Il Contrabbando al confine alpestre nel XIX e nel XX...

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Il Contrabbando al confine alpestre nel XIX e nel XX secolo Atti del convegno organizzato dal Museo Storico della Guardia di Finanza in collaborazione con il Comando Provinciale Guardia di Finanza di Como Palazzo Terragni Como 28-29 maggio 2013

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Il Contrabbando al confine

alpestre nel XIX e nel XX secolo

Atti del convegno organizzato dal

Museo Storico della Guardia di Finanza

in collaborazione con il Comando Provinciale

Guardia di Finanza di Como

Palazzo Terragni

Como 28-29 maggio 2013

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Museo Storico della Guardia di Finanza

Comitato di Studi Storici

Roma

Consulenza e realizzazione tipografica

B.C. Giuseppe Finocchiaro

Impaginazione, montaggio e stampa

a cura della Tipografia della Scuola di Polizia Tributaria

della Guardia di Finanza

App.Sc. Francesco Rinaldi

App.Sc. Nello Corritore

App.Sc. Natalino Palermo

App.Sc. Rocco Recupero

Coordinamento generale

Gen. C.A. (c.a.) Luciano Luciani

M.O. Emiliano Stelluti

Dicembre 2013

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I

Hanno partecipato al convegno:

Relatori:

• Alessandro Lodolini, Procuratore Generale onorario aggiunto

della Corte di Cassazione, Giudice e poi Sostituto Procuratore

della Repubblica presso il Tribunale di Varese, Giudice presso la

Corte d’Appello di Milano, Presidente Aggiunto della Corte

d’Assise di Varese, Procuratore della Repubblica di Como.

Durante la carriera si è occupato lungamente di procedimenti

penali per contrabbando alla frontiera italo-svizzera.

• Bruno Buratti, Generale di Divisione, è il Capo del III Reparto

Operazioni del Comando Generale della Guardia di Finanza. Ha

frequentato il Master universitario in “Diritto Tributario

dell’impresa” presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di

Milano. Professore a contratto presso le facoltà di giurisprudenza

dell’Università di Macerata e di Milano. E’ autore di alcune

pubblicazioni in materia di riciclaggio e diritto dei mercati

finanziari. Membro del Comitato di Sicurezza Finanziaria.

• Fabrizio Vismara, Professore associato presso l’Università degli

studi dell’Insurbia, sede di Como. Titolare del corso di diritto

internazionale e del corso di diritto dell’Unione europea presso

l’Università degli Studi dell’Insurbia. Docente di diritto

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II

internazionale privato presso la Scuola di specializzazione per le

professioni legali presso l’Università degli Studi di Milano. Autore

di numerose pubblicazioni nell’ambito del diritto internazionale,

diritto internazionale privato e processuale, commercio

internazionale e del diritto dell’Unione europea.

• Maurizio Pagnozzi, Colonnello della Guardia di Finanza,

attualmente Capo Ufficio Storico del Comando Generale del

Corpo. Nel corso della carriera ha ricoperto importanti incarichi di

comando e di staff a Brindisi, Salerno, Roma e Trapani. Ha

frequentato il 9° Corso Superiore di S.M. presso il Centro Alti

studi per la Difesa ed ha svolto qualificata attività di insegnamento

presso gli Istituti di Istruzione del Corpo. E’ membro del Consiglio

di Amministrazione del Museo Storico del Corpo.

• Luciano Luciani, Generale di Corpo d’Armata in congedo già

Comandante in seconda della Guardia di Finanza, è Presidente del

Museo Storico del Corpo. Ha pubblicato numerose opere di storia

militare tra le quali “Antonio Luigi Norcen, un soldato, un

finanziere, un comandante ed un geniale innovatore” (2008) e

“L’economia e la finanza di guerra nel secondo conflitto

mondiale” (2007). Master di II livello in Scienze Strategiche. E’

Presidente del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza e

membro della Consulta della Commissione italiana di Storia

Militare.

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III

• Adriano Bazzocco, dottorando presso l’Università di Zurigo. Ha

partecipato a un progetto del Fondo nazionale svizzero per la

ricerca scientifica sui profughi in fuga dall’Italia verso la Svizzera

durante gli anni del fascismo. Ha svolto attività giornalistica e di

consulenza storica per la realizzazione di esposizioni e

documentari. Ha pubblicato studi scientifici sulla Svizzera italiana

durante la Seconda guerra mondiale e sul contrabbando alla

frontiera tra Italia e Svizzera.

• Gerardo Severino, Capitano, promosso ufficiale per meriti

eccezionali è Direttore del Museo Storico del Corpo e Capo

Sezione dell’Ufficio Storico del Comando Generale. E’ autore di

numerose pubblicazioni sulla storia della Guardia di Finanza, tra le

quali “Gli aiuti ai profughi ebrei ed ai perseguitati: il ruolo della

Guardia di Finanza (1943-45)” e “Storia dei Baschi Verdi”. E’,

altresì, segretario del Consiglio di Amministrazione del Museo

Storico della Guardia di Finanza.

• Salvatore Golino, Generale di Divisione in congedo della Guardia

di Finanza. Nel biennio 1976/1978 ha frequentato il V Corso

superiore di Polizia Tributaria e nell’anno accademico 1992/1993

il Centro Alti Studi Difesa. E’ insegnante a contratto di Diritto

Penale Tributario al Master di Diritto penale d’impresa presso

l’Università Luiss di Roma e insegnante della stessa materia presso

la Scuola di alta specializzazione per avvocati tributaristi.

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IV

Collabora con assiduità con riviste specializzate con articoli in

materia tributaria.

• Mauro Michelacci, Generale di Corpo d’Armata in congedo,

durante la carriera ha ricoperto numerosi incarichi presso Reparti

Territoriali e Nuclei di Polizia Tributaria a Brescia, Lucca, Roma e

Milano. Ha svolto importanti incarichi di staff al Comando

Generale. E’ stato titolare della Legione di Napoli e del Comando

Regionale di Napoli, del Comando Regionale Piemonte, del

Comando Interregionale dell’Italia Sud Occidentale di Napoli e del

Comando Aeronavale Centrale. Master di II livello di Diritto

Tributario presso l’Università Bocconi di Milano.

• Natalino Lecca, Generale di Divisione in congedo, durante la

carriera ha comandato numerosi reparti in Sicilia, Liguria, Lazio

Toscana ed ha svolto incarichi di polizia tributaria, e di Stato

Maggiore al Comando Generale per i quali ha conseguito la

promozione “per meriti eccezionali di servizio” a maggiore. E’

autore di numerose pubblicazioni sui petroli, sulle frodi

comunitarie, sull’organizzazione dei mercati agricoli europei e

sulle frodi alimentari.

• Mauro Saltalamacchia, Maresciallo della Guardia di Finanza in

servizio presso l’Ufficio Storico del Comando Generale. Ha

prestato servizio presso la Legione di Como ed il Nucleo di pt di

Bologna. E’ membro del “Nucleo di Ricerca” per reperire la

documentazione inerente l’opera di salvataggio degli ebrei durante

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V

la seconda guerra mondiale ad opera della Guardia di Finanza e

collabora con l’Ufficio Storico dello S.M. della Difesa

nell’organizzazione dei Convegni internazionali di storia militare

della CISM. E’ autore di pubblicazioni sulla storia della Guardia di

Finanza.

• Espedito Finizio, Generale di Divisione in congedo della Guardia

di Finanza, ha ricoperto, durante la carriera, numerosi incarichi di

comando e di Stato Maggiore. In particolare è stato a lungo

Comandante della Legione Allievi e poi Capo dell’Ufficio Storico

della Guardia di finanza. E’ stato direttore del periodico “Il

Finanziere”. Ha pubblicato 5 volumi riguardanti aspetti particolari

della vita del Corpo.

• Rodolfo Mecarelli, Generale di Brigata in congedo della Guardia

di Finanza, ha prestato servizio al comando di reparti territoriali,

articolazioni di Nuclei Regionali pt e di staff di Puglia, Marche,

Lombardia. Ha avuto incarichi anche per le missioni del Corpo

all’estero, in Romania ed Albania. Plurilauretao, insegna Diritto

Tributario presso l’Università dell’Insurbia di Como ed è membro

dell’Osservatorio per la Trasparenza e controllo della Provincia di

Milano.

• Diego Zoia, ricercatore storico, già insegnante di scuola

secondaria, segretario comunale e giudice di pace, ha pubblicato

volumi e saggi sul contrabbando in Valtellina, su statuti e

regolamenti di numerosi comuni medioevali, su vari argomenti

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riguardanti le popolazioni rurali della Valtellina in epoca

medioevale e moderna. Coordinatore delle operazioni di riordino

ed inventariazione degli archivi storici di numerosi comuni della

provincia di Sondrio.

• Enrico Fuselli, insegna Materie letterarie presso l’I.I.S. “Fabio

Besta” di Orte. Si dedica alla ricerca storica, privilegiando la storia

della Guardia di Finanza; è socio onorario e benemerito

dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia; è membro

dell’«Associazione Storica Alta Valle del Tevere» e della «Società

dei Verbanisti». È autore di diversi saggi, tra i quali: «L’A.N.F.I.

nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Storia dell’Associazione

Nazionale Finanzieri d’Italia (1899-2011)» (2011); «I picchetti

della Truppa di Finanza della “sezione” di Cospaia. La lotta al

contrabbando al confine con il Granducato di Toscana nel XIX

sec. (2012)».

• Roberto Mantini , Generale di Divisione in congedo della Guardia

di Finanza. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi tra

i quali il comando della Legione di Milano, del Centro di

Aviazione di Pratica di mare, del Gruppo Aereo di Roma e della

Sezione aerea di Intimiano. Presso il Comando Generale è stato

Capo del Reparto Aeronavale e capo dell’Ufficio Aereo del Corpo.

Infine, è stato Vice Direttore Operativo con funzioni vicarie della

Direzione Investigativa Antimafia.

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• Virgilio Ilari , allievo di Mario Talamanca, assistente e poi

professore associato di storia del diritto romano nelle università di

Roma Sapienza e di Macerata dal 1972 al 1990, poi chiamato da

Gianfranco Miglio alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università

Cattolica di Milano; fino al 2010 è stato professore associato di

storia delle istituzioni militari. Ha collaborato con l’Ufficio Storico

dello SME, con l’Istituto Affari Internazionali. È stato consulente

del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) ed ha collaborato

con il Centro Alti Studi per la Difesa (CASD). Ha pubblicato

numerosi lavori insieme ad insigni storici militari come Ferruccio

Botti, Antonio Sema e Piero Crociani. È stato tra i fondatori della

Società Italiana di Storia Militare, della quale è presidente dal

2004 al 2008 e di nuovo dal 2010.

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IX

INDICE

Indirizzo di saluto del Gen. C.A. Vincenzo Delle Femmine Comandante Interregionale della Guardia di Finanza per l’Italia Nord Occidentale ........................................................................ 1

Introduzione ai lavori del Gen. C.A. Luciano Luciani Presidente del Museo Storico e del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza ........................................................................ 5

Relazione introduttiva del Dott. Alessandro Lodolini ......................... 9

Gen. D. Bruno Buratti Il contrabbando alla frontiera terrestre oggi .......................................... 19

Prof. Fabrizio Vismara

Contrasto al fenomeno del contrabbando nel diritto italiano e svizzero .................................................................................................... 41

Col. Maurizio Pagnozzi Il contrabbando sulla frontiera terrestre nel XIX secolo ........................ 49

1. Il contrabbando nel 1800: Violazione doganale o anche di Polizia? ............................................................................................. 49

2. Le dinamiche del contrabbando ....................................................... 53

3. Il Regno di Sardegna (1792 – 1859) ................................................ 55

4. Ducato Di Milano, Repubblica Cisalpina, Repubblica Italiana e Regno d’Italia (1792 – 1814) ........................................................ 68

5. Il Regno del Lombardo – Veneto (1815 – 1859) ............................. 76 6. Il contrabbando sui laghi .................................................................. 80

7. Il Regno d’Italia (1861 – 1900) ........................................................ 87

8. Conclusioni ....................................................................................... 97

Gen. C.A. Luciano Luciani ................................................................. 101

Il contrabbando alla frontiera terrestre nel XX secolo ......................... 101

1. Generalità ....................................................................................... 101

2. I protagonisti del fenomeno ............................................................ 103

3. Geografia del contrabbando ........................................................... 108

4. I risultati dell' azione repressiva della Guardia di Finanza ............. 115

5. Conclusioni ..................................................................................... 118

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X

Dott. Adriano Bazzocco L’atteggiamento della Confederazione Svizzera nei confronti del contrabbando alla frontiera con l’Italia ............................................... 121

1. Inquadramento giuridico e amministrativo .................................... 123

2. Preparativi di un’operazione .......................................................... 125

3. Quantificazione .............................................................................. 126

4. Attriti, irritazioni, conflitti .............................................................. 129

5. Rilevanza economica per la Svizzera ............................................. 131

Cap. Gerardo Severino Lo schieramento della Guardia di Finanza al confine alpestre nei primi cento anni dall’Unità d’Italia ...................................................... 133

1. Il 1861 ed i nuovi confini nazionali ............................................... 133

2. L’ordinamento e lo schieramento operativo della Guardia Doganale del Regno d’Italia (1862 – 1881) ................................... 139

3. Dalla riforma del 1881 alla nascita dei Comandi di Legione (1881 – 1906) ................................................................................. 147

4. Gli ultimi sessant’anni (1900 – 1961) ............................................ 149

Gen. D. Salvatore Golino L’uso delle armi nel servizio anticontrabbando .................................... 155

1. Premessa ......................................................................................... 155

2. Precedenti storici ............................................................................ 156

3. Il contesto socio-economico ........................................................... 161

4. L’entità del fenomeno del contrabbando ........................................ 162

5. Le finalità della legge n. 100/1958 ................................................. 164

6. Il testo della legge e le reazioni in Parlamento ............................... 167

Gen. C.A. Mauro Michelacci Il contrabbando di caffè al confine alpestre ......................................... 173

1. Premessa ......................................................................................... 173

2. Le cause e gli strumenti del contrabbando ..................................... 175

3. Il contrabbando di caffè .................................................................. 176

4. Conclusioni ..................................................................................... 193

Gen. D. Natalino Lecca La vita dei Finanzieri nei Distaccamenti di montagna ......................... 197

1. Il distaccamento del Giovo ............................................................. 202

2. Il dormitorio ................................................................................... 207

3. Lo svolgimento del servizio ........................................................... 209

4. L’attività’ di servizio ...................................................................... 211

5. La vita in distaccamento ................................................................. 215

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XI

Maresciallo Ord. Mauro Saltalamacchia L’editoria e la pubblicistica sul contrabbando ..................................... 221

1. Premessa ......................................................................................... 221

2. Introduzione ................................................................................... 223

3. Periodo napoleonico, Restaurazione, Risorgimento ...................... 227 4. Dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale .............................. 230

5. Dal primo dopoguerra alla fine della seconda guerra mondiale ......................................................................................... 233

6. Dal secondo dopoguerra alla fine del “contrabbando romantico” ...................................................................................... 236

7. Dalla seconda metà degli anni ‘70 alla fine del XX Secolo ........... 239 8. Editoria e pubblicistica della Guardia di Finanza sulla

tematica del contrabbando .............................................................. 242

Bibliografia ragionata ............................................................................ 249

Gen. D. Espedito Finizio Un contrabbandiere d’altri tempi Louis Mandrin (1725-1755) ........... 271

Gen. B. Rodolfo Mecarelli Rete di confine ....................................................................................... 277

1. Il servizio anticontrabbando nelle cronache dei secoli scorsi ........ 283 Ricerche e bibliografia .......................................................................... 293

Dott. Diego Zoia

Il contrabbando tra Valtellina e Svizzera durante le due guerre mondiali ................................................................................................. 295 1. Qualche notizia sul periodo del primo conflitto mondiale ............. 295 2. I primi anni della Seconda Guerra Mondiale ................................. 299

3. Dopo l’armistizio ............................................................................ 304

4. L’espatrio degli Ebrei e di altri gruppi di persone ......................... 309

5. Le merci contrabbandate ................................................................ 310

6. I sacerdoti ....................................................................................... 311

Prof. Enrico Fuselli I caduti ed i decorati della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando ......................................................................................... 315

1. I rapporti con le popolazioni delle zone di confine ........................ 315

2. Le condizioni operative .................................................................. 320

3. I caduti ............................................................................................ 328

4. I decorati ......................................................................................... 335

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XII

Gen. D. Roberto Mantini L’impegno degli elicotteri nel servizio anticontrabbando al confine terrestre .................................................................................... 339

1. Precedenti storici ............................................................................ 339

2. La prima Sezione Aerea di montagna ........................................... 345

3. Come si sviluppa il Servizio Aereo e la vigilanza al confine terrestre ........................................................................................... 347

4. Cenni sui risultati operativi ............................................................ 350

Prof. Virgilio Ilari

Conclusioni ............................................................................................ 355

Rassegna stampa .................................................................................... 367

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XIII

Palazzo Terragni

Il palazzo sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di

Como, ove si è svolto il convegno sul contrabbando al confine

alpestre. E’ l’utopistico sogno razionale di Giuseppe Terragni.

Costruito nel 1932-36, è l’opera più importante dell’architetto

comasco e forse una delle maggiori realizzazioni dell’architettura

italiana del XX secolo. Rigoroso, ma anche “lirico” nella sua bianca e

nitida astrazione, l’edificio è basato su un attento studio di piani

intersecanti e superfici correlate da rapporti matematici. Nell’impianto,

che riprende coscientemente l’impostazione della domus romana, con

cortile centrale, è un parallelepipedo movimentato su ciascuno dei

quattro lati da aperture di dimensioni differenti, anche se inscritte nel

medesimo schema modulare: spicca in particolare la facciata

principale dove a una griglia aperta di travi e pilastri che occupa i tre

quarti dello spazio si affianca una superficie piana e levigata, destinata

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XIV

ad accogliere lastre di ferro smaltate, che tuttavia non vennero mai

applicate. Oggi si ammira in particolare la corte coperta e la suggestiva

loggia dell’ultimo piano da dove Terragni sembra aver voluto

instaurare un affascinante “dialogo urbanistico” con i volumi delle

absidi e della cupola del prospicente Duomo di Como.

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1

INDIRIZZO DI SALUTO

Gen. C.A. Vincenzo Delle Femmine

Comandante Interregionale della Guardia di Finanza

per l’Italia Nord Occidentale

Autorità, gentili ospiti, desidero, innanzitutto, porgere a tutti voi, a

nome della Guardia di Finanza e mio personale, il più cordiale saluto e

ringraziamento per essere intervenuti al convegno sul tema "Il

contrabbando al confine alpestre nei secoli XIX e XX", ospitato in

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2

questo prestigioso edificio, costruito dal famoso architetto Giuseppe

Terragni nel 1936 ed ora sede del Comando Provinciale di Como.

Rivolgo un particolare ringraziamento al Presidente del Museo

Storico, Generale Luciano Luciani, per essersi reso promotore

dell'iniziativa, che ha il merito di esaltare la storia della Guardia di

finanza ed il suo impegno a favore della collettività.

Studiare questo insidioso fenomeno illecito, spesso sottovalutato nella

sua portata e pericolosità, sia per il tessuto sociale che per il sistema

economico, significa ripercorrere la storia stessa del Corpo, fin dalle

sue origini.

Da quando, nel lontano 1774, Vittorio Amedeo III di Savoia istituì la

Legione Truppe Leggere, con la missione di combattere il dilagante

contrabbando lungo il c.d. "cordone doganale", che interessava buona

parte della frontiera con la Francia e con la Svizzera.

Altri Stati preunitari seguirono l'esempio del Regno di Sardegna,

istituendo Corpi armati, militari o civili, destinati primariamente al

controllo delle merci in entrata ed in uscita dai rispettivi confini ma

anche, in alcune situazioni contingenti, impiegati nel concorso alla

difesa politico - militare dei propri territori.

Con l'Unità d'Italia, il fenomeno del contrabbando crebbe di intensità

per l'aumento del prelievo doganale e per il proliferare di vere e

proprie organizzazioni di contrabbandieri, in grado di tessere e gestire

le fila di cospicui traffici illeciti.

Le merci contraffatte, introdotte attraverso la linea doganale, potevano

viaggiare in tutta la penisola e raggiungere anche i mercati più remoti,

con evidente danno per l'erario ed effetti distorsivi sulla concorrenza.

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3

Oggi il contrabbando, che per lungo tempo è stato ammantato di un

alone di falso romanticismo, sottacendo, spesso, tante tragiche vicende

che hanno causato centinaia di vittime tra finanzieri e contrabbandieri,

ha finalmente gettato la maschera, appalesandosi alla società civile per

quello che è sempre stato: uno dei principali business delle

organizzazioni criminali, nel cui contesto pochi "capi" beneficiano di

ingenti profitti, a scapito di un'ampia manovalanza che rischia la vita

ed il carcere per pochi spiccioli.

Attualmente, la lotta al contrabbando, in primis nel settore dei

tabacchi lavorati esteri, vede la Guardia di finanza, nella sua

connotazione di polizia economico-finanziaria, impegnata:

- in primo luogo, per la tutela delle entrate, in quanto il

contrabbando sottrae ingenti risorse al bilancio nazionale ed a

quello dell'unione europea, in termini di evasione di diritti

doganali e di accise;

- in secondo luogo, per la tutela dei mercati e dell'economia,

minacciati dai patrimoni illecitamente accumulati dalle consorterie

criminali, destinati ad essere riciclati e reimpiegati nel circuito

finanziario e produttivo legale.

L'attività contrabbandiera, abbandonando le forme tradizionali che per

secoli l'hanno caratterizzata (dei quali i cosiddetti "spalloni"

costituiscono la più nota testimonianza), è divenuta, nel tempo, una

vera e propria "impresa multinazionale", contro la quale non sono più

sufficienti le strategie di contrasto fondate unicamente sulla

individuazione dei carichi di merce introdotti illegalmente e sulla

cattura dei soggetti coinvolti.

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Occorre che ad esse si accompagni un'azione mirata a colpire i beni e

le disponibilità finanziarie illecitamente acquisiti e reinvestiti in Italia

ed all'estero, attraverso il miglioramento, anche sul piano normativo,

della cooperazione internazionale.

Permettetemi, infine, una breve digressione, per ricordare i numerosi

perseguitati - per motivi politici e razziali - che i finanzieri aiutarono a

far espatriare verso la Svizzera nel corso della seconda guerra

mondiale, proprio attraverso quella rete di confine che, sul finire del

XIX secolo, era stata eretta per porre un freno al contrabbando.

Molti di questi eroi con le fiamme gialle pagarono con la vita le loro

azioni umanitarie, poiché accusati dai nazisti, ironia della sorte, di

essere stati loro stessi "contrabbandieri di uomini".

La storia ha, così, dimostrato il grande valore dei finanzieri che, nei

momenti più critici e nelle condizioni più avverse, hanno agito nel

giusto, a tutela non solo delle casse erariali ma anche dei diritti

fondamentali dell'uomo.

Concludo questo mio indirizzo di saluto sottolineando l'importanza

delle tematiche che saranno affrontate nel corso del convegno, le cui

relazioni costituiscono un sapiente mix di passato ed attualità, assai

utile per delineare le prospettive future della lotta al contrabbando.

Vi ringrazio per l'attenzione e vi auguro buon lavoro!

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5

INTRODUZIONE AI LAVORI

Gen. C.A. Luciano Luciani

Presidente del Museo Storico

e del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza

Le giornate di studio, che ora iniziano, concludono un percorso

decennale durante il quale è stato investigato, sotto il profilo storico il

contrabbando extraispettivo, quello cioè perpetrato da uomini che a

piedi o con mezzi meccanici o battelli di ogni tipo attraversavano le

frontiera terrestre o marittima con carichi di merci sottoposte a dazio

doganale, forzando la vigilanza della Guardia di finanza.

Esso si differenzia da quello intraispettivo, cioè dal passaggio di merci

gravate da dazio attraverso i canali autorizzati accompagnate da

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documentazione falsa attestante stati di fatto diversi da quelli reali, in

modo da godere di esenzioni o trattamenti agevolati.

Il contrabbando, fin verso il primo terzo del XX secolo è stata la

forma di evasione fiscale che maggiormente incideva sulle entrate

erariali, provocando legittime preoccupazioni alle autorità

governative. Lo Stato molto si attendeva dall’ attività repressiva della

Guardia doganale e poi, dal 1881, dalla Guardia di finanza. Per tutti i

primi settant’anni dall’unità d’Italia ogni provvedimento legislativo

tendente ad incrementare le entrati fiscali era accompagnati da studi e

relative disposizioni di legge che cercavano di migliorare

l’organizzazione, l’organico ed il trattamento dei finanzieri, e questo a

dimostrazione dell’importanza del loro ruolo nell’amministrazione

dello Stato.

Il contrabbando, come forma di evasione, a partire dalla fine della 2^

guerra mondiale, iniziò a incidere percentualmente sempre meno sul

totale delle entrate erariali, e ciò in relazione al crescere del

rendimento delle imposte indirette ed indirette, che alla fine degli anni

‘80 del secolo scorso rappresentavano oltre il 75% del gettito

tributario.

Il colpo di grazia al contrabbando extraispettivo al confine alpestre fu

poi dato dalla crisi petrolifera innescata dalla guerra arabo israeliana

del Kippur, dal 1973, che provocò un fortissimo disallineamento

valutario per effetto del quale il valore del franco svizzero rispetto alla

lira italiana salì a tali livelli che rese antieconomico l’acquisto delle

merci da contrabbandare, acquisto che veniva effettuato nella

Confederazione Elvetica.

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Sopravvisse per qualche anno il contrabbando di caffè, ma anche esso

divenne ben presto antieconomico e fu abbandonato.

Il 1975 può quindi considerarsi l’ anno conclusivo di un ciclo

plurisecolare che vide gli uomini delle zone di confine sfidare la legge

ed i rigori della montagna per ottenere guadagni che consentissero

loro di godere di migliori condizioni di vita.

Gli illustri relatori che si avvicenderanno in queste due giornate, che

ringrazio per il loro impegno, daranno un quadro d’insieme di un

fenomeno, il contrabbando al confine terrestre, che da accadimento

investigato dai criminologhi è divenuto fenomeno oggetto di studi

storici.

È questo lo scopo che il Museo Storico della Guardia di finanza,

attraverso il suo comitato di Studi Storici, si era ripromesso all’inizio

del ciclo di convegni, scopo che ritengo sarà raggiunto con pienezza di

risultati.

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Relazione introduttiva

Dott. Alessandro Lodolini

Nella mia lunga carriera di magistrato, ho lavorato spesso con militari

ed ufficiali di ogni grado della Guardia di Finanza, tutti

professionalmente preparati, con i quali sono rimasto legato da

sentimenti di sincera stima sviluppatisi, nel tempo, nei confronti di

alcuni di loro, in vera amicizia tutt’ora viva e sentita. Probabilmente

questa è la ragione, ma credo non la sola, che ha indotto gli

organizzatori di questo incontro a scegliere la mia persona quale

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autore di una breve e libera relazione introduttiva al presente

convegno.

Avendo letto il programma dei lavori e gli argomenti specifici

assegnati ai relatori che mi seguiranno, limiterò il mio intervento ad

una sintetica trattazione del contrabbando da un punto di vista

fenomenologico, storico e sociale trascurando ogni accenno alle

fattispecie penali che lo definiscono ed alla sua attuale disciplina

giuridica penale ed amministrativa.

Il contrabbando è contemporaneo al formarsi dei primi gruppi sociali

organizzati. La sua nascita e il suo sviluppo sono da collocare in un

tempo immediatamente successivo alla avvertita necessità da parte di

singole comunità, divenute poi stati, di perseguire, con preferenza, gli

interessi comuni rispetto a quelli particolari e di tutelare i reciproci

scambi commerciali, con norme vincolanti che introducessero divieti e

limiti al commercio di quei beni, siano essi materiali o non materiali,

aventi, in un dato momento storico, un condiviso valore economico.

Si è assistito così ad un parallelo procedere: da un lato di sistemi

giuridici sanzionatori statali con norme eventi efficacia erga omnes e

dall’altro di sistemi contra legem dotatisi di norme, formatesi nel

tempo attraverso l’esperienza del delinquere, non scritte ma pur

sempre vincolanti per il perseguimento di interessi di gruppi più o

meno numerosi di persone.

I due sistemi sono stati e sempre saranno in contrasto, spesso aspro e

forte, tra di loro, con vittorie e sconfitte reciproche in una battaglia, tra

guardie e ladri, che non vedrà mai la supremazia o la sconfitta

dell’uno sull’altro perché forti sono i contrapposti interessi economici

ed anche finanziari in gioco.

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Invero, molto evidenti e grandemente appetibili sono i guadagni in

denaro contante o in beni economici di diversa natura che sono

sempre derivati dall’importazione o dall’esportazione di merce in

violazione delle norme statuali con l’ausilio di mezzi, di uomini e di

tecniche per vincere i controlli istituiti dagli stati che, al fine di

contrastare il fenomeno criminoso, si sono avvalsi da parte loro di

specializzati corpi militari di polizia tributaria. Questi, con la

collaborazione di altre forze anticrimine, hanno spesso vittoriosamente

condotto una battaglia, con l’uso anche di armi, trasformatasi talvolta

in una vera guerra, contro i contrabbandieri dando inizio ad una

storia, in alcuni contesti con risvolti anche umani ma in seguito quasi

esclusivamente criminale, del contrabbando di cui, in relazione

all’aspetto italiano, si parlerà più avanti nel convegno.

All’origine di questa trasformazione in peius del contrabbando vi è

l’aumento costante dei reati in dipendenza degli ingenti vantaggi

economici che ne sono conseguiti per gli autori; la prospettiva,

pertanto, dei lucrosi affari condotti con successo, nonostante la

presenza di efficaci forze di polizia di contrasto, ha comportato

l’intervento di gruppi di persone titolari di cospicui interessi

economici e l’intervento di personaggi ed organizzazioni, a livello

mondiale, capaci di investire ingenti capitali e muovere i mezzi

materiali ed umani necessari ed idonei al conseguimento dei fini

perseguiti.

E’ sempre più frequente imbattersi, nel corso delle indagini, in vere e

proprie organizzazioni anche di grandi dimensioni, di rilevanza

nazionale ed internazionale, dedite ad attività illegali, quali il

contrabbando, all’interno delle quali, sovente, per rendere più

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difficoltosa l’identificazione dei partecipanti, si agisce per gruppi

distinti al fine di impedire le reciproche conoscenze personali e

perfino l’incontro tra venditori e compratori prevedendo all’interno,

divisioni di competenze e di mansioni tra gli aderenti: grossisti, autisti,

addetti al carico, magazzinieri, spalloni ecc.

Un esempio di queste organizzazioni in chiaro-scuro sono quelle che

assumono la forma di società di prestanomi fiduciarie le quali

acquistano la merce da aziende estere produttrici per rivenderla nel

mercato interno con copertura commerciale fittizia, false fatturazioni,

nomi di fantasia provvedendo nel contempo ad accendere conti

fiduciari all’estero per il buon fine dei contratti conclusi.

Seguendo la mutevole realtà, anche le fattispecie penali contestate

sono cambiate: ecco le associazioni a delinquere con finalità di

contrabbando più pericolose del concorso di persone nel reato, per

l’indeterminatezza del programma criminoso e per la stabilità e

permanenza nel tempo del programma stesso.

Anche le rotte del contrabbando, come impongono gli interessi delle

organizzazioni criminali, seguono ora non solo itinerari nazionali ma

anche europei e addirittura mondiali siano essi di terra, di mare o di

cielo come richiede il valore in crescendo degli affari, quantificabile

in milioni di euro, soprattutto nel campo delle sigarette, dei preziosi,

dell’oro e del denaro.

Si assiste, così, ad una continua evoluzione della criminalità che si

modella in associazioni sempre più complesse capaci di gareggiare,

quanto ad impiego di capitali, uomini e mezzi, con le grandi

associazioni criminali internazionali protagoniste, sin dai tempi delle

guerre dell’oppio, del traffico di droga.

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Questa evoluzione nel tempo della criminalità ha consentito il sorgere

graduale di una contrapposizione tra economia legale ed economia

illegale all’interno della quale le motivazioni del traffico illecito

vanno individuate nei vantaggi economici che ne sono derivati per i

protagonisti e per il territorio in cui costoro operavano. Questi

vantaggi di natura illegale hanno sempre più favorito l’espandersi del

fenomeno del contrabbando e la penetrazione dei gruppi criminali in

sfere di mercato con investimenti di denaro cospicui. Ciò ha

consentito l’acquisizione di mezzi e di proprietà in grado di facilitare

la conduzione dei traffici illeciti con interventi al ribasso sui prezzi dei

beni al fine di conseguire un apprezzabile guadagno risultante dalla

differenza tra il prezzo legale e quello illegalmente imposto e

praticato.

Abbiamo visto che il contrabbando ha una storia universale legata

all’esistenza dei confini che in tutto il mondo ancora dividono gli stati;

tuttavia, anche là dove, come in Europa, i confini hanno perso di

importanza, il fenomeno non è stato eliminato ma anzi è in crescendo.

Restringendo il campo di esame al tema del convegno, bisogna dire

che il contrabbando, nei secoli XIX e XX, è sempre stato, a seconda

dei periodi, più o meno fiorente tra gli stati confinanti con le alpi,

specialmente con la vicina Svizzera, senza mai conoscere soste,

neppure in presenza di conflitti armati, come nel corso delle due

ultime guerre mondiali, ed ha senz’altro contribuito, nello stesso

periodo, allo sviluppo di un’economia di guerra che ha arricchito

pochi e impoverito molti per mezzo soprattutto dell’illecito

commercio di beni di prima necessità al fine di soddisfare le esigenze

di vita di popolazioni spesso prive di redditi se non addirittura di cibo.

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In quei territori che si andavano ad impoverire per la diminuzione

della ricchezza causata dalla scarsità di strutture economiche

produttive e dal progressivo spopolamento per emigrazione, anche in

tempo di pace la pratica del contrabbando ha dato un contributo non

trascurabile nel far nascere e mantenere un’economia che, seppure in

maniera illegale, era in grado di fornire il necessario per vivere.

Quella del contrabbando è una frontiera che divide ma nello stesso

tempo unisce: crea collaborazioni transfrontaliere a causa di un

legame solidale nato per motivi di carattere economico ed umano è

paragonabile ad un filtro che lascia passare alcune cose ed altre no e

che suscita uno scambio vicendevole di commerci tra una frontiera e

l’altra anche pluridirezionale.

Non bisogna dimenticare che la storia del contrabbando non è stata

scritta soltanto dalle persone direttamente interessate al traffico

illecito: nei territori ove si praticava, l’intera popolazione vi ha

partecipato spesso attivamente, fornendo assistenza logistica, aiuti

materiali e personali, altre volte passivamente, con condotte

conniventi proprie di chi sa ma non parla tanto da far ritenere a molti

che il contrabbando fosse diventato un fenomeno sociale e come tale

dovesse essere esaminato e studiato.

Protagonisti di questo periodo sono stati gli spalloni che hanno scritto

una storia sempre faticosa, a volte generosa e spesso violenta, e che

sono stati annoverati tra i principali attori del contrabbando nei

territori alpini. Erano uomini del luogo, spesso stimati dagli stessi

ticinesi per quanto riguarda il confine elvetico, che, sfidando la

sorveglianza delle guardie dell’una e dell’altra frontiera e scalando

sentieri spesso difficili ed impervi di montagna, d’estate e d’inverno,

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con la neve e di notte, portavano a spalla, le loro bricolle. Ciascuna

bricolla poteva arrivare a pesare 35/40 Kg. di generi alimentari, oltre a

caffè, tabacco ed altro per rispondere alle richieste di una domanda

sempre presente; ciò fa comprendere le ragioni per le quali il

contrabbando, nel corso della storia, in queste zone, non ha mai

conosciuto soste perché ha saputo sempre adeguare con il passare

degli anni, le sue dinamiche alle richieste del territorio.

Basti pensare alla sempre più variegata fantasia nell’uso dei mezzi di

trasporto e di nascondimento della merce, ai numerosi mercati ed alle

mutevoli esigenze della domanda. Esempi eccellenti di

nascondimento, specialmente nel campo dei trasferimenti di denaro,

oro e preziosi in Svizzera , sono quelli in cui gli spalloni si fingono

turisti alla guida di autovetture munite di doppi fondi o portando

addosso ben nascoste capienti panciere.

Il contrabbando di confine come quello tra l’Italia e la Svizzera alla

fine degli anni sessanta si snoda attraverso una lotta di violenti

contrasti tra contrabbandieri e guardie incaricate della sorveglianza,

lotta che è stata contrassegnata, per la verità, anche da momenti di

buoni rapporti. I buoni rapporti sono coincisi con i periodi in cui gli

spalloni lavoravano per bisogni personali e delle loro famiglie e non

per amore esclusivo del denaro e della ricchezza; si instaurava di fatto

tra spalloni e guardie di confine una collaborazione per effetto della

quale queste ultime fingevano di non vedere o sequestravano soltanto

una parte della merce contrabbandata. C’era sempre l’appostamento

dei finanzieri seguito dall’arrivo degli spalloni che utilizzavano le

aperture già esistenti nella rete di confine; quindi seguiva

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l’intimazione”Alt…molla” delle guardie a lasciare le bricolle e la fuga

dei contrabbandieri con l’abbandono sul terreno di parte della merce.

Ricordo di aver avuto come giovane magistrato al tribunale di Varese,

tra la fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta, esperienze

di questo genere nei numerosi processi per contrabbando specialmente

di sigarette estere conosciute con l’appellativo di “bionde”. In ogni

udienza si celebravano di media tre o quattro processi di t.l.e. (tabacco

lavorato estero) importato dalla vicina Svizzera ed in ciascuno di essi

il racconto dei fatti era quasi identico.

Un’area di romanticismo, aveva avvolto per un certo tempo questo

tipo di contrabbando che aveva dato vita ad una forma di

collaborazione extrafrontaliera vantaggiosa sia per gli svizzeri che

vendevano merce sia per gli spalloni che ne ricavavano un reddito

anche se misero, collaborazione non avvertita come illegale specie

dove erano state istituite tasse o forme di monopoli non condivise

dalle popolazioni. E’ un contrabbando che era nato, quindi, anche

come reazione allo stato centrale che aveva emanato norme restrittive

o proibitive non condivise.

Con il passar del tempo anche questo tipo di contrabbando lentamente

ha mutato pelle esplodendo sul piano quantitativo e qualitativo fino ad

assumere sempre più un carattere industriale in grado di muovere

cifre enormi di mercato con introiti elevatissimi. Era inevitabile di

conseguenza che, anche a causa dell’aumento del valore del franco

svizzero, iniziasse a diminuire nel tempo il lavoro degli spalloni

lavoro che però è continuato battendo altre strade e rotte ed

utilizzando mezzi di trasporto più potenti per assumere sempre più la

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caratteristica di traffico dominato da organizzazioni criminali

internazionali.

Vorrei terminare con una considerazione che a prima vista appare

estranea al tema della mia relazione introduttiva ma che in realtà

rientra nell’eterno interrogativo della legittimità di una norma che

vieti determinate condotte perché ritenute illecite, in un determinato

momento storico, mentre tali non sono avvertite dai suoi destinatari.

Non esiste sempre un nesso indissolubile tra norma e comune sentire.

Non vi è dubbio che le norme sul contrabbando vanno ad incidere su

di una realtà non sempre oggettivamente antigiuridica ma anzi in

genere lecita ed essenziale per l’economia degli stati, quale è lo

scambio di merci o di altri beni attraverso le frontiere. V’è di più: di

frequente la diversità di disciplina sulla stessa materia fa sì che una

stessa condotta sia vietata da uno stato e consentita da un altro.

Esiste una strada che si può percorrere per raggiungere e

possibilmente far proprio l’ideale della giustizia e far sì che questo

ideale possa realizzarsi nei rapporti tra gli uomini ed ivi regnare?

Due sono, a mio avviso, le carreggiate che formano questa strada: la

giustizia e la verità. La giustizia da sola non è sufficiente per cui è

necessaria anche la individuazione della verità e solo quando i due

concetti coincideranno si avrà una giustizia vera.

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Gen. D. Bruno Buratti

Il contrabbando alla frontiera terrestre oggi

Il termine “contrabbando” proviene da “contra bandum” o “bannum”

e indica un’azione compiuta in violazione di un’imposizione di legge,

un “bando” appunto, strumento in antichità usato per diffondere un

decreto, una legge o un ordine, “a suon di tromba” dal banditore.

Si tratta, dunque, di una condotta “criminosa”, finalizzata alla

introduzione di merci o beni nel territorio di uno Stato e in violazione

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delle prescrizioni poste a tutela del pagamento dei cd. “diritti di

confine” o doganali.

Questa è la definizione riconosciuta, ancora oggi, nel nostro

ordinamento dal Testo Unico sulle Leggi Doganali, in linea con la

definizione comunitaria.

Nel Dizionario Storico della Svizzera1, Paese tradizionalmente

“prediletto” dal contrabbando terrestre e alpestre, il significato è

individuato “principalmente” da un punto di vista economico: il

contrabbandiere “supera delle barriere create per ragioni fiscali o di

politica economica, sfruttando così a suo vantaggio i divari di prezzo

naturali o artificiali fra diversi spazi economici. Ciò comporta un

riequilibrio dei prezzi favorevole sia al venditore che all'acquirente”.

“A l contrario di quanto avviene nell'U.E., in Svizzera il contrabbando

non è generalmente considerato un'azione criminosa, ma viene

perseguito nell'ambito del diritto penale fiscale”.

Cesare Beccaria definisce il contrabbando come “un vero delitto che

offende il sovrano e la nazione, ma la di lui pena non dev'essere

infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica

opinione”.

Nel periodo di espansione dell’Impero romano il contrabbando

avveniva in maniera piuttosto violenta, motivo per cui gli stationarii2

e i portitores3 furono affiancati da distaccamenti militari che potessero

impedire, con la forza, eventuali condotte di contrabbando.

1 Cfr. www.hls-dhs-dss.ch. 2 Nel periodo dell’Impero, la statio rappresentava una postazione di difesa, anche

militare, una postazione di controllo, un punto di osservazione soggetto all’autorità di ufficiali dell'esercito romano.

3 Al tempo, le varie “gabelle” imposte ai sudditi delle provincie dell’Impero comprendevano diritti diversi quali dazi, pedaggi, affitti di luoghi pubblici,

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Nel Medioevo il fenomeno conobbe una forte propagazione nella

nostra penisola. Anche in conseguenza della pregnante influenza

arabo-islamica, si diffusero termini quali “dogana” (diwani,

letteralmente il registro del soldo delle milizie arabe e delle pensioni

di Stato, ma anche “divano”) e “tariffa” (ta’rifa , letteralmente

informazione o notificazione), e nacquero gli istituti del manifesto di

bordo e dei depositi doganali.

In questo periodo nascono e si diffondono pure le franchigie, come nel

caso di fiere o mercati particolari, soprattutto gestiti da istituzioni

religiose.

Degna di menzione è una previsione contenuta nelle leggi dello Stato

pontificio, nel periodo pre-unitario, cioè quella della “delazione”:

chiunque avesse aiutato a individuare e smascherare episodi di

contrabbando entro una giornata dall’avvenimento del fatto, sarebbe

stato premiato con cento scudi oltre che con la garanzia

dell’anonimato!

Con l’unificazione, il neo-Stato italiano fu costretto a ritoccare in

aumento le tariffe doganali, in un primo momento in misura moderata,

ma dopo l’inizio della guerra con l’Austria (1866) in maniera più

consistente, con conseguente incremento esponenziale dei fenomeni di

contrabbando, soprattutto lungo i confini settentrionali.

Già allora il Corpo della Regia Guardia di Finanza (denominazione

assunta con Legge 8 aprile 1881, n. 149) si dimostrava determinante

per la tutela degli interessi finanziari dello Stato soprattutto al confine

mercati e altri, e la loro riscossione era data in appalto a ricchi imprenditori, i cd. “publicani” o “ telonai”, i quali pagavano al procuratore della Provincia una certa somma, di cui si rifacevano con la riscossione di una determinata partita di gabelle: gli impiegati dipendenti da questi appaltatori generali erano gli “exactores” o “portitores”, appunto.

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italo-svizzero, se si pensa che il gettito delle imposte doganali passò

dai 100 milioni di lire del 1872 ai 208 milioni del 1884.

La situazione del contrabbando nel primo quarto di secolo dall’Unità

d’Italia, tuttavia, viene ben descritta nella relazione di

accompagnamento al disegno di legge che diminuiva il prezzo del sale

e alcune imposte nonché prevedeva il miglioramento nelle carriere

della Guardia di Finanza per rendere più appetibili arruolamenti e

rafferma4. Nel documento, infatti, si rileva che nella seconda metà

dell’Ottocento il contrabbando continuava ad imperversare non

soltanto lungo i confini terrestri settentrionali ma anche sul mare,

agevolato da un litorale esteso e frastagliato dove la vigilanza riusciva

difficilissima.

Nei primi anni del XX secolo il fenomeno continuava a diffondersi via

terra, soprattutto nell’area lombarda, al confine con la Svizzera,

territorio che conosce le storie di contrabbando forse più note, intense

e drammatiche.

Regioni e territori quali Valle d'Aosta, Ossola, Valtellina e molte altre

assistevano al passaggio quasi quotidiano dei famosi “spalloni”

ovvero “sfrosœtt” che portavano, in grosse quanto ingombranti

“bricolle”, merce di vario genere e in entrambi i sensi di marcia: caffè

dalla Svizzera verso l’Italia; riso, soprattutto durante la seconda guerra

mondiale, dall’Italia verso la Svizzera, ma anche calzature, biciclette,

copertoni di auto, per ritornarvi “carichi” di zucchero, caffè e

saccarina. E poi, al termine della guerra, sigarette: ogni bricolla

4 Cfr. disegno di legge presentato dal Governo avente per oggetto “Dichiarazione

del prezzo del sale e dell’imposta sui terreni, e relativi provvedimenti finanziari. Tornata del 25 novembre 1885. Atti parlamentari, n. 373”, custoditi presso l’Archivio Storico del Museo della Guardia di finanza – ASMSGF).

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arrivava a contenere fino a 749 pacchetti, non già 750 perché

altrimenti scattava l’arresto!

Questo fenomeno non sembrava non provocare alcun sentimento di

“censura”, in quanto più che un “crimine” appariva come una sorta di

maniera per “sbarcare il lunario”, un fenomeno sociale, soprattutto in

periodi di miseria e di fame. Un famoso proverbio lombardo ricorda

che “a fà cuntrabànd se perd al sach e tutt quant” che, in italiano,

suona più o meno: “a contrabbandare si perde il sacco e tutto quanto

in esso contenuto, cioè il carico”.

Nel gergo dei contrabbandieri, al sach (sacco) era la bricolla mentre

"andà cul sach", andare col sacco, era sinonimo di contrabbandiere o

contrabbandare.

Sempre in questi anni si diffondono, specialmente nelle zone lungo

l’arco alpino della penisola, ingegnosi sistemi di trasporto della merce

e curiose metodologie di contrabbando e si verificano eventi, spesso

tragici, che accomunano finanzieri e contrabbandieri.

Si afferma l’impiego dei cani “par sfrusà” (per frodare), che venivano

“addestrati” in cascinali e fattorie nei pressi del confine lombardo-

elvetico, affamati e bastonati da una persona travestita da finanziere;

successivamente, venivano trasferiti in Italia per essere accuditi e

abbondantemente nutriti, per poi essere riportati in Svizzera,

nuovamente bastonati. Da qui, ritornavano in Italia, carichi di merce

di contrabbando (non più di 10 Kg per volta), facendo ben attenzione

alla presenza delle “divise” delle fiamme gialle sul loro cammino!

Altrettanto peculiare è stato l’utilizzo del “sigaro del Ceresio”, un

piccolo, rudimentale sommergibile, con trazione a pedali, usato per

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trasportare merce di contrabbando attraverso il lago di Como fino agli

anni '50 e scoperto a Porlezza(CO) nel 1948.

Nel secondo dopoguerra le forti innovazioni legislative connesse, in

particolare, alle nuove disposizioni del settore doganale, tanto più

severe poiché necessarie per aiutare la crescita e la ripresa di un Paese

devastato dalla guerra, rappresentano una con-causa del

peggioramento del fenomeno.

Uno spaccato in questo senso, soprattutto nell’area del territorio della

provincia di Sondrio e zone limitrofe, è rinvenibile in un articolo di

Diego Zoia, intitolato “Commercio minore e contrabbando”5 , nel

quale si legge che si arrivò “… gradatamente ad un evidente

snaturamento delle tradizionali forme di esplicazione dell'attività

contrabbandiera: ad una vera e propria esplosione del fenomeno

sotto il profilo quantitativo si accompagnò una grave degenerazione

delle sue caratteristiche. Nel solo 1965, secondo dati ufficiali, vennero

denunciate per contrabbando, in provincia 1339 persone e sequestrati

212.000 kg di caffè e 18.500 kg di tabacchi lavorati, oltre a 109

automezzi.…”.

La migliore e tangibile testimonianza del contrabbando fra Italia e

Svizzera, particolarmente attraverso il territorio alpino, è rappresentata

forse dalla necessità, avvertita dalle Autorità doganali ai primi del

Novecento, di installare, sulla linea di confine italo-elvetico, una “rete

di protezione fiscale”.

Un documento, dato a Milano il 24 febbraio 1955, a firma del Tenente

Colonnello della Guardia di Finanza Luigi Pagliaro che, nel descrivere

5 L’intervento è rinvenibile in “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo

territorio” (Milano, Silvana editoriale, 1955).

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finalità e caratteristiche del manufatto, evidenzia che lungo la linea di

confine “laddove il terreno è di facile percorribilità, è stata costruita,

quale difesa passiva anticontrabbando da circa cinquant’anni, una

rete metallica alta oltre quattro metri applicata su pali e munita di

campanelli che suonano ad ogni soffiar di vento e non soltanto

quando la rete viene tagliata dai contrabbandieri”.

L’Ufficiale, consapevole della gravità assunta dal fenomeno negli anni

Cinquanta, suggerisce ai suoi Superiori una “ingegnosa” alternativa:

espropriare, lungo la linea di confine “una striscia di terreno,

profonda in media una dozzina di metri, su cui far crescere delle

piante fitte e spinose, entro cui si dovrebbero estendere grovigli di filo

spinato che non abbisognano di manutenzione”. In altre parole, in

luogo di una difesa passiva lineare come un rete metallica, dovrebbe

adottarsi una difesa “sufficientemente profonda, massiccia, irta di

ostacoli, se del caso disseminata da mine a scoppio deprimente e non

mortale, che dovrebbe essere superata con notevoli difficoltà da parte

dei contrabbandieri”.

Ai giorni nostri, il fenomeno del contrabbando, soprattutto di tabacchi

lavorati esteri, assume i caratteri principalmente del contrabbando

“intra-ispettivo”, che si realizza mediante tentativi di introduzione di

merce e prodotti attraverso i varchi doganali.

Diversamente, il contrabbando “extra-ispettivo” si commette tentando

di introdurre merce estera sottraendola ai previsti controlli doganali, al

di fuori degli spazi doganali e dei relativi varchi.

Il contrabbando dei tabacchi lavorati esteri ha visto il Corpo compiere

uno sforzo operativo e organizzativo senza precedenti.

Ma perché proprio i tabacchi lavorati esteri?

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Una ricerca svolta dal Censis nell’ottobre 2011 evidenzia che,

nell’ultimo ventennio, il gettito fiscale da tabacchi è aumentato

costantemente, raddoppiando il valore in termini reali, passando da

1,34 euro a pacchetto a 2,86 euro, contribuendo nel 2011 alle finanze

pubbliche italiane con circa 14 miliardi di euro.

Di questi, oltre 10,5 mld. quali accise e oltre 3 mld. di IVA, tributi che

incidono complessivamente per quasi il 76% sul prezzo di vendita al

pubblico dei tabacchi.

I traffici illeciti di sigarette costituiscono per la criminalità organizzata

importanti opportunità di arricchimento, in ragione degli ingenti

profitti che consentono di accumulare e dei bassi costi e limitati rischi

che comportano rispetto agli altri tipi di traffici illeciti.

Il fenomeno del contrabbando di TLE investe, oggi, la maggior parte

dei Paesi dell’Unione Europea, alcuni della fascia mediterranea

(Francia, Italia, Spagna), altri dell’Europa continentale (Regno Unito,

Olanda, Germania e Belgio); per questi ultimi, il mare Mediterraneo

costituisce il canale d’ingresso preferenziale.

Oggi, rispetto al passato, l’Italia è interessata dal fenomeno del

contrabbando di tabacchi soprattutto quale area di transito del

commercio illegale verso gli altri Stati dell’Unione Europea, dove la

tassazione è sensibilmente più elevata.

Gli “spalloni” di oggi giungono in aeroporto, soprattutto a Milano

Malpensa, con zaini, borsoni e valigie con qualche centinaio di

pacchetti di sigarette nascosti, del tipo “cheap white” (o “ illicit white”)

nuova frontiera del consumo di tabacchi lavorati esteri.

Si tratta di sigarette legittimamente prodotte nei Paesi di provenienza

(Russia, Emirati Arabi Uniti e Ucraina), ma irregolarmente introdotte

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nel territorio comunitario, non essendo commercializzabili

nell’Unione Europea e si collocano nella fascia di prezzo più

popolare.

Fra esse i marchi maggiormente sequestrati in Italia risultano essere

“Jin ling”, “Gold Classic”, “Raquel”, “Capital”, “Marble”, “MG

American Blend”, “Cooper”, “Miami”, “Five Stars”, “Affair” “Perfect

Blue”, “Pioneer”.

Questa tipologia di T.L.E., assolutamente economica quindi appetibile

per il consumatore, oggi rappresenta la stragrande maggioranza dei

sequestri condotta sul territorio nazionale: oltre il 72% del totale del

sequestrato nel 2012; soltanto nel 2009, l’incidenza era di poco più del

38%.

La loro diffusione è, evidentemente, connessa alla situazione di

perdurante crisi che ha creato problemi di disponibilità finanziarie

anche nei consumatori finali, i quali possono essere stati indotti ad

alimentare una domanda di prodotti a più basso costo, anche su

mercati clandestini.

Dall’analisi degli itinerari e delle modalità attuative del contrabbando,

condotta sulla base dei risultati delle operazioni dei Reparti del Corpo,

si conferma la tendenza, da parte dei contrabbandieri, a diversificare le

rotte e le basi logistiche.

Le principali aree di provenienza delle sigarette illegali sequestrate in

Italia sono la Grecia e gli Emirati Arabi Uniti che, tuttavia devono

essere considerate principalmente aree di stoccaggio dei carichi.

Le destinazioni più ricercate sono i Paesi che rappresentano un

mercato più remunerativo dell’Italia, come la Gran Bretagna, la

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Francia, l’Olanda, la Germania e il Belgio, dove esiste un elevato

livello di tassazione sui tabacchi.

Secondo i dati diffusi dalla Commissione Europea6, un pacchetto di

sigarette può costare in media 1,63 euro in Lituania, mentre in Irlanda,

dove si raggiungono i livelli di tassazione più elevati, 9,10 euro, con

una differenza del 458%.

Un medesimo pacchetto di “Marlboro” costa 2,56 euro in Lituania, 4

euro in Grecia, 5 euro in Italia, mentre in Irlanda 9,10 euro.

La maggior parte dei tabacchi lavorati esteri sottoposti a sequestro

viene introdotta nel territorio comunitario attraverso gli ordinari varchi

doganali, e occultata all’interno di container, autotreni e altre

tipologie di veicoli, accompagnati da documentazione doganale

attestante differenti categorie merceologiche o destinazioni doganali

fittizie.

Sigarette illegali sono oggetto di sequestro anche su furgoni o autobus

provenienti dal confine terrestre nord-orientale, modalità di trasporto

del t.l.e. registrata, negli ultimi tempi, con sempre maggiore

frequenza.

In particolare, la strategia delle organizzazioni dell’est europeo

sembra sempre più orientarsi verso una parcellizzazione dei carichi di

sigarette e un impiego massiccio di automobili per il loro trasporto.

La mappatura di tali sequestri delinea i flussi e le rotte terrestri che,

dai Paesi est europei e balcanici, si estendono ai confini orientali del

Paese (Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige), fino alle

6 Fonte: European Commission – Directorate General Taxation and Customs

Union Tax Policy, “Excise Duty Tables – Part III Manifactured tobacco March 2009”.

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principali piazze di consumo della Campania, della Lombardia, del

Piemonte, dell’Emilia Romagna e del Lazio.

In particolare, sul territorio sono risultate attive numerose

organizzazioni contrabbandiere composte da russi, georgiani,

bielorussi e polacchi, alla continua ricerca di nuovi mercati di sbocco.

In tale scenario, si sono oramai inseriti e perfettamente integrati

soggetti campani.

Lo scenario del contrabbando è inciso, in maniera preoccupante,

anche dalla contraffazione di sigarette: secondo i dati forniti

dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato l’incidenza

delle sigarette contraffatte sul totale di quelle sequestrate, è pari in

Italia al 39%.

Una grossa fetta delle sigarette contraffatte sottoposte a sequestro in

Italia sono prodotte in Cina.

Ma la Cina non ha il “monopolio” essendo state individuate fabbriche

di sigarette contraffatte anche in Belgio, Lituania, Polonia e

Slovacchia da cui il “prodotto”, ancora una volta per via di terra,

giungeva in Italia.

La strategia di contrasto è attuata attraverso un dispositivo integrato

composto da presidi di vigilanza statica presso tutti i porti, aeroporti e

valichi di confine, supportati da servizi di vigilanza dinamica in

prossimità e nelle adiacenze di queste strutture.

A tali attività all’interno degli spazi doganali, la Guardia di finanza

affianca il controllo economico del territorio, del mare e dello spazio

aereo, che essa assicura, in totale autonomia.

Importanti sono poi le investigazioni finalizzate a colpire le

organizzazioni che in Italia e all’estero gestiscono i traffici illeciti di

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tabacchi lavorati esteri, a ricostruire i relativi flussi finanziari e a

individuare e sequestrare gli illeciti profitti conseguiti.

In questo contesto assai preziosa è l’attività condotta dai Gruppi

Investigativi sulla Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) dei Nuclei di

Polizia Tributaria.

Le competenze dei GG.I.C.O., quali strutture referenti delle Direzioni

Distrettuali Antimafia, riguardano i reati la cui cognizione è

demandata alle medesime DD.D.A. ai sensi dell’art. 51 comma 3-bis

c.p.p. tra cui l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando

e alla contraffazione di tabacchi lavorati esteri.

Gli altri Reparti non dotati di G.I.C.O. svolgono attività d’indagine per

il contrasto al contrabbando/contraffazione di t.l.e. con riferimento ai

contesti caratterizzati da minore complessità.

Il raccordo investigativo in ambito nazionale in materia di

contrabbando di tabacchi è svolto dal Nucleo Speciale Spesa Pubblica

e Repressione Frodi Comunitarie, unitamente al Servizio Centrale

Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.).

Tutte le attività svolte e le informazioni acquisite dai Reparti del

Corpo che attengono all’analisi operativa nel comparto del

contrabbando di merci in genere e di tabacchi lavorati sono pertanto

comunicate al Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi

Comunitarie.

Le stesse informazioni sono, nel contempo, trasmesse anche allo

S.C.I.C.O. per consentire a quest’ultimo, in attuazione dell’art. 12 del

D.L. 13 maggio 1991, n. 152, di svolgere i compiti di raccordo

informativo, analisi, supporto tecnico-logistico e operativo

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relativamente alle attività investigative concernenti i traffici in

argomento.

In ragione della transnazionalità assunta dai fenomeni illeciti, con

sempre maggiore frequenza emerge la necessità, nell’ambito delle

indagini condotte dai Reparti del Corpo, di ricorrere a strumenti di

cooperazione internazionale, nelle tre distinte forme della

cooperazione amministrativa, di polizia e di intelligence.

Sul punto è bene sin da subito precisare che solo le prime due forme di

cooperazione trovano fondamento in previsioni normative e

convenzionali che forniscono la base giuridica per lo scambio di

informazioni.

Con riguardo alla cooperazione informale o d’intelligence, nel cui

ambito i dati vengono scambiati in forma riservata e confidenziale, il

Corpo intrattiene rapporti con organismi ed entità di molteplici Paesi

anche extracomunitari.

La cooperazione d’intelligence viene privilegiata laddove non siano

disponibili strumenti giuridici; gli elementi così ottenuti vengono

utilizzati esclusivamente per orientare l’attività d’indagine.

Nella prospettiva di rafforzare i rapporti bilaterali con i principali

collaterali esteri, la Guardia di Finanza ha stipulato Protocolli tecnici

d’intesa con la Guardia Civil spagnola, il Ministero

dell’Amministrazione e dell’Interno romeno, il Central Board of

Excise & Customs indiano, l’Alcohol and Tabacco Tax and Trade

Bureau degli Stati Uniti d’America e con l’Amministrazione Federale

delle Entrate dell’Argentina.

Sono stati anche definiti un “Piano di misure congiunte” con il

Servizio Federale Doganale della Federazione Russa e un “Piano

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d’azione per la cooperazione contro le violazioni delle leggi doganali”

con il Customs & Excise Department di Hong Kong.

Nel quadro della cooperazione internazionale un importante ruolo è

anche ricoperto dalla rete di 19 ufficiali fra Esperti presso le

rappresentanze diplomatiche e Ufficiali di collegamento distaccati

all’estero.

L’esperienza operativa maturata dai Reparti del Corpo ha posto in

evidenza tuttavia che il contrabbando non riguarda soltanto i tabacchi

lavorati esteri ma anche altri prodotti oggetto di commercializzazione

nonché, soprattutto, la valuta e i preziosi.

Uno dei fenomeni che crea maggiori danni all’Erario nazionale e

comunitario e che vede Dogana e Guardia di Finanza costantemente

impegnate, è la sotto-fatturazione del valore delle merci all’atto

dell’importazione.

Il criterio in base al quale viene determinato il “valore in dogana” è

quello del “valore della transazione” cioè il prezzo effettivamente

pagato o da pagare che risulta dalla documentazione prodotta

all’Autorità doganale.

Di norma, le mendaci dichiarazioni di valore vengono realizzate con:

− la presentazione in Dogana di una fattura falsa recante importi o

quantità inferiori a quelli reali;

− l’omissione dell’indicazione delle spese che concorrono alla

determinazione della base imponibile (spese di trasporto,

commissioni, diritti di licenza ecc.)

Nelle indagini condotte nel settore, oltre al contrabbando e

all’evasione fiscale, possono essere contestate le violazioni previste in

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tema di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza

illecita, oppure di contraffazione.

Con riferimento al controllo transfrontaliero di valuta, l’esperienza

operativa del Corpo continua a segnalare casi di esportazioni illecite

perpetrate per finalità di sottrazione di ricchezza imponibile oltre che a

scopo di riciclaggio di proventi illeciti.

In questo ambito, la dimensione del contrabbando “per via di terra” è

sicuramente peculiare.

Dai risultati operativi del 2012 emerge che, avuto riguardo agli

importi dei trasferimenti di valuta al seguito non dichiarati, la Svizzera

è il primo Paese, con 52,8 milioni di euro accertati, per

movimentazioni in entrata nel territorio nazionale nonché, con 6,6

milioni di euro accertati, il secondo per movimentazioni in uscita dal

territorio nazionale (dopo la Cina, con i suoi 7,2 milioni di euro).

Nel settore dei traffici transfrontalieri di valuta l’attività di servizio

demandata alla Guardia di finanza è finalizzata essenzialmente a:

− controllare la regolarità dei flussi valutari, sia in entrata che in

uscita dal territorio dello Stato;

− verbalizzare le eventuali infrazioni riscontrate;

− rilevare qualsiasi elemento utile per risalire ad eventuali casi di

riciclaggio, o di traffici fraudolenti, connessi ai trasferimenti di

capitali da e verso l’estero;

− acquisire indizi tracce su flussi di capitali non dichiarati all’atto del

trasferimento all’estero e/o di rientro in Italia, ai fini dei successivi

approfondimenti economico e finanziari e più in particolare di

quelli di natura fiscale.

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La dimensione transnazionale dei fenomeni illeciti connessi ai massici

trasferimenti illegali di valuta, si può considerare logica conseguenza

dell’abbattimento dei confini e delle opportunità offerte dalla

internazionalizzazione dei mercati, che se da un lato offrono

prospettive di sviluppo alle iniziative economiche lecite, dall’altro

consentono alle organizzazioni delinquenziali di ampliare lo spettro

delle attività illecite proiettando i loro interessi su aree territoriali

sempre più vaste.

In una telefonata intercettata nel novembre 1989, nei giorni

immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, un

affiliato alla mafia siciliana che si trovava nella parte occidentale della

città tedesca chiedeva istruzioni al proprio capo su cosa fare in quel

clima di cambiamenti epocali.

L’interlocutore senza esitazione gli raccomandava:

“Tu vai ad Est e compra”.

“Che cosa devo comprare?”, ribatteva l’inviato della mafia in terra

teutonica.

“Non importa, qualsiasi cosa, pizzerie, discoteche, alberghi,

l’importante è che compri”.

Gli stratagemmi adottati dai cosiddetti “cash courier” sono i più

disparati: non tramonta l’utilizzo di auto modificate per sfruttare

cavità e doppio fondi nell’abitacolo e nella carrozzeria, dove si

possono nascondere da alcune centinaia di migliaia di euro, fino a

qualche milione, a seconda del taglio delle banconote.

In un servizio svolto dal Gruppo di Ponte Chiasso al confine italo-

svizzero è stato individuato un soggetto che tentava di superare la

frontiera a bordo della propria auto con 393 mila euro occultati

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all’interno di un vano ricavato sotto la leva del cambio, assicurato da

un’apertura meccanica, in cui i militari rinvenivano banconote da 100,

200 ma, soprattutto, 500 euro.

La maggior delle banconote da 500 euro circolanti in Italia (si parla di

una quota pari ai 4/5 del totale) sarebbe allocata in tre aree

geografiche ben definite: i comuni a ridosso del confine italo-svizzero,

la provincia di Forlì e il tri-veneto, ovvero le tre “rampe” di fuga

“terrestre” dei capitali dal nostro territorio, così come del loro rientro

clandestino in Italia.

Una valigetta 24 ore può contenere fino a 6 milioni di euro in

banconote di questo taglio.

I sistemi di occultamento di valuta tuttavia sono molteplici.

Uno dei più collaudati è il ricorso al cosiddetto fenomeno della

“polverizzazione” dei trasferimenti, attraverso la ripartizione delle

provviste in capo a più passeggeri, allo scopo di non eccedere il limite

quantitativo stabilito dalla legge.

Frequente risulta il trasporto di denaro sulla persona (scarpe, calzini,

slip, reggiseno, legati alla vita, in mezzo ai biglietti da viaggio, nella

carta di imbarco e/o nei documenti portati a mano) ovvero il trasporto

nel bagaglio al seguito o già stivato a bordo degli autoveicoli,

all’interno dei “naturali” vani quali cassetti, braccioli e schienali

portaoggetti oppure in appositi doppifondi creati ad hoc, o ancora in

pacchi di biscotti, cioccolata, pasta ed altri generi alimentari, libri o

portafoto.

Un metodo riscontrato in molti casi nei confronti di soggetti d’etnia

cinese consiste nel celare denaro contante all’interno di sigarette,

preventivamente svuotate del tabacco.

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Non mancano nella quotidianità operativa episodi “curiosi”, come

quello di un cittadino svizzero fermato alla dogana di Brogeda, con a

bordo dell’auto 100 mila euro in contanti.

Dopo il sequestro del 50% della somma non dichiarata, l'uomo ha

chiesto di poter tornare indietro. Un'ora dopo si è ripresentato al

confine: pensando di passare indenne è invece stato nuovamente

fermato per un controllo e gli sono stati trovati, questa volta, 26mila

euro in contanti, nello stesso nascondiglio a bordo della vettura;

questa volta ha pagato la multa e proseguito il viaggio.

Per fronteggiare questa nova frontiera del contrabbando, ormai da

qualche anno, la Guardia di finanza si è dotata, sull’esempio di altri

Paesi, di cani specializzati nella ricerca di valuta.

Si tratta di cani di razza “Labrador”, specializzati nel riconoscere

all’olfatto i segnali della presenza di carte filigranate e inchiostri

impiegati per la stampa di banconote, grazie a corsi di addestramento

mutuati dall’esperienza della polizia britannica.

Dopo un primo periodo di sperimentazione, le prime 7 unità sono

pienamente operative presso gli Aeroporti di Malpensa, Fiumicino,

Napoli, Venezia e Torino, nonché ai valichi lombardi con la Svizzera.

Nel complesso, i risultati del Corpo nel settore sono in ascesa se si

considera che nel 2012 l’importo complessivo della valuta intercettata

è aumentato del 14,5% passando da un valore di 100,3 milioni di euro

registrato nel 2011 a 114,9 milioni di euro lo scorso anno. A fronte di

tale incremento, nel 2012 l’importo di denaro contante sequestrato è

stato pari a 6,4 milioni di euro (nel 2011 era stato di 959 mila euro)

con un incremento di circa il 560 %, mentre l’ammontare delle

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oblazioni ricevute è risultato pari a 2,6 milioni di euro (nel 2011 erano

1,56 milioni di euro).

Se questa è dunque la dimensione del fenomeno di illecita

esportazione, occorre muoversi lungo due linee direttrici.

La prima è finalizzata a migliorare e ampliare il patrimonio

informativo del Corpo utilizzato per l’analisi di intelligence

nell’attività operativa, acquisendo informazioni sulla frequenza ed

entità di operazioni di trasferimento al seguito di capitali, al fine di

valutarne la compatibilità con il profilo reddituale del soggetto in

questione. L’incrocio di tali risultanze consentirà di sviluppare in

modo selettivo approfondimenti investigativi mirati di polizia

economica e finanziaria, facendo emergere fenomeni di riciclaggio di

proventi illeciti, ricchezze non dichiarate al fisco ovvero, più in

generale, l’area del sommerso che notoriamente inquina i circuiti

legali dell’economia del nostro Paese.

La seconda linea d’indirizzo è quella di potenziare al massimo lo

scambio di esperienze e informazioni con i collaterali esteri.

Altra forma di contrabbando, in netto incremento negli ultimi anni,

riguarda l’oro e i preziosi in genere e può trovare motivazioni di fondo

nel particolare momento di crisi economico-finanziaria.

Infatti il prezzo dell’oro sale nei momenti di difficoltà delle borse e

intorno al metallo giallo possono innescarsi sistemi di speculazione: si

pensi che dal 2007 (periodo pre-crisi) al 2012 è stato registrato un

incremento medio del prezzo dell’oro superiore al 200%.

Altro fattore è rappresentato dal bisogno immediato di liquidità e dalle

difficili condizioni di accesso al credito che hanno spinto categorie di

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imprenditori (ma non solo) a preferire la vendita diretta del proprio

oro piuttosto che rivolgersi al sistema bancario.

Il fenomeno risulta prevalentemente concentrato in corrispondenza di

valichi di frontiera di terra, ma riguarda anche gli scali portuali e

aeroportuali.

Nel periodo 2010-ottobre 2012 sono stati sequestrati i seguenti

quantitativi di metalli preziosi:

− kg 1.507 di argento non lavorato;

− kg 197,95 di oro non lavorato;

− n. 3.021 monete d’oro e d’argento;

− n. 3.753 orologi d’oro;

contestualmente, sono stati denunciati complessivamente 460 soggetti

di cui 150 tratti in arresto.

Anche riguardo al contrabbando di oro, l’occultamento in vani e

scomparti realizzati a bordo dei veicoli resta un sistema di trasporto

molto diffuso, come dimostra l’esito di un controllo doganale condotto

dai finanzieri del Gruppo di Ponte Chiasso i quali, attraverso lo

smontaggio del sedile anteriore di un’autovettura, rinvenivano un

“doppio-fondo”, ricavato sotto il pianale del veicolo e accessibile

tramite uno sportello meccanico, completamente nascosto alla vista,

azionabile con una piccola leva nascosta nella struttura del sedile.

All’interno del “doppio-fondo” venivano rinvenuti plichi, avvolti in

carta da giornale e nastro adesivo e racchiusi a loro volta in sacchi di

stoffa, recanti al loro interno “verghe” di oro massiccio, superiore ai

18 kt per un peso complessivo di kg. 49,830, per un valore superiore

ai 2 milioni di Euro.

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Dinanzi a tale scenario, la Guardia di Finanza si pone come

imprescindibile presidio di legalità, in quanto impegnata in prima

linea nel contrasto a manifestazioni di criminalità economica, di cui il

contrabbando, in tutte le sue forme, costituisce una modalità

particolarmente insidiosa, il cui contrasto è da sempre considerato una

priorità istituzionale, al pari della lotta all’evasione fiscale.

Al riguardo, appare fondamentale la capacità del Corpo di

approfondire i contesti investigativi in modo da affrontare in maniera

trasversale tutte le possibili implicazioni d’ordine economico-

finanziario connesse, valorizzando nel modo più efficace gli strumenti

normativi e operativi di cui dispone e adottando le più appropriate

tecniche investigative tipiche di un approccio di “polizia”.

Ciò rende il Corpo un unicum nel sistema di prevenzione e controllo,

ponendolo come importante presidio della sicurezza economico –

finanziaria del nostro Paese.

In questa prospettiva, la Guardia di Finanza proseguirà, con sempre

maggiore convinzione e determinazione, nell’azione di contrasto al

contrabbando per garantire Erario, consumatori, imprese oneste e

operatori economici che rispettano le regole.

