IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di...

21
1 DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito Corso di Laurea in Giurisprudenza 5 APRILE 2017 IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON ESECUTIVO NEI REATI DI BANCAROTTA: OBBLIGHI DI GARANZIA E IMPUTAZIONE DOLOSA, TRA “RED FLAGS” E“WILLFUL BLINDNESS” Federica Critelli, Elena Demurtas, Riccardo Giusti Relatore: Dott.ssa Martina Galli e Prof. Carlo Sotis

Transcript of IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di...

Page 1: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

1    

DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progredito

Corso di Laurea in Giurisprudenza

5 APRILE 2017

IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON ESECUTIVO NEI REATI DI

BANCAROTTA: OBBLIGHI DI GARANZIA E IMPUTAZIONE DOLOSA,

TRA “RED FLAGS” E“WILLFUL BLINDNESS”

Federica Critelli, Elena Demurtas, Riccardo Giusti

Relatore: Dott.ssa Martina Galli e Prof. Carlo Sotis

Page 2: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

2    

Indice: 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali pag. 3 1.1. Posizione dell’amministratore delegato e non all'interno della governance societaria pag. 4 2. Premessa alla responsabilità degli amministratori non esecutivi nei reati societari e fallimentari: il problema dell’individuazione dell’obbligo di garanzia pag. 5 2.1. Il concetto di potere impeditivo pag. 7 2.2. L’individuazione della posizione di garanzia nelle sentenze Banco Ambrosiano e Banca Privata Italiana pag. 9 2.3. L’obiettiva restrizione della posizione di garanzia dei deleganti nella sentenza Bipop Carire pag.10 2.4. L’individuazione della posizione di garanzia dei deleganti nella sentenza Parmalat pag. 12 3. La prova del dolo nei reati degli amministratori deleganti pag. 14 3.1. La teoria dei segnali d'allarme e la mossa dello struzzo pag. 15 3.2. La valenza probatoria dei red flags e i relativi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali pag. 17

4. Considerazioni finali e soluzioni de iure condendo pag. 20

5. Bibliografia pag. 21

Page 3: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

3    

1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di studiare il tema dell’imputazione della responsabilità, a titolo di concorso omissivo, in capo agli amministratori deleganti1 per i reati societari e fallimentari commessi, mediante operazioni fraudolente in danno alla società o ai creditori2, dagli amministratori esecutivi nell’esercizio della governance societaria. Il tema implica – e dunque impone – di affrontare almeno due questioni più generali: a) l’individuazione di una posizione di garanzia in capo all’organo di controllo e dunque la definizione di un obbligo giuridico di impedimento e dei relativi poteri impeditivi3; b) l’accertamento del dolo e quindi della rappresentazione e volizione del fatto storico corrispondente alla fattispecie di reato4; legata all’analisi del dolo, è poi la teoria dei c.d. segnali di allarme, che sono accadimenti la cui manifestazione rende probabile la verificazione di un danno ad un bene giuridico5. Prima di addentrarci nella congerie di problemi qui prospettati è opportuno chiarire il contesto di diritto societario entro cui le riflessioni penalistiche si muovono. In particolare ci interessa delineare la struttura organizzativa delle società di capitali. Ebbene, il sistema tradizionale di amministrazione e controllo delle società di capitali è caratterizzato dal binomio organo di amministrazione pluripersonale (consiglio di amministrazione) e organo di controllo interno (collegio sindacale) e persegue una duplice finalità: da un lato vuole rendere più efficiente e celere l’adempimento della prestazione gestoria, dall’altro vuole valorizzare le competenze esistenti in seno al consiglio6. Le funzioni amministrative sono suscettibili di delega da parte del consiglio ad uno o più dei propri componenti (c.d. amministratori delegati)7. Questa opzione organizzativa corrisponde ad evidenti esigenze della prassi, che vede articolarsi l’organo amministrativo in un plenum, con funzioni di controllo e indirizzo pieno, e in un nucleo delegato: appunto l’amministratore delegato, od anche più amministratori delegati con deleghe su materie uguali o tra loro distinte. A tale organo delegato è affidata non solo la gestione complessiva, a cominciare dal day-by-day management, ma anche la predisposizione delle linee strategiche dell’impresa, che però dovranno essere oggetto di esame da parte del consiglio. L’organo delegato è chiamato ad un ruolo fondamentale nella gestione dell’impresa societaria, con ricadute non solo sulle modalità di esercizio della funzione gestoria, ma anche in punto di responsabilità degli amministratori. Se la delega attribuisce all’amministratore delegato il potere di gestione sulle materie delegate, il plenum del consiglio, rimanendo titolare della funzione amministrativa nel suo complesso, anche se non eserciterà le funzioni gestorie in quelle stesse materie, avrà comunque il dovere di vigilare sull’operato del delegato e, quindi, di intervenire ove occorra8.Il sistema di controllo sulla gestione è affidato in parte agli amministratori non esecutivi e in parte al collegio sindacale.

                                                                                                                         1 Giova considerare che ai sensi dell’art. 2381, comma 2, c.c. il consiglio di amministrazione può «delegare proprie attribuzioni 2 A. INGRASSIA, La Suprema Corte e il superamento di una responsabilità di posizione per amministratori e sindaci: una decisione apripista?, Nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012 (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, Pres. Oldi, Rel. Micheli, in www.penalecontemporaneo.it, 14 febbraio 2013, pp. 1-2. 3  In connessione con questa tematica vi sarebbe anche quella della prova del nesso causale tra l’inerzia dei deleganti ed il fatto di reato, che tuttavia, per esigenze di spazio, non sarà oggetto di specifico approfondimento.  4 Cfr. F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari (una lettura critica della recente giurisprudenza), in Riv. soc., fasc.2-3, 2012, pp. 1-3. 5M. CAPUTO, Dalla teoria dei “segnali di allarme” alla realtà dell’imputazione dolosa nel concorso dell’amministratore non esecutivo ai reati di bancarotta, in Riv. Soc., fasc.5, 2015, 905 ss., 6M. ROSMINO, L’attuale regime di responsabilità degli amministratori non esecutivi e dei sindaci nel modello tradizionale tra potere e dovere di informazione, in www.fondazionenazionalecommercialisti.it, 30 novembre 2016, pp. 2-3. 7Il sistema è così impostato dall’art. 2381, 2°-3° comma, c.c. 8  Cfr. M. CIAN (a cura di), Manuale di diritto commerciale, G. Giappichelli editore, Torino, pp. 452-453.

Page 4: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

4    

Quest’ultimo ha il controllo di legittimità sugli atti di gestione e sui comportamenti relativi all’attività d’impresa, vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta gestione e sull’adeguatezza degli assetti della società9. Il legislatore riconosce in capo ai sindaci poteri ispettivi che si sostanziano nell’accesso ai locali della società e nel prendere visione dei relativi documenti, e poteri reattivi che si traducono in richieste di notizie sull’andamento della società. Questi poteri consentono di configurare in capo ai sindaci una posizione di garanzia che determina una responsabilità concorrente con quella degli amministratori10. Dei poteri attribuiti agli amministratori deleganti e della conseguente individuazione di una posizione di garanzia ci occuperemo nei prossimi paragrafi. 1.1 Posizione dell’amministratore delegato e non all’interno della governance societaria Negli anni ’70 la governance societaria si basava su un modello diverso rispetto a quello attuale, in quanto vi era un consiglio di amministrazione che gestiva gli affari della società e ne determinava la politica commerciale, mentre i delegati si limitavano a eseguire le sue decisioni. Nell’assetto odierno invece la gestione è affidata ai consiglieri delegati, con un C.d.A. che si riunisce saltuariamente11. Nella generalità dei casi, si prevede che le società di capitali, soprattutto quelle di grandi dimensioni, vengano governate non da un singolo amministratore, ma da un collegio, il quale si compone sia di soggetti che hanno poteri esecutivi, sia di amministratori privi di deleghe. L’attività di questi ultimi è relegata ad una funzione di controllo12 in merito alla struttura organizzativa della società e all’operato dei colleghi aventi poteri esecutivi; infatti nell’analisi dell’attività d’impresa si registra l’enucleazione di una particolare figura di amministratore i cui compiti non si traducono tanto nella gestione dell’ente, quanto piuttosto nella vigilanza della correttezza del lavoro altrui. Prima della riforma societaria del 2003 (D.lgs. n. 6/2003, Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative)13 sugli amministratori non esecutivi gravava un generico obbligo di vigilanza sulla gestione societaria, con l’annesso dovere di intervenire per impedire il compimento di atti pregiudizievoli. Ciò permetteva di attribuire la responsabilità solidale a tutti gli amministratori in caso di mala gestio. La Riforma ha aggiornato il dato positivo, comportando la sostituzione del dovere di vigilanza con l’obbligo di valutare, sulla base delle informazioni ricevute, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società nonché il generale andamento della gestione14. Art. 2381, 3° comma, c.c. introdotto con il D.lgs. n. 6/2003: «Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione». Inoltre è stato modificato il disposto dell’art. 2392, 2° comma c.c., che disciplina la responsabilità solidale degli amministratori verso la società, riconoscendo in capo ad essi un generico obbligo giuridico di attivarsi. Il legislatore ha eliminato l’irrealistico ed inesigibile dovere di «vigilanza» a carico degli

                                                                                                                         9V. Art. 2403 c.c. 10 M. ROSMINO, op. cit., pp. 21-22. 11 G. MERCONE, L’obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d’allarme, in www.penalecontemporaneo.it, 2 febbraio 2012, p. 9. 12 Cfr. Riforma del diritto societario attuata con legge n. 6/2003. 13 Cfr. Capitolo successivo, “Responsabilità penale omissiva dell’amministratore non delegato”, par. 2.1. 14 Art. 2381, 3° comma, c.c.

