Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICOII FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE – CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI E STUDI DIPLOMATICI TESI DI LAUREA IN Storia delle Relazioni Euromediterranee Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell’informazione Relatore Candidato 1

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Tesi di laurea specialistica in "Relazioni internazionali e Studi Diplomatici"

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICOII

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE –

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

RELAZIONI INTERNAZIONALI E STUDI DIPLOMATICI

TESI DI LAUREA IN

Storia delle Relazioni Euromediterranee

Il conflitto tra Georgia e Russia:

la guerra dell’informazione

RelatoreCh.mo Prof.Matteo Pizzigallo

CandidatoAlessandro Ingegnomatr. 090/00043

ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell’informazione

Introduzione 6

Capitolo 1- Storia della Georgia

1.1 – Cristianizzazione e dominio arabo 8

1.2 – La dominazione Russa 10

1.3 – L’Impero Zarista e il movimento nazionale georgiano 12

1.4 – Menscevichi e bolscevichi 15

1.5 – Tra prima Guerra mondiale e rivoluzione 17

1.6 – Il ritorno dei sovietici in Georgia 20

1.7 – La Georgia: laboratorio della cooperazione economica Usa-

Urss 22

1.8 – Dalla repressione alla fedeltà: la II guerra mondiale 23

1.9 – Dopoguerra e destalinizzazione: i riflessi in Georgia 25

Capitolo 2 –Proclamazione d’indipendenza e ricerca di stabilità

2.1 – Nasce la Repubblica di Georgia 27

2.2 – Ossezia del Sud e Abkhazia: due focolai 29

2.3 – L’equilibrismo di Shevarnadze 31

2.4 – La “Rivoluzione delle rose” 34

2.5 – Saakashvili l’autoritario: la conquista dell’Agiaria e il I

conflitto in sud-Ossezia 36

2.6 – Nuovo scontro con la Russia per l’Abkhazia 41

2.7 – La Georgia filo-occidentale 43

2.8 – Le rose e le spine 45

2.9 – La rielezione di Saakashvili 47

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Capitolo 3 – La Georgia contesa e l’esplosione della crisi

3.1 – La Georgia tra Mosca e Washington: aspetti politici,

economici e militari 51

3.2 – L’economia georgiana sulla via del neoliberismo 62

3.3 – La Georgia contesa da Mosca e Washington: la questione

energetica 66

3.4 – Il preludio della guerra 70

3.5 – Agosto 2008: “la guerra dei cinque giorni” 73

3.6 – Le conseguenze del conflitto: 80

1. Abkhazia e Ossezia del sud indipendenti

2. La preadesione alla NATO

3. Il White Stream project

Capitolo 4 – Rappresentazione della crisi e ruolo dei media 87

4.1 – L’informazione come arma di guerra 89

4.2 - La revisione della guerra e il mea culpa di alcuni media

occidentali 93

4.3 – Analisi principali quotidiani italiani 97

1. “la Repubblica” – Intervista al caporedattore esteri Nicola

Lombardozzi

2. “Corriere della Sera”

4.4 – Omessa la descrizione degli interessi energetici nell’area

georgiana 108

4.5 – L’informazione di guerra su internet: speranza di

un’informazione più “democratica” 112

4.6 – Il ruolo dei media durante e dopo il conflitto: intervista a

Mikhail Saakashvili 114

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Capitolo 5 – Il ruolo e la posizione della diplomazia italiana

Intervista al sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri,

Senatore Alfredo Mantica 117

Conclusione 120

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Introduzione

Il conflitto cosiddetto “dei cinque giorni”, che ha sconvolto un mondo

distratto dalla contemporanea cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici

di Pechino l’8 agosto 2008, ha visto un piccolo Stato come la Georgia

rivendicare con la forza due regioni separatiste, supportata dal tacito

consenso statunitense, fino a giungere allo scontro con il gigante militare

russo. Per l’intera durata del conflitto un ruolo attivo molto importante è

stato giocato dall’informazione e dalla contro-informazione di guerra

operata dai mass-media occidentali da un lato, e dai mass-media russi

dall’altro. Per comprendere meglio come si è arrivati allo scontro frontale

è necessario studiare prima gli aspetti storici della Georgia, per poi

giungere ad analizzare la vera posta in gioco, ovvero il controllo delle vie

energetiche del XXI secolo.

Dal punto di vista geografico la Georgia, che si inserisce all’interno

dell’area del Caucaso meridionale anche nota in passato come

Transcaucasia, vede il suo territorio diviso in due parti (una sul Mar Nero

e l’altra sull’altopiano dell’Iran) dalla presenza della catena di Surami,

posizione che ha influenzato la storia georgiana dividendolo tra una

propensione occidentale ed una orientale.

Posta tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, la Georgia è un ponte tra

occidente ed oriente, meridione e settentrione, porzione importante di

quella che fu la “via della seta”. La particolare collocazione geografica fa

della Georgia un territorio eternamente conteso tra due universi

contrapposti, due differenti percorsi verso complessità politiche ben

distinte, ognuna delle quali l’ha conquistata con pari imperfezione. Le

dominazioni ellenistiche e romane, il passaggio dei popoli d’oriente,

l’impero zarista, i comunisti sovietici, gli stati occidentali, ma anche un

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forte radicamento della religione cristiana ortodossa, che ha saputo

resistere, non senza influenze, al vicino Islam. Con una popolazione di

circa 4 milioni e mezzo di abitanti, la Georgia si caratterizza anche per

una composizione etnica non del tutto uniforme: georgiani (84%), azeri

(6.5%), armeni (5.7%), russi (1.5%) e poi turchi, ossetini ed abkhazi.

Questa popolazione multinazionale dà luogo ad una eterogeneità religiosa

che vede, accanto alla grande maggioranza composta da cristiani

ortodossi (83.9%), una compatta minoranza musulmana (9.9%) ed

un’esigua presenza cattolica (0.8%) ed armeno-gregoriana.

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Capitolo 1 – Storia della Georgia

1.1 – Cristianizzazione e dominio arabo

Il primo insediamento delle popolazioni georgiane nell’area subcaucasica

risale orientativamente al periodo tra l’VIII e VII secolo A.C. Già da

allora questa popolazione fu soggetta a dominazioni e spartizioni, come

testimoniano le presenze dei greci prima, che colonizzarono per esteso la

costa del Mar Nero, tra cui la città georgiana Colchi (l’attuale Poti), e dei

romani successivamente, con la spedizione di Pompeo allo scopo di

domare le tribù locali ed estendere l’influenza di Roma nella regione.

Intorno al 200 A.C. la Georgia era già considerata uno snodo mercantile

fondamentale, inserita nella cosiddetta “via della seta”. Ma tappa

fondamentale nella storia dell’antica Georgia è stato senza dubbio il

passaggio per queste terre di Santo Nino di Cappadocia, responsabile

della cristianizzazione dell’intera Georgia, intorno al 317 d.C., che

divenne il secondo stato cristiano al mondo. Impresa che risulterà segnare

profondamente la storia del paese nel corso dei secoli, con importanza

nell’orientamento prima occidentale e poi europeista della popolazione

georgiana, e che acquista ancor più valore considerando quanto fu

determinante l’avvicinamento religioso con l’Impero romano per

sottrarre la Georgia (ma anche buona parte della Subcaucasia) all’allora

dominante influsso culturale e religioso iranico, dovuto alla vicinanza

geografica.

La cristianizzazione non riuscì però a tenere lontane le mire

espansionistiche dell’Iran il quale esercitò progressivamente sulla

Georgia una forte influenza, alla fine del IV secolo, in particolare nel

regno di Iberia, Georgia orientale; mentre la parte occidentale restava

inglobata nell’Impero romano. Fu allora che nacque un forte

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identitarismo georgiano, con lo sviluppo di un alfabeto nazionale e una

propria cultura letteraria. Identità che però non riuscì ad evitare la caduta

del regno di Iberia soppresso, nell’anno 580, ad opera dell’Iran. Sempre

in quel periodo si fa risalire la scissione della Chiesa armena dalla Chiesa

georgiana, la quale rimase legata alla Chiesa di Costantinopoli.

Ruolo fondamentale del cristianesimo georgiano fu la creazione, grazie al

“collante religioso”, di una civiltà sostanzialmente omogenea, nonostante

le divergenze teologico - politiche, con gli altri due popoli subcaucasici,

Albani e Armeni, dando vita alla “Caucasia Cristiana”.

Questa civiltà raggiunse il suo apogeo nei secoli a seguire, paragonabile

al livello raggiunto dalle civiltà europee durante l’Alto Medioevo. A

partire dalla seconda metà del VII secolo gli Arabi cominciarono ad

imporre con la forza un dominio sull’area subcaucasica. Gran parte delle

aree caucasiche diventarono province dell’immenso Califfato

musulmano. Nel 645 gli Arabi conquistarono il centro della vita politica e

culturale georgiana, Tbilisi, imponendovi un emirato arabo, senza però

riuscire a conquistare alcune regioni georgiane occidentali che, grazie

alla forte identità religiosa, riuscirono a mantenere intatta una certa

coesione evitando in questo modo la completa l’islamizzazione. La

dominazione araba tuttavia, per quanto violenta, rimane sicuramente,

nella storia della Georgia, una fase in cui questa popolazione costruì uno

dei suoi più importanti e brillanti periodi. Solamente nel 1122 Tbilisi fu

riconquistata definitivamente diventando così la capitale di un vasto

regno che comprendeva quasi tutto il Caucaso meridionale. Alla

definitiva scomparsa dell’antica Albània ed alla profonda crisi

dell’Armenia si contrapponeva il rafforzamento incontenibile della

Georgia la quale, nel 1199, inglobò nel suo territorio buona parte delle

regioni armene. Annessione che permise a una parte del paese di tenersi

al sicuro dalla conquista mongola dell’Armenia nel 1220 (invasione che

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causò anche la fuga in Georgia degli Alani, gli attuali Osseti). Fu in

questo periodo, sotto il regno della regina Tamara, che la Georgia

raggiunse il punto più alto della sua storia, inserita nel mondo ortodosso

di Bisanzio, rappresentando quindi l’ultimo caposaldo della Caucasia

cristiana, ma al tempo stesso positivamente influenzata dal modello

culturale islamico.

1.2 – La dominazione Russa

Nei due secoli a venire la Georgia, come il resto del Caucaso meridionale

e gran parte del Caucaso settentrionale, divenne terreno di contesa e di

scontri tra i principali regni allora in espansione: l’Impero Ottomano e

l’Impero Persiano. La guerra per l’espansione degli imperi durò decenni

e fu acuita dalle diverse visioni religiose: i turchi ottomani erano infatti

sunniti, mentre i safavidi, che alla fine del XIV secolo si impadronirono

della Persia, sciiti. Le guerre turco-persiane continuarono sino alla metà

del XVII secolo quando, con un nuovo trattato di pace, si ristabilì la

suddivisione dei territori così come era stata decretata nel 1555, con la

Georgia occidentale in mano agli ottomani, e la parte orientale in mano ai

persiani. Verso la fine del XVI secolo i georgiani ortodossi cominciarono

a guardare con interesse e speranza verso la grande Russia

correligionaria, vedendo in essa un protettore naturale dalle minacce dei

musulmani. Nella seconda metà del XVII secolo e fino ai primi decenni

del XVIII la Georgia inviò numerose missioni a Mosca, allo scopo di

raggiungere accordi in grado di assicurarle protezione. Si venne così a

creare un importante cambiamento nelle sfere di influenza e protezione,

aiutato dall’elemento religioso: la Russia progressivamente diventava

protettrice dei popoli cristiani del Caucaso, Georgiani e Armeni, l’Impero

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Ottomano e quello Persiano invece salvaguardavano le componenti

musulmane dell’area. Nel 1722 la Russia decise però di defilarsi

abbandonando per decenni al loro destino i Georgiani e gli Armeni, ma

consolidando nel frattempo la propria posizione nel Caucaso

settentrionale. Nonostante questi sviluppi e l’impossibilità di poter

esercitare un benché minimo controllo sull’area numerose popolazioni

del Caucaso meridionale, tra cui gli ossetini, giurarono fedeltà alla

Russia. Nel 1783 la Russia finanziò la costruzione della Strada Militare

georgiana, allo scopo di unire i due versanti del Caucaso. Negli anni a

venire si intensificò la presenza russa nell’area anche se, nonostante i

tentativi di Caterina II prima, e di Eracle II poi, gli scontri tra la Russia e

i musulmani costrinsero nuovamente al disimpegno i russi a cui seguì, nel

1795, la devastazione della Georgia ad opera del nuovo shah di Persia,

Aga-Mohammed Khan. Solo con Alessandro I l’Impero Russo portò in

atto la conquista dell’intera Transcaucasia. La nuova posizione di

dominio dell’area da parte dell’Impero Russo fece mutare il contesto

politico-militare dell’area: Francia ed Inghilterra si mostrarono

saldamente contrarie ad una espansione in tutto il Caucaso della Russia,

per cui decisero di appoggiare indistintamente gli ottomani e i persiani.

L’Impero Russo si trovò quindi all’inizio del XIX secolo a dover

fronteggiare due imperi supportati dalle potenze europee, oltre alle

resistenze delle varie popolazioni locali. Fu allora che la potenza

dell’esercito russo venne mostrata agli occhi della comunità

internazionale: netta supremazia militare rispetto agli eserciti musulmani,

controllo delle rivolte locali e, non per ultimo, il contemporaneo impegno

bellico in Europa e nella stessa Russia invasa da Napoleone nel 1812.

Solamente dopo l’ennesima guerra contro l’Impero Ottomano, vinta dalla

Russia nel 1829, cui seguì trattato di Adrianopoli, si pose fine alla guerra

e numerose città, tra cui la georgiana Poti, vennero annesse alla Russia la

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quale ormai aveva il completo dominio della Transcaucasia. Dominio che

non lasciava speranze di indipendenza alla Georgia la quale, nonostante i

decenni a venire segnati da numerose rivolte antirusse e pro-

indipendenza, accettò un parziale inserimento all’interno dell’Impero

zarista.

1.3 – L’Impero Zarista e il movimento nazionale georgiano

Durante il corso del XIX secolo la dominazione russa si venne

consolidando su tutto il Caucaso, ed in particolare in Georgia.

L’importanza di questo avvicinamento nella sfera d’influenza e di

dominio della piccola regione caucasica ebbe diversi risvolti positivi.

Innanzitutto la popolazione georgiana, che era per la quasi totalità

cristiana, vide come una vera e propria liberazione la conquista

dell’ortodossa Russia dopo secoli di forzato snaturamento imposto dalle

forze islamiche ottomane e persiane. Da questa “fratellanza” religiosa

con la Russia ne derivò maggiore sicurezza, sviluppo e coesione

nazionale. Ma in breve tempo la Georgia, come tutto il Caucaso, diventò

il giardino d’oriente della Russia, fonte d’ispirazione letteraria ma anche

e soprattutto fonte di materie prime a buon mercato.

Per la Russia si poneva però il problema di come amministrare quest’area

senza essere colpevolizzati di colonialismo funzionale

all’approvvigionamento di risorse. A lungo combattuta tra due diversi

orientamenti, uno centralista che imponesse con la forza le leggi

dell’Impero, e l’altro regionalista, tendente a mantenere una certa identità

locale, in Georgia si optò per il regionalismo, sfruttando oltre alla

comune fede ortodossa, l’impianto sociale simile alla struttura russa.

Vennero così instaurati dei governatori generali, il primo dei quali fu

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Ermolov (dal 1816 al 1827). Fu però con l’avvento di Voroncov al

governatorato che l’intero Caucaso venne considerato una provincia da

valorizzare piuttosto che una colonia da sfruttare. E nella Transcaucasia

che iniziò a sentirsi parte attiva dell’Impero, si avviò un notevole

processo di sviluppo territoriale il cui centro propulsore era rappresentato

dalla quella che in breve tempo diventò una piccola metropoli

cosmopolita, Tbilisi. Il successo della gestione zarista della Georgia, fu

sicuramente una delle più importanti dimostrazioni delle abilità politiche

dell’epoca basata sul legittimismo. Ma durò poco. A partire dagli anni

’80 del XIX secolo vi fu un cambiamento nell’approccio da parte del

“centro” dell’Impero nei confronti delle province caucasiche. Le autorità

zariste infatti, guidate da Alessandro III, cominciarono a sospettare delle

crescenti minacce rivoluzionarie da parte delle regioni del Caucaso,

dando una forte sferzata autoritaria e russificatrice alla politica

dell’Impero. La Georgia fu una delle regioni più colpite da questa ondata

di repressione. Quello che si temeva in Russia era un eccessivo

rafforzamento dell’identità nazionale, che potesse sfociare in rivolte anti-

russe. Tutti gli sforzi politici attuati da Voroncov decenni prima furono

vanificati da questa svolta repressiva che si scagliò in particolare contro

l’educazione e la cultura, ad esempio attraverso la proibizione dell’uso

della lingua georgiana nelle scuole. Ma l’ondata di repressione

dell’identità nazionale georgiana non fece altro che risvegliare vecchi ma

mai sepolti sentimenti nazionalistici che, nonostante secoli di

dominazioni, nessun colonizzatore è mai riuscito a spegnere nella

popolazione georgiana. Nacque così un movimento nazionale le cui

principali attività si ergevano in difesa della lingua, della letteratura e

della cultura georgiana. Il proliferare del movimento fu agevolato dalla

presenza in Georgia di un vasto numero di intellettuali di origine nobile

la cui formazione era molto elevata, e fu proprio l’elevato grado culturale

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di tutta la popolazione a permettere un radicamento del movimento

nazionale.

Fu proprio a partire dalla Georgia che si innalzarono le prime proteste

anticipatrici della la rivoluzione del 1905. Già nel 1902 infatti i

rappresentanti della classe operaia di Batumi (guidati un giovanissimo

attivista di nome Stalin) organizzarono il primo sciopero, riuscendo a

coinvolgere in breve tempo tutta la classe operaia della regione. Nello

stesso anno nella provincia georgiana occidentale della Guria iniziarono

delle rivolte contadine. Ma il più grande successo fu raggiunto attraverso

il coordinamento dei comitati locali del partito socialdemocratico russo

che, nell’estate 1903, riuscì a mettere in piedi uno sciopero generale che

paralizzò contemporaneamente Tbilisi, Baku e Batumi. Nello stesso

periodo si registrano le prime attività rivoluzionarie anche nella regione

poi nota come Ossezia del Sud. L’obiettivo era ribellarsi allo sviluppo

capitalistico di alcuni centri della regione coinvolgendo, grazie al collante

ideologico, operai, studenti, funzionari, ma anche guarnigioni militari e

popolazione semplice. Nell’estate del 1905 la protesta aveva ripreso

vigore con una serie di scioperi generali proclamati nelle principali città

georgiane. La violenta risposta russa si fece sentire con forza attraverso la

repressione di quelle manifestazioni, in particolare di fronte al municipio

di Tbilisi, ma nonostante ciò non riuscirono a sedare le attività politiche

rivoluzionarie che continuarono per tutto il 1905. La spinta rivoluzionaria

georgiana perse però il suo carattere violento, preferendo alla lotta la via

della trattativa con il governo russo. Le richieste fatte dai rappresentanti

dei comitati erano legate all’indipendenza sostanziale della Georgia:

migliori condizioni di lavoro, introduzione dello zemstvo (governatorato

locale), creazione dell’Università di Tbilisi, emancipazione della Chiesa

georgiana, il ritorno all’uso del georgiano nelle scuole e nei tribunali, la

concessione delle politiche fondamentali in favore di operai e contadini.

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Non tutte le richieste furono approvate dal governo russo il quale, per

attenuare le proteste, decise prima di operare una dura repressione

militare e poi di collocare nella posizione di vicerè dell’intera regione un

discendente di Michail Voroncov, il cui ricordo suscitava ancora

apprezzamento nella popolazione. Le scarse concessioni ottenute dal

centro dell’Impero fecero aumentare il malcontento dei georgiani,

alimentandone la voglia di indipendenza; la scelta questa volta fu quella

di convogliare le proprie energie nel Partito socialdemocratico

menscevico. La vittoria elettorale dei menscevichi in Georgia, dopo la

della caduta dello zar, fu schiacciante.

1.4 – Menscevichi e bolscevichi

La rabbia popolare dei georgiani fu incanalata sapientemente nell’ala

menscevica del Partito socialdemocratico. E questa scelta non fu casuale.

Facendo un breve passo indietro, precisamente al 1903, è utile analizzare

la nascita del Partito Operaio Socialdemocratico Russo avvenuta durante

il II Congresso. Fu proprio con l’atto che decretò la nascita del partito che

ebbe origine la famosa divisione tra bolscevichi e menscevichi. Durante

le elezioni delle cariche si evidenziò la spaccatura: la maggioranza dei

delegati appoggiò la linea dura del partito, sostenuta da Plechanov e da

Lenin, e fu battezzata bolscevica (uomini della maggioranza), la

minoranza che aveva appoggiato il dissidente Martov venne invece

denominata menscevica (uomini della minoranza). Le divisioni

inconciliabili tra menscevichi e bolscevichi erano di natura prettamente

ideologica: i primi infatti erano fortemente legati allo schema originario

della rivoluzione marxista che prevedeva due stadi, quello di una

rivoluzione democratico-borghese che avrebbe permesso un progresso

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capitalista, al quale avrebbe fatto seguito una rivoluzione del proletariato,

compiendo così la rivoluzione socialista; i bolscevichi invece

appoggiarono la proposta di Lenin di legare i due stadi in un'unica

rivoluzione. Questa scissione interna al Partito non fu un fenomeno

isolato. I Menscevichi infatti finirono per rappresentare in pratica il

pensiero di numerosi partiti socialdemocratici europei, radicando così

nella tradizione europea occidentale teorie come l’opposizione legale, il

progresso attraverso le riforme anziché tramite la rivoluzione, la

cooperazione e il compromesso tra i vari partiti politici, e soprattutto

l’uso dei sindacati.

Lacerato fortemente dalla divisione interna il Partito Operaio

Socialdemocratico Russo affrontò la rivoluzione del 1905 e nonostante

Lenin sostenesse a gran voce che “eravamo di gran lunga i più deboli…I

menscevichi avevano più risorse, più stampa, più mezzi di trasporto, più

agenti, più collaboratori”1 il III congresso del Partito, tenutosi a Londra

nell’estate del 1905, fu esclusivamente bolscevico. Ma fu solo nel 1907

che i menscevichi vennero definitivamente fatti fuori dal Partito. La

conferenza di Praga di quell’anno riorganizzò il comitato centrale

eleggendo tutti membri bolscevichi, escludendo di fatto i dissidenti. Da

quel momento il partito stesso si identificò con i bolscevichi.

Legata strettamente alle vicende politiche di Mosca la Georgia proprio in

quegli anni si riorganizzò politicamente, con guida menscevica,

raggiungendo anche importanti risultati economici.

1 Lenin Socinenija, VII, 101.

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1.5 - Tra I guerra mondiale e rivoluzione

La caduta della monarchia russa durante la I guerra mondiale determinò

immediatamente lo sgretolamento del sistema di relazioni basate sulla

sudditanza delle periferie instaurato dall’Impero Russo. I primi atti

politici furono difatti la creazione di diversi centri di potere locale, tra cui

uno in Georgia. Il Soviet di Tbilisi era considerato vicino ai menscevichi,

che politicamente rimasero fedeli a quel Governo Provvisorio successore

legale del governo zarista, al quale diedero anche alcuni ministri. Ma

questo legame durò pochi mesi. Il 25 ottobre 1917 infatti i bolscevichi

guidati da Lenin e Trockij imprigionarono i membri del Governo

Provvisorio (tra cui i ministri georgiani menscevichi), annunciando di

fatto il passaggio di potere nelle mani dei Soviet dei Deputati degli

Operai, dei Soldati e dei Contadini. Fu il trionfo non solo dei Soviet ma

soprattutto dei bolscevichi. Le tre principali regioni, Georgia, Armenia e

Azerbaigian, riuscirono a trovare un fragile accordo che diede vita, nel

novembre 1917, ad un Commissariato Transcaucasico e, nel gennaio

1918, alla Dieta, una legislatura comune alla quale prendevano parte i

rappresentanti delle tre regioni. Quasi a conclusione della I Guerra

Mondiale ci fu il trattato di Brest-Litovsk con il quale la Russia

prometteva importanti cessioni alla Turchia delle province georgiane di

Kars e Batumi. Nonostante la denuncia dei georgiani e dello stesso

commissario transcaucasico, il radicale georgiano Gegeckori, l’accordo

non venne modificato e la Turchia si affrettò ad inglobare i territori a lei

destinati occupando Batumi il 15 aprile 1918. Fu di fronte a questa

minaccia turca e all’abbandono sovietico che, il 22 aprile, l’Assemblea

Transcaucasica votò per la proclamazione della Repubblica Federale

Transcaucasica indipendente. Al voto della Dieta si opposero

esclusivamente i menscevichi georgiani i quali ne approfittarono in sede

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internazionale per alimentare le divisioni interne alla Repubblica

Transcaucasica. Poco dopo infatti, il 26 maggio 1918, l’Assemblea

Transcaucasica si riunì per dissolvere la neonata repubblica, ad un mese

dalla sua nascita. Lacerata dalle divisioni interne e dalle pressioni esterne

lo stesso giorno l’assemblea nazionale georgiana proclamò la Repubblica

Indipendente georgiana, a cui seguirono nei giorni successivi le

dichiarazioni d’indipendenza di Armenia e Azerbagian. La Georgia a

quel punto si trovò contesa da più parti, dato che la Guerra Mondiale

aveva portato nella regione la Germania e successivamente la Gran

Bretagna, che si sommavano alla presenza dell’Impero Ottomano. La

Georgia decise così di stringere un accordo con la Germania, in funzione

anti-turca, concedendo ai tedeschi le cessioni russe destinate alla Turchia,

in cambio di garanzia contro ulteriori pretese turche. La Germania, pur

astenendosi dal riconoscere l’indipendenza georgiana, installò propri

funzionari diplomatici e consolari in Georgia, riuscendo ad assicurarsi il

controllo dell’importante ferrovia transcaucasica mediante la quale il

petrolio di Baku raggiungeva il Mar Nero. La Georgia consentì inoltre a

mettere a disposizione tedesca le proprie materie prime, tra cui

l’importante manganese, fino alla fine della guerra. A questo

rafforzamento dei rapporti seguì un trattato di pace con la Turchia del 4

giugno 1918. Nell’agosto 1918 tedeschi e sovietici firmarono un trattato

a Berlino contenente una clausola in cui il governo sovietico consentiva il

riconoscimento d’indipendenza alla Georgia da parte tedesca. Il

raggiungimento di questo importante risultato per la Georgia fu in gran

parte casuale, oltre che frutto di un puro scambio politico-commerciale:

la Georgia era la via preferenziale per giungere alla massima fra le città

petrolifere, Baku. Questo permise alla Georgia di non scomparire come

unità indipendente, come invece era accaduto all’Armenia e

all’Azerbagian.

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Inserita sempre nello scacchiere politico determinato dagli esiti della

Guerra Mondiale, la Georgia nell’autunno 1918, dopo l’annessione nel

proprio territorio dell’Abkhazia, cambiò nuovamente “padrone”. Con il

crollo delle potenze centrali e della resistenza sia turca che tedesca, le

forze britanniche avanzarono fino ad occupare le principali città della

Transcaucasia. Dopo l’armistizio della Grande Guerra turchi e tedeschi

abbandonarono il Caucaso ma, in base all’accordo segreto anglo-

francese, questa regione divenne una zona d’influenza britannica. In quel

periodo in Georgia si incrociavano interessi molteplici che riguardavano

direttamente i Russi: la politica inglese nel Prossimo Oriente, il petrolio,

l’Impero e il Menscevismo. E il petrolio dell’area caucasica,

rappresentava il movente principale delle politiche britanniche nell’area,

permettendone l’espansione dell’Impero.

Ma l’evolversi della diplomazia non fu favorevole alla politica

imperialista britannica: nell’aprile 1920 la storica conferenza di Sanremo

vide il netto “no” alla spedizione di ulteriori truppe britanniche, oltre che

italiane e francesi, a protezione della produzione petrolifera del Caucaso.

