Il Conceto Di Rivelazione In

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PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA FACOLTA’ DI TEOLOGIA A.A. 201O-2011 IL CONCETTO DI RIVELAZIONE IN “RIVELAZIONE E TRADIZIONE” (Karl Rahner e Joseph Ratzinger) STUDENTE: FRANCISCO IÑIGUEZ PADILLA MATRICOLA: 160063 SEMINARIO TEMATICO TST102 FEDE,RAGIONE E TEOLOGIA IN ALCUNI SCRITTI DI JOSEPH RATZINGER DOCENTE: PROFESORE DON WALTER INSERO INTRODUZIONE

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PONTIFICIA UNIVERSITA’ GREGORIANA

FACOLTA’ DI TEOLOGIA

A.A. 201O-2011

IL CONCETTO DI RIVELAZIONE IN “RIVELAZIONE E TRADIZIONE”

(Karl Rahner e Joseph Ratzinger)

STUDENTE: FRANCISCO IÑIGUEZ PADILLA

MATRICOLA: 160063

SEMINARIO TEMATICO TST102

FEDE,RAGIONE E TEOLOGIA IN ALCUNI SCRITTI DI JOSEPH RATZINGER

DOCENTE: PROFESORE DON WALTER INSERO

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INTRODUZIONE

Il concetto di “rivelazione” è stato ed è oggetto di molteplici critiche e motivo di giustificato

imbarazzo. Attualmente, almeno in certi ambienti di studio, questo concetto è diventato un tema

marginale ed è visto con diffidenza e rifiuto soprattutto quando si pensa alle “rivelazioni personali”

o “rivelazioni particolari” se così possiamo chiamarle.

Nell’età moderna e sotto l’influsso dell’illuminismo il concetto di rivelazione acquistò un ruolo

chiave quale garanzia dell’origine divina del cristianesimo e della essenza soprannaturale della fede

cristiana, che venne a far parte delle religioni definite come “religione-di-rivelazione”1. «La scienza

delle religioni parla di religione-di-rivelazione quando il centro vitale di una religione è determinato

in maniera essenziale dall’azione esplicita di una divinità, azione volta alla salvezza dell’uomo e del

mondo»2. In questo senso possiamo dire che il cristianesimo è in questo mondo, ma non è di questo

mondo, sua origine, base e fondamento è la parola di Dio, che si è manifestata, «molte volte e in

diversi modi», ma «ultimamente, in questi giorni, per mezzo del figlio»3, che è egli stesso la Parola.

Per l’attuale autointerpretazione e caratterizzazione del cristianesimo, il concetto di rivelazione

ha acquistato una importanza e un significato così profondo che ad esso è stata assegnata una

posizione centrale nei testi dottrinali e nelle confessioni di fede dei due Concili vaticani; ma

soprattutto nella “Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione”(Dei Verbum) del Vaticano II, di

cui però non parlerò in questo piccolo lavoretto.

La questione del modo preciso con cui la parola della rivelazione proclamata in Cristo rimane

presente nella storia e raggiunge gli uomini è uno dei problemi fondamentali sui quali la cristianità

occidentale si divise nel secolo della riforma4. I riformatori sostennero la tesi con la quale

denunciavano che la Chiesa aveva incatenato la Parola di Dio e l’aveva privata della sua efficacia:

la “sola Scrittura basta”; per i riformatori nella Scrittura si può trovare qualsiasi cosa l’uomo cerchi

e qualsiasi domanda l’uomo si faccia, nella Scrittura trova risposta. I cattolici da parte loro

cercarono di esprimere nel concetto di rivelazione un termine medio comprendente Scrittura e

Tradizione: «la rivelazione di nostro Signore non fu tutta messa per scritto, ma una parte rimase nei

1 Cfr. WALTER, K – al., «Il concetto di Rivelazione», in ID., Corso di teologia fondamentale 2. Trattato sulla Rivelazione, Brescia 1990, 11.2 Ibid. 13-14.3 Cfr. Eb 1, 1-2.4 Cfr. RAHNER, K – RATZINGER, J., Rivelazione e tradizione, Brescia 20065, 27.