Page 5: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

5    

amministratori non operativi sul generale andamento della società, sostituendolo con un obbligo informativo per gli organi delegati in merito alle operazioni societarie maggiormente rilevanti15. Art. 2392, 2° comma, c.c. prima e dopo la Riforma. Vecchio testo: «In ogni caso gli amministratori sono solidamente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose». Nuovo testo: «In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal terzo comma dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose». Per giunta la Riforma ha modificato lo standard di diligenza richiesto all’amministratore nell’adempimento delle sue funzioni, adeguandolo alla realtà fattuale nazionale e alla disciplina internazionale. In tal modo si è superato un modello di responsabilità oggettiva e di posizione per approdare ad uno compatibile con il principio di responsabilità colposa, garantendo così maggiore tutela alla figura dell’amministratore non esecutivo16. Riportiamo anche il testo dell’art. 2392, 1° comma, prima e dopo la Riforma. Vecchio testo: «Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario, e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori». Nuovo testo: «Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori». La Riforma, come anticipato, ha poi previsto un ampio e periodico obbligo informativo degli organi delegati al consiglio e al collegio sindacale sulle operazioni più rilevanti per dimensioni o caratteristiche (anche qualitative, quali ad esempio operazioni atipiche, inusuali o compiute o deliberate da amministratori interessati), ed esteso anche alla gestione delle controllate17. In generale possiamo dire che le innovazioni introdotte dalla Riforma del 2003 si occupano di definire i poteri e i doveri dell’organo di amministrazione in maniera analitica e dunque i compiti che spettano agli amministratori delegati e agli amministratori deleganti; un aspetto, questo, assolutamente centrale nell’economia della nostra trattazione, poiché da esso sono derivate significative variazioni in punto di responsabilità penale18. 2. Premessa al problema sulla responsabilità degli amministratori non esecutivi nei reati fallimentari e societari: il problema dell’individuazione dell’obbligo di garanzia In materia di responsabilità penale concorsuale per i reati commessi dai delegati nell’ambito dell’attività d’impresa si distinguono due forme di partecipazione da parte dell’amministratore non esecutivo: a) il concorso commissivo; b) il concorso omissivo improprio. Mentre il primo tipo di partecipazione al reato è di facile individuazione19, le problematiche sollevate dal concorso omissivo improprio presentano un maggior grado di complessità. Il polo intorno al quale ruota questo tipo di responsabilità è dato

                                                                                                                         15 G. MERCONE, op. cit., p. 5. 16    A. INGRASSIA, Omissione impropria e reato economico. La responsabilità per omesso impedimento del reato altrui, in Tesi di dottorato,  www.penalecontemporaneo.it/autori/63-­‐alex-­‐ingrassia,  2012-2013, p. 80.  17 Art. 2381, 5° comma, c.c. 18 Cfr. Capitolo successivo, “Responsabilità penale omissiva dell’amministratore non delegato”. 19 «Il concorso commissivo del membro del board, che attraverso un contributo attivo (morale o materiale) consente o agevola la realizzazione dell’illecito da parte del componente esecutivo». Così, N. MENARDO, La responsabilità penale omissiva degli amministratori privi di delega, in www.penalecontemporaneo.it, 2015, p. 4.

Page 6: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

6    

dall’esistenza in capo ad un determinato soggetto, il garante, di uno specifico obbligo di attivarsi per impedire la realizzazione di fatti di reato, ex. art. 40, 2° comma, c.p. La mancata attivazione da parte di quest’ultimo dà luogo ad una responsabilità penale per non aver impedito l’illecito verificatosi. Punto focale della nostra trattazione è dunque il concetto di posizione di garanzia che può essere definito come l’obbligo giuridico che grava su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti dagli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela20. La posizione di garanzia, quindi, si sostanzierebbe in questo speciale vincolo di tutela tra un bene giuridico ed un soggetto cui il bene stesso è affidato, per l’incapacità del titolare di salvaguardarlo adeguatamente21. L’obbligo di attivarsi, quindi, può venire in rilievo solo in quanto sia attuale e che possa definirsi realmente “impeditivo22. Con ciò si intende richiamare l’attenzione sulla stretta connessione che deve intercorrere tra il fatto non impedito e l’attualità della titolarità dell’obbligo nel momento in cui il soggetto è rimasto inerte. Al fine di ricostruire con esattezza l’ambito della posizione di garanzia dei deleganti, la dottrina si è concentrata sulle disposizioni del diritto societario23, individuando la fonte dell’obbligo giuridico di attivarsi proprio nell’art. 2392, c.c.24 a causa dell’indeterminatezza25 dell’art. 40, 2° comma, c.p. Tale disposizione, in combinato disposto con l’art. 110 c.p.26, dà vita alla fattispecie del concorso omissivo nel reato commissivo altrui, rendendo tuttavia incerto il confine tra penalmente rilevante e penalmente irrilevante. L’ art. 40, cpv., 2° comma, c.p. è considerata una sorta di «clausola in bianco» che richiede il rinvio ad altre norme mentre l’art.2392, c.c. è stata pensata e scritta per regolamentare la vita delle società commerciali, non per definire gli obblighi di garanzia in funzione del rimprovero penalistico27. La combinazione tra norma civilistica, art. 40 cpv. c.p. e singola fattispecie incriminatrice è quindi altamente problematica. Essa dà luogo a un doppio rinvio in bianco28: dal primo rinvio operato dall’art. 40 cpv. («... obbligo giuridico ...») si passa al secondo rinvio effettuato dall’art. 2392, comma 2, c.c. («... non hanno fatto quanto potevano ...») e da questa alle diverse norme del codice civile che disegnano i poteri impeditivi degli amministratori.

                                                                                                                         20  A. INGRASSIA, Omissione impropria e reato economico. La responsabilità per omesso impedimento del reato altrui, in Tesi di dottorato,  www.penalecontemporaneo.it/autori/63-­‐alex-­‐ingrassia,  2012-2013, p. 61.  21  La posizione di garanzia presenterebbe tre connotati fondamentali: la particolare vulnerabilità del bene, a causa dell’incapacità del titolare di proteggerlo; l’affidamento del bene al garante prima della verificazione della situazione di pericolo; la signoria del garante sul rischio che conduce all’evento lesivo. Si veda, A. INGRASSIA, Omissione impropria e reato economico, cit. p. 62.  22 Relazione al "Progetto preliminare di riforma del codice penale", Parte generale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, p. 596. 23 Libro V, titolo V, Codice Civile. 24 N. MENARDO, op. cit., p. 4. 25 L’indeterminatezza dell’art. 40 c.p. è conseguenza della insufficiente tipizzazione degli elementi costituivi della fattispecie, in quanto, così formulato, non è in grado di soddisfare né il principio della riserva di legge, né i principi di determinatezza e tassatività. Cfr. F. PICCIONE, Il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente nel contesto dei reati d’impresa, in Cass. pen., fasc.4, 2016, pp�. �4-5. 26 Disposizione autorevolmente definita come la «più incostituzionale che esista nell’ordinamento italiano», in quanto non precisa in cosa consista la condotta concorsuale, limitandosi ad affermare che «quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti» Cfr. F. PICCIONE, op. cit., p. 3. 27 F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli obblighi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari, cit., 2012, p. 8. 28 F. CENTONZE, La suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, 2008, p. 5.

Page 7: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

7    

Ricordiamo che l’esatta determinazione di una posizione di garanzia deve infatti essere ottenuta attraverso il criterio fondamentale della corrispondenza fra poteri e doveri29, dal momento che «i limiti del potere segnano, per ciascun obbligato, il limite invalicabile della garanzia esigibile». Ciò vale anche sul terreno della responsabilità per omesso impedimento dell’evento degli amministratori: l’ampiezza dei poteri giuridici rinvenibili nella normativa civilistica e di quelli concretamente esercitabili nella realtà aziendale segna in modo invalicabile la sfera dei doveri posti in capo ai non esecutivi. I poteri realmente impeditivi degli illeciti in corso di perpetrazione da parte dei delegati circoscrivono e delimitano dunque la garanzia esigibile. L’esistenza di tali poteri infatti consente di equiparare il mancato impedimento dell’evento alla sua attiva causazione: viceversa, se il legislatore chiamasse a rispondere per il mancato impedimento dell’evento colui al quale non ha attribuito i necessari poteri per controllare la situazione di pericolo e per inibirne lo sviluppo verso la produzione dell’evento, finirebbe per configurare un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui. Imprescindibile dunque, per l’interprete, l’identificazione di tali poteri. É necessario, inoltre, evidenziare come l’indagine sui poteri assuma rilievo decisivo anche per determinare se l’inerzia del delegante sia stata condizione necessaria del reato posto in essere dal delegato: il singolo amministratore delegante potrà dirsi infatti concorrente nel reato commesso dall’esecutivo solo se in giudizio il pubblico ministero sia in grado di dare la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che il comportamento doveroso omesso avrebbe impedito la realizzazione del fatto criminoso da parte dell’esecutivo. Un giudizio controfattuale dunque compiuto immaginando presente nel caso di specie l’azione doverosa e, quindi, l’esercizio da parte del delegante degli eventuali poteri impeditivi a lui attribuiti dalla legge e realmente esercitabili nella vicenda concreta30. 2.1. Il concetto di potere impeditivo Abbiamo detto che l’esatta individuazione dei poteri impeditivi è fondamentale in quanto riempie di contenuto il precetto penale31, specificando quali siano le condotte che l’ordinamento pretende siano poste in essere dal garante per impedire il reato. Ma cosa si intende per potere impeditivo? L’individuazione dei poteri passa attraverso una duplice scelta tipologica: poteri direttamente impeditivi vs poteri indirettamente impeditivi; poteri strettamente tipizzati dal legislatore (nominati) vs poteri atipici (innominati)32. Per chiarire il concetto di potere astrattamente impeditivo nel contesto del diritto societario è utile stilare, attraverso le indicazioni della normativa civilistica, un catalogo dei poteri con riguardo all’amministratore di una società di capitali. Preventivamente da considerare è che, anche nella riforma delle società, il «connotato collegiale del consiglio d’amministrazione impedisce l’esasperazione di iniziative individuali33»: il giudice penale, invece, nella ricostruzione della posizione di garanzia, deve considerare i soli poteri individuali astrattamente impeditivi34. Tra questi poteri si annoverano: a) l’impugnazione della delibera consiliare (art. 2388 c.c.): la riforma del diritto societario ha infatti introdotto l’impugnativa, da parte del consigliere assente o dissenziente, della delibera consiliare che sia «contraria alla legge o allo statuto»; b) l’impugnativa ex art. 2391 c.c., per i casi di delibere consiliari che violino la disciplina sul conflitto d’interessi e a quelle ulteriori azioni, già individuate per via interpretativa, come l’azione di accertamento relativa ai vizi del bilancio consolidato

                                                                                                                         29 Ibidem. 30 Ibidem. 31 A. INGRASSIA, La Suprema Corte e il superamento di una responsabilità di posizione per amministratori e sindaci: una decisione apripista?, Nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012 (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, Pres. Oldi, Rel. Micheli, in www.penalecontemporaneo.it, 14 febbraio 2013, p. 3. 32 Ibidem. 33   F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli obblighi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari (Una lettura critica della recente giurisprudenza), Riv. soc. ec. fasc.2-3, 2012, p. 11.  34 Ibidem.