Fu in seguito a quella decisione che la Gran Bretagna, il 7 luglio 1920,

abbandonò la Georgia lasciandole la sovranità su Batumi. Abbandonando

il Caucaso gli Inglesi sapevano, e lo dissero, che non vi poteva essere

alternativa al controllo russo della Georgia. “Data la sua situazione

geografica e la sua dipendenza economica la Georgia deve aderire alla

Russia, non può reggersi da sola. Essa è troppo debole e troppo povera

economicamente: è la Russia che la nutre”.

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Page 20: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

1.6 – Il ritorno dei Sovietici in Georgia

Con l’abbandono dei britannici i sovietici ebbero campo libero in

Georgia, ma non furono poche le resistenze mensceviche al ritorno del

controllo bolscevico. Negli ultimi mesi di vita la repubblica menscevica

di Georgia ricevette, nel settembre 1920, alcuni rappresentanti

socialdemocratici e laburisti dell’Europa Occidentale, allo scopo di

rafforzare la propaganda antibolscevica. L’attivismo politico dei

menscevichi riuscì anche a raggiungere un risultato notevole a livello

internazionale: il riconoscimento da parte del Consiglio Supremo della

Società delle Nazioni. Ma la contro-propaganda bolscevica non tardò a

farsi sentire: la Georgia fu accusata di sterminio delle minoranze in

Ossezia e Abkhazia. Alle accuse seguirono le ostilità: il 21 febbraio 1921

truppe sovietiche e forze georgiane bolsceviche entravano in Georgia,

solamente 4 giorni dopo Tiblisi cadde e i vincitori proclamarono una

Repubblica Sovietica Socialista Georgiana durante quella che fu l’ultima

operazione militare dell’Armata Rossa nei territori che di li a breve

sarebbero entrati a far parte dell’Urss.

Entro la metà di marzo la resistenza cessò in tutto il paese, i leader

borghesi e menscevichi georgiani fuggirono a Parigi, e i distretti minori

di Abkhazia e Adzaristan furono trasformati in repubbliche autonome,

l’Ossezia meridionale divenne invece una regione autonoma inserita

nell’ambito della SSR georgiana. Con il trattato istitutivo della SSR

georgiana, del 21 maggio 1921, oltre alla sovietizzazione dell’intera

Transcaucasia, che scongiurò altri interventi degli alleati ancora a

Costantinopoli, si portò anche a compimento la vittoria definitiva dei

bolscevichi sui menscevichi.

La Georgia, alla quale nel dicembre 1921 venne incorporata la repubblica

autonoma dell’Abkhazia con un trattato d’unione, rappresentò senza

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Page 21: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

dubbio l’ultimo grande ostacolo al processo di inglobamento delle

repubbliche del Caucaso perché il nazionalismo separatista di resistenza

al potere sovietico si era ben radicato nel corso degli ultimi decenni, ma

ci volle poco tempo affinché la più orgogliosa della propria tradizione tra

le repubbliche transcaucasiche si piegasse ai voleri della Russia

Sovietica.

Tra i primi atti dei bolscevichi in Georgia ci fu l’inglobamento delle

ferrovie georgiane all’interno del sistema sovietico (non senza proteste),

a cui seguì la creazione di un “organo economico regionale per l’insieme

della Transcaucasia”, allo scopo di scongiurare il collasso economico

delle regioni povere. Peserà invece sul futuro economico della Georgia la

mancata applicazione della riforma agraria.

Il successivo atto politico centralizzato si ebbe il 12 marzo 1922 quando

le tre repubbliche transcaucasiche furono “invitate” a concludere un

trattato istitutivo di una Federazione delle Repubbliche Sovietiche

Socialiste di Transcaucasia (FSSRZ), per poi essere modificato il 13

dicembre dello stesso anno portando così alla costituzione di una

repubblica Sovietica federativa Socialista di Transcaucasia (ZSFSR). Le

resistenze dei nazionalisti georgiani erano state definitivamente superate.

Il 20 aprile 1992 la Russia riconobbe lo status di regione autonoma

all’Ossezia del Sud, inserendola però sotto il controllo georgiano.

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Page 22: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

1.7 – La Georgia: laboratorio della collaborazione economica

Usa-Urss

“In considerazione delle immense risorse della Russia in attesa di capitali

necessari al loro sviluppo la cooperazione fra Russia e America è

inevitabile”. A pronunciare queste parole fu Aleksej Rykov, il presidente

del Consiglio dei Commissari del Popolo dell'URSS, e

contemporaneamente del Sovnarkom della RSFSR, nel luglio del 1924,

in un momento in cui i programmi politici sovietici erano pieni delle

denunce del nuovo imperialismo americano. Agli inizi del 1925 il

Commissario del Popolo agli esteri sovietico, Georgy Cicerin, ribadì la

disponibilità sovietica ad una così importante apertura: ”L’America è

letteralmente inondata da capitale libero in cerca di investimento, mentre

l’Urss rappresenta un magnifico quadro di risorse naturali che attendono

il capitale che le faccia fruttare. Grandi prospettive di un fruttuoso lavoro,

non solo per il benessere dei nostri due paesi, ma per l’arricchimento

dell’economia mondiale, sono collegate alla futura penetrazione del

capitale americano nel nostro paese”.

I negoziati, a conferma delle dichiarazioni ufficiali dei rappresentanti

sovietici, cominciarono nel 1924 fra il governo sovietico e il finanziere

americano Harriman; l’oggetto delle contrattazioni era la concessione di

sfruttamento dei depositi di manganese di Chiatura, situati sugli altopiani

poco distanti da Batumi, in Georgia. Gli stessi depositi che, nel 1918,

avevano attirato in Georgia i tedeschi. L’accordo di concessione fu

raggiunto e siglato il 12 giugno 1925 a Mosca, nonostante negli Stati

Uniti, dall’inizio degli anni ’20, vigesse il divieto di investimenti in

Unione Sovietica. La ditta Harriman Company infatti, in collaborazione

con la Guaranty Trust, non informò il Dipartimento di Stato

dell’operazione commerciale. L’accordo, per Harriman e i suoi soci:

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Page 23: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

l’installazione di impianti e attrezzature a Chiatura per l’estrazione e il

trattamento del minerale per un valore di non meno di un milione di

dollari, la costruzione o ricostruzione di ferrovie di collegamento con

dell’area mineraria con il porto di Poti, per un valore di due milioni di

dollari, oltre al rispetto del codice del lavoro sovietico per i lavoratori

impiegati dai concessionari. Fu fissato anche un limite minimo annuo di

produzione del manganese e una tassa di tre dollari su ogni tonnellata

esportata che gli americani avrebbero dovuto pagare al governo sovietico.

La durata della concessione era di vent’anni. La concessione Harriman

non solo rappresentò l’accordo più importante di questo tipo mai

concluso dal governo sovietico con una ditta americana, ma fu un vero e

proprio esperimento, come venne definito in un articolo del “New York

Times”: ”Le condizioni di investimento fatte al capitale americano non

sono attualmente tali da far sì che si possa trascurare il mercato russo. Il

destino della concessione Harriman verrà seguito con interesse, poiché

può darsi che il futuro dimostri che stabilità e sicurezza possono essere

garantite dal governo sovietico”. A questo esperimento però non seguì

nessun’altro tipo di collaborazione sovietico-statunitense, ma una

contrapposizione crescente tra questi due mondi.

1.8 – Dalla repressione alla fedeltà: la II guerra mondiale

A partire dal 1928 l’Unione Sovietica varò il primo piano quinquennale,

concludendo così quella serie di riforme di liberalismo politico e sociale

inaugurate durante gli anni venti. Gli obiettivi del Piano erano:

collettivizzazione delle terre e industrializzazione forzata dell’intero

paese. Anche il Caucaso rientrò nel Piano quinquennale ma, nonostante

la forte campagna propagandistica, le resistenze dei contadini in

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Page 24: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

particolare in Georgia resero le operazioni molto più complicate che nel

resto dell’Unione. Ad una prima fase di violenza nel corso dell’inverno

1929-30 seguì una parziale ritirata che durò però pochi mesi: a partire dal

febbraio 1931 la collettivizzazione e le repressioni, in particolare nei

confronti dei kulak2, ripresero con intensità. Proprio la Georgia fu teatro

di feroci repressioni nei confronti dei contadini la cui resistenza, anche

armata, causò un totale di terre collettivizzate molto inferiore rispetto alla

media del resto del paese: il 38% circa contro una media sovietica che

raggiungeva il 61,5%. La repressione sovietica toccò anche la sfera

religiosa: in tutto il Caucaso all’inizio del 1929 vennero chiuse le scuole

religiose e si proibì l’uso del velo alle donne musulmane. Una nuova

ondata di violenza e repressione nei confronti della Georgia si ebbe di

nuovo in seguito alla dissoluzione, nel 1936, della Federazione

transcaucasica che implicò la rinascita delle tre Repubbliche socialiste

sovietiche di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Mentre la prima ondata di

repressioni colpì esclusivamente i contadini con la nuova separazione

della transcaucasia l’obiettivo delle nuove repressioni era cambiato: la

violenza fu rivolta soprattutto nei confronti delle èlite politiche, culturali

e religiose. In Georgia a farne le spese furono alcuni vecchi comunisti

locali accusati di oscurare l’allora crescente culto della personalità di

Stalin; insieme a loro furono duramente colpiti molti scrittori celebri,

accusati di non essersi interamente messi al servizio degli ideali

comunisti. Tra questi fu ucciso il poeta Tabidze, mentre un altro poeta,

Paolo Iashvili, si suicidò; tanti altri furono arrestati. E’ facile

comprendere quale fosse l’obiettivo delle purghe del 1937-38:

l’eliminazione totale della vecchia guardia comunista e la sostituzione di

questa con una generazione di funzionari fedeli a Stalin. Si stava

spianando la strada alla coesione necessaria per affrontare la seconda

Guerra Mondiale. L’appello di Stalin all’unità patriottica fu decisivo 2 Contadino arricchito divenuto proprietario terriero

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nell’offuscare, proprio negli anni della guerra contro i nazisti, le

aspirazioni del nazionalismo georgiano. E la Georgia, pur non

partecipando attivamente al conflitto, contribuì alla causa sovietica con

l’arruolamento di 700 mila georgiani nell’Armata Rossa, perdendo però

ben 350 mila vite umane.

La conclusione della seconda guerra mondiale fu per la Georgia la

scongiura di una nuova dominazione straniera: la Germania di Hitler non

aveva fatto mistero delle proprie mire verso i pozzi petroliferi del

Caucaso.

Come ricompensa della fedeltà allo stato sovietico durante la guerra la

Georgia ricevette importanti concessioni di carattere politico, culturale e

religioso (la Chiesa riottenne l’autocefalia) da parte di Mosca.

1.9 – Dopoguerra e destalinizzazione: i riflessi in Georgia

In Georgia, come in tutta la Transcaucasia, il dopoguerra fu

estremamente duro. Crollo della produzione industriale, penuria di beni

di consumo e insufficienza di alloggi resero la vita quotidiana molto

difficile. Solo a partire dal 1950 il tenore di vita ritornò ai livelli

dell’anteguerra.

Proprio l’ultima fase del potere di Stalin fu contrassegnata da una crescita

della repressione politica allo scopo di colpire i sentimenti nazionali ai

quali, nell’immediato dopoguerra, erano state fatte numerose concessioni.

Solo in seguito alla la morte di Stalin, nel 1953, la situazione per la

Georgia migliorò, per via dell’allentamento della repressione culturale

che permise la creazione, in tutte e tre le repubbliche transcaucasiche, di

università e accademie delle scienze. La morte del georgiano Stalin,

nonostante tutto, fu un duro colpo per la Georgia nella quale, nel 1956,

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Page 26: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

scoppiarono varie dimostrazioni di protesta contro la destalinizzazione:

protesta che sfociò improvvisamente in una richiesta di indipendenza che

costrinse Nikita Khrushov, diventato segretario del Comitato centrale del

Partito comunista sovietico ad intervenire brutalmente disperdendo i

manifestanti con l’ausilio dei carri armati. La mobilitazione nazionalista

però non si attenuava, né tanto meno includeva la sola questione

dell’indipendenza da Mosca, ma bensì riguardava la georgianizzazione

delle strutture amministrative e culturali della repubblica, oltre alla

volontà di neutralizzare preventivamente il pericolo che la presenza di

nazioni autonome (abkhazi e osseti) e di minoranze territorializzate (azeri

e armeni) costituivano per l’integrità territoriale della Georgia. Negli anni

’70 in Georgia cominciò a delinearsi un “nazionalismo eterodosso”,

capace di contestare compatto i tentativi di Mosca di limitare l’uso della

lingua nazionale. Di fronte a sempre più frequenti manifestazioni

popolari nel 1978, grazie all’allora primo segretario del partito comunista

georgiano, Eduard Shevarnadze, si riuscì ad impedire l’imposizione del

russo come lingua ufficiale. Con questa conquista il potere sovietico fu

costretto ad indietreggiare di fronte al forte identitarismo nazionale

georgiano.

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Page 27: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Capitolo 2 –Proclamazione d’indipendenza e ricerca di

stabilità

2.1 – Nasce la Repubblica di Georgia

Solo con l’avvento al potere di Mikhail Gorbaciov nel 1985, e l’apertura

di una stagione di riforme che va sotto il nome di perestrojka, il

nazionalismo georgiano riuscì a trovare uno sbocco politico importante.

Dopo decenni di sovietizzazione le basi tradizionali della società

georgiana erano state minate e, in assenza di una partecipazione

democratica alla vita politica, fu proprio il nazionalismo a fungere da

elemento aggregante delle popolazioni della regione. Nel dicembre 1988

il Partito comunista georgiano presentò il Programma Statale per la

lingua georgiana che imponeva un esame di georgiano per l’ammissione

alla scuola superiore. Il 9 aprile 1989, data che diventerà il Giorno

dell’Unità nazionale, fu organizzata una manifestazione a favore

dell’indipendenza e dell’integrità territoriale della Georgia in funzione

antisovietica: i manifestanti, guidati da un Comitato d’Indipendenza,

organizzarono una dimostrazione pacifica e uno sciopero della fame per

chiedere provvedimenti nei confronti dei secessionisti abkhazi che, un

paio di settimane prima, avevano insistentemente chiesto l’indipendenza

della loro terra e il ripristino dello status vigente tra il 1921 e il 1931. Il

corteo fu duramente represso dalle autorità sovietiche le quali persero

rapidamente il controllo della situazione e furono incapaci di contenere le

proteste. Le conseguenze furono tragiche: le truppe russe, sotto il

comando del generale Rodionov, circondarono l’area e ricevettero

l’ordine di disperdere i manifestanti con qualunque mezzo disponibile.

Gli scontri causarono 20 morti e centinaia di feriti tra la popolazione.

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Page 28: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Proprio il 9 aprile 1989 fu lo spartiacque della recente storia georgiana.

Da quel giorno, fino ad oggi, la Georgia non conoscerà pace o integrità

territoriale. Difatti già a partire dal novembre 1989 abkhazi e osseti

cominciarono a fare rivendicazioni alle quali Tbilisi rispose in maniera

negativa: il 10 novembre 1989, i deputati osseti trasformavano la regione

autonoma dell’Ossezia del Sud in una Repubblica autonoma Socialista

Sovietica, pur restando parte costituente della Georgia. Il giorno

successivo il parlamento georgiano rispose invalidando la risoluzione e di

fatto abolendo l’autonomia dell’Ossezia del sud.

Il 1990 fu per la Georgia l’anno delle prime elezioni democratiche dopo

l’occupazione sovietica. Le elezioni furono democratiche solo

all’apparenza in quanto una legge ad hoc impedì ai partiti di base

regionale di partecipare alle elezioni politiche nazionali: furono di fatto

esclusi il partito osseto ed altre piccole formazioni non georgiane. La

reazione dell’Ossezia del Sud fu l’autoproclamazione della Repubblica

Sovietica Democratica, che non ottenne però il riconoscimento di

Repubblica dell’Unione Sovietica da Mosca. Le elezioni dell’ottobre

1990, valide per il rinnovo del Soviet della Repubblica Socialista

Sovietica di Georgia, furono un successo per le forze nazionaliste della

coalizione Tavola Rotonda-Georgia Libera, guidata da Zviad

Gamsakhurdia il quale, forte dei 150 seggi su 250 a disposizione, e del

consenso popolare, intraprese il cammino della secessione dall’Urss. Nel

marzo del 1991 un referendum approvò la ricostituzione della Repubblica

Georgiana Indipendente. Il 9 aprile 1991 nacque la Repubblica di

Georgia, secondo stato dopo la Lituania a chiudere con il regime

comunista prima della dissoluzione del regime sovietico del 26 dicembre

1991. Le elezioni che si tennero il mese successivo consacrarono

Gamsakhuardia presidente della Repubblica georgiana con l’87% dei

voti.

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2.2 – Ossezia del Sud e Abkhazia: due focolai

Il crollo dell’Unione Sovietica e la conquista dell’indipendenza della

Georgia non spensero però l’acceso nazionalismo all’interno della

regione. Il presidente Gamsakhurdia si trovò a dover fronteggiare le

richieste di autonomia degli osseti i quali prima boicottarono le elezioni

georgiane dell’ottobre 1990, per poi organizzare elezioni autonome nel

dicembre dello stesso anno. La reazione del neo presidente fu violenta:

Gamsakhurdia lanciò una forte campagna di repressione della regione

autonoma dell’Ossezia del Sud, fondata sullo slogan “la Georgia ai

georgiani”. Indirettamente si cercava attraverso la repressione delle

minoranze (che in base ad un censimento del 1989 costituivano il 30%

degli abitanti della Georgia) di far passare per democrazia dei fattori di

egemonia etnica e di anti-pluralismo: la prospettiva per gli osseti, il cui

insediamento nella regione risale al XIX secolo, li rendeva sgraditi in

quanto non autoctoni, lasciando loro la scelta tra l’abolizione

dell’autonomia, l’esilio o la radicale georgianizzazione. Il 6 gennaio 1991

la polizia e le truppe georgiane attaccarono la capitale osseta Tskhinvali,

facendo molte vittime tra gli osseti e arrestando il presidente del primo

parlamento dell’Ossezia del Sud. Seguirono le deportazioni degli osseti

dai villaggi: si stima che tra i 30 mila e i 100 mila osseti si rifugiarono

nella Federazione Russa, in particolare nell’Ossezia del Nord. La

repressione non risparmiò neanche gli abkhazi i quali, pur essendo titolari

di una repubblica autonoma all’interno della Georgia, non raggiungevano

il 20% della popolazione complessiva. La situazione era diventata

insostenibile e, nel gennaio 1991, ci fu bisogno di un colpo di stato

paramilitare, orchestrato dalla Federazione Russa, che permise di

destituire Gamsakhurdia, nonostante democraticamente eletto, e di far

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Page 30: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

eleggere Eduard Shevarnadze, ex ministro degli Esteri di Gorbaciov, e

famoso per aver rilanciato, durante la conferenza internazionale di

Vladivostok del 1990, l’idea di riabilitare l’antica “via della seta”3.

L’etnocrazia georgiana di Gamsakhurdia era durata poco meno di un

anno, ma il cambio al vertice non portò alla riconquista dell’Abkhazia

dalla quale, dopo la dichiarazione di sovranità del luglio 1990, erano stati

espulsi 150 mila georgiani. L’anno successivo Tbilisi ne abolisce

l’autonomia ma la regione separatista reagì con il ritorno in vigore dello

status di repubblica autonoma nel luglio 1992.

La risposta georgiana alla provocazione abkhaza fu veemente: il 14

agosto le truppe del presidente Shevardnadze entrarono in Abkhazia

aprendo un conflitto che si protrasse fino al settembre 1993 quando le

truppe abkhaze, aiutate da volontari nordcaucasici, combattenti ceceni e

dall’esercito russo, respinsero i soldati di Tbilisi al confine. Nella

primavera del 1994 le parti firmano un armistizio e un accordo per il

dispiegamento di forze di interposizione della Comunità degli Stati

Indipendenti (militari russi), nella zona al confine tra le repubbliche in

conflitto. Nel frattempo anche nell’altra regione separatista non regnava

la pace. Il 10 gennaio del 1992 un referendum in Ossezia confermò con il

90% dei voti la volontà di adesione alla Federazione russa, ma la

richiesta fu reputata poco realista anche dall’Ossezia del Nord, e servì

solo a rinfocolare i conflitti separatisti riacutizzando la crisi con Tbilisi.

Nell’aprile dello stesso anno le forze armate georgiane intensificarono i

lanci di missili sulla capitale Tskhinvali: la diplomazia fu nuovamente

chiamata in causa nel tentativo di trovare accordi per il cessate il fuoco,

mentre nel conflitto si inserivano direttamente Ossezia del Nord, che

tagliava i rifornimenti di gas per la Georgia, e Russia, con il

vicepresidente Ruckoy che minacciava il nuovo presidente georgiano,

3 T.Teimuraz, G.Bagaturia, “Tra ceca – Restoration of silk route” , Japan Railway&Transport review, n.28, settembre 2001.

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Eduard Shevardnadze, di bombardare Tbilisi. Il 22 giugno 1992 a

Dagomyr, Ossezia del Nord, Ossezia del Sud, Russia e Georgia firmano

l’accordo di cessazione delle ostilità dando vita ad una forza militare

congiunta tripartita per il mantenimento della pace (JPKF) composta da

500 soldati georgiani, 500 russi, 500 dell’Ossezia del Nord. Il bilancio di

quegli scontri interetnici si calcola oggi in 2000 vittime ossete e 800

georgiane, 1700 feriti, 102 dispersi, 117 villaggi bruciati e migliaia di

rifugiati nella regione settentrionale.

2.3 – L’equilibrismo di Shevarnadze

A partire dal 1993 la Federazione Russa cercò di ristabilire quello che,

dal suo punto di vista, è il rapporto naturale con la Georgia ovvero: il

mantenimento della stabilità nel territorio georgiano, così come degli altri

stati appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti, e la formazione

di una fascia di buon vicinato ai suoi confini. Nonostante la fedeltà

assicurata dal presidente Shevarnadze durante gli anni ’90 la Georgia

cerca di gettare i ponti per una fuoriuscita dalla orbita russa, guardando

all’Occidente. Il presidente georgiano infatti fu tutt’altro che

accondiscendente nei confronti delle richieste di Mosca durante gli anni

del suo potere, dimostrandosi un equilibrista nel riuscire a far coesistere

la propensione filo-occidentale e la necessità di non irritare la vicina

Mosca. “Per la nostra storia, cultura, e per il nostro carattere nazionale la

Georgia appartiene all’Europa occidentale” aveva più volte dichiarato

Shevarnadze. La richiesta di adesione alla Nato, fortemente impedita

dall’ostilità russa e dalla prudenza della stessa Alleanza Atlantica per

motivi geopolitici, fu una delle prima avvisaglie di questa tendenza filo-

occidentale. Dal punto di vista economico la scelta della Georgia di

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appoggiare, dal 1995, la richiesta occidentale di accogliere sul suo

territorio l’oleodotto più lungo del mondo (i cui lavori inizieranno però

ufficialmente il 18 settembre 2002), il Baku-Tbilisi-Ceyhan, in grado di

trasportare 1.000.000 di barili di greggio al giorno, come una strategica

mossa per escludere la Russia dal passaggio del petrolio e spostarsi ad

ovest. Scelte sicuramente rischiose data la presenza militare russa sul

territorio georgiano, e la dipendenza quasi totale della Georgia dalle

forniture energetiche russe. Sempre in quest’ottica va inserita l’adesione

nel 1996 al Guuam, l’Organizzazione per la Democrazia e lo Sviluppo

Economico, che rappresentava un modo per contenere l’influenza russa

nell’area, e come parte di una strategia sostenuta dagli Stati Uniti, a cui

prendevano parte Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, tutti paesi

post-sovietici; così come la sottoscrizione dell’Accordo di partenariato e

cooperazione con l’Unione Europea e l’ingresso, nel 1999, come membro

del Consiglio d’Europa.

I passi successivi furono la denuncia georgiana del trattato di sicurezza

collettiva della Csi, che permise un ulteriore avvicinamento alla Nato, e

la firma di un nuovo trattato tra Tbilisi e Mosca per la graduale riduzione

della presenza militare russa in Georgia. Nel 2000 la rielezione di

Shevarnadze confermò la bontà delle sue scelte filo-occidentali ma mai

anti-russe. Grazie alla spinta statunitense, che vede di buon occhio le

scelte filo-occidentali di Shevarnadze, il 14 giugno 2000 la Georgia entra

nel World Trade Organization, a soli 4 anni dalla richiesta di adesione.

Lo scenario cominciò però a cambiare dopo l’11 settembre 2001. Nel

febbraio dell’anno seguente gli Stati Uniti decisero di inviare, con il

consenso della Georgia, un contingente militare, di soli 200 uomini, per

l’addestramento anti-terroristico. Nell’aprile 2002 gli Stati Uniti in

Georgia lanciano il programma “Train and Equip” che prevede lo

stanziamento di 64 milioni di dollari e l’invio di un contingente di 150

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soldati, per circa 20 mesi, con l’obiettivo di “addestrare” le nuove Forze

speciali georgiane, impegnate nella lotta al terrorismo nelle gole di

Pankisi (dove troverebbero rifugio terroristi ceceni). Dal punto di vista

strategico questa scelta, insieme con l’apertura di basi statunitensi nelle

repubbliche centro-asiatiche ex sovietiche, destò preoccupazione e

sospetto a Mosca, minando di fatto la stabilità e la protezione dei suoi

confini. Questo causò una forte tensione nei rapporti tra Russia e

Georgia, che culminò, nel 2002, in una minaccia di azione militare da

parte di Mosca. La politica di equilibrio di Shevarnadze stava

cominciando a perdere colpi e sia l’esplicito appoggio alla sbagliata

guerra in Iraq, che confermò i sospetti della collaborazione militare in

atto tra Washington e Tbilisi, sia la tragica situazione economica

georgiana, ne sancirono l’imminente sconfitta. Il suo decennio di

presidenza si può definire contraddittorio: ha favorito il passaggio

all’economia di mercato, la creazione di un sistema pluralista di

amministrazione dello Stato, ha riformato il sistema monetario e

abbattuto un’inflazione che aveva fatto sprofondare la Georgia in una

profonda recessione. Nella seconda metà degli anni ’90 l’economia risale

la china della recessione, eredità della dittatura di Gamsakhurdia, e,

grazie all’abilità nel tessere relazioni personali, riesce a ottenere dagli

Usa aiuti e crediti per oltre un miliardo di dollari (oltre alla rilevante

presenza militare), e ingenti crediti e fondi da parte di FMI, Banca

Mondiale e Unione Europea. Shevarnadze permette alla Georgia

l’ingresso nel WTO, effettua la richiesta di adesione alla Nato, inizia la

costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e, il 17 aprile 1999,

inaugura l’oleodotto della Western Route, il Baku-Supsa alla presenza

del Presidente azero Aliyev e del coordinatore del Dipartimento del

Commercio degli Stati Uniti per la regione del Mar Caspio, Richard

Morningstar, assistendo con soddisfazione alla partenza delle prime due

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petroliere che trasportavano il petrolio per la Spagna e l’Italia.

Nonostante ciò il debito estero nel 2003 ha raggiunto livelli di

insolvibilità e l’evasione fiscale è diffusissima. Le privatizzazioni sono

fallite, così come i programmi contro la povertà, fascia nella quale vive

oltre la metà dei georgiani. La disoccupazione, abbondantemente

superiore all’11% ufficiale, costringe all’emigrazione oltre 700 mila

persone; gli stipendi e le pensioni si aggirano mediamente intorno ai 20

dollari al mese. Il fallimento di queste politiche, così come l’incapacità di

utilizzare gli abbondanti crediti esteri concessi per aumentare il benessere

generale, spingono nel 2003 il FMI e gli Usa a sospendere gli aiuti.

