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Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi Comunità OCDS Flos Carmeli - Parma Il Deserto…. Luogo d’incontro Giornate di Ritiro della Comunità 2017 - 2020

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Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi

Comunità OCDS Flos Carmeli - Parma

Il Deserto….

Luogo d’incontro

Giornate di Ritiro della Comunità

2017 - 2020

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Un ritiro è una questione d’amore. Ti metti sotto lo sguardo di Dio e vedi quanto ti ama, così come sei. Personalmente. Chiunque tu sia. Al punto in cui sei. Dio è così, Amore. Nella sua essenza. Il suo amore per te non dipende dal tuo amore per lui. La sua fede in te non diminuisce a causa della tua mancanza di fede in lui. Egli cerca il tuo cuore. Su, offriti!

Conrad de Meester ocd

LE GIORNATE DI RITIRO

Pensate per la formazione della Comunità del Carmelo Secolare Tere-

siano, sono aperte a tutti.

IL LUOGO DEI RITIRI

Le giornate di Ritiro si svolgeranno in luoghi differenti, anche luoghi che possono avere un legame con la devozione alla Madonna del Carmelo o alla spiritualità Carmelitana.

La Comunità OCDS “Flos Carmeli” di Parma

La raccolta contiene i testi delle relazioni delle Giornate di Ritiro del triennio 2017 - 2020, curati da Maria Carmela ocds della Comunità di Parma.

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Relazione e sintesi del commento sul Decreto sull’Apostolato dei Laici: APOSTOLI-CAM ACTUOSITATEM, svolto durante il ritiro spirituale del 24 Settembre 2017, dal teologo Prof. Marzio Ardovini, formatore presso le Fraternità Laiche Domeni-cane

Per conoscere il ruolo dei laici, ci riferiamo ai documenti redatti dopo il Concilio Vatica-no II, come la Lumen Gentium.

Divideremo in due sezioni quest’argomentazione:

1)Stamattina tratteremo dei fondamenti dogmatici che esprimono i significati della laicità nella Chiesa, in ambito quindi teorico,

2) Nel pomeriggio, con testo già stampato e distribuito, si procederà a realizzare una sin-tesi dei contenuti del documento, per evidenziarne le applicazioni pratiche e concrete.

Per comprendere bene il significato di “laico”, indagheremo su diverse tipologie di acce-zioni; nel senso più comune laico indica un membro del popolo di Dio non consacrato, non ordinato, cioè non appartenente ad un ordine religioso del Diritto Pontificio.

Anche i laici perseguono le Beatitudini Evangeliche, ma le perseguono in un modo diver-so, rispetto ai chierici, i quali vestono l’abito ed hanno l’obbligo di diverse mansioni nelle loro comunità religiose.

Inizialmente Laikos, uomo del popolo, viene contrapposto a chi non lo è e non ha un’i-struzione necessaria, né conoscenza di discipline teologiche, per lo svolgimento dei prin-cipali atti liturgici ed ecclesiastici.

Nell’epoca passata il divario laico/chierico era fortemente evidenziato e sottolineato, la rigida separazione era rispettata da tutti, ma grazie al Concilio Vaticano II è avvenuto un superamento di questa ambivalenza, poiché si è compreso che il clero ed il popolo prega-no insieme ed insieme progrediscono e camminano per la costruzione e l’edificazione del Regno di Dio.

Per questo tutti i fedeli laici sono chiamati all’Apostolato, oltre ad aver ricevuto quindi i Sacramenti, devono operare nel proprio modo, perché il Regno di Dio venga stabilito in ogni luogo. La collaborazione dei laici apre a varie progettualità messe in atto, ad esem-pio l’Azione Cattolica e varie associazioni.

Papa Paolo VI, con un Decreto specifico, Cattolica Christe Ecclesia, istituì il Pontificio Consiglio dei laici, in seguito, Papa Francesco superando questo testo, lo ha profonda-mente ampliato, inserendo argomentazioni attuali, riguardanti la difesa della vita e della famiglia e le nuove possibilità di evangelizzazione.

Laico, inoltre, indica colui che è slegato da qualsiasi fede confessionale e non confessio-nale, non si fa condizionare da nessuna struttura giuridica, ecclesiastica e politica.

Oppure si intende per laico, la persona che in ambito politico, libero da qualsiasi influen-za, lavora per uno stato completamente autonomo, persino dalla morale, perciò favorisce l’approvazione di leggi, anche discutibili eticamente, purché vengano votate dalla mag-gioranza della popolazione.

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Mentre il mondo cattolico, l’Europa sud-occidentale, rimane sostanzialmente unito sotto l’autorità del pontefice, i cosiddetti protestanti, cioè coloro che contestano l’autorità del Papa, si dividono in confessioni che non sono tra loro necessariamente coerenti o che si alleano in funzione anticattolica. Il concetto laico di libertà individuale si affermerà in quello protestante, perché venendo meno un’autorità religiosa centrale, sia le comunità, sia i singoli individui tenderanno ad affermare un diritto fondamentale all’autonomia, alla scelta della pro-pria confessione religiosa. Quindi si avrà il permanere di strutture autoritarie nel mondo cattolico, l’indebolirsi delle strutture politiche e della religione nel mondo protestante. Inoltre, in un mon-do in cui permane l’autorità del Sacerdote che legge e interpreta il testo sacro per i fedeli, l’esigenza di una conoscenza diretta del Testo Sacro è minore. Dunque, i pae-si protestanti si alfabetizzeranno prima di quelli cattolici. La Germania da lì a poco diventerà uno Stato Federale, la cui religione più praticata diffonde uno strenuo Pessimismo, Soggettivismo e freddo Relativismo. Solo più tardi la Chiesa interverrà a sua difesa con le azioni della Controriforma e più ancora con il Concilio di Trento (1545-63), in cui si ribadisce la legittimità della dottrina della Chiesa cristiana di Roma, e vengono riconfermati i Sacramenti, ristabilendo la sua Autorità, nel Verbo Divino Eterno e nella Verità della Sacra Scrittura. Di fronte a queste profonde lacerazioni che dilaniano il Corpo di Cristo ci uniamo a Gesù, che nella sua preghiera “pro unitate”, chiede al Padre che i credenti in Lui “siano perfetti nell’unità, perché il mondo creda che tu mi hai mandato e li hai amati come ami me” (Gv 17,21). Raccogliamo infine il pensiero Conciliare di Paolo VI, il quale così si esprime: "La forza dell'Evangelizzazione risulterà molto diminuita, se coloro che annunciano il Vangelo, sono divisi tra di loro da tante specie di rottura. Non sarebbe forse qui uno dei grandi malesseri dell'evangelizzazione? Infatti, se il Vangelo che procla-miamo appare lacerato da discussioni dottrinali, da polarizzazioni ideologiche o da condanne reciproche tra i cristiani in balia delle loro diverse teorie sul Cristo e sulla Chiesa... come potrebbero quelli a cui è rivolta la nostra predicazione non sentirsene turbati, disorientati, se non addirittura scandalizzati? Sì, la sorte dell'e-vangelizzazione è certamente legata alla testimonianza di unità interna della Chie-sa" (Evangelii nuntiandi, 77).

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Ancora, il termine laico, in alcune accezioni, si riferisce alla condizione di funzionari della giustizia e della Magistratura, che rimangono esclusi dalla carriera.

Per accedere alla lettura della Lumen Gentium, consideriamo una premessa: Cristo è VIA, VERITA’ e VITA, Profeta, Sacerdote, Re e ci santifica, rendendoci conformi secondo le nostre possibilità.

Ai n.30-37 del Documento si spiega che i Chierici non hanno ricevuto tutto il peso

per diffondere la Missione, anche i laici vi contribuiscono. La Chiesa opera per la

Salvezza delle anime per mezzo di Cristo, che è l’Ultima e Definitiva Parola nel

“Tutto è compiuto”, Egli è il capo e noi siamo sue membra:”Al contrario, vivendo

secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il

Capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la col-

laborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza

per crescere in modo da edificare se stesso nella carità”.(Ef. 4,15-16)

La Chiesa è un organismo vitale, il corpo mistico stesso di Gesù, per cui i peccati de-gli uomini lo deteriorano, così come i meriti personali contribuiscono ad arricchirlo spiritualmente. Dunque, anche i laici sono resi partecipi dell’Ufficio sacerdotale, na-turalmente, nel loro carattere secolare, come d’altra parte i sacerdoti possono esercita-re alcune attività secolari.

Il clero esercita il suo Ministero, i laici, nella loro ordinaria condizione, trattano le cose temporali, in modo da orientarle verso Dio, perché tutti noi, come fermento, pos-siamo operare per la santificazione del mondo, che va cristianizzato attraverso l’eser-cizio delle Virtù teologali, per rendere il mondo come Dio lo ha desiderato. I Chierici ed i Laici sono entrambi FIGLI, chiamati alla santità, al lavoro nella vigna, infine in Paradiso “non ci sarà più né giudeo, né plebeo…”, saremo insieme, anche se lo rag-giungeremo con modalità diverse. La Laicità è partecipazione alla missione salvifi-ca della Chiesa.

Inoltre molti membri laici, senza essere religiosi, per specifiche competenze e profes-sionalità, ricoprono funzioni religiose. Essi quindi, partecipano al sacerdozio comune attraverso il culto spirituale, infatti durante la Celebrazione Eucaristica, all’Elevazio-ne, ci offriamo come pane e vino anche noi, unitamente ai sacerdoti, attraverso Cristo, che si offre per tutti noi, per ricongiungerci al Padre.

La Laicità è partecipazione alla missione profetica di Cristo, il quale misticamente esercita il suo ministero. Il sacerdote proclama e spiega le Scritture, noi testimoniamo la proclamazione del Regno in ogni momento, nell’espressione delle attività secolari.

La testimonianza è continua e perpetua, il suo esercizio per eccellenza è nella vita matrimoniale e nella vita politica e sociale.

Naturalmente il laico dovrà istruirsi nella conoscenza della Parola di Dio, della Dottri-na della Chiesa, ecco l’importanza della FORMAZIONE.

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Rinnovamento della Chiesa, affinché ritorni agli albori della sua Costituzione, libe-randosi dalla corruzione del presente, dai lussi, dalla ricerca del Potere e recuperando i principi di Carità evangelica e dello Spirito delle Beatitudini. Erasmo da Rotterdam fu un importante esponente di questa corrente letteraria, figlio di un prete, sostenne la “Devotio moderna”, un nuovo modo di porsi davanti alla fede, che rifiutava la religiosità corrotta del tempo. La sua opera più importante fu L’Elogio della Follia in cui appunto denunciò il malcostume del clero. Ma il suo tentativo mancò di coraggio e determinazione, soprattutto perché Erasmo fondava le sue tesi su uno studio prettamente filologico delle Scritture, perdendosi nell’intricato mondo delle parole, tralasciando il senso ultimo del significato, che esse rappresenta-no per la fede di ogni uomo. Inoltre la sua critica era piuttosto volta a burlarsi dei suoi interlocutori, invece che fondata su valutazioni costruttive ed edificanti. Quando poi gli chiesero di avallare la posizione della Riforma, cedette alla prospetti-va di una vita agiata e lussuosa che gli era stata offerta in cambio, così accettò. Si trasferì a Basilea, dove morì qualche tempo dopo. La Riforma si diffuse, senza che dalla parte della Chiesa, ci fosse stato il minimo tentativo di fermare questo scisma, con la riconferma di una sana e sacra Dottrina ed il ripristino della giusta Osservanza. La questione delle Indulgenze fu la scintilla che fece esplodere il movimento Prote-stante in Germania. Allo scopo di procurarsi il denaro necessario alla costruzione della Basilica di San Pietro, Papa Leone X bandì tra i nobili cristiani una raccolta di denaro, promettendo in cambio a coloro che avessero effettuato un’offerta, un’indul-genza. In Germania la raccolta fondi venne organizzata, con forme estremamente esose dall’Arcivescovo di Magonza, i cui emissari cercarono di costringere le popo-lazioni ed i contadini, a versare loro la somma richiesta. Questo modo di procedere provocò lo sdegno fra i popolani e scatenò la ribellione di Martin Lutero. Lutero terminati i suoi studi universitari, prese gli ordini sacri ed entrò nell’Ordine dei frati Agostiniani, divenendo professore di Filosofia e Teologia all’U-niversità di Wittenberg. Dopo lo scandalo suscitato dalla vendita delle indulgenze, Lutero pubblicò alcune tesi, soprattutto per discutere con i suoi studenti della corru-zione dilagante, ed alimentare non una ribellione, ma una discussione istruttiva ed efficace. Ma col passare del tempo le tesi divennero un vero manifesto di protesta dichiarata contro il Papa. Allora Leone X lanciò la sua scomunica contro di lui, ma gli studenti bruciarono pubblicamente la Bolla e Lutero a sua volta scrisse all’Impe-ratore, proponendogli di secolarizzare i Beni Ecclesiastici e togliere Roma al Papa. Per calmare le acque, l’Imperatore Carlo V nel 1521 convocò la Dieta di Worms, davanti al quale Lutero confermò le proprie opinioni, asserendo che le avrebbe ritira-te solo quando, attraverso le Sacre Scritture, fossero state riconosciute sbagliate. Lu-tero fu messo a bando, ma venne rapito e condotto nel castello di Wartburg, podere del Principe di Sassonia, suo ammiratore, che lo ospitò fino a che ritornò a Witten-berg, mentre Carlo V era impegnato nella guerra. La dottrina di Lutero si fonda su tre principi essenziali: la Giustificazione mediante la Fede; l’Autorità della Sacra Scrittura; Il Sacerdozio universale dei credenti. Tuttavia egli non rimase fedele ai principi iniziali, ed organizzò la Chiesa Luterana, dotandola di propri pastori e vescovi.