Page 8: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

8    

approvato con una delibera consiliare35. Naturalmente tale impugnativa non assume una natura impeditiva quando il reato si è già perfezionato con l’assunzione della delibera. In altri termini, la sua potenziale efficacia si limita ai casi in cui la delibera non sia self executing, cioè costituisca solo un passaggio essenziale di un più complesso iter criminoso diretto a realizzarsi compiutamente in un momento successivo: in questo caso, infatti, l’impugnazione può operare ex ante e la declaratoria di invalidità, o addirittura un provvedimento cautelare, possono intervenire prima del compimento dell’atto36; c) la segnalazione al pubblico ministero affinché attivi il procedimento previsto dall'art. 2409 c.c. in caso di gravi irregolarità. La riforma del diritto societario ha però drasticamente limitato il ricorso al procedimento di cui all’art. 2409 c.c., portando così ad una contrazione dei poteri e doveri degli amministratori non esecutivi: da un lato, escludendo il pubblico ministero dalla cerchia dei soggetti legittimati ad attivare il procedimento quando si tratti di società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio; dall’altro, circoscrivendo il controllo giudiziario ai soli casi di gravi irregolarità «che possono arrecare un danno alla società o a una o più società controllate37». Insomma un potere, questo, notevolmente limitato rispetto al suo contenuto precedente; d) inoltre, il consigliere senza delega può chiedere al presidente del consiglio d’amministrazione la convocazione dello stesso, spendersi in consiglio per impedire l'adozione di una delibera che possa integrare una fattispecie di reato, far annotare il proprio dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio e darne immediata notizia al presidente del collegio sindacale, e, in ultima istanza, dimettersi dalla carica per evidenziare le criticità della gestione38. La prima dicotomia è collegata all’idoneità o inidoneità del potere, che il garante deve attivare, di incidere direttamente ed immediatamente sull’iter criminis del reato altrui, interrompendolo. Direttamente impeditivi sarebbero solo quei «poteri cui corrispondono doveri di conformazione, il cui esercizio produce effetti giuridici vincolanti sull’attività del soggetto controllato39». Il garante insomma dovrebbe rivestire «un ruolo di tutela indispensabile ed esclusivo nei confronti del bene protetto, al punto che la sua salvezza dipenda dall’intervento risolutivo del garante40». Per giunta, secondo una visione restrittiva di parte della dottrina41, solo questi poteri si possono classificare come impeditivi. Indirettamente impeditivo, invece, è quel potere giuridico che può astrattamente impedire, agendo su una o più fasi del processo di realizzazione del reato, il verificarsi dell’illecito da parte del soggetto sottoposto al controllo. In realtà, è forse più corretto privilegiare questa diversa versione dei poteri impeditivi, poiché invero non esistono nel diritto societario poteri individuali direttamente impeditivi di atti gestori. La dottrina maggioritaria, di concerto con la giurisprudenza di legittimità, ritiene appunto che gravi sul garante l’obbligo di attivare tutti i poteri, anche quelli non direttamente impeditivi, che possono concretizzarsi in obblighi diversi e di minor efficacia rispetto a quelli direttamente e specificamente impeditivi volti ad ostacolare il verificarsi dell’evento42. I poteri direttamente impeditivi si riconoscono solamente in capo al C.d.A nella sua interezza, differentemente dai poteri indirettamente impeditivi, come i poteri di natura sollecitatoria, attivabili anche dal singolo consigliere. Ad esempio, in questa seconda prospettiva, la segnalazione al pubblico ministero affinché attivi il procedimento ex art. 2409 c.c. La seconda dicotomia (poteri tipici e atipici), viene affrontata con letture divergenti. Da un lato la maggioritaria giurisprudenza di legittimità43 ritiene che il garante debba attivare ogni possibile potere, sia                                                                                                                          35 Ibidem. 36 Ivi, p. 12. 37 Ibidem. 38 G. MERCONE, L’obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d’allarme, in www.penalecontemporaneo.it,,2 febbraio 2012, p. 7. 39  F. CENTONZE, op. cit., p. 10.  40  Ibidem.  41  Ibidem.  42 V. par. 2.2. 43 Così Cass. pen., Sez. V, 4 maggio 2011, n. 28932, cit. Altrettanto esplicita sul punto Cass. pen., Sez. V, 18 febbraio 2010, n. 17690, in Cass. Pen. 2011, 4422, con nota di M. PICCARDI, La causazione del fallimento "per effetto di operazioni dolose".

Page 9: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

9    

giuridico sia di fatto, connesso o meno con la propria funzione, con il solo limite dei comportamenti antigiuridici. Dall’altro, dottrina e una giurisprudenza di legittimità estremamente garantista44, asseriscono che i poteri rilevanti siano solo quelli giuridici45. Tra i poteri de iure ricordiamo l’impugnativa ex artt. 2388-2391 c.c. Per quanto riguarda invece, i poteri de facto, essi sono rinvenibili nell’area più prossima all’attività professionalmente esercitata dal garante, ma nulla vieta di individuare diversi rimedi contrassegnati comunque da efficacia impeditiva. Giova chiarire infine che, in tanto si potrà parlare di poteri impeditivi, in quanto questi possano intervenire su un iter criminis in corso. Non saranno, dunque, impeditive quelle condotte che possano essere attivate solo a seguito di un reato consumato. In altre parole, quelle azioni, funzionali a scoprire l’esistenza di un reato in itinere, ma che non incidono in nessun modo sul decorso causale dell’illecito, non sono impeditive46: si pensi, ad esempio, al potere dell’amministratore dissenziente che impugna una delibera con cui si dispone l’immediata “ripartizione di utili non effettivamente conseguiti”, qualora la distribuzione avvenga subito dopo la decisione del consiglio di amministrazione. 2.2 L’individuazione della posizione di garanzia nelle sentenze Banco Ambrosiano e Banca Privata Italiana La tematica sin qui tratteggiata viene affrontata in due notissime vicende giurisprudenziali degli anni ’90 relative al dissesto finanziario di due importanti banche di rilievo nazionale: il Banco Ambrosiano e la Banca Privata Italiana47. In entrambi i casi si riscontra la presenza di un personaggio forte come quello dell’amministratore delegato, reale gestore dell’azienda e fulcro dell’imputazione di una serie di reati societari e fallimentari, poi estesa anche ai componenti del C.d.A. non esecutivi e del collegio sindacale. Il crack del Banco ambrosiano La vicenda giudiziaria relativa alla bancarotta del Banco Ambrosiano, avvenuta nel 1982, ha assunto notevole importanza in virtù della risonanza che ebbe nel contesto bancario italiano e delle innumerevoli violazioni penali commesse dal suo Presidente Roberto Calvi, poi deceduto in circostanze sospette48. La “gestione Calvi” fu oggetto di imputazione e condanne per aver esportato capitali a mezzo di canali finanziari dell’Istituto. La Banca d’Italia, perciò, avviò una serie di ispezioni e controlli da cui risultarono numerose distrazioni di somme di denaro dall’Istituto in favore dello IOR (Istituto per le opere di religione) e di altre società estere49. Ne conseguì per giunta un contenzioso avente ad oggetto una richiesta di risarcimento da parte dello Stato italiano ai danni dello Stato Città del Vaticano di cui lo IOR era organo. Il Banco Ambrosiano fu sottoposto ad amministrazione controllata. Si aprì un procedimento penale per bancarotta fraudolenta nei confronti del C.d.A. e dell’organo di controllo. Volendo ripercorrere brevemente le tre tappe processuali:

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Profili soggettivi della fattispecie, ove la Corte sostiene che non «è richiesta (…) la presenza di formali e tipicizzate leve impeditive dell’evento pregiudizievole». 44  A. INGRASSIA, La Suprema Corte e il superamento di una responsabilità di posizione per amministratori e sindaci: una decisione apripista?, Nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012 (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, Pres. Oldi, Rel. Micheli, in www.penalecontemporaneo.it, 14 febbraio 2013, p. 3.  45 Ibidem. 46 A. INGRASSIA, Omissione impropria e reato economico. La responsabilità per omesso impedimento del reato altrui, in Tesi di dottorato, , www.penalecontemporaneo.it/autori/63-alex-ingrassia, 2012-2013, pp. 96-99. 47 Ivi, p. 15. 48 F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., pp. 21-22. 49 Ivi, p. 18.