2.4 – “La rivoluzione delle rose”

La popolarità del presidente Shevarnadze è a quel punto al minimo

storico e migliaia di persone, dopo le elezioni del novembre 2003,

scendono in piazza, armati di rose, per protestare contro i presunti brogli

elettorali: brogli che gli avrebbero garantito la rielezione alla carica di

Presidente della Repubblica. Ma il movimento popolare all’opposizione,

fomentato da ex membri di governo come Mikhail Saakashvili, da Nino

Burdzhanazde e Zurab Jvania, riuscì ad evitare una deriva violenta dello

scontro politico, anche grazie alla mediazione del Ministro degli Esteri

russo Igor Ivanov, ottenendo le dimissioni di Shevarnadze in cambio

dell’immunità. Iniziava così una nuova era per la Georgia, che prendeva

il nome di “Rivoluzione delle Rose”. Le nuove elezioni che si tennero nel

gennaio 2004 videro l’affermazione plebiscitaria, con il 97,5% dei voti

(percentuali che non insospettirono i commissari internazionali), di

Mikhail Saahashvili. Di formazione statunitense (laurea in legge ad

Harvard e master presso la Columbia University), si era già

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contraddistinto per le sue doti e capacità che gli erano valse in Georgia il

titolo di uomo dell’anno nel 1997. Nel gennaio del 2000 viene nominato

vice-presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo,

mentre dieci mesi dopo diviene Ministro della Giustizia del governo

Shevarnadze. Incarico che lascerà, dopo meno di un anno, per protesta

contro la corruzione dilagante nel governo georgiano, formando il

Movimento Nazionale Unito. La cerimonia inaugurale del suo mandato si

svolse il 24 gennaio, nella Cattedrale di Gelati, appena poco fuori

Kutaisi, l’antica capitale della Georgia occidentale. Simbolicamente

fermo sulla tomba di Re David IV, conosciuto come Aghmashenebeli o

“il costruttore” per aver unificato i principati georgiani, Saakashvili giura

di riunire il paese, potendo così inaugurare un nuovo futuro mandato

nella città di Sukhumi, capitale della Abkhazia. Il programma di governo

di Saakashavili prevede: una forte lotta alla corruzione, riforme

istituzionali, revisione delle privatizzazioni e abolizione per due anni

delle tasse sulle piccole e medie imprese industriali e commerciali, e il

raggiungimento dello standard di vita dei paesi occidentali. In politica

estera il suo programma guarda all’ingresso nella Nato e nell’Unione

Europea, puntando al rafforzamento della partnership con gli Usa nella

difesa e, di conseguenza, verso una totale uscita dall’orbita russa. Ma è la

riunificazione della Georgia, che lo obbliga al confronto con Mosca, a

sentire le sue prime esternazioni pubbliche, il vero punto cruciale del

programma di governo: lo slogan “Riprendiamoci la Georgia”, utilizzato

in campagna elettorale, appariva già controverso agli occhi di Osseti e

Abkhazi. Dichiarazioni come “Noi non abbiamo bisogno di Mosca come

nemico, ma come amico e potente alleato”. “Voglio che l’amicizia si

sviluppi e si rafforzi, se in Russia capiranno che la Georgia non è uno

Stato vassallo, ma un paese indipendente e sovrano”. “Noi abbiamo i

nostri interessi nazionali, la Russia ha i suoi. Siamo obbligati a trovare

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Page 36: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

punti di convergenza per iniziare una nuova epoca dei nostri rapporti”

tracciano la strada per quella che sarà la prima grande tappa all’estero da

presidente di Saakashvili, a Mosca. Il 24 maggio 2004, nel suo messaggio

alla nazione, Saakashvili mostra l’intenzione di inaugurare una politica

diversa per la risoluzione dei conflitti interetnici che dividono la Georgia

ormai da decenni: egli rilancia l’idea di una federazione asimmetrica,

aggiungendo la disponibilità di concedere agli osseti, all’interno della

Georgia, gli stessi diritti degli abitanti dell’Ossezia del nord, la quale è

però una Repubblica autonoma della federazione russa. Promesse

controverse e difficili da mantenere se inquadrate nella difficile contesa

con la Russia.

2.5 – Saakashvili l’autoritario: la conquista dell’Agiaria e il I

conflitto in sud-Ossezia

Una prima chiara prova di come Saakashvili intende affrontare la

questione delle regioni separatiste è offerta dall’intervento nella regione

indipendente dell’Agiaria.

E’ nella primavera del 2004 che il governo di Tbilisi tenta di imporre con

la forza il proprio controllo sull'Agiaria: le conseguenze sono una grave

crisi che infiamma la regione, con il rischio di degenerare in un confronto

armato. L'ultimatum di Saakashvili, che minacciò l’attacco militare, e la

protesta di massa contro il governo autoritario di Abashidze (accusato di

brogli in occasione delle elezioni del 28 marzo), convinsero quest'ultimo

a dimettersi e ritirarsi nel maggio 2004, scegliendo l'esilio in Russia. Con

la caduta di Abashidze venne approvata una nuova legge che ridefiniva le

condizioni di autonomia dell'Agiaria. Tuttavia tale legge pose sotto il

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Page 37: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

controllo di Tbilisi le finanze e il fisco, dando inoltre la facoltà al

presidente georgiano di sciogliere il parlamento agiaro, abrogarne la

legislazione e rimuovere il governo.

La Russia in quell’occasione era rimasta a guardare.

Nell’agosto dello stesso anno riaffiorano anche le tensioni in Abkhazia ed

Ossezia del sud (anche a causa dell’invito russo a far votare gli osseti per

le elezioni presidenziali russe) ed i primi scontri, a causa della lotta

all’illegalità dei commerci nella regione lanciata da Tbilisi, provocano 30

vittime. Saakashvili prova allora a ripetere a Tskhinvali, la capitale

dell’Ossezia del Sud, l’operazione vittoriosa nell’agiara Batumi. Un

problema di non poco conto rispetto all’Agiaria è che i sud-ossetini,

pur essendo in prevalenza cristiani come i georgiani, sono di etnia

diversa, iranici.

E hanno conquistato la propria indipendenza lottando, diventando così,

insieme ai connazionali dell’Ossezia del nord, il popolo più filo-russo

dell’intero Caucaso. Altro problema riguarda lo stanziamento, dopo

l’ultimo conflitto con Tbilisi del 1992, attorno alla capitale, di truppe di

interposizione miste: un corpo di peacekeeping di circa 1500 soldati di

cui 500 russi, 500 georgiani e 500 ossetini. A cui si aggiungeva una

Commissione mista di controllo (Skk). Saakashvili rifiuta comunque la

sovranità e l’indipendenza dei sud-ossetini e accusa il governo di

Tskhinvali di guadagnare sul contrabbando tra Russia e Georgia: grazie

alla loro strategica posizione geografica l’Ossezia del sud e l’Ossezia del

nord, da una parte e dall’altra della catena caucasica, svolgono

un’importanza fondamentale per lo stato russo e georgiano controllando

di fatto le due principali strade transcaucasiche fra Vladikavkaz e Tbilisi.

Questa via di comunicazione ha favorito la creazione a Ergneti, vicino

alla capitale sud-osseta Tskhinvali, del più grande mercato nero della

regione dove affluiscono commercianti russi, georgiani e armeni, e

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Page 38: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

prodotti di contrabbando di ogni genere: armi e droga su tutti. Saakashvili

decise quindi, tra la fine di maggio e inizio giugno, di inviare

unilateralmente 300 soldati delle truppe georgiane a vigilare con posti di

blocco lungo il segmento sud-ossetino dell’asse stradale Vladikavkaz-

Tskhinvali-Tbilisi, per controllare il traffico e stroncare il contrabbando.

L’obiettivo finale del presidente georgiano è ristabilire la sovranità.

E’ qui che ha inizio la crisi tra Georgia, Ossezia del sud e Russia,

nell’estate 2004.

Secondo Russia e Ossezia meridionale i posti di blocco georgiani violano

gli accordi di Dagomysh del 1992, che impongono alle parti di mantenere

in quell’area soltanto i peacekeepers, chiedendo a Tbilisi di rimuovere i

blocchi. La risposta georgiana non si fa attendere e, nel giugno 2004, 5

mila uomini, tank e artiglieria pesante vengono posizionati nella limitrofa

provincia georgiana di Gori. Nel frattempo le elezioni del parlamento

sud-ossetino sanciscono la vittoria del Partito dell’unità del presidente

Eduard Kokoity il quale, forte dell’appoggio popolare, chiede

ufficialmente alla Russia di riconoscere l’Ossezia del Sud come Stato

sovrano e indipendente: l’obiettivo finale è l’unificazione con l’Ossezia

del Nord e l’ingresso nella Federazione Russa. Ma la tensione è destinata

a salire: il 6 luglio reparti georgiani fermano un convoglio di

peacekeepers russi che, oltre a munizioni e cibo, trasportano verso

Tskhinvali circa 160 missili. Il sequestro delle armi e dei missili da parte

georgiana al momento non subisce opposizione alcuna, dato che gli

accordi di Dagomysh non consentono il trasporto di armi lungo l’asse

stradale Vtt. La Russia definisce l’azione georgiana “grave e senza

precedenti”, e chiede l’immediata restituzione dei missili. Nell’arco dei

mesi di luglio e agosto si susseguono scontri a fuoco tra milizie sud-

ossetine e georgiane, anche con l’utilizzo di artiglieria pesante. Le vittime

di questi scontri saranno una ventina, molti i prigionieri. I georgiani

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Page 39: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

sembrano avere avuto la peggio. A questo punto, in seguito

all’esortazione del Dipartimento di Stato americano per voce dell’inviato

speciale Steven Mann e del portavoce Adam Ereli di “ridurre la tensione

ed evitare il ricorso alle armi”, intervengono i mediatori Osce. Il 24 luglio

Tbilisi viene obbligata a restituire i missili sequestrati ai russi. A metà

agosto dopo un colloquio telefonico tra il segretario di Stato Colin Powell

e il ministro degli Esteri russo Lavrov, si interrompono gli scontri a fuoco

tra sud-ossetini e georgiani. Scontri che riprenderanno in maniera

sporadica verso la fine di ottobre. La Georgia ritira comunque i militari in

esubero dall’Ossezia del sud e i sud-ossetini liberano i prigionieri

georgiani. L’operazione militare di Saakashvili nell’Ossezia meridionale

non ha dato i risultati sperati, e lo scenario di Batumi non si è ripetuto.

Anche grazie alla mediazione statunitense si è scongiurato un

coinvolgimento diretto della Russia. Il 21 settembre 2004 Saakashvili

espone all’Assemblea generale dell’Onu un piano di risoluzione della

crisi, nato da un incontro con Putin, da lui stesso definito “produttivo”. Il

piano prevede la smilitarizzazione dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia,

il controllo internazionale sulle zone di conflitto, l’ampliamento del

mandato Osce, e la fine del monopolio russo delle forze di peacekeeping.

Nel piano rientrano anche le proposte ai dirigenti abkhazi e sud-ossetini

di posti nel governo georgiano, oltre alla più ampia autonomia

economica, finanziaria e fiscale alle loro repubbliche. Abkhazia e

Ossezia del sud rifiuteranno, mentre la Russia spinge per una soluzione

confederale, respingendo inoltre l’internazionalizzazione del

peacekeeping.

Nel settembre 2005, l’Ossezia del Sud denuncia un intenso fuoco di

mortai sui quartieri civili della città di Chinvali; attacchi delle truppe

georgiane, a detta delle autorità di Tskhinvali ordinati dall’ex ministro

della difesa Iraklij Okruashvili, che avrebbero procurato la morte di una

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Page 40: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

donna ed il ferimento di 9 cittadini, tra cui bambini. Ma agli inizi di

dicembre 2005 il leader osseta Eduard Kokoity lancia una proposta di

pace per la soluzione definitiva del conflitto, sorprendendo Tbilisi, che

era pronta a schierare un esercito molto equipaggiato e soprattutto ben

addestrato grazie al programma di investimenti americano “Train and

Equip”. La proposta di Kokoity ripropone il piano di pace a tre tappe che

il presidente Saakashvili aveva presentato l’anno prima alle Nazioni

Unite e pochi mesi prima all’Osce, organizzazioni che da sempre si sono

espresse a favore dell’integrità del territorio georgiano, conditio sine qua

non anche di un eventuale ingresso nella Nato e nell’Unione Europea. La

situazione però si complicava nuovamente dopo appena due mesi: il 15

febbraio 2006 il parlamento georgiano adotta una risoluzione in cui

dichiara forza straniera di occupazione le truppe russe che da 14 anni

controllano la regione del Sud Ossezia in qualità di peacekeeper: Mosca

si è sempre opposta alla sostituzione di queste truppe con altre dipendenti

direttamente dall’Osce, come richiesto da Tbilisi. Una richiesta, quella

del ritiro del contingente russo dalla regione georgiana, percepita come

provocazione volta ad arrestare il processo di pace nella regione osseta

(così come quella nell’Abkhazia). La Russia opta allora per l’accordo

l’accordo, siglato il 30 maggio 2005, in base al quale si impegna a

chiudere le ultime due basi russe in territorio georgiano, precisamente

quella di Akhalkalaki (vicino al confine armeno) e di Batumi (sulla costa

del Mar Nero) con il ritiro di tutti i tremila soldati russi entro, e non oltre,

la fine del 2008.

La Georgia di Saakashvili ad un anno dalla “rivoluzione delle rose” si

trova in una fase di autentica instabilità: al successo dell’operazione in

Agiaria, favorito dal mancato intervento russo, si contrappone il

fallimento politico-militare in Ossezia del sud. Dal punto di vista

economico nonostante gli ingenti aiuti internazionali l’incremento del pil,

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Page 41: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

tra il 5 e il 6%, è ancora modesto. Le riforme liberiste non mostrano

ancora gli effetti sperati. Tutte le promesse fatte in campagna elettorale in

materia territoriale, delle libertà e dello sviluppo economico che il popolo

si aspettava, ad un anno dall’elezione, appaiono ancora lontane. Per

questo le rose della rivoluzione cominciano ad appassirsi. La prima

presidenza di Saakashvili ha deluso non poche aspettative: su tutte la

lotta alla corruzione e alla povertà (in cui rientra il 50% dei georgiani) e

la diminuzione della disoccupazione (al 13-14%). Salari e stipendi medi

sono attestati attorno ai 100-150 dollari mensili mentre l'inflazione è

all'11%.

2.6 – Nuovo scontro con la Russia per l’Abkhazia

A Tbilisi, dopo oltre un anno di relativa tregua, in vista delle elezioni

amministrative del 5 ottobre, si riorganizza il partito della guerra.

Saakashvili ha la necessità di vincere le elezioni e decide per una

spedizione lampo in Abkhazia allo scopo ufficiale di riconquistare

Kodori, un piccolo territorio non controllato dalle forze separatiste di

Sukhumi; ma il suo obiettivo reale è la conferma del suo Movimento

Nazionale Unito alle elezioni amministrative del 5 ottobre. Il 27 luglio

2006 il presidente georgiano annuncia, in diretta televisiva, la riuscita

dell’operazione militare, cambiando il nome della regione in Alta

Abkhazia e insediandovi il governo abkhazo in esilio riconosciuto da

Tbilisi. La reazione di Mosca è durissima: l’accusa nei confronti di

Saakashvili è di aver violato gli accordi di cessate il fuoco del 1994 che

prevedono la sola presenza nella zona di forze d’interposizione. La

reazione degli Stati Uniti è invece di preoccupazione: pur ribadendo il

sostegno alla ricerca di una integrità territoriale georgiana Washington

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Page 42: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

aveva diffidato Saakashvili su un eventuale intervento a Sukhumi.

Nonostante gli ammonimenti da est e da ovest Saakashvili non demorde e

ad inizio agosto lancia un programma di addestramento per 100 mila

riservisti nascondendosi dietro le dichiarazioni ufficiali di non voler fare

ciò per “iniziare una guerra, ma perché non vogliamo che la facciano a

noi”. Il suo scopo è mobilitare la società contro un nemico comune. Nelle

settimane successive prima l’arresto in massa di membri

dell’opposizione, incolpati di stare preparando un golpe finanziato da

Mosca, poi la decisione della Nato di aprire un “dialogo intensivo” con la

Georgia per premiare gli sforzi di allineamento, lanciano la volata pre-

elettorale a Saakashavili. Nel discorso tenuto all’Assemblea delle

Nazioni Unite il 22 settembre 2006 Saakashvili continua nella sua

operazione di propaganda pre-elettorale: accusa in mondovisione Mosca

di voler annettere le due regioni separatiste, chiede il ritiro delle truppe

d’interposizione, minaccia una soluzione militare della questione con

l’appoggio di chi vorrebbe risolvere il contenzioso in maniera diversa e,

sicuro dell’appoggio degli occidentali, afferma che “ogni tentativo di

strappare un pezzo di territorio georgiano vedrà l’opposizione dei nostri

partner principali”. Il 27 settembre, in seguito all’arresto di “spie” russe

in terra georgiana, a cui viene dedicato un’ampia eco da giornali e

televisioni , il Cremlino decide di adottare la linea dura. Le prime azioni

sono sanzioni economiche, rimpatrio dei georgiani presenti illegalmente

in Russia, blocco delle comunicazioni e dei trasporti e ritiro della

rappresentanza diplomatica a Tbilisi.

Il partito di Saakashvili riesce nel frattempo ad ottenere la vittoria alle

elezioni amministrative del 5 ottobre, ma gli effetti della strategia

propagandistica si ripercuotono contro la Georgia. Mosca fa sul serio e

l’Occidente blocca Saakashvili e i suoi falchi. La Russia decide di

giocare la carta del gas: attraverso Gazprom impone alla Georgia un

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Page 43: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

aumento delle tariffe che raggiungono i 230 dollari per ogni mille metro

cubo, invece degli abituali 110, a partire dal 2007. Saakashvili, messo

nell’angolo, risponde che presto la Georgia potrà sfruttare altre fonti

energetiche alternative e si rifiuta di consegnare nelle mani di Gazprom

gli asset energetici georgiani per non veder tagliata la fornitura. Non

contento il presidente rilancia la decisione di riprendersi l’Abkhazia e

minaccia gli osseti per il referendum sull’indipendenza del 12 novembre.

E’ a quel punto che interviene Washington con l’invito a terminare le

tensioni con Mosca. Saakashvili obbedisce e decide la rimozione del

bellicoso ministro della Difesa Irakli Okruashvili, dichiarandosi pronto al

dialogo con Mosca. I temi sul tavolo delle relazioni sono sempre gli

stessi: i conflitti in stand-by di Abkhazia e Ossezia del Sud.

2.7 – La Georgia filo-occidentale (e la Nato)

In seguito al crollo dell’Unione sovietica la Georgia negli anni ’90 si è

prontamente incamminata verso ovest. Tra tutti gli stati della Comunità

degli Stati indipendenti la Georgia è sicuramente quello più orientato

verso gli Stati Uniti, oltre ad essere il più in conflitto con la Russia. Lo è

stato durante il decennio di Shevarnadze e lo è ancora di più con il suo

successore, Mikhail Saakashvili eletto sulla scia della “rivoluzione delle

rose”.

La disponibilità al passaggio di una pipeline energetica fortemente voluta

dagli Stati Uniti, l’ospitalità offerta ai militari americani per operazioni di

addestramento delle povere e impreparate truppe georgiane, la

concessione del controllo di ministeri e strutture pubbliche ai diplomatici

di Washington, ma anche il percorso intrapreso per l’ingresso

nell’Alleanza atlantica, sono tutti tasselli di un orientamento verso

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Page 44: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

occidente al quale ormai solo la Russia può porre fine. Parallelamente

all’aumento della presenza americana nel paese si è anche stretto il

rapporto tra la Georgia e la Nato: nel maggio 2003 il segretario generale

della Nato George Robertson, durante una visita in Georgia, dichiara che

“la regione del Caucaso è d’importanza cruciale per la sicurezza

dell’intera area euratlantica”, individuando in Georgia, Azerbagian e

Armenia le “avanguardie dell’opposizione alle minacce del XXI secolo”4.

A partire dalla metà degli anni novanta con l’adesione di Tbilisi al

programma Partnership for Peace cui segue, nel 2004, l’adesione

all’Ipap, organo attraverso il quale l’Alleanza atlantica monitora i

requisiti minimi dello stato caucasico per essere accettata come membro,

i contatti si rafforzano. In questa direzione vanno anche gli adeguamenti

delle risorse militari che devono soddisfare le esigenze della Nato, e la

firma, nel 2005, di un accordo di concessione di transito attraverso gli

spazi marittimi, terrestri ed aerei ad armamenti e truppe alleate. Il passo

successivo è l’inserimento della Georgia nel meccanismo di pre-

adesione alla Nato: nel settembre 2006 viene infatti inserita nella fase del

dialogo intensificato (Intensified Dialogue), ossia il passo precedente

prima dell’inserimento nel “Piano d’azione per l’adesione”(Map). La

Georgia guarda alla Nato perchè l’Alleanza atlantica è la miglior garanzia

di protezione dell’indipendenza da aggressioni esterne, mentre l’Unione

Europea rappresenta lo spazio democratico nel quale la Georgia sarà al

riparo per sempre5. Oltre all’avvicinamento graduale all’Alleanza

Atlantica nel 2004 la Georgia viene inclusa nel programma dell’Unione

Europea “European Neighbourhood Policy”, rafforzando in questo modo

anche le relazioni con la sfera europea.

4 “NATO welcomes Georgia’s aspirations for Alliance Membership http://www.civil.ge/eng/article.php?id=4207&search=George%20Robertson5 Limes 2006 “In Georgia le rose stanno appassendo”

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Page 45: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Scontato dire che Mosca non vuole che la Nato entri nell’area

sudcaucasica. Il 21 marzo 2007 la Duma adotta una risoluzione (non

vincolante) che invita “a prendere in considerazione l’opportunità di

accelerare il processo di sovranità ed il riconoscimento di Abkhazia ed

Ossezia del Sud nell’eventualità la Georgia acceleri il processo di

adesione alla NATO”. L’ambasciatore russo alla Nato, Dmitry Rogozin,

interpretava tale risoluzione come una naturale conseguenza della politica

adottata da Tbilisi:“Saakashvili è consapevole che Abkhazia ed Ossezia

del Sud non accetterebbero mai l’adesione alla Nato e dunque le ha

escluse dal referendum dello scorso gennaio: un errore gravissimo poiché

ha escluso questi due territori dalla Georgia”. A frenarne la corsa verso

occidente sono proprio le questioni irrisolte delle due regioni

indipendentiste. Per questo proprio l’occidente a cui la Georgia tanto

aspira ne denuncia la democrazia solo apparente.

2.8 – Le rose e le spine

A partire dal 1989 abbiamo visto come la Georgia abbia dovuto fare i

conti con queste due vere e proprie spine nel fianco: le popolazioni

separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Per quanto concerne

l’Ossezia del sud l’intralcio principale al reintegro della regione ribelle è

la presenza di soldati federali, a cui si aggiunge il legame rafforzatosi

negli anni tra Tskhinvali e Mosca. In questa regione la maggior parte del

territorio è difatti controllato dai russi. Oltre il 90% dei sud-ossetini è in

possesso di passaporto russo e riceve una pensione e uno stipendio da

Mosca. E’ forte anche la propaganda pro-russa: entrando nel centro di

Ckhinvali ci sono manifesti che recitano: ”Putin: il nostro presidente!”. I

documenti ufficiali sono in lingua russa e tutti la parlano benissimo, al

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Page 46: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

contrario del georgiano, ormai in disuso. La storia in Ossezia del Sud

parla dell’unione volontaria alla Russia di quattro secoli fa e

dell’annessione forzata alla Georgia, per colpa della scellerata politica

etnica dell’epoca sovietica. Parla inoltre della chiusura, durante le

incursioni georgiane nel 2004, del mercato di Ergenti, fondamentale per

l’economia sud-ossetina. Per questo resta ferma e decisa la volontà di

tornare liberi e in Russia, riunendosi finalmente con i fratelli dell’Ossezia

del Nord e ottenendo finalmente quel riconoscimento come entità statale

dalla comunità internazionale. Per ottenere ciò gli ossetini non vedono

altra alternativa a Mosca. A dimostrazione della sentita appartenenza alla

Russia il 12 novembre 2006, in Ossezia del Sud, si tengono due distinte

elezioni presidenziali e due referendum sul futuro istituzionale della

regione: nei villaggi controllati dalle truppe separatiste il capo di Stato

uscente, Eduard Kokoiti, ottiene il 95% delle preferenze, in quelli abitati

dai pochi georgiani rimasti nella regione osseta, invece, risulta vincitore

Dmitri Sanakoyev. Anche i risultati dei due referendum danno

indicazioni opposte: nella tornata elettorale organizzata dalle autorità

nella capitale Tskhinvali, i 70mila abitanti dell'Ossezia meridionale

votano, all’unanimità, a favore della conferma dell’indipendenza sancita

dal referendum del 1992; nei villaggi georgiani, invece, i cittadini votano

per il reintegro con la Georgia. La comunità internazionale, anche dopo

le elezioni presidenziali e il referendum continuerà a non riconoscere

l’indipendenza della regione e dunque la legittimità delle votazioni. Il 24

aprile 2007 Saakashvili propone che l’Ossezia del Sud venga governata

da una nuova amministrazione ad interim fino al superamento

dell’impasse attuale: le autorità ossete rifiutano la proposta.

Anche l’Abkhazia rappresenta un’eterna questione irrisolta nello

scacchiere georgiano. La popolazione georgiana considera l’Abkhazia

parte del loro territorio, mentre questa si ritiene uno Stato sovrano, anche

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Page 47: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

se mai riconosciuto da nessuno. Neanche dalla Russia, la quale però

prosegue nel ricco e strategico territorio la stessa politica di

russificazione adottata in Ossezia. La regione possiede 210 chilometri di

coste che le danno una grande potenzialità turistica, industrie alimentari e

di legname, fabbriche chimiche e miniere di carbone. E’ inoltre ricca di

riserve di zinco, piombo e argento. Anche in Abkhazia Mosca concede

facilmente il passaporto russo alla maggioranza della popolazione, paga

la pensione ad oltre 30 mila abkhazi, costruisce una ferrovia che collega

Soci a Sukhumi, cura gratuitamente i malati gravi e regala testi scolastici.

Per l’Abkhazia però, come per l’Ossezia, ciò che ha più valore è il

sentore della storia, come questa viene sentita dalla popolazione la quale

valuta ancora oggi come una forzatura l’inserimento nella Rss di Georgia

ad opera dei Sovietici, considerata un vero e proprio regalo di Stalin alla

madre patria Georgia. Il timore di un nuovo tentativo di annessione si è

riacceso dopo la presa di Kodori, nel luglio del 2006, da parte di

Saakashvili, quando il parlamento chiese ufficialmente a Mosca il

riconoscimento dell’indipendenza come membro associato della

Federazione. Anche in Abkhazia la Russia viene vista coma il solo paese

che può provvedere alla sicurezza e alla salvaguardia del suo futuro.

2.9 – La rielezione di Saakashvili

A dimostrazione di quanto fragile sia la situazione in Georgia dopo mesi

di tregua nella regione osseta si torna a sparare: l’escalation della

tensione prende il via il 3 settembre 2006 con l’abbattimento di un

elicottero militare georgiano su cui viaggiavano il ministro della Difesa,

Irakli Okruashvili, e il vicecapo di stato maggiore dell’Esercito,

colonnello Zaza Gogava, con il velivolo, colpito dalla contraerea delle

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Page 48: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

forze separatiste ossete, che riesce ad effettuare un atterraggio di

emergenza. Cinque giorni dopo i militari georgiani rispondono aprendo il

fuoco contro un posto di blocco delle milizie separatiste, uccidendo tre

osseti: tra le vittime anche un soldato georgiano, con il governo di Tbilisi

che sostiene di aver risposto al fuoco. Nel frattempo nel paese si

organizza l’opposizione al Presidente Saakashvili, che viene addirittura

accusato dall’ex ministro della Difesa Irakli Okruashvili di aver ordinato

l’omicidio di un importante uomo d’affari, Badri Patarkatsishvili (il più

potente magnate mediatico della Georgia ma soprattutto anello di

congiunzione con gli ex oligarchi russi). Le parole di Okruashvili

infiammano la protesta dei georgiani che, nell’autunno 2007, scendono

nuovamente in piazza a migliaia, facendo rivivere alla Georgia il clima

della “Rivoluzione delle Rose”. Lo scopo delle contestazioni era

esprimere la profonda insoddisfazione nei confronti dell’operato del

governo di Saakashvili. La risposta del Presidente è stata estremamente

dura, e lascia non poco perplessa la comunità internazionale: cariche

della polizia contro i manifestanti che provocano circa 250 feriti,

Saakashvili che il 7 novembre dichiara lo stato di emergenza (vietando

qualsiasi tipo di manifestazione), salvo poi tornare sui suoi passi (sotto le

pressioni della comunità internazionale e soprattutto degli Stati Uniti) e

concedere alle opposizioni le elezioni anticipate per il 5 Gennaio 2008.

