Il crollo di Afragola causato da un “cedimento strutturale ... · strutturale del manufatto in...

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Il crollo di Afragola causato da un “cedimento strutturale”. Ma che cosa ha provocato il cedimento? L’edificio crollato verso le 1,30 del 31 luglio scorso in Via Calvanese di Afragola ha evidenziato la precarietà strutturale del manufatto in elevazione e le diffuse condizioni di fragilità che caratterizzano centinaia di manufatti costruiti prima dell’introduzione della legge antisismica. Si aggiunga che “chi si sa regolare” ha eseguito spesso in proprio vari interventi senza calcoli ingegneristici e verifiche strutturali vari interventi. Si aggiunga ancora che il substrato di fondazione della struttura in elevazione con il tempo va soggetto ad un progressivo scadimento delle caratteristiche geotecniche. Si aggiunga, infine, che i sottoservizi pubblici e privati sono stati interessati da vari interventi, nel tempo, e che si può dare per scontato che nel corso dei decenni abbiano causato dispersioni idriche nel sottosuolo in corrispondenza delle strutture di fondazione con possibile escavazione di cavità. Chiudiamo il quadro evidenziando che non si può escludere che nell’area di Via Calvanese nel sottosuolo siano state scavate in passato cavità artificiali quali tane di lapillo e piscine per l’accumulo e conservazione dell’acqua piovana. Si può affermare che il cedimento strutturale non è stato provocato dal cedimento di un pozzo verticale di collegamento tra la superficie del suolo e una cavità nel tufo: quando ciò avviene si origina un’ampio sprofondamento di forma circolare che inghiotte il manufatto sovrastante fino alla base della grotta artificiale (figura 1). Figura 1: Photo sud, da InterNapoli.it: lo sprofondamento di S. Antimo del dicembre 2003 Il ribaltamento verso la via Calvanese di parte della struttura in elevazione potrebbe essere imputato al cedimento strutturale della parte dell’edificio prospiciente la via pubblica. Da notizie trapelate sembra che i problemi strutturali fossero già evidenti da tempo specie in corrispondenza del cancello di accesso. I vecchi edifici di Via Calvanese hanno un cortile interno che viene drenato da una caditoia che immette l’acqua piovana in una fognatura privata. Figura 2: schema dei sottoservizi nella zona di Via Calvanese

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Il crollo di Afragola causato da un “cedimento strutturale”. Ma che cosa ha provocato il cedimento? L’edificio crollato verso le 1,30 del 31 luglio scorso in Via Calvanese di Afragola ha evidenziato la precarietà strutturale del manufatto in elevazione e le diffuse condizioni di fragilità che caratterizzano centinaia di manufatti costruiti prima dell’introduzione della legge antisismica. Si aggiunga che “chi si sa regolare” ha eseguito spesso in proprio vari interventi senza calcoli ingegneristici e verifiche strutturali vari interventi. Si aggiunga ancora che il substrato di fondazione della struttura in elevazione con il tempo va soggetto ad un progressivo scadimento delle caratteristiche geotecniche. Si aggiunga, infine, che i sottoservizi pubblici e privati sono stati interessati da vari interventi, nel tempo, e che si può dare per scontato che nel corso dei decenni abbiano causato dispersioni idriche nel sottosuolo in corrispondenza delle strutture di fondazione con possibile escavazione di cavità. Chiudiamo il quadro evidenziando che non si può escludere che nell’area di Via Calvanese nel sottosuolo siano state scavate in passato cavità artificiali quali tane di lapillo e piscine per l’accumulo e conservazione dell’acqua piovana. Si può affermare che il cedimento strutturale non è stato provocato dal cedimento di un pozzo verticale di collegamento tra la superficie del suolo e una cavità nel tufo: quando ciò avviene si origina un’ampio sprofondamento di forma circolare che inghiotte il manufatto sovrastante fino alla base della grotta artificiale (figura 1).