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cuori degli uomini e nella tradizione della chiesa»5, dichiarava il cardinale Cervini in una lettera al

cardinale Farnese. Nel discorso tenuto il giorno dell’apertura del Concilio di Trento, il 18 febbraio

1546 il cardinale legato Cervini sostenne che ci sono tre principi e fondamenti della nostra fede:

«La rivelazione, così è detto, si è compiuta in diversi tempi e in diversi modi.1-. Nei Patriarchi, la cui fede troviamo espressa negli scritti che noi chiamiamo Antico Testamento. (I libri Sacri che furono scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo).2-. In Cristo, che ha piantato il suo vangelo non con gli scritti, ma oralmente, non in charta, ma in corde. Da ciò che emanò da Cristo furono scritte alcune cose, altre rimasero nel cuore degli uomini. Tutto ciò che in questo duplice modo costituisce il vangelo di Cristo, nel suo complesso è il secondo principio della nostra fede. (Il vangelo).3-. Poiché il Figlio dell’uomo non doveva rimanere per sempre tra di noi, egli mandò il suo Spirito Santo nel mondo, il quale doveva spiegare i misteri di Dio e tutto ciò che per l’uomo era rimasto dubbio»6.

Dio nella Scrittura si rivela all’uomo ma non solo. Infatti il Verbo si fa uomo per rivelarci Dio, e

nella Parola fatta carne scopriamo il massimo dono d’amore, la massima rivelazione, Dio rivela se

stesso. In questa prospettiva il cristianesimo acquista la sua particolare fisionomia, nel cristianesimo

il mezzo di rivelazione è non già un insegnamento o uno scritto, ma un uomo concreto, Gesù di

Nazaret, e il contenuto più importante comunicato è la creazione di una nuova comunione di vita

con Dio.

5 Ibid. 56.6 Ibid. 55.

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CAPITOLO I

ANNOTAZIONI SUL CONCETTO DI RIVELAZIONE

La Chiesa fin dalla sua nascita ha dovuto combattere e persino condannare diverse eresie; questa

lotta non è cambiata più di tanto, soltanto si sono modificati i metodi di combattimento. Circa un

secolo fa, la Chiesa era minacciata dall’eresia del modernismo: una delle tesi fondamentali del

modernismo e uno dei sui errori di base era il concetto di rivelazione. Per il modernismo, afferma

Karl Rahner, la «rivelazione era un’altra parola per indicare lo sviluppo, necessario e immanente

alla storia umana, del bisogno religioso, che si obiettivizza nelle molteplici e svariate forme della

storia delle religioni e cresce lentamente a più alta purezza e a più completa pienezza fino alla sua

massima espressione nel cristianesimo e nella Chiesa»7. Como possiamo constatare, il concetto di

rivelazione o il modo di capire la rivelazione del modernismo, è esattamente all’opposto della

concezione della rivelazione tradizionale nella chiesa, secondo la quale «la rivelazione è l’evento di

un intervento di Dio totalmente proveniente dall’esterno: Dio parla all’uomo e tramite i profeti gli

comunica precetti ch’egli in avvenire deve conservare»8. Questo modo di intendere la rivelazione fu

difeso dalla ortodossia della Chiesa nella lotta contro il modernismo, e fu espressamente insegnato.

Forse adesso, a distanza di un secolo, possiamo chiederci se la teologia comune di quel tempo,

contro la quale si rivolgeva il modernismo, non difendesse un concetto estrinsecista della

rivelazione, che non adeguava compiutamente il Magistero della Chiesa. Nei nostri tempi e quasi

inavvertitamente, a quanto pare, si va elaborando la risposta al problema della retta e piena

comprensione del concetto di rivelazione, problema al quale allora la Chiesa non diede nessuna

risposta chiara e al quale il modernismo diede una risposta falsa, definita troppo presto come

eretica9. Una risposta adeguata a questo problema è di capitale importanza anche per il confronto tra

cristianesimo e vita spirituale moderna. Al riguardo scrive Karl Rahner:

«Per l’uomo dell’odierno umanesimo antiecclesiale, dell’ateismo angustiato, dell’atteggiamento secondo cui Dio è un enigma, una cifra eternamente irrisolvibile, del materialismo per il quale l’atteso futuro dello spirito è la vera forza motrice del mondo, è uno scandalo e pietra d’inciampo la dottrina secondo cui deve esistere una storia della rivelazione, nella quale Dio stesso si apre la sua via, unica e senza pari, accanto alle molte altre della restante storia delle religioni, percorrendola lui stesso apparendo nella carne. Lo scandalo consiste nel fatto che esiste una storia categoriale della rivelazione, non che si dia un rapporto trascendentale con Dio attraverso il quale l’uomo si radica nell’abisso del mistero ineffabile»10.

