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72 Il contesto intellettuale capitolo iv SCIENZA E FILOSOFIA N ella cultura islamica medievale manca una netta di- stinzione tanto tra filosofia e scienza quanto tra le ‘scienze’ e le ‘arti’: i filosofi, che con un termine derivato dal greco erano detti falàsifa, consideravano la filosofia una scien- za, se non la scienza per eccellenza. Questa concezione deri- vava dagli Analitici secondi di Aristotele, un testo che, noto in arabo con il titolo di Kitàb al-Burhàn (Libro della dimo- strazione), esercitò una profonda influenza nel mondo isla- mico. La sovrapposizione tra filosofia e scienza ha risvolti an- che esteriori: si può dire che non esista filosofo arabo-islami- co che non sia al tempo stesso uomo di scienza. I nomi che la tradizione filosofica ricorda sono gli stessi delle tradizioni delle varie scienze, della matematica, dell’astronomia e, so- prattutto, della medicina. Le diverse classificazioni delle scienze che si devono all’ela- borazione filosofica inseriscono in un preciso ordinamento gerarchico gli ambiti d’indagine non solo delle discipline filo- sofiche ma anche delle scienze naturali, della matematica, del- la fisica e di alcune delle più importanti ‘arti’ del tempo, giun- gendo talora a includere perfino le ‘scienze religiose’ islami- che (Jolivet 1996). Il principio ispiratore di tale concezione è enunciato chiaramente da al-Fàràbê nel suo Kitàb al-Burhàn – una sorta di commento al testo aristotelico – in cui, in ac- cordo con la concezione greca, egli asserisce che «tutte le scien- ze particolari sono soggette alla filosofia prima» (p. 65), vale a dire alla metafisica. L’interesse per le scienze e il legame tra scienza e filosofia facevano già parte della concezione greca: Platone, Aristote- le e Galeno, i pensatori greci che più di ogni altro influenza- rono i falàsifa, avevano mostrato un grande interesse per al- cune discipline scientifiche e, in taluni casi, le avevano colti- vate essi stessi. Platone aveva accordato una grande importanza alla geometria, mettendo in luce, nella Repubblica, la neces- sità di sviluppare la geometria solida, allora ai suoi esordi, e dedicando uno dei suoi dialoghi a Teeteto, un brillante stu- dioso di geometria morto in giovane età. È proprio basan- dosi su una delle scoperte di Teeteto – il principio secondo cui solo cinque solidi regolari possono essere inscritti in una sfera – che Platone introdusse nel Timeo, certamente cono- sciuto in arabo grazie al compendio di Galeno, l’idea di un nesso necessario tra la forma dei solidi regolari e i quattro ele- menti: egli associa alle particelle elementari di ciascuno dei quattro elementi la forma di uno dei cinque solidi regolari (cubo/terra, tetraedro/fuoco, ottaedro/aria, icosaedro/acqua), mentre attribuisce, per ragioni non del tutto chiare, la forma del quinto solido il dodecaedro all’Universo. Anche Ari- stotele aveva dimostrato un profondo interesse per le scien- ze: si era recato a Lesbo per osservare gli animali marini e ave- va dedicato alcuni importanti trattati, gran parte dei quali tradotti e commentati in arabo, a questioni di carattere zoo- logico. La tradizione araba gli attribuiva anche un trattato sulle piante (De plantis). Infine, Galeno appare la figura in cui forse ancor più compiutamente scienza e filosofia si fon- dono: non solo egli fu autore di un gran numero di testi me- dici ma compose anche opere filosofiche. Di una parte di es- se, e soprattutto di alcune di carattere etico, si sono conser- vate soltanto le versioni arabe che così, pur essendo quasi sempre in forma di epitomi, costituiscono l’unica fonte or- mai disponibile per ricostruire alcuni aspetti del pensiero di Galeno. Alla contiguità tra scienza e filosofia, già tipica del mondo greco, si aggiunse nel mondo arabo il fatto che alcu- ni dei più importanti traduttori, cui si devono le versioni di opere filosofiche dal greco in siriaco o in arabo, si dedicaro- no anche alla traduzione di testi di carattere medico o matema- tico. Il celebre Éunayn ibn Iséàq, oltre a curare la traduzione Fig. 1 - Simposio di dotti a Shiraz; miniatura in un manoscritto del 1222 delle Maqàmàt di al-Éarêrê. Parigi, Bibliothèque Nationale.