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Prof. Fabrizio Vismara

Contrasto al fenomeno del contrabbando

nel diritto italiano e svizzero

Il fenomeno del contrabbando costituisce oggetto di studio sotto

diversi profili. L'analisi può, infatti, essere condotta sul piano

terminologico, storico, economico o giuridico. Sul piano storico è

sufficiente ricordare come l’interesse al contrasto del fenomeno del

contrabbando sia risalente. Già infatti nel XV secolo risulta che

condotte rientranti nella nozione di contrabbando fossero oggetto di

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previsioni sanzionatorie.

Sul piano economico, il contrabbando è legato al controllo dei flussi di

ricchezza attraverso le frontiere e costituisce il riflesso dell’esercizio

del potere sovrano sul territorio. La configurabilità del fenomeno è

quindi connessa alla definizione delle regole che disciplinano

l’attraversamento delle frontiere.

La rilevanza del fenomeno del contrabbando è altresì legata alla

preservazione degli interessi economici degli Stati, alla cui protezione,

in termini preventivi e repressivi, è finalizzato l’impianto normativo

sia in relazione alle forme di accertamento, sia in relazione alle scelte

sanzionatorie. Tuttavia, l’attività degli Stati volta all’imposizione dei

dazi di confine può sottendere non solo ragioni legate all’interesse

finanziario, all’acquisizione di entrate, ma anche ragioni di carattere

politico, economico e sanitario. Più precisamente, il contrasto al

fenomeno del contrabbando può riguardare la tutela di interessi non

strettamente economici. Ci si riferisce, in particolare, al contrabbando

economico che contraddistingue la violazione di divieti economici di

importazione e di esportazione, non necessariamente connessi con il

contrabbando doganale.

Sul piano definitorio, il termine "contrabbando" assume una valenza

generale, denotando fattispecie illecite che possono assumere caratteri

diversi tra loro, assimilabili per l’illiceità della condotta ed il

pregiudizio, attuale o potenziale, agli interessi dello Stato. Nel

contrabbando doganale, in particolare, l'interesse leso è quello dello

Stato alla riscossione dei diritti di confine, tali essendo, secondo

quanto previsto dal Testo Unico delle leggi in materia doganale, i dazi

di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre

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imposizioni all'importazione o all'esportazione previste dai

regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione. Tale

nozione include altresì, per quanto concerne le merci in importazione,

i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta

o sovrimposta di consumo a favore dello Stato.

Il mutare dei contesti politici ed economici ha tuttavia influenzato i

fenomeni inerenti e collegati al contrabbando. Può ricordarsi, al

riguardo, la creazione di unioni doganali o di zone economiche

esclusive ed il loro impatto sulla regolamentazione dei flussi di

ricchezza attraverso i confini degli Stati ad esse appartenenti. Si

consideri, in particolare, l’istituzione di un’unione doganale da parte

della Comunità Economica Europea, poi divenuta Comunità Europea

ed ora Unione Europea, con la conseguente istituzione di una tariffa

doganale esterna comune e l’abbattimento delle frontiere interne tra

gli stati membri.

Nella prospettiva definitoria i commentatori hanno osservato, peraltro

anche con riferimento alla disciplina contenuta nella già vigente legge

doganale del 1940, che il termine contrabbando racchiude una

pluralità di fattispecie, tutte legate dal comune denominatore di

identificare comportamenti illeciti connessi mediante la violazione

delle norme in materia doganale.

I profili giuridici del fenomeno del contrabbando possono essere

utilmente presi in considerazione anche in una prospettiva comparata,

attraverso il raffronto tra regole adottate da diversi ordinamenti

giuridici per contrastare quelle condotte illecite che ne costituiscono

espressione.

Le regole rilevanti a tal fine risultano essere sia quelle propriamente

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sanzionatorie, che colpiscono con finalità repressive o preventive, la

violazione di disposizioni in materia doganale, sia quelle riguardanti

l'accertamento delle condotte illecite e gli strumenti di cui dispongono

le competenti Autorità.

L'analisi comparata assume peraltro peculiare interesse laddove si

tratti di confrontare gli strumenti adottati per contrastare il fenomeno

del contrabbando da parte di Stati confinanti.

Sul piano normativo vanno considerate, in particolare, le previsioni

del Testo Unico in materia doganale (artt. 282 e ss.) ed i relativi profili

evolutivi rispetto alla legge doganale n. 1424 del 1940 (Titolo IX, “dei

reati doganali”). Nell’ordinamento svizzero rilevano, nello specifico,

le disposizioni di rilevanza penale contenute negli artt. 117 e ss. della

legge sulle dogane del 2005, anch’essa da considerare in relazione ai

profili evolutivi rispetto alla legge sulle dogane dell’1 ottobre 1925.

Peraltro, l’illiceità delle condotte rientranti nelle forme più gravi di

contrabbando, con particolare riguardo alla truffa legata alle

operazioni doganali, viene sanzionata nell’ambito della legge federale

sul diritto penale amministrativo (art. 14).

La varietà di condotte che possono configurare il reato in esame, con

particolare riguardo al contrabbando nel movimento di merci

attraverso i confini di terra e gli spazi doganali, è palesata dall’art. 282

del Testo Unico in materia doganale. Sul piano della ricostruzione dei

profili specifici e caratterizzanti dell’illecito in esame, l’elemento

oggettivo del reato di contrabbando è rappresentato dalla sottrazione

di merci ai diritti di confine: tale sottrazione può realizzarsi con varie

modalità, caratterizzate dal fatto di essere connesse ad una condotta

volta ad eludere i controlli prescritti.

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Nella disciplina sanzionatoria dal fenomeno del contrabbando

contenuta nel Testo Unico delle disposizioni in materia doganale

emergono alcuni tratti caratteristici, evidenziati dai commentatori.

Emerge, in primo luogo, la necessità di estendere il regime delle

sanzioni ad ogni forma di condotta che possa rappresentare un

pregiudizio all’interesse dello Stato alla percezione dei diritti di

confine. A tal fine, per superare, sul piano probatorio, le difficoltà che

possono manifestarsi per individuare condotte lesive di tale interesse,

il legislatore ricorre alla costruzione di fattispecie caratterizzate da

presunzioni di sottrazione delle merci al pagamento dei diritti. Si

pensi, ad esempio, in relazione al contrabbando attraverso i confini di

terra, alle diverse previsioni dell’art. 282 del Testo Unico in materia

doganale, o all’art. 285 dello stesso Testo Unico in relazione al

contrabbando di merci per via aerea.

L’evidenziata esigenza di proteggere l’interesse dello Stato alla

riscossione dei diritti di confine si palesa altresì alla luce

dell’equiparazione del delitto tentato e consumato, realizzandosi in tal

modo un’anticipazione della tutela degli interessi erariali. Al riguardo

può richiamarsi l’art. 293 del Testo unico in materia doganale che

equipara quoad poenam il delitto tentato al delitto consumato.

Altrettanto in linea con le finalità sopra indicate, peraltro in

conformità ad un’impostazione già adottata nella previgente

normativa e, in particolare, nella legge doganale del 1940, è la

configurazione del reato di contrabbando mediante il ricorso, da un

lato, ad una elencazione dettagliata delle varie fattispecie rilevanti,

dall’altro, ad una norma di chiusura, tale essendo quella contenuta

nell’art. 292 del Testo Unico in materia doganale (“chiunque, al di

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fuori dei casi preveduti negli articoli precedenti, sottrae merci al

pagamento dei diritti di confine dovuti, è punito con la multa non

minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti medesimi”).

Nella prospettiva dell'ordinamento svizzero, come emerge

dall'Historisches Lexikon der Schweiz, il contrabbando viene

considerato come una forma di commercio transfrontaliero, tramite la

quale, eludendo gli uffici doganali o non dichiarando le merci soggette

a dazio, si superano le barriere create per ragioni fiscali o di politica

economica, sfruttando così i divari di prezzo naturali o artificiali fra

diversi spazi economici.

Le infrazioni di carattere fiscale o doganale risultano essere sanzionate

nell’ordinamento svizzero in termini meno gravi rispetto ai reati

contro il patrimonio previsti nel diritto penale. Con diversa previsione

viene sanzionata la messa in pericolo del dazio, producendo l’illecita

condotta il rischio della mancata riscossione, in tutto o in parte, dei

tributi doganali.

Deve peraltro considerarsi anche l’ipotesi della truffa doganale, che si

realizza laddove l’autore del comportamento illecito determini,

mediante mezzi fraudolenti, una sottrazione di entrate destinate alla

collettività pubblica, così producendo un danno di rilievo al

patrimonio di quest’ultima.

La legge doganale svizzera individua, nell’ambito delle disposizioni di

carattere penale, cinque infrazioni doganali, ovvero la frode doganale,

la messa in pericolo del dazio, l’infrazione di divieti, la ricettazione

doganale e la distrazione del pegno doganale. Interessante notare

come la frode doganale possa manifestarsi, sul piano soggettivo, sia in

presenza di una condotta dolosa, sia in presenza di una condotta

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connotata da negligenza. La condotta può essere sia omissiva che

commissiva, con un vasto raggio d’azione la cui caratterizzazione

illecita è connessa alla sottrazione al pagamento dei tributi doganali. È

inoltre sanzionato il fatto di procurarsi altrimenti un profitto doganale

indebito.

La frode doganale viene quindi a caratterizzarsi sia per l’ampiezza

delle condotte che sono ad essa ascrivibili, sia per la connotazione che

può assumere l’elemento soggettivo. La condotta rilevante viene

opportunamente integrata, alternativamente, qualora si ometta di

dichiarare la merce, occultandola, dichiarandola inesattamente o in

qualsiasi altro modo si sottragga tutti o parte dei tributi doganali,

oppure qualora il soggetto agente procuri altrimenti a sé o a un terzo

un profitto doganale indebito.

Pur nell’ambito di un diverso approccio, l’uno più ad ampio raggio,

l’altro più selettivo, nel distinguo tra condotte fraudolente ed altre

infrazioni, la normativa italiana e la normativa svizzera risultano

condividere significativi punti in tema di repressione del

contrabbando, ovvero l’ampiezza dell’ambito delle attività che

possono integrare le condotte rilevanti nonché l’attenzione a quelle

modalità di azione che determinino non solo un pregiudizio attuale

rispetto all’interesse dello Stato alla riscossione dei diritti di confine,

ma anche un pregiudizio potenziale a tale riscossione, anticipando così

la soglia di tutela.

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Col. Maurizio Pagnozzi

Il contrabbando sulla frontiera terrestre nel XIX secolo

1. IL CONTRABBANDO NEL 1800: VIOLAZIONE DOGANALE O ANCHE DI

POLIZIA ?

Il termine contrabbando, deriva dalla parola di origine latino

medievale “contra bannum” 1, il cui significato originario era quello di

1 Composto dall’unione della parola latina contra (contro) con quella di origine

gotica bandwō (segno, annuncio pubblico) latinizzata in bandum e bannum, o, anche, secondo alcuni, con quella di origine germanica ban o banno, che nel

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“cosa o azione, compiuta trasgredendo a un bando, a una

disposizione di legge, contro la legge”. In epoca moderna, questo

vocabolo ha però definitivamente finito per assumere il senso di

violazione di una disposizione in materia doganale o sui monopoli di

Stato. Passo decisivo verso questa tipizzazione del suo contenuto,

individuato nell’ambito del diritto penale da una specifica condotta

antigiuridica, è stato la creazione delle frontiere politiche, tracciate per

dividere, spesso senza alcun criterio logico, territori omogenei per

cultura, lingua ed economia. Le principali conseguenze del nuovo

“status quo”, determinato da Stati sempre più agguerriti nel difendere

le proprie prerogative e le proprie economie, erano l’imposizione di

restrizioni alla movimentazione di talune merci e la tassazione con

dazi elevati di altre, che, da un lato finivano per privare le popolazioni

confinanti di una fonte di reddito o di un bene di prima necessità, e

dall’altro potevano generare ampie differenze di prezzo per beni della

stessa categoria merceologica, sulle quali, per bisogno, ma più spesso

per cupidigia, le stesse popolazioni finivano per realizzare ingenti

guadagni.

Il processo di mutamento del significato originario del termine

contrabbando, ha comunque richiesto un lungo periodo di tempo,

tanto è vero che, nel 1800, questa parola in alcuni casi veniva ancora

utilizzata nel senso di violazione di un precetto.

Ne sono la prova gli esempi che seguono.

Nel 1860, apparve sulla rivista trimestrale milanese “Annali universali

di Statistica”, la recensione di un opuscolo intitolato “ Il contrabbando

diritto feudale si riferiva al potere esercitato dal detentore di una sovranità (regno o feudo che sia) sui propri sudditi.

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dei trovatelli ticinesi e lo spedale di Como”, il cui autore, Leone

Pedraglio, definiva come una delle più gravi piaghe d’Italia,

l’abbandono nella ruota dei trovatelli di Como di neonati provenienti

dal Canton Ticino, trasferiti di notte attraverso il confine, con le stesse

modalità con le quali si introduceva la “merce di contrabbando”, da

genitori che non volevano o non potevano permettersi di mantenerli2.

Altro esempio, fu l’introduzione clandestina di libri e opuscoli dei

quali era vietata la diffusione per motivi politici, tipica trasgressione

ad un divieto di polizia, piuttosto che una violazione di tipo doganale,

ma che nel XIX secolo era definita ancora col termine contrabbando o

con quello equivalente di ”sfroso” 3. Infatti, un’iscrizione posta

davanti alla casa dove ebbe sede la famosa “Tipografia elvetica”, a

Capolago4, definiva “Sacro contrabbando” l’attività dei patrioti

italiani che tentavano di introdurre, nel Lombardo-Veneto, libelli, libri

ed opuscoli, inneggianti agli ideali risorgimentali. Organizzatore di

2 “Annali universali di Statistica”, compilati da Giuseppe Sacchi e da vari

economisti italiani, volume quarto della serie quarta (ottobre, novembre, dicembre 1860) – 1860, Milano, presso la società per la pubblicazione degli annali universali delle scienze e dell’industria.

3 Il termine sfroso, era sinonimo di contrabbando, ed era molto comune nel Nord Italia, in particolar nella legislazione piemontese, milanese e veneziana tra il 1600 ed il 1700. Da esso derivavano le parole sfrosare, cioè fare contrabbando e sfrosatore, che indicava colui che commetteva il contrabbando. Questo termine, che iniziò a diventare desueto a partire dalla prima metà del XIX secolo, era ancora comunemente utilizzato agli inizi del 1800, tanto da essere menzionato nel libro “Elenco di alcune parole, oggidì frequentemente in uso, le quali non sono ne’ vocabolari italiani”, redatto, nel 1812, da Giuseppe Bernardoni, Capo Divisione nel Ministero dell’Interno del Regno d’Italia, su incarico dello stesso Ministro. Francesco Cherubini, nel suo “Vocabolario Milanese-Italiano”, edito nel 1843 a Milano, fa discendere l’etimologia di “sfroso” dalla parola latina “ fraudare”, da cui l’italiano frodare, più volte corrotto nel tardo medioevo, in froxare, frosare, sfrosare. Sempre il Cherubini, pur convenendo che le parole contrabbando e sfroso, indichino entrambe una violazione di bandi pubblici, attribuisce al secondo termine il significato specifico di comportamento contrario alle leggi sulle gabelle.

4 Frazione del comune di Mendrisio nel Canton Ticino (CH).

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questo contrabbando era Luigi Dottesio, il quale aveva formato una

vera e propria squadra di spalloni, che calavano dalla Svizzera per il

Monte Bisbino e la Valle d’Intelvi, cercando di dissimulare nei propri

bagagli i volumi stampati a Capolago o a Losanna. Passato il confine,

un padiglione situato nei pressi della magnifica Villa d’Este di

Cernobbio, fungeva da deposito, da dove, diverse signore e signorine,

fingendo di recarvisi per fini mondani, provvedevano a facilitare la

distribuzione di quei libri, occultandoli al di sotto degli ampi abiti

dell’epoca5.

Non deve quindi stupire se le autorità di polizia austriache giunsero a

considerare quei libri ben più pericolosi delle stesse armi, perché in

quanto ispirati agli ideali liberali e repubblicani, una volta diffusi tra la

popolazione, potevano creare gravi disordini, impossibili da

contenere. Il problema assunse dimensioni così rilevanti, che il

Governo di Milano inviò diverse note diplomatiche alle autorità

cantonali ticinesi, lamentando, tra l’altro, che “persone sospette,

stampe sediziose, ed oggetti di contrabbando”, venivano spesso

trasportati in Italia dal battello a vapore “Il Verbano”, che collegava in

sole sei ore il paese di Magadino, in Svizzera, a Sesto Calende, in

provincia di Varese6. Le insistenti pressioni diplomatiche austriache,

indussero, nel 1816, le autorità del Canton Ticino ad adottare una

formale dichiarazione con la quale si impegnavano ad una maggiore

sorveglianza sulla stampa e sugli stranieri, in particolare i patrioti

italiani, decisione sulla quale molto influì la grave minaccia di vedersi

5 “Il dinamismo del contrabbando”, dell’avv. Josto Satta – 1924, Roma, Studio di

Legislazione Speciale, pagg. 93 e 94. 6 “Stamperie ai margini d’Italia: editori e librai nella Svizzera italiana. 1746 –

1848”, di Fabrizio Mena – 2003, Edizioni Casagrande, Bellinzona.

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cancellare le indispensabili forniture di sale. Le nuove misure,

comunque, ispirarono solo alcuni modesti interventi repressivi nei

confronti delle tipografie Ruggia e Landi, perché, con l’approssimarsi

del 1848, l’impegno dei tipografi-librai ticinesi in favore della causa

nazionale italiana, attraverso le produzioni clandestine degli esuli,

tornò ad aumentare, senza che l’Impero austriaco potesse opporvisi

efficacemente.7

2. LE DINAMICHE DEL CONTRABBANDO

Molti sono i fattori che hanno inciso sullo sviluppo del contrabbando e

che tutt’ora ne condizionano le sue dinamiche, primi fra tutti, i

mutamenti delle politiche doganali promosse dai singoli Stati.

L’intensità e la repentinità di questi cambiamenti, il loro grado di

interferenza sullo sviluppo sociale ed economico dei territori di

confine e nei rapporti tra le popolazioni ivi residenti, spesso unite da

stretti vincoli familiari o dalla comune ricerca di un sbocco

occupazionale, sono state loro volta influenzate da altre variabili che

potremmo definire geopolitiche: l’alternanza dei regimi politici, le

relazioni diplomatiche tra Paesi confinanti, l’evoluzione

dell’economia nelle rispettive aree geografiche, le dinamiche del

commercio mondiale.

Con queste premesse, appare impresa assai ardua riuscire a trattare

esaurientemente il tema affidato, nel breve spazio di questa relazione.

Se infatti ci limitiamo a considerare solo il periodo compreso tra il

1796 ed il 1866, possiamo vedere come in appena 70 anni, le regioni

italiane ai piedi delle Alpi furono interessate da importanti eventi 7 Ibidem.

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politici, militari ed economici, che portarono ad un radicale

stravolgimento dei confini e della stessa vita delle popolazioni locali.

Le campagne d’Italia di Napoleone, dalle quali scaturirono

l’occupazione del Piemonte e della Lombardia; la nascita delle

Repubbliche filofrancesi; l’annessione di Venezia all’Austria;

l’istituzione del Regno Italico; l’embargo continentale contro le merci

inglesi; il passaggio della Lombardia e del Veneto sotto la

dominazione austriaca; l’annessione della Repubblica di Genova al

Regno di Sardegna; le guerre di indipendenza italiane, ebbero tutte

conseguenze durature e rilevanti su direzione, composizione ed entità

del contrabbando.

La fine dell’epopea napoleonica, segnò, in particolare, la nascita di

stati nazionali fortemente centralizzati, ponendo definitivamente

termine a secolari equilibri politico-economici sulle Alpi, assicurati

dai tradizionali modelli di autogoverno locali, determinando una

sensibile restrizione dei transiti tra i versanti dello spazio alpino e la

nascita del moderno concetto di “confine”. Da quel momento in poi

gli Stati-nazione materializzarono, regolamentarono e sottoposero a

sorveglianza zone appartenenti a sistemi nazionali diversi, anche se

queste nuove entità, separate per politica ed amministrazione,

resteranno per lungo tempo astratte per i residenti dei territori

limitrofi, che ne subiranno le conseguenze, pur non avendo affatto

contribuito a determinarle. I passaggi, da una parte o dall’altra del

confine, nel quadro regolamentare e ufficiale, finiscono quindi per

generare il fenomeno della migrazione clandestina e del contrabbando,

dando anche vita a nuovi mestieri quale ad esempio quello dei

passatori specializzati. Dagli attraversamenti sporadici dei singoli,

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fino a quelli sapientemente orchestrati da vere e proprie

organizzazioni, la trasgressione della frontiera da parte dei

contrabbandieri, diventa un fenomeno duraturo destinato a marcare la

memoria di quei luoghi, anche sotto l’aspetto toponomastico8. Così,

strade, sentieri e valichi alpini finiscono per essere identificati con chi

li aveva aperti o con chi li utilizzava frequentemente. Alcuni esempi:

“dei contrabbandieri” è detto lo stretto sentiero che nelle Alpi Graie,

da Pian della Mussa, porta alla cresta morenica al di sotto del

Ghiacciaio della Ciaramella; “Passo dei contrabbandieri” è chiamato

il valico nei pressi di Pizzo Camparasca, sui Monti dell’Alto Lario;

“Via dei contrabbandieri” è la strada sull’Aprica, che da Ponte Frera

giunge a Ronco di Schilpario; "Sentiero dei contrabbandieri" è il

percorso che sul lago di Idro porta a Castel San Giovanni di Bondone,

in provincia di Brescia.

3. IL REGNO DI SARDEGNA (1792 – 1859)

Ancora agli inizi del 1800, il Regno di Sardegna continuava ad essere

un eterogeneo e frazionato insieme di territori, legati alla dinastia

regnante da vincoli di carattere feudale e patrimoniale: le provincie “di

qua e di là del mare” e le provincie “di qua e di là dei monti” erano

infatti separate non solo da reali confini geografici, ma soprattutto da

diversità di lingua, di tradizioni culturali, di leggi e consuetudini, di

istituzioni e di privilegi. In particolare esisteva un differente grado di

8 “Luoghi della memoria, memoria dei luoghi nelle regioni alpine occidentali.

1940 – 1945” a cura di Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, Istituto Piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” – 2005, Blu edizioni S.r.l.

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autonomia delle istituzioni rappresentative di Piemonte, Savoia e

Valle d’Aosta. Ovviamente questo stato di cose limitava in modo

sensibile, anche se in diversi gradi a seconda della consistenza e

dell’estensione dei privilegi locali, le possibilità di azione e

d’intervento dell’autorità centrale9.

Particolarmente strategica era la posizione della Savoia, attraversata

da due importanti vie commerciali, la “strada del Moncenisio”, posta

tra l’Italia settentrionale e la Francia centro settentrionale e la “strada

dell’attraversamento o obliqua”, che collegava la Svizzera con la

Francia centromeridionale, lungo le quali, si incanalava il traffico

commerciale diretto a Ginevra, proveniente dal Delfinato francese,

dalla Provenza e dalla regione di Lione, ed in senso contrario i

prodotti di lusso acquistati a Ginevra, che scarseggiavano sul mercato

francese perché proibiti o sottoposti ad altissimi dazi doganali. La

Repubblica di Ginevra, infatti, costituiva una specie di deposito

franco, dove confluivano e venivano smistate merci pregiate d’origine

inglese, olandese, svizzera ed in minor quantità tedesche ed italiane, la

cui classe dirigente era pronta ad effettuare qualsiasi operazione

commerciale, purché remunerativa rispetto al rischio d’impresa,

costituito dal sequestro della merce in Francia. Inoltre, nelle zone della

Savoia prossime alla frontiera con Ginevra, vi erano terre, villaggi e

proprietà sottoposte alla doppia giurisdizione, in quanto soggette

anche a diversi gradi di sovranità da parte della Repubblica svizzera.

Analoga situazione si verificava lungo il confine meridionale tra

Francia e Savoia, dove tra i due rami del fiume Guiers, si formava un

9 “All’origine della Legione delle truppe leggere: il problema della polizia

tributaria e doganale in Piemonte nel secolo XVIII”, di Guido Ratti, in “Rivista della Guardia di Finanza”, anno XXV, 1976, n. 3.

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cuneo di territorio generalmente considerato terra di nessuno, covo e

teatro d’azione ideale per i contrabbandieri10.

Tra Ginevra ed il Ducato di Savoia esisteva inoltre, una completa

libertà di commercio, sancita con il trattato di St Julien en Genevois

del 1603, dal quale era escluso solo il sale, monopolio della famiglia

reale. In virtù di tale accordo, le merci in transito da Ginevra verso la

Francia meridionale lungo le predette rotte commerciali, erano

esentate dal pagamento di pedaggi, essendo sufficiente, per gli

interessi di casa Savoia, il complesso di attività secondarie ad esse

connesse, che costituiva una non indifferente fonte di guadagno, tanto

per i privati quanto per l’erario. Invece il traffico tra l’Italia

settentrionale e la Francia, qualunque punto toccasse il territorio del

Piemonte, della Valle d’Aosta o della Savoia, era soggetto al dazio di

Susa, città ove normalmente si effettuava l’esazione del tributo.

Oltre ai pedaggi sui transiti, in Savoia vigevano anche un certo

numero di gabelle, la più importante delle quali riguardava il

monopolio del sale, che da sola rappresentava circa il 90% delle

entrate tributarie. Diversa natura aveva invece il monopolio della

commercializzazione del tabacco, introdotto più per proteggere la

produzione nazionale, quasi interamente nelle mani della famiglia

reale, che per accrescere l’Erario pubblico, tanto è vero che per

agevolarne l’esportazione verso la Francia, nei pressi della relativa

frontiera erano stati istituiti punti di vendita, nei quali, rispetto ai

prezzi correnti all’interno della Savoia, si praticavano sconti

dell’ordine del 20 – 25%, sconti poi successivamente estesi anche alle

10 “Dogane, gabelle e contrabbando in Savoia nel secolo XVIII” di Guido Ratti, in

“Rivista della Guardia di Finanza”, anno XXIII, 1974, n. 5.

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regioni confinanti con Ginevra e con i Cantoni Svizzeri. Oltre a dare

luogo a frequenti incidenti di frontiera con la Francia, questa pratica

commerciale non proprio corretta, finì per favorire la diffusione del

contrabbando all’interno della stessa Savoia, nei cui territori iniziò a

circolare tabacco formalmente acquistato per essere esportato oltralpe,

ma di fatto rivenduto entro i domini piemontesi. Altre gabelle erano

pure presenti, come quelle relative al monopolio del salnitro, delle

polveri da sparo e dei piombi, ma queste non contribuirono ad

alimentare flussi di contrabbando, perché analoghi regimi di

monopolio esistevano anche negli Stati confinanti, accomunati dalla

preoccupazione di mantenere un certo controllo sulla diffusione delle

armi da fuoco.

Un discorso a parte merita, invece, l’imposizione, in alcune regioni, di

divieti e limitazioni all’esportazione delle eccedenze di produzione di

granaglie, carni e grassi animali. Particolarmente colpita da questi

divieti era la Savoia, le cui eccedenze di grano, tradizionalmente

convogliate verso il Cantone ginevrino, finirono per alimentare un

fiorente contrabbando, anche perché, sia i grossi produttori che i

piccoli contadini savoiardi, erano spinti ad aggirare le proibizioni per

procurarsi del numerario, che non mancava a Ginevra, rispetto alla

cronica deficienza monetaria della Savoia. Un ulteriore flusso di

contrabbando era alimentato da alcune merci, utilizzate come materie

prime dalle industrie dell’epoca, quali cuoio, pellame e stracci, per le

quali, fin dal 1730, esistevano una serie di vincoli all’esportazione,

nel tentativo di tutelare la ancora fragile industria manifatturiera

piemontese. Ma nonostante i divieti, la situazione dovette

evidentemente peggiorare, tanto che nel 1770, gli industriali

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piemontesi inoltrarono accorate lamentele all’Intendente Generale,

sostenendo che molte fabbriche erano state costrette a chiudere a

causa del contrabbando verso la Francia, dove fortissima era la

richiesta di quelle materie prime da parte delle manifatture locali.

Come abbiamo dunque visto, sin dal settecento la Savoia aveva finito

per rappresentare una importante via di transito per il contrabbando tra

Svizzera e Francia, le cui centrali operative ed i cui finanziatori si

trovavano a Ginevra, mentre invece i savoiardi fornivano soprattutto

manovalanza, con gli spalloni, le strade ed una certa compiacenza

delle Autorità locali, le quali, sfruttando i vantaggi dell’accordo di St.

Julien, avevano consentito ai mercanti ginevrini di stabilirvi depositi

di mercanzie destinate proprio all’esportazione illegale, alcuni dei

quali localizzati nei pressi dei più importanti posti di frontiera con la

Francia. Col tempo, gli elevati guadagni spinsero i savoiardi a passare

dalla semplice condizione di trasportatori delle merci in contrabbando,

ad organizzarsi in bande sempre più numerose, la più famosa delle

quali fu quella capeggiata da Louis Mandrin. La sua cattura in

territorio piemontese, nel 1755, ad opera dei “fermieri” francesi, cioè

le guardie doganali private, fu causa di un serio incidente diplomatico

tra la monarchia sabauda e quella transalpina, a seguito del quale però,

i Savoia, accusati di non impegnarsi a fondo nella lotta al

contrabbando, furono costretti ad affrontare energicamente il

problema, promuovendo, a più riprese, campagne militari per

stroncare almeno le bande più numerose. E proprio con tale finalità,

nel 1774, Vittorio Amedeo III decise di istituire la Legione Truppe

Leggere, corpo militare destinato in tempo di pace al servizio di

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sorveglianza e di repressione delle frodi fiscali lungo i confini,

antesignano della attuale Guardia di Finanza.

Con lo scoppio della rivoluzione in Francia, nel 1789, gli incidenti

lungo la frontiera si intensificarono, causati sia dal tentativo di

penetrazione di agenti provocatori francesi - incaricati di diffondere

nel Regno sabaudo le idee di fratellanza, uguaglianza e libertà - che da

grandi masse di popolazione, desiderose di una maggiore libertà di

commercio e di transito, oltre che di minori dazi doganali. Come

conseguenza, i piemontesi rafforzarono il controllo politico militare

lungo il confine, senza però riuscire ad incidere sulla vasta portata che

aveva assunto il contrabbando, che però, questa volta, minacciava gli

interessi dell’Erario sabaudo, in particolare la Savoia, verso la quale si

incanalava il sale proveniente dalla Francia, venduto ad un prezzo

bassissimo, proprio allo scopo di scatenare agitazioni tra la

popolazione. Di questo clima ne seppero approfittare i

contrabbandieri, i quali grazie alla difficile situazione per ciò che

riguardava l’ordine pubblico, in numerosi casi poterono transitare

indisturbati presso i posti di frontiera, mettendo le guardie in

condizione di non poter intervenire grazie al loro imponente numero.

Nel tentativo di arginare il fenomeno, i piemontesi si determinarono

anch’essi a ridurre il prezzo del sale, ma non in misura sufficiente,

poiché non solo prodotto delle saline francesi continuò ad essere il più

a buon mercato, ma anzi, i transalpini, cercando di trarre il massimo

profitto da tali turbamenti politici, autorizzarono l’apertura di appositi

punti vendita nei pressi della frontiera savoiarda, proprio allo scopo di

alimentare il contrabbando.

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Oltre al sale, continuò ad essere fiorente il contrabbando di tabacco e,

complice la situazione politica francese, riprese con una certa

consistenza anche quello di valuta, dalla Francia verso la Svizzera.

Particolarmente praticato, in questo periodo, era anche lo “sfroso

politico”, con il quale venivano introdotti nel territorio savoiardo le

brochures rivoluzionarie incitanti a seguire l’esempio del popolo

francese11.

Con l’occupazione francese del Piemonte, nel 1792, il contrabbando

non ebbe termine, ma piuttosto cambiò nuovamente direzione: questa

volta, oggetto dei traffici illeciti erano tessuti inglesi, tabacco e polveri

da sparo provenienti dalla svizzera, che continuavano a riversarsi dai

confini tra Valais e Faucigny, nei nuovi dipartimenti francesi del

Mont-Blanc (Savoia) e del Leman (Ginevra).

Caduto Napoleone, la monarchia sabauda, nel tornare in possesso dei

propri domini, ai quali, con l’annessione della Repubblica di Genova,

aggiunse l’agognato sbocco al mare, trascurò di risolvere i problemi

derivanti dal persistere di una sostanziale disomogeneità di

trattamento fiscale e di fluidità dei flussi commerciali, fra antichi e

nuovi stati (Piemonte, Liguria, Savoia e Nizza), mantenendo in vigore,

fino al 1818, le ormai anacronistiche barriere doganali interne.

Con il Manifesto Camerale del 1 giugno 1814 venne anche mantenuta,

ancorché provvisoriamente, l’elevatissima tariffa doganale vigente

sotto la dominazione francese, suscitando il malcontento sia dei

commercianti, che invocavano un ritorno alla tariffa del 1798, che -

pur essendo spiccatamente protezionista - prevedeva comunque dazi

non superiori nella media del 25-30%, sia dei produttori, che invece

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chiedevano un aumento dei dazi sulle importazioni, per impedire che

le cospicue scorte di prodotti finiti accumulate dall'Inghilterra durante

il blocco continentale, invadessero il mercato nazionale.

Con l'editto del 3 gennaio 181612, fu ulteriormente rafforzato il regime

vincolistico su alcuni generi alimentari, con il ritorno all'ammasso

obbligatorio ed alla proibizione di esportare le eccedenze di grano. Ma

l’assoluta incapacità del governo piemontese di rendere operante

l'editto del 1816 e quelli successivi, che prorogarono di volta in volta i

termini di consegna, ebbe come risultato di provocare accaparramenti,

un diffuso contrabbando e l'aumento del prezzo del pane. Nel

settembre 1816, il divieto di esportazione e di movimentazione tra le

province del regno, venne esteso anche a riso, patate e fagioli. Tutte

queste misure, impedendo la libera circolazione dei generi di prima

necessità, favorirono l'insorgere della carestia che, tra il 1816 ed il

1817, colpì particolarmente la Liguria e la Savoia, impedite di

rifornirsi sufficientemente di generi alimentari, sia dal più produttivo

Piemonte che dall'estero, danneggiando, inoltre, tanto gli agricoltori

della Savoia, che del vercellese, che nello stesso periodo fruivano di

un raccolto di riso quattro volte maggiore il fabbisogno interno, ed il

cui surplus finì per alimentare un fiorente contrabbando interno,

almeno fino a quando tali divieti furono tolti, rispettivamente, nel

1817 per il riso13 e nel 1818 per il grano14.

12 “REGIO EDITTO col quale si permettono i magazzinamenti di granaglie

mediante la loro consegna nel modo, e tempo ivi prescritti, con varie altre provvidenze dirette ad impedire i monopoli in tal genere, e l’estrazione delle granaglie fuori stato”, in “Raccolta di R. Editti, Proclami, Manifesti, ed altri provvedimenti de' Magistrati ed Uffizi”, volume V, pag.1 e seg. – 1816, Torino, dalla stamperia Davico e Picco.

13 “REGIE PATENTI, colle quali S. M. revoca sino a nuovo ordine la proibizione portata dall’editto del 17 settembre 1816 dell’esportazione all’estero del riso,

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Braccio armato dell’Amministrazione doganale piemontese, era il

“Corpo dei Preposti delle Regie Dogane”, organismo ad ordinamento

civile, ma militarmente organizzato, nato sotto l’amministrazione

francese, al quale, fino al 1821, furono affiancati reparti della Legione

Reale Leggera, erede delle tradizioni della disciolta Legione Truppe

Leggere.

La nuova Tariffa doganale del 1818, che restò in vigore fino al 1830,

fu anch’essa ispirata a logiche prevalentemente protettive,

contribuendo a prolungare lo stato di prostrazione economica in cui si

trovava lo Stato sabaudo, suscitando violente proteste sia da parte dei

genovesi, abituati al regime economico-politico della Repubblica di

Genova, che aveva nei commerci la ragione stessa della sua esistenza,

che dei nizzardi e dei savoiardi, che rimpiangevano la razionale e

coerente azione amministrativa sperimentata durante l’occupazione

francese.

Con la Tariffa del 19 febbraio 1830, il protezionismo Sardo raggiunse

il limite superiore e di rottura, al punto che, i diritti gravanti

sull’importazione di numerose materie prime, finirono per annullare i

vantaggi della protezione concessa ai prodotti finiti, creando disagio

addirittura tra i suoi principali fautori, cioè negli stessi ambienti

industriali, i cui interessi iniziavano finalmente a divergere da quelli

delle classi agrarie. Conseguenza di questo marcato protezionismo, fu,

ovviamente, il dilagare del contrabbando, che assunse una dimensione

sotto le condizioni e le cautele ivi espresse; delli 18 novembre 1817”, in “Raccolta di Regj Editti, Proclami, Manifesti, ed altre provvidenze de' Magistrati ed Uffizj”, volume IX,, pag. 137 e 138 – Torino, dalla stamperia Davico e Picco.

14 “REGIE PATENTI, colle quali si permette la libera circolazione delle granaglie negli stati di terraferma; delli 20 marzo 1818”, in “Raccolta di Regj Editti, Proclami, Manifesti, ed altre provvidenze de' Magistrati ed Uffizj”, volume IX, pag. 36 e seg. – Torino, dalla stamperia Davico e Picco.

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patologica, interessando non solo gli articoli di alto pregio quali

coloniali, profumi e tabacco, ma anche seta, filati, formaggio, pesce.

Nei settori ove il contrabbando si era maggiormente organizzato, era

addirittura in funzione un regolare servizio di assicurazione, che

copriva i rischi derivanti dal possibile sequestro della merce, il cui

costo, variabile tra il 10 ed il 20 % del valore del carico trasportato,

era tutto sommato ancora modico rispetto alla esosità dei dazi imposti

dalla tariffa doganale. I principali centri di irradiazione del

contrabbando erano il Nizzardo ed il porto franco di Genova, da dove

le merci partivano dirette verso il Lago Maggiore, per essere

formalmente esportate verso la Svizzera.

Larga diffusione ebbe il contrabbando di seta grezza, la cui

esportazione era colpita da dazi esorbitanti, a tutto vantaggio delle

manifatture sabaude. Esistevano a tale scopo delle organizzazioni

contrabbandiere altamente specializzate, in grado di offrire una vasta

gamma di servizi ai sericoltori piemontesi, a partire dal semplice

trasporto verso qualunque destinazione, fino a garantire i rischi di

perdita o sequestro del carico, attraverso la stipula di vere e proprie

polizze di assicurazione. Sulla opportunità di mantenere o meno un

così elevato livello di tassazione sulla seta grezza, allo scopo di

scoraggiarne l’esportazione, si accese un aspro dibattitto tra liberisti e

protezionisti, che diede vita, tra il 1832 ed il 1834, alla pubblicazione

di una lunga serie di memorie, con le quali i due schieramenti si

scambiarono feroci e reciproche accuse di voler causare la distruzione

della sericultura in Piemonte.15

15 “Della libera estrazione della seta greggia dal Piemonte”, di Giacomo

Giovanetti, seconda edizione – 1834, Vigevano, Tipografia Vescovile.

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Il trattato siglato nel 1843 con la Francia, principale partner

commerciale della monarchia sabauda, riaccese la polemica sardo-

austriaca in merito al commercio di transito verso la Svizzera e la

Germania meridionale, che vedeva contrapposti i porti concorrenti di

Genova e Trieste. La diatriba, che risaliva già ai primi anni della

Restaurazione, vedeva entrambe le monarchie impegnate ad investire

nella costruzione di nuove infrastrutture, allo scopo di rafforzare le

rispettive posizioni nell'acquisizione e nel mantenimento del

commercio di intermediazione tra gli Stati italiani peninsulari ed il

Centro Europa, e viceversa, questione di vitale importanza non solo

per i due predetti sistemi portuali, ma anche per i due complessi

regionali nord-occidentale e nord-orientale. Infatti, se fino al 1815, il

commercio di transito per la Svizzera passava principalmente

attraverso le città di Milano e Bergamo, nelle quali si concentravano le

sete grezze italiane, i coloniali e il cotone, sbarcati sia a Genova che a

Trieste, e da dove, in senso inverso transitavano i manufatti svizzeri,

tedeschi e dei Paesi Bassi, diretti verso gli Stati italiani, dopo

l’annessione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna, le

cose iniziarono a mutare. La monarchia sabauda infatti, interessata ora

a canalizzare i transiti per la Svizzera sul proprio territorio, aveva

migliorato la strada di Giovi per Novi Ligure, Novara, fino al Lago

Maggiore e contemporaneamente, al di là del lago, che sin dagli anni

'20 veniva attraversato con battelli a vapore, i cantoni svizzeri avevano

costruito - sembra con il contributo piemontese - la nuova carrozzabile

del San Bernardino (1817-24), alla quale si aggiunse, nel 1831, quella

del San Gottardo. Inoltre, nel 1814, fu decisa la costruzione della

strada ferrata da Genova ad Alessandria, da dove avrebbe dovuto

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diramarsi con un tronco a Torino e con l'altro, via Novara, fino al

Lago Maggiore, e, contemporaneamente, furono avviate trattative con

i cantoni svizzeri per la sua prosecuzione. L'Austria, dal canto suo, si

era impegnata nella costruzione delle strade dello Spluga (1822) e

dello Stelvio (1824), alla sistemazione della carrozzabile per Como, al

potenziamento della navigazione sul Po con l'uso di battelli a vapore

ed infine, già da lungo tempo, avviata la costruzione delle ferrovie

Vienna – Trieste e Venezia – Milano.

Nel 1844, si ebbe il primo segno tangibile del mutamento dei rapporti

esistenti tra i due Stati, con il mancato rinnovo della Convenzione del

1834, stipulata proprio per la repressione del contrabbando sul Lago

Maggiore.

Nel 1846, si accese una nuova contesa diplomatica fra i due Stati, che

sfociò nella cosiddetta guerra del sale, perché il “casus belli”

riguardava proprio il monopolio delle forniture di questo prezioso

prodotto ai Cantoni ticinesi, da secoli appannaggio dell’Austria. E nel

1751, l’Impero, nell’intento di mantenere intatto questo monopolio di

fatto, aveva stipulato un trattato con il Regno di Sardegna, affinché

impedisse il transito attraverso il suo territorio del sale sbarcato a

Genova e diretto verso la Svizzera. L’accordo venne incautamente

rinnovato nel 1815, perché la monarchia sabauda non seppe valutarne

appieno le sue conseguenze e soprattutto tutelare i propri interessi, che

con l’annessione della Repubblica Ligure, erano invece orientati a

promuovere ed agevolare l’acquisto di sale sulla piazza di Genova, da

parte dei ticinesi. Di fronte al rifiuto del Governo Sardo di rispettare i

termini dell’accordo, l’Austria, per rappresaglia, raddoppiò il dazio

gravante sull’importazione dei vini piemontesi.

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Fra il 1849 ed il 1851, vennero stipulati una serie di trattati

commerciali con Toscana, Portogallo, Belgio, Inghilterra, Svizzera,

Francia, Zollverein16 e Paesi Bassi, sostenuti anche dalla

promulgazione, nel 1851, di una nuova Tariffa doganale, considerata

il fiore all’occhiello dell’amministrazione del conte Cavour, che

prevedeva l'esenzione da dazi per molte materie prime, una forte

riduzione dei diritti gravanti sul grano e una generale riduzione

dell’imposizione doganale a meno di un decimo del valore delle

merci.

La riforma voluta dallo statista piemontese, che modificava in senso

liberale la politica doganale sabauda, suscitò, inizialmente, veementi e

diffuse proteste da parte degli industriali, ma contrariamente a quanto

auspicavano i protezionisti, sia il commercio, che la produzione

manifatturiera, ne trassero ampio giovamento, in particolare l'industria

serica, e si ebbe una generale diminuzione del contrabbando, che però

non scomparve mai, anche perché a fronte di un deciso abbassamento

delle tariffe, continuavano a permanere ulteriori ostacoli alla libera

circolazione delle merci, come ad esempio la stratificazione e la

frammentazione della legislazione in materia di dogane, contenuta in

una gran quantità di decreti, manifesti camerali e regi biglietti, spesso

16 La Zollverein, parola tedesca che significa "unione doganale", entrò in vigore

agli inizi del 1834 con l’accordo siglato inizialmente da 18 stati della Confederazione Tedesca, con lo scopo di agevolare gli scambi commerciali, attraverso l’abolizione dei dazi doganali e quindi ridurre la competizione interna, dalla quale rimase però esclusa l'Austria, fino al 1853, a causa dell'elevato regime protezionistico di cui godevano le sue industrie. La Zollverein, la cui istituzione contribuì ad alimentare la conflittualità austro-prussiana, si dissolse il 1866 per il sostegno dato dagli stati tedeschi meridionali all'Austria, nella guerra contro la Prussia, e venne rinegoziata, nettamente a vantaggio della Prussia nel 1867, che intendeva utilizzarla come strumento dell’unificazione politica degli Stati tedeschi.

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in contrasto o non coordinati tra loro, in grado di ingenerare

confusione e incertezze tra gli stessi impiegati delle dogane.

Le pene per il contrabbando rimasero alquanto severe, prevedendo la

confisca delle merci o il pagamento di un valore corrispondente, la

perdita degli animali da soma o da traino, dei mezzi di trasporto e

delle imbarcazioni sopra cui le merci fossero state scoperte.

Temperava, però, tale eccessivo rigore, il sistema delle transazioni,

grazie alle quali era possibile concordare l’entità della sanzione

applicabile, anche con cospicue riduzioni della pena edittale.

La tariffa venne nuovamente riformata nel 1853, con nuove riduzioni

dei dazi generali, l’esenzione dalle imposte sull'importazione per la

maggior parte delle materie prime, l’abolizione dei dazi

all'esportazione, ad esclusione dei cereali, per i quali si dovette

aspettare l’anno successivo.

Nel 1859, venne infine emanata una nuova Tariffa Doganale, la cui

applicazione fu estesa alle regioni della penisola annesse al Regno

sabaudo, diventando dunque la prima Tariffa doganale italiana.

4. DUCATO DI M ILANO , REPUBBLICA CISALPINA, REPUBBLICA

ITALIANA E REGNO D’I TALIA (1792 – 1814)

Nel 1770, nel Ducato di Milano fu abolita la “Ferma Generale”,

deputata a sovraintendere alla corretta riscossione delle varie imposte

appaltate ai privati, in quanto ritenuta onerosa, inefficace e spesso

fonte di abusi nei confronti della popolazione. La vigilanza fiscale, in

particolar modo la tutela delle privative su tabacchi, sale, polvere da

sparo e dazi doganali, tornò dunque ad essere un precipuo compito

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dello Stato, che a tale scopo, istituì delle apposite squadre di Guardie

di Finanza17, affiancate, soprattutto nelle zone di confine, da

distaccamenti di reparti dell’esercito, quali Ussari e Dragoni.

Particolarmente fiorente era il contrabbando d’importazione dalla

Svizzera, che tra il 1791 ed il 1796, era diffusamente praticato dalle

popolazioni di confine, con il suo epicentro a Milano e Como,

attraverso il suo lago. Per altro, quest’ultima città, sebbene cinta di

mura e munita di porte vigilate, aveva visto nel tempo il proliferare di

accessi privati allo specchio lacustre: dagli appena 11 autorizzati nel

1791, si arrivò ai 22 aperti appena tre anni dopo, tutti più o meno

abusivi ed estremamente pericolosi sotto il profilo della vigilanza

fiscale. Nel fitto carteggio intrattenuto dall’Intendente di finanza di

Como con i suoi superiori a Milano, emergeva inoltre che, a dispetto

delle preoccupazioni destate dalle dimensioni assunte dal

contrabbando, non seguivano nei fatti adeguate contromisure da parte

delle autorità cittadine, che si mostravano alquanto indulgenti e più

attente a non recidere una importante fonte di guadagno per la

popolazione locale.

La situazione non mutò neanche con l’occupazione francese, anzi

peggiorò ulteriormente, perché con l’arrivo delle truppe napoleoniche

il contrabbando si estese lungo tutti i confini dell’ex Ducato, in alcuni

casi praticato dagli stessi soldati francesi, e per di più i presidi delle

Guardie di Finanza vennero disarmati18.

Nel 1797, terminò anche la dominazione del Cantone dei Grigioni

sulla Valtellina e sui Contadi di Chiavenna e Bormio, i cui territori

17 “La Guardia di Finanza nel Lombardo – Veneto”, di Giuliano Oliva – 1984,

Roma.

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entrarono a far parte della neonata Repubblica Cisalpina. Alla

riapertura delle ostilità con l’Austria, la nuova Repubblica, temendo il

passaggio di truppe nemiche attraverso la Svizzera, decretò la chiusura

dei passi montani, mettendo però in seria difficoltà la popolazione dei

cantoni a maggioranza italiana, la quale, tradizionalmente si

approvvigionava di cereali sui mercati lombardi e di sale dalle

comunità valtellinesi, che, a loro volta, se lo procuravano attraverso

l’esportazione di vino in Austria, scambiato con il sale proveniente

dalle miniere di Hall, nel Tirolo. Le limitazioni imposte dalla guerra

fecero quindi esplodere in maniera esponenziale il contrabbando di

cereali, foraggi e sale, sia verso la Svizzera che verso l’Austria19.

Fenomeno che, per ampiezza e portata assunse nei territori di confine

della Repubblica Cisalpina aspetti veramente patologici, anche a causa

dell’introduzione di un nuovo sistema di tassazione, il cui ricavato

veniva versato direttamente al Tesoro nazionale, senza più nessuna

ricaduta in termini di maggiori servizi a favore delle comunità locali,

come per il passato, e che tra l’altro, aveva quale presupposto per il

suo regolare funzionamento, una elevata disponibilità di monetario, di

fatto praticamente inesistente nei territori montani. Inoltre, i nuovi

confini, quasi mai coincidenti con i limiti naturali delle proprietà

comunitarie e private, avevano finito per influire sensibilmente sul

regime dei transiti - ora disciplinati con regole del tutto nuove -

suscitavando sentimenti di accesa ostilità e incomprensione da parte

delle popolazioni locali, abituate da secoli a valicare quegli stessi

monti senza ostacoli.

19 “Storia della Svizzera italiana dal 1797 al 1802”, di Pietro Peri – 1864, Lugano,

Tipografia Cantonale.

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Cessate le ostilità con l’Austria, nel 1802, la Repubblica Cisalpina

venne rimpiazzata dalla Repubblica Italiana, al quale, grazie anche ad

un relativamente lungo periodo di pace, pose mano ad un interessante

riforma doganale, varata nel 1803, che ebbe il pregio, tra l’altro, di

eliminare i diritti di transito, concedendo a tutti la facoltà di

trasportare merci soggette a dazi doganali; di avere uniforme

applicazione rispetto alle provenienze da qualsiasi Stato confinante; di

prevedere una modesta imposizione, con dazi in media del 4 - 5 % del

valore delle merci e sino all’8% solo per alcuni beni di lusso. Eppure,

la nuova tariffa doganale fu subito tacciata di poca attenzione verso la

nascente manifattura nazionale e le tradizionali produzioni agricole,

minacciate dalla agguerrita concorrenza di quelle estere, in particolare

quelle francesi20.

Ma il tempestoso mutare della situazione politica, con l’archiviazione

della parentesi repubblicana e l’istituzione del Regno d’Italia, la cui

corona fu cinta da Napoleone in persona, condizionò in negativo il

prosieguo delle riforma, ed i suoi principi ispiratori, innovativi e

liberisti, dovettero fare i conti, a partire dal 1805, con il bando che

vietava il commercio delle merci inglesi negli Stati collegati alla

corona napoleonica, anche se attraverso stati neutrali. Il regno italico

si vide dunque costretto a consentire l’ingresso nel proprio territorio,

quasi esclusivamente alle materie prime ed ai prodotti finiti

provenienti dalla Francia. Della situazione se ne avvantaggiarono le

più sviluppate manifatture francesi, le cui produzioni, nel 1808,

20 “Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal

1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag. 28.

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poterono usufruire di un ulteriore dimezzamento dei dazi sugli scambi

commerciali con il Regno21.

Questa disparità di trattamento, che penalizzava in particolar modo le

merci provenienti dalla Svizzera, fu fraudolentemente raggirata dai

mercanti ticinesi, i quali riuscirono comunque a penetrare nei mercati

italiani sia con i propri prodotti che con quelli di provenienza inglese e

tedesca, grazie alla complicità di alcuni produttori francesi, disposti a

fornire false certificazioni di origine, con le quali superare il bando ed

ottenere il più favorevole regime doganale accordato alle merci

francesi22.

Un ulteriore stimolo al contrabbando, semmai ce ne fosse stato

bisogno, provenne dall’applicazione di una tariffa doganale analoga a

quella fracese, che per molti articoli di importazione, soprattutto

coloniali, come zucchero, cacao, caffè, ma anche oggetti di lusso,

medicinali ed alcune tipologie di legnami, prevedeva dazi superiori

anche al 200% del loro valore di mercato.

Il governo italiano tentò di correre ai ripari, emanando nuove e più

severe disposizioni contro il contrabbando, con l’inasprimento delle

pene, che prevedevano fino a dieci anni di lavori forzati e

l’introduzione, nel 1811, del concetto giuridico di circondario

confinante, territorio prossimo al confine di Stato, di ampiezza

variabile, ove vigevano particolari limitazioni al transito delle merci e

l’inversione dell’onere della prova per coloro che venivano sorpresi in

possesso di merci soggette a dazio o monopolio statale. Tra l’altro,

quest’ultima disposizione creò ulteriori difficoltà allo sfruttamento dei

21 Ibidem, pag. 30. 22 “Dell’indipendenza italiana”, cronistoria di Cesare Cantù, volume primo – 1872,

Unione tipografico-editrice torinese, pag. 453.

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pascoli oltre confine ed al commercio dei relativi prodotti caseari da

parte dei legittimi proprietari, i quali erano costretti, per poter portare

le proprie mandrie a pascolare su terreni che gli appartenevano da

generazioni, a compiere larghi giri, allungando il tragitto, per

raggiungere i posti di avviso, vigilati dai finanzieri.

Intanto, nel 1804, il Corpo delle Guardie di Finanza, venne

riorganizzato con l’emanazione di un nuovo Regolamento, che ne

disciplinava l’ordinamento, il reclutamento, la disciplina, le paghe, le

promozioni, l’armamento, i premi e le gratificazioni spettanti per la

scoperta e l’arresto dei contrabbandieri23. Il Corpo, la cui forza

organica iniziale non superava le 1900 unità, arrivò anche ad avere

una consistenza di circa 3000 uomini24 e nel 1808 ebbe finalmente

anche una propria uniforme, in sostituzione dell’unico elemento

distintivo indossato in precedenza, che era la bandoliera25.

Particolare importanza nella lotta al contrabbando assunse la pratica

della delazione, che venne fortemente incentivata attraverso la

ricompensa agli autori, della terza parte del valore delle confische e

delle multe che si era contribuito a determinare. I lauti guadagni

spinsero taluni a fare di questa attività una vera e propria professione,

arrivando anche a guadagnare più di 15.000 lire l’anno, somma che,

23 “Decreto portante il Regolamento per l’organizzazione delle Guardie di

Finanza” del 26 giugno 1804. 24 “Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal

1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag. 82 e 83.

25 Con il Decreto del 2 marzo 1808, a firma di Eugenio Napoleone.

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per quei tempi, quasi eguagliava quello delle prime cariche dello

Stato26.

Anche il sale divenne oggetto di un diffuso e generalizzato

contrabbando, soprattutto tra le popolazioni nelle zone montane di

confine, in molti casi per una necessità legata alla sopravvivenza

personale e della propria famiglia, giacché le tariffe di vendita, a

partire dal 1800, avevano subito aumenti via via crescenti, del tutto

sganciati dalle reali necessità e dalla precaria situazione economica

della popolazione. Nel tentativo di arginare il dilagare di questo

fenomeno, con il Decreto del 19 maggio 1811 fu accordata, ai comuni

ubicati nei Dipartimenti di confine27, una riduzione del prezzo di

acquisto del sale rispetto alla tariffa vigente, con l’obbligo però, per

l’Erario cittadino, di comprarne dai magazzini di Stato una prestabilita

quantità di sale, pari a 5 libbre per ogni abitante, salvo poi recuperare

le somme sborsate in anticipo con la forzata vendita del sale ai propri

amministrati. Il nuovo sistema non solo non contribuì a diminuire i

comportamenti illegali, per via del divario tra il prezzo del sale del

monopolio rispetto a quello comprato all’estero, rimasto ancora

elevato, ma anzi diede il via al contrabbando interno, tra i vari

Dipartimenti del Regno, a causa delle differenti tariffe in essi vigenti.

Inoltre, il nuovo sistema di vendita finì per portare molti comuni al

dissesto finanziario, perché si trovarono impossibilitati a recuperare le

somme anticipate all’erario per l’acquisto del sale, la cui quantità

26 “Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal

1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag. 33.

27 Particolarmente diffuso era il contrabbando di sale nel Dipartimento dell’Adige, all’interno del quale circolava illegalmente quello proveniente dalle vicine miniere del Tirolo austriaco.

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minima obbligatoria era stata determinata senza tener conto del

fenomeno delle migrazioni stagionali, che portava via da quei luoghi,

anche per mesi, buona parte della popolazione adulta28.

Anche il tabacco fu oggetto di un fiorente contrabbando, soprattutto a

partire dal 1810, quando il previgente sistema del rilascio delle licenze

di fabbricazione, fu sostituito con il monopolio esclusivo da parte

dello Stato. La situazione assunse dimensioni patologiche soprattutto

nei dipartimenti dell’Adda, del Lario e dell’Agogna, che potevano

rifornirsi nel vicino Canton Ticino, ove il prezzo era nettamente

inferiore rispetto a quello imposto dal monopolio statale.

Nel novembre del 1810, una spedizione militare al comando del

generale Achille Fontanelli invase il Canton Ticino, occupandolo per

alcuni mesi. Ufficialmente questo aperto atto di guerra fu motivato

dalla volontà di punire gli svizzeri, colpevoli di aggirare il blocco

continentale, in particolare attraverso i magazzini presenti nelle città

di Bellinzona e Mendrisio, inondando l’Italia di merci inglesi. In

realtà, vi era uno scopo non dichiarato, cioè di costringere i ticinesi ad

entrare a far parte del Regno italico. Ma di fronte alla loro ferma

opposizione, i napoleonici pretesero solo una rettifica dei confini,

attraverso la cessione del territorio di Mendrisio. Il rovesciamento

delle sorti di Napoleone dopo la campagna di Russia, consentì al

Cantone ticinese, fortunatamente, di non dare seguito a quella

richiesta29.

28 “Saggio storico sulla Amministrazione Finanziera dell’ex Regno d’Italia, dal

1802 al 1814”, di Giuseppe Pecchio – 1852, Torino, Tipografia economica, pag. 49.

29 “Storia di Como”, di Maurizio Monti – 1831, Como, tipografia di C. Pietro Ostinelli, pagine da 210 a 214.

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5. IL REGNO DEL LOMBARDO – VENETO (1815 – 1859)

Nei primi anni della rinnovata occupazione austriaca sul Lombardo-

Veneto, furono mantenute in vigore le tariffe doganali della

precedente amministrazione filo francese, applicate nella versione

originaria del 1803, cioè con dazi generalmente bassi o

moderatamente protettivi solo per poche merci. Anche l’apparato

burocratico dell’Amministrazione finanziaria fu sostanzialmente

confermato, nell’ambito del quale mantennero il loro ruolo di

referente a livello periferico le vecchie Intendenze di Finanza. La

Guardia di Finanza, nel frattempo rinominata ”Forza armata di

finanza”, continuò a prestare servizio come nel passato, suddivisa in

un servizio attivo ed un servizio sedentario.

Tra il 1835 ed il 1836, al fine di rinforzare il dispositivo di vigilanza

lungo le frontiere, dove già dal 1820 venivano impiegate anche truppe

di linea in funzione anticontrabbando, la “Forz’armata attiva di

finanza” fu divisa, dando vita a due corpi separati: il primo

denominato “Imperial Regia Guardia di Confine” 30 e l’altro “Imperial

Regia Guardia di Finanza”31, entrambi comunemente chiamati “Corpi

di sorveglianza”.

Tra i compiti principali della nuova Guardia di Confine, vi erano la

lotta al contrabbando e la repressione di ogni altra trasgressione alle

30 Notificazione n. 24563 – 2593 del 14 agosto 1835 “ Istituzione della Guardia di

Confine”. In “Raccolta Degli Atti del Governo e delle disposizioni generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume II – 1835, Milano, Imperiale Regia Stamperia, pag. 74 e segg..

31 Notificazione n. 40764 – 5203 del 31 dicembre 1836, “Pubblicazione dell’estratto del regolamento organico e di quello di servizio per la nuova guardia di finanza”. In “Raccolta Degli Atti del Governo e delle disposizioni generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume IV – 1836, Milano, Imperiale Regia Stamperia, pag. 1031 e segg..

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leggi di finanza, ma anche impedire l’entrata nello stato di persone

sospette, attraverso una copertura di tipo militare delle frontiere. Per

tali scopi venne assimilata ai reparti militari ed operava

esclusivamente in uniforme

Anche la Guardia di Finanza ebbe tra i suoi compiti la repressione del

contrabbando e delle violazioni di natura finanziaria, ma a differenza

dell’altro corpo di sorveglianza, operava in una posizione più

arretrata, in seconda linea, normalmente al di fuori del circondario

confinante.

Il sistema, così congegnato, non si rivelò particolarmente efficiente,

ma anzi generò gelosie e non pochi contrasti tra i due Corpi, i cui

compiti si dimostrarono sostanzialmente sovrapponibili, al punto che,

nel 1843, vennero riunificati nella “Imperiale Regia Guardia di

Finanza”, Corpo armato ad ordinamento civile, ma militarizzato nei

gradi e nella disciplina32. Nelle sue fila, fu consentito l’arruolamento

anche ai giovani che non avevano ancora prestato il servizio militare, i

quali potevano così usufruire dell’esenzione temporanea dalla

coscrizione obbligatoria finché rimanevano in servizio. Fu proprio

grazie a questa possibilità che numerosi elementi ostili all'Austria

entrarono a far parte dell’I.R. Guardia di Finanza, riuscendo ad evitare

il servizio di leva e a non indossare l'odiata uniforme dell'esercito

austriaco.

Nel 1817, il sistema doganale ebbe una svolta in senso

dichiaratamente protezionistico, con l’introduzione di elevati dazi

32 Notificazione n. 22 del 20 luglio 1843, “Concentrazione delle due guardie di

confine e di finanza, ed attivazione del relativo regolamento organico di servizio”. In “Raccolta Degli Atti dei Governo di Milano e di Venezia e delle disposizioni generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume II – 1843, Milano, Imperiale Regia Stamperia, pag. 81 e segg..

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sulle importazioni di merci estere, per alcune delle quali ne fu

addirittura proibito l’ingresso, misure che, ovviamente, riattizzarono il

contrabbando.

Nel 1836, l’intera materia doganale e sui monopoli di Stato, fu oggetto

di una accurata razionalizzazione, con l’emanazione di un complesso

organico di leggi, tra le quali il “Codice per le contravvenzioni di

finanza”.

Furono introdotte numerose norme speciali, alcune non del tutto

nuove, come l’istituto giuridico del “circondario confinante”, di

napoleonica memoria, al cui interno vigevano stringenti limitazioni

alla movimentazione delle merci.

Le violazioni doganali furono distinte tra frodi e contravvenzioni

d'altro genere, suddivise in tre classi a seconda del loro impatto sul

gettito fiscale o per la elevata pericolosità sociale: contrabbando, gravi

contravvenzioni, semplici contravvenzioni. Le pene, potevano essere

solo pecuniarie, in misura fissa o proporzionata all'imposta dovuta o al

valore dell'oggetto della contravvenzione, oppure prevedere l’arresto,

distinto in semplice e “rigoroso”, comminabile tanto come pena

principale, quanto come pena sussidiaria. Furono altresì previsti

inasprimenti di pena, con il cumulo delle sanzioni, ed introdotte altre

pene accessorie, come la perdita di diritti e concessioni,

l’allontanamento dal territorio dello Stato o dal circondario

confinante, la sorveglianza di polizia.

Una serie di circostanze attenuanti o aggravanti, erano anche

contemplate per consentire al giudice di determinare le pene tra il

minimo ed il massimo, fissati dalla legge stessa.

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Per il contrabbando semplice, la pena poteva variare da due a quindici

volte l’imposta evasa, ma se la violazione riguardava un divieto

all’importazione, la pena era applicata nella misura variabile da una a

quattro volte il valore della merce. Se invece venivano violate le

disposizioni sui divieti di esportazione o di transito, i limiti edittali

della pena erano ridotti alla metà.

Il contrabbando “temerario”, che era la fattispecie più grave, era

invece punito con la pena dell’arresto semplice o rigoroso, e

comprendeva ben nove differenti condotte antigiuridiche: il

contrabbando reiterato; l’utilizzo di armi; il contrabbando con

“attruppamento” (cioè da più persone insieme); la violenza; la

“seduzione”, intesa come corruzione di pubblici ufficiali; la stipula di

assicurazioni sul rischio di sequestro; la formazione di società dedite

al contrabbando; l’uso di documenti falsi; la rottura dei suggelli

doganali; l’utilizzo di mezzi appartenenti ad altri, stratagemma

utilizzato spesso per evitarne la confisca.

Se tra i colpevoli di contrabbando temerario vi erano commercianti o i

loro agenti e commessi, a costoro potevano essere inflitte le pene

accessorie della perdita della licenza commerciale o dell’incapacità

ad esercitare una professione, anche a tempo indeterminato.

Infine, gli stranieri colpevoli di contrabbando temerario potevano

essere “sfrattati” (espulsi) dallo Stato33.

Nel 1852, venne emanata una nuova tariffa doganale, che aboliva i

divieti di importazione o esportazione gravanti su talune merci,

33 Notificazione n. 980 - 138 del 1° febbraio 1836, “Promulgazione del codice per

le contravvenzioni di finanza”. In “Raccolta Degli Atti del Governo e delle disposizioni generali emanate dalle diverse Autorità”, Volume II – 1836, Milano, Imperiale Regia Stamperia, pag. 239 e segg..

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mantenendo però dazi molto elevati a protezione delle industrie

nazionali, e che quindi non fu in grado di ridurre il fenomeno

contrabbando nel Lombardo-Veneto, che riguardava in particolare la

seta, sulla quale gravava un dazio all’esportazione così elevato da

metterla praticamente fuori commercio rispetto ai più concorrenziali

prodotti piemontesi e francesi e lo zucchero, il cui consumo illegale,

nel 1853, venne stimato in circa 20.000 quintali, pari cioè ad un quarto

di quello ufficiale34.

Inoltre, i commercianti milanesi erano particolarmente preoccupati per

la perdita di competitività della Lombardia, che si vedeva sottrarre

quote sempre più ampie del traffico commerciale proveniente da

Trieste e diretto in Svizzera, a tutto vantaggio del vicino Piemonte, nel

quale il progressivo sviluppo del sistema ferroviario, aveva reso più

rapido e economico il transito delle merci via Genova. Nel 1853,

venne addirittura inviata una supplica a Vienna, affinché le autorità

imperiali mettessero al più presto a frutto il prestito lanciato nel 1850,

proprio nel Lombardo-Veneto e destinato a dotare il paese di nuove

ferrovie35.

6. IL CONTRABBANDO SUI LAGHI

Nel 1796, pochi mesi dopo la conquista del Ducato di Milano,

l’amministrazione francese, nel tentativo di arginare il contrabbando

lungo i laghi al confine con la Svizzera, autorizzò l’armamento di due

34 “Guida statistica della Provincia di Milano. 1854” – Milano, editore Luigi di

Giacomo Pirola, pag. 224 e segg.. 35 Ibidem.

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barche cannoniere, con sede una a Bellagio e la seconda a Domaso.

Incaricate di controllare il traffico sul lago, le imbarcazioni si

rivelarono ben presto troppo lente e costose e quindi furono poste in

disarmo.

Dopo il breve ritorno degli austriaci, la risorta Repubblica Cisalpina,

provò a fronteggiare l’emergenza del contrabbando sui laghi,

ripristinando, il 31 ottobre del 1800, il servizio doganale, affidato ad

una scialuppa armata che stazionava nei pressi di Lugano, dove

solitamente si recavano i contrabbandieri per vendere il loro grano36.

Nuovamente soppresso, il servizio venne ripristinato alcuni anni dopo,

schierando questa volta ben tre barche cannoniere, alle quali vennero

attribuiti compiti di vigilanza politico-militare oltre che finanziaria,

ma anche in questo caso con poca fortuna.

Dopo la fine del periodo napoleonico, gli austriaci riorganizzarono il

servizio di polizia sul lago di Como, istituendo quattro diverse

squadriglie navali (Como, Sant’Agostino, Gravedona, Lecco), a cui

nel corso degli anni si aggiunsero quelle di Menaggio (1819),

Moltrasio (1822), Brienno e Carate (1825) e infine Argegno, nel 1830.

Il contrabbando che si praticava sui laghi, non riguardava solo le

merci che provenivano da oltre confine, ma anche, e spesso, le merci

nazionali o in transito destinate all’esportazione, che in quanto tali

erano esenti dai relativi dazi sui consumi o da imposte doganali. In

breve, accadeva che le imbarcazioni, una volta caricate le merci e

lasciati gli approdi lacustri, raggiunto il limite delle acque territoriali

svizzere, venivano affiancate, sottobordo, da una miriade di piccole

36 “Storia della Svizzera italiana dal 1797 al 1802”, di Pietro Peri – 1864, Lugano,

Tipografia Cantonale.

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barche, le quali, caricata la merce la reintroducevano, in

contrabbando, nei territori di partenza, cioè Lombardia o Piemonte37.

Per la repressione dei traffici illeciti nelle acque del Lago Maggiore, il

Regno di Sardegna e l’Impero Austriaco conclusero una prima

convenzione nel 1834, poi ratificata nel 1835, in base alla quale tutte

le imbarcazioni che entravano nelle acque territoriali di uno dei due

Stati, erano soggette a visita da parte degli uffici doganali per

verificare la presenza di sale, tabacco, polvere da sparo e salnitro. Per

il garantire il rispetto della convenzione, gli Stati firmatari potevano

effettuare la vigilanza doganale anche con mezzi navali, sui quali

erano imbarcati finanzieri.

Il Trattato, però, fu oggetto di dure contestazioni da parte piemontese,

che lamentavano frequenti e gravi abusi da parte dei finanzieri

lombardi, accusati di interpretare a proprio esclusivo vantaggio la

cornice normativa dell’accordo diplomatico, estendendo oltremodo il

pattugliamento del lago, spingendosi anche nelle acque territoriali del

Regno di Sardegna per fermare e sequestrare imbarcazioni sospettate

di contrabbando. E in effetti, proprio nel tentativo di dare concreta

risposta all’annoso problema, gli austriaci avevano collocato sulla

sponda lombarda del lago una serie di grosse barche, che fungevano

da postazione fissa per i finanzieri, dalle quali partivano numerose

piccole imbarcazioni che effettuavano spesso la ricognizione fin sotto

Arona, cioè in territorio piemontese38. Gli incidenti denunciati furono

così numerosi, che nel 1846 il re Carlo Alberto denunciò

37 “Atti del Parlamento subalpino. Sessione del 1851”, volume VII, dal 23

novembre 1850 al 27 febbraio 1852 – 1866, Firenze, Tipografia Eredi Botta, pag. 3706.

38 Ibidem.

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l’applicazione della Convenzione, minacciando tra l’altro Vienna di

“soffiare sul fuoco dell’indipendenza lombarda”.

Dopo le disastrose campagne militari del 1848 e del 1849, lo Stato

sabaudo, dietro pressione Austriaca, fu indotto a firmare, nel 1851, la

nuova “Convenzione per la repressione del contrabbando nel Lago

Maggiore e nei fiumi Po e Ticino”. Il Trattato, seppure similare al

precedente del 1834, introduceva nuove e stringenti limitazioni alla

navigazione sul lago, a tutto vantaggio della vigilanza doganale, che

però non mancarono di suscitare un vivacissimo dibattito alla Camera

dei Deputati torinese, i cui rappresentanti, fra tutti il Depretis, ne

denunciarono l’inutilità da parte piemontese. Le proteste avevano in

effetti un fondamento di verità, poiché i maggiori benefici derivanti

dall’applicazione delle nuove norme era proprio a favore dell’Austria,

interessata a porre un freno al dilagante contrabbando che affliggeva il

proprio territorio, anche, e soprattutto, per il perdurare di una ostinata

politica protezionistica, con altissimi dazi sulle importazioni, che

colpivano, tra l’altro, gli stessi vini piemontesi39. Inoltre Austria e

Regno di Sardegna erano da anni in competizione per difendere gli

interessi commerciali e materiali dei rispettivi porti di Trieste e

Genova, presso i quali affluivano e partivano molti dei prodotti

destinati in Svizzera. Da parte piemontese, vi era dunque la

preoccupazione che il rafforzamento della vigilanza sul Lago

Maggiore, peraltro molto oneroso dal punto di vista economico,

avrebbe potuto in qualche modo ostacolare e ritardare il flusso delle

merci provenienti da Genova, a tutto vantaggio dell’Austria e della

39 “L’altro Piemonte e l’Italia nell’età di Urbano Rattazzi”, a cura di Balduzzi,

Ghiringhelli e Malandrino – 2009, Giuffrè Editore, pag. 127.

