Il Clandestino

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IL CLAN DESTINO VIOLENTATA L’editoriale Cavallino volante Francesco Ruta È un dato di fao che la polica è sempre più un teatrino e che i teatran fanno del loro meglio per rendere sempre “allegra” e assurda la vita polica. Che i voltagabbana siano ormai di moda è an- che questo un dato di fao, ma che a Modica la mag- gioranza aumentasse di un’unità non se lo aspeava proprio nessuno. In un momento difficile per l’Ammi- nistrazione Buscema, tanto cricata, sempre più cam- po sembrerebbe riconquistare l’allegra compagnia di Nino Minardo e Co, alle prese con l’operazione “pulizia del passato”, cioè far dimencare ai modicani ciò che sono sta gli anni torchiani a Modica. E proprio un ex assessore dell’ex sindaco Piero Torchi Lucifora (in arte Fedro), Tato Cavallino, ex uddiccino, ex Forza Italia, Ex Pdl, auale MPA, entra a far parte della maggioranza di Palazzo San Domenico. Il consigliere Cavallino si era già dichiarato indipendente, lasciando nel febbraio del 2009 il parto di Nino Minardo, per poi rientrarvi dopo qualche giorno per un “travaglio interiore”: si traò di gastrite o di indigesone? Coincise invece con la nomi- na di responsabile locale per il CIPE di Gianfranco Mic- chichè. Il “travaglio interiore” si sistemò, e tu vissero felici e conten. E ora l’MPA conta un nuovo uomo, non un uomo nuovo, l’ennesima persona che ha lavorato con la giunta Torchi, l’ennesimo neo dell’amministra- zione Buscema, che si mee dentro un ex torchiano, un ex minardiano, un auale uomo di Riccardo Minar- do. E non sono pochi gli assessori auali che hanno la- vorato con Piero Torchi nel passato infausto modicano: Enzo Scarso, Paolo Garofalo, Giorgio Cerruto e adesso Tato Cavallino, anche se non ancora nominato come assessore. Ma i ciadini modicani si rendono conto di ciò che succede? Un Cavallino a dir poco volante, non solo cambia parto per la quarta volta, ma sta volta fa il salto di qualità: dalla minoranza alla maggioran- za. Allora cosa c’è dietro questo passaggio anomalo? Fede polica, un ennesimo “travaglio interiore” o la solita polica nostrana faa da scambi, contro scambi, ripensamen e poca serietà, aorniata da contenni e clientelismo? E un’altra pagina di “strana” polica tut- ta modicana si trasforma in realtà. Come in realtà si è trasformata la riconferma dei Servizi Sociali all’Mpa, senza segnare il cambiamento, lasciando nelle mani dello stesso parto di sempre uno dei seori più sen- sibili e importan di una cià, soprauo in questo periodo. Dopo due anni di amministrazione Buscema questo seore è stato affidato a Enzo Scarso, a Silvio Iabichella e ora come i tempi torchiani (da alcuni tan- to rimpian) a Paolo Garofalo, già presidente del Con- siglio Comunale. E sono frequen i segnali di squilibrio dell’auale amministrazione e della sua maggioranza che sempre più spesso acceano modelli poco spera dai suoi eleori, convin in un vero cambiamento, dal gravoso problema del personale, a quello finanziario, a quello morale. L’onnipresente La delicatezza di Failla Pag. 7 D issequestrato per la seconda volta il Feudo Arancio su disposizione del Tribunale del Riesame di Trento (la prima volta era stato dissequestrato perché era decaduta la misura cautelare predisposta dal Gip di Ragusa, Claudio Maggioni nel mentre era stata dichiarata l’incom- petenza territoriale a favore del Tribunale di Trento). Il Giu- dice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento aveva convalidato il sequestro prevenvo della somma di 1.455.562,00 euro ed il sequestro prevenvo per equiva- lente fino a concorrenza della somma di 2.911.124,00 del c.d. feudo Arancio, ossia della tenuta agricola che si esten- de per 652 eari in contrada Torrevecchia presso Acate. La misura cautelare era stata emessa in via d’urgenza il 30/03/2010 dal PM presso il Tribunale di Ragusa, Carmelo Petralia, a seguito di indagini parte già alla fine del 2009, condoe dalle Fiam- me Gialle di Ragusa e coordinate dal colonnello Francesco Fallica. La vicen- da era finita sul tavolo del Gip di Trento in seguito alla dichiarazione di incom- petenza territoriale del Gip di Ragusa emessa dal Tribunale del riesame ibleo, Segue a Pag. 5 A lzare la voce perché i più deboli non facciano le spese delle decisioni arbitrarie altrui. E meersi nei panni dello svantaggiato: chi apparentemente non afferra tuo ciò che accade aorno a sé, ma in realtà comprende più profondamente degli altri. Come A.S., ragazzo disabile affidato ad una famiglia modicana da diversi anni. “La sua è una sensibilità fuori dal comune”: è il “padre adovo” a parlare, una persona che per il bene del ragazzo affidatogli non alza solo la voce, ma è pronto a meere in mezzo gli avvoca. Sarà infa il TAR a stabilire se il giovane, accudito da questa famiglia già dal termine del suo soggiorno alla Casa dell’Arca, che non aveva più la possibilità di ospitare chi ne aveva bisogno, possa connuare ad esercitare il suo dirio di ricevere una formazione adeguata alle proprie in- clinazioni. Ecco il movo principale per il quale Angelo Gintoli e Signora hanno deciso di far frequentare ad A. S., che ha già oenuto un primo diploma, un nuovo ciclo di studi della scuola secon- daria di secondo grado. Segue a Pag. 6 Novità dal Feudo Arancio Sequestro? Non sequestro più! Angela Allegria A scuola diritti negati ai disabili “Se porta suo figlio in classe chiamo le forze dell’ordine” Rossana Spadaro CON PERMESSO DI SOGGIORNO Anno 02 n.8 Novembre 2010 WWW.ILCLANDESTINO.INFO Prezzo 1€ Minardo I Siciliani di Fava sul “petroliere” Pag. 9 Aristide Una vita senza rimorsi Pag. 15 Direore Responsabile: Giuseppe Gurrieri. Redazione: Angela Allegria, Angelo Ciacera Macauda, Piero Caval- lo, Enrica Frasca Caccia, Giovanni Lonico, Marcello Medica, Stefa- no Meli, Piero Paolino, Salvatore Puma, Francesco Ruta, Giorgio Ruta, Rossana Spadaro, Stefania Zaccaria. Collaborano: Fama Palazzolo, Enzo Ruta, Siciliantagonista.org, Giulio Pitroso, Grazia Campione, Alberto Spampinato, Anna Ma- lardino, Michele Caldarella, Marcantonio Arturia, Davide Iacono. Grafica e impaginazione: Salvatore Puma, Francesco Ruta, Giorgio Ruta. Il nostro territorio è violentato da molto tempo. E adesso che si parla di piano paeaggiso scoppiano le polemiche (Pagg. 3-4)

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novembre 2010

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Page 1: Il Clandestino

IL CLANDESTINO

Violentata- Mensile d’informazione

L’editoriale

Cavallinovolante

Francesco Ruta

È un dato di fatto che la politica è sempre più un teatrino e che i teatranti fanno del loro meglio per rendere sempre “allegra” e assurda la vita

politica. Che i voltagabbana siano ormai di moda è an-che questo un dato di fatto, ma che a Modica la mag-gioranza aumentasse di un’unità non se lo aspettava proprio nessuno. In un momento difficile per l’Ammi-nistrazione Buscema, tanto criticata, sempre più cam-po sembrerebbe riconquistare l’allegra compagnia di Nino Minardo e Co, alle prese con l’operazione “pulizia del passato”, cioè far dimenticare ai modicani ciò che sono stati gli anni torchiani a Modica. E proprio un ex assessore dell’ex sindaco Piero Torchi Lucifora (in arte Fedro), Tato Cavallino, ex uddiccino, ex Forza Italia, Ex Pdl, attuale MPA, entra a far parte della maggioranza di Palazzo San Domenico. Il consigliere Cavallino si era già dichiarato indipendente, lasciando nel febbraio del 2009 il partito di Nino Minardo, per poi rientrarvi dopo qualche giorno per un “travaglio interiore”: si trattò di gastrite o di indigestione? Coincise invece con la nomi-na di responsabile locale per il CIPE di Gianfranco Mic-chichè. Il “travaglio interiore” si sistemò, e tutti vissero felici e contenti. E ora l’MPA conta un nuovo uomo, non un uomo nuovo, l’ennesima persona che ha lavorato con la giunta Torchi, l’ennesimo neo dell’amministra-zione Buscema, che si mette dentro un ex torchiano, un ex minardiano, un attuale uomo di Riccardo Minar-do. E non sono pochi gli assessori attuali che hanno la-vorato con Piero Torchi nel passato infausto modicano: Enzo Scarso, Paolo Garofalo, Giorgio Cerruto e adesso Tato Cavallino, anche se non ancora nominato come assessore. Ma i cittadini modicani si rendono conto di ciò che succede? Un Cavallino a dir poco volante, non solo cambia partito per la quarta volta, ma sta volta fa il salto di qualità: dalla minoranza alla maggioran-za. Allora cosa c’è dietro questo passaggio anomalo? Fede politica, un ennesimo “travaglio interiore” o la solita politica nostrana fatta da scambi, contro scambi, ripensamenti e poca serietà, attorniata da contentini e clientelismo? E un’altra pagina di “strana” politica tut-ta modicana si trasforma in realtà. Come in realtà si è trasformata la riconferma dei Servizi Sociali all’Mpa, senza segnare il cambiamento, lasciando nelle mani dello stesso partito di sempre uno dei settori più sen-sibili e importanti di una città, soprattutto in questo periodo. Dopo due anni di amministrazione Buscema questo settore è stato affidato a Enzo Scarso, a Silvio Iabichella e ora come i tempi torchiani (da alcuni tan-to rimpianti) a Paolo Garofalo, già presidente del Con-siglio Comunale. E sono frequenti i segnali di squilibrio dell’attuale amministrazione e della sua maggioranza che sempre più spesso accettano modelli poco sperati dai suoi elettori, convinti in un vero cambiamento, dal gravoso problema del personale, a quello finanziario, a quello morale.

l’onnipresenteLa delicatezza di Failla

Pag. 7

Dissequestrato per la seconda volta il Feudo Arancio su disposizione del Tribunale del Riesame di Trento (la prima volta era stato dissequestrato perché era

decaduta la misura cautelare predisposta dal Gip di Ragusa, Claudio Maggioni nel mentre era stata dichiarata l’incom-petenza territoriale a favore del Tribunale di Trento). Il Giu-dice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento aveva convalidato il sequestro preventivo della somma di 1.455.562,00 euro ed il sequestro preventivo per equiva-lente fino a concorrenza della somma di 2.911.124,00 del c.d. feudo Arancio, ossia della tenuta agricola che si esten-de per 652 ettari in contrada Torrevecchia presso Acate. La misura cautelare era stata emessa in via d’urgenza il 30/03/2010 dal PM presso il Tribunale di Ragusa, Carmelo Petralia, a seguito di indagini partite già alla fine del 2009, condotte dalle Fiam-me Gialle di Ragusa e coordinate dal colonnello Francesco Fallica. La vicen-da era finita sul tavolo del Gip di Trento in seguito alla dichiarazione di incom-petenza territoriale del Gip di Ragusa emessa dal Tribunale del riesame ibleo, Segue a Pag. 5

Alzare la voce perché i più deboli non facciano le spese delle decisioni arbitrarie altrui. E mettersi nei panni dello svantaggiato: chi apparentemente non afferra

tutto ciò che accade attorno a sé, ma in realtà comprende più profondamente degli altri. Come A.S., ragazzo disabile affidato ad una famiglia modicana da diversi anni. “La sua è una sensibilità fuori dal comune”: è il “padre adottivo” a parlare, una persona che per il bene del ragazzo affidatogli non alza solo la voce, ma è pronto a mettere in mezzo gli avvocati. Sarà infatti il TAR a stabilire se il giovane, accudito da questa famiglia già dal termine del suo soggiorno alla Casa dell’Arca, che non aveva più la possibilità di ospitare chi ne aveva bisogno, possa continuare ad esercitare il suo diritto di ricevere una formazione adeguata alle proprie in-

clinazioni. Ecco il motivo principale per il quale Angelo Gintoli e Signora hanno deciso di far frequentare ad A. S., che ha già ottenuto un primo diploma, un nuovo ciclo di studi della scuola secon-daria di secondo grado. Segue a Pag. 6

novità dal Feudo arancio

Sequestro?non sequestro più!

Angela Allegria

a scuola diritti negati ai disabili

“Se porta suo figlio in classe chiamo le forze dell’ordine”

Rossana Spadaro

CON PERMESSO DI SOGGIORNO

Anno 02 n.8 Novembre 2010WWW.ILCLANDESTINO.INFO

Prezzo 1€

MinardoI Siciliani di Favasul “petroliere”

Pag. 9

aristideUna vita senza rimorsi

Pag. 15

Direttore Responsabile: Giuseppe Gurrieri.Redazione: Angela Allegria, Angelo Ciacera Macauda, Piero Caval-lo, Enrica Frasca Caccia, Giovanni Lonico, Marcello Medica, Stefa-no Meli, Piero Paolino, Salvatore Puma, Francesco Ruta, Giorgio Ruta, Rossana Spadaro, Stefania Zaccaria.Collaborano: Fatima Palazzolo, Enzo Ruta, Siciliantagonista.org, Giulio Pitroso, Grazia Campione, Alberto Spampinato, Anna Ma-lardino, Michele Caldarella, Marcantonio Arturia, Davide Iacono.Grafica e impaginazione: Salvatore Puma, Francesco Ruta, Giorgio Ruta.

Il nostro territorio è violentato da molto tempo. E adesso che si parla di piano paeaggistio scoppiano le polemiche (Pagg. 3-4)

Page 2: Il Clandestino

Il piano paesaggistico è diventato l’argo-mento più discusso in provincia dopo l’approvazione da parte dell’Assessore Re-

gionale ai Beni culturali (oggi all’Economia) Gaetano Armao. Da qualche mese la maggior parte dei giornali locali sono stati impegnati nel diffondere le dichiarazioni dei vari politici e rappresentanti di categoria molto spesso occupati a demolire il piano paesaggistico senza entrare nel merito di cosa sia real-mente. L’unico risultato derivante da tali ar-gomentazioni è stato un crescendo di disin-formazione, allarmismo, disinteresse tra la gente che ha evitato di affrontare concreta-mente il tema e pensare ad eventuali modi-fiche. Il piano paesaggistico è uno strumen-to nuovo che non fa altro che confermare gli strumenti già a disposizione dei comuni (PRG, piano territoriale, piani strategici) e dotarli di mezzi utili a salvaguardare il ter-ritorio. Infatti lo scopo principale del piano è proprio quello di ridurre il consumo del suolo recuperando e riqualificando le aree antropizzate, con la possibilità di prevedere nuove zone d’espansione qualora risultino saturate quelle già definite. Il recupero del centro storico e una sua riqualifica potrebbe-ro senz’altro frenare la cementificazione del nostro territorio che, negli ultimi anni, è sta-to letteralmente saccheggiato dall’espansio-ne urbanistica. Tra le novità previste dal pia-no c’è la zonizzazione del territorio in quattro aree di vincolo. Ogni grado definisce ciò che è concesso o meno fornendone le relative mo-tivazioni. Nell’area di tutela 1, la cosiddetta zona ‘bianca’, è consentita la “realizzazione di edifici in zona agricola da destinare ad at-tività di supporto dell’uso agricolo dei fondi

nel ri-spetto del carattere insediativo rurale”. Nell’area 2, la zona ‘verde’, vale lo stesso principio sopra riportato, ma con il “divieto di qualsiasi variante agli strumenti urbanistici comunali”. Quest’ul-time aree, comunque, potranno essere og-getto di piani strategici basati su particolari interventi di valorizzazione. Il grado definito più severo, quello rosso, in realtà non fa altro che riconfermare i vincoli precedenti, ossia quelli già validi prima dell’adozione del pia-

no. Qui è vietata ogni forma di edificazione perché queste aree rappresentano le ‘inva-rianti’ del paesaggio. Sono però consentiti “interventi di manutenzione, restauro, va-lorizzazione paesaggistico - ambientale fi-nalizzata alla messa in valore e fruizione dei beni”. Le maggiori perplessità mosse contro il piano riguardano comunque l’attività delle

aziende agricole. Queste, in realtà, potran-no continuare a svolgere la loro attività come prima, con in più una grande semplificazione nelle procedure autorizzative. Infatti per le aree a tutela 1 e 2 si prevede che “Nelle aree individuate quali zone E dagli strumenti ur-banistici comunali è consentita la realizzazio-ne di edifici in zona agricola da destinare ad attività a supporto dell’uso agricolo dei fondi nel rispetto del carattere insediativo rurale”. Non si potranno realizzare impianti fotovol-taici a terra, ma solo piccoli impianti integra-ti atti a soddisfare il fabbisogno energetico delle aziende agricole. Per quanto riguarda l’altopiano e la zona montana le uniche limi-tazioni consistono nel divieto di abbattere i muri a secco e in quello di tagliare i carrubi con circonferenza superiore ai 50 cm. Il Piano porta avanti un principio che le zone agricole sono e devono rimanere tali. Dai vari incontri realizzati in Provincia, non si può non coglie-re un profondo senso di confusione in merito a tali considerazioni. Per quanto riguarda la nostra città, inoltre, la commissione specia-le ( composta dalla seconda commissione consiliare urbanistica allargata alla conferen-za dei capigruppo) istituita per l’esame del Piano, sta raccogliendo tutte le osservazioni sullo strumento paesaggistico da inserire in un documento di sintesi. Tutte le associazioni di categoria, gli ordini professionali, i singoli movimenti o i gruppi politici potranno così esprimersi a riguardo, nella speranza di riu-scire a mettere d’accordo i vari interessi che, troppe volte, però, perdono di vista quelli collettivi per favorire quelli personali.

