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© Mondadori Education 1 Sallustio Il discorso di Cesare (De Catilinae coniuratione, 51,1-24; 37-43) Il 5 dicembre del 63 a.C. il senato si riunisce per deliberare sulla pena da infliggere ai congiu- rati. Si fronteggiano una linea dura, che vuole l’immediata condanna a morte per gli imputati (proposta da Giunio Silano), e una linea moderata, che propone il confino e la confisca dei beni. Portavoce di queste due posizioni opposte si fanno rispettivamente Catone e Cesare. La posizione di Cesare è decisamente atipica: egli non sottovaluta il pericolo insito nella con- giura, ma ritiene la condanna a morte senza processo un atto illegale. Scrive Antonio La Penna: «L’azione di Cesare in quel caso determinato poteva essere errata, inadeguata alla gravità del pericolo che correvano le strutture sociali e morali della res publica; ma la preoccupazione del- la legalità e dell’ordine conteneva anche agli occhi di Sallustio un valore perenne per lo stato romano, che andava al di là di quell’azione politica contingente». [51,1] «Omnis homines, patres conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitia, ira atque misericordia vacuos esse decet. [2] Haud facile animus verum providet, ubi illa officiunt, neque quisquam omnium lubidini simul et usui paruit. [3] Ubi intenderis ingenium, valet; si lubido possidet, ea dominatur, animus nihil valet. [4] Magna mihi copia est memorandi, patres conscripti, quae reges atque populi 51,1 Omnis … decet: patres con scripti: appellativo con cui ci si rivolge di solito al senato nel suo insieme; ricalca probabilmente la distinzione tra senatori patrizi (pa tres) e senatori «aggiunti» (conscrip ti o adlecti) di origine plebea. • qui … consultant: «che sono chiamati a pronunciarsi su questioni incerte». 2 Haud … paruit: Haud … officiunt: «Non facilmente del resto l’animo può scorgere davanti a sé la verità (verum), quando queste (illa, cioè le passioni) le fanno ostacolo (offi ciunt)». • neque … paruit: «e nessu no mai (lett.: «nessuno fra tutti») può obbedire insieme (simul) alla passione e all’utilità»; omnium raf forza, in modo quasi pleonastico, il pronome indefinito negativo quis quam; paruit è perfetto gnomico, da tradurre con il presente. 3 Ubi nihil valet: Ubi … valet: tra duci liberamente: «Qualora se ne faccia uso assiduo (intenderis, lett.: «si tenda», con metafora tratta dal tendere l’arco), la mente dimostra vigore»; intenderis («tu» generico, con valore impersonale) è futuro perfetto di intendo, qui impiegato secondo la regola dell’anteriorità; ingenium funge sia da oggetto di intenderis che da soggetto di valet. si lubido (= libido) possidet: «se la passione [ci] domina». 4 Magna … fecere: Magna … me morandi: «Potrei ricordare molti casi (lett.: «Avrei ampia facoltà di ricordare»)»; est (costruito con il

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Il discorso di Cesare (De Catilinae coniuratione, 51,1-24; 37-43)

Il 5 dicembre del 63 a.C. il senato si riunisce per deliberare sulla pena da infliggere ai congiu-rati. Si fronteggiano una linea dura, che vuole l’immediata condanna a morte per gli imputati (proposta da Giunio Silano), e una linea moderata, che propone il confino e la confisca dei beni. Portavoce di queste due posizioni opposte si fanno rispettivamente Catone e Cesare.

La posizione di Cesare è decisamente atipica: egli non sottovaluta il pericolo insito nella con-giura, ma ritiene la condanna a morte senza processo un atto illegale. Scrive Antonio La Penna: «L’azione di Cesare in quel caso determinato poteva essere errata, inadeguata alla gravità del pericolo che correvano le strutture sociali e morali della res publica; ma la preoccupazione del-la legalità e dell’ordine conteneva anche agli occhi di Sallustio un valore perenne per lo stato romano, che andava al di là di quell’azione politica contingente».