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strada ferrata che collegava la Lombardia con Trieste. Inoltre, la

modesta riduzione dei dazi sui vini, accordata dall’Austria quale

contropartita, fu giudicata dalla Camera dei Deputati del tutto inutile,

perché sul mercato lombardo i prodotti piemontesi continuavano a non

essere competitivi, rispetto ai vini importati dai Ducati di Modena e

Parma, che potevano beneficiavano della completa esenzione da dazi,

in virtù della “Convenzione sulla libera navigazione del Po”, stipulata

dai predetti Ducati con l’Impero Austriaco nel 1849 ed entrata in

vigore proprio nel 1851.

Dopo l’acquisizione del Veneto all’Italia, nel 1866, anche il lago di

Garda divenne frontiera del contrabbando, poiché il confine con il

Tirolo meridionale passava proprio attraverso di esso, fino all’altezza

di Bardolino e di Manerba. Non a caso, il trattato di pace tra Austria e

Regno d’Italia impegnava entrambi i contraenti, alla stipula, entro un

anno, di una convenzione per la repressione del contrabbando, e

disponeva, nelle more, la provvisoria applicazione della convenzione

stipulata nel 1851 per la repressione del contrabbando sul Lago

Maggiore. Questa appendice aggiuntiva, fu effettivamente siglata nel

1867, a Firenze, in occasione della stipula del nuovo Trattato di

commercio e navigazione.

Per quanto riguarda la vigilanza doganale sui laghi di confine, il

neonato Regno d’Italia puntò su un sistema di Brigate della Guardia di

Finanza, strategicamente posizionate presso gli approdi e lungo le

strade che conducevano ai villaggi intorno agli specchi d’acqua, ma,

contrariamente a quanto accaduto negli Stati preunitari, non si

premurò di dotare tali reparti di imbarcazioni idonee ad effettuare un

efficace pattugliamento degli specchi lacustri.

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Per circa trent’anni la situazione rimase tale, finché nel 1891, tre

torpediniere del tipo “Thornycroft”, prestate dalla Regia Marina,

furono dislocate una nel Lago Maggiore e due in quello di Garda.

Grazie ai buoni risultati ottenuti, nel 1893 vennero formalmente

istituiti i “ Servizi speciali per la vigilanza finanziaria di confine” sui

due laghi, la cui direzione operativa era attribuita ai comandi della

Guardia di finanza, mentre la responsabilità tecnica spettava a

personale della Regia Marina40.

Le predette unità, che inizialmente rimasero in carico alla Regia

Marina, conservarono il cannoncino Nordenfelt di cui erano dotate,

mentre furono sbarcati i tubi lanciasiluri. Un proiettore fu collocato su

un alto traliccio per consentire l’osservazione notturna, con qualche

pregiudizio per la già modesta stabilità dei battelli, come si dovette

constatare nella notte sull’8 gennaio 1896, quando, durante un

fortunale, presso l’approdo di Cannobio, sul Lago Maggiore, la

torpediniera 19/T “Locusta” si capovolse, scomparendo con l’intero

equipaggio, composto da 8 marinai e 4 finanzieri.

Nel 1896, il Ministero delle Finanze acquisì dalla Regia Marina

ulteriori 13 torpediniere, 10 del tipo “Thornycroft” e tre del tipo

“White”, per il servizio di vigilanza sui Laghi di Garda, di Lugano e

Maggiore e nella laguna di Venezia. Venne anche stabilita la

sostituzione del personale della Marina con equipaggi della Guardia di

Finanza, che veniva così ad assumere anche la direzione tecnica del

servizio. Le unità navali, ribattezzate “battelli incrociatori”, furono

40 Regio Decreto del marzo 1893, n.147, emanato di concerto tra i

Ministeri della Marina e delle Finanze. In “Raccolta delle disposizioni legislative concernenti la Guardia di Finanza”, volume II – 1966, Comando Generale della Guardia di Finanza. Archivio Museo Storico della Guardia di Finanza (AMSGF).

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poste alle dipendenze di comandi di “Stazione”, retti da tenenti,

istituiti a Cannobio (lago Maggiore), Nobiallo (lago di Como),

Porlezza (lago di Lugano) e Limone sul Garda41.

Nel 1900, con il Regio Decreto n. 29, venne emanato il “ Regolamento

sul servizio di vigilanza finanziaria coi battelli incrociatori”, che fissò

le modalità per l'esecuzione del servizio sui laghi alpini e nella laguna

di Venezia, prevedendo con quali turni le unità dovevano svolgere il

servizio di guardia, di comandata e di riposo.

L’attività di vigilanza dei battelli incrociatori era poi integrata con una

serie di barche di perlustrazione a remi, assegnate alle Brigate di

confine dislocate lungo il laghi, incaricate di esplorare “continuamente

la zona illuminata dal fascio del proiettore [delle torpedini, N.d.A.],

per accertare che nessuna barca attraversi la zona di confine senza

essere riconosciuta e visitata”.

Al comando di ogni incrociatore vi era un sottufficiale della Guardia

di Finanza del ramo mare, in possesso di apposito certificato di abilita-

zione, rilasciato dal Ministero della Marina dopo uno speciale esame

teorico-pratico42.

41 Regio Decreto 8 marzo 1896, n.75. Il decreto stabiliva la cessione delle

torpediniere di IV classe (cioè le “Thornycroft”) aventi la seguente numerazione: 4,7,8,9,10,13,15,16,20,21 e le barche torpediniere “White” così contraddistinte: V, VII e XIV. In “ Raccolta delle disposizioni legislative concernenti la Guardia di Finanza”, volume III – 1966, Comando Generale della Guardia di Finanza. Archivio Museo Storico della Guardia di Finanza (AMSGF)

42 A cura del Direttore Generale delle Gabelle, vennero poi emanate le “Istruzioni del 23 ottobre 1900 per l’applicazione del Regolamento sul servizio di vigilanza finanziaria con i battelli incrociatori, e modelli ”. Dalla tabella allegata alle predette istruzioni emerge che, nel 1900 le torpediniere in dotazione erano 16, tutte costruite tra il 1884 ed il 1893, contraddistinte dalle seguenti lettere dell’alfabeto: A,B,C,D,E,F,G,H,I,K,L,M,N,X,Y e Z. In “Raccolta delle disposizioni legislative concernenti la Guardia di Finanza”, volume III – 1966, Comando Generale della Guardia di Finanza. Archivio Museo Storico della Guardia di Finanza (AMSGF).

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7. IL REGNO D’I TALIA (1861 – 1900)

Con l’avvento di Cavour alla guida del Ministero delle Finanze, il

Piemonte aveva adottato nel 1859, una riforma doganale improntata al

libero scambio, la cui tariffa, con dazi in media dell’ordine del 3,5 %,

tra le più moderate in Europa, fu poi estesa anche agli Stati annessi al

Regno di Sardegna. Questa politica liberista, accompagnata dalla

stipula di numerosi trattati commerciali con i paesi limitrofi, suscitò

violente critiche da parte degli interessi agrari ed industriali italiani,

che accusarono il Governo di non proteggere adeguatamente

l’economia nazionale. Anche la Lombardia, che si trovava in una fase

di depressione economica per la forte crisi dell'industria della seta, fu

danneggiata dall’introduzione del regime doganale sardo, soprattutto

quelle categorie merceologiche che in precedenza, sotto il governo

austriaco, avevano beneficiato di elevati dazi protettivi .

Nonostante la moderazione dei dazi doganali, il contrabbando non

accennò comunque a diminuire, probabilmente a causa della relativa

mitezza delle sanzioni previste per i reati doganali.

Nel settembre del 1860, fu emanato un nuovo Regolamento

concernente le dogane ed i monopoli di Stato, che oltre ad accorpare

le numerose disposizioni allora esistenti, sparse in una moltitudine di

decreti, editti e manifesti, emanati nel Regno di Sardegna tra il 1815 e

il 1860, introduceva anche alcuni elementi di novità, come le

limitazioni al transito delle merci nella zona doganale, stabilendovi

orari, itinerari e documentazione di accompagnamento.

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Anche l’apertura di nuove “fabbriche”43 o depositi di merci nelle zone

di confine, venne regolamentata attraverso il rilascio di una apposita

autorizzazione da parte del Ministero delle Finanze, mentre per gli

opifici già esistenti, la loro attività poté continuare ad essere

"tollerata" solo a seguito di una formale denuncia, con la quale

dovevano essere rese note: la distanza dal confine; il numero degli

operai addetti alla lavorazione; la quantità e la natura degli oggetti

fabbricati nell'arco di un mese.

Anche le disposizioni sulla navigazione nei laghi e nei fiumi furono

oggetto di revisione: il nuovo Regolamento consentiva ora alle

guardie doganali maggiori possibilità di effettuare ispezioni sulle

imbarcazioni.

Tra il 1864 ed il 1866, per fare fronte alle crescenti esigenze di finanza

pubblica, furono introdotti nuovi dazi, come per esempio su seta e

bestiame, che fino ad allora avevano goduto di una completa

esenzione ed aumentati quelli già esistenti, in particolare su coloniali,

vini ed alcuni prodotti agricoli di esportazione.

Questi provvedimenti suscitarono un’ondata di malcontento,

soprattutto nelle zone prossime al confine con la Svizzera, la cui

economia già si sentiva profondamente minacciata e penalizzata dalla

politica doganale perseguita dalla Confederazione elvetica, dove

invece molti generi di monopolio e coloniali erano pressoché esenti da

dazi, garantendo quindi ai contrabbandieri ampie possibilità di

rifornimento e lauti guadagni, determinati proprio dalla differenza fra i

due regimi fiscali.

43 Per alcune categorie merceologiche, come ad esempio i tessuti, bastava avere

installati appena tre telai, per far sì che un semplice laboratorio artigianale, venisse equiparato ad una "fabbrica".

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89

Di questa situazione se ne avvantaggiavano sia le grandi

organizzazioni contrabbandiere, le cui redini erano tenute da uomini

senza scrupoli che si nascondevano nelle città lontane dai confini, sia

il tessuto economico che prosperava ai margini della linea doganale,

che comprendeva famiglie, commercianti e albergatori. Proprio per

l'omertà degli abitanti e per la tolleranza, quando non era proprio

connivenza, delle autorità locali, pochi erano i casi di contrabbando

che venivano denunciati.

La convinzione che condanne più severe avrebbero dissuaso i

contrabbandieri, portò alla emanazione di una nuova legge, la n. 3020

del 28 giugno 1866.

Composta da appena 14 articoli, la legge ebbe come principale

obiettivo la lotta contro il contrabbando in forma associata,

considerato la principale causa delle ingenti perdite subite dall'Erario,

introducendo le fattispecie aggravanti dell’”associazione”, della

“mano armata”, del “contrabbando in unione”, ed estendendo le pene

previste per gli autori del reato anche a coloro che provvedevano alla

assicurazione dei rischi del contrabbando .

La carcerazione venne portata da un minimo di 6 giorni a un massimo

di 6 mesi; alla confisca delle merci si aggiunse la perdita dei mezzi

utilizzati per il trasporto e le multe passarono da un minimo di 51 lire

ad un massimo di 1.000, senza contare che le pene aggiuntive

divennero proporzionali alla quantità di merce introdotta o esportata

illegalmente.

Anche per il contrabbando commesso col concorso di pubblici

ufficiali, fu previsto il carcere, con un minimo di tre mesi, che si

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aggiungeva alle pesanti pene contemplate dal Codice Penale Militare

ed alla destituzione dagli incarichi.

Infine, fu introdotta anche la responsabilità civile dei datori di lavoro,

nell’ipotesi in cui il reato fosse stato commesso in locali aperti al

pubblico da parte di propri dipendenti, e questi si fossero rivelati

insolventi.

Gli effetti della nuova legge non tardarono a farsi sentire: già dal

primo anno della sua applicazione, i reati di contrabbando calarono,

rispetto al 1866, di circa il 15% e l'anno successivo si ridussero

ulteriormente. In realtà, se i traffici illegali diminuirono, questo fu

dovuto solo in parte alla nuova legge, perché la prospettiva del carcere

costituì un forte deterrente unicamente per i piccoli contrabbandieri,

che decisero di abbandonare il contrabbando ritenendolo ormai troppo

rischioso in rapporto ai guadagni. L’altro motivo che determinò il calo

del numero delle violazioni doganali rapportate all’autorità

giudiziaria, fu l’elaborazione di nuovi espedienti grazie ai quali fu

possibile ridurre il rischio di essere scoperti, tant’è vero che in questo

periodo aumentarono le denunce contro ignoti. Rimasero quindi sul

mercato uno zoccolo duro di "spalloni" professionisti, i quali, per

nulla scoraggiati dalla prospettiva del carcere, sfruttarono a loro

vantaggio l’aggravamento del “rischio d’impresa”, chiedendo, ed

ottenendo, maggiori compensi dalle organizzazioni di cui facevano

parte.

Tra gli accorgimenti utilizzati per eludere i controlli, ampia diffusione

ebbe l'utilizzo dei cani, addestrati a trasportare oltre confine,

attraverso la fitta boscaglia, al posto dei loro padroni, discreti

quantitativi di merce.

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Maltrattati per mesi da estranei in divisa, le povere bestie imparavano

ben presto a stare alla larga dai finanzieri. Una volta ottenuto questo

primo risultato, i cani erano pronti per la fase successiva:

accompagnati dal padrone, percorrevano ripetutamente il sentiero che

attraversava il confine, andata e ritorno. Imparata la via da seguire,

venivano portati in Svizzera e, dopo un lungo digiuno, caricati con

bricolle contenenti la merce di contrabbando. Lasciati liberi durante la

notte, spinti dalla fame, i cani attraversavano di corsa il confine per

raggiungere il padrone che li aspettava in Italia, dal quale venivano

finalmente ricompensati con un lauto pasto.

Il rimedio si rivelò efficace e per diversi anni consentì agli autori del

contrabbando di agire indisturbati. Poi furono adottate adeguate

contromisure, disseminando il confine di tagliole e trappole di ogni

genere, nei pressi delle quali si appostavano i finanzieri. In breve

tempo furono catturati numerosi cani e confiscata una gran quantità di

merce, al punto che i contrabbandieri non ritennero più vantaggioso

servirsene e dovettero industriarsi per ricercare nuove strategie con le

quali sfuggire ai sempre più severi controlli.

Per evitare di incappare nei rigori della legge penale del 1866 e

soprattutto per non incorrere nelle maggiori sanzioni previste per i

reati associativi, le popolazioni al confine con la Svizzera ripresero ad

alimentare piccoli traffici locali, limitandosi ad acquistare, nel vicino

Canton Ticino, modeste quantità di tabacco, zucchero e caffè per poi

rivenderle a vicini di casa, parenti, albergatori, tabaccai e pizzicagnoli

della zona. Uno degli espedienti comunemente usato per coprire questi

traffici, era il pretesto di recarsi in territorio svizzero per la

coltivazione di fondi colà ubicati, grazie al era consentito attraversare

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quotidianamente la frontiera: al ritorno in Italia, nella gerla carica di

prodotti della terra, veniva nascosta la merce di contrabbando.

Una delle contromisure adottate dal Governo per contrastare il

contrabbando di sale, fu il divieto di destinare quello proveniente dal

porto di Genova alle esportazioni verso la Svizzera, autorizzando a

tale scopo solo quello prodotto nella laguna veneta che aveva una

cristallizzazione ed un colore diverso, facilmente distinguibile durante

il controllo doganale.

Anche sul fronte diplomatico, il Governo italiano fu molto attivo,

tentando ripetutamente di ottenere la collaborazione della

Confederazione Elvetica, anche attraverso l'istituzione di un "cartello

doganale", cioè un pacchetto di norme concordate per la repressione

del contrabbando, simile a quello che era stato stipulato con l'Austria

nel 1867, in occasione della firma del Trattato di commercio e di

navigazione.

Nel 1868, fu raggiunta a Firenze una prima intesa, che però riguardava

principalmente aspetti di natura commerciale, attraverso l’estensione

alle merci svizzere dello stesso trattamento di favore riservato ai

prodotti francesi e austriaci e con dei leggeri ribassi dei dazi gravanti

su orologi, nastri di seta, filati di lino e formaggi. Dal canto loro gli

svizzeri concessero la diminuzione delle tariffe d'importazione su

alcuni prodotti agroalimentari, come la pasta. Nulla da fare per il

cartello doganale, perché la Svizzera, sentendosi per nulla minacciata

dal contrabbando, rifiutò la proposta, motivandola, pretestuosamente,

con l’impossibilità di sostenere l’aumento dei costi in termini di

personale e mezzi, che una più stretta sorveglianza dei confini avrebbe

comportato.

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93

Nel 1883, un nuovo trattato commerciale fu siglato con la Svizzera.

Basato sulla clausola della nazione più favorita, esso risultò molto

vantaggioso per l'Italia, che si assicurò, per la produzione vinicola

nazionale, il medesimo trattamento concesso ai vini francesi. Furono

ottenuti ribassi sui dazi anche per il sapone, la lana, le cere e la

ceramica e vennero evitati gli aumenti che gli svizzeri intendevano

applicare sulla seta e sullo zolfo. Il nostro Paese accolse le richieste di

parte svizzera, cioè la riduzione dei dazi sull’importazione di

formaggi, bestiame, carillon e orologi, dei quali in parte ne fu ridotto

il contrabbando, privato di buona parte della sua rimuneratività.

Una decisa inversione di tendenza si ebbe nel 1887, quando fu varata

una nuova tariffa doganale, con alti dazi a scopo protezionistico, che

colpì in modo particolare lo zucchero ed i suoi derivati, il tabacco, il

cacao, i coloniali in genere ed alcuni prodotti agricoli, contribuendo a

riallungare il divario tra l’imposizione doganale italiana e quella

svizzera.

Questa situazione determinò una vera e propria esplosione del

contrabbando, che ebbe un pesante impatto sul tessuto economico e

sociale di molti paesi di confine, perché l’aumento dei margini di

guadagno spinse molti contadini ad abbandonare la loro misera

condizione, per porsi al servizio di associazioni di contrabbandieri

professionisti, radicatisi in molte città italiane, specie lombarde.

In breve tempo, i rapporti fra Italia e Svizzera divennero tesi,

soprattutto per il ripetuto rifiuto della Confederazione di adottare il

tanto agognato cartello doganale, i cui effetti non tardarono a

manifestarsi nei i rapporti fra doganieri ticinesi e finanzieri, che

divennero sempre più difficili, quando questi ultimi furono accusati di

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aver più volte violato il confine durante gli inseguimenti dei

contrabbandieri.

Questo stato di tensione peggiorò ulteriormente nel 1884, quando

un'epidemia di colera, scoppiata in Francia e subito passata nel Canton

Ticino, diede all’Italia una efficace scusa per attuare una rappresaglia

contro la Svizzera, istituendo lungo tutto il confine uno stringente

"cordone sanitario", che prevedeva rigorosi controlli e quarantene. Il

provvedimento, giudicato dal governo elvetico troppo severo in

rapporto alla limitata estensione dell'epidemia, venne visto come un

pretesto per ostacolare non solo il contrabbando, ma anche le stesse

attività commerciali dei ticinesi.

Il cordone sanitario però, non solo non diede i risultati sperati, ma anzi

causò un aumento del contrabbando, che assunse proporzioni

paragonabili a quelle di venti anni prima.

Nel 1889, venne stipulato un nuovo trattato con la Confederazione

Elvetica, con la reciproca concessione della clausola della nazione più

favorita, che assicurò all'Italia una riduzione dei dazi per

l'esportazione di prodotti quali seta, vini, bestiame, riso, salumi,

agrumi, pollame e uova. La Svizzera si avvantaggiava invece di una

riduzione della tassazione su formaggi, tessuti di lino, gioielli d'oro,

cioccolato, veicoli ferroviari di prima classe e orologi a carillon.

Ma appena un anno dopo, l’Italia varò, a protezione delle produzioni

nazionali, in un periodo di grave depressione economica, nuovi

aumenti dei dazi soprattutto su zucchero, vino, oli vegetali, filati di

lino e grano, che riportò il contrabbando a livelli elevatissimi.

Contro questo annoso fenomeno, nel 1893, fu ideato un nuovo sistema

di contrasto: lungo la linea di confine, dal Lago Maggiore all’alta valle

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dell’Adda, fu steso un complesso sistema di reti dotato di campanelli,

che suonando ad ogni minima scossa, mettevano in allarme le

sentinelle di turno.

Purtroppo, gli effetti non furono quelli sperati, poiché il contrabbando,

soprattutto quello praticato dai professionisti, non accennò a

diminuire. Diverse erano le scappatoie usate per superare la rete

metallica: da quelle più banali, come la costruzione di improvvisate

gallerie o il taglio della rete, fino ad arrivare ad azioni più complesse

condotte da bande ben organizzate.

Ecco come si svolgevano: mentre la sentinella era impegnata a

percorrere il sentiero che rasentava la rete, a volte anche per un tratto

lungo mille metri, i contrabbandieri provenienti da oltre confine,

carichi di bricolle, si davano appuntamento in un punto convenuto con

i complici provenienti dal territorio nazionale. In pochi secondi il

carico veniva catapultato al di sopra della rete e caricato nei sacchi

vuoti e portato in paese. Nell’ipotesi in cui la sentinella non si fosse

allontanato dal punto di incontro, ecco che altri complici, in una zona

abbastanza distante, provvedevano a far suonare i campanelli,

provocando il pronto accorrere del finanziere, che quindi,

inconsapevolmente, sgombrava il campo ai contrabbandieri.

Quando il sistema venne scoperto, i finanzieri ebbero l’ordine di

restare sul posto anche se avessero udito il tintinnio dei campanelli.

Ma i contrabbandieri, una volta convintisi che la sentinella non si

sarebbe mossa dal punto ove era, cambiavano tattica e punto di

incontro, andando a scaricare le bricolle proprio ove suonavano i

campanelli.

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Oltre alla Svizzera, anche il Tirolo meridionale fu fortemente

interessato dal contrabbando transfrontaliero, pratica molto diffusa e

praticata da una rilevante fascia degli abitanti dei paesi a ridosso della

linea di confine. Per dare un'idea dell’ampiezza della diffusione del

fenomeno, basti ricordare che dopo la Grande Guerra, con

l’annessione di quei territori al Regno d’Italia, in molti paesi, ormai

privati della principale, se non unica fonte di sostentamento, cioè il

contrabbando, agli abitanti non rimase che intraprendere la via

dell’emigrazione, lasciando interi villaggi spopolati. Tra i principali

prodotti oggetto dei traffici illeciti vi era il tabacco, che iniziò ad

assumere proporzioni preoccupanti dopo l’annessione del Veneto,

anche per il divieto di coltivazione del tabacco che venne subito

imposto. Questa misura, che aveva ovviamente la finalità di

proteggere il monopolio italiano, spinse alcuni piccoli paesi ancora in

territorio austriaco, come Ala, a sviluppare l’intera filiera della

raccolta e della lavorazione del tabacco, destinato a rifornire, di

contrabbando, il mercato italiano.

Un efficace esempio di quanto questo fenomeno illecito abbia inciso

sulla vita quotidiana della popolazione dei territori al confine tra Italia

e Impero austriaco, ci è stato lasciato da Mario Rigoni Stern attraverso

la “Storia di Tönle”, romanzo pubblicato nel 1978, che prende spunto

proprio dall'esperienza autobiografica dell'autore. Al centro del

racconto sono le montagne dell'altopiano d'Asiago e Tönle Bintarn, un

contadino veneto, pastore e contrabbandiere, che si trovò ad essere

coinvolto nei grandi eventi storici della prima guerra mondiale. Dopo

aver ferito un finanziere che lo aveva sorpreso mentre trasportava

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merce di contrabbando, fuggì in Austria, senza però mai dimenticare i

propri luoghi d’origine.

Un’altra provincia particolarmente afflitta dal fenomeno del

contrabbando con l’Austria era quella di Udine: a titolo di esempio,

nel solo 1869 vi furono ben 109 condanne per reati connessi alla

violazione delle leggi sui monopoli, in particolare sale e tabacco, con

le quali furono irrogati, complessivamente, ben 300 anni di prigione.

8. CONCLUSIONI

Per concludere e riassumere la situazione del contrabbando sul

confine alpino nel diciottesimo secolo, mi è sembrato particolarmente

utile per lo scopo di questo breve saggio, riportare alcuni interessanti

passaggi della relazione, presentata il 13 maggio del 1900, dall’allora

brigadiere allievo ufficiale Domenico Olivo, a conclusione del corso

frequentato presso la Scuola Allievi di Caserta44.

Il documento, oltre a descrivere minuziosamente i molteplici artifici

escogitati dai contrabbandieri per superare indenni la vigilanza

doganale, illustra anche quelle che, secondo l’esperienza di servizio

dell’autore, erano le motivazioni che spingevano le persone a

delinquere, offrendo un efficace spaccato di come doveva essere, in

quell’epoca, la vita nei paesi di confine. Lunghissima è la lista dei

metodi utilizzati per sviare i controlli: sacchi di zucchero occultati in

altri più grandi, contenenti cloruro di calce, merce che essendo esente

44 Biblioteca del Museo Storico della Guardia di Finanza, n. progressivo 116.

Domenico Olivo fu un brillante ufficiale della Guardia di Finanza, che iniziò la sua carriera nel Corpo, nel 1889, quando si arruolò come allievo sottobrigadiere. Promosso Sottotenente nel 1900, terminò la sua carriera nel 1935, con il grado di Generale di Brigata in ausiliaria.

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da dazio spesso non era oggetto di visita doganale; botti vuote, prima

esportate e poi reimportate, utilizzando alcune doghe cave per

nascondervi all’interno del tabacco; recipienti, carri, vetture e barche

con doppi fondi o nascondigli appositamente realizzati, riempiti di

merce di contrabbando; tavole di legno per i letti, svuotate nell’interno

e riempite di spagnolette di cotone; botti di spirito e casse di merci

varie, legate sotto la chiglia delle barche e rimorchiate di notte a

distanza tramite un filo; vesciche di animali ripiene di tabacco, gettate

da oltreconfine nei fiumi che scorrevano verso l’Italia, e poi ripescate

nel territorio nazionale; sacchetti di zucchero e di caffè avvolti in

stracci e modellati a somiglianza di neonati, coperti con degli scialle e

tenuti attaccati al seno della presunta madre per simulare

l’allattamento, allo scopo di evitare lo sguardo indiscreto dei

finanzieri; zoccoli di legno con la suola scavata e riempita di caffè;

seni falsamente voluminosi, gobbe e gravidanze finte, grazie ai quali

potevano essere nascosti gli involucri contenenti merce di

contrabbando.

I contrabbandieri, gli spalloni, erano per lo più contadini, legnaioli e

carbonai, uomini forti ma agili, capaci di sfidare i pericoli della

montagna e del tempo, le cui sorti erano spesso accumunate a quelle

dei finanzieri, vittime dei tragici incidenti che spesso si verificavano:

assideramenti, cadute accidentali nei precipizi, valanghe.

Diverse erano le motivazioni che spingevano le persone a delinquere.

Oltre ai professionisti della bricolla, c’erano anche vecchi, donne e

ragazzini dei paesi prossimi al confine, che per fame o solo per

abitudine, si spingevano frequentemente in Svizzera e nel Tirolo

austriaco, rischiando il carcere per portare a casa pochi grammi di

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tabacco, zucchero, caffè o cioccolata. L’allievo ufficiale Olivo,

inoltre, individuava almeno altre due categorie di contrabbando

improvvisato: quello c.d. “sportivo” e quello “domestico”. Il primo era

commesso da persone provenienti di solito dalla città, che si recavano

in Svizzera, in particolare a Chiasso, Mendrisio e Lugano, per

comprare zucchero, cioccolato o sigari da portare in Italia in

contrabbando, senza però avere né la reale necessità economica di

evadere le imposte doganali, ne di ricavarne un guadagno, ma

piuttosto per il puro brivido della trasgressione. Il contrabbando

domestico era invece quello praticato da alcuni negozianti di confine,

che spesso utilizzavano le donne del luogo quale mezzo per

commettere il contrabbando: queste, infatti, uscivano di casa di primo

mattino per attraversare il confine, vestite con abiti alquanto leggeri

nonostante il freddo, per poi tornare in Italia la sera, questa volta

coperte di costosi mantelli e magnificamente adornate con pizzi,

orologi e cappelli acquistati in Svizzera, indossati come fossero ad uso

personale, ma che una volta passato il confine, dovevano (a

malincuore) consegnare ai negozianti che ne avevano commissionato

l’acquisto.

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101

Gen. C.A. Luciano Luciani

Il contrabbando alla frontiera terrestre nel XX secolo

1. GENERALITÀ

Nei primi decenni del 1900, come del resto nel secolo precedente,

gran parte della Guardia di finanza era impiegata nella lotta al

contrabbando, cosa ovvia, dal momento che la maggior parte delle

entrate erariali dello Stato proveniva da dazi doganali, monopoli ed

imposte sulla produzione.

Al giorno d'oggi l'immaginario collettivo associa l'evasione fiscale,

fenomeno distorsivo dell'ordinato vivere civile, alla mancata denuncia

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102

e quindi corresponsione delle imposte dirette e di quelle indirette sugli

affari, il contributo delle quali è percentualmente più rilevante sul

totale del gettito. Cent'anni fa, invece il gettito delle imposte dirette ed

indirette era sensibilmente minore, per cui la relativa evasione non era

preoccupante, a differenza di quella delle altre imposte, il mancato

pagamento delle quali costituisce contrabbando.

La gravità del fenomeno, almeno fino all’inizio del secolo scorso, era

tale che alcuni definivano il contrabbando il corrispettivo nell’arco

alpino del brigantaggio meridionale, una forma di ribellione che

affondava le radici nell’insofferenza delle popolazioni locali per la

legislazione doganale dello Stato e nella loro percezione della

frontiera come naturale area di scambio sviluppatasi in assenza di

sbocchi economici alternativi.

Questo stato di cose giustifica l'attenzione che i Governi dell'epoca

che si succedevano alla guida del Paese ponevano al fenomeno, che

cercavano di fronteggiare incentivando l'efficienza della Guardia di

finanza, nell’intento di incrementare le entrate con un più valido

assetto della vigilanza.

A fotografare con mirabile sintesi e molta efficacia la situazione al

confine, in una seduta del Parlamento ad inizio secolo intervenne

mentre si discuteva sul contrabbando in uno dei numerosi dibattiti,

l’on. Farinet affermando “Un enorme esercito di agenti di finanza ben

disciplinato si sforza invano, sui pendii e sui colli alpini, sulle rive dei

nostri laghi, nelle strette delle nostre Alpi, a combattere un altro

esercito innumerevole, quantunque frazionato, infaticabile quanto

audace, ricolmante l’indomani i vuoti patiti alla vigilia, secondato

purtroppo dal favore delle popolazioni, sorretto dalla certezza di un

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103

lauto guadagno, e contro il quale tutti gli sforzi, tutte le circolari, tutte

le leggi non hanno avuto che scarsi effetti.”

Finalmente, dopo cinquant'anni di tentativi di dare assetto definitivo al

Corpo, migliorando l'efficienza dell’organizzazione e lo status dei

finanzieri, nel 1906 fu varata la grande riforma ordinativa che rese la

Guardia di finanza autonoma, distaccandola dalla Direzione Generale

delle Gabelle e pose le basi per la sua connotazione in senso militare,

raggiunta pienamente pochi anni dopo. Il potere politico, infatti, si era

reso conto che ogni lira in più spesa per il Corpo a breve termine

consentiva conseguenti maggiori incassi per l'erario.

2. I PROTAGONISTI DEL FENOMENO

Sui confini alpestri, per oltre due secoli si sono fronteggiati e

combattuti, in taluni casi anche facendo uso delle anni da una parte e

dall'altra, i contrabbandieri ed i finanzieri.

Nelle aree a ridosso della frontiera il contrabbando, endemico da

secoli, era reputato un mestiere semilegale dalle popolazioni

frontaliere, che consideravano i finanzieri dei nemici da combattere

perché con i sequestri sottraevano ad essi il frutto della loro fatica,

spesso essenziale per la sopravvivenza della propria famiglia.

Tra le ragioni dello sviluppo del contrabbando in Italia va individuato

anche “l'occhio indulgente della collettività" che specie nella zona

prossima al confine con la Svizzera caratterizzata nel passato da un

alto tasso di disoccupazione, vedeva il contrabbando come mezzo di

sopravvivenza, considerandolo come una vera e propria professione.

Emblematica di questo sentimento è un passo di Cesare Beccaria, che

alla fine del XVIII secolo scriveva: “Il contrabbando è un vero delitto

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che offende il Sovrano e la Nazione: ma la di lui pena non deve essere

infamante, perché commesso non produce infamia nella pubblica

opinione.

Ma dovrassi lasciare impunito un tale delitto contro chi non ha roba da

perdere? No: vi sono dei contrabbandi che interessano talmente la

natura del tributo, parte così essenziale e così difficile in una buona

legislazione, che un tale delitto merita una pena considerevole, fino

alla prigione medesima, fino alla servitù; ma prigione e servitù

conforme alla natura del delitto medesimo. Per esempio, la prigionia

del contrabbandiere di tabacco non deve essere comune con quella del

sicario o del ladro.”

L'attività degli "spalloni" non solo era tollerata dalla popolazione, ma

anche favorita, soprattutto nelle aree di basso sviluppo socio-

economico ove l'acquisto di generi sottratti ai dazi doganali era

considerata una innocente evasione di un imposta ritenuta vessatoria.

"Spallone" è un appellativo che in gergo significa "uomo dalle spalle

forti" e ben si attagliava a coloro che con pesanti carichi di merce

trasportata a piedi, sul dorso, superavano il confine, spesso attraverso

itinerari alpini aspri e poco frequentati.

Oggi l'opinione della collettività verso il contrabbando è senz'altro

mutata grazie alla marginalità del guadagno derivante dall' acquisto di

generi di contrabbando e ad una maggiore consapevolezza della stretta

correlazione tra contrabbando e grande criminalità organizzata,

evidenziatasi negli ultimi anni alla luce anche dei tragici episodi che

hanno portato alla perdita di vite umane da parte della Guardia di

finanza.

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Accanto al grande contrabbando di spietate ed efficienti

organizzazioni, tuttavia, è sempre esistito un contrabbando minuto, di

sopravvivenza che da tempo immemorabile ha caratterizzato le aree di

confine dell'Ossola, del Varesotto, del Comasco e della Valtellina.

Se i contrabbandieri "classici", almeno fino alla 2° guerra mondiale,

provenivano dai ceti più umili della popolazione delle aree di confine

e quindi si dedicavano ai traffici illeciti non per arricchirsi ma per

sopravvivere oppure per arrotondare i magri proventi dell'agricoltura, i

finanzieri che davano loro la caccia non si trovavano in condizioni

economiche e sociali migliori.

Innanzitutto essi erano, in gran parte, di provenienza meridionale e si

erano arruolati per sottrarsi ad un destino di fame e miseria, comune in

quei tempi a gran parte delle popolazioni delle regioni di origine.

Nella Guardia di finanza avevano trovato uno stipendio appena

dignitoso ed un rango sociale abbastanza elevato, ma solo nei luoghi

dove erano nati ed erano cresciuti ove tornavano solo in caso di rari

permessi o licenze.

Nelle zone di confine invece erano mal visti e derisi perché ritenuti a

torto il braccio armato di uno Stato che i contrabbandieri, e con essi

l'intera popolazione, ritenevano ingiusto e prevaricatore nei loro

confronti, dal momento che non solo poco faceva per sollevare le loro

condizioni economiche, ma perseguitava coloro che, tutto sommato, si

limitavano a trasportare merci da un luogo all'altro (e poco importava

che tra i due luoghi passasse il confine) come da tempo immemorabile

erano abituati a fare.

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Da questo stato di fatto originava una profonda frustrazione nei

finanzieri che invece agivano nella consapevolezza di compiere il loro

dovere, peraltro in condizioni di estremo disagio.

In effetti, almeno fino alla 1^ guerra mondiale, le guardie di finanza

erano obbligate a risiedere in caserme decrepite e scarsamente

funzionali in località isolate e spesso malsane (vigeva l'obbligo per

tutti, celibi e ammogliati di pernottare in caserma fino al compimento

dei 45 anni), sottoposti ad una disciplina ferrea talvolta stupidamente

persecutoria, impiegati in turni di servizi massacranti, anche

settantadue ore continue di servizio, dopo le quali venivano concesse

dodici ore di riposo prima di essere nuovamente comandati di

servizio, In tempi di carenza di organici era normale un impiego in

servizio di sedici ore, intervallate da otto ore di riposo, e ciò per più

giorni di seguito. I riposi settimanali, inoltre, erano sconosciuti.

A tutto questo si aggiungeva il divieto di sposarsi prima dei

trentacinque anni di età, perché lo Stato non voleva sobbarcarsi l'onere

di corrispondere assegni familiari e men che meno pagare a mogli e

figli una pensione nel caso non infrequente di morte per causa di

Infine i finanzieri, nei rarissimi casi in cui essi potevano recarsi nel

paese più vicino per un turno di riposo, venivano ingiuriati e derisi

lungo le strade che percorrevano oppure nei locali pubblici in cui

entravano per riposarsi.

A lungo andare i nervi dei più deboli cedevano con tragiche

conseguenze: alcuni in preda allo sconforto si suicidavano, altri

passavano a vie di fatto con quei superiori che erano ritenuti privi di

senso di umanità per l'eccessiva durezza nell'amministrare la

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disciplina, giungendo talvolta ad usare le anni contro di loro, altri

ancora disertavano nella vicina Confederazione Elvetica.

In questa situazione erano frequenti le risse con i paesani nelle osterie

e i pestaggi dei contrabbandieri quando i finanzieri riuscivano a

catturarli.

Talvolta si sparava contro i frodatori che peraltro non disdegnavano di

attraversare il confine armati ed impegnare conflitti a fuoco, alla fine

dei quali era difficile stabilire chi per primo aveva fatto uso delle armi.

In ogni caso, dal 1861 al 1940 il numero dei morti fra i

contrabbandieri fu considerevole, come furono moltissimi i finanzieri

caduti nell'adempimento del dovere, com'è attestato dalle lapidi erette

sul luogo del loro sacrificio.

Questi avvenimenti ebbero largo eco non solo sui giornali locali, ma

anche in Parlamento, ove i deputati eletti nelle zone di confine

prendevano apertamente la parte dei contrabbandieri, presentando

interpellanze e interrogazioni al Governo, chiedendo un intervento per

far cessare

quella che essi qualificavano come sopraffazione della Guardia di

finanza.

Nel secondo dopoguerra, specialmente dopo l'emanazione dell'ultima

legge sull'uso delle anni da parte della Guardia di finanza promulgata

il 4 marzo 1958, e soprattutto grazie all'incessante opera educatrice dei

superiori intesa ad inculcare nei dipendenti la necessità di usare le

anni soltanto nei casi estremi e grazie all'evoluzione economica e

sociale di cui hanno beneficiato le popolazioni di confine e gli

appartenenti al Corpo, gli episodi di ostilità ed intolleranza reciproca

si sono via via attenuati.

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3. GEOGRAFIA DEL CONTRABBANDO

Le legioni di frontiera di Torino, Milano e Venezia, all'inizio del 900'

presidiavano con i loro reparti fittamente dislocati sulle Alpi e nella

pianura Veneto-friulana, il confine con la Francia, la Svizzera e

l'Austria-Ungheria.

Il contrabbando, pur presente ovunque, era poco sviluppato sulla

frontiera occidentale, perché la Francia aveva una tariffa doganale

molto simile a quella italiana e quindi non vi erano significative

differenze di prezzi sui generi tradizionalmente oggetto di traffici

illeciti, quali tabacchi, zucchero e caffè. Peraltro il confine con quella

nazione corre su catene montuose molto alte ed impervie e le zone

limitrofe sono scarsamente abitate.

Il contrabbando, invece, era endemico e molto praticato fin da tempi

antichi sul confine elvetico, che era vigilato sia dalla legione di Torino

sia da quella di Milano (saliente del Canton Ticino e Valtellina, Val

d'Aosta, Valsesia e Valdossola). Qui i traffici illeciti erano

praticamente incontenibili nella zona di pianura tra i laghi di Como e

Maggiore, ma erano anche largamente praticati nelle altre aree

montuose, che peraltro erano transitabili solo sui valichi e sui fondo

valle.

Anche sul confine orientale il contrabbando era fiorente, grazie ai

differenziali dei prezzi dei generi cosiddetti coloniali, seppur non così

elevati come con la Svizzera, correnti nell’impero Asburgico. In

questo settore le aree maggiormente interessate erano quelle venete,

ad oriente del lago di Garda fino alle Dolomiti e quelle carniche e

soprattutto della pianura friulana tra Tarcento ed il mare. In alcuni

tratti di quest'ultima zona erano anche state erette le reti di confine, la

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costruzione delle quali era stata portata a termine sul tratto

meridionale del confine svizzero nei primi anni del secolo.

Dopo la conclusione della prima guerra mondiale la situazione non

mutò per i tratti di confine con Francia e Svizzera. Ad oriente la

frontiera italiana si attestò sulla displuviale alpina dallo Stelvio a

Fiume, con due nuovi Stati confinanti: la repubblica austriaca ed il

regno jugoslavo, da Tarvisio al Quarnaro. In quest'area il controllo del

confine, dalla legione di Venezia fu trasferito alle neo costituite

legioni di Trento, Udine e Trieste.

Sulla frontiera della provincia di Bolzano, alla quale fu attribuito un

ulteriore tratto di confine con la Svizzera tra Stelvio e Resia, ove il

contrabbando continuò a svilupparsi, come del resto avveniva con il

precedente regime, i traffici illeciti con la confinante Austria andarono

gradualmente scemando di intensità. Ciò in quanto all'indomani della

cessazione dello stato di guerra sia la mancanza di generi alimentari,

sia l'inevitabile disordine amministrativo nel passaggio di due diverse

autorità statali avevano indotto le popolazioni locali, che mal

sopportavano la denominazione italiana, a continuare gli scambi

commerciali con i territori che da poco erano divenuti stranieri,

ovviamente senza rispettare le formalità doganali.

Con la stabilizzazione economica del dopoguerra, un po' alla volta la

situazione economica si era normalizzata ed i traffici di frontiera erano

rientrati nella legalità, anche perché le popolazioni locali non avevano

la consuetudine al contrabbando, proprie delle regioni lombarde di

confine.

In Carnia ove il confine prebellico era rimasto invariato il

contrabbando continuò su ritmi simili a quelli anteguerra, anche se poi

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andò scemando e talvolta mutò direzione per l'aggravarsi della crisi

economica della repubblica confinante, ove l'approvvigionamento di

generi da introdurre illegalmente in Italia divenne non redditizio.

La situazione sul nuovo confine con la Jugoslavia, invece, fu diversa.

Le popolazioni dei nuovi territori annessi all'Italia, di etnia slava, non

accettavano la nuova dominazione, come a malincuore avevano fatto

gli altoatesini, che però si rendevano conto di aver rovinosamente

perso la guerra. Gli slavi, avendo conquistato l'indipendenza con la

rivoluzione, sia pure a spese del morente impero absburgico, erano

fieramente irredentisti e boicottavano in ogni modo lo Stato italiano,

ignorando deliberatamente le disposizioni doganali italiane. Coloro

che si dedicavano al contrabbando lo facevano con finalità ideali,

erano abbastanza scopertamente aiutati dalle autorità jugoslave e dalle

popolazioni di confine e non esitavano a far uso delle armi contro i

finanzieri.

Il contrabbando in quest'area, quindi, non era pericoloso sotto il

profilo erariale, perché le quantità di merce illecitamente introdotte

non erano significative, ma costituiva un problema di ordine pubblico

e come tale era stato affrontato.

Al termine della seconda guerra mondiale, la situazione mutò

radicalmente un'altra volta: il confine orientale fu riportato

sostanzialmente sulla linea antecedente al 1915, ma qui scese subito la

cortina di ferro, duramente presidiata dai "graniciari" jugoslavi che

non avevano remore a sparare su chiunque solo si avvicinasse al

confine ed ovviamente ogni traffico di contrabbando fu inconcepibile.

Nemmeno con lo strappo di Tito verso l'URSS la situazione al confine

orientale cambiò.

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Anche la frontiera austriaca, ora presidiato dalle legioni di Udine e

Trento, rimase indenne dagli illeciti traffici sul confine alpestre, sia

per le difficoltà di attraversamento, sia per la sostanziale uniformità

delle tariffe doganali dei due stati confinanti. Uguale situazione

continuò a presentarsi al confine con la Francia, ove il contrabbando

extraispettivo fu scarsamente praticato per tutto il XX secolo.

Diversa la situazione sul confine lombardo ed, in parte, piemontese,

ove durante la guerra avevano continuato a prosperare traffici in

entrambi i sensi: i contrabbandieri italiani nel viaggio verso la

Svizzera portavano generi alimentari, specie riso, dei quali vi era

carenza nella Confederazione, ed al ritorno introducevano i

tradizionali generi, tabacco, zucchero e talvolta caffè. I

contrabbandieri, poi, lucravano spesso sull' accompagnamento a

pagamento oltre frontiera di ebrei ed altri perseguitati.

Subito dopo la fine della guerra riprese in grande stile il contrabbando

di tabacchi, T.L.E. (tabacchi lavorati esteri) nella terminologia della

Guardia di finanza, favorito dal gran numero di disoccupati per la crisi

economica postbellica, disponibili a tutto pur di poter guadagnare

qualcosa per la sopravvivenza1 e dalla disorganizzazione dei reparti

della Guardia di finanza, che durante la Repubblica Sociale Italiana

erano stati allontanati dal confine perché i finanzieri si erano rifiutati

di opporsi agli espatri dei perseguitati.

La motivazione economica era comunque la principale. Nel quadro

generale di un’Italia uscita distrutta, anche economicamente, dalla

guerra, l’economia legale delle aree di confine entrava nella fase del

1 Tra questi anche il noto giornalista e scrittore Enzo Bettiza, che ha confessato

che nel 1945-46, esule e profugo da Spalato, sopravvisse facendo il contrabbandiere di sigarette.

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suo definitivo declino, non potendo garantire entrate sufficienti ad un

numero peraltro sempre minore di abitanti. Inoltre, le condizioni

salariali dell’industria erano ben modeste ed in ogni caso la paga di

un operaio non era nemmeno lontanamente comparabile a quella

percepita per ogni viaggio di contrabbando.

Negli anni 50' i reparti del Corpo avevano riassunto l'organizzazione

del contrasto ai contrabbandieri prebellica, ma i traffici illeciti, ormai

polarizzati nelle province di Como, Varese, Sondrio e Novara, si

sviluppavano con notevole pericolosità. Il numero dei passatori era

divenuto ormai imponente: si erano organizzati in squadre agguerrite,

che disponevano di fiancheggiatori ed informatori sui movimenti delle

pattuglie dei finanzieri ed agivano non solo di notte ma anche di

giorno approfittando della scarsità degli organici dei reparti del Corpo

che quasi mai riuscivano a mantenere in servizio pattuglie sulle

ventiquattro ore su tutta la vasta circoscrizione.

In Valtellina, negli anni 50' prese l'avvio in grande stile il

contrabbando di caffè tostato in grani. Come sarà illustrato in una

successiva relazione, ciò fu dovuto al fatto che in caso di fermo del

contrabbandiere non era previsto l'arresto in flagranza, come invece

per i T.L.E. e che una volta introdotto il coloniale in una delle tante

torrefazioni sorte a ridosso del confine non era possibile per i

finanzieri sequestrare la merce, e ciò per carenze legislative che in

seguito si cercherà invano di sanare.

A metà degli anni 60' il contrabbando, fino ad allora appannaggio di

spalloni locali, che spesso si tramandavano di padre in figlio il

mestiere, che comunque alternavano con un’occupazione legale, fu

fortemente inquinato da elementi della malavita comune provenienti

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da territori non di confine, attirati dai facili guadagni che forniva la

illecita attività.

In quegli anni il trasporto di una "bricolla" consentiva di percepire una

cifra da 10 a 15.000 lire; nelle zone di maggiore facilitazione alcuni

spalloni facevano anche due viaggi al giorno. Non era raro che i più

assidui guadagnassero 400 - 500.000 lire al mese, quando la paga di

un operaio specializzato si aggirava sulle 60.000 lire. Guadagni più

elevati spettavano agli autisti che trasportavano le sigarette nelle città

ove venivano spacciate, ed ancora maggiori agli organizzatori. In caso

di sequestro del carico da parte della Guardia di finanza, spalloni e

autisti perdevano il compenso del trasporto, ma gli organizzatori il

prezzo della bricolla, che si aggirava sulle 135 – 140.000 lire.

Naturalmente, l'afflusso della delinquenza comune in zone

sostanzialmente tranquille provocava turbamento all'ordine pubblico

per le frequenti risse, che sfociavano anche in accoltellamenti e

talvolta omicidi, spedizioni punitive a carico di concorrenti, spaccio di

droga, furti di autovetture che venivano utilizzate per il trasporto delle

sigarette, ecc ..

A questo punto gli amministratori locali, che fino ad allora avevano

considerato il contrabbando una consuetudine locale da tollerare, se

non da favorire, si preoccuparono e chiesero un più incisivo contrasto

del fenomeno da parte della Guardia di finanza. Il Corpo intanto non

era stato a guardare: al miglioramento degli organici e della

qualificazione dei finanzieri aveva fatto seguito il potenziamento dei

mezzi e la creazione delle sezioni mobili e dei nuclei mobili di

compagnia, reparti dotati oltre che di veloci autovetture da

inseguimento, di una certa capacità investigativa ed una accentuata

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penetrazione informativa negli ambienti contrabbandieri ed infine,

nelle zone più minacciate, l'impiego delle compagnie di pronto

impiego, i cosiddetti "baschi verdi".

La situazione stava per essere pienamente posta sotto controllo

quando, nell'ottobre del 1973, scoppiò la guerra arabo - israeliana,

detta del Kippur, che innescò nel mondo occidentale una crisi

economica planetaria.

La guerra, limitata sul piano militare al Medio Oriente, ebbe effetti

catastrofici sull'economia europea per l'intervento dell'OPEC,

l'organizzazione che raggruppa i maggiori paesi produttori di petrolio

nella quale gli arabi hanno la maggioranza, che ordinò ai suoi aderenti

una sensibile diminuzione della produzione, al fine di indurre le

potenze occidentali a premere su Israele per farlo indurre a

sgomberare i territori palestinesi occupati.

La misura non ottenne gli effetti politici sperati, ma causò un rapido

ed incontrollato aumento del prezzo del greggio, che mise a mal

partito le economie più deboli, quale quella italiana. Le autorità

monetarie nazionali non riuscirono a trovare contromisure efficaci e

quindi il mercato riequilibrò automaticamente il sistema con un

aumento esponenziale dei prezzi che causò un'inflazione che si

protrasse per oltre 15 anni con saggi tra il l0 ed il 20%.

Una delle conseguenze immediate fu una rapida svalutazione della

lira, che perse in pochi mesi metà del suo valore nei confronti del

dollaro e del franco svizzero, che segue generalmente i movimenti

della moneta statunitense.

Questi avvenimenti ebbero una ripercussione sul contrabbando con la

Svizzera di portata storica: dopo secoli le sigarette e gli altri generi

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coloniali nella Confederazione avevano un prezzo pari o superiore a

quello in Italia e pertanto l'illecita importazione nel nostro Paese di

generi di monopolio non godeva più di incentivi economici. Il 1974

quindi è l'anno del termine del tradizionale contrabbando

extraispettivo di "bricolle" trasportate da "spalloni", seguito dopo un

anno di sopravvivenza dal contrabbando di caffè.

Una piccola minoranza di contrabbandieri venne allora assoldata da

organizzazioni criminali, che utilizzarono la loro esperienza per

attività che richiedevano poco personale, come traffici di valuta, di

droga o finanche sequestri di persona a fini estorsivi.

4. I RISULTATI DELL' AZIONE REPRESSIVA DELLA GUARDIA DI FINANZA

Le rilevazioni statistiche sistematiche dei risultati in tutti i settori di

servizio della Guardia di finanza iniziarono dal 1955. Prima di allora

sono disponibili dati parziali, rilevati con sistemi non sempre

uniformi, che comunque non consentono di ricostruire una serie

storica continua.

Da fonti diverse, sono stati rilevati i quantitativi sequestrati dai

finanzieri nell'arco di novanta anni, che sono riportati nella seguente

tabella:

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SEQUESTRI DI MERCI DI CONTRABBANDO

(Ton)

TABACCHI

COLONIALI

CAFFE’

Confine

terrestre

Confine

marittimo

Confine

terrestre

Confine

marittimo

Confine

terrestre

Confine

marittimo

1885

40

90

Dati non disponibili

Media

1927-37

5,6 215 45

1938

6,5 73,5 40 55 30 10

Media

1965-70

267 144 91 218

1970

896 205 10 260

Pur tenuto conto del tumultuoso sviluppo economico verificatosi in

Italia soprattutto nel secondo dopoguerra, che ha di molto incentivato i

consumi dei generi voluttuari, quali le sigarette, non si può non

rilevare l'aumento costante dei sequestri operati dal Corpo al confine

terrestre, che fu la conseguenza dell' ammodernamento dei mezzi in

dotazione e della migliore organizzazione del servizio di repressione

del fenomeno.

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I dati suesposti inducono ad alcune considerazioni. Fino alla metà del

XX secolo l'entità del personale e dei reparti schierati sul confine

alpestre era rilevante. Ciò nonostante i sequestri operati prima della

seconda guerra mondiale non sono nemmeno lontanamente

comparabili a quelli degli anni 60' - 70'.

Questo avveniva perché prima della seconda guerra mondiale il

consumo delle sigarette confezionate in pacchetti non era diffuso

come ora. I ceti con redditi di poco superiori alla sussistenza, che

allora erano numericamente consistenti e che nel secondo dopoguerra

costituivano il mercato di consumo del contrabbando, fino agli anni

40’ confezionavano le sigarette da se, acquistando tabacco sfuso e

cartine. Pertanto non erano interessati ad acquistare pacchetti di

sigarette di provenienza lecita od illecita

A partire dagli anni 50’, anche per la grande diffusione di sigarette

estere, soprattutto di produzione U.S.A., provocata dalle truppe di

occupazione al termine della seconda guerra mondiale, il consumo di

tabacco sfuso fu del tutto abbandonato con conseguente grande

espansione del mercato di vendita al dettaglio di pacchetti sia del

Monopolio, sia di illecita provenienza.

Di conseguenza, a maggiori quantitativi di T.L.E. introdotti di

contrabbando, corrispose una maggiore entità dei sequestri.

Analoghe motivazioni spiegano anche l’incremento dei sequestri di

caffè, prima considerato un consumo di lusso e poi un consumo di

massa. Il consumo degli altri generi coloniali (principalmente

zucchero, cacao, cioccolata, saccarina e spezie) rimase

sostanzialmente invariato nel corso del XX secolo, con conseguente

invariabilità negli anni dei sequestri.

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Comunque, risultati di servizio così significativamente maggiori negli

ultimi anni sono dipesi, da un lato da una mirata revisione ordinativa

attuata dal Comando Generale del Corpo per effetto della quale furono

soppressi numerosi reparti ubicati in zone ove l'infiltrazione

contrabbandiera era da tempo insignificante, rinforzando con i

recuperi realizzati il dispositivo di vigilanza nelle aree più sensibili, e

dall'altro, dall'attuazione di una migliore qualificazione professionale

dei finanzieri che vennero anche dotati di materiali e mezzi tecnici più

aggiornati.

Notevole efficacia, inoltre, ha avuto, a partire dal 1954, l'immissione

in servizio del cane anticontrabbando, e, per i reparti di montagna,

nuovi e più efficaci programmi di addestramento all’alpinismo

introdotti nella Scuola Alpina del Corpo di Predazzo, fucina nella

quale venivano formati i finanzieri da destinare al servizio sul confine

alpestre.

5. CONCLUSIONI

Il contrabbando extraispettivo di tabacchi e coloniali alla frontiera

terrestre è ormai un fenomeno lasciato alle investigazioni degli storici.

Ciò è dovuto ai motivi economici già illustrati (svalutazione della lira

che ha reso antieconomico l'acquisto dei generi in Svizzera), ma anche

al progresso economico e sociale delle popolazioni frontaliere, che ha

eliminato le sacche di povertà e di sottosviluppo che servivano da

serbatoio di manodopera per le organizzazioni contrabbandiere.

La gente si è imborghesita. Chi oggi si sentirebbe di percorrere

sentieri ripidi in montagna con una bricolla di 40 o 50 chili sulle

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spalle, con il rischio immanente di perdere il carico e di essere

arrestato dai finanzieri?

Di tutto ciò rimane ora il ricordo degli ultimi protagonisti di queste

vicende, i finanzieri da una parte ed i contrabbandieri dall'altra, che

affidano alla penna (o meglio, alla tastiera di un computer) la memoria

di vicende che per secoli hanno caratterizzato la cultura ed il modo di

vivere di popolazione finalmente affrancatesi dal sotto.

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Dott. Adriano Bazzocco

L’atteggiamento della Confederazione Svizzera nei confronti del contrabbando alla frontiera con l’Italia

La frontiera tra Italia e Svizzera è stata oggetto nel corso del tempo di

intensi traffici illeciti di svariata natura. Occorre dunque

preliminarmente delimitare il campo della ricerca. Quello di cui voglio

parlarvi oggi è il fenomeno impropriamente denominato

“contrabbando romantico”. È questa una definizione di grande

circolazione ma imprecisa e di scarsa utilità in sede di ricerca

scientifica. Si dovrebbe piuttosto parlare di “contrabbando sociale”,

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sia per il gran numero di persone implicate a vario titolo, sia per il

forte radicamento nella società di questa forma di illegalismo

popolare.

Il contrabbando non è mai stato in alcun modo considerato un’attività

moralmente riprovevole soprattutto per due ragioni: perché era

praticato per fronteggiare situazioni di povertà endemica o

congiunturale e perché colpiva l’erario dell’avversato Governo

centrale, che nelle regioni di frontiera restò per lungo tempo un’entità

semisconosciuta, tanto latitante di fronte ai problemi del territorio,

quanto ben presente per drenare risorse umane e finanziarie,

rispettivamente con le chiamate di leva e le imposte.

Mi è stato chiesto di presentarvi il punto di vista svizzero. Ho deciso

di articolare la mia presentazione in cinque punti. Dapprima,

spiegherò come le autorità svizzere, segnatamente la Direzione

generale delle dogane, classificavano sotto il profilo legale e

amministrativo i flussi di merci verso l’Italia al di fuori dei valichi

doganali (1). Passerò poi dalla teoria alla pratica con una descrizione

dei preparativi sul versante svizzero di un’operazione di contrabbando

(2). Come emerge da alcuni dati quantitativi, la circolazione di merci e

persone a ridosso della frontiera fu intensissima (3). Il viavai

giornaliero di svariate centinaia di spalloni non poteva non porre

problemi di ordine pubblico e provocare incidenti di confine, che

diedero molto lavoro alle rappresentanze diplomatiche di Italia e

Svizzera (4). Infine, stilerò un bilancio sulla rilevanza economica del

contrabbando per la Svizzera (5).

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1. INQUADRAMENTO GIURIDICO E AMMINISTRATIVO

Vi è reato di contrabbando quando si trasferiscono merci da uno Stato

all’altro eludendo il pagamento dei tributi fiscali. La giustapposizione

di economie nazionali dai regimi fiscali e doganali divergenti

determina rendite differenziali su alcuni beni, che fanno nascere

opportunità di guadagno. A fronte di un regime fiscale

tradizionalmente mite, come quello svizzero, l’imposizione in Italia su

beni come zucchero, caffè e, soprattutto, tabacco è stata per lungo

tempo davvero gravosa. Ne sono conseguiti intensi traffici di

contrabbando dalla Svizzera verso l’Italia.

L’esportazione di merci al di fuori dei valichi doganali, attraverso la

frontiera verde, non configurava secondo il diritto svizzero il reato di

“contrabbando”, perché non comportava alcuna violazione della legge

federale del 1° ottobre 1925 sulle dogane. La Confederazione, cui

incombeva e incombe tuttora la competenza esclusiva in materia

doganale, non subiva alcun danno fiscale da questo genere di traffici.

Al contrario: come vedremo, il contrabbando a danno dell'Italia era

molto redditizio per la Svizzera.

Durante gli anni della cosiddetta “tratta delle bionde”, dalla fine della

seconda guerra mondiale alla metà degli anni Settanta,

nell’Amministrazione federale svizzera, quando si parlava di

“contrabbando” con l’Italia era invalsa l’abitudine di distinguere i

traffici di esportazione in tre categorie denominate: “esportazione I”,

“esportazione II” ed “esportazione III”.

Con esportazione I era definito il trasferimento all’estero di merci in

modo del tutto regolare, ossia a norma di legge sia in Svizzera sia in

Italia. In Svizzera il tabacco era assoggettato a un’imposta il cui

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gettito contribuiva a finanziare l’Assicurazione vecchiaia e superstiti

(AVS), equivalente in Italia a grandi linee all’Istituto nazionale della

previdenza sociale (INPS). Nel caso dell’esportazione I, al momento

di introdurre le sigarette su territorio estero, l’esportatore svizzero

otteneva dalla Stato il rimborso dell’imposta sul tabacco. All’ingresso

in Italia i tabacchi lavorati esteri erano in seguito assoggettati al

regime fiscale italiano, come noto particolarmente esoso. Ad esempio,

in Italia alla fine del 1967, l’onere fiscale sulle sigarette estere

equivaleva all’82,5 per cento del prezzo di vendita.

Nel caso dell’esportazione II, le sigarette erano regolarmente

dichiarate presso un ufficio doganale svizzero e introdotte in Italia al

di fuori dei valichi doganali attraverso la frontiera verde senza

dichiararle alla Guardia di Finanza. Era questa la categoria sotto la

quale ricadeva il contrabbando classico degli spalloni di sigarette o

caffè. Interessante notare che, in questo caso, l’imposta sul tabacco

non era restituita all’esportatore svizzero ma restava nelle casse

dell’AVS, a tutto beneficio del sistema pensionistico svizzero.

L’introduzione in Italia di merci non dichiarate a nessuna autorità dei

due Paesi era definita “esportazione III”. È il caso, per esempio, di

cittadini italiani che acquistavano sigarette in Svizzera e le

occultavano su autocarri. Le autorità svizzere sanzionavano questo

reato secondo l’articolo 30 capoverso 3 della legge sulle dogane con

una multa massima di 300 franchi.

L’industria del contrabbando sviluppatasi in Svizzera operava

totalmente secondo le modalità dell’esportazione II. Infatti, i fornitori

svizzeri e gli spalloni italiani avevano tutto l’interesse a notificarsi di

fronte alle autorità svizzere in modo da operare indisturbati sul

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territorio. Secondo il diritto svizzero, l’introduzione in Italia di merci

attraverso la frontiera verde era ammessa, perché la legge federale del

1° ottobre 1925 sulle dogane non menzionava esplicitamente alcun

obbligo di esportare le merci da un valico doganale. Inoltre, la

Svizzera non riconosceva il principio dell’assistenza giudiziaria in

materia di delitti doganali o fiscali commessi ai danni di un altro

Stato. Semmai vi fosse stata da parte svizzera un qualche volontà di

prestare aiuto alla Guardia di Finanza nelle attività di controllo e

repressione, non sarebbe stato possibile farlo per la mancanza delle

necessarie basi giuridiche. O, perlomeno, queste era l’argomento

principale invocato dalle autorità svizzere per rispondere alle proteste

diplomatiche presentate a scadenza regolare delle autorità italiane.

2. PREPARATIVI DI UN’OPERAZIONE

Le leggi svizzere, dunque, consentivano agli spalloni di agire

indisturbati sul territorio della Confederazione. È però interessante

notare che l’esportazione di merci per vie traverse non era gestita

secondo i normali canali commerciali, bensì attraverso una filiera

distinta e parallela. Negli anni della “tratta delle bionde” lungo la

frontiera si era insediata una rete di cosiddetti “gros preneur”, grandi

acquirenti, che operavano dietro autorizzazione dell’Associazione

svizzera dei fabbricanti di sigarette. I “gros preneurs” erano i grossisti

a uso esclusivo del contrabbando. In genere, ogni gruppo organizzato

di spalloni faceva capo a un proprio “gros preneur” di fiducia dal

quale era solito rifornirsi. I “gros preneurs” erano specializzati nella

fornitura di merci in un determinato tratto di confine.

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Erano in genere i “gros preners” che si occupavano di confezionare il

caratteristico sacco del contrabbandiere, la bricolla. Circa 25-30

chilogrammi di stecche di sigarette erano dapprima fasciate in una

speciale carta impermeabilizzante per proteggerle dal sudore dello

spallone e in seguito avvolte con tela di sacco di juta. Il risultato era

un grande involto a forma di parallelepipedo al quale gli spalloni

agganciavano due lacci per consentirne il trasporto a spalla a mo’ di

zaino. Con la tela di juta gli spalloni confezionavano anche i peduli,

particolari calzature cucite con spago grosso utilizzate allo scopo di

attutire lo scalpiccio e non lasciare tracce. I peduli si consumavano nel

giro di un viaggio e andavano pertanto sostituiti dopo ogni operazione

di sconfinamento. L’attrezzatura tipica del contrabbandiere era in

genere completata da un bastone utilizzato quale sostegno per

agevolare la marcia e da una roncola cui ricorrere in caso di

emergenza per recidere rapidamente le spalline allo scopo di liberarsi

del carico e darsi alla fuga.

3. QUANTIFICAZIONE

Le elaborazioni statistiche sul contrabbando al confine tra Italia e

Svizzera sono rare. Inoltre, i pochi studi disponibili sono in genere

approssimativi, se non talvolta del tutto errati. La fragilità delle basi

statistiche è dovuta soprattutto alla grande frammentarietà e

all’eterogeneità delle fonti archivistiche. Non è questa la sede per

affrontare i problemi metodologici relativi alla ricerca sul

contrabbando. Mi limito qui a presentare alcuni dati che danno un'idea

sull'intensità con la quale il contrabbando è stato esercitato nel corso

del tempo.

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Secondo quanto riportato da un articolo apparso sulla testata comasca

L’Araldo, nel 1882 furono sequestrati nel solo circondario di Como

2570 kg di sale, 14 195 kg di tabacco, 11 580 kg di generi coloniali,

344 kg di tessuti e 12 558 kg di altri generi per un totale di oltre 41

tonnellate di merci. Nel corso delle operazioni che portarono a questi

sequestri la Guardia di Finanza pronunciò 1310 contravvenzioni e

trasse in arresto 1063 persone.

Ovviamente, questi traffici di frodo erano assai pregiudizievoli per

l’erario italiano. Nel 1888, negli ambienti della diplomazia straniera a

Roma l’evasione fiscale derivante dai traffici di contrabbando con la

Svizzera era stimata a 10 milioni di franchi all’anno. Nel 1897, un

articolo apparso su L’Ossola indicava una cifra per i soli tabacchi di

almeno 15 milioni di lire all’anno.

Come detto in precedenza, gli spalloni notificavano le merci alle

guardie di confine svizzere prima di introdurle furtivamente su

territorio italiano. Per gli anni 1937-1939 è stato possibile recuperare

nei fondi dell’Archivio federale di Berna i dati relativi alle merci

esportate in Italia lungo le vie del contrabbando. Nel tratto di confine

lungo i cantoni Ticino e Grigioni sono esportati di frodo nel 1937

885 703 kg di merci, nel 1938 507 032 kg e nel 1939 464 249 kg. A

quell'epoca i beni maggiormente contrabbandati erano il caffè, lo

zucchero e i tabacchi.

La diminuzione registrata nel 1938 è dovuta allo scoppio di alcuni

focolai di afta epizootica. Per ragioni di profilassi veterinaria le

autorità elvetiche ordinarono per un certo periodo il divieto di

attraversamento del confine e, soprattutto, proibirono ai negozianti di

vendere merci presumibilmente destinate al contrabbando. L’ulteriore

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diminuzione nel 1939 è dovuta all’emanazione dei divieti

d’esportazione nell’ambito dell’economia di guerra. In effetti, allo

scoppio della seconda guerra mondiale la Svizzera pose bruscamente

fine al suo atteggiamento di interessata tolleranza e iniziò a reprimere

il contrabbando con grande determinazione e senza lesinare l’uso delle

armi: nel corso di quegli anni le guardie di confine e i soldati svizzeri

uccisero alcune decine di spalloni italiani.

La svolta repressiva svizzera fu breve. Terminata l’emergenza della

guerra, l’esportazione verso l’Italia attraverso la frontiera verde fu di

nuovo tollerata. Nel giro di pochi anni il contrabbando verso l’Italia

ritornò in auge come e più di prima. Basti pensare che, nel 1952, nel

posto doganale secondario del villaggio ticinese di Bruzella, nella

Valle di Muggio, furono dichiarate alle guardie di frontiera svizzere

ben 12mila bricolle da immettere in Italia lungo le vie del

contrabbando, equivalenti all’incirca a 360 tonnellate.

L’intensità massima dei traffici di frodo fu probabilmente raggiunta

agli inizi degli anni Settanta in Val Poschiavo. Nel 1971 nei due

valichi doganali in valle, a Campocologno e Viano, furono dichiarate

in totale 8917 tonnellate di merce, equivalenti a una media di 24

tonnellate e mezzo al giorno! La Val Poschiavo si specializzò nel

contrabbando di caffè: nel 1971 questo bene rappresentava il 95 per

cento delle merci esportate di frodo (8503 tonnellate). A Brusio erano

attive ben 8 torrefazioni di caffè e i fumi che esalavano avvolgevano

talvolta il villaggio in una nebbia bluastra.

Raggiunto l’apice nel 1971, i traffici di contrabbando declinarono

drasticamente negli anni successevi a causa dell’apprezzamento del

franco svizzero che erose i margini di guadagno dei contrabbandieri.

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4. ATTRITI, IRRITAZIONI, CONFLITTI

Nelle regioni di frontiera la circolazione durante l’intero anno di

svariate centinaia di spalloni non poteva mancare di procurare

complicazioni di vario genere. Dallo spoglio dei faldoni dell’archivio

del Ministero degli Affari Esteri di Roma e dell’Archivio federale

svizzero di Berna emerge una sterminata sequela di incidenti di

confine che provocarono attriti diplomatici, talvolta molto forti, tra

Italia e Svizzera. Se intercettati, gli spalloni tentavano in qualsiasi

modo di darsi alla fuga verso il territorio svizzero, dove erano al

sicuro. Per la difficoltà, laddove non c’era la rete metallica, a stabilire

esattamente dove scorresse il confine o per l’impeto di voler a tutti

costi portare a segno un’operazione, le guardie di finanza finirono

spesso per sconfinare o esplodere colpi di arma da fuoco verso la

Svizzera. Ne seguiva l’immancabile nota di protesta da parte delle

autorità federali svizzere e un lungo strascico diplomatico con scambi

di lettere e incontri chiarificatori per stabilire se e come il confine

fosse stato effettivamente violato.

Ogniqualvolta erano intavolati negoziati bilaterali con la Svizzera per

stipulare accordi sul traffico di frontiera, trattati commerciali o

convenzioni di doppia imposizione, l’Italia non mancava di riproporre

la questione del contrabbando e chiedere che la Confederazione

facesse qualcosa per mettere freno al dilagare dei traffici di frodo,

senza però mai ottenere nulla di concreto. Da parte svizzera, si

rispondeva puntualmente che l’esportazione al di fuori dei valichi

doganali non costituiva reato e che l’assistenza giudiziaria in materia

di delitti fiscali e doganali non era riconosciuta. Le autorità svizzere

tentarono in più occasioni di trarsi d’impaccio ribaltando la colpa sul

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dispositivo repressivo italiano ritenuto, a loro avviso inefficiente e

corroso dalla corruzione.

Oltre agli attriti diplomatici, il viavai sul territorio di migliaia di

spalloni in tutte le stagioni e a qualsiasi ora del giorno e della notte

pose inevitabilmente qualche problema. Durante l’inverno, per

ripararsi dal freddo i contrabbandieri erano soliti rifugiarsi in baite o

stalle discoste disabitate durante la brutta stagione. Per riscaldarsi

talvolta accesero fuochi utilizzando come legname di fortuna porte,

mobilio e suppellettili, causando ingenti danni. Nel 1933, ad esempio,

un pericolosissimo fuoco fu acceso in una stalla nella Valle di Fex, in

Engadina. Il proprietario inviò una lettera alle autorità della polizia

cantonale dei Grigioni nella quale chiedeva che si facesse rispondere

dei danni dei contrabbandieri i commercianti di Sils che li rifornivano.

Quale reazione, la polizia grigionese lanciò un’operazione

anticontrabbando nella zona di Fex. Ciò suscitò il malcontento dei

commercianti di Sils Maria e Vicosoprano, che lamentarono una

disparità di trattamento rispetto alla Bregaglia e alla Val Poschiavo,

dove gli spalloni potevano agire indisturbati. Nel frattempo, sempre

nei Grigioni, in Mesolcina, le autorità comunali di Cama avanzarono

la proposta di imputare i costi per i danni agli immobili direttamente

agli spalloni mediante il prelevamento di una tassa pro capite di una

lira e di obbligarli a rifornirsi nei negozi in paese. La proposta fece

insorgere i negozianti dei villaggi vicini di Grono e Leggia che

espressero la loro contrarietà all’introduzione di un monopolio

comunale sui traffici di contrabbando a favore di Cama. La questione

provocò una fitta corrispondenza tra privati cittadini, negozianti,

autorità comunali, cantonali e federali. Alla fine si decise di applicare

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una sorta di tassa per ogni carico di merce contrabbandata di utilizzare

i proventi per risarcire i danni causati dagli spalloni. In Svizzera il

contrabbando toccava gli interessi di diversi attori economici e

istituzionali e generava conflitti cui si pose rimedio con soluzioni

pragmatiche.