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Il contesto intellettuale

capitolo iv

SCIENZA E FILOSOFIA

Nella cultura islamica medievale manca una netta di-stinzione tanto tra filosofia e scienza quanto tra le

‘scienze’ e le ‘arti’: i filosofi, che con un termine derivato dalgreco erano detti falàsifa, consideravano la filosofia una scien-za, se non la scienza per eccellenza. Questa concezione deri-vava dagli Analitici secondi di Aristotele, un testo che, notoin arabo con il titolo di Kitàb al-Burhàn (Libro della dimo-strazione), esercitò una profonda influenza nel mondo isla-mico. La sovrapposizione tra filosofia e scienza ha risvolti an-che esteriori: si può dire che non esista filosofo arabo-islami-co che non sia al tempo stesso uomo di scienza. I nomi chela tradizione filosofica ricorda sono gli stessi delle tradizionidelle varie scienze, della matematica, dell’astronomia e, so-prattutto, della medicina.

Le diverse classificazioni delle scienze che si devono all’ela-borazione filosofica inseriscono in un preciso ordinamentogerarchico gli ambiti d’indagine non solo delle discipline filo-sofiche ma anche delle scienze naturali, della matematica, del-la fisica e di alcune delle più importanti ‘arti’ del tempo, giun-gendo talora a includere perfino le ‘scienze religiose’ islami-che (Jolivet 1996). Il principio ispiratore di tale concezione èenunciato chiaramente da al-Fàràbê nel suo Kitàb al-Burhàn– una sorta di commento al testo aristotelico – in cui, in ac-cordo con la concezione greca, egli asserisce che «tutte le scien-ze particolari sono soggette alla filosofia prima» (p. 65), valea dire alla metafisica.

L’interesse per le scienze e il legame tra scienza e filosofiafacevano già parte della concezione greca: Platone, Aristote-le e Galeno, i pensatori greci che più di ogni altro influenza-rono i falàsifa, avevano mostrato un grande interesse per al-cune discipline scientifiche e, in taluni casi, le avevano colti-vate essi stessi. Platone aveva accordato una grande importanzaalla geometria, mettendo in luce, nella Repubblica, la neces-sità di sviluppare la geometria solida, allora ai suoi esordi, ededicando uno dei suoi dialoghi a Teeteto, un brillante stu-dioso di geometria morto in giovane età. È proprio basan-dosi su una delle scoperte di Teeteto – il principio secondocui solo cinque solidi regolari possono essere inscritti in unasfera – che Platone introdusse nel Timeo, certamente cono-sciuto in arabo grazie al compendio di Galeno, l’idea di unnesso necessario tra la forma dei solidi regolari e i quattro ele-menti: egli associa alle particelle elementari di ciascuno deiquattro elementi la forma di uno dei cinque solidi regolari(cubo/terra, tetraedro/fuoco, ottaedro/aria, icosaedro/acqua),mentre attribuisce, per ragioni non del tutto chiare, la forma

del quinto solido – il dodecaedro – all’Universo. Anche Ari-stotele aveva dimostrato un profondo interesse per le scien-ze: si era recato a Lesbo per osservare gli animali marini e ave-va dedicato alcuni importanti trattati, gran parte dei qualitradotti e commentati in arabo, a questioni di carattere zoo-logico. La tradizione araba gli attribuiva anche un trattatosulle piante (De plantis). Infine, Galeno appare la figura incui forse ancor più compiutamente scienza e filosofia si fon-dono: non solo egli fu autore di un gran numero di testi me-dici ma compose anche opere filosofiche. Di una parte di es-se, e soprattutto di alcune di carattere etico, si sono conser-vate soltanto le versioni arabe che così, pur essendo quasisempre in forma di epitomi, costituiscono l’unica fonte or-mai disponibile per ricostruire alcuni aspetti del pensiero diGaleno. Alla contiguità tra scienza e filosofia, già tipica delmondo greco, si aggiunse nel mondo arabo il fatto che alcu-ni dei più importanti traduttori, cui si devono le versioni diopere filosofiche dal greco in siriaco o in arabo, si dedicaro-no anche alla traduzione di testi di carattere medico o matema-tico. Il celebre Éunayn ibn Iséàq, oltre a curare la traduzione