Le elezioni si svolgono regolarmente e, a detta di molti, si possono

considerare come le elezioni più democratiche mai svoltesi in Georgia. Il

20 gennaio 2008 Mikheil Saakashvili viene ufficialmente investito per la

seconda volta della carica di Presidente della Georgia. Nonostante le

massicce dimostrazioni dei partiti d’opposizione contro Mikhal

Saakashvili, di cui ne chiedevano le dimissioni, e che convinsero lo

stesso Presidente ad optare per il voto anticipato, Saakashvili riesce ad

ottere il 53,47% dei voti, seguito da Levan Gachechiladze con il 25,69%.

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La flessione di Saakashvili è comunque di non poco conto: in soli 3 anni

è passato dal 95% dei consensi al 53%, riuscendo oltretutto a perdere le

elezioni nella capitale georgiana, Tbilisi. Con un’opposizione unita (che

si è presentata alle elezioni proponendo 6 candidati diversi!), avrebbe con

molta probabilità perso le elezioni. Alla cerimonia d’inaugurazione del

suo secondo mandato Saakashvili rilancia la sfida a Mosca: “La nostra

aspirazione ad entrare nella Nato non è volta contro nessun vicino. Noi

vogliamo collaborare con la Russia, essere amici, essere più vicini: basta

buttare pietre, è giunta l’ora di raccoglierle, per la futura generazione alla

quale dobbiamo la risoluzione delle controversie”. Ma la risposta di

Vladimir Putin non sarà altrettanto distensiva. Mosca prima adotta una

risoluzione nella quale invita a tenere in considerazione l’ipotesi di

riconoscere la sovranità alle regioni di Abkhazia e Ossezia del Sud, nel

caso in cui la Georgia acceleri il processo di adesione alla Nato. Poi

minaccia:”adotteremo misure di carattere militare, ma anche di altra

natura per evitare che la Georgia entri a far parte dell’Alleanza

Atlantica”. Parole che suonano come un presagio di ciò che, di li a pochi

mesi, si scatenerà nel territorio georgiano. E’ a partire da questi

presupposti che ci si avvia verso un’escalation oramai inevitabile.

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Capitolo 3 – La Georgia contesa e l’esplosione della crisi del

2008

La storia contemporanea della Georgia post Unione Sovietica è quella di

un Paese combattuto tra le aspirazioni occidentalistiche filo-statunitensi e

la naturale resistenza opposta dal rinato gigante Russo. Al fine di

comprendere meglio il ruolo che hanno svolto nella recente storia

georgiana la Russia e gli Stati Uniti trovo sia fondamentale analizzare le

dinamiche che si celano dietro l’avvicendamento dei governi attraverso la

rivoluzione; che ruolo gioca il fattore energetico della regione; la

strumentalizzazione delle popolazioni separatiste filo-russe; ed infine

l’invio di contingenti americani di addestramento sul suolo georgiano.

Come abbiamo visto la storia della Georgia è stata sempre caratterizzata

da dominazioni venute dall’esterno, in passato per imporre la religione

(cristiana e musulmana), più recentemente per motivi espansionistici o di

contenimento, fino alle motivazioni di natura economica essendo la

Georgia un paese ricco di risorse naturali. Sul finire della I Guerra

Mondiale prima la Turchia, poi la Germania e infine la Gran Bretagna

erano quasi riuscite a mettere le mani su ampi territori georgiani,

puntando in particolare alle riserve di manganese e di petrolio, senza però

riuscire a stabilizzarsi nella regione e soprattutto senza sottrarre il

predominio sovietico sulla regione georgiana. Abbiamo visto poi che nel

1924 gli Stati Uniti riuscirono ad aprire una breccia in Georgia, aprendo

la prima collaborazione economica per la concessione all’americana

Harriman Company dei depositi di manganese di Batumi. Ma è con il

crollo dell’Unione sovietica che la Georgia entra quasi ufficialmente nei

piani geopolitici degli Stati Uniti, che però si scontrano con la rinascita

della Russia la quale, vuoi per motivazioni storiche, vuoi per motivazioni

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Page 51: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

di carattere geografico, utilizza tutte le carte a propria disposizione per

colpire gli interessi statunitensi e far rientrare la ricca Georgia nella

propria orbita.

3.1 – La Georgia tra Mosca e Washington: aspetti politici,

economici e militari

Dopo il colpo di stato paramilitare del 1991 che destituì il dittatore

Gamsakhurdia e determinò la presa del potere del controverso Eduard

Shevarnadze il cui orientamento oscillò, per tutti i 12 anni del suo

governo, tra avvicinamenti con Washington e marce indietro verso

Mosca, gli Stati Uniti in Georgia adottarono una vera e propria strategia

pianificata.

L’idea degli Stati Uniti di proporsi come attore o manovratore in Georgia

nasce nel 1999 con l’approvazione da parte del Senato del “Silk Road

Strategy Act”. Il decreto legge S.579 modificava il Foreign Assistence

Act del 1961, e delineando le linee guida per la costruzione di un nuovo

asse eurasiatico. I paesi interessati erano Armenia, Azerbagian, Georgia,

Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Il suo scopo era

l’incentivazione in questi Stati di riforme economiche e il passaggio alla

democrazia promuovendo la tolleranza, l’indipendenza, la sovranità e il

rispetto dei diritti umani, oltre a puntare ad una risoluzione dei conflitti

regionali. Ma soprattutto si proponeva un forte sostegno economico

attraverso investimenti americani nella regione. Il progetto dal punto di

vista economico mirava ad abbattere barriere e tasse doganali, supportare

la lotta al crimine e al commercio di armi di distruzione di massa,

assistere lo sviluppo delle capacità di controllo delle frontiere e della

cooperazione militare nella consapevolezza che “la regione del Caucaso

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Page 52: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

del Sud può produrre petrolio e gas sufficienti per ridurre la dipendenza

degli Stati Uniti dall’energia proveniente dalla volubile regione del Golfo

Persico”6.

La politica di investimenti statunitense passa attraverso il controllo

politico della regione georgiana, necessario per agevolare la linea

americana. Proprio per questo motivo, in seguito al fallimento nella

gestione dei crediti americani ed internazionali durante gli anni novanta,

Shevarnadze non fu più visto di buon occhio dall’amministrazione Bush

la quale, vedendo un progressivo riavvicinamento del presidente

georgiano a Mosca, nel luglio 2003 mandò Tbilisi l’ex segretario di Stato

James Baker (grande protettore di Shevarnadze), allo scopo di ascoltare

gli interlocutori dell’opposizione. In quell’occasione specialisti americani

suggeriscono tecniche elettorali a loro favorevoli, e Baker si mostra

freddissimo con il presidente. A fine settembre il Dipartimento di Stato

americano invia in Georgia Thomas Adams, con il compito di controllare

lo stato della democrazia georgiana. A Tbilisi il ruolo di tenere rapporti

con l’opposizione viene affidato a Richard Miles (presente a Baku

durante il colpo di stato di Gejdar Aliev e a Belgrado durante la cacciata

di Milosevic). Nei movimenti di piazza che seguirono il voto del 2

novembre 2003 svolge un ruolo attivo il movimento giovanile Kmara!

(Basta!), finanziato – così come la tv dell’opposizione, Rustavi2 – dal

miliardario americano George Soros, in rapporti amichevoli con il leader

dell’opposizione Saakashvili. Quando, il 21 novembre, vengono

annunciati i risultati elettorali che proclamano vincitore il blocco

filopresidenziale, un portavoce del Dipartimento di Stato americano,

Adam Ereli, dichiara: ”Siamo profondamente delusi dai risultati e dal

governo della Georgia. I risultati non riflettono esattamente la volontà del

popolo georgiano, ma brogli massicci al momento del voto”7. Il

6Silk road strategy act of 1999, www.iwa-ait.org/silkroad.html7 Limes – “Georgia tra Mosca e Washington”

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Page 53: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

presidente Shevarnadze viene ufficialmente scaricato dagli Stati Uniti e,

con una popolarità al minimo storico, deve fronteggiare migliaia di

persone che, dopo le elezioni del novembre 2003, scendono in piazza

armati di rose per protestare contro i presunti brogli elettorali. Il Wall

Street Journal, il 24 novembre 2003, attribuisce esplicitamente un ruolo

fondamentale nel rovesciamento del regime di Shevardnadze, ad una

serie di Organizzazioni non governative, supportate da fondazioni

americane ed occidentali (alcune di queste strettamente connesse con

George Soros), all’interno delle quali giovani attivisti inglesi avrebbero

spianato la strada per un cambiamento senza spargimento di sangue. Il

filantropo miliardario Soros non avrebbe però agito indipendentemente:

la “Rivoluzione delle Rose” sarebbe infatti stata pianificata e coordinata

centralmente e segretamente dal governo statunitense8 tramite la Cia

(attraverso l’ambasciatore Richard Miles). La buona riuscita della

“Rivoluzione delle Rose” grazie all’appoggio dell’Occidente la rese un

modello da ripetere, inaugurando così una serie di “rivoluzioni colorate”

all’interno di un processo di cambiamento geopolitico ben definito in cui

rientreranno negli anni a seguire l’Ucraina, il Kirghizstan e la Moldavia.

Per Shevarnadze le rivolte di piazza furono il colpo di grazia. In un

intervista al quotidiano britannico Daily Telegraph confesserà: ”Sono

stato il primo a sostenere gli americani nella loro politica in Iraq. Ma

Washington ha organizzato il mio rovesciamento. Non posso spiegarmi

come ciò sia accaduto”. Il 28 novembre, dopo che la Corte suprema

georgiana decide l’annullamento delle elezioni ed indice nuove elezioni

in data 5 gennaio 2004, il presidente Bush telefona a Nino Burdzhanadze,

divenuta capo di stato ad interim. Bush promette a Tbilisi il pieno

appoggio degli Usa, legittimando di fatto la “Rivoluzione delle rose”. Ai

primi di dicembre giunge a Tbilisi Lynn Pascoe, alto funzionario del

8 Jacob Levich – “When NGOs attack” 11th December 2003, www.conterpunch.com

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Page 54: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Dipartimento di Stato statunitense il quale annuncia uno stanziamento

immediato di 5 milioni di dollari per la sicurezza. Il 5 dicembre è la volta

del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld: promotore del programma

“Train and Equip” con cui dall’aprile 2002 gli americani addestrano le

Forze nuove speciali georgiane in chiave antiterrorostica (giustificazione

che non convince i russi), Rumsfeld si congratula con i vincitori e

promette nuovi aiuti alla difesa, invitando inoltre Mosca ad abbandonare

le basi militari di Akhalkalaki, nella Dzhavakhetia, e di Batumi, capitale

dell’isolazionista Agiaria sul Mar Nero, sede di raffinerie e depositi di

greggio. In realtà la presenza di militari statunitensi sul suolo georgiano

era dovuta, come spiegherà il presidente della compagnia petrolifera

georgiana “International Oil Corporation of Georgia”, Gia Chanturia, alla

necessità di garantire la sicurezza dell’oleodotto Btc. Dopo tutti gli

investimenti fatti in Georgia gli Stati Uniti vogliono anche assicurarsi la

loro sicurezza9.

E’ in questa cornice che si inserisce anche l’accordo siglato tra Georgia e

Stati Uniti, ratificato dal parlamento georgiano il 21 marzo 2003, in base

al quale si concede agli americani il diritto di accedere a spazi riservati e

impianti in Georgia con personale militare e civile che da questo

momento in poi potrà entrare e uscire dal paese senza passaporti o visti,

godrà dei privilegi e delle immunità che sono concesse ai diplomatici e

potrà portare armi sul territorio georgiano. Tutte queste concessioni, a cui

possiamo aggiungere anche il patto bilaterale d’immunità per le truppe

davanti al Tribunale penale internazionale10, sono riconducibili sempre

alla necessità di proteggere le condutture energetiche, ovviamente in

chiave anti-russa.

Le elezioni del 5 gennaio vedono la conferma del leader dell’opposizione

Mikhail Saakashvili. A quel punto la strada per gli Stati Uniti è spianata.

9 www.worldpaper.com/2002/mar03/mission1.html10 Afp, 16/4/2003

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Page 55: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Il 12 gennaio 2004 Lynn Pascoe torna a Tbilisi e promette al trionfante

Saakashvili aiuti e crediti complessivi per 100 milioni di dollari.

Saakashvili in occasione del giuramento di fedeltà alla Costituzione, il 25

gennaio 2004, nella piazza del parlamento promette di ripristinare

l’integrità territoriale della Georgia, di fronte a migliaia di cittadini, alle

nuove Forze speciali e a una ventina di rappresentanti di Stati esteri, tra

cui il segretario di Stato americano Colin Powell e il ministro degli Esteri

russo Igor Ivanov.

Saakashvili, dopo una campagna elettorale scandita dallo slogan

“Riprendiamoci la Georgia” e dichiarazioni come “Noi non abbiamo

bisogno di Mosca come nemico, ma come amico e potente alleato.

Voglio che l’amicizia si sviluppi e si rafforzi, se in Russia capiranno che

la Georgia non è uno Stato vassallo, ma un paese indipendente e sovrano.

Noi abbiamo i nostri interessi nazionali, la Russia ha i suoi”. Promette di

ristabilire, durante il proprio mandato, la piena sovranità di Tbilisi

sull’Ossezia meridionale, Abkhazia e Agiaria, tutte filorusse.

Saakashvili esclude il ricorso alle armi ma sa di non potersi “rassegnare

allo smembramento della Georgia”. Mentre i leader abkhazi e ossetini dal

canto loro si dicono pronti a ricorrere alle armi se Tbilisi tenterà di

imporre con la forza la sua sovranità. Putin non nega il diritto della

Georgia a difendere e ristabilire la perduta integrità territoriale, ma il

presidente russo, consapevole dell’orientamento delle popolazioni

separatiste, aggiunge che “si deve tenere conto delle particolarità dei

popoli della montagna (ossetini e abkhazi)”. Durante il primo viaggio di

Saakashvili all’estero in veste di presidente della Georgia non mancano le

proposte per la risoluzione delle questioni di Ossezia del Sud e Abkhazia.

La soluzione russa è la federalizzazione della Georgia che però è il

contrario di quanto propone l’unitarismo centralizzatore di Saakashvili.

Oltretutto senza l’appoggio politico ed economico di Mosca, Abkhazia e

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Page 56: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Ossezia come Stati indipendenti non esisterebbero. Intanto la situazione

delle basi Usa in Georgia resta ambigua. Colin Powell nel gennaio 2004

rassicura Putin con l’annuncio che il programma “Train and Equipe” si

sarebbe concluso nel maggio 2004, assicurando che non sarebbero

rimaste basi permanenti, ma solo missioni militari temporanee. Un altro

problema riguarda la protezione militare del Btc. Il dubbio è se

basteranno le Forze speciali addestrate a Tbilisi.

I rapporti con Mosca rappresentano per la Georgia un dilemma di non

poco conto anche sul piano militare. Per questo Saakashvili comincia ad

accusare Mosca di fomentare il separatismo nelle regioni di Abkhazia ed

Ossezia del Sud, con l’obiettivo di punire un paese che ha deciso di porsi

fuori dalla sua orbita. Con l’alibi delle forze peacekeeper, truppe russe

che dal 1993 controllano la sicurezza della zona, Mosca garantisce, oltre

al business del contrabbando e la corruzione che ingrassa l’auto-

indulgente nomenklatura putiniana11, la destabilizzazione degli interessi

georgiani legati al passaggio degli oleodotti. La presenza russa servirebbe

indirettamente a colpire anche gli interessi statunitensi che, come

abbiamo visto, sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni.

L’ultima questione riguarda l’evacuazione delle due basi militari che,

chiede Mosca, si devono regolare bilateralmente tra Mosca e Tbilisi.

Mosca chiede 11 anni di tempo, mentre Tbilisi chiede tre anni. La

situazione sembrerà sul punto di sbloccarsi grazie all’accordo del 30

maggio 2005, con il quale la Russia si impegna a chiudere le ultime due

basi russe in territorio georgiano, e precisamente quella di Akhalkalaki

(al confine armeno) e di Batumi (sulla costa del Mar Nero) con il ritiro

dei tremila soldati russi entro e non oltre la fine del 2008. Nel 2004

tuttavia non mancano segnali distensivi nei rapporti tra Mosca e Stati

Uniti, come si evince dalla dichiarazione di Colin Powell: ”La presenza

11 Pavel Felghenhauer, Moscow Times

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Page 57: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

americana in Georgia ha il fine di aiutarla contro la minaccia terrorista

che là esiste. In questo modo, si aiuta anche la Russia”.

La contesa russo-americana si ripete nell’estate del 2004 in occasione

dello scoppio della crisi tra Tbilisi e Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del

Sud: il fallimento dell’operazione militare di Saakashvili, nata dal

pretesto della lotta al contrabbando di droga ed armi lungo l’asse stradale

Vladikavkaz-Tskhinvali-Tbilisi, viene mediata da Washington. A metà

agosto dopo un colloquio telefonico tra il segretario di Stato Colin Powell

e il ministro degli Esteri russo Lavrov, si interrompono gli scontri a fuoco

tra sud-ossetini e georgiani. Scontri che riprenderanno in maniera

sporadica verso la fine di ottobre. La Georgia ritira comunque i militari

dall’Ossezia del Sud e i sud-ossetini liberano i prigionieri georgiani.

In quest’occasione, grazie alla mediazione di Washington, si è evitato un

coinvolgimento diretto, nel caso il conflitto fosse degenerato, della

Russia. La mediazione però non avviene nel successivo conflitto

scatenato da Saakashvili a Kodori, piccola regione dell’Abkhazia, che il

presidente ha la necessità di conquistare per assicurarsi la vittoria alle

elezioni amministrative. In quel caso gli Stati Uniti avevano espresso

preoccupazione: pur ribadendo il sostegno alla ricerca di una integrità

territoriale georgiana Washington aveva diffidato Saakashvili per un

eventuale intervento verso Sukhumi. Nonostante gli ammonimenti da est

e da ovest Saakashvili prosegue sulla strada della militarizzazione: ad

inizio agosto lancia un programma di addestramento per 100 mila

riservisti giustificando il gesto come autodifesa da eventuali attacchi

esterni. Il suo scopo è mobilitare la società contro un nemico comune.

Nelle settimane successive prima l’arresto in massa di membri

dell’opposizione, incolpati di stare preparando un golpe finanziato da

Mosca, poi la decisione della Nato di aprire un “dialogo intensivo” con la

Georgia per premiare gli sforzi di allineamento, lanciano la volata pre-

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Page 58: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

elettorale a Saakashavili. Nel discorso tenuto all’Assemblea delle

Nazioni Unite il 22 settembre 2006 Saakashvili continua nella sua

operazione: accusa in mondovisione Mosca di voler annettere le due

regioni separatiste, chiede il ritiro delle truppe d’interposizione, minaccia

una soluzione militare della questione con l’appoggio esterno degli alleati

e, sicuro dell’appoggio degli occidentali, afferma che “ogni tentativo di

strappare un pezzo di territorio georgiano(…)vedrà l’opposizione dei

nostri partner principali”. Il 27 settembre, in seguito all’arresto di “spie”

russe in terra georgiana, a cui viene dedicato un’ampia eco da giornali e

televisioni , il Cremlino decide di adottare la linea dura. La prima

ritorsione sono le sanzioni economiche, il rimpatrio dei georgiani presenti

illegalmente in Russia, blocco delle comunicazioni e dei trasporti e ritiro

della rappresentanza diplomatica a Tbilisi. Il partito di Saakashvili riesce

comunque ad ottenere la vittoria alle elezioni amministrative del 5

ottobre, ma gli effetti della strategia propagandistica si ripercuotono

contro la stessa Georgia. Mosca fa sul serio e l’Occidente blocca

Saakashvili e il suo staff. La Russia decide quindi di giocare la carta del

gas: attraverso Gazprom obbliga la Georgia a pagare 230 dollari per ogni

mille metro cubo, al posto degli abituali 110 dollari, a partire dal 2007.

Saakashvili risponde che presto la Georgia potrà sfruttare altre fonti

energetiche alternative e si rifiuta di consegnare nelle mani di Gazprom

gli asset energetici georgiani per non veder tagliata la fornitura, e nel

frattempo cerca un accordo contrattuale con l’Azerbaijan per la fornitura

di gas. Non contento il presidente rilancia la decisione di riprendersi

l’Abkhazia e minaccia gli ossetini per il referendum sull’indipendenza

del 12 novembre. L’ennesima mediazione di Washington con l’invito a

terminare le tensioni con Mosca spinge Saakashvili ad obbedire, optando

per la rimozione del bellicoso ministro della Difesa Irakli Okruashvili.

Ma i conflitti di Abkhazia e Ossezia del Sud restano in stand-by. Le due

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regioni separatiste sono sempre sotto l’ala protettrice di Mosca. Pedine

inconsapevoli, insieme alla Georgia, di un gioco ben più grande di loro:

la lotta per l’influenza nella regione transcaucasica che Mosca e

Washington iniziano a giocare a salma dell’Urss ancora calda. La Russia

di oggi però è cosa ben diversa dal paese uscito dalle ceneri sovietiche.

Nessuna risoluzione dei conflitti georgiani è possibile senza il suo

coinvolgimento. E senza pace l’allargamento Nato in Caucaso è

rimandato a data da destinarsi. Mosca è consapevole della quantità di

risorse e contributi che l’Occidente ha elargito alla Georgia. Ma sa di

avere la forza per contrastarne l’efficacia. All’apice della crisi russo-

georgiana del settembre 2006 è lo stesso Putin ad indicare generici

sponsor stranieri dietro le mosse della dirigenza georgiana (nota piè di

pagina Limes- Bush non sfonda in Georgia). Assegna al suo ministro

degli Esteri il compito di fare nomi e cognomi: ”la dinamica degli

avvenimenti che hanno preceduto l’arresto degli ufficiali russi –

denunciava Lavrov – testimonia un certo ruolo degli Stati Uniti

nell’acutizzarsi della tensione. Così come della Nato”. Forte

dell’appoggio popolare il presidente russo applica pesanti sanzioni

economiche alla Georgia, allo scopo di danneggiare l’immagine del

collega georgiano, e se possibile farlo cadere. Ma queste azioni suonano

soprattutto come un avvertimento all’Occidente del ritorno della potenza

russa, per cui in nessuna parte del globo dove essa coltivi suoi interessi, e

soprattutto nella sua area, è possibile attaccarla. E’ la determinazione di

Putin a suggerire a Washington di frenare gli slanci nazionalistici di

Saakashvili, e alle Nazioni Unite di accettare la proposta di condanna

della Georgia chiesta da Mosca, e già bocciata all’inizio della crisi del

2006. Le Nazioni Unite attribuiscono le tensioni alle operazioni

georgiane, le cui truppe vengono accusate di violazione degli accordi del

1994, chiedendo l’immediato ritiro delle truppe non autorizzate, oltre al

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prolungamento della missione d’interposizione Unomig fino all’aprile

2007, e auspicando una ricerca di soluzione della crisi senza avventurarsi

in azioni provocatorie e nella retorica militare.

Il documento viene accolto con soddisfazione da Mosca.

Tornando agli Stati Uniti, dopo l’avvento di Saakashvili nel 2005

lanciano in Georgia il Sustainment and Stability Program (Ssop), un

piano che prevede una spesa di 60 milioni di dollari affinché i marines

addestrino battaglioni di fanteria per operazioni in Iraq al fianco degli

americani. Prosegue anche il Georgia Border Security and Law

Enforcement Program (attivo dal 1997). Inoltre molti esperti americani

sono impegnati a Tbilisi in numerosi ministeri: Finanze, Agricoltura,

Sviluppo Economico ed Energia. Questo grazie soprattutto alle

Organizzazioni non governative e a partner locali come l’American Bar

Association Central European and Eurasian Law Iniziative, che assiste la

riforma del potere giudiziario, o la Development Alternatives

Incorporated, che aiuta lo staff del presidente e del primo ministro nella

comunicazione. Gli statunitensi sfruttano anche il potente mezzo

televisivo per “diffondere buoni valori”: nel 2005 creano un programma

televisivo per ragazzi georgiani, Kid’s Crossroads. Al crescere della

presenza americana in Georgia segue, in parallelo, un rapporto sempre

più stretto tra la repubblica sud-caucasica e la Nato. Ma il Cremino è

attento a tutte le dinamiche che avvengono all’interno della Georgia e

all’esterno, e non sta a guardare. La Russia lascia pure che i georgiani

intitolino la grande strada che collega l’aeroporto di Tbilisi a George

W.Bush, o che gli americani si inseriscano nella società georgiana, ma sa

che alla fine i conti dovranno farli con Vladimir Putin. La Russia cerca di

sfruttare altri mezzi per destabilizzare il potere georgiano: nel settembre

2007 sul principale canale televisivo dell’opposizione, l’ex ministro della

Difesa Irakli Okruashvili, lancia pesanti accuse al presidente Saakashvili:

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viene incolpato di aver commissionato l’omicidio di Badri

Patarkatsishvili, il più potente magnate mediatico della Georgia ma

soprattutto anello di congiunzione con gli ex oligarchi russi vicini a

Putin. Okruashvili viene arrestato e costretto a fuggire all’estero dopo

aver ritrattato le accuse rivolte al presidente ma, quando la miccia delle

proteste contro il governo era già stata accesa (la gente protestava

soprattutto per il fallimento delle politiche di Saakashvili), l’ex ministro

in un nuovointervento televisivo dall’estero rilancia le stesse accuse. I

principali media diffondono le dichiarazioni dei servizi di sicurezza

georgiani secondo i quali esisterebbe un ramificato network spionistico

(“i georgiani del Cremlino”) che la Russia avrebbe attivato per

scombussolare la vita democratica della Georgia in occasione delle

elezioni del 2007, per questo la pressione russa avrebbe coinvolto gli

oppositori del regime di Saakashvili12. Evidentemente alla Russia non

basta il ricatto energetico e l’interferenza attraverso le regioni separatiste

per fronteggiare la fuga verso Occidente della Georgia. Nel 2008, dopo la

risicata rielezione di Saakashvili, la Russia torna a minacciare il governo

georgiano attraverso le dure parole del Ministro degli Esteri Sergej

Lavrov, lanciate dalle frequenze di radio Eco di Mosca, in cui ribadisce

l’impegno del Cremlino di voler fermare con ogni mezzo possibile

l’allargamento della Nato a ridosso dei confini sud-occidentali della

federazione. La Russia, come più volte nel corso della recente storia

georgiana, continuerà ad usare a proprio vantaggio la situazione delle due

regioni separatiste non solo contro Tbilisi, ma anche contro chiunque

voglia esercitare ingerenze negli affari interni della Russia.

12 l’Occidentale, 14 novembre 2007, http://www.loccidentale.it/autore/gabriele+cazzulini/c%E2%80%99%C3%A8+la+russia+dietro+l%E2%80%99opposizione+in+georgia.009088

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3.2 – L’economia georgiana sulla via del neoliberismo

La Georgia nonostante la ricchezza di materie prime non ha praticamente

mai avuto, nel corso della sua lunga storia, un’economia florida.