Page 10: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

10    

- Il Tribunale di Milano, focalizzandosi sulla problematica relativa alla sussistenza dell’obbligo di garanzia in capo agli amministratori e sull’atteggiamento psicologico degli stessi, ritenne che, accertate le anomalie nella gestione della società, l’amministratore diligente avesse il dovere-potere di vigilare sull’operato degli amministratori delegati alla gestione, ed evitare che si verificassero50. - La Corte d’Appello51, sulla falsariga della pronuncia del tribunale, chiarì che l’obbligo di garanzia in capo ai non delegati derivasse dall’art. 2392 c.c. secondo il quale la gestione della società deve basarsi sull’operato diligente degli amministratori. Il fatto di non esercitare tale controllo consentiva di configurare la responsabilità penale dei non delegati a titolo di concorso nei reati dei delegati. I Giudici ravvisarono nei poteri istruttori di verifica e accertamento sull’operato degli amministratori quei poteri funzionali necessari ad esercitare il loro obbligo di garanzia, il cui esercizio effettivo si deve esplicare nel segnalare agli organi competenti della società gli eventuali illeciti commessi dagli altri amministratori delegati. In particolare, dal momento che i poteri degli amministratori deleganti non erano tipizzati dalla legge, si avvertiva l’esigenza di utilizzare un parametro per guidare il giudice nell’individuazione di un contributo concorsuale. Nella motivazione, dunque, i Giudici di appello individuarono quale parametro di misura del comportamento degli amministratori deleganti la diligenza. Si imponeva così di usare la diligenza non solo nella gestione attiva dell’ente, ma anche nel controllo sull’operato del collega. - La Corte di Cassazione52 affermò la correttezza dei principi enunciati nelle sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello. Il caso Banca privata italiana di Michele Sindona Del 1973 è il caso della Banca Privata Italiana, che trae invece origine dalla gestione disinvolta da parte del fondatore del gruppo, Michele Sindona, il quale aveva praticato un sistema di distrazioni di credito a favore di istituti esteri. In seguito a ispezioni operate dalla Banca d’Italia furono rilevate irregolarità gestionali che portarono alla liquidazione dell’istituto di credito. Durante tale fase il liquidatore Giorgio Ambrosoli fu ucciso. Si aprì un procedimento penale per i reati di bancarotta fraudolenta e falso in bilancio. Il Tribunale di Milano affermò la responsabilità penale degli amministratori esecutivi e non53: Corte d’Appello e Corte di Cassazione54 ribadirono il dovere degli amministratori di agire con correttezza e diligenza affermando che, il non attivarsi per impedire il compimento di atti pregiudizievoli per la società, è fondamento di responsabilità non solo civile, ma anche penale. Come si può notare, l’orientamento dei giudici in entrambe le vicende esaminate presenta una flessione verso l’automatica imputazione di responsabilità in capo agli amministratori deleganti, semplicemente per il tipo di carica rivestita nell’ambito dell’apparato societario. La tendenza era ad assegnare un dovere indefinito di controllo, che avrebbe richiesto un’attività ininterrotta e continua di vigilanza su ciascuna azione dei delegati. La prassi adottata dalla giurisprudenza era, infatti, quella di individuare una responsabilità penale a partire dalla sola violazione del dovere di vigilanza, senza addentrarsi nell’esame dei poteri che l’amministratore delegato avrebbe potuto attivare per impedire l’evento. Inoltre, ma questo è un aspetto su cui torneremo in seguito, questo orientamento riteneva che dalla semplice inosservanza degli obblighi connessi alla carica sarebbero desumibili in via automatica indici presuntivi del dolo di compartecipazione nel reato societario. 2.3. L’ obiettiva restrizione degli obblighi di garanzia nella sentenza Bipop Carire

                                                                                                                         50 Trib. Milano, 16 aprile 1992, in Riv. trim. dir. pen. ec. 1995, pp. 1477 ss. 51 Corte App. Milano, sez. II, 10 giugno 1996, in Riv. dir. pen. ec. 1998, pp. 571 ss. 52 Cass. Sez. V, 3932, 17 luglio 1987, in Riv. pen. ec. N.O, 1988, pp. 15 ss. 53 Così F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., p. 19. 54 Ivi, p. 19-21.

Page 11: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

11    

Un passo decisivo verso la ridefinizione della responsabilità dei membri del board è quello mosso dalla Corte di Cassazione sul caso “Bipop Carire”55. La pronuncia prende infatti in esame per la prima volta il tema degli amministratori deleganti per i fatti dei delegati alla luce della riforma del 200356. Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità nasce dalla contestazione dell’omessa contabilizzazione delle gestioni patrimoniali assistite da anomale garanzie, assai rischiose per l’azienda di credito e che avevano cagionato elevatissime perdite per l’istituto bancario portando Bipop Carire in uno stato di crisi. Da tale omissione57 erano scaturiti i reati di false comunicazioni sociali e di aggiotaggio58. Il giudice dell’udienza preliminare di Brescia aveva assolto gli amministratori privi di delega dai reati ascritti all’intero C.d.A., riservando la responsabilità penale in via esclusiva ai componenti esecutivi dell’organo, asserendo la mancata dimostrazione del dolo in capo agli imputati e valorizzando le modifiche agli articoli 2381 e 2392 c.c59. La Corte di Cassazione, investita della questione dal P.M, secondo il quale ai fini dell’affermazione del concorso dei consiglieri privi di deleghe, sarebbe sufficiente la conoscibilità di indici di rischio60 ravvisabili nell’operato degli esecutivi, ha respinto la tesi del ricorrente, affrontando la questione riguardante i parametri da adottare per valutare la responsabilità concorsuale omissiva dei c.d. gatekeepers. In merito all’ampiezza della posizione di garanzia degli amministratori deleganti, i giudici della quinta Sezione penale della Cassazione affermano, in modo del tutto condivisibile, che il legislatore del 2003 ha «alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe» e ha determinato una «obbiettiva restrizione della responsabilità in capo a questi ultimi»61. Questo aspetto merita approfondimento. La Corte di Cassazione, infatti, dopo questa enunciazione di principio non spiega in che termini sia effettivamente avvenuta questa «obbiettiva restrizione» della posizione di garanzia dei deleganti nelle ipotesi di reati dolosi. La riforma, come del resto afferma la Suprema Corte, ha senz’altro mantenuto in vita la posizione di garanzia degli amministratori non esecutivi. La formulazione della norma, che fonda l’obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40, 2° comma, c.p., è infatti rimasta invariata: ai sensi dell’art. 2392, comma 2, c.c. «in ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il

                                                                                                                         55 Cass. Pen., sez. V, sent. 4/5/2007 n. 23838. 56N. MENARDO, La responsabilità penale omissiva degli amministratori privi di delega, in www.penalecontemporaneo.it, 4 dicembre 2015, p. 7. 57F. CENTONZE, La suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, cit., p. 1. 58 Art. 2621 c.c. «Fuori dai casi previsti dall'art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi». Art. 2637.«Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni». 59 F. CENTONZE, op. cit. pp. 1-2. 60 I cosiddetti «campanelli di allarme», individuati dalla Pubblica Accusa, sono riassumibili: nella consapevole approvazione di ogni iniziativa della dirigenza; nel fatto che dopo poco tempo dall’approvazione del bilancio, vi sono state sostanziose rettifiche; nell’evenienza che alcuni aspetti illeciti erano palesemente rilevabili. I red flags indicati dal P.M. non sono stati ritenuti dalla Corte sufficienti ad individuare un atteggiamento doloso degli amministratori deleganti, neppure a titolo di dolo eventuale. Cfr. F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., p.40. 61 F. CENTONZE, op. cit., p. 1.

Page 12: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

12    

compimento o eliminarne le conseguenze dannose». Ma come ha ristretto il contenuto della posizione di garanzia? Dato che l’obbligo di garanzia si fonda sulla verifica degli effettivi poteri di impedimento, attribuiti loro dalla legge, la Suprema Corte sembra non cogliere il punto centrale della questione perché omette di indagare quali poteri impeditivi siano stati assegnati dalla riforma ai singoli amministratori deleganti. Indagine invece essenziale se si vuole valutare compiutamente l’attuale consistenza della posizione di garanzia degli amministratori senza delega62. L'esatta determinazione di una posizione di garanzia, come ribadito precedentemente, si ottiene, infatti, mediante il criterio fondamentale della corrispondenza fra poteri e doveri. Il mancato approfondimento di questa problematica da parte della Cassazione non è certo una novità: la giurisprudenza penalistica quasi mai si addentra in un esame dei poteri che l'amministratore delegato avrebbe potuto esercitare per impedire l'evento. La stessa si limita spesso alla mera enunciazione del generico dovere di vigilanza o di un insieme variegato di possibili iniziative le quali, neanche astrattamente, possono dirsi idonee ad impedire l'evento63. Abbiamo detto di come la novella del 2003 abbia voluto codificare una differenziazione tra la posizione degli amministratori delegati e quella degli amministratori deleganti. In particolare, circoscrivendo la responsabilità degli amministratori senza delega mediante l’eliminazione dell’obbligo di vigilanza64 dal precedente art. 2392, comma 2, c.c., il legislatore ha voluto porre fine alla condanna “in solido” di tutti gli amministratori che, pur avendo un destino comune, nella prassi hanno ruoli diversi. Infatti, gli amministratori esecutivi gestiscono gli affari e controllano l’informazione societaria, mentre tutti gli altri consiglieri non sono molto più che comparse65. Tuttavia, come sottolinea Ingrassia, né la riformulazione dell’art. 2392, né quella dell’art. 2381 c.c. ci dice alcunché sull’obbligo di impedire l’evento: esse infatti segnano i contenuti e i confini del dovere di diligenza rilevante ai fini dell’imputazione per colpa e non già l’esistenza o meno dell’obbligo integrante l’art. 40, 2° comma, c.p. Come riferisce anche Centonze66, infatti, non è ancora possibile arrivare a conclusioni definitive in merito ai confini della posizione di garanzia degli amministratori deleganti nell’ipotesi di omesso impedimento dei reati dolosi posti in essere dagli esecutivi.