[51,1] «Omnis homines, patres conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitia, ira atque misericordia vacuos esse decet. [2] Haud facile animus verum providet, ubi illa officiunt, neque quisquam omnium lubidini simul et usui paruit. [3] Ubi intenderis ingenium, valet; si lubido possidet, ea dominatur, animus nihil valet. [4] Magna mihi copia est memorandi, patres conscripti, quae reges atque populi

51,1 Omnis … decet: patres con­scripti: appellativo con cui ci si rivolge di solito al senato nel suo insieme; ricalca probabilmente la distinzione tra senatori patrizi (pa­tres) e senatori «aggiunti» (conscrip­ti o adlecti) di origine plebea. • qui … consultant: «che sono chiamati a pronunciarsi su questioni incerte».2 Haud … paruit: Haud … officiunt: «Non facilmente del resto l’animo può scorgere davanti a sé la verità (verum), quando queste (illa, cioè

le passioni) le fanno ostacolo (offi­ciunt)». • neque … paruit: «e nessu­no mai (lett.: «nessuno fra tutti») può obbedire insieme (simul) alla passione e all’utilità»; omnium raf­forza, in modo quasi pleonastico, il pronome indefinito negativo quis­quam; paruit è perfetto gnomico, da tradurre con il presente.3 Ubi … nihil valet: Ubi … valet: tra­duci liberamente: «Qualora se ne faccia uso assiduo (intenderis, lett.: «si tenda», con metafora tratta dal

tendere l’arco), la mente dimostra vigore»; intenderis («tu» generico, con valore impersonale) è futuro perfetto di intendo, qui impiegato secondo la regola dell’anteriorità; ingenium funge sia da oggetto di intenderis che da soggetto di valet. • si lubido (= libido) possidet: «se la passione [ci] domina».4 Magna … fecere: Magna … me­morandi: «Potrei ricordare molti casi (lett.: «Avrei ampia facoltà di ricordare»)»; est (costruito con il

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ira aut misericordia inpulsi male consuluerint. Sed ea malo dicere, quae maiores nos­tri contra lubidinem animi sui recte atque ordine fecere. [5] Bello Macedonico, quod cum rege Perse gessimus, Rhodiorum civitas magna atque magnifica, quae populi Romani opibus creverat, infida et advorsa nobis fuit. Sed post quam bello confecto de Rhodiis consultum est, maiores nostri, ne quis divitiarum magis quam iniuriae causa bellum inceptum diceret, inpunitos eos dimisere. [6] Item bellis Punicis omnibus, quom saepe Carthaginienses et in pace et per indutias multa nefaria facinora fecissent, numquam ipsi per occasionem talia fecere: magis quid se dignum foret, quam quid in illos iure fieri posset, quaerebant. [7] Hoc item vobis providendum est, patres conscripti, ne plus apud vos valeat P. Lentuli et ceterorum scelus quam vostra dignitas, neu magis irae vostrae quam famae consulatis. [8] Nam si digna poena pro factis eorum reperitur, novom consilium adprobo; sin magnitudo sceleris omnium ingenia exsuperat, his utendum censeo, quae legibus conparata sunt.[9] Plerique eorum, qui ante me sententias dixerunt, conposite atque magnifice casum rei publicae miserati sunt. Quae belli saevitia esset, quae victis adciderent, enumeravere: rapi virgines, pueros; divelli liberos a parentum conplexu; matres familiarum pati quae victoribus conlubuissent; fana atque domos spoliari; caedem, incendia fieri; postremo armis, cadaveribus, cruore atque luctu omnia conpleri. [10] Sed, per deos inmortalis, quo illa oratio pertinuit? An uti vos infestos coniurationi faceret? Scilicet, quem res tanta et tam atrox non permovit, eum oratio adcendet.