Le contraddizioni interne, le conquiste e le spartizioni hanno reso la vita

economica del paese costantemente instabile. Recentemente però, con

l’avvento di Shevarnadze prima, e con il suo successore Saakashvili poi,

la Georgia ha l’opportunità di beneficiare di ingenti somme di denaro ed

investimenti provenienti dall’estero. Nel giugno 2002 il Dipartimento di

Stato americano annuncia di “aver finanziato dal 1992 per circa

1,1miliardi di dollari programmi di assistenza in Georgia, oltre ad aver

versato 408 milioni dal Dipartimento della Difesa e da donazioni di

associazioni umanitarie private”. Una quantità di denaro che, in

proporzione alla popolazione, si avvicina ai finanziamenti indirizzati

dagli Usa verso Egitto e Israele. Nonostante gli aiuti dal punto di vista

economico si è già analizzato come sotto Shevarnadze le privatizzazioni

siano fallite, così come i programmi contro la povertà, fascia nella quale

vive oltre la metà della popolazione. La disoccupazione,

abbondantemente superiore all’11% ufficiale, costringe all’emigrazione

oltre 700 mila persone; gli stipendi e le pensioni si aggirano mediamente

intorno ai 20 dollari al mese. Il fallimento di queste politiche, dovuto

probabilmente all’incapacità di gestire tali ingenti crediti per un paese da

sempre abituato alla povertà (spesso infatti finiscono nelle mani di

pochi), spingono nella metà del 2003 il Fondo Monetario Internazionale e

gli Usa a sospendere gli aiuti. Solo con la “Rivoluzione delle Rose” e

l’affermazione di Saakashvili riprenderà il flusso di crediti provenienti

dall’America: nel dicembre 2003 Miles annuncia lo stanziamento di 21

milioni di dollari per pagare salari e stipendi arretrati, e per fornire

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riscaldamento a metà Georgia. Appena insediato il governo Saakashvili

destina 295 milioni di dollari allo sviluppo economico del paese, dando

già nei primi mesi una forte scossa alla vita economica del paese,

lanciando una dura lotta alla corruzione. Il governo favorisce poi

l’afflusso di nuovi crediti da parte del Fondo Monetario Internazionale13 e

della Banca Mondiale, nonostante un debito estero di 1.8 miliardi di

dollari. La Georgia post rivoluzionaria ha avuto come primo obiettivo

quello di aprire il paese all'economia di mercato ed agli investimenti

esteri, con la consulenza delle istituzioni finanziarie internazionali e di

agenzie governative statunitensi come USAID e la BISNIS, che hanno

avuto un'attenzione particolare nell'aiutare le imprese statunitensi a fare

buoni affari14. In cambio delle nuove linee di credito ricevute la Georgia

deve dare una direzione neo-liberista alla propria economia, in modo da

creare un “un ambiente ideale per gli investimenti”. Per questo la Georgia

è anche andata incontro a massicce privatizzazioni, “controverse e spesso

confuse”. Nei primi mesi di governo Mikhail Saakashvili lancia un

grande piano di privatizzazioni: la legge sulla “Privatizzazione delle

Proprietà di Stato”, che escludeva dalla privatizzazione le fonti d'acqua,

le ricchezze minerarie, le foreste e le aree protette, i musei, i teatri e i

luoghi di interesse storico culturale, i porti di importanza nazionale, le

ferrovie, i gasdotti, i santuari, le autostrade, le strutture aeroportuali, le

poste, la televisione di stato, la telefonia, e infine gli impianti elettrici e

idrici15. Se tra il 2000 e il 2003 la Banca Mondiale registrava

privatizzazioni per 20 milioni di dollari complessivi, solo negli anni 2005

e 2006 la Georgia ha privatizzato industrie e infrastrutture per 900

13 Lettera d’Intenti, maggio 2004 - http://www.imf.org/External/NP/LOI/2004/geo/01/14 Business information service for Newly Indipendent States http://www.bisnis.doc.gov/bisnis/whoweare.cfm15 Law of Georgia, “On Privatization and Transfer with the Right of Use of State Property and Local Self-Government Unit Property“ 11.07.2007, N5295) http://www.aplr.org/files/2/8rz8yw9vzj.pdf

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milioni di dollari. Sul piatto anche le telecomunicazioni (90 milioni), la

distribuzione di energia (85 milioni), i gasdotti che furono al centro di un

giallo quando il presidente che annunciò di poter vendere alla russa

Gazprom e gli Stati Uniti che fecero pressioni per il contrario. «Non è

importante per noi avere qualcosa posseduto dallo stato. L'importante è

avere tutte le grandi compagnie privatizzate, o in via di privatizzazione»

dichiarava Kakha Bendukitze, responsabile del grande piano di

privatizzazioni lanciato nel 200416. Per essere ancora più trasparenti il

Ministero per lo Sviluppo Economico ha aperto un sito internet,

www.privatization.ge, annunciando nella homepage che il sito del

Ministero per lo Sviluppo Economico è supportato dalla Georgia

Enterprise Growth Initiative (GEGI), finanziata dall'Agenzia Statunitense

per lo sviluppo economico (USAID). Sul sito è disponibile un catalogo

delle proprietà (terreni, edifici, aziende) in vendita, ed un elenco delle

proprietà già vendute. Il settimanale britannico Economist scriveva:

”Dimenticate eBay. Se volete acquistare un aeroporto internazionale, una

piantagione di te, una pompa di benzina, un vigneto, una compagnia

telefonica, uno studio cinematografico, semplicemente chiamate Kakha

Bendukidze, il nuovo ministro dell'economia georgiano. Per un prezzo

adeguato è pronto a mettere sul piatto anche la Tbilisi State Concert Hall

o la zecca nazionale. Bendukidze sta facendo tutto quello che un

businessman potrebbe desiderare da un governo”17. Non è difficile

associare questo stravolgimento dell’economia della Georgia in direzione

neoliberista alle riforme standard che vengono solitamente riconosciute

con l’espressione “Washington Consensus”, ovvero le linee guida

indicate e promosse, non a caso, da Fondo Monetario Internazionale,

16Eurasianet.org, “Privatization in Georgia” http://www.eurasianet.org/departments/business/articles/eav071905.shtml17

Kakha Bendukidze, a different sort of oligarch http://www.economist.com/people/displaystory.cfm?story_id=2963216

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Page 65: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Banca Mondiale e Tesoro degli Stati Uniti. Questa politica varrà alla

Georgia una scalata nella classifica dei Paesi in cui è conveniente fare

business, fino a raggiungere il 18° posto nella classifica mondiale stilata

da “Doing Business”18 agenzia legata alla Banca Mondiale. Nel 2006 la

classifica dell’Heritage Foundation’s Index of Economic Freedom dà

alla Georgia una buona posizione nel mondo per libertà economica

(mostly free), al pari di Italia, Francia e Spagna; mentre in base agli studi

del “Corruption Perception Index” (CPI) dell’istituto Transparency

International nel 2007 la Georgia si attesta al 3.4%, un dato molto

significativo perchè le permette di uscire dalla soglia dei paesi con

“significativi problemi di corruzione”19. Anche i dati economici

dell’Asian Development Bank forniscono indici di notevole

miglioramento della performance economica negli ultimi tre anni: dal

2004 il PIL georgiano cresce in media del 8,3% (prima era del 7,1%),

mentre il PIL pro capite ha raggiunto nel 2006 una media di 605.2 lari, in

netto aumento rispetto ai 533.5 lari dell’anno precedente. A tale crescita

tuttavia non corrisponde ancora una riduzione della disoccupazione

(attestatasi nel 2006 intorno al 13,6%) né dell’inflazione, al 9% nel 2006.

Gli investimenti esteri continuano comunque a crescere in modo

vertiginoso: nel 2006 sono aumentati del 450% (per un ammontare di 1,7

miliardi di dollari) rispetto all’anno precedente, mentre nel 2007 si

registra una ulteriore crescita del 50%. Tuttavia, secondo numerosi

analisti internazionali, i dati reali smentiscono i dati economici e gli

effetti di questa stagione di riforme di politico-economiche hanno dubbie

ricadute sulla popolazione.

18 Doing Business 2010 http://www.doingbusiness.org/ExploreEconomies/?economyid=7419 Trasparency International Georgia http://www.transparency.ge/index.php?lang_id=ENG&sec_id=142

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Page 66: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

3.3 – La Georgia contesa da Mosca e Washington: la questione

energetica

La questione energetica georgiana, a partire dalla seconda metà degli

anni ’90, si può considerare l’aspetto chiave dell’intreccio dei rapporti tra

Georgia, Stati Uniti e Russia, e viaggia attraverso le condotte delle

pipeline. Sotto la guida di Shevarnadze si inaugura, il 17 aprile 1999,

l’oleodotto della Western Route, il Baku-Supsa, alla presenza del

Presidente azero Aliyev e del coordinatore del Dipartimento del

Commercio degli Stati Uniti per la regione del Mar Caspio, Richard

Morningstar. Con soddisfazione si assiste alla partenza delle prime

petroliere che trasportavano il petrolio diretto in Spagna e Italia. La

Western Route tuttavia, dopo soli tre anni di operatività a pieno regime,

dimostra una scarsa capacità di trasporto, che non avrebbe soddisfatto la

crescente estrazione di petrolio. A quel punto, dopo una lunga trattativa

per scegliere i territori che avrebbero ospitato la pipeline, Stati Uniti,

Azerbaijan e Turchia decidono che un nuovo oleodotto, più capiente,

avrebbe dovuto attraversare la Georgia. Decisiva ai fini della scelta fu la

forte pressione degli Stati Uniti consapevoli della funzione strategica di

una nuova pipeline: l’obiettivo era tagliare fuori i russi dal nascente

corridoio energetico20. Shevarnadze assicura il suo appoggio alla

costruzione del l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, fortemente voluto da

Washington, consapevole della necessità di bypassare la rete degli

oleodotti russi. Lo scopo dell’oleodotto Btc, che tra vari problemi vedrà

l’apertura ufficiale dei lavori di costruzione il 18 settembre 2002, è difatti

creare una via che sottragga alla Russia il controllo monopolistico dei

flussi del greggio caspico, controbilanciando l’influenza nella regione

20 Saponaro, Manes, Tricarico: “E noi italiani? Le responsabilità italiane nella costruzione e nel finanziamento dell’oleodotto Btc nella regione del Caspio” CRBM, 2003

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Page 67: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

caspico-sudcaucasica, oltre a quello di rafforzare l’asse turco-georgiano-

azero, essenziale per il mantenimento dell’influenza statunitense nella

regione. Il Btc farà affluire in Occidente, percorrendo 1740 chilometri a

partire dal 2005, oltre 5,2 miliardi di barili di greggio nell’arco di 40

anni. Il petrolio sarà estratto da campi azeri. A gestire la costruzione del

Btc, è un consorzio petrolifero, con sede alle Isole Cayman, guidato dalla

compagnia britannica British Petroleum (BP), con il 30%, insieme alle

partecipazioni dell’azera Socar con il 25%, la statunitense Unocal con il

9%, la norvegese Statoil con l’8%, la turca Tpao con il 6%, l’italiana ENI

e la francese Total-Fina-Elf entrambe con il 5%21, oltre ad altre

compagnie minori. Il costo totale sostenuto dal consorzio guidato dalla

British Petroleum è di 2,9 miliardi di dollari. Oltre al consorzio sono ben

15 le banche private coinvolte nel Btc: formano un consorzio che ad

inizio febbraio 2004 ha assicurato un contributo di più di 1 miliardo di

dollari (ripartite in quote individuali di 68 milioni), il piu' grosso project

finance degli ultimi anni. Tra gli altri fanno parte del consorzio le italiane

Banca Intesa e San Paolo Imi22. Gli interessi occidentali sul progetto e

quindi sull’intera area si fanno preponderanti.

Proprio a tutela di questi crescenti interessi geoeconomico-energetici

vanno inquadrate le presenze di militari statunitensi in pianta stabile sul

suolo georgiano (che come abbiamo già visto erano ufficialmente in loco

per il programma di addestramento delle truppe georgiane “Train and

Equipe”); truppe che ricevono la visita del consigliere politico della

British Petroleum, John Gerson, allo scopo di constatare i progressi dei

militari georgiani23.

21 Oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, Eni http://www.eni.it/it_IT/eni-nel-mondo/baku/oleodotto-baku.shtml22 Scheda progetto Btc, http://www.crbm.org/modules.php?name=browse&mode=page&cntid=15423 www.eurasianet.org/departments/business/articles/eav012503.shtml

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Page 68: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

In una lettera del segretario Usa all’Energia, Spencer Abraham,

indirizzata al presidente Shevarnadze, vi si afferma con chiarezza che il

corridoio energetico est-ovest è una “priorità del governo americano”24,

ben consapevole del fatto che le pipeline sono anche un mezzo per il

controllo sociale ed economico del territorio: promettono sviluppo, posti

di lavoro e petrodollari. Né l’oleodotto Btc, inaugurato il 13 luglio 2006,

e presentato come la “Via della seta del XXI secolo” né i crediti e gli

aiuti concessi alla Georgia hanno dato però i risultati sperati. Le scelte di

Shevernadze, anche dal punto di vista energetico, si dimostrano

equidistanti da Mosca e Washington: nel maggio 2002 l’amministratore

delegato della Gazprom russa, Alerei Miller, ha concluso un pre-accordo

con il presidente georgiano per la creazione di una partnerhsip strategica

che vede il gigante petrolifero russo impegnato nella fornitura di quantità

aggiuntive di gas alla Georgia e nella ristrutturazione per 250 milioni di

dollari del sistema di gasdotti georgiano; nel luglio 2003 la Georgia cede

al monopolio elettrico russo Ees il controllo di parte della rete elettrica e

di alcune imprese distributrici, come la Telasi di Tbilisi nella quale aveva

investito anche una società americana. Anche dal punto di vista

energetico il petrolio del Caspio ripropone la contrapposizione tra le due

super potenze: l’oleodotto azero-georgiano-turco, il Btc, voluto da

Washington, cui Mosca continua ad essere ostile; e quello controllato dai

russi, il Tengiz-Tikhoreck-Novorossiysk (Ktk). Al tempo stesso le

forniture energetiche di Mosca e l’apertura del mercato russo sono per

Tbilisi una necessità, rappresentando un forte strumento di pressione e di

condizionamento a disposizione della Russia. La crisi del settembre 2006

tra Mosca e Tbilisi rende l’idea della capacità di ricatto economica di cui

la Russia dispone nei confronti della vicina Georgia grazie alla leva

energetica. Putin fa lanciare a Gazprom una pesante “tassa” sul gas che, a

partire dal gennaio 2007, costerà più del doppio (230 dollari per ogni 24 www.intefax.com/com?item=search&pg=20&id=5635200&req=georgia

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Page 69: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

mille metro cubo). Saakashvili risponde facendo riferimento a fonti

alternative della Georgia, ma in realtà tacendo sul reale controllo che

Mosca esercita in Georgia dal punto di vista energetico. Nel settore del

gas Tbilisi è interamente dipendente da Mosca, le società che controllano

il mercato interno sono due: una kazaka, la Tbilgazi, l’altra russa, la Iter

Georgia, divisa in 10 società, una per ogni regione georgiana. L’import

del gas dalla Russia è invece gestito, oltre che dalle due società citate,

anche dalle russe Gazexport (della Gazprom), e da Energy Invest,

controllata dalla Vnesekonombank. Nel settore dell’energia elettrica

invece, tra l’ottobre 2006 e l’agosto 2007, è stata prevista l’importazione

dalla Russia di 233,9 milioni di kwh. Ad occuparsi della fase di

produzione e distribuzione sono le due centrali idroelettriche di Khrami-1

e Khrami-2, di proprietà dell’ente monopolistico russo Raoes, e le due

centrali termoelettriche, una della Energy Invest e l’altra della Mtkvari

Energetica, sempre della Raoes. La fase di trasmissione è invece affidata

ad una società mista (al 50%) russo-georgiana, la SakRusEnergo25.

L’economia georgiana, per quanto riguarda il fondamentale e redditizio

settore energetico, è dunque ancora sotto il controllo di Mosca.

Washington però non sta a guardare e nel settembre 2005 firma l’accordo

Millennium Challenge Account, un progetto che prevede il

finanziamento di 295,3 milioni di dollari per i prossimi cinque anni

destinati al ripristino di infrastrutture regionali e allo sviluppo delle

imprese. Nel solo 2006 il governo Usa ha stanziato 85,7 milioni di dollari

per la Georgia. Mentre l’Usaid, l’agenzia americana per lo sviluppo, ha

elargito dal 1992 al 2006 circa 774 milioni di dollari alla Georgia. Queste

analisi economiche sono utili a comprendere come lo scontro tra Stati

Uniti e Russia per il controllo della ricca Georgia si giochi su due piani

apparentemente diversi, ma strettamente collegati: quello politico-

25 “dati forniti il 7 novembre 2006 dalla Georgian National Energy Regulatory Commission

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Page 70: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

militare, e quello economico-energetico. Mentre gli Stati Uniti utilizzano

tutti gli strumenti diplomatici a loro disposizione, usando anche

l’Alleanza Atlantica, ed elargendo investimenti in concerto con il Fondo

Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, la Russia finanzia le

pensioni e gli stipendi delle regioni separatiste per mantenere l’instabilità

nel Paese, riuscendo a mantenere il controllo su buona parte della regione

georgiana, e sfrutta il proprio potenziale energetico come forma di

ricatto. Entrambe poi utilizzano il fattore culturale per incrementare la

propria influenza sulla popolazione: in Georgia gli Usa si affidano ad un

programma televisivo per giovani, mentre la Russia cerca di diffondere e

radicare in Ossezia e Abkhazia i propri valori, la propria lingua e la

propria identità. E’ quindi in questo quadro di interessi intrecciati,

investimenti e sfere d’influenza che si creano i presupposti per lo scoppio

della crisi georgiana nell’agosto del 2008,che fa subito venire alla mente

una nuova e più evoluta Guerra Fredda tra Washington e Mosca.

3.4 – Il preludio della guerra

Nel giugno 2008 nella regione georgiana torna a salire la tensione. Il

conflitto tra la Georgia e le regioni separatiste sembra congelato, ma ci

vorrà poco per innescare l’escalation di guerra.

Il partito di Mikhail Saakashvili, Movimento Nazionale Unito, era

riuscito a riaffermarsi alle elezioni legislative del 2008, permettendo così

al presidente di poter contare su 120 seggi (su un totale di 150); intanto le

proteste di piazza delle opposizioni che denunciano brogli non si placano.

A questa difficile e instabile situazione interna si aggiunge lo scontro

frontale tra Mosca e Tbilisi, attraverso le regioni separatiste. Nella

regione abbiamo visto che è schierato dal 1992 un contingente “misto”,

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Page 71: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

col ruolo di mantenimento della pace, composto da tre battaglioni: russo,

georgiano e osseto. Tbilisi chiede da tempo una nuova missione a guida

Osce, per eliminare la presenza di militari russi sul territorio, mentre al

momento l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa

ha solo funzioni di ’osservatore’ nella regione. In breve tempo tanti

piccoli segnali minacciosi fanno presagire alla guerra: l’abbattimento da

parte dei russi di un aereo spia georgiano sul territorio abkhazo, cui segue

il dispiegamento di 300 militari russi in Abkhazia (che si aggiungono ai

2500 già presenti); un attentato georgiano con una bomba all’interno del

mercato della città abkhaza di Gagry; la provocazione del presidente

abkhazo, Sergei Bagapch, che minaccia un’immediata chiusura delle

frontiere con la Georgia, come risposta alle provocazioni georgiane. Il

terreno di scontro si estende anche in Ossezia. Il 7 luglio la Georgia

effettua un bombardamento notturno sulla capitale dell’Ossezia del Sud,

Tskhinvali, giustificando l’attacco come una risposta obbligata al fuoco

osseta: il bilancio è di 3 morti e 11 feriti. Le autorità di Tskhinvali

smentiscono di aver attaccato per primi, ma si preparano alla risposta.

Nei giorni successivi si susseguono gli attacchi da una parte e dall’altra:

una bomba esplode nel villaggi osseto di Dmenis, uccidendo un

comandante delle milizie separatiste. Poche ore dopo un’altra bomba

esplode al passaggio dell’auto del capo dell’Amministrazione provvisoria

dell’Ossezia del Sud, Dimitri Sanakoev, fedele al governo georgiano. Il

funzionario riesce a scampare all’attentato. Intanto la Russia comincia a

farsi sentire invitando la Georgia a “terminare l’uso della forza in Ossezia

e ad essere coerente con i segnali distensivi che arrivano da Tbilisi”. Ma

così non sarà. Il 7 luglio quattro esplosioni colpiscono la città abkhaza di

Sukhumi, un’altra bomba esplode in un bar, mentre la città sud-osseta di

Ubiat è bersagliata da granate georgiane. Gli attacchi non generano

vittime, ma dimostrano che la Georgia fa sul serio come testimonia la

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Page 72: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

dichiarazione del Ministro degli Esteri georgiano, Eka Tkeshelashvili: «Il

rischio di un conflitto armato con la Russia è reale. Noi non invadiamo

niente, è solo un pretesto di cui si servono i russi», chiedendo alla

comunità internazionale il dispiegamento di un contingente misto

proveniente da altri Paesi, allo scopo di sottrarre il controllo del territorio

ai russi. Intanto l’Abkhazia, dichiara che i continui attacchi georgiani

sono “terrorismo di Stato” e decide, il 7 luglio, di porre fine ad ogni

contatto con Tbilisi, chiedendo all’Onu e all’Osce di prevenire la

minaccia terroristica proveniente dalla Georgia. La Russia a questo punto

smaschera gli Stati Uniti accusandoli, per voce del ministero degli Esteri,

di “coprire le provocazioni georgiane, azioni di Tbilisi che possono

portare la regione sull’orlo di un conflitto armato, con conseguenze

imprevedibili”. Scopo del presidente georgiano sarebbe, secondo Mosca,

“distruggere il mantenimento della pace nella regione, che funziona da 15

anni, allo scopo di sostituirla con nuove strutture di peacekeeping di

maggiore gradimento per i georgiani”. E’ in questo senso che va

inquadrata la richiesta di Tbilisi di cambiare la composizione delle forze

di interposizione nelle regioni secessioniste. Le minacce e gli scontri

diplomatici proseguono: russi e georgiani si accusano a vicenda di

violazione dello spazio aereo in Ossezia del Sud, mentre Tbilisi ritira il

suo ambasciatore in Russia ufficialmente per consultazioni e minaccia

l’abbattimento di qualsiasi velivolo russo sul proprio territorio. Per la

Russia ogni tentativo di mediazione statunitense non sarà preso in

considerazione. La delicata mediazione viene allora affidata alla

Germania che si pone a capo di un folto gruppo di Paesi, attraverso le

Nazioni Unite. Il piano tedesco, che prevede il ritorno in Abkhazia di 250

mila georgiani fuggiti nel 1992, viene respinto dal leader abkhazo Sergei

Bagapsh. Il 21 luglio la repubblica sud-osseta accusa Tbilisi del sequestro

di quattro cittadini: sarebbe stata, sostiene il dipartimento georgiano, una

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Page 73: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

risposta all’arresto di un cittadino georgiano. La situazione sembra ormai

precipitare: Tbilisi accusa Mosca di voler annettere l’Abkhazia mentre il

Cremino sostiene che la Georgia vuole recuperare la regione

indipendentista con la forza.

3.5 – Agosto 2008: “la guerra dei cinque giorni”

Il 4 agosto la Russia accusa la Georgia di fare un “uso sproporzionato

della forza” nella provincia autonoma dell’Ossezia del Sud, invitando

Tbilisi a non aggravare la situazione. Nel giorni precedenti una serie di

scontri in Ossezia del sud aveva causato sei morti e almeno 15 feriti.

Secondo i leader separatisti, la capitale regionale Tskhinvali è stata

attaccata deliberatamente con l'obiettivo di provocare vittime civili.

Siamo al 6 agosto e Mosca si dichiara pronta a difendere i cittadini russi

in caso di conflitto accusando Tbilisi di aver inviato aerei militari in

ricognizione nel Sud Ossezia. Il governo georgiano nega, ma la tensione

tra le forze georgiane e la repubblica sudosseta è in continuo aumento.

L’Ossezia del Sud, al centro della contesa, lancia un ultima proposta di

dialogo, proponendo una trattativa che coinvolga Georgia, Russia,

Ossezia del Nord e del Sud. La Georgia chiede invece l’esclusione di

Mosca dal tavolo delle trattative. Il giorno seguente, in seguito alla

mancata apertura del confronto, in Ossezia del Sud riprendono gli scontri

e, mentre venti carri armati georgiani si dirigono verso il confine

meridionale dell’Ossezia del Sud, i cittadini cominciano ad abbandonare

la capitale Tskhinvali. L'8 agosto 2008, pochi minuti dopo la mezzanotte,

un alto ufficiale del ministero della Difesa georgiano dichiara che “la

Georgia aveva deciso di riportare l'ordine costituzionale nell'Ossezia del

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Page 74: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Sud”: comincia l’accerchiamento del capoluogo separatista da parte delle

forze di Tbilisi. E’guerra aperta.

L’Abkhazia dichiara da subito il proprio sostegno all’Ossezia del Sud.

Per Tbilisi è l’occasione, come emerge dalle dichiarazioni del generale

georgiano Mamuka Kurachvili, per “restaurare l’ordine costituzionale”

nelle province ribelli. Nel frattempo villaggi osseti e lo stesso capoluogo

sono presi di mira da massicci bombardamenti e da violenti assalti da

parte dei georgiani. La diplomazia che fino all’8 agosto aveva fallito

cerca di rimettersi al lavoro: Saakashvili, mentre piovono bombe sul sud

Ossezia, offre ai separatisti piena autonomia della regione; il Consiglio di

Sicurezza dell’Onu si riunisce, su richiesta della Russia, per discutere

l’escalation della guerra tra la Georgia e l’Ossezia del Sud allo scopo di

“evitare un bagno di sangue”, ma l’appello russo cade nel vuoto: il

Consiglio di Sicurezza non riesce a pervenire ad un accordo condiviso.

Di fronte allo stallo diplomatico il ministro della Difesa georgiano decide

di aumentare la pressione sui separatisti mobilitando i riservisti e, quando

oramai Tskhinvali è accerchiata dalle forze georgiane, i militari abkhazi

aprono un secondo fronte sul confine georgiano. A poche ore dall’inizio

del conflitto, consapevole della necessità di difendere le proprie

popolazioni, la Russia valuta l’ingresso in prima persona nel conflitto:

alle dichiarazioni di Putin che minaccia “una risposta alle azioni

aggressive della Georgia” seguono – secondo fonti georgiane – i primi

raid aerei russi che cominciano a sorvolare la Georgia sganciando due

bombe sulle città di Kareli e Gori. Tra la popolazione civile ossetina si

contano già decine di morti, così come tra i militari delle forze

d’interposizione russe appartenenti alla Csi. Il presidente russo

Medvedev allora, dopo aver smentito i raid aerei denunciati dai

georgiani, riunisce il Consiglio di sicurezza nazionale russo per discutere

la strategia da adottare. Nel frattempo Vladimir Putin, da Pechino dove è

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Page 75: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

in corso la cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici, dichiara che “le

truppe georgiane hanno, a tutti gli effetti, iniziato le ostilità usando tank e

artiglieria. Questo provocherà rappresaglia”. Intanto la capitale

dell’Ossezia del Sud viene dichiarata quasi totalmente distrutta in seguito

alle prime ore di bombardamenti dal comandante delle forze di pace

russe nella regione. E’ a questo punto che le truppe russe vengono

avvistate nei pressi dell’Ossezia del Sud. I carri armati della 58esima

armata russa attraversano il tunnel di Roki – che separa l'Ossezia

settentrionale da quella meridionale – segnando ufficialmente l'entrata in

guerra della Russia26. Proprio mentre la prima colonna di blindati russi

entrava a Tskhinvali, i jet russi cominciavano a bombardare la base

militare georgiana di Vaziani, a 15 km da Tbilisi. Mikhail Saakashvili,

sorpreso dalla pronta risposta russa, accusa Mosca di aggressione

all’interno del territorio sovrano della Georgia e invoca l’intervento degli

Stati Uniti “in difesa della questione georgiana e dei valori americani”. Il

premier russo Putin dichiara da Pechino, durante un colloquio con il

presidente americano George W. Bush, che “in Ossezia del Sud è

scoppiata una guerra, dopo che la Georgia ha attaccato le forze di

interposizione russe”. La replica americana è affidata al Segretario di

Stato Condoleeza Rice la quale esorta i russi a “fermare gli attacchi in

Georgia, ritirare le truppe dall’Ossezia del Sud e rispettare la sovranità

nazionale georgiana”. Si susseguono nel frattempo gli annunci dal fronte

di guerra. Sia le forze separatiste che le unità militari georgiane

dichiarano di avere il controllo della capitale sud osseta, dove è in corso

una guerriglia. Il giorno seguente la Russia attacca la capitale georgiana,

Tbilisi, con bombardamenti mirati verso le infrastrutture, mentre anche a

26 - v. International Crisis Group, Russia against Georgia: the fallout, Europe Report n. 195, 22 agosto 2008, pag. 1: “At approximately 1:30am, tank columns of the Russian 58th Army started crossing into Georgia from the Roki tunnel separating North and South Ossetia. Apparently, the Russians had anticipated, if they did not actually entice, the Georgian move”

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Page 76: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Gori una postazione di artiglieria viene colpita dai bombardamenti russi.