                                                                                                                         62 Ivi, p. 5. 63  «L'attivazione degli amministratori inerti avrebbe potuto manifestarsi, oltre che con il dissenso in sede di deliberazione, anche accentuando la vigilanza, diffidando gli organi responsabili dal portare a termine atti irregolari, sensibilizzando il consiglio d'amministrazione, sollecitando il Collegio sindacale ad un controllo più approfondito, portando a conoscenza dell'assemblea dei soci gli atti di gestione anomala, rendendo edotti l'organo di vigilanza e gli stessi ispettori in sede di verifica». Così, App. Milano, Sez. II, 10 giugno 1996, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998, p. 594, confermata da Sez. V, 22 aprile 1998. 64 «Una cosa è vigilare, altra - almeno in parte diversa è valutare. La vigilanza presuppone, infatti, un compito continuativo ed ininterrotto [...], mentre la valutazione, seppur ripetibile periodicamente, sembra alludere ad un'attribuzione che si esercita una tantum [...]. Valutare significa esprimere un giudizio complessivo intorno ad una determinata situazione sulla base, per di più, di informazioni periodicamente ricevute. Vigilare è altra cosa, significa "osservare" senza soluzione di continuità l'attività di altri». Si veda sul punto IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, cit., p. 244 s. 65  «Si è icasticamente osservato che la novella supera «l’incongrua pretesa del previgente ordinamento che [gli amministratori non esecutivi], non a “tempo pieno” e non retribuiti come i soggetti controllati, si trasformino istituzionalmente, tra una riunione e l’altra, in investigatori che percorrono i corridoi aziendali alla ricerca di doppifondi nei cassetti». Così, A. INGRASSIA, Omissione impropria e reato economico. La responsabilità per omesso impedimento del reato altrui, in Tesi di dottorato, www.penalecontemporaneo.it/autori/63-alex-ingrassia, 2012-2013, p, 81. 66Il nuovo art. 2392, comma 1, primo periodo c.c. con il riferimento alla «diligenza richiesta dalla natura dell'incarico» e dalle «specifiche competenze» degli amministratori, rafforza la convinzione di un mutamento di prospettiva del legislatore ormai consapevole dei rischi di una indiscriminata imputazione di responsabilità (civile) in capo agli amministratori deleganti. Il legislatore calibra lo standard di diligenza sulla base della «natura dell'incarico» (con riferimento concreto dunque da un lato alla dimensione e complessità di quell'impresa e alla sua articolazione organizzativa, e, dall'altro, alla posizione dell'amministratore all'interno dell'organizzazione) e delle «specifiche competenze» dell'amministratore (con riguardo al livello di professionalità richiesto agli appartenuti alla cerchia di professionisti cui appartiene il singolo amministratore). Cfr. F. CENTONZE, op. cit., pp. 3-�.4.

Page 13: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

13    

2.4. Ancora obblighi impeditivi e posizione di garanzia: la sentenza Parmalat E� opportuno ricordare il procedimento per aggiottaggio svoltosi contro gli amministratori del gruppo Parmalat per i fatti avvenuti nel 2003 immediatamente prima del crack. In breve la società Parmalat, una volta sviluppatasi enormemente in Italia, ha cominciato ad acquisire società estere, diventando in poco tempo, negli anni ’70, una società multinazionale. Attraverso collegamenti con le banche (soprattutto quelle straniere) ha cominciato a chiedere numerosi prestiti per poter sviluppare ancora di più il suo business. Nel corso degli anni, con esagerati investimenti finanziari che non apportarono alcun profitto, la società è riuscita ad accumulare debiti su debiti fino al punto del non ritorno. Nei primi anni ’80, il gruppo Parmalat comincia quindi a nascondere i bilanci in rosso, facendo credere agli investitori (banche comprese) e alle società di rating, la sana salute dell'azienda. Per un po' di tempo il buco finanziario di Parmalat è stato coperto con i falsi in bilancio. Parte dei problemi di Parmalat vengono a galla quando si verificano i primi ritardi della liquidazione di un bond scaduto da tempo; allora la Consob chiede spiegazioni su come abbia intenzione di pagare il bond scaduto. La società risponde che il bond sarà liquidato con l'aiuto del fondo monetario Epicurum. Si comincia a dubitare della solidità dell'azienda che comunque mantiene un rating ancora positivo. Di particolare rilevanza fu la motivazione relativa all’imputazione, per concorso in aggiotaggio informativo, di un amministratore indipendente della società, dottore commercialista Luciano Silingardi, presidente della Cassa di Risparmio di Parma e amico di lunga data di Calisto Tanzi, fondatore e patròn del gruppo Parmalat. Ebbene, come ricostruisce la Suprema Corte, l'8 dicembre del 2003 pochi giorni prima del default, Tanzi informò privatamente il suo fidato amico dell'inesistenza di risorse sul noto Fondo Epicurum, che era un’ ostentata ancora di salvezza per l'opinione pubblica. Inoltre dichiarò anche l'assenza di ogni ulteriore disponibilità liquida. Il giorno successivo l'amministratore si dimise da ogni carica societaria e poi, come ben noto, il 29 dello stesso mese venne dichiarato il default del gruppo. La Suprema Corte67 – considerato che, dal momento del colloquio l’amministratore aveva agito “informato”, avendo ricevuto una segnalazione che avrebbe richiesto un suo intervento per evitare ulteriori guai alla società ed agli investitori – si chiese a questo punto quali poteri astrattamente impeditivi avrebbe dovuto esercitare il consigliere indipendente di Parmalat per prevenire il verificarsi dei reati di aggiotaggio e di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza, commessi con i comunicati stampa e le comunicazioni deliberate dal consiglio d’amministrazione successivamente alla data del colloquio con Tanzi68.Secondo la Cassazione, l’imputato avrebbe dovuto procedere all’immediata comunicazione del colloquio, oltre che alla Consob, ai componenti del Consiglio di Amministrazione, al Collegio Sindacale, al Comitato di Controllo interno a PARFIN. In ogni caso poi, avrebbe potuto e dovuto, essendo legittimato, fare ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore senza necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci, trattandosi di una dichiarazione di scienza, peraltro obbligatoria per l’amministratore. Nel caso di specie, invece, non rileverebbe come esercizio di un potere impeditivo l’immediata dimissione dalle cariche societarie: infatti, scrive la Suprema Corte, in quella vicenda proprio l’azione di allontanarsi dall’organismo avrebbe distrutto i tramiti attraverso i quali l’imputato avrebbe potuto istituzionalmente opporsi alla verificazione dell’evento dannoso69. La descrizione di questo caso rende evidente il suo allineamento alla ricostruzione di un’effettiva posizione di garanzia in capo agli amministratori non esecutivi. In particolare, l’autorità giudiziaria ricerca quei poteri impeditivi in capo ai singoli amministratori, valorizzando obblighi di denuncia o di attivazione, di istanze di controllo interne ed esterne alle singole società che, se adeguatamente sollecitate, avrebbero impedito il protrarsi della gestione caratterizzata da operazione dannose. Si tratta, in particolare, dei poteri di denuncia al collegio sindacale ed al p.m. (art. 2409 c.c.) ed alle istituzioni di controllo previsti dall’art. 43 l. n. 4277/1991 e dall’art. 141 t.u.i.f. 70 In generale, quindi, potremmo ribadire il fatto che l’amministratore privo di delega non può direttamente impedire il compimento di fatti criminosi perché non ha il potere di adottare, individualmente,

                                                                                                                         67  Cass. Pen., Sez. V, sent. 7/3/2014 – 22/7/2014 n. 32352, in Foro it., 2014, 7.  68F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli obblighi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari, cit., pp. 12-13. 69 Ibidem. 70L. RAMPONI, Il caso Parmalat: il giudizio parmense sul reato di bancarotta fraudolenta, in L. FOFFANI D. CASTRONUOVO, Casi di diritto penale dell’economia, vol. I, Impresa e mercato (Cirio, Parmalat, Antonveneta, Bnl-Unipol), 58.  

Page 14: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

14    

provvedimenti impeditivi. Questo potere è del C.d.A. Il singolo componente può agire solo attraverso strumenti di sollecitazione delle decisioni collegiali e tramite il voto delle stesse. Gli unici poteri attributi agli amministratori quindi sono di mera facoltà di denuncia. Il consigliere non esecutivo può perciò innescare il meccanismo idoneo ad impedire la realizzazione di un fatto criminoso, ma l’effettivo impedimento dell'evento presuppone sempre l’opera almeno di un soggetto terzo come appunto il pubblico ministero, il presidente del consiglio di amministrazione e così via. In conclusione, possiamo affermare che questi casi sono sintomatici dello sforzo fatto dai giudici nel delimitare, nel rispetto del principio di legalità, l’estensione della posizione di garanzia in virtù dell’indeterminatezza del dato normativo. 3. La prova del dolo nei reati degli amministratori deleganti In cosa consiste il dolo degli amministratori non esecutivi? Segnatamente per il loro contributo commissivo atipico (partecipazione ad una delibera consiliare) o per l’omesso impedimento del reato di bancarotta posto in essere da un amministratore non esecutivo. All’interrogativo rispondono premesse dogmatiche, ripensamenti legislativi e questioni applicative71. Aspetto assai critico riguarda l’oggetto, la struttura e l’accertamento del dolo dei soggetti che o hanno partecipato a condotte apparentemente lecite oppure che non hanno impedito le stesse nella gestione societaria72. La verifica del dolo73, (individuata, per gli amministratori estranei alla gestione, nel dolo “eventuale”) ha causato diversi problemi. La dimostrazione della conoscenza dell’altrui programma criminoso ha fatto registrare soluzioni divergenti in giurisprudenza, che col tempo ha in parte accolto le critiche della dottrina, legate all’utilizzo dei c.d. segnali d’allarme, ritenuti spesso indici di per sé sufficienti a provare il dolo del consigliere delegante74. All’inizio, in giurisprudenza, sono prevalsi due orientamenti75. Primo indirizzo: si riteneva che la prova del dolo venisse desunta dall’inadempimento dei doveri dei deleganti, con la conseguenza che la posizione assunta nell’organizzazione dell’ente di per sé era considerata un indicatore del dolo, definito «dolo di posizione». Dato l’incarico «non potevano non sapere» che altri soggetti avrebbero potuto eventualmente commettere determinati reati. Il volontario inadempimento dei doveri di controllo equivaleva all’accettazione del rischio di qualsiasi sviluppo negativo della gestione d’impresa. Secondo indirizzo: si considerava sufficiente l’inerzia di fronte a riconoscibili segnali d’allarme dei reati poi commessi, a prescindere dalla circostanza che detti indici fossero stati in concreto percepiti e correttamente valutati come indicatori del possibile accadimento di un determinato fatto illecito. Entrambe le correnti sono state oggetto di critiche dottrinali76: la prima con riferimento all’individuazione dell’oggetto del dolo, la seconda con riguardo alla presunzione del dolo77. La S.C., infatti, ha dato per                                                                                                                          71  M. CAPUTO, Dalla teoria dei “segnali di allarme” alla realtà dell’imputazione dolosa nel concorso dell’amministratore non esecutivo ai reati di bancarotta, in Riv. Soc., fasc.5, 2015, 905 ss., p. 1.  72  A. INGRASSIA, La Suprema Corte e il superamento di una responsabilità di posizione per amministratori e sindaci: una decisione apripista?, Nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012 (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, Pres. Oldi, Rel. Micheli, in www.penalecontemporaneo.it, 14 febbraio 2013, p. 7.  73  La  prova  del  dolo  presuppone  che  si  tratti  di  un  fatto  interno  che  non  può  essere  accertato  mediante  i  sensi,  alla  stregua  di  un  accadimento  esterno  o  materiale,  ma  deve  essere  desunto  da  dati  esteriori.  74  G. MERCONE, L’obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d’allarme, in www.penalecontemporaneo.it,,2 febbraio 2012, pp. 10-11.  75  Ibidem.  76  «Con riferimento al primo indirizzo, si è evidenziato un errore nell’individuazione dell’oggetto del dolo, da non riferire al solo inadempimento dell’obbligo di controllo, ma piuttosto ai fatti pregiudizievoli in itinere programmati dagli amministratori delegati; e, in relazione alla seconda impostazione, si è invece sottolineata come la rappresentazione dell’evento, e quindi