Fig. 1 - Simposio di dotti a Shiraz; miniatura in un manoscritto del 1222 delle Maqàmàt di al-Éarêrê.

Parigi, Bibliothèque Nationale.

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IV - SCIENZA E FILOSOFIA

di numerosi trattati medici di Galeno, redasse egli stesso al-cune opere mediche – una delle più importanti riguarda ilglobo oculare – e compose una serie di trattati dedicati a par-ticolari problemi scientifici (le maree, la salinità dell’acquamarina, i colori, l’arcobaleno, ecc.).

Se, in genere, seguendo l’esempio dei loro predecessori gre-ci e dei loro traduttori, molti falàsifa composero anche trat-tati dedicati alle varie scienze, l’interesse per la pratica scien-tifica fu non di rado determinato anche da ragioni di neces-sità: contrariamente alla maggior parte dei filosofi greci, quelliarabi dovevano, infatti, spesso guadagnarsi da vivere. Così,all’interesse teorico per le ‘scienze’ e le ‘arti’ i filosofi arabi po-terono unire spesso la competenza della professione poiché illoro era, in alcuni campi – come la medicina, la matematicao la musica –, un vero e proprio esercizio professionale e spes-so il loro contributo alle varie discipline si distingue per im-portanza e originalità. Al-Ràzê afferma ripetutamente che, asuo parere, la necessità di guadagnarsi da vivere non è di osta-colo all’attività filosofica e, in tal senso, appare evidente co-me i filosofi arabi non condividessero interamente il disprezzoostentato dai loro predecessori greci nei confronti degli aspet-ti pratici delle diverse discipline.

Il rapporto tra scienza, prassi e filosofia fu spesso affronta-to dai falàsifa in relazione allo statuto delle scienze; alcunequestioni, in particolare, furono al centro di lunghe discus-sioni come, per esempio, la questione del ruolo e dell’im-portanza della matematica per la filosofia (fondamentale se-condo al-Kindê e irrilevante per al-Ràzê) o quella dello svi-luppo delle scienze e della filosofia stessa che, secondo gliaristotelici, aveva raggiunto l’apice con Aristotele, mentre peral-Ràzê, che in ciò si richiamava a Platone, a Socrate e a Ga-leno, il progresso filosofico e scientifico è continuo e inarre-stabile. Altre questioni a lungo dibattute riguardarono le re-lazioni tra la teoria e la pratica e quindi tra le scienze teorichee quelle pratiche e, infine, il valore delle predizioni astrologi-che di singoli eventi.

Figura esemplare per comprendere il rapporto tra scienzae filosofia è quella del persiano al-Ràzê – il Rhazes dei latini(251-313/865-925) – che non fu, infatti, solo autore di ori-ginali tesi filosofiche ma anche uno dei primi rappresentan-ti di un sapere in cui scienza e filosofia appaiono fondersi per-fettamente; anche se, a quanto sembra, egli rimase piuttostoisolato: sostenitore di posizioni eterodosse tanto in religionequanto in filosofia, al-Ràzê non ebbe mai un gran seguito didiscepoli. Egli rifiutò – ed è già questo un esempio di come,per il filosofo persiano, scienza e filosofia procedessero di pa-ri passo – l’idea di Aristotele di una netta distinzione tra ani-ma animale e umana, sostenendone la scarsa plausibilità sul-la base dell’osservazione del comportamento animale. Al-Rà-zê riteneva inoltre che in filosofia, come nella scienza, fosseriscontrabile un progresso continuo, determinato dalla lentaascensione che l’anima universale, grazie all’intelletto confe-ritole da Dio, compie verso la propria dimora originaria. Pro-prio questa fede nel progresso della scienza è all’origine delsuo trattato Kitàb al-Èukùk Àalà Èàlênùs (Libro dei dubbi suGaleno). Al-Ràzê fu anche un celebre medico e, oltre a registra-re regolarmente le proprie osservazioni e le terapie clinichepraticate (si pensi al Kitàb al-Éàwê, il Continens dei latini),redasse uno studio estremamente dettagliato sul vaiolo e altremalattie. Al-Ràzê anteponeva, infatti, l’osservazione clinica al-la teoria e riteneva che la medicina fosse strettamente legataalla filosofia: egli affermava per esempio di aver composto il