La circolazione di numerose colonne di spalloni nelle ore notturne

poneva pure una questione di ordine pubblico. Su pressione della

popolazione le autorità svizzere furono costrette a intervenire per

disciplinare l'esercizio del contrabbando. Nel 1965 in Val Poschiavo i

contrabbandieri furono obbligati ed entrare in territorio svizzero

regolarmente attraverso il valico doganale regolare; l’attraversamento

della frontiera verde fu consentito soltanto per l’esportazione delle

merci. Furono inoltre introdotte limitazioni orarie per garantire una

certa tranquillità: l'esercizio del contrabbando era consentito tra le ore

22.00 e le 5.00 e durante i giorni festivi gli spalloni dovevano lasciare

la bricolla a terra.

5. RILEVANZA ECONOMICA PER LA SVIZZERA

Gli importanti sforzi profusi sul versante svizzero per disciplinare

l’esportazione di merci in violazione delle leggi italiane sono una spia

della notevole rilevanza economica dei traffici di frodo. Il

contrabbando rappresentava per la Svizzera innanzitutto uno sbocco

commerciale supplementare con un notevole indotto a livello

regionale: basti pensare alla rete dei grossisti di sigarette e ai numerosi

esercizi commerciali (negozi, ristoranti) frequentati da una nutrita

clientela di contrabbandieri.

Nelle regioni di frontiera svizzere il contrabbando svolse una funzione

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di strutturazione del tessuto socioeconomico. Ad esempio, le

manifatture di tabacco, che si svilupparono in Ticino nella seconda

metà dell’Ottocento, sorsero a ridosso del confine, nel Mendrisiotto e

nel Locarnese, sia per attingere al mercato del lavoro italiano per il

reclutamento delle sigaraie, sia per la prossimità ai canali di smercio

illegali.

Quando si valuta l’indotto per la Svizzera dell’esportazione di merci

in violazione delle leggi italiane si tralascia spesso l’aspetto fiscale.

Come rilevato in precedenza, nell’esportazione II, il regime sotto il

quale operavano i contrabbandieri, l’imposta svizzera sui tabacchi

esportati non era restituita come nel caso dell’esportazione I, ma

restava nelle casse dell'AVS. Il contrabbando generava dunque un

gettito supplementare che contribuiva a finanziare il sistema

pensionistico svizzero. Nel 1968 la Direzione generale delle dogane di

Berna stimava a 100 milioni di franchi all’anno l’introito fiscale

derivante dalle esportazioni di tabacco verso l’Italia. Un tale importo

significa che in quegli anni un pensionato svizzero su venti riceveva

una rendita di vecchiaia finanziata mediante il gettito fiscale del

contrabbando di tabacco verso l’Italia.

Nel corso del tempo la fenomenologia del contrabbando si è

progressivamente trasformata con una netta accentuazione, negli

ultimi decenni, dei tratti delinquenziali e la rimozione del radicamento

sociale. Ai nostri giorni, le cronache riportano sul contrabbando

notizie inquietanti che parlano di riciclaggio di denaro sporco, droga,

armi, corruzione ai massimi vertici e tratta di esseri umani. Questa è

tutt’altra storia, estranea all’epopea del contrabbando sociale, più

interessante per i criminologi, che per lo storico.

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Cap. Gerardo Severino

Lo schieramento della Guardia di Finanza

al confine alpestre nei primi cento anni dall’Unità d’Italia

1. IL 1861 ED I NUOVI CONFINI NAZIONALI

All’indomani dell’unificazione nazionale del 1861, il cosiddetto

“confine alpestre” era limitato al solo tratto che separava il neonato

Regno d’Italia con la Francia e la Svizzera, mancando, infatti,

all’appello sia il Veneto che il Mantovano, ancora sotto la

dominazione austro-ungarica. In verità, un capitolo a parte andrebbe

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dedicato anche ai confini che separavano ancora il nuovo Regno sia

con lo Stato Pontificio, le cui frontiere si estendevano per centinaia di

chilometri, interessando le regioni della Toscana, Umbria, Abbruzzo e

Molise ed ovviamente la Campania. Pur non essendo oggetto della

materia da me trattata, mi limiterò solo a ricordare che tale frontiera,

che secondo l’ordinamento doganale del 1862, assumerà il titolo di

“Linea delle provincie romane”, verrà caratterizzata dalla presenza di

ben 36 uffici doganali, compresi i posti d’osservazione, con altrettante

Brigate di Preposti Doganali, ovvero di Guardie dei Dazi Indiretti (per

il tratto riguardante l’Abruzzo e la Campania). Per quanto riguarda il

primo caso, l’organizzazione doganale frontaliera interessò sia il

territorio che separava l’Italia dal Veneto occidentale, meridionale e

dal Mantovano, con la conseguente istituzione di reparti di frontiera

nel Bresciano ed in Emilia (linea del ferrarese e del basso Po), affidati

ancora ai Preposti Doganali dell’ormai ex Regno di Sardegna, in

attesa della costituzione di un nuovo Corpo di finanzieri nazionale.

Nel marzo del 1861, l’ordinamento del Dispositivo di vigilanza

doganale lungo i confini francese e svizzero rimase immutato, tant’è

vero che nell’area geografica che comprendeva la Liguria il Piemonte

e la Valle d’Aosta fu mantenuta in piedi l’organizzazione operativa

rappresentata dal citato Corpo de Preposti Doganali. Tale

configurazione comprendeva la presenza sul territorio di un certo

numero di Comandi retti da ufficiali, i cosiddetti “Commissariati di

Brigata”, dai quali dipendevano le numerose Brigate di frontiera dei

Preposti, stanziate da Mortola Superiore (Luogotenenza di

Ventimiglia) a Ponte Caffaro (Luogotenenza di Anfo, Brescia). I

Commissariati dipendevano, a loro volta dalle Ispezioni o Vice

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Ispezioni delle Gabelle, uffici periferici dipendenti dalle varie

Direzioni delle Gabelle operanti nell’ambito delle cosiddette “Antiche

Provincie” (che distinguevano i vecchi possedimenti del Regno di

Sardegna dalle nuove regioni annesse. La “Linea delle Alpi e dei

Fiumi e Laghi promiscui”, così come la definirà il nuovo Ordinamento

Doganale italiano1, nel comprendere anche la Lombardia, per la quale

ritorneremo a breve, verrà caratterizzata dalla presenza di ben 98 fra

Dogane di confine e Posti d’Osservazione, con affiancati altrettanti

reparti dei Preposti Doganali, operanti quest’ultima lungo il tratto di

demarcazione di pertinenza delle attuali provincie di Como e Varese.

Procediamo con ordine, ricordando quanto accadde nel 1859. Sin dalla

metà dell'aprile 1859, la situazione politica internazionale sembrava

far precipitare gli avvenimenti, tanto da ritenere imminente la guerra

tra l'alleanza franco-piemontese e l'impero austriaco. Il 3 maggio

veniva, quindi, istituita presso il ministero degli esteri di Torino, ma

senza essere resa pubblica per evitare proteste e complicazioni

internazionali, la cosiddetta Direzione Generale delle Province

Italiane, diretta dal Minghetti (Segretario Generale agli Esteri), divisa

a sua volta in due uffici: uno per “le province unite ai regi stati”,

affidato ad Antonio Allievi, al quale partecipò inizialmente anche il

Farini, e uno per “le province poste sotto la protezione di S.M.”,

diretto da Costantino Nigra. La Direzione, che venne formalmente

resa nota con il decreto 11 giugno 1859, fu dunque lo strumento per

coordinare il centro decisionale piemontese con i centri delle

amministrazioni delle province annesse (Lombardia e i Ducati, in base

1 Regio Decreto in data 16 ottobre 1862, avente per titolo “Classificazione delle

Dogane”.

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alla validità del voto di fusione sancito già del 1848) e delle province

poste sotto la tutela della monarchia costituzionale di Vittorio

Emanuele II, quali l’Emilia e la Toscana. Riguardo alla Lombardia,

che rappresenta il caso più emblematico di tale processo storico per il

quale vale la pena di soffersi un attimo, occorre dire che il progetto

temporaneo di riorganizzazione amministrativa (scaturito dai lavori

della nota Commissione Giulini), si basava su alcune direttive

impartite direttamente da Cavour, il quale ovviamente considerato

ancora valido il voto plebiscitario del 1848, presupposto della

“immediata unione politica della Lombardia cogli Stati Sardi” sotto

la sovranità di Vittorio Emanuele II. Dopo aver previsto la gestione

commissariale dei territori, veniva successivamente regolato

l'ordinamento amministrativo-tributario-giudiziario, adeguandolo alle

nuove condizioni politiche. In sintesi l'amministrazione avrebbe fatto

a capo a un governatore, residente a Milano e ministro senza

portafogli del gabinetto piemontese, che sarebbe subentrato al

luogotenente. Il consiglio di luogotenenza lombardo-veneto sarebbe

stato sostituito da un consiglio amministrativo, composto dal

governatore, da un vicepresidente e dai diversi direttori delle sezioni

centrali dell'amministrazione, ridotti però di numero. A Milano si

sarebbe poi creato un tribunale di terza istanza, a completamento

dell'organizzazione giudiziaria dopo la soppressione del tribunale

supremo di giustizia austriaco che risiedeva a Verona. L'ordinamento

provinciale proposto dalla commissione prevedeva una

responsabilizzazione politica dei capi delle province - i governatori -

ai quali sarebbero stati direttamente subordinati tutti gli uffici e le

autorità provinciali: i questori, i commissari distrettuali, gli uffici di

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sanità, delle poste e delle pubbliche costruzioni. In sintesi dunque il

progetto prevedeva un sostanziale mantenimento delle istituzioni

locali - concedendo loro tuttavia una maggiore autonomia -

l'accentramento del potere politico nelle province nelle mani del

rappresentante del governo e una estrema limitazione delle

attribuzioni del governo centrale, premessa alla scomparsa della

Milano "capitale" una volta unificata la legislazione delle province del

nuovo Regno. Commissario regio generale fu nominato il 22 maggio

Emilio Visconti Venosta, già membro della commissione Giulini, con

l'incarico di affiancarsi al generale Garibaldi che si accingeva a entrare

in Lombardia. Secondo le istruzioni dategli dal Cavour, Visconti

Venosta avrebbe dovuto cercare di far insorgere i paesi e provvedere

al governo civile dei paesi che saranno occupati dalle nostre armi o si

dichiareranno per la causa nazionale. In seguito alla battaglia di

Magenta che liberò alle truppe franco- piemontesi la via verso Milano,

la congregazione municipale, nel confermare il patto votato nel 1848,

proclamava l'annessione della Lombardia al Piemonte. Le linee

fondamentali dell'organizzazione temporanea della Lombardia furono,

quindi, stabilite dal decreto 8 giugno 1859. In virtù di tale

provvedimento, al vertice dell'amministrazione veniva nominato un

Governatore – nella persona del magistrato piemontese Paolo Onorato

Vigliani – il quale avrebbe rappresentato il re, investito dei pieni

poteri per la gestione dell'amministrazione civile, con competenza

anche in materia di leggi e regolamenti e il potere di promulgare

decreti. Alle dirette dipendenze del governatore venivano poste tutte le

autorità delle province lombarde e a lui dovevano essere indirizzati

tutti gli affari che, sotto il cessato regime austriaco, dovevano

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indirizzarsi al governatore generale del regno e ai dicasteri centrali.

Inoltre il governatore aveva la facoltà di nominare commissioni

speciali con carattere consultivo per le questioni politiche ed

economiche che fossero elette tra i rappresentanti più autorevoli della

cittadinanza milanese. In Lombardia – e torniamo all’argomento della

relazione – prima della 2^ Guerra d’Indipendenza (1859) operava la

“ Imperial Regia Guardia di Finanza del Lombardo-Veneto”, sorta

all’indomani del noto Congresso di Vienna. All’atto del “passaggio” o

annessione di quei territori al Regno di Sardegna, si assistette

all’iniziale sopravvivenza del citato Corpo, al quale verrà timidamente

affiancato quello dei Preposti Doganali Sardi, come nel caso di cui

parleremo a breve. Un chiaro esempio di “pacifica convivenza” è

contenuto nella Circolare n. 6561-606 del 15 marzo 1860, inviata dalla

Regia Prefettura delle Finanze in Milano alle varie Regie Intendenze

di Finanza (attive sotto gli austriaci), rimaste anch’esse in piedi dopo

l’annessione al Piemonte, e dalle quali dipendevano i vari Comandi di

Sezione della Guardia di Finanza. A questo punto, nel riepilogare

l’ordinamento dell’ex (ma non ancora soppresso) Corpo doganale

austriaco nelle nuove provincie annesse, la Circolare parla

espressamente di una Stazione dei Preposti Sardi a Como, chiamata

evidentemente ad operare in collaborazione con i finanzieri dell’ex

Regno Lombardo-Veneto. Il punto 4 della circolare evidenzia infatti

che: “La sezione di Preposti doganali sardi già esistente sotto la

dipendenza dell’Intendenza di Finanza di Como è stata divisa in due

Comandi. Uno trovasi ancora a Como, e forma un’Ispezione con tre

Commissariati a Como, Geronico, e Cazzone, la quale nella

Forz’Armata di Finanza di Lombardia figurerà come Sezione III. Per

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l’altro Comando s’istituì a Porlezza una Vice Ispezione di Preposti

doganali Sardi con due Commissariati a Menaggio e S. Fedele…”. La

Forza Armata di Finanza operò in Lombardia sino al 31 dicembre

1860, data in cui, sulla base del Decreto n. 4481 che il Principe

Eugenio di Savoia firmò il precedente giorno 26 dicembre, il Corpo fu

sciolto, le armi ed i mezzi passati alla Direzioni delle Gabelle, mentre

il personale che ne faceva parte licenziato, segno evidente che nel

frattempo il dispositivo di distribuzione del Comandi dei Preposti

Doganali Sardi era stato ormai completato.

2. L’ORDINAMENTO E LO SCHIERAMENTO OPERATIVO DELLA GUARDIA

DOGANALE DEL REGNO D’I TALIA (1862 – 1881)

Come è facile comprendere, le problematiche legate alla riforma dei

Corpi di Finanza pre-unitari non apparivano di facile soluzione ed il

dibattito parlamentare prometteva di trascinarsi stancamente per

alcuni mesi2. Già nel 1861, presso la Direzione Generale delle

Gabelle, venne istituita una apposita commissione di studio (composta

da nove deputati), che avrebbe dovuto procedere alla riforma del

Corpo dei Preposti Doganali. Ne scaturirono diverse proposte, quasi

tutte tese a trasformare il vecchio Corpo doganale piemontese in una

organizzazione più rispondente alle accresciute esigenze dello Stato

unitario, pur valorizzando il patrimonio umano e professionale

impersonato dai militi appartenuti ai precedenti Corpi pre-unitari. Al

termine di non facili discussioni parlamentari, riguardo alle sorti ed ai

2 Gerardo SEVERINO, “L’unificazione dei Corpi di Finanza pre-unitari e la

nascita della Guardia Doganale (1859 – 1862)”, in atti del convegno storico “I Finanzieri per il Risorgimento e l’unità d’Italia”, Edizione Museo Storico della G. di F. Roma, 20 maggio 2011, pagg. 241-265.

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compiti da affidare al futuro Corpo di doganieri italiani, si giunse

finalmente all’approvazione della Legge 13 maggio 1862, n. 616, con

la quale fu istituito il “Corpo delle Guardie Doganali” del Regno

d’Italia, con un organico composto da 14.073 uomini, distinti in 180

Luogotenenti, 120 Sotto Tenenti, 3.495 fra Brigadieri e Sotto

brigadieri, 7.341 guardie del contingente di terra, 3.237 guardie di

mare e “sedentarie”, cui si aggiungono 200 mozzi per il servizio delle

imbarcazioni doganali. Il neo costituito Corpo doganale,

pregiudizialmente escluso dal consorzio militare, si compose, quindi,

di personale variegato: “militarizzato” fino ai gradi d’ufficiale

inferiore (guardie, brigadieri, tenenti delle varie classi), destinatari dei

rigori della disciplina militare; “civile” , rappresentato da coloro che

ricoprivano funzioni direttive (sotto ispettori ed ispettori comandati di

Distretto o di Circolo), creando spesso – come approfondiremo in

seguito – qualche confusione con le attribuzioni ed i compiti

demandati agli altri funzionari dell’amministrazione doganale. Posto,

sin da allora, alle dipendenze del Ministro (e non del Ministero) delle

Finanze, il “Corpo delle Guardie Doganali” fu inquadrato

nell’ambito della Direzione Generale delle Gabelle del Ministero delle

Finanze, presso la quale fu istituita la VI Divisione “Guardia

Doganale”, inizialmente presieduta dal Dott. Paolo Azzolini. Il Corpo

ebbe, quale compito principale la: “repressione del contrabbando e la

tutela dei dazi, la cui riscossione è affidata all'Amministrazione delle

Gabelle”, così come cita l'art. 2 del Regolamento Organico del Corpo

stesso emanato il successivo 13 novembre 18623. Quale compito

secondario troviamo, invece, il concorso, nei limiti stabiliti dallo

3 Con R. Decreto n. 989.

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stesso regolamento alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica,

ed al mantenimento delle prescrizioni di polizia marittima ed, in caso

di guerra, alle operazioni militari. In caso di mobilitazione, le guardie

sarebbero passate alle dipendenze del Ministero della Guerra e di

quello della Marina, e quindi assoggettate alle leggi e ai regolamenti

militari, pur conservando la divisa, i gradi e il soldo propri del Corpo

d’appartenenza, come avverrà nel corso della 3^ guerra

d’Indipendenza e alla liberazione di Roma. Il comando dei reparti

mobilizzati delle guardie doganali sarebbe stato assunto da ufficiali

scelti dai due citati ministeri. Tuttavia, anche se si trattava di un Corpo

di polizia civile, l’ordinamento della Guardia Doganale era

marcatamente militare, frutto questo di un compromesso fra le diverse

tendenze espresse durante il dibattito parlamentare che aveva

preceduto l’approvazione della legge istitutiva del ’62. Per

l’esecuzione del servizio, il Corpo era ripartito in 27 Divisioni, 74

Circoli, 76 Distretti, 296 Luogotenenze e 1.535 Brigate, con una

dislocazione territoriale alquanto capillare e similare a quella dei Reali

Carabinieri, con una maggiore intensità lungo le frontiere terrestri e

marittime del Regno, in maniera tale da dar vita ad una fitta maglia di

vigilanza costiera e doganale. L'esecuzione del servizio di vigilanza

era generalmente affidata alle Brigate (i reparti più piccoli del Corpo),

dislocate “a cordone” lungo le coste ed i confini terrestri, mentre per

la vigilanza in mare erano disponibili, nel 1861, circa 211 unità: fra

scorridore, paranzelle, speronate e gozzi, poi passate, nel volgere di

poco tempo a 393 unità4. Torniamo all’ordinamento. A Capo delle

4 Nel 1863, la forza doganale di mare verrà dotata di altri 72 nuovi natanti, ai quali

successivamente si aggiungerà il contributo della navigazione a vapore. Qualche

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Divisioni5 (generalmente rispondenti ad una Regione o a parte di essa)

vi erano i citati Direttori Compartimentali delle Gabelle, i quali, oltre

al Corpo dei finanzieri, dirigevano anche gli uffici esecutivi doganali

esistenti nella propria giurisdizione. Dai Circoli (corrispondenti ad una

Provincia o parte di essa), retti da Ispettori, dipendevano uno o più

Distretti, comando retto da un Sotto Ispettore, che aveva competenza

territoriale su vari i Mandamenti6 o Circondari7. Anche se non

direttamente inclusi nell’organico del Corpo, che come abbiamo

ricordato prevedeva solo “ufficiali inferiori” (Luogotenenti e Sotto

Tenenti), gli Ispettori e i Sotto Ispettori delle Gabelle verranno

considerati a tutti gli effetti ufficiali superiori del Corpo. A sua volta,

il Distretto era articolato in alcune Luogotenenze (rette da tenenti o

luogotenenti) e da numerose Brigate poste al comando di brigadieri o

sotto brigadieri8. In realtà, i Circoli ed i Distretti, così come si

esprimeva il regolamento Doganale del 1862, erano altrimenti definiti

rispettivamente “Ispezioni” e “Sotto Ispezioni delle Gabelle”, in

relazione al grado ricoperto dal funzionario titolare, Ispettore o Sotto

tempo dopo seguì la costruzione di 40 paranzelle a vela e si ottenne dal Ministero della Marina la cessione del piroscafo "San Paolo", dislocato in crociera nell'Adriatico, lungo la costa che va da Ferrara a Manfredonia.

5 Il termine “Divisione” non indicava uno speciale organo, diverso dal direttore delle Gabelle, dal quale dipendevano le guardie doganali, ma solo il contingente assegnato ad ogni Direzione delle Gabelle.

6 Il Regno d’Italia era stato suddiviso in Regioni, Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. Mentre il Circondario era diretto da un Vice Prefetto, il Mandamento era posto sotto la direzione del Pretore, carica analoga anche in campo giudiziario.

7 R. Decreto 9 ottobre 1862 dal titolo “Organizzazione delle Direzioni, ispezioni e Sotto Ispezioni delle Gabelle”.

8 Sulla base dell'art. 12 del R.O., gli Ispettori e di Sotto Ispettori, pur conservando la qualifica di "impiegati amministrativi" delle Gabelle avevano la qualità di ufficiali superiori delle Guardie Doganali e, per questo, dovevano vestire la divisa sulla quale venivano apposti gli equivalenti gradi militari di Tenente Colonnello e Maggiore.

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Ispettore, dal quale dipendevano, oltre alle Guardie Doganali, anche

gli altri uffici gabellari e doganali stanziati nel territorio di

competenza. Da quel momento, sia negli atti ufficiali che nelle

cronache del tempo, non vi fu una netta separazione fra i due termini, i

quali perciò furono indifferentemente utilizzati sia riguardo alla

gestione del Corpo, sia riguardo all’amministrazione “civile” delle

Gabelle, sia riguardo all’area di competenza territoriale. Da ciò si

evince che al Corpo fu conferito un ordinamento misto: civile rispetto

alla dipendenza gerarchica nei gradi superiori e nei rapporti con

l'Esercito in tempo di pace; militare per rendere possibile un'eventuale

mobilitazione in caso di guerra, con conseguente passaggio alle

dipendenze del Ministero della Guerra. I Comandi di Divisione della

Guardia Doganale dai quali dipese il servizio di vigilanza doganale dei

confini alpestri furono essenzialmente cinque, riepilogati secondo

l’ordine geografico partendo dalla Liguria, vale a dire: Oneglia

(attuale Imperia), Torino, Como, Novara e Brescia9. Il sistema di

9 Dalla Divisione di Oneglia dipendevano il Distretto e la Luogotenenza di

Ventimiglia, con alle dipendenze le Brigate di Ventimiglia, Mortola Inferiore e Superiore, Latte, S. Pancrazio, Olivetta, Libri e Pigna, quasi tutte con un organico di un brigadiere/sottobrigadiere e quattro o cinque guardie. Dalla Divisione di Torino dipendevano il Circolo ed il Distretto di Cuneo, a loro volta articolati nelle Luogotenenze di Tenda (Brigate di San Dalmazzo, Briga e Tenda); Borgo San Dalmazzo (Brigate di Vernante, Entraques e Valdieri); Pietraporzio (Brigate di Pietraporzio, Ponte Bernardo, Vinadio e Argentera); Prazzo (Brigate di Pratorotondo, Acceglio, Prazzo e Saretto); Sampeyre (Brigate di Bellino, Chianale, Ponte Chianale, Crissolo e Casteldelfino). Vi erano poi il Circolo ed il Distretto di Susa, articolati nelle Luogotenenze di Oulx (Brigate di Champlas du Col, Bousson, Clavières, Cesana, Boulard, Melezet, Bardonecchia ed Oulx) e di Susa (Brigate di Giaglione, Bard, Ferrera, Novalesa, Venans, Exilles e Susa). Alla Luogotenenza di Torre Pellice, che dipendeva direttamente dal Circolo di Torino, appartenevano, invece, le Brigate di Miraberes, Bobbio, Prales, Perrero e Torre Pellice. Dal Distretto di Aosta, che dipendeva anch’esso dal Circolo di Torino, dipendevano le Luogotenenze di Près San Didier (Brigate di La Thuille, Courmayeur, Entrèves, Près S. Didier e Valgrisanche), di Aosta (Brigate di N.D. de Rhémes, Bosses S. Remy, S. Remy, Entroubles e Valpellina)

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vigilanza doganale così concepito era definito “a cordone”, come

anticipato prima, secondo la tradizione piemontese sperimentata dalla

Brigate dei Regi Preposti Sardi. I minuscoli reparti di frontiera

e di Chatillon (Brigate di Valtournanche, Ayas S. Giacomo e Gressoney la Trinite). Il “Cordone Doganale” proseguiva, poi, con i reparti della Divisione di Novara, dal cui dipendente Circolo di Arona (con i Distretti di Domodossola, Arona e Luino) erano rispettivamente inquadrate le Luogotenenze di Domodossola (Brigate di Iselle, Crovea, Formazza, Baceno, Pistarena, Vanzone e Domodossola); Craveggia (Brigate di Craveggia, Revalgezzo, Curzolo e Malesco); Cannobio (Brigate di Piaggio Valmara, Treffiume, Cannobio, Carmine, Cannero, Oggebbio e Cavaglio, nonché Brigate di Mare di Cannobio e Cannero); Intra (Brigate di Intra, Ghiffa e Trobaso, nonché di Mare a Intra); Arona (Brigate di Arona e Gravellona, e di Mare di Belgirate ed Arona); Ispra (Brigate di Sesto Calende, Angera, Ispra, Arolo e Laveno, nonché Brigate di Mare di Ispra e Laveno); Germignaga (Brigate di Germignaga, Bieviglione, Cremenaga e Cassano, nonché di Mare a Porto Valtravaglia); Luino (Brigate di Luino, Fornasette, Dumenza e Zenna, nonché Brigate di Mare di Luino, Maccagno e Poggio). La Divisione di Como, che per intero riguardava la frontiera con la Svizzera, era quella che disponeva di un numero elevato di reparti confinari, risultando articolata nei Comandi di Circolo di Varese, Como e Chiavenna. Seguendo l’ordine riscontriamo che il Circolo ed il Distretto di Varese erano a loro volta suddivisi nelle Luogotenenze di Ghirla ((Brigate di Ponte Tresa, Cuasso al Monte, Ghirla e Brusimpiano, con le Brigate di Mare di Lavena e Brusimpiano); Viggiù (Brigate di Besano, Viggiù, Saltrio, Clivio e Porto Codelago, nonché Brigata di Mare di Porto Codelago); Cazzone (Brigate di Gaggiolo, Rodero, Cazzone e Cagno); Olgiate (Brigate di Binago, Gerbo, Olgiate, Olbiona, Civello e Grandate); Parè (Brigate di Parè, Drezzo, Gironico al Piano e Cavallasca); Camerlata (Brigate di Camerlata, Tavernerio, Capiago, Cucciago e Fino); Uggiate (Brigate di Bizzarone, Somasso, Ronago, Casanova ed Uggiate); Como 2^ (Brigate di Cernobbio e Blevio); Ponte Chiasso (Brigate di Ponte Chiasso, Maslianico, Sagnino, Brugedo, Sant’Ambrogio e Cardano); Carate (Brigate di Rovenna, Moltrasio, Carate, Lenna, con Brigate Mare a Torriggia d Torno); Argegno (Brigate di Brienno, Argegno e Spurano, con Brigate di Mare di Brienno, Nezzo ed Argegno); San Fedele (Brigate di Schignano, Casasco, Lanzo, Penna e San Fedele d’Intelvi); Porlezza (Brigate di Porlezza, Cusino, S, Nazzaro, Carlazzo, Menaggio, Oria ed Osteno, con Brigate Mare di Oria, Osteno e Porlezza); Gravedona (Brigate di Musso, Garzeno, Dosso del Liro e Gravedona); Chiavenna (Brigate di Monte Spluga, Campo Dolcino, Villa di Chiavenna e Riva di Chiavenna); Tirano (Brigate di Piattamala, Lovero, Tirano, Stazzona e Vervio); Bormio (Brigate di Stelvio, Bormio e Samogo); Teglio (Brigate di Teglio, Olivi, Ponte ed Aprica). Rimangono nel novero dei reparti di frontiera al confine alpestre anche taluni reparti della Divisione di Brescia (confini con il Tirolo ed il Lombardo-Veneto, in area alpina) così composti. Luogotenenza di Edolo (Brigate di Ponte di Legno, Breno, Edolo e Codegolo); Desenzano del Garda (Brigate di Rivoletta, Colombare, Sermione e Lugana).

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(Brigate e Distaccamenti, con organico di quattro/sei uomini) erano

quindi ubicati proprio lungo la linea di frontiera, ad intervalli più o

meno regolari, in maniera tale che il servizio potesse essere svolto

attraverso un diuturno pattugliamento del proprio tratto di

competenza, che contemplava il cosiddetto “scambio visti” fra reparti

confinanti. Ciò nella consapevolezza del fatto che il deleterio

fenomeno del contrabbando non potesse efficacemente reprimersi se

non con una vigilanza attiva, giammai interrotta, la quale necessitava

di gravosi turni di sentinella, vedetta, perlustrazione ed appostamento.

Nel 1866, scoppiava un’altra guerra con l’Austria per risolvere con le

armi la questione veneta. Passerà alla storia come 2^ Guerra

d’Indipendenza. A tal riguardo occorre ricordare che, mossi dal nobile

e generoso intento di concorrere comunque alla grande lotta, un buon

numero di Finanzieri non assorbiti dall’esercito regolare o dai reparti

mobilitati del Corpo, disertarono per vestire la camicia rossa.

Altrettanto fecero moltissime guardie di finanza del Veneto, o

abbandonando il servizio dell’Austria, oppure, pur rimanendo al loro

posto, rifiutando di prendere le armi contro le truppe italiane10.

10 Animati dal loro tradizionale spirito militare e patriottico, alcuni valorosi

Finanzieri versarono molto sangue per la conquista delle gloriose tappe di Caffaro, Montebello, Darzo, Staro, Condino, Ampolo e Bezzecca. Tutti gli altri Finanzieri stanziati nella zona di frontiera o non aggregati alle truppe regolari e volontarie, parteciparono del pari alle operazioni di guerra, sia vigilando i passi alpini minacciati dal nemico - che tennero sempre in rispetto con la loro fermezza - sia facendo il servizio di guida e di esplorazione. Nel combattimento di Vezza d’Oglio (Valcamonica), una compagnia di doganieri italiani aggregata al 4° Reggimento volontari si distinse oltremodo per ardimento e valore nell'affrontare il nemico. In Valtellina un’altra compagnia di guardie doganali partecipò ai combattimenti di Ponte del Diavolo e dei Bagni di Bormio. Ai Bagni, per tagliar la ritirata al nemico, un manipolo di cinquanta uomini tra i più abili e risoluti, in buona parte Finanzieri, con alla testa il Tenente Pedranzini dei “Tiratori di Bormio”, si lasciò andar giù a corpo perduto da una ghiacciaia che stava sopra la posizione del Diroccamento, giungendo ancora in tempo ad

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Conquistato all’Italia il Veneto, il Mantovano ed il basso Friuli

(mancheranno ancora all’Italia il Trentino e la Venezia Giulia), il

Ministero delle Finanze, Direzione Generale delle Gabelle, emanò una

circolare con la quale istituiva le cosiddette “Ispezioni delle Gabelle e

della Guardia Doganale nelle Provincie Venete e di Mantova”11. In

virtù di tale provvedimento furono creati vari Comandi di Circolo, con

altrettante Luogotenenze e Brigate nelle nuove provincie annesse,

alcune delle quali aventi circoscrizione di servizio lungo la nuova

frontiera con l’Impero Austro-Ungarico. E’ il caso dei Circoli di

Verona, Vicenza, Belluno e di Udine. Nel complesso verranno istituiti

numerosi uffici doganali, compresi i posti d’osservazione12, affiancati

da altrettante Brigate o Distaccamenti fissi o temporanei della Guardia

Doganale13. Una più capillare e concreta organizzazione territoriale

dei reparti frontalieri del Corpo fu determinata in seguito alla

arrestare settantacinque austriaci sulla strada. Per quell’azione il Pedranzini ebbe la medaglia d'oro al valor militare, mentre i finanzieri Curci, Avanzi e Tei quella d'argento; altri cinque quella di bronzo e parecchi la promozione per merito di guerra. Un nuovo attacco offensivo ebbe poi luogo nel mattino del 16 luglio alla IV cantoniera dello Stelvio; ma dopo molte ore di persistenza gli austriaci, resi convinti della inanità dei loro sforzi, dovettero battere in ritirata. Pochi giorni appresso il nemico era vinto dai Prussiani a Sadowa e il Veneto passava a far parte del Regno d'Italia.

11 Circolare n. 116/Gab. in data 18 febbraio 1867. 12 Crf. R. D. n. 3671 in data 28 marzo 1867 con oggetto “Organamento delle

Dogane nelle Provincie Venete e di Mantova”. 13 Dal Circolo di Udine dipendevano Luogotenenze di Gemona, Moggio,

Tolmezzo, Palmanova, Portonogaro, Cividale, San Giovanni Manzano e Udine, le Brigate di Timau, Pontebba, Stupizza, Visinale, S. Giovanni di Manzano, Palma, Mediuzza, Trivignano, Jalmicco, Portonogaro, Pertegata e Torre di Zuino. Dal Circolo di Belluno dipendevano le Luogotenenze di Santo Stefano Comelico, Tai di Cadore, Agordo, Caprile e Feltre, e le Brigate di Montecroce, S. Vito, Caprile, Falcade, Gosaldo e Zorzoi. Dal Circolo di Vicenza dipendevano le Luogotenenze di Val d’Astico e Valdagno e le Brigate di S. Pietro Val d’Astico, Piano delle Fugazze, Bassano e Primolano. Dal Circolo di Verona le Luogotenenze di Garda, Peri, Chiesanova e Verona, e le Brigate di Peschiera, Malcesine, Peri e Belluno Veronese.

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importante e decisiva riforma del 1881, varata dal Parlamento

nazionale attraverso l’approvazione della Legge n. 149 dell’8 aprile,

in virtù della quale, oltre al titolo del Corpo, mutato in Guardia di

Finanza, furono conferiti ai Finanzieri nuovi e più incisivi poteri

(tutela delle imposte di fabbricazione, dei dazi di consumo e, in

generale, di tutti i cespiti della pubblica finanza). Fu accorciata, di

conseguenza, la meta della militarizzazione. Furono conferiti alle

Guardie di Finanza ruoli ben precisi nell’eventualità di un conflitto

armato, prevedendo, in caso di mobilitazione generale, la creazione di

appositi Battaglioni e Compagnie, ma soprattutto furono creati i

Depositi d’Istruzione per gli allievi14. Fu esteso anche alla Guardia di

Finanza il grado di Maresciallo: grado che da quel momento

rivestiranno gran parte dei comandanti di Brigata, mentre sul piano

operativo furono previste, oltre alle Brigate di “frontiera” , anche le

Brigate “porto” , “lago” o “laguna” con competenza limitata al

porto, al lago o alla laguna ove erano stanziate.

3. DALLA RIFORMA DEL 1881 ALLA NASCITA DEI COMANDI DI

LEGIONE (1881 – 1906)

Esattamente dieci anni dopo, grazie alla Legge n. 398 del 14 luglio

1891, varata dal Parlamento soprattutto per combattere più

efficacemente il contrabbando (che proprio in quegli anni aveva

registrato un’incredibile impennata), oltre al ripristino dei Comandi

Divisionali15, fu istituto, nell’ambito del Ministero delle Finanze, il

14 Gerardo Severino, “I Depositi d’Istruzione della Guardia di Finanza”, in Rivista

della Guardia di Finanza, n. 1 – Gennaio-Febbraio 1992. 15 In realtà i Comandi Divisionali erano già stati istituiti nel 1869 (con R. D.. del 26

dicembre, n. 5417), in contemporanea con la costituzione delle Intendenze di

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cosiddetto “Comitato del Corpo”. Organo collegiale apparentemente

simile a quello dell’Arma dei Carabinieri16, il “Comitato” contribuì a

dare alla Guardia di Finanza un assetto sempre più militare,

sperimentando metodologie gestionali che, tempo dopo, fecero capo al

Comando Generale ed alle sue strutture interne. La Legge n. 398,

rappresentò, dunque, una delle più importanti riforme che fossero mai

state desiderate dal Corpo. Con essa, principalmente, si ripartì (a

norma dell’art. 8) il contingente della Guardia di Finanza in 8

Comandi di Divisione, con sedi a Milano (1^), Genova (2^), Verona

(3^), Ancona (4^), Roma (5^), Bari (6^), Napoli (7^) e Messina (8^).

A ciascuno di essi venne posto un “Ispettore Divisionale di 1^ o di 2^

classe”, gradi che la stessa legge aggiunse alla gerarchia del Corpo,

pareggiandoli a quelli militari di Colonnello e Ten. Colonnello. A tali

ufficiali superiori furono, quindi, conferite le facoltà punitive che

precedentemente ricoprivano gli Intendenti di Finanza, ma soprattutto

la vigilanza sul servizio svolto dalla Guardia di Finanza. Istituito per

disposizione dell’art. 10, il “Comitato del Corpo”, alla cui direzione

fu posto un Generale del Regio Esercito, era composto da un Ispettore

Generale e dal un Capo di Divisione del Ministero delle Finanze, da

un ufficiale superiore del Regio Esercito e da un ispettore Comandante

di Divisione della Guardia di Finanza. Le nuove esigenze operative,

Finanza. La loro vita fu brevissima in quanto soppressi nel 1873, per effetto del R. D. n. 1615 del 9 ottobre. Ne fu causa principale la mancanza di un vero e proprio coordinamento con la Direzione Generale delle Gabelle, gli scarsi poteri di controllo nei riguardi dei Comandi di Circolo, ma soprattutto lo strapotere e le interferenze delle locali Intendenze di Finanza.

16 Il Comitato dell’Arma dei Carabinieri Reali era stato istituto con R. D. del 24 gennaio 1861, in sostituzione del Comando Generale. Composto da soli ufficiali dell’Arma, il Comitato operò fino al 16 novembre 1882, data in cui fu soppresso in seguito al ripristino della carica di Comandante Generale.

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nello specifico settore della lotta al contrabbando frontaliero,

determinarono, oltre ad un nuovo ordinamento circoscrizionale dei

reparti17, con conseguente aumento degli organici, anche il

potenziamento del servizio di vigilanza doganale terrestre, con

l’adozione della “rete metallica” nei tratti pianeggianti o comunque di

facile attraversamento della linea di confine, ed il pattugliamento dei

laghi di frontiera (Maggione e Garda), attraverso i cosiddetti

“Incrociatori o Battelli Doganali”, sorto verso il 1881 ma

regolamentato solo nel 1896, o stesso anno in cui il Ministero delle

Finanze emanò un nuovo ruolo organico del Corpo della Guardia di

Finanza18.

4. GLI ULTIMI SESSANT’ANNI (1900 – 1961)

Agli inizi del Novecento, lo schieramento operativo, mantenuto in

efficienza ed organizzato dal Corpo lungo i confini alpestri, risulta

ancora composto da una interminabile sequenza di Brigate, dipendenti

da importanti Circoli di frontiera quali – il riepilogo segue l’ordine

alfabetico citato nella circolare - Aosta (10 Brigate), Bassano (9

Brigate), Belluno (24 Brigate), Breno (4 Brigate), Cividale (19

Brigate), Como (19 Brigate), Cuneo (10 Brigate), Domodossola (14

Brigate), Luino (18 Brigate), Menaggio (19 Brigate), Novara (Brigata

di Varallo), Salò (13 Brigate), Sondrio (23 Brigate), Tolmezzo (8

Brigate), Torino (14 Brigate), Udine (15 Brigate), Varese (18 Brigate),

17 Circolare n. 48953/3513 della Direzione Generale delle Gabelle in data 28 aprile

1892, avente per titolo “Sede e circoscrizioni dei Circoli, sedi delle Tenenze e indennità agli ufficiali della R. Guardia di Finanza” .

18 R. D. n. 16 in data 16 gennaio 1896.

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Ventimiglia (7 Brigate), Verona (18 Brigate) e Vicenza (10 Brigate)19.

Tale dispositivo verrà, in parte, modificato nel 1906, l’anno in cui il

Corpo ottenne la sua più importante riforma ordinativa. Con la Legge

n. 367 del 9 luglio 1906, la Guardia di Finanza ottenne l’agognata

autonomia, principalmente attraverso l’istituzione del Comando

Generale del Corpo, che avrebbe garantito unità di criteri e di azione

direttiva. Dipendente direttamente dal Ministro delle Finanze, il

Comando fu quindi reso autonomo rispetto alla Direzione Generale

delle Gabelle. Alla sua guida fu posto un Generale del Regio Esercito,

rivestito di tutte le prerogative e le facoltà occorrenti per il governo

del personale. Furono istituiti 8 Comandi di Legione (Milano,

Venezia, Bari, Roma, Bologna, Napoli, Torino e Messina), nei quali

furono raggruppati i numerosi Comandi di Circolo sparsi sul territorio

nazionale, dai quali sarebbero dipese le Compagnie (reparti di nuova

formulazione), Tenenze, Sezioni e Brigate20. I reparti di frontiera,

dalla Liguria al Friuli, verranno quindi assorbiti rispettivamente dalle

Legioni di Torino, Milano e Venezia, secondo uno schema gerarchico

basato ancora sul sistema dei Comandi di Circolo, generalmente

ubicati in sede di Provincia e nelle principali località d’intesse

operativo, come nel caso della frontiera alpestre. Pur risultando

ridimensionati i reparti all’interno del territorio e delle principali città,

pressoché immutato rimase l’impianto o schieramento lungo le

frontiere alpestri e marittime, ove la vigilanza anticontrabbando 19 Circolare n. 30241 – Div. III della Direzione Generale delle Gabelle in data 10

dicembre 1903, avente per oggetto “Elenco delle Brigate dislocate lungo il confine di terra”.

20 La riforma del 1906 decretò anche l’istituzione di una Legione Allievi (con sede a Maddaloni) per l’istruzione delle reclute, ed il miglioramento del sistema disciplinare ed una più precisa determinazione dei reati d’indole militare.

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rimarrà ancora poggiata sul sistema detto “ a cordone”. Con la

partecipazione italiana alla “Grande Guerra”, la situazione operativa

del Corpo lungo la frontiera alpestre vedrà impegnati, oltre ai

tradizionali reparti territoriali, anche i Battaglioni mobilitati, reclutati

per finalità belliche presso vari “Centri di Mobilitazione” aventi sede

presso importanti località nazionali. Durante il conflitto, al quale

prenderanno parte anche talune Compagnie Autonome, i confini

subiranno frequenti variazioni, determinate spesso dall’andamento

stesso dei combattimenti, anche in termini di dipendenza delle Brigate

adibite alla loro vigilanza. Da tale situazione derivò, da parte del

Comando Generale del Corpo, la necessità di istituire altri Comandi di

Legione territoriale, come nel caso di Verona. Il Decreto

luogotenenziale n. 961 del 10 giugno 1917 motivò tale scelta con la

seguente necessita: “…le attuali condizioni della vigilanza demandata

alla R. Guardia di Finanza richiedono un contingente di uomini

notevolmente superiore a quello normale, per i quali occorre istituire

i Comandi che debbono regolarne l’azione di servizio” . Da quel

momento, e sino al 1919/1920, la Legione di Verona amministrò i

Comandi di Circolo di Belluno, Brescia, Verona e Vicenza, con le

dipendenti Compagnie, Tenenze e Brigate, molte delle quali “di

frontiera”. I militari del Corpo intrapresero le loro tradizionali attività

di servizio anche nelle valli del Trentino, dell’Alto Adige, della Val

Pusteria e nelle altre valli minori della provincia di Bolzano, così

come a Trieste e nella Venezia Giulia, immediatamente dopo la

cessazione delle ostilità con l’Austria-Ungheria. Il 5 aprile 1919, sulla

base di un’ordinanza del Comando Supremo, nascevano le Legioni

della Regia Guardia di Finanza di Trento e Trieste, con giurisdizione

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rispettivamente nel territorio del Governatorato del Trentino, nella

Venezia Giulia e Tridentina21. Pur tuttavia, l’organizzazione

territoriale dei reparti delle neonate Legioni non poté essere

completata in breve spazio temporale, essendo la stessa condizionata

dalle esigenze imposte dalla difesa politico-militare di quella “zona

d’armistizio”, peraltro ancora sottoposta alle Autorità Militari, in

attesa delle definitiva sistemazione della linea di confine (trattato di

Saint-Germain e di Rapallo). Ancor prima della costituzione di quei

Comandi di Corpo, i contingenti che in quell’area costituirono le

prime Compagnie territoriali, con relative Tenenze, Brigate e

Distaccamenti furono quelli facenti ancora parte dei Battaglioni

mobilitati che avevano preso parte al conflitto mondiale. A tali reparti

spettò l’occupazione e la tutela della zona d’armistizio, che già in quei

primi mesi causò la morte di non poche Fiamme Gialle, come nel caso

della povera guardia Luigino Pilo, barbaramente assassinato da un

colpo di pistola sparatogli a bruciapelo da alcuni contrabbandieri che

aveva fermato il 6 agosto 1919 in località Klammen Joch, in Val

Taufers22. Tali tragedie si verificheranno anche negli anni seguenti,

fino a quasi la vigilia della 2^ guerra mondiale, registrando una

violenza inaudita certamente non frutto solo dell’esigenza di salvare

carichi di contrabbando, ma certamente condizionata da un odio

atavico contro gli italiani che difendevano quei tratti di confine. Ben

21 Il Comando Supremo ne aveva chiesto l’istituzione direttamente al Dicastero

delle Finanze, nella necessità di “meglio organizzare e coordinare il servizio di vigilanza finanziaria lungo la linea di armistizio e la linea costiera e per tutti i servizi di polizia fiscale nell’interno dei territori occupati, tanto più importanti in quanto la condizione creata dallo stato di armistizio e l’abbattimento della preesistente barriera doganale hanno sensibilmente migliorata e risvegliata l’attività economica di quei territori…”.

22 Alla memoria del Pilo verrà concessa la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

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presto, alla repressione del contrabbando doganale si associò, in quei

primi mesi di presenza in Alto Adige e nelle Venezie, la vigilanza

politico-militare lungo la citata linea d’armistizio, in virtù della quale

furono respinti non pochi assalti da parte di fuoriusciti, arrestati

prigionieri di guerra austriaci fuggiti dai campi di concentramento, ma

anche disertori italiani diretti verso la Svizzera. Lo schieramento

operativo del Corpo in area alpestre rimarrà pressoché immutato per

tutto il ventennio successivo, almeno sino all’inizio della 2^ Guerra

Mondiale. Terminato il conflitto, il tracciato confinario risultò

modificato largamente, soprattutto sul fronte orientale, sin lì di

pertinenza della Legione di Trieste, ovviamente sciolta nel ’45 a

seguito dell’occupazione militare alleata. Nel dopoguerra, la

compagine operativa della Guardia di Finanza lungo il confine alpino

s’arricchì di un nuovo Comando di Legione, quello di Como, che dal

dicembre ’45 amministrerà i Circoli di Como, Varese, Menaggio e

Sondrio, operanti lungo la delicatissima frontiera con la Svizzera, che

dal 1906 si trovavano alle dipendenze della Legione di Milano23. Lo

schieramento verrà, infine, completato nel 1973, con la ricostituzione

della Legione di Trieste, articolata nei Gruppi di Trieste, Trieste Porto,

Gorizia e Stazione Navale di Trieste. a partire, infine, dal 1954, la

vigilanza anticontrabbando delle frontiere alpine s’avvalse di un

nuovo e più efficace strumento: il mezzo aereo, utilizzato anche per la

salvaguardia della vita umana, in concorso con gli ancora numerosi

piccoli reparti del Corpo che solo verso la metà degli anni ’90 del

Novecento inizieranno a diminuire, cedendo il passo inizialmente alla

tecnologia, con l’uso variegato del mezzo terrestre, ed in seguito agli

23 La Legione di Como fu istituita con D.M. 11 dicembre 1945.

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accordi europei che via via hanno decretato quella che agilmente

potremmo definire la “smilitarizzazione doganale” delle frontiere.

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Gen. D. Salvatore Golino

L’uso delle armi nel servizio anticontrabbando

1. PREMESSA

Il tema oggetto della mia relazione può suscitare interesse sotto un

duplice profilo:

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• per rivedere un pezzo di storia della Guardia di Finanza attraverso

l’esame di una legge che rimarcò la rilevanza di un fenomeno

economico-sociale di vaste proporzioni;

• per valutare l’importanza che si attribuiva a fatti lontani nel tempo

e che non presentano ormai alcun motivo di allarme anche sul

piano dell’antigiuridicità.

Parleremo della legge 4 marzo 1958, n. 100, che consentiva (e

consente, perché tuttora in vigore) di fare uso delle armi da parte di

militari della Guardia di Finanza, nella zona di vigilanza doganale,

verso persone in attitudine di contrabbando di tabacchi lavorati esteri

attraverso la frontiera, sempre che si verifichino determinate

condizioni.

La prima sorpresa deriva dal fatto che si tratta di una legge tuttora in

vigore, atteso che per effetto del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 è

stata inserita fra le disposizioni legislative statali, pubblicate

anteriormente al 1 gennaio 1970, delle quali si ritiene indispensabile la

permanenza in vigore.

Dico ciò perché oggi sarebbe impensabile ricorrere all’uso delle armi

per un reato che, tutto sommato, non desta particolare allarme sociale

e che, comunque, viene contrastato con altri mezzi, essendo anche

cambiate le modalità con le quali viene attualmente perpetrato.

2. PRECEDENTI STORICI

La possibilità di prevedere una causa di giustificazione per i pubblici

ufficiali che ricorressero all’uso delle armi nell’esercizio di un loro

dovere di ufficio fu prevista per la prima volta nel codice Rocco del

1930. Prima di allora e, quindi, sotto la vigenza del codice Zanardelli

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del 1889 la tradizione giuridica italiana prevedeva un regime paritario,

in materia di scriminanti, tra cittadini e autorità pubblica: sicché i

pubblici ufficiali potevano fare legittimamente uso delle armi negli

stessi casi previsti per i privati cittadini, e cioè per legittima difesa o

per stato di necessità.

Con il codice Rocco del 1930 si intesero superare delle incertezze

giurisprudenziali sull’uso delle armi contro atti di ribellione

all’autorità e si previde, nell’art. 53 c.p., l’uso legittimo delle armi da

parte dei pubblici ufficiali che, nell’adempimento di un dovere del

loro ufficio, facessero uso delle armi per vincere una violenza o

respingere una resistenza. Questa norma è stata poi modificata nel

1975 per legittimare l’uso delle armi, pur in assenza di violenza o

resistenza, allo scopo di impedire la consumazione di determinati

gravissimi reati, tassativamente elencati, quali i reati di strage,

omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina a mano

armata, ecc..

Ma già prima del 1930 erano state emanate leggi speciali che

prevedevano l’uso delle armi da parte delle “Guardie doganali”

impiegate nella vigilanza alla frontiera. Con il R. Decreto 13

novembre 1862, n. 989 veniva approvato il Regolamento organico del

Corpo delle Guardie doganali, che all’art. 40 prevedeva che le Guardie

di ogni grado ed i mozzi potevano far uso delle armi nei seguenti casi:

• nei servizi di pubblica sicurezza;

• per necessaria difesa onde respingere un’aggressione con vie di

fatto;

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• per vincere una violenta resistenza all’esecuzione del loro servizio,

previa però formale intimazione ai resistenti di desistere

dall’opposizione.

Detta norma veniva in sostanza ribadita e confermata nel 1909 e nel

1923, fino a quando con il Regolamento di servizio per il Corpo della

Guardia di Finanza, approvato con regio decreto 6 novembre 1930, n.

1643, si consentì ai militari del Corpo, comandati, in zona di vigilanza

doganale, nei servizi di sentinella, di vedetta, di appostamento e di

perlustrazione di fare legittimamente uso delle armi contro le persone

sorprese in attitudine di contrabbando, previa esecuzione di tutte le

misure di intimidazione volte ad indurre alla desistenza: intimazione

di alt con la voce e con i gesti, ripetute più volte in modo da essere

sicuri di aver richiamato l’attenzione dei soggetti da fermare; altre

misure idonee a seconda delle circostanze di tempo e di luogo;

esplosione di colpi in aria.

Quest’ultima norma, ancora più permissiva della scriminante prevista

dal codice Rocco sull’uso legittimo delle armi, perché prescindeva

dalla sussistenza delle condizioni di vincere una violenza o di

respingere una resistenza, rifletteva chiaramente il carattere autoritario

del regime che l’aveva generato.

Negli anni cinquanta, a seguito di gravi incidenti alla frontiera dovuti

ad un eccessivo uso delle armi verso i contrabbandieri, si pensò di

varare una disciplina legislativa speciale per vietare, in generale,

l’impiego delle armi volto a contrastare il fenomeno ormai dilagante

del contrabbando di tabacchi lavorati esteri, salvo determinati casi

tassativamente indicati. L’intento della legge era, quindi, di limitare e

disciplinare con una normativa più rigorosa e puntuale i pochi e rari

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casi nei quali sarebbe stato consentito il ricorso all’uso delle armi.

Trattandosi di una norma speciale da applicare per i casi non previsti

dal codice penale, dovevano sussistere tutte le condizioni preliminari

previsti dal codice per l’uso legittimo delle armi: necessità ed

inevitabilità, proporzione fra attività di contrasto e attività da

reprimere, e sempre che non fosse possibile un altro mezzo di

coazione di pari efficacia ma meno rischioso (Cass.: 22 settembre

2000, n. 9961).

Peraltro, a partire dagli anni settanta, la riflessione della dottrina

penalistica ha progressivamente sostituito al concetto classico della

proporzionalità, quello del rilievo costituzionale dei beni in conflitto;

si richiede, in sostanza, un bilanciamento dei diritti costituzionalmente

garantiti. In tale ottica, i beni della vita e della integrità fisica si

pongono al vertice della gerarchia dei valori, essendo collocati nelle

norme di apertura (art. 2 Cost.) fra i diritti inviolabili dell’uomo.

E’ il principio dell’estrema ratio, che informava anche Regolamento

organico e di servizio dell’I.R. Guardia di Finanza nelle province

tedesche e galiziane e nel regno Lombardo-Veneto del 1843, laddove,

al § 57, si legge: “Anche nei casi in cui si verificano gli estremi per far

uso delle armi, queste non potranno adoperarsi che nella misura

indispensabilmente necessaria a respingere l’aggressione o a

superare la violenta resistenza. Oltre a ciò si dovrà sempre usare la

precauzione che non ne venga messa in pericolo senza necessità la

vita d’un uomo: per quanto sia conforme ai doveri della Guardia di

Finanza di rendere efficaci e rispettati coll’uso legale delle armi i

servigi che le incombono, altrettanto non deve essa mai perdere di

vista che adoperandola inconsideratamente, per capriccio o

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malvagità, si caricherebbe di grave responsabilità verso Dio e verso

gli uomini, e secondo le circostanze incorrerebbe nelle sanzioni delle

leggi penali generali”.

La legge del 1958 ha carattere sussidiario rispetto alle norme di

valenza generale previste dal codice penale e, quindi, prevede cause di

giustificazione applicabili nei casi in cui non ricorrono i presupposti

per la legittima difesa, per l’uso legittimo delle armi e per lo stato di

necessità. Essa rientra nella previsione di cui al comma 3 dell’art. 53

c.p., che così recita: “La legge determina gli altri casi nei quali è

autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica”.

Sicchè, la legge in questione costituisce una forma speciale di uso

legittimo delle armi, derivando la sua specificità dalla norma di

valenza generale del codice penale.

La discussione in Parlamento sulla proposta di legge del senatore

Spallino, che originariamente voleva limitare l’uso delle armi ai soli

casi previsti dal codice penale, si protrasse per due legislature, con

polemiche molto accese tra coloro che peroravano “le esigenze di

difesa di interessi fondamentali dello Stato” e coloro che si

opponevano, con altrettanto vigore, “alla pena di morte preventiva”

per i contrabbandieri.

Gli oppositori sostenevano in Parlamento che non si possono mettere

sullo stesso piano la vita di un uomo ed una bricolla di sigarette,

concludendo che l’uso delle armi da parte dei militari doveva essere

limitato ai soli casi previsti dal codice penale.

Al termine del travagliato iter parlamentare, fu approvata la legge 4

marzo 1958, n. 100, che prevedeva appunto, in casi eccezionali e

previo adempimento di talune misure di avvertimento e di intimazione

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a desistere, il ricorso all’uso delle armi per bloccare persone in

attitudine di contrabbando attraverso la frontiera.

3. IL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO

Per capire, quindi, il clima nel quale maturò la decisione di emanare

una legge speciale in funzione anticontrabbando bisogna esaminare le

condizioni socio-economiche dell’Italia nel dopo guerra e,

segnatamente, nei primi anni cinquanta, durante i quali si verificarono

profonde trasformazioni di carattere economico e sociale.

Era in atto la trasformazione del sistema produttivo e, quindi, il

passaggio da un’economia agricola ad una economia industriale, con

tutte le implicazioni di carattere sociale che ne derivarono, come il

fenomeno dell’emigrazione dalle Regioni meridionali alle Regioni

settentrionali. Nel Mezzogiorno, tra la fine degli anni quaranta e i

primi anni cinquanta la povertà era molto diffusa. E’ significativa, a

questo proposito, una sentenza della Corte di Cassazione del 15

giugno 1960, n. 1052, nella quale si disquisisce sulla natura

dell’illecito derivante dalla vendita di tabacco ricavato dalle cicche di

sigarette abbandonate dal fumatore, sotto il profilo della legge sul

monopolio dei tabacchi lavorati.

In quell’epoca il bilancio dello Stato era di dimensioni molto ridotte,

nel 1958 le entrate ammontavano a 3.387 miliardi di lire ed erano

costituite prevalentemente dalle imposte indirette sugli affari e sui

consumi, che rappresentavano il 63% del totale, mentre le imposte

dirette sul reddito e sul patrimonio rappresentavano appena il 28%.

Una gran parte dei proventi erariali derivava dalle imposte indirette in

genere, prima fra tutte l’I.G.E., dai monopoli dei tabacchi, dai diritti di

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confine, dalle imposte di fabbricazione (alcol, benzina, ecc…..). Ciò si

spiega con la più semplice esazione delle imposte indirette e con la

struttura ridotta dell’apparato dei controlli in materia di imposte

dirette, il che rendeva più facile l’evasione di queste imposte e il

conseguente ricorso da parte dello Stato alle imposte indirette. D’altra

parte, all’epoca, non c’era ancora l’attuale sistema di protezione

sociale, il c.d. welfare, per cui la spesa pubblica era limitata ad

assicurare la prestazione dei servizi pubblici essenziali.

L’anno che segnò il c.d. boom economico è il 1960, nel quale si

registrò il PIL più alto della storia e con incrementi, nel primo

semestre, del 17% della produzione industriale e del 40% delle

esportazioni. La pressione fiscale era del 23%. Taluni sostengono che

il boom di quegli anni derivò dalla bassa pressione fiscale e dalla

rilevante evasione delle imposte dirette.

Solo con la riforma Vanoni del 1951 e con la legge Tremelloni del

1956 si varò una prima architettura sulla quale si sarebbe poi

sviluppata e potenziata la tassazione sul reddito, culminata nella

riforma degli anni 1972/1973.

4. L’ ENTITÀ DEL FENOMENO DEL CONTRABBANDO

In questa situazione dei conti pubblici, la sottrazione di gettito che

comportava un’attività di contrabbando massiccia e pervasiva,

esercitata su tutta la frontiera terrestre e marittima da potenti

organizzazioni criminali che disponevano di ingenti mezzi finanziari,

rappresentava un serio pericolo per le finanze statali. Lungo la

frontiera con la Svizzera negli anni cinquanta si operavano in media

300 fermi mensili, con un incremento esponenziale negli anni sessanta

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163

e nei primi anni settanta, dovuto soprattutto al contrabbando lungo la

frontiera marittima, che consentiva lo sbarco di ingenti quantitativi di

tabacchi esteri. Si trattava di un fenomeno imponente che faceva capo

a “holding” internazionali del crimine con varie ramificazioni, che

dagli Stati Uniti e dal Nord-Europa acquistavano ingenti quantitativi

di sigarette del valore di decine di miliardi di lire per introdurli

clandestinamente nel territorio nazionale.

In queste condizioni, l’attività di contrasto al contrabbando di tabacchi

lavorati esteri lungo il confine svizzero, particolarmente pericoloso

per le caratteristiche orografiche del terreno, rappresentò una esigenza

prioritaria, il cui peso si riversò interamente sul Corpo di polizia che

per vocazione e per tradizione era deputato al controllo militare e

doganale delle frontiere.

La Guardia di Finanza fu, quindi, chiamata ad attrezzarsi per opporsi

al dilagare dell’invasione di merci introdotte in contrabbando, sia con

l’allestimento di una consistente flotta di natanti in grado di affrontare

il mare anche in avverse condizioni meteo, sia con un presidio

massiccio e permanente di militari dislocati in piccoli reparti lungo il

confine con la Svizzera, più esposto e più favorevole al transito

clandestino. Negli anni cinquanta furono messi in linea i primi

elicotteri per l’attività di ricognizione e di avvistamento lungo il

vastissimo confine marittimo e terrestre. Allo stesso periodo risale

l’impiego dei primi cani addestrati per fermare persone in attitudine di

contrabbando, in alternativa all’uso delle armi. Si trattò di una felice

iniziativa, che poi ha avuto la sua più efficace applicazione nella

repressione del traffico di sostanze stupefacenti.

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Per quanto riguarda il territorio nazionale immediatamente a ridosso

del confine (la zona di vigilanza doganale terrestre larga 10 km dalla

linea di confine e 5 km dal lido del mare verso l’interno del territorio)

nel quale possono essere esercitati particolari poteri per il controllo

delle merci di provenienza estera (ricordo, tra tutti, l’inverisone

dell’onere della prova), il Corpo si dotò di autovetture da

inseguimento, in modo da costituire una seconda linea di contrasto per

intercettare le merci che, superato il confine, venivano poi trasportate

con automezzi veloci lungo le rotabili nei mercati di smistamento e di

consumo.

Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno basta considerare che

venivano introdotte dalla Svizzera, molto tollerante (per usare un

eufemismo) nei confronti dei contrabbandieri, anche per i vantaggi

economici che derivavano alla Confederazione dalla loro attività, le

merci più varie e disparate, oltre a quelle nettamente preponderanti per

quantità: i tabacchi lavorati esteri ed il caffè. Attraverso quel confine

venivano, infatti, introdotti: orologi, argento grezzo in grani,

accendini, cioccolato, pietrine focaie, persino puntine di metallo per

penne a biro.

5. LE FINALITÀ DELLA LEGGE N. 100/1958

In questa situazione, che potremmo definire di emergenza, si pensò

anche di predisporre gli strumenti giuridici per favorire e rafforzare

l’attività di contrasto e per affermare la supremazia della legge contro

coloro che la violavano giornalmente e talvolta con atteggiamenti di

resistenza attiva, se non proprio di violenza contro i militari, evitando

al tempo stesso abusi e perdite di vite umane.

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Si pensi alla forza di intimidazione che può esercitare, di notte e in

montagna, una colonna costituita da 30/40 spalloni nei confronti di

una pattuglia isolata e costituita da due o tre finanzieri. Si ritenne,

quindi, di dotare anche i militari di un sistema di dissuasione in grado

di prevenire atti di violenza e di sopraffazione da parte di soggetti che

operavano in numero nettamente preponderante o con atteggiamenti di

violenza o, quanto meno, di resistenza attiva nei confronti dei pubblici

ufficiali in attività di servizio per la repressione del contrabbando. Si

pensò, quindi, di regolare con una normativa rigorosa e puntuale l’uso

delle armi, prevedendo tassativamente i casi nei quali poteva essere

invocata una causa di giustificazione, che escludesse l’antigiuridicità

del fatto, ancorché teoricamente riconducibile ad una fattispecie

penalmente rilevante.

La ratio che informava la legge era l’esigenza, da un lato, di evitare

un facile ricorso all’uso delle armi, dall’altro, di dotare i militari di un

mezzo estremo a tutela della loro incolumità e degli interessi erariali.

In verità, la legge trovò applicazione in rarissimi casi e in circostanze

di particolare pericolo per l’incolumità dei militari, tanto da poter

ricondurre, nella gran parte dei casi, il loro operato alla fattispecie

della legittima difesa o dell’uso legittimo delle armi.

Infatti, tutte le disposizioni operative di dettaglio erano improntate a

principi di estrema prudenza ed equilibrio anche per evitare reazioni

della popolazione locale, che non vedeva nel contrabbando un

comportamento moralmente disdicevole. Ciò rendeva ancora più

difficile l’operato dei finanzieri, che erano costretti ad agire in un

contesto ostile e caratterizzato da una giustificazione preconcetta a

favore “della povera gente” che ricorreva ad una forma di commercio

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vietato dalla legge ma giustificato dalle miserevoli condizioni di vita

delle popolazioni di confine. Anche il Clero, i Parlamentari, le

Autorità locali e, soprattutto, gli organi di stampa locali erano

propensi ad un atteggiamento di tolleranza e comunque contrari ad atti

di coazione che prevedessero l’uso di armi da fuoco.

Dalla “Lettera aperta ai Finanzieri”, pubblicata su “La Provincia” del

22 giugno 1952: “ Poi venne il ventennio, che anche in questa materia

volle essere maschio e guerriero e perentorio……….. A voi, ubbidienti

esecutori di ordini iniqui, venne tutto il peso dell’impopolarità: e ciò

non è giusto poiché chi uccide lo spallone non è il milite che, stanco e

snervato dalla notte di appostamento in luoghi selvatici, preme il

grilletto del suo mitra, ma il burocrate romano, il legislatore romano

che non ha voluto mettere fra le leggi da abrogare, perché frutto e

arma di tirannide, anche la legge che condanna a morte, a metà del

ventesimo secolo, il contrabbandiere.

Ed ora, cari amici finanzieri, bravi ragazzi di ogni parte d’Italia che

siete comandati alla frontiera per difendere gli interessi dello Stato,

ponetevi una mano sulla coscienza:…………..abbiamo appreso che il

vostro Corpo è sotto la protezione di un Santo, S. Matteo, che da

gabelliere passò al seguito del Messia; chiedete, dunque, a S. Matteo,

che vi illumini e vi guidi quando vi trovate di fronte a quattro o cinque

rozzi e spauriti montanari con bricolla. Lasciarli passare, no

assolutamente: fermateli come potete, ma lasciate stare il mitra! Il

mitra è birbone, voi credete di scaricarlo contro le nuvole e magari

una pallottola rimbalza contro una nuvola e finisce nella groppa di un

contrabbandiere fuggente….. E poi? Poi la Giustizia,che non soffre di

simpatie e antipatie, prende quel morto e vuol sapere perché lo hanno

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ucciso. E voi finite in carcere, malgrado le circolari del Direttore

generale che se ne sta a Roma…….”

6. IL TESTO DELLA LEGGE E LE REAZIONI IN PARLAMENTO

Ma vediamo ora cosa dispone la legge in questione.

6.1. La legge esordisce all’art. 1 stabilendo il divieto, di valenza

generale, di far uso delle armi da parte di ufficiali e agenti di P.G.

(cioè tutti) in servizio di repressione del contrabbando in zona di

vigilanza doganale, fatta eccezione per i casi di legittima difesa (art 52

c.p.), di uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.) di stato di necessità (art.

54 c.p.) e quando:

a) il contrabbandiere sia armato palesemente;

b) il contrabbando sia compiuto in tempo di notte;

c) i contrabbandieri agiscano raggruppati in non meno di tre persone.

Si tratta quindi di condizioni tassative, ma alternative, che possono

legittimare l’uso delle armi da parte degli agenti comandati “in

servizio di repressione del contrabbando in zona di vigilanza

doganale”, anche al di fuori dei casi previsti dal codice penale sopra

citati, e, in particolare, quando non si riscontra la necessità di

respingere una violenza o di vincere una resistenza, secondo la norma

di cui all’art. 53 c.p. Anche se non espressamente detto, si deve

ritenere che questa norma si riferisca alla zona di vigilanza doganale

terrestre, perché nel successivo art. 6, che riguarda la zona di vigilanza

doganale marittima, si prevede che l’uso delle armi “non è vietato” se

le imbarcazioni non ottemperano alle intimazioni di fermo, che di

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notte vanno eseguite anche con segnali luminosi, previa esplosione di

almeno tre colpi in aria.

Su questo primo articolo si obiettò, durante la discussione in

Parlamento, che prevedere l’uso delle armi solo perché il

contrabbando veniva esercitato in tempo di notte non trovava alcuna

valida giustificazione, sia perché di solito i contrabbandieri agivano in

tempo di notte, sia perché al buio e in ambiente di montagna è

estremamente pericoloso esplodere colpi di intimidazione e di

avvertimento, senza correre il rischio di colpire le persone a causa

della irregolare conformazione del terreno. A maggior ragione, non si

doveva ammettere il ricorso alle armi quando le persone in attività di

contrabbando agivano in non meno di tre, considerato che il numero

non costituisce di per sé una situazione di pericolo per l’incolumità dei

militari.

6.2. Nell’art. 2 si fa divieto dell’impiego delle armi quando il

contrabbandiere si dà alla fuga e abbandona il carico. Su questa norma

la discussione in Parlamento fu particolarmente accesa per la strenua

opposizione di coloro che erano contrari a consentire l’impiego delle

armi nei confronti del contrabbandiere in fuga che però non

abbandona il carico, soprattutto alla luce di una uccisione avvenuta in

quel periodo ai danni di un giovane che stava portando in casa una

bricolla di sigarette. Sotto questo aspetto, la norma è più permissiva

delle norme previgenti, atteso che l’uso delle armi era precluso in caso

di desistenza del contrabbandiere che, per esempio, si dava alla fuga

verso il confine pur mantenendo il possesso del carico.

In effetti, sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte,

consolidatasi in periodi successivi e fino ad oggi, la fuga del

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malvivente che ha consumato un reato è considerata resistenza passiva

e rappresenta una situazione che impedisce al pubblico ufficiale l’uso

legittimo delle armi agli effetti dell’art. 53 del c.p., salvo che si profili

un pericolo per l’incolumità degli agenti o di terzi che potrebbero

essere coinvolti nella vicenda, come nel caso che l’autore del reato,

fuggendo, mantenga il possesso dell’arma.

La resistenza posta in essere con la fuga, infatti, determina la

mancanza del rapporto di proporzione tra l’uso dell’arma e il carattere

non violento della resistenza opposta. Su questo aspetto esiste una

copiosa giurisprudenza concorde della Suprema Corte, che ha ribadito

più volte questo principio in occasione di processi nei confronti di

agenti delle Forze dell’ordine che avevano aperto il fuoco in direzione

di autovetture il cui conducente non aveva ottemperato alle

intimazioni di alt.

Questo impedimento sussiste anche quando il rapinatore fugge con la

refurtiva ma dopo aver abbandonato l’arma di cui si è avvalso per

commettere il reato.

Alla luce di quanto sopra, sarebbe ora considerato illecito far fuoco

verso un contrabbandiere che fugge con il suo carico e si correrebbe il

rischio di essere incriminati per omicidio. Naturalmente, si tratta di

una caso scolastico, atteso che quelle modalità di esercitare il

contrabbando sono ormai desuete, anche nel caso di sostanze

stupefanti, che vengono introdotte clandestinamente in modo

intraispettivo, cioè eludendo i controlli presso i valichi di frontiera

autorizzati.

Tuttavia, in questo caso, si potrebbe prospettare, ai sensi dell’art. 158,

ultimo comma, del regio decreto 773/1931 (TULPS), un uso legittimo

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delle armi per impedire i passaggi abusivi di trafficanti che tentassero

di forzare i valichi di frontiera e, dunque, per il contrasto di una

condotta attiva invasiva e non di fuga. Ma si tratta di una causa di

giustificazione prevista da un’altra norma di legge: il Testo Unico

delle leggi di pubblica sicurezza.

6.3. Nell’art. 3 la norma così recita: “L’uso delle armi non è vietato

contro gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto veloci quando i

conducenti non ottemperino all’intimazione di fermo e i militari non

abbiano la possibilità di raggiungerli”.

In questo caso si tratta di una norma dalla formulazione ambigua che

ha portato, in passato, ad incidenti talvolta gravi per una errata

interpretazione della stessa. E, comunque, l’attuale indirizzo

giurisprudenziale esclude che una pattuglia appiedata possa usare le

armi in direzione di un’autovettura il cui conducente non abbia

ottemperato alle intimazioni di fermo. E’, quindi, una norma da

considerare desueta per il rilievo nettamente preminente del diritto alla

vita rispetto a qualsiasi altro interesse riconducibile all’affermazione

dell’Autorità dello Stato e del rispetto della legge.

E’, inoltre, da escludere l’uso delle armi per le pattuglie dotate di

automezzi idonei ad inseguire coloro che non ottemperino alle

intimazioni di fermo, ancorché si tratti di mezzi meno potenti rispetto

a quelli usati dai malviventi. Per questo motivo dagli anni cinquanta si

pensò si predisporre blocchi stradali occulti con l’impiego di catene

chiodate per fermare gli automezzi fuggitivi. Naturalmente, si trattava

di un sistema al limite della legalità per il pericolo di coinvolgere altri

utenti della strada, ma che comunque evitava pericolosissimi

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inseguimenti con attraversamento ad alta velocità di centri abitati e

con i gravi pericoli insiti in questo tipo di contrasto.

In quel periodo il numero delle vittime per incidenti stradali, sia per i

militari della Guardia di Finanza sia per i contrabbandieri, fu di gran

lunga più alto delle vittime causate dall’uso delle armi, che, ripetiamo,

fu episodico e di dimensioni irrilevanti, anche per effetto di rigorose

direttive impartite dal Corpo per indurre i militari a desistere

dall’azione di contrasto nei casi nei quali non era possibile fermare i

soggetti in attitudine di contrabbando, piuttosto che ricorrere alle armi.