Page 15: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

15    

scontata la percezione soggettiva dei segnali d’allarme (prima presunzione), ed ha affermato che dagli stessi fosse derivata l’effettiva previsione dei reati commessi (seconda presunzione). La dottrina ha opportunamente contestato tale modo di argomentare, dato che il soggetto apicale potrebbe non aver effettivamente percepito tali indici sintomatici di illeciti che costituiscono solo la spia di un pericolo. Bisogna, quindi, evitare una sovrapposizione tra il piano della «conoscibilità» e quello della «conoscenza», visto che, oltre al momento volitivo, già scemato nell’accettazione del rischio, si depotenzia pure l’elemento rappresentativo. Soltanto quando tali segnali spingano l’amministratore ad attivarsi, determinando una reale consapevolezza dell’altrui proposito criminoso, che però non si è impedito, sarà possibile configurare una responsabilità concorsuale a titolo omissivo. Tali obiezioni hanno così portato la giurisprudenza più recente ad affermare chiaramente che la responsabilità dolosa per omesso impedimento richiede la «rappresentazione del proposito criminoso» e il «consapevole» mancato intervento78. Nonostante tale prospettiva sia stata condivisa nel 2007 dalla S.C. nella nota sentenza sul caso Bipop Carire, relativo alla gestione fraudolenta del citato gruppo bancario, la Corte di Cassazione in decisioni successive ha registrato un’involuzione a favore nuovamente dell’indirizzo meno garantista79. 3.1. La teoria dei segnali d’allarme e la mossa dello struzzo «Red flags, warning sign, campanelli, sintomi» sono tutte metafore che rimandano al medesimo significato. Volendo fornire una definizione penalistica, il segnale d’allarme è un dato esteriore dotato di una peculiare caratteristica: deve esercitare una speciale forza di richiamo che ammonisce circa la presenza di un pericolo. Si tratta di accadimenti la cui manifestazione rende maggiormente probabile la verificazione di un danno ad un bene giuridico80. Prima ancora di interessare la materia penalistica, il segnale d’allarme, come premonitore di un evento, assume un significato fondamentale aziendale e organizzativo. Una buona organizzazione è quella che impara a cogliere e valorizzare i red flags attraverso sistemi di reporting, strutturati in modo da catturare i sintomi del malessere organizzativo. In tanto si può prevenire un fatto di reato all’interno di un ambiente complesso quanto quello aziendale, in quanto si versi nelle condizioni di conoscere ciò che avviene in quell’ambiente attraverso un’efficace disclosure81 di dati che ineriscono alla commissione di possibili illeciti. La mancanza o il cattivo funzionamento di un sistema di flussi informativi sono una traccia probante della inidoneità del modello organizzativo che non può lasciare tranquilli gli amministratori82. Un sistema di flussi informativi che funziona favorisce l’affioramento e la trasmissione di

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 l’accettazione del rischio del suo verificarsi, non possa desumersi dalla mera presenza di indici d’allarme». Così, G. MERCONE, L’obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d’allarme, in www.penalecontemporaneo.it, 2 febbraio 2012, p. 11.  m.  78  Ivi, pp. 12-13.  79  Ivi, p. 13.  80  Nelle parole di Crespi, noto giurista italiano: «il “segnale d'allarme” altro non è che l'indicazione di un pericolo, che, se recepito, altro non può significare se non un sospetto che vi sia qualcosa da conoscere. Ciò non significa ancora che vi sia una concreta possibilità di conoscenza né tanto meno una effettiva conoscenza» Per Pedrazzi, esperto in diritto penale, i segnali di allarme «assumono valore indiziante solo in quanto effettivamente e adeguatamente percepiti, e intesi nella loro attitudine evocativa: comode ma fuorvianti, inutile dire, le valorizzazioni ex post. E l'allarme, per essere apprezzato come tale, dovrà profilarsi in termini abbastanza univoci da indirizzare la reazione impeditiva. L'allarme ambiguo genererà nel garante soltanto un onere di approfondimento, di indagine e interpello, la cui inosservanza recherebbe le stigmate della negligenza e quindi della colpa in ordine all'evento che ne consegua»   Così in, M. CAPUTO, Dalla teoria dei “segnali di allarme” alla realtà dell’imputazione dolosa nel concorso dell’amministratore non esecutivo ai reati di bancarotta, in Riv. Soc., fasc. .5, 2015, 905 ss., p. 2. 81  Obbligo di divulgazione di informazioni, dati che ineriscono la commissione di possibili illeciti.    82  M. CAPUTO, op. cit. p. 2.  

Page 16: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

16    

segnali d’allarme, e colma, per quanto possibile, le asimmetrie informative tra organo gestorio, amministratori deleganti e organi di controllo. Si badi, il segnale d’allarme nasce come dato esteriore e ottiene la qualifica “d’allarme “a seguito di un dato interiore: un giudizio reso dal soggetto che raccoglie il segnale e gli attribuisce un significato di pericolo. L’attribuzione del grado di pericolo segue una valutazione che si rende possibile solo se chi è deputato a valutare abbia ricevuto un’informazione, l’abbia percepita nella sua carica di problematicità e, al termine di un personale scrutinio, tenga confermata l’originaria impressione critica. Ne discende un legame tra segnali d’allarme, competenze personali e flussi informativi. Si può affermare che «senza flussi non ci saranno mai allarmi perché non sono stati costruiti i binari lungo i quali far scorrere i relativi segnali83». Una riflessione sulla teoria dei c.d. segnali di allarme nella giurisprudenza di legittimità è offerta da una recente sentenza84 in cui tali indici vengono impiegati per dimostrare l'esistenza solo del momento rappresentativo del dolo. La sentenza si fa apprezzare per la valutazione del significato da assegnare a una particolare fenomenologia - il c.d. comportamento compiacente, tenuto dall'amministratore non esecutivo che diserti le sedute consiliari - ed evita accuratamente di cadere nella trappola della c.d. willful blindness, teoria dalle ascendenze nordamericane che, per agevolare la prova della sfera volitiva, sancisce un'indebita equazione tra il voler non conoscere ciò che è conoscibile e il voler realizzare l'illecito85. L’ipotesi sarebbe quella in cui il giudizio avesse dimostrato l'«attiva indifferenza» dell'imputato verso la verità, il fatto che egli avesse chiuso i propri occhi per evitare di vedere ciò che di illecito stesse accadendo intorno a lui86. Il ricorso a questo strumento concettuale, pur non essendo sufficiente a provare l’effettiva rappresentazione dell’evento illecito richiesto dal delitto doloso nel nostro ordinamento, costituirebbe comunque una «efficacissima strategia di accusa»87. Il pubblico ministero potrebbe contestare, come equivalente del dolo, la deliberata mancata acquisizione delle informazioni rilevanti per avere un quadro completo delle vicende societarie affermando che «chiudere gli occhi per non vedere ciò che si sa e si teme di vedere è come vedere»88. Il fatto oggetto della sentenza sopracitata riguarda Tizio, amministratore non esecutivo di una società fallita, il quale subisce una condanna nei gradi di merito per aver contribuito, con le sue ripetute defezioni al tavolo del C.d.A., alla commissione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata, commesso nella conduzione di una società, al centro di una frode carosello89. Imperniata sul seguente meccanismo: la società "madre", poi fallita, praticava la vendita circolare di un software per incrementare l'apparente fatturato al fine di evadere le tasse, conseguire il credito dal sistema bancario e costituire una provvista che veniva distratta verso fantomatiche società straniere per poi essere reimpiegata negli aumenti di capitale della società

                                                                                                                         83  Ivi, p. 3. 84  Cass. pen. Sez. V, 22 marzo 2016, n. 14045.  85  M. CAPUTO, La mossa dello struzzo: i segnali d’allarme tra willful blindness e dolo come volontà, in Giur. It., 2016, p. 1.  86   F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli obblighi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari, cit., p. 15.  87  Ivi, p. 16.  88«Non è incuria, sventatezza, imprudenza: è l'alibi di chi sa e non vuole avere certezze. È l'alibi di chi sa e vuole rimuovere dalla propria sfera cognitiva tale sapere. Dal punto di vista socio-criminale il disvalore è lo stesso tra chi agisce sapendo e tra chi agisce, rifiutandosi deliberatamente di sapere perché teme di guardare in faccia la realtà. Se dal dolo togliamo timori, speranze, e guardiamo all'atteggiamento cognitivo del soggetto verso l'evento e verso il bene giuridico, vediamo che le due situazioni sono identiche: indifferenza verso il bene giuridico, scelta contro il bene giuridico». Così F. M. IACOVIELLO, Processo di parti e prova del dolo, in Criminalia, 2010.  89  Nel caso in esame funzionava così: «il piano prevedeva la costituzione di due nugoli di società, per lo più non operative. A un primo gruppo la fallita cedeva il software, con annesse fatture e ricevute bancarie, in modo da procurarsi lo sconto presso il sistema bancario del credito acquisito. Le acquirenti rivendevano il software al secondo gruppo di società, chiamate a corrispondere il prezzo del prodotto solo dopo aver ricevuto dalla società "madre", e senza giustificazione alcuna, la provvista necessaria al pagamento; il cerchio si chiudeva con le società del primo gruppo che rivendevano alla fallita, mettendo quest'ultima nella condizione di contabilizzare costi fittizi». Così M. CAPUTO, op. cit., p. 1.  