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La Laicità come partecipazione alla missione regale di Cristo è l’attitudine al Servi-zio. Se il fine della Chiesa è estendere il suo Regno in tutto il mondo, il laico deve vivere nel servizio, prendendo la propria Croce e salendo il Calvario.

Cristianizzare il creato: con la loro competenza, i laici portino efficacemente l’opera loro, per l’utilità di tutti gli uomini e diffondano il progresso della libertà umana, “così che Cristo sia tutto in tutti”! Siamo stati creati a immagine di Dio, per migliorare il mondo e la società che viviamo, la tecnologia poi sia a servizio dell’uomo e non il contrario, per-ché ci si conformi alla giustizia divina, rifiutando discriminazioni, differenze sociali e condizioni di schiavitù. In questo senso, il “laicismo” ha ostacolato la diffusione del Re-gno di Dio, ma noi dobbiamo ristabilire un equilibrio, in modo da usare i beni di questa terra nel bene, nella carità e nel servizio, cristianizzando la società e conformandola ai desideri del Padre. Questa attivazione del laico, nella bontà e nella generosità del servi-zio, darà il fondamento per stabilire uno stato di condivisione e fraternità “in cui avrà stabile dimora la giustizia” e verrà il Regno di Dio. Così parteciperemo all’ufficio sacer-dotale, profetico e regale di Cristo, nell’azione propria di collaborare con i chierici, per tale realizzazione.

Infatti, siamo inseriti nel Corpo mistico di Cristo per mezzo del Battesimo, fortificati dal-la virtù dello Spirito Santo per mezzo della Cresima e col Sacramento dell’Eucaristia siamo alimentati dalla carità, per sollecitare e procurare la gloria di Dio, con l’avvento del suo regno e la vita eterna a tutti gli uomini:”perché conoscano l’unico vero Dio a colui che egli ha mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).

Come laici, si dimostri sempre profondo rispetto nei confronti dei chierici, allo stesso modo si richieda rispetto anche per la nostra condizione laicale, perché partecipi del sa-cerdozio comune, saremo tutti insieme in Paradiso, davanti al Padre, il quale come sacer-dote eterno, distribuirà in eterno, indistintamente, la grazia della sua visione.

Leggiamo infine al n.38, nelle ultime frasi, che ogni laico è testimone della Resurre-zione, e tutti insieme, laici e chierici devono nutrire il mondo per esserne l’anima.

RELAZIONE e sintesi sul TEMA della giornata di Ritiro Spirituale comunitario “Videro il Bambino e sua Madre” spiegato da P. Renzo Bertoli. “Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono”. (Mt 2, 10-11) Nella società contemporanea che viviamo, sembriamo aver smarrito il senso del Divino, il rumore del Secolo ci allontana dalla voce di Dio e ci impedisce persino di sentire in noi stessi il desiderio di innalzarci verso l’alto.

Come faccio quindi a fare esperienza di Dio, in un mondo che tradisce continuamente il

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Unico tratto caratteristico, nel periodo “enriciano”, fu l’antipapalismo; giacché il Re in persona difese a spada tratta la presenza reale di Cristo nelle Specie Eucaristiche, il celibato ecclesiastico e la liturgia in latino. Semplicemente, con il suo Scisma egli si era autonominato superiore al Papa e aveva incamerato i Beni Ecclesiastici, com-presi i ricchi tesori dei Santuari e delle mete di Pellegrinaggio. Il che non significa assolutamente, che Enrico fosse rimasto cattolico. Il Protestantesimo subentrò a quella forma scismatica ambigua solo alla morte di Enrico VIII, sotto Edoardo VI e poi, notoriamente, dopo la parentesi di Mary Tudor, sotto Elisabetta I. Diversamente da come aveva pensato Enrico, infatti, una via di mezzo semplicemente non esisteva: una volta reciso il legame con Roma, l’unica alleanza possibile, politica e religiosa, era con i protestanti. Anche se Enrico aveva continuato a mandarli al rogo come eretici. Il protestantesimo britannico degli anni a venire rimase dunque sempre molto a sé stante, perché si trattò di una scelta secondaria e relativamente tardiva. Quella pri-maria fu l’obbedienza assoluta al sovrano, in campo tanto spirituale quanto tempora-le. Fu la nascita del totalitarismo moderno, con tanto di culto della personalità. La revisione del rito dell’Ordinazione dei pastori della Chiesa (Ordinale) non portò a nessuna importante variazione rispetto all’edizione precedente che, mantenendo solo la consegna della Bibbia come strumento per l’ordinazione presbiterale, elimi-nava di fatto il linguaggio sacrificale a vantaggio del ruolo profetico del pastore. In tal modo furono poste le premesse per non riconoscere, in campo cattolico, la validi-tà dell’Ordinazione. Infine la confessione di fede, di stampo più calvinista che luterana, fu redatta sulla base degli articoli già promulgati da Edoardo VI (erano 42) e fu denominata I 39 Articoli (1563). Attualmente la gerarchia all’interno dell’Anglicanesimo è stata conservata, infatti esistono tre tipi di Chiese: Alta, a cui appartengono le classi sociali della nobiltà e l’alto clero filo-cattolico; Bassa: parte povera del popolo, bassa borghesia filo-calvinista (a cui anche Cromwell apparteneva); ed infine Larga, in cui ognuno cre-de quello che vuole ed è quindi priva di alcun riferimento dogmatico. L’Anglicane-simo negli ultimi anni è entrato in una grave crisi e molti hanno chiesto di rientrare in seno al Cattolicesimo. Il Papa Emerito Benedetto XVI ha emanato per questo un provvedimento, per con-sentire ai Preti anglicani di ristabilirsi nella Chiesa Apostolica, Romana alla condi-zione che rimangano preti, esclusi dall’elezione a Vescovi, i cosiddetti Protonotari Apostolici. In questa categoria è possibile distinguere la gerarchia d’ordine, per cui si assumono e si esercitano i poteri episcopali, i poteri vescovili, senza di fatto esserlo ufficialmente; la gerarchia di giurisdizione composta dai Sacerdoti, Cardi-nali fino al Papa, investiti realmente della carica corrispondente. Germania-Protestantesimo Mentre in Europa si diffonde un nuovo amore per la cultura delle Lettere, l’Umane-simo, attraverso cui l’uomo riacquista una posizione centrale nell’Universo e si riaf-ferma l’affezione per la bella letteratura classica, si diffondono idee che chiedono un

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Vangelo? Come possiamo vedere Dio, offuscati da false e precarie luci, che ci distrag-gono? Forse nei futuri libri di storia, la nostra generazione sarà accusata di Apostasia, perché dopo esserci cibati del Corpo di Cristo, viviamo poi come se non esistesse, nella fred-dezza e tiepidezza, in modo del tutto incoerente all’insegnamento che ci ha lasciato.

Consideriamo dunque due punti, oggetto oggi della nostra riflessione:

I punto: nel Vangelo di Matteo si parla di una stella, che troviamo varie volte nella Bibbia, ad esempio in Apocalisse 22, 16:”Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle chiese, io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino.” E ancora in Ap 2, 28:”…Con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio e darà a lui la stella del mattino”.

Magi condotti dalla stella, intraprendono un viaggio e fanno l’esperienza di incontrare Dio. Così anche noi, in piena libertà, consapevoli di scegliere chi desideriamo amare e da chi vogliamo esser amati, ci disponiamo a compiere un cammino che ci conduca a Dio.

Come i Magi, alimentiamo il desiderio che ci spinge a cercare in alto, ad elevarci nel-lo spirito per conoscere Gesù, per incontrarlo, per raggiungere la stella, faro della no-stra esistenza e guida sicura per il nostro percorso.

punto : Poiché siamo coeredi di Cristo (Cristo è venuto nel mondo, perché l’uomo diventi Dio) anche noi dobbiamo con forza decidere di amare Dio, solo così posso entrare nella sua dimensione, e respirare e vivere questa fede e questo desiderio. Cer-chiamo poi di eliminare ciò che ci allontana dal Signore, sull’esempio di S. Giovanni della Croce, che ci indica l’esigenza di liberarci da ogni cosa vana, dall’attaccamento eccessivo ai beni terreni, dagli affetti smodati, dalle cadute nel peccato e dagli eccessi della vanità, per essere in grado di amare pienamente e veramente. Se ci guardiamo dentro, scopriremo i nostri ostacoli e potremo combatterli.

1 Il verbo vedere indica la visione nella fede, possibile in virtù dello sforzo personale compiuto, la contemplazione di ciò che si desidera. Una volta raggiunta, dopo essere entrati, si può pienamente aderire, possiamo anche noi prostrarci, ed in-ginocchiarci davanti alla regalità del Cristo.

Abbiamo quattro settimane per prepararci alla venuta di Nostro Signore. La fede, che è una relazione affettiva tra creatura e creatore, è rappresentata come la volontà di entrare nel Mistero e vedere Gesù e sua Madre, così adorarli in spirito e verità!

In questo ambito ci soccorrono tre elementi fondamentali: 1) I SACRAMENTI, che sono gli ATTI

CONCRETI di Cristo Risorto, atti della presenza e dell’amore di Dio.

2) La meditazione della PAROLA, per noi carmelitani base fondamentale della no-stra Regola, in cui si sottolinea approfonditamente la necessità di meditare la Parola notte e giorno, per vivere di essa ed indirizzare la propria vita ai suoi insegnamenti. 3) La VOCAZIONE, come risposta alla chiamata del Signore, di cui ci si rende consa-

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Nella Storia della Chiesa, alcune forme di Eresia diedero vita a veri e propri Scismi, che rappresentarono una grave violazione dell’Unità e la distruzione della Comunio-ne del Corpo di Cristo. Se lo Spirito Santo riunisce, armonizza, l’eresia divide, sepa-ra, provocando fratture invalicabili difficili da ricomporre, se non impossibili. Infatti ancora oggi la Chiesa manifesta le sue dolorose ferite, ma in virtù della Divina Pre-senza che in essa abita, la Speranza mai abbandonerà il tentativo incessante di trova-re un confronto pacifico, attraverso la preghiera e soprattutto nuovi rapporti di me-diazione e di comunione. Inghilterra-Anglicanesimo Quando scoppiò la riforma luterana, Enrico VIII dimostrò immediatamente un atteg-giamento di condanna nei confronti del protestantesimo e tale sua posizione «cattolica» sui principi dottrinali rimarrà costante per tutta la sua vita. Nello stesso tempo, però, a partire dal 1527, egli non fu per nulla turbato quando, per voler annullare il suo matrimonio con Caterina d’Aragona (che non gli aveva dato un figlio maschio) e così sposare Anna Bolena, dette il via allo Scisma con Roma. A questo proposito per Enrico “lo scisma valeva bene la continuità dinastica”. Impos-sibilitato a ricevere l’annullamento del matrimonio da papa Clemente VII, Enrico VIII ruppe definitivamente con Roma attraverso l’Atto di Supremazia (1534) nel quale egli si proclamava capo supremo (head) della Chiesa d’Inghilterra rifiutando il primato del Papa. Ciò significava, nel concreto, un pieno controllo dell’autorità regia sulle cose della religione. Alla sottomissione dell’Episcopato e alla nomina del Primate (l’arcivescovo di Canterbury), si aggiunsero le spoliazioni e l’incameramento dei Beni Ecclesiastici (soprattutto monastici) che andarono a rimpinguare le casse dello stato, attraverso la vendita ai privati. Alla morte di Enrico (1547) sia la situazione confessionale, sia anche quella politico - dinastica apparivano comunque tremendamente incerte. Con il successore, Edoardo VI (1537 - 1553), unico maschio avuto da Enrico VIII in sei matrimoni, o almeno l’unico sopravvissuto, si può dire tuttavia che la riforma protestante cominciò ad at-tecchire con un buon margine di sicurezza e fu effettivamente in questo periodo che avvenne la massima «protestantizzazione» dell’Inghilterra. Nel 1553 Edoardo VI, il giovane e malaticcio sovrano morì e gli successe Maria Tu-dor(1516-1558), figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona. Maria tentò invano di reintrodurre il Cattolicesimo in Inghilterra e lo fece con durezza, ma i suoi sforzi risultarono vani. La società inglese, almeno in quegli strati sociali più dinamici ed in ascesa, aveva ormai abbracciato la Riforma Protestante. Cosicché con Elisabetta I (1533 - 1603), il protestantesimo fu definitivamente «istituzionalizzato» in una Chie-sa di stato. Sul piano religioso Elisabetta fu sempre assai conservatrice. Ma in realtà uno dei primi suoi obiettivi fu, oltre a scongiurare ovviamente un ritorno del Cattolicesimo, quello di smorzare le spinte in avanti, che si erano verificate nella Liturgia e nella Dottrina sotto Edoardo VI e Thomas Cranmer.

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pevoli solo se ci si mette in ascolto della volontà di Dio, solo se si vive nella ricerca e nell’attesa del suo amore, potrà essere rinsaldata dalla coerenza di vita, che si concretizza nell’Onestà e nella Fedeltà.

Dio agisce in noi attraverso due modi: nell’Atto Creativo: nell’atto della concezione il Signore ci ha già donato tutto di bene e di grazia, così come ogni possibilità di realizzarci, siamo Talento puro e dobbiamo solo saper sfruttare le nostre capacità. Nella Vita di Fede: seguendo la vocazione ricevuta, il Signore ci dispone dei doni che si possono far fruttifi-care, se ci impegniamo seriamente nella sequela di Cristo. Vivere il Vangelo ci proietta già verso l’Eterno, la Croce già filtra i bagliori della Resurrezione e la speranza diventa carità assoluta.