È una lotta che si protrae per oltre un trentennio, segnato da gravi

incidenti a danno dei contrabbandieri e dei finanzieri che persero la

vita nelle circostanze più imprevedibili e disparate, finché il cambio

sfavorevole del franco svizzero e l’avvento di traffici molto più

pericolosi e redditizi, aventi per oggetto sostanze stupefacenti, resero

via via meno remunerativo il contrabbando di tabacchi lavorati esteri.

In conclusione, si può affermare che la legge sull’uso delle armi, al di

là di quanto in essa previsto, è stata sempre applicata con estremo

rigore e prudenza, tenendo presente l’assoluta preminenza del diritto

alla vita rispetto a qualsiasi altro diritto ancorché di rilevanza

costituzionale. Si è anticipato quanto poi maturato in giurisprudenza e

in dottrina circa il necessario bilanciamento fra interessi in gioco,

salvaguardando sempre e comunque il diritto all’incolumità personale

di qualsiasi soggetto, salvo i casi nei quali fosse stata messa in

pericolo anche l’incolumità dei finanzieri, valorosi servitori dello

Stato, meritevoli di altrettanta tutela.

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Gen. C.A. Mauro Michelacci

Il contrabbando di caffè al confine alpestre

1. PREMESSA

Buon pomeriggio, desidero innanzitutto porgere un cordiale saluto a

tutti gli intervenuti ed esprimere un sentito ringraziamento in

particolare al Generale Luciani per l’invito rivoltomi che mi offre

l’occasione di fornire un contributo nell’ambito di questo importante

convegno.

Prima di parlare dell’oggetto del mio intervento, è d’obbligo

premettere che il contrabbando rievoca in me, come credo in ogni

finanziere particolari ricordi e profondi sentimenti risalenti a un’epoca

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in cui il contrabbando si poteva definire più “genuino” o che alcuni

scrittori definiscono, forse esagerando un po’, addirittura “romantico”.

Tali ricordi e siffatti sentimenti sono peraltro ben rappresentati anche

da un’ampia filmografia e produzione musicale nazionale.

L’Adelina-Sofia Loren del film “Ieri, oggi, domani” di Vittorio De

Sica che piazza un banchetto e vende sigarette nei vicoli di Napoli è

l’icona evidente di quella Napoli e dell’Italia di quegli anni.

Quella pellicola del 1963 racconta la vera storia di Concetta

MUCCARDI che continuò la sua attività fino alla morte, all’età di 78

anni, nel 2000, epoca in cui io ho prestato servizio proprio a Napoli

quale Comandante della ex Xa Legione, prima e Comandante

Regionale, poi, fino al 2003.

Oppure mi sovviene alla memoria la famosa canzone di Ivan Graziani

“Lugano addio”, dove il cantante, nipote di un finanziere, canta

riferendosi all’immaginaria Marta “tu mi parlavi di frontiere di

finanzieri e contrabbando mi scaldavo ai tuoi racconti”.

Inoltre, come non ricordare i finanzieri che negli anni ’50 e ’60 e fino

ai primi anni ’70 trascorrevano le notti a ridosso del confine in attesa

degli “spalloni”, di coloro cioè che trasportavano in contrabbando

merce di ogni genere (sigarette, caffè, alcolici, ecc.).

E poi, gli anni, come dicevo ’70 caratterizzati, invece, dagli

inseguimenti a bordo delle nostre “alfa” per contrastare il traffico di

sigarette, anni in cui ho vissuto da Tenente episodi davvero nostalgici,

prima quale Comandante della allora Tenenza di Dongo e, quindi,

della Sezione Operativa della Compagnia di Ponte Tresa, con l’allora

Magg. Luciani, Comandante del locale Gruppo.

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E ancora gli anni ’80 e ’90 che, sempre a contrasto del contrabbando

di sigarette, hanno visto la G. di F. protagonista dapprima nella cattura

dei motoscafi veloci che tentavano di forzare il dispositivo di

vigilanza marittimo nelle acque del canale d’Otranto e lungo le coste

pugliesi e quindi di grandi navi sequestrate, proprio dai miei Reparti

nel golfo di Napoli.

Oggi, come noto, il contrabbando ha assunto dimensioni

transnazionali e rappresenta un fenomeno di accresciuta pericolosità

economica, finanziaria e fiscale, perché in grado di sottrarre ingenti

risorse al bilancio nazionale e a quello dell’Unione Europea e di

finanziare in modo rilevante l’attività delle organizzazioni criminali.

Il contrabbando, in sintesi, è un delitto commesso da chi, con un

comportamento doloso e, quindi, cosciente e volontario, sottrae o tenta

di sottrarre merci estere al pagamento dei diritti di confine.

Lo stesso costituisce, peraltro, un fenomeno criminale in continua

evoluzione che assume forme sempre nuove, attraverso continue e

rapide trasformazioni che impongono alla Guardia di Finanza

l’adozione di adeguate e innovative strategie di contrasto.

2. LE CAUSE E GLI STRUMENTI DEL CONTRABBANDO

Nei primi anni del XX secolo, il fenomeno, naturalmente oltre che via

mare, continuò a diffondersi via terra ai confini alpestri con la

Svizzera, territori che conoscono sicuramente le storie di

contrabbando forse più note.

Infatti, non dobbiamo dimenticare che la frontiera terrestre tra il

nostro Paese e la Confederazione elvetica si estende per ben 740 km,

iniziando con il monte Dolent nella parte settentrionale del monte

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Bianco, dove è collocata la triplice frontiera tra la Francia, l’Italia e la

Svizzera e termina ad est con una seconda triplice frontiera tra

l’Austria, l’Italia e la Svizzera.

Territori quali l’Ossola, il Ticino, il Vallese, la Valtellina, la

Valchiavenna, la provincia varesotta e comasca (in particolare con le

città di Como, Drezzo, Faloppio, Olgiate Comasco, Rodero, Ronago,

Uggiate Trevano, Maslianico, Bizzarone, Cavallasca, Ponte Chiasso,

Villa Guardia Lomazzo, ma anche Ponte Tresa, Luino, Clivio,

Cantello) assistevano al passaggio quasi quotidiano dei famosi

“spalloni” che portavano, nelle pesanti “bricolle”, merce di vario

genere in entrambi i sensi di marcia.

In effetti la povertà, da una parte e dall’altra della frontiera,

costringeva la popolazione a ricorrere a tali piccoli traffici, come

forma di economia parallela e talvolta di sopravvivenza.

Basti pensare che prima del secondo conflitto mondiale un viaggio tra

la Svizzera e l’Italia con un sacco da trenta chili di caffè poteva far

guadagnare ben sei lire, una cifra rilevante per quell’epoca!

L’emigrazione e il contrabbando ricevettero all’epoca un progressivo

impulso da una serie di misure “accessorie” imposte dal regime

fascista e dalle ripercussioni delle sue disgraziate avventure coloniali.

La chiusura delle frontiere e le merci gravate da dazi crearono così la

situazione ideale per lo sviluppo del contrabbando.

3. IL CONTRABBANDO DI CAFFÈ

Nel nostro Paese, fin dal 1919 vigeva il monopolio sul caffè e tale

prodotto, una volta sbarcato nei porti europei, compiva tragitti

davvero singolari per giungere, poi, illegalmente a destinazione.

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Ercole Guarisco, un contrabbandiere di Bognanco, nel Verbano,

affermava: “lo scaricavano dalle navi a Genova; da lì passava in

Svizzera per il Gottardo; e rientrava in Italia sulle nostre spalle,

attraverso il passo del Monscera”.

Il caffè veniva inizialmente importato in contrabbando, crudo, e

tostato con il “tostin” che ogni famiglia di quelle zone di confine

aveva in casa, anche se doveva prestare attenzione, perché l’aroma del

caffè tostato, si percepiva a distanza con il rischio che i finanzieri

arrivassero subito in casa per i relativi controlli.

Allora il caffè, per il suo pregio, era considerato come se fosse “oro

nero” e con l’avvento dell’autarchia, durante il periodo fascista, le

famiglie furono costrette ad arrangiarsi sempre di più.

Chi non poteva permetterselo, tostava addirittura le ghiande di rovere

e poi le macinava, ovvero ricorreva alla cicoria essiccata, con risultati

facilmente intuibili.

Per dare un’idea delle persone coinvolte, all’epoca, nei traffici di caffè

è sufficiente rilevare che, tra il 1930 e il 1939, le persone giudicate per

reati di contrabbando dal Tribunale di Pallanza, nell’odierna provincia

di Verbano Cusio Ossola, furono 794, con una punta di 148 imputati

nel 1937, cifra questa sicuramente parziale considerando che non tutti

i contrabbandieri finivano sempre nella rete dei controlli della Guardia

di Finanza.

La forma più diffusa nelle modalità del contrabbando era quella del

sacco diviso in due cilindri, ottenuti cucendolo a metà per tutta la

lunghezza; in questo modo, la spina dorsale non veniva direttamente

interessata dalla pressione dei chicchi, si dava maggiore rigidità al

carico, e si rendeva, per quanto possibile, meno gravoso il trasporto.

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L’inverno, poi, aggiungeva disagi e rischi ai viaggi, ma i

contrabbandieri, almeno i più tenaci, si adeguavano al tempo con

racchette, abiti pesanti, scarponi chiodati e piccozza; in alcuni casi si

muovevano anche con l’ausilio degli sci.

I carichi sequestrati ad ogni spallone fermato variavano da pochi chili

fino a oltre 35.

Quanto al margine di guadagno, da una sentenza del 1932 si rileva, ad

esempio, che il caffè sequestrato era stato acquistato a lire 16 al

chilogrammo, laddove solo il dazio sarebbe stato di lire 17,60.

Quanto ai rischi, invece, si poteva finire processati per contrabbando

anche per quantità minime di merce, quelle cioè che venivano trovate

addosso o in casa agli incauti acquirenti finali.

Per esempio una sentenza del 1936 ricostruisce il quadro di povertà

entro cui il contrabbando si svolgeva.

Agli atti processuali a carico di una coppia di Falmenta (VB) si legge

che: “oltreché per il rinvenimento nel di lei possesso di beni

contrabbandati, anche per la stessa sua ammissione di aver ricevuto il

caffè da una sconosciuta della Val Vigezzo in cambio di un sacchetto

di castagne secche”.

Inizialmente, il caffè di contrabbando veniva introdotto in Italia crudo:

serviva in prevalenza per i consumi della zona e veniva torrefatto in

piccoli quantitativi, a livello familiare.

In genere il compito degli “spalloni” si concludeva nelle stalle

deposito poste attorno ai paesi, mentre il viaggio del caffè ovviamente

proseguiva con i mezzi più disparati.

Quanto al contrasto, lo zelo con cui la Guardia di Finanza cercava di

reprimerne il contrabbando era encomiabile, anche se durante il

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regime fascista i suoi compiti spesso si sovrapponevano a quelli della

neonata milizia confinaria.

La milizia, a differenza dell’origine meridionale della gran parte dei

finanzieri, era spesso costituita da personale settentrionale o del luogo

e, per tale motivo, evidentemente più indulgente verso i cittadini

locali.

A titolo indicativo, andando avanti negli anni ed esaminando i dati dei

sequestri di caffè e tabacchi effettuati, tra il 1966 e il 1993, dalla

dogana Svizzera a Campocologno e Viano in esportazione verso

Tirano (SO), emerge che gli sdoganamenti di tali prodotti verso

l’Italia andarono progressivamente aumentando fino alla metà degli

anni ’70; nel 1966, per esempio, a Campocologno furono sdoganati

6.459 tonnellate di caffè e circa 295 tonnellate di tabacchi, a Viano

oltre 1.600 tonnellate di caffè e 22 tonnellate di tabacchi, l’anno

successivo 1.378 tonnellate di caffè e 285 tonnellate di tabacchi a

Campocologno.

Nel 1970 a Campocologno furono sdoganati 5.275 tonnellate di caffè

e 589 tonnellate di tabacchi, mentre a Viano 5.095 tonnellate di caffè e

solo 92 kg. di tabacchi.

Il lavoro di sdoganamento della dogana Svizzera presso i citati valichi

di confine andò, invece, diminuendo vistosamente intorno alla metà

degli anni ’70.

Sul fronte italiano i funzionari della dogana e i finanzieri svolgevano

al meglio il loro lavoro, ma era raro che all’intimazione dell’alt dei

finanzieri i contrabbandieri si fermassero; sui verbali si evidenzia

costantemente l’intimazione del fermo, contrabbandiere che “molla” il

sacco, colpo in aria, contrabbandiere che fugge.

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In alcuni casi vi furono anche veri e propri conflitti a fuoco tra

contrabbandieri e finanzieri.

Tale Schmid di Agaro, originario forse della Svizzera,

contrabbandiere e bracconiere a tempo pieno, era noto e temuto, per la

sua confidenza con le armi, il suo coraggio e la spavalderia delle sue

provocazioni; famoso fu il suo tiro al bersaglio di cui fu oggetto la

bottiglia di due allibiti finanzieri al Passo della Rossa (VB), anche se

si trattava comunque di una provocazione rara per l’epoca.

Un personaggio leggendario del contrabbando ossolano e vigezzino

fu, invece, un certo Bartolomeo Pietro Margaroli da Mozzio, classe

1888, detto il “Negus”, una figura a suo modo mitizzata, in un

ambiente dove il contrabbando costituiva consolidata tradizione e

ragione spesso di sopravvivenza.

Il “ Negus”, gestiva tuttavia quello che oggi verrebbe definito il

“ racket” del caffè.

A lui toccavano i contatti con i fornitori oltreconfine, i pagamenti

(della merce e degli “spalloni”), e i rapporti, non sempre facili, con i

ricettatori.

Delle sue gesta parlano numerosi atti giudiziari dell’epoca.

Per esempio, una volta il “Negus” fu accusato di contrabbando di 180

chili di caffè, ma negò ogni accusa, mentre tale Cervo Antonio,

anch’egli noto contrabbandiere, accusò se stesso.

Cosicché il “Negus”, in quel caso se la cavò, per modo di dire, con

una dichiarazione di colpevolezza per contrabbando semplice e fu

condannato al pagamento di 7.000 lire di multa.

Dalla seconda metà degli anni ’50 si cominciò invece a importare, in

quantitativi via via crescenti, caffè già torrefatto di qualità inferiore,

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distribuendolo poi in zone gradatamente sempre più ampie del nord

dell’Italia, nei bar e nelle torrefazioni, dove veniva utilizzato per

tagliare caffè di qualità più pregiata.

Nella circoscrizione della 6^ Legione di Como, l’espansione del

contrabbando di caffè fu certamente favorita dalla posizione

geografica di alcuni paesi, perché caratterizzati da numerosi passaggi

di confine, alcuni dei quali abbastanza agevoli e altri meno.

Per esempio, il tiranese era collegato con una fitta rete di vie montane,

ormai in disuso, ma sempre percorribili, che superavano le Orobie, le

valli bergamasche e le valli bresciane.

Nei periodi di blocco delle strade statali a Tresenda ed all’Aprica si

passava dal Passo del Mortirolo, da quello di Guspessa, da Trivigno,

dal Pian di Gembro, dalla Val Belviso.

L’altro fattore essenziale fu la presenza in quelle zone di confine di

manodopera disponibile ed assai esperta, costituita da persone che

avevano esercitato il contrabbando da sempre e che conoscevano alla

perfezione i territori, riducendo in tal modo la possibilità di essere

fermate dai finanzieri.

Peraltro il rischio nel contrabbando di caffè era minore rispetto a

quello delle sigarette, sia per il più basso costo della merce, che

riduceva i danni in caso di sequestro, sia per le minori pene edittali in

caso di condanna e sia, soprattutto, perché si intuì presto che era

possibile aggirare con maggiore facilità le disposizioni doganali, vista

l’indeterminatezza delle norme in materia di caffè.

Infatti, mentre era possibile per la Finanza individuare

immediatamente la provenienza dei tabacchi di contrabbando,

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altrettanto non era per il caffè, che veniva commerciato in sacchi dei

quali non era possibile accertare la provenienza.

Fu, così, elaborato lo strumento che anziché, comprimere, permise

invece un’espansione incontrollata del contrabbando di caffè nelle

zone alpestri.

Tale strumento fu la licenza di commercio di caffè o quello, ancora

più subdolo, della licenza di torrefazione.

Le torrefazioni ebbero uno sviluppo addirittura impensabile: ad

esempio negli anni ’60 furono tra le 15 e le 20 nella sola frazione di

Roncaiola di Tirano (che aveva intorno ai 50 residenti) e circa una

cinquantina nella provincia di Sondrio, quasi tutte gestite, anche

tramite prestanome, da persone di Villa di Tirano, Baruffini e

Roncaiola.

Aperta la torrefazione, tutto diventava relativamente semplice. Si

acquistava con regolare fattura un certo quantitativo di caffè crudo, si

effettuava la sua torrefazione (o, in molti casi, ci si limitava a

sostituirlo con analogo quantitativo di caffè di contrabbando già

torrefatto) e lo si caricava su auto o furgoni che partivano dal tiranese

per tentare la vendita del prodotto in tutto il nord Italia.

L’automezzo giungeva spesso a destinazione senza controlli, si

scaricava la merce in nero e si poteva così riutilizzare la fattura o

bolletta in un successivo viaggio; date in bianco, scritturazioni

confuse, fatture dubbie o false e trucchi del genere facilitavano le

frodi.

Si arrivò addirittura ad acquistare dalle periodiche aste doganali,

grossi quantitativi di caffè spesso deteriorato rivendendone poi i

corrispondenti quantitativi, costituiti però da caffè di contrabbando.

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Si rivelava, pertanto, assai problematico per la Finanza, in caso di

fermo, accertare eventuali irregolarità anche perché non era consentito

l’arresto degli autisti: quando, in un momento successivo, anche a

breve distanza di tempo, si controllavano le torrefazioni, i quantitativi

venivano di norma riscontrati regolari, anche se verosimilmente

perché ricostruiti attraverso complicati giri di fatture o bollette di

dubbia attendibilità.

L’unico rimedio efficace era quello di sequestrare il caffè crudo prima

che entrasse nelle torrefazioni della fascia di confine.

Le località in cui si svolsero le più brillanti operazioni delle Fiamme

Gialle furono prevalentemente il Tiranese, il Bormiese, la

Valchiavenna, il Verbano nonché le strade statali di confine del

comasco e del varesotto.

Da sottolineare in particolare anche la crescente espansione del

fenomeno nella zona di Livigno, nella quale i redditi da contrabbando

costituirono un importante volano per la realizzazione delle strutture

ricettive turistiche.

In quegli anni di boom del contrabbando al confine alpestre vi furono

anche morti tra i finanzieri, come nel corso di una operazione di lunga

durata un servizio di 56 ore consecutive in un clima siberiano, con 20

gradi sotto lo zero, 3 finanzieri furono investiti da una valanga, uno

solo si salvò, anche se dovette essergli amputata una gamba; mentre i

suoi due compagni, perirono.

Nel 1975, ci furono invece un morto e due feriti gravi, a causa di

un’uscita di strada di un’auto della Guardia di Finanza, in prossimità

di Villa di Tirano.

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Da sottolineare, comunque, che gli sforzi dei finanzieri non sempre

erano premiati, perché spesso i procedimenti penali si concludevano

con l’assoluzione degli imputati, e ciò soprattutto per la carenza nelle

disposizioni di legge relative al contrabbando di caffè.

Si fece interprete di questo disagio “l’Eco delle Valli” , giornale della

Valtellina, in un articolo dei primi anni ’60, dal titolo significativo “la

G. di F. sequestra, il Tribunale li assolve”.

Il giornalista sottolineava la necessità di una nuova e più certa

disciplina legislativa relativamente al reato di contrabbando perpetrato

con caffè in modo da evitare, da un lato, processi inutili e, dall’altro la

demotivazione dei finanzieri.

Era innegabile, infatti, che una moltitudine di soggetti si

avvantaggiava della situazione: i contrabbandieri, e con loro avvocati,

i venditori di auto e negozianti in genere tutti, facevano buoni affari

grazie all’indotto di questo fenomeno fraudolento.

Per non parlare poi delle banche locali, per le quali il contrabbando fu

senz’altro, insieme all’attaccamento al risparmio delle popolazioni

della zona, all’origine delle loro fortune.

Nelle periodiche rilevazioni sulla situazione economica delle diverse

province non un cenno era riservato a tale attività; un settore che,

negli anni ’60 e nei primi anni ’70, contribuì alla formazione del PIL

della provincia di Sondrio almeno per il 20-25%.

Nel 1961 venne attivato, per un certo periodo, un posto di blocco fisso

a Tresenda (SO), creando lunghe code di auto con esasperazione di

abitanti e turisti.

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Sommerso dalle critiche il blocco venne tolto e venne sostituito da

quello, ancora peggiore, del controllo accurato per non dire vessatorio,

delle dogane di Piattamala di Tirano e Villa di Chiavenna.

Gli svizzeri, che pure erano cointeressati al traffico, quando era il

momento di chiudere chiudevano! Il vero “stop” al contrabbando si

ebbe infatti nel 1961, quando scoppiò un’epidemia di afta epizzotica:

la Svizzera chiuse le frontiere.

Il contrabbando di caffè si fermò quasi del tutto e come scriveva un

giornale all’epoca: ”la serrata decretata dagli svizzeri, è stata

completa. Gli spalloni dell’Alta Valtellina si sono trovati, da un

giorno all’altro, disoccupati”. Disoccupazione che durò, peraltro,

abbastanza poco: circa un mese dopo la via era già riaperta.

Anche più avanti, nel periodo di maggior espansione del contrabbando

di caffè, gli svizzeri adottarono provvedimenti restrittivi.

Nel 1965 venne infatti vietata dalle autorità del Cantone di Grigioni la

circolazione degli spalloni dalle 22 alle 6 di mattina e proibita la

circolazione del caffè di domenica, nei giorni delle festività nazionali

e di quelle religiose.

In una riunione indetta nello stesso anno (1965) dal Prefetto di

Sondrio le autorità di pubblica sicurezza della provincia cercarono di

mettere in atto un piano d’intervento organico contro il contrabbando;

vennero adottati alcuni provvedimenti - tampone: un po’ di fogli di

via, qualche diffida ai contrabbandieri più noti, una maggior vigilanza

sui pubblici esercizi sospetti, un più incisivo pattugliamento sulle

strade, il rinvio di qualche decina di minorenni in famiglia.

La richiesta di nuove misure legislative che riguardassero

l’importazione del caffè erano comunque ormai nell’aria: già all’inizio

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del 1961 il deputato liberale Trombetta interrogava il Ministro delle

Finanze per conoscere se non ritenesse opportuno di intervenire

finalmente con sistemi e mezzi adeguati per combattere il

contrabbando di caffè, soprattutto nella zona di Tirano.

L’interrogante prospettava, davvero con lungimiranza, per scongiurare

il contrabbando di caffè, una riduzione dell’onere fiscale sul prodotto.

Le persone cominciavano, in effetti, a porsi qualche interrogativo sul

cosa stesse veramente evolvendo il contrabbando e sul permanere

dello stato di necessità che per secoli ne aveva giustificato l’esercizio.

Pochi mesi dopo la menzionata interrogazione parlamentare, il

comitato di presidenza della Federazione Italiana importatori di caffè,

evidentemente preoccupato per le dimensioni che il contrabbando

stava assumendo, oltre che per i danni per i suoi associati, chiedeva

anch’esso una modificazione della legislazione vigente, come detto

lacunosa ed imprecisa e che danneggiava pesantemente la categoria

degli importatori.

Nell’anno successivo (novembre 1962) in una serie di articoli sul

giornale sondriese “l’Ordine” , Giuseppe Mambretti, senza dubbio il

più lucido commentatore di quegli anni, tornava sull’argomento

segnalando che: “la legge relativa il caffè è lacunosa e permette di

legittimare con un capace giro di bollette un quantitativo illegittimo.

Il liberale on. Trombetta ha tuonato alla camera affermando che

l’attuale legislazione è iniqua. Gli hanno dato ragione i suoi colleghi

e la pubblica opinione, ma la legge è rimasta quella che era”.

L’articolista dopo aver fornito alcuni dati complessivi sugli ingenti

sequestri nel periodo, cercava di analizzare proprio le mutazioni, in

corso, del contrabbando.

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Ricordava così le due posizioni contrapposte sull’argomento: “in

alcuni casi il fenomeno fa gridare allo scandalo, in altri porta a

giustificare per intero i contrabbandieri e il loro lavoro suggerendo

considerazioni non sempre veritiere, la nostra è una vallata dove il

contrabbandiere è di casa. Lo spallone, il contrabbandiere, per il

valtellinese, non è un fuorilegge”.

“Subito dopo il secondo conflitto mondiale la valle dell’Adda, specie

l’alta valle, era priva di industrie, valicare la linea di confine con un

carico di caffè o di sigarette era, allora, spesso una necessità. Tutti i

centri della provincia, da Chiavenna a Bormio, possono oggi contare

su complessi industriali.

I posti di lavoro non mancano, le cause che avevano originato il

contrabbando sono sparite o stanno per sparire. Perché gli spalloni, i

contrabbandieri, si sono assuefatti a un tenore di vita condito di

rischio e di forti guadagni, con possibilità di disporre di denaro, auto

e tempo e non vogliono rinunciarvi”.

L’autore prendeva in esame due tipi di contrabbandieri, diceva che

alcuni vivevano come i loro padri, sgobbando dalla mattina a sera,

portando il sacco di notte per comperare, magari, il trattore. Ma erano

poche queste persone.

La maggior parte di essi viveva alla giornata. La vera maggioranza

silenziosa degli spalloni, infatti, anche se meno appariscente,

alimentava i propri risparmi, li convertiva in immobili o li metteva in

banca e taceva, come peraltro l’enorme sviluppo edilizio del periodo e

la floridezza delle banche locali dimostravano in modo evidente.

Il contrabbando del caffè, scriveva il Mambretti nel 1964, “è diventato

una proficua industria, i contrabbandieri per far fronte alla richiesta

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del loro mercato in continua espansione hanno dato vita a pericolosi

fenomeni marginali, creando la categoria degli addetti al

reclutamento che raccolgono nuove leve, in un ambiente fino ad ora

indenne dall’influenza negativa del contrabbando, quello studentesco

del capoluogo e degli altri centri della vallata”.

Per sintetizzare, il fenomeno andava davvero degenerando ed

assumendo caratteristiche sempre più pericolose facendo venir meno

anche le possibili giustificazioni sul piano etico.

Il contrabbando di caffè assumeva in altri termini dimensioni sempre

più preoccupanti. Nel 1965 vennero, ad esempio, individuati ben 100

spalloni che marciavano in colonna e sequestrati 60 sacchi di caffè.

Invece di seguire la naturale via della riduzione dei dazi,

accompagnata da più incisive possibilità di controllo, si scelse di

nuovo quella della pura e semplice repressione.

Arrivò così la tanta sospirata legge n. 344 del 26 maggio 1966, frutto

del disegno di legge del 15 dicembre 1964 del Ministro delle Finanze,

On. Tremelloni.

Se la nuova legge frenò in effetti in un primo periodo il fenomeno,

certo non riuscì a sconfiggerlo, né tanto meno a rimuoverne gli aspetti

patologici. Anzi, aggravando le sanzioni ne favorì una più marcata

criminalizzazione.

Le nuove disposizioni erano, a prima vista, draconiane, ma troppo

complicate; oltre ad aumentare in modo notevolissimo le pene, fu

istituito un rigido sistema di autorizzazioni al commercio e alla

torrefazione del caffè, che prevedeva scritturazioni contabili analitiche

di carico e scarico e la commercializzazione dello stesso solo in

sacchetti di 5 kg., sigillati e con l’etichetta della torrefazione.

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Tutto ciò, se determinò aumenti certi nel prezzo del caffè, non pose

fine ai traffici illeciti. Determinò piuttosto, fino al settembre 1966, un

aumento dei quantitativi introdotti in frode.

Ben presto l’inesauribile fantasia degli operatori individuò nuovi

sistemi di evasione.

Già nei primi mesi del 1967, a San Giacomo di Teglio, in provincia di

Sondrio, i finanzieri facevano irruzione in una abitazione privata e in

un locale rinvenivano tutta quanta l’attrezzatura per insacchettare e la

confezione dei pacchi di caffè da cinque chilogrammi: una macchina

auto punzonatrice e confezionatrice di pacchi, un recipiente

misuratore per insacchettatura, un piccolo silos, punzoni vari,

sacchetti però senza alcuna dicitura, una bilancia con relativi pesi ed

accessori vari oltre a 260 chili di caffè tostato in grani, parti dei quali

già confezionati in sacchetti.

Sempre a San Giacomo, nell’ottobre dello stesso anno, i finanzieri

fermarono una Citroen sulla quale si trovavano 245 kg. di caffè

confezionato in pacchi, infatti le confezioni figuravano

apparentemente regolari, ma ad un più minuzioso controllo risultava

che le etichette dei sacchetti, incollate di fresco, si staccavano

facilmente, veniva pertanto effettuata un’ispezione nella torrefazione

e, dal controllo del registro di carico e scarico, risultò che la merce

doveva essere stata messa in commercio già da circa un mese e

mezzo.

Nel novembre del 1967 vi fu poi un episodio eclatante.

Presso un edificio di Madonna di Tirano vennero sequestrati, insieme

a più di mezza tonnellata di caffè e al solito materiale, un silos per

confezionare sacchetti di caffè, 1 macchinetta rivettatrice normale, 1

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bilancia, 1 macchinetta rivettatrice a mano, 1 timbro con cuscinetto

per la stampigliatura delle sigle e anche altri oggetti, tra cui una

mitragliatrice, una baionetta, 30 candelotti di gelatina esplosiva, 20

cariche di tritolo, 1 mitra Sten, 8 caricatori da 40 colpi, un arsenale in

piena regola.

A Roncaiola vennero addirittura, come scriveva nel 1970 “l’Eco delle

Valli” , trovate persone, che lavoravano sull’aia a confezionare il caffè.

In una serie di articoli del 1969, il solito Mambretti scriveva: “sono

tutti incensurati, hanno il loro contabile, il loro laboratorio funziona,

non è più un ammasso di ferraglia piena di ruggine com’era prima

della legge. Per loro la vita è difficile e si svolge a cronometro. Tanto

caffè se ne va nei sacchetti confezionati con timbro e bollo, tanto ne

deve arrivare ma al momento giusto, non prima che il carico sia

piazzato e non molto dopo, perché un controllo può mandare a monte

parte della copertura ed allora l’acquisto deve essere regolare ed in

questo caso non si parla di guadagno ma di perdita netta. Con la

nuova legge sul caffè i pasticci sono aumentati, il controllo è stato

aggiornato, i piccoli quantitativi fanno aver grane quanto i grandi”.

La nuova legge, lasciava tuttavia inalterati, o quasi, i problemi sociali

legati al contrabbando, soprattutto quello dei minori utilizzati come

spalloni, quello dei trasporti e dei mezzi usati per effettuarli e quello

dei fenomeni di violenza e di corruzione.

Il fenomeno del contrabbando di caffè era ormai entrato, in modo

irreversibile, nella sua fase discendente. Gli adulti si indirizzavano

ormai, quando possibile, verso lavori onesti e lasciavano il campo ai

soli professionisti accompagnati da gruppi di giovani inesperti che

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venivano mandati allo sbaraglio ed erano pertanto i primi ad essere

fermati e denunciati.

Nel 1969, nel pieno del fenomeno, il solito “Gim” (Giuseppe

Mambretti) scriveva che anche gli autisti dovevano essere giovani e si

dividevano in due categorie: quelli d’assalto e i signorini.

Ai primi spettavano i trasporti pericolosi, scoperti, ove o si passava

per il blocco rischiando l’osso del collo, o si fuggiva per abbandonare

l’auto. Agli altri toccava invece il gioco sottile, quello del

doppiofondo con la divisa da turista, da commerciante, da commesso

viaggiatore.

Quanto ai viaggi d’assalto, in caso di posto di blocco con catena, la

fuga restava di solito l’unica via.

Il copione era sempre lo stesso: il contrabbandiere alla guida dell’auto

arrestava bruscamente il mezzo e si dava alla fuga per le campagne,

inseguito dalla Guardia di Finanza.

Fughe notturne, caroselli cittadini, stridore di gomme ed incidenti

divennero, all’epoca, una costante nella vita delle valli.

A volte i contrabbandieri, magari con uso di chiodi a 3 o 4 punte o

seminando olio sull’asfalto, o imboccando mulattiere sui monti,

riuscivano a fuggire, più spesso però, una volta individuati, finivano la

loro corsa sulle catene chiodate dei posti di blocco.

Anche la Guardia di Finanza allora si attrezzò meglio ed incominciò

ad usare l’elicottero, che costituiva il vero terrore dei contrabbandieri

d’alta quota, i quali fino ad allora, avevano avuto paura solo dei cani

anticontrabbando.

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Sulle cime ed allo scoperto, di giorno, se interveniva l’elicottero non

c’era scampo. Molti fermi vennero infatti effettuati a seguito di

ricognizioni aeree o con intervento diretto dall’elicottero.

Comunque la situazione andava evolvendosi verso il peggio.

Alcuni contrabbandieri di caffè stavano rapidamente scivolando verso

la delinquenza comune.

L’ultimo tragico omicidio sulla via del caffè si verificò sulla piazza

della chiesa di Roncaiola, nella notte del 1 dicembre 1971. Un giovane

contrabbandiere, che era stato fermato ed ammanettato, estrasse una

rivoltella che teneva nascosta sotto il giubbetto e sparò 6 colpi contro

il finanziere che lo sorvegliava, riuscendo poi a fuggire.

Si consegnò qualche giorno più tardi, venne processato e condannato a

22 anni di reclusione.

Il finanziere, un giovane sardo di poco più di 20 anni, non aveva

neppure estratto la sua arma e il gesto non aveva alcuna possibile

giustificazione. Fu il segnale definitivo che il contrabbando, che pure

era stato per lunghi anni una componente tacitamente accettata del

vivere sociale e che aveva spesso rappresentato l’estremo rimedio alla

miseria, si era ormai trasformato in un’attività del tutto diversa, con

precise denotazioni delinquenziali, come tale da allora venne

considerato.

Il contrabbando di caffè del secondo dopo guerra era stato alimentato,

essenzialmente, da due condizioni: la possibilità di reperire

manodopera di buon livello ed affidabilità in quantità adeguate, ma

soprattutto la relativa stabilità del cambio tra franco svizzero e lira

italiana e gli elevati dazi di importazione.

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La cosa consentiva di approvvigionarsi sul mercato elvetico di merci a

prezzi abbastanza concorrenziali, anche se per il caffè di qualità

scadente, e di ammortizzare i rischi dell’attività contrabbandiera ed i

maggiori costi di trasporto. ma la situazione si modificò

profondamente.

Per prima cosa il rapporto lira/franco cambiò rapidamente, riducendo

sempre più il margine di guadagno per gli organizzatori, fino a farlo

sparire quasi del tutto. In secondo luogo molti spalloni tradizionali,

annusata l’aria, si erano dati ad altre attività lecite. L’ultima, definitiva

mazzata al contrabbando del caffè venne data dalla nuova politica

doganale seguita dallo stato italiano: negli anni ‘70 i dazi sul caffè

vennero ridotti e si esaurì ogni interesse economico all’esercizio di

tale attività.

4. CONCLUSIONI

Cosa rimane di quel periodo? Sicuramente i ricordi di tante avventure

in montagna sia da parte dei contrabbandieri di allora, sia da parte dei

militari del Corpo che li contrastavano.

Nel libro di Erminio Ferrari, “Contrabbandieri: Uomini e bricolle tra

Ossola, Ticino e Vallese”, che costituisce ancora oggi il più famoso

saggio sull’argomento, un ex “spallone”, con un po’ di nostalgia,

dichiarava che “…certe albe, certi colori, certe atmosfere di quegli

anni sono impagabili. Non li dimenticherò mai”.

A testimonianza di un’epoca, da alcuni definita “romantica”, perché

emblema di un’Italia povera e, allo stesso tempo, ingegnosa,

rimangono i numerosi passi di montagna come il passo del

Contrabbandiere, nei pressi della Punta d’Arbola nelle Alpi

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Leopontine, il Pizzo Zucchero a 2.321 metri, affiancato da un Pizzo

Caffè a 2.352 metri, che sono due torrioni rocciosi nei pressi del Passo

delle Balmelle vicino alla Punta Valgrande nel contrafforte del monte

Leone, al confine tra il Piemonte e il Canton Ticino svizzero, un altro

Pizzo Zucchero, che si trova tra la Valle Onsernone e la Valle

Vergelletto in Svizzera, nonché i numerosi e, a volte epici racconti

estratti dalle cronache dell’epoca, alcuni dei quali abbiamo

velocemente ripercorso nel corso di questo intervento.

Oggigiorno è di tutta evidenza come sia ormai anacronistico e

improduttivo il riferimento agli schemi “classici” dell'attività

anticontrabbando dell’epoca che abbiamo sin qui esaminato.

E' invece indispensabile un approccio globale al problema, in cui,

tenendo conto delle effettive caratteristiche del mercato unico, venga

realizzato un sistema armonico di vigilanza e sicurezza finanziaria,

articolato in stretta aderenza alle necessità imposte dalle condizioni

economiche di riferimento.

In questo contesto, diventa di fondamentale importanza sviluppare

moduli sempre più efficaci di cooperazione internazionale.

Infatti, le criticità normalmente riscontrate in servizio hanno natura

prevalentemente tecnica ed operativa, in quanto il contrabbando ed il

riciclaggio dei relativi proventi hanno una rilevanza transnazionale,

che interessa le competenze e le giurisdizioni di differenti Stati e

Continenti.

Per questo motivo, si è proceduto verso un deciso rafforzamento dei

canali di cooperazione internazionale, sia giudiziaria che

amministrativa, per incentivare sempre di più l’attività di scambio info

– operativo, di supporto e coordinamento delle investigazioni condotte

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in questo delicato contesto di polizia, soprattutto al di fuori dei confini

nazionali.

Solo attraverso una collaborazione più intensa tra stati si può

raggiungere l’obiettivo di individuare e disarticolare, anche in tempi

rapidi, organizzazioni criminali altamente specializzate,

interrompendo così fenomeni criminosi che mettono a rischio la

sicurezza economica e finanziaria dell’Italia e dell’Unione Europea.

Ringrazio tutti i presenti per l’attenzione.

*FONTI:

- Contrabbandieri: Uomini e bricolle tra Ossola, Ticino e Vallese di

Erminio Ferrari, 1996;

- La Carga, contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, di Massimo

Mandelli e Diego Zoia, 1998;

- Relazioni e scambi alla frontiera tra Italia e Cantone Grigioni

negli anni della seconda guerra mondiale di Adriano Bazzocco, in

Le Alpi e la guerra: funzioni e immagini. Atti del convegno

internazionale di studi, Lugano 1 – 2 ottobre 2004, a cura di N.

Valsangiacomo, Bellinzona 2007;

- Contrabbando alla frontiera italo – ticinese nella seconda metà

dell’Ottocento. Stato delle ricerche, problemi metodologici,

proposte interpretative, in Lo spazio insubrico, di Adriano

Bazzocco;

- Il contrabbando nelle vallate comasche, in Val Cavargna.

Tradizioni popolari Magnani contrabbando, 1993;

- Atti dei sequestri della Dogana svizzera a Campocologno e Viano.

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Gen. D. Natalino Lecca

La vita dei Finanzieri nei Distaccamenti di montagna

All’inizio degli anni sessanta del secolo scorso ho avuto la ventura di

dover comandare quello che, a buona ragione, veniva considerato il

più disagiato dei distaccamenti di montagna della Guardia di Finanza

al confine italo elvetico: IL GIOVO.

Giovanissimo vicebrigadiere, all’uscita dalla scuola sottufficiali del

lido di Ostia, con il merito di essere risultato capo corso su 623 allievi

mi venne proposto dal mio comandante di compagnia, Cap. Montuori,

di restare alla scuola con l’incarico di istruttore.

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Io durante la frequenza del corso sono stato più volte punito, secondo

me ingiustamente, dagli inflessibili istruttori che ero giunto alla

convinzione fossero sbirri di professione che godevano nel punire i

poveri allievi. Così quando mi venne richiesto se avessi gradito

esercitare tali funzioni manifestai la mia netta contrarietà indicando in

alternativa, a domanda, che avrei preferito essere assegnato ‘al più

disagiato distaccamento della Legione di Como’. Fu così che venni

accontentato appieno. Nel Corpo non era facile avere simile

considerazione e poter scegliere dove andare trasferiti. Io però fui

accontentato.

Così quando uscirono i trasferimenti trovai la destinazione per la

legione di Como. Era il 5 di agosto del 1961.

In attuazione della nuova legge di ordinamento del 1959 i parametri

per partecipare al concorso per la scuola sottufficiali erano stati ridotti.

Potevano concorrere i finanzieri e gli appuntati con meno di 35 anni di

età, con valutazioni di merito di almeno ‘superiore alla media’ e con

aver compiuto almeno 6 mesi di servizio al confine. Il limite

precedente era di 2 anni. Io entrai per il rotto della cuffia perché alla

data del concorso avevo raggiunto 6 mesi e qualche giorno. Così

all’uscita dalla scuola non avevo ancora raggiunto i due anni di

servizio e mi ritrovai, primo caso sino allora vicebrigadiere in ferma

volontaria. Il breve periodo precedente alla scuola lo avevo trascorso

in gran parte al confine Jugoslavo ed al gruppo sportivo Fiamme

Gialle.

Il 5 di agosto dopo la nomina, il nuovo giuramento e la consegna della

tessera di riconoscimento fummo messi in libertà con 12 giorni di

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licenza al termine dei quali avremmo dovuto presentarci al reparto di

assegnazione.

Il 17 agosto mi presentai a questa bellissima sede comasca del

Palazzo Terragni. Diligentemente avevo spedito i miei bagagli alla 6^

Legione di Como ma al mio arrivo non si trovarono. Appresi in

seguito che erano andati a Napoli. Di conseguenza dovetti partire per

il mio reparto di assegnazione con gli abiti estivi che indossavo

venendo via dalla Sardegna.

Dopo un lungo giorno di viaggio arrivai prima a Dongo e poi a

Germasino con un autobus vecchio e malandato che ad ogni tornante

doveva fare complicate manovre per proseguire. Ma alla fine arrivò.

Era ormai buio quando riuscii a capire dove era la caserma. Notai che

la gente che incontravo non era proprio ben disposta nei miei riguardi.

Ma giunsi a casa.

Era un vecchio lugubre casolare in pietra, quasi fatiscente e

scarsamente illuminato nel cui muro di cinta erano infisse delle lapidi

che ricordavano la storia della cattura di Mussolini e l’ultima notte da

vivo che aveva qui trascorsa.

Dopo aver scampanellato più volte venne ad aprire un finanziere che

dopo avermi scrutato per bene mi chiese cosa volevo. Probabilmente

mi aveva scambiato per uno spallone; senza bagagli, senza uniforme

ed in camicia estiva non pensava certo di aver a che fare con un nuovo

arrivato e si sorprese molto nel sentirsi dire chi ero. Prese il mio foglio

di viaggio e mi disse di aspettare.

Dopo un po’ venne all’uscio il comandante della Brigata; il Brig Neva

che mi fece strada verso il suo ufficio. Mi disse che non era ancora

giunta la comunicazione del mio arrivo ma che attendeva due nuovi

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sottufficiali che avrebbero dovuto comandare i distaccamenti del

Giovo e di Sommafiume.

Io ero arrivato prima del previsto ma la cosa gli andava benissimo

perché il precedente comandante del Giovo era già partito per altra

destinazione ed al distaccamento i finanzieri erano rimasti soli. Avrei

dovuto quindi affrettarmi a raggiungere il reparto del quale avrei

dovuto assumere subito il comando.

Il Neva si preoccupò del mancato arrivo del mio bagaglio e del come

avrei vissuto lassù in montagna senza l’attrezzatura occorrente, ma la

cosa che mi chiese con maggiore insistenza fu se “sapevo fare i conti

del vitto”. Capì dal mio stupore che non sapevo di cosa si trattasse ed

io a mia volta realizzai che avrei dovuto coniugare immediatamente

l’uso del verbo “arrangiarsi”. Senza scomporsi troppo mi rassicurò che

qualcuno dei finanzieri mi avrebbe spiegato come fare.

Essendo ormai tarda ora non potevo avventurarmi per la montagna e

non avendo chi poteva accompagnarmi trasse la conclusione che avrei

dovuto dormire in brigata.

Non vi erano posti liberi. Si pose così l’alternativa di trovarmi un

cantuccio con un sacco a pelo o dormire nella stanza museo nella

quale si trovava la branda da campo che aveva utilizzato il duce

l’ultima notte da vivo. Quella che sta attualmente al museo di Dongo è

posticcia.

Si trattava di un branda militare con fondo di tela ruvida e senza

materasso. Mi sembro comunque la soluzione più conveniente e presi

alloggio. Mi dovetti adattare. Non avendo al seguito alcunché dormii

vestito.

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Più che dormire restai sveglio pensando ai fatti accaduti in quei luoghi

e mi dedicai alla lettura dei documenti che erano custoditi nel locale.

Dopo incubi prolungati riuscii anche a dormire ma fui repentinamente

svegliato all’alba perché dovevo partire per il Giovo.

Non era ancora giorno quando il Brig. Neva mi accompagnò all’uscio

dove mi aspettava un giovane finanziere per scortarmi al

distaccamento. Fui rassicurato del fatto che la permanenza sarebbe

durata circa un mese, al termine della quale avrei avuto il cambio. Mai

affermazione fu così mendace. Non scesi a valle per tutto il periodo di

permanenza al Giovo. Un anno circa.

Così alle sei del mattino iniziai la mia vita di finanziere di

distaccamento di montagna.

Il mio accompagnatore ogni tanto mi guardava e mi chiedeva qualcosa

sui miei scarponi da sci, sul mio vestiario alpestre, sul materiale da

montagna e così via.

Io lo seguivo inconsciamente senza rendermi conto del perché delle

sue domande. Nessuno mi aveva reso edotto sulla vita in alta

montagna e nessuna attrezzatura mi era stata fornita al riguardo. Fu

più facile capire a cosa si riferisse man mano che salivamo di quota e

dopo l’arrivo al Giovo. Superato il paese di Garzeno ed usciti dalla

quota dei boschi incominciammo a salire per un sentiero pietroso

dove le mie scarpe da spiaggia incominciarono a logorarsi.

Salimmo per ore, superando baite e luoghi che la zelante guida

indicava per nome: il baitone, berseglio, il dosso di brente, il paraone

e così via.

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Percorrendo il sentiero il finanziere lo indicava come “la strada

militare”. Altro non era che uno scosceso sentiero pietroso che si

inerpicava zigzagando su per il motto paraone.

Sul più bello si fermò per sparare contro una vipera che soleggiava sul

sentiero e quasi a titolo provocatorio mi chiese se avevo la mia

dotazione di siero antivipera. Alla mia risposta negativa mi tenne una

dotta lezione sul caso dicendomi che avrei sempre dovuto portare al

seguito tale medicinale e che avrei dovuto assicurarmi che tutti i

finanzieri ne fossero provvisti quando si recavano in servizio.

Continuammo ad arrampicarci finchè la mia guida mi fece notare in

lontananza su una brulla ed altissima vetta un’asta metallica con in

cima la bandiera italiana. Quello era il punto dove si trovava il Giovo.

Avevamo il sole a picco quando finalmente giungemmo in vetta. Al

nostro arrivo tutti i componenti vennero fuori dalla casermetta e si

riunirono nello spiazzo antistante da dove guardavano incuriositi il

nuovo arrivato che non riuscivano ad immaginare fosse il loro nuovo

comandante. Non avevo vestiario militare e nessuna insegna di grado

ed ero più giovane di molti di loro. Senza formalità militari iniziava

così la mia vita di finanziere nel distaccamento di montagna più

disagiato come da me richiesto.

1. IL DISTACCAMENTO DEL GIOVO

Il distaccamento del Giovo non era dissimile da altri disseminati lungo

l’arco alpino italo elvetico che dal lago di Lugano si inerpica verso est

sino a raggiungere il passo dello Spluga e lo Stelvio. Era stato

costruito per finalità militari di protezione della frontiera ed era stato

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affidato nel 1870 alla Guardia di Finanza congiuntamente a quelli di

Sommafiume e del Vincino per l’attività anticontrabbando.

Alla sommità della valle Albano esisteva anche il distaccamento di

S.Iorio nel quale nel tempo avevano stazionato truppe alpine e che era

ormai dismesso ed abbandonato.

Tali distaccamenti per oltre un secolo hanno garantito la difesa

militare della frontiera ed il contrasto al contrabbando in prima linea.

Erano posizionati a circa 1800 metri slm.

Dalla vicina Svizzera venivano trasportate clandestinamente in Italia

su sacchi a spalla, le cosiddette “bricolle”, stivate sino all’inverosimile

di generi ad alta incidenza fiscale che consentivano lauti guadagni

all’atto della rivendita. Si trattava in gran parte di tabacchi lavorati

esteri e di caffè.

La povertà della vita nelle valli di frontaliera e le misere condizioni

degli abitanti rendeva per loro assai appetibile e conveniente questa

attività illecita che per molti rappresentava l’unica fonte di

sostentamento di tante famiglie ed era incoraggiata dai valligiani. Gli

spalloni erano gli eroi locali.

Lo Stato contrastava tali attività con il servizio della Guardia di

Finanza ed i finanzieri erano i loro odiati sbirri.

In prima linea agiva il personale dei distaccamenti di montagna che

operava ad alta quota. Erano le “vedette insonni del confine” e le più

sole. Più a valle agivano le brigate, i nuclei mobili, le tenenze e gli

altri reparti di stanza nel lungo lago lariano. Una speciale squadriglia

navale a sua volta pattugliava i due laghi.

L’attività più faticosa, difficile e pericolosa era svolta però dai

distaccamenti che operavano in condizioni climatiche ed ambientali al

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diffuori di ogni immaginazione. Nevi eterne, valanghe, slavine, dirupi

scoscesi, valli impervie e sentieri sdrucciolosi, piogge intense,

grandinate e nebbioni impenetrabili costituivano l’ambiente di lavoro

di tutti i giorni. Così per lustri e decenni dal 1870 in poi.

Ho preso in consegna il distaccamento da un giovane finanziere con 2

anni di servizio. Era il più anziano del reparto. All’epoca l’anzianità,

anche relativa esistente tra i pari grado imponeva il rispetto gerarchico

totale. Gli altri componenti del reparto gli dovevano obbedienza. Oggi

tutto ciò fa sorridere. Il cameratismo e la democrazia imperano anche

dove se ne dovrebbe fare a meno.

Il distaccamento era costituito da un tozzo fabbricato in pietra,

semiscavato sulla montagna, grezzo all’esterno e rivestito di legno

all’interno e con un tetto metallico che garantiva la tenuta per la

pioggia e per la neve, sempre tanta e copiosa.

Il piano terra era costituito da un grande locale, buio e disadorno nel

quale era stivata una grande quantità di legna da ardere. Veniva

approvvigionata d’estate da legnaioli incaricati dall’amministrazione

Ad una parete era addossata una vecchia rastrelliera alla quale si

appoggiavano gli sci, le racchette da neve ed altri materiali. Una parte

del locale era recintato con una rete metallica e serviva per

l’alloggiamento dei cani anticontrabbando quando le condizioni meteo

non consentivano di tenerli all’aperto. Una vecchia porta in legno

permetteva di uscire all’esterno al lato valle. Una scala in pietra

portava invece al piano ammezzato. Addossato alla scala era ricavato

un misero gabinetto, una latrina con una tazza alla turca, senza acqua e

senza illuminazione. Costituiva la dotazione dei servizi igienici del

reparto. Il piano terra risultava seminterrato rispetto al terreno

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adiacente ed alla prima neve la porta doveva essere chiusa ed i cani

alloggiati all’interno.

Sulla parete esterna a fianco della porta risaltava una lapide che

ricordava la fucilazione di quattro finanzieri da parte delle truppe

tedesche. Erano responsabili di aver aiutato un gruppo di ebrei a

raggiungere la Svizzera attraverso il passo di S. Iorio.

Al piano ammezzato, rivestito di legno dal pavimento, alle pareti ed al

soffitto, si trovava l’ufficio, piccolo e angusto che fungeva anche da

camera da letto del comandante. Vi erano sistemati oltre al letto la

rastrelliera con le armi, un misero scrittoio con le carte del reparto e la

radio trasmittente. Questo apparato rappresentava il nostro unico

collegamento con il mondo. Sinchè la batteria teneva la radio

consentiva di ricevere le notizie per il lavoro e quelle riguardanti i

singoli. Il nostro corrispondente era la Brigata di Germasino (cigno 4)

ma a tale altezza giungevano anche riverberi di trasmissioni da

Porlezza e da Menaggio.

Con la radio i finanzieri avevano saputo del mio arrivo.

Nello stesso piano si trovavano i locali logistici del reparto: la cucina,

rappresentata da una grossa stufa a legna in ghisa posizionata su una

parete del salone che serviva per cucinare e per scaldare l’ambiente, i

tavoli della sala mensa ed il magazzino.

Quest’ultimo era il locale più importante di tutti. Era la nostra

cambusa ove erano stivati tutti i viveri che dovevano assicurare la

sopravvivenza del personale. Purtroppo non c’era possibilità alcuna di

approvvigionarsi altrove, specialmente quando le tempeste di neve

impedivano di uscire all’esterno del caseggiato o di ricevere soccorsi

da valle.

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I viveri erano censiti meticolosamente ed inventariati con i prezzi di

ciascun tipo. La pasta, il lo scatolame, i fiaschi di vino ed i generi a

lunga conservazione rappresentavano le voci più importanti. Vi erano

accumulati anche sacchetti di castagne secche e funghi porcini secchi

che però non erano inventariati perché procurati dai finanzieri che li

raccoglievano diligentemente durante i servizi effettuati a valle

durante i mesi estivi. Le castagne erano utilissime per la

sopravvivenza durante i servizi di lunga durata.

Nessuna traccia di carni, di verdure e di frutta. Nessuna cella

frigorifera od altre attrezzature per la conservazione dei viveri, scarso

pentolame di alluminio affumicato e posate appena sufficienti per

tutti.

I generi deperibili venivano portati su dal porta viveri il “Beppe” che

almeno due volte al mese, quasi sempre di sabato, saliva da

Germasino con i suoi muli stracarichi. Spesso lo accompagnava la

moglie Carlotta. Quando le condizioni meteo lo consentivano arrivava

fin su con le bestie dalla strada militare. Quando queste divenivano

proibitive si fermava a fondo valle. Si utilizzavano le scorte

preesistenti. In casi estremi provvedeva l’elicottero. La “volpe” era

sempre ben gradita anche se la sua presenza era veramente rara ed

indicava situazioni di estrema emergenza. Sino al 1950 il servizio era

assicurato da un finanziere portaviveri che disponeva di un mulo in

Germasino. I viveri venivano approvvigionati per un anno intero nel

periodo estivo a cura del FAF che ne anticipava il prezzo d’acquisto e

ne assicurava la consegna. Venivano poi rimborsati dai finanzieri man

mano che si utilizzavano a mensa di giorno in giorno.

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Da queste circostanze capii a cosa si riferisse il comandante Neva

quando voleva sapere se sapessi fare i conti del vitto. Era una cosa

importante. Ho imparato guardando i precedenti. Al riguardo esisteva

una ponderosa documentazione contabile che consentiva giornalmente

di scaricare i generi prelevati dal magazzino che venivano adoperati.

Ai commensali venivano addebitate le spese sostenute ripartendole in

quote personali. All’epoca non esistevano mense obbligatorie, buoni

pasto od altre facilitazioni. Il vitto era a carico dei commensali ed

ognuno pagava ciò che consumava.

Il comandante doveva giornalmente compilare il carpettone, la

carpetta e gli altri fogli vitto. I conti si inviavano in brigata ed i valori

venivano mensilmente addebitati in detrazione dallo stipendio.

2. IL DORMITORIO

Al piano alto si trovava la camerata finanzieri con i letti affiancati.

Nessun mobile esisteva per la custodia degli effetti personali. Nessun

armadio, neanche per l’uso comune. Sulla testata di ciascun letto un

rustico attaccapanni di ferro consentiva di appendere il vestiario

lungo, tuta pantaloni, giacche e giubbotti. Ai piedi del letto una rustica

panca consentiva di appoggiare lo zaino individuale ove veniva

riposta la biancheria, le calze, le camicie e gli altri effetti personali.

Scarpe e scarponi sotto il letto. La biancheria sporca veniva custodita

dentro un sacchetto munito del nome del titolare che ognuno teneva

sospeso alla testiera posteriore del letto in attesa di poterlo consegnare

al porta viveri per il recapito alla lavandaia convenzionata della

brigata.

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Certamente il sistema non favoriva la salubrità dell’ambiente che per

quanto venisse areato restava sempre impregnato degli odori delle

persone. L’occupazione dei letti teneva conto dell’anzianità degli

occupanti; i più giovani vicino agli spifferi della finestra e se

occorreva si dovevano montare i letti a castello. La forza effettiva

media del reparto, costituita da 18 finanzieri circa non rendeva però

necessario montare il soppalco. Nei mesi invernali, quando la

temperatura diveniva molto rigida e la caserma restava quasi per

intero sommersa sotto la neve il dormitorio si riempiva di coperte e di

sacchi a pelo. Talvolta la finestra diveniva l’unica via di transito per

l’esterno.

In tutta la caserma non esisteva impianto di riscaldamento ne alcuna

predisposizione antincendio. Non vi era la luce elettrica ne l’acqua

corrente. L’illuminazione era assicurata dalle steariche e da qualche

lume ad olio artigianale ricavato dalle scatolette di latta. Solo in sala

mensa e nell’ufficio del comandante esisteva un lume a gas, ma le

reticelle si rompevano subito per cui il lusso apparente si

concretizzava quasi sempre nel buio. Anche perché le ingombranti

bombole occorrenti venivano recapitate raramente e malvolentieri dal

porta viveri. Anche in ufficio lume ad olio. A dire il vero al posto

delle quasi inutili bombole preferivamo ricevere batterie di scorta per

la radio del reparto e per quelle portatili che erano molto più utili per

la sopravvivenza e per il servizio.

L’’acqua occorrente per la cucina, per l’igiene personale e per la

latrina veniva portata in caserma con i secchi da una sorgentella che

sgorgava poco a monte del distaccamento. D’inverno tutto gelava e

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per avere l’acqua venivano portati dentro casa cumuli di ghiaccio col

toboga e con i secchi.

3. LO SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO

Per contrastare il contrabbando venivano quotidianamente comandati

faticosi e lunghissimi turni di servizio.

Raramente restava qualcuno “disoccupato”. Ogni giorno si

organizzavano pesanti turni di “perlustrazione con appostamento” per

vigilare quantomeno le “bocchette” di maggiore pericolosità di

transito degli spalloni. Si trattava di una attività ragionata, disposta

con un certo acume operativo in funzione delle notizie riguardanti i

movimenti degli spalloni nel territorio svizzero. Per meglio capire

cosa fare nei primi tempi ho effettuato una meticolosa ed attenta

ricognizione della circoscrizione, ho ascoltato con attenzione i

consigli dei finanzieri più anziani e mi sono letto le scritture di

servizio dei mesi precedenti.

Non molto utile risultava il documento di impianto del reparto,

l’ Ordine permanente di servizio non forniva indicazioni utili sul come

operare. Riportava una stringata mappa cartografica con i limiti della

circoscrizione, una dettagliata indicazione dei luoghi di vietato

attraversamento che non potevano essere percorsi dalle pattuglie,

specie d’inverno.

Dal mio arrivo sino a gran parte del mese di settembre il tempo si

mantenne abbastanza buono e ne approfittai per fare molte

ricognizioni. Così mi divennero noti i luoghi che avevo trovato

indicati nei fogli di servizio predisposti prima del mio arrivo. Scoprii

l’ubicazione dell’albergo Pomodoro ricavato a favor di vento nelle

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adiacenze dell’omonima bocchetta. Il nomignolo serviva a non

scoraggiare i finanzieri che vi si recavano per la prima volta. In breve

tempo mi divennero noti e familiari i nomi di tutte le bocchette dalle

quali potevano più facilmente transitare gli spalloni. Albano,

Nenbruno, Traversa, S:Iorio, Cima di Cugn, Stazzona e così via. In

poco tempo entrarono nel frasario di servizio. Scoscesi dirupi

mozzafiato rappresentavano le valli di Albano e di S:Iorio i cui

torrenti riversavano le loro acque sul lago di Como. In poco spazio in

linea d’aria si scendeva dai 2200 metri delle creste ai 250 metri del

lago.

Col bel tempo il panorama sulle cime era ammirevole e questo

compensava in parte il disagio di permanere lassù. Il bel tempo però

era assai raro ma quando ciò accadeva potevano mirarsi le bellezze del

lago Maggiore e dell’alto Ticino, del Lago di Lugano e dell’alto Lario.

Tutto però spariva in un baleno. Nebbioni impenetrabili, tormente di

neve, piogge e grandinate e violentissime bufere di vento si

susseguivano per tutto l’inverno. Talvolta era talmente difficile

orientarsi e per rientrare dovevamo farci aiutare dalla nostra bandiera

che da lontano guidava i nostri passi verso casa.

Dopo l’innevamento le porte non erano agibili e si usciva dalla scala

della sala mensa e nei casi più tristi dall’abbaino del dormitorio.

Il divieto di transito di molte zone rendeva più lungo e difficoltoso

raggiungere i punti di appostamento. Per molti mesi il Paraone e la

valle di confine sotto S: Iorio erano intransitabili. Lungo il percorso

affioravano numerose lapidi poste nel tempo a testimonianza

dell’estremo sacrificio di molti colleghi che in tali montagne hanno

perso la vita nell’adempimento del dovere.

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Giungere al Giovo d’inverno dalla strada militare non era possibile.

Per scendere si doveva puntare al fondo valle diritti in giù fino al letto

innevato del torrente Albano e da qui raggiungere faticosamente

Germasino. Tra lo spiazzo antistante il Giovo ed il fondo valle si

trovava una cordata metallica. Per venire su al Giovo bisognava

percorrerla tutta.

Tale via era normalmente seguita anche dal porta viveri con i suoi

muli stracarichi. D’inverno però ciò non era possibile. Troppo ripido il

percorso. I finanzieri del distaccamento dovevano quindi portarsi a

fondo valle ad attenderlo e risalire lungo la cordata portando su quanta

più roba possibile cadauno. Così, in ore ed ore di sacrifici si compiva

quest’opera. Un passo avanti e tre indietro, con la neve sino al petto e

le mani spellate dal contatto della corda gelata. Ma questo era l’unico

modo di avere i viveri freschi, la posta privata e d’ufficio le batterie e

la biancheria pulita.

Il giorno del mio arrivo, avvenuto secondo la guida agevolmente

lungo la via militare, (6 ore di marcia) bagnato di sudore sino

all’inverosimile mi ero permesso di chiedere di poter fare una doccia,

sollevando l’ilarità di tutti. Il sistema per non restare puzzolenti in

eterno consisteva di prendere un pò di acqua tiepida dalla cucina e di

riversarla in un catino che veniva usato per tale incombenza. Sapone e

spugna per completare l’opera.

4. L’ ATTIVITÀ ’ DI SERVIZIO

Il servizio anticontrabbando veniva svolto da pattuglie di tre o due

militari. Non si usciva a caso ma ci si organizzava a ragion veduta. Il

tutto era legato ai movimenti degli spalloni. Quando si allontanavano

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dalle loro case a valle si disponevano appositi punti di osservazione

per cercare di stabilire quali strade avrebbero percorso per rientrare

carichi in Italia.

Molte volte raggiungevano la Svizzera dal valico di Oria e poi si

recavano nell’abitato di Carena e risalivano verso l’alpe del Gesero ed

alle baite del Giggio. Altre volte risalivano la valle Albano da dove

raggiungevano direttamente le baite del Giggio.

Gli itinerari di rientro riguardavano quasi sempre le valli Albano o S.

Iorio. Quotidianamente veniva organizzato un servizio di vedetta in

Marmontana od all’alpe di Cugn. Il finanziere di guardia con il

binocolo cercava di capire le reali intenzioni degli spalloni e le

direzioni prese e con la radio segnalava al Giovo ogni circostanza.

Spesso però le tormente e la nebbia pregiudicavano tali osservazioni

ed il servizio doveva essere svolto comunque sperando di azzeccare le

piste di rientro.

Le pattuglie lasciavano il distaccamento prima che gli spalloni

lasciassero le baite del Giggio in modo da portarsi verso le bocchette

senza essere individuati dalla controsservazione nemica, che talvolta

era assicurata dalle guardie svizzere. Tanta fatica risultava talvolta

vana ed inutile.

Le pattuglie che dovevano raggiungere le bocchette più lontane

svolgevano turni di servizio di 72 ore. Non era certo facile trascorrere

tre giorni all’addiaccio senza tenere in conto le condizioni del tempo.

Le pattuglie partivano dal distaccamento portando al seguito

cappottoni da scolta, mantelle impermeabili, l’armamento, lo zaino

affardellato con i viveri ed il sacco a pelo.

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Portavano anche la radio portatile e talvolta anche un sacco a pelo di

scorta per il cane anticontrabbando. Nello zaino venivano stivati i

viveri: salumi, scatolame, fiaschi di vino, la grappa e le gallette.

Vederli partire con la gavetta ed il bicchiere di alluminio penzolanti

dallo zaino faceva molta tenerezza. Non c’erano però in loro segni di

sconforto, anche se non avevano l’aspetto severo e marziale di una

pattuglia militare da parata, ma in loro emergeva la consapevolezza di

svolgere il proprio lavoro sapendo che ciò rappresentava il comando

ed il giuramento prestato. Non mancava in essi la speranza di premio,

cioè di rientrare con altri carichi: le bricolle sequestrate.

Per i posti di appostamento più vicini si organizzavano pattuglie più

leggere, con turni di 24 ore o anche inferiori. Questi turni si

svolgevano anche dopo poche ore dalla fine dei servizi precedenti.

Sacrifici su sacrifici senza mugugni o proteste. Le ore giornaliere

obbligatorie previste dall’O.P.S. erano un optional e nessuno faceva

caso al numero delle ore effettive prestate. Non esistevano gli

straordinari ma tutto rientrava nell’ordinarietà delle cose.

Stare in servizio per tante ore era molto faticoso e pericoloso, anche

perché si doveva attentamente ascoltare senza fiatare. All’ascolto non

vi era diversivo.

Quando la temperatura scendeva molti gradi sotto lo zero bisognava

stare attenti a coprirsi al meglio ed a non addormentarsi. La

conseguenza più normale sarebbe stata l’assideramento delle mani e

dei piedi. Per fortuna però questo raramente avveniva.

Nella neve venivano ricavate profonde buche che venivano chiuse

contro vento e ricoperte da un lenzuolo candido per evitare che

venissero individuate dalle staffette degli spalloni.

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Abbastanza di frequente questi venivano intercettati ed al grido di

“molla!” venivano costretti ad abbandonare il carico. Raramente

capitava di arrestare i colpevoli. Esisteva un tacito modus operandi

che giudicava conclusa l’operazione di servizio con il sequestro del

carico e non anche con l’arresto degli spalloni. In questi casi questi

potevano rientrare indenni alle loro case dopo tanta fatica per nulla.

All’arresto si procedeva in caso di resistenza violenta o di reazione

fisica od armata.

I fermi non erano infrequenti, a dimostrazione che le strategie di

contrasto erano abbastanza valide. Le bricolle però raramente

venivano portate su al distaccamento ma venivano fatte scivolare giù

sino alla brigata con l’aiuto di altri finanzieri.

In brigata tutti festeggiavano ed organizzavano le cerimonie delle foto

ricordo nelle quali raramente comparivano gli effettivi sequestratori.

Gli incontri con gli spalloni erano spesso fortuiti, talvolta per caso, al

buio, altre volte occorrevano lunghe e faticose rincorse sino al fondo

valle per raggiungerli. Raramente occorreva far uso delle armi, ciò

accadeva se si incrociavano grossi assembramenti in grado di

sopraffare le sguarnite pattuglie. Di notte per aiutarsi si impiegavano i

razzi di segnalazione minolux.

Diversi finanzieri preferivano operare da soli. Si trattava dei più

accaniti e fanatici, affetti da “bricollite acuta” molto difficili da

gestire. Sparivano dal reparto, talvolta con pochi viveri e senza radio.

Ma bisogna convenire che erano anche i più produttivi ed erano i più

temuti dagli spalloni. A volte operavano sequestri che poi non erano

in grado di gestire da soli ed occorreva mandar loro incontro rinforzi

per evitare che i valligiani si riappropriassero delle bricolle.

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5. LA VITA IN DISTACCAMENTO

All’Ordine permanente di Servizio era allegato l’Ordine delle

operazioni Giornaliere, che stabiliva come dovevano svolgersi le

“operazioni di giornata”. Sveglia, aereazione degli effetti letterecci,

pulizia dei locali, orario di mensa, libera uscita, ritirata, etc. Questa

disposizione, simile a quella dei reparti ordinari non era attuabile in

distaccamento. Faceva abbastanza sorridere.

La sveglie era una cosa molto teorica. Le pattuglie rientravano quasi

sempre in piena notte, stanche morte, fradice ed affamate. La prima

operazione che veniva effettuata, peraltro certamente non codificata

era quella di cucinare per tutti la pasta alla finanziera. Spaghetti aglio,

olio ed acciughine in quantità. Dopo questa lauta e robusta colazione

fuori orario tutti andavano a dormire ed il dormitorio restava chiuso e

buio. Così gli orari della sveglia e dell’aereazione degli effetti

letterecci restavano lettera morta, così come la pulizia del locale. Tutto

passava in second’ordine e bisognava attendere il risveglio per potervi

accedere.

Entrando nel dormitorio ci si scontrava con odori poco piacevoli di

sudore e di fumo. Occorreva percorrerlo al buio e senza far rumore

perché si rischiavano violente scarpate.

Il fumare non era vietato ma in merito dopo violenti alterchi e bisticci

tra i tabagisti ed i non fumatori venne imposto il divieto di fumare

all’interno della caserma. Anche perché io non fumavo. Chi voleva

fumare poteva farlo recandosi fuori del caseggiato. Per taluni

ironicamente questa era la libera uscita.

Tra i servizi più importanti rientrava quello del casermiere che durava

senza sosta per una settimana. Il militare prescelto doveva saper

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cucinare. Veniva aiutato da un altro finanziere, di solito più giovane e

inesperto delle cose di cucina che in tal modo imparava il mestiere. Il

casermiere ed il suo aiutante dovevano alzarsi al mattino presto,

accendere la cucina a legna o riattizzare il fuoco lasciato acceso la

notte per scaldare la caserma, dovevano portare l’acqua dalla sorgente

ed assicurare la pulizia dei locali e della latrina.

Le operazioni di cucina vere e proprie iniziavano in tarda mattinata.

C’era da preparare il sugo, pelare le patate e disporre i piatti e le

posate per il pranzo. Le cose non erano difficili ed erano sempre

uguali. Le dotazioni di viveri a secco non consentivano molte varianti

ed il menù non lasciava scampo. Non esisteva alcuna commissione

vitto ed i commensali erano rassegnati a subire la monotona

quotidianità del menù predisposto senza molta fantasia dal casermiere.

Il lavoro pesante svolto e la giovane età dei commensali non

lasciavano spazio a proteste. Tutto era legato alle disponibilità di

magazzino. Poiché il porta viveri veniva su tradizionalmente il sabato,

ci si rendeva conto della domenica perché a tavola venivano servite le

bistecche e l’insalata. Ma si trattava di cose che duravano poco. Una

variante molto gradita derivava dall’attività dei finanzieri barbaricini

che riuscivano ogni tanto a barattare con i valligiani all’alpeggio

qualche capretto in cambio dei nostri fiaschi di vino. Era festa grande,

anche se il vitto speciale non coincideva con ricorrenze religiose o con

particolari festività.

Raramente ricevevamo al passo di S. Iorio la visita dei gendarmi

svizzeri. Questi si facevano vedere solo quando gli occorreva la pasta

o l’ottimo vino italiano, che permutavano con la loro cioccolata.

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Per il resto i giorni in distaccamento erano sempre tutti uguali. Non

abbiamo mai visto un cappellano od un medico. L’unica cosa che

ognuno annotava erano i giorni che gli mancavano presumibilmente

per rientrate in brigata a valle. Non aveva alcun significato la libera

uscita od il riposo settimanale. In distaccamento non si disponeva di

abiti civili. La cosa era vietata.

Molti neo finanzieri che giungevano da Predazzo senza neanche

sostare il brigata non avevano la minima idea di dove fossero.

Venivano eruditi dai più anziani che raccontavano loro delle bontà

delle ragazze di Garzeno, di Germasino e di Dongo. Comunque quasi

tutti chiedevano 48 ore di riposo dopo aver superato almeno due

settimane di intenso e continuo lavoro per recarsi a valle. Taluni

riuscivano anche a raggiungere Como e Milano ed al rientro

raccontavano le loro gesta amorose vere o presunte riempendo di

invidia i colleghi all’alpeggio. Qualcuno ogni tanto faceva una

scappatella in svizzera rabberciando capi di vestiario degli uni e degli

altri. In uniforme non era assolutamente possibile varcare la frontiera

ed i rigorosi controlli della gendarmeria scoraggiavano anche i più

audaci. La meta di questi raid era lo chalet del Gesero, dove esisteva

un bar ed una appetibile sala da ballo con belle signore svizzere. Ma

questa avventura da sogno era appannaggio di pochi.