A poche ore dall’inizio del conflitto i profughi che lasciano la sud

Ossezia sono oltre 30 mila. Il presidente georgiano dichiara lo “stato di

guerra” e propone una tregua immediata e l’avvio della smilitarizzazione

in Ossezia del Sud. Putin replica che l’intervento russo è legittimo,

sostenendo che in Ossezia del Sud sarebbe “in atto un vero e proprio

genocidio” ad opera dei georgiani. A questo punto da carnefice la

Georgia si trasforma in vittima: le dichiarazioni ufficiali provenienti da

Tbilisi sono un grido d’aiuto alla comunità internazionale per far fronte

all’invasione della Russia. Nel frattempo si apre un altro fronte per i

georgiani, attaccati anche dai separatisti abkhazi, i militari russi

riconquistano Tskhinvali, costringendo le truppe georgiane al ritiro dalla

capitale sud-osseta. Intanto da Washington arrivano dichiarazioni di

condanna nei confronti della Russia, e di solidarietà alla Georgia: Dick

Cheney, il vice-presidente americano, dichiara che “l’aggressione della

Russia non può restare senza risposta”. Altrettanto dichiara Bush, che

definisce “inaccettabile la violenza della Russia nei confronti della

Georgia”. Mentre Saakashvili, durante una teleconferenza internazionale

dichiara che “l’obiettivo della Russia non è l’Ossezia del Sud ma tutta la

Georgia e le sue rotte energetiche, e non si fermerà finché non ci avrà

conquistato”. Nel conflitto intanto le milizie abkhaze riconquistano le

gole di Kodori, l’area che nel 2006 Tbilisi aveva sottratto agli abkhazi

con la forza per assicurarsi la vittoria alla tornata elettorale. Mentre la

guerra è in una situazione di stallo la diplomazia discute sulle

responsabilità: l’ambasciatore russo all’Onu, Vitali Ciurkin, accusa gli

Stati Uniti di “aver appoggiato l’attacco georgiano contro l’Ossezia del

Sud del 7 e 8 agosto. E’ difficile pensare che Saakashvili sarebbe andato

tanto lontano da lanciare una sfida senza qualche forma di approvazione

dagli Usa, magari una tacita approvazione”; a difesa dell’intervento russo

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Page 77: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

si schiera a sorpresa Nicolas Sarkozy, presidente francese, dichiarando

che “è assolutamente normale che la Russia voglia difendere gli interessi

dei suoi compatrioti nel suo paese e dei russofoni fuori dalla Russia”

discostandosi dal coro unanime di critiche alla Russia provenienti

dall’Occidente. Il 13 agosto con il conflitto georgiano ancora in corso la

Russia apre uno scontro diplomatico anche con l’Ucraina colpevole,

secondo Mosca, di aver imposto restrizioni alla libertà di movimento

della flotta russa sul Mar Nero. Contemporaneamente gli Stati Uniti

concludono l’importante accordo con la Polonia sullo scudo spaziale in

chiave anti-russa.

E’ a partire da quel momento che la diplomazia comincia ad adoperarsi

concretamente per la pace, grazie soprattutto al trattato di pace proposto

dall’Unione Europea, guidata dal presidente francese Sarkozy, con

l’appoggio degli Stati Uniti. In concomitanza arriva però la storica

decisione della Georgia di ratificare, all’unanimità, l’uscita dalla

Comunità di stati indipendenti, sottoscritta all’indomani della caduta

dell’Urss.

Nella successiva conferenza stampa Mikhail Saakashvili, alla presenza

del segretario di stato Usa Condoleeza Rice, accusa la Russia di aver

programmato l’intervento militare in Georgia da mesi, e la Nato di non

aver voluto includere la Georgia nella propria membership per paura di

ritorsioni russe. Il 12 agosto è il giorno del cessate il fuoco grazie alla

firma, da parte del presidente russo Medvedev, dell’accordo di pace dei

sei punti, mediato da Sarkozy27, a cui segue l’annuncio russo in base al

quale “il ritiro delle truppe comincerà il 18 agosto, dopo l’attuazione

delle misure aggiuntive di sicurezza”. Intanto arrivano le prime

importanti aperture all’ingresso nella Nato della Georgia anche da parte

tedesca, tutto questo mentre il presidente georgiano Saakashvili chiede a

27 Protocollo d’accordo, http://smr.gov.ge/uploads/file/cf_text_w__sig.pdf

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Page 78: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

gran voce che “forze Ue e Osce controllino l’effettivo ritiro delle truppe

russe le quali non dovranno restare sul suolo georgiano, dopo averci

attaccato, in qualità di peacekeeper”. Intanto, tra smentite e annunci

controversi, inizia il ritiro delle truppe, lo scambio di prigionieri tra

Georgia e Russia, e la revoca dello stato di guerra in Abkhazia introdotto

l’11 agosto. La Russia continua però la propria guerra sul piano

diplomatico, questa volta direttamente in sede NATO con la quale

sarebbero a rischio i rapporti a causa della riunione del Consiglio su

richiesta della Georgia, Consiglio colpevole, secondo la Russia, di non

aver preso sul serio la richiesta di riunione dopo l’attacco della Georgia

in Ossezia del Sud. Sarà il ministro degli esteri russo Lavrov a

preannunciare che “ci saranno senz’altro conseguenze nei rapporti fra

Russia e NATO”. Mosca denuncia quindi il tentativo della Georgia di

riorganizzare una nuova offensiva incoraggiati dall’appoggio della Nato,

e rivede il piano di cooperazione militare del 2008, congelando di fatto i

rapporti fino a nuovo ordine. Secondo la Russia intanto sarebbe la

Georgia a non rispettare i patti del piano Ue in relazione al ripristino

delle posizioni antecedenti il conflitto e sottolinea il pericolo che navi da

guerra statunitensi, canadesi e polacche si installino, entro la fine del

mese, nelle acque del Mar Nero in funzione anti-russa. Il 19 agosto arriva

finalmente l’approvazione della bozza di risoluzione delle Nazioni Unite

che chiede “il ritiro immediato delle forze russe, e il ritorno delle forze

georgiane alle loro basi” e prevede tre punti per il cessate il fuoco: il

ritiro truppe russe, ritiro delle truppe georgiane, e l’impegno del

Consiglio a tornare ad affrontare la questione. A testimonianza che la

questione georgiana riveste notevole interesse anche per i paesi dell’area

eurasiatica il presidente siriano Bachar al-Assao denuncia i “tentativi dei

Paesi occidentali di isolare la Russia sulla scena internazionale. Noi

sosteniamo completamente la Russia. La Georgia ha provocato la crisi

78

Page 79: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

ma l’Occidente accusa la Russia”. Da Washington, mentre il governo

turco autorizza l’ingresso nel Mar Nero di due unità militari statunitensi

diretti in Georgia, George W.Bush dichiara che “Ossezia del Sud e

Abkhazia fanno parte della Georgia, la cui integrità territoriale deve

essere garantita”. Mentre il 22 agosto ha inizio ufficialmente il ritiro delle

truppe russe, e nel frattempo cominciano a trapelare dichiarazioni che

aiutano a comprendere cosa abbia scaturito l’escalation di guerra:

l’inviato Usa alla Nato, Kurt Volker, dichiara che “gli Stati Uniti avevano

messo in guardia la Georgia contro ogni tentativo di riprendersi il Sud

Ossezia”. L’ambasciatore ha raccontato di aver avvertito Tbilisi, prima

dell’inizio della crisi, che la Russia stava solo aspettando una scusa per

far entrare le sue truppe in Georgia. Scusa che Mosca ottenne quando alla

vigilia del 7 agosto scorso i soldati georgiani si avventurarono in Ossezia

del Sud. “Anche il giorno precedente l’entrata di soldati georgiani in Sud

Ossezia avevamo detto: non fatelo, non entrate in conflitto, non è nei

vostri interessi”. Anche dalla Georgia arrivano dichiarazioni di

ammissione di colpa: “La Georgia non si aspettava che la Russia

rispondesse alla sua dimostrazione di forza in Ossezia del Sud, e non era

preparata all’assalto che ne è conseguito. Disgraziatamente non avevamo

attribuito abbastanza importanza a quell’eventualità, e non eravamo

preparati ad affrontarla”. A dichiararlo è il vice ministro georgiano della

difesa Batu Kutelia in un’intervista al Financial Times.

Il bilancio finale sarà: la morte di 170 militari georgiani, 14

poliziotti georgiani e 228 civili georgiani; di 67 militari russi; e di

365 osseti (militari e civili); e il ferimento di oltre 2000 persone, sia

militari che civili. I profughi del conflitto furono 135.000, fra i quali

restano ancora 35.000 sfollati28.

28 Rapporto Ue dell'IIFFMCG (Indipendent International Fact-Finding Mission on the Conflict in Georgia – Missione Indipendente Internazionale per l'Accertamento dei Fatti del Conflitto in Georgia)

79

Page 80: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

3.6 – Le conseguenze del conflitto

1. Abkhazia e sud Ossezia indipendenti

A ritiro delle truppe in corso il Consiglio della federazione, il Senato

russo, approvava all’unanimità un appello del Cremino per il

riconoscimento dell’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia: Il

leader sudosseto, Eduard Kokoity, afferma che “Ossezia del Sud e

Abkhazia hanno motivi più forti, sia dal punto di vista giuridico che

politico, all’indipendenza di quanti ne abbia avuti il Kosovo”. Arrivano

durissimi gli ammonimenti da tutta la comunità internazionale, in

particolare da Stati Uniti e dall’Unione Europea, e anche dall’Italia, ma

nonostante le minacce anche la Duma approva la richiesta di

indipendenza delle regioni separatiste georgiane da sottoporre al

Cremlino. In concomitanza con l’imminente approvazione

dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud risale la tensione

militare: unità della flotta russa si stabilizzano al largo delle coste

abkhaze, mentre nuove navi della Nato si avvicinano al settore nord-

orientale del Mar Nero. Si teme il peggio.

Il 26 agosto 2008, a guerra praticamente conclusa, sfidando le pressioni

americane e della comunità internazionale, il presidente russo Dmitry

Medvedev riconosce l’indipendenza delle due regioni dell’Ossezia del

Sud e dell’Abkhazia. Lo annuncia lo stesso Medvedev in un discorso alla

nazione in diretta tv, comunicando di aver firmato i decreti per il

riconoscimento dei due territori indipendenti. Per Saakashvili è una vera

e propria disfatta politica. Ad oggi solo Venezuela e Nicaragua, oltre

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Page 81: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

ovviamente alla Russia, hanno riconosciuto l’indipendenza delle due

regioni separatiste georgiane.

2. La preadesione alla NATO

Il riconoscimento dell’indipendenza alle due regioni separatiste Abkhazia

e Ossezia del Sud, oltre ad aprire nuovi scenari internazionali riguardo

all’integrità degli Stati nazionali, ha sancito la vittoria politica, prima

ancora che militare, della Russia. Questo soprattutto a causa di una

insensata guerra che Saakashvili ha voluto lanciare senza un reale

sostegno, che andasse oltre gli annunci, degli Stati Uniti. Il presidente

georgiano sostiene di aver attaccato per legittima difesa perché i russi

stavano già avanzando in Ossezia. Putin invece ritiene che la Russia sia

stata attaccata (nelle due regioni da lei amministrate nella pratica) e che

l’amministrazione americana volesse una guerra per favorire il candidato

americano John McCain. A caldo è stato sicuramente complicato

analizzare le diverse responsabilità di Georgia e Russia, e soprattutto di

Russia e Stati Uniti, ma quel che resta è la sconfitta di Saakashvili e

indirettamente di Washington, che ha permesso a Putin di annettere di

fatto le regioni separatiste georgiane, mantenendo sul territorio 7.600

soldati collocati in due basi militari russe (dopo l’abbandono delle truppe

di Batumi e Akhalkalaki, nel rispetto degli accordi di Istanbul del 199929

seguiti al trattato di Istanbul), e assicurandosi di fatto il controllo delle

vie energetiche georgiane. La gestione dei flussi d’energia provenienti

dal Caspio, come abbiamo visto in precedenza, ha un ruolo chiave nella

costruzione del meccanismo d’accerchiamento atlantico, a cui si

29 OSCE, documento di Istanbul 1999, http://www.osce.org/documents/mcs/1999/11/4050_it.pdf

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Page 82: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

contrappone anche l’importanza che il fattore energetico ha assunto

nell’azione internazionale russa, sia economicamente che come

strumento di pressione, a partire dalla dissoluzione dell’Urss.

Per questo l’esibizione di forza russa nella repubblica caucasica ha

evidentemente lo scopo di affermare la propria presenza e parallelamente

di contrastare il progetto americano. L’oleodotto Btc in particolare

rappresenta innanzitutto un oggetto militare, questo perchè i suoi tubi

scorrono attraverso numerose zone di conflitto, la loro difesa è destinata a

servire da motivo dell’estensione dell’influenza Nato nell’area caucasica.

Dal punto di vista interno il dopoguerra ha portato in Georgia un

inasprimento delle posizioni antirusse da parte del regime di Saakashvili

il quale ha aumentato il potere, soprattutto sulla sfera economica, sotto il

suo diretto controllo, favorito anche dall’incombente crisi economica

internazionale. Tra gli effetti negativi di questo aumento del potere c’è

sicuramente un intensificazione del sentimento di impunità degli agenti

governativi, spesso colpevoli di corruzione, che è sfociata gradualmente

in una mancanza del rispetto della legge. Il Parlamento viene sempre più

spesso chiamato con l’appellativo di “notaio del governo”, essendo

diventato una vera e propria appendice del Pubblico Ministero e

dell’intero esecutivo. Il controllo esercitato dal potere sui mass media in

generale, e in particolare su tutti i canali televisivi, è diventato

schiacciante e tende a reprimere ogni voce di dissenso30. La Georgia

nella classifica mondiale sulla libertà dell’informazione del 2009 si

piazza infatti al 128° posto (tra i paesi partly free)31. Tra le conseguenze

del conflitto “dei cinque giorni” nelle relazioni internazionali la Georgia

ha soprattutto incrementato il dialogo con l’Alleanza atlantica. La

Georgia è infatti stata inserita nel piano di adesione della NATO, nel

30 Ispi, Post war Georgia, 17 aprile 200931 Freedom of the press 2009 (http://www.freedomhouse.org/uploads/fop/2009/FreedomofthePress2009_tables.pdf)

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Page 83: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

dicembre 2008, che prevede la presentazione di un rapporto annuale sui

progressi fatti nel raggiungere i criteri stabiliti: la NATO provvede poi a

rispondere a ciascun paese con suggerimenti tecnici e valuta

singolarmente la situazione dei progressi. L’Alleanza ha inoltre deciso di

rinnovare la propria open door policy, in particolare l’ingresso di Ucraina

e Georgia, già sancito dalla dichiarazione finale del vertice di Bucarest

dell’aprile 2008. Nel settembre 2008 la Nato e la Georgia hanno stabilito

la NGC (Commissione Nato-Georgia) allo scopo di sorvegliare

l’assistenza fornita dall’Alleanza stessa alla repubblica caucasica, e

soprattutto per seguire al meglio il processo iniziato a Bucarest. Nel

dicembre 2008 durante il vertice dei ministri degli Esteri, è stato

ulteriormente confermato l’Anp (Annual National Programme) che

richiederà ai due paesi importanti sforzi sulla strada delle riforme e della

stabilizzazione all’interno, coordinato dall’NGC. Un'altra importante area

di cooperazione che si è aperta tra la Georgia e la NATO in seguito al

conflitto russo-georgiano riguarda il supporto ad operazioni militari. La

Georgia ha infatti iniziato a contribuire attivamente all’ISAF

(International Security Assistance Force) in Afghanistan, e oggi supporta

anche l’Operation Active Endeavour, un programma di operazioni anti-

terrorismo nel mar Mediterraneo. Nel maggio 2009 poi la NATO ha

inviato, sempre a testimonianza di un crescente interesse nei confronti

della Georgia, mille soldati provenienti da 18 Paesi che hanno effettuato

esercitazioni in una base militare georgiana a nord di Tbilisi, con il

deciso consenso del presidente Saakashvili. Esercitazioni che non hanno

mancato di suscitare proteste da parte dell’opposizione e minacce da

parte di Mosca. A conflitto russo-georgiano concluso la NATO ha anche

cercato una riconciliazione con la Russia: “il dialogo e la cooperazione

tra la NATO e la Russia sono importanti ai fini della nostra capacità di

affrontare congiuntamente le comuni sfide e minacce alla sicurezza”,

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Page 84: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

hanno dichiarato i capi di stato e di governo. Il conflitto russo-georgiano

dell’agosto 2008 aveva interrotto il dialogo sviluppatosi dal vertice di

Pratica di Mare, nel maggio 2002, attraverso il Consiglio NATO-Russia.

Nel Consiglio, i paesi membri e la Russia siedono adesso a livello

paritario e dialogano su un ampio spettro di programmi, che spazia dalla

lotta contro il terrorismo alle iniziative di non proliferazione e alla

riforma del settore sicurezza. Lo scorso 5 marzo la decisione di riattivare

il Consiglio NATO-Russia è stata ufficializzata dai ministri degli Esteri

riuniti in Consiglio Atlantico allo scopo di rilanciare il dialogo politico e

la cooperazione pratica con la Federazione Russa, pur nelle rispettive

divergenze di fondo32.

3. Il White Stream Project

Altra equilibrio mutato in seguito al conflitto russo-georgiano è quello

relativo agli asset energetici: la prospettiva è quella di ricreare la Via

della seta del XXI secolo di cui la Georgia sarà tassello fondamentale. In

particolare, nell’aprile 2009, si sono finalmente gettate le basi per la

creazione del White Stream pipeline, un nuovo gasdotto il cui progetto

era stato proposto per la prima volta nel 2005 dall’Ucraina e elaborato

successivamente dalla società londinese GUEU White Stream Pipeline

Company, a partecipazione georgiana. La capacità iniziale del White

Stream sarà di 8 miliardi di metri cubi (BCM) all’anno di gas trasportati,

ma a pieno regime permetterà di trasportare fino a 32 miliardi di metri

cubi (BCM) all’anno di gas proveniente dal Mar Caspio e dal Azerbaijan,

attraverso la Georgia e il Mar Nero, all’Ucraina, la Romania per

approdare infine nei mercati europei. La gestione della fase bellica e

32 Ispi, Il vertice Nato di Strasburgo-Kehl, aprile 2009

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Page 85: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

post-bellica delle istituzioni georgiane, così come le rassicurazioni fornite

dal governo di Saakashvili relativamente alla stabilità e continuità

politico-economica (con la gestione “quasi” trasparente delle proteste di

piazza dell’opposizione) ai partner economici occidentali, hanno

permesso una maggiore concretezza nel portare avanti il White Stream

project. Per la Georgia la nascita del White Stream rappresenta sicurezza

di investimenti stranieri e autonomia energetica dalla Russia; mentre per

l’Europa significa assicurarsi una nuova fonte di approvvigionamento di

gas allo scopo di diversificare le fonti e allontanare lo spettro di una

eccessiva dipendenza dal gas russo33, decisione alla base delle nuove

politiche energetiche comunitarie. Sembra quindi ormai inevitabile e

realistica la concretizzazione di un progressivo rafforzamento dei legami

tra la Georgia, fondamentale territorio di transito delle condotte, e

l’Europa. Per questo un’ipotesi non trascurabile e non così lontana dalla

realtà nel futuro prossimo della Georgia potrebbe essere un ingresso

nell’UE che faccia da scudo nei confronti della Russia.

33 Eurasianet , “White Stream: Georgia’s ticket to the pipeline big time?, 4/22/09 http://www.eurasianet.org/departments/insightb/articles/eav042209b.shtml

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Page 86: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Figura 1 - GUEU -White Stream Route options34

34 Roberto Pirani, GUEU –White Stream Pipeline Company Limited

86

Page 87: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Capitolo 4 – Rappresentazione della crisi e ruolo dei media

La guerra di Georgia è stata sicuramente una guerra combattuta, da ambo

le parti, contemporaneamente sul campo e sui mezzi d’informazione e di

propaganda. Come scriveva l’ideologo austriaco Edward Bernais, nel

trattato Propaganda, “la manipolazione cosciente e intelligente delle

opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante in una

società democratica. Coloro che regolano i meccanismi nascosti della

società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il vero potere

dominante. Noi siamo governati, le nostre menti vengono modellate, i

nostri gusti formati, le nostre idee ispirate in gran parte da uomini di cui

non abbiamo mai sentito parlare. (…) Quasi tutte le azioni della nostra

vita – in politica, negli affari, nella nostra condotta sociale, nelle nostre

valutazioni morali – sono dominate da un numero relativamente piccolo

di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di

comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la

mente delle persone”35. Questa manipolazione viene effettuata con ancor

maggiore intensità durante gli eventi bellici, eventi che sconvolgono

l’opinione pubblica e che necessitano di un più alto livello di controllo

sociale. Un esempio di come avvenga ciò viene fornito dalla guerra del

Kosovo: il 6 settembre 2001 la Corte Suprema di Pristina sancisce che i

miliziani serbi del dittatore Milosevic, nel 1998-99, furono responsabili

di violenze ai danni della minoranza albanese, ma non di un genocidio.

La Corte ha anche le prove che il drammatico esodo di 890 mila persone

dal Kosovo non fu provocato dai miliziani serbi, come ci venne detto in

quei giorni, ma dalla paura delle bombe statunitensi durante i raid dei

primi giorni dell’offensiva. La notizia, che viene data dall’agenzia

Reuters e dall’italiana Ansa, è importantissima perché consente di

35 E.Bernays, Propaganda, IG Publishing, 1928

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Page 88: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

ricostruire quei drammatici fatti rivelando le insidie dell’informazione di

guerra. Per anni Milosevic ha fatto massacrare decine di migliaia di

persone in Bosnia e in Croazia tra l’indifferenza dell’Occidente, ma il

dittatore di Belgrado è stato punito l’unica volta in cui non aveva

commesso crimini contro l’umanità. L’intervento, voluto

dall’amministrazione Clinton, era stato presentato come umanitario, per

porre fine ad un lungo periodo di atrocità nei Balcani. La particolarità fu

che quando la presidenza americana decise di ricorrere alla forza,

Washington disse agli americani e al mondo che l’intervento militare era

necessario per fermare un eccidio inevitabile, anzi già in atto. I giornali

titolavano “Migliaia di famiglie sparite nel nulla, quartieri dati alle

fiamme. Centinaia di persone deportate sui treni”. Oppure scrivevano che

“era iniziata la pulizia etnica nei villaggi devastati dalle bande di

Milosevic” e che “500 mila kosovari erano in fuga dai massacri”. E

Clinton, nel maggio 1999 giunse a paragonare “il Kosovo all’Olocausto”.

La pronuncia della Corte Suprema nega quindi che in quell’occasione sia

avvenuto quanto era stato riportato dai giornali e dai media per

giustificare l’intervento militare, ma il giorno dopo la sentenza del

settembre 2001 nessun giornale americano pubblicò la notizia, mentre in

Europa poche testate la ripresero. La notizia che la pulizia etnica,

contrariamente a quanto fu detto all’epoca, non era ancora iniziata

quando la Nato iniziò i bombardamenti e che l’esodo fu causato dal

timore della gente dei bombardamenti americani venne ignorata dai

media e quindi, indirettamente, dall’opinione pubblica36.

Quello che colpisce della guerra “lampo” di Georgia è il fallimento del

ruolo primario dell’informazione, inteso come una oggettiva e imparziale

descrizione dei fatti tesa alla ricerca della verità, sostituita da un

“giornalismo” al servizio del potere che durante il conflitto ha

36 Marcello Foa, “Gli stregoni della notizia” 2007

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Page 89: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

completamente dimenticato il popolo georgiano per schierarsi contro il

nemico acriticamente. Ma l’informazione è anche colpevole di aver

ignorato, nella maggioranza dei casi, non sappiamo se per colpa o per

dolo, l’analisi storica che ha portato al conflitto evitando di dare il giusto

peso al ruolo che il fattore energetico ha giocato in Georgia come in altre

aree del Caucaso negli ultimi 15 anni. Non c’è stato alcun reale tentativo

o alcuna reale volontà di comprendere il conflitto nelle diverse

rappresentazioni geopolitiche e geoeconomiche. Inoltre il tentativo di

importanti testate occidentali come il New York Times e il Washington

Post di alimentare una nuova guerra fredda si imperniava su due errori

principali: primo, che la Russia avesse invaso la Georgia per prima, senza

essere stata provocata, perché la Georgia è una “democrazia” (e quindi in

buona fede a priori); e secondo, che la Georgia sia effettivamente una

“democrazia”. La fortuna dei media occidentali è stata, con molta

probabilità, l’incombere di un’altra crisi globale, quella finanziaria, che

ha permesso loro di non doversi scusare pubblicamente per i grossolani

errori dolosi compiuti nell’esercizio del proprio mestiere. Anche il

continuo richiamo al mito della “Guerra fredda” non sembrava casuale:

nel pubblico occidentale richiamava schemi e contrapposizioni ben

precise e delineate, come in una partita di calcio, ma la realtà era

tutt’altra: in gioco vi erano le sfere d’influenza energetiche, per le quali è

stata effettuata una vera e propria spartizione.