Nel “Cantico dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per fede” S. Giovanni della Croce esalta la libertà dell’anima, che trova la forza di attraversare la paura, il buio, l’an-goscia, pur di dissetarsi alla fonte di acqua viva. Nelle strofe è presente il concetto di Dio come eterna fonte, il passaggio dell’uomo nella notte della fede per accedere all’acqua, l’amore per l’Eucaristia come pane che soddisfa ogni bisogno e desiderio umano, come viatico, come bene primario e assoluto.

Leggiamo qualche verso e meditiamo:

“La sorgente ben so che emana e scorre, anche se è notte.

Quella fonte eterna sta nascosta, ma io so ben dove sta riposta, anche se è notte.

Sua origine non so, ché non ne ha, ma ogni origin so che da essa viene, anche se è notte.

So che esister non può cosa sì bella, e cielo e terra bevono di quella, anche se è notte.

So che suolo in essa non si trova e che nessuno di guardarla prova, anche se è notte.

La sua chiarezza mai viene offuscata, ed ogni luce so che da lei è venuta, anche se è not-te.

Codesta fonte eterna sta nascosta in questo vivo pan per darci vita, anche se è notte.

Cotesta viva fonte che io bramo, in questo pane di vita io la vedo, anche se è notte”.

Relazione sulla Lettera Apostolica “ROSARIUM VIRGINIS MARIAE” di S. Gio-vanni Paolo II, trattato da P. Roberto, durante il Ritiro spirituale Quaresimale del 18 Febbraio 2018. Il Rosario, per cui questo Documento è stato realizzato, non è da definirsi semplice pre-ghiera devozionale, e se in passato i nostri Padri Fondatori avevano espresso un’avversio-ne alle miriadi di devozioni diffuse tra i fedeli, era perché diventavano la conseguenza di un eccessivo devozionismo o principio di superstizione, che piuttosto di stimolare le per-sone a compiere una conversione del cuore, alimentavano la credulità di una facile salvez-

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sua origine ed il suo fine. L’adagio della Chiesa antica extra ecclesiam nulla salus (fuori della Chiesa non v’è salvezza) va interpretato come espressione dell’inseparabilità della volontà sal-vifica universale di Dio dalla Sacramentalità della Chiesa e non come affermazione categorica sul destino finale di chi cristiano o cattolico non è. L’affermazione relati-va alla necessità salvifica strumentale della Chiesa va vista insieme con le afferma-zioni relative alla volontà salvifica universale, che può raggiungere il suo scopo anche al di fuori dei confini della Chiesa visibile. Ovunque però la grazia di Cristo è all’opera, lì essa tende per sua propria natura a realizzarsi in maniera Sacramentale ed Ecclesiale piena. La necessità della Chiesa risulta dal Comandamento di Cristo che l’ha destinata a essere il mezzo della sal-vezza. Sul piano della visibilità della Chiesa esiste una forma graduata di apparte-nenza a essa, in qualità di sue membra: “Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiasti-co e dalla comunione, sono uniti, nell’assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi” (LG, 14). La Chiesa ha un origine molto lontana e la sua evoluzione lenta e progressiva, evi-denzia una continua modifica dei procedimenti via via adottati e poi superati, in vista di un miglioramento nell’esplicazione della Dottrina, e di un efficace adegua-mento alla realtà storica contemporanea. La Pedagogia divina accompagna l’uma-nità nel suo processo di maturazione, per cui se inizia con la Predicazione della Buona Novella, insegnando la preghiera e prefigurando già una struttura ben costi-tuita per l’edificazione del Regno, si evolve e si sviluppa poi, nei modi in cui lo stesso Spirito Santo trova, per compiere i passi opportuni tesi alla diffusione della Grazia, per il raggiungimento della Salvezza Universale. Attraverso i Sacramenti, segni e strumento dello Spirito Santo, la grazia di Cristo si manifesta nella Chiesa e per analogia, anch’essa è Sacramento, come segno visibi-le dell’intima unione degli uomini con Dio. Inoltre è il Sacramento dell’unità del genere umano, in quanto raduna tutti gli uomini di ogni nazione e lingua. La Chiesa è strumento di Cristo, “svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo”(Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 45). “Essa è il progetto visibile dell’amore di Dio per l’umanità”(Paolo VI, discorso 1973). II Parte Prima di procedere alla seconda parte, riassumiamo in maniera molto sintetica i due principi costitutivi, che si trovano alla base del nostro argomento: 1)La Chiesa è una realtà Dogmatica; 2) La Cristologia dipende dall’Ecclesiologia, e vicever-sa, per cui vi è una netta corresponsabilità, una stretta correlazione che risulta indissolubile.

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za. Lo stesso avveniva per le innumerevoli reliquie conservate ed esposte nelle chiese, che diventavano talismani magici in grado di cancellare repentinamente ogni peccato e senza alcuno sforzo.

Dopo il Concilio Vaticano II, si è proceduti ad una purificazione delle devozioni, e ad una loro corretta interpretazione.

Il Rosario quindi è in tutti i sensi, una preghiera contemplativa, attraverso cui si medita tutta la vita di Gesù, e la si contempla mediante gli occhi di Maria. Infatti spesso il Ro-sario, viene detto il Vangelo di Maria: ogni momento della vita pubblica e privata di Gesù, con gli occhi di Maria, assumono il significato di Mistero da meditare e contem-plare, secondo il Suo atteggiamento di silenzio e ascolto.

Questa è la via perfetta per giungere a Gesù. Maria senza comprendere appieno il senso di ciò che accadeva, rimaneva in silenzio, a meditare ogni attimo della vita di Suo Fi-glio, e lo custodiva preziosamente nel suo cuore. La preghiera del Rosario allora espri-me la perfetta Consacrazione alla Madonna, secondo la stessa considerazione di S. Lui-gi M. da Montfort: le grazie chieste al cielo dalla terra passano dal sì di Maria, perfetta mediatrice di misericordia!

S. Giovanni Paolo II ha scritto questo Documento proprio per amore di Maria. Ricor-diamo che S. Giovanni P. II desiderava diventare Carmelitano, ma per il momento sto-rico che la Polonia viveva e per le necessità della curia, divenne prete diocesano, tutta-via espresse sempre una predilezione per Maria e l’Ordine del Carmelo, infatti la sua tesi di Laurea trattò la Dottrina della Fede di S. Giovanni della Croce.

Il Rosario, molto probabilmente nacque intorno al 1200, diffuso dai Domenicani, che si preoccuparono di insegnare una preghiera semplice al popolo, che non poteva permet-tersi di acquistare il libro dei Salmi. Infatti al posto dei 150 Salmi da recitare ogni gior-no, si suppliva col salterio delle 150 Ave Maria.

Ora, nonostante la diversificazione e la moltiplicazione dei testi a disposizione per la diffusione del Catechismo e dell’Evangelizzazione cristiana, il Rosario conserva la di-mensione di preghiera accessibile a tutti, universale, ma che deve esser recitato con molta attenzione e nella serenità dello spirito, perché la Parola possa risuonare, decanta-re giustamente dentro al cuore, per non mortificarla con la nostra disattenzione o man-canza di accoglienza.

L’Ave Maria si recita respirando la Parola lentamente e secondo le disposizioni sugge-rite di S. Giovanni P. II, si proceda prima della decina e leggere un breve brano del Vangelo, parole ispirate realmente dallo Spirito Santo e dopo la decina qualche attimo di silenzio.

Nella Storia della Chiesa molti Papi ne hanno sostenuto la validità ed importanza, come Leone XIII, al cui proposito scrisse 3 Encicliche e una ventina di documenti; poi ancora Paolo VI e Giovanni XXIII. Ricordiamo che gli ultimi Papi non hanno esitato ad am-mettere che hanno portato anche lo Scapolare, per la grande devozione a Maria.

Quindi possiamo dire che accanto alle preghiere Liturgiche Obbligatorie che sono l’In-

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Salvatore, incarnandosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi

come sorgente di vita divina”.

Dio ha creato il mondo in vista della Comunione alla sua vita divina, che si realizza

appunto nella Chiesa:”Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama

mondo, così la sua intenzione è la salvezza dell’uomo, ed essa si chiama Chiesa”

Clemente D’Alessandria, Paedagogus.

La Chiesa si poggia su di una struttura ben precisa: Gesù sceglie i dodici Apostoli,

che rappresentano le dodici tribù di Israele, e Pietro, posto come loro capo. Con

questa azioni Cristo prepara ed edifica la sua Chiesa.

In modo particolare è Pietro, quale portavoce della comunità pre-pasquale dei disce-poli e quale primo testimone della Risurrezione, il garante dell’unità della comunità pre-pasquale dei discepoli di Gesù e della Chiesa post-pasquale di Cristo. In seno al collegio degli Apostoli, egli occupa una posizione preminente, come testimone e proclamatore della fede in Cristo. Così, ad esempio, nel Vangelo secondo Matteo: Disse loro: “Voi chi dite che io sia?” Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,15-19). Oppure, in san Luca: “Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). Lo stesso troviamo negli Atti degli Apostoli ( At 2,32; 10,37-43; 15,8). A Pietro il Signore Risorto affida il ministero pastorale universale nei confronti dei propri discepoli e quindi il ministero dell’unità universale della Chiesa. “Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio be-ne”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15-17). “La sua struttura è ordinata alla santità delle membra di Cristo”, Maria ci precede in questa via, in quanto Sposa senza macchia né ruga. Per questo motivo “la dimensio-ne mariana della Chiesa precede la sua dimensione petrina” (S. G. Paolo II Mulieris Dignitatem, 27). Essa avrà pieno compimento nella gloria del Cielo, per cui quaggiù, lontana dal Si-gnore, si sente in esilio. Il compimento della Chiesa avverrà attraverso molte prove, fino a che tutti i giusti, saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa Universale. Inoltre la Chiesa è visibile ed universale, umana e divina, esattamente come Cristo, che è la

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vitatorio, le Lodi, l’Ora Media, Vespri, Compieta, recitate dalla Chiesa tutta nel mondo, la preghiera del Rosario, pur non essendo obbligatoria, non è da trascurare, perché pre-para degnamente il fedele alla recita delle preghiere obbligatorie e le alimenta col frutto della docilità ed ascolto, proprio di Maria.

I nostri Santi Carmelitani ci invitano a pregare incessantemente e ad offrire ogni attimo della giornata, perché il nostro cuore cambi e si converta.

Se vogliamo sapere se la nostra preghiera dà frutto, è nel cambiamento la sua misura: più saremo disposti al bene, alla carità, all’esercizio delle virtù, più avremo permesso alle preghiera di cambiarci, convertirci. Senza questo positivo cambiamento la preghie-ra sarà sterile e vuota e dovremo chiederci cosa stiamo facendo, per chi o cosa.

In fondo dopo aver pregato, come sottolineava S. Teresa D’Avila, siamo solo all’inizio del cammino, poiché poi bisogna concretizzare quella preghiera nella vita quotidiana, attraverso gli atteggiamenti e comportamenti verso quelli che più ci sono vicini e verso tutti gli altri. Sarebbe triste, se alla fine di tanto pregare, restassimo sempre gli stessi e non si cambiasse mai in nulla, sicuramente non saremo mai perfetti, e dobbiamo accet-tarci per quello che siamo, ma aspiriamo almeno a fare qualche piccolo passo avanti, mediante le virtù della costanza, perseveranza e fedeltà, senza fermarsi mai.

Seppure ci si lamenti, non è tanto nel lamentarsi che vi è peccato, ma la mancanza di fiducia e di fede nei confronti di Dio, che attraverso quel lamento si esprime. Da sem-pre il popolo indulge nel “pianto”: il popolo ebraico, Mosè, Geremia, Giobbe e molti altri profeti, perché quando il Signore chiama ad una missione, questo comporta un vero combattimento, da sostenere quotidianamente. Nel buio della notte, seguiamo il faro della preghiera, per conoscere sempre chiaramente la direzione, così nella recita del Rosario, la vita è orientata alla carità, al dialogo con Dio, scandita dal suo ritmo prezioso.

Il Rosario è la preghiera che appartiene a tutti e rappresenta i momenti della vita di Ge-sù, ma anche i nostri, della famiglia, della nazione e del mondo intero, esso rappresenta un cammino da compiere, il programma di vita dell’uomo di buona volontà, che vuole seguire Gesù, per mezzo di Maria.

Secondo S. Giovanni Paolo II vi sono due risvolti concreti, correlati alla vita pratica, riguardo la recita costante del Rosario:

La sua recita sarà utile per evocare il dono della Pace. L’impegno nel servizio della pace, per diventarne effettivi costruttori si stabilisce con l’aiuto di Dio, con atto di affi-damento vero espresso nel Rosario, che getta i semi ovunque. La tentazione in questo caso è di dissipazione a causa del male. Matteo scrive al cap. 24,12: “A causa dell’ini-quità del mondo, molti cuori si raffredderanno”, allora dovremo ri-guardare il mondo con gli occhi di Gesù, generosi e caritatevoli, per vincere e resistere nell’attesa del Be-ne.

Il Rosario, recitato in famiglia è emblematico supporto, per superare la crisi epocale che si dispiega davanti a noi oggi. La famiglia che recita questa preghiera rappresenta

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I Parte

La parola Chiesa significa “convocazione” e designa un’assemblea liturgica, la co-

munità locale o tutta la comunità dei credenti. La Chiesa è il vero Corpo di Cristo,

costituito dai membri che siamo noi, come particole di un’unica Eucaristia, Corpo

Mistico di Gesù. Nella Scrittura, già nell’Antico testamento, vi sono molte immagini

rappresentative che prefigurano la Chiesa, e tutte sono di carattere escatologico: già

(realizzate) e non ancora (perfezionate). Così la Chiesa è l’Ovile, il Gregge, il Campo

di Dio, l’Edificio di Dio, la Gerusalemme celeste ed è la Madre Nostra.