Figura 1: Photo sud, da InterNapoli.it: lo sprofondamento di S. Antimo del dicembre 2003

Il ribaltamento verso la via Calvanese di parte della struttura in elevazione potrebbe essere imputato al cedimento strutturale della parte dell’edificio prospiciente la via pubblica. Da notizie trapelate sembra che i problemi strutturali fossero già evidenti da tempo specie in corrispondenza del cancello di accesso. I vecchi edifici di Via Calvanese hanno un cortile interno che viene drenato da una caditoia che immette l’acqua piovana in una fognatura privata.

Figura 2: schema dei sottoservizi nella zona di Via Calvanese

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Quest’ultima attraversa il cortile passando al di sotto della parte di edificio prospiciente via Calvanese per immettersi nella fognatura comunale che scorre al di sotto della via pubblica. Come accade frequentemente le fognature private raramente sono state oggetto di interventi di manutenzione dopo la loro costruzione per cui a volte disperdono acqua nei terreni circostanti. Anche le fognature pubbliche, spesso, non sono interessate da frequente manutenzione. Nei contesti urbani simili a quelli di Via Calvanese non è raro che i sottoservizi disperdano liquidi nei terreni incassanti e anche nel substrato di parte degli edifici. Con questo non si vuole affermare che anche in corrispondenza dell’edificio crollato vi fosse dipersione di liquidi e un indebolimento del substrato. Potrà rivelarsi una semplice coincidenza il fatto che il crollo sia avvenuto in relazione ad una violenta pioggia che ha interessato il napoletano a partire dalle 21 circa del 30 luglio. Potrebbe essere stata una eventuale ulteriore dispersione di acqua nel sottosuolo in corrispondenza di una parte delle fondazioni dell’edificio (da parte dei locali sottoservizi privati e pubblici) ad avere innescato il cedimento dei terreni di fondazione ed il conseguente cedimento strutturale della struttura in elevazione. Si ricorda che con il tempo il substrato di fondazioni dirette superficiali va inesorabilmente incontro a modificazioni mineralogiche e delle proprietà geotecniche. L’escavazione della originaria superficie del suolo e la realizzazione della muratura e dei sottoservizi mette in comunicazione i sedimenti del sottosuolo con la superficie. Inizia una trasformazione mineralogica dei sedimenti che comporta uno scadimento delle proprietà geotecniche. La dispersione continua e spesso in pressione di liquidi nel sottosuolo può causare anche istantanee locali liquefazioni di parte del substrato che non è più in grado di reggere i carichi della struttura in elevazione. Il risultato è un cedimento strutturale. Si deve fare in modo che l’accertamento delle cause del crollo di Afragola avvenga tramite indagini multidisciplinari fatte da esperti di pari professionalità. In ballo c’è l’accertamento di cause che possono essere preventivamente individuate in relazione ad altri manufatti. Non deve prevalere la “visione” esclusivamente ingegneristica che può essere avvalorata da palesi carenze strutturali del manufatto. Non deve essere forzata la “visione” geologica tendente ad attribuire la causa esclusivamente a cedimenti del sottosuolo. L’edificio si regge grazie al substrato. Se il substrato cambia e acquisisce caratteristiche geotecniche più scadenti con il passare degli anni non può più garantire la sopportazione del carico della struttura in elevazione. Se nel substrato vi sono cavità che sono interessate da cedimenti questi sono trasmessi alle fondazioni dell’edificio. Se il substrato conserva le originarie caratteristiche geotecniche, è evidente che il cedimento strutturale dipende esclusivamente dalle deficienze strutturali dell’edificio. Dal momento che in Campania vi sono migliaia di edifici vecchi non antisismici che poggiano su un substrato simile a quello del sottosuolo di Afragola, devono essere accertate le reali cause senza forzature: vale a dire si deve evitare che l’ingegnere veda solo le cause connesse alla struttura in elevazione per favorire le attività professionali ingegneristiche. D’altra parte i geologi devono valutare attentamente l’assetto geologico-tecnico tridimensionale del substrato dell’edificio al fine di accertare eventuali discontinuità artificiali e alterazioni delle proprietà geotecniche dei sedimenti, su cui sono scaricati i pesi delle strutture in elevazione, provocate da progressive alterazioni dei manufatti o da dispersioni idriche. Si può correre il rischio di dare importanza solo alle caratteristiche delle strutture edilizie visibili che necessariamente devono essere adeguate senza considerare eventuali problemi che interessino il substrato di fondazione. E’ evidente che una valida struttura in elevazione rimane tale fino a che il suo substrato ne regge il carico; se ciò non avviene qualsiasi edificio è destinato ad avere problemi di cedimenti strutturali. Ad aggravare la situazione si deve ricordare che molte aree abitate ubicate nella pianura compresa tra Napoli e Caserta sono state realizzate su di un sottosuolo minato da centinaia di cavità artificiali, ricavate (fino ai primi decenni del 1900) nel banco tufaceo per l’estrazione di blocchi usati per costruire gli edifici. Tali cavità sono state censite solo in parte per cui di una gran parte di esse non si conosce l’ubicazione né lo stato di conservazione e di stabilità delle volte e dei pozzi verticali attraverso i quali avveniva l’accesso e l’estrazione del tufo sottostante. Circa le cause del crollo di via Calvanese si deve sottolineare che la precarietà delle strutture in elevazione rappresenta un motivo tecnico di indiscutibile importanza e gravità; si deve ricordare che altre probabili cause potrebbero essere rappresentate dal cedimento di una cavità artificiale superficiale (tana di lapillo, piscina) ricavata in passato nel sottosuolo al di sotto o adiacente alle fondazioni dell’edificio o da dispersioni idriche nel sottosuolo su cui insisteva il manufatto. Si ricorda che anche nei centri storici degli abitati confinanti (Casoria, Frattamaggiore, Frattaminore ecc.) sono avvenuti negli anni scorsi decine di sprofondamenti di cavità che hanno causato diverse vittime. Nella seconda metà degli anni 80, in seguito a numerosi e luttuosi crolli, furono emanate leggi regionali che consentirono di migliorare i sottoservizi e di avviare un censimento, mai completato, delle cavità. I dissesti del sottosuolo, del resto, rappresentano una delle cause diffuse di crolli di edifici e di sedi stradali del napoletano. In particolare nelle aree delimitate in rosso trasparente nella figura 3, frequentate da circa due milioni di abitanti, si rinvengono diffuse cavità artificiali che localmente possono rendere precaria la stabilità e la sicurezza dei manufatti.