La vita del distaccamento si svolgeva entro le quattro mura della

caserma e nello spiazzo antistante. L’attività più ricorrente riguardava

il gioco delle carte. Si svolgevano tornei di briscola e di scopone con i

quali ci si giocavano i turni di servizio da effettuare. Ai perdenti

restavano i turni più faticosi ed i fiaschi di vino da pagare per la

comunità.

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In distaccamento non erano attuabili neanche le punizioni disciplinari.

La minaccia di consegna faceva sorridere. Così i puniti dovevano fare

altre cose prima fra tutte pagare i fiaschi di vino, che venivano appesi

in bella mostra ai grossi chiodi infissi nel trave principale del soffitto

della sala mensa. Le altre punizioni disciplinari consistevano nel dover

spaccare la legna per la cucina, approvvigionare la neve per fare

l’acqua, pulire la latrina e preparare il vitto per i cani.

A questo però provvedevano quasi sempre i cinofili che mettevano da

parte i rifiuti della mensa. Anche i cani soffrivano delle ristrettezze

alimentari del reparto. Niente pasta con verdura e carne tritata o riso

bollito come stabilito dalla dieta veterinaria.

Una cosa che tutti mal tolleravano era l’obbligo, che durava tutto

l’inverno, di rendere libero lo spiazzo necessario per l’atterraggio

dell’elicottero. Spesso si dovevano spalare metri di neve. La

predisposizione però dava una contropartita interessante. All’interno si

potevano realizzare combattute partite di pallavolo o di calcetto.

Anche in tal modo ci si giocava la scelta dei turni di servizio. Tutto

andava bene finché il pallone non superava il bordo esterno della

pista. Il pallone andava a fondo valle con buona pace dei contendenti e

se tutto andava bene si recuperava col disgelo a primavera. Quando

c’era il sole nella neve alta venivano stese coperte da campo e

lenzuola e si poteva fare l’elioterapia, sarebbe meglio dire la tintarella

integrale. Non c’era pericolo di essere visti da terzi. Quando si poteva

si organizzavano dei corsi sci lungo la linea dei tralicci ENEL. Ma la

cosa era molto difficoltosa e pericolosa.

Ma c’erano dei pazzoidi scalmanati che andavano sino alla vetta del

Paraone e scendevano a capofitto per il traverso provocando anche

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slavine e valanghe. Questo consentiva di alleggerire la massa nevosa

che gravava sulla strada militare, che però rimaneva comunque

impercorribile.

Altra situazione di disagio era legata all’assistenza sanitaria. Mai

visto un medico al Giovo. Mai effettuati controlli sanitari. In

distaccamento esisteva solo una cassetta di pronto soccorso, con un

flacone di acqua ossigenata e di alcool denaturato di piccole

dimensioni, qualche garza ed un rotolo di cerotto autoadesivo. L’unica

cosa abbondante erano le fiale antivipera. Insomma senza infermiere o

altri addetti il comandante e qualche elemento di buona volontà si

dovevano arrabattare per far fronte ai piccoli imprevisti e nulla di più.

Quando qualche militare malauguratamente aveva una frattura o la

febbre alta ed abbisognava di cure o di essere ricoverato tutto

diventava molto complicato. Via radio arrivava sempre lo stesso

ordine: trascinatelo a valle.

Così scattava una penosa gara di solidarietà tra i colleghi e se il ferito

non era in grado di tenersi in piedi si metteva in uso il toboga.

Scivolando penosamente lungo la cordata metallica i volenterosi

cercavano senza scossoni di farlo arrivare a fondo valle tutto intero. Il

personale della brigata veniva incontro a questi disperati e completava

l’opera di assistenza sino all’ospedale di Gravedona. D’inverno tutto

era molto più complicato ed al rischio sanitario si aggiungeva quello

ambientale per il malato e per i soccorritori.

Mai una volta che qualche anima buona avesse pensato di dare

disposizioni per l’uso dell’elicottero, che invece arrivava

puntualmente se l’infortunato era uno dei cani ac.

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Ci si sentiva talvolta trattati peggio dei cani. I cinofili commentavano

sempre amaramente che nel caso si fossero fatti male avrebbero

acciaccato il loro cane per fruire dello stesso volo.

Tutto sommato però, ad eccezione di qualche raro caso la situazione

sanitaria si manteneva buona ed il morale alto. Si trattava di giovani

temprati alla fatica e di ottimi soldati.

Il tempo trascorreva serenamente e dopo periodi più o meno lunghi

l’amministrazione si poneva cura di far cessare questo servizio

disagiato disponendo trasferimenti verso reparti migliori. Comunque

tutto era migliore rispetto al Giovo e a Sommafiume.

Da vecchi il ricordo di quei tempi non è venuto meno. Il

distaccamento del Giovo è diventato un gradevole rifugio alpino CAI.

“Quelli del Giovo” hanno posto fuori dell’uscio una targa a ricordo

dei cento e passa anni di servizio svolto lassù e per ricordare i colleghi

caduti nell’adempimento del dovere. I più intraprendenti hanno scritto

un libro a ricordo e censito diligentemente i nomi di tutti coloro che vi

hanno vissuto . Ci si raduna annualmente al Giovo, dove ove ora che i

finanzieri non servono più si arriva in macchina da una comoda strada

di montagna, c’e la luce elettrica e la televisione, il riscaldamento un

ottimo bagno con doccia ed altri confort. E si mangia veramente bene.

Ma il piatto più richiesto e sempre quello della pasta alla finanziera

delle tre di notte. Spaghetti all’aglio e olio ed acciughine.

Gen. D. Dott. Natalino Lecca

Uno di “Quelli del Giovo”

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Maresciallo Ord. Mauro Saltalamacchia

L’editoria e la pubblicistica sul contrabbando

1. PREMESSA

I Desidero in primo luogo porgere a tutti gli intervenuti il mio più

cordiale saluto e ringraziare in particolar modo il Presidente ed il

Direttore del Museo Storico, per l’invito rivoltomi ed i miei superiori,

per aver consentito la mia partecipazione a queste giornate di studi.

Prima di esporre la mia relazione, consentitemi una breve digressione

biografica, anche se di ben altra caratura rispetto a quelle sentite

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finora. Non vi nascondo infatti l’emozione di parlare proprio in questo

edificio, che mi ebbe a battesimo come neo finanziere assegnato alla

6a Legione di Como in anni relativamente recenti, ma nei quali essere

annoverati tra le “vedette insonni del confine” aveva ancora un

significato non solo nostalgico, ed i colleghi più anziani ammonivano

i nuovi arrivati sui bar e i locali da non frequentare, poiché se ne

aveva ancora memoria come ritrovo di contrabbandieri.

Il ricordo di questo recente passato, ci conduce all’argomento della

mia relazione, la quale verterà sull’editoria e sulla pubblicistica sul

contrabbando, ossia sulle opere dei più disparati generi realizzate dagli

uomini e dalle donne che hanno inteso cristallizzare i propri ricordi e

pensieri, per tramandare le vicende di cui furono protagonisti o

spettatori.

I fatti, gli avvenimenti, le interpretazioni giuridiche e sociologiche, i

ricordi personali dei protagonisti, messi per iscritto, diventano storia,

apocrifa o ufficiale, ma che solo raramente possiamo rinvenire nei

documenti d’archivio. È la memoria sostanziale di un passato che ha

influito sull’evoluzione stessa della nostra Nazione, se pensiamo al

contrabbando come alla circolazione transfrontaliera non solo di beni,

bensì anche di persone, di idee ed ideologie.

La puntuale disamina storiografica condotta questa mattina,

riguardante l’evoluzione del contrabbando al confine alpestre negli

ultimi due secoli, mi consente di introdurre direttamente l’ambito della

presente ricerca. Anzi, ho notato con interesse come tutti i relatori che

mi hanno preceduto abbiano citato per gli argomenti di loro

competenza ampi esempi di editoria e pubblicistica. Cercherò,

pertanto, di stimolare maggiormente l’interesse dell’uditorio,

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rimandando la consultazione di una bibliografia ragionata alla

relazione che verrà acclusa agli atti, dove potrà essere proficuamente

apprezzata.

2. INTRODUZIONE

Mi sembra utile ribadire come il contrabbando si sia particolarmente

sviluppato nel nostro Paese in ragione della collocazione geografica

della penisola e dell’ampiezza dei suoi confini alpini, che attualmente

si estendono per oltre 1.200 Km attraverso l’area montana più

densamente popolata del Vecchio Continente.

Di rilevante interesse scientifico e didattico, inerisce all’argomento

un’opera in lingua francese Les Alpes, tradotta sei anni più tardi

proprio col titolo Le Alpi. Barriera naturale, individualità umana,

frontiera politica1, costituita dagli atti del 25° Congresso Geografico

Internazionale, tenuto nel 1984 a Parigi, organizzato dalla Francia in

collaborazione con Germania Federale, Svizzera, Austria e Italia.

Questo testo evidenzia come gli scritti inerenti il contrabbando siano

stati influenzati dalle modifiche che negli ultimi due secoli hanno

subito i confini ed i regimi economici e doganali degli Stati frontalieri;

mostra l’importanza degli aspetti geopolitici e sociologici e della

corografia delle zone di nostro interesse.

Dati questi presupposti, nell’affrontare il contrabbando al confine

alpestre abbiamo la necessità di adottare, in termini attuali, i punti di

vista francese (contrebande), svizzero, austriaco (konterbande,

schmuggel), sloveno (tihotapstvo), concentrando però maggiormente

1 Domenico Ruocco (a cura di), Le Alpi. Barriera naturale, individualità umana,

frontiera politica, Pàtron Editore – Bologna, 1990.

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l’attenzione sul punto di vista italiano, pur fornendo qualche utile

riferimento della produzione letteraria originata sull’argomento al di là

delle Alpi, la quale potrà essere oggetto di ulteriori futuri

approfondimenti.

Mi preme intanto sottolineare come la pubblicistica sul contrabbando

si estenda in maniera trasversale attraverso molteplici generi letterari:

il saggio (incluso quello breve su quaderni e riviste), il manuale

giuridico od economico, la tesi di laurea, il romanzo, la novella o il

racconto, l’articolo su quotidiani o periodici; e si allarghi a pieno titolo

ad altre espressioni artistiche. Queste ultime, evolutesi nel tempo,

ancora oggi meritano di essere annoverate tra fonti di cui è utile o

quantomeno interessante la consultazione, fosse anche solo per

l’aspetto sociologico che fanno emergere e per la grande quantità di

notizie che forniscono sull’ambiente in cui si evolvette il

contrabbando.

Mi riferisco qui alle poesie e alle ballate, ai libretti lirici e alla musica,

al teatro, ai dipinti, alle copertine illustrate ed al fumetto (che Hugo

Pratt definisce quale “letteratura disegnata”2), ai radiodrammi, ai

documentari, alla cinematografia.

Non possiamo ignorare il fatto che l’attendibilità di un contenuto

letterario sia influenzata dalla tipologia della fonte, nonché dallo

stesso produttore: noteremo perciò la differenza tra gli scritti ufficiali

e le testimonianze del ricordo popolare e del mito, indifferentemente

se siano stati realizzati dagli appartenenti all’apparato di controllo

dello Stato ovvero da coloro che del contrabbando sono stati testimoni

2 Giovanni Marchese, Leggere Hugo Pratt: l’autore di Corto Maltese tra fumetto

e letteratura, Latina: Tunué, 2006, p. 56.

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o autori. Possono, entrambi, aver raccontato i fatti secondo un’ottica

fin troppo personalistica, alternativamente troppo indulgente o

eccessivamente rigorosa, facendo venir meno il quadro generale delle

vicende.

Prima di entrare nello specifico della trattazione e per una panoramica

sull’editoria dell’epoca, cito a titolo di esempio, per avere un’idea

della sua diffusione fra la popolazione italiana, che se nel 1911 il 37%

di essa era analfabeta3, oggi tale percentuale si può valutare in circa il

2%4.

Più che un popolo di lettori, però, sembra che quello italiano si sia

trasformato in uno di scrittori: dalla consultazione dei dati ISTAT

risulta che la pubblicazione di opere in Italia è passata da 1,6 libri ogni

10.000 abitanti nel 1926 a 9,8 nel 2008, per un aumento di oltre il

600% della produzione editoriale, senza tener conto di riviste e

periodici5.

Accanto a tutto ciò, vanno tenuti nella dovuta considerazione i canali

alternativi di produzione editoriale, o ad essa assimilabile. L’ultimo

decennio del XX Secolo ha infatti visto la nascita di Internet, la quale

ha rivoluzionato enormemente il modo di comunicare, con il recente

sviluppo di blog nei quali il prodotto editoriale solo raramente subisce

un qualche tipo di controllo redazionale. Questo fenomeno, il quale

tende ad aumentare con il progredire della familiarità con gli strumenti

3 Luisa Finocchi e Ada Gigli Marchetti (a cura di), Sommario di statistiche

storiche 1861-1975, Istat, Roma, 1976, in Editori e lettori: la produzione libraria in Italia nella prima metà del Novecento, Franco Angeli ed., Milano, 2000, p. 301.

4 A cura della Direzione centrale comunicazione ed editoria, Italia in cifre 2011, ISTAT, Roma, 2011, p. 14.

5 Sistema statistico nazionale, Istituto nazionale di statistica, L’Italia in 150 anni: sommario di statistiche storiche 1861-2010, Istat, Roma, 2011, pp. 413-416.

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informatici delle nuove generazioni, va affiancato all’apparentemente

più tradizionale, ma sostanzialmente altrettanto innovativo self

publishing, il quale incrementerà notevolmente il materiale

pubblicistico disponibile.

Allo stato attuale, comunque, Internet ci offre enormi risorse,

mettendo a disposizione anche dei cataloghi informatizzati quando

non addirittura intere biblioteche digitalizzate. È ovvio che queste

fonti non possono ancora rimpiazzare la ricerca fatta mediante una

sapiente mediazione umana – ad esempio per la presenza di errori

nelle letture OCR – ma l’ausilio che forniscono al ricercatore è

indubbio.

Dalla lettura di queste considerazioni, possiamo valutare l’editoria e la

pubblicistica una miniera, le cui dimensioni si sono ampliate a

dismisura nell’ultimo cinquantennio del secolo scorso, dalla quale è

però diventato ancor più difficile trarre le pietre rare che possono

valorizzare la nostra ricerca.

Andrò ora ad esporre brevemente alcune tra le opere che ho

individuato, suddivise per periodo storico, dedicando in chiusura un

più ampio spazio alla produzione editoriale di cui è stata promotrice la

Guardia di Finanza. L’elencazione non può certo ritenersi esaustiva,

ma può senz’altro fornire una esemplificazione delle pubblicazioni

nelle varie epoche di riferimento.

Ho selezionato le opere non tanto in base alla loro qualità scientifica,

ardua da determinare per i motivi che ho poc’anzi esposto, bensì

nell’ottica di mantenere desto l’interesse dei presenti, proponendo

delle particolarità che ritengo non note ai più.

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3. PERIODO NAPOLEONICO, RESTAURAZIONE, RISORGIMENTO

Cominciando col periodo napoleonico, sul libro a cura di Claudio

Donati Alle frontiere della Lombardia: politica, guerra e religione

nell’età moderna, leggiamo come all’inizio dell’800 il contrabbando

fosse estremamente diffuso tra il Regno d’Italia e l’Impero Francese,

tanto che gli sconfinamenti di gendarmi e doganieri da entrambi le

parti furono numerosi. Quando poi tra il 1805 e il 1808 furono

emanati provvedimenti normativi e venne firmato un trattato

commerciale, da cui emergevano chiaramente gli intenti

protezionistici dalla Francia nei confronti del Regno d’Italia, esso

sembrò estremamente vessatorio alle popolazioni rivierasche del

Sesia, che effettuavano il contrabbando su larga scala6.

Il contrabbando nelle valli dell’Adda e della Mera/Liro, è ampiamente

ricostruito storicamente da Massimo Mandelli e Diego Zoia ne La

carga: contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, del 1998. Il libro,

attraverso le fonti attinte all’Archivio di Stato di Sondrio, alle

cronache sui periodici e agli archivi storici dei Comuni locali, ci

mostra il contrabbando come una manifestazione di disagio

conseguente all’annessione della Valtellina e della Valchiavenna, nel

1797, alla Repubblica Cisalpina7.

Proseguendo, nel libro di Thierry Couzin Passer par le XIXème siècle.

les frontières, le capitalisme et L’Occident tra le altre cose, viene

ricostruita l’economia di Nizza e della Savoia nella prima metà del

XIX Secolo ed i commerci che intrattenevano col Piemonte, incluso il

6 Claudio Donati (a cura di), Alle frontiere della Lombardia: politica, guerra e

religione nell’età moderna, Milano, F. Angeli, 2006, p. 251. 7 Massimo Mandelli e Diego Zoia, La carga: contrabbando in Valtellina e

Valchiavenna, L’officina del libro, Sondrio, 1998, pag. 33.

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contrabbando tra Francia e Nizza, che secondo il console di francese a

Nizza era la maggiore risorsa di quella città8.

Tra i vari romanzi e racconti che parlano di avvenimenti del XIX

Secolo, mi preme citarne alcuni che trattano gli avvenimenti di alcune

zone di confine: L’album della suocera e altri racconti, tra cui Il

contrabbando, scritto nel 1858 sulla terra friulana da Caterina Percoto,

dove ella nacque nel 1812, autrice attenta alla vita dei ceti bassi e abile

nel mettere in risalto i personaggi della sua piccola commedia umana,

come il contadino che per sostentare la sua famiglia diventa

contrabbandiere di tabacco9.

Riguardo il confine occidentale, Giuseppe Giacosa realizzava nel

1886 un volumetto d’indole verista, il quale si dimostra un ottimo

strumento per far conoscere vita e costumi della Valle d’Aosta. Tra i

protagonisti di alcune delle sue novelle non potevano mancare i

contrabbandieri, ritratti in perenne competizione con le guardie. In

particolare, nel racconto Storia di due cacciatori leggiamo: «I

contrabbandieri dal canto loro odiavano cordialmente le guardie […]

e nelle alte solitudini non tutte le schioppettate miravano agli

stambecchi, né tutti i lamenti di feriti erano urli di fiera»10.

Tra le pubblicazioni periodiche, ricordiamo l’utile Manuale della

provincia di Como, analogo agli almanacchi statistici esistenti in

numerose altre città degli stati preunitari. In particolare, accanto

all’indicazione delle personalità locali, dei funzionari pubblici –

8 Thierry Couzin, Passer par le 19. siècle: les frontières, le capitalisme et

l’Occident : aux origines européennes de l’unification italienne, Bern, Peter Lang, 2009, pp. 194-195.

9 Caterina Percoto, “Il contrabbando”, in L’album della suocera e altri racconti, Muggiani Tipografo ed., Milano, 1945.

10 Giuseppe Giacosa, Novelle e paesi valdostani, Torino : F. Casanova, 1886.

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inclusi quelli delle dogane – e degli esercenti attività professionali e

commerciali, nell’edizione del 1858 possiamo cogliere accanto alle

consuete nozioni statistiche alcune valutazioni su quelle che oggi

chiamiamo “verifiche fiscali”, le quali recavano: «gravissimo danno

agli esercenti il commercio in dettaglio» e si rivelavano «troppo

moleste e defatiganti all’onesto commerciante, senza portare alcun

utile per la Finanza», poiché solo di rado venivano elevate

contravvenzioni per gravi mancanze11.

Non possiamo poi non ricordare che con il Risorgimento si creò un

particolare tipo di contrabbando, detto “delle idee”, di opuscoli e

scritti anti austriaci, che stampati segretamente dalla Tipografia

elvetica di Capolago venivano contrabbandati attraverso la nostra

frontiera in tutto il Lombardo-Veneto. Durò fino al 1851 quando il

comasco Luigi Dottesio fu scoperto dalla polizia austriaca e

condannato alla pena capitale12.

Di questa epoca anche un altro particolare contrabbando, di bambini,

affidati da mamme ticinesi disperate ai contrabbandieri che, passata la

frontiera, li collocavano in Italia. Sull’argomento, nel 1859 a Como è

stato pubblicato il libro di Leone Pedraglio Il contrabbando dei

trovatelli ticinesi e lo Spedale di Como. Memoria13.

11 Manuale della provincia di Como per l’anno 1858, Como: Ostinelli, 1858, pp.

27-28. 12 Alessandro Repetti, Luigi Dottesio da Como e la tipografia Elvetica di capolago

(1840-1851): Ricordi, Roma, Tip. Nazionale, 1887. 13 Leone Pedraglio, Il contrabbando dei trovatelli ticinesi e lo Spedale di Como.

Memoria, Tip. Ostinelli, Como, 1859.

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4. DALL ’UNITÀ D’I TALIA ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Passando ora ad analizzare la produzione editoriale nel periodo che va

dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale iniziamo dai romanzi:

nel 2010 tra la produzione di Arturo Zanuso (1903-1968), molta

ancora inedita, è pubblicato La strada delle piccole Dolomiti:

racconto di montanari e contrabbandieri14, in cui vengono affrontate

le vicende territoriali conseguenti alla III Guerra d’Indipendenza,

quando al passaggio del Veneto al Regno d’Italia, nel 1866, la

Lessinia alense ed il Baldo aviense si trovarono al confine con

l’Impero austro-ungarico, anche se solo per pochi decenni.

Per quanto riguarda i quotidiani, quello molto diffuso nel Canton

Ticino, la Gazzetta Ticinese, pubblica il 5 ottobre 1861 un trafiletto

concernente l’emanazione del nuovo Regolamento Doganale. I

giornali italiani davano infatti scarsa attenzione alla politica doganale,

diversamente dagli altri Stati confinanti che ne davano la massima

pubblicità. Tale regolamento istituì presso le Dogane la figura di

“visitatrice”, cioè personale incaricato della “visita personale” delle

donne che provenivano dalla Svizzera15.

Tra i periodici la cui pubblicazione abbraccia un lungo lasso di tempo,

dobbiamo ricordare il «Bollettino del Club Alpino Italiano» nato nel

186516, tra le più antiche riviste di alpinismo al mondo, nonché le

14 Arturo Zanuso, La strada delle piccole Dolomiti: racconto di montanari e

contrabbandieri: parte prima del romanzo Emilio Ersego, Sommacampagna, Cierre, 2010.

15 Cfr. Roberta Lucato, Contrabbandiere mi voglio fare: storia del contrabbando tra Canton Ticino e provincia di Varese, Macchione, Azzate, 1998, pp. 18-19.

16 Paolo Micheletti (a cura di), Indice generale della rivista mensile: 1882-1954, Milano, Club Alpino Italiano, 1957, e Gianfranco Bettoni (a cura di; collaborazione di Dante Colli), Indice generale della rivista: 1955-2004, Milano, Club Alpino Italiano. Commissione Centrale per le Pubblicazioni, 2005.

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231

riviste sezionali, che negli tempo hanno divulgato il patrimonio

documentario e fotografico custodito dalle centinaia di Sezioni del

Club disseminate in tutta Italia. L’importanza di questa stampa sociale

emerge chiaramente anche nell’ambito della nostra ricerca, poiché

ogni aspetto storico e culturale che riguarda la montagna e gli

avvenimenti locali finisce con l’intrecciarsi con le storie di quelli che

in una fase della propria vita potrebbero aver esercitato il

contrabbando in montagna: cito, ad esempio, gli articoli: La

Valchiavenna dei contrabbandieri17, Storie di ordinario

contrabbando: racconto18 e Val d’Ossola. Puniti dalla valanga: storie

di miseria e di contrabbando19. Già dal 1989 è stata intrapresa dalla

Commissione Centrale per le pubblicazioni del CAI un’opera di

censimento delle pubblicazioni sezionali, che prosegue tutt’ora anche

con l’implementazione di un database informatizzato che ne contiene

lo spoglio20.

L’importante ruolo dei periodici nel divulgare i fatti di cronaca venne

amplificato dalle immagini riportate sulla prima e quarta di copertina

delle riviste illustrate, come «La Domenica del Corriere» e «La

Tribuna Illustrata». Poiché i quotidiani dell’epoca erano composti da

poche pagine e lunghissimi testi, con queste vere e proprie

rappresentazioni pittoriche è stato possibile aprire una finestra sul

mondo e, per quanto ci riguarda, anche sui fatti di contrabbando che

17 La Valchiavenna dei contrabbandieri, in «Rivista della Montagna», n. 212,

maggio 1998, CDA, Torino, pp. 62-68. 18 Storie di ordinario contrabbando: racconto, in «Rivista della Montagna», n.

160, gennaio 1994, CDA, Torino, pp. 78-82. 19 Val d’Ossola. Puniti dalla valanga: storie di miseria e di contrabbando, in

«Rivista della Montagna», n. 245, marzo/aprile 2001, CDA, Torino, pp. 66-71. 20 Cfr. il motore di ricerca all’indirizzo Internet

http://www.bibliocai.it/Gruppi/Indici/ricerca.asp.

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vennero considerati più eclatanti: tra tutti, vi cito la Tragica lotta di un

brigadiere di finanza con un contrabbandiere sul monte Fiorina, di

Bea A., copertina de «La Tribuna Illustrata» del 2 settembre 1906.

Il contrabbando dal punto di vista di Beltrame è di nuovo protagonista

sulle copertine dell’8 gennaio 1911 della «La Domenica del Corriere»,

intitolata Durante una lotta avvenuta presso Dumenza (confine italo-

svizzero) una guardia ed un contrabbandiere precipitano in un dirupo

e del 16 aprile dal titolo Tormenta di neve travolge ed uccide dieci

contrabbandieri presso il confine nell’alto vicentino. Nell’edizione del

24 agosto 1913, autore Salvadori, viene invece riportata l’immagine

dal titolo I drammi del contrabbando: maggiore di Finanza che tenta

di trattenere una barca con contrabbando sul Lago Maggiore e viene

ucciso, dedicata a Gioacchino Silani.

Un doveroso accenno lo merita anche la «Rivista delle dogane»,

organo dell’Amministrazione delle Dogane Svizzere, che in occasione

del centenario della costituzione del Corpo delle guardie di confine, ha

pubblicato un numero speciale dedicato alla storia dell’istituzione a

partire dal 1° gennaio 1894, ripercorrendone i compiti fiscali, in

particolare della lotta al contrabbando, ampliatisi nel secondo

dopoguerra anche nell’ambito della polizia di sicurezza e di

migrazione21.

21 Il Corpo delle Guardie di Confine 1894-1994, in «Rivista delle dogane», 1994,

n. 2 (edizione speciale per il centenario del Corpo delle Guardie di Confine), Amministrazione delle Dogane Svizzere, Berna.

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5. DAL PRIMO DOPOGUERRA ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA

MONDIALE

Tra le opere pubblicate nel primo dopoguerra, un cospicuo numero è

composto da quelle in materia di diritto e sugli aspetti economici del

contrabbando.

Nel 1922 a Como, il Capitano della Guardia di Finanza Cristoforo

Pezza, con Contrabbando, contrabbandieri e polizia finanziaria22,

provvede a fornire brevi consigli pratici risultati dalle lunghissime

indagini e dalla lunga esperienza dei vecchi finanzieri, dalle

confessioni e dalle astuzie dei contrabbandieri e dei militari contro le

frodi all’erario sul confine alpestre, i tranelli e i travestimenti

utilizzati, i fatti verificatisi, accennando altresì allo studio dei metodi

di riconoscimento dei contrabbandieri, il cosiddetto ritratto parlato.

Nel libro del 1934 di Amedeo Giannini, Documenti per la storia dei

rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia23, è riportato un utile ausilio

normativo per documenti diplomatici che riguardano i rapporti fra

l’Italia e la Jugoslavia, incluse le disposizioni doganali per i cittadini

che hanno le proprie abitazioni o poderi in località di frontiera.

Per quanto riguarda i periodici, invece, anche nel primo dopoguerra

alcune copertine illustrate sono state riservate al fenomeno del

contrabbando. Quella de «La Domenica del Corriere» del 21 gennaio

1934, disegni di Walter Molino, è intitolata Due contro cento, dove i

due valorosi erano Guardie di Finanza della Legione di Milano che

affrontarono in val d’Intelvi una colonna di ben cento spalloni armati,

22 Cristoforo Pezza, Contrabbando, contrabbandieri e polizia finanziaria, Tip.

Editrice Cavalleri e C., Como, 1922. 23 Amedeo Giannini, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la

Jugoslavia, Roma, Istituto per l’Europa orientale, 1934.

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ne arrestarono uno e costrinsero gli altri a fuggire. Nel 1937, poi, nella

cronaca del settimanale «Popolo Valtellinese», il giornale ufficiale del

regime, è esaltato con compiacimento l’uso della moderna tecnologia

nei confronti del contrabbando. Da tale anno iniziarono infatti i

contrabbandi “motorizzati”, come quando «le Guardie di Finanza che

attendevano i contrabbandieri su due tassì si buttarono

all’inseguimento di due auto provenienti da Sondrio, scoprendo poi

sotto i sedili quattro quintali di caffè»24.

Nel numero 5 di giugno 2007 della Rivista semestrale di Storia

contemporanea «I sentieri della ricerca», promossa dal Centro studi

Piero Ginocchi di Crodo, è ospitata la monografia di Riccardo Ajolfi,

Corrispondenze d’emergenza nella seconda guerra mondiale: i

corrieri ossolani: un caso di contrabbando postale25, dalla quale

emerge che in analogia con il traffico clandestino di altre merci

attraverso il confine durante il periodo di guerra, anche il

contrabbando postale riusciva solitamente ad eludere ampiamente

l’intercettazione doganale elvetica, per opera dei contrabbandieri-

postini.

L’autore opera anche un parallelismo tra queste vicende e quelle

avvenute al confine orientale d’Italia nel 1919-20, quando fu decretato

il blocco delle corrispondenze lungo la linea di armistizio con il regno

dei Serbi-Croati-Sloveni (SHS), determinando quindi anche in quel

caso lo sviluppo del loro contrabbando.

24 Massimo Mandelli e Diego Zoia, La carga: contrabbando in Valtellina e

Valchiavenna, L’officina del libro, Sondrio, 1998, p. 156. 25 Riccardo Ajolfi, Corrispondenze d’emergenza nella seconda guerra mondiale, in

«I sentieri della ricerca», n. 5, giugno 2007, pp. 7-44.

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Tra le monografie riguardanti il contrabbando ed i passatori vi è stata

una ampia produzione. Vi accennerò più avanti a quella riguardante

espressamente i finanzieri, mentre esporrò qui un paio di esempi

comunque interessanti.

Edito a Torino nel 2004, il libro di Enrico Bertone, Quegli anni del

Novecento: storie di partigiani, soldati, contrabbandieri e frati, narra

le vicende di Timoteo Garnier, (classe 1915) di Bobbio, il più alto

comune dell’alta Valle Pellice, vicino al confine con la Francia,

quando fino ai primi anni ‘40, da contrabbandiere e con il benestare

francese, portava in Italia il caffè sul suo zaino, e alla fine della guerra

quando barattava il riso con lo scarso sale26.

Nel 2005 il libro edito a Torino, Luoghi della memoria, memoria dei

luoghi nelle regioni alpine occidentali, (1940-1945), raccoglie, a cura

di Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, gli Atti

dell’omonimo Convegno, che si svolse a Torino il 7-9 maggio 2001.

Nel libro, oggetto di un’indagine storica sulle vicende di tre Paesi

(Italia, Francia e Svizzera) che ebbero posizioni diverse durante la

seconda guerra mondiale, accanto al rigoroso censimento dei luoghi

della memoria raccontano le vicende delle frontiere, compreso il

contrabbando27.

Il libro, oltre ai contrabbandieri, mette in risalto gli altri principali

attori coinvolti con i confini, quali i “passeurs”, che svolgevano il

contrabbando dei prodotti, ma soprattutto, sulla frontiera italo-ticinese,

26 Enrico Bertone, Quegli anni del Novecento: storie di partigiani, soldati,

contrabbandieri e frati, Blu edizioni, Torino, 2004. 27 Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, Luoghi della memoria,

memoria dei luoghi nelle regioni alpine occidentali, Blu edizioni, Torino, 2005.

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la guida dei clandestini e dei fuggitivi, dei profughi, degli sbandati e

dei partigiani28.

Tra le tesi di laurea è interessante ricordare quella di Adriano

Bazzocco, L’epoca del riso. Il contrabbando degli affamati alla

frontiera italo-elvetica (1943-1947), in cui si evidenzia l’eccezionalità

del traffico di merci dall’Italia verso la Svizzera, per ottenere i

preziosi franchi svizzeri che al mercato nero venivano cambiati con

ingenti quantità dell’inflazionata lira29.

6. DAL SECONDO DOPOGUERRA ALLA FINE DEL “CONTRABBANDO

ROMANTICO”

Emblematico delle vicende italiane alla fine della seconda guerra

mondiale è il film del 1958 La legge è legge, interpretato da Totò (il

contrabbandiere napoletano Giuseppe La Paglia) e Fernandel (il

doganiere francese Ferdinand Pastorelli). Il film si ispira alle difficoltà

amministrative causate dall’annessione alla Francia del comune di

Briga Marittima, che divenne francese nel 1947, mentre alcune sue

frazioni rimasero italiane.

Dall’ampia produzione editoriale del secondo dopoguerra, traggo

alcuni spunti: a Torino, nel 2000, è pubblicato il libro di Francis Tracq

Pastori, contrabbandieri e guide. Tra valli di Lanzo e Savoia, che

tratta del commercio del sale; i trucchi del mestiere; equipaggiamento

di altri tempi; i guardiani dei valichi; i contrabbandieri che diventano

28 Ersilia Alessandrone Perona e Alberto Cavaglion, Luoghi della memoria…, cit.,

p.141. 29 Adriano Bazzocco, L’epoca del riso. Il contrabbando degli affamati alla

frontiera italo-elvetica (1943-1947), tesi di laurea, Università di Zurigo, 1996.

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guide alpine30. Ricordo poi un romanzo pubblicato nel 2005 da Lucia

Paris, Lunghe notti per albe lontane. Romanzo tratto da una storia

realmente accaduta31, che riscrive l’antica lotta fra i contrabbandieri

valtellinesi e le guardie di finanza a partire dagli anni’50.

Nel 1998 a Milano, della scrittrice poetessa Elsa Somalvico di

Brienno è pubblicato I padron de SumaÍna : poesie di Brienno e del

Lago di Como32, tra cui I sfrusaduur, poesia in dialetto laghèe, in cui

si parla proprio di contrabbandieri, con quaranta chili di roba sulle

spalle e di Finanza, che salta fuori dal boschetto e intima il rituale

“molla!”

Sulla proliferazione delle torrefazioni nella fascia italiana di confine,

danno ampia descrizione Stefano Cassinelli e Pierfranco Mastalli

autori di Lungo i sentieri del contrabbando storie, testimonianze,

appunti di viaggio, pubblicato a Varese nel 2006, evidenziando

addirittura un caso limite dove in un Comune di 300 abitanti sono

state installate ben 19 torrefazioni33. All’interno del libro, di estremo

interesse è l’intervista rilasciata dal Generale del Corpo Paolo Salerno,

che ci parla degli scarpasacch (appellativo con cui venivano indicati

sia i finanzieri che i contrabbandieri) e delle gare in montagna tra

finanzieri di vari reparti, che servivano anche a testarne la

30 Francis Tracq, Pastori, contrabbandieri e guide. Tra valli di Lanzo e Savoia, Il

punto, Torino, 2000. 31 Lucia Paris, Lunghe notti per albe lontane. romanzo tratto da una storia

realmente accaduta, Litografia La Cartotecnica, Provaglio d’Iseo, 2005. 32 Elsa Brigatti Somalvico, I padron de SumaÍna: poesie di Brienno e del Lago di

Como, Edlin, Milano, 1998. 33 Stefano Cassinelli e Pierfranco Mastalli, Lungo i sentieri del contrabbando

storie, testimonianze, appunti di viaggio, Macchione editore, Varese, 2006, p. 185.

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preparazione fisica necessaria a svolgere in ambito montano l’attività

anticontrabbando.

Il contrabbando è stato anche l’argomento di canzoni. Ometto in

questa sede le ballate ed i libretti lirici, ma mi sembra opportuno citare

due autori molto conosciuti tra i finanzieri ed i contrabbandieri. Il

primo, Ivan Graziani, cantautore abruzzese, nel 1977 pubblica l’album

I lupi, che contiene il singolo Lugano addio, che lo fa conoscere al

grande pubblico. In una strofe della canzone una ragazza, Marta, parla

«di frontiere di finanzieri e contrabbando» e riferendosi al proprio

padre dice che «Quassù in montagna ha combattuto!»34

L’altro autore è Davide Van De Sfroos. Gran parte delle sue canzoni

si riferiscono al lago, ove ha trascorso la sua infanzia. Inoltre, maggior

parte dei suoi testi è pensata, scritta e cantata in dialetto tremezzino

(cosiddetto laghée): qui vi cito la Ninna nanna del contrabbandiere,

tratta dall’album Breva e Tivan del 1999, in cui c’è un esplicito

riferimento ad un contrabbandiere, padre del bimbo che sta per

addormentarsi.

L’ultima canzone, sempre di Van De Sfroos, è La ballata del Cimino

dall’album: Pica!, del 2008. Qui il protagonista è un contrabbandiere,

chiamato il Cimino, che si getta a nuoto nel lago per sfuggire alle Alfa

della Finanza, riuscendo nel suo intento.

Cambiando genere, possiamo facilmente intuire che i quotidiani

nazionali e locali (alcuni dei quali tuttora esistenti, come «La

Provincia», testata nata nel 1892 a Como, «Il Piccolo» di Trieste,

1881) riportarono numerosi articoli riguardanti le vicende del

34 Lorenzo Arabia, Ivan Graziani. Viaggi e intemperie, Minerva edizioni, Bologna,

2011, p. 159.

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contrabbando, così come pure vennero realizzati programmi televisivi

e radiofonici inerenti il medesimo argomento.

Passando però alle riviste, di grande interesse si rivela l’articolo scritto

su «Qualestoria» dallo sloveno Božo Repe, Confini aperti e stile di

vita in Slovenia dopo la seconda guerra mondiale, riguardante sia gli

aspetti sociologici che più prettamente economici del contrabbando al

confine Sloveno fino ai primi anni ‘90. Per sommi capi, ricordiamo

che i prodotti contrabbandati dagli sloveni in entrambe le direzioni

erano quelli alimentari, mentre i prodotti tecnologici o di

abbigliamento giungevano in Jugoslavia per soddisfare una richiesta

fortemente influenzata dal mito occidentale.

Questi traffici illeciti, però, come già in altri luoghi ed altre epoche

storiche, favorirono la circolazione di idee e contribuirono a modellare

lo stile di vita sloveno nel periodo postbellico, esercitando allo stesso

tempo una pressione anche sulla politica, costretta ad estendere i

propri orizzonti al di là dei limiti posti dallo Stato35.

7. DALLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI ‘70 ALLA FINE DEL XX SECOLO

Possiamo adesso esaminare rapidamente le vicende più recenti, quelle

avvenute dalla seconda metà degli anni ‘70 in poi, quando le mutate

condizioni economiche e politiche internazionali hanno influito anche

sul contrabbando.

Specifico del periodo attualmente in esame si rivela lo studio: Note

criminologiche e sostanziali sul fenomeno del contrabbando nel

territorio di Como nel periodo compreso fra il 1970 e il 1990,

35 Božo Repe, Confini aperti e stile di vita in Slovenia dopo la seconda guerra

mondiale, in «Qualestoria», anno 1999, Vol. 27 - Fasc. 1, pp. 215-229.

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commentato da Enrico Mancuso, Giurista e dottore di ricerca presso la

Cattedra di Medicina Legale e Criminologia nell’Università degli

Studi dell’Insubria. L’analisi viene condotta incrociando i dati, le

sentenze emesse in materia di contrabbando dal Tribunale di Como fra

il 1970 e il 1990, per anno di nascita, sesso, i luoghi più colpiti, l’esito

dei processi degli arrestati. Il risultato ci fornisce importanti

indicazioni sull’andamento del fenomeno del contrabbando, più

consistente nel decennio 1970-1980, fino quasi a sparire alla fine degli

anni ‘80, con un intenso picco nel quinquennio 1971-7636.

Un manuale completo e che ha avuto successivi aggiornamenti è La

lotta alla mafia: strumenti giuridici, strutture di coordinamento,

legislazione vigente, del Generale del Corpo, attualmente in congedo,

Gaetano Nanula, in cui l’ampia disamina sulle fonti di finanziamento

della criminalità organizzata non poteva certo prescindere dall’analisi

del contrabbando di armi, esseri umani, merci e capitali, anche

attraverso i confini settentrionali della Penisola37.

Posso poi proseguire presentandovi un libro pubblicato nel 2010 a

cura di Maurizio Centi: Racconti di frontiera: antologia letteraria dei

doganieri italiani38, che ha per titolo e tema la frontiera, con racconti

dedicati propriamente al lavoro di dogana e quelli speculari sul

contrabbando.

Per quanto riguarda un genere che ho finora trascurato: i fumetti, un

doveroso cenno lo merita senz’altro l’albo Diabolik, nato da un’idea 36 Enrico Mancuso (commentato da), Note criminologiche e sostanziali sul

fenomeno del contrabbando nel territorio di Como nel periodo compreso fra il 1970 e il 1990, reperibile su Internet all’indirizzo http://www.originedumonde.it.

37 Gaetano Nanula, La lotta alla mafia: strumenti giuridici, strutture di coordinamento, legislazione vigente, Milano: Giuffrè, 1992.

38 Maurizio Centi (a cura di), Racconti di frontiera: antologia letteraria dei doganieri italiani, Laboratorio Gutenberg, Roma, 2010.

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delle sorelle Giussani, milanesi, le quali non possono non essere state

influenzate dalla vicinanza del confine elvetico dal capoluogo

lombardo. Clerville, la località immaginaria dove sono ambientate le

vicende dell’eroe mascherato, potrebbe essere una qualsiasi delle

località oltre confine ove giungevano i traffici illeciti. L’albo di cui

parliamo è intitolato Contrabbando di valuta39, del 1967,

probabilmente ispirato alle modalità impiegate negli anni ‘60-’70 per

sottrarre i capitali italiani agli accertamenti fiscali, esportandoli oltre

frontiera.

Un altro tipo di traffico che ha sempre attratto il contrabbando è stato

quello degli animali, che dal contrabbando di animali da soma e

bovini della metà dell’800 ha assunto oggi delle connotazioni

completamente diverse, come possiamo leggere in Zoomafia. Mafia,

camorra & gli altri animali, di Ciro Troiano. L’inchiesta condotta ha

permesso di capire che il Friuli, grazie alla vicinanza con il confine

orientale, è diventato la porta d’ingresso del traffico di animali, che

vengono smistati e venduti in diverse città del Nord Italia. Ad

esempio, secondo l’Osservatorio sui Balcani, ogni giorno dalla Bosnia

ed Erzegovina vengono esportate illegalmente specie di uccelli

protetti, che poco dopo finiscono nei piatti di esclusivi ristoranti

italiani40.

39 Angela e Luciana Giussani, Diabolik - Contrabbando di valuta, Anno VI, n°: 9,

data uscita: 1 maggio 1967. 40 Ciro Troiano, Zoomafia. Mafia, camorra & gli altri animali, Torino,

Cosmopolis, 2000.

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8. EDITORIA E PUBBLICISTICA DELLA GUARDIA DI FINANZA SULLA

TEMATICA DEL CONTRABBANDO

Veniamo ora ad un argomento sconosciuto ai più, ma non agli illustri

partecipanti a questo convegno: la tradizione delle pubblicazioni della

Guardia di Finanza.

Proprio alle pagine di alcuni periodici, grosso modo a partire dalla

seconda metà dell’800, venne affidato il compito di diffondere tramite

apposite rubriche le vicende storiche dei Corpi di finanza degli Stati

preunitari e del nuovo Corpo delle Guardie Doganali. Queste

pubblicazioni, all’inizio sporadiche e a diffusione locale, precedettero

di poco la fondazione de «Il Monitore della R.Guardia di finanza»,

che nel 1886 sarebbe divenuto «Il Finanziere».

Questo periodico rimane ancora oggi una fonte insostituibile di

documentazione della vita del Corpo nella sua duplice veste di house

organ, dedicato all’attività istituzionale ed operativa e di magazine,

per gli argomenti di carattere generale trattati. Di grande interesse si

rivelano le serie di articoli dedicati alla vita nei reparti del Corpo,

ripresa anche oggi dopo il recente restyling della testata, in cui

possiamo leggere un’indispensabile cronaca dei luoghi in cui si

svolgeva il servizio, affiancati da una rubrica che ancora oggi elenca i

principali risultati operativi suddivisi per reparto operante. Molti altri

articoli, invece, sono stati dedicati nel tempo alle vicende che videro

coinvolti i finanzieri in servizio sul confine, l’indicazione degli atti di

valore compiuti e delle ricompense conseguite.

Accanto a «Il Finanziere» va citato il periodico dell’A.N.F.I. «Fiamme

Gialle», sul quale vengono pubblicate storie di vita vissuta relative al

secolo passato, fornendo in molti di questi racconti uno spaccato del

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servizio anticontrabbando, sia pure ammantate di un’aura nostalgica e

dal solo punto di vista dell’uomo in divisa.

A partire dall’estate 1950, e per pochi anni, venne pubblicato anche

«Fiamme Gialle di Trieste», la cui serie si interruppe col ritorno

all’Italia del capoluogo giuliano. Anche qui sono riportati risultati di

servizio e momenti di vita del Corpo, nella configurazione della

“Finance Guard Branch”, alle dipendenze dell’“Allied Military

Government” (A.M.G.).

Nel 1952 fu fondata anche la «Rivista della Guardia di Finanza», che

pubblica studi originali di carattere giuridico, economico, militare,

storico e tecnico-professionale, realizzati sia da appartenenti al Corpo

che da studiosi ed esperti.

Per quanto riguarda, invece, le opere a stampa a carattere storico,

incluse quelle che toccano l’argomento del contrabbando, la loro

presenza all’interno dell’Istituzione è stata inizialmente marginale

come quantità, benché significativa per i contenuti: si trattò infatti

principalmente della memorialistica dei singoli finanzieri, i quali tra la

fine dell’800 e gli inizi del ‘900 narravano le vicende personali ed

inerenti il servizio, talvolta producendo anche componimenti poetici.

Ricordiamo qui l’Ufficiale del Corpo Sante Nodari col libro Le vittime

della valanga di Frasselle 41, in ricordo dei finanzieri suoi dipendenti

vittime della slavina che colpì quella località in provincia di Vicenza,

nel 1895, quando ancora si trattava di una zona nei pressi del confine

con l’Impero austro-ungarico.

41 Sante E. Nodari, Commemorazione delle vittime della valanga che colpì il

drappello delle Guardie di Finanza il 14 marzo 1895 in quel di Frasselle (Campo d’Albero), Verona, Stabilimento Tipogr. di G. Civelli, 1897.

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244

Tra il 1906 e la fine degli anni ‘30, conseguentemente alle modifiche

ordinative subite dal Corpo, ci fu una produzione che ebbe

prevalentemente ad oggetto i fatti d’arme in cui si erano distinti i

finanzieri o i loro antesignani, quasi ignorando, purtroppo, ciò che

atteneva allo svolgimento dei compiti istituzionali.

L’unico a discostarsi dal genere rievocativo fu il Ten.Col. Vittorio

Galiano, autore del famoso romanzo Esposti a settentrione42, dedicato

alla secolare sfida tra finanzieri e contrabbandieri sul confine italo

elvetico. Questo libro ispirò il film ambientato al confine con la

Francia Barriera a Settentrione, della fine degli anni ‘40, interpretato

dal celebre Amedeo Nazzari.

Nell’immediato dopoguerra, accanto ad isolati casi di memorialistica

personale, l’editoria concernente la storia della Guardia di Finanza fu

per anni assicurata dal Comando Generale del Corpo, generalmente

attraverso il suo Ufficio Stampa, finché a partire dagli anni ‘70 il

Museo Storico della Guardia di Finanza iniziò ad assumere anche il

ruolo di promotore ed editore di opere scientifiche.

In questa ottica vennero pubblicati Finanzieri in copertina: raccolta di

tavole a colori su periodici illustrati d’epoca, 1894-196243 del 1980,

curato dal Gen. Espedito Finizio e da questi congiuntamente al Gen.

Pierpaolo Meccariello Le cartoline dei finanzieri44, del 1996 e Cento

42 Vittorio Galiano, Esposti a settentrione, Roma : Libreria Italia, 1938 (Poligrafica

Laziale) – prima edizione. 43 Espedito Finizio, Finanzieri in copertina: raccolta di tavole a colori su periodici

illustrati d’epoca, 1894-1962 [ricerche iconografiche e documentarie, testi e copertina di Espedito Finizio] [S.l.], Comando Generale della Guardia di Finanza, 1980

44 Le cartoline dei finanzieri, Roma, Museo Storico della Guardia di Finanza, 1996.

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245

immagini per un secolo45, del 1999, che riportano delle

interessantissime immagini sullo svolgimento del servizio

anticontrabbando e delle tecniche di frode adottate per eludere la

vigilanza dei finanzieri.

Il Museo grazie alla collaborazione con l’Ente Editoriale del Corpo e,

a partire dal 2003, attraverso l’istituzione nel proprio ambito del

Comitato di Studi Storici, ha attuato una proficua attività di ricerca,

rivalutando numerose vicende del passato che erano state trascurate.

Nel 2005, ad opera del Gen. Luciani e del Cap. Severino ha visto la

luce la prima edizione del libro Gli Aiuti ai profughi ebrei ed ai

perseguitati: il ruolo della Guardia di Finanza (1943-1945), in cui si

parla appunto delle attività clandestine svolte dai finanzieri in ausilio

ai perseguitati politici e razziali anche sul confine che si snoda lungo

l’arco alpino. Oltre alla seconda edizione riveduta ed ampliata del

volume, negli anni successivi hanno visto la luce anche una serie di

monografie dedicate ai finanzieri protagonisti di quelle vicende, di cui

è stato quasi sempre autore il Cap. Severino.

Tra le opere c.d. “di Reparto”, cioè promosse dai Reparti del Corpo,

cito solo a titolo di esempio il volume: Fiamme Gialle in Liguria

1908-2008 le immagini di un “centenario”. Altre opere sono state

anche realizzate da studiosi esterni al Corpo come Fiamme di lago46 di

Enrico Fuselli, in cui si ripercorre anche la vicenda del finanziere

Angelo Cicerchia, gravemente ferito in attività di servizio nel 1904, nei pressi di

45 Cento immagini per un secolo, Roma, Museo Storico della Guardia di Finanza,

1999. 46 Enrico Fuselli, Fiamme di lago. Cent’anni della sezione luinese

dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia, Roma - Brezzo di Bedero, A.N.F.I. – Museo Storico della Guardia di Finanza - Marco Cattaneo Editore, 2007, pp. 73-88.

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246

Dumenza (VA), in conseguenza di una colluttazione con un contrabbandiere e

congedato nell’anno successivo per le gravi lesioni riportate.

Ricordiamo inoltre Fiamme Gialle di confine. La storia della Compagnia della

Guardia di Finanza di Olgiate Comasco 1927-2007, scritto da Guido Bertocchi e il

suggestivo libro fotografico di Gea Casolaro Permanente presenza. Immagini di vita

della Guardia di Finanza in Trentino-Alto Adige47.

Ancora al Museo Storico sono infine da ascrivere la realizzazione di interessanti

convegni e la pubblicazione dei relativi atti, con la collaborazione della Scuola di

Polizia Tributaria, dei quali rammento quello attinente al nostro ambito e risalente al

2003, organizzato dall’Accademia di Bergamo.

Tra le pubblicazioni in cui le immagini hanno un ruolo fondamentale, annoveriamo

le annate di una Rivista illustrata della R. Guardia di finanza, di proprietà privata,

Fiamme Gialle d’Italia – Rivista Mensile Illustrata della Regia Guardia di Finanza,

nonché il Calendario Storico della Guardia di Finanza, nel quale la parte testuale è

corredata da ricca iconografia. Delle varie annate, è opportuno citarne alcune in

particolare: nel 1955, ‘56, ‘58 e ‘59, il tema del calendario furono i differenti settori

di servizio, tra i quali quello alpestre ha avuto il ruolo principale, con numerose foto

che raffigurano i controlli svolti dai finanzieri al confine, in montagna e vengono

inseriti alcuni risultati operativi, sequestri di merce di contrabbando. Il numero

relativo all’anno 1987, invece, è espressamente dedicato al «finanziere

secolare custode dei confini della patria», come viene riportato nella

sua premessa. Mediante le immagini raccolte nella pubblicazione, si

cerca di rappresentare l’isolamento dei reparti e l’asprezza degli

itinerari di vigilanza, fino a pochi anni prima ancora perlustrati con

grande rigore.

Sempre nell’ambito delle illustrazioni, è utile rammentare che negli

anni ‘70 su «Il Finanziere» venivano correntemente pubblicate

vignette umoristiche basate sui vari settori d’impiego del Corpo, di

vari autori, in cui i finanzieri in servizio al confine alpestre potevano 47 Gea Casolaro, Permanente presenza. Immagini di vita della Guardia di Finanza

in Trentino-Alto Adige, Trento, Temi Editrice, 2007.

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riconoscersi e ironizzare sui disagi e sulla disciplina a cui erano

sottoposti.

In questa sede va precisato l’interesse del Corpo per le ricerche

bibliografiche. Non vorrei che sembrasse un moto promozionale, ma

lo scorso anno l’Ufficio Storico ha emanato una circolare48 secondo la

quale i reparti devono comunicare al Comando Generale i libri

inerenti la storia della Guardia di Finanza pubblicati nella loro zona di

competenza, così come pure quelli da essi promossi o realizzati dai

militari dipendenti. In questo modo, sarà molto più facile ricevere

aggiornamenti periodici di opere di una certa rilevanza, incluse quelle

sul contrabbando.

Grazie per la cortese attenzione.

48 La n. 68429/032 in data 6 marzo 2012, avente per oggetto: Pubblicazioni a

carattere storico concernenti la Guardia di Finanza.

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249

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

Nella presente sezione bibliografica si propone una rassegna di

pubblicazioni – in edizione italiana ovvero in lingua originale – il cui

tema principale è il contrabbando al confine alpestre. La collocazione

temporale va dal XIX al XX Secolo; per garantire una migliore

fruibilità, la bibliografia è stata suddivisa, di massima1, in ulteriori

periodi storici ed ordinata alfabeticamente.

Le indicazioni bibliografiche riportate di seguito sono il risultato di

una attività di ricerca bibliografica che ha proceduto “dal particolare al

generale”: dapprima ci si è avvalsi delle citazioni in nota che

accompagnano le opere riportate nella presente relazione; si è

proseguito attingendo alle banche dati on line (OPAC SBN; ESSPER;

banche dati di settore), approfondendo, ove possibile ed agevole,

mediante la consultazione diretta delle opere.

Come già più volte precisato, pur non potendosi ritenere completa la

bibliografia che qui viene presentata, l’intendimento è quello di offrire

con ponderazione degli spunti che possano suscitare l’interesse degli

accademici, degli addetti al settore e dei semplici appassionati.

1. Periodo napoleonico, Restaurazione, Risorgimento

Amé, Léon, Étude économique sur les tarifs des douanes, Guillaumin,

Paris, 1859

1 Poiché il contenuto di molti testi riguarda argomenti di vari paragrafi della

relazione.

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250

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Boiteau, Paul, Les traités de commerce: texte de tous les traités en vigueur

notamment des traités conclus avec l’Angleterre, la Belgique, la Prusse (Zollverein)

et l’Italie, avec une introduction historique et économique des renseignements sur

les monnaies, les mesures, les douanes, les usages et un catalogue alphabétique des

principaux articles tarifés dans les divers pays du monde, Guillaumin, Paris, 1863

Cantù, Cesare, Como e la sua provincia, Corona e Caimi, Milano, 1850

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droits d’entrée et de sortie, dressé et publié par les soins del M. le conseiller d’Etat

directeur général…, de l’Imprimerie Royale, Paris, octobre 1822

Francia: Direction générale des douanes, Supplement au tarif général des douanes

de France, dressé et publié par les soins de l’administration, et approuvé par le

ministre secrétaire d’Etat des finances, de l’Imprimerie Royale, Paris, juin 1845

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Gen. D. Espedito Finizio

Un contrabbandiere d’altri tempi Louis Mandrin (1725-1755)

Louis Mandrin è un personaggio realmente esistito: nato nel 1725 a

Saint-Etienne de Saint Geoirs, nella provincia del Delfinato, fu un

famoso brigante e contrabbandiere. Alla morte del padre François-

Antoine, commerciante, diviene, a 17 anni, capo famiglia, una

famiglia una volta ricca, ma in declino.

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Sostituisce il padre anche nelle attività d'affari. In una di tali occasioni

prende i primi contatti con la compagnia finanziaria incaricata della

riscossione dei tributi indiretti, denominata "Férme générale", che

noleggiai da lui circa 100 muli per l'armata di Francia on Italia.

Nell'attraversamento delle Alpi molti muli periscono e solo diciassette

animali, in condizioni deplorevoli, fanno ritorno a Saint -Etienne.

La Férme générale si rifiuta di risarcire il danno. Il 27 luglio 1753, a

seguito di una rissa in cui ci sono dei morti. Luois Mandrin e il suo

amico Benedetto Brissaud, sono condannati a morte. Mandrin riesce a

fuggire, mentre l'amico viene impiccato sulla Place du Breuil a

Grenoble.

Lo stesso giorno Pierre Mandrin, fratello minore di Luigi viene

impiccato anche esso per falsificazione. Mandrin, così decide di

iniziare la sua guerra contro le autorità ed in particolare agli esattori

della Férme générale.

La Férme générale, era molto odiata dalla popolazione, essa applicava

esose tasse sulle merci, la più nota era quella sul sale, ma anche su

altri prodotti tra cui il tabacco.

Il sistema di riscossione delle imposte comportava notevoli abusi; la

Férme générale accumulava notevoli ricchezze, di cui a volte solo un

quarto delle imposte che raccoglieva, venivano versate al Re.

Mandrin entra in una banda che faceva contrabbando, in particolare di

tabacco, tra i cantoni svizzeri, la Francia e lo Stato di Savoia.

Diviene il leader della banda formata da circa 500 uomini, che

organizza come un piccolo esercito, ben armato, soprattutto di pistole,

grazie alle armi sottratte dai depositi militari. Si proclama "Capitano

Generale". Il suo obbiettivo principale rimane però la Férme gènèrale.

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Egli dà vita ad una fiorente attività di contrabbando: quando arriva nei

villaggi carico di tabacco, tessuti, pollame e spezie, vende tutto,

ovviamente senza il pagamento di tasse con aste trasparenti.

In talune circostanze costringe gli stessi doganieri, sotto la minaccia

delle armi, ad acquistare la merce di contrabbando. Inoltre libera dalle

carceri solo i prigionieri vittime dei conflitti con l'amministrazione

delle imposte, ma non i ladri e gli assassini.

Promuove durante il 1754 ben sei campagne di stile militare, la sua

area di influenza in Francia va al di là del Delfinato e copre

praticamente tutte le attuali regioni del Rhòne-Alpes e Auvergne, la

Franche-Comté e la Borgogna. Divenne così popolare, sostenuto dagli

agricoltori e protetto dalle autorità, dalle quali veniva considerato "un

bandito sociale", ovvero un uomo di origine povera, ma che aveva

dimostrato la sua capacità di affermarsi e sopravvivere in un ambiente

tanto difficile. Arriva a godere l'ammirazione addirittura di Voltaire.

La Férme gènèrale esasperata dalle azioni di Mandrin, chiede ed

ottiene dal re una campagna militare contro di lui. Delle truppe

leggere e mobili: i fucilieri di Morlière ed i Cacciatori di Fischer

vanno a rafforzare le truppe dei volontari del Delfìnato. Mandrin si

rifugia presso la città di frontiera di Pont-de Beauvois.

Ma grazie ad una delazione di due uomini di Mandrin, la Férme

gènèrale entrando illegalmente in Savoia riesce a catturarlo presso il

castello di Rochefort-en-Novalaise grazie a 500 uomini travestiti da

contadini.

Quando Carlo Emanuele III, re di Sardegna apprende di questa

intrusione nel suo territorio, pretende la restituzione del prigioniero da

parte di Luigi XV, che deve porgere le sue scuse.

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Ma la Férme gènèrale, decisa a farla finita con Mandrin, ne accelera il

processo e lo condannato a morte con il supplizio della ruota.

Questo tipo di esecuzione, era una forma di tortura e di pena capitale

usato nel Medioevo e secoli seguenti. Il condannato era legato per i

polsi e le caviglie ad una grande ruota e con una mazza gli venivano

rotte le ossa di braccia e gambe. Talvolta veniva dato un colpo di

grazia sullo sterno, provocandone la morte. In altri casi invece veniva

lasciato vivo per ore esposto al pubblico prima di essere ucciso. In

altre circostanze la persona che aveva commesso il crimine era legata

sulla ruota che veniva fatta girare per indurre nausea e vomito. Se la

rotazione era veloce e prolungata il suppliziato poteva soffrire di

disturbi circolatori. Questa forma di tortura raramente si rivelava

mortale.

In alcuni casi sotto la ruota del supplizio venivano messe delle punte

su cui la persona strusciava e infine moriva dissanguata. Il 24 maggio

1755 a Valence davanti a 6000 curiosi fu ucciso. Mandrin sopporta il

supplizio senza lamenti, anzi incitando a continuare la rivolta contro il

fisco. Due suoi fratelli cercarono di portare avanti la sua azione.

Grazie ad una ballata, "Complainte de Mandrin", di autori ignoti, la

sua leggenda viene portata avanti. Egli diviene una sorta di Robin

Hood francese che si opponeva all'assolutismo, erano gli anni poco

precedenti la Rivoluzione, ancora oggi nel Delfinato e nella Savoia, ed

in misura minore, la sua figura rimane popolare, tanto che molti

luoghi portano ancora il suo nome in seguito al suo reale o presunto

passaggio, come da noi accade per Garibaldi.

A Saint-Etienne-de-Saint-Geoirs si svolgono ogni cinque anni

festeggiamenti dedicati a Mandrin: le "mandrinades". Gli abitanti di

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questo villaggio sono anche chiamati Mandrinois. La popolarità di

Mandrin si manifesta con diverse produzioni culturali: libri, mostre,

fumetti, dischi rock e produzioni televisive e cinematografiche.

Il cinema ha dedicato ben 5 film a Mandrin: uno muto addirittura nel

1924, tra questi uno nel 1951: "Le avventure di Mandrin", una co-

produzione italo-francese viene diretta da Mario Soldati con Silvana

Pampanini e Raf Vallone protagonisti.

Altre due pellicole seguirono: nel 1962 dal titolo "il ladro gentiluomo"

ed una addirittura uscita nelle sale lo scorso anno dedicata alle

avventure dei compagni di Mandrin dopo la sua morte.

La televisione nel 1971 ha trasmesso uno sceneggiato in 6 puntate

dedicato al contrabbandiere diretto da Philippe Fourastié, ebbe grande

successo.

Se capitate a Grenoble potrà accadere, ancor oggi che se ordinate una

birra, ve ne portino una dedicata al contrabbandiere Mandrin.

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Gen. B. Rodolfo Mecarelli

Rete di confine

Che un confine si potesse delimitare e difendere per decine di

chilometri per mezzo di una rete metallica a maglie larghe

probabilmente non era cosa facile da immaginare.

Eppure, è accaduto allo stato italiano, prima come regno d’Italia e poi

anche come repubblica.

Il confine tra l’Italia e la confederazione elvetica si sviluppa lungo

dorsali alpine che da sole bastano a rendere impervio il passaggio da

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un paese all’altro. Ma, in alcuni tratti, i sentieri lo attraversano

piuttosto agevolmente.

E proprio in corrispondenza di queste zone di frontiera, per

contrastare il contrabbando, presente – come abbiamo visto ieri -

anche prima dell’800, a cura della Guardia di Finanza - in particolare

del Finanziere Luca Bongiovanni (morto a Como, a 92 anni) – la rete

viene studiata, preparata e collocata lungo la linea di confine. Fornita

di campanelli, aveva lo scopo di impedire e segnalare il passaggio non

solo delle persone ma, soprattutto, dei cani.

Si, dei cani contrabbandieri che intorno al 1881 (per le severe norme

doganali vigenti era previsto per il contrabbando, in quegli anni, anche

il confino) cominciarono ad essere impiegati per portare merce

contenuta in una bastina fissata intorno al loro corpo (dai 5 ai 10

chilogrammi di merce per volta). Erano animali allevati nel comasco

che una volta portati in svizzera, e lasciati senza cibo, tornavano

istintivamente a casa attraversando, per l’appunto, la frontiera. Dai

documenti della regia Guardia di Finanza di Como, del 1892,

sappiamo che in una notte potevano sconfinare anche cento cani,

addestrati perfino ad evitare i finanzieri.

Ecco, allora, la rete chiamata fiscale o di stato, che non segnava il

confine dovendo trovare collocazione sul territorio italiano.

Il primo tratto, a cominciare dal 1894, fu steso tra Rodero e Bizzarone.

E da quel momento nacquero diversi problemi tra i proprietari dei

terreni dove la reta veniva via via stesa, anche perché nelle vicinanze

furono edificate altre opere come, per esempio, una gradinata - da

Ponte Chiasso a Cavallasca - rimasta nella memoria delle fiamme

gialle, che durante i loro turni “sotto rete” hanno contato, chissà

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quante volte, uno per uno, tutti i 667 scalini per circa 300 metri di

altezza. La “scala del paradiso” – così fu chiamata - diventò uno dei

luoghi più ricordati tra i finanzieri.

Non solo problemi con i proprietari dei terreni. Anche con le comunità

locali, come per esempio quella di Rovenna (sopra Cernobbio) che

chiese, ed ottenne, alcune aperture diurne e notturne, le prime per

contadini e pastori, le seconde per consentire lo svolgimento delle

feste religiose al santuario del monte Bisbino.

Lungo la rete di stato, nelle zone tra questa e il confine segnato dai

cippi all’interno del territorio nazionale, quante storie in tutto il XX

secolo.

Tornando ai cani, il 1° settembre 1894, nei pressi di Uggiate Trevano,

i finanziari ne catturarono uno con un carico di circa 5 chilogrammi di

tabacco e sigari (all’epoca non erano ancora comparse le sigarette).

Fu arrestata la proprietaria che però venne assolta per insufficienza di

prove, perché non si riuscì a dimostrare, al processo, l‘effettiva

proprietà dell’animale.

Il 10 aprile 1890, sempre nella zona di Uggiate, un finanziere che

aveva abbandonato il reparto scappando in Svizzera, venne sorpreso

alla testa di una banda di contrabbandieri mentre sabotava il sistema

d’allarme della rete. Addosso aveva una lettera con la quale un altro

finanziere – in servizio - gli prometteva il “passo” in frontiera.

E in prossimità della rete, ovviamente al di là della frontiera, i

doganieri elvetici registravano le bricolle in uscita percependo i diritti

all’esportazione. In particolare, quella chiamata “esportazione 2”, che

permetteva alla svizzera la libera esportazione all’estero dei tabacchi

lavorati. Quindi, in Italia.

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La “ramina”, come viene chiamata in dialetto ticinese, fece cessare

l’uso dei cani ma non l’attività dei contrabbandieri che, aprendo dei

varchi nelle maglie metalliche, prima facevano passare le bricolle poi

passavano loro.

Lungo la rete, il 20 febbraio 1923, nei pressi del monte Bisbino,

durante uno scontro tra Guardie di finanza e contrabbandieri rimase

ferito un Finanziere. Ad aprile, all’Alpe del Bonello, in uno scontro tra

Finanzieri e una colonna di circa quaranta spalloni un contrabbandiere

rimaneva ucciso.

La rete, essendo in ogni caso un impedimento, ritardava la marcia dei

contrabbandieri i quali, per non lasciare tracce dei loro passaggi, dopo

aver aperto i varchi erano costretti a richiuderli.

E, addirittura, la mancanza della rete fiscale fu addotta a scusante di

uno sconfinamento dei Finanzieri in territorio elvetico (a detta degli

svizzeri) nella stessa notte in cui un contrabbandiere di Colonno -

Domenico Gerletti - fu ucciso al confine nei pressi di Pellio d’Intelvi.

Era il 3 dicembre 1954 e questa morte fu commentata sulla stampa

locale dal Senatore Lorenzo Spallino, di Como, che esortò i suoi

colleghi parlamentari a pervenire, in tempi rapidi, all’approvazione del

disegno di legge sull’uso delle armi. Proprio quella legge - la nr.100,

promulgata quattro anni dopo - della quale ha, ieri, parlato il generale

Golino.

La “siepe metallica” (con questo termine era indicata nei documenti

dei reparti della Guardia di Finanza relativi ai preventivi per

acquistare i materiali necessari alla sua costruzione) venne posta in

opera, nei primi anni del ‘900, a cura degli stessi militari, anche lungo

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il confine tra ponte chiasso e il Bisbino, la Valle d’Intelvi, Valsolda,

Val Cavargna e Val Rezzo oltre che lungo la frontiera varesina.

Prima che iniziasse il XX secolo, tra Varese, Luino e Como, erano

stati già realizzati oltre 30 chilometri di rete.

La lunghezza complessiva, alla fine dei lavori, negli anni della 6^

legione che fu istituita nel 1945, risultò pari ad oltre 72 chilometri

lungo un confine che si estende complessivamente per 521 chilometri,

dal cippo di confine di Zenna (Varese) a quello del Passo dello

Stelvio.

Per evitare lo sfondamento della rete con gli automezzi - nel frattempo

il contrabbando aveva avuto una evoluzione, dagli spalloni che a

piedi passavano la frontiera agli automezzi come mezzo di trasporto e

di fuga - negli anni ’60 fu iniziata la costruzione di una palizzata di

cemento armato ma, per fortuna, non se fece nulla poiché il

contrabbando di sigarette finì nei primi anni ’70 per le cause che

abbiamo ascoltato ieri.

Il passaggio della rete non fu solo da parte dei contrabbandieri ma

anche dei prigionieri di guerra che – dopo l’8 settembre del ‘43 –

furono aiutati a fuggire in Svizzera.

Fra i percorsi seguiti ci fu quello della Bocchetta Stabiello, dopo il

Pizzo di Gino, per raggiungere il primo paese in territorio elvetico,

Carena. E così la “via del tabacco” diventò la via per salvare tante di

queste persone. Forse 800 ne arrivarono a Carena. Assieme a loro

anche tanti militari italiani che scappavano non avendo scelto di fare

la guerra con le insegne della appena nata Repubblica di Salò. Ma non

avendo scelto anche di lottarci contro, né tra i partigiani né con il

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Governo Badoglio, schierato con gli eserciti alleati che stavano

risalendo la penisola.

Lungo i varchi della rete, promulgate le leggi razziali, sono stati

contrabbandate pure le persone, gli ebrei.

Non tutti li hanno aiutati per denaro: alcuni contrabbandieri non hanno

voluto soldi. Altri uomini, di un genere diverso, sono stati uccisi per

averlo fatto: è il caso del Finanziere Salvatore Corrias fucilato – dalle

Brigate Nere al Bugone - nel gennaio del 1945.

La rete non ha evitato l’ingresso in Svizzera dei clandestini, altro

gravissimo fenomeno iniziato sul finire degli anni ’70, e, fino agli

attuali anni, presente sul confine. Stavolta, non si chiamano

contrabbandieri ma “passatori” che accompagnano, pagati, alla

frontiera gli “stranieri” pronti, se scoperti dalle Forze di polizia, a

mollare, questa volta, non il sacco ma le persone, trattate, così, come

merce di contrabbando.

Un ricordo per non dimenticare la tragedia dei migranti: al Passo

Spluga sotto una bufera di neve, nell’ottobre del 1988, un bambino

turco di sette anni morì tra le braccia del padre.

La rete è rimasta al suo posto fino ai giorni nostri. Senza denaro per

farne la manutenzione. In ogni caso – seppur ci fosse stato – non

sarebbe stato certamente speso per un manufatto diventato inutile.

Inutile per le maniere diverse con le quali i criminali effettuano, da

anni, i traffici illeciti attraverso più stati (dalla droga alle merci

contraffatte e alle stesse sigarette) utilizzando loro questa volta, tra i

diversi sistemi organizzativi, una rete però diversa: quella mondiale

chiamata internet. Di quella metallica se ne è riparlato agli inizi del

xxi secolo per esaminare come, eventualmente, rimuoverla (quella

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rimasta in piedi, ancora visibile, tenuto conto che in diverse zone del

terreno la folta vegetazione la nasconde anche alla vista di coloro che

ne conoscono l’esatta ubicazione).

Intanto, da un articolo del 7 aprile 2012 pubblicato da “la provincia”

di Como, si è appreso che gli alpini della Sezione di Maslianico hanno

avuto la lodevole iniziativa di mettersi al lavoro per recuperare i

vecchi sentieri lungo il confine e lungo la rete mentre l’ente turistico

di Mendrisio ha inserito – nel pacchetto delle escursioni – anche

quelle lungo la rete italiana.

1. IL SERVIZIO ANTICONTRABBANDO NELLE CRONACHE DEI SECOLI

SCORSI

Nell’archivio del giornale “la Provincia” di Como, in uno dei primi

numeri, quello del 4 ottobre 1893, si può leggere di un contrabbando

tentato a Brogeda cercando di corrompere, ma inutilmente, il

finanziere di guardia offrendogli direttamente del denaro.

Un anno prima, il 3 dicembre, alcuni contrabbandieri scoperti dai

finanzieri, nel tentativo di scappare annegano nell’Adda in prossimità

del Lago di Como.

Ancora nel 1893, il 28 febbraio, una grave disgrazia a Chiasso: una

Guardia, durante il controllo alla ferrovia, cade sotto il treno e dopo

aver subito l’amputazione di una gamba muore per le altre gravi ferite

riportate.