dativo di possesso mihi) può essere considerato un falso condizionale. • quae … consuluerint: «in cui sovra­ni e popoli, spinti da ira o da mise­ricordia presero cattive decisioni (lett.: «quali cose sovrani e popoli abbiano deciso male»)». • contra … sui: «contro gli impulsi della pro­pria passione». • fecere = fecerunt.5 Bello … dimisere: Bello … gessi­mus: si tratta della terza guerra ma­cedonica, che culminò nella vittoria di Lucio Emilio Paolo a Pidna nel 168 a.C. contro l’esercito di Perse (o Perseo). • quae … creverat: «che era prosperata grazie agli aiuti del popolo romano». • de Rhodiis con­sultum est: «si giunse a deliberare in merito ai Rodiesi». • ne quis … di­ceret: «affinché non si potesse dire che la guerra era stata intrapresa (inceptum) per brama di ricchezza piuttosto che per punire un torto subìto (iniuriae)».6 Item … quaerebant: quom (= cum) … fecissent: «benché … avesse­ro commesso», con sfumatura con­cessiva. • numquam … fecere (= fe­cerunt): «mai i nostri antenati (ipsi si riferisce al precedente maiores nostri) compirono azioni del gene­re (talia), neppure approfittando di

circostanze favorevoli (per occasio­nem)». • magis … quaerebant: «cer­cavano più ciò che era dignitoso per loro stessi, che ciò che potesse esser fatto a buon diritto (iure) contro quelli (in illos, i Cartaginesi)»; più liberamente puoi tradurre: «pensa­vano più alla propria dignità che a prendere legittimi provvedimenti contro di loro». Il verbo principale (quaerebant; soggetto sottinteso è maiores nostri) regge le due inter­rogative indirette inquadrate all’in­terno di una struttura comparativa (magis … quam).7 Hoc … consulatis: Hoc … provi­dendum est … ne: «Così a questo voi dovete badare, che non…»; hoc an­ticipa per prolessi le due frasi com­pletive seguenti (ne … valeat e neu … consulatis). • P. Lentuli: Publio Cornelio Lentulo era uno dei più importanti congiurati. • neu (= et ne) … consulatis: «e a non indulgere alla vostra ira più che alla preoccu­pazione per il (vostro) buon nome».8 Nam … conparata sunt: digna: «adeguata». • novom (= novum) … adprobo: «io posso approvare per­fino un provvedimento straordina­rio». • omnium … exsuperat: «supera ogni immaginazione». • his … sunt:

«ritengo che si debba far ricorso a quelle pene che sono previste (lett.: «procurate») dalle leggi».9 Plerique … conpleri: casum … miserati sunt: «hanno commiserato la sventura dello stato»; rei publi­cae è un genitivo soggettivo. • enu­meravere = enumeraverunt. • rapi … conpleri: serie di infiniti storici, che nella traduzione conviene rendere con dei participi: «rapiti, … strappa­ti, … costrette a subire, … depredati, … traboccante». • quae … conlubu­issent: «quello che fosse piaciuto ai vincitori».10 Sed … adcendet: quo … pertinu­it?: «a che cosa mirava quel discor­so?»; quo è avverbio interrogativo di moto a luogo figurato. • An uti (= ut) … faceret?: «Forse a ispirarvi odio verso la congiura?»; an intro­duce un’interrogativa retorica da cui si attende risposta negativa. • Scilicet … adcendet: «Eh, già! Colui che nemmeno una situazione così grave e atroce è riuscita a turbare, sarà proprio un semplice discorso a infiammarlo di sdegno!»; scilicet introduce una constatazione ironi­ca; la relativa introdotta da quem è prolettica rispetto alla reggente, il cui oggetto è eum.