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Figura 3

Sono molto più diffuse le informazioni circa le cavità artificiali scavate fin dall’antichità nel tufo giallo nell’area urbana di Napoli; meno frequentemente sono state descritte le cavità presenti nel sottosuolo della pianura campana, come quelle di Afragola. La zona di via Calvanese di Afragola è caratterizzata da una superficie del suolo pianeggiante e si trova a circa 42 m sul livello del mare. Nel sottosuolo di Afragola si rinvengono da circa 10 a 25 m di sedimenti vulcanici sciolti (pomici, lapilli, sabbie) poggianti su un banco tufaceo (Ignimbrite Campana) che è una roccia tenera con buone caratteristiche per ricavare blocchi da usare come materiale da costruzione (figura 4).

Figura 4

A circa 30 metri di profondità si rinviene la falda idrica. Questa parte del substrato di Afragola si è formata negli ultimi 40.000 anni circa. Gli antichi scavatori di pozzi si sono resi conto che nel sottosuolo della pianura si trova una roccia utilizzabile per costruire gli edifici sulla superficie del suolo; in particolare è utilizzabile la porzione di tufo al di sopra della falda, esclusa la parte sommitale (“cappellaccio” al contatto con i sedimenti sciolti). Di solito vi sono da circa 5 m a circa 10 m di tufo utilizzabile. Tra la superficie del suolo e il tufo vi sono degli strati di pomici (lapillo) idonee per la realizzazione dei solai. Per ridurre i costi della realizzazione degli edifici, fino all’inizio del 1900 è stato diffusamente ricavato il materiale da costruzione dal sottosuolo realizzando pozzi verticali (quasi mai rivestiti) fino a raggiungere gli