Il 10 dicembre dello stesso anno, il giornale ci informa che il

Brigadiere della Guardia di Finanza di Menaggio merita “sinceri

encomi perché quasi ogni giorno sequestra tabacchi”.

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Ecco, da queste prime notizie, si comprende immediatamente come

l’attività illecita del contrabbando commesso lungo tutta la frontiera

con la svizzera sia antica, invasiva nella società locale, collegata ad

altri gravi reati e a tragici eventi dovuti ad incidenti e agli scontri tra

guardie e contrabbandieri.

Lo “sfroso”, come viene definito il contrabbando nel comasco, per

come è stato raccontato dalla stampa, nella letteratura, dagli studiosi,

dagli stessi contrabbandieri e, naturalmente, dai finanzieri ha assunto,

nel tempo, varie colorature.

Forse, a tutt’oggi, non si è riusciti a darne una lettura autentica, anche

cruda direi, che tenga conto sì delle molteplici cause che lo hanno

generato e tenuto prospero per intere e numerose generazioni, ma che

esponga i fatti così come sono, senza per forza calarsi in una delle

parti in causa.

leggiamo sul “nuovo Lario” del 1885 un racconto – a puntate – sulle

“gesta” di un noto contrabbandiere dell’epoca, tale “Cecco” che dopo

avere contrabbandato merci per 25 anni diventò postino delle lettere di

Mazzini negli anni ‘48/’49. Poco prima, negli anni 1883/’84 “la

Provincia di Como” aveva pubblicato, sempre a puntate, un novella:

“la fidanzata del contrabbandiere”.

Scrive Bruno Soldini: “dove c’è confine c’è contrabbando” nel suo

libro “uomini da soma. Contrabbando di fatica” quasi a evidenziare

una costante di questa attività illecita lungo ogni frontiera.

Il 13 gennaio 1895, due finanzieri di Gravedona (Tommaso Berrino e

Luigi Gavazza), nella Valle del Dosso, rimasero uccisi, sepolti sotto

una valanga.

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Il 14 agosto 1917, due finanzieri vennero uccisi da quattro disertori

vicino alle sponde del lago di Darengo. Il 2 marzo dell’anno dopo una

valanga seppellisce il Distaccamento della Foppa: 8 morti, il

comandante e 7 suoi militari nati in Piemonte, Lombardia, Toscana,

Sicilia. Ma i morti sono di più: restano sotto la valanga anche due

portavivande del posto, abitanti a Dosso del Liro.

Le valanghe uccisero anche numerosi contrabbandieri: una ne

travolse 13, cogliendoli tutti assieme in colonna, uccidendone 10. Era

il 20 gennaio del 1948, in Val Senagra.

Nel 1969, il 14 gennaio, nella Valle Albano, due finanzieri del

distaccamento del Giovo perdono la vita assieme a quella del loro

cane anticontrabbando, sepolti da una valanga. Solo in primavera

vennero recuperate i corpi.

Dalle tragedie in montagna si passa ai sequestri originali che hanno

fatto sorridere, come quello delle pellicole cinematografiche della

lunghezza complessiva di ben 80 chilometri, scoperte in un doppio

fondo di un carretto, il 12 marzo 1924, alla dogana di Ponte Chiasso.

Il 23 giugno 1933, nella località “Valle Fiorina” di Valsolda, un

contrabbandiere spinse in un burrone un finanziere, uccidendolo.

Un anno dopo, la “Domenica del Corriere” del 21 gennaio, con una

celebre tavola del pittore Achille Beltrame, dai tratti decisamente

retorici, immortala un ingente sequestro di sigarette fatto da due soli

finanzieri, una volta intercettata una colonna composta da ben cento

contrabbandieri a Lanzo d’Intelvi. Un arresto e 96 bricolle

abbandonate sulla neve per trenta quintali di tabacco, zucchero e caffè,

dopo un conflitto a fuoco: rivoltelle dei contrabbandieri e moschetti

’91 dei militari. Il capo della colonna era Clemente Malacrida di Pellio

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d’Intelvi, conosciuto come il “duca della montagna” , uno dei

rarissimi “padroni” passati a fare anche gli “spalloni”.

Questo contrabbandiere portava, come gli atri, la merce fino alle

sponde del lago nei vari paesi della Tremezzina. Qui, il carico veniva

diviso e trasportato all’altra sponda con delle imbarcazioni chiamate

“sandolini”.

Durante il contrabbando del riso (contrabbando di guerra dall’Italia

alla Svizzera, e non si trasportava solo riso) durato fino al ’48, le

guardie di confine della Confederazione Elvetica avevano ordine di

sparare. Le cronache del tempo, infatti, riportano scontri cruenti con i

contrabbandieri, a volte armati.

Si è ucciso per il riso: il ferimento di un finanziere appena arrivato in

Val d’Intelvi preso a fucilate mentre era fuori servizio fa comprendere

come in quel periodo gli animi fossero accesi e le persone pronte a

tutto. E in territorio svizzero ci furono scontri a fuoco tra guardie e

contrabbandieri, feriti se non addirittura uccisi: il 30 ottobre 1945 a

Roggiana di Vacallo, un doganiere elvetico resta ucciso da una raffica

di mitra sparata da un gruppo di contrabbandieri di Maslianico.

Un'altra guardia svizzera, il 17 settembre del ‘45 a Brusino, cadde

colpita da tre colpi di pistola.

Dal 1943 al 1948, nel territorio elvetico furono uccisi 31

contrabbandieri mentre le guardie ebbero tre caduti.

“L’ordine” del 13 luglio 1945, in proposito così scriveva: …<< il

contrabbando non è erbaccia nuova, spuntata ai margini delle macerie

morali e materiali che ci circondano. E’ un reato dalle radici profonde.

Consistendo in un’evasione ai dazi doganali, il contrabbando

appartiene ad una vasta categoria delle infrazioni fiscali; rappresenta

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uno dei mille modi con cui la fertile fantasia del contribuente cerca di

sfuggire alle maglie del fisco. L’omicidio, il furto, la violenza sono

fatti dalle ampie ripercussioni sulla società. Destano allarme sociale e

dalla massa sono perciò “sentiti” come reato. Ma chi “sente” da noi,

come reato, l’evasione fiscale? Se la norma punisce come delitto il

furto e l’omicidio, interpreta la volontà popolare. Ma quando colpisce

l’infrazione fiscale, assume l’aspetto della tirannia…>>.

E non si può dimenticare che, durante la guerra, soprattutto dopo l’8

settembre 1943, i contrabbandieri furono considerati in maniere

diametralmente opposte.

Da un lato, i contrabbandieri-patrioti che portavano di nascosto su per

i sentieri della frontiera il cibo, il denaro e le persone che non

dovevano essere catturate dai fascisti o nazisti come i prigionieri di

guerra che ho ricordato parlando della rete fiscale.

Ed erano tempi nei quali tutti contrabbandavano tutto: la prefettura, il

Comando germanico di Colico, la X Mas e la segreteria particolare di

Benito Mussolini (oro, orologi, valuta, tela blu, tagli d’abito, gomme

d’automobili, scarpe, caffè).

Dall’altro, il comando militare della zona liberata (Ossola, settembre-

ottobre 1944) emetteva il bando con il quale disponeva: < tutti coloro

che verranno sorpresi in flagrante contrabbando o che dalle indagini

risulterà che facciano tale contrabbando, saranno passati per le armi>.

Pagine ancora sconosciute, intrise di intrighi, delazioni, compromessi,

assenza di regole, sopravvivenza giornaliera senza possibilità di poter

contare su un futuro appena programmabile, morte spesso di uno per

salvare la propria vita.

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E’ in questi tempi che, a Roma, la Guardia di Finanza decide di

istituire un Comando di Legione a Como.

Nata da pochi mesi la 6^ Legione di Como, il primo importante

sequestro non fu di tabacco lavorato, le sigarette, ma una tonnellata di

seta che, il 24 maggio 1946, stava per essere importata illegalmente

nei pressi di mulini.

In pochi mesi, 3 luglio e 18 novembre sempre del ’46, due conflitti a

fuoco tra militari e contrabbandieri: il primo in Valsolda, il secondo a

Casasco d’Intelvi dove viene lanciata contro i finanzieri una bomba a

mano che ferisce un militare.

Nel settembre e ottobre del ’47 a Lissone presso un magazzino un

quintale di saccarina; in val Cavargna, altra saccarina, zucchero e

caffè; a Dongo, 1 tonnellata di sigarette.

A luglio del ’48, 8 tonnellate di sigarette nascoste nei vagoni

ferroviari, scoperte tra Ponte Chiasso e Milano. La notte dell’Epifania

del ‘49, a Schignano, 40 colpi di moschetto per fermare un camion

con a bordo oltre 2 quintali di sigarette.

14 colpi di moschetto e 10 di pistola vengono sparati per bloccare una

colonna di 12 spalloni a Pellio d’Intelvi, nel mese di maggio. Ad

agosto, altri 30 colpi di moschetto alla bocchetta di San Bernardino

(San Fedele d’Intelvi) una volta intercettati alcuni contrabbandieri che

non vogliono lasciare i sacchi. Nell’ottobre, a Menaggio, grazie

all’intervento di un Finanziere riuscito a saltare sul predellino di un

altro camion vengono presi 5 quintali di sigarette trovate in un doppio

fondo. Il 5 dicembre, lungo la statale tra Colico e Dervio due

finanzieri motociclisti inseguono e catturano, sparando alle gomme,

un’ auto con bordo le bricolle. L’anno si chiude con una importante

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attività investigativa del nucleo di polizia tributaria svolta con i reparti

di Milano, Ferrara, Cremona e Monza: 17 persone denunciate per il

contrabbando di 45 tonnellate di zucchero e 20 di farina bianca.

E così per tanti anni ancora: di notte, soprattutto, ma anche alla luce

del sole, lungo la rete, ai passi di montagna, nella acque dei laghi, ai

valichi di confine. Portate, le sigarette, sui mezzi della (allora)

pubblica sicurezza; su quelli camuffati da vigili del fuoco e croce

rossa. Nascoste nei posti più disparati, aiutati in questo, i

contrabbandieri, dalla forte omertà dei compaesani. Nelle stalle, nelle

cascine, nelle arnie delle api (ad Albate, a bordo di un camion il 18

giugno 1951), sotto trucioli di ferro, tra scatole di scarpe, ceste di

vimini, nelle legnaie, parafanghi delle auto, ceste della frutta,

autobotti, vagoni ferroviari, camion frigoriferi, bottiglie del latte.

Nella casa parrocchiale di Bizzarone, l’11 dicembre 1960 vengono

trovati 4 quintali di sigarette. Denunciato il parroco.

Quel parroco non sapeva probabilmente che – oltre un secolo prima -

il vescovo di Como, sollecitato dal comandante della Guardia di

Finanza, così scriveva – il 6 novembre 1851 - al curato di Garzeno il

quale si era interessato troppo alla restituzione di una partita di merce

di contrabbando ad alcuni sedicenti proprietari: <<… ella sa a qual

genere di vita si abbandona il contrabbandiere. Scambia la notte per il

giorno per compiere il suo delitto. Di sacramenti non si cura, ne è

degno perché esercita così immorale mestiere. Di pietà non si occupa;

di doveri di padre, di marito o di figlio neppure uno ne soddisfa.

Tanto guadagna tanto sciupa in gozzoviglie; i suoi compagni sono

degni di lui; il parlare è turpe; e posso accertare, reverendo, d’aver

imparato dall’esperienza del ministero parrocchiale che ho esercitato,

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290

che dal contrabbando all’assassinio non avi che un passo. E a tal fatta

di persone che arrischiano la loro personale libertà ma ben anche la

vita, giammai in retta coscienza si potrà avere riguardo alcuno, e lo

stesso si dica dei loro committenti…>>.

Inseguimenti con qualsiasi mezzo utile. Anche con le biciclette, con le

quali - due giorni dopo 31 colpi di moschetto sparati per fermare una

colonna di spalloni a pian d’alpe – a gennaio del 1951, nella mattinata,

in via martino anzi di Como, riescono a fermare un autocarro con la

targa del Canton Ticino: a bordo 1 tonnellata di sigarette. Ma non

solo. Le indagini portano alla denuncia di 8 persone di cui 2 finanzieri

per collusione in contrabbando.

Nel ’56, a Lezzeno, anche una barca a remi è impiegata dai finanzieri

per sequestrare 3 quintali di sigarette.

I finanzieri di Barletta informano quelli di Como: 39 persone

denunciate per contrabbando di 14 quintali di saccarina consumati in

frode nei mercati di Bari, Bologna, Napoli, Agrigento, Asti, Taranto,

Cagliari, Nuoro, Terni, Palermo, Firenze ed Ancona.

Nella notte del 3 novembre 1951, un finanziere prima salva un

contrabbandiere che stava annegando nelle acque di Argegno e poi lo

arresta.

Tra quintali e quintali di sigarette, a Bizzarone anche 1100 flaconi di

penicillina, ad ottobre del ’52.

A Colonno, una folla di 60 persone si ribella contro un finanziere

“reo” di controllare due donne delle quali una nota contrabbandiera.

Nel ’53, la notte del 12 giugno, lungo la sponda di Cremia, dopo un

tentativo di speronamento contro la motolancia dei finanzieri, due

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contrabbandieri a bordo di un motoscafo vengono uccisi dai colpi

sparati dai militari.

L’anno dopo, nella notte del 21 settembre, sulla strada da Varenna a

Lecco, dalla macchina dei contrabbandieri in fuga vengono lanciati

contro l’auto dei finanzieri chiodi, fumogeni e acceso un faro per

abbagliare il militare alla guida.

Al termine di una perlustrazione la motolancia nr. 24 non rientra agli

ormeggi. E’ la notte tra il 5 e il 6 novembre 1960. Dopo due giorni

vengono ritrovati annegati nelle acque del lago i due militari di bordo.

Nel 1963, il 10 marzo, i contrabbandieri dopo essere stati scoperti

tentano di riprendersi le bricolle dai finanzieri che devono fare uso

delle armi.

Due giorno dopo, 200 facinorosi aggredendo i militari provano a

recuperare la merce appena sequestrata: 6 quintali di sigarette, 27

milioni di lire e 2 autocarri. 14 vengono arrestati senza uso delle armi

da parte delle Fiamme Gialle.

Il 1° aprile, una bomba alla caserma di Chiavenna provoca, per

fortuna, solo danni alle cose.

Gli anni ’60, come è stato detto ieri, si caratterizzano anche per l’altro

tipo di merce di contrabbando: il caffè trasportato, a tonnellate, con

gli spalloni e automezzi.

E mentre le associazioni criminali si ingegnano a trovare le maniere

per fare sempre più ingenti, illeciti guadagni, si continua a morire in

montagna: sul monte Pravello (Varese), il 9 giugno del ‘63, un

fulmine colpisce la garitta uccidendo i due militari di guardia.

Mentre a Villa Olmo nel ’64 vengono sequestrati 4000 orologi, a

Lecco un’autocisterna a bordo porta 6 tonnellate di caffè crudo; a

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Sondrio, un furgone con le insegne dei vigili del fuoco trasporta 6

quintali di sigarette; all’Aprica, un camion con altre bricolle. Dopo

pochi giorni di nuovo a Villa Oolmo, questa volta 4 quintali di

sigarette sotto rotoli di nylon.

Il 21 ottobre di quell’anno l’elicottero mm80289 si inabissa nelle

acque davanti Sala Comacina del lago di Como. Muore il pilota (brig.

Alfonso Pozzi).

Nel tempo in cui qualcuno muore durante il proprio servizio, altri

militari – questa volta infedeli - pensano a come arricchirsi con i soldi

sporchi dei contrabbandieri: infatti, sempre nello stesso mese di

ottobre, 7 finanzieri che avevano prestato servizio in Valtellina

vengono denunciati, assieme ad altri 10 contrabbandieri, per

corruzione, collusione in contrabbando e contrabbando.

Gli ultimi anni ’60, come in un canto del cigno, si presentano ancora

con una intensa attività illegale dalla svizzera in Italia. Alcuni dati per

tutti della sola legione di Como: nel 1969, 193 persone arrestate; 64

tonnellate di sigarette e 13 tonnellate di caffè sequestrate; valuta per

437 milioni di lire.

Poi, le cronache del tempo raccontano altri fatti: un contrabbando che

si era trasferito sul mare, prima il Tirreno poi l’Adriatico, anche se

qualche tir carico di bionde continuò a transitare per Brogeda.

Le navi “madri” e poi quelle “nonne”, portando centinaia di

tonnellate di sigarette nelle stive, non fecero certo rimpiangere

qualche migliaio di spalloni.

E dopo, le modalità e i mezzi usati e ben collaudati in tanti anni per il

traffico delle sigarette furono messi a disposizione – dalle

organizzazioni criminali transnazionali tra le quali, in particolare,

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quelle di stampo mafioso – di un altro traffico, ben più lucroso e

devastante, il traffico degli stupefacenti.

Alcune cose rimasero, però, uguali: qualche banca svizzera, la

residenza elvetica delle “menti” del contrabbando internazionale, il

riciclaggio dei proventi illeciti.

Prima di lasciare palazzo Terragni a Como, dove ho potuto rileggere i

preziosi diari storici della 6^ legione, ho sfogliato l’albo d’oro.

Ricordavo bene il contenuto più importante: sono proprio 112 i caduti

in servizio anticontrabbando lungo il confine tra le provincie di

Varese, Como, Sondrio e la Svizzera.

E forse – all’appello - ne manca qualcuno.

vi ringrazio

RICERCHE E BIBLIOGRAFIA

Archivio dello stato di Como

Archivio del quotidiano “La Provincia di Como”

Museo della 6^ Legione della Guardia di Finanza di Como

Tesi di laurea della dott.ssa Franca Ronchetti, a/a 1990-91 Università

degli studi di Milano, facoltà di scienze politiche: <Il contrabbando

nel comasco tra cultura e subcultura>

<antica vita fra la Masoni. Garzeno>, di Rita Pellegrini, ed. Attilio

Sampietro, 2009

<insieme cultura>, Rivista della Provincia di Como, numeri 5 (1984)

e 12 (1989).

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Dott. Diego Zoia

Il contrabbando tra Valtellina e Svizzera durante le due guerre mondiali

1. QUALCHE NOTIZIA SUL PERIODO DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE

Durante il primo conflitto mondiale il fenomeno del contrabbando tra

Italia e Svizzera cessò quasi completamente anche in Valtellina.

La chiamata alle armi di quasi tutti gli uomini validi, insieme al fatto

che le frontiere erano chiuse e che la provincia venne considerata,

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almeno in alcuni periodi, zona di operazioni militari, ridusse

grandemente il numero dei maschi che esercitassero tale attività.

Nei pochi casi di contrabbando operato da uomini validi, tra l’altro,

alle pene ordinarie si accompagnavano quelle per entrata clandestina

nello Stato e per violazione del “bando Cadorna” , in quanto si

trovavano in zona di operazioni senza salvacondotto.

Le poche notizie che si sono raccolte, tratte quasi esclusivamente da

atti giudiziari, sono infatti relative a isolati episodi, quasi tutti di

natura “atipica” o compiuti da minorenni o da donne.

Spicca in particolare il caso di una di queste ultime, residente a

Roncaiola di Tirano, imputata “in violazione dell’art. 1della legge

sull’Emigrazione..”per avere “ il 31 Gennaio 1916 provocato e

favorito l’emigrazione da Tirano verso la Svizzera a cinque persone,

indicando la via per un sentiero, dopo aver esplorato se era

sorvegliato...”.

Si tratta, a quanto è noto, del primo caso di “passatrice”: ben più

importante divenne il fenomeno pochi anni più tardi, con l’entrata in

vigore delle nuove disposizioni in materia di Pubblica Sicurezza del

1926, ma soprattutto – come si dirà - durante il secondo conflitto

mondiale.

Un altro episodio ci è stato raccontato da un noto scrittore lombardo,

Carlo Emilio Gadda, che nel suo “Diario di guerra e di prigionia”

racconta la condanna di un suo collega ufficiale, di stanza ad Edolo in

Valcamonica, per contrabbando.

Questi aveva fatto trasferire della merce vietata (forse generi

alimentari) alla moglie, che viveva a Zurigo: con la possibilità quindi

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– anche se la cosa appare abbastanza teorica - di rivenderlo ai nostri

nemici.

Quasi certamente il fatto avvenne a Tirano, anche perché proprio da

tale località partiva già in quel periodo la Ferrovia del Bernina, che

collegava la rete ferroviaria italiana con quella elvetica.

Sembra, tra l’altro, che il fatto non fosse isolato: nel 1919 venne infatti

disposto dal Tribunale di Sondrio di non farsi luogo a procedere, per

intervenuta amnistia, nei confronti di un negoziante di Madonna di

Tirano, imputato di aver somministrato “mediante pacchi diretti in

Svizzera... generi per cui è prescritto l’uso della tessera municipale a

persone che ne erano sprovviste...”.

Ben più numerosi furono invece, in quel periodo, i furti – a centinaia,

solo quelli accertati - e i molti episodi di aperta violazione delle leggi

legati alla assoluta scarsità di generi alimentari.

Se si vuole intendere con una certa ampiezza il termine “contra

bannum” come violazione delle prescrizioni di legge, si può ad

esempio ricordare che nel 1917, una volta di più a Tirano, la folla

inferocita, formata quasi per intero da donne, chiamata a raccolta dal

suono della campana a stormo, diede l’assalto ad un magazzino di

viveri gestito dal locale Ente autonomo dei consumi, il cui consiglio di

amministrazione si era reso colpevole di “aver lasciato la popolazione

spessissimo senza generi, e ciò per aver tenuto i generi nei

magazzini... in attesa di un prezzo molto superiore ai costi...”.

La cosa era ben più grave della stessa attività contrabbandiera: per la

cronaca, i viveri furono distribuiti tra la popolazione e non si ebbero, a

quanto è noto, conseguenze penali per la cosa; l’episodio che veniva

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ricordato come “L’assalto al banco” è rimasto a lungo nelle

fabulazioni popolari.

Per tornare al contrabbando vero e proprio, restò in sostanza attivo

nella zona solo il piccolo “sfroso” locale esercitato da donne delle

frazioni di montagna del versante Retico, che arrotondavano le

magrissime entrate con l’importazione illegale di limitati quantitativi

di zucchero o caffè, che nascondevano in genere nelle “bastine”

(specie di contenitori a sacco che si portavano sotto gli abiti) o in

mutande chiuse al ginocchio o alle caviglie: con tutte le conseguenze,

sul piano igienico, che si possono facilmente immaginare.

Del tutto isolati invece furono, a quanto appare dai pochissimi atti

pervenutici, gli episodi di contrabbando esercitati da uomini.

Tra questi, merita di essere ricordato il caso di tre ragazzi della

Valchiavenna rispettivamente di 14, 15 e 17 anni, fermati con 5,5 Kg.

di tabacco e 1 Kg. di cioccolata (tra tutti): furono implacabilmente

condannati per contrabbando in unione: buon per loro che non erano

ancora soggetti ad alcun obbligo di natura militare.

Usufruirono invece dell’amnistia due giovani di Schilpario (in Val di

Scalve) che furono fermati a Sernio con una bricolla di sigari ed una

di tabacco, oltre a 17 sigari ed a un falcetto con lama superiore ai 10

cm: erano stati imputati, oltre che di contrabbando, anche per aver

“violato il bando Cadorna, trovandosi in zona di operazioni senza

salvacondotto”. 1

1 Molte delle informazioni che si forniscono sono tratte dal volume La carga;

contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, di Massimo Mandelli e Diego Zoia: in particolare a pp.139-141 e 158-174.

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2. I PRIMI ANNI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Durante il secondo conflitto mondiale, sul quale si sono potuti

raccogliere dati più completi ed organici, il fenomeno assunse invece

un’importanza del tutto diversa, in particolare nell’ultimo periodo.

Per prima cosa, la Svizzera conservò sempre il suo non facile “status”

di neutralità; la cosa aveva determinato, già dall’inizio delle

operazioni belliche, una situazione di grave penuria negli

approvvigionamenti sia di generi alimentari, sia di prodotti industriali:

in particolare per l’impossibilità di accesso al mare e per le

caratteristiche del suo territorio, in larga parte montano.

Tale situazione si era aggravata dopo il blocco navale messo in atto da

Francia ed Inghilterra, tanto che nel Gennaio del 1940 il capo

dell’Ufficio federale di guerra per l’alimentazione ricordava che

“Dobbiamo renderci conto che... bisogna abituarsi alla prospettiva di

una completa indipendenza nel settore alimentare. Così l’idea di

autarchia, che come paese esportatore abbiamo sempre respinto, è

diventata una necessità operativa...”.

D’altro canto, già dal 1939, le superfici coltivate furono

progressivamente aumentate – persino i giardini pubblici furono

destinati a coltura – e vennero introdotti razionamenti

progressivamente crescenti nei generi di più largo consumo.

Le razioni mensili di farina, pasta, riso, olio, zucchero furono così

gradatamente ridotte fino a scendere sotto lo stesso livello di

sussistenza; la razione di riso, a partire dal Maggio 1942, venne

addirittura soppressa 2.

2 I dati sono riportati da Erminio Ferrari in: Contrabbandieri; uomini e bricolle tra

Ossola, Ticino e Vallese, pag. 59.

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300

Risulta evidente, da tali premesse, che si sarebbe dovuto reprimere

ogni contrabbando in uscita e che vi fossero invece le condizioni per

uno sviluppo dei traffici illegali in direzione opposta: le cose

puntualmente si avverarono.

Ne fece le spese, proprio in quel periodo, un giovane di Villa di

Tirano, che portava un carico di caffè e che fu colpito a morte da una

guardia confinaria elvetica, che sparò ben 12 colpi contro un gruppo di

contrabbandieri che non si erano fermati all’intimazione di alt e che

tentavano di rientrare in Italia.

Fu il primo di una lunga e dolorosa serie di morti, nella zona, che durò

fino al termine del conflitto e oltre.

Tra l’altro già nei primi anni di guerra, dal Dicembre del 1940, la

frontiera con la Svizzera era stata chiusa e sempre in quell’anno erano

state indurite, in Italia, le pene per contrabbando.

La chiamata alle armi della maggior parte degli uomini validi aveva

tra l’altro ridotto, come era in precedenza accaduto nel corso del

precedente conflitto, il numero dei maschi in età valida che potevano

dedicarsi a tale attività, senza peraltro fermarla del tutto.

La cosa risulta evidente da un articolo su Cavaione (una frazione di

montagna di Brusio in prossimità del confine, che faceva parte fino

alla metà dell’Ottocento del Comune di Tirano) pubblicato nel Marzo

del 1942 sul “Grigione Italiano”, un periodico stampato a Poschiavo.

Si ricordava nello scritto che “nella nostra valle i commercianti

vendevano caffè, zucchero, cioccolata e poche altre cose ai

contrabbandieri, che erano esclusivamente Italiani...”.

Dopo una dettagliata illustrazione sul come l’attività veniva esercitata,

si aggiungeva che “Tutte le leggi e proibizioni non riusciranno mai a

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301

eliminare o almeno a far stagnare il contrabbando. Vi riuscirono

parzialmente i decreti emanati per impedire la propagazione dell’afta

epizootica... vi riuscì totalmente la seconda guerra mondiale che

chiuse il mercato ai clienti italiani...”.

La fame svizzera aveva cominciato in ogni caso a farsi sentire e la

relativa disponibilità di prodotti alimentari in Valtellina determinò, già

nei primi anni ’40, un primo afflusso verso la Svizzera di merci non

del tutto regolari.

Per prime, le castagne, largamente prodotte nelle valli italiane di

confine e quasi del tutto assenti nella Confederazione Elvetica.

Gruppi di donne, che orgogliosamente ricordano di non aver mai

contrabbandato merci di altro genere 3, varcavano il confine portando

in Svizzera sacchetti dei preziosi frutti: gli stessi erano utilizzati sia

freschi, che essiccati, che macinati in farina.

Alle castagne si accompagnavano a volte altre merci derivanti

dall’attività agricola locale: ad esempio farina – in particolare quella

di grano saraceno - o insaccati, o addirittura animali vivi. I maialini ad

esempio, che erano trasportati nelle gerle, venivano prima di partire

ubriacati con grappa, affinché non grugnissero.

Un altro prodotto divenne poi oggetto di contrabbando, anche se

abbastanza atipico: il vino.

Da moltissimo tempo cittadini Svizzeri erano proprietari di estese

superfici a vigneto in territorio italiano, o semplicemente le

coltivavano: gli stessi avevano la franchigia del dazio per quanto da

loro prodotto direttamente.

3 Si può consultare ad esempio la testimonianza raccolta da Agnese Bombardieri

nella sua recente tesi di laurea Il contrabbando in Valtellina: un’analisi sociologico-giuridica, pag. 128.

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302

Evidentemente, non tutti si limitavano a tali quantitativi, tanto che la

Direzione del III Circondario Doganale di Coira dovette avvertire nel

1942 “i proprietari ed usufruttuari di vigneti nella zona economica

valtellinese che la franchigia totale o parziale di dazio viene concessa

solo per i prodotti della corrente annata... Incorre in contravvenzione

chi... importa o tenta di importare

1)vino di altre annate

2)uva fresca o pigiata, vino o vinacce di altra produzione che la

propria

3)i prodotti dei propri fondi commisti con prodotti di altra

provenienza.

Al denunciante verrà attribuito un premio adeguato.”

Ma... dagli “sfrosi” in materia, oltretutto quasi impossibili da accertare

se non in presenza di assolutamente improbabili delazioni, ci

guadagnavano tutti: i produttori italiane di uve, che ne vendevano una

parte alle ditte elvetiche; le ditte stesse, che potevano effettuare

importanti ricarichi sui prezzi in esenzione dal dazio, i cittadini

Svizzeri che avevano a disposizione un prodotto di buona qualità ad

un prezzo minore.

A quanto è noto, l’esportazione dalla Valtellina di vino per il tramite

delle ditte produttrici elvetiche continuò, bene o male, per tutto il

conflitto.

Tanto più che le ditte stesse davano lavoro a molti lavoratori Italiani

(soprattutto donne), contribuendo in modo significativo a ridurre le

durissime condizioni di vita dei contadini locali, in particolare nelle

frazioni di montagna.

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303

Si deve aggiungere che, già nel Settembre del 1942 (e quindi ben

prima dello sfaldamento dell’esercito italiano), il Consiglio Federale

svizzero aveva stabilito che “Chiunque, sottraendosi al controllo di

confine svizzero, entra o esce dalla Svizzera... è punito con la

detenzione”.

E le guardie di frontiera elvetiche non scherzavano.

Dopo la chiusura della frontiera con la Svizzera potevano passare il

confine solo coloro che ne fossero espressamente autorizzati ed

unicamente nei valichi, stradali o ferroviari, presidiati in permanenza:

sostanzialmente solo Villa di Chiavenna, Campocologno e Viano nel

Tiranese e, in alcuni periodi, alcuni passi del Bormiese.

Tutti i sentieri di montagna, sui quali si esercitava tradizionalmente

l’attività contrabbandiera, erano chiusi e sorvegliati: coloro che

tentavano di varcare il confine utilizzandoli venivano arrestati.

Le guardie intimavano l’alt e, in caso di fuga, sparavano sui fuggitivi

senza altro avviso: e sparavano bene.

Tale stato di cose durò fino al termine del conflitto e per l’anno

successivo, attenuandosi in seguito fino a sparire quasi del tutto.

Ne fecero le spese molte persone, uccise o ferite durante la fuga: nella

sola zona del Tiranese, almeno una decina.

Tale stato di cose non era certo visto con favore dalla popolazione

locale su entrambi i lati della frontiera, poiché tutto sommato il

contrabbando portava in territorio italiano qualche soldo in più, in

periodi tanto grami, e nella fascia svizzera di confine la possibilità di

disporre di beni: in particolare alcune derrate alimentari – riso,

soprattutto – altrimenti introvabili.

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304

Vi furono quindi, in territorio elvetico, diverse sollevazioni, anche

aperte, contro gli eccessi delle guardie nell’uso delle armi: questo, in

particolare, nel Ticino. La cosa venne comunque repressa con

fermezza dalle autorità.

Nella zona che interessa non si arrivò a sollevazioni aperte, ma furono

continue le recriminazioni della popolazione locale contro il corpo

della polizia di frontiera, costituita per lo più da persone provenienti

dalle aree tedescofone della Svizzera e spesso riformati.

In Val Poschiavo, in particolare,erano assai più vicini alla popolazione

locale i contrabbandieri, affini per lingua e quasi sempre per credo

religioso: in qualche caso addirittura amici.

La sorda ostilità nei confronti delle guardie di confine durò addirittura

per almeno un decennio dopo la fine del conflitto

3. DOPO L’ARMISTIZIO

Quali furono le principali vicende nella zona dopo l’armistizio

dell’otto Settembre 1943?

Verso la fine dell’estate del 1943 l’Italia attraversò una crisi, politica e

sociale, gravissima, che culminò con la cessazione dello stato di

guerra con gli Alleati, ma soprattutto con la sostanziale dissoluzione

dell’esercito: privi di riferimenti superiori, incerti sul da farsi, interi

reparti militari si sfaldarono e migliaia di soldati tentarono il ritorno

alle loro abitazioni con ogni mezzo, per lo più a piedi. Nel Nord Italia

venne costituita la Repubblica Sociale Italiana, di fatto strettamente

controllata dall’esercito tedesco.

Migliaia di fuggiaschi, che semplicemente avevano lasciato le loro

unità o che erano apertamente oppositori del nuovo regime, cercarono

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di raggiungere il territorio svizzero, varcando il confine, o salirono in

montagna dandosi alla macchia e costituendo i primi nuclei di quelle

che sarebbero state le formazioni partigiane.

Nelle regioni del Nord anche i corpi militari più strettamente legati al

territorio – vale a dire i Carabinieri e, nelle zone di frontiera, le

Guardie di Finanza – si trovarono, in molti casi, in gravi difficoltà,

costretti a complicate operazioni di equilibrismo per destreggiarsi tra i

loro convincimenti (sia la Guardia di Finanza, sia i Carabinieri, erano

in larga parte filo-monarchici ed antifascisti) e la necessità di

obbedire, almeno formalmente, alle autorità tedesche e del nuovo

regime.

Molti militari anche di queste forze armate si unirono così alle

migliaia di persone che, soprattutto attraverso i sentieri di montagna,

cercavano rifugio in terra elvetica.

Le truppe tedesche, dal canto loro, unite ai reparti della R. S. I. di

provata affidabilità (in particolare della Milizia Confinaria, poi

Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera della Legione Monte

Rosa), si adoperarono per chiudere, quanto più rapidamente possibile,

almeno una parte dei valichi di frontiera: nella zona, almeno quelli più

facilmente controllabili.

L’afflusso di profughi fu molto intenso nelle zone di confine del

Ticino e della Mesolcina, con migliaia di espatri già nei primi giorni

dopo l’armistizio 4; già dai primi giorni iniziarono però, nella zona, i

primi importanti respingimenti.

4 Un’interessante descrizione della confusa situazione nella zona in quei giorni è

data da Adriano Bazzocco in Fughe, traffici e intrighi.............; in particolare pp. 186 ss.

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In Valtellina e Valchiavenna – zona più periferica e di accesso ben più

difficoltoso - la situazione presentò in un primo periodo minori

difficoltà, in quanto tutti i fuggitivi verso il Cantone dei Grigioni

erano, a quanto è noto, accettati.

Il 22 Settembre 1943 il “Grigione Italiano” scriveva però che

“domenica scorsa (il 19 Settembre) i Tedeschi presero possesso anche

delle dogane e ordinarono la chiusura del confine. La misura venne

presa in seguito al grande numero di profughi che abbandonarono

l’Italia per rifugiarsi tra noi.”

La chiusura, che aveva interessato “il doppio valico, stradale e

ferroviario, di Piattamala” non fu, almeno in un primo momento,

estesa ai valichi di montagna (attraverso i quali doveva, in ogni caso,

esercitarsi il traffico di frontiera degli abitanti delle frazioni di Tirano

del versante Retico, che possedevano numerosi alpeggi in territorio

elvetico sui quali inviavano nel periodo estivo i loro animali,

trasportandone poi in Italia i prodotti).

In ogni caso a Piattamala, un valico di confine importante, per una

decina di giorni la frontiera restò aperta.

Lo stesso giornale aggiungeva poi che “stando ai si dice, la frontiera

del Sasso del Gallo sarebbe ancora aperta per il piccolo traffico”.

Con tutta probabilità, tale valico era ancora controllato dalla Guardia

di Finanza.

In ogni caso il giornale precisava, quanto agli espatri che “durante gli

ultimi giorni si ebbero a registrare numerosi passaggi clandestini

della frontiera. Si trattava di soldati italiani ed anche di civili che

cercavano asilo in terra neutrale. Militari come civili vennero

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sottoposti ad una visita sanitaria e poi diretti oltre alpe per essere

internati in campi di concentramento”.

Di fatto, gli internati godevano di una relativa libertà ed erano

impiegati – almeno i Valtellinesi - nell’aiuto ai contadini della zona;

in alcuni casi stabilendo rapporti abbastanza amichevoli con la

popolazione.

Il controllo su di loro non era comunque molto stretto, tanto che

parecchi di loro rientrarono in Italia (probabilmente con il tacito

consenso delle autorità elvetiche) unendosi alle neonate formazioni

partigiane o dandosi semplicemente alla macchia: questo soprattutto

dall’estate del 1944.

In altri casi, invece, già dall’autunno 1943, gruppi di sbandati che

avevano abbandonato i reparti si rifugiarono nelle baite di montagna e

costituendo per gradi, in particolare nella parte alta della valle, le

prime formazioni partigiane.

Il sostanziale crollo delle strutture di governo e dei corpi armati

militarizzati, sostituiti solo con difficoltà dalle nuove strutture della

Repubblica Sociale e dai militari tedeschi, uniti alla presenza di larghi

strati di popolazione impossibilitati a procurarsi adeguati mezzi di

sostentamento, fece peraltro dilagare a dismisura il fenomeno del

contrabbando - peraltro già presente, anche se in forma attenuata,

come osservato – nelle due direzioni di attraversamento del confine,

ma in particolare dall’Italia verso la Svizzera, con inversione delle

usuali direttici del traffico: iniziò infatti il periodo del

cosiddetto”contrabbando in dentro”.

Le autorità tradizionali di sorveglianza, vale a dire la Guardia di

Finanza ed i Carabinieri, che come detto non si identificavano con la

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nuova forma di governo, in numerosi casi, ebbero sistematici rapporti

con le persone alla macchia e non si occuparono più di tanto di

reprimere il fenomeno del contrabbando, comportandosi con umanità

nei confronti della popolazione, spesso assumendosi anche gravi rischi

personali.

L’unico corpo che si sforzò di reprimere in ogni modo il fenomeno, a

volte in forma brutale, furono i già ricordati reparti di frontiera della

milizia fascista, ai quali fu affidato l’incarico della sorveglianza sui

passaggi del confine: cosa che fecero con solerzia spesso veramente

eccessiva.

Gravi e numerosi furono gli episodi di violenza armata, con uccisioni

ripetute ed in molti casi immotivate di persone inermi: in particolare a

Tirano un milite, soprannominato “ al cupatücc” - vale a dire

l’ammazzatutti - si rese responsabile di parecchi omicidi, a volte

sparando sulle persone da notevole distanza e senza naturalmente aver

dato alcuna intimazione di “alt” o aver minimamente verificato di chi

si trattasse e quale fosse il motivo della loro presenza sul luogo.

Non bisogna dimenticare, peraltro, che la presenza di gruppi armati di

sbandati metteva a volte in grave difficoltà i distaccamenti di

montagna delle guardie: si verificò, in particolare, un gravissimo

episodio in Val di Togno, dove vennero uccisi – in modo crudele -

ben 6 componenti del locale gruppo di militi.

Anche se il comportamento delle guardie in precedenza non era stato

certo tenero, si trattava pur sempre di militari che svolgevano il loro

servizio e gli omicidi sono non giustificabili in nessun caso.

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4. L’ ESPATRIO DEGLI EBREI E DI ALTRI GRUPPI DI PERSONE

Una vicenda collettiva che assunse particolare importanza nella zona,

soprattutto in quei giorni, fu quella dell’espatrio, nella zona del

Tiranese, di un nutrito gruppo di Ebrei: tra questi un gruppo di

provenienti dai territori della ex-Jugoslavia, erano stati inviati al

confino nel vicino paese di Aprica.

Si trattava di oltre 200 persone che, con l’aiuto di due sacerdoti, oltre

che di membri dei Carabinieri e della Guardia di finanza e col

supporto delle popolazioni della zona trovarono rifugio in Svizzera,

scampando così al certo invio nei campi di sterminio.

Un raro esempio collettivo di altruismo in un periodo non certo felice.

La già ricordata “liberalità” del Cantone dei Grigioni nel ricevere i

profughi fece sì che anche negli anni successivi molti altri Ebrei,

residenti a Milano o in altre città della pianura, affrontassero i

gravissimi rischi di un trasferimento fino nella zona per varcare la

frontiera.

Molti furono catturati dai Tedeschi o dai militari della R. S. I., ma

molti altri riuscirono a riparare in Svizzera, salvando così le loro vite.

Tutte le vicende del periodo sono state oggetto di numerose indagini,

anche in questi ultimi anni e ho ritenuto utile pertanto fornire al

riguardo solo poche notizie essenziali5 .

5 In particolare, tra gli altri, si deve ricordare Alan Poletti, un professore

Neozelandese la cui famiglia era originaria di Villa di Tirano, nella sua recentissima pubblicazione “Una seconda vita” offre una ricostruzione dettagliata non solo delle vicende che si accompagnarono all’espatrio di un folto gruppo di Ebrei, ma anche di tutte quelle del periodo; sono contenute nel volume anche numerose interviste coi sopravvissuti. Il ruolo complessivo della Guardia di Finanza è stato invece preso in esame da Luciano Luciani e Gerardo Severino nel bel volume Gli aiuti ai profughi ebrei e

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5. LE MERCI CONTRABBANDATE

Qualche cenno è utile anche circa le merci oggetto di contrabbando

nel periodo bellico.

Si sono già ricordati alcuni prodotti alimentari : tra questi il riso era di

tanta importanza, anche sotto il profilo quantitativo, che nell’epoca

l’ultimo treno che raggiungeva Tirano proveniente da Milano e dalla

pianura padana era significativamente definito “il treno bianco”.

Vale la pena di riportare quanto scriveva, nel Febbraio 1944, il

“Popolo Valtellinese”, che era il giornale ufficiale del regime: “

...Migliaia e migliaia di pecore e di capre, quintali di insaccati di

suini, tonnellate di riso e di farine, centinaia di cavalli e di muli,

tessuti, conserve, amianto... hanno clandestinamente varcato il

confine in questi ultimi anni e lo sconcio non accenna a cessare...”.

Anche molti prodotti industriali furono oggetto di attivo contrabbando

in quegli anni: questo perché nell’Italia settentrionale le fabbriche

continuarono sempre ad operare durante tutto il periodo bellico e la

Confederazione Elvetica aveva difficoltà di approvvigionamento.

Così passarono ad esempio la frontiera, in quegli anni, quantitativi

ingenti di prodotti in gomma: suole di scarpe, pneumatici per

biciclette e veicoli vari – addirittura gomme per autocarri del peso

unitario di svariate decine di kilogrammi -, tettarelle per infanti,

addirittura profilattici; il fenomeno era tanto diffuso che arrivarono in

Val Poschiavo, per effettuare gli acquisti della merce contrabbandata,

persino commercianti di Zurigo.

ai perseguitati: il ruolo della Guardia di Finanza (1943-1945), completo soprattutto nella seconda edizione del 2008.

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Una menzione particolare merita lo stagno, che era confezionato in

pani da 50 Kg, non facilmente trasportabili, che passò la frontiera

soprattutto nel primo dopoguerra.

Altri oggetti molto ricercati in Svizzera erano alcuni prodotti della

meccanica: dalle macchine per confezionare la pasta, alle biciclette e

persino motociclette, ai cuscinetti a sfera, alle fisarmoniche.

I tessuti di diversa natura e gli indumenti erano pure oggetto di attivo

contrabbando: dai tessuti in lana e seta – dei paracadute, dopo i lanci

degli Alleati nell’ultimo periodo del conflitto -, agli indumenti, quali

completi o pull-over in lana, giacche, impermeabili, cappelli, guanti,

tappeti, borsette e così via.

In direzione opposta, dalla Svizzera all’Italia, continuarono invece a

transitare, anche se in quantitativi ridotti, le merci solite: per primo il

sale, del quale era grave la carenza nel nord-Italia e che serviva per

conservare gli alimenti, oltre che per l’uso domestico, ma anche

sigarette e tabacchi, prodotti coloniali, orologi.

Nella sostanza, al di là dell’irrigidimento delle disposizioni, il

fenomeno non si fermò mai, in entrambe le direzioni.

6. I SACERDOTI

Resta da dire, per concludere, del rapporto dei sacerdoti cattolici con il

contrabbando nel periodo bellico.

Sulla scia di una lunga tradizione che teneva nettamente distinta la

illegittimità del contrabbando dalla immoralità dello stesso, e che

considerava il comportamento dei contrabbandieri del tutto

giustificabile sul piano etico quando si era in presenza di un evidente

stato di necessità, si deve ricordare che buona parte dei sacerdoti in

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quel periodo agevolarono, oltre che il ricordato espatrio di ebrei, in

non pochi casi anche alcuni contrabbandieri di merci, in particolare

fornendo aiuto ed assistenza alle loro famiglie.

Questo avvenne soprattutto dopo l’otto Settembre 1943, quando più

impellenti si fecero le necessità di larga parte della popolazione.

Le condizioni di vita di molti nella zona, tradizionalmente molto

difficili soprattutto nei villaggi di montagna lungo il confine, in

qualche caso addirittura precipitarono: fu rigidamente vietato ogni

avvicinamento al confine e divenne così estremamente difficile, ed in

qualche caso impossibile, l’alpeggio estivo degli animali nelle

numerose zone in prossimità della frontiera; aumentarono

notevolmente le difficoltà nella lavorazione delle vigne; per un non

breve periodo si arrivò addirittura a disporre lo sgombero totale dei

centri abitati posti a una distanza di 3 Km dalla linea della frontiera e

si possono facilmente immaginare le conseguenze per la popolazione

contadina residente, che traeva dallo sfruttamento degli alpeggi a

cavallo del confine una parte importante del suo reddito.

L’aiuto dei sacerdoti alle popolazioni fu sistematico ed impegnato,

spesso con opposizione alle prescrizioni delle autorità e in molti casi

con gravi rischi personali: in quel periodo era infatti molto facile

essere arrestati o addirittura deportati in Germania.

Se si fossero trovate, nelle canoniche o addirittura nei campanili,

merci di contrabbando o addirittura persone nascoste – cose che

avvennero in diverse occasioni, la cosa sarebbe stata molto probabile.

In altri casi servirono da tramite tra le autorità tedesche o della R. S. I.

ed i partigiani, dei quali furono sovente i “cappellani militari”, ma

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soprattutto difesero in ogni modo, nei confronti delle autorità, non

certo comprensive, le popolazioni loro affidate.

Mi sembra doveroso ricordare i nomi almeno dei numerosi che ho

conosciuto personalmente: di tutti rammento l’umanità e lo spirito di

sacrificio nei confronti di chiunque ne avesse necessità. Insieme a

Cirillo Vitalini, all’epoca a Bratta di Bianzone - che organizzò con

don Carozzi il ricordato salvataggio di centinaia di Ebrei -, Tarcisio

Salice a Roncaiola, Gino Menghi a Baruffini, Renato Rossi a Vervio;

tutti sono purtroppo morti, ma il loro esempio rimane ed il loro

ricordo e rimpianto sono tuttora vivissimi nella gente.

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Prof. Enrico Fuselli

I caduti ed i decorati della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando

1. I RAPPORTI CON LE POPOLAZIONI DELLE ZONE DI CONFINE

La scelta di arruolarsi nel Corpo da parte di molti giovani del Centro e

Sud Italia, soprattutto negli anni più lontani, si spiega con il desiderio

di sfuggire ad un’esistenza difficile; l’indossare una divisa

rappresentava, a quell’epoca, una possibilità concreta di riscatto e

garantiva, davanti al gruppo sociale di appartenenza, rispetto e

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ammirazione. Nelle località di confine, invece, i finanzieri sono

sempre stati malvisti: gli epiteti con cui li si chiamava hanno tutti,

invariabilmente, un’accezione negativa.1

Quello classico è burlandòtt, utilizzato unitamente alla variante

burlanda; il termine, d’origine milanese, indica nel linguaggio

familiare una “minestra scipita” e, in senso figurato, un “uomo senza

sugo, senza personalità”2. Spesso li si apostrofava con il vocabolo

borlacàtt, che originariamente si riferiva a un giovane di commercio,

dallo stipendio molto basso, e che in seguito, per estensione, era

passato a denotare chiunque faticasse a sbarcare il lunario.3 Altro

termine è robasacc, ovvero “ladro di sacchi”, usato spesso assieme a

1 Non mi occupo di quello che forse è l’epiteto più diffuso e offensivo, “caini”;

ricordo, tuttavia, che il cap. Alcide Montagni, brillante avvocato e presidente della sezione varesina dell’A.N.F.I., scrisse un gustoso racconto, imperniato proprio su tale termine, pubblicato nella rivista del Corpo alla fine degli anni Quaranta del XX sec. (A. MONTAGNI, «Caini»… ma non sempre, «Il Finanziere», anno LXIII, n. 22, 30/7/1949).

2 Per Cherubini il termine è da mettere in relazione con la voce piemontese berlandot; cfr. F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Aldo Martello Editore, 1968 (ed. anastatica dell’edizione del 1839), p. 136. Secondo P. FRIGERIO, Storia di Luino e delle sue valli, Varese, Macchione, 2008, p. 200, il sostantivo deriva dal francese brelander, traducibile con “vagare”, “vagabondare”. Nel Bergamasco il termine, oltre a essere impiegato per indicare i finanzieri, designava un personaggio negativo, assolutamente privo di qualità, un poco di buono; cfr. A. TIRABOSCHI, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni compilato da Antonio Tiraboschi, Bologna, Forni Editore, 2002 (ristampa fotomeccanica dell’edizione del 1873), vol. I, p. 200. L’appellativo è usato anche nel Comasco; cfr. P. MONTI, Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como con esempi e riscontri di lingue antiche e moderne, Bologna, Forni Editore, 1969 (ristampa anastatica dell’edizione del 1848 - Milano, Società Tipografica de’ classici italiani), p. 26.

3 Per l’uso di borlacàtt, cfr. N. BAZZETTA DE VEMENIA, Dizionario del gergo milanese e lombardo, Bologna, Arnaldo Forni Editore, 2003 (edizione anastatica dell’edizione del 1940), p. 7; per il significato, vedi. F. ANGIOLINI, Vocabolario milanese-italiano coi segni per la pronuncia preceduto da una breve grammatica del dialetto e seguito dal repertorio italiano-milanese, Bologna, Forni Editore, 1967 (ristampa fotomeccanica dell’edizione di Milano 1897), p. 126.

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sgarbasacc, ovvero “devastatore di sacchi”, nelle quali espressioni

“sacco” sta per bricolla, il classico contenitore del quale si servivano

gli spalloni per trasportare il carico. Tutti i due termini indicano azioni

negative: il rubare e il rovinare.4

A Montegrino (VA), paese di nascita di mia madre, i finanzieri erano

appellati anche canaritt, per il colore delle mostrine della divisa; li si

gratificava comunque anche del termine pitocc (pidocchio). Si

intendeva sottolineare come il finanziere “spulciasse la pelle del

pidocchio”, ovvero fosse eccessivamente zelante e invadente nella

propria attività di contrasto del contrabbando e indulgesse spesso a

controlli fin troppo minuziosi.5

Con una certa frequenza li si offendeva rivolgendo loro espressioni

come “mangiapane a tradimento” o “mascalzoni”,6 in accordo con una

convinzione, piuttosto diffusa nelle zone di confine, che non

considerava il contrabbando come un reato.7

4 L. SQUADRANI, Frammenti di vita di un vecchio finanziere scarpone, Roma, «Il

Finanziere», 1939, p. 35. 5 Devo le informazioni al sig. Giuseppe Contini, classe 1926, di Montegrino

Valtravaglia (VA), depositario della memoria storica del piccolo centro prealpino.

6 Un episodio del genere, accaduto all’inizio del 1910, è ricostruito con dovizia di particolari in Cronaca e corrispondenze. Da Luino (Como), «Il Finanziere», anno XXIV, nn. 12-13, 20/2/1910.

7 In C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Milano, Garzanti, 1987, pp. 78-79, si legge: “Ma perché questo delitto [il contrabbando] non cagiona infamia al di lui autore, essendo un furto fatto al principe, e conseguentemente alla nazione medesima? Rispondo che le offese che gli uomini credono non poter essere loro fatte, non l’interessano tanto che basti a produrre la pubblica indignazione contro di chi le commette. Tale è il contrabbando. Gli uomini su i quali le conseguenze rimote fanno debolissime impressioni, non veggono il danno che può loro accadere per il contrabbando, anzi sovente ne godono i vantaggi presenti. Essi non veggono che il danno fatto al principe; non sono dunque interessati a privare dei loro suffragi chi fa un contrabbando, quanto lo sono contro chi commette un furto privato, contro chi falsifica un carattere, ed altri mali che posson loro

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Per concludere, i finanzieri erano tutt’altro che amati nelle terre in cui

lavoravano e spesso erano oggetto di manifesto disprezzo. Talvolta

l’antipatia per le fiamme gialle giungeva a tal punto che, in occasione

dell’arresto di un contrabbandiere, soprattutto nel passato, gli amici o i

colleghi cercassero di liberarlo. L’ufficiale Luigi Squadrani racconta

che egli, subito dopo avere conseguito nel 1908 un clamoroso fermo

di merci di contrabbando a Viggiù (VA), dovette dapprima invitare

alcuni individui ad andarsene, per poi esplodere un colpo di rivoltella

in aria, aggiungendo che, qualora essi non si fossero ritirati

immediatamente, avrebbe sparato di nuovo, mirando molto più in

basso.8

Le cronache giornalistiche offrono numerosi esempi di tale

atteggiamento da parte di civili: due ufficiali della R. Guardia di

Finanza, che nel febbraio 1892 si stavano recando da Maccagno a

Lozzo (in provincia di Varese), tra Cadero e Graglio furono insultati,

senza alcun motivo, da alcuni abitanti del luogo.9 Possiamo ricordare

la sassaiola di cui furono vittime i finanzieri della brigata di Cuasso al

Piano la sera di Natale del 1909, mentre passavano per la piazza di

Besano (in quell’occasione, per disperdere gli aggressori ed evitare

guai peggiori, i finanzieri furono costretti a ricorrere alle armi,

esplodendo alcuni colpi in aria),10 oppure il trattamento riservato ad

un finanziere nel corso dell’anno successivo a Laveno (VA), mentre si

trovava in servizio (l’agente Massimino Fiorentino, che vestiva in

accadere. Principio evidente che ogni essere sensibile non s’interessa che per i mali che conosce.”

8 SQUADRANI, Frammenti di vita di..., cit., p. 133. 9 Malvagità e ignoranza, «La Tresa», anno II, n. 5, 3/2/1892. 10 Cronaca e corrispondenze. Da Varese (Como), «Il Finanziere», anno XXIV, n.

1/1/1910.

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borghese, fu aggredito - senza alcuna motivazione da un gruppo di

giovani, che lo presero a bastonate, tanto da ferirlo e da renderne

necessario il ricovero in ospedale).11

Talvolta si ebbero a registrare delle vere e proprie tragedie, con la

morte di alcuni finanzieri; nell’aprile 1895 gli agenti Giuseppe

Vergnano e Teobaldo Cioci, appartenenti alla brigata di Solitudine

(ovvero di Cavaglio, in provincia di Verbania), furono vittime della

violenza di una banda di contrabbandieri mentre si trovavano di

servizio nei pressi del confine con la Svizzera.12

A fronte di questo atteggiamento apertamente ostile, le guardie di

finanza si prodigavano per soccorrere gli abitanti dei centri in cui

risiedevano nei momenti di particolare difficoltà: i giornali locali

diedero frequentemente notizia di soccorsi prestati a persone che

stavano per annegare nelle acque dei laghi prealpini,13 di interventi per

11 Cronaca e corrispondenze. Da Laveno (Como), «Il Finanziere», anno XXIV, n.

66, 30/10/1910. 12 Un drappello di guardie di finanza scomparso, «Cronaca Prealpina», anno VIII,

n. 1365, 10/4/1895; Un terribile dramma del contrabbando. Due guardie di finanza uccise, «Cronaca Prealpina», anno VIII, n. 1367, 12/4/1895; La grave tragedia sulle Alpi al confine, «Cronaca Prealpina», anno VIII, n. 1368; 13/4/1895; L’assassinio delle due guardie di finanza, «Cronaca Prealpina», anno VIII, n. 1369, 14/4/1895; Valle Cannobina. Le due guardie di finanza assassinate, «La Voce del lago Maggiore, dell’Ossola e del Cusio», n. 31, 16/4/1895; Le due guardie di finanza scomparse, «Il Monitore delle Regie Guardie di Finanza», anno IX, n. 16, 17/4/1895; Ancora delle due guardie di finanza scomparse, «Il Monitore delle Regie Guardie di Finanza», anno IX, n. 16, 17/4/1895. Si occupano della morte degli agenti anche Rubrica triste. In memoria, «La Rivista Illustrata della R. Guardia di Finanza italiana», anno IV, n. 23, 1/12/1904, e C. SABINO, Martirologio, «Il Finanziere», anno XV, n. 8, 2/2/1902.

13 Stilare un elenco di tali situazioni è praticamente impossibile; ricordo, a puro titolo esemplificativo, il salvataggio di due uomini, finiti nelle acque del lago Maggiore dopo il rovesciamento della loro imbarcazione (provocato da una manovra errata e dal forte vento) il 26 ottobre 1902, operato dal sotto-brigadiere Antonio Sergi e dalle guardie Domenico Castellano e Pasquale Cilone. I tre finanzieri rifiutarono cortesemente la ricompensa che uno dei due uomini

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lo spegnimento di incendi,14 di aiuto fornito alle vittime di

inondazioni15 e di altre azioni degne di nota.16

2. LE CONDIZIONI OPERATIVE

Le modalità operative lungo la frontiera italo-elvetica, estremamente

impegnative, hanno comportato un pesante tributo di sangue per il

Corpo della Guardia di Finanza: molti sono stati i finanzieri che hanno

perso la vita per motivi di servizio. Anziché redigere un elenco di

caduti - operazione che risulterebbe noiosa, oltre che inutile17 -

intendo presentare alcune situazioni esemplari di ciò che accadde nelle

aree prossime al confine con la Svizzera, dopo aver chiarito quale

fosse la vita condotta dai finanzieri.

intendeva consegnar loro, asserendo di avere compiuto semplicemente il proprio dovere (Cronaca e corrispondenze. Da Cannobio, «Il Finanziere», anno XX, n. 7, 15/1/1906).

14 Nel luglio 1881 alcuni agenti della brigata di Zenna (VA) vennero encomiati dal Ministero dell’Interno per avere cooperato allo spegnimento di un incendio scoppiato in Svizzera; cfr. Premi accordati alle guardie di finanza nel mese di luglio 1881, «Bollettino Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», I (1881), p. 13.

15 In occasione dello straripamento del lago Maggiore nel 1868 i componenti la brigata di “mare” di Luino (VA) dimostrarono abnegazione e coraggio, prodigandosi per soccorrere gli abitanti della vicina cittadina di Germignaga; vedasi Rimunerazioni ed encomi per fatti onorifici, «Monitore Doganale» (suppl. al n. 22 del «Bollettino Gabellario»), III, n. 11, 1° dicembre 1868, p. 106.

16 Il brigadiere Giuseppe Zorzolo durante la notte del 19 giugno 1866 eseguì, nelle acque del lago Maggiore, l’arresto di due uomini accusati di omicidio; cfr. Rimunerazioni ed encomi per fatti onorifici, «Monitore Doganale» (supplemento al n. 16 del «Bollettino Gabellario»), I, n. 8, 1° settembre 1866, p. 80.

17 Il Museo Storico della Guardia di Finanza di Roma ha curato la pubblicazione del Libro d’oro della Guardia di Finanza [Roma], Museo Storico della Guardia di Finanza, 1965, al quale hanno fatto seguito Aggiunte al Libro d’oro della Guardia di Finanza. Edizione 1965 (aggiornato al 31 dicembre 1969), [Roma], Museo Storico della Guardia di Finanza, s.d., e Aggiunte al Libro d’oro della Guardia di Finanza (aggiornato al 31 dicembre 1974), [Roma], Museo Storico della Guardia di Finanza, 1975. Il Museo Storico del Corpo è impegnato in un continuo lavoro di controllo dei dati disponibili, operando aggiornamenti ed integrazioni.

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321

In primo luogo occorre riflettere sulle caratteristiche peculiari di una

parte della linea di demarcazione tra Italia e Svizzera. Le affermazioni

del generale di artiglieria, barone Heinrich Hermann von Hess,

contenute in un rapporto rimesso al governo milanese il 7 agosto

1849, come punto di partenza per un’eventuale rettifica della frontiera

tra il Regno Lombardo–Veneto e la Svizzera (che, nei fatti, rimase

sulla carta), permettono di avere un quadro più chiaro della situazione.

Oltre a sottolineare le difficoltà di natura politica e militare che il suo

andamento comportava, il barone sosteneva:

Il confine è precisamente conformato nel modo che dovrebbe esserlo

ove fosse stato fatto da e per i contrabbandieri. Colla massima facilità

si sottraggono le numerose e completamente organizzate bande di

contrabbandieri alla sorveglianza della forza che le persegue sul

confine cotanto sinuoso e sprovveduto di segni naturali.18

Il colonnello dell’esercito italiano Vittorio Adami nel 1926,

riferendosi alla parte del confine tra Canton Ticino e Lombardia,

affermò:

Il confine politico d’Italia verso il Canton Ticino segue una linea così

irregolare, così disforme dal confine geografico, così illogica, che per

darcene ragione bisogna tenere presente le vicende politiche delle

quali essa è stata la risultante.19

18 V. ADAMI , Storia documentata dei confini del Regno d’Italia, Roma,

Stabilimento Poligrafico per l’Amministrazione dello Stato, 1926, vol. II, pp. 354-360. Il generale Tancredi Saletta, nel 1900, evidenziò l’andamento “sfavorevole” del tracciato di confine per l’Italia anche sotto il punto di vista militare, auspicando che si provvedesse “a rendere meno sfavorevoli le condizioni di questa nostra frontiera”; cfr. Stralci della relazione del “Viaggio di S. M.” dell’anno 1900, condotto nella zona di frontiera italo-svizzera, in A. ROVIGHI, Un secolo di relazioni militari con la Svizzera 1861–1961, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, 1987, p. 304.

19 ADAMI , Storia documentata dei confini…, cit., vol. II, p. 25. Una ricostruzione

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322

Il gen. Oliva, autore di un pregevole studio sulle caratteristiche del

contrabbando, scrisse:

Il confine italiano con la Svizzera si presenta per una gran parte tale

da rendere estremamente agevole il contrabbando. Il territorio

svizzero si incunea profondamente nel territorio italiano tagliando il

lago Maggiore e il lago di Lugano e giungendo sin quasi alla pianura

milanese.

Altra penetrazione abbastanza profonda si verifica in prossimità di

Tirano, nella Valtellina. I corrispondenti salienti italiani nel territorio

svizzero che culminano rispettivamente nel passo di San Giacomo e

nel passo dello Spluga, sono invece circondati da alte montagne.

Tra queste due estreme punte italiane, il Canton Ticino, fittamente

popolato si addentra verso la pianura padana sì che lo scambio di

persone e di merci è estremamente agevolato anche dal terreno

collinare o da montagne che, non superando i duemila metri, sono

facilmente valicabili, quasi ovunque.20

Un articolo della «Provincia di Como», comparso all’inizio del 1898 e

ripreso dalla rivista del Corpo, «Il Monitore delle Regie Guardie di

Finanza», permette di comprendere quanto fosse pesante il servizio

prestato dai finanzieri nelle acque dei laghi prealpini per contrastare il

contrabbando:

Ed a questo proposito, sento ancora viva l’impressione che mi fece -

circa due anni fa - il vedere, in un mattino freddo di primavera alcune

guardie accoccolate in fondo ad una di quelle barche dette veneziane,

delle vicende legate alla definizione di tale confine è presente in F. DI LEO, Questioni di confine. La frontiera italo-svizzera Zenna–Ponte Tresa, «Il Rondò», XIX (2007), pp. 149-170.

20 G. OLIVA , Il contrabbando. Aspetti del fenomeno e misure di contrasto, Roma, Guido Pastena Editore, 1977, p. 10.

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di color grigio, colle quali i doganieri [sic] inseguono i

contrabbandieri. Mi trovavo allora a Porlezza; una nebbia fredda ed

umida si levava dal lago ancora addormentato e gli erti monti che

rinserrano quell’estremo lembo del Ceresio si ergevano cupi nel primo

chiaror mattinale. Io passeggiava lungo il muricciuolo del porto in

compagnia di un amico e vedendo in quella barca a fior d’acqua degli

uomini avvolti nella nebbia ed in poche coperte chiesi:

- Chi sono?

- Guardie doganali - rispose l’amico.

- Ed hanno passata la notte lì?

- Sicuro.

Le nostre voci destarono quelle guardie; vidi muoversi sotto la nebbia

qualcosa, poi emergere una bella testa di giovane bruno, voltarsi in su

e guardarmi con due occhi assonnati.

Tirai innanzi con una gran melanconia nell’animo e fantasticando

sulla terribile vita di questi custodi dell’erario nazionale, di questi

infaticabili cacciatori di spalloni e pensando nel tempo stesso che

anche gli spalloni sono povera gente dannata a vite d’inferno! E

guardando le vette nere dei monti che si disegnavano nel cielo pallido

mi pareva di vedere al di là, come in un panorama sterminato e

pauroso tutto un accavallarsi di roccie, tutto uno scintillare di nevi,

tutto un rovinar di torrentacci sinistri per le balze solitarie; e ad ogni

svolto di sentiero rupestre, mi pareva di scorgere, mezzo assiderato dal

gelo, co’ piedi confitti nella neve, il capo flagellato dal vento

ghiacciato del crepuscolo alpestre, un atomo umano perduto

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nell’immensità di quel caos, una povera guardia doganale avvolta di

coperte e condannata al supplizio dell’appostamento.21

Un altro pezzo giornalistico, stavolta comparso ne «Il Corriere della

Sera», si occupò del servizio di appostamento:

Forse non tutti i lettori sanno che cosa sia un servizio d’appostamento.

Ecco: un drappello di guardie parte dalla caserma e s’inerpica per

monti verso il confine; ogni guardia ha con sé la provvista per otto

giorni, un cappottone e un sacco a pelo nel quale avvolgerà i piedi

quando sarà di sentinella. Giunto il drappello al luogo designato trova

qualche volta una capanna che serve come corpo di guardia e

comincia il servizio che è regolato così: otto ore di sentinella, otto di

riposo, otto di sentinelle e così via per tutta la durata degli otto giorni.

Come vedete è la teoria del tre otto applicata in un modo non mai

sognato da nessun capo socialista.

E non dovete mica immaginarvi che in quelle otto ore di sentinella

siano sopportabili come a passarle sul marciapiedi davanti ad una

caserma cittadina! Oh! Tutt’altro! Il doganiere è piantato nella

solitudine immensa della montagna, sull’orlo di un burrone, all’angolo

di qualche sentiero rupestre balzante in capricciosi zig-zag per la china

rovinosa, o seppellito dalla neve e dal ghiaccio. Tutt’intorno è neve, è

gelo, è silenzio alto di tomba. Spesso tra quelle forre inospitali infuria

la tormenta gelata, rovinano le valanghe ed irrompono nella loro furia

selvaggia gli uragani delle Alpi. Ma il doganiere [sic] deve starsene lì,

per otto ore, di giorno o di notte, brillino le stelle nel cielo assiderato,

imperversi la tramontana, splenda il sole sulle abbacinanti nevi o

21 La “Provincia di Como” e la Guardia di Finanza, «Il Monitore delle Regie

Guardie di Finanza», anno XII, n. 4, 29/1/1898.

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s’addensi il turbine sulle vette paurose. Egli deve starsene colà

coll’occhio vigile, il fucile pronto, per attendere al varco altri

disgraziati, ma meno disgraziati di lui, poiché i contrabbandieri

corrono, si muovono, vanno ai loro rifugi, hanno l’aculeo del

guadagno illecito, ma desiderato.22

Le lunghe testimonianze sono interessanti soprattutto perché relative a

civili e quindi non tacciabili, come era possibile per gli scritti

memorialistici dei finanzieri, di indulgere ad “una funerea retorica del

sacrificio, al limite del vittimismo”.23

La stessa disciplina alla quale erano sottoposte le guardie di finanza

contribuiva a mantenerle in uno stato continuo di tensione, che spesso

determinava atti inconsulti e tragedie.24 La scelta di un regolamento

disciplinare ai limiti della sopportabilità intendeva assicurare

l’obbedienza soprattutto nei piccoli reparti, spesso retti da semplici

sottufficiali.25

Oltre che al senso del dovere, il particolare impegno dei finanzieri

nell’esercizio delle proprie mansioni dipendeva dalla possibilità di

ottenere delle entrate supplementari, particolarmente importanti

soprattutto per sottufficiali e guardie, malamente retribuiti.26 La

22 Un altro articolo sulle Guardie di Finanza, «Il Monitore delle Regie Guardie di

Finanza», anno XII, n. 4, 29/1/1898. 23 P. MECCARIELLO, Storia della Guardia di Finanza, Roma-Firenze, Museo

Storico della Guardia di Finanza-Le Monnier, 2003, p. 71. 24 È assodato, peraltro, che alcuni ufficiali ricorrevano abitualmente allo spionaggio

tra i propri subalterni, suscitando risentimenti e tensioni; cfr. DE MAN., Lo spionaggio fra le guardie, «Il Monitore delle Regie Guardie di Finanza», anno XII, n. 25, 24/6/1898.

25 Cfr. G. OLIVA , La Guardia di Finanza pontificia, Roma, Museo Storico della Guardia di Finanza, 1979, p. 51.

26 Interessante quanto scriveva, animato certo da spirito polemico, un anonimo articolista del foglio democratico varesino «Cacciatore delle Alpi», nell’appoggiare una raccolta di fondi lanciata a Varese a favore di una guardia

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retribuzione percepita dagli agenti nei primi anni di esistenza era

estremamente bassa, tanto che numerosi agenti furono deferiti ai

competenti organi di disciplina per la “vendita di oggetti di divisa”,

dovuta alla pressante necessità di garantirsi del danaro per far fronte

alle proprie necessità.27

Tornando alla possibilità offerta ai finanzieri di guadagnare di più, era

stato previsto sin dalla fine del 1889 un premio a livello nazionale di

1.000 lire, da attribuirsi all’agente che avesse conseguito nel corso

dell’anno i migliori risultati di servizio; si trattava, con tutta evidenza,

congedata d’ufficio, Angelo Cicerchia, divenuto inabile al servizio e congedato, al quale era stata liquidata una pensione vergognosamente bassa: “Un povero diavolo che la fame e l’ignoranza ànno [sic] spinto a indossare la disadorna divisa delle guardie di finanza, avendo un giorno voluto pigliare sul serio il proprio mestiere, s’è buscato una piova tale di busse e contumelie, e, peggio, venne sì malamente arroncolato da una masnada audace di contrabbandieri, che per poco non ci perse la vita. Ma ci rimise la salute. E le ossa, quanto mai dure, resistettero alla suprema jattura, non furono però da tanto da sapersi sì acconciamente rabberciare da poter reggere più oltre alle fatiche d’ogni dì. Uomo rovinato dunque. E il ministero, dove sono infiniti gli impiegati e i mantenuti perché inabili, fu lesto a mandare a carte quarantotto quel disgraziatissimo fra i disgraziati. Non senza liquidargli la relativa pensione: che fu e sarà di italiane lire zero e cinquanta centesimi giornalieri. Non contando, s’intende, la sacramentale trattenuta di ricchezza mobile. […] Ma non possiamo dimenticare l’inganno con cui il governo le tratta [le guardie]: e le promesse fittizie, i premi d’incoraggiamento: ma non possiamo dimenticare la vitaccia cane cui li sottopone: e le umiliazioni e le tristissime condizioni economiche e intellettuali delle regioni obbligate a sacrificare annualmente tanti loro figli ai bisogni del governo. E quando alcuna di loro, sia pure in causa del servizio, incoglie qualche malanno, ci sentiamo rinascere un sentimento di compassione e di pietà. Perché allora scompare nella dimenticanza la figura dello scherano, e crediamo veder rinascere l’uomo. […] E quando alcuna di esse per un sentimento che può sembrare di dovere, s’è esposta a rendersi inabile al lavoro e viene poi compensata con mezza lira al giorno, non possiamo noi rattenere la nostra forte disapprovazione, per quel governo che sfrutta senza ritegno le giovani energie delle sue pagate milizie e le getta come bucce spremute quando le à rovinate”; A. L., Postille verdi, «Il Cacciatore delle Alpi», anno XIX, n. 18, 30/4/1911.

27 Nella sola ispezione di Como, nella seconda metà dell’anno 1881, furono ben 12 le guardie punite per avere venduto effetti delle rispettive divise; cfr. «Bollettino Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», I (1881), pp. 85-87; 173-176; 432-434.