7 Ibid. 11.8 Ibid. 12.9 Cfr. Ibidem. 12.10 Ibidem.

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A questo punto, e dopo questa piccola introduzione al problema del concetto di rivelazione, ci

possiamo domandare, che cosa è la rivelazione e perché essa costituisce il cuore e l’intimo della

storia umana in senso assoluto. Come può essere la rivelazione sempre e dappertutto, per poter

essere sempre e dappertutto la salvezza, senza con questo cessar di essere, qui e ora, nella carne del

Cristo, nella parola dei profeti che parlano nella lettera della Scrittura?11 Forse il problema vero e

proprio ci si presenta quando pensiamo a come possa esserci identità tra la rivelazione e la storia

dell’umanità in generale, poiché l’azione di Dio non può essere commisurata dalla storia, senza

cessare di essere grazia di Dio e fonte perenne di salvezza.

Nel ricercare una risposta al nostro problema si potrebbe pensare che il rapporto tra Dio e il

mondo in continuo divenire, consista nel fatto ch’Egli, in quanto è l’assolutamente trascendente il

mondo, ne è in fondo il futuro, la causa finale che rappresenta la vera e propria causa efficiente di

ogni divenire. Ma bisogna stare attenti a non confondere o a prendere Dio come una causa

categoriale, accanto alle altre cause nel mondo, bensì deve essere inteso come il vivente e il

trascendente fondamento del movimento proprio del mondo stesso. Facendo così, salviamo pure il

rapporto tra Dio e l’uomo nel singolo evento della rivelazione e nella storia della rivelazione, la

quale deve essere totalmente e allo stesso tempo, azione di Dio e azione dell’uomo e la più alta

realtà nell’essere e nel divenire del mondo12.

Se la teologia cattolica prende sul serio la dottrina ad essa naturale sulla grazia divinizzante e

sulla volontà salvifica universale, sulla necessità della grazia elevante, e la applica al concetto di

rivelazione, allora essa può e deve riconoscere, senza cadere nel modernismo, la storia della

rivelazione come l’autoesplicazione storica categoriale, come la storia di quel rapporto

trascendentale tra l’uomo e Dio, dato in virtù dell’autocomunicazione soprannaturale di Dio, che è

inserita per dono di grazia in ogni spirito e che in se stessa deve essere chiamata a buon diritto

rivelazione:

«Se il trascendimento o trascendenza è presente sempre nella storia, e se esiste una costituzione trascendentale dell’uomo attraverso la grazia divinizzante in virtù dell’autocomunicazione di Dio, allora proprio questo assoluto trascendimento all’assoluta vicinanza del mistero ineffabile autodonantesi all’uomo ha una storia e costituisce quindi quella che noi chiamiamo storia della rivelazione»13.

A questo punto l’evento della rivelazione apparirebbe con un duplice aspetto:

11 Cfr. Ibid. 13.12 Cfr. Ibid. 14.13 Ibid.15.

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1-. Come la costituzione della capacità di trascendenza, soprannaturalmente elevata, dell’uomo come suo esistenziale permanente, ma anche se dato per grazia, sempre ed ovunque efficace.2-. Come struttura di comunicazione storica, di obiettivazione oggettuale di questa esperienza soprannaturale trascendentale che si effettua nella storia e che nel senso ordinario della parola si chiama storia della rivelazione là dove essa è realmente storia della vera autointerpretazione di questa esperienza soprannaturalmente trascendentale e non invece la sua falsa interpretazione; e dove quindi essa è realmente effetto di questa autocomunicazione trascendentale di Dio nella grazia, e di conseguenza si realizza sotto la volontà di questa auto-comunicazione, dunque sotto una provvidenza salvifica soprannaturale di Dio, e inoltre viene colta come tale14.