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[11] Non ita est, neque quoiquam mortalium iniuriae suae parvae videntur, multi eas gravius aequo habuere. [12] Sed alia aliis licentia est, patres conscripti. Qui demissi in obscuro vitam habent, si quid iracundia deliquere, pauci sciunt, fama atque fortuna eorum pares sunt; qui magno imperio praediti in excelso aetatem agunt, eorum facta cuncti mortales novere. [13] Ita in maxuma fortuna minuma licentia est; neque studere neque odisse, sed minume irasci decet; [14] quae apud alios iracundia dicitur, ea in imperio superbia atque crudelitas appellatur. [15] Equidem ego sic existumo, patres conscripti, omnis cruciatus minores quam facinora illorum esse. Sed plerique mortales postrema meminere et in hominibus inpiis sceleris eorum obliti de poena disserunt, si ea paulo severior fuit. [16] D. Silanum, virum fortem atque strenuom, certo scio quae dixerit studio rei publicae dixisse, neque illum in tanta re gratiam aut inimicitias exercere: eos mores eamque modestiam viri cognovi. [17] Verum sententia eius mihi non crudelis – quid enim in talis homines crudele fieri potest? – sed aliena a re publica nostra videtur. [18] Nam profecto aut metus aut iniuria te subegit, Silane, consulem designatum genus poenae novom decernere. [19] De timore supervacuaneum est disserere, quom praesertim diligentia clarissumi viri consulis tanta praesidia sint in armis. [20] De poena possum equidem dicere, id

11 Non … habuere: neque quo­iquam (= cuiquam) … videntur: «e d’altra parte a nessuno fra gli uo­mini (mortalium) le offese ricevute (iniuriae suae) sembrano piccole». • multi … habuere (= habuerunt): «anzi, molti le sopportano peggio del dovuto (aequo)»; Sallustio pre­ferisce questo raro uso di habere con l’avverbio (gravius) nel senso di «sopportare, tollerare» al posto del più comune ferre.12 Sed … novere: Sed … est: traduci liberamente: «Ma non a tutti sono lecite le stesse cose». • Qui demissi … deliquere (= deliquerunt): l’ordine logico è si [illi], qui demissi in obscu­ro vitam habent, quid (= aliquid) de­liquere iracundia; la frase condizio­nale è posticipata alla prima relati­va; demissi in obscuro: «sprofondati in una condizione oscura»; quid … deliquere: «commettono un qualche crimine trascinati dall’ira». • pauci … sunt: mediante un lieve ma effi­cace anacoluto, viene introdotta la frase principale. • in excelso: «nelle alte sfere». • eorum … novere (= no­verunt): un altro anacoluto; novere è perfetto gnomico.13 Ita … decet: Ita … licentia est: traduci liberamente: «Pertanto chi beneficia della condizione sociale più elevata non può permettersi di agire d’arbitrio»; maxuma e minu­

ma = maxima e minima. • studere … odisse: «indulgere ai favoritismi … lasciarsi trasportare dall’odio di parte». • minume = minime.14 quae … appellatur: in imperio: «in coloro che detengono il potere».15 Equidem … fuit: omnis (= om­nes) … esse: proposizione oggettiva dipendente da existumo (= existimo) e anticipata da sic prolettico, che può essere tralasciato nella tradu­zione; cruciatus sono i «supplizi». • Sed … meminere (= meminerunt): «Ma i più si ricordano soltanto degli ultimi eventi». • in hominibus inpiis: «nel caso di uomini scellerati». • si ea … fuit: «se sia stata un po’ troppo severa»; ea è riferito a poena.16 D. Silanum … cognovi: D. Si­lanum … dixisse: ordina certo scio D. Silanum, virum fortem atque strenuom (= strenuum), dixisse (ea) quae dixerit studio rei publicae («in virtù del suo attaccamento allo sta­to»); dixerit è al congiuntivo per at­trazione modale, in quanto verbo di una frase relativa in dipendenza di secondo grado da un’oggettiva. Decimo Giunio Silano, al quale, in quanto console designato per l’an­no successivo (il 62), spettava l’ono­re di esprimere per primo il suo parere, aveva presentato la propo­sta della condanna a morte per gli imputati. • neque … exercere: secon­