il dibattito inFuria in proVinCia

piano paeSaggiStiCo, iStruZioni per l’uSo

Stefania Zaccaria - Piero Paolino

Oggi è normale sentir parlare rappresen-tanti istituzionali come prefetti, sindaci, questori, della sicurezza nei nostri centri

storici, annunciando l’incremento dei controlli delle forze dell’ordine o della video sorveglianza. E’ divenuto così banalmente monotono che alla fine il cittadino comune prende sul serio detti allarmi, andando poi a parare sul nesso immigra-ti-pericolo sicurezza. D’altra parte i continui pro-clami sull’invivibilità delle nostre città, più che fare riferimento alla crisi occupazionale, al crollo del piccolo commercio, ai saccheggi urbanistici, al decadimento dei servizi e al degrado urbano e sociale, fanno invece esplicito riferimento al “rischio migranti”, verso i quali si accentuano i controlli, gettando velenose basi per atteg-giamenti razzistici, che, infatti, vanno pian piano diffondendosi, preludio di una prossima esplo-sione di intolleranza. Il tema securitario solle-cita gli istinti più bassi, fa parlare le pance più che i cervelli, e porta voti a chi lo sfrutta; è da tempo un cavallo di battaglia di ministri leghisti e sindaci sceriffi che danno la caccia all’immigra-to, con politiche che tendono a gettare in pasto ad una massa sempre più in preda a problemi di vita e di lavoro molto difficili, un capro espiatorio individuato nella figura del migrante, versio-ne moderna dell’uomo nero. Fino a quando i lavoratori e i cittadini, anziché prendersela con il soggetto forte (il politico, il boss, il ricco…) se la prenderanno con soggetti ancora più deboli di loro, la situazione di sfruttamento e di saccheg-gio delle risorse economiche e culturali del paese potrà andare avanti tranquillamente. Che poi queste campagne fossero infondate ce lo dimostrano i magri risultati ottenuti, nonostante gli sforzi e gli accanimenti alla ricerca di qualche pecca o una trasgressione a qualche regola da gettare in pasto ai cronisti, che a loro volta la lanciano dai loro media alla massa bisognosa di trovare una vittima su cui scagliare le pro-prie frustrazioni. Sono convinto che se cotanto accanimento si fosse riversato sulla comunità autoctona, si sarebbero riscontrate altrettante, se non di più, infrazioni alle regole date. Nel nostro piccolo, campagne contro la delinquenza nei centri storici, annunci di controlli a tappeto,

sono di sicuro un segnale dell’incancrenimento della vita sociale; si sa invece, e per primi sono le forze dell’ordine e gli organi giudiziari a saperlo, del calo dei reati comuni, specie furti e rapine. Nel capoluogo è divenuto ormai un ritornello l’annuncio di controlli nella zona di via Roma a lato della rotonda, luogo frequentato da molti migranti per una serie di motivi oggettivi: l’aver trovato alloggi a basso prezzo perché fatiscenti; l’essere vicini ad alcuni enti che attuano la carità e la solidarietà, a un centro di telefonia e spedi-zione denaro all’estero, a un negozio con prodot-ti alimentari di provenienza dai paesi produt-tori, ecc. Ma ad aver sfiorato il ridicolo è stato

l’allarme pacco bomba alla UIL dello scorso 18 ottobre, una vicenda singolare che intreccia speculazioni politiche e gof-faggini provincialistiche. Una settimana prima una semplice scritta sul muro d’ingresso del-la stessa sede (“Servi venduti”) aveva provocato una gara a chi la sparasse più grossa: “attacco ignobile e vergognoso portato avanti da frange estremiste di

pseudo antagonisti del sistema democratico” (Iacono del Sosvi), “destabilizzazione del terri-torio” (Bandiera), e ancora “clima avvelenato”, “atti di intolleranza”. Poi il “ritrovamento” di tre sacchetti di spazzatura davanti la porta del sin-dacato, che pare contenessero cartacce prodotte dagli stessi uffici UIL ha fatto scattare un ridicolo allarme bomba, con tanto di artificieri giunti da Catania, evacuazione del palazzo e blocco di una vasta area del centro per diverse ore, utilizzo di un robot per avvicinare i “pacchi” e farli “brilla-re”. Questa vicenda paradossale è lo specchio di una situazione in cui non ci si limita più a gridare “al ladro al ladro” e a indicare in precisi segmenti della società i presunti colpevoli… di nulla, ma si arriva a gridare alla bomba nel tentativo di alzare la tensione e speculare vittimisticamente. Al delirio securitario si può rispondere solo met-tendo sotto attenzione i veri problemi, proprio quelli che i fautori di questi falsi allarmi, in ge-nere non risolvono pur essendo loro compito e obbligo, poiché se c’è una cosa che rende i nostri centri sempre più “insicuri” è il senso di abban-dono, la strafottenza amministrativa, l’arroganza progettistica che ha caratterizzato e caratterizza le politiche di molte amministrazioni.

Morti sullavoro

Dall’inizio dell’anno ad ora,

per lavoro,ci sono:

895 morti895030 infortuni

22375 invalidi

Circa 130 migranti egiziani e palestinesi, sono sbarcati al porto di Catania il 26 ottobre. Sono stati trasferiti al Palanitta nel quartiere di Librino. Poco dopo in 68 sono stati espulsi. I video su www.ucuntu.org

espulsoniillegali

Nella classifica annua-le di Reporters sansfrontières sulla liber-

tà di stampa l’Italia mantiene il 49° posto a pari merito con il Burkina Faso. L’Italia è un paese parzialmente libero.

libertà di stampa

Lo schermidore modicano Giorgio Avola ai mondiali di Parigi fa il miglior risul-tato italiano fermandosi agli ottavi. Ancora una volta il giovane atleta fa sognare gli spor-tivi della città della contea.

la stella avola

Spauracchiosicurezza

L’angolo del direttore di Pippo Gurrieri

Luca, Christian, Alessandro, Gaetano, Sandra, Carmelo, Francesca, Cristina e gli altri. Quest’estate a Santa Croce

Camerina non era cosa rara trovarli riuniti all’aria aperta in Piazza degli Studi. Perché l’Associazione Libera..Mente non ha una sede fissa, ma questo non mette certo un freno alla voglia di fare di tutti i ragazzi che ne fanno parte. Libera..Mente nasce dall’idea che “le idee esistono per divenire azione”; l’Associazione vuole essere un punto di riferimento per tutti i giovani di Santa Croce che hanno voglia di mettere in cantiere i loro progetti per migliorare la comunità in cui vivono. Oggi gli associati sono 25, molti anche i “simpatizzanti”. Nel mese di Ottobre si è riunito il Direttivo che ha tracciato un bilancio sui primi sei mesi di attività ufficiale dell’Associazione. Dopo la festa di Carnevale che “ha presentato” Libera..Mente alla cittadinanza, i ragazzi hanno collaborato con il comune in occa-sione della festa di San Giuseppe. L’indifferenza da parte dell’am-ministrazione al momento dei ringraziamenti ufficiali ha sollevato qualche filo di polemica, ma non ha certo spento l’entusiasmo e la voglia di “esser-ci”! In collaborazione con l’AVIS, i ragazzi di Libera..Mente sono infatti riusciti ad orga-nizzare un’iniziativa di notevole spessore in occasione della Festa della Repubblica, ospitando a Punta Secca Gioacchino Gen-chi e Franco Bussetti. L’estate in spiaggia è stata animata dal loro “Orange Party”. Hanno anche fatto “fiorire” di cartellini rossi un carrubo: un’iniziativa dai gesti semplici ma dal forte valore simbolico per ricordare Paolo Borsellino nell’anniversario dell’attentato. Per commemorare la sua grande figura, le sue stesse parole sono diventate “i frutti” dell’albero a lui dedica-to. Libera..Mente lancia alla cittadinanza l’idea del “SI PUO’ FARE”. Lo ha fatto

soprattutto con l’iniziativa “Libera..Verde, vestiamo il verde di Santa Croce con l’abito nuovo”. I ragazzi, armati di buona volontà, hanno sistemato un’aiuola, mandando quindi alla comunità un messaggio sul rispetto della natura e sull’attenzione alle piccole cose. Adesso l’obiettivo è quello di coinvolgere le scuole, che potranno “adot-tare” le altre aree verdi trascurate della città e farle “rinascere” (l’Associazione è in attesa dell’autorizzazione del comune). Tra le iniziative in cantiere c’è anche “Libera..Mente in Piazza”, che ha come obiettivo quello di ripopolare di giovani le piazze del paese, attraverso l’organizzazione di ma-nifestazioni musicali e culturali. E poi una manifestazione sportiva di beneficenza che coinvolgerà personalità dello sport e dello spettacolo e varie iniziative culturali in oc-

casione dei 150 anni dell’unità d’Italia. A breve Libera..Mente inaugurerà anche un suo sito web. “Siamo sempre vigili e pronti, nei limiti delle nostre possibi-lità, a colmare le carenze del nostro territorio, grazie anche

all’importantissimo contributo delle attività commerciali che, nonostante il mo-mento di crisi, ci danno fiducia, credendo nell’onestà della nostra missione” afferma Luca Agnello, presidente dell’Associazione. Libera..Mente spalanca i suoi orizzonti ed è sempre aperta alle collaborazioni con altre realtà associative del territorio quali Avis, Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Emergency, Amnesty, Le-gambiente, Sporting Club e lo stesso “Clan-destino con permesso di soggiorno”! Con i suoi ragazzi e le sue iniziative, potrà infatti rappresentare per la testata una sorta di “finestra aperta” che ci farà “affacciare” anche su Santa Croce Camerina! Libera...Mente: sono ragazzi..e per cambiare le cose non fanno gli eroi. Fanno!

libera...menteEnrica Frasca Caccia

Una nuova associazione a S. Croce Camerina

Da dove nasce il Piano Paesaggistico? A cosa serve e quali sono le novità che apporterebbe nel nostro territorio? Di Piano Paesaggi-

stico si parla troppo ma senza conoscerne effettivamente le conse-guenze. Abbiamo cercato di ricostruire brevemente ciò che com-

porterebbe la sua adozione per capire realmente se hanno ragione i politici o il territorio.

Pagina 2 Il clandestino Il clandestino Pagina 3

VittoriaIl sindaco Nicosia è stato vittima di

intimidazioni. La sua macchina è sta-ta danneggiata. Un ordigno, invece,

è stato trovato davanti ad una stazio-ne dei vigili urbani.

VittoriaIl corrispondente da Vittoria del

Giornale di Sicilia, Gianni Marotta è stato sospeso dal quotidiano

dopo le proteste del Sindaco Ni-cosia. Il giornalista aveva espres-

so su Facebook critiche forti.

tra le iniziative in can-tiere c’è anche “libe-ra..Mente in piazza”,

che ha come obiettivo quello di ripopolare di

giovani le piazze del paese...

poZZalloLa Capitaneria di porto di

Pozzallo ha comminato circa 50 mila euro di sanzioni pe-cuniarie a carico di una deci-na di proprietari di altrettan-te villette disseminate lungo la costa iblea, per il reato di inquinamento ambientale. I residenti avrebbero scarica-to illegalmente nel territorio

circostante i liquami.

il tema securitario sollecita gli istinti

più bassi, fa parlare le pance più che i

cervelli, e porta voti a chi lo sfrutta...

Giorgio Cavallo

LegambienteModica

Quali sono a suo avviso i pro e i contro del piano pa-esisticoSecondo me ci sono quasi solo pro. Perché dopo

tanti anni che aspettiamo la variante al piano regolatore ge-nerale per avere uno sviluppo regolato e non selvaggio non possiamo essere che entusiasti del piano paesistico. La sto-ria è vecchia: se attenzioniamo la Legge Galasso del 1985 vediamo che è già questa iniziava a porre i primi elementi di pianificazione. La Regione Sicilia, facendo seguito a quanto disposto dalla legge Galasso, nel 1999 promulga le linee gui-de per la pianificazione paesaggistica regionale, senza poi procedere alla redazione dei piani. Adesso si sta finalmente procedendo. Era ora di avere un piano che regoli l’utilizzo del territorio e ne limiti il consumo sfrenato ed illogico. Quali saranno le conseguenze sugli allevatori?Su questo argomento si è speculato molto: si è detto che gli allevatori non avrebbero potuto ampliare le loro imprese, tutto questo è falso. Anzi il piano aiuta l’agricoltura perché ribadisce ancora con più forza che gli spazi dedicati all’agri-coltura devono essere dedicati a questo e basta. Pone limiti ad altre attività. È vero che, al momento, nelle zone rosse, tutte zone che erano già vincolate, c’è questa limitazione. mi risulta, però, che nel corso di un incontro promosso da Legambiente tra le associazioni di categoria e la Sovrinten-denza si è parlato di modificare questi vincoli e in modo da non penalizzare le aziende esistenti ma allo stesso tempo rispettare il territorio.I pro per il territorio e il turismo?È nel concetto di valorizzazione del territorio che si inserisce il piano. Senz’altro puntare sulla qualità ambientale, sulla tipicità dei prodotti, sulla qualità dell’allevamento, sulle ca-ratteristiche del nostro territorio realizzate in secoli e secoli di lavoro e fatica può essere solo positivo. Il piano è sicura-mente un fattore stimolante per l’incremento turistico e per la tutela del territorio.

G. R.

Giuseppe Drago

Presidentedella Cia di Ragusa

Quali sono a suo avviso i pro e i contro del pia-no paesistico?I vantaggi che il piano paesistico può offrire

ad un territorio come il nostro che si estende dalla col-lina al mare sono immensi, però da una prima lettura, si percepisce che alcuni aspetti pratici andrebbero ap-profonditi per continuare, come già si è fatto in que-sti anni, una integrazione forte fra ambiente, natura e attività agricola-umana. Non dimentichiamo, infatti, che storicamente l’agricoltura ha forgiato il nostro ter-ritorio, basti pensare ai carrubbi, agli ulivi, ai muretti a secco, e che l’agricoltore da sempre ha difeso il ter-ritorio evitando i disastri idrogeologici e l’avanzata del sottobosco.In che modo questo può penalizzare gli allevatori?In questo settore bisogna tener conto delle normati-ve europee e del piano di sviluppo rurale. La lettura del piano paesistico genera, alla luce di tali elementi, perplessità ed allarme per il mancato coordinamento con tali norme. Oggi, ad esempio, è difficile, sia per una questione di costi, sia per la difficile reperibilità dei materiali e delle maestranze. È necessario usare buon senso: guardare all’aspetto attuativo del piano ma non penalizzare le imprese agricole in modo ec-cessivo.Quali sono i vantaggi per la tutela del territorio e del turismo?La difesa del territorio è essenziale per uno sviluppo turistico di qualità in un sito ricco di storia e di bel-lezza. È necessario trovare un equilibrio tra natura ed attività umana. Tutti abbiamo una grande respon-sabilità: è importante non agire sul piano paesistico con pregiudizi, ma trovare una mediazione che possa portare ad un’attuazione concreta del piano rispettan-do sia il territorio sia ponendo le imprese agricole in grado di poter svolgere la propria attività. A. A.

Antonello Buscema

Sindacodel Comune di Modica

Quali sono a suo avviso i pro e i contro del piano paesistico?Il piano paesaggistico nasce dall’esigenza di tutelare il nostro pae-saggio e il nostro territorio, che è uno dei momenti portanti dello

sviluppo futuro del territorio. La nostra area vuol puntare sul turismo e non può non tenere conto di preservare questo paesaggio ricco di tradizioni e cul-tura. Dunque è chiaro che il piano paesaggistico si pone come difensore del territorio, tuttavia nella nostra provincia esistono in maniera corposa piccole e medie imprese e aziende agricole, per cui è importante che il piano possa, da una parte, preservare il paesaggio, e dall’altra, essere compatibile da un punto di vista socio economico. Secondo me su questo argomento si devono evitare le estremizzazioni , che servono solamente ad accendere i riflettori su questo o su quell’altro personaggio, e si deve invece entrare nel merito della questione; dobbiamo capire, su questioni concrete e non su fatti di precon-cetto, dove il piano paesaggistico tutela il territorio e dove blocca lo sviluppo socio economico. Il no assoluto alle costruzioni abitative nelle campagne è da mutare nell’inserimento di paletti che tutelino il territorio e che evitino l’impatto ambientale nelle campagne, secondo precisi standard. Spesso la rovina delle nostre aree non sono state tanto le abitazioni degli agricoltori, bensì gli impianti delle aziende, come i grandi capannoni e i grandi magazzini che vanno in direzione opposta alla riqualificazione del territorio.In che modo questo può penalizzare gli allevatori?Non condivido quando si dice che l’attività agricola verrebbe bloccata dal piano. Quest’attività non risentirà tanto degli effetti del piano, perché gli in-terventi di ammodernamento sono possibili. E invece vengono compromessi altri tipi di interventi, a volte in modo positivo, altre volte in modo negativo. Quali sono i vantaggi per la tutela del territorio e del turismo?La specificità del nostro territorio non è legata solamente ai centri storici, ma è legata anche alla particolarità delle nostre campagne, come i muri a secco, le ville antiche e le cave. Per cui se vogliamo puntare sul turismo dob-biamo cercare di preservare gli aspetti peculiari della nostra zona, e il piano paesaggistico tende a preservarlo. Ma come lo fa? Lo preserva vincolando e bloccando le attività socio economiche o lo preserva riuscendo a contempe-rare la tutela e lo sviluppo? Noi dovremmo avere il massimo dei vantaggi dal punto di vista ambientale e paesaggistico, cercando di avere il minimo degli svantaggi dal punto di vista socio economico.