Ed ecco che parlando così risulta chiara l’unità e il reciproco rapporto di condizionamento tra

l’aspetto trascendentale e quello storico; risulta chiaro pure che c’è una differenza originaria in ciò

che ci si rivela o ci è rivelato, cioè, Dio che si autorivela e si autocomunica in una vicinanza

assoluta e clemente all’uomo; detto in parole di Karl Rahner: «nel punto culminante, già

realizzatosi, unico e definitivo della storia della rivelazione, si è rivelata l’assoluta e irrevocabile

unità tra l’autocomunicazione trascendentale di Dio all’umanità e la sua avvenuta mediazione

storica nell’unico uomo-Dio, che è nello stesso tempo Dio medesimo come comunicato»15.

Dell’autorivelazione di Dio parlerò brevemente nel punto terzo di questo piccolo elaborato,

adesso basti accennare che in questo uomo-Dio, è rivelato anche il mistero fondamentale di Dio

trino: il Figlio invia lo Spirito, lo Spirito opera l’incarnazione del Figlio e il Figlio incarnato è

manifestato come la autoaffermazione del Padre nella verità.

Se quanto è stato detto fin qui è esatto, allora come scrive Rahner, la «rivelazione trascendentale

e quella categoriale e la storia della rivelazione sono coesistenti alla storia spirituale dell’umanità in

genere»16. Riguardo a questo punto, si potrebbe pensare che questa affermazione sia un errore del

modernismo, ma visto e analizzato più da vicino scopriamo che non è altro che una verità del

cristianesimo, basti pensare che la storia della salvezza soprannaturale è operata nella storia

dell’uomo che per mezzo della grazia viene elevato nella sua spiritualità.

Non esiste mai una storia trascendentale della rivelazione per sé sola, senza Dio, ma nella storia

concreta è la storia della rivelazione trascendentale di Dio che si attua; oserei dire ancora che questa

storia ha bisogno di un “Tu” che comunica e di un “io” o “noi” che ricevono nella piena libertà il

messaggio a loro comunicato e rispondono con o nella fede. È impossibile sviluppare il concetto di

rivelazione soltanto a partire dall’incontro con la parola di Dio proclamata o scritta, senza prendere

14 Cfr. Ibid. 15.15 Ibid. 16.16 Ibid.17.

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in considerazione l’aspetto trascendentale della rivelazione e la risposta dell’uomo nella fede: Dio si

rivela e l’uomo crede e accetta questa autorivelazione di Dio.

Parlando della risposta dell’uomo a Dio nella fede, mi sembra sia necessario dire che la fede del

singolo credente si attua nella fede della Chiesa comunione dei credenti, infatti è la Chiesa che

trasmette le verità di fede e la rivelazione. Rahner parla della fede implicita dei credenti e dice:

«essa in sostanza (la fede implicita), significa soltanto che ogni fede espressa categorialmente come tale è un cogliere il segno nell’atto di essere afferrata dal mistero ineffabile della vicinanza di Dio autocomunicantesi misericordiosamente e quando comprende pure la mediazione categoriale di significanza che è quella della Chiesa ed è presente nella Chiesa. L’implicitezza del rivelato vero e proprio nella parola della rivelazione e l’implicitezza della vera fede in quella della Chiesa appartengono all’essenza della rivelazione e della Chiesa e non sono un momento che si presenti soltanto là dove i rudes e gli ignoranti ascoltano con fede la rivelazione»17.

È doveroso sottolineare ancora che dall’unità tra rivelazione trascendentale e categoriale, si può

dedurre che quest’unico nucleo può esserci veramente nella religione, ma che non viene sostituito

da nessuna riduzione che rimanga nell’ambito del categoriale e non è sperimentato più

immediatamente e più sicuramente mediante tale riduzione. «Dall’unità e distinzione tra rivelazione

trascendentale e rivelazione categoriale-storica, che implicano un’identica distinzione e unità anche

nella fede, risulta anche il rimando alla capacità di credere, così come essa deve essere pensata

distinta dalla fede e in unità con essa»18. Infatti la capacità di credere dovrebbe essere intesa come

unità tra il lato trascendentale della rivelazione, e la facoltà di accogliere l’autocomunicazione di

Dio nella grazia.

Come si può vedere il problema della rivelazione e una questione difficile e rimane attuale anche

ai nostri giorni; in effetto ci si accorge come il lavoro teologico avanzi faticosamente e lentamente.