da proposizione oggettiva dipen­dente da certo scio: «e che in una situazione tanto grave non indulge a favoritismi né a odi personali». • eos … cognovi: i due pronomi eos e eamque sono impiegati in funzione predicativa («tali … tale»); il perfet­to cognovi possiede valore resulta­tivo: «ho avuto modo di conoscere» e quindi «so».17 Verum … videtur: fieri potest: «si potrebbe fare», falso condizio­nale.18 Nam … decernere: «Infatti o il timore o la gravità dell’offesa ha indotto te, Silano, un console de­signato, a decidere per un genere di pena eccezionale»; subigo regge l’infinito, costruzione che sostitu­isce quella più comune con ut e il congiuntivo o con ad e l’accusativo del gerundio.19 De timore … in armis: quom (= cum) … in armis: «adesso in partico­lare (praesertim) che vi sono, grazie alla solerzia (diligentia, ablativo) di quell’illustre personaggio che è il console, tanto grandi presidii in armi»; il console è ovviamente Ci­cerone; clarissumi = clarissimi.20 De poena … esse: De poena … dicere: «Per quanto attiene, poi, alla pena, io, per parte mia, posso dire…»; da dicere dipendono le tre infinitive seguenti (in luctu … esse,

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quod res habet, in luctu atque miseriis mortem aerumnarum requiem, non cruciatum esse; eam cuncta mortalium mala dissolvere; ultra neque curae neque gaudio locum esse. [21] Sed, per deos inmortalis, quam ob rem in sententiam non addidisti, uti prius verberibus in eos animadvorteretur? [22] An quia lex Porcia vetat? At aliae leges item condemnatis civibus non animam eripi, sed exilium permitti iubent. [23] An quia gravius est verberari quam necari? Quid autem acerbum aut nimis grave est in homines tanti facinoris convictos? [24] Sin quia levius est, qui convenit in minore negotio legem timere, quom eam in maiore neglegeris? […][37] Maiores nostri, patres conscripti, neque consili neque audaciae umquam eguere; neque illis superbia obstabat quo minus aliena instituta, si modo proba erant, imitarentur. [38] Arma atque tela militaria ab Samnitibus, insignia magis tratuum ab Tuscis pleraque sumpserunt. Postremo, quod ubique apud socios aut hostis idoneum videbatur, cum summo studio domi exsequebantur: imitari quam invidere bonis malebant. [39] Sed eodem illo tempore Graeciae morem imitati verberibus animadvortebant in civis, de condemnatis summum supplicium sumebant. [40] Postquam res publica adolevit et multitudine civium factiones valuere, circumveniri innocentes, alia huiusce modi fieri coepere, tum lex Porcia aliaeque leges paratae sunt, quibus legibus exilium damnatis permissum est. [41] Hanc ego causam, patres conscripti, quo minus novom consilium capiamus, in primis magnam puto. [42] Profecto virtus atque sapientia maior illis fuit, qui ex parvis opibus tantum imperium fecere, quam in nobis, qui ea bene parta vix retinemus. [43] Placet igitur

eam … dissolvere, ultra … esse). • id … habet: lett.: «ciò che la realtà ha in sé», più liberamente: «ed è così che stanno le cose». • in luctu … esse: il soggetto dell’infinitiva è mortem; aerumna è termine arcaico e poetico. • eam … dissolvere: eam, soggetto dell’infinitiva, è riferito a mortem. • ultra: «oltre (la morte)».21 Sed … animadvorteretur?: uti (= ut) … animadvorteretur (= ani­madverteretur)?: «che prima venis­sero battuti con le verghe?».22 An … iubent: lex Porcia: le leges Porciae de provocatione (dei primi anni del II secolo a.C.) vietavano che si fustigasse un cittadino roma­no. • permitti: «sia concesso».23 An … convictos?: Quid?: «Quale pena?». • tanti … convictos?: «rico­nosciuti colpevoli di così gravi de­litti?».24 Sin … neglegeris?: «Se invece perché è più lieve (l’essere fustigato rispetto all’essere ucciso), che sen­so ha (qui convenit) temere la legge in un punto secondario (in minore negotio), per poi violarla nel punto più sostanziale (in maiore, cioè nel divieto di condanna a morte)?»; qui