Questi paragoni riflettono le situazioni e le vicende storiche personalmente vissute da

Gesù su questa terra, e dai suoi discepoli, che narrano in modo naturale e semplice

queste esperienze. A testimoniare che Dio non abita fuori dal popolo, ma completa-

mente radicato in esso, ebreo tra gli ebrei, scolaro e maestro della Legge, Figlio e

Padre, coinvolto dalle emozioni, dall’amore e dalla misericordia verso i suoi simili,

attratto dalla pietà verso i deboli e sorretto dalla conoscenza del Vero Bene, stabilisce

rapporti di amicizia, indelebili ed eterni.

Il Concilio Vaticano II ha espresso la modalità con cui Dio è entrato in rapporto con

l’umanità: “Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini, non individualmente e

senza alcun legame tra loro, ma volle costituire un popolo che lo riconoscesse nella

verità e santamente lo servisse” (LG 9).

E’ nella logica di Dio che ha parlato nella Creazione e nei fatti dell’Antico Testamen-

to, e nel Nuovo Testamento definitivamente nell’Incarnazione, che si ha una intelli-

genza profonda del Mistero della Chiesa, senza la quale la presenza del Signore Ri-

sorto si ridurrebbe o alla memoria di un personaggio meraviglioso del passato da

imitare moralisticamente, o ad un essere ideale e non reale, impossibile da incontra-

re oggi e quindi senza la possibilità della fede, del nuovo orizzonte che Salva. Che

rapporto c’è tra il mistero dell’Incarnazione e il mistero della Chiesa? Il Vaticano II

risponde al n.8 della Lumen Gentium: “come la natura assunta serve al Verbo divi-

no da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissi-

mile, l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per

la crescita del Corpo (LG 8,1).

Centrale è quella modalità di presenza nella quale la struttura sacramentale della

Chiesa raggiunge la sua sintesi e la logica dell’Incarnazione il suo vertice: la pre-

senza Eucaristica cui almeno la Domenica partecipare, la “meraviglia delle meravi-

glie” la chiama san Tommaso, “il compendio del Cattolicesimo” (Paul Claudel), il

punto infinitamente sottile e pesante, nel quale si riassume come Parola di Dio e

Presenza Eucaristica. Non a caso San Giovanni Paolo II, in Tertio Millennio 55, ha

scritto: “Il duemila sarà un anno eucaristico: nel sacramento dell’Eucaristia il

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la famiglia di Nazareth, ci dona la speranza di un futuro migliore e ci garantisce l’E-terna Presenza, l’infinito affetto di un Dio fatto uomo e Risorto per ciascuno di noi!

Relazione sulle lezioni svolte durante il Ritiro Spirituale guidato dal P. Assisten-te Renzo Bertoli del 24 Giugno 2018, col tema “Le Beatitudini evangeliche nel Carmelo Secolare”.

I Consigli Evangelici di cui tratteremo oggi, sono vissuti in modalità diversa a se-conda dell’Ordine a cui faremo riferimento, l’impegno dei Secolari nel perseguirli sarà relativo a certi aspetti della vita, rispetto alla responsabilità totale richiesta ai Re-ligiosi veri e propri.

In generale i Consigli E. riguardano lo stabilirsi della Nuova ed Eterna Alleanza di Dio con gli uomini. Ma stamattina approfondiremo più specificatamente la necessità della comprensione di questa realtà, nel pomeriggio poi, analizzeremo i Consigli uno ad uno.

Se il Signore ci ha chiamati per nome, perché ci conosce fin dal grembo materno e su ciascuno ha posato il suo sguardo benevolo in modo del tutto particolare, noi dob-biamo riconoscere l’alta dignità di questo legame di dipendenza nei confronti del No-stro Creatore.

Non confondiamo la debolezza con l’incorrere nel peccato, poiché la debolezza stabi-lisce un rapporto, una relazione stretta con Colui da cui dipendiamo, l’incorrere nel peccato è il limite proprio della nostra umanità, che ci conduce verso una strada scor-retta.

Se cadiamo poi in una dipendenza sbagliata, allora diventeremo schiavi e non più Figli di Dio. Ribadiamo la condizione dell’uomo in Genesi 1,3, nell’Eden, per cui viene chiamato da Dio, ma si vergogna e si nasconde insieme alla donna, perché han-no commesso peccato, hanno mangiato del frutto proibito. Questo brano rappresenta la ricerca di nuovi idoli, che promettono, potere, successo pur di farsi adorare e che ricolmano il vuoto creato dalla dipendenza alla sopravvivenza, naturale, dell’uomo.

La debolezza esprime allora una relazione, un’accoglienza, una libertà che si apre alla Libertà vera e si allontana dal peccato e dalla vergogna.

Insieme con i Frati e le Suore nel Carmelo, noi laici rispondiamo come in un’unica famiglia all’apertura verso questa dipendenza, verso questo contatto, nel perseguire i Consigli Evangelici, che stabiliscono i punti di riferimento. per vivere correttamente la scelta compiuta e compiere passi avanti nella via della santità.

Costituiti ad Immagine e Somiglianza di Dio, tentiamo di rappresentarla seppure in

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“Dopo l’Ascensione, il disegno di Dio è entrato nel suo compimento. Noi siamo già nell’ultima ora. Già dunque è arrivata l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo; difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta. Il Regno di Dio manifesta già la sua presenza attraverso i segni mira-colosi che ne accompagnano l’annunzio da parte della Chiesa.” n. 670 CCC “Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti, rivelerà la disposizione segreta dei cuori e renderà a ciascuno uomo secondo le sue opere e secondo l’accoglienza o il rifiuto della grazia”. n.682 CCC La vita eterna è una realtà che fiorisce e sboccia dopo la morte fisica, ma è una vita già innestata nel credente qui ed ora, a partire da quell’immersione nelle acque del Battesimo, in cui si depone la vita dell’uomo vecchio e si risale dall’acqua rivestiti di Cristo e dotati della capacità di vivere la vita eterna. Chi aderisce a Gesù, ascolta la sua parola e vive di essa, mangia la sua carne e beve il suo sangue, e lo segue ovun-que vada, ha in sé la vita eterna come un seme che crescerà e darà il suo frutto nel Regno. E’ Cristo il Paradiso, è il luogo senza luogo della Comunione piena con Dio. Il Paradiso è la nostra patria, la nostra vocazione, è il dono che ci attende! Per tutti gioia, onore, cibo, delizia: per mezzo tuo sono state dissipate le tenebre della morte, la vita viene estesa a tutti, le porte dei cieli sono state spalancate. Dio si è mostrato uomo e l’uomo è stato fatto Dio. Entrate tutti nella gioia del Signore nostro; primi e ultimi, ricevete la ricompensa; ricchi e poveri danzate insieme; temperanti e spensierati, onorate questo giorno: abbiate o no digiunato, rallegratevi oggi! Nessuno pianga la sua miseria: il Regno è aperto a tutti! (da un antico Canto Liturgico recitato, durante la notte Pasquale). Relazione sul tema “Credo la Santa Chiesa Cattolica” Art.9 CCC, trattato du-

rante il Ritiro Spirituale del 10 Novembre 2019, dal Teologo domenicano laico

Marzio Ardovini.

Affrontiamo oggi un tema importante e sostanziale, che ci possa offrire un’immagi-

ne più possibile rispondente alla reale e concreta dimensione che la Chiesa rappre-

senta per noi cristiani e per il mondo intero. In mattinata approfondiremo una Trat-

tazione dogmatica, nel pomeriggio parleremo di alcuni riferimenti agli scismi ed

alle eresie nella Storia della Chiesa.

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piccola parte, attraverso la fedele adesione alla dipendenza divina e affrontando di pas-sare per la porta stretta, affinché ogni inutile peso ci venga tolto.

Tuttavia, in Matteo 13, 22-30 prima leggiamo che per entrare nel Regno dei Cieli biso-gna infatti passare per la porta stretta, difficile percorso che implica molti sacrifici, poi Gesù annuncia che verranno addirittura da Oriente e da Occidente per sedere alla men-sa di Dio, una moltitudine infinita. Ma allora: la porta è strettamente larga o largamente stretta?

Qui intervengono i Consigli Evangelici che stabiliscono la norma del Discernimento, che seleziona rette opere e rette intenzioni, per vivere l’esperienza della Paternità di Dio in modo totale ed esclusivo, fino a che si riuscirà ad abbandonarsi a Lui e chiamar-lo:Abbà, Padre!” I Consigli E. ci rendono nudi, cioè deboli e bisognosi di cure, umili e ubbidienti, perché consapevoli della nostra piccolezza e della grandezza di Dio, della verità su noi stessi e della necessità di dipendere e di affidarci completamente. Queste disposizioni valgono naturalmente per tutti e tre gli ordini.

II Parte

Il termine Consiglio (dal verbo Con-silere) vuol dire fare silenzio insieme, per at-tendere l’uno la parola dell’altro, si tratta di un fare spazio all’altra persona in modo che ci proponga giusti insegnamenti e grandi verità.

L’OBBEDIENZA è l’inizio della vera fede, così l’amore mi plasma e mi allontana dalla superbia, dall’arroganza, dall’orgoglio di credere di poter raggiungere la salvezza da me stesso e mi abbandono a Dio. L’obbedienza naturale alla vita è vivere bene, rispettando la natura e le creature che il Signore ci ha consegnato all’atto della Creazio-ne, rispettando le amicizie, il tempo che vivo della Sua pazienza, le relazioni umane.

L’obbedienza a Cristo, al proprio stato ed alla vocazione ricevuta, corrisponde alla fedeltà dell’uomo al progetto divino, a realizzare nella carne il Comandamento dell’A-more e promuoverlo nella Chiesa attraverso i mezzi dell’apostolato e dell’evangelizza-zione. Aperti alla volontà di Dio, che si manifesta in “ogni frammento di verità e bel-lezza che si trova attorno a sé”.

La POVERTA’, che non è la miseria, mi insegna ad usare le cose di questo mondo per amore di Dio, per seguirLo e per aiutare gli altri. Avere il giusto distacco dagli averi per dirigere correttamente i propri affetti e vivere secondo i valori del Vangelo, implica un impegno in favore della giustizia nel mondo ed un esercizio di carità verso la fedeltà a Dio.

Questo comporta una lotta contro l’egoismo, l’indifferenza e l’individualismo. L’uomo vive sotto lo sguardo provvidenziale e amoroso del Padre, poiché “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).

La CASTITA’, vissuta secondo il proprio stato di vita, impegna a guardare le altre persone nel rispetto che comportano, con purezza di intenzione, non come un oggetto disponibile per un consumo e l’auto soddisfazione, ma come un soggetto d’amore, di

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ferita. La Passione e la Resurrezione determinano la nuova alleanza, completa espiazione e riparazione, perfetta liberazione. La Croce è sacrificio Redentivo ed i suoi benefici effetti sono: l’eliminazione del peccato, la liberazione dal demonio che con le sue seduzioni conduce alla morte eterna, l’apertura alla grazia universale. “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno co-nosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.(Giovanni 17,24-26) Corredentori di Cristo, in virtù della Sua offerta, possiamo partecipare anche noi, accettando di prendere la Croce e seguirlo, unendoci a Lui col nostro dolore, i nostri dispiaceri, così sarà nostro anche il suo destino di Salvezza. Persino l’obbe-dienza ai doveri quotidiani, se vissuti con spirito di fedeltà e mitezza, ci renderan-no partecipi della sua Croce. “La Croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo mediatore tra Dio e gli uo-mini (1Tm 2,5). Ma poiché nella sua persona divina incarnata, si è unito in un certo modo ad ogni uomo, egli offre a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale”. n.618 CCC. Spirò come un qualunque mortale, scese agli Inferi e risuscitò da morte. Scese agli inferi perché c’era bisogno che andasse a riprendere i Profeti, i Giusti, così che anche loro potessero contemplare la bellezza del Paradiso. “Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma Egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovano prigionieri”n 632 “Gesù non è disceso agli Inferi per libe-rare i dannati, né per distruggere l’Inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che lo avevano preceduto”n. 633. I benefici della Salvezza derivano dalla Resurrezione e vengono donati attraverso i Sacramenti della Chiesa: Battesimo, Cresima ecc. La Resurrezione qui intesa naturalmente, non è un ritorno alla vita terrena, ma una vita nuova in un corpo glorioso trasfigurato.”…Se Cristo non è stato resuscitato, vana è la nostra predi-cazione, vana è anche la vostra fede”. “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo più miseri fra tutti gli uomini. Ma ora Cristo è stato risu-scitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la Resurrezio-ne dei morti. Poiché come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo la primizia, poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta”. (Lett. Corinzi 15,19-23) Dalla Resurrezione proviene una fede ravvivata, la speranza della vita eterna, il desiderio che la grazia e la carità ci trasformino in Cristo, ed il desiderio di essere ricondotti alla vita soprannaturale, trascendente ed eterna, persa col peccato e ri-conquistata per merito di Gesù!

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gratitudine e di gratuità.

La promessa della castità rafforza l’impegno di amare Dio sopra ogni cosa e di amare gli altri con l’amore che Dio ha per loro. “Beati i puri di cuore, perché ve-dranno Dio” (Mt 5,8).

Mediante i Consigli E. si edifica la fede in Cristo, sia personale che ecclesiale, per vivere degnamente la vocazione alla santità, così riflettere “il mistero del Verbo Incarnato, fondamento e misura di tutte le cose create”.

Relazione sulle lezioni svolte durante il Ritiro Spirituale, guidato dal P. Assi-stente Renzo Bertoli, del 16 Settembre 2018, sul tema “Vita di preghiera, de-serti del cuore, cammino di santità”.

I Parte

Questa mattina parleremo del Deserto, come solitudine da cercare e del Sacramen-to della Confessione, nel pomeriggio specificheremo le applicazioni pratiche.