F. R.

Page 3: Il Clandestino

Novità sulla vicenda Lombardo relative al sequestro, disposto dal Procuratore di Modica Francesco Puleio e confermato

dal Tribunale delle libertà, della villetta intesta-ta alla moglie Saveria Grosso, sita in contrada Ciriga tra Marina di Marza e Santa Maria del Focallo. Potrebbe essere tutto iniziato da una lettera anonima inviata alle redazioni dei prin-cipali giornali locali, agli organi inquirenti e ad alcuni esponenti delle Istituzioni locali. La let-tera, firmata da “un forestale arrabbiato”, de-nunciava il presunto abuso edilizio compiuto dalla moglie del governatore siciliano specifi-cando dettagli importanti per lo sviluppo del-le indagini. Ora sorge un dubbio: chi è il vero autore della lettera? Ci potrebbero essere in-teressi politici dietro tale denuncia in un qua-dro politico complesso come quello attuale? Facciamo un passo indietro. Tutto nasce quan-do Raffaele Lombardo acquisisce un rudere ri-salente agli anni ’20 costruito ai tempi ad una distanza di circa 200 metri dal mare. Secondo le dichiarazioni del Presidente non sussistono abusi perché “è stata autorizzata una manuten-zione straordinaria già 15 anni fa. Se io 15 anni fa avessi avuto i soldi per ristrutturarla e se en-tro i tre anni dall’autorizzazione avessi dichia-rato l’inizio dei lavori adesso la casa sarebbe più che ristrutturata”. Ma la situazione non è così semplice. Dei lavori di Lombardo si è inte-ressata Goletta verde che nel 2008 ha fatto un sopralluogo. Nel dossier Mare nostrum 2008 di Legambiente si legge: “Siamo ad Ispica (Rg) in località Ciriga, contrada Marza. Erano stati au-torizzati come lavori di manutenzione straordi-naria di un rudere, ma in realtà si voleva costru-

ire il classico appartamento vista mare. I lavori sono stati bloccati il 17 Giugno 2004 dalla Ca-pitaneria di Porto di Pozzallo che ha poi messo tutto nelle mani alla Procura di Modica. Uno dei tanti casi di abusivismo edilizio che accado-

no in Sicilia, se non fosse che l’autore dell’abu-so in piena regola è Raffaele Lombardo, il neo Governatore della Regione Sicilia. Il Comune di Ispica ha emesso un’ordinanza di sospensione dei lavori, senza concessione edilizia e all’in-

terno della Riserva Naturale “Pantani della Sicilia S.O.” addirittura sottoposta a vincolo archeologico. Pochi mesi dopo, a settembre 2004 il perito nominato da Raffaele Lombardo ha dato comunicazione dell’inizio dei lavori di demolizione del basamento in muratura, so-spendendo ogni attività inerente l’intervento”. Ma nel 2008, da quanto denuncia Legambien-te, il basamento è ancora lì. Successivamente il Presidente dona alla moglie, Saveria Grosso, la proprietà. E nel giugno 2010 iniziano i lavori di manutenzione straordinaria realizzati dalla ditta Mediterranea Edile di Presti Giuseppe e C. snc di Ragusa. Ma su questi lavori sorgono alcuni dubbi, come quelli esplicitati dalla mi-steriosa missiva. Se sia stata questa a portare il Procuratore Puleio a disporre i sigilli non lo sappiamo, in ogni caso la vicenda non è lim-pida. Contro il provvedimento del magistrato è stato fatto un ricorso rigettato dal Tribunale del riesame. “La riapertura di un’indagine che riguarda un intervento di così modeste dimen-sioni – hanno dichiarato i legali dello studio Scuderi-Motta che assistono Saveria Grosso – che nel corso degli anni ha attraversato il vaglio di innumerevoli procedimenti amministrativi e giurisdizionali che ne hanno confermato la le-gittimità, compreso quello della Procura della Repubblica che oggi nuovamente procede, ri-guarda, peraltro, un territorio che per il resto è stato, purtroppo, devastato da gravi fenomeni di abusivismo”. Ora c’è da chiedersi: la moglie di Lombardo è un’altra abusiva in una zona già martoriata dal fenomeno o la vittima innocen-te di un complotto politico ai danni del marito?

La vicenda era finita sul tavolo del Gip di Trento in seguito alla dichiarazione di incompetenza territoriale del Gip di Ragu-sa emessa dal Tribunale del riesame ibleo, il quale aveva sot-tolineato che “nella specie, gli artifici e raggiri sono consistiti nella stipula dei due contratti di compravendita tra le società (NOSIO S.p.a. – Villa ALIBUS Soc. Agr. a.r.l. – F.T.A. S.r.l.), in data 29.03.2005, in territorio di Trento” e quindi il conseguente in-giusto profitto si è verificato in territorio di Trento essendo state in concreto versate le prime due quote di tale contributo me-diante l’emissione di un mandato di € 2.911.124,00 da accre-ditarsi a sul c/c Bancario intestato ad F.T.A. S.r.l. presso la Cassa di Risparmio di Bolzano – Agenzia di Trento. Il giudice di Tren-to concordava con i colleghi del Foro ragusano nell’ipotizzare la truffa ai danni dello Stato e dell’Unione Europea in quanto “dagli atti d’indagine sinora svolti l’operazione anzidetta (la FTA srl si impegnava a realizzare la riattivazione della cantina vini-cola sita in contrada Torrevecchia, con comprensivo incremen-to occupazionale ndr) appare di natura fraudolenta, in quanto volta ad ottenere in maniera truffaldina da parte del Ministero dello Sviluppo economico un contributo pubblico di ammontare assai rilevante senza alcun effettivo investimento produttivo” e in più senza creare incremento occupazionale dato che i 15 di-pendenti sono stati solo “spostati” da una società all’altra. Agli otto indagati (Fabio Rizzoli, proprietario per l’81% della Fta ed amministratore delegato del gruppo Mezzacorona ed il figlio Claudio, amministratore delegato della Nosio, società facente parte del Gruppo Mezzacorona e che possiede il restante 19% della Fta, Luca Rigotti, amministratore della Nosio, Guido Con-ci, presidente del Gruppo Mezzacorona, Paolo Carli, consigliere d’amministrazione, Salvatore Cacciatore, dipendente della Fta ed unico locale, Bartolomeo Curatolo, consulente, Ferdinando Musco Castagna, funzionario della Banca Nuova di Palermo) re-sta contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata alla perpetuazione di una truffa aggravata ex. art. 640 c.p. (e non anche l’associazione di tipo mafioso, come erroneamente indicato nell’articolo del numero precedente). Il Gip di Trento spiegava anche le ragioni che hanno portato al sequestro per equivalente: “Gli accertamenti effettuati a seguito di un primo decreto di rigetto del Gip presso il tribunale di Ragusa in data

24/05/1020 hanno consentito di appurare che la società Fta in-trattiene rapporti bancari/finanziari con 8 istituti di credito di-versi, mentre il legale rappresentante della stessa, a sua volta, intrattiene rapporti di analoga natura con 32 istituti. Deve allora trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 322 ter e 640 quater cp che prevede la c.d. confisca di valore o per equivalen-te al prezzo o al profitto del reato, in quei casi in cui la confisca sui beni costituenti il prezzo o il profitto del reato non sia per qualsiasi ragione possibile ad esempio, come nella fattispecie, in caso di irrintracciabilità”. Infine, nel convalidare il sequestro, il Gip sottolineava anche le ragioni dell’urgenza motivando sul presupposto della liquidazione dell’ultima trance del contribu-to, ossia della somma di 1.455.564,00 euro. Tutto superato: il Tribunale del Riesame di Trento il 26 ottobre ha proceduto col dissequestro di tutto, azienda agricola e ultima trance di finan-ziamento. Lo ha fatto accogliendo in toto le richieste difensive, sulle cui motivazioni basa il ragionamento. Sul primo punto, in-fatti, il Tribunale del riesame precisa che la Fta non fa parte del gruppo Mezzacorona, ma è una mera partecipata con quota di minoranza, non qualificata del solo 19% quindi senza alcun po-tere di controllo essendo la quota di maggioranza assoluta, qua-lificata e di controllo di proprietà della sola persona fisica Fabio Rizzoli che l’aveva acquistata nel 2004. Precisa la difesa che “non esiste un gruppo Rizzoli che comprenda Nosio Spa, Villa Albius ed Fta, ma che Fta è una società del tutto autonoma, indipen-dente e di proprietà qualificata di Fabio Rizzoli, non sottoposta ad alcun controllo delle quote, di diritto o di fatto, ad alcun con-trollo contrattuale da parte della Nosio Spa e della Villa Albius Sarl. Fta non è neppure una società collegata alla Nosio, risul-tando il capitale sociale della prima detenuto dalla seconda in-feriore al limite (un quinto) stabilito dall’art. 2359 cc”. Nel 2005, durante un consiglio di amministrazione della Nosio, si dovette rilevare come l’andamento delle vendite avesse subito un calo del 9% ed in base a questo non era opportuno procedere a nuo-vi investimenti. Non dello stesso parere era la Fta, la quale chie-se in consiglio di amministrazione alla Nosio di poter acquistare cantina e serbatoi annessi per procedere alla ristrutturazione. Nosio accolse la richiesta e deliberò di cedere a Fta il fabbrica-to agroindustriale con il terreno di pertinenza ed i serbatoi per

complessivi ettolitri 136.000, non più adat-ti. Fabio Rizzoli non partecipò alla decisione ed il figlio Claudio si astenne dal voto. Acquisito ciò la Fta acquistò un magazzino ed un depuratore dalla società agricola Villa Albius (sempre facente parte del gruppo Mezzacorona). Il Tribunale del Riesame affer-ma che “l’elemento che allo stato si propone come sintomatico della non simulazione degli acquisti è il passaggio di denaro da Fta a Nosio ed a Villa Albius. Il pagamento del corrispettivo delle vendite, che non è avvenuto con l’aumento di capitale (e che non poteva avvenire con un aumento che non vede tra i bene-ficiari la sarl Villa Albius, la quale non è socia di Fta srl) è stato effettuato tramite accredito/addebbito sui conti correnti del-le società impegnate nell’affare. Le vendite, quindi, sembrano essere regolari ed effettive e, per il fatto di essere antecedenti perfino all’accogllimento della richiesta di contributo, oltre che per l’importo complessivo della spesa affrontata, non sembrano essere state effettuate con l’utilizzo di denaro pubblico”. Stante al secondo punto, l’incremento occupazionale ritenuto fittizio da parte del pm sul presupposto di un passaggio di lavoratori da società dello stesso gruppo, il Tribunale del Riesame accoglie l’ipotesi della difesa che parte dal presupposto che nel calcolo dell’incremento occupazionale non potranno, in nessun caso, essere ricompresi lavoratori assunti con passaggio, ovvero a seguito di licenziamento, tra società beneficiarie della agevola-zioni previste dal programma Sikelia e per questo dichiara che non c’è stata nessuna violazione di tale limite negativo in quanto né la Nosio, né Villa Albius fanno parte di tale programma. In aggiunta a ciò si precisa che la Fta “non avrebbe certo potuto assumere dipendenti che non conoscessero già perfettamente il particolare tipo di lavoro che loro è richiesto”, che in nessuna delle prescrizioni contrattuali e/o legislative è vietata l’assunzio-ne del medesimo personale che avesse già lavorato nel setto-re (a meno che non proveniente da società beneficiarie dello stesso contributo), ed infine, che in ogni caso, la Nosio e la Villa Albius avrebbero perso fisiologicamente forza lavoro in termini numerici. Alla luce di ciò la misura cautelare è stata revocata, ma il procedimento penale seguirà il suo corso.

la politica che avalla il cemento nelle campagne

il SaCCo di ModiCa

L’inchiesta

Pagina 4 Il clandestino

Sequestrata una proprietà della moglie del

presidente della regione in contrada Ciriga

una lettera MiSterioSa SVela i Segreti della

Villetta di loMbardoAngela Allegria - Giorgio Ruta

Case e Vino

Il clandestino Pagina 5

Piero Cavallo

novità dal Feudo arancio

SequeStro? non SequeStro più!Dalla prima

Mentre si susseguono le polemiche sull’abusivismo che devasta il nostro territorio scoppia il caso della

villetta a mare della famiglia del governatoresiciliano.

Nella foto centrale: l’inizio dei lavori e in alto la casa oggi

Continua inarrestabile il “sacco di Modica” principalmente quello ri-guardante la campagna che len-tamente, grazie alla complicità della politica, sta diventando una grande periferia degradata. E’ ormai, un territorio dove dare libero sfogo alla speculazione perché solo di speculazione si può parlare, guardando le centinaia di costruzioni abbandonate in attesa che qualcuno trovi una motivazione alla loro esistenza. Questa è la prova lampante dell’inutilità di una tale cementificazione che non risponde alle esigenze reali della popolazione. Edifici quasi tutti re-alizzati in variante al PRG, una pratica abusata in consiglio comunale e giustificata dall’assenza dello strumento urba-

nistico la cui adozione si attende da troppo tempo. Appare curioso come da più fronti tali operazioni vengano de-finite “sviluppo”: forse sarebbe meglio parlare di sviluppo negato da un politica non all’altez-za del territorio che rap-presenta, la stessa classe

politica scagliatasi unanimemente contro il Piano Paesaggistico. La colpa di quest’ultimo? Tentare l’ultima strenua difesa di un territorio massacrato dall’as-senza di programmazione e dal prevalere di interessi privatistici.

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Diritti

Pagina 6 Il clandestino

Una fatalità, una disattenzione, un uomo a terra, sbattuto giù dall’im-patto avuto con l’Alfa Romeo 156

alla cui guida era Sebastiano Failla, l’at-tuale vice-presidente del Consiglio Provin-ciale. Quest’ultimo viaggiava in direzione Pozzallo-Sampieri e all’imbocco dell’incro-cio di Via Giovanni da Verrazzano a Marina di Modica, non si sarebbe fermato allo stop, mentre in direzione opposta, ar-rivava Riccardo Spa-racino, un uomo di 43 anni di

Pozzallo. L’impatto, il soccorso, il trasferi-mento a Catania per le condizioni pessime in cui versava il motociclista, più di due set-timane di coma e poi il 6 ottobre il cuore si ferma, non ce la fa più. Questa la ricostru-zione veloce di una tragedia cominciata il 16 settembre 2010, data dell’incidente tra Failla e Sparacino. Failla esponente politi-

co provinciale è indagato per omici-dio colposo e saranno i magistrati

a decidere sulle responsabilità di quest’ultimo. L’informazione

“disattenta” ha parlato a sten-to della vicenda, citando con

le iniziali S. F. (Sebastiano Failla), per non scuotere

tanto le coscienze dei cittadini. Un’informa-zione che trova mol-to più interessante e doveroso, non che non lo sia, esaltare

piccoli reati per droga, per furto, mettendo sulla carta stampata o

in tv, o sulla rete foto di giovani spacciatori, video girati dalle forze

dell’ordine durante le operazioni, mettendo bene

in luce le immagini girate du-rante il trasferimento in carce-re dei giovani, inquadrando in

maniera impeccabile i volti dei giovani ar-restati alle 4 del mattino da 35 Carabinieri, con tanto di unità cinofila arrivata da Nico-losi. La stessa forse trova più interessante e meno invadente dare notizia di piccoli rea-ti commessi da extra-comunitari, da gente “costretta” all’illecito pur di sopravvivere, notizie decorate anche con tanto di foto? Nella vicenda di Failla non è stato facile re-perire informazioni dagli organi inquirenti, perché tutti abbottonati non hanno fornito notizie in merito. Magari se le domande avessero interessato l’arresto di un ambu-lante extracomunitario, gli abbottonati si sarebbero sbottonati. E poi un’informa-zione che non trova giusto e doveroso dare voce alle vittime, come i familiari di Riccardo Sparacino, immersi in un do-lore profondo, quello della morte di un familiare, “pilastro” di una fami-glia già messa alla prova in altre occasioni. Una famiglia che al pronto soccorso non ha visto arrivare Sebastiano Failla preoccupato delle con-dizioni di Riccardo, ma due suoi amici. Failla in quel frangente era impegnato a prepa-rare l’occupazione dell’Aula Consiliare di Palazzo San Do-menico, avvenuta il

7 ottobre 2010, il giorno dopo l’incidente. In che misura un uomo può continuare la propria vita pubblica, dopo aver causato un incidente mortale moltiplicando addi-rittura i suoi interventi pubblici?

Sebastiano Failla indagato per omicidio colposo dopo l’incidente avvenutoil 16 settembre scorso, dove perse la vita riccardo Sparacino

la deliCateZZadi un politiCo ModiCano

Francesco Ruta - Angela Allegria

Il caso

Il clandestino Pagina 7

Non perché volessero “toglierselo di torno” o utilizzare la scuola come un “parcheggio”. Semplicemente per as-secondare le doti manuali del ragaz-zo, portato per le materie d’indirizzo dell’istituto al quale, tre anni fa, è stato iscritto. La legge che non prevede l’as-segnazione di un insegnante di soste-gno per i disabili che frequentano per la seconda volta un istituto superiore, non è stata un problema per A.S., per il quale si è rivelato sufficiente il sal-tuario ausilio di qualche volenteroso compagno di classe o dell’insegnante già affidato ad altri disabili. Avviene in questo modo, durante gli ultimi due anni, la realizzazione scolastica del ragazzo, bruscamente interrotta all’inizio di quest’anno scolastico. Sembra che il nuovo dirigente non tolleri la presenza di tutti coloro che ambiscono al secondo diploma, per i quali rimane la possibilità di presentarsi da esterni agli esami di qualifi-ca. Alternativa poco attuabile per il giovane in questione, che ha bisogno di allenare costantemente le proprie doti pratiche. Fatto sta che recarsi a scuola, per uno di que-sti studenti, avrebbe come conseguenza una tempestiva chiamata delle forze dell’ordine ( che sono già intervenute

proprio per questo motivo nei confronti di un altro stu-dente disabile ) secondo quanto riferito dallo stesso di-rigente ai genitori del ragazzo. Umiliazione, frustrazione e infine, depressione. Ecco le condizioni di A.S., che non ha frequentato l’istituto se non per la prima settimana di quest’anno scolastico: la famiglia ha infatti deciso di non esporlo ad ulteriori scosse per il suo sensibilissimo carat-tere, che tuttavia percepisce ogni dispiacere di quelli che sono diventati i suoi genitori, i quali continuano a cerca-re di permettergli una realizzazione personale quanto più

completa possibile. Peccato che questa decisione apparentemen-te non giustificata da un concreto provvedimento legislativo, ma per-messa in virtù dell’autonomia di cui ogni dirigente dispone, abbia bloc-cato quello che poteva essere uno dei rari esempi di integrazione la-vorativa di un disabile nella nostra zona. Le possibilità di trovare un vero e proprio posto di lavoro per A.S., sarebbero infatti state davve-ro concrete, grazie in particolare alla disponibilità di un coscienzioso datore di lavoro che si era già pro-posto per l’assunzione del ragazzo.