Forse è necessario credere che non è la teologia che crea bensì la fede dei cristiani, ma che la

teologia è chiamata a servire la fede, perché la teologia è o deve essere al servizio della fede.

Fin qui abbaiamo accennato al concetto di rivelazione ma adesso bisogna fare un passo in avanti

e cercare di dire qualcosa sul punto secondo del nostro programma, e cioè del rapporto tra

Rivelazione e Scrittura.

CAPITOLO II

17 Ibid. 22.18 Ibid.23.

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RAPPORTO TRA RIVELAZIONE E SCRITTURA

Nell’introduzione, abbiamo visto come la questione del modo preciso in cui la parola della

rivelazione proclamata in Cristo rimane presente nella storia e raggiunge gli uomini, è uno dei

problemi fondamentali sui quali la cristianità occidentale si divise nel secolo della riforma, e come i

riformatori si decisero per la “sola Scriptura”, e come i cattolici affermarono nel Concilio di Trento

che la rivelazione di nostro Signore non fu tutta messa per scritto, ma una parte rimase nei cuori

degli uomini e nella Tradizione della Chiesa.

Per fare un vero lavoro di ricerca si dovrebbe ricorrere a uno studio profondo della storia e dello

sviluppo, delle differenze e delle somiglianze, così come del linguaggio usato da ambedue le parti,

cioè riformatori e padri conciliari e postconciliari. Ma questo è un lavoro che supera le mie capacità

per cui mi limiterò a seguire lo schema che un grande teologo, come Joseph Ratzinger, ci propone.

Joseph Ratzinger formula, seguendo la concezione patristica di Scrittura e Tradizione, una prima

tesi riguardante questo problema.

«Il fatto che esista la Tradizione si fonda innanzitutto sulla non-identità delle due realtà, rivelazione e

Scrittura. Rivelazione infatti indica il complesso di parole e gesta di Dio per l’uomo, cioè una realtà

di cui la Scrittura ci informa, ma che non è semplicemente la Scrittura stessa. La rivelazione perciò

supera la Scrittura nella stessa misura in cui la realtà trascende la notizia che ce la fa conoscere. Si

potrebbe anche dire: la Scrittura è il principio materiale della rivelazione, ma non è la rivelazione

stessa»19.

Senz’altro questa affermazione non viene intesa come se si dichiarasse che la Scrittura sia un

semplice resoconto di fatti che rimangono totalmente esterni ad essa, bensì deve restare pienamente

valido che la realtà della rivelazione è realtà della parola, che nella parola della predicazione la

realtà della rivelazione riguarda me, riguarda noi. Ma la pura presenza della Parola non è la realtà

stessa della rivelazione, la quale non può essere mai semplicemente sola presenza. Si potrebbe

andare ben oltre e dire che possiamo possedere la Scrittura anche senza avere la rivelazione. La

rivelazione infatti diventa realtà soltanto e sempre là dove c’è fede. Il non credente come dice

Joseph Ratzinger «può leggere la Scrittura e conoscere ciò che contiene, può perfino conoscere

concettualmente ciò ch’essa intende dire e la coerenza delle sue affermazioni, tuttavia egli non è

19 Ibid. 36.8

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divenuto partecipe della rivelazione»20. Detto questo possiamo capire chiaramente che c’è piena

rivelazione soltanto là dove, oltre alle affermazioni materiali che la testimoniano, è divenuta

operante nella forma della fede. Di conseguenza è chiaro pure che appartiene, senza allargarci

troppo, alla rivelazione anche il soggetto che la riceve, senza del quale essa non esiste.

La rivelazione infatti non è un libro tascabile che possiamo portare ovunque e tirare fuori quando

abbiamo bisogno di essa, non è una cosa materiale da buttare quando non ci serve più, non è un

oggetto «essa è una realtà vivente, che esige l’accoglienza di un uomo vivo come luogo della sua

presenza»21. Ratzinger afferma che la rivelazione trascende il fatto Scrittura sotto due aspetti:

a) Aspetto ascendete: come realtà derivante da Dio essa si radica sempre nell’azione di Dio;

b) Aspetto discendente: come realtà che si fa conoscere all’uomo nella fede, essa trascende per

così dire anche sotto questo aspetto il fatto della scrittura che la media22.