Abbiamo già più volte sottolineato, che al principio della nostra vita spirituale, troviamo la condizione della DEBOLEZZA, non intesa come mancanza di forza o punto a noi sfavorevole, ma quella speciale Grazia ed Umiltà, che mi spinge alla consapevolezza di aver bisogno di Qualcun altro, all’infuori di me, per raggiunge-re la Salvezza.

Secondo il detto paolino “Tutto posso in Colui che mi dà forza”, non mi lascio abbattere dalla quantità dei miei peccati o errori, ma mi consegno a Dio Padre, che mi offrirà l’energia ed il coraggio necessario per superarmi, per essere vero figlio di Dio.

Questa debolezza mi conduce ad una Solitudine ricercata e riempita solo da Dio e dalla preghiera, che si fa spazio tra le cose della vita e lascia respirare la Sua Pre-senza. La consegna allo Sposo, Cristo Signore, nasce da un profondo atto di affi-damento e non come asserisce il pensiero contemporaneo, da un salto nel buio; infatti si tratta di una razionale scelta che crede al Dio, Sommo Bene, il quale dall’alto della Croce ci aspetta tutti a braccia spalancate.

In questa considerazione ci guidano due figure:1) Maria, nostra sorella e madre, che ha detto fermamente SI’credendo, pur non capendo. Senza conoscere le perso-na dello Spirito Santo, (nell’Antico Testamento lo Spirito Santo è sconosciuto) Maria lo ha accolto, consegnandosi totalmente, perché potesse generare Gesù, il Figlio di Dio.”Ora l’Angelo sta davanti a Maria e Maria è impenetrabile e cupa

prio alla persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta. Tutto ciò che Egli è e ciò che Egli fa in essa deriva da “Uno della Trinità”. Il Figlio di Dio quindi, comunica alla sua umanità il suo modo personale di esistere nella Trinità. Pertanto nella sua anima, come nel suo corpo, Cristo esprime umanamente i comportamenti divini del-la Trinità.” n. 470 CCC Predicare Gesù di Nazaret come persona umana non comporta la dissoluzione dell’u-nione ipostatica in una comprensione estrinseca o morale dell’unione tra la divinità ed umanità. La relazione tra Gesù e Dio Padre, che definisce Gesù come persona umana, si fonda totalmente e radicalmente nella relazione eterna tra il Padre ed il Figlio. La persona umana di Gesù è dunque divina. Il fondamento del principio di identità di Gesù è la figliolanza divina. Gesù è veramente uomo, poiché è veramente Dio. Gesù è persona divina, poiché la persona umana di Gesù si identifica, senza confu-sione e senza divisione, con il Logos stesso. Questo concetto è stato chiarito ed approfondito nei primi secoli in cui sorgevano dibattiti e dispute contro forme di eresia, in particolare: l’Adozionismo, l’Arianesi-mo, il Docetismo e le dottrine di Apollinare. Con lo studio appunto della Cristologia le tematiche sull’unicità contemporanea delle due nature di Gesù, trovano una preci-sa chiarificazione nel Concilio di Calcedonia. Infatti i Santi Padri insegnano a cono-scere autenticamente Dio, autenticamente uomo, la sua umanità e la sua divinità, sen-za che ci sia confusione alcuna, né cambiamento, né separazione, né divisione. Vi è una perfetta unione, senza che si contraddicano, esse sussistono contemporaneamen-te. “Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incar-nazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo…E ciò vale non sola-mente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia”. (Gaudium et Spes n.22) II Parte Anche Gesù ha compiuto il suo percorso terreno, dall’Incarnazione alla Resurrezio-ne, compresi gli anni nascosti, in cui si preparava la sua Venuta (Giovanni Battista): il mistero del Natale, la Circoncisione, la fuga in Egitto, la strage degli Innocenti, il ritrovamento nel Tempio ed a 30 anni la vita pubblica inizia dalla celebrazione del Battesimo nel Giordano, da qui le Tentazioni, l’Annuncio del Regno, i Miracoli, le Chiavi del Regno, l’anticipo della Trasfigurazione, la Salita a Gerusalemme, i misteri della Pasqua, Resurrezione, Ascensione ed Epifania dello Spirito Santo. Gesù muore in Croce per tutti i nostri peccati, per i peccati del mondo intero. Era scritto che la morte del Giusto avrebbe ristabilito il progetto d’unione con Dio. Il fine della vita di Gesù è Glorificare il Padre e cancellare il male per sempre: il peccato di tutti i cristiani e non. Gesù è stato consegnato nelle mani di tutti i peccatori passati, presenti e futuri, la condanna dei peggiori malfattori si è riversata su di lui. La giusti-zia di Dio è Gesù Cristo! La Croce viene scelta in modo incondizionato a motivo del peccato, e Gesù sapeva dall’eternità che doveva rivelare il Padre e risanare l’umanità

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come una foresta di notte e la buona novella si è perduta in lei come un viaggiatore si perde nei boschi….E mille pensieri senza parola si destano in lei, pensieri pesanti di madri che accettano il dolore…E quel mattino di Annunciazione, davanti agli occhi sorpresi di un angelo è la festa degli uomini, poiché è il tempo dell’uomo essere sa-cro.” (tratto da Bariona o il Figlio del tuono di J. P. Sartre. 1) Giuseppe, suo castissi-mo sposo, la cui solitudine fu infinita. Sappiamo che Maria accolse il Verbo, lo diede alla luce, lo seguì lungo la vita, ma di Giuseppe non è scritto niente, non compare mai. Non vive l’intimità coniugale con Maria, non parla, non è un protagonista di questa storia, ma silenzioso spettatore. A lui viene richiesta una grande solitudine, una grande prova di Deserto, attraverso cui manifesta la sua paternità adottiva. Anche lui non co-nosce lo Spirito santo, ma lo ascolta ed ubbidisce.” E Giuseppe? Giuseppe, non lo di-pingerei. Non mostrerei che un ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poi-ché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio.” ( tratto da Bariona o il Figlio del tuono di J. P. Sarte).

Dunque il primo momento che contraddistingue l’abbandono a Dio, la fede ed il per-corso spirituale è anche Eucaristico, nel senso di celebrazione unitiva ed assolutizzante offerta, che concede agli occhi degli uomini di guardare da Redenti il mondo creato e tutte le sue creature. La ricerca della solitudine e del deserto è percepire la sostanza di una Bellezza, che non sono io, che mi salva, è il riconoscimento della Presenza di Dio, davanti a cui “stiamo”, è la libertà di scegliere la nostra dimensione più propria e vera.

Questa dimensione è la Preghiera, in cui ascolto e dirigo la volontà verso il Bene ed anche la vita quotidiana acquista un nuovo centro d’attenzione ed inclinazione e non si dissiperà più in mille preoccupazioni, seppur valide, o svariate incombenze, ma tutto sarà affidato con fiducia alla Provvidenza divina e si darà la giusta pena per ogni dolo-re.

Così, quando invoco il cambiamento nella Chiesa, il primo a dover cambiare sono io, come membro vivo della comunità, cioè della Chiesa e se davvero credo a questo, allo-ra il passaggio successivo è Confessarlo, ossia testimoniarlo, celebrarlo, lodarlo, e Con-fessarsi, come ammissione della nostra debolezza e limitatezza, come Sacramento che libera e purifica. I Sacramenti sono gli atti di Gesù Risorto, attraverso cui concede i suoi doni a motivo della nostra Salvezza, e manifesta il suo amore assoluto ed unico nella sua Incarnazione, resa visibile umanamente nell’Eucaristia!

La debolezza ed il deserto esprimono l’amore e la pazienza di Dio, che ci dà il tempo necessario per arrivare alla conversione, alla consapevolezza, all’abbandono. Essi ci richiamano all’essenziale, per creare luoghi in cui “stare da solo a solo con Colui dal quale so di essere amato”.

Osea afferma “ Perciò ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore…” (2,16) per indicare appunto il giusto luogo in cui Dio può parlare ed io ascol-tare, perché sono lontano dal mondo, non per volontà di distacco ed indifferenza, ma per la capacità di comprenderlo e guardarlo con occhi redenti e puri, nella visione bea-

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i principali misteri della vita di Cristo: quelli della sua Incarnazione, della sua Pa-squa e della sua Glorificazione.” n.429 CCC Gesù è il Dio che salva il popolo di Israele, salva l’umanità dal peccato originale e da tutti i peccati del mondo, salva universalmente ogni uomo sulla terra. Per questo

Egli è Re, Profeta, Sacerdote. I nomi di Gesù e Cristo testimoniano le due nature: umana e divina, Gesù della storia e Cristo della fede. Il Padre invia il Figlio nella Carne, perché in quanto Dio, possa salvare il mondo “è il Padre stesso che non “pensa di dover trattenere” il Figlio, ma lo “dà”; e lo Spiri-to viene continuamente descritto come “dono” di ambedue. E’ un’azione trinitaria, una donazione tripersonale. Per questo ogni Persona (compresa la persona creata,

in quanto immagine e somiglianza di Dio) è “ritorno-a-se-stessa (reflexio completa) dell’essere ogni volta già fuori di sè, e “stare-fuori-di-sè‚ come un dentro che si dona e dispiega”. “E’ Dio Padre che ha riconciliato a sè il mondo in Cristo ed in segno di quest’opera, è lo Spirito Santo donato al mondo. Il presupposto per que-st’unica possibile lettura della Croce è che sia stato sofferto tutto l’abisso del “no” umano contro l’amore di Dio. Per questo infatti non c’è remissione del peccato senza espia-zione: se al posto di questo unico ed assolutamente irripetibile caricarsi del peccato del mondo da parte del Figlio di Dio vi fosse stata una pura amnistia o semplice giustificazione foren-se ciò avrebbe significato l’ignorare il male / peccato e riconoscergli il diritto all’esi-stenza”. (Von Balthasar, sul Mistero Pasquale). Il Padre, nel più grande atto d’amore ci ha donato il Figlio, il quale ci ha riconquista-to la speranza della Salvezza, che avevamo perso col peccato, ricostruendo così una relazione di amicizia e di misericordia con noi. Gesù è e sarà eternamente Figlio, eternamente partecipe della divina identità del Padre, come del Figlio e dello Spirito Santo. Il Figlio, parola incarnata del Padre possiede contemporaneamente le due nature, persino nella Sua Gloria, sarà per sempre Figlio di Maria. Contemplando proprio questo meraviglioso mistero di Gesù umano e divino, anche noi ritroviamo la spe-ranza che il nostro corpo, nonostante i peccati, verrà trasfigurato un giorno, inoltre viene superato il concetto di finitudine nella Rivelazione di Dio che è Padre e dà la vita, ma è anche Figlio ed accoglie la vita. “Dio ha scelto la via dell’Incarnazione non perché non potesse restaurare in altro modo la sua opera, il suo progetto sull’uomo, ma perché bisognava far toccare con mano all’uomo carnale tutto ciò che può contenere di amore il cuore di un Dio che è Carità”. (S. Bernardo sul Can-tico 11,7) Dio, tramite l’incarnazione del Verbo, preparò l’umanità alla nuova Alleanza che è Cristo stesso, la sua finalità Redentrice si compie nell’ultimo atto di Sacrificio, per-ché l’amore potesse giungere ad essere pienamente manifesto. “L’Incarnazione è quindi il Mistero dell’ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell’unica persona del Verbo”. n. 483 CCC “La Chiesa ha dovuto ricordare che la natura umana di Cristo appartiene in pro-

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tifica di Dio.

II Parte

Tutto il Nuovo Testamento tratta della Conversione, come vita rinnovata, che deter-mina tre tipi di obbedienza: I al Creato: il luogo, la casa, l’ambiente che il Signore ci ha affidato e che noi dobbiamo proteggere e curare, affinché la Creazione sia portata a compimento; II alle Creature, la cui dignità è uguale per tutti. Ognuno è un dono e rappresenta una grazia per se stessi e per coloro che gli sono vicini; III alla Chiesa, al suo Magistero ed ai suoi santi, poiché la conoscenza dei testi e dei documenti procede dall’amore e dall’interesse mostrati per essi. Per noi carmelitani ad esempio, studiare la Regola e le Costituzioni e tutti i libri che sono inerenti alla nostra spiritualità dimo-stra l’impegno, la responsabilità e l’amore per l’Ordine.

Questi tre tipi di obbedienza fondano le nostre radici spirituali, che saranno dono a disposizione dell’intera comunità. Così come il peccato non fa vergogna solo a se stesso, ma anche al Corpo di Cristo, offendendolo e macchiandolo, anche le virtù rea-lizzate nelle tre obbedienze rendono lode a noi ed a tutta la comunità dei credenti ed a Dio stesso. Da qui l’applicazione dell’umiltà, dell’onestà e della bontà.

La Comunità carmelitana è costituita da persone che amano la bellezza della preghiera e che tentano di risolvere i problemi con fatica, ma senza scoraggiarsi, anche con de-terminazione.

Infine riguardo il Sacramento della Confessione, la cui difficile applicazione deriva dal timore di rivelare e riconoscere il proprio errore e peccato, si mostra come percor-so per raggiungere il Cielo, poiché dal perdono chiesto e ricevuto rinasce una creatura nuova, che risorge alla grazia e riparte disponendo di doni e azioni di santità.

La Confessione porta all’umiltà vera, che non tenta di giustificarsi nella caduta, ma si rimette alla misericordia ed alla giustizia divina, certa della sua capacità purificatrice. “Santità non è farsi lapidare in terra di Paganìa o baciare in bocca un lebbroso, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di restare al nostro posto, o di salire più in alto.” (L’annuncio a Maria, Paul Claudel)

Relazione sul tema del documento Conciliare Sacrosanctum Concilium, trattato ed esposto dal teologo Prof. Marzio Ardovini, durante la giornata di Ritiro Spi-rituale del 25 Novembre 2018.