Kitàb al-Öibb al-rùéànê (Libro di medicina spirituale, che in-segnava, cioè, a dominare le passioni) per completare l’ope-ra intrapresa con il Kitàb al-Öibb al-manõùrê (Libro di medi-cina dedicato ad al-Manõùr), un trattato dedicato alla ‘me-dicina corporea’. La sua posizione, tuttavia, appare talvoltaambigua. Verso la fine della sua vita, al-Ràzê si dedicò alla ste-sura di un’autobiografia, Kitàb al-Sêra al-falsafiyya (La vita fi-losofica), in cui, rivendicando orgogliosamente la propriaidentità di filosofo, asserì di aver accettato denaro per la suapratica della medicina. Da una parte, quindi, al-Ràzê si pre-senta come ‘filosofo’ e, dall’altra, si mostra convinto che lesue opere mediche siano parte integrante della sua specula-zione filosofica e sente di doversi giustificare per aver trascu-rato la matematica; il sapiente doveva dedicarsi a questa di-sciplina, escludendo però la geometria, che era invece, a suoparere, solo per i ‘filosofastri’, mawsùmên bi-’l-falsafa, i qua-li le avrebbero a torto dedicato la maggior parte del loro tem-po. Come dimostrano i titoli di una serie di trattati dedicatial moto, al-Ràzê si interessò anche di fisica e si dedicò allostudio dell’alchimia, difendendola dagli attacchi di un altrofaylasùf, l’arabo al-Kindê (801 ca.-866).

Quest’ultimo, uno dei primi filosofi di tendenza decisa-mente peripatetica, fu nondimeno strenuo sostenitore dellanecessità di un nesso tra scienza e filosofia. I bibliografi ara-bi gli attribuiscono un’opera intitolata Fê anna-hu là tunàlual-falsafa illà bi- Àilm al-riyàÿiyyàt (La filosofia non può esse-re acquisita che attraverso la disciplina matematica) e nume-rose sono le sue opere di carattere matematico: sappiamo diun suo commento a La misura del cerchio di Archimede (un

Fig. 2 - Alessandro Magno e i sette saggi; miniaturain un manoscritto del 1450 della Éamsa (I cinque poemi)

di Niüàmê. Berlino, Staatsbibliothek.

I sette saggi sono stati identificati con alcune delle figure più illu-

stri della cultura classica; fra gli altri compaiono anche Aristotele,

maestro di Alessandro, e Platone.

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CONDIZIONI MATERIALI E INTELLETTUALI DELLA SCIENZA NELLA CITTÀ ISLAMICA