Tutto ciò che viene generalmente auspicato per un disa-bile, sarebbe potuto avvenire. Solo il tribunale stabilirà adesso se “congelare” per il momento il provvedimento emesso nei confronti del disabile, che potrebbe in questo caso ricominciare da subito a frequentare la scuola, in at-tesa del giudizio definitivo. Tutta la famiglia (compresi i 3 fratellini “acquisiti” di A.S.) attende fiduciosa, continuan-do a cercare di garantire una vita serena al ragazzo. Al TAR l’ “ardua” sentenza.

a scuola diritti negati ai disabili

“Se porta Suo Figlio in ClaSSe ChiaMo le ForZe dell’ordine”

Dalla prima

L’assurda storia di un ragazzo disabile a cui viene negato il diritto allo studio. Ma i genitori adottivi non ci stanno e si intestano una battaglia

di civiltà

Risparmiare sui più deboli per ristabilire la situazione economica del Paese: questa appare oggi la filosofia dei ministri Tre-

monti e Gelmini...altro che “Rubare ai ricchi per dare ai poveri”! Leggere i commi 413-414 dell’articolo 2 della finanziaria 2008 può essere utile per rendere più chiaro il concetto: questi stabiliscono infatti un limite massimo di assun-zioni degli insegnanti di sostegno senza che si tenga conto delle reali esigenze delle scuole delle province. “E’ incostituzionale”. Questo il verdetto emesso dalla sentenza 80/2010 della Corte Costituzionale in merito a tali provvedi-menti. Lo sa bene l’Assessore Regionale alla Pubblica Istruzione Centorrino, che ha messo a disposizione della GILDA-insegnanti l’avvocatu-ra regionale, “per denunciare le eventuali si-tuazioni di mancato rispetto e provvedere all’e-secuzione della sentenza e per le situazioni di affollamento delle aule”, secondo quanto ri-portato nel comunicato stampa del sindacato. Sorge spontanea la do-manda: cosa sta acca-dendo? Come mai gli insegnanti di sostegno e i genitori di studenti con disabilità si tro-vano costretti a ri-correre al TAR per la tutela dei loro diritti? Prendia-mo in esame questi dati per poter dare una r isposta:

“Quest’anno le scuole della provincia hanno avanzato una richiesta per 710 insegnanti spe-cialistici per il sostegno – dichiara un’insegnan-te modicana - ma ne sono stati assegnati solo 537, quindi 173 in meno rispetto alle legittime richieste delle équipe mediche”. Non ci sono sprechi, questo è certo. Peccato che a fare le spese delle opere di risparmio non siano i ricchi benestanti (altro che Robin Hood!), ma i ragaz-zi, la classe lavorativa di domani. “La riforma Gelmini non è una riforma ma una vera e pro-pria manovra economica. Si tratta dell’applica-zione della finanziaria del 2008 che prevede tagli di 8 miliardi di euro in tre anni. Verranno quindi a mancare ben 132.000 posti di lavoro nel mondo della scuola. Per intenderci: è come licenziare il doppio del personale dell’Alitalia ogni anno per tre anni!” aggiunge l’insegnante. Le conseguenze sono drammatiche: in molti casi il numero delle ore di sostegno assegnate ai ragazzi con disabilità si è addirittura dimezza-to. Secondo l’articolo 3 della legge 104/92 agli studenti portatori di grave disabilità dovrebbe essere assegnato il massimo numero di ore. Delle 18 ore previste, in taluni casi ne sono state assegnate solo 12, o addirittura 9, con la conseguenza di un drastico abbassamen-

to della qualità della didattica. A tutela del-la qualità e soprattutto della sicurezza,

problema di cui il Comitato provinciale per la Difesa della Scuola Pubblica si

sta molto occupando, fortunata-mente le leggi non mancano: l’ar-ticolo 5 del D.P.R. 81 del 2009, pur avendo eliminato l’indicazio-ne di un tetto massimo di pre-senze di alunni con disabilità per classe, ha stabilito che le prime classi di ogni ordine e grado, in questi casi, devono essere di norma composte da non più di 20 alunni, massimo 22. E se gli iscritti fossero di più? Semplice,

si sdoppia una classe e se ne for-mano due. Ma tenetevi forte: è qui che arriva il “bello”. La “rifor-ma” (concediamoci pure il lusso di definirla tale) prevede che la for-mazione delle classi iniziali del ci-clo alle scuole superiori (quindi in prima e in terza) avvenga in pre-senza di un numero minimo di 27 alunni, elevabile fino a 33. E’

evidente però che in presenza di un solo disabi-le iscritto, l’altra classe (sempre secondo quan-to stabilito dalla “riforma”), una volta avvenuto lo sdoppiamento, non potrebbe formarsi senza che vi siano almeno 27 alunni. Che ve ne pare? Le leggi sono entrambe in vigore ma in netta contraddizione fra loro: bisogna quindi “sce-gliere” quale fra le due rispettare! Inoltre, se-condo la norma antincendio del ‘92, in ogni aula devono essere presenti 26 persone al massimo. Di nuovo di fronte a un bivio: adem-piere alle norme di sicurezza o all’ “economica-riforma”? Se anche scegliessimo di privilegiare la sicurezza, purtroppo nelle aule si andrà lo stesso fuori norma rispetto al D.M. del 18/12/75 che regola l’edilizia scolastica. Il de-creto prevede che nelle scuole dell’infanzia e in quelle primarie e secondarie di primo grado, ogni persona presente abbia a disposizione 1,80 metri quadri. Il parametro minimo sale a 1,96 metri quadri se si tratta di scuole seconda-rie di secondo grado. Norme che di certo nella nostra provincia è difficile rispettare, data la “cronica” inadeguatezza, se non addirittura mancanza, di locali. Accade quindi che i ragazzi vengano “stipati” in vere e proprie “classi polla-io”. La situazione si fa ancora più grave negli istituti professionali, verso i quali i ragazzi con disabilità vengono maggiormente indirizzati. Basti pensare all’emblematico caso di un istitu-to modicano in cui in una sola classe, all’inizio di quest’anno scolastico, si trovavano 28 stu-denti e 5 alunni disabili con i relativi insegnanti di sostegno. È chiaro che in simili condizioni di affollamento non è possibile “fare scuola”. È una situazione insostenibile sia per i ragazzi che fanno regolarmente lezione, che per quelli seguiti dagli insegnanti di sostegno. Il caso è estremo ma la situazione nelle altre scuole del-la provincia non è certo migliore! Spesso sono gli stessi dirigenti scolastici a denunciare l’inos-servanza delle più basilari norme sulla sicurez-za. La responsabilità di incidenti dovuti al man-cato rispetto di queste leggi (ricordiamo a tal proposito che viviamo in un territorio ad alto rischio sismico), ricade infatti sugli enti locali in possesso degli edifici scolastici: il comune per la scuola dell’infanzia, elementare e media; la provincia per gli istituti superiori. Altro tasto dolente: la qualità della didattica. “Nei casi di disabilità grave il compito dell’insegnante di sostegno è soprattutto quello di trovare il cana-le giusto per comunicare col ragazzo e poter

quindi lavorare sul comportamento, sulle rela-zioni, sull’autonomia”, sostiene l’insegnante. “Sarebbe opportuno utilizzare le nuove tecno-logie, avvalersi ad esempio di giochi on-line, utili a presentare le attività in maniera più ac-cattivante; servirebbero aule attrezzate, com-puter per non vedenti, ma tutto questo è un’u-topia se pensiamo che non viene più assegnato neanche l’adeguato numero di ore..”. Utopia si può definire anche la presenza delle nuove fi-gure professionali che dovrebbero affiancarsi all’insegnante di sostegno e all’assistente igie-nico di base (cioè un collaboratore scolastico specializzato); si tratta di personale che assiste il disabile nei problemi di autonomia o comuni-cazione. Secondo il promemoria rivolto alle fa-miglie per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, stilato dall’area comunicazione e politiche sociali Anffas Onlus, già entro Luglio la richiesta per l’assegnazione di tale figura do-vrebbe essere inoltrata al Dirigente Scolastico. Giovanni Provvidenza, consigliere regionale Anffas, rivolge un invito alle famiglie interessa-te: “Se riflettiamo sul fatto che le preiscrizioni alle superiori si chiudono a fine Febbraio e che a Marzo-Aprile il Provveditorato sa già quanti disabili si sono iscritti nei vari istituti, è chiaro che bisognerebbe controllare immediatamen-te che la provincia abbia previsto tutti i servizi a loro necessari”. In caso di mancato riconosci-mento dei diritti (un troppo esiguo numero di ore di sostegno, assenza di adeguate attrezza-ture o di figure professionali di riferimento…) è opportuno rivolgersi al Provveditorato agli Stu-di, anche tramite l’appoggio di associazioni. In taluni casi è invece il ricorso al TAR la soluzione definitiva per far valere i propri diritti. In ogni caso, non ci si può preoccupare di questi aspet-ti solo al ritorno dalle ferie estive. È chiaro. Le conseguenze della “manovra” Gelmini – Tre-monti sono sotto gli occhi di tutti: quello che non potrà finire tra le loro forbici è la possibili-tà, se non addirittura il dovere, di far sì che di-ritti fondamentali non vengano calpestati. Per-ché le leggi a tutela del sostegno ai disabili ci sono e oggi più che mai è necessario non rasse-gnarsi mentre i più deboli vengono colpiti. Oc-corre “alzare la voce”. Meglio se nei tempi giu-sti. Farlo!

La moltiplicazione degli interventi pubblici di FaillaFONTE RADIORTM.IT

DoPo l’iNciDeNte PrimA Dell’iNciDeNte

22/9/2010 Modica. Failla: “Giunta monocolore Mpa. Sinda-co delegittimato. E intanto la città affonda”

13 /9 /2010 Pedagg i au tos t r ada l i , Fa i l l a : ” Pe r l a S i c i l i a un ’u l t e r io re pena l i zzaz ione”

23/09/2010 Autostrada Siracusa-Ragusa-Gela, Failla: “300 milioni di euro in stand by per un parere”.

10/9/2010 FAILLA e DI PAOLA : LA PROVINCIA VICINA ALLA PROTESTA DEL MONDO DELLA

SCUOLA.28/09/2010 Modica, appalti. Failla:” Altro negativo primato raggiunto dalla Giunta Buscema-Minardo. Ultima stazione

appaltante”

7/9/2010 Audiovisivi, Failla scrive al cda della Rai:” La Film Commission strumento reale di promozione”

01/10/2010 Modica, Failla:” Conclamata l’assenza di oppo-sizione in città”

2/9/2010 Modica, Failla:”Si faccia avanti solo chi ha idee. A Modica i cittadini distanti dal Palazzo”

05/10/2010 Cecchi Paone, Failla : Modica, “Il sindaco licen-zi Cecchi Paone”

31/08/2010 FAILLA : LA LEGGE SU MODICA SIA PATRIMONIO DI TUTTA LA DEPUTAZIONE IBLEA

06/10/2010 Sebastiano Failla: “Domani occuperò simbolica-mente l’aula consiliare del Comune di Modica”

26/08/2010 Scicli. Gruppo di residenti si riuniscono per Parco degli Iblei. Forse costituiscono comitato sponta-

neo08/10/2010 Modica: Ampliamento zona artigianale, Failla:”

Il risveglio dal letargo”25/08/2010 MODICA COME IBLA : UNA LEGGE SU

MODICA A TUTELA DEL BAROCCO!

08/10/2010 Modica, la Regione rivuole i soldi. Failla:”Il bluff del risanamento finanziario”.

11/8/2010 Sebastiano Failla. Nuovo attacco all’ammini-strazione comunale di Modica

13/10/2010 Failla: ”Modica nella black-list dei comuni ina-dempienti per la mancata attivazione dell’URP. Altro primato

negativo per la Città”

06/8/2010 FAILLA: SCARSO E L’IRRESISTIBILE TENTAZIONE DI VANTARSI !!! MODICA DECLAS-

SATA A COMUNE GREGARIO, PERDE LA LEA-DERSHIP DELL’AREA.

16/10/2010 Modica, Failla: ”Per i dipendenti comunali non ci sono soldi, per gara sportiva si”

02/8/2010 FAILLA: FONDI EX INSICEM PER MODI-CA: BUSCEMA BUGIARDO O INEFFICENTE?

18/10/2010 Modica, Fisco, Failla: “Basta code, più sportelli in città. Il sindaco si rivolga a Serit Sicilia”

30/7/2010 RAGUSA. FAILLA: AUGURI DI BUON LAVORO AL NEO ASSESSORE PROVINCIALE

CASTELLO.21/10/2010 Autostrada Siracusa-Gela, Failla: “Via libera della Commissione. Entro l’anno l’appalto tra Rosolini e

Modica”.

18/7/2010 FAILLA : “TANTO TUONO’ CHE PIOVVE. A MODICA IL TURISMO AZZERATO”

23/10/2010 Modica. Spese fuori controllo, Failla:”Altro che in mani sicure!”.

03/5/2010 Igiene pubblica, a Modica cresce la popo-lazione….dei ratti di fogna ! Failla scrive alla Procura

avvertendo dei rischi. Serve petizione popolare?29/10/2010 Regione, via ai lavori per la messa in sicurezza

del torrente Modica-Scicli. Failla: ”Somme immediatamente disponibili”

04/11/2010 Consulenze facili, Failla: “Per quello che è acca-duto allo Iacp di Ragusa, altri sarebbero stati arrestati”

dimezzate le ore di sostegno ai ragazzi con disabilità

l’ultiMa ruota del CarroEnrica Frasca Caccia - Rossana Spadaro

Lettera a Riccardo

Ciao Riccardo, la tua improvvisa perdita ha cambiato la nostra vita.Avevi tanti sogni da realizzare, avevamo tanti progetti da condividere insieme. Eri il pilastro della nostra famiglia, qualsiasi cosa facevi era saggia. Di qualsiasi cosa tu sia fatto adesso, brilli ancora, sento il tuo odore ovunque, la tua risata, i tuoi passi...Senza di te a casa è impossibile vivere. Ti vedo ovunque, il tuo sorriso è sempre vivo nella mia mente.Ciò che mi fa più male, è il modo crudele come è stata spezzata la tua vita. Oggi chi ha causato tutto questo è libero di godersi la sua famiglia, i suoi figli...E noi dobbiamo fare i conti ogni giorno col nostro dolore...un dolore si-lenzioso e composto come quello di tanti genitori, fratelli e familiari che hanno perso un loro caro. Il mio vuole essere un grido assordante nel buio di una giustizia cieca e sorda.Mio fratello aveva una vita davanti e tanti progetti da realizzare...chi mi restituirà l’amore di mio fratello? Dove lo devo cercare?Questo reato non riuscirò mai a perdonarlo...a chi mi ha tolto un fratello d’oro, di cuore, generoso, unico, insostituibile...Riccardo la luce della mia vita. Il nostro cuore è carico di dolore, rabbia e sofferenza.Mio fratello non è stato ucciso soltanto da un attimo di distrazione, ma è sato ucciso da anni di indifferenza...ci vogliono pene piu’ severe.Troppe tempeste nella mia vita......tu eri il mio raggio di luce.Lotterò con tutte le mie forze, affinchè mio fratello abbia giustizia, mi hai rubato ciò che di piu’ bello avevo.Riccardo, un fratello su cui potevo contare sempre, per Gianni, mio figlio, sei stato piu’ di un padre, lo hai sostenuto sempre...non ti stancavi mai di ripetergli “ Gianni studia” “ Gianni stai attento con la moto, mettiti il casco” “ Non deludere la mamma”...qualsiasi sostegno aveva bisogno tu eri sempre pronto.Con Riccardo siamo morti tutti noi...questo dolore non passerà mai...è troppo forte, è come se mi trovassi in un buio profondo dove non si riesce a trovare via d’uscita.Deve pagare il conto chi ha rubato i sogni ed il futuro al mio Riccardo. Sono sicura che pagherà...se non sarà la giustizia...c’è sempre la Divina Provvidenza.Riccardo è una perla rara, puoi fare il giro del mondo, un fratello così, non lo trovi da nessuna parte, sono sicura che lui ci sarà sempre, non mi abbandonerà mai...come ha sempre fatto...Mi auguro che la magistratura sia illuminata da un Dio che in quel momento.

Concetta Sparacino

Riccardo Sparacino

Sebastiano Failla

Page 5: Il Clandestino

In merito ai recenti arresti in città e agli esiti della confe-renza stampa che ha tracciato un bilancio dell’azione di controllo del territorio da parte della Polizia di Stato e che

ha visto la presenza nell’incontro con i giornalisti in città del Questore, Filippo Barboso, il sindaco, Antonello Buscema, così si esprime: “Alle forze di polizia di Stato, al questore di Ragusa in particolare, va il nostro non formale ringraziamento per gli esiti del controllo effettuato nel territorio della nostra città in aree più volte segnalate dai cittadini come zone a rischio. Le mie valutazioni in sede di audizione al comitato per l’ordine e alla sicurezza pubblica in prefettura a Ragusa hanno avuto condivisione in ordine agli allarmi lanciati dalla popolazione. Sono certo che questa azione sarà da monito a quanti inten-dessero continuare a delinquere. Modica – conclude il Sinda-co – è per convinzione e per tradizione una città tranquilla, e tale deve continuare a rimanere, dove il cittadino denuncia alle autorità competenti situazioni di degrado civico che pur-troppo, in molti casi, finiscono per infrangere la legge”.

il sindaco buscemaringrazia le forze di polizia

ed il questore barbosoMarcello Medica

In questo numero pubblichiamo un pezzo apparso nel 1985 sul mensile fondato da Pippo Fava, I Siciliani. Ne pubblicheremo altri due apparsi sullo stesso numero. Il

primo articolo racconta la storia di Rosario Minardo, uomo imprenditoriale dal presente milionario, essendo il primo contribuente della provincia, con interessi in politica gra-zie al figlio Nino. Ma se il presente è florido il passato è torbido. Una domanda se la pongono tutti: come ha fatto un’ex bidello, nel giro di pochi anni, ad avere un impero? È un prestanome? Ha riciclato denaro? A queste domande si sono sempre susseguite delle ipotesi ma non c’è stata mai nessuna certezza. Allora lanciamo una proposta a Rosario Minardo: vuole concederci un’intervista per chiarire una volta per tutte le origini delle sue fortune? Chi gli ha dato

inizial-mente il denaro? Noi siamo a disposizio-ne per chiari-re una vicenda oscura della no-stra provincia. Se Minardo non sarà disponibile potrem-mo pensare ad un silenzio assenso su certe ipotesi.