Per la vastità dei temi compresi nel Documento e la loro complessità, si tenterà di dar-ne una sintesi accettabile ed esauriente, al fine di comprenderne il senso ed il signifi-

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cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.”(S.Paolo, Lett. agli Ebrei 4,14) Non c’è speranza senza fede, non si può dire “Io credo” se non si è disposti a lasciar guidare la propria vita dal Signore: “Aprite i vostri cuori, e que-sta forza di Dio vi porterà avanti, farà cose miracolose e vi insegnerà cosa sia la

speranza. Questo è l’unico prezzo: aprire il cuore alla fede e Lui farà il resto”. (Papa Francesco). Con speranza allora, seguiamo Gesù nella Chiesa, dalla quale riceviamo la vita nuo-va nel Battesimo, da qui si inizia un cammino di educazione ed istruzione alla fe-de,in effetti: “La salvezza viene solo da Dio, ma poiché riceviamo la vita della fede attraverso la Chiesa, …essa è anche la nostra educatrice”. n.169 CCC. La fede è

l’adesione di tutto l’uomo a Dio che si rivela, ma è anche dono dello Spirito santo, che liberamente decide di intervenire. I due Credo, quello Apostolico, più corto e quello Niceno Costantinopolitano più lungo, esprimono la professione della fede. Il primo compare nel 300, firmato da S. Ambrogio, il secondo verso il 381, la cui formulazione venne approvata dal Concilio di Nicea. Quest’ultimo approfondisce e sviluppa il tema della figura di Gesù, accen-

tuando l’importanza delle due Sue nature umana e divina. Il Catechismo tiene in maggior considerazione la prima struttura, però sviluppa più approfonditamente il tema del Mistero di Cristo, espresso nella seconda. Si legge:..generato, non creato, discese dal cielo, si è incarnato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, risuscitò e siede alla destra del Padre… Il mistero di Gesù dunque, si sviluppa sulle tracce della sua Vita e della sua Resurre-

zione, l’Incarnazione, la Predicazione, la Morte e Resurrezione, fino all’Ascensione. Gesù sappiamo essere esistito storicamente, nato e vissuto in un tempo preciso, quin-di nacque ebreo al tempo di Erode, fu crocifisso a Gerusalemme, è il Figlio eterno di Dio, fatto uomo, “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi ve-demmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di veri-tà…” n.423 CCC

Fino ai 30 anni la sua vita rimane nascosta e conduce in tutto l’esistenza comune di tutti i figli degli uomini, la seconda parte si sviluppa dai 30 in poi, con l’atto della predicazione e col compimento dei passi, che precedono la trasmissione della Sal-vezza. Lo conosciamo come Gesù fino alla Pasqua, poi diventa il Cristo, l’unto, il consa-crato del Signore, il Re, con la morte e la Resurrezione, e forse solo alla Pentecoste

si giunge alla piena consapevolezza della Sua figliolanza divina. Tanto è che i disce-poli di Emmaus, lo riconosceranno allo spezzare del pane, quando cenando con loro, nominerà le scritture ed i loro occhi finalmente si apriranno e capiranno Chi è Colui che gli sta accanto. Da questa conoscenza di Cristo nasce il desiderio di annunziare la fede “a tal fine, seguendo l’ordine del Simbolo della fede, saranno innanzitutto presentati i principa-

li titoli di Gesù: Cristo, Figlio di Dio e Signore. Il Simbolo successivamente confessa

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cato ultimo ed importante.

In questa prima parte si definirà la Liturgia ed i suoi sviluppi nel corso della storia, nella seconda le conseguenze del Rubricismo ed il motivo base che ha determinato il bisogno della scrittura di tale documento.

I PARTE

LITURGIA dalla parola greca leiturghia (leiton:pubblico, ergon:lavoro) indicava nell’antica Atene il tributo pagato dalla classe aristocratica allo Stato, per finanziare parate militari, feste pubbliche ecc., successivamente la definizione si pensava legata alle influenze dell’Ebraismo, e per motivi discriminatori, la si ignorò. Fu grazie al Movimento Liturgico: insieme di menti eccellenti che hanno reso accessibile la Li-turgia a tutti, attraverso una lunga e profonda riflessione sui suoi variegati aspetti, che la liturgia divenne oggetto e soggetto di conoscenza, di approfondimenti.

Pio X il 22 novembre del 1903, nel suo Motu proprio:”Tra le sollecitudini”, restitui-sce il canto nella sua purezza alla funzione liturgica insieme alla musica sacra, per consentire una Partecipazione attiva ai sacri Misteri e alla preghiera pubblica e solen-ne della Chiesa. I fedeli sono invitati a partecipare attivamente (partecipatio actuosa) allo svolgimento delle preghiere classiche. Questo concetto fu ripreso dal benedettino belga Lambert Beauduin, che promosse la liturgia come evento democratico e diffu-sivo, affinchè diventasse la vera e reale preghiera della Chiesa, come una catechesi permanente, da realizzare attraverso:

*una totale traduzione dei testi biblici e liturgici,

*un orientamento della pietà alla liturgia e agli esercizi spirituali annuali, per le corali.

Da qui iniziò effettivamente l’attività del Movimento Liturgico. Don Beauduin affer-mava:”Il Sacerdozio di Cristo trova la sua manifestazione nelle funzioni sacre; la Li-turgia è tutta l’opera sacerdotale della gerarchia visibile”. Cristo diventa visibile nel-la sua opera salvifica attraverso la Liturgia, che è la forma assunta per rinnovarla nel mondo attuale e contemporaneo.

Dopo la redazione del Messalino Domenicale del 1910, anche la Germania rispose a questo bisogno di innovazione con l’intervento dell’abate Herwegen, che organizzò una Settimana santa nell’abbazia invitando gli accademici a svariate riflessioni.

Durante la prima guerra mondiale apparve l’opera di Romano Guardini: Lo spirito della Liturgia, il suo intento era indirizzarsi ai giovani di Berlino, per coinvolgerli in una nuova visione cattolica del mondo.

Organizzò delle messe rinnovate e per questo fu considerato un sovversivo dai nazisti. Nel frattempo tra gli studiosi, il monaco Odo Casel ed il Generale dell’unione dei Giovani Cattolici Wolker contribuirono alla diffusione di celebrazioni più adatte alla comprensione di tutti e più intelligenti nelle modalità utilizzate, affinchè ogni preghie-ra divenisse segno tangibile e presente dell’opera divina e redentrice.

ria sul nostro vivere quotidiano: «Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche mo-do la prova della verità del Cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della ve-rità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente».

Meditiamo e preghiamo col Salmo 112 (113) Alleluia, Lodate servi del Signore, Lodate il nome del Signore. Sia Benedetto il nome del Signore, da ora e per sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore. Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria. Chi è come il Signore nostro Dio, che siede nell’alto e si china a guardare nei cieli e sulla terra? Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo. Fa abitare la sterile nella sua casa, come madre gioiosa di figli. Alleluia Relazione sul tema del Credo Niceno-Costantinopolitano: Credo in un solo Si-gnore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio. Relatore: Prof. Giuseppe Morsia. Ritiro Spirituale del 29 Settembre 2019. I Parte Continuando il nostro percorso di studio sul Credo, analizziamo la seconda afferma-zione, che tratteremo ed approfondiremo sempre riferendoci al Catechismo della Chiesa Cattolica, importante Documento, che fin dall’inizio della sua prima pubbli-cazione servì a definire i concetti della fede e la dottrina della Chiesa. Infatti si suddivide in 4 parti: La professione della fede, i Sacramenti della Fede, la Vita della Fede e la Preghiera nella vita della Fede. A queste parti corrispondono più praticamente la formulazione del Credo, la grazia dei Sacramenti, il dono dei Co-mandamenti e l’analisi del Padre Nostro. Concentriamoci sulla prima frase: Io credo in Gesù Cristo. Credere è un atto della speranza, non solo un’ammissione realistica della Sua esistenza, quindi la fede è la risposta dell’uomo che sceglie e decide di consegnarsi, affidarsi a Dio, un’adesione alla Sua legge sia personale, che comunitaria (perché non ci salviamo da soli!). “Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i

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Nel 1921, nella cripta di Maria Laach fu celebrata la “Messa Recitata”, ad experimen-tum, nella quale il sacerdote recitava per la prima volta rivolto verso il popolo, che circondava da vicino l’altare, assumendo un atteggiamento più raccolto ed intimo ver-so l’Eucaristia.

Il Benedettino Don Emanuele Caronti, abate a Parma dal 1919, definì la Liturgia co-me Esercizio sociale dei doveri religiosi della Chiesa, cioè tutto il culto che essa rende a Dio, definizione tuttavia ancora troppo limitata e riduttiva. Tanto che si generò un po’ di confusione al riguardo ed il Movimento Liturgista fu accusato di dedicarsi alla Liturgia come ad un passatempo superficiale, o come espressione di moda giovanile o con l’intento dividere le comunità o ancora, come gusto dal carattere elitario.

Allora Guardini in una lettera del 1940, chiarì che bisognava stare in guardia dai peri-coli del Praticismo, del Liturgicismo, del Dilettantismo, del Conservatorismo e delle decisioni affrettate delle Autorità. Così si istituì una Commissione Liturgica tesa a definire il giusto contesto e diffondere il culto in modo adeguato e coerente. Fino a che con l’Enciclica “ Mediator Dei” del Papa Pio XII del 20 novembre 1947 si stabilì la Liturgia, come continuazione nel tempo, dell’opera sacerdotale di Cristo. Il laico finalmente è conformato a Cristo come i sacerdoti, ognuno nel proprio grado e nelle proprie funzioni, acquisendo dignità e importanza. “La Sacra Liturgia è dun-que, il culto pubblico che il nostro Redentore, capo della Chiesa, presta al Pa-dre”.

Tra le principali riforme, Pio XII restaurò la Veglia Pasquale (9 febbraio 1951); intro-dusse la Messa vespertina e nuove norme per il digiuno eucaristico (6 gennaio 1953); semplificò le rubriche del Messale e del Breviario; istituì un nuovo rito della Settima-na Santa, accompagnata da un’istruzione pastorale; preparò un’istruzione sulla musica nella liturgia e diede vita ad un nuovo codice delle rubriche. Si trattava di riforma ri-guardanti soprattutto l’aspetto rubricale della Liturgia, nel senso di norme pratiche ed esteriori.

II PARTE

Le rubriche ( dal latino ruber: rosso) sono annotazioni scritte in rosso e poste nei testi liturgici, che indicano il comportamento esteriore del celebrante e dei ministri durante le celebrazioni; imponevano disposizioni restrittive sull’uso e sulle modalità della li-turgia, perché col Concilio di Trento si erano evidenziati tutta una serie di gravi sacri-legi commessi tra gli ecclesiastici, così di contrasto esse dovevano riportare l’ordine e la disciplina, che reprimessero con forza gli abusi.

Questi documenti volevano riportare il centralismo in materia liturgica, ed una foca-lizzazione sulla sola riforma dei riti, ignorando completamente l’aspetto teologico. Essi mostravano un eccessivo zelo per i comportamenti esteriori, ma in realtà la rubri-ca è una norma puramente indicativa, che viene adeguata e commisurata ed aggiustata secondo i tempi, le condizioni e le esigenze particolari ma non deve eccedere nei biz-zarri particolarismi, né nell’estremo rigore, che inaridisce la bellezza della pratica li-

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La disperazione, si oppone alla bontà di Dio ed alla sua giustizia (n.2091); la pre-sunzione, sperando di potersi salvare senza l’aiuto dall’Alto, oppure sperando di ottenere il suo perdono senza conversione, o senza merito. (n.2092)

Peccati contro l’amore di Dio.

L’indifferenza alla carità divina, l’ingratitudine, rifiuta di riconoscere l’amore di Dio, la tiepidezza nel rispondere al Suo amore, la pigrizia spirituale rifiuta la gioia spirituale, l’orgoglio dal quale nasce l’odio verso Dio, nega l’amore di Dio. (n.2094)

“noi cogliamo rettamente la rivelazione nella carne e nella lettera quando, pur nella finitezza della carne e della lettera, manteniamo quella disposizione di apertura ver-so l'infinità della verità divina, che è una cosa sola con la pienezza divina del Figlio [...]. Questo atteggiamento di disponibilità è fede, in quanto poi soggetti portatori di valori, questa medesima disponibilità è amore" (K. Barth)

In un mondo senza bellezza - anche se gli uomini non riescono a fare a meno di que-sta parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso -, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo do-ver-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male.

Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccani-smo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più.

E se è così dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia più che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incom-prensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce più a cogliere il bello». [H. U. von Balthasar, Gloria, Jaca Book, Milano, 1985, vol.I,pagg.10-12]

La verità è precipitata in un relativismo inafferrabile, la morale è concepita solo den-tro un soggettivismo cieco ed aberrante e la bellezza è stata confinata entro un’esteti-ca svuotata di contenuti valoriali. Persino la ragione si è persa, direbbe il Magnificat, nei pensieri superbi del cuore, se sganciata da questa mistero estatico della Bellezza carica di Mistero.

Allora concludiamo con il pensiero di Benedetto XVI, che getta una luce straordina-

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turgica.

Albino Luciani, riscoprendo e riflettendo sull’importanza della presenza della Comuni-tà, che partecipa attivamente al Valore Sacrificale della messa, e quindi sul bisogno di una religiosità non esteriore, ma personale ed interiore, aveva compreso l’urgenza di un rinnovamento liturgico, che giunse successivamente con Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959 con il Concilio Ecumenico.