è forma arcaica equivalente, nel senso, a quomodo; quom = cum.37 Maiores … imitarentur: eguere (= eguerunt): «furono privi»; la co­struzione di egeo con il genitivo, in sostituzione di quella più comune con l’ablativo, è presente varie vol­te nella prosa di Sallustio. • neque … imitarentur: «né la superbia impe­diva loro di imitare, purché fossero buone (proba), istituzioni straniere (aliena instituta)».38 Arma … malebant: Arma … mi­litaria: «Le armi difensive e quelle offensive». • ab Samnitibus … ab Tu­scis: dai Sanniti i Romani mutuaro­no l’uso del veru, una sorta di spie­do acuminato dalla punta di ferro, e dello scutum, un grande scudo di forma rettangolare; dagli Etruschi provenivano vari simboli del po­tere dei magistrati, quali l’uso dei littori, la sella curulis e la toga pra­etexta. • quod ubique … videbatur: «ciò che ovunque trovavano adatto al caso loro». • domi exsequebantur: «lo applicavano in patria». • imita­ri … malebant: l’oggetto di imitari è lo stesso termine retto da invidere, per cui ordina e intendi il periodo

come se fosse imitari bona male­bant quam invidere bonis.39 Sed … sumebant: verberibus … sumebant: «incrudelivano con le verghe nei confronti di concitta­dini, ai condannati infliggevano il supplizio capitale».40 Postquam … permissum est: multitudine … valuere (= valuerunt): «a causa del gran numero di citta­dini si affermarono le fazioni politi­che». • coepere = coeperunt. • quibus legibus … permissum est: «in base alle quali leggi ai condannati fu concesso l’esilio».41 Hanc … puto: ordina ego, patres conscripti, puto hanc (esse) causam in primis magnam quo minus capia­mus novom (= novum) consilium: «Io ritengo, o senatori, che sia que­sto l’impedimento principale che deve indurci a non prendere un provvedimento eccezionale».42 Profecto … retinemus: illis: da­tivo di possesso. • fecere = fecerunt. • quam in nobis … retinemus: «rispet­to a noi, che a mala pena conservia­mo ciò che è stato (da loro) valoro­samente acquisito».43 Placet … facturum: Placet …

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eos dimitti et augeri exercitum Catilinae? Minume. Sed ita censeo: publicandas eorum pecunias, ipsos in vinculis habendos per municipia, quae maxume opibus valent; neu quis de iis postea ad senatum referat neve cum populo agat; qui aliter fecerit, senatum existumare eum contra rem publicam et salutem omnium facturum».

Catilinae?: «Propongo forse che vengano lasciati liberi e che va­dano così a incrementare le file dell’esercito di Catilina?». • Minu­me (= Minime): «No di certo!». • Sed ita censeo: censeo è il verbo tecnico che introduce formalmente il ‘pa­rere’ di Cesare: regge le successive frasi subordinate, le prime due (pu­blicandas … habendos, sott. esse) e

l’ultima (existumare) con l’accusati­vo e l’infinito, nel mezzo due con ne e il congiuntivo (neu … referat neve … agat): il verbo censeo ammette infatti entrambe le costruzioni e si ottiene così un effetto di varietas sintattica. • per municipia … valent: «distribuiti nei municipi che godo­no delle maggiori risorse». • neu quis … agat: «e che nessuno risolle­

vi d’ora in poi la discussione su di loro in senato, né la sottoponga al voto del popolo». • qui … facturum: ordina (censeo) senatum existuma­re (= exis timare) eum, qui aliter fece­rit (ovvero rispetto alla consegna di non risollevare la questione degli esiliati in senato), contra rem publi­cam et salutem omnium facturum (sott. esse).