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strati di pomici e il sottostante tufo. All’interno degli strati di pomici (a profondità variabile da circa 4m a circa 8m e aventi spessori variabili da circa 80cm a circa 1,50m) sono state scavate vere e proprie gallerie sub orizzontali (tane di lapillo). Raggiunto il banco tufaceo (a profondità variabile da circa 10 m a circa 25 m) attraverso i pozzi verticali, sono state scavate cavità suborizzontali di altezza variabile da circa 4 m a circa 8 m e larghezza simile. Attraverso i pozzi è stato sollevato il materiale da costruzione (tufo) (figura 4). Finita l’estrazione la cavità veniva di solito usata come deposito di derrate alimentari e come cantina. Gli edifici ubicati nei centri storici venivano costruiti attorno alla cavità in modo da garantirne la stabilità; i pozzi di accesso venivano, di solito, conservati all’interno dei cortili; alcuni venivano chiusi tramite assi di legno e calce. I pozzi verticali delle cavità ubicate all’esterno dei centri abitati di solito venivano chiusi per cui si perdeva completamente la conoscenza circa la loro presenza nel sottosuolo.

Figura 5

L’espansione post bellica delle aree urbane ha determinato la realizzazione di molti nuovi edifici e connessi sottoservizi sia nei centri storici che nelle aree confinanti. Conseguentemente molti manufatti sono stati costruiti al di sopra di cavità quali le tane di lapillo e le “grotte” nel tufo. La disconnessione tra le attività degli abitanti e l’uso delle cavità del sottosuolo ha causato l’abbandono diffuso della manutenzione delle grotte e la dispersione, volontaria o casuale, in esse di liquidi provenienti da tubazioni e aree private e pubbliche (figura 5).

Figura 6

Le tane di lapillo possono dare luogo a cedimenti istantanei o progressivi di alcune decine di centimetri che si possono rivelare catastrofici per i manufatti sovrastanti.

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Le parti più vulnerabili delle cavità nel tufo sono rappresentate dai pozzi verticali che raramente sono stati rivestiti con mattoni di tufo fino in superficie. Le pareti naturali dei pozzi costituite da sedimenti sciolti granulari sono progressivamente interessate da piccoli crolli che causano l’ampliamento del condotto verticale nel tratto compreso tra la superficie del suolo e la sommità del banco tufaceo. Dopo alcune decine di anni in corrispondenza dell’imbocco del pozzo verticale chiuso superficialmente si può originare un ampio scavernamento (figura 6) la cui volta può cedere improvvisamente. Le dispersioni idriche incontrollate nei pozzi verticali rappresentano una delle cause più diffuse di crollo che può avvenire istantaneamente provocando uno sprofondamento cilindrico (figura 7 e figura 1). I danni agli edifici sovrastanti possono dipendere dalla loro ubicazione rispetto alle cavità artificiali nel tufo.

Figura 7

Le cavità possono essere agevolmente individuate mediante l’esecuzione di sondaggi di vario tipo; esse possono essere consolidate o riempite come è stato fatto molte volte. I danni possono essere certamente prevenuti se si conosce il sottosuolo. Quest’ultimo lo si può conoscere se si investe nella sicurezza dei cittadini. Anche se le indagini dimostreranno che l’edificio di Afragola è crollato per insufficienze strutturali e che nel sottosuolo non vi sono cavità artificiali, rimane il pericolo di sprofondamenti delle cavità artificiali, scavate dall’uomo nel sottosuolo tra Napoli e Caserta, di cui non si conosce l’ubicazione. Tale problema, purtroppo, si evidenzierà ancora in futuro. Il drammatico evento di Afragola dovrebbe spingere i responsabili istituzionali a elaborare un quadro delle conoscenze relative alle cavità partendo dai Comuni interessati. Potrebbe anche innescare una nuova attività di ricerca scientifica finalizzata e certamente non parassitaria che possa consentire di avere una approfondita conoscenza circa la stratificazione delle attività umane svolte finora sulla superficie del suolo e nel sottosuolo elaborando i dati conoscitivi che possiedono i Comuni e le altre Istituzioni competenti ed eseguendo nuovi studi miranti ad incrementare la sicurezza ambientale e dei cittadini. Si tratterebbe di avviare, finalmente, una attività di Protezione Civile basata sulle più avanzate ricerche scientifiche e finalizzata alla prevenzione delle catastrofi. Franco Ortolani Ordinario di Geologia Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio Università di Napoli Federico II 3 agosto 2010