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di una somma notevole, la cui erogazione aveva anche lo scopo di

evitare che la mala pianta della corruzione si diffondesse nelle fila

della Finanza.28

L’amministrazione doganale, inoltre, insisteva sulla necessità che,

oltre a sventare l’introduzione illegale di merci nel nostro paese, gli

agenti arrestassero anche chi se ne fosse reso responsabile.29

Divennero, ovviamente, sempre più violenti gli scontri con gli

spalloni, da parte loro intenzionati a guadagnare e poco propensi -

naturalmente - a farsi arrestare dai tutori degli interessi del pubblico

erario e, di conseguenza, pronti a difendere se stessi e la merce ad

ogni costo.

I numerosi sostenitori del “contrabbando romantico” asseriscono che

la violenza sarebbe stata la conseguenza della trasformazione in senso

industriale dei tradizionali traffici illegali al confine;30 purtroppo per

loro, non mancano le testimonianze che smentiscono questo luogo

comune.

Ad esempio, verso la mezzanotte del 12 maggio 1892, presso il

confine italo-svizzero, tra le località di Dumenza (VA) e di Astano,

28 Circ. n. 160698-27497, Div. I, del 25 novembre 1889 del Ministero delle

Finanze, in Ricompense per la repressione del contrabbando, «Bollettino Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», IX (1889), pp. 464-466.

29 La disposizione ministeriale del 3 marzo 1886, n. 42035-1851, aveva stabilito un premio di lire 20 per ogni contrabbandiere arrestato dalle guardie di finanza o da agenti degli altri corpi armati nell’atto di varcare il confine con un carico di spirito estero; cfr. Ricompense per la repressione del contrabbando, «Bollettino Ufficiale del Corpo della Guardia di Finanza», IX (1889), pp. 464-466.

30 Una delle affermazioni più dolciastre e stucchevoli che mi sia mai capitato di leggere è contenuta in P. CORSINI, Una casa, la vita, «Il Rondò», VI (1994), p. 56: “Noi amiamo credere che siano le tracce delle voci soffocate dei contrabbandieri che «frequentarono» quella casa vera di via Portovaltravaglia [sic]. I ladri comuni non ne avrebbero avuto tanto rispetto. I nostri contrabbandieri, che da sempre praticano un codice cavalleresco di comportamento, sì”; superfluo ogni commento...

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cinque finanzieri in servizio di appostamento intimarono il fermo a

una banda di venti contrabbandieri, alcuni dei quali armati. Dopo il

classico “molla” e qualche colpo esploso in aria dagli agenti, i

contrabbandieri si disposero immediatamente a difesa, dimostrando

così d’essere intenzionati a proseguire ad ogni costo; ne seguì un

furioso scambio di colpi d’arma da fuoco – sul terreno vennero

raccolti oltre 60 bossoli – nel corso del quale un finanziere rimase

ferito, mentre un contrabbandiere fu ucciso.31

3. I CADUTI

Uno dei maggiori problemi per i finanzieri era costituito dalla

mancanza di qualsiasi addestramento per vivere ed operare in

montagna; altrettanto preoccupante era l’utilizzo di un

equipaggiamento assolutamente inadeguato (evidenziato da diversi

casi di assideramento). Come se ciò non fosse bastato, le condizioni

sanitarie, soprattutto nei piccoli distaccamenti ubicati in località

isolare, erano pessime. Ciò provocò, purtroppo, il frequente ripetersi

di tragedie.32

Diverse guardie persero la vita per lo scatenarsi degli elementi

naturali. Drammatica la vicenda di due giovani agenti in servizio

presso la brigata di frontiera di Monte Casolo, nei pressi di Porto

Ceresio (VA), i fin. Cosimo Mazzotta e Liberato Riviello. Il giorno 9

giugno 1963, mentre i militari stavano effettuando un servizio di

perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando,

31 Conflitto tra guardie e contrabbandieri, «Il Monitore delle Regie Guardie di

Finanza», anno VI, n. 20, 18/5/1892. 32 MECCARIELLO, Storia della Guardia di..., cit., p. 71.

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sulla zona dove si trovavano si abbatté all’improvviso un temporale; i

due uomini, per ripararsi, si rifugiarono nella garitta posta nelle

vicinanze del cippo 59/B, nella località di Piano Sella. Un fulmine

folgorò gli sfortunati militari.33 Il fin. Vincenzo Principi, socio della

sezione A.N.F.I. di Viterbo, in quel giorno di servizio come

casermiere a Monte Casolo, aveva preso il posto del parigrado

Riviello, che gli aveva chiesto il favore di sostituirlo per partecipare

nei giorni successivi ad una cerimonia.34

Talvolta erano i laghi ad uccidere; non credo sia il caso di tornare

sulla vicenda della torpediniera 19/T “Locusta”, ben conosciuta negli

ambienti militari.35 Nel 1878 due finanzieri, Giovanni Ferrero e

Onofrio Lolli, rimasero vittime di un fortunale che sconvolse il lago

Maggiore. La barca sulla quale si trovavano, assolutamente non in

grado di reggere alla tempesta, fu travolta dalla furia delle acque del

lago nei pressi di Piaggio Valmara (VB).36 Resta a loro ricordo una

piccola cappella lungo la strada che, costeggiando la riva del Verbano,

da Cannobio conduce a Piaggio Valmara.37

33 Almanacco fotografico, «Il Finanziere», anno LXXVII, n. 13, 15/7/1963; Libro

d’oro della…, 1965, p. 554: “Mazzotta Cosimo, fin., 9/6/1963, Piano Sella, Leg. Como”; Ivi, p. 562: “Riviello Liberato, fin., 9/6/1963, Piano Sella, Leg. Como”.

34 Testimonianza orale resa all’autore dal fin. in congedo Vincenzo Principi, di Viterbo, che ringrazio per cortesia e disponibilità.

35 Le torpediniere vennero impiegate nei laghi prealpini e nella laguna veneta per “servizi speciali per la vigilanza finanziaria di confine”. Cfr. R. Decreto n. 147 del 9 marzo 1893 che istituisce sui laghi Maggiore e di Garda servizi speciali per la vigilanza finanziaria di confine, «Collezione degli Atti della Amministrazione delle Gabelle del Regno d’Italia», XXXIII (1893), pp. 534-535.

36 Piaggio di Valmara, «Il Finanziere», anno XVI, n. 8, 2/2/1902 (nell’articolo si sostiene che la morte delle guardie avvenne nel luglio del 1878); G. CAPITANI, Due dimenticati, «La Rivista Illustrata della R. Guardia di Finanza italiana», anno II, n. 8, 16/4/1902, pp. 107-108; Libro d’oro..., cit., pp. 546; 551.

37 La cappellina reca la seguente iscrizione: “Lolli Onofrio, d’anni 24 / da Cento / Ferrero Giovanni, d’anni 21 / da Pinerolo / guardie di dogana / il 19 maggio 1878 / sorpresi da forte buffera [sic] / dalle onde travolti / vittime del dovere /

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Quasi 25 anni più tardi, il 12 luglio 1902, nelle acque di Cannobio

(VB) perse la vita la guardia Luigi Neato, che morì a causa

dell’improvvisa rottura di un cavo che assicurava l’imbarcazione sulla

quale il finanziere si trovava, mentre stava provvedendo, assieme ad

alcuni commilitoni, alla sostituzione della catena di una boa. La barca

si rovesciò, gli altri militari riuscirono fortunatamente a salvarsi ma la

guardia Neato batté la testa contro lo scafo, perse i sensi e scomparve

nelle acque del Verbano; il lago non restituì mai le spoglie dello

sfortunato finanziere.38

Ancora negli anni Sessanta del XX secolo il Corpo ebbe a pagare un

pesante tributo di sangue: le guardie Francesco Longo e Angelo

Malerba nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1960 persero la vita nelle

acque del lago di Como, vittime di una tempesta mentre, a bordo del

motoscafo M/24, erano impegnate in un servizio di perlustrazione.39

Numerosissimi anche gli incidenti verificatisi in montagna, soprattutto

durante la cattiva stagione; una banale caduta, specialmente in

presenza di ghiaccio, poteva facilmente trasformarsi in un incidente

mortale. Perirono per tale motivo, in epoche diverse, la guardia

Giovanni Mandini, precipitato in un burrone nei pressi di Cavaglio

San Donnino (VB) nel 1895;40 il fin. Domenico Marchese, che mentre

tornava dal servizio prestato sul monte Limidario, nei pressi di

perirono / memori / di loro virtù / di cittadino e soldato / gli amici e fratelli d’arme / dolenti / posero”.

38 Una vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XVI, nn. 53-54, 19/7/1902; P. ROMEO, Da Cannobio, «Il Finanziere», anno XVI, n. 74, 28/9/1902; Libro d’oro..., cit., p. 556.

39 Caduti nell’adempimento del dovere, «Il Finanziere», anno LXXIV, n. 22, 30/11/1960; Libro d’oro..., cit., pp. 551; 552.

40 Corrispondenza da Cannobio: disgrazie a S. Donnino; la festa del Rosario a Viggiona; la visita pastorale di mons. Lachat a Locarno - 1885, «Il Bescapé», anno IV, n. 40, 2/10/1885.

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Cannobio, l’8 gennaio 1917 perse l’equilibrio e cadendo nel vuoto;41 il

fin. Cesare Di Giulio Maria, anch’egli caduto in un profondo dirupo il

13 marzo 1917 nei pressi di Monteviasco (in provincia di Varese).42

Con buona pace dei molti - troppi - che si ostinano a parlare di

“contrabbando romantico”, non sono mancati i casi di assassinio di

agenti a sangue freddo.

La morte del maggiore Gioacchino Silani, brillante comandante del

Circolo di Varese, scomparso nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1913,

è da addebitarsi alla fredda determinazione di alcuni contrabbandieri,

che gli tesero un agguato mentre l’ufficiale stava partecipando ad

un’operazione di servizio per il contrasto e la repressione del

contrabbando presso la foce del torrente Boesio, a Laveno (VA).43 I

due uomini accusati dell’assassinio di Silani, nonostante le numerose

prove raccolte contro di loro, vennero inopinatamente assolti

dall’accusa, con una sentenza che fece a lungo discutere.44

Nel 1931 il finanziere Livio Da Prato, venticinquenne di Camaiore

(LU) in forza al distaccamento di Ponte di Spoccia (VB), in Val

Cannobina, venne ucciso da due colpi di arma da fuoco alla testa;

assolutamente inutili i soccorsi prontamente prestatigli da un

41 Cronaca e corrispondenze. Da Cannobio (Novara), «Il Finanziere», anno XXXI,

n. 3, 21/1/1917; Libro d’oro..., cit., p. 553. 42 Cronaca e corrispondenze. Una vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XXXI,

n. 11, 20/3/1917; Libro d’oro..., cit., p. 444, che indica come data della morte il 4 marzo 1917.

43 Tragica vendetta di contrabbandieri; «Il Finanziere», anno XXVII, n. 52, 17/8/1913; Il maggiore Silani vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XXVII, nn. 55-56, 31/8/1913; P. CIUFFO, Un martire del dovere, «Il Finanziere», anno XLIII, n. 37, 16/9/1929.

44 Informazioni. Il processo per l’uccisione del maggiore Silani, «Il Finanziere», anno XXVIII, n. 29, 2/8/1914; Il processo per l’uccisione del magg. Silani, «Il Finanziere», anno XXVIII, n. 30, 9/8/1914.

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commilitone.45 In tempi più recenti possiamo ricordare la morte,

avvenuta in circostanze mai completamente chiarite, del fin. Gino

Nobili, di soli 20 anni, della brigata di Dumenza (VA), scomparso

nella notte tra il 12 e il 13 ottobre 1967; pare che la guardia sia stata

spinta nel vuoto dal ponte tra Dumenza e Runo da alcuni

contrabbandieri, mentre era impegnata in un servizio di appostamento

per la repressione del contrabbando.46

Un altro agente, Secondo Villalta scomparve invece nel 1868, vittima

della propria generosità; il 17 ottobre partecipò, assieme ad alcuni

commilitoni, allo spegnimento di un incendio scoppiato a Zenna

(VA). L’azione delle guardie doganali fu assai efficace, tanto che esse

furono encomiate per il loro pronto ed efficace intervento; purtroppo

Villalta rimase asfissiato.47

Un elemento emerge con chiarezza da queste vicende; il fortissimo

spirito di cameratismo che univa i finanzieri, frutto della condivisione

di anni di duro lavoro (se non di vero e proprio sacrificio). Tale

sentimento, che portò per altro verso alla nascita delle prime

associazioni di guardie di finanza in congedo a cavallo tra XIX e XX

45 Roma, Archivio del Museo Storico della Guardia di Finanza (d’ora in poi

AMSGDF), Foglio matricolare di Da Prato Livio. Il resoconto dell’assassinio del giovane e delle onoranze funebri riservategli è in Livio Da Prato: presente!, «Il Finanziere», anno XLV, n. 21, 25/5/1931; si veda anche N. LEOTTA, Livio Da Prato, «Il Finanziere», anno XLV, n. 23, 8/6/1931.

46 AMSGDF, Diario storico della VI Legione, vol. IV, anno 1967, 13 ottobre 1967, nota n. 6598/21 del 12 ottobre 1967 del Nucleo PT di Varese; Aggiunte al Libro d’oro della Guardia di Finanza. Edizione 1965 (aggiornato al 31 dicembre 1969), cit., p. 22; L. FULCINITI -A. BERTOCCO (a cura di), “Albo d’oro” dei caduti per servizio vittime del dovere in tempo di pace, Milano, Sezione Provinciale Unione Nazionale Mutilati per Servizio (U.N.M.S.), 1998, p. 195.

47 Rimunerazioni ed encomi per fatti onorifici, «Monitore Doganale», anno III, n. 11, 1° dicembre 1868, p. 108; Libro d’oro..., cit., p. 569.

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secolo,48 si manifestò in ogni situazione di difficoltà e in occasione di

tragedie nelle forme più diverse (dalle raccolte di danaro alle decisioni

di ricordare i commilitoni scomparsi con lapidi e targhe

commemorative).

L’esempio più eclatante è legato alla tragica scomparsa del maggiore

Gioacchino Silani, ufficiale protagonista di una brillante carriera nel

Corpo, rimasto vittima - come abbiamo visto - di un agguato di

contrabbandieri nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1913 a Laveno,

presso la foce del torrente Boesio. I suoi subordinati si preoccuparono

di onorarne degnamente la memoria, sistemando una lapide con un

bassorilievo dello scomparso su un’ala del municipio di Laveno:

Il maggiore della Regia / Guardia di Finanza / Gioacchino / Silani /

soldato cittadino / padre esemplare / in queste acque / fu spento con

violenza / il XII agosto MCMXIII / cadde da prode / per obbedire /

alle sante leggi / della patria / fieri del suo sacrificio / i commilitoni

posero.

Esso si manifestava anche in situazioni particolari; emblematico il

caso di Silvio Desideri, un sotto-brigadiere scomparso a Porlezza il 1°

settembre 1909. Nel piccolo cimitero di Oria, in Valsolda, una

semplice lapide - comunque dignitosa - recita:

A / Desideri Silvio / sotto brigadiere / della R. Guardia di Finanza / i

commilitoni della / Compagnia di Porlezza / in segno di affetto posero

/ morto I° novembre 1909

48 Sulla storia dell’A.N.F.I., si vedano E. FUSELLI, ...e le Fiamme Gialle

continuano a brillare. Storia dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia (1899-2009), Roma, A.N.F.I.-Museo Storico della Guardia di Finanza, 2009, e IDEM, L’A.N.F.I. nei 150 anni dell’Unità d’Italia. Storia dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia (1899-2011), Roma, A.N.F.I.-Museo Storico della Guardia di Finanza, 2011.

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Il sottufficiale, originario di Rivodutri (RI) e dell’età di 33 anni, si

tolse la vita, a quanto pare, per motivi di cuore; la donna che egli

amava aveva bruscamente interrotto la relazione e l’agente non riuscì

a sopportare il dolore.49 I suoi commilitoni, nonostante non fosse

morto per motivi di servizio, vollero egualmente testimoniargli la

propria solidarietà.50

Degna di essere ricordata anche la raccolta di danaro organizzata a

favore del giovane finanziere Angelo Cicerchia, rimasto vittima della

violenza di un contrabbandiere e al quale fu liquidata, in maniera

vergognosa, una pensione da fame. Accanto alla sottoscrizione

promossa da una rivista del Varesotto, si ebbe quella organizzata da

un sottufficiale del Corpo, il brigadiere Pietro Solarino, che permise di

prestare un valido aiuto al buon Cicerchia.51 Anche la rivista del

Corpo, «Il Finanziere», lanciò una colletta a beneficio dello sfortunato

agente.52

49 La ricostruzione dei fatti è basata su Cronaca e corrispondenze. Da Porlezza

(Como), «Il Finanziere», anno XXIII, nn. 72-73, 28/11/1909. 50 Per completezza d’informazione, la vicenda dello sfortunato sotto-brigadiere non

costituisce un caso isolato; la rivista del Corpo giunse addirittura ad istituire una rubrica per dare conto dei frequenti suicidi, spesso motivati dall’impossibilità di coronare il proprio sogno d’amore con la donna amata. Cfr., a mo’ d’esempio, A.

FIGINI, Amori in grigioverde, «Il Rondò», XX (2008), pp. 205-213, in cui - sotto pseudonimo - ho ricostruito la tragedia che nel lontano 1880 vide come protagonisti una guardia di finanza e la sua donna, suicidatisi assieme nelle acque del Tresa per l’impossibilità di convolare a giuste nozze.

51 Cfr. La sottoscrizione per un valoroso doganiere, «Cronaca Prealpina», anno XXIV, n. 6464, 11/5/1911; Il generoso intervento delle guardie di finanza del Varesotto a favore di un loro sventurato compagno, «Cronaca Prealpina», anno XXIV, n. 6469, 16/5/1911.

52 Un caso pietoso, «Il Finanziere», anno XXV, nn. 42-43, 9/7/1911.

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4. I DECORATI

Non sempre si parlava di finanzieri per eventi tragici legati alla lotta al

contrabbando; talvolta ci si occupava di loro per l’eroismo e il

coraggio che dimostravano nell’affrontare i “derelitti di coscienza

tributaria”. In alcune occasioni il comportamento degli agenti era

motivo di conferimento di decorazioni al valore e di orgoglio per tutto

il Corpo. I finanzieri meritavano la concessione delle medaglie per

l’atteggiamento fermo e deciso tenuto di fronte ai contrabbandieri.

La vicenda commovente di un mio conterraneo, la guardia Angelo

Cicerchia, nativa di Castiglione del Lago (PG), dimostra come, anche

prima della trasformazione del contrabbando in chiave “industriale”

avvenuta negli anni Cinquanta, il comportamento dei contrabbandieri

fosse spesso estremamente violento.53

Alle ore 23 del 4 aprile 1904 il finanziere Angelo Cicerchia, della

brigata di Dumenza (VA), si trovava appostato nella località Valle

Oscura, quando vide avvicinarsi, proveniente dalla Svizzera, un uomo

che si muoveva con fare assai circospetto. Ritenendo che potesse

trattarsi di un contrabbandiere (giacché indossava una giacca munita

di capaci tasche), la guardia gli intimò di seguirlo in dogana per un

controllo. L’individuo si diede alla fuga, prontamente inseguito

dall’agente Cicerchia, che riuscì a bloccarlo; ne nacque una furibonda

colluttazione, nel corso della quale il finanziere venne ripetutamente

colpito con il falcetto dal contrabbandiere, che, credendo di averlo

ucciso, si eclissò.54 Il povero Cicerchia se la cavò con 66 punti di

53 Alcuni anni dopo lo scontro con il contrabbandiere, a causa delle gravi ferite

riportate, ad Angelo Cicerchia fu amputato il braccio destro; cfr. FUSELLI, L’A.N.F.I. nei 150..., cit., p. 360.

54 Per la ricostruzione dell’accaduto, vedasi Cronaca del Circondario. La terribile

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sutura e una lunga degenza presso l’ospedale di Luino; il suo corpo

sarebbe rimasto per sempre segnato dai tremendi fendenti infertigli dal

contrabbandiere.55 L’eroismo e il sacrificio di Angelo Cicerchia

furono ricompensati con la concessione della medaglia d’argento al

valor militare, che avvenne con il r.d. del 29 settembre 1904.56

Non è, quella di Cicerchia, l’unica vicenda del genere; capitò qualcosa

del genere - con esito fortunatamente diverso - al finanziere Calisto

Pero, della brigata di Dumenza (VA). Il 26 gennaio di quell’anno la

guardia, in servizio con un commilitone in una località piuttosto aspra

dell’alto Verbano, dopo aver individuato due contrabbandieri, intimò

loro l’alt. Come accadeva sempre in situazioni del genere, gli uomini

si dettero alla fuga; la guardia Pero immediatamente ne inseguì uno.

Dopo che l’agente ebbe raggiunto il fuggiasco, i due ingaggiarono una

dura colluttazione, nel corso della quale rotolarono in un dirupo;

l’energumeno, tratto di tasca un falcetto, tentò di colpire il finanziere

(il contrabbandiere vibrò cinque colpi, ferendo per fortuna solo

lievemente l’agente). Il contrabbandiere, rimasto illeso al pari della

guardia, fuggì nuovamente, ma il finanziere, raggiuntolo nuovamente,

lo arrestò con l’aiuto del proprio commilitone, prontamente accorso.

lotta tra una guardia di finanza ed un contrabbandiere, «Cronaca Prealpina», anno XVII, n. 4109, 7/4/1904, e F. BOSCARDI, Cinque medaglie d’argento al valor militare, «La Rivista Illustrata della Regia Guardia di Finanza italiana», anno V, n. 7, 1/4/1905, p. 75.

55 Notiziario e corrispondenza. Guardie di finanza ferite, «La Rivista Illustrata della Regia Guardia di Finanza italiana», anno IV, n. 9, 1/5/1904 (in cui il cognome è storpiato in Cisterchia); Note di cronaca e corrispondenze. Una vittima del dovere, «Il Finanziere», anno XVIII, n. 37, 6/7/1904.

56 Vedasi Libro d’oro della..., cit., pp. 27-28: “Di servizio in alta montagna, inseguì da solo per pericolosi dirupi un contrabbandiere: raggiuntolo alfine, benché nella corsa avesse perduto la rivoltella, lottò a lungo animosamente per trarlo in arresto, finché cadde esaurito per molte e gravissime ferite di falcetto infertegli dal ribelle - Dumenza (Como), 4 aprile 1904”.

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La medaglia fu conferita alla guardia con il R.D. del 29 giugno

1902.57

L’11 aprile 1903 due guardie di finanza, Ruggero Mellardi e Venanzio

Perinetti, intercettarono nei pressi di Lozzo (VA) altrettanti

contrabbandieri; datisi questi ultimi alla fuga, i finanzieri si lanciarono

al loro inseguimento, raggiungendoli ben presto. L’agente Mellardi

tuttavia, nella foga della corsa cadde e i due contrabbandieri gli furono

subito addosso, prendendolo a bastonate e colpendolo col falcetto; per

evitare il peggio, l’agente fu costretto a sparare all’uomo che si stava

particolarmente accanendo contro di lui. Il commilitone, nel frattempo

accorso in suo aiuto, aveva ingaggiato una colluttazione con l’altro

energumeno e riuscì a strappargli il bastone; la guardia venne

comunque ferita e, per salvarsi, dovette colpire ripetutamente il

contrabbandiere con una pietra. Il 25 settembre 1903 il re insignì i due

agenti della medaglia d’argento al valor militare, che fu loro

materialmente consegnata l’11 novembre 1903 a Caserta.58

Un dramma particolarmente pietoso si consumò nel 1966;

protagonista un giovanissimo finanziere cinofilo, Dario Cinus, che

perse la vita il 29 agosto nei pressi di Tirano (SO), in Valtellina, nel

generoso ma vano tentativo di salvare un contrabbandiere che stava

57 Cronaca e corrispondenze. Da Dumenza (Como), «Il Finanziere», anno XV, n.

9, 7/2/1902; Libro d’oro..., cit., p. 37. Per la ricostruzione completa della vicenda, vedasi E. FUSELLI, Piccola storia di contrabbando, «Il Rondò», XIX (2007), pp. 207-212.

58 Cronaca e corrispondenze. Da Como, «Il Finanziere», anno XVII, n. 26-27, 18/4/1903; E. DE ANGELIS, Tre medaglie d’argento, «La Rivista Illustrata della R. Guardia di Finanza italiana», anno III, n. 23, 1/12/1903, p. 294; Libro d’oro..., cit., p. 26.

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precipitando in un burrone. Alla memoria dello sfortunato agente il 15

ottobre 1966 fu conferita la medaglia d’argento al merito civile.59

Una vicenda assai singolare accadde nel gennaio 1969 e vide come

protagonisti due finanzieri e un cane anticontrabbando - storia quanto

mai drammatica ma estremamente significativa. Due militari, i

finanzieri Dino Piras, ventiseienne di Oristano, e Serafino Scalise,

ventunenne cosentino, in forza alla brigata di Garzeno (CO), uscirono

dalla caserma del distaccamento di Giovo in perlustrazione con il cane

Foch G.F. 433. I tre furono travolti da una slavina. L’animale,

avvertito l’imminente pericolo, cercò di mettere sull’avviso il proprio

conduttore; se lo avesse voluto, il cane avrebbe potuto salvarsi. Non lo

fece; rimase vicino al cinofilo Piras e all’altra guardia. I soccorritori

trovarono i loro corpi alcuni mesi più tardi, quando le condizioni

ambientali ne resero possibile il recupero; il cane e il conduttore

furono trovati abbracciati, vicino all’altro agente60.

59 È caduto da eroe il finanziere Cinus, «Il Finanziere», anno LXXX, n. 17,

15/9/1966; Aggiunte al Libro d’oro della Guardia di Finanza. Edizione 1965 (aggiornato al 31 dicembre 1969), cit., p. 12.

60 Travolti da una slavina, «Il Finanziere», anno LXXXII, n. 2, 31/1/1969; AA. VV., La Guardia di Finanza dalle origini, Roma, Comando Generale della Guardia di Finanza, 1977, pp. 465-466.

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Gen. D. Roberto Mantini

L’impegno degli elicotteri nel servizio anticontrabbando al confine terrestre

1. PRECEDENTI STORICI

Comincio con il ricordare che la componente aerea della Guardia di

Finanza annovera pionieri del volo prima che l’Aeronautica Militare

fosse costituita in Forza Armata.

Infatti il Cap. Luca Bongiovanni, finanziere e pioniere aviatore, nel

1908 era al comando della Tenenza di Bergamo e vi fondò,con pochi

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altri appassionati, un Aero Club che prese parte ad una delle prime

manifestazioni aviatorie in Italia.

Frattanto l’interesse per l’aviazione si faceva vivissimo in ambiente

militare e nel gennaio del 1912 fu indetto il primo corso di pilotaggio

della aviazione militare cui prese parte il Cap Bongiovanni unitamente

ad altri 20 ufficiali di altri Corpi Militari.

Con l’approssimarsi del primo conflitto mondiale l’Ufficiale fu

trasferito al Servizio Aeronautico e rientrò nel Corpo a fine 1916 per

essere poi destinato alla Legione di Napoli, quale aiutante maggiore.

Nel 1920 lasciò il servizio per dedicarsi alle sue ricerche aeronautiche.

Morì a Como nel 1966.

Vi furono altri finanzieri aviatori tra i quali ricordo il brig. Giuseppe

Bigliani, decorato di medaglia d’argento al valor militare per le azioni

di bombardamento compiute nel 1917; il brig. Umberto Cacciuolo,

primo istruttore di volo del Corpo; il Ten Mario De Bartolomeis,

anch’egli istruttore di volo, che nel 1918 addestrò allievi piloti

statunitensi tra i quali Fiorello La Guardia, futuro sindaco di New

York.

Va ancora ricordato che, cessate le esigenze belliche e costituitasi

l’Aeronautica come Forza Armata, non fu più dato corso al distacco

di militari della Guardia di Finanza ma si manifestò l’esigenza di

disporre di ufficiali in grado di svolgere funzioni di osservazione aerea

e di collegamento con i Reparti di volo.

Furono così formati e brevettati ufficiali “Osservatori dall’

aeroplano”, con appositi corsi interforze, cui parteciparono anche

ufficiali delle Fiamme Gialle fin dal 2° corso nel 1926..Tra questi va

ricordato il Ten Raffaello Tani che, per l’esperienza acquisita nel

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servizio di volo e per l’attività svolta a cavallo del 2° conflitto

mondiale presso il Comando Generale, fu un convinto assertore

dell’impiego del mezzo aereo nella vigilanza e quindi uno dei

principali promotori della istituzione, nel Corpo, di un Servizio

Aereo.

La visione operativa del Ten Tani, affinatasi attraverso studi e

valutazioni risalenti fino agli anni’30, quando però l’impiego di

ricognitori non poteva non apparire sproporzionato, derivava dalla

esigenza di realizzare un consistente ausilio alla vigilanza terrestre e

marittima, imposta dall’evoluzione del fenomeno contrabbandiero che

cominciava a costituire una pericolosa minaccia prevalentemente da

mare.

Ma in breve tempo, vista l’altissima redditività del traffico, si andò

incrementando anche la tradizionale attività degli spalloni al confine

italo-svizzero . In buona sostanza il fenomeno andava assumendo la

caratteristica di “ contrabbando d’impresa” in cui il traffico fu

monopolizzato da poche ma grosse organizzazioni, largamente dotate

di risorse finanziarie in grado di provvedere all’acquisto, al trasporto

ed all’immissione dei tabacchi nei mercati di consumo.

Mentre da un lato, per questi motivi, andava rafforzandosi la

prospettiva di acquisire mezzi aerei da destinare alla sorveglianza del

confine, faceva la sua comparsa in Italia l’ala rotante cui si

attribuivano caratteristiche di volo innovative.

Alla presentazione di due elicotteri Bell 47 D alla Fiera di Milano

presenziò il Capo Ufficio Servizi del Comando Generale a

dimostrazione della sensibilità che la gerarchia riservava alla

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problematica operativa indotta dal crescente fenomeno

contrabbandiero.

Alle valutazioni conseguenti partecipò, con un articolo sul

”Finanziere”, anche il Ten Col. Tani al quale va il merito di aver

elaborato una prima impostazione razionale d’impiego con la

individuazione dei possibili campi d’azione.

Così nell’agosto de 1950 un elicottero fu posto a disposizione della

Legione di Trento e della Scuola Alpina di Predazzo per lo

svolgimento di una serie di sperimentazioni in ambiente montano, con

lo svolgimento di missioni di collegamento, ricognizione e soccorso.

Si trattava di un elicottero , ancora in fase prototipica, dotato di un

motore Franklin da 200 hp che consentiva una velocità di circa 77

nodi (142,6 km/h) ed una tangenza di 10900 feet ( 3322 mt ) per un

peso max. di 1065 kg.

Vale ricordare per sommi capi il programma di carattere operativo

attuato lungo una ipotetica linea di confine di circa 16 km con quote

variabili tra i 600 mt. e gli oltre 2000 mt. nella Legione di Trento:

- collegamento rapido in montagna;

- trasporto e controllo di pattuglie in appostamento;

- perlustrazione per la repressione del contrabbando lungo la

supposta linea di confine.

La sperimentazione si svolse come programmato e con esito positivo

ma rimasero perplessità nei vertici del Corpo dovute sostanzialmente

ai limiti del mezzo nel volo notturno, nelle condizioni meteo avverse,

nelle sue capacità di carico.

Dico subito che tali perplessità sarebbero state superate molti ma molti

anni dopo con l’evoluzione dello stato dell’arte.

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Tuttavia si aprì una riflessione sull’esigenza di ammodernamento del

dispositivo di vigilanza. Anche in questo caso manifestò il suo

pensiero, dalle pagine della “Rivista tecnico professionale del Corpo”,

il Ten. Col. Tani il quale, traendo spunto dagli esperimenti condotti

due anni prima, sostenne che il sistema di vigilanza doveva evolversi

da sistema “a cordone” in dispositivo elastico dotato di mobilità e di

un efficiente sistema di trasmissioni.

Vi fu quindi un momento di riflessione in cui entrarono anche

valutazioni di ordine economico. Ma la prospettiva di incrementare l’

efficienza del dispositivo di contrasto in un’ottica di crescita dei

risultati, pur in presenza delle limitazioni di impiego sopra accennate,

costituiva l’elemento che teneva vivo il dibattito.

A tale pausa si affiancò anche un rallentamento nel processo

commerciale di introduzione in Italia del mezzo ad ala rotante che

durò dal 1950 al 1952, quando i fratelli Agusta rilevarono la licenza di

costruzione degli elicotteri dalla Bell Aircraft.

Con l’annunciato avvio della produzione in serie su licenza dell’

elicottero “Bell 47D” il Comando Generale, siamo al settembre del

1953, ruppe gli indugi e stipulò con l’Aeronautica Militare una

Convenzione per il supporto necessario all’ acquisto di elicotteri,

all’organizzazione tecnico-logistica ed all’addestramento del

personale.

Nacque così, il 1° febbraio 1954, il Servizio Aereo che cominciò ad

operare nell’estate dell’anno successivo con l’assegnazione dei primi

due elicotteri AB 47 G alla neo istituita Sezione Aerea di Napoli.

Quanto agli obiettivi che si intendeva perseguire va detto che

all’epoca si usarono proposizioni alquanto generiche del tipo:

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“l’utilizzo dell’elicottero in funzione anticontrabbando al confine di

terra rappresenterà un potente apporto al servizio di vigilanza….con

ampie possibilità di scoprire….qualsiasi tentativo di forzare la linea

doganale” ed, ancora, si definiva così la finalità dell’impiego:

“evitare la dispersione delle forze sulla linea di vigilanza nel

tentativo di colpire il contrabbando là dove l’iniziativa dell’

organizzazione contrabbandiera ha deciso di operare”.

“L’elicottero”, concludeva lo studio, “sarà in definitiva l’osservatorio

che guiderà l’attività di servizio dei reparti di frontiera, consentendone

l’azione a massa verso concreti obiettivi”.

In sostanza, se ci si poteva avvalere dell’esperienza dell’ Aeronautica

per risolvere problemi tecnici ed organizzativi del nuovo Servizio,

l’impiego operativo dell’elicottero, specie al confine terrestre, andava

inventato partendo da zero, in base alla progressiva conoscenza delle

possibilità e delle limitazioni del mezzo, nonché alla crescita

professionale del personale specializzato.

Così, dopo gli esperimenti dell’estate ’50, furono nuovamente svolte

missioni di collegamento in montagna nel ’57 a Passo Rolle

utilizzando un AB47G, a dimostrazione dell’interesse, fortemente

sentito, di contrastare il crescente fenomeno contrabbandiero al

confine terrestre. Naturalmente , date le caratteristiche del mezzo,

furono confermate le limitazioni in termini di impiego e capacità di

carico.

L’entrata in linea dell’AB47J, agli inizi del 1958, offrì la soluzione

consentendo di ipotizzare forme di intervento repressivo diretto per la

sua capacità di trasporto di una piccola pattuglia.

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Si trattava infatti di un elicottero multiruolo dotato di un propulsore

Lycoming da 260 Hp capace di raggiungere i 91 nodi di velocità ( 166

km/h ) ed una quota di tangenza massima di 9300 feet ( 2834 mt. )

per un peso complessivo di 1293 kg.

Appariva infatti apprezzabile il contributo che questo mezzo avrebbe

potuto fornire nel dispositivo di vigilanza al confine terrestre fatto di

numerosi, piccoli reparti dislocati in zone impervie.

2. LA PRIMA SEZIONE AEREA DI MONTAGNA

Si arriva così al luglio del 1958 quando, dopo le esperienze operative

nel contrasto al contrabbando via mare delle 5 Sezioni Aeree

marittime già schierate, fu costituita la prima Sezione Aera di

montagna alle dipendenze della Legione di Como.

Il Reparto fu dislocato nell’idroscalo della città ma, dopo pochi mesi,

fu realizzato un eliporto ad Intimiano dove aveva già sede il Centro

Addestramento Cinofili.

L’elisuperficie fu dotata di un piccolo Hangar e di tre piazzole in

cemento. Vi furono assegnati due elicotteri AB 47J, da poco entrati in

linea e, come detto, idonei al trasporto di una piccola pattuglia.

La circoscrizione della Legione di Como comprendeva le province di

Como,Varese e Sondrio con 464 Comuni dispiegati lungo il confine

svizzero che, da Zenna (Va ) al passo dello Stelvio, misura 521,5 km.

In particolare, poiché la parte di confine compresa tra Zenna e

Porlezza è caratterizzata, in vari tratti, da terreno facile e collinoso con

numerosi sentieri che intersecano la linea di confine senza alcun

ostacolo naturale, vi è stata posta a difesa, una rete metallica che in

totale somma ben 72,610 km.

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346

Naturalmente il percorso della rete, con tutte le sue anse anche

improvvise e molto angolate, doveva essere conosciuto alla perfezione

dai piloti della Sezione per scongiurare possibili e problematici

sconfinamenti in territorio elvetico che avrebbero comportato

comprensibili proteste ed attriti con le autorità di quel Paese.

Inizialmente l’elicottero fu impiegato soprattutto come mezzo di

trasporto rapido di personale destinato ad operare in prossimità del

confine.

Fu costituito anche un “nucleo eliportati” con unità cinofile abilitate

all’elisbarco in volo stazionario in effetto suolo per interventi diretti.

Tali interventi divennero sempre più numerosi e frequenti soprattutto

nelle zone più impervie dove venivano spesso avvistati gruppi di

“spalloni”, i tradizionali contrabbandieri comaschi e valtellinesi, che

era possibile attaccare con le pattuglie lanciate dal velivolo.

Si passò poi all’intervento diretto nei confronti delle autovetture

sorprese in fase di carico nelle immediate vicinanze della linea di

confine o intercettate cariche sulle rotabili del varesotto o del

comasco.

Fu anche curata la cooperazione con i reparti terrestri e con le unità

navali adibite alla sorveglianza dei laghi, nell’avvistamento,

inseguimento e fermo dei mezzi contrabbandieri.

Va qui ricordato che, proprio nel corso di un inseguimento di

un’autovettura sospetta lungo il lago di Como, il 21 /10/1964

l’elicottero AB 47 J3 Volpe 30 si inabissò nelle acque del lago e vi

perse la vita il pilota Brig. Alfonso Pozzi, primo caduto del servizio

aereo del Corpo. Si salvarono fortunatamente lo specialista e la

vedetta.

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347

3. COME SI SVILUPPA IL SERVIZIO AEREO E LA VIGILANZA AL CONFINE

TERRESTRE

L’estensione della vigilanza aerea al confine terrestre e l’incremento

dei tipi di velivoli in linea evidenziarono alcuni problemi alla

soluzione dei quali era subordinato l’ulteriore sviluppo del Servizio

Il primo problema era costituito dalla mancanza di un inquadramento

normativo che regolasse la vita della nuova specialità. Intanto furono

gradualmente estesi al personale del Servizio Aereo i provvedimenti

di contenuto economico del personale aeronavigante e specialista delle

altre Forze Armate.

A seguire si pensò di emanare una “Istruzione sul Servizio Aereo”

che definiva le varie forme d’impiego dei mezzi aerei e stabiliva le

relative procedure tattiche.

La positiva esperienza maturata nei circa sette anni di attività di volo

in montagna portò frattanto, nel giugno del 1967, alla istituzione di

una seconda Sezione Aerea “alpina” con sede a Bolzano.

La decisione fu assunta nell’ottica di dare supporto ai reparti

impegnati nella vigilanza del confine italo-austriaco, allora

particolarmente sensibile per la recrudescenza dell’attività terroristica.

Era entrato anche in linea l’AB47G3B1 “superalpino” il cui primo

esemplare fu assegnato nell’ottobre ’65 alla Sezione di Intimiano e

due anni dopo ne fu dotata anche la neo istituita Sezione di Bolzano.

Si trattava di un elicottero dalle caratteristiche di volo esuberanti

rispetto agli AB47G2 ed AB47J, soprattutto in termini di potenza,

grazie ad un turbocompressore che gli consentiva di ristabilire le

condizioni di potenza in quota.

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348

Poteva raggiungere i 103 nodi di velocità (190 km/h) ed una tangenza

massima di 18800 feet ( 5730 mt.) per un peso complessivo di 1340

kg.

L’organizzazione aerea continuò a svilupparsi sui binari imposti dalla

scelta strategica di impiegare elicotteri leggeri ma con un progressivo

affrancamento dall’Aeronautica Militare per quanto riguarda la

condotta ed il mantenimento in efficienza dei mezzi, attività alle quali

era ormai destinato personale delle Fiamme Gialle.

E la Sezione Aerea di Intimiano fu la prima ad essere comandata da

un Ufficiale del Corpo dal 16 giugno del 1959. Le altre 5 Sezioni lo

furono entro la fine dello stesso anno.

Furono così fissati i compiti dei militari preposti ai singoli incarichi;

furono definite le caratteristiche dell’esplorazione aerea ( ricerca,

pattugliamento, mantenimento del contatto ) e della ricognizione con

schemi standardizzati e modalità esecutive; vennero impartite

disposizioni per l’organizzazione delle telecomunicazioni e per

l’assistenza logistica degli elicotteri.

Per migliorare l’assetto logistico della Sezione di Intimiano, nel 1972

il reparto fu trasferito a Calcinate, sul lago di Varese, dove era già

operativo un aeroporto particolarmente orientato all’esercizio del volo

a vela.

Parallelamente si andava potenziando la flotta aerea che già disponeva

della intera gamma degli elicotteri leggeri prodotti dall’Agusta, e che,

nel maggio del 1973, si arricchì con quattro elicotteri a turbina NH

500M, dalle caratteristiche tecnico-operative decisamente superiori

rispetto ai velivoli convenzionali quali: autonomia equivalente ma

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349

con velocità praticamente doppia, maneggevolezza, prestazioni in

quota e capacità di carico nettamente migliori.

Andava adeguandosi la tecnologia ma, trattandosi comunque di

elicotteri leggeri, non mutarono sostanzialmente i criteri e le

procedure d’impiego. Si confermò invece, nonostante le limitazioni

già note, l’efficacia dell’elicottero nel contesto operativo.

Nel marzo 1976 entrò in linea l’ NH500MC con turbina C/20 dalle

prestazioni sensibilmente superiori rispetto a quelle della precedente

serie NH500M.

Dopo circa vent’anni dalla sua istituzione il Servizio Aereo, autonomo

e ben strutturato, poteva contare su 14 reparti di volo . Erano entrati in

linea anche gli NH500MD mentre gli elicotteri della serie AB 47

erano stati progressivamente radiati.

Nel contesto della evoluzione dei mezzi va anche ricordato che, per

superare le limitazioni di autonomia, di carico e la carenza di

dotazioni elettroniche, all’inizio degli anni ’80 si avviò l’acquisizione

dell’ Agusta A109 A II, bimotore in versione realizzata appositamente

per la Guardia di Finanza, con capacità di volo strumentale e notturno

e con più ampie capacità di carico.

Tornando all’adeguamento del dispositivo di contrasto, con

l’istituzione nel 1978 della Sezione Aerea di Cuneo-Levaldigi fu

estesa la vigilanza anche al confine nord-occidentale, completando

così il presidio di tutto l’arco alpino.

Tuttavia l’analisi dell’attività operativa fece all’epoca ritenere la

minaccia collocata prevalentemente nel bacino del Mediterraneo

mentre era da considerarsi praticamente scomparso il traffico al

confine italo-svizzero, per le profonde modificazioni indotte dallo

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sviluppo economico nel tessuto sociale delle zone prossime alla

frontiera.

Così agli inizi degli anni ’80 apparve evidente la difficoltà di

sostenere un dispositivo di 14 Sezioni Aeree, a fronte di una

situazione di cronica insufficienza di disponibilità di bilancio.

Tenuto conto della evidente prevalenza delle necessità della vigilanza

costiera, pertanto, nell’estate del 1982 fu decisa la soppressione delle

Sezioni di frontiera di Cuneo, Varese e Bolzano e l’assegnazione dei

relativi velivoli ai reparti operanti sul mare.

La scelta, all’epoca obbligata, fece venir meno un importante

elemento di supporto ai Reparti alpestri e rischiò la dispersione di

esperienze e capacità tecniche relative al volo in montagna, acquisite

in più di venti anni di volo.

A questi inconvenienti si pose rimedio con la ricostituzione della

Sezione Aerea di Varese disposta nell’ agosto del 1986 e della

Sezione Aerea di Bolzano nella primavera del 1989.

4. CENNI SUI RISULTATI OPERATIVI

Alla elencazione dei risultati conseguiti va premesso che , dato il

tempo trascorso, non è stato possibile ricostruirne la totalità ma solo

alcune serie che, tuttavia, forniscono una significativa indicazione

dell’apporto fornito, anche in termini di deterrenza, alla attività di

contrasto.

Non tragga, però, in inganno l’entità dei risultati che potrebbero

apparire modesti, in termini di costi/benefici, poiché è di tutta

evidenza che il Reparto di volo è deputato alla vigilanza, alla

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351

segnalazione ed alla cooperazione con i Comandi di terra cui è

demandata la conclusione del servizio.

Perciò va detto che la gran parte dei risultati è stata contabilizzata dai

Reparti territoriali con i quali la Sezione Aerea aveva cooperato,

mentre quelli realizzati autonomamente dall’elicottero sono “ulteriori”

e dovuti solo alla particolare situazione operativa del momento che ha

indotto nell’equipaggio una favorevole valutazione per un intervento

diretto.

Altro importante elemento da avere in evidenza è costituito dalle

limitazioni operative del mezzo ( meteorologiche e di luce) di cui si è

fatto cenno in precedenza . In sostanza l’attività di volo poteva essere

svolta dall’alba al tramonto ed in condizioni meteo accettabili.

E’ da tenere infine in considerazione il contesto ambientale,

particolarmente impegnativo, in cui i piloti si trovavano ad operare,

nonché il progressivo affinamento di procedure di ingaggio maturate

“sul campo” sulla base delle esperienze di ciascuno, dello scambio di

informazioni e di un sano spirito di emulazione.

Desidero a questo punto, spendere una parola sul profilo del

personale, sulla passione ed abnegazione, sull’affiatamento degli

equipaggi. Lo dico con assoluta certezza per esserne stato testimone

diretto: si tratta di eccellenti piloti, specialisti e vedette di elicottero

che, non senza rischi, ma con assoluta professionalità hanno scritto

una pagina memorabile nella storia del Servizio Aereo.

Ma veniamo ora a qualche flash sulla attività operativa

anticontrabbando realizzata dal Reparto di volo .

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Nei primi anni di attività, dal ’60 al ’63 non si rinvengono che pochi

risultati realizzati nella zona di Sondrio e Tirano con il sequestro di

circa 700 kg di caffè

Nel ’64 si è trovata traccia di un sequestro di 350 kg. di caffè in

Valtellina e del sequestro di un’ autovettura e di 200 kg. di tle. in Val

Mulini all’interno di una cascina.

Degli anni dal ’65 al ‘67 non sono stati rinvenuti dati ma va anche

osservato, dai risultati dell’epoca di alcuni Reparti di frontiera del

comasco, che sono stati realizzati sequestri di autovetture, con tle a

bordo, prevalentemente nel corso della notte.

Non è azzardato dedurre, quindi, che l’impresa contrabbandiera aveva

reagito all’entrata in linea degli elicotteri eliminando o riducendo in

modo significativo il traffico diurno secondo una propria valutazione

di costi/benefici della specifica attività illecita.

Interessanti i dati degli anni ’68, ’69 e ’70, periodo nel quale è

sicuramente cambiato il volume del particolare traffico, per una

evidente maggior convenienza economica del contrabbando.

Infatti:

- nel 1968 sono stati sequestrati kg. 1350 di tle. 14 autovetture ed

arrestati 4 responsabili;

- nel 1969 sono stati sequestrati kg 850 di tle. 10 autovetture ed

arrestati 3 responsabili;

- nel 1970 sono stati sequestrati kg. 2500 di tle. 300 kg di caffè e 15

autovetture ed arrestati 2 responsabili.

Negli anni ’71, ’72 e ’73 comincia a cambiare lo scenario in quanto,

dai dati rinvenuti, si desume un minor interesse dell’impresa

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contrabbandiera per il tabacco ed una preferenza per il traffico illecito

di caffè.

Sono stati infatti sequestrati nel periodo circa kg. 1700 di tle., 6500

kg. di caffè, 5 autovetture, 4 furgoni, 2 camion ed arrestati 5

responsabili.

A dimostrazione della modifica dei traffici illeciti va segnalato ad es.

il sequestro di 1200 musicassette, 1000 lt. di grappa e 2000 kg. di

zucchero ed un certo numero di alambicchi.

Per il periodo dal ’74 al’76 si rinvengono solo pochi risultati con

sequestri di caffè e tle. ma in ogni caso si può affermare che, a fronte

del progressivo mutare delle condizioni socio-economiche nell’area

del confine italo elvetico, va scemando fino a scomparire, quella

modalità di illecito che possiamo considerare oggi come fenomeno

che ha caratterizzato un’epoca ormai lontana.

Ma, a conclusione di questo breve excursus storico, avendo parlato

dell’ambiente operativo e ricordato alcuni sequestri operati, potrebbe

porsi un legittimo quesito: “ ma come si può con un elicottero

operare il sequestro di un automezzo e talvolta procedere anche

all’arresto di un responsabile?

A questa ipotetica domanda si può rispondere citando un breve

articolo di un giornale dell’epoca, “La Notte” del 1972, che cosi

riporta un intervento anticontrabbando dal titolo “AVEVA PENSATO

A TUTTO MA NON ALL’ELICOTTERO”:

“ ….all’inizio non si era ( il conducente di una 125 con oltre 100 kg di

tle.) nemmeno accorto di ciò che gli stava per capitare tra capo e collo

e, quando se ne è reso conto, era ormai troppo tardi perché l’elicottero

stava già quasi posandosi sul cofano motore della macchina.

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Anche se preparato a tutte le eventualità a quella non ci aveva proprio

pensato, sicchè non ha trovato altra via di uscita che piantare

l’automobile e darsi alla fuga a piedi attraverso i campi, senza pensare

che dall’alto i finanzieri potevano tenerlo costantemente d’occhio.

Anzi, dopo qualche centinaio di metri, gli sono piombati addosso ed

anche la colluttazione che egli ha impegnato con uno di essi, non è

valsa a salvarlo. Immobilizzato è stato tratto in arresto e, dopo le

formalità di legge, trasferito alle carceri. Il carico e l’auto sono stati

sequestrati.”

Ho concluso questa mia esposizione che, partendo dalle origini della

specifica attività, si è soffermata sulla Sezione Aerea di Intimiano e

sull’evoluzione del dispositivo di contrasto per concludersi con cenni

sui risultati operativi. Mi auguro di essere riuscito a presentare un

quadro sufficientemente esaustivo sugli aspetti che hanno riguardato

l’impiego degli elicotteri nel servizio anticontrabbando al confine

terrestre.

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Prof. Virgilio Ilari

Conclusioni

La storia dei Corpi di polizia, anche di quelli a ordinamento militare, è

più complessa e per molti aspetti difficile della storia delle Forze

Armate. Quest’ultima, infatti, è già abbastanza strutturata nel quadro

della storiografia classica e dei generi storiografici specialistici che si

sono sviluppati da quasi due secoli, ossia la storia della guerra, della

sicurezza internazionale e del pensiero strategico e geopolitico. La

storia delle forze armate e delle istituzioni militari è da sempre uno dei

capitoli o dei settori non solo della storia militare tecnico-

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professionale, ma anche della storia politica, sociale, giuridica,

economica nazionale, regionale e comparata. Nel caso delle forze di

polizia, invece, la maggiore difficoltà è data dal fatto che, a causa

delle loro funzioni estese a tutti i settori della vita pubblica e della loro

operatività quotidiana, la loro storia non può essere neppure ricostruita

senza raccordare tra loro una molteplicità di ricerche storiografiche.

Questo convegno è dedicato alla storia del contrabbando alla frontiera

italo-svizzera dall’unità d’Italia agli anni Settanta del secolo scorso;

ed è, di conseguenza, dedicato anche alla storia della 9° Legione della

Guardia di Finanza, la Legione di Como. Si intrecciano qui diverse

fasi del lavoro storico. Anzitutto il vissuto personale e collettivo, la

narrazione del quotidiane che emerge e si snoda attraverso le cronache

(gazzette e diari), la memorialistica e gli atti amministrativi e

giudiziari. Poi la laboriosa costruzione delle serialità statistiche e

l’individuazione degli snodi significativi, che non di rado differiscono

a seconda della disciplina storica nella quale collochiamo la ricerca:

diversa infatti è la prospettiva della storia giuridica e istituzionale da

quelle della storia politica, economica e sociale. Infine la fase

dell’intreccio fra queste varie prospettive, onde ricavare

interpretazioni e giudizi.

Ricordiamo qualche importante dato quantitativo citato in questo

convegno. Trentamila giovani, in maggioranza meridionali,

avvicendatisi in un secolo nella 9a Legione di Como, buona parte dei

quali stabilitisi poi qui con le loro famiglie, con un forte impatto sulla

cultura e la mentalità della provincia di Como. Tremila vittime del

contrabbando, tra contrabbandieri, militi e persone coinvolte

fortuitamente in incidenti e conflitti a fuoco. Ventisette elicotteri per il

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controllo doganale dei valichi alpini, con un rocambolesco sequestro

di 5.000 accendini … Un’attività che fino agli anni Sessanta

coinvolgeva una parte significativa dei ceti più poveri e che non era

perciò soggetta a riprovazione morale, tanto che i parroci e i sindaci si

preoccupavano più degli eccessi repressivi che del contrabbando e gli

stessi tribunali erano generalmente comprensivi. Dall’altra parte del

confine, poi, l’esportazione clandestina di generi di largo consumo in

Italia era perfino incoraggiata, come dimostrano gli incredibili

regolamenti amministrativi ticinesi. Del resto da questa attività

l’erario svizzero ha tratto un profitto pari a un quinto dell’intera spesa

pensionistica federale nei cent’anni considerati. Il grosso di questo

profitto era costituito dal contrabbando di sigarette estere, importate

legalmente in Svizzera con regolare pagamento del dazio, e riesportate

illegalmente in Italia lucrando il differenziale del dazio, che

rappresentava anche una forma, sia pure illecita, di redistribuzione del

reddito a favore delle famiglie indigenti.

Questi dati sembrano porci una domanda: in termini non solo

economici, ma pure politici e sociali, la spesa è valsa l’impresa? Non

si sarebbe potuto azzerare la convenienza economica almeno del

contrabbando di sigarette azzerando il differenziale (a quanto pare

modesto, circa del 5 per cento) tra il dazio d’importazione italiano e

quello svizzero? A questa domanda, al tempo stesso ingenua e

provocatoria, non saremmo ancora in grado di rispondere, neanche se

avessimo tentato un calcolo econometrico dei costi e dei ricavi diretti

e indiretti di cent’anni di commercio legale e illegale di generi di largo

consumo alla frontiera italo-svizzera e delle relative attività di

controllo e di repressione dei reati connessi.

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Dovremmo infatti inserire quel dato nel contesto della politica fiscale

dell’epoca: e, come ci rammenta la Carmen di Bizet, dovremmo

subito notare che in tutta Europa, per circa un secolo, il monopolio

statale dei tabacchi lavorati fu al primo o al secondo posto fra le

principali entrate accertate (imposte, dogane, monopoli e tasse sugli

affari), oltre che uno dei fronti caldi delle guerre doganali e della

stessa competizione coloniale. Tra infiniti esempi, ricordiamo il

rapporto riservato del ministero degli esteri italiano, del 20 settembre

1908, sulle conseguenze sociali e politiche provocate nel Montenegro

dall’introduzione del monopolio sui tabacchi, avvenuta nel 1903 a

beneficio di uno speculatore italiano, con la rovina dei coltivatori,

rivolte sociali, odio anti-italiano e linciaggi di guardie del monopolio

per rappresaglia degli eccidi da loro commessi1. Nel primo decennio

dell’unità lo stato italiano ricavava dal monopolio dei tabacchi lavorati

77 milioni di lire, pari al 15,5 % delle principali entrate accertate;

percentuale diminuita cent’anni dopo (1961-1970) appena al 14,8

(pari a circa 590 miliardi di lire su quasi 4.000)2. Ma ancora nel 2001,

secondo un rapporto del Nomisma, il ricavo dell’erario italiano

dall’accisa e dall’lVA sui tabacchi lavorati era di 9,5 miliardi di euro,

pari al 75% del prezzo finale di vendita al consumo, al 26% dei ricavi

totali delle accise e al 3% delle entrate fiscali complessive.

Quanto al contrabbando di sigarette, il mestiere di Filomena

Marturano sembra rifiorire in luoghi e forme nuove. A Milano

vengono sequestrati dai “ghisa” 190 kg di sigarette al mese, e nel

primo trimestre del 2013 la guardia di finanza ne ha sequestrati 600

1 Pubblicato in Gnosis, N. 3/2005, online nel sito Aisi. 2 ISTAT, Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, Tav. 122, pp.

164-165.

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solo all’aeroporto di Orio al Serio. Meritata nemesi storica, le sigarette

vengono adesso proprio dal Montenegro e arrivano a Milano in

camion da Trieste o in aereo dai porti di Ancona e di Bari: sono

soprattutto Marlboro e Chesterfield, smerciate al 60 per cento del

prezzo italiano nei punti di ritrovo degli immigrati dell’Europa

dell’Est e acquistate da pensionati e altri indigenti italiani, che le

spacciano a loro volta all’80 per cento3.

Nel luglio 2012 è stato scoperto un tunnel di 700 metri usato per

contrabbandare sigarette dall’Ucraina nei paesi dell’area Schengen. In

Irlanda, in un colpo solo, sono state sequestrate sigarette illegali per

4,3 milioni di euro, giunte via mare dalla Malesia. Ogni mese negli

aeroporti inglesi vengono sequestrati 50 milioni di sigarette illegali

provenienti dalla Spagna. Si calcola che in media un terzo del

consumo mondiale di sigarette sia illegale, con punte dell’89 per cento

nel Brunei e del 45 per cento in Malesia. Secondo l’Euromonitor il

danno per le entrate fiscali di tutti i governi derivante dal

contrabbando di sigarette sarebbe di 50 miliardi di dollari, e quello per

i soli paesi europei di 12 miliardi di euro. E in un numero crescente di

casi è stato provato che i proventi del contrabbando venivano

impiegati per finanziare attività terroristiche4.

Ma il principale incentivo al contrabbando di sigarette è l’aumento

esorbitante delle tasse, per giunta in misura diversa da paese a paese.

Negli Stati Uniti il prezzo è stabilito dai singoli stati dell’Unione, col

risultato di aver scatenato la guerra doganale interna e moltiplicato i

3 La Repubblica Milano, 3 ottobre 2013. 4 Sari Horwitz, “Cigarette Smuggling Linked to Terrorism”, in Washington Post,

June 8th, 2004.

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profitti del bootlegging5, finanziando in tal modo anche tutti gli altri

settori dell’economia illegale6.

Sorprendentemente, il contrabbando di generi di largo consumo

sembra essere un tema alquanto trascurato da parte della teoria

economica. Bisogna risalire al 1971 per trovare un saggio con questo

titolo, nel quale si sostiene che il contrabbando, pur “affamando la

bestia”, cioè spostando risorse dal settore pubblico al settore privato,

può alla lunga non avere effetti benefici sul benessere della

popolazione7. Mohammed Emdadul Haque Chowdhury, un

economista del Bangladesh, ha analizzato il contrabbando di sigarette

nel suo paese come un caso di duopolio antagonista tra produttore e

contrabbandiere, calcolando che ridurre le tasse sulle sigarette, almeno

fino ad un certo livello, in realtà aumenta il gettito, perché favorisce la

produzione per il mercato interno ed estero.

In realtà la teoria economica di un fenomeno presuppone che ne sia

conosciuta la storia, non solo economica, ma anche sociale e politica

e, nel caso del contrabbando, pure la storia militare, considerata

l’estrema importanza che ha avuto in tutte le guerre dall’antichità al

mondo moderno, anche prima che la guerra economica soppiantasse

del tutto la guerra militare, com’è avvenuto a partire dall’ultima fase

della guerra fredda8. Basti pensare al famoso blocco continentale

5 Come negli Stati Uniti viene chiamato il contrabbando di sigarette. 6 Jerry Gilbert Thursby, Interstate cigarette bootlegging: extent, revenue losses,

and effects of federal intervention, National Bureau of Economic Research, 1994.

7 Jagdish N. Bhagwati and Bent Hansen, A Theoretical Analysis of smuggling, M. I. T., 1971.

8 Peter Andreas, “Smuggling Wars: Law Enforcement and Law Evasion in a Changing World”, Transnational Organized Crime, Vol. 4, No. 2, Summer 1998, published by Frank Cass, London, pp. 75-90.

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361

proclamato da Napoleone per affamare l’Inghilterra, che, se da un lato

dette origine ai moderni corpi di polizia militare fiscale inclusa la G.

d. F.9, sotto il profilo strategico fu un clamoroso autogol, perché

provocò le due catastrofiche campagne di Spagna e di Russia, la

rovina del commercio continentale e la perdita del consenso da parte

della plutocrazia, ossia della classe sociale su cui poggiava il Primo

Impero. Provocò inoltre gravi conflitti doganali all’interno dello stesso

impero napoleonico, che poetarono all’annessione francese del Regno

d’Olanda e alla minaccia di annessione del Regno d’Italia, evitata dal

viceré Eugenio solo mediante l’occupazione militare italiana dei

Baliaggi svizzeri del Ticino10. Padroni del mare dopo Trafalgar

(1805), gli inglesi avevano infatti trasformato in empori le piccole

isole prospicenti le coste continentali (Guernsey, Jersey, Man, Ponza,

Capri, Lissa), e da lì foravano come burro i cordoni costieri guarniti da

40.000 preposti di finanza e cannonieri guardacoste, inondando il

continente di merci a prezzo di dumping11. E al tempo stesso i corsari

attaccavano il residuo commercio continentale, miseramente ridotto al

cabotaggio costiero in convogli di torre in torre.

Quello fu il canto del cigno della guerra di corsa, che non ebbe poi più

modo di manifestarsi. La differenza tra corsari (privateers) e pirati è

che i primi agiscono su licenza di un legittimo belligerante, e dunque

9 La Legione Truppe Leggere, i Fucilieri da montagna, il Battaglione dei corsi

sono solo precursori ideali che solo con molta buona volontà possono essere considerati antenati dell’odierna GdF, mentre le guardie di finanza degli antichi stati italiani 1814-1870 derivano direttamente dai preposti doganali istituiti durante la dominazione napoleonica della Penisola.

10 Kurt Baumgartner, Il Cantone Ticino occupato dalle Truppe napoleoniche del Regno d’Italia (1810-1813), Lugano, Armando Dadò editore, 2013. .

11 G. Daly, “English Smugglers, the Channel, and the Napoleonic Wars, 1800-1814”, Journal of British Studies, 46 (2007), (1), pp. 30-46.

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la corsa presuppone uno stato formale di guerra. Il contrabbando,

invece, è, o almeno può essere, una forma di guerra economica

effettiva e devastante condotta formalmente in tempo di pace, come

fu, a tutti gli effetti, la secolare guerra doganale tra Svizzera e Italia

(perduta dall’Italia pere non averla saputa disinnescare con adeguate

misure di politica fiscale). Infatti vige qui la stessa identica differenza

che corre tra “terroristi” e “freedom fighters”: dipende dal punto di

vista. “One nation’s smuggler was another nation’s legitimate

merchant”12.

Un caso interessante circa la diversità dei punti di vista sul commercio

internazionale di sigarette, come pure circa le nuove possibilità di

elusione dei diritti erariali offerte dal web, è quello della causa Philip

Morris-Yesmoke. La Yesmoke era in origine un semplice negozio di

Balerna, in Svizzera, che dal gennaio 2000 vendeva online stecche da

200 sigarette di marche popolari come Marlboro, Camel e Winston

prodotte nell'Unione Europea, in Svizzera e nelle Filippine e destinate

al mercato estero. Lo stesso anno l’Imported Cigarette Compliance

Act federale vietò l’importazione negli Stati Uniti di prodotti con

marchio registrato negli USA, senza l'autorizzazione del proprietario

del marchio. Sulla base di questa legge, nel 2001 la Philip Morris

intentò causa contro la Yesmoke, accusandola di vendere le Marlboro

soprattutto sul mercato americano senza esserne stata autorizzata.

L’effetto immediato dell’azione legale fu di fare pubblicità alla

Yesmoke e far aumentare le vendite annuali da 6 a 7,9 milioni di

12 Kenneth J. Banks, “Official Duplicity. The Illicit Slave Trade of Martinique,

1713-1763”, in Peter A. Coclanis (Ed.), The Atlantic Economy During the Seventeenth and Eighteenth Centuries, Charleston, University of South Carolina, 2005, p. 230.

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stecche, ma nel dicembre 2003 la Philip Morris vinse la causa e chiese

un risarcimento di 548 milioni di dollari per concorrenza sleale e

violazione del copyright. Malgrado ciò il servizio postale americano

continuava a recapitare le stecche Yesmoke ai clienti americani in

base alla legge federale che sancisce il diritto del cittadino di

importare sigarette dall’estero mediante dichiarazione doganale e

pagamento del dazio (che però di fatto il servizio doganale continuava

a non richiedere, per cui gli acquisti restavano duty free). Il 20 agosto

2004 la Philip Morris ottenne il possesso cautelare del dominio

Yesmoke.com, ma la vendita proseguì sul dominio Yesmoke.ch. Il 16

novembre 2004 un Boeing 747 della DHL con 150.000 stecche di

Marlboro Yesmoke fu circondato all’aeroporto J. F. Kennedy di New

York da 200 agenti di 9 diverse agenzie investigative federali e il

carico fu confiscato. Il 13 marzo 2005 il giudice ridusse il

risarcimento dovuto dalla Yesmoke a 173 milioni. Nell’estate

l’azienda si trasformò in S. p. A: e, approfittando della fine del

monopolio italiano dei tabacchi, si spostò a Torino per produrre una

propria sigaretta, la Yesmoke, dal classico American blend ottenuto

mediante una mistura di sei diversi tabacchi. La fabbrica, situata a

Settimo Torinese, fu inaugurata il 7 agosto 2007, con una capacità

produttiva annuale di 50 milioni di stecche (10 miliardi di sigarette),

commercializzate con lo slogan “chi fuma Marlboro è un c.”(!).

Oggi si comincia già ad accumulare un discreto patrimonio di studi,

soprattutto in inglese, sulla storia del contrabbando. In merito è già

disponibile una delle Oxford Online Bibliographies curata da Mark G.

Hanna, peraltro ben lungi dall’essere esaustiva perché limitata alla

sola area atlantica. Il più noto tra i lavori pionieristici di storia del

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contrabbando è King's Cutters and Smugglers 1700-1855 di E. Keble

Chatterton, pubblicato a Londra nel 1912 e, a quanto mi consta, il

primo tentativo di storia globale del fenomeno risale al 197313. In

seguito si sono moltiplicati gli studi su epoche e contesti particolari14,

e Alan L. Karras ha prodotto nel 2010 un nuovo tentativo di storia

generale del contrabbando15.

Il libro che ha però suscitato maggior scalpore è Smuggler Nation:

How Illicit Trade Made America, di Peter Andreas16, professore di

scienze politiche alla prestigiosa Brown University. la settima più

antica università degli Stati Uniti, fondata nel 1764 a Providence

da James Manning, che porta il nome del cofondatore e benefattore

John Brown (1736-1803), il quale, a differenza del suo più celebre

omonimo, doveva la sua fortuna alla tratta dei negri. Pur

mantenendo nello statuto il divieto puritano di studiare legge ed

economia (sterco del diavolo), la Braunensis è stata la prima

13 David Phillipson, Smuggling: a history, 1700-1970, David & Charles, 1973. 14 Citiamo, a titolo di puro esempio: Robles, Gregorio de. América a fines del siglo

XVII: Noticia de los lugares de contrabando. Valladolid, Spain: Casa-Museo de Colón, 1980. Mary Waugh, Smuggling in Kent and Sussex 1700-1840, Countryside Books, 1985, updated 2003; Lance Grahn, The Political Economy of Smuggling: Regional Informal Economies in Early Bourbon New Granada, Westview Press, 1997; B.- E. E. Alford, W. D. and H. O. Wills and the Development of the UK Tobacco Industry: 1786-1965, Taylor & Francis, 2005; Joshua M. Smith, Borderland Smuggling: Patriots, Loyalists and Illicit Trade in the Northeast, 1783-1820, Gainesville, University Press of Florida, 2006; Klooster, Wim. “Inter-imperial Smuggling in the Americas, 1600–1800.” In Soundings in Atlantic History: Latent Structures and Intellectual Currents, 1500–1830. Edited by Bernard Bailyn and Patricia L. Denault, 141–180. Cambridge, MA: Harvard University Press, 2009; Evan T. Jones, Inside the Illicit Economy. Reconstructing the smuggler’s trade of Sixteenth Century Bristol, Ashgate Publications Farnham, 2012.

15 Alan L. Karras, Smuggling: Contraband and Corruption in World History, Plymouth, UK, Rowman & Littlefield, 2010.

16 Peter Andreas, Smuggler Nation: How Illicit Trade Made America, Watson Institute, Brown University, Oxford U. P., 2013.

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università non confessionale e una delle prime ad ammettere le

ragazze. Dal 2001 è presieduta da una docente afroamericana e nel

2007 una commissione ufficiale ha contestato che il denaro del

benefattore eponimo provenisse dal commercio di schiavi.

Andreas sostiene che i politici i quali invocano maggiori controlli

delle frontiere americane soffrono di amnesia storica. I confini

americani non sono mai stati sicuri, mentre contrabbando e frontiere

porose hanno giocato un ruolo chiave nella nascita degli Stati Uniti e

nel loro sviluppo economico. Lungi dall'essere un nuovo pericolo per

il paese, il substrato illecito della globalizzazione è in realtà una

tradizione americana, dall’ “epoca d'oro del commercio illegale" alla

rivoluzione industriale sino all’attuale "guerra alla droga". Nel corso

del tempo, il contrabbando ha spaziato dalle munizioni alla tratta dei

neri e delle bianche, dai gioielli alle droghe, e tutti hanno avuto un

enorme impatto sull'economia e sulla cultura americana. Andreas

discute anche i climi socio-politici che hanno dato origine a queste

tempeste di commercio illecito. Lungi dal fare l’apologia del

commercio illegale, Andreas sottolinea in quali aspetti e in quali

misure il flusso di merci illecite abbia nel tempo contribuito a dare

forma alla nazione, sia riguardo alla generazione e redistribuzione

della ricchezza, sia riguardo alla reazione sociale e alla

regolamentazione del commercio.

Comincio con il ricordare che la componente aerea della Guardia di

Finanza annovera pionieri del volo prima che l’Aeronautica Militare

fosse costituita in Forza Armata.

Infatti il Cap. Luca Bongiovanni, finanziere e pioniere aviatore, nel

1908 era al comando della Tenenza di Bergamo e vi fondò,con pochi

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altri appassionati, un Aero Club che prese parte ad una delle prime

manifestazioni aviatorie in Italia.

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CONVEGNO “IL CONTRABBANDO AL CONFINE ALPESTRE

DEI SECOLI XIX E XX”

RASSEGNA STAMPA

Video TV/internet news

http://www.adnkronos.com/IGN/Mediacenter/Video_News/Addio-spalloni-il-

contrabbando-diventa-globale_32240164522.html

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Economia/Contrabbando-Gdf-dalle-

sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-aumento_32238984335.html

http://www.metronews.it/master.php?pagina=notizie_rss.php&id=97068

http://it.finance.yahoo.com/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-valuta-

200600371.html?g_q=Contrabbando%3A%20Gdf%2C%20dalle%20sigarette%20al

la%20valuta%2C%20fenomeno%20in%20aumento

http://it.finance.yahoo.com/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-

fenomeno-aumento-180600378.html

http://www.sassarinotizie.com/24ore-articolo-193303-

contrabbando_gdf_dalle_sigarette_alla_valuta_fenomeno_in_aumento.aspx

http://www.liberoquotidiano.it/news/1251166/Contrabbando-Gdf-dalle-sigarette-

alla-valuta-fenomeno-in-aumento.html

http://www.sardiniapost.it/italia-e-dal-mondo/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-

valuta-fenomeno-in-

aumento/?g_q=Contrabbando%3A%20Gdf%2C%20dalle%20sigarette%20alla%20v

aluta%2C%20fenomeno%20in%20aumento

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http://www.arezzoweb.it/notizie/speciale.asp?idnotizia=90460&g_q=Contrabbando

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n%20aumento

http://www.news100.it/news/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-

fenomeno-in-aumento-122012

http://www.lavoce-nuova.it/content/adnkronos?id=ADN20130528200605

http://www.lasua.com/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-

aumento/

http://attual.it/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-

aumento

http://attual.it/notizie/contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-

aumento-2

http://www.intopic.it/notizia/4958000/

http://www.freenewspos.com/notizie/archivio/d/777695/oggi/contrabbando-gdf-

dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-aumento

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contrabbando_aumento_fenomeno_sigarette.html

http://www.padania.org/padania/tasse/359063-contrabbando-gdf-dalle-sigarette-alla-

valuta-fenomeno-in-aumento.html

http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2013/5/28/Contrabbando-

Gdf-dalle-sigarette-alla-valuta-fenomeno-in-aumento/397722/

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valuta-fenomeno-in-aumento/

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valuta-fenomeno-in-aumento.action

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alla-valuta-fenomeno-in-aumento.html?pag=120

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valuta-fenomeno-in-aumento,3,15071

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in-aumento__6262ffefa1ba1c4dedd8a66bae421a26

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28/f59b4fcee57c7f805e4254cc535b0ab8/Contrabbando_Gdf_dalle_sigarette_alla_v

aluta_fenomeno_in_aumento.html

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