Giuseppe Fava det-to Pippo (Palazzolo Acreide, 15 settembre 1925 – catania, 5 gen-naio 1984). Scrittore, giornalista, dramma-turgoitaliano, saggi-sta e sceneggiatore

Giuseppe Fava nasce a Palazzolo Acreide, il 15 Settembre del 1925. Negli anni ’40 si tra-sferì a Siracusa per frequentare le superiori. Dopo gli studi liceali si trasferì a Catania e si laureò in Giurisprudenza. Alla carriera di av-vocato preferì la professione di giornalista, che iniziò come cronista al giornale Sport Sud di Catania. Dal 1951 al 1954 fu capocronista al Giornale dell’isola, e successivamente al Corriere di Sicilia. Alla fine degli anni ’50, col cambiamento di gestione di quel quotidiano, passò al giornale L’Isola – Ultimissime, prima di approdare, sempre come capocronista, al quotidiano catanese del pomeriggio Espresso sera, ove lavorò per oltre venti anni. In quel periodo, oltre l’impegno quotidiano al gior-nale, fu inviato speciale del settimanale mila-nese Tempo, e corrispondente del Tuttosport di Torino. Oltre alle numerose inchieste gior-nalistiche, raccolte successivamente nei vo-lumi Processo alla Sicilia (1970) e I Siciliani (1980), negli stessi anni maturò una straordi-naria vocazione artistica, letteraria e pittorica. Nel 1966 vinse il Premio Vallecorsi con Cro-naca di un Uomo, e nel 1970 il Premio IDI con La Violenza, da cui Florestano Vancini trasse il film di successo Violenza Quinto Potere (1974). Gli anni successivi videro la pubbli-cazione dei romanzi Gente di rispetto (Bom-piani, 1975) da cui Luigi Zampa trasse il film omonimo, Prima che vi uccidano (Bompiani, 1977) e Passione di Michele (Cappelli, 1980) dal quale Werner Schroeter trasse il film Paler-mo oder Wolfsburg, vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino del 1980, e delle opere te-atrali de Il Proboviro (1972), Bello Bellissimo (1975), Foemina ridens (1980). Nel 1980 fu chiamato alla direzione del Giornale del Sud, idea editoriale maturata all’interno dell’am-biente imprenditoriale, politico e giornalisti-co della Catania di quegli anni. Fu subito un giornale irriverente. Venne subito la rottura di Fava con l’editore. Nel 1982 Giuseppe Fava costituisce, insieme alla parte della redazione del Giornale del Sud che ne aveva condiviso le scelte di fondo, fonda la cooperativa editoriale Radar e registra una nuova testata I Siciliani. Un mensile nuovo, innovativo e coraggio-so. Importantissime le inchieste realizzate. E per questo Fava venne ucciso il 5 gennaio del 1984.

Il primo a parlare pubblicamente di questo “fenomeno” modicano fu lo studioso di mafia Michele Pantaleo-

ne in occasione di un convegno tenutosi a Modica nel febbraio ’84. Pantaleone non pronunciò alcun nome, limitandosi con poche parole a riferire di “… un ge-store di pompe di benzina… che ha ac-cumulato immense ricchezze che rap-presentano scandalo e passano sotto i nostri occhi e sotto i baffi di alcuni ma-gistrati”. Per quelli del luogo non fu diffi-cile associare a quelle parole il nome di

Rosario Minardo. Di Saro Minardo (così lo chiamano gli amici), del suo inspiega-bile arricchimento, della “qualità delle sue amicizie si è tornato a parlare con particolare insistenza nei giorni scorsi in seguito alla sua decisione di tentare la scalata al Consiglio comunale di Mo-dica: non in prima persona, ma richie-dendo ed ottenendo l’inserimento nella lista Dc di due suoi, il fratello Riccardo, socio in affari, ed Elio Scifo, allenatore della squadra di Pallavolo – la Volley Modica – che oggi milita in C1 maschile e che è sponsorizzata da tre anni dalla Società GIAP del gruppo Minardo. Ma per quale motivo si parla tanto di Ro-sario Minardo? Certamente per il fat-to che costui controlla un giro d’affari di molti miliardi, ma soprattutto per il modo in cui questo giovane imprendi-tore ragusano è riuscito ad accumulare la propria ricchezza. Nel servizio che segue parliamo diffusamente e detta-gliatamente di questa “ricchezza”, della rapida ma intensa parabole imprendi-toriale di Saro Minardo, delle sue fortu-nate speculazioni affaristiche. Un’analisi dettagliata che, però, non consente di rispondere ad alcuni inquietanti dubbi che la vicenda imprenditoriale di Mi-

nardo propone. Nel giro di sei o sette anni, Rosario Minardo – bracciante a giornata, poi bidello, infine petroliere – ha accumulato un patrimonio immen-so: proprietà immobiliari, partecipazio-ni azionarie, centinaia di milioni di ren-dite e di profitti incamerati ogni anno, un fatturato complessivo che, per le sue imprese, oggi va calcolato nell’ordine di alcune decine di miliardi. Certamente, molto è dovuto anche alla compiacen-za di alcuni notabili politici che hanno oliato i meccanismi del credito pubbli-

co, manipolato talune gare d’appalto, modi-ficati piani regolatori e delibere comunali. Ma tutto questo – la con-nivenza di certi amabili padrini, la loro disponi-bilità in cambio di grati-tudine, voti o tangenti – rientra in una certa routine politica che vede sempre, all’origine

delle grandi scalate imprenditoriali, la benevola amicizia di alcuni personaggi eccellenti, a Ragusa come altrove. La storia di Minardo propone però un al-tro, inquietante interrogativo: dove ha trovato l’ex bidello di Modica i miliardi necessari a lanciarsi nelle sue fortunate operazioni imprenditoriali? La doman-da, per la verità, va posta in modo diver-so: chi ha dato a Rosario Minardo quel denaro? Nullatenente per tradizione di famiglia, tanto da essere appena in condizioni di mantenere se stesso e la propria famiglia con il modesto stipen-dio da bidello, Minardo si ritrova – nel giro di pochi giorni – nelle condizioni di lasciare quel posto, di rilevare – insie-me al fratello – una società in perdita, di rivitalizzarla con l’immissione nuo-vi capitali e di renderla in poco tempo competitiva sul mercato siciliano. Fino al punto di investire in questa società (non è trascorso ancora un anno dal-le sue dimissioni dal posto di bidello) quasi un miliardo di lire sotto forma di aumento di capitale interamente versa-to. Ed allora, due ipotesi. La prima: Saro Minardo – che proviene da una famiglia di modesti contadini, che non possiede e non ha ereditato nulla, che dichiara

poche lire alla denunzia dei redditi del 1977 – è sola la punta di un iceberg. Un solerte prestanome, insomma, che al-tri imprenditori ragusani utilizzano per investire il loro denaro. È l’ipotesi più logica, ma non regge: per quale motivo, infatti, un imprenditore della provincia si sarebbe dovuto celare per sette anni alle spalle di un modesto ex bidello di Modica? Cosa gli avrebbe impedito di figurare in prima persona nell’acquisto di quelle società? Ed allora si profila una seconda, più verosimile ipotesi. Dietro Minardo non c’è un imprenditore, ma qualcuno che ha bisogno di investire del denaro e non può farlo utilizzando il proprio nome. Minardo, la GIAP, le altre imprese dell’ex bidello di Modica sarebbero insomma un utile serbatoio per riciclare denaro che altrimenti non potrebbe essere speso con altrettanta facilità. È una soluzione ch ripropone immediatamente un’altra serie di in-terrogativi: anzitutto sula provenienza di quel denaro (lecita o illecita?) e, na-turalmente, sull’identità di coloro che avrebbero deciso di “ripulirlo” utilizzan-do Minardo. E il discorso ci porta fatal-mente lontani da Ragusa. La provincia iblea è stata sempre appetibile per i grandi finanzieri palermitani, trapanesi e catanesi in cerca di nuovi mercati in cui investire; ma anche per le grandi dinastie affaristico-mafiose che aveva-no bisogno di nuovi spazi per riciclare i propri profitti. Pensiamo ai 900 ettari di vigneti e serre acquistati negli ultimi quindici anni dai Salvo; pensiamo an-che alle anonime società palermitane che troviamo in tutti i principali tra-sferimenti fondiari dell’acatese o del vittoriese. Niente di strano, insomma, che qualche Famiglia eccellente di Pa-lermo o di Catania abbia utilizzato Saro Minardo, la sua disponibilità e la sua intraprendenza affaristica per investire nel ragusano i propri miliardi. In modo discreto, senza dare nell’occhio, dietro il comodo paravento di un “self made man” ragusano, bidello per necessità, petroliere per vocazione.

*I Siciliani n. 28 Maggio 1985

Atti inciendiari

Pagina 8 Il clandestino

rosario Minardo

un eroe del nostro tempo

Claudio Fava – Piero Vernuccio*

Giuseppe Fava

i Siciliani a ragusaGrazie

I Siciliani

Il clandestino Pagina 9

Anche IL CLANDESTINO aderisce a

presi di mira agenzia di pompe funebri, autoveicoli, fabbricati e cassonetti dei rifiuti

Modica e pozzallobruciano

Marcello Medica

In questi ultimi tempi, la Città della Contea sembra so-migliare tanto alla città di Vittoria dove da anni atten-tati incendiari, furti e atti delinquenziali di ogni genere

sono diventati una normalità. Recentemente, infatti, in città si sono verificati innumerevoli fatti del genere: dopo i due veicoli incendiati a Modica Alta dove è stato preso di mira anche un garage di un villino, è stata la volta di Modica Bassa, in pieno centro storico, dove sono stati ben sei i mezzi dati alle fiamme in tre luoghi diversi ma distan-ti poche decine di metri l’uno dall’altro. Le indagini degli inquirenti sono in corso per accertare i responsabili di tali gravi atti che in alcuni casi anno messo a repentaglio an-che l’incolumità dei residenti. In città però si registra un clima di tensione e allarmismo per quanto accaduto e per quanto potrebbe accadere anche in relazione agli innume-revoli scassi e furti nei confronti di pubblici esercizi. Negli ultimi mesi, a parte i soliti atti vandalici e di cattivo gusto, si sono registrati diversi tipi di incendi, presumibilmente di matrice diversa, come quello relativo ad un caseggiato ru-rale o ad un’ambulanza di proprietà di una nota agenzia di onoranze funebri, o ancora quello relativo all’incendio di circa trenta cassonetti per la raccolta dei rifiuti solidi urba-ni. Nel caso dell’incendio dell’ambulanza avvenuto nello scorso mese di agosto, è da considerare che, a distanza di circa dieci mesi, è la seconda volta che sono stati dati alle fiamme veicoli della stessa agenzia ed il titolare, da noi contattato, ci ha confessato tutta la sua sfiducia e la sua amarezza per quanto a lui successo e quanto sta accaden-do in città, sperando, a questo punto, in un deciso inter-vento del Prefetto per fare ordine nel suo settore e in tutta la città. In allarme anche i gestori di bar ed i commercianti che, dopo i tanti scassi e furti subiti, si sentono soli e scar-samente tutelati e chiedono a gran voce maggiori e più

efficaci controlli da parte delle forze dell’ordine e l’attiva-zione del sistema di videosorveglianza. Non c’è dubbio che tali atti, se pur di matrice diversa, sono tutti atti che metto-no in serio rischio la sicurezza dei cittadini oltre agli ingenti danni economici che provocano per non parlare del dan-no d’immagine alla città, che si diffonde anche tra i visita-

tori e tra tutti coloro che conoscono Modica per ben altri nobili motivi. Il sindaco, Antonello Buscema, sulla scorta della recrudescenza delle azioni a delinquere che si sono registrate negli ultimi tempi, ha scritto al Prefetto di Ragu-sa, Francesca Cannizzo, esprimendogli la preoccupazione per quanto sta accadendo a Modica dove si è superato il livello di guardia. “La situazione nuova e inquietante che sta registrando la città – dichiara il primo cittadino – esi-ge risposte urgenti ed efficaci. Ho dato, inoltre, specifiche direttive perché il progetto sulla telesorveglianza possa essere, a brevissimo, presentato e attivato in tempi certi. E’ del tutto evidente che è necessario un maggiore con-trollo del territorio soprattutto dei luoghi che presentano delle criticità. La telesorveglianza è un ottimo strumento,

da affiancare all’impegno delle forze dell’ordine e dei vigili urbani, in un’azione di intelligence utile a venire a capo dei responsabili di queste gravissime azioni criminali”. Il sistema di videosorveglianza in città fu avviato nel 2003 nell’ambito del progetto ‘Città Sicura’ che interessò tutti i comuni iblei. Modica fu il primo comune ad attivare il ser-vizio con venti telecamere collegate alla Questura di Ragu-sa ed al Comando provinciale dei Carabinieri, ma tali tele-camere che avrebbero dovuto monitorare costantemente le vie del centro storico, costate fior di quattrini e conside-rate un fiore all’occhiello per la sicurezza della città, sono state disattivate circa tre anni fa dalla Telecom allorché, dopo avere staccato i telefoni di Palazzo San Domenico per insolvenza del Comune, ha deciso di interrompere an-che il servizio di videosorveglianza della città. Anche nella vicina cittadina marinara di Pozzallo non sono mancati, nelle ultime settimane, gli attentanti incendiari che hanno fatto ripiombare nella paura e nello sconforto l’intera co-munità pozzallese. E’ di recente, infatti, l’incendio, presu-mibilmente doloso, che, in una sola notte, ha distrutto ben cinque veicoli di proprietà di uno stesso nucleo familiare e titolare di una nota agenzia di onoranze funebri, causando anche ingenti danni a strutture pubbliche e alle abitazioni di alcuni residenti. Pochi giorni prima, tra l’altro, si era ve-rificato un altro atto incendiario ai danni di un mezzo per il trasporto di frutta e verdura. L’Amministrazione Comunale si dice preoccupata per quanto sta accadendo e potrebbe accadere e, facendosi interprete della legittima apprensio-ne dei cittadini, ha chiesto al Prefetto la messa in funzione della videosorveglianza, anche qui, attesa da anni, ma ad oggi ancora nelle pastoie della burocrazia.

Si moltiplicano gli attentati incendiari e gli atti delinquenziali nelle due città

limitrofe

e’ del tutto evidente che è necessario un maggiore controllo

del territorio soprat-tutto dei luoghi che

presentano delle cri-ticità.

In alto a sinistra: il luogo dove è stata bruciata l’ambulanza in Via Nazionale; In alto a destra: i cassonetti dati alle fiamme a Modica; In basso: una delle telecamere inutilizzate in città e l’agenzia funebre che ha subito gli incendi

Page 6: Il Clandestino

Hanno fra i 20 e i 40 anni, la pelle scu-ra e i capelli lunghi, molto spesso raccolti in folte code. Non parlano

bene l’italiano e nella terra del sole e degli agrumi, dell’ospitalità e del mare, pensava-no di trovare una vita migliore di quella che hanno lasciato. Molto spesso, però, devo-no ricredersi perché vivere qui, o meglio sopravvivere, diventa un inferno. Sono le nuove schiave, le romene che da qualche anno, affollano le campagne tra Vittoria e Gela, quel territorio degli ortaggi e del sole cocente che, in estate, ti toglie quasi il respiro. Lavorano nei campi 10-12 ore al giorno, con una paga di 15/20 euro mentre gli uomini, se tutto va bene, ne possono percepire anche 30/40. Il vero allarme, però, è un altro. Donne violate, festini del sesso, abusi e sfruttamenti si perpe-tuano nelle campagne, tra le serre delle primizie e i casolari abbando-nati. L’allarme è già stato lanciato dalla Caritas diocesana di Ragusa, dalla Parrocchia dello Spirito Santo di Vittoria, dove si trova Don Benia-mino Sacco, dalla Camera del Lavo-ro e da vari giornalisti, ma è ancora

troppo poco. Di notte le donne più giovani per racimolare qualche euro da mandare a casa o per paura di un possibile licenzia-mento, devono subire le violenze di alcuni proprietari terrieri, molto spesso giungen-do addirittura al concepimento. Da qui, in-fatti, l’emergen-za aborti: nei soli mesi

estivi, al presidio ospedaliero di Vittoria, “R.Guzzardi” sono stati circa 45 le interru-zioni volontarie di gravidanza, tutte com-piute da giovani romene, anche sposate. Molto spesso, anzi, i mariti vengono assun-ti solo se garantiscono alcuni “straordina-

ri” da parte delle mogli. Il problema dell’im-

m i g r a z i o n e v i e n e

qui fuori in tutta la sua prepotenza, tra lo spiazzamento degli abitanti e l’indifferen-za dell’opinione pubblica. A tutto ciò si aggiunge una ‘guerra tra etnie’ per la su-premazia del territorio e del lavoro in par-ticolare. A Vittoria, ad esempio, un dossier della Caritas ha denunciato la competizio-ne tra tunisini, ormai integrati da 30 anni, e i romeni, i nuovi ‘conquistadores’ di que-sta frangia sicula. Ma questa illegalità, in effetti, conviene a molti: la malavita locale organizza le assunzioni e i proprietari rile-

vano manodopera a basso costo, con in più la possibilità di non pagare ingaggi e tasse. I controlli riman-gono comunque pochi, a volte quasi inesistenti. Un passo avanti giunge però dalla Prefettura che ha riconosciuto lo sfruttamento delle lavoratrici come nuova for-ma di tratta: chi parla, quindi, ha diritto a essere protetto, così come chi lavora dovrebbe farlo nelle mi-gliori condizioni possibili. Perché è anche da questo che si misura il grado di civiltà di un Paese, di una Città, di una Nazione.