Guida alla lettura

StrutturA L’argomentazione di Cesare ripercorriamo con uno schema la struttura del discorso di Ce-sare:

parr. 1-8 introduzione Cesare, per sottolineare la necessità di giudicare gli imputati con mente serena, fornisce due exempla dall’antica storia di roma (il comportamento tenuto dai romani con i rodii e i Cartaginesi); ciò che conta è che la pena decretata rimanga nei limiti della legalità.

parr. 9-15 valutazione del crimine e della pena

È superfluo sottolineare l’enormità delle colpe commesse, poiché sono tanto evidenti che ogni pena sarebbe inadeguata; bisogna però evitare che una severità eccessiva possa in futuro dare adito a critiche.

parr. 16-24 esame giuridico della proposta di Silano

Silano ha proposto una pena così estranea alle tradizioni di roma o perché teme per lo stato o perché scosso dall’enormità del crimine. Nel primo caso, stia tranquillo poiché roma è ben presidiata; nel secondo caso sappia che neanche la pena di morte sarà adeguata a tanto crimine. Infine, perché non ha proposto la fustigazione dei colpevoli, una pena a propria volta non comminabile nei confronti di cittadini romani? È paradossale farsi scrupoli legali riguardo a una pena meno grave della condanna a morte e proporre invece quest’ultima senza remora alcuna.

parr. 25-36(non riportati a testo)

esame politico della proposta di Silano

I senatori, scegliendo soluzioni che sul momento possono apparire giuste ma che poi degenerano nell’illegalità, rischiano di creare un precedente pericoloso. Cesare cita due exempla storici di ciò: i trenta tiranni ad Atene e le proscrizioni sillane a roma.

parr. 37-42 richiamo agli exempla del passato

Bisogna evitare un novum consilium e seguire la saggezza degli antenati, pronti ad adottare gli usi dei popoli stranieri (come la fustigazione e la pena di morte) qualora li ritenessero utili, ma poi ad abolirli se vedevano che davano luogo ad abusi.

par. 43 conclusione La proposta di Cesare è confiscare i beni dei congiurati e condannarli al carcere a vita nei municipi meglio presidiati.

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LINGuA E StILE Un discorso pacato Quello di Cesare è un di-scorso piuttosto pacato, che punta soprattutto sulle armi del ragionamento e del buon senso, mentre la replica di Catone sarà ben più ani-mata. Lo stile è però inconfondibilmente sal-lustiano (ricco di elementi come asindeto, an-titesi, variatio, allitterazione ecc.) e non vuole riprodurre fedelmente l’oratoria di Cesare.Solennità, sentenziosità e ironia Il solenne attacco del discorso (par. 1) richiama l’esor-dio dell’opera (Omnis homines); nota le due coppie antitetiche ab odio, amicitia / ira atque misericordia (con l’asindeto nel primo bino-mio variato dalla presenza della congiun-zione nel secondo). I paragrafi 2-3 hanno un tono sentenzioso cui bene si adatta l’asinde-to. Al paragrafo 9 vediamo una lunga serie asindetica di sei infiniti retti da enumeravere, cui seguono quattro sostantivi retti da omnia conpleri; questo elenco di crimini commessi o progettati dai catilinari è rafforzato dall’al-litterazione caedem incendia; cadaveribus, cruore … conpleri. È qui evidente la polemica ironica di Cesare (quasi una parodia stilistica) contro gli sfoggi di abilità retorica dei suoi ri-vali, che nulla aggiungono alla gravità del cri-mine, come mostra bene anche il sarcasmo del paragrafo seguente (Scilicet … adcendet). L’apostrofe e le interrogative retoriche Nella discussione della proposta di Silano è degno di nota il ricorso all’apostrofe diretta al console (te subegit, Silane, par. 18; addidisti, par. 21), che rafforza nel lettore l’impressio-ne di leggere le parole effettivamente da lui pronunciate; soprattutto è notevole il ricorso a una serie di interrogative retoriche (parr. 21-24) che, oltre a movimentare il discorso, danno agli argomenti di Cesare un’incisività e un’evidenza maggiori.