testo scritto per determinare il valore approssimativo di p) eci è giunto un gran numero di testi dedicati all’ottica, fra cuiun commento all’Ottica di Euclide e alla catottrica, entram-be branche della matematica. Al-Kindê si interessò, inoltre,alla struttura concentrica dell’Universo e, probabilmente sot-to l’influenza del Timeo platonico, anche alle ragioni per cuigli Antichi diedero agli elementi la forma dei cinque solidi,attribuendo, tuttavia, quella del dodecaedro non all’Univer-so, come Platone, ma al quinto elemento aristotelico, l’etere.I suoi interessi matematici e medici lo condussero a elabora-re un sistema per valutare l’efficacia delle sostanze medicina-li: l’uso dei farmaci composti richiedeva, infatti, la deter-minazione delle esatte proporzioni degli ingredienti sempli-ci di cui essi erano costituiti. Al-Kindê, inoltre, difendeva lavalidità dell’astrologia giudiziaria, ritenendo possibile predi-re singoli eventi in base alla posizione delle stelle; una sua ope-ra, al-Arba Àùna bàbau (I quaranta capitoli ), fu uno dei testiastrologici che eserciteranno maggiore influenza nel mondomedievale arabo e latino. I fondamenti teorici di quest’operasono, tuttavia, piuttosto carenti: imperniata sull’astrologia ca-tartica, essa si riduce a un tentativo di individuare i periodipiù favorevoli per intraprendere una serie di attività, dai ma-trimoni ai viaggi, dallo scavo di canali d’irrigazione o di poz-zi alla costruzione di dighe. Sul piano teorico è invece più in-teressante un testo conservato soltanto in traduzione latina,il De radiis, in cui al-Kindê espone la propria teoria dell’influs-so universale e celeste sulle cose del mondo sublunare.

Ad al-Fàràbê (m. 339/950), detto ‘il secondo maestro’ – ilprimo fu Aristotele – va assegnato un posto particolare. Ce-lebre, nel mondo islamico e in quello latino medievale, ol-tre che per le sue opere filosofiche, per il suo Iéõà à al- Àulùm(Enumerazione delle scienze), un importante testo in cui tro-viamo una classificazione delle scienze e ‘arti’ dell’epoca, al-Fàràbê fu anche autore di un’importante opera, il Kitàb al-Mùsêqê al-kabêr (Il grande libro della musica), che rappresenta

uno dei più significativi contributi, sul piano scientifico, delmondo arabo all’arte o ‘scienza’ della musica (al-Fàràbê nonsempre opera una netta distinzione tra ‘scienza’ e ‘arte’, an-che in riferimento alla musica). L’Iéõà à al- Àulùm, tuttavia, nonoffre un’idea adeguata del suo originale e vasto contributo inquesto campo. La musica vi si trova inserita tra le sette scien-ze matematiche, dopo l’aritmetica, la geometria, l’ottica, lacatottrica e l’astronomia e prima della scienza dei pesi e del-la meccanica. Come l’aritmetica e la geometria, la musicaviene divisa in teorica e pratica. La musica pratica studia lemelodie sia nelle loro esecuzioni vocali e strumentali, sia inquanto immaginate nel corso della composizione di branidestinati a essere interpretati vocalmente o strumentalmen-te. La musica teorica, invece, prende in esame le melodieascoltate astraendole da qualsiasi ‘materia’, che si tratti del-la voce o di uno specifico strumento; la prima parte esami-na i principî fondamentali della musica, mentre la secondariguarda le conseguenze di questi principî, mostrando la con-cordanza di ciò che è stato dimostrato con le applicazioni aidiversi strumenti e alla voce. In queste due parti è affronta-to anche il tema del ritmo. La terza e ultima parte studia lacomposizione in generale (senza far riferimento a uno speci-fico strumento o alla voce), dimostra che le composizioni vo-cali e strumentali raggiungono la perfezione quando sono alservizio della poesia e discute infine l’impatto emotivo deidiversi generi di melodia. Della fabbricazione degli strumentimusicali si occupa invece la settima disciplina matematica,la meccanica. Nell’Iéõà à al- Àulùm la musica è presa in esamecome parte integrante delle scienze matematiche, benché l’os-servazione che la musica teorica riguardi le melodie ascolta-te più che le proporzioni matematiche delle lunghezze dellecorde, secondo l’analisi del Timeo, tenda a distinguerla dal-la scienza dei numeri.