In questo senso gli uomini vengono avvicinati ai misteri della fede e alle ricchezze del-la grazia mediante la riscrittura di una pratica, che attualizza una partecipazione piena alla vita liturgica. Si dà inizio ad importanti innovazioni, e si intravede un’apertura a nuovi metodi di realizzazione. Quest’apertura pose la basi nella storia della Liturgia e della Chiesa all’approvazione del documento della Sacrosanctum Concilium, avvenuto precisamente il 4 dicembre del 1963.

La Teologia Liturgica volta alla santificazione del popolo di Dio, assume un cambia-mento non solo giuridico, ma soprattutto Pastorale. La sua base teologica viene offerta dalla Teologia biblica e dalla Teologia patristica.

I segni liturgici diventano elementi efficaci in vista dell’attualizzazione del Mistero della Salvezza, realizzata da Cristo, che è l’unico liturgo e santificatore del popolo. Co-sì la liturgia diventa il luogo di incontro e di dialogo dell’uomo e di Dio, mediante Cri-sto operante nel rito liturgico. La SC eliminò le distinzioni tra culto interno ed esterno, tra privato e pubblico. La costituzione partiva dalla Rivelazione come storia della Salvezza e del Mistero di Cristo, come suo centro e compimento.

L’intento del Concilio era di far crescere la vita cristiana dei fedeli,

adattare alle esigenze del tempo le istituzioni soggette a mutamento,

favorire l’unità dei credenti in Cristo e

rinvigorire ciò che contribuisce a chiamare tutti in seno alla Chiesa.

“La liturgia cristiana è l’attualizzazione della salvezza, realizzata da Cristo nella sua esistenza terrena e in modo speciale nel mistero pasquale.”(SC2,5)

Per questo motivo fu necessario una nuova traduzione della Bibbia, perché tutti potes-sero conoscerla, apprezzarla. Le azioni liturgiche non sono più azioni private, ma cele-brazioni della Chiesa, del popolo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi, la cui funzione ora si svolge nella piena collegialità, perché le decisioni non sono dettate da un singolo individuo, ma coinvolgono conferenze episcopali, che vigilano sui libri li-turgici e sulle celebrazioni.

Il Concilio nella Sacrosanctum Concilium ribadisce che la Liturgia è molto di più di una norma giuridica, poiché ha come elemento costitutivo Cristo stesso, unico ed eter-no sacerdote.

“La liturgia è l’attualizzazione della salvezza, che si realizza nella storia e nel tempo degli uomini” (SC7), per questo si rende adattabile, allo stesso tempo, è escatologia vivente, perché entra in comunicazione con Cristo. Ed è l’ultima forma in cui si mani-

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tempo, la storia e gli uomini e sono in contraddizione con l’onore ed il rispetto, che dobbiamo a Dio solo. (n.2116)

La magia, che crede in una forza concentrata su alcuni oggetti, per raggiungere obbiettivi non raggiungibili con le semplici forze naturali. La stregoneria che vuole sottomettere le potenze occulte, per porle al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo. Lo spiritismo, che sviluppa il desiderio di entrare in rapporto con le anime dei defunti (n. 2117) ed infine il Sacrilegio, che consiste nel profanare o trattare indegnamente i sacramenti, o azioni liturgiche, o luoghi, o persone consacrate a Dio. E’ peccato grave soprattutto commesso contro l’Eucaristia, Corpo di Cristo.

La Simonia consiste nell’acquisto o nella vendita delle realtà spirituali (n.2121) e l’Ateismo, come negazione o ignoranza dell’esistenza di Dio che si divide in atei-smo teorico: spiega con ragionamenti la non-esistenza di Dio e ateismo pratico: per cui si vive come se Dio non esistesse. I fenomeni che definiscono l’ateismo sono il materialismo pratico e l’umanesimo ateo, quest’ultimo ritiene falsamen-te che l’uomo sia fine a se stesso ed artefice della propria storia. (Concilio Vatica-no II, Gaudium et spes, 20).

La bestemmia, consiste nel proferire contro Dio parole di odio, di sfida, di rim-provero, nell’abusare del nome di Dio. La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa, la Madonna e i Santi, e le cose sacre. Per sua natura è un peccato grave. (n.2148)

Il Giuramento, nel caso in cui fosse falso, prendendo come testimone Dio di ciò che si afferma, sarebbe irriverenza e profanazione.

Vi sono poi i peccati contro la fede:

Il Dubbio e l’Incredulità, tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, ci posso-no essere tentazioni contro la fede, ma il dubbio non è positivo come si crede, ri-sulta anzi in contrasto con quanto insegna la Chiesa, e non è lecito porsi volonta-riamente in questa prova. Il CCC indica il Dubbio volontario circa la fede e quello involontario; il primo trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che Dio ha rivelato, il secondo esprime l’esitazione a credere, che può condurre all’accecamento dello spirito. (n.2088)

Il cristiano allora deve applicarsi con impegno nel curare la propria formazione religiosa, con uno studio della dottrina cristiana adeguato al suo livello culturale e sociale.

L’eresia, è la negazione di una verità di fede, l’Apostasia, il ripudio totale della fede cristiana e lo Scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice, o della Comunione con i membri della Chiesa a lui soggetta. (n.2089)

Peccati contro la speranza:

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festa la salvezza, rendendo reali i sacrifici dell’Antico Testamento. Allora la liturgia appartiene all’ultima tappa della storia della salvezza, il tempo della Chiesa e dello Spirito Santo. “In quest’ultima tappa i segni non solo sono indicativi, ma significa-no e realizzano a suo modo ciò che significano” (SC7)

Un nuovo apprezzamento della liturgia si accompagna alla rivalutazione della dignità del popolo di Dio che ha diritto e dovere, in forza del Battesimo, di partecipare alle celebrazioni. Il documento conciliare rivaluta la scienza e la formazione liturgica, pro-pone un rinnovamento nelle sue parti suscettibili di cambiamento e rinforza l’impor-tanza della lettura della Bibbia e del numero delle letture bibliche durante le celebra-zioni.

Nel CCC al n.1070 leggiamo che il termine Liturgia nel Nuovo Testamento è usato per designare non soltanto la celebrazione del culto divino (At 13,2; Lc1,23), ma anche l’annuncio del Vangelo (Rm15,16; Fil2, 14-17; Fil 2,30) e la carità in atto (Rm15,27; 2Cor 9,12; Fil 2,25).

La Chiesa è serva, in virtù della partecipazione al sacerdozio(culto) profetico(annuncio) e regale(servizio della carità). “Ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per ec-cellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso tito-lo e allo stesso grado”. (Conc. Ecum. Vat. II SC, 7)

Purtroppo l’individuo del XX secolo non comprende e non vive appieno il tesoro di grazia che è la Liturgia per una serie di motivazioni: 1) La secolarizzazione del mon-do che ha indirizzato il pensiero contemporaneo ad affidarsi alla sola e pura razionali-tà, relegandolo ai fenomeni visibili.

2) Una smisurata fiducia nella scienza, che ha limitato il senso del mistero; 3) Un di-verso modo di abitare che non ha più al centro cittadino la Chiesa, come nel Medio Evo, che funziona da punto di riferimento per ciascuno. Lo spazio sacro,(la chiesa medioevale) è rivolto ad oriente (Cristo è il sole che viene) e a forma di croce (la cro-ce è Cristo). In essa è presente tutta la societas: i due sessi: le donne da una parte, gli uomini dall’altra; la Chiesa purgante ( i morti sono sepolti sotto il pavimento); la Chiesa militante ( i viventi); la Chiesa trionfante (i santi e gli angeli dipinti sul soffit-to). Il tempo è ritmato dalle campane, che scandiscono la giornata. Ma dal 1300, con la costruzione di palazzi, sedi commerciali, il potere civile si contrappone nettamente a quello religioso. 4) L’individualismo che ha annientato la forma della comunità, e richiede una continua attenzione egocentrica ed autoreferenziale, dando vita ad una massificazione senza volto; 5) La ricerca dell’utile materiale, che ha eliminato la gra-tuità dei gesti e delle parole, infine 6) La mancanza degli elementi costitutivi del senso della festa: mancanza di valori e di “comunione” fra le genti.

Lo studio della Sacrosanstum Concilium ci offre la prospettiva e la dimensione dell’importanza dei testi liturgici della Chiesa, che rendono il senso ed il significato di ogni orazione, gesto e celebrazione, i quali interpretano e manifestano con saggezza la grazia della funzione sacerdotale dell’uomo.

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così: Fa o Signore, che io mi conosca e ti conosca! E i filosofi aggiungono che un termine si conosce meglio confrontandolo col suo contrario”.

Dio è il Dio dei Padri, il Dio del Roveto Ardente, il cui nome è troppo santo per poterlo pronunciare, per questo preferiamo l’espressione“Padre nostro”, il quale non ha mai smesso di amarci, anche quando siamo noi che ci allontaniamo da Lui, perché Lui è infinita accoglienza, è assoluta donazione. E tutto ciò che ci circonda, dobbiamo viverlo in relazione con Lui, attraverso il suo amore, mediante la sua Pu-rezza, in rapporto al Bene che Egli è.

Poiché allora Dio è amore, dovremmo vivere nella ricerca della sua Immensa Sa-pienza, in continuo Rendimento di grazie, espresso durante l’Eucaristia, per ringra-ziare ogni momento della vita e adorare e contemplare la sua Maestà. La Messa è il centro della nostra vita spirituale, da cui si sviluppa la preghiera e la Sequela di Cri-sto, come obbedienza e vocazione alla Santità. La voce dello Spirito ci parla, impa-riamo ad ascoltare e discernere, per ricevere i benefici della sua presenza. Nel Ser-mone 52 n.2.2 S. Agostino scrive:”..Questo sappiamo, questo crediamo, questo, anche se non lo vediamo con gli occhi e ancora neppure col cuore fin quando ci purifichiamo con la fede, questo tuttavia noi riteniamo grazie alla stessa fede in maniera assolutamente giusta e salda, che cioè il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo non è né il Padre, né il Figlio, ma è lo Spirito del Padre e del Figlio. Questa divini-tà ineffabile immanente in se stessa che tutto rinnova, che crea, ricrea, che invia e richiama, giudica e libera ogni essere, questa Trinità ineffabile sappiamo ch’è nel-lo stesso tempo inseparabile.”

Riferimenti sul CCC dal n.198 al n.231.

II Parte

Se crediamo in DIO Padre, onnipotente e misericordioso, stigmatizziamo le derive, le conseguenze, che si oppongono a questo riconoscimento e ai due Comandamenti attraverso cui esso si manifesta:1) Non avrai altro Dio fuori di me; 2) Non nomi-nare il nome di Dio invano.

Le principali forme di peccato contro questi Comandamenti sono:

La superstizione, rappresenta un eccesso perverso della religione, in quanto ne devia il sentimento, alimentando credenze nell’importanza di alcune pratiche o nell’uso degli stessi rosari, immaginette, acqua benedetta, come fossero amuleti magici, presi senza riferimento alla fede in Dio.

La massima espressione della superstizione è nell’idolatria, che consiste nel divi-nizzare ciò che non è Dio. (n.2138) La Divinazione, che comprende tutte le prati-che volte alla conoscenza del futuro, attraverso l’evocazione di morti o demoni. Anche la consultazione di oroscopi e tarocchi manifestano la volontà di dominare il

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Chiediamo di saper accogliere sempre con pienezza la ricchezza e la profondità che ogni rito può e vuole trasmetterci, di saper contemplare attraverso questi mezzi la gran-dezza della regalità di Nostro Signore e la forza del Suo Sacrificio Redentore, di poter amare con gioia ogni verso recitato, ogni gesto meditato, per partecipare degnamente alla Festa Pasquale.

Relazione sul tema “I Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso”, trattato dal teologo Prof. Marzio Ardovini, durante il Ritiro spirituale quaresimale del 10 Marzo 2019.

Come testo di riferimento adotteremo quello di Denzinger, (Enchiridion Symbolorum) il quale contiene i pronunciamenti e le definizioni importanti del Dicastero in materia di fede, e la storia di tutti i simboli sacramentali e conciliari ufficializzati, fino al tempo del Concilio Vaticano II.

I temi che tratteremo conducono ad una serie riflessione sulla nostra vita spirituale, poiché si inseriscono nella dottrina dell’Escatologia, come scienza sulle ultime realtà della Fede.

Partiamo allora dalla MORTE: nella dimensione terrena ed umana è la cessazione sen-sibile di ogni attività biologica, affrontata dalla società e dagli uomini, secondo varie modalità, in base a diversi cerimoniali e rituali. Nella dimensione spirituale, grazie alla morte di Cristo, la cui anima inizialmente davvero si è staccata dal corpo, per scendere subito dopo negli Inferi e liberare Mosè, i profeti ed i giusti che vissero prima della sua venuta, anche noi attraversiamo questo passaggio, per giungere poi alla Sua vita Eter-na.

Nel CCC, n.1020, infatti si afferma che la morte è come un andare verso di Lui ed en-trare nella vita eterna, perché noi non moriamo più come Adamo, colpevole del pecca-to originale, ripiegato su se stesso ed incapace di chiedere perdono, noi moriamo in Cristo, nella speranza della gioia eterna, nella grazia della Resurrezione. Veniamo inse-riti nella vita eterna in virtù del suo Sacrificio Redentore; dopo aver attraversato il pas-saggio della morte, possiamo raggiungere il Paradiso, santificati dallo Spirito Santo. Lo stesso Adamo, se avesse rivolto umilmente una richiesta di perdono, il Signore di sicu-ro l’avrebbe concessa, invece una volta interrogato, addossa la colpa ad Eva, che scari-ca sul serpente ogni responsabilità e così muoiono da peccatori.