CoNtESto Cesare garantista Il punto centrale dell’ar-gomentazione di Cesare contro la condanna

a morte è che essa costituirebbe una inaccet-tabile violazione delle leggi, ma anche delle tradizioni romane: il diritto trova la soluzio-ne migliore nella fedeltà alla tradizione, non nell’innovazione priva di criterio. Per soste-nere questa linea, Cesare fa abbondante uso di exempla storici (parr. 5-6, 38-40). La questione di Rodi Sarà utile chiarire il riferimento ai rodii, certamente meno noto di quello a Cartagine (par. 5). L’isola di rodi era alleata di roma agli inizi del II secolo a.C. ed era intervenuta a fianco dei romani nella prima guerra macedonica e nella successiva guerra contro Antioco III di Siria, ricevendo in cambio alcuni territori dell’Asia Minore. I rapporti con roma si incrinarono quando rodi decise di rimanere neutrale nel terzo conflitto macedonico, combattuto contro il re Perseo e concluso con la vittoria ottenuta a Pidna da Lucio Emilio Paolo (168 a.C.). Alla fine della guerra, di fronte agli ambasciato-ri dei rodii venuti a perorare la loro causa, il senato mostrò un atteggiamento conci-liante, limitandosi a togliere a rodi i territo-ri donati in precedenza; fu proprio Catone il Censore (l’avo del Catone che si oppone qui a Cesare) a sostenere la necessità della clemenza, per prevenire il rischio che roma apparisse animata da una sete di vendetta ‘interessata’.La lex Porcia Quanto alla lex Porcia ricorda-ta ai paragrafi 22 e 40, bisogna fare qualche precisazione. Cesare sostiene che l’introdu-zione nella legislazione romana della fustiga-zione e della pena di morte deriverebbe dalla Grecia, ma in realtà esse dovevano risalire già all’epoca monarchica, essendo previste nelle XII tavole. In seguito, le tre leges Porciae de provocatione (risalenti al 198, 195 e 184 a.C.) vietarono la fustigazione e la pena di morte per i cittadini romani senza aver prima con-cesso loro di appellarsi al popolo (provocatio ad populum); ma quello che Cesare dimenti-ca (o finge di dimenticare) è che i catilinari,

Page 7: Il discorso di Cesare - HUB Campus...(proposta da Giunio Silano), e una linea moderata, che propone il confino e la confisca dei beni. Portavoce di queste due posizioni opposte si

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Il discorso di CesareSallustio

in base al senatus consultum ultimum, erano stati dichiarati hostes e non godevano più dei diritti di cives romani.

tEMI E MotIvI Cesare epicureo L’argomento più curioso portato da Cesare contro la condanna capita-le è senza dubbio la paradossale affermazio-ne secondo cui la morte, invece di essere un cruciatus, si risolverebbe in una requies per gli imputati, liberandoli da ogni pena (par. 20). tale argomentazione trova origine nella filosofia epicurea, che godette di molto se-guito nella colta classe dirigente romana del-la tarda repubblica. Epicuro considerava la

morte, in quanto annullamento completo di ogni sensazione, non un male, ma una libera-zione dalle angosce e dai dolori. La conferma che non si tratta di un’invenzione di Sallustio, ma che Cesare fece effettivamente ricorso a questo argomento, viene da Cicerone (quar-ta Catilinaria, 4,7): «[Cesare …] ha affermato che la morte non è stata costituita dagli dèi immortali quale strumento di supplizio, ma o come necessità di natura o come riposo dalle fatiche e dalle miserie della vita». Non a caso, tali argomentazioni saranno confutate, nella narrazione sallustiana, nel discorso di replica di Catone, simpatizzante dello stoicismo (par. 52,13).