Nel Kitàb al-Mùsêqê al-kabêr al-Fàràbê rivela invece il suointeresse per l’unicità della musica e tende a ridimensionar-ne le relazioni con le scienze matematiche. Tra le opere di al-Fàràbê che ci sono giunte, questa è di gran lunga la più este-sa. In essa si trovano numerosi passi molto tecnici sugli stru-menti musicali e sulle forme di composizione del mondoislamico. Benché non possano essere considerati del tutto af-fidabili, i racconti secondo cui lo stesso al-Fàràbê sarebbe sta-to un brillante musicista suggeriscono che egli sia stato al-meno un appassionato ascoltatore di esecuzioni musicali, senon un competente cultore di musica. Il punto essenziale è,comunque, che al-Fàràbê affrontò da filosofo il problemadell’inserimento della musica nel quadro della scienza ari-stotelica così come questa era stata sistematizzata negli Ana-litici secondi, mentre, quale appassionato o praticante di mu-sica, tentò di illustrarne la specificità e l’unicità. Una dellesue prime preoccupazioni è quella di spiegare perché, mal-grado le sue reiterate affermazioni che gli Antichi, vale a di-re i Greci e in particolare Aristotele, avessero portato tuttele scienze e le arti alla perfezione, egli avesse deciso di scri-vere un trattato tanto vasto sulla musica. Così, dopo aver so-stenuto che la maggior parte delle opere antiche dedicate al-la musica era molto probabilmente andata perduta o che sol-tanto una parte di esse era stata tradotta in arabo, al-Fàràbêannuncia di aver deciso, per colmare le lacune determinatedall’assenza di queste opere, di scoprire i principî della mu-sica e ciò che da essi discende attraverso un metodo di suaideazione. Nell’introduzione ‘il secondo maestro’ presentaquesto metodo; nel Libro I enuncia i principî generali della

Fig. 3 - Scena di banchetto con musicisti; miniatura in un manoscritto del 1334 delle Maqàmàt di al-Éarêrê.

Vienna, Österreichische Nationalbibliothek.

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IV - SCIENZA E FILOSOFIA

musica – il solo tema parzialmente trattato sia dagli autoriantichi sia da quelli moderni; nel II spiega in quale modoquesti principî debbano essere applicati agli strumenti mu-sicali della sua cultura e, nel III, prende in esame i diversigeneri di melodia, con particolare riferimento alle melodievocali, quelle considerate più vicine alla perfezione, e ai mo-di in cui esse colpiscono gli ascoltatori.

Il principale problema di al-Fàràbê è quello di scoprire edefinire i principî fondamentali della musica a partire dallapratica musicale e non da una serie di assiomi, come quellidella maggior parte delle scienze matematiche. Di un tale pro-blema era perfettamente consapevole dal momento che eglistesso aveva dedicato una serie di scritti alla geometria e ave-va commentato una parte degli Elementi di Euclide. Secon-do al-Fàràbê gli Antichi non avevano correttamente stabilitoi principî della musica, benché ne avessero scoperti alcuni.Dal momento che l’arte della musica concerne le melodie eciò che ne rende alcune più armoniose, ossia più piacevoli,di altre, la musica deve essere basata sull’abilità di discernerea orecchio ciò che è armonioso. Quest’abilità è innata oppu-re può essere acquisita con il frequente ascolto delle esecu-zioni musicali; essa non è quindi un’arte, ma una disposizio-ne comune a tutti gli esseri umani. L’arte stessa richiede nonsolo un eccellente orecchio ma anche un elemento razionaleche consente di padroneggiare l’esecuzione e di raggiungerela perfezione nella composizione. Partendo da questa base sal-damente ancorata alla pratica musicale, al-Fàràbê giunge a so-stenere che nel comporre un brano musicale il buon musici-sta non ha alcun bisogno di suonare uno strumento o di can-tare, ma riesce a ragionare su di esso, limitandosi a immaginarei suoni. Il raggiungimento di questo livello implica la scopertadi alcune cause secondarie, così come di un certo numero dicause formali, ma l’arte teorica diviene veramente una scien-za soltanto nei casi in cui può spiegare i ‘perché’ di una seriedi procedimenti. Al-Fàràbê illustra questa progressione riper-correndo lo sviluppo storico della musica, dall’istintività del-le prime forme di canto alla musica strumentale professiona-le, all’invenzione delle note e della no-tazione musicale e raffronta le scopertedella musica con quelle dei fonemi e deimetri, effettuate nel campo della poesia.