Quindi dopo tutto quello detto fin qui, risulta chiaro che c’è una non identità tra Scrittura e

rivelazione per cui, prescindendo dal problema se la Scrittura sia o no l’unica fonte materiale, non

può mai darsi per i cristiani un vero e proprio “sola Scriptura”. Com’è stato detto diverse volte, «la

scrittura non è la rivelazione ma in ogni caso è soltanto una parte di questa più grande realtà»23.

In questo momento ci si presenta un punto che sarebbe interessante studiare e che Joseph Ratzinger

presenta dettagliatamente e in modo molto semplice, e cioè il differente significato di Scrittura

nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ma che non contemplo in questo piccolo lavoro, anche perche

supera infinitamente le mie fiacche capacità.

La fede cristiana riconosce in Gesù il compimento della rivelazione, delle promesse fatte da Dio

per mezzo dei profeti al suo popolo Israele. In Gesù Dio si autorivela all’uomo, proprio su questo ci

occuperemo nel prossimo capitolo.

CAPITOLO III

20 Ibid. 37.21 Ibidem.22 Ibidem.23 Ibid. 38.

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LA RIVELAZIONE COME AUTO-COMUNICAZIONE: CRISTO, LA RIVELAZIONE DI DIO

Nell’introduzione e nei capitoli precedenti abbiamo incontrato più volte Dio come

autorivelazione, Dio che si autorivela all’uomo in diversi modi e negli ultimi tempi per mezzo del

Figlio24; così pure il concetto di religione-di-rivelazione. In questo capitolo riprenderemo un po’ di

ciò che è stato detto e cercheremo di completare quello che manca, fin dove la nostra poca

conoscenza del tema in questione ci permette di arrivare.

Determinante per il concetto teologico di religione-di-rivelazione nella sua applicazione al

cristianesimo è l’intima essenza dell’evento che fonda il cristianesimo, vale a dire la libera, gratuita

autocomunicazione di Dio. Con Cristo la rivelazione passa dalla comunicazione in parole e opere a

una rivelazione personale e salvifica (non perché prima non ci sia manifestata la salvezza di Dio), e

per mezzo di questo evento (Dio -uomo) gli uomini diventano partecipi della natura divina e

partecipi del regno di Dio.

Gesù è il fondamento della rivelazione divina: «Gesù è colui che insegna le più importanti verità

di fede. In Gesù il Figlio, il Verbo eterno di Dio, si è fatto carne ed è stato inviato come uomo fra

gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio portando a

compimento l’opera di salvezza»25. Bisogna essere attenti però e non pensare che dopo la venuta di

Cristo Dio taccia, bensì dobbiamo pensare che Dio continua a comunicare con l’uomo nella

trasmissione della rivelazione che in Cristo è giunta al suo compimento intrastorico. Dobbiamo dire

ancora che quando parliamo del concetto di rivelazione, questo racchiude l’intero evento salvifico

nella sua sostanza e nel suo fondamento; il Dio della rivelazione non rivela qualcosa, ma se stesso;

«autorivelazione di Dio non significa però soltanto automanifestazione, bensì anche

autocomunicazione: all’uomo è concessa una partecipazione reale, essenziale, alla stessa realtà

salvifica di Dio»26,e questa realtà salvifica di Dio è ciò che la Chiesa continua a comunicare agli

uomini di tutti i tempi.

«La realtà effettiva che si fa evento nella rivelazione cristiana non è altro che Cristo stesso. Egli è, in senso vero e proprio, la rivelazione: “Chi vede me, vede il Padre” Gv 14, 9. Ciò significa che accettare la rivelazione equivale a entrare nella realtà di Cristo: Cristo in noi e noi in Cristo. L’accettazione della rivelazione, per cui la realtà di Cristo diviene nostra, nel linguaggio biblico è chiamata fede. E nel Nuovo Testamento, fede equivale a inabitazione di Cristo. La presenza di Cristo

24 Cfr. Eb 1, 1-2.25 WALTER, K – al., «Il concetto di Rivelazione», in ID., Corso di teologia fondamentale 2. Trattato sulla Rivelazione, Brescia 1990, 23.26 Ibid. 74.

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nella Scrittura è indicata in due modi ben precisi. Da una parte, essa appare identica con la fede in cui il singolo incontra Cristo e in lui entra nella sfera d’azione della sua potenza salvifica. Ma essa si nasconde anche sotto l’espressione “corpo di Cristo”, che indica che la comunità dei credenti, la Chiesa, rappresenta l’esserci di Cristo nel mondo»27.