“Il vice presidente della provincia e assessore pro-vinciale alle politiche culturali Mommo Carpen-tieri intende sgomberare il campo da dubbi sul

danno di oltre 15mila euro arrecato alla collettività con il danneggiamento della segnaletica stradale verticale quando, in occasione delle recenti Regio-nali, sui segnali vennero affissi i manifesti suoi e dell’altro candidato Nino Minardo”. É uno stralcio dell’articolo di Antonio Di Raimondo, comparso il 25 luglio 2008 su www.corrierediragusa.it e che è costato al giornalista e al suo direttore (all’epo-ca dei fatti Gianni Contino) una querela per diffamazione a mezzo stampa. Sono comparsi entrambi davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modica insieme al querelante, Mommo Carpentieri che si ritenuto offeso “nell’o-nestà e nell’integrità morale”. La colpa del giornalista? Quella di aver esercitato il diritto/dovere di cronaca e l’aver ‘denunciato’ un comportamento pres-soché scorretto. Il conto presentato dalla ‘Multiservizi’ all’amministrazione comunale per ‘ripulire’ la cartelloni-

sta stradale, bidoni della spazzatura, varie ed eventuali, tutti tappezzati dai manifesti elettorali di Carpentieri, ammontò a circa 15 mila euro. “Io pagai subito di tasca mia le squadre di attacchini - ha precisato Carpentieri tempo fa, quando era nata la spinosa questione - affin-

ché riducessero quanto più possibile il danno provocato da ignoti e a carico dei quali sporsi regolare denuncia alle competenti autorità. Non posso di certo af-fermare con certezza se all’epoca sparirono dai magazzini qualche deci-na di miei manifesti”. La questione, comunque, sembra essersi risolta: il pubblico ministero,

nonché procuratore capo, Francesco Puleio, ha chiesto di non procedere e di chiudere il caso in quanto “il fatto non sussiste”. Il gip ha così accolto la richiesta di Puleio assolvendo Di Raimondo e Contino. In realtà anche Car-

pentieri aveva già fatto un passo indietro chiedendo la remissione di querela ma solo per quel che riguardava il giornalista e non il direttore. Contro quest’ultimo, infat-ti, voleva continuare la battaglia legale già intrapresa. Ad ogni modo, per entrambi è stata sufficiente la decisione di Puleio e quindi del gip per concludere al meglio tutta la vicenda. Si chiude così un’altra pagina del controverso rapporto tra politica e informazione, dove la prima pro-va sempre a far tacere qualunque malcontento o denun-cia mentre la seconda dovrebbe sempre divincolarsi per fornire un punto di vista quanto più veritiero possibile.

gianni Contino e antonio di raimondo querelati

da Mommo Carpentieri

Manifesti selvaggi,giornalista e direttore davanti

al gip per diffamazioneS. Z.

la grana “Cornacchini srl”,da gela all’inchiesta umbra

Rosario Cauchi

Migranti e stampa

Pagina 10 Il clandestino

La nuova ge-stione ammi-nistrativa del

Comune di Gela si trova a fare i con-ti con un bilancio ancora non ap-

provato e con risorse economiche ridotte all’osso: ma un ulteriore peso potrebbe abbattersi sulle finanze dell’ente. La “Cornacchini srl” di Foligno reclama crediti per un tota-le di 5 milioni di euro che sarebbero stati generati dall’e-spletamento del servizio di smaltimento del percolato in favore del comune nisseno. I fatti risalgono al 2001, l’allora dirigente del settore Lavori Pubblici Roberto Sciascia, uti-lizzando il sistema della chiamata diretta, aveva affidato il servizio di trasporto e smaltimento del percolato all’in-terno della locale discarica “Timpazzo” proprio all’azienda umbra. La commessa, però, venne stoppata dalla giunta

retta dall’attuale eurodeputato Rosario Crocetta: troppo elevati i costi. A fronte di una media nazionale per il mede-simo servizio fissata tra i 55 e i 70 euro per metro cubo, a Gela si versavano alla “Colombo Centro Costruzioni”, enti-tà controllata dalla “Cornacchini srl”, ben 113,62 euro per metro cubo. Quella sproporzione fu alla base di un’inchie-sta giudiziaria condotta dalla Procura gelese, conclusasi lo scorso giugno: sia il dirigente comunale Roberto Sciascia che il presidente della “Cornacchini srl” Erminio Cornac-chini sono stati condannati ad un anno e mezzo di reclu-sione. Adesso, la condannata richiede i pagamenti che gli spetterebbero proprio in base alle tariffe oggetto del pro-cedimento penale. Angelo Fasulo, sindaco di Gela, non in-tende in alcun modo accettare l’imposizione dell’azienda e ha deciso che l’ente da lui guidato si costituirà parte civi-le in un eventuale procedimento giudiziario. Gli affari della “Cornacchini srl”, del resto, stanno risentendo di alcune in-chieste avviate proprio a carico dei suoi massimi dirigenti.

Dopo la condanna emessa dal Tribunale di Gela, infatti, lo stesso Erminio Cornacchini insieme a Fulvio Cornacchini, in qualità di amministratore unico della “Idrogest”, sono stati rinviati a giudizio, con altri otto imputati, per i fatti legati al depuratore umbro di Casone, gestito proprio dalla “Idrogest”. Traffico e scarico illecito di rifiuti, danneggia-mento delle acque, assenza di autorizzazione alle emissio-ni in atmosfera, abuso d’ufficio e favoreggiamento, queste le principali accuse mosse dal sostituto procuratore di Pe-rugia Manuela Comodi nei confronti degli imputati. In sei anni, tra il 2000 ed il 2006, stando all’accusa, sarebbero stati sversati, violando le norme in materia, più di 100.000 tonnellate di rifiuti speciali. La prima udienza del processo a carico dei dieci imputati, compresi Erminio e Fulvio Cor-nacchini, si terrà il prossimo 17 gennaio.

Mafia e Ambiente

Il clandestino Pagina 11

donne violate, festini del sesso, abusi e sfruttamenti nelle campagne siciliane

la nuova ‘tratta delle schiave’Stefania Zaccaria

Un’opera faraonica o uno speco di de-naro pubblico per la realizzazione di una infrastruttura inutile? Senza dub-

bio entrambe le cose sono le caratteristiche del ponte sullo stretto, opera di cui si parla spesso nel bene e nel male. Ne parla anche Antonio Mazzeo nel suo “Il padrini del pon-te”, testo nel quale ricostruisce minuziosa-mente attraverso l’analisi degli atti giudiziari gli affari delle organizzazioni mafiose nell’af-fare del ponte sullo stretto. Ecopacifista, anti-militarista, Mazzeo si è occupato più volte di inchieste legate al ponte fornendo un quadro chiaro degli interessi che stanno dietro tale opera. Ma parliamone direttamente con lui.Quali sono gli interessi che girano intorno alla costruzione del ponte?Gli interessi sono relativi alla grossa fetta di denaro, circa 10 milioni di euro, una grossa spesa che mai si è utilizzata in un’area come lo stretto di Messina, soprattutto pensan-do che si tratta di un’opera che incide solo in un’area ristrettissima di 4-5 km. Si tratta quindi di una quantità di denaro spaventosa che oggettivamente cattura tutti gli interessi possibili.Ne “I padrini del ponte” inizi parlando del “sogno” di Giuseppe Zappia desideroso di concludere la sua vita nella terra d’origine e per questo si impegna a concorrere alla gara per la costruzione del ponte. Chi è ve-ramente Joe Zappia e che ruolo ha in questa

vicenda?C’è una grossa novità: dopo la pubblicazione del libro il Tribunale di Roma ha condannato in primo grado Zappia di fatto confermando tutte le ipotesi che prendevamo nel libro, le-gate all’istruttoria svolta dalla Procura della Repubblica di Roma. Zappia di fatto è stato il prestanome di un’operazione grossissima che vedeva scendere in campo la c.d. six fa-mily, la sesta famiglia della principale orga-nizzazione criminale nord-americana che fa riferimento a don Vito Rizzuto. Questa, inse-diata in Canada, era disponibile a fornire fino a 6 miliardi di dollari per il finanziamento del progetto. Zappia ha costituito una società ad hoc per partecipare direttamente alla gara di prequalifica del ponte non con l’intenzione di vincerla, ma perché era un’opportunità per entrare in contatto principalmente con tre soggetti: il Governo italiano, la società stretto di Messina e alcune delle grandi so-cietà di costruzione che hanno partecipato alla gara fra cui quelle che hanno vinto e che parteciperanno alla progettazione del ponte. Entrare in contatto voleva dire far da garante, dire “ci sono io. Io ho il denaro ne-

cessario per far partire l’opera, per cui sono importante per questo tipo di operazione”, legittimandosi in tal modo come un operato-re credibile visti i contatti con i tre soggetti di cui dicevo prima.Perché secondo te il Governo italiano ha tanta fretta di realizzare il ponte?Più che realizzare io direi di propagandare l’i-nizio dei lavori perché fino a questo momen-to non esiste nessun tipo di progetto esecu-tivo e soprattutto sono tantissime le critiche di ingegneri ed esperti in materia che dicono che il ponte anche dal punto di vista inge-gneristico non è assolutamente realizzabile. Il Governo sta giocando tutto nel senso che vuole legittimarsi, ha una fetta di denaro non poco rilevante, circa 1300 milioni di euro che erano i fondi Fas, destinati allo sviluppo delle aree deboli del Mezzogiorno dove fra l’altro si potevano prevedere interventi per opere re-almente sostenibili, che avrebbero prodotto posti di lavoro e di cui la popolazione aveva bisogno. Loro hanno fatto un lavoro che de-finirei vergognoso, in quanto hanno saccheg-giato questi fondi per destinarli all’inizio dei lavori. La fretta c’è perché dopo anni di an-nunci e di propaganda bisogna dare l’impres-sione che veramente sia la volta buona e che stavolta il ponte si può fare.Dalla lettura del tuo libro vien fuori una vi-sione diversa della mafia rispetto a quella classica. Ce ne vuoi parlare?

Con Umberto Santino abbiamo cercato di di-mostrare che chi si muove dietro l’operazione del ponte è la c.d. borghesia mafiosa formata da tutti quei soggetti che si siedono a tavo-lino e decidono loro toucour cosa serve al territorio, non secondo i bisogni della popo-lazione, secondo i canoni dell’economia, ma secondo i loro meri interessi. Sul ponte si è sempre pensato che, siccome si tratta di una grande opera che si realizzerà in un’area ad alta densità mafiosa, la mafia arriverà a gesti-re buona parte delle grandi opere col pizzo, intervenendo nella fornitura di cemento etc. C’è una visione reale ma anche riduzionista. Nel libro dimostriamo che in questo senso è l’idea stessa del ponte che vede le organiz-zazioni criminali non solo quelle locali, ma quelle transnazionali che gestiscono i grandi traffici di droga ed armi a livello internaziona-le che hanno deciso di entrare direttamente nella fase di progettazione e di esecuzione e di finanziamento proprio del ponte anche se ci dovessero perdere finanziariamente per-ché il ponte ha questo grande valore simboli-co: infondo chi realizzerà il ponte passerà alla storia. In tal modo la mafia sa che realizzando il ponte potrà giocarsi una ricerca di legitti-mità e di immagine politica e pubblica persa soprattutto negli anni delle grandi stragi del 92-93.Sia la costa siciliana che quella calabrese, sponde sulle quali il ponte dovrebbe poggia-re, sono estremamente franoseNon sono solo i problemi geologici, la frano-sità del territorio che fra l’altro è visibilissima ad occhio nudo, ma non dimentichiamo che sullo stretto passa una delle principali faglie sotterranee che continuamente si spostano provocando costantemente terremoti e ma-remoti di enorme intensità che avrebbero dei riflessi enormi sulla tenuta delle strutture. Non dimentichiamo che dalla parte di Mes-sina il pilone sarebbe collocato in un’area ric-chissima di acque (prima era una zona di pa-ludi, oggi ci sono due laghi naturali) per cui ci rendiamo conto che ci sono grossi problemi per pensare alla progettazione. Che impatto avrebbe il ponte sull’ambiente e sul territorio?Le associazioni ambientaliste hanno presen-tato centinaia di osservazioni per dimostrare che nella pre-progettazione non si è tenuto conto dei problemi di tipo geologico, dei ter-remoti, ma soprattutto della ricchezza arche-ologica e naturale di un territorio che verreb-be devastato irrimediabilmente. Al contrario, oggi c’è l’esigenza primaria di riqualificare il territorio e di mettere in sicurezza tutte que-

ste aree a rischio di frana o che sono già fra-nate. Non dimentichiamo che a qualche km dal punto dove dovrebbe sorgere il ponte sullo stretto lo scorso anno si è verificata una immensa tragedia con i 37 morti di Giampi-lieri e Scaletta. In che misura i siciliani si approcciano alla costruzione del ponte?L’attenzione e la tensione rispetto a questa battaglia è proporzionale alla distanza dal ponte: più sei vicino al luogo dove dovrebbe sorgere il “mostro” sullo stretto, maggiore è la gente disponibile a scendere in piazza per opporsi, perché paga giorno per giorno in pri-ma persona quelli che sono gli impatti di tipo sociale, ambientale e criminale. Più stai lon-tano dal ponte meno ne avverti la dramma-ticità, anche se però dubito che ci siano sici-liani che pensano di poterlo utilizzare perché ormai la mobilità della nostra regione rispet-to alle grandi città del nord avviene via aereo, ed anche le merci viaggiano via intermoda-le, utilizzando il misto ferrovie-navi. Si tratta quindi di una struttura nata con un’idea ar-cheologica rispetto a quella che deve essere la mobilità delle merci e delle persone.Di cosa avrebbero bisogno invece i siciliani concretamente?Innanzitutto avrebbero bisogno di una mes-sa in sicurezza di borghi antichi, di villaggi che sono un patrimonio straordinario per-ché rappresentano più di mille anni di storia, c’è bisogno di posti di lavoro seri, produttivi, sostenibili dal punto di vista dell’ambiente, che siano a tempo indeterminato non come quelli che sono preventivati per 6-7 anni per i lavori sul ponte, lavori estremamente pro-fessionali dove sarebbe tagliata buona parte della manodopera siciliana la cui domanda è di libello medio-basso. C’è inoltre bisogno di infrastrutture celeri, recuperare le aree indu-striali dismesse o semidismesse sul mare per convertirle in porti e puntare sui trasporti in-termodali per le merci, come accade in tutto il Mediterraneo e nel Nord-Europa. C’è una grossa domanda di ampliamento dell’aero-porto di Fontanarossa che oggi sostiene un traffico di 6 milioni di viaggiatori l’anno oltre i quali non si può andare nonostante la do-manda dalla Sicilia e verso la Sicilia continui ad aumentare. Potenziarlo significherebbe far riconquistare alla Sicilia il suo ruolo cen-trale all’interno del Mediterraneo, quindi non solo nei collegamenti col nord Italia e con l’Europa del Nord ma anche col continen-te africano.

intervista ad antonio Mazzeo

il ponte della discordia o della concordia?Angela Allegria

Gli sfruttati del 2010 hanno un nuovo volto. Sono delle belle ragazze che arrivano dalla Romania, hanno dai 20 ai 40 anni e per 12 ore di lavoro nei campi percepiscono 15/20 euro. Possono ricevere anche qualche banconota in più effettuando “prestazioni straordinarie” ai

loro caporali. Ma questa, non è una scelta. È un obbligo.

la colpa del giorna-lista? quella di aver esercitato il diritto/dovere di cronaca e l’aver ‘denunciato’

un comportamento pressoché scorretto

Page 7: Il Clandestino

E’ Ottobre. Pianetti si è spogliato dalla sua coperta di erba secca. Gli impiegati e le casalinghe che vanno a fare jogging la

sera sono diminuiti, causa, forse, il sopravve-nire del freddo autunnale. Di solito sono dei branchi grandi, anche di dieci persone. L’umi-dità è forte, specie la notte. Ci sono di solito quasi tre gradi di differenza tra Pianetti e Ibla nelle ore notturne. Sembra svuotato. Le strade sporche e gli scheletri di palazzi in costruzione fanno sembrare questa una zona dove è passa-ta la guerra. Pianetti è un quartiere di Ragusa. Periferia di Ragusa. Non lo si potrebbe dire di-sagiato. E’ principalmente abitato dalla classe media. In teoria dovrebbe essere una zona re-sidenziale molto carina, una zona nuova, con strade larghe e marciapiedi puliti. Non lo è. Ab-biamo controllato quali siano le reali condizio-ni di Pianetti. Abbiamo fatto delle foto e girato un video, allo scopo di sottoporlo all’attenzio-ne di qualcuno, di qualcuno che potesse darci una spiegazione. Cappello, capogruppo UDC del consiglio circoscrizionale di Ragusa-Ovest, ha risposto alle nostre domande, ha commen-

tato il video. Ho riportato in corsivo le sue dichiarazioni. Il suo partito sostiene la coalizione di Dipasquale. Via Irlanda: sul marciapiede una scia di detriti. Sono lungo tutta la strada: carta e bottiglie, vecchi contenitori di plastica. Sembra che un qualche

squinternato abbia rilasciato immondizia da un aereo. In un punto, dove si apre una stra-dina interna, le cartacce hanno costruito una nuova pelle alla terra battuta. Sempre che di terra battuta si tratti: non si capisce se mai ci sia stato qualcosa sotto la carta. “Questa è una classica situazione abbastanza ridicola, dicia-mo. Abbiamo sempre detto che Pianetti è un biglietto da visita per chiunque viene a visitare la nostra città. Queste immagini dicono tutto su questo scempio ambientale, cui diamo la colpa maggiormente anche a noi (cittadini). Di sicuro, però, è da pensare che non c’è un buon lavoro da parte della ditta che si occupa della pulizia”. In via Almirante, all’incrocio con via Irlanda, i sacchi dell’im-

mondizia sono rimasti troppo tempo. Il vento è forte. I sacchi hanno vomitato parte del loro contenuto, i gatti hanno fatto il resto. Vicino al cassonetto anche un materasso. Un televisore in mezzo all’erba. Qua e là residui, un po’ per tutta la strada. Su, dove la strada arriva qua-si alla scuola media Quasimodo, una discarica vicino ai cassonetti. Di tutto e di più: l’immon-dizia si distende lungo il fianco della collina. In via Segni troviamo, invece, un cumulo discreto, riparato in un punto abbastanza nascosto. “C’è un completo abbandono dei rifiuti. L’area non viene assolutamente bonificata. Questi rifiuti che a volte rimangono giorni e giorni, addirit-tura anche settimane. Va a finire che, tra ani-mali randagi e il brutto tempo, tutto vola via. Queste sono zone dove ci sono terreni comu-nali. Sono stati acquistati dal Comune per pe-