4.1 – L’informazione come arma di guerra

Sin da subito il conflitto russo-georgiano è stato soprattutto un conflitto

di propaganda: i media russi e quelli occidentali hanno, per tutta la durata

della guerra, fornito versioni molto differenti, se non opposte, del

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Page 90: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

conflitto in corso. E, nonostante tutti i dubbi che si possono nutrire sulla

libertà d’informazione in Russia, non sembra che i mass media liberali

dell’occidente abbiano complessivamente dato prova di competenza ed

equilibrio. I mezzi d’informazione europei ed americani, che all’inizio

del conflitto hanno inviato una sola troupe in Ossezia, hanno volutamente

ignorato questo terribile evento: i 30.000 profughi ossetini costretti ad

abbandonare la propria regione, la città di Tskhinvali completamente rasa

al suolo nella notte tra il 7 e l’8 agosto con l’artiglieria pesante e i

bombardamenti aerei dell’esercito georgiano; le quasi 1.700 persone,

nella maggioranza civili, massacrate con i carri armati e le granate

lanciate intenzionalmente nei rifugi, in un’operazione di dichiarata

pulizia etnica chiamata in codice Clean field, cioè “piazza pulita”; a

conflitto concluso gli oltre 190mila profughi. Mentre il mondo era

distratto dall’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, l’8 agosto,

Saakashvili, in nome del “ripristino dell’ordine costituzionale”, attaccava

le città dell’Ossezia del Sud. La risposta quasi immediata di Medvedev

ha colto di sorpresa lo stesso presidente georgiano, avendo però la pronta

reazione dei media occidentali i quali il giorno successivo titolavano a

gran voce:”la Russia invade la Georgia”. Durante il conflitto il ministro

degli esteri russo accusava le televisioni occidentali di mostrare solo i

carri armati russi e le sofferenze dei civili affermando poi che “la Russia

era intervenuta nel conflitto tra Ossezia del Sud e Georgia”. “Questo

sarebbe il modo obiettivo di fare informazione secondo i media

occidentali?” chiedeva Grigory Kasarin durante una conferenza stampa,

accusando le televisioni e la stampa occidentale di diffondere notizie con

una “versione politicamente manipolata”. Nonostante appaia difficile

negare che il conflitto sia iniziato dopo l’attacco georgiano alla capitale

dell’Ossezia meridionale, Tskhinvali, l’opinione pubblica occidentale era

stata indotta a percepire la guerra essenzialmente come un’aggressione

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Page 91: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

della Russia, grande e dittatoriale, ai danni della piccola e democratica

Georgia. Sulla stampa occidentale era questo il messaggio che doveva

essere diffuso, il messaggio prevalente. Ed è questo il principale motivo

per il quale gli stessi russi tendono ad ammettere di aver perduto la

guerra dell’informazione. Alcuni giornalisti occidentali vennero quindi

inviati a Tbilisi, consapevoli dell’importanza che durante il conflitto

avrebbe ricoperto l’informazione, la disinformazione e la contro-

informazione, che per l’Occidente rappresentava, in mancanza di un

intervento militare diretto, l’unico arma a disposizione. Ma il loro ruolo

rimane, durante il breve conflitto, molto poco attivo in quanto gli inviati

si limitano a dare ampio spazio agli annunci dei politici in causa (i media

occidentali danno ampia eco alle continue dichiarazioni del presidente

georgiano Saakashvili), lasciando solo i tempi residui alla cronaca e

all’analisi degli avvenimenti. Dal canto suo la Russia dispone degli stessi

mezzi d’informazione occidentali, attraverso altri canali, attraverso i

quali diffonde ovviamente messaggi di condanna unilaterale del

presidente georgiano e dell’appoggio occidentale. In una delle pagine più

nere della storia dell’informazione liberale e democratica, per giorni,

CNN, BBC e Fox News davano il la a tutti i mass media occidentali che

ne raccoglievano dichiarazioni, immagini e commenti come oro colato,

senza porre filtri a quanto produceva la propaganda di una delle parti in

guerra, governata da un presidente per nulla al di sopra di ogni sospetto

che, come abbiamo visto, deve molto agli Stati Uniti. I commentatori

hanno dipinto la Georgia come una piccola e coraggiosa democrazia in

lotta contro una Russia prevaricatrice e imperialista, evitando perfino di

dare spiegazioni su un aspetto fondamentale in ogni guerra: chi ha fornito

le armi ed equipaggiato l’esercito georgiano? (USA, Israele, Bulgaria,

Gran Bretagna, Ungheria, Grecia, Turchia, Francia, Chechia, Estonia,

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Page 92: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Bosnia e Herzegovina, Serbia e Ucraina37). Le prese di posizioni acritiche

che si registrano e si polarizzano dall’inizio alla fine del conflitto

georgiano non subiscono mutazioni o ripensamenti, come in un copione

prestabilito. Tra i media occidentali che maggiormente hanno svolto un

ruolo di sostegno acritico durante il conflitto alla Georgia c’è l’emittente

inglese BBC la quale, insieme con le americane CBS e CNN, aveva

supportato il presidente georgiano Saakashvili nella sua opera di

persuasione anti-russa, dimenticando o volutamente ignorando che

Reporter senza Frontiere aveva collocato i media georgiani agli ultimi

posti del suo indice per la libertà di stampa globale38. Proprio per questa

coesione dei media occidentali al fianco della Georgia durante il conflitto

si può sostenere che la guerra che si è svolta parallelamente a quella sul

campo, la “guerra dell’informazione”, sia stata ampiamente vinta

dall’occidente e da Saakashvili. Senza però chiudere la partita. La sintesi

di quanto questa guerra sia stata prima di tutto una guerra

dell’informazione è ben spiegata nella parte finale di un articolo di

Lorenzo Bianchi, apparso sul quotidiano “La Nazione” il 19 agosto 2008:

“Le cantine – rabbrividisce – sono piene di cadaveri. E' stata una pulizia

etnica. I Georgiani sono arrivati a livelli che non hanno toccato neppure i

Tedeschi nella seconda guerra mondiale. La CNN e la BBC trasmettono

immagini di Tskhinvali e dicono che vengono da Gori. Ho riconosciuto

con i miei occhi un falso. In un servizio da Gori c'era una strada della mia

città di origine, quella dedicata agli Eroi, la via “Geroev”. Perchè i media

occidentali giustificano il presidente georgiano Mikhail Saakashvili e il

suo regime criminale?”39.

37 Livejournal, 10 agosto 200838 Reporter sans Frontiers 22 ottobre 2008 - http://www.rsf.org/Only-peace-protects-freedoms-in.html39 Lorenzo Bianchi “Vi racconto gli orrori della pulizia etnica”, La Nazione, 19 agosto 2008

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Page 93: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

4.2 – La revisione della guerra e il mea culpa di alcuni media

occidentali

Solo a guerra ampliamente conclusa, e quindi ad interessi soddisfatti, la

radicalizzazione delle posizioni si allenta, e i commentatori occidentali

cominciano un’analisi a mente fredda degli avvenimenti e della relativa

cronologia. A finire sotto accusa per prime sono le emittenti televisive

CNN e Reuters, incolpate di aver utilizzato trucchi vergognosi

dimostrando non solo la cattiva fede, ma anche una vera e propria

pianificazione della guerra mediatica: foto truccate con finti morti40,

immagini delle rovine di città ossetine riprese dalle tv russe41 presentate

al pubblico occidentale come “città georgiane bombardate dai russi”.

Così come i militari durante le guerre si permettono qualsiasi

escamotages per battere il nemico alcuni media occidentali hanno

lavorato sporco durante il conflitto russo-georgiano. Il 6 settembre 2008

l’autorevole rivista britannica Financial Times pubblica un articolo in cui

conferma la preparazione delle Forze Speciali della Georgia un mese

prima del conflitto nell’Ossezia del Sud da parte della americana Military

Professional Resources42. Ma è un articolo comparso a metà settembre sul

quotidiano tedesco Der Spiegel quello che meglio descrive e sintetizza

l’errore militare dei georgiani e l’errore dell’informazione occidentale di

seguirne la strada, ponendo finalmente seri dubbi sulla versione di

Saakashvili: ”A cinque settimane dalla guerra del Caucaso le opinioni si

stanno orientando a sfavore del presidente georgiano Saakashvili. Alcuni

rapporti dei servizi segreti occidentali hanno minato la versione di

40 Media war against Russia, 10 agosto 2008, http://russia-insider.livejournal.com/25329.html41 Globalresearch, “CNN used fake video in coverage on Georgia war” 16 agosto 2008, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=985442 Financial Times, “US military trained Georgian commandos”By Charles Clover and Demetri Sevastopulo, 6 September 2008

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Page 94: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Tbilisi, e adesso da entrambe le sponde dell'Atlantico si chiede

un'indagine indipendente (…). Il tentativo di ricostruire la guerra dei

cinque giorni continua a girare attorno a una domanda principale: chi ha

cominciato per primo l'attacco militare? (…) Gli esperti della NATO non

hanno messo in dubbio l'affermazione dei georgiani che i russi li avessero

provocati mandando le loro truppe attraverso il tunnel di Roki. Ma nella

loro valutazione dei fatti predomina lo scetticismo sul fatto che queste

fossero le vere ragioni delle azioni di Saakashvili. I dati raccolti dai

servizi segreti occidentali concordano con le valutazioni della NATO.

Secondo queste informazioni, la mattina del 7 agosto i georgiani hanno

ammassato circa 12.000 soldati al confine con l'Ossezia del Sud.

Settantacinque carri armati e veicoli corazzati per il trasporto truppe – un

terzo dell'arsenale militare georgiano – sono stati posizionati nei pressi di

Gori. Il piano di Saakashvili, a quanto pare, era di avanzare verso il

tunnel di Roki con un blitz di 15 ore e chiudere il collegamento tra le

regioni del Caucaso settentrionale e meridionale, separando

efficacemente l'Ossezia del Sud dalla Russia. Alle 22.35 del 7 agosto,

meno di un'ora prima che i carri armati russi entrassero nel tunnel di

Roki, secondo Saakashvili, le forze georgiane hanno cominciato ad

attaccare Tskhinvali con l'artiglieria. I georgiani hanno usato 27 sistemi

lanciarazzi, cannoni da 152 millimetri e bombe a grappolo. L'assalto

notturno è stato condotto da tre brigate. I servizi segreti controllavano le

richieste russe d'aiuto via radio. La 58ª Armata, parte della quale

stazionava nell'Ossezia del Nord, non era apparentemente pronta a

combattere, almeno non durante quella prima notte (…). I servizi segreti

concludono che l'esercito russo non ha cominciato a sparare prima delle

7.30 dell'8 agosto, quando ha lanciato un missile balistico a corto raggio

SS-21 sulla città di Borzhomi, a sud-ovest di Gori43.

43 Der Spiegel, “Did Saakashvili lie? The West begins to doubt georgian leader”, Spiegel Staff, 15 settembre 2008

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Il 6 ottobre un’altra importantissima ammissione di colpa arriva dal

quotidiano statunitense New York Times in cui si dichiara, a due mesi

dall’inizio del conflitto, che “le credenziali democratiche della Georgia

sono messe nuovamente in discussione, e alla prova, mentre il paese si

trova in prima linea nello scontro tra la Russia e l'Occidente. La Georgia

e i suoi sostenitori americani, compresi i candidati presidenziali

repubblicano e democratico, hanno presentato la Georgia come una

coraggiosa piccola democrazia in una regione instabile, un paese

meritevole di generosi aiuti e di entrare nella NATO. Ma secondo un

numero crescente di commentatori americani e stranieri la Georgia è ben

lungi dal soddisfare i criteri democratici occidentali, e lo dimostra in

modo lampante la mancanza di libertà di stampa”. (nota piè di pag – New

York Times, “News Media Feel Limits to Georgia's Democracy ”, Dan

Bilefsky e Michael Schwirtz, 6 october 2008). La risposta ufficiale del

governo arriva quindi da Daniel Fried, sottosegretario di Stato per gli

Affari Politici, che pronuncerà le seguenti, grottesche scuse: “abbiamo

sbagliato perché ci siamo fidati delle informazioni fornite da

Saakashvili”.

L’emittente britannica BBC, dopo aver svolto un ruolo attivo nel far

conseguire all’occidente la vittoria della “guerra dell’informazione”,

agendo in concerto con CBS e CNN, sarà però quella che darà il colpo di

grazia al castello di carte costruito dai mass media occidentali, attraverso

un reportage. Secondo le prove raccolte dalla BBC la Georgia avrebbe

commesso veri e propri crimini di guerra durante il suo attacco

all'Ossezia del Sud dell'agosto 2008. La grande rete televisiva britannica

ha raccolto notizie e verifiche nel corso di una visita in territorio ossetino,

la prima non sottoposta a limitazioni dall'inizio del conflitto. La stima

minimale dell’organizzazione Human Rights Watch è che 300-400 civili

siano stati massacrati. La BBC aggiunge che “ciò corrisponde a più

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Page 96: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

dell'1% della popolazione di Tskhinvali: l'equivalente di 70mila morti a

Londra”44. Il corrispondente della BBC Tim Whewell ha ribadito che

diversi testimoni gli hanno raccontato che i soldati georgiani prendevano

di mira – oltre che le case civili sud-ossetine – anche i civili che

cercavano di scappare dai combattimenti lungo la strada verso l'Ossezia

del Nord.

Questa saggezza nel saper modificare la propria posizione critica, anche

se giunta in ritardo rispetto agli avvenimenti, è un frutto della democrazia

e dimostra che i media occidentali hanno ancora gli anticorpi, anche in

quando si tratta di fare informazione di guerra. La macchina

propagandistica che aveva supportato il presidente georgiano e il suo

suicidio politico-militare abbandona Saakashvili a distanza di poco tempo

dalla fine della guerra, quando però l’attenzione dell’opinione pubblica

occidentale sulla Georgia è ormai marginale perché il mondo nel

frattempo deve affrontare la peggiore crisi finanziaria globale dal 1929.

Inoltre non tutti i media partecipano all’opera di correzione e revisione e

non tutti dedicano lo spazio che meriterebbe. Dopo tre mesi è però lo

stesso presidente georgiano Saakashvili ad ammettere di essere stato lui

ad attaccare per primo, come riporta l’emittente RussiaToday. E’ il 28

novembre e Saakashvili ammette “abbiamo iniziato noi l’azione militare,

per conquistare Tskhinvali e altre zone. Il nostro obiettivo era difendere il

nostro territorio da eventuali attacchi”45.

Le revisioni fanno parte del lavoro giornalistico ma se gli errori sono

causati da pregiudizio o da imposizioni dall’alto la questione è ben più

grave. Per molti permane il marchio dell’ondata iniziale di notizie false e

tendenziose, prive di verifica e di giustizia per le popolazioni colpite,

state trattate con due pesi e due misure.

44 BBC News, Georgia accused of targeting civilians, 28 ottobre 2008, http://news.bbc.co.uk/2/hi/in_depth/7692751.stm45 RussiaToday, “Saakashvili: we started the war”, 28 novembre 2008

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Page 97: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

4.3 – Analisi dei principali quotidiani italiani

Un paragrafo a parte va dedicato ai media italiani, in particolare alle

principali testate giornalistiche che hanno maggiore influenza

sull’opinione pubblica e, indirettamente, sul complesso dei mass media

italiani. L’Italia della Seconda Repubblica si può definire una

“mediacrazia”, basata sulla costruzione del consenso attraverso il filtro

della stampa e delle televisioni come dimostra il successo politico di

Silvio Berlusconi. Ma “la “mediacrazia” - come scrive Marcello Foa - è

una realtà capovolta: non siamo noi a condizionare o addirittura

sovrastare i politici, ma sono loro a orientare la nostra percezione del

mondo; loro a usare a proprio vantaggio il nostro ipotetico strapotere, per

di più a nostra insaputa”46.

1. “la Repubblica”

“Guerra tra Russia e Georgia” titolava “la Repubblica” del 9 agosto 2008

dando il giusto peso alla sorprendente scontro militare tra i due stati.

L’analisi a caldo del quotidiano è affidata ad un inviato da Mosca, Pietro

Del Re, il quale nell’articolo “I tank russi entrano in Georgia” descrive la

massiccia offensiva militare russa in risposta all’attacco georgiano nella

capitale sud-osseta Tskhinvali citando perfino fonti russe secondo le

quali in Ossezia del Sud “sarebbe in corso una pulizia etnica ad opera dei

georgiani”. La conclusione dell’articolo è tutta dedicata agli appelli di

Saakashvili agli Stati Uniti:”Non è più solo una questione georgiana: si

tratta dell’America e dei suoi valori. Noi siamo una nazione amante della

libertà che ora si trova sotto attacco”. Molto interessante, puntuale e

46 Marcello Foa, “Gli stregoni della notizia” 2007

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Page 98: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

precisa la pagina 4, dedicata all’analisi delle cause del conflitto.

Fiammetta Cucurnia nell’articolo “Vent’anni di scontri sognando

l’indipendenza” ripercorre la storia dell’Ossezia dall’inizio del 1900,

passando per la dichiarazione d’indipendenza del 1991 fino ad arrivare

alla Rivoluzione delle Rose. Il lavoro della Cucurnia si rivela necessario

per comprendere lo stretto legame che esiste tra le regioni indipendentiste

georgiane e la Russia. Il pezzo di fondo della pagina è invece dedicato

all’analisi del fattore energetico, fattore che svolge un ruolo chiave

nell’intera area caucasica e che proprio per questo motivo vede la

Georgia contesa da Stati Uniti e Russia. Luca Pagni nell’articolo “Un

corridoio energetico verso l’Europa, a rischio un milione di barili di

greggio” descrive la Georgia come la principale via alternativa alla

Russia attraverso la quale affluisce il gas e il petrolio in Europa. Il

giornalista arriva al nocciolo della questione, ovvero all’importanza che

viene data ai vari progetti energetici che designano la Georgia come la

regione di transito necessaria per tagliare fuori l’inaffidabile Russia, e le

minacce e le ritorsioni del Cremino di cui la strumentalizzazione delle

aree separatiste georgiane sarebbe la chiave di volta. L’articolo di Pagni

sulla crisi energetica è però l’unico pubblicato sulle pagine di Repubblica

durante e dopo il conflitto, dedicato all’analisi dei grandi interessi in

gioco che hanno portato alla guerra. Nei giorni seguenti infatti il

quotidiano si concentra più sulla descrizione e interpretazione della fase

diplomatica, sottolineando in particolare le prese di posizione degli attori

in campo (Putin, Bush, Sarkozy, Saakashvili, la Nato, l’Unione Europea)

senza però tornare sulle cause che hanno portato all’escalation, tranne

che nel pezzo del 10 agosto “La partita del Cremino” nel quale Sandro

Viola afferma che , “le responsabilità non sono tutte russe (…). La foga

che Bush ha messo nel porsi come alto protettore di Saakashvili e

promotore dell' ingresso della Georgia nella Nato, non poteva non

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Page 99: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

provocare una reazione russa. La Nato nel Caucaso sarebbe infatti l'

ultima mossa di quell'accerchiamento della Russia che già Boris Eltsin

aveva paventato negli anni Novanta, e che oggi inquieta il regime di

Putin”, aprendo quindi un ulteriore aspetto della partita che si gioca a

livello internazionale ovvero l’allargamento della Nato ad est, alle porte

della Russia”.

La Repubblica durante il conflitto georgiano si distinguerà per i reportage

dal fronte di guerra, conditi con testimonianze dirette dalla Georgia e

dall’Ossezia del Sud di povera gente colpita dal conflitto: “La grande

fuga sotto le bombe” di Renato Caprile e “Nella città di Stalin colpita dai

Mig” di Pietro Del Re sono due esempi di giornalismo di guerra

raccontato dalle città direttamente colpite, visto con gli occhi e raccontato

con le parole di chi sul posto ha vissuto quei tragici eventi. Il 14 agosto la

Repubblica, oltre 10 giorni prima della dichiarazione di indipendenza

dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, analizza il conflitto dal punto di

vista dei principali attori in causa, direttamente e indirettamente, ovvero

Russia e Stati Uniti. L’articolo è intitolato “La lezione di Putin alla Casa

Bianca”. Lucio Caracciolo sottolinea il capolavoro politico-militare-

diplomatico di Putin il quale è stato in grado di sfruttare l’occasione

offertagli dall’irresponsabile attacco di Saakashvili per vincere una

partita al quale non aveva dato lui inizio. Oltre ad evidenziare la grande

risposta russa, “la prima vera offensiva dai tempi dell’Unione sovietica”,

Caracciolo critica l’approccio statunitense alla guerra per poi tracciare un

quadro dei due blocchi contrapposti i quali, secondo l’autore, non

sarebbero così chiaramente definibili a causa del crescente legame che

negli ultimi 15 anni si è creato tra alcuni stati europei e la Russia. Nel

pezzo si riaffaccia anche l’analisi della questione energetica. Secondo

l’autore “Bush ha sostenuto e armato Saakashvili per servirsene come

spina nel fianco del colosso russo, in un' area strategica per i corridoi

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Page 100: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

energetici. A cominciare dall' oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e dall' assai

futuribile gasdotto Nabucco, entrambi di dubbio senso economico ma

concepiti come leve geopolitiche per aprire vie alternative a quelle russe

nelle esportazioni di greggio e di gas centroasiatico verso l' Europa. Ma i

georgiani hanno sovrainterpretato l' appoggio americano”. La

conclusione a cui arriva Caracciolo è che “nessuno a Washington è

pronto a scatenare la guerra alla Russia in nome dei diritti della Georgia.

Nel crepuscolo di Bush, la balbettante risposta americana alla guerra

russo-georgiana riflette il vuoto strategico di questa amministrazione.

Oscillante fra l' ammiccamento a Putin e il tentativo di sancire il

riallargamento della Nato la definitiva liquidazione di qualsiasi sfera di

influenza russa in Europa”. Il 18 agosto due articoli di peso tracciano un

ulteriore analisi complessiva di quanto accaduto “Cosa vuole l’America”

di Marek Halter e “Da Varsavia a Kiev torna l’incubo Urss” di Andrea

Tarquini. Secondo Halter all’inizio della guerra “per la stampa

occidentale, era evidente che l' 8 agosto 2008, il giorno dell' apertura dei

Giochi olimpici di Pechino, era stata la malvagia Russia ad attaccare di

sorpresa la Georgia, un piccolo paese democratico del Caucaso sulla riva

del Mar Nero, seminandovi il panico e numerose vittime. (…) Ma oggi

anche i più accaniti avversari di Mosca sono costretti a riconoscere che

sono state le forze militari georgiane ad attaccare la provincia

separazionista filorussa dell'Ossezia del Sud, bombardandone la capitale

e uccidendo soldati russi che da 15 anni erano di stazione nel paese su

disposizione dell' Onu e sotto l' insegna delle forze di mantenimento della

pace. Che la rivendicazione d' indipendenza degli Osseti e degli Abkhazi

sia legittima o no è una questione che merita un dibattito, non un colpo di

mano”. L’autore inserisce il conflitto all’interno di una più grande

“battaglia per l’egemonia del mondo delle due superpotenze la quale

“non avrebbe perso di attualità”. Ampio spazio viene poi dedicato sulle

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Page 101: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

pagine di Repubblica al rapporto deteriorato tra la Nato e la Russia, come

conseguenza del conflitto. Nonostante la consapevolezza generale che

l’inizio della guerra sia avvenuto a causa dell’avventato attacco

georgiano la Nato condanna l’attacco russo e per risposta ottiene un

gravissimo congelamento delle relazioni. Ad evidenziare questo aspetto

gli articoli “La replica di Mosca: state coi criminali” di Pietro Del Re e

“Diario strategico” di Fabio Mini. Ed è sempre Pietro Del Re a dedicare

un articolo intero “L’ultima sfida del Cremino, si alle secessioni da

Tbilisi”, alla firma storica, da parte del presidente russo Medvedev, del

decreto che approva le secessioni di Ossezia del Sud e Abkhazia dalla

Georgia, come atto conclusivo della guerra. Nei giorni seguenti sono

numerosi gli articoli pubblicati su Repubblica che, da vari punti di vista

(Nato, Stati Uniti, Italia), condannano la scelta russa di concedere

l’indipendenza alle regioni georgiane. L’analisi di questo scenario

modificato dagli eventi dell’agosto 2008 vengono interpretati da Sandro

Viola come un ritorno alla guerra fredda. Nell’articolo “Il grande freddo:

se America e Russia tornano nemiche” si sottolinea la presenza costante

di un sentimento russofobo, tanto in America quanto in Europa, mai

scomparso completamente, che ha avuto conseguenze anche

sull’approccio dei media occidentali alla guerra: “quando si valuta

l'origine di un conflitto armato, onestà vuole che non si possa prescindere

dalle responsabilità di chi ha aperto il fuoco per primo. Ciò che i

governanti e il giornalismo euro-americani non hanno fatto, puntando

invece il loro dito accusatore quasi soltanto sul fulmineo e devastante

contrattacco russo. La russofobia è infatti cambiata”. Importante anche

aver dato spazio alle accuse, da un lato e dall’altro, sulle responsabilità

della guerra. L’articolo “Putin, in Georgia un complotto Usa” del 29

agosto non lascia spazio a interpretazioni e dedica ampissimo spazio alle

dichiarazioni e alle analisi del Presidente della Federazione Russa.

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Page 102: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Ma è solo il 29 novembre che il giornale “la Repubblica” chiarisce

definitivamente i dubbio sulle responsabilità dell’apertura del conflitto,

nell’articolo “E’ vero, ho attaccato per primo. Il presidente georgiano

ammette”, attraverso le ammissioni di Mikhail Saakashvili davanti alla

Commissione d’inchiesta che indaga sul conflitto. Meglio tardi che mai.

In conclusione si può affermare che il quotidiano fondato da Eugenio

Scalfari abbia effettuato un lavoro di cronaca e analisi obiettivo, dando

voce a tutti gli attori in campo in maniera equilibrata ed equidistante,

come da stile del giornale. Ma quel che lascia perplessi è l’occasione

persa per mettere in risalto la connessione con la guerra parallela, che si

svolge ogni giorno, cioè quella energetica. La vera motivazione di una

guerra al di là della quale vi sono interessi ben più concreti di due piccole

regioni separatiste, oltretutto molto povere. Probabilmente si è dato fin

troppo spazio alla politica, alla diplomazia e alle strategie militari, mentre

le decisioni che contano sono state, sono, e saranno prese, lontano dai

riflettori.

Un’intervista rilasciatami dal caporedattore esteri di “Repubblica”47,

Nicola Lombardozzi, può essere utile a comprendere le dinamiche

redazionali durante eventi come il conflitto russo-georgiano:

Qual è stata la linea editoriale adottata dal suo giornale durante il

conflitto?

“Quando succede qualcosa ti occupi di capirla e di raccontarla. Se sei un

giornalista di Repubblica lo fai in un certo modo, se sei un giornalista di

un altro giornale lo fai in un altro. Ci occupammo di raccontare al meglio

possibile la vicenda. Sapevamo che c'era un paese aggressore che

spiegava la sua aggressione con motivi che andavano vagliati con cautela

e un paese aggredito che conseguentemente lanciava appelli contro

l'invasore. In questi casi c'è sempre molta propaganda da una parte e

dall'altra. La cosa più difficile è riuscire a non cadere nelle trappole delle 47 Testimonianza di Nicola Lombardozzi scritta all’autore, 21 luglio 2009

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Page 103: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

informazioni pilotate dalle parti in causa o comunque mettere in guardia

il lettore attribuendo ogni notizia alla propria fonte ed esplicitando di

volta in volta i nostri eventuali dubbi sulla esattezza delle presunte

rivelazioni. Ci siamo riusciti abbastanza spesso, spero”.

E’ stata una scelta indipendente ed imparziale oppure seguiva, anche

solo per grandi linee, una direzione dettata o imposta dall’esterno,

visto anche l'orientamento omogeneo dei principali media

occidentali? “Come sempre una scelta indipendente e non imparziale.

Non credo all'imparzialità. Le proprie idee, la propria cultura

condizionano il giudizio. Ma appunto il giudizio, non le notizie. Se

vogliamo a tutti i costi essere critici, i giornali qualche volta finiscono per

caricarsi a vicenda e per avere appunto un orientamento un po' troppo

omogeneo. Ma questo, quando accade, può essere frutto di pigrizia, di

inesperienza, di errori professionali non di ordini superiori che, le

assicuro, non ci sono mai stati. E diciamo la verità: perché mai avrebbero

dovuto esserci? Crede davvero che le posizioni e i titoli del

nostro giornale avrebbero potuto cambiare le cose?”

Quali furono i canali delle fonti d’informazione internazionali che si

aprirono e di cui disponeva "la Repubblica"? “Ovviamente tutte le

agenzie internazionali e soprattuto Reuters e France Press, il nostro

inviato a Mosca che tra l'altro (grave handicap per noi e per lui) sostituiva

il nostro corrispondente abituale, i nostri inviati in Georgia e ovviamente

gli uffici di New York, Bruxelles e delle varie sedi europee. Mi pare

evidente che i canali di informazione ormai non mancano mai, soprattutto

quando lavori per un grande giornale come il nostro. Semmai, in certi

casi ce ne sono troppi e il difficile è appunto distinguere, incrociare,

verificare”.

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Page 104: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Qual è la differenza riscontrabile tra la complessa macchina

mediatica occidentale, sul cui appoggio ha potuto contare il

presidente georgiano durante il conflitto, e i media russi? “Più o

meno le stesse differenze che si riscontrano sempre tra queste due

culture. Sono luoghi comuni un po' banali ma nei fatti è così: la

propaganda occidentale è più raffinata e martellante ma anche più

elastica. Reagisce bene alle smentite e rilancia con altre invenzioni.

Quella russa è più rigida e contemporaneamente più sfacciata anche nel

negare l'evidenza. Ma parlo di quella che è palese propaganda. Devo dire

che invece per i media occidentali e perfino per molti di quelli russi

funziona lo stesso ragionamento che ho fatto per noi. Vedevano

onestamente le cose  ma, naturalmente, dal loro punto di vista”.

Ad un anno di distanza da quella tragica guerra tratterebbe la

questione in modo diverso? “Certo che sì ma solo dal punto di vista

tecnico. Manderei più inviati, farei più approfondimenti. Probabilmente

più zoomate sui paesi sfiorati dalla guerra...Non certo sul piano della

linea editoriale che è sempre la stessa: capire il più possibile che cosa sta

succedendo. Non è una cosa che riesce spesso”.