Appena dopo la morte, si passa prima dal Giudizio particolare, che darà all’uomo l’immediata retribuzione, in rapporto alle opere ed alla fede. La retribuzione è eterna, per cui l’anima: passerà attraverso una purificazione (Purgatorio), o entrerà nella

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”Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio, eter-no e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo: tre persone, ma una sola essenza, sostanza, cioè natura assoluta-mente semplice” Concilio Lateranense IV, cap.1, De Fide catholica: ds 800.

Dal CCC n. 203”…Il nome esprime l’essenza, l’identità della persona e il senso della sua vita…Svelare il proprio nome è farsi conoscere agli altri; in qualche modo è consegnare se stesso rendendosi accessibile, capace di essere conosciuto più inti-mamente e di essere chiamato personalmente.”

Rivelando il suo nome misterioso, che in quanto tale rappresenta la realtà di Dio, infinitamente al di sopra di tutto ciò che possiamo comprendere o dire: egli è il Dio nascosto (Is 45,15), il suo nome è ineffabile, Egli desidera farsi vicino agli uomini, per farsi progressivamente conoscere. “Dio è la pienezza dell’Essere e di ogni per-fezione, senza origine e senza fine. Mentre tutte le creature hanno ricevuto da Lui tutto ciò che sono e che hanno, Egli solo è il suo stesso essere ed è da se stesso tutto ciò che è.” CCC n.213

Gli uomini infatti sono “Capaci di Dio”, essi lo capiscono analogamente al princi-pio Creativo da cui derivano, vengono da lui assimilati nel partecipazione alla sua Immagine e Somiglianza e aderiscono ad una vita di virtù, che ricrei le sue qualità costitutive.

n.223:”Conoscere la grandezza e la maestà di Dio:”Ecco, Dio è così grande, che non lo comprendiamo”(Gb 36,26). Per questo Dio deve essere servito per primo.”

Contro il Paganesimo ed altri tipi di credenze si afferma l’unicità del Dio d’Israele e la sua perfezione, che supera la generica definizione dell’aggettivo qualificativo “è buono”, “è misericordioso”, “è caritatevole”, per diventare sostantivo pieno: “Lui è la Carità, è la Bontà, è la Santità”. Queste affermazioni sono l’assolutezza della per-fezione e tentano di avvicinarci all’essenza del creatore, che mentre si rivela come Colui che è, si nasconde nel suo Mistero Ineffabile. (n.230)

S. Giovanni, Notte Oscura, cap.12, n.5: “Ciò è quanto ci fa capire chiaramente lo stesso profeta Isaia quando riferisce: A chi vuole insegnare la scienza? A chi vuole spiegare il discorso? Ai bambini divezzati, appena staccati dal seno? (Is 28,9). Queste parole ci fanno comprendere che la disposizione necessaria per ricevere le comunicazioni divine non è il primo latte della soavità spirituale, né il sostegno dei saporosi discorsi delle facoltà sensitive, già gustati dall’anima, ma la mancanza dell’uno e il distacco dall’altro.

Per ascoltare Dio, infatti, l’anima deve stare all’erta e distaccata da ogni affetto e dai sensi, come dice il profeta: Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza (Ab 2,1), cioè staccato dagli appetiti, a spiare e non a discorrere con i sensi, per vedere che cosa mi dirà, cioè per sapere che messaggio mi viene da Dio. Dobbiamo quin-di, sapere che da questa notte arida deriva anzitutto la conoscenza di sé e questa a sua volta è il fondamento della conoscenza di Dio. Per questo S. Agostino prega

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Relazione sul tema del Credo Niceno-Costantinopolitano: Io credo in Dio Padre Onnipotente, trattato durante il Ritiro Spirituale dal teologo Prof. Marzio Ardovi-ni, del 7 Luglio 2019.

Per analizzare, comprendere e studiare correttamente il Credo, utilizzeremo il CCC, nei vari articoli in cui questo argomento si sviluppa e ci sarà di riferimento, per l’intera nostra giornata.

Al principio di tutto vi è il Padre, creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili.

Il Padre, la prima Persona divina della Santissima Trinità, esprime tutta la sua unicità; la sua Onnipotenza è universale, misteriosa e si manifesta nel creare il mondo dal nulla e l’uomo per amore, ma soprattutto nell’Incarnazione e nella Risurrezione del Suo Fi-glio, nel dono dell’adozione filiale e nel perdono dei peccati. I nomi divini di Dio ven-gono contrassegnati molto specificatamente nel Vecchio Testamento, ma anche nel Vangelo, in special modo l’accezione di paternità. Dio è Padre in quanto da Lui parte ogni generazione ed ogni iniziativa d’amore.

Padre è il nome che Gesù stesso ci insegna ad usare per rivolgerci a Dio. Un termine che ci eleva, rendendoci più vicini a Lui, che conferma la sua superiorità e la grandezza del suo amore, ma anche la sua tenerezza e la sua vicinanza alla vita e alle vicende umane, come un padre con i suoi figli. Questa fede in Dio Padre ci fa rifiutare l’atteg-giamento della secolarizzazione, che propone agli uomini un modo di essere che esclu-de Dio, in ripetizione del peccato originale e di quello di Caino.

Affermare che Dio è creatore di tutto significa anche affermare che tutto ciò che esiste ha uno scopo, che nulla è inutile, che tutto è stato fatto con Sapienza. Di ogni creatura “Dio vide che era cosa buona”. L’impegno dell’uomo è a non distruggere la Creazione e anzi, a essere riconoscente e a godere di ogni cosa, secondo la volontà di Dio:Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie. (1 Tim 4,4)

Con il Credo si intende esprimere un atteggiamento di fiducia, di incontro, di abbando-no a Dio. Credo in Dio è un’espressione che va ben oltre il ritenere vero che Dio esiste: questo lo sanno anche i demoni (Gc 2,19). Essi però non credono in Dio, cioè non affi-dano alla sua Provvidenza la propria esistenza, non lo amano, non gli ubbidiscono, non lo vogliono incontrare.

Il Credo manifesta l’intima semplicità della fede; Benedetto XVI afferma:”Gesù è il Signore - E’ la confessione comune della Chiesa, il suo fondamento sicuro. E’ dall’In-carnazione, è dall’incontro con Gesù che si rivela Figlio di Dio che nasce tutta la fede della Chiesa: essa scopre che Dio è amore Trinitario e che ha inviato il Figlio per do-nare la salvezza e la vita.” Chesterton diceva:”…Poiché se c’è un Essere senza princi-pio, che esisteva prima di tutte le cose, che cosa poteva Egli amare se non c’era niente da amare? Se attraverso l’impensabile Eternità Egli è solo, che significa dire: Dio è Amore? La creazione dunque è un atto di elevato amore.”

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beatitudine del cielo (Paradiso), oppure si dannerà immediatamente, per sem-pre (Inferno). Se si muore in grazia, allora si potrà accedere al “cielo”, in cui si potrà contemplare Dio “così come Egli è” in un “faccia a faccia”.

Conosciamo una triplice venuta del Signore, nella prima, Redentiva, Egli si in-trattenne con gli uomini e venne quindi nella debolezza della carne, nella seconda, intermedia, venne nella Potenza dello Spirito, in cui solo gli eletti lo vedono en-tro se stessi, e ne sono salvati, nell’ultima, Celebrativa, verrà nella maestà della Gloria, donandoci la consolazione definitiva. In questa fase intermedia quindi, occorre cibarsi della Parola ed affidarsi con fiducia ad essa, senza rincorrere visio-ni o ulteriori locuzioni. “Come il vecchio Adamo si diffuse per tutto l’uomo oc-cupandolo interamente, così ora lo occupi interamente Cristo, che tutto l’ha creato, tutto l’ha redento, tutto lo glorificherà”(Dai discorsi, n.5, 1-3 di S. Ber-nardo, Opera Omnia).

Infatti leggiamo in Luca 16, 19-31, in cui si narra la vicenda di un ricco cattivo e del povero Lazzaro:”…Ma Abramo rispose:Figlio ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali, ora invece lui è consola-to e tu sei in mezzo ai tormenti”, l’uomo è chiamato in ogni momento a ravvedersi per mezzo della fede per convertirsi e credere:”Se non ascoltano Mosè ed i Profe-ti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”. La Parola di Dio sia l’unico possesso da desiderare, l’unica conoscenza da cercare, l’unica felicità da perseguire.

N. 1029 “..i beati regnano già con Cristo, e regneranno nei secoli dei secoli…

PURGATORIO: nell’Antico Testamento viene indicato come fuoco purificato-re, che perfeziona le anime imperfette, ottiene la santità necessaria, per consentire l’accesso alla gloria di Dio. Il fuoco è un fuoco d’amore necessario, per ricon-giungersi all’Amato. Già nel Concilio Ecumenico di Firenze (1438-1445) viene definita verità di fede, la possibilità che le anime purganti possano essere liberate anzitempo, grazie ai suffragi dei fedeli viventi, secondo le modalità delle Istituzio-ni della Chiesa (Denzinger 693).

Se il peccato ha due aspetti: la colpa e la pena, durante il Sacramento della confes-sione, per quanto si elimini la colpa, rimane il residuo di pena da vivere, per rime-diare al male compiuto o omesso.

Nel Purgatorio, pur essendo già salvi, non si può ancora contemplare Dio, perché ancora non lo si desidera perfettamente con tutto se stessi, a causa di imperfezioni esistenti nell’anima e se da un lato, si vive la sofferenza della mancata partecipa-zione all’azione beatifica, tuttavia, dall’altro, vi è la gioia per la certezza di veder-lo e di essere nella sua volontà purificatrice.

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Questa pena viene poi rimessa grazie alle indulgenze parziali o totali, ad esempio con la visita ai Santuari Mariani, o con l’Imposizione dei Sacramentali, come lo Scapolare della Madonna del Carmelo, inoltre con le messe di suffragio, elemosine ed altri atti di carità compiuti dai viventi, per i cari defunti, in un’armoniosa comunione dei santi, che si manifesta fin da ora, con la preghiera e benedizione reciproca. N.1032:”…Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il Sacrificio Eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visio-ne beatifica di Dio.

II PARTE

INFERNO:n.1033: Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo…non accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere per sempre separati da Lui, in una definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio. Questa è quindi la pena principale dell’Inferno: la separazione eterna da Dio (n.1035). Da qui gli appelli alla responsabilità dell’uomo e a come conduce la propria esistenza, per non precludersi la visione del Paradiso. Tutti possono salvarsi, per un atto volontario della personale libertà, e per il convincimento spontaneo di volgersi a Dio; anche nell’ultimo momento della vita c’è sempre la possibilità di tornare con contrizione e pentimento nella grazia, per essere accolti dal Buon Pastore, che attende tutti a braccia aperte, con impazienza fino alla fine.

Sembra quasi che l’Inferno sia in contrasto con il concetto dell’infinita misericordia di Dio, invece, ne è proprio la suprema manifestazione, perché Dio ama talmente l’uomo da lasciarlo libero, accettando anche il rifiuto volontario e cosciente, che i malvagi gli oppongono. Il dogma dell’Inferno rivela il carattere altamente drammatico della libertà umana, ed è allo stesso tempo un appello alla responsabilità ed alla conversione. N. 1037:…Nella Liturgia Eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole che alcuno perisca, ma che tutti ab-biano modo di pentirsi.

Con il GIUDIZIO FINALE, n. 1039 :…Davanti a Cristo, che è la verità, sarà definiti-vamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio; n.1040:…Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il Giudizio finale manifesterà, che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte.

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:”Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra”. (Matteo 25,31)

Il Figlio dell’uomo riunisce le genti e le separa, e sono esse stesse che liberamente deci-

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dono di accoglierlo oppure no. Le pecore rappresentano i mansueti che hanno agi-to con correttezza e rettitudine, i capri, più inquieti, coloro che lo hanno rifiutato, negando il soccorso verso i bisognosi ed i poveri.

Il metro della separazione dunque, non è costituito da questioni morali o teologi-che, la salvezza dipende dall’aver o meno servito i fratelli, dalle relazioni di comu-nione con quanti siamo stati disposti ad incontrare sul nostro cammino. Alla fine dei tempi, tutti, cristiani e non cristiani, saremo giudicati sull’amore (S. Giovanni), così il giudizio svelerà la verità profonda della nostra vita quotidiana, il nostro vivere o meno, l’amore qui ed ora!

In seguito al giudizio finale, si potrà vivere la speranza dei cieli nuovi e della ter-ra nuova, n.1042: Alla fine dei tempi, il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo ed anima, e lo stesso universo sarà rinnovato; n.1047: Anche l’universo visibile è destinato ad esser trasformato “affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti”, partecipan-do alla loro glorificazione in Gesù Cristo Risorto. N.1060:…Dio allora sarà”tutto in tutti” (1 Cor 15,28), nella vita eterna.

Infine “Amen”, termine che conclude le preghiere della Chiesa, ed anche il libro della Sacra Scrittura, esprime fedeltà e fiducia alla parola pronunciata, l’assenso della nostra volontà alla volontà del Padre. Credere significa dire amen alle pro-messe, ai Comandamenti di Dio, significa fidarsi completamente di Colui che è l’amen d’infinito amore e di perfetta fedeltà. N.1065:… “Tutte le promesse di Dio in Lui sono divenute “sì”. Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro “amen” per la sua gloria (2 Cor1,20).

“Questa piccola eppure così decisiva parola dovrebbe risuonare con tanta con-vinzione che San Girolamo si spinge a paragonare l’amen ad “un rimbombo si-mile ad un tuono del cielo”. Attraverso l’amen attestiamo che il Padre nostro giu-dica l’autenticità e la legittimità di ogni preghiera personale e liturgica, che la preghiera del Signore è il sigillo di conformità di ogni nostro dialogo con Dio: ciò che è conforme al Padre nostro può salire a Dio, mentre ciò che non lo è deve restare sulla terra”. (Commento al compendio del CCC di E. Bianchi)