Page 17: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

17    

"madre" o in investimenti immobiliari da parte di uno degli ideatori della frode. La contestazione rivolta a Tizio prende avvio da alcuni elementi incontroversi: che costui abbia ricoperto la carica di amministratore non operativo per un arco temporale coincidente con l'esecuzione della frode; che fosse un professionista competente, e a conoscenza dei doveri gravanti sui componenti dell'organo di vertice di una società commerciale; che avesse partecipato solo saltuariamente ai lavori consiliari90. Il punto focale dell'intera vicenda verte sul significato da assegnare alle diserzioni di Tizio dai numerosi C.d.A. della società fallita. Non c'è dubbio che nel caso di chi si ponga deliberatamente in uno stato di consapevole ignoranza, mancando scientemente di partecipare a riunioni in cui vengono condivise informazioni delicate e assunte decisioni significative, la defezione manifesti un complessivo disinteresse per le vicende sociali, che restituisce le orme di un grave inadempimento contrattuale. Al contempo, la preordinata estraneità ai lavori del vertice aziendale impedisce all'amministratore non esecutivo tanto la partecipazione diretta a fatti di reato quanto l'espletamento di un'attività di verifica e controllo, poiché l'ignoranza cumulata gli preclude l'approfondimento delle avvisaglie di pericolo relative a possibili illeciti commessi dagli altri amministratori. Diverrà pertanto fondamentale comprendere quali sono le cause che hanno motivato la diserzione del "figurante", prima di decidere se muovergli un rimprovero a titolo di dolo o a titolo di colpa91. Nel caso di specie la Corte di Cassazione, riconoscendo una responsabilità dolosa in capo al consigliere, punta il dito contro la tesi del c.d. "comportamento compiacente", con la quale la Corte d'appello di Milano prova che la scarsa partecipazione alle sedute consiliari e i lauti compensi elargiti a Tizio in base ad un pactum sceleris rappresentino una sostanziale accettazione, mediante disinteresse, dell'operato criminale degli altri amministratori. I giudici di legittimità rammentano che la componente rappresentativa del dolo nei reati omissivi reclami la prova che l'agente abbia avuto contezza della situazione di pericolo per il bene protetto, che integra il presupposto del suo obbligo di attivarsi per impedire la commissione del reato. La dimostrazione del dolo attende la prova più difficile, quella del coefficiente volontaristico: sapere non significa ancora volere. La tesi dei giudici d’appello è tacciata di apoditticità dalla Corte di legittimità che annulla la sentenza con rinvio per vizio di motivazione in quanto non viene fornita la prova né dell'accordo né della conoscenza in capo al non esecutivo delle intenzioni di gestione illecita della compagine sociale92. Con grande cautela deve essere presa anche un'affermazione della Cassazione, secondo la quale potrebbe essere indiziante rispetto alla sussistenza del dolo la «cieca rinuncia» da parte degli amministratori senza delega «delle personali facoltà critiche e professionali». L'inerzia, l'assenteismo, il disinteresse dell'amministratore verso le vicende sociali sono certamente condotte censurabili, ma non assumono alcun rilievo penale finché il pubblico ministero non abbia adeguatamente provato la rappresentazione e la volontà dell'evento. Anzi, proprio la noncurante lontananza dalla gestione sociale dimostra che il consigliere non aveva potuto rappresentarsi, con la necessaria nitidezza e precisione, gli sviluppi potenzialmente criminosi dell'attività gestoria e non aveva, conseguentemente, ricevuto lo stimolo per attivare la reazione impeditiva93. 3.2. La valenza probatoria dei red flags e i relativi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

                                                                                                                         90  Ibidem.  91  Ivi, p. 2.  92  Ivi, pp. 2-3.  93   F. CENTONZE, La suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, cit., p. 9.  

Page 18: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

18    

La prassi giurisprudenziale precedente alla riforma prescindeva da qualsiasi considerazione sulla concreta possibilità di percepire possibili indici del fatto criminoso in itinere, sovrapponendo incostituzionalmente il piano della conoscibilità (colpa) a quello della concreta conoscenza (dolo). La giurisprudenza più matura ha elaborato la teoria dei c.d. segnali d’allarme per individuare la responsabilità dell’amministratore non esecutivo nei reati commessi dai delegati. Secondo tale impostazione è sufficiente dimostrare in capo all’imputato l’avvenuta rappresentazione di indici che, sulla base di massime di comune esperienza e della diligenza richiesta al consigliere, avrebbero dovuto spingere quest’ultimo ad intervenire per scongiurare l’illecito in itinere94.Tale orientamento venne applicato nel procedimento relativo al crack del Banco Ambrosiano, in cui si diede rilievo ai fatti che avrebbero dovuto rivelare gravi anomalie gestorie, idonei dal punto di vista probatorio a qualificare dolosi i comportamenti inerti. Tale pronuncia presenta però delle notevoli mancanze in quanto non delimita con precisione quali siano le caratteristiche che un indice deve avere per risultare idoneo per la prova dell’elemento rappresentativo del dolo. Infine, l’esistenza di tali circostanze non è affatto sufficiente per la prova della componente volitiva, anche in termini di mera accettazione del rischio95. La teoria dei c.d. segnali d’allarme diviene centrale nella sentenza Bipop Carire. Il giudice di legittimità è stato chiamato a pronunciarsi su questioni di primaria importanza quali la struttura del dolo nei reati omissivi impropri, l’atteggiarsi del dolo eventuale e la legittimità del ricorso alla teoria dei segnali d’allarme96. Su questi ultimi bisogna ricostruire il momento volitivo dell’autore o coautore dell’illecito, tracciando una linea di demarcazione tra volontaria adesione al programma criminoso e colposa omissione degli obblighi di protezione e controllo, relativi alla posizione di garanzia assegnata. Viene stabilita così una distinzione tra conoscibilità del rischio o degli indici sintomatici ed effettiva conoscenza del reato in fieri, la prima attinente all’area della colpa, la seconda inerente al dolo97. La Cassazione, in merito a quanto detto, ha analizzato in maniera analitica il dolo di partecipazione, il quale risulta costituito da due momenti distinti, ma complementari, ovvero la rappresentazione dell’evento nella sua portata illecita, e la consapevole omissione delle condotte impeditive previste dall’ordinamento98. La stessa si sofferma sul momento percettivo del fatto illecito, affermando la possibilità che quest’ultimo possa anche essere oggetto di rappresentazione eventuale, quindi affievolita sotto il profilo volitivo, ma ha rilevato che non vi può comunque essere comparazione tra conoscenza e conoscibilità dell’evento che si deve impedire99. Nel caso in esame, la S.C. ritiene che l’atteggiamento degli amministratori deleganti non sia contraddistinto da dolo, se pur nella forma del dolo eventuale, ma corrisponda ai criteri della colpa perché la mancanza di diligenza nell’informarsi può essere ritenuta un atteggiamento rimproverabile a titolo colposo100. Ai fini della prova del dolo di concorso, occorre dimostrare la conoscenza e non la mera conoscibilità del comportamento illecito e tale prova deve essere raggiunta verificando se i red flags siano stati effettivamente percepiti dal singolo consigliere privo di delega. Ulteriore novità rispetto alle pronunce precedenti consiste nella tipizzazione dei segnali d’allarme. Sono indici idonei a rivelare l’esistenza dell’illecito solo quelli che hanno determinate caratteristiche:                                                                                                                          94  N. MENARDO, La responsabilità penale omissiva degli amministratori privi di delega, in www.penalecontemporaneo.it, 4 dicembre 2015, p. 5.  95  Ivi, pp.  6-7.  96 F. PICCIONE, Il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente nel contesto dei reati d’impresa, in Cass. pen., fasc.4, 2016, p. 6. 97 Ibidem. 98 N. MENARDO, op. cit., p. 8. 99 Ibidem. 100 F. FOGLIA MANZILLO, Amministratori non delegati, responsabilità penale da mera posizione delle fattispecie di bancarotta ed applicazione di misure cautelari, in Diritto penale dell’impresa, 18 febbraio 2013, p. 40.