A questo punto, da quanto detto da Ratzinger, appare chiaro che la fede è entrare nella presenza

di Cristo di cui la Scrittura rende testimonianza, e che la presenza della rivelazione è essenzialmente

connessa con le realtà della fede e della Chiesa, le quali sono strettamente connesse tra loro.

Ritorniamo così a quello che era già stato detto nei punti precedenti, e cioè che la rivelazione

trascende la Scrittura in due direzioni: verso Dio e verso l’uomo che l’accetta.28

CONCLUSIONI

27 RAHNER, K – RATZINGER, J., Rivelazione e tradizione, Brescia 20065, 41.28 Cfr. Ibid. 42.

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Mi ricordo aver letto da qualche parte e tanto tempo fa questa frase:

“Gratia non destruit naturam, sed supponit, elevat et perficit”.

Karl Rahner sembra aver dinanzi questo antico adagio quando articola la sua riflessione

sull’evento della rivelazione sottolineandone il duplice aspetto:

1) da una parte essa è la costituzione della capacità di trascendenza, soprannaturalmente

elevata, dell’uomo, come suo esistenziale permanente, ma, anche se dato per grazia,

sempre e dovunque efficace, presente ancora nella forma del rifiuto,

2) e la esperienza trascendentale della vicinanza assoluta e clemente di Dio, anche se non può

essere obiettivata in modo oggettuale per chicchessia in maniera qualsiasi.

Ne identifica per altro il punto culminante, già realizzatosi, unico e definitivo nell’uomo-Dio

Gesù Cristo: irrevocabile unità tra l’autocomunicazione trascendentale di Dio all’umanità e la sua

avvenuta mediazione storica-rivelatrice del mistero trinitario di Dio.

L’uomo, ogni uomo, accede a questa rivelazione grazie alla capacità di credere, facoltà

aprioristica di accogliere la autocomunicazione di Dio nella grazia: l’uomo-uditore della Parola.

Più articolato il contributo di Joseph Ratzinger nel sottolineare l’aspetto riduttivo della formula

dei Riformatori “sola Scrittura” a fronte della cattolicità del binomio “Scrittura e Tradizione”.

La non identità, ampiamente esemplificata nel contributo, tra Scrittura e Rivelazione appella alla

necessità della Tradizione. L’esegesi narrativa, non ultima, ci fa vedere la parte ineludibile che il

lettore ha nel testo: la presenza del destinatario è parte integrale del testo. La Scrittura è una miniera

che offre molte gallerie: letterarie, storiche, archeologiche, geografiche, religiose, ecc., percorse le

quali non è detto che si colga la Rivelazione di Dio contenuta nel testo.

Poiché Dio non rivela qualcosa, ma se stesso, non può essere contenuto, oggettivato in un testo, è

sempre necessaria la conversione della testa al testo nella fede; è solo in questo scambio che si dà

comunicazione-comunione: Cristo in noi e noi in Cristo.

Questa comunione del singolo con il Cristo si attua nel Corpo di Cristo che è la Chiesa: la

rivelazione trascende quindi la Scrittura e abbraccia il grande corpo della Chiesa.

BIBLIOGRAFIA:

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RAHNER, K – RATZINGER, J., Rivelazione e Tradizione, Brescia 20065

 RATZINGER, J., Introduzione al Cristianesimo, Brescia 199611

WALTER, K – al., «Il concetto di Rivelazione», in ID., Corso di teologia fondamentale 2. Trattato

                            sulla Rivelazione, Brescia 1990

INDICE

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INTRODUZIONE ……………………………………………………………………… 2

CAPITOLO I

ANOTAZIONI SUL CONCETTO DI RIVELAZIONE ……………………………….. 4

CAPITOLO II

RAPPORTO TRA RIVELAZIONE E SCRITTURA ………………………………… 8

CAPITOLO III

LA RIVELAZIONE COME AUTO-COMUNICAZIONE:

CRISTO, LA RIVELAZIONE DI DIO …………………………..................................... 10

CONCLUSIONI ………………………………………………………………………… 12

BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………… 13

INDICE ………………………………………………………………………………….. 14

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