La teoria musicale è esaminata sullabase degli Analitici secondi di Aristote-le. Essendo una scienza matematica, lamusica può indagare solo le cause for-mali: essa, infatti, come l’astronomia,non studia le cause efficienti e, come l’a-ritmetica e la geometria, è riconducibi-le a cause materiali solo per via analogi-ca, ossia attraverso procedimenti logicicome quello secondo cui i punti com-pongono le linee che, a loro volta, com-pongono le superfici, ecc., e ciò esatta-mente come nel campo della poesia, incui i piedi sono le unità di base dei me-tri. Quanto alle cause finali, per esse nonvi è spazio nella teoria matematica. So-no le sensazioni, quelle immediate o quel-le ottenute dopo numerose osservazio-ni, che conducono alla scoperta dei prin-cipî fondamentali della musica, attraversol’esperienza (taèriba), che si distingue

dall’induzione (istiqrà à ), per uno speciale atto ( fi Àl ) dell’in-telletto, il solo che possa assicurare universalità e certezza.Questa fiducia nel ruolo svolto dall’esperienza attraverso lesensazioni spiega perché al-Fàràbê abbia asserito che la pra-tica musicale debba precedere la teoria e che raggiunga la suaperfezione prima che quest’ultima possa avere inizio. Ed ènaturale e giusto, quindi, che la musica sia fonte di piacereper l’orecchio e che questa raffinata capacità di apprezzare lapratica musicale guidi la teoria, un’opinione piuttosto inu-suale che conduce al-Fàràbê a criticare quei filosofi che, chie-dendo troppo alla filosofia, hanno pensato che da essa fos-sero desumibili i principî fondamentali della musica e di al-tre scienze e arti. Tuttavia, il suo rispetto per il quadro delineatoda Aristotele lo porta a precisare che, benché debbano dedi-carsi all’ascolto di molte esecuzioni musicali e alla loro ana-lisi, i teorici della musica non devono necessariamente esse-re interpreti musicali o compositori, così come i teorici del-l’astronomia non devono osservare personalmente il cieloattraverso una serie di strumenti, ma possono fare affida-mento sulle informazioni fornite dai praticanti. Egli giungequindi ad asserire che per le sue ricerche sugli animali e lepiante Aristotele si era basato su osservazioni di altri studio-si, come, del resto, Tolomeo e Temistio, che dedicarono al-cuni dei loro scritti alla musica pur non essendo dotati diuna grande sensibilità musicale. In alcuni casi, quindi, il mo-do di operare dei teorici della musica è analogo a quello deimetafisici che trattano di oggetti inaccessibili ai sensi, comel’anima, l’intelletto, la materia prima e le sostanze separatedalla materia.

La preoccupazione di precisare le relazioni esistenti tra lateoria e la pratica conduce al-Fàràbê a spiegare come si puòfabbricare uno strumento musicale che consenta di confer-mare la teoria. Il ritorno al primato della pratica lo induce aconcedere un certo spazio all’esame dell’impatto psicologicoo emotivo determinato dalle esecuzioni musicali e dei modiin cui un impatto di questo tipo, come quello volto a inco-raggiare i soldati nel corso della battaglia, possa essere deli-

beratamente prodotto. Dal momentoche questo tema implica l’esame dellecause finali, che non sono ammesse nelcampo della matematica, al-Fàràbê ri-collega la musica, e in particolare quel-la vocale, alla poesia e alla retorica, stu-diate nell’ambito della logica.

Due elementi devono ancora esserericordati per quanto riguarda il pensie-ro del ‘secondo maestro’: autore di di-verse opere filosofiche, egli mostra, inprimo luogo, un’inclinazione all’osserva-zione e alla pratica di cui sono un esem-pio le considerazioni che si trovano inun breve trattato sul vuoto, nel quale èdescritto un esperimento (si vuole di-mostrare l’inesistenza del vuoto attra-verso l’immersione di un recipiente nel-l’acqua); in secondo luogo, al-Fàràbê sipreoccupa di separare sul piano scientifi-co l’astronomia matematica e lo studiodell’influenza esercitata dalle stelle sulclima, e quindi sulla flora e sulla fauna,e conseguentemente sulla vita degli esse-ri umani, dall’astronomia giudiziaria o

Fig. 4 - Frontespizio miniatodelle Rasà àil Iéwàn al-Õafà à

(Epistole dei Fratelli della purezza),in un manoscritto del 1287.