requazione. Ove non fossero del Comu-ne, il privato deve provvedere a

recintare l’appezzamento di terreno. Ci sono anche i marciapiedi

divelti. Non siamo in periodo estivo e non

c’è la parte di erba secca che potrebbe essere data

al fuoco”. Via Falcone. Un orrore incredibile. Non solo

il terreno è pieno di materia-le, tra cui spicca un simpatico

gabinetto, ma qualcuno ha dato fuoco a una parte dell’accumulo

ed è rimasta una traccia nera mol-t o grande. Altra roba è disseminata a tratti lungo la strada fino all’incrocio con via Ir-landa. Beffardo, un cartello di videosorveglian-za lascia l’amaro in bocca. “Questa è via Falco-ne? Si riconosce subito. Questi sono rifiuti che rimangono generalmente anche due, tre setti-

mane. Questa è una zona nuova, dove ci sono abbastanza giovani: magari si divertono a loro modo, pensando di dare fuoco ai materassi o qualche altra cosa. Ormai la gente si è abituata a vedere questi cartelli di videosorveglianza, ma non c’è nessuna telecamera”. Via Calipari. Lavatrice abbandonata, ciarpame vario e car-tello con su scritto “Divieto di scarico rifiuti” e “Città di Ragusa patrimonio dell’Unesco”. “Qui c’è pure il divieto di scarico con tanto di scrit-ta “Città di Ragusa patrimonio dell’Unesco”: penso che questo significa fare brutta figura nei confronti dell’Unesco e della Comunità Europea”. Domanda: Chi dovrebbe controllare tutto questo? “Noi, consiglio circoscrizionale, facciamo le nostre segnalazioni ogni volta che ci riuniamo. Sappiamo benissimo che questa è una zona molto abbandonata per quanto riguarda la pulizia delle strade”. Domanda: perché i cittadini non hanno organizzato nulla contro questa situazione? “I cittadini si fidano dell’Amministrazione. Siamo noi che ammini-striamo la città e dovremmo dare delle rispo-ste. Noi le nostre segnalazioni le facciamo. Di sicuro le segnalazioni arrivano agli uffici com-petenti. Non so, se per un problema burocra-tico, si perde troppo tempo e non vengono mai evase tutte le segnalazioni che facciamo”. Da parte vostra c’è un operato a riguardo? “L’operato c’è senz’altro. Oggi volevo fare la quarta segnalazione consecutiva su contrada Conservatore, dove non bastano i contenitori dei rifiuti”. La responsabilità del Comune qual è? “Abbiamo fatto un incontro con l’Assessore all’Ecologia e quello della Polizia Municipale. Ho chiesto che si recintassero i terreni che il Comune ha ricevuto in perequazione, che si facessero recintare quelli dei privati”. Questa situazione deve cambiare. Lo chiede anche Cappello. Lo chiede chi non si è ancora rasse-gnato a vivere in queste condizioni. I bambini giocano qui, vanno a scuola qui. Casalinghe e impiegati meritano di poter fare jogging in po-sti decenti e, poiché sembra che loro non si si-ano mossi in alcun modo per difendere la loro salute, lo dovrà fare almeno la loro Amministrazione.

boMbe CluSter : no, graZie

l’ipocrisiaitaliana e

il diritto alla vita

Il primo agosto scorso, grazie alla ratifica di oltre trenta nazioni, è entrata in vigore la Convenzione

internazionale che mette al bando le «bombe a grappolo» [Convention on Cluster Munitions – Ccm]. Gli ob-blighi della Convenzione, firmata da 107 Paesi e ratificata da 38, sono per-tanto diventati vincolanti a tutti gli effetti per gli Stati che vi hanno aderi-to: ciò significa che, oltre a smettere la produzione e l’impiego, dovranno distruggere gli stock di munizioni clu-ster entro otto anni, identificare e bo-nificare entro dieci anni le zone inqui-nate da cluster, assistere le comunità affette da cluster bombs e le vittime in modo da realizzarne una piena in-clusione nella società nel rispetto dei diritti umani fondamentali. In Italia la notizia praticamente è passata con il quasi totale silenzio della tv e di pa-recchia stampa, che, appena succe-de un delitto nel più remoto anfratto della provincia italiana, ci bombarda con bombe cluster da asfissiare ( vedi il caso di Sara di Avetrana, oltre

110 ore di televisione già sparata e pagine su pagi-ne su tutti i giornali ,ma ancora al momento che scrivo il pezzo tiene e quindi il diluvio continuerà per altri giorni) . Il Papa nella udienza del tre agosto ne ha parlato e si è compia-ciuto di questo traguardo raggiunto e per il segretario generale Onu, Ban Ki-moon, la Convenzione «è un passo avanti decisivo per liberarci da armi ignobili». L’Italia pur avendola firma-to non l’ha ratificata. Strano paese il nostro che si proclama cristiano e che per il diritto alla vita mette su crociate e mette in discussione la leg-ge 194, che è incapace di darsi una legge sul fine vita basata sul principio di autodeterminazione della perso-na, e che è stato capace sul caso di Eluana Englaro di far emergere cose orribili disprezzando il dolore di un genitore e di una ragazza. Strano pa-ese il nostro dove il diritto alla vita è solo un tema da guelfi e ghibellini. Mi pare opportuno sulle bombe cluster offrire alcuni numeri : 36, i paesi an-cora fortemente inquinati dai frutti delle cluster bombs, o bombe a grap-polo; 15, i paesi che hanno fatto uso fino ad oggi di questi diabolici ordi-gni; 34, i paesi produttori, e tra questi vi è anche l’Italia con la Simmel Dife-sa di Colleferro (Roma) e inoltre è tra i 70 paesi detentori di stock di cluster bombs. Altri numeri: 108, i paesi che hanno firmato la Convenzione sulle munizioni a grappolo; 39, quelli che l’hanno ratificata permettendole di entrare in vigore lo scorso 1° agosto, e purtroppo l’Italia non è tra questi. Tanto quelli che saltano per aria sono in terre lontane da noi e poi qualcu-no di questi poteva venire a rompe-re i mar(r)oni qui in Italia. È meglio così,altrimenti cosa diciamo alla lob-by dei produttori italiani di bombe a grappolo e ai loro 160 milioni di euro di fatturato!

reportage

raguSa annoZero/2Giulio Pitroso

Il raggio verde di Enzo Ruta

Proseguiamo nel nostro viaggio virtuale all’interno della casa delle bambole. La stretta scala posta alla nostra destra, ci introduce nella sala da pranzo in cui sul lungo tavolo troneggia, una preziosa zup-piera in porcellana Limoges decorata a mano, affiancata da due candelabri in ar-gento. La porcellana costituisce in questa stanza, il principale elemento decorativo: sul mobile carrello posto a destra, pog-giano grandi piatti da portata e sugli altri mobili, fanno bella mostra varie porcella-ne riccamente decorate con fiori, figure e paesaggi rifiniti con oro zecchino. In fon-

do a sinistra, una vetrata trompe - l’oeil, rischiara con luce soffusa, la collezione dei vasi in ceramica di Caltagirone, facen-doci intravedere un sereno paesaggio. Al centro del soffitto il grande rosone,copia del Veronese, che ripropone e mantiene lo stile delle camere precedenti. Appesi alle pareti, quadretti in porcellana ,piat-ti con decori e pensiline poggia vaso con fiori naturali. Sulla credenza nella parte superiore, prende posto, un ricca colle-zione di ampolline in vetro soffiato co-lorato e dipinto, i cui profili, assumono diverse forme, sagome e dimensioni. Nel

prossimo numero, parleremo della “cu-cina”. Per visionare questo video, come quelli precedenti, cercare su YouTube, alla voce: Case di bambole - “La stanza da pranzo” di Grazia Carla.

Degrado e Solidarietà

Pagina 12 Il clandestino

Emozioni d’Arte di Grazia Campione

Per avere salva l’anima dopo la morte, l’uomo ha sempre creduto di fare, almeno una volta nella vita, il viaggio, inteso come cammino verso Dio.

Non si tratta solamente di una tradizione cristiana, ma è riscontrabile presso altri popoli ed in età antecedente al culto cristiano. Gli antichi greci, ad esempio, andava-no a Delfi, gli islamici vanno a La Mecca, gli indiani a Tirtha, i giapponesi a Nara e così via. I cristiani nel Me-dioevo avevano come meta visitare il Sepolcro di Pietro a Roma. Nel XI secolo a questa meta se ne aggiunsero altre due: il Sepolcro di Cristo in Terrasanta e la tomba di San Giacomo apostolo a Santiago de Compostela. I viaggi si svolgevano percorrendo le vie francigene, che integravano il sistema viario romano caratterizzate da segnalazioni toponomastiche e dalla presenza di chiese, monasteri e ospedali c.d.Domus Hospitalis, ossia strut-ture di accoglienza dislocate lungo le principali arterie distanti circa venti, trenta chilometri l’una dall’altra, corrispondente al cammino di un giorno del pellegri-no. Il tutto sotto la sorveglianza di vari ordini militari. Ma le insidie e i rischi erano molti tanto che i pellegrini prima di partire e lasciare la famiglia e gli averi faceva testamento. Il viaggio a Santiago de Compostela aiu-tava l’uomo ad alleviare le sofferenze del Purgatorio ed evitava al moribondo lo spaventoso viaggio attraverso la “Via Lattea” (intesa come la via della morte) nella “immensa sequela di spade” affilate in cui “la povera anima, nuda e coi piedi scalzi”, si sarebbe dovuta de-streggiare durante il viaggio nell’aldilà. In Sicilia il culto di San Giacomo si diffuse prima con i bizantini e poi con la conquista normanna e continuò con l’avvento degli Aragonesi chiamati dopo i Vespri del 1282. La Via Fran-cigena in Sicilia rappresentava un fascio di strade, che giungevano tutte a Messina, punto di snodo dei pelle-grini per le tre destinazioni. Modica faceva parte degli itineraria peregrinorum isolani. Lo attesta la presenza della sacra Domus Hospitalis della commenda Gerosoli-mitana (oggi ospedale Campailla) accanto alla chiesa di San Giovanni Battista dei Cavalieri di Malta, come risulta dalla lettera di Re Martino del 1391. Con il passare degli anni il flusso dei pellegrini verso la Spagna diminuì per-ché sempre più esposti alle aggressioni dei malviventi. Nel XII sec. un Papa dichiarò che chi non avesse avuto la forza di affrontare il viaggio a Compostela, sarebbe stato sufficiente fare scelte alternative più vicine per ottenere le medesime indulgenze come salvifico dell’agonia dei pellegrini che arrivavano fino in Galizia. Si stabilì che i pellegrini potevano andare in chiese dedicate a San Gia-como, o nella propria città o in luoghi vicini. Il Papa dette nuova linfa ai pellegrini e, allo stesso tempo, provocò un ampliamento delle pratiche penitenziali con la diffusio-ne delle “domus discipline”, chiese delle confraternite di disciplinati, cioè di penitenti che espiavano i loro peccati percuotendosi con il flagello in memoria della Passione di Cristo. In Sicilia vennero innalzate chiese dedicate a San Giacomo dove vennero portate e custodite reliquie. In tal modo la Sicilia diventò meta di pellegrinaggi in alternativa al “Cammino” spagnolo. Furono ripristinati antichi riti “Arcaici” nella notte tra il 24 e 25 luglio che prevedevano che nel giorno della commemorazione dei

defunti i pellegrini percorressero la strada portando in mano un bastone con 14 nodi. A Modica la chiesetta di San Giacomo, risalente al XIV secolo, è stata meta di pellegrinaggio fino al XIX secolo. La chiesetta, extra mo-enia, è ubicata sulla fiumara per Scicli su una strada irta di sassi, che bisognava percorrere, in assoluto silenzio, nella notte compresa tra il 24 e il 25 luglio. Giuseppe Pitré nei suoi “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” scrive che i villani della Contea di Mo-dica credevano che l’anima, prima della morte, dovesse fare un viaggio in Galizia e poi un lungo e faticoso viag-gio attraverso la Via Lattea detto “violo di San Jabbicu” cammino al quale nessuno si può esimere, neppure i neonati. Nella Via lattea era presente una sequela di spade e sulle lane affilate di queste la povera anima do-veva camminare a piedi nudi. San Giacomo ne è la guida e sceglie il momento quando l’uomo, caduto in agonia, perde i sentimenti e compie il viaggio. Il cammino affa-tica l’anima travagliata e lo dimostra il corpo che suda e l’ultima lacrima del moribondo non è altro che il taglio di una spada al piede. Ma siccome ad ogni cosa c’è un rimedio, i modicani (specie le donne) credevano, come un dogma, che per evitare tutto questo fosse necessario fare in vita un viaggio di un chilometro nella chiesetta di San Giacomo sita sulla via Fiumara percorrendo un percorso aspro fatto di ciottoli e di sporgenze che rasen-tava un torrente asciutto. Punto di ritrovo per il viaggio era la Chiesa di Santa Maria di Betlem. La donna che intendeva fare questo viaggio vi si preparava in questo modo: all’Ave Maria in punto del giorno fissato impasta-va un uovo con della farina, senza acqua, al fine di fare dei maccheroni. Li cuoceva immediatamente e doveva versare l’acqua della cottura in quelle…crete spregiate, come ebbe a chiamare il Parini, le quali servono per l’u-so che non è bello accennare. Poi si spogliava fino alla camicia, si sedeva su quella creta, metteva il piatto sulle ginocchia e avvolgeva la mantellina attorno alla faccia, in modo tale da mangiare senza vedere. Poi andava a letto, ma non doveva addormentarsi. A mezzanotte in punto doveva alzarsi, spogliarsi completamente e avvol-gersi con un lenzuolo lavato la stessa mattina. Fatto ciò doveva incamminarsi in silenzio, accompagnata da una comare da tre, cinque o da nove anni verso la chiesetta. Giunti alla porta le donne bussavano tre volte alla porta della chiesetta, rigorosamente sprangata, prima con le mani e poi con i piedi e con la testa. Si inginocchiavano e recitavano nove Pater Nostri, nove Ave Marie e nove Gloria in onore del Santo, tre Pater Nostri per l’agonia di Nostro Signore e un’Ave, una Salve Regina alla Vergi-ne Addolorata. Recitate le preghiere ritornavano a casa sgranocchiando il Rosario, rito simile a quello di Santia-go di Compostela nel quale il pellegrino cercava l’incavo della colonna con le dita e batteva la fronte tre volte sulla colonna di San Giacomo in onore della Santissima Trinità chiedendo grazia e poi tornava a casa recitando il rosario compiendo così il rito di salvezza dell’anima.

www.artegrazia.it

la CaSa delle baMbole“La stanza da pranzo”

Storia e Arte

Il clandestino Pagina 13

Storia

‘u iuolu ri San JabiCu a ModiCa

Anna Malandrino

Si dice che a vent’anni si è nella fase più bella della vita e credo che ne sia d’accordo anche Maurilio Assenza, direttore della Casa d’Ac-

coglienza che porta il nome di uno dei martiri del-la nostra terra. Sono passati vent’anni dall’apertu-ra della Casa di Accoglienza Don Puglisi, vent’anni di solidarietà e fratellanza, ma anche vent’anni di difficoltà e sacrifici. Nessuna celebrazione parti-

colare, nes-suna festa sfarzosa ma delle gran-di testimo-nianze per ricordare un martire della nostra terra. Pino Marti-nez e Suor Carolina Ia-vazzo, stretti collaboratori di don Pino Puglisi, sono stati ospiti della Casa

per fornire un attento ritratto del prete ucciso dal-la mafia nel 1993. “Era un ambiente difficile quel-lo in cui operavamo – racconta Pino Martinez, uno dei fondatori del Comitato Intercondominiale – Noi non volevamo portare avanti un’operazione antimafia: volevamo solo che i nostri diritti venis-

sero rispettati. Abbiamo chiesto l’appoggio della parrocchia e quindi di don Padre Puglisi che non ci disse subito di sì. Voleva capire chi eravamo”. Il quartiere Brancaccio, a Palermo, non era di cer-to l’oasi della legalità. “Arrivarono presto – con-tinua – minacce e atti intimidatori: ci bruciarono le porte di casa ma non ci siamo fermati”. Pino Martinez racconta i principali episodi di quegli anni, tutti gli aneddoti, tutti i sodalizi e collusioni tra la gente. Fa nomi e cognomi, non ha paura di esporsi perché la morte di Padre Puglisi gli ha do-nato ancora più forza, ancora più rabbia, ancora più voglia di andare avanti. E poi c’è Suor Caroli-na Iavazzo, grande testimone dell’operato di don Puglisi. Il suo è un ritratto profondo, solcato da sofferenze e fatiche di chi è nato nella camorra, di chi ha vissuto la mafia e di chi vive, adesso, nel-l’ndrangheta. “Ho vissuto tutte le contraddizioni di questi territori dove vivono e operano le orga-nizzazioni di stampo mafioso – spiega suor Caro-lina – A Palermo ho avuto la fortuna di conoscere questa grande figura che non si lasciava intimidire da niente. Ricordo ancora l’omelia che ha fatto subito dopo l’intimidazione di cui parlava prima Pino Martinez. Padre Puglisi ha tuonato in chiesa, ci ha graffiato con le sue parole e ha lasciato in noi il segno”. “Mio padre dice che qua la gente è divisa in due: quelli che camminano a testa bassa e gli uomini d’onore” dice un bambino. “Diciamo che io – risponde Padre Puglisi - sono qua per aiu-tare la gente perbene... a camminare a testa alta”.