Page 19: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

19    

a) devono essere «perspicui e peculiari», ovvero circostanze chiaramente e univocamente indicative del fatto di reato e che, se percepite e valutate come tali dal garante, condurrebbero a postulare la rappresentazione dell’evento illecito e il consapevole omesso impedimento; b) devono presentare un apprezzabile grado di anomalia rispetto al contesto in cui si sono manifestati. La Corte giudica questi segnali non in via astratta, ma tenendo conto del contesto concreto in cui operava il consigliere senza delega101. La rilettura in chiave garantista della posizione dei consiglieri non esecutivi, con lo scopo di preservare il principio di colpevolezza, operata dalla Cassazione, ripudia gli orientamenti precedenti. L’obbligo impeditivo, ad avviso della S.C., sussisterebbe nel caso in cui l’evento illecito sia conosciuto «in presenza di segnali inequivocabili»: solo ricorrendo tali circostanze, l’inerzia degli amministratori giustificherebbe l’applicazione dell’art. 40 cpv. c.p., in virtù dell’obbligo di garanzia gravante sui medesimi. Lo stesso non potrebbe avvenire in presenza di anomalie provate in maniera sommaria e approssimativa102. Le pronunce successive hanno spesso tradito quest’orientamento affermandolo in via di principio ma poi discostandosene. Significativa è la sentenza n. 41136/2010 nella quale il giudice di legittimità ritorna ad affermare che è sufficiente accertare, ai fini dell’imputazione della responsabilità in capo al consigliere non operativo, un dolo di posizione, o meglio la percezione del segnale d’allarme o la mera presenza di un indice così chiaro da non poter essere trascurato103. Si pone invece in linea coerente con la posizione annunciata nella Bipop Carire la sentenza n. 42519/2012, in cui si opera una nitida separazione tra momento rappresentativo e volitivo, essendo i segnali di allarme idonei per la prova della sola rappresentazione del fatto, ma insufficienti per la dimostrazione dell’elemento volitivo, che richiede uno sforzo maggiore. E� necessario che gli indici rilevatori siano sottoposti a una duplice valutazione: devono essere non solo oggettivamente conoscibili ma anche soggettivamente percepiti (dall’amministratore) come dimostrativi in maniera chiara e univoca di fatti potenzialmente dannosi e che egli sia rimasto inerte. Per provare la volizione bisogna analizzare una serie di circostanze che manifestano inequivocabilmente la volontaria e consapevole adesione all’illecito altrui: a) valutare la fiducia riposta negli esecutivi, per distinguere due aspetti profondamente differenti: il deliberato disinteresse del delegante davanti a un’oggettiva messa in pericolo dell’interesse societario e la diversa situazione di dubbio in cui si potrebbe versare a seguito di segnali di allarme, risolta (colposamente) dall’affidamento (erroneamente) riposto negli amministratori delegati e nel loro operato; b) verificare l’idoneità a recare un eventuale pregiudizio nei confronti del non esecutivo della condotta criminosa eseguita dall’operativo; c) infine, considerare le condotte fraudolente eventualmente poste in essere dagli esecutivi al fine di schermare segnali d’allarme, informazioni o fatti anche solo potenzialmente indicativi di un reato104. Con il caso Parmalat (sentenza n. 32352/2014) si assiste a una regressione rispetto all’impostazione garantista in tema di prova dell’elemento soggettivo del reato. La Cassazione propone, ai fini della valenza probatoria, un’ulteriore caratterizzazione di segnali perspicui e peculiari, considerando tali quelli che, secondo massime di esperienza, costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti dell’effettiva conoscenza del reato in itinere. Per distinguere, inoltre, tra concorso doloso e semplice inerzia colpevole occorre differenziare i segnali che consentono una rappresentazione della possibilità dell’evento, da quelli che

                                                                                                                         101 N. MENARDO, op. cit., p. 9. 102 F. PICCIONE, op. cit. pp. 6-7. 103  N. MENARDO, op. cit., pp. 9-10.  104  A. INGRASSIA, La Suprema Corte e il superamento di una responsabilità di posizione per amministratori e sindaci: una decisione apripista?, Nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012 (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, Pres. Oldi, Rel. Micheli, in www.penalecontemporaneo.it, 14 febbraio 2013, pp. 7-11.  

Page 20: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

20    

indicano in modo pregnante la probabilità dell’evento stesso; l’idoneità dei segnali a permettere la rappresentazione dell’ illecito si interseca con il devoir d’alerte, in particolare richiede che si tenga conto del bagaglio di conoscenze professionali e di esperienze del singolo, del grado di diligenza richiesto, analizzati nel caso concreto. Ciò che è più preoccupante di tale pronuncia è l’obliterazione del tema fondamentale riguardante la dimostrazione dell’elemento volitivo, in quanto non vengono prese in considerazione circostanze diverse dalla volontaria adesione all’illecito che possano giustificare l’inerzia, ma si ammette solo la possibilità che l’imputato fornisca una “convincente e legittima giustificazione” riguardo le condotte inerti, in tal modo prospettando una ridefinizione dell’onere della prova, incompatibile con i principi del giusto processo105. 4. Considerazioni finali e soluzioni de iure condendo Abbiamo visto come l’art. 40 cpv. c.p. richieda l’accertamento di diversi requisiti per affermare un’effettiva partecipazione nell’illecito penale altrui. Mediante il rinvio in bianco ad altre norme continua a porre un’alternativa poco rassicurante: o la posizione di garanzia non è prevista, e allora in caso di punizione del «presunto» garante è violato il principio di legalità, oppure è contemplata, ma con approssimazione tale da doversi ritenere eluso il principio di tassatività. I limiti derivanti dall’ art. 40 cpv. c.p. si palesano nel campo della responsabilità penale degli amministratori deleganti, per la semplice ragione che l’impianto codicistico di riferimento, quello civile è un sistema che vive di regole proprie, funzionali ad esigenze extra-penalistiche. Si è detto dei passi avanti compiuti dalla recente giurisprudenza in relazione ai segnali d’allarme, ma si è anche rilevato come la stessa sia ancora restia ad allinearsi pienamente all’indirizzo più garantista. Per completare il discorso, infine, è opportuno chiedersi quali potrebbero essere le possibili soluzioni de iure condendo al problema della punizione dei vertici nell’ambito societario in caso di violazione dei loro doveri. Sono diversi sul punto gli orientamenti sorti in dottrina. Tra questi, va ricordata la tesi che propone di regolare la materia secondo lo schema già adottato dal legislatore nell’art. 57 c.p106. Una soluzione alternativa potrebbe consistere nel potenziare i rimedi civilistici in quanto lo strumento penale si rivela inadeguato a tutelare gli interessi coinvolti nell’esercizio dell’impresa societaria, dato che l’attuale assetto normativo del C.d.A. non permette di ricostruire in maniera lineare la responsabilità penale di questi, per i fatti commessi dagli esecutivi. Potrebbe risultare idoneo applicare alla criminalità d’impresa la disciplina della responsabilità civile degli amministratori. Molti problemi in tema di accertamento del dolo verrebbero risolti qualora si giudicassero penalmente solo gli esecutivi, parallelamente a un giudizio nei confronti del board collegialmente considerato, quale rappresentativo dell’ente. Inoltre le esigenze di prevenzione generale e speciale verso i non esecutivi, comunque assicurate dalla normativa civilistica, verrebbero ulteriormente soddisfatte da rimedi di tipo amministrativo previsti da discipline settoriali per società che operano in settori particolarmente sensibili (attività bancaria, assicurativa, finanziaria…)107.

                                                                                                                         105  N. MENARDO, op. cit., pp. 12-14.  106  «…punisce, a titolo «colposo», per un fatto «proprio» di natura omissiva (in particolare per mancato controllo) il direttore o il vice-direttore responsabile del giornale o di altro periodico per ogni reato commesso col mezzo della stampa». Così, G. MERCONE, L’obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d’allarme, in www.penalecontemporaneo.it,,2 febbraio 2012, p. 18. 107  N. MENARDO, op. cit.,  pp. 19-20.  

Page 21: IL CONCORSO DELL’AMMINISTRATORE NON · PDF file3" " 1. Introduzione: il sistema di amministrazione e controllo nelle società di capitali Con questa trattazione ci proponiamo di

21    

5. Bibliografia M. CAPUTO, Dalla teoria dei “segnali di allarme” alla realtà dell’imputazione dolosa nel concorso dell’amministratore non esecutivo ai reati di bancarotta, in Riv. Soc., fasc.5, 2015, 905 ss. M. CAPUTO, La mossa dello struzzo: i segnali d’allarme tra willful blindness e dolo come volontà, in Giur. It., 2016, 10, 2250. F. CENTONZE, Il problema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari (una lettura critica della recente giurisprudenza), in Riv. soc., fasc.2-3, 2012, pag. 317. F. CENTONZE, La suprema Corte di Cassazione e la responsabilità omissiva degli amministratori non esecutivi dopo la riforma del diritto societario, in Cass. pen., fasc.1, 2008, pag. 109. A. INGRASSIA, Omissione impropria e reato economico. La responsabilità per omesso impedimento del reato altrui, in Tesi di dottorato, 2012-2013. A. INGRASSIA, La suprema Corte e il superamento di una responsabilità di posizione per amministratori e sindaci: una decisione apripista?, Nota a Cass. Pen. Sez. V, 8 giugno 2012 (dep. 2 novembre 2012), n. 42519, Pres. Oldi, Rel. Micheli, in diritto penale contemporaneo, 14 febbraio 2013. F. FOGLIA MANZILLO, Amministratori non delegati, responsabilità penale da mera posizione delle fattispecie di bancarotta ed applicazione di misure cautelari, in diritto penale contemporaneo 18 febbraio 2013. N. MENARDO, La responsabilità penale omissiva degli amministratori privi di delega. Recenti approdi giurisprudenziali e spunti di riflessione, in diritto penale contemporaneo, 4 dicembre 2015. G. MERCONE, L’obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d’allarme, in diritto penale contemporaneo, 2 febbraio 2012. F. PICCIONE, Il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente nel contesto dei reati d’impresa, in Cass. pen., fasc.4, 2016, pag. 1785. L. RAMPONI, Il caso Parmalat: il giudizio parmense sul reato di bancarotta fraudolenta, in L. FOFFANI D. CASTRONUOVO, Casi di diritto penale dell’economia, vol. I, Impresa e mercato (Cirio, Parmalat, Antonveneta, Bnl-Unipol). M. ROSMINO, L’attuale regime di responsabilità degli amministratori non esecutivi e dei sindaci nel modello tradizionale tra potere e dovere di informazione, in fondazione nazionale commercialisti, 30 novembre 2016.