Istanbul, Süleymaniye Library.

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CONDIZIONI MATERIALI E INTELLETTUALI DELLA SCIENZA NELLA CITTÀ ISLAMICA

astrologia, vale a dire dalla predizione di particolari eventifuturi, cui egli non riconosceva alcuno statuto scientifico.

A conferma dello stretto rapporto tra filosofia e scienza visono poi le opere degli Iéwàn al-Õafàà, i Fratelli della purez-za, un nome dietro al quale sembra che si nascondesse unasorta di comunità segreta ismailita di carattere filosofico-re-ligioso, fondata a Bassora in Iraq e attiva tra il X e l’XI sec.;quattordici delle loro cinquantadue Rasà àil (Epistole) sonodedicate alle scienze matematiche, oltre che alla geografia, al-l’etica e alla logica, la cui conoscenza era considerata indi-spensabile per poter accedere allo studio della filosofia. Di-ciassette di queste epistole sono dedicate alla fisica e prendo-no in esame anche la mineralogia, la botanica e le cause delladiversità delle lingue parlate nel mondo. Altre invece affron-tano temi quali il moto e la causalità.

Avicenna (980-1037) incluse nella sua enciclopedia filoso-fica, il Kitàb al-Èifà à (Libro della guarigione), molti libri dedi-cati alla matematica. Grande filosofo, egli fu anche un celebremedico a corte e inoltre scrisse un trattato, al-Qànùn fê ’l-öibb(Canone della medicina), destinato a diventare un classico permolti secoli tanto in Oriente quanto in Occidente.

Anche i filosofi andalusi si mostrarono interessati alle scien-ze e alle arti. Avempace (tra 1070 e 1080-1139) in un primomomento si dedicò allo studio dell’esecuzione musicale, allacomposizione musicale e poetica e alla stesura di un com-mento al Kitàb al-Mùsêqê al-kabêr di al-Fàràbê. In seguito si con-centrò sulla filosofia, componendo diverse opere ispirate adAristotele, e sulla medicina e compilò alcuni trattati dedicati

alla matematica, alle piante – tra cui un testo sui gigli d’ac-qua – e alla farmacologia. Scrisse inoltre un commento alleopere zoologiche di Aristotele e, nei suoi testi filosofici, mo-strò un grande interesse per il comportamento animale, a cuifece ricorso per dimostrare la validità di alcune delle sue te-si. Ad Avempace, celebre per il suo Tadbêr al-mutawaééid (Ilregime del solitario), viene anche attribuita la formulazionedi una teoria sull’impetus.

Ibn Öufayl (1116 ca.-1185), l’autore del romanzo filosofi-co Éayy ibn Yaqüàn, esercitava la professione medica e scris-se un lungo poema mnemonico sulla medicina oltre ad al-cuni testi dedicati all’astronomia.

Averroè (1126-1198) il commentatore per eccellenza deitesti aristotelici, operò sia nel campo del diritto sia in quellodella medicina; oltre a redigere alcune vaste opere di caratte-re giuridico, egli compilò diversi trattati medici, così comeuna serie di testi di astronomia e di cosmologia, tra cui va ri-cordato il Muétaõar al-Maèisöê (Compendio dell’Almagesto).Averroè sembra ritornare a una più stretta adesione al mo-dello dimostrativo delle scienze di Aristotele; egli inoltre sem-bra essere meno interessato di al-Fàràbê all’osservazione e al-la pratica.

I falàsifa non si limitarono a contribuire allo sviluppo del-la scienza, ma spesso si impegnarono direttamente nelle ri-cerche scientifiche. È per questo che molti di loro finirono permodificare o porre in discussione alcuni aspetti della conce-zione aristotelica della scienza.

Thérèse-Anne Druart