Modica ricorda don pino puglisi

i vent’anni dellaCasa d’accoglienza

don puglisiStefania Zaccaria

Possono oggi Ermes, Persefone, Atena, Odisseo, Priamo essere nello stesso romanzo con un indaffaratissimo e frenetico publishing-manager dei giorni nostri? A quan-

to pare si, e pure a meraviglia, come si capisce dal romanzo di Lucia Trombadore, “In viaggio con gli dei”, presentato lo scorso 4 Ottobre al Teatro Garibaldi di Modica. L’autrice, docente di Lettere Classiche al Liceo Classico “Tommaso Campailla”, attra-verso la storia di Xp, un manager, un ritratto dell’odierna civiltà occidentale, analizza nel profondo la frattura oggi creatasi tra sostanza e apparenza, corpo e intelletto, essere e non-essere, certezza e incertezza, risultato di una società fondata sul ren-dimento, che tende a trasformare la persona in macchina. E lo fa attraverso l’unione tra classico e moderno, mito e realtà: an-cora una volta si ha la prova che il Mito non è qualcosa di anti-storico, ma costituisce facoltà di intuizione di realtà invisibili, capacità di entrare in contatto con la parte più profonda dell’ essere umano che, malgrado il progresso tecnico, economico, sociale, ideologico, rimane sempre uguale, come i problemi a lui legati. Un viaggio di crisi e di conversione quello di Xp, alla ricerca della sua corporeità, della sua essenza, di una vita pie-namente consapevole della sua sostanza. Un viaggio un com-pagnia di Ermes, personificazione della velocità, dell’effimero, dell’apparenza, dell’incostanza, che in fondo è un po’ lo stesso Xp, l’uomo d’affari, pieno di impegni, sempre di fretta, sicuro di sè e apparentemente padrone del tempo e degli eventi, il cui habitat ideale è l’aeroporto, dove l’altro è solo corpo che occu-pa spazio, che ostacola, corpo che tocca, ma con cui non viene a contatto. Viaggio in compagnia di Atena, dea della ragione e della guerra che si contrapponeva alla forza bruta, ad Ares, chiamata dai Greci Metis, guardacaso come uno dei personag-gi-chiave del romanzo, che mette in crisi Xp, con una domanda tanto semplice nella sintassi quanto complessa al momento di rispondere: “Chi sei?” E certamente Xp non è nella condizione interiore più adatta per poter rispondere, anzi. È una domanda che implica anche una revisione dei rapporti sociali, dove in gioco non c’è solo l’esteriorità dell’individuo, ma tutto il suo essere. La crisi provocata dalla domanda di Metis innesca un processo di “viaggio odissiaco” interiore alla ricerca della sua vera coscienza. Altro viaggio, altra dea: Persefone, che visse sia con suo padre nel sottosuolo sia con sua madre sulla terra, e lo accompagna in qualità di dea che mette a contatto, che ricuce i due opposti, che riaccompagna Xp nella sua vera identità di corpo dimora abitabile per un’anima. Un po’ il viaggio dell’uo-mo occidentale moderno, vittima della sua stessa velocità, del-la sua forza basata sull’apparenza e sui traguardi raggiunti. Ed ecco spiegato il ruolo degli dei nella civiltà post-moderna; per-ché, in fondo, cosa sono oggi questi dei del mito, se non il pro-totipo di ciò che è da sempre l’esistenza umana nella realtà? A fine dibattito, tenuto dai proff. Antonio Sichera, Domenico Pisana, Grazia Dormiente e altri, è stato inscenato uno spet-tacolo coreutico di alcuni alunni del Liceo, e una rappresenta-zione di un brano del libro da parte di Fatima Palazzolo e Mar-cello Sarta, davvero emozionante. Quello di Lucia Trombadore è l’appello alla società per recuperare una totalità nei rapporti umani e nella psiche, ne vale della nostra salute collettiva. Un bel romanzo, emozionante, in quanto fa riflettere in modo ori-ginale, come pochi oggi.

i miti oggi

in Viaggio Con gli dei

Michele Caldarella

Don Pino Punglisi, prete di Brancaccio ucciso dalla mafia

Page 8: Il Clandestino

La giustizia può essere apolitica? Può il magistrato applicare le leggi ignorando ciò che avviene intorno a lui? L’incom-patibilità fra politica e giustizia fu uno dei luoghi comuni

più cari ai fautori del regime fascista. Ma in realtà non sfugge a nessuno che il magistrato che dichiara di non voler fare politica fa per ciò stesso una precisa scelta: applicando certe leggi (o scegliendo fra le leggi) opera una scelta conservatrice al servizio del potere dominante. E’ recente il caso di un pretore che non ha giudicato reato la ricostituzione del partito nazista perché la legge Scelba del 1952 non prevede il caso specifico del partito nazista! Sul ruolo della magistratura interrogativi e perplessità sono sorti preoccupanti e frequenti negli ultimi anni. Le vicende collegate alla strage di Milano e al processo Valpreda, per citare l’esempio più clamorose politicamente più importante per tutte le implicazioni che esso ha comportato e comporta, hanno dato un duro colpo alla fiducia dei cittadini nella giustizia. La tragica fine di Feltrinelli, e le strane indagini sulle “brigate rosse”, che hanno portato ad arresti discutibili anche sul piano della pro-cedura, dimostrano che fra giustizia e potere esiste un nesso preciso, e che in magistrati in ogni caso, anche nell’applicazione delle leggi contro i “reati comuni”, fanno una scelta politica; e il più delle volte essa è conservatrice. Più spesso questa scelta diventa costante applicazione di norme del codice penale fasci-sta che sono in stridente contrasto con la Costituzione. Da qui per esempio la repressione dei cosiddetti “reati d’opinione”. Il 2 dicembre di quattro anni fa avvenivano i tragici fatti di Avola. Per i due braccianti uccisi non c’è stata giustizia: il caso è stato archiviato. Sindacalisti e braccianti che avevano partecipato allo sciopero vengono denunciati per una incredibile serie di reati. Fra i denunciati vi sono pure tutti i lavoratori feriti dalle raffiche di mitra sparate dalla polizia. Da allora a Siracusa è un crescen-do di iniziative repressive. Nel 1971 viene ordinato lo sgombero coattivo delle case occupate dai lavoratori disoccupati; contro di loro fioccano le aggravanti più strane. Il 1° maggio di quest’an-no viene impedita una manifestazione organizzata dalla federa-zione anarchica. Si comincia a chiedere con sempre maggiore frequenza la emissione di ordini di cattura per reati politici. Co-minciano le incriminazioni per i reati di vilipendio. “Non è que-sta una maniera politica di interpretare le norme?”, si è chiesto l’avv. Umberto Di Giovanni, che ha illustrato le vicende giudizia-rie degli ultimi anni nel Siracusano nella sua introduzione al con-vegno-dibattito “Giustizia e potere: dove va la magistratura” che si è svolto nei giorni scorsi a Siracusa. L’argomento ha suscitato vivo interesse, per la sua attualità e per la notorietà di alcuni dei relatori, fra i quali erano dirigenti “Magistratura Democratica”, e avvocati noti per aver partecipato a importanti processi politici, e l’avvocato genovese G. B. Lazagna, in libertà provvisoria dopo essere stato per 5 mesi in carcere perché ritenuto coinvolto nel-le attività delle fantomatiche “brigate rosse”.

“INDIPENDENZA” E VERITA’L’avv. Salvo Riela, deputato nazionale comunista, membro della Commissione Giustizia della Camera, ha detto che con sempre maggiore frequenze si sente parlare di repressione, cioè di ini-ziative tese a conculcare la libertà dei cittadini prese dalla polizia e dalla magistratura per interesse della classe politica dominan-te. Tutto questo trae origine dall’esistenza di una legislazione non solo inadeguata, ma che difende dei valori che non sono più attuali nel nostro paese e nella nostra società, ma che riesce comoda alla classe dominante. Le lotte contadine e operaie sono costantemente contrassegnate da iniziative della polizia e della magistratura, per cui ad un certo numero di azioni sindaca-li corrisponde immancabilmente un certo numero di azioni re-pressive. Il momento cruciale che abbiamo raggiunto negli ulti-mi anni - ha proseguito l’avv. Riela - possiamo localizzarlo intorno alle lotte studentesche e sindacali del 1968 e degli anni succes-sivi, che avevano obiettivi molto più avanzati di quelli del passa-to. Questo ha portato non solo a far crescere il clima repressivo esistente nel paese, ma ha fatto anche scoppiare all’interno stesso della classe dominante delle contraddizioni e dei ripensa-menti. Anche all’interno della magistratura italiana si sono fatte strada tesi democratiche, ciò che non è stato indolore perché proprio dalla preoccupazione per questo nuovo corso preso da molti giovani magistrati ha preso vigore un’ondata reazionaria all’interno della magistratura stessa. L’avv. Riela ha proseguito parlando delle vicende connesse al processo Valpreda. “Subito dopo la strage di Milano le forze democratiche capirono che non era la pista anarchica quella che avrebbe portato alla scoperta dei responsabili delle bombe, ma che essi andavano cercati fra i fascisti. Ma la scelta operata da precisi settori della magistratura italiana ha allontanato per lungo tempo dalla ricerca della veri-tà, e si è insistito in tesi insostenibili. Oggi la stessa cosa sta av-

venendo con le vicende connesse alla morte di Feltrinelli, con i casi di Castagnino, di Lazagna, di Vittorio Togliatti, utilizzati come tappe di una marcia di avvicinamento alle forze della si-nistra italiana”. Ha quindi preso la parola l’avv. Edoardo Di Gio-vanni del Comitato di lotta contro la strage di Stato, difensore di Lazagna e degli anarchici al processo Valpreda. “La strage del 12 dicembre è stato il punto più alto di una strategia della tensione e de che confermano come quelle indagini il terrorismo, strate-gia che anche oggi si sviluppa non solo con un uso più scoperto dei fascisti da parte della classe padronale, ma anche di quelle istituzioni dello Stato che erano e sono complici. Oggi sappiamo sulle vicende connesse a quegli attentati e alle indagini che li seguirono episodi confermano come quelle indagini si siano svolte coscientemente su un solo binario. “E’ in corso un’inchie-sta a carico del giudice Stitz, cioè del magistrato che ha portato alla scoperta della ‘pista nera’ che prima si era voluta ignorare. Una ragazza, contrariamente a quanto prevede lo stesso codice, è stata tenuta in stato di fermo per tre mesi per una sua presun-ta relazione con vicende delle ‘brigate rosse’”. “Il processo Val-preda ha dimostrato al di là di ogni dubbio l’uso politico reazio-nario che si fa della giustizia. E’ bastato poco per demolire le accuse contro gli anarchici costruite senza tener conto della ve-rità”. L’avvocato Giambattista Lazagna ha detto che non si può parlare di divisione fra giustizia e potere: “Si tratta solo di una divisione delle parti. Uno degli arrestati detenuto assieme a me si è visto puntare la pistola da un magistrato che era venuto con i poliziotti ad arrestarlo. Allora che differenza c’è, perché dire che la magistratura è una cosa a sè, indipendente dal potere? “Non si tratta più di rivendicare un orientamento democratico della magistratura, dell’esercito, della polizia. Si tratta invece di capire come esiste una precisa origine di classe di tali fenomeni, come ad una presenza internazionale dell’imperialismo corri-sponde un tipo di pot4re come il nostro. “Non possiamo dimen-ticare che funzione essenziale dello stato borghese è la repres-sione. La repressione - e questo è un concetto ancora difficile da spiegare - non è solo politica, ma è in tutti i campi. La mia espe-rienza carceraria mi ha fatto capire che non si può fare una di-stinzione fra repressione politica e repressione comune. Il car-cere, di per sè stesso, è punto finale di qualsiasi tipo di repressione, non corrisponde più nemmeno alla coscienza civile di qualsiasi cittadino. La stessa ideologia che porta all’uso del carcere, all’isolamento dalla vita civile di persone che magari hanno commesso piccoli reati, è un’ideologia che va combattu-ta”. IL dottor Luigi Saraceni, segretario della sezione romana di Magistratura Democratica, che ha svolto la sua relazione dopo alcuni interventi del numeroso pubblico presente, ha iniziato

polemizzando con alcune affermazioni che erano state fatte da apparte-nenti al gruppo extra parlamentare Lotta Continua. “E’ una visio-ne massimalista e fin troppo schematica dello scontro di classe, quella secondo cui è del tutto inutile opera-re all’interno del pote-re giudiziario per ren-dere democratica la magistratura in quan-to questo potere è è destinato a svolgere

s e m -pre e soltanto un ruolo di repressione. Certamente, il potere giudiziario, essendo uno dei poteri fondamenta-li dello stato borghese, è destinato a svolgere un ruolo di affer-mazione e di puntellamento dell’interesse dle padrone che or-ganizza lo stato borghese. Tuttavia, se ci limitiamo a osservare soltanto questo, diventa del tutto inutile qualunque tipo di bat-taglia, e anche questo convegno, e anche tutto quello che Lotta Continua va denunciando sulle sue pagine: perché non vedo a quale conclusione può portare una continua denuncia dello sta-to borghese se non si crede che la lotta può essere portata con successo anche su questo piano”. “Il problema è di vedere che cosa è oggi il potere per poter proporre delle alternative allo stato borghese. Il potere non è più annidato nel Palazzo d’Inver-no, espugnando il quale avremmo risolto il problema. Il potere è anche un intrecciarsi di contraddizioni, anche e soprattutto per quello che la classe subalterna riesce a imporre”. “La Costituzio-ne, con la quale non si è fatta certo la rivoluzione, perché la rivo-luzione non si fa con la carta, in quanto essa celebra ancora la sacralità del diritto di proprietà, contiene tuttavia delle afferma-zioni che sono una conquista della resistenza e della lotta di classe. “Non si capisce perché non dovremmo servirci di questi germi di potere alternativo che lo stato borghese contiene, ri-mandando tutto a dopo la rivoluzione. Bisogna avere una visio-ne articolata, dialettica dello scontro di classe”. “Magistratura democratica ha fatto una precisa scelta di campo, che è una scelta di classe, a fianco degli sfruttati, delle classi subalterne, e svolge il suo ruolo con il movimento che è nel paese”. “Non si può ignorare del tutto ciò che avviene all’interno del potere, perché altrimenti il nemico di classe, che conosce la tecnica giu-ridica, avrà partita vinta. Questo si è visto anche in processi mol-to grossi, come quello contro Valpreda e nelle vicende dell’affa-re Lazagna”. “Nell’uno e nell’altro caso si sono costruite le accuse, adoperando tutti i ferri della tecnica. Il destino del pro-cesso Valpreda (l’istruttoria è crollata miseramente al sesto gior-no del dibattito), si è giocato su un fatto squisitamente tecnico, come quello della competenza territoriale. Ma la tecnica non è un fatto indifferente, essa è al servizio di una politica, e come tale vanno denunziati e combattuti anche nelle aule giudiziarie i tentativi di adoperarla a fini reazionari”. “Nel caso Lazagna i ma-gistrati hanno fatto ricorso a uno strano ‘errore’ nel trascrivere il numero dell’articolo del codice in base al quale veniva incrimi-nato: un errore che però permetteva l’emissione del mandato di cattura”. LOTTA POLITICA E MAGISTRATURA“E’ quindi importante combattere la lotta politica anche sul piano di istituzioni come la magistratura, rifiutando il ruolo di settore ‘indipendente’ che le si vorrebbe dare, per conservarla strumento di potere”. Ha concluso il dibattito la relazione del magistrato Marco Ramat, segretario nazionale di Magistratura Democratica. “La nostra funzione non è solo quella di svolgere un ruolo diverso all’interno della magistratura, dando un diver-so svolgimento ai processi che ci sono affidati. Certo, se processi politici vengono affidati a magistrati democratici, potete essere certi che essi hanno uno svolgimento diverso da quelli che si stanno svolgendo oggi”. “Ma noi di Magistratura Democratica siamo convinti che un processo rivoluzionario non ha possibili-tà di successo se non riesce ad affondare radici profonde nella

società, e ad avere un consenso di massa. Per questo è importante che si operi all’interno delle istituzioni, del-la scuola, come della magistratura, dell’esercito, della polizia, per proporre valori alternativi rispetto a quel-li esistenti nella nostra società, in modo che domani, quando l’assetto strutturale sarà cambiato, non venga tradito dalla resipiscenza di una ideologia, e di una cul-tura non sopraffatte tempestivamente da una matura-zione che deve avvenire, infiltrandosi tenacemente in tutti i tessuti sociali, in tutte le strutture sociali, in tutti gli organi istituzionali, in ogni sede insomma, laddove si può preparare in un modo o nell’altro il capovolgi-mento delle istituzioni”. “Bisogna operare perché pres-so il popolo si formi una coscienza alternativa, anche per quanto riguarda la valutazione del diritto. per que-sto riteniamo importante non ignorare questo campo di scontro costituito dalle strutture giudiziarie”.

19 SEttEMbRE 1972 L’ORA

Pagina 14 Il clandestino Giovanni Spampinato

o g n i m e s e u n a r t i c o l o d e l g i o r n a l i s t a

r ag u s a n o g i ova n n i S p a m p i n a t o, u c c i s o n e l ‘ 7 2

S C r i V e g i oVa n n iil convegno-dibattito di Siracusa

su “giustizia e potere”

bilanCia truCCataGiovanni Spampinato

Personaggi e Musica Il clandestino Pagina 15

È mezzogiorno ed ab-biamo un appunta-mento per un’inter-

vista molto sui generis. Ad aspettarci, a Modica, in piazza Matteotti, davanti agli scalini del Carmine ci sono, puntualissimi, Aristide Poidomani e la sua Dreher. Non c’è bisogno di molte presentazioni: Aristide è un personaggio. Chi almeno una volta è passato tra le vie centrali di Modica non ha potuto fare a meno di incontrarlo, possibilmente con la pianola e Carlino, suo amico fraterno. Il cielo sopra di noi non promette nien-te di buono: “se u cielu ittassi birra forra miegghiu” invoca Aristide. “Io sono nato a Modica ma per molto tempo ho vissuto in Germania – ci racconta gesticolando -. Ho studiato Giurisprudenza, poi Lingue e ho fatto quello che mi piaceva fare. Face-vo musica anche lì ma poi per i miei soliti problemi sono dovuto andare via. Dalla Germania sono andato a Venezia, poi a Livigno, a Catania e infine sono tornato a Modica”. Quella Modica che lo riempie di affetto: “Io amo questa città. La amo perché mi vogliono tutti molto bene