dato che molte grandi scimmie sono in grado di chiedere agli umani “additando” (quasi certamente non per imitazione), e dato che alcuni tipi di gesti deistici sono molto probabilmente universali nelle società umane, l’ipotesi al momento più plausibile è che gli infanti non acquisiscono i loro gesti deittici imitando gli altri ma che venga loro naturale in qualche modo: forse come azione sociale di orientamento che si socializza nel corso dell’interazione con altri.

• Ma non c’è evidenza empirica di rilievo.

dibattito attuale 1

• L’attuale dibattito teorico sulla gestualità deittica si incentra sulla questione se l’interpretazione più accurata sia cognitivamente ricca o meno.

• Il problema è se i bambini piccoli esibiscono la loro comunicazione prelinguistica (gestualità deittica) per influenzare gli stati mentali/intenzionali degli altri oppure, in alternativa, se essi cercano semplicemente di suscitare negli altri effetti comportamentali.

dibattito attuale 2

• Correlata a questa è la questione se i bambini esibiscono la loro comunicazione prelinguistica per informare gli altri di cose in maniera utile e per condividere con essi esperienze emotive, in alternativa, di nuovo, al semplice tentativo di far fare agli altri qualcosa che si desidera.

• Io sosterrò e presenterò evidenze in favore dell’interpretazione cognitivamente più ricca e motivazionalmente altruistica

conclusioni sull’additare 1

• … i bambini appena iniziano ad additare, comprendono già gli aspetti più importanti di come funziona la comunicazione cooperativa umana- essi comunicano a livello mentale, nel contesto di un terreno concettuale comune e per motivi cooperativi- esibendo così qualcosa che si avvicina all’infrastruttura sociocognitva completa della comunicazione cooperativa umana.

conclusioni sull’additare 2

• Nella maggior parte dei bambini l’attività deittica emerge attorno ai dodici mesi di età, prima ancora del linguaggio, e ciò indica che nell’ontogenesi umana l’infrastruttura della comunicazione cooperativa agisce inizialmente a supporto non del linguaggio ma del gesto deittico.

• Anche i figli dei genitori sordi iniziano ad additare alla stessa età degli altri

che cos’è un oggetto

• 4 principi di fisica ingenua che caratterizzano gli oggetti:

• principio di coesione;

• principio di continuità;

• principio di solidità;

• principio di contatto;

• questi caratteri sono il risultato di schemi di azione molteplici e condivisi; non sono il risultato di rappresentazioni percettive.

la permanenza dell’oggetto

• Studi sperimentali sulla cognizione infantile hanno sperimentato che i bambini dispongono del concetto di oggetto prima ancora di imparare qualsiasi parola per designarli.

• A partire dai due mesi di età i bambini sono in grado di rappresentarsi la permanenza degli oggetti occlusi.

• Piaget ha dimostrato che tra i 9 e i 12 mesi si costituisce pienamente lo schema dell’oggetto permanente come se gli oggetti si stagliassero in qualità di forme (gestalten) contro uno sfondo che li circonda.

oggetto e lessico

• La conquista dell’oggetto permanente “si realizza attraverso l’esercizio da parte del bambino dei suoi schemi senso-motori, così che le prime nozioni di oggetto sono legate alle azioni del bambino e, al tempo stesso, alle collocazioni spaziali e temporali dell’oggetto, così che esso risulta incastonato in un insieme di schemi: l’oggetto, in sostanza, non viene identificato in isolamento ma all’interno di un sistema di possibili relazioni.

• Secondo Piaget il bambino “produce” nel tempo un mondo oggetti diversi da sé e permanenti nello spazio.

• In virtù di tale permanenza chi apprende una lingua è naturalmente orientato verso concettualizzazioni di entità globali, piuttosto che verso parti o qualità di tali entità” (p.116)

oggetto e lessico. principio dell’oggetto intero

• Un bambino nell’udire una parola in congiunzione con una determinata entità assume che la parola si riferisca all’intero oggetto e non a una parte di esso.

• Secondo Ellen Markman: «l’unico modo in cui i bambini inizialmente limitano i significati delle parole è quello di assumere che la nuova etichetta si riferisca all’intero oggetto e non a una sua parte, sostanza, o altre proprietà»

oggetto e lessico: principio dell’esclusione tassonomica

• secondo questo principio le etichette si riferiscono a oggetti della stessa categoria, piuttosto che a oggetti tematicamente correlati.