2. “Corriere della Sera”

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Page 105: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Veniamo all’analisi degli articoli dedicati dal Corriere della Sera, in quel

periodo diretto da Paolo Mieli, alla guerra tra Georgia e Russia.

Il primo articolo in ordine di tempo del Corriere della Sera dedicato al

conflitto apertosi tra Georgia e Russia è “Tank russi contro i georgiani,

guerra in Ossezia”, di Dragosei Fabrizio. Si tratta di una cronaca

minuziosa delle prime notizie provenienti dal fronte di guerra: nel caos

delle cifre e delle dichiarazioni ufficiali quello che viene dato per certo è

l’attacco iniziale ad opera delle truppe georgiane in territorio osseto.

Nel secondo articolo dedicato all’argomento, “Putin ci vuole distruggere,

siamo amici dell’Occidente” datato 9 agosto 2008, Marco Nese intervista

il Ministro degli esteri georgiano, Eka Tkeshelashvili, il quale dichiara

che i russi non vedevano l’ora di avere un pretesto per attaccare la

Georgia, e che questo pretesto era stato creato ad arte da provocazioni

pilotate degli osseti contro la popolazione georgiana. Il terzo articolo

sempre del 9 agosto 2008, senza firma, si intitola “Bombe russe sulla

Georgia. Li costringeremo alla pace”, fa un vero e proprio elenco

cronologico delle azioni militari compiute dai russi, senza alcun

riferimento alle azioni belliche della parte avversa. L’assenza della firma

da il senso di una condivisione redazionale dell’indirizzo espresso

nell’articolo. Riassumendo la prima giornata di scontri militari descritta

dal Corriere della Sera, ad eccezione delle prime righe del primo articolo

in cui si racconta che ad attaccare per primi sono stati i georgiani, il resto

diventa una descrizione della brutalità e delle responsabilità russe e della

paura georgiana.

Molto interessante, il 10 agosto, l’articolo dedicato all’intervista del

Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov di Viviana Mazza. In

particolare l’incipit dedicato ai preparativi della conferenza stampa

telefonica concessa alla stampa mondiale, comprensivo di minuziosa

descrizione della difficoltà di incalzarlo con domande e dell’invito del

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Page 106: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Ministro russo ai giornalisti ad essere “obiettivi in quanto professionisti,

non lasciandosi fuorviare dalle parole del presidente Saakashvili”.

Mentre a chi gli chiede se sia la Russia l’aggressore, Lavrov

risponde:”Ha iniziato Saakashvili: proprio lui che poche ore prima aveva

chiesto un cessate il fuoco, poi l' ha violato”.

L’11 agosto il Corriere pubblica una paio di titoli dedicati allo stesso

soggetto, il presidente russo Vladimir Putin: “Putin bombarda la

Georgia” e “Il leader russo? Un bullo di quartiere che vuole sfasciare

tutto”. Nel primo articolo si descrivono le gesta del presidente russo che

coordina e sorvola le zone di guerra, mentre nel secondo si da ampio

spazio ai commenti dei nostri politici. Nel terzo articolo, “Washington –

Mosca, minacce e diplomazia”, il più interessante, si affaccia il richiamo

alla guerra fredda, con una serie di dichiarazioni di vari primi ministri e

un breve cenno all’invito a fermare gli scontri rivolto dal presidente

Berlusconi a Putin. Il 12 agosto Franco Venturini ci descrive “Il gioco di

Putin”, con un’analisi accurata delle strategia russe da un lato, e

georgiane dall’altro. Tutto viene ridotto però alla questione delle regioni

separatiste, senza un minimo accenno alle questioni energetiche. Il giorno

seguente sul “Corriere” spuntano i filo-russi. Nella descrizione di

Alessandra Coppola ci viene svelato che non esiste un’interpretazione

univoca della guerra russo-georgiana, ma c’è anche chi la pensa in

maniera differente e si permette di difendere Putin. Secondo Sergio

Romano “Stavolta l’Europa c’è”, con riferimento all’attivismo della

diplomazia europea messo in campo per il ritorno alla pace. Dall’articolo

però non si comprende cosa si celi dietro questo interesse europeo alla

vicenda. Fino ad ora nemmeno un vago accenno ai gasdotti e agli

oleodotti da parte del quotidiano di via Solferini, nessun rimando a

trattative e spartizioni di aree per tracciare le proprie condutture

all’interno di quel fondamentale tassello che è la Georgia. Il 15 agosto il

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“Corriere” da giustamente ampio risalto alla firma del piano di pace di

Saakashvili. Nei giorni seguenti attraverso un’intervista al politologo

Zbigniew Brzezinski, il Corriere coglie l’occasione per descrivere Putin

come un dittatore ai livelli di Stalin e Hitler, mettendo il guardia

l’occidente dalla vera anima autoritaria del presidente russo. Anche in

questo caso neanche un accenno alla questione energetica e agli interessi

delle forze in campo. Il 21 agosto Bernard-Henry Levy ci racconta con il

suo impeccabile stile da cronista d’elité la sua esperienza per le strade di

Tbilisi, a conflitto ormai concluso, e la sua analisi della guerra: “Qui i

russi sono a casa loro. Si dispiegano in Georgia come su un terreno di

conquista. Non è esattamente come l'invasione di Praga. È la sua versione

del XXI secolo: una versione lenta, a colpi di umiliazioni, intimidazioni,

panico”, per poi raccontarci come si sono svolte le ultime giornate del

presidente georgiano Misha, Saakashvili. Ma neanche da lui un solo

accenno alla questione energetica.

A leggere le analisi e i racconti del Corriere della Sera viene da pensare

che il gas e il petrolio che transitano e che dovranno transitare sempre più

copiosi in futuro attraverso le regioni georgiane fino ai mercati europei

non interessino proprio a nessuno. Le uniche paure descritte nelle pagine

del Corriere sono quelle relative al pericolo di un ritorno del “mostro

russo”, che “da Tskhinvali porterà alla guerra globale”. Oltretutto

tralasciando il particolare che le regioni separatiste georgiane sono a

maggioranza russe. Insomma nonostante le grandi firme, gli esperti e i

potenti mezzi di cui dispone il Corriere della Sera non c’è proprio stata la

possibilità di trovare qualcuno che spiegasse ai lettori, durante o dopo il

conflitto, che cosa avrebbe comportato realmente una bomba esplosa

sull’oleodotto Btc, oppure una decisione della Russia di invadere l’intero

stato georgiano.

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4.4 – Omessa la descrizione degli interessi energetici nell’area

georgiana

Abbiamo visto come i principali media occidentali abbiano omesso di

informare il proprio pubblico sugli interessi che si celavano dietro la

guerra russo-georgiana: il conflitto è infatti stato presentato più come una

contrapposizione tra Russia e Occidente, con rimandi alla ormai chiusa

guerra fredda, che per quello che realmente è, ovvero una lotta per gestire

territori fondamentali per le vie energetiche del futuro. Le regioni

separatiste, diventate poi indipendenti, di Abkhazia e Ossezia del sud

erano dapprima sono state il chiavistello attraverso le quali la Russia è

riuscita a aumentare l’area controllata direttamente, limitando di fatto la

presenza occidentale. La Russia infatti oltre alle regioni che già

controlla, non senza problemi, Ucraina, Turkmenistan e Azerbaijan, è

riuscita a avanzare e consolidare la propria presenza nel Caucaso. Mentre

l’Europa e gli Stati Uniti controllano Iraq, Arabia e Turchia, oltre

all’Africa occidentale. Proprio grazie all’assist fornito da Saakashvili con

lo scellerato attacco dell’8 agosto 2008, la Russia è riuscita ad aumentare

il proprio peso in Georgia, tassello fondamentale della futura “Via della

seta del XXI secolo”.

E’ proprio attraverso la Georgia che passano e dovranno passare le due

condutture di petrolio e gas, che non prevedono un controllo diretto della

Russia: il Btc, già operativo, che durante il conflitto è stato messo a dura

prova dai bombardamenti russi; e il White Stream, il progetto ucraino

che, come abbiamo già visto, permetterà la diversificazione europea degli

approvvigionamenti di gas. Nessuno dei due gasdotti passa per le regioni

autonome di Abkhazia ed Ossezia del sud, sono quindi direttamente

controllati quindi dal governo georgiano a tutela degli investimenti

occidentali e soprattutto del gas che all’Europa arriva senza passare dalla

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Page 109: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

Russia la quale può già contare sulle condutture Blue Stream e Nabucco.

Ma la dimostrazione di forza e di influenza dimostrata da Mosca

all’interno delle due regioni georgiane potrebbe, in un futuro prossimo,

rappresentare una nuova minaccia per la stabilità georgiana e quindi per

il corretto funzionamento e approvvigionamento delle condutture

energetiche. Queste premesse e conseguenze del conflitto non sono state

spiegate al pubblico occidentale, il quale si è visto investito da presagi

nefasti su un imminente ritorno alla guerra fredda, senza che gli venisse

spiegato che in realtà l’unica guerra che realmente interessa, e che era già

in corso prima del conflitto e lo è tuttora ad un anno di distanza, è quella

dell’energia e degli investimenti ad essa collegati. In questo quadro non

ci è stato chiarito dai giornali nemmeno minimamente la posizione,

all’interno di queste strategie geopolitiche, in cui si colloca l’Italia. Un

anno fa il presidente degli Stati Uniti era George W. Bush, il quale

poteva contare sull’appoggio incondizionato dell’Italia all’estero, in

particolare nelle missioni in Iraq e Afghanistan. La Georgia abbiamo

visto che in quanto a interessi economici non è da meno per gli Stati

Uniti, ma la posizione dell’Italia qui sembra meno chiara. Mentre si da

per scontato il supporto alle politiche statunitensi, lo stretto legame tra il

primo ministro italiano, Berlusconi, e il presidente russo Putin, sembra

far cambiare gli assetti di un’alleanza che, a partire dal dopoguerra, si è

andata via via rinsaldando.

L’elezione del democratico Obama alla presidenza degli Stati Uniti nel

frattempo potrebbe aver aiutato un cambiamento di rotta nelle alleanze

della diplomazia italiana e, anche se sembra ancora tutto in fase

primordiale, prefigurare una storica inversione di posizioni: una destra

italiana che guarda a est, e in particolare alla Russia e al suo potenziale

energetico, e una sinistra democratica che invece cerca di gettare i ponti a

ovest prendendo Obama e le sue politiche come esempio da importare.

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Ma purtroppo tutto questo l’informazione italiana non ha nemmeno

provato a spiegarcelo.

Figura 2 – Mappa Btc (Georgia), Nabucco e Blue Stream (Russia)

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Figura 3 - GUEU -White Stream Route options48

48 Roberto Pirani, GUEU –White Stream Pipeline Company Limited

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4.5 – L’informazione di guerra su internet: speranza di

un’informazione più “democratica”

Allontanandoci dalle fonti “omologate” si può invece scoprire una realtà

diversa, e se vogliamo più complessa, di quella che ci viene proposta dai

quotidiani o dai mass media ogni giorno. In rete infatti sono a

disposizione di chiunque le voglia ricercare e abbia un minimo di

dimestichezza con i termini di ricerca e con l’inglese, le spiegazioni dei

vari accordi energetici conclusi nell’area caucasica, la suddivisione delle

varie aree di influenza in Georgia, i progetti energetici passati, quelli in

costruzione, e quelli futuri. Tutte cose che nei mass media, se non

completamente omessi, sono lievemente accennati. E’ in rete che sono

cominciate a circolare, e poi sono state smascherate, le foto Reuters

truccate delle città e dei civili georgiani bombardati dai russi, con svariati

errori di ambientazione. Sempre in rete, sul sito della CNN, era

scomparso un sondaggio in cui dove 35.000 lettori americani per il 92%

erano favorevoli alla pace ed erano d’accordo con la risposta russa

all’aggressione georgiana. Il sondaggio però non era stato fatto sparire in

tempo tale da evitare che altri siti lo riportassero e lo diffondessero in

tutto il mondo49. E questi sono solo alcuni esempi di come sia più

complicato far passare per verità assoluta qualsiasi notizia venga diffusa

in rete, perché può arrivare subito, da qualsiasi parte del mondo, la

replica che evidenzia incongruenze, falsità o diversi aspetti della

questione magari omessi volutamente imponendo l’autore ad una rettifica

pena la perdita di credibilità. Questo perché in Internet il flusso delle

informazioni, così come il contraddittorio, è continuo.

Chi, all’interno dei mass media occidentali, decide quali notizie riportare

nel caso di un conflitto di questo tipo può benissimo rispondere a queste

49 CNN, 13 agosto 2008, http://digg.com/politics/92_of_CNN_readers_Russia_s_actions_in_Georgia_justified

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personali osservazioni che al pubblico non interessino le questioni

energetiche, gli accordi delle multinazionali ed altre questioni simili, ma

che la gente vuole solo sapere cosa fanno le persone, qual è il destino

delle popolazioni colpite dai conflitti, chi si sta muovendo per la

risoluzione dei problemi e chi invece non è favorevole al cessate il fuoco.

Ma allora se la gente vuole sapere tutto questo deve anche essere

informata, pur se questo comporterà un calo di interesse da parte del

pubblico, sulle reali cause che hanno portato fino a questo punto

compresi gli interessi economici enormi in gioco. Probabilmente è anche

per questo che il pubblico si sta spostando sempre più verso la rete (negli

Stati Uniti e in Gran Bretagna ancor più che in Italia): perché su internet

si può scegliere, confrontare e formarsi un opinione liberamente.

Esprimendo con le proprie scelte una valutazione sulla veridicità del

contenuto e delle fonti da cui si è attinto. Ciò non toglie comunque che

anche internet abbia dei difetti, primo tra tutti il rischio della diffusione di

notizie infondate o di vere e proprie cantonate, e, in particolare nel settore

dell’informazione, in futuro sarà necessaria una regolamentazione

minima per chi diffonde notizie. Magari con un patentino, un brevetto, o

un certificato della rete potrebbe essere un’idea. Senza togliere nulla alla

necessaria capacità di saper ricercare le notizie con il giusto metodo e le

giuste, affidabili, fonti.

4.6 – Il ruolo dei media durante e dopo il conflitto: intervista a

Mikhail Saakashvili

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Questa è la risposta del presidente georgiano Mikhail Saakashvili ad una

domanda dell’autore formulata durante un’intervista al programma

Videochat del Corriere.it50.

Presidente Saakashvili che importanza ha avuto secondo lei, durante

e dopo la guerra, avere un informazione schierata acriticamente con

lei e contro la Russia?

“La guerra è stata cominciata contro di noi, nel primo giorno dei giochi

olimpici. E’ stato un vero incubo per un piccolo paese essere attaccati il

primo giorno delle Olimpiadi, perché tutti guardavano i Giochi e tutti

erano in vacanza e nessuno si occupava veramente di noi. Per noi, per un

paio di giorni è stato molto difficile far passare il messaggio perché

pensavano che dei pazzi georgiani avessero cominciato tutto questo. Però

poi abbiamo messo in campo le nostre troupe e soprattutto sono andato

costantemente in televisione, io e i membri del mio governo che sono più

giovani e comprendono molto bene la strategia di utilizzo dei media,

mentre invece dall’altra parte c’erano dei vecchi generali del Kgb che

non comprendono questo tipo di uso dell’informazione. La cosa

importante era non solo che erano persone che parlavano bene le lingue e

conoscevano i meccanismi, ma era che dicevano la verità Dall’altra parte

la Russia aveva molte agenzie di pubbliche relazioni in Europa e Stati

Uniti, ma quando questa guerra non è stata più un argomento importante

e all’ordine del giorno ci sono stati molti articoli che hanno cercato di

riscrivere questa guerra, sono state pubblicate molte stupidità, e

l’obiettivo non era rendere la Russia più innocente, ma di dipingere noi in

una luce più cattiva cercando di dimostrare che entrambe gli Stati erano

colpevoli. Questo era l’obiettivo di questa propaganda”.

Prima di analizzare le parole del presidente Saakashvili può essere utile

analizzare la persona per meglio comprendere dove ci vuole portare con 50 Intervista a Mikhail Saakashvili concessa all’autore il 29 maggio 2009

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la sua dialettica. Innanzitutto quello che colpisce durante l’intervista è la

forte volontà del premier georgiano ad apparire come un leader

occidentale. Va ricordato tra l’altro che Saakashvili ha avuto una

formazione statunitense essendosi laureato in legge all’università di

Harvard. Risalta moltissimo l’impeccabile utilizzo della lingua inglese,

sempre semplice e lineare, oltre al suo continuo rimarcare la sua

collocazione nella sfera occidentale nell’equilibrio geopolitica

internazionale, da cui deriva anche l’ammissione della buona conoscenza

delle tecniche dei media europei e statunitensi. Analizzando la tecnica ed

il linguaggio utilizzati da Saakashvili è evidente che il presidente

georgiano ha fatto propria la teoria del “soft power” appresa ad Harvard

dal professore Joseph Nye sull’abilità di ottenere ciò che vuoi attraendo e

persuadendo gli altri ad adottare i tuoi obiettivi. La sua risposta infatti

dimostra il tentativo del presidente georgiano di far diventare verità

assolute le proprie verità, negando la storia e tentandone anche una

revisione che, a solo un anno dal conflitto, appare quasi tragicomica. La

convinzione con la quale sostiene la propria versione dei fatti,

smascherata e criticata da una buona parte dei media al termine del

conflitto, è con molta probabilità volta a riconquistare la fiducia persa da

parte occidentale dopo l’avventato intervento militare dell’agosto 2008,

ed è inoltre parte di una strategia ben calcolata (Saakashvili era in Italia

per promuovere il suo libro “Io vi parlo di libertà”) per raggiungere il suo

obiettivo che possiamo considerare ben sintetizzato nella frase “l’Europa

ha bisogno della Georgia, non di Mosca”, tratta dal suo libro. Saakashvili

è consapevole di dover vendere il prodotto Georgia in occidente, per

poter continuare ad attrarre investimenti dall’estero, per diventare un

tassello fondamentale nel grande risiko energetico. E’ consapevole

inoltre del fatto che come unica alternativa all’occidentalizzazione ci

sarebbe, per la sua Georgia, un inglobamento nella grande Russia, un

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peso politico nullo e, di conseguenza, un ritorno alla vecchia e mai

dimentica povertà. L’ammissione della buona conoscenza delle tecniche

di comunicazione occidentali conferma la teoria esposta in questa tesi

ovvero che senza l’appoggio e la conoscenza dei media occidentali la

Georgia mai sarebbe riuscita a far passare il falso messaggio

all’occidente dell’aggressione russa come casus belli. Mentre la scelta di

sottolineare la coincidenza dell’inizio del conflitto con l’apertura dei

Giochi Olimpici di Pechino fa ipotizzare una consapevolezza non

secondaria sulla scelta dei tempi dell’attacco e quindi delle ripercussioni

sull’opinione pubblica mondiale: è stata infatti proprio la Georgia ad

iniziare l’accerchiamento del capoluogo sud-ossetino Tskhinvali, avendo

deciso di “riportare l'ordine costituzionale nell'Ossezia del Sud”, pochi

minuti dopo la mezzanotte dell’8 agosto 2008. Ed è l’attacco georgiano

l’evento che è stato oscurato dall’apertura delle Olimpiadi, non la

risposta militare russa, avvenuta alcune ore dopo.

Capitolo 5 – Il ruolo e la posizione della diplomazia italiana

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5.1 – Intervista al sottosegretario al Ministero degli Affari

Esteri, Senatore Alfredo Mantica51

Che ruolo ha avuto la diplomazia italiana nella risoluzione del conflitto russo-georgiano?

“L’Italia, in quanto Paese fondatore dell’Unione europea, è da sempre

impegnata in prima persona nella ricerca delle risoluzioni di pace in caso

di conflitti, siano essi armati o diplomatici, a maggior ragione se inseriti

all’interno dei confini geografici continentali. Nel caso della disputa

georgiana dello scorso anno, la diplomazia italiana si è attivata lungo due

binari: da un lato affiancando i politici in un gioco di squadra che ha

prodotto infatti una rapida soluzione alla crisi; dall’altro fornendo

supporto alla comunità italiana presente in Georgia attraverso il lavoro

dell’Unità di Crisi, nostro fiore all’occhiello, servizio ormai copiato dai

maggiori Paesi del mondo”. 

 

Come giudica l’approccio dei mass media (italiani ed internazionali)

alla guerra? E’ stato trattato in maniera equidistante o con nuovi o

antichi pregiudizi?

“Ogni organo di informazione è libero di trattare un argomento come

meglio crede, con il taglio che vuole. Purtroppo a volte i preconcetti

ideologici hanno la meglio sull’obiettività di giudizio e sulla parità di

trattamento. Ma, per fortuna, in democrazia, ognuno è libero di farsi

l’opinione che meglio crede”.

 

51 Testimonianza scritta all’autore in data 7 Ottobre 2009

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E soprattutto, è stato influenzato da interessi economici?

“Gli interessi economici ci sono sempre, in qualunque ambito. Sia dal

punto di vista dei cittadini, dei governi, ma anche degli editori”.

Come si colloca l’Italia nei rapporti con la Russia per quanto

riguarda le forniture di gas?

“La Russia è un partner importantissimo. Ma non dobbiamo commettere

l’errore di appiattirci soltanto su questo aspetto. La politica energetica

italiana è chiara: se da un lato si dialoga con la Russia, dall’altro si

trovano strade alternative. In questo modo l’Italia potrà mettere in atto

quella differenziazione delle forniture che le garantiranno autonomia

energetica anche in eventuali momenti di crisi, come ad esempio

successe in seguito alla disputa russo-ucraina”.  

 L’Italia guarda con favore alla differenziazione delle forniture sui

mercati, oppure ha stipulato un patto di ferro con la Russia, anche in

virtù dell’amicizia tra Berlusconi e Putin?

“L’ho detto prima. Non esiste alcun patto di ferro, come non esistono

neppure nemici. L’Italia, oltre che con la Russia, ha importanti accordi in

materia energetica anche in Maghreb, in Sud America, nei Balcani, in

Libia. La nostra linea è differenziare il più possibile proprio al fine di

salvaguardarci da eventuali crisi future”.

  

Come sono i rapporti con gli Stati Uniti, ora che al governo non c’è

più l’amico Bush ma Obama, sempre in relazione alla questione

georgiana e più in generale alla questione energetica?

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Page 119: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

“Gli Stati Uniti da sempre sono vicini all’Italia e l’Italia è sempre stata

amica degli Stati Uniti. I nostri rapporti diplomatici e politici sono ottimi.

I rapporti tra due Paesi prescindono dalle personalità che di volta in volta

guidano i due Paesi”.

Come vede la futura creazione del gasdotto White Stream che

attraverserà la Georgia per portare il gas del Caspio nei mercati

europei, tagliando fuori la Russia? Anche l’Italia beneficerà di

questa diversificazione degli approvvigionamenti del gas o resterà

fedele alla Russia?

“Come ho già ripetuto più volte, non si tratta di nessun concetto di fedeltà

ma di pura e semplice strategia di diversificazione. Tanti più Paesi sono

coinvolti nella razionalizzazione delle risorse e della loro distribuzione,

tanto meglio è per tutti. In primo luogo per i consumatori”.

Conclusione

Come ho cercato di dimostrare ampiamente durante il mio lavoro la

Georgia rappresenta un crocevia di interessi che vanno ampiamente al di

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Page 120: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

là del reale peso internazionale di questo piccolo Stato. A dimostrazione

dell’importanza e della delicatezza della situazione georgiana l’Unione

Europea, nel dicembre 2008, istituì l'IIFFMCG (Indipendent International

Fact-Finding Mission on the Conflict in Georgia – Missione Indipendente

Internazionale per l'Accertamento dei Fatti del Conflitto in Georgia). Si

tratta del primo intervento nella storia dell’UE atto a valutare

obiettivamente lo svolgimento di fatti di guerra. La conclusione del

rapporto è stata resa nota il 30 settembre 2009 e, in sintesi, dichiara che

nel conflitto svoltosi tra il 7 agosto 2008 e il 7 settembre 2008 tra

Georgia e Russia vi sia stata “un’erosione nel rispetto di principi

riconosciuti di diritto internazionale quali l'integrità territoriale, e allo

stesso tempo una crescente disposizione da parte di tutte le parti in causa

a usare la forza come mezzo per raggiungere i propri obiettivi politici, e

ad agire unilateralmente invece di cercare una soluzione negoziata, per

quanto difficoltosa e pesante il processo di negoziazione possa essere.

Sebbene sia possibile identificare la responsabilità nei singoli eventi e

nelle singole decisioni che hanno diretto il corso del conflitto, non c'è

modo di assegnare una chiara responsabilità a una sola parte in causa.

Sono tutte colpevoli, ed è loro responsabilità porre rimedio agli errori

commessi”. La dichiarazione della Missione europea dimostra la propria

equidistanza nella valutazione delle responsabilità così come nell’analisi

delle cause che hanno portato alla guerra. Nel rapporto si legge infatti che

“la causa iniziale del conflitto risale al 1991. Alla dichiarazione di

indipendenza della Georgia dall'Unione Sovietica, infatti, è seguita

una decisa repressione dei diritti delle minoranze abkhaza e osseta

che vivevano in province semiautonome (seppur facenti parte dello

Stato di Georgia). Infatti, a seguito dell'insurrezione di questi due

popoli, la Georgia non ha più avuto il controllo delle due province,

che sono rimaste in una zona grigia, nella quale la Russia aveva un

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Page 121: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

ruolo di peacekeeping”. Quello che il rapporto sottolinea con

decisione è che, nonostante le responsabilità condivise di Georgia e

Russia, ad iniziare il conflitto nella notte tra il 7 e l'8 agosto, fu la

Georgia la quale attaccò l'Ossezia del Sud con il dichiarato intento di

riportare i territori ribelli sotto il controllo georgiano (dichiarazione

del generale Kurashvili).

In conclusione quindi è importante sottolineare, a dimostrazione di

quanto sostenuto all’interno di questo mio lavoro, come il rapporto e

le dichiarazioni finali della Commissione europea siano stati ignorati

dai media italiani i quali hanno preferito omettere tali importanti

conclusioni, evidentemente per non ammettere davanti all’opinione

pubblica che, durante il conflitto del 2008, il proprio operato non fu

poi così cristallino e che, durante quei giorni, la maggior parte di

loro non tenne presente il fine supremo degli organi d’informazione:

la ricerca della verità al servizio del pubblico. Questa omissione

datata 30 settembre 2009 è l’ennesima macchia sul triste capitolo del

conflitto russo-georgiano per l’informazione occidentale in generale,

e per quella italiana in particolare.

Bisogna però anche sottolineare come, anche nel rapporto UE,

manchi un importante riferimento: la Commissione infatti non cita

neanche lontanamente gli interessi energetici che, come abbiamo

visto, la vedono giocare una partita importante per il suo stesso

futuro energetico proprio in Georgia. Proprio questi interessi hanno

fortemente influenzato e continueranno a influenzare gli equilibri

geopolitici nell’area, ancor più delle rivendicazioni di indipendenza

delle piccole regioni georgiane che vanno viste, in questo grande

risiko energetico tra potenze, come delle pedine di una più grande

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Page 122: Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell'informazione - di Alessandro Ingegno

strategia dalla quale ogni attore in campo (Europa, Russia, Stati

Uniti e Georgia) cerca di trarre il maggior vantaggio economico

possibile. Non sappiamo se le prospettive di ingresso della Georgia

nella NATO e nell’Unione Europea porteranno ad una distensione

dei rapporti con la Russia, ma una soluzione pacifica auspicabile

potrebbe essere quella sperimentata al termine della I guerra

mondiale:“un laboratorio di collaborazione economica tra Usa e

Urss” fatto di capitali americani, di risorse georgiane e di lavoro

sovietico. Nel 1924 l’esperimento fu tristemente bocciato quasi sul

nascere in nome di un crescente odio ideologico. Oggi, con un

informazione più equilibrata attenta e competente di quella di allora,

ciò sarebbe possibile, se questa fosse al servizio di un interesse

generale teso alla creazione di un circolo virtuoso per i georgiani e

per coloro che orbitano attorno alla Georgia, piuttosto che al servizio

degli stessi interessi economici particolari che preferiscono,

attraverso le armi, acquisire potere seminando morte e distruzione.

Bibliografia:

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Ottobre 2009

Alessandro Ingegno

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