• La parola cane è estesa ad animali della stessa categoria in maniera tassonomica e non tematica, nel senso che non è estesa a oggetti che hanno una qualche relazione temporale, causale ecc. con il cane specifico con cui si ha a che fare.

oggetto e lessico. principio della mutua esclusività

• Secondo questo principio ciascun oggetto o entità tende ad avere una e una sola etichetta e tutte le parole sono in contrasto l’una con l’altra per quanto riguarda il significato. (p.92)

• … il bambino tende ad assumere che vi sia una sola etichetta per ciascun oggetto, ossia, in pratica che non vi siano sinonimi.(p.117)

Teoria della mente

• «L’espressione “teoria della mente -consacrata dall’articolo fondatore di David Premak e Guy Woodruff, Does the chimpanzee have a theory of mind?- designa la disposizione a spiegare e predire le proprie azioni e quelle degli altri esseri intelligenti (vae a dire che si determinano da se stessi nelle loro azioni) per distinguerli dagli oggetti fisici.[…]Su questo punto si scontrano due grandi correnti» (AA.VV., Dizionario di scienze cognitive, p. 490)

1° psicologia ingenua o teoria della teoria

• Secondo la prima, fedele alla definizione di Premack e Woodruff, la metodologia impiegata per predire e comprendere i modi del comportamento sottintende una teoria psicologica ingenua della struttura e del funzionamento della mente che attiva un insieme di regole di manipolazione di simboli, su base inferenziale. Nelle nostre interazioni sociali utilizziamo questa teoria psicologica ingenua, allo stesso titolo con cui pratichiamo una fisica ingenua applicata alle nostre interazioni con gli oggetti[…] I sostenitori di questa metodologia vengono chiamati “teorici della teoria della mente”… (AA.VV., Dizionario di scienze cognitive, p.

490)

Psicologia ingenua o del senso comune

• Il termine psicologia del senso comune si riferisce semplicemente alla comprensione mondana e quotidiana che abbiamo di noi stessi e degli altri come esseri dotati di credenze, speranze paure e desideri e così via […]. Essa ha come tratto distintivo l’attribuzione di convinzioni e desideri per far luce sul comportamento o sui movimenti del corpo.[…] quindi la psicologia ingenua consiste nell’uso del discorso su credenze e desideri per spiegare le azioni. (A. Clark, Microcognizione, 60-61)

teoria della mente/ psicologia del senso comune

• «Si tratterebbe di una teoria che si trasmette da una generazione a un’altra- che viene assunta dai bambini con il latte della madre, per così dire. Data la sua somiglianza con la psicologia scientifica va sotto il nome di psicologia del senso comune. L’idea è che le leggi causali che fanno parte della psicologia del senso comune siano usate dalle persone nella vita quotidiana per spiegare e predire il comportamento.

• Ad esempio, potremo spiegare il fatto che Sally sia andata a fare acquisti in un certo negozio dicendo che ha deciso di mettere da parte la maggiore quantità di soldi possibile e ha creduto che fare acquisti in quel negozio fosse il miglior modo di risparmiare soldi» (Goldman, 1996, 81/82)

Base inferenziale

• Legge:

• “Per qualsiasi azione X e Y, se una persona decide di fare X e crede che Y sia il modo migliore di fare X (ed è in grado di fare Y), allora farà Y”. Goldman, 1996, 76)

sogno di una notte di mezza estate 1Nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, Ermia viene abbandonata nella foresta dal suo amato Lisandro, che si trova sotto l’effetto di un potente incantesimo. Nel momento in cui si risveglia sola nel bosco, Ermia, incredula della sua condizione di abbandono da parte dell’amato, immagina che Lisandro sia stato ucciso da Demetrio, il suo rivale. Il motivo per cui Ermia è portata a ragionare in questo modo, consiste secondo Fodor nel fatto che la psicologia umana tende a seguire per sua natura una serie procedure inferenziali implicite che poggiano su generalizzazioni teoriche. In questo caso specifico, ella pensa che Demetrio, come tutti i rivali che si rispettino, voglia sbarazzarsi del suo nemico. Attribuisce dunque a Demetrio la credenza che “sbarazzarsi” significa uccidere Lisandro, gli attribuisce il desiderio di farlo fuori, insieme all’inferenza pratica che lo porta a generare conseguentemente un certo tipo di comportamento criminale.

http://www.sintesidialettica.it/leggi_articolo.php?AUTH=138&ID=231#sdendnote1anc

Teoria della mente/teoria della simulazione

• «In quest i ul t imi anni è emersa una teoria alternativa[…]Questa teoria alternativa propone che per attribuire stati mentali agli altri e per predire e spiegare il loro comportamento le persone usino una euristica della simulazione. Questa idea prosegue la tradizione secondo la quale comprendere gli altri è soprattutto una questione di empatia o di proiezione immaginativa nella loro situazione -una questione di “mettersi nei loro panni”.

teoria della simulazione

• la differenza principale tra il modello della simulazione e il modello del senso comune è che il primo non suppone in chi fa l’attribuzione il possesso cognitivo di leggi causali che governino il meccanismo del ragionamento pratico. Il modello della simulazione non assume che chi fa l’attribuzione la sappia particolarmente lunga sulla sua psicologia o sulla psicologia dell’altro.

• Esso postula invece una capacità di usare la propria psicologia come una sorta di dispositivo analogico per ricostruire la psicologia dell’altro, e non ci obbliga ad assumere che chi fa l’attribuzione sia particolarmente versato in fatto di teoria mentale e leggi naturali. (Goldman 91/92)

sogno di una notte di mezza estate 2

Secondo il resoconto della teoria della simulazione, Ermia comprenderebbe le cattive intenzioni di Demetrio semplicemente “calandosi nei suoi panni”, ovvero immaginando di avere un rivale in amore e ciò che succederebbe se lei stessa fosse, come lui, in circostanze simili. Per comprendere e prevedere i ragionamenti e le decisioni di Demetrio, Ermia farebbe così riferimento a tutte le proprie risorse emozionali e motivazionali, trasportandosi poi attraverso l’immaginazione nella mente del nemico di Lisandro.

Teoria della teoria e la teoria della simulazione

• Il modello della teoria del senso comune e il modello della simulazione offrono spiegazioni alternative all’attribuzione di stati mentali ad altri (benché non si possa escludere che entrambi i modelli siano parzialmente veri).

• La capacità di attribuire false credenze agli altri va incontro a un notevole cambiamento tra i tre e cinque anni di eta.

• In un esperimento i bambini vedono un pupazzo di nome Maxi che mette la sua cioccolata in una scatola e poi va in giardino a giocare. In seguito vedono la mamma di Maxi che prende la cioccolata e la ripone nella dispensa mentre Maxi è ancora fuori. Quando Maxi rientrerà a casa dove cercherà la cioccolata? Un bambino di cinque anni al pari di un adulto risponde che la cercherà nella scatola. Il bambino di tre anni indica invece la dispensa dove il bambino stesso crede che si trovi la cioccolata. (Goldman, 94)

falsa credenza: la scatola ingannevole

Si mostra ad un bambino una scatola di caramelle e gli si chiede cosa pensa ci sia all'interno. Dopo gli si mostra che in realtà dentro non si trovano dolci, bensì una matita. Il test termina con un'ultima domanda: cosa credevi ci fosse dentro la scatola all'inizio? Il bambino di 3 anni in generale risponde "matita", mentre a 4 anni è in grado di considerare contemporaneamente ciò che sapeva prima e cosa sapesse dopo e quindi risponde: “caramelle".

falsa credenza: il trasferimento inaspettato

Un secondo compito del Test di Falsa Credenza è quello che propone il trasferimento inaspettato, anche conosciuto come il test di Sally ed Ann. In questo caso si presenta uno scenario in cui due bambole Sally ed Ann giocano con una palla. Ann mette la palla in un cesto rotondo e poi esce di scena; a sua volta Sally prende la palla e la sposta in una scatola quadrata. A questo punto Ann rientra e al bambino viene chiesto dove cercherà la palla. Il bambino che ha sviluppato una Teoria della Mente saprà che Ann cercherà la palla nel posto sbagliato, mentre i più piccoli danno la risposta in base a ciò che sanno loro.

Valutazione dei test sulla falsa credenza

• Una possibile interpretazione di questo risultato è che il bambino di tre anni non possiede ancora la “teoria della mente” che il bambino di cinque anni ha appreso a dovere. Questa interpretazione avvalora la teoria del senso comune.

• Miglioramento delle capacità di ragionamento formale.

Valutazione test falsa credenza

• Dei risultati dei test sulla falsa credenza può dar conto anche la teoria della simulazione.

• Dal punto di vista dell’approccio simulazionista, le fasi cruciali dello sviluppo sono caratterizzate da un incremento del potere immaginativo. I bambini più piccoli (ad esempio quelli di tre anni) hanno difficoltà a immaginare una credenza che contraddica direttamente quella che assumono essere una realtà delle cose, mentre i bambini più grandi hanno la capacità di immaginare negli altri uno stato che contrasti direttamente con il loro proprio stato (Goldman, 94/95)

Le altre menti

• il prerequisito dei prerequisiti

intenzioni sociali. In particolare il riconoscimento di intenzioni: comprendere che le altre persone hanno delle intenzioni verso i miei stati intenzionali- è l’autentico fondamento sul quale si edifica l’acquisizione del linguaggio. (p.118) M. Tomasello

La comunicazione viene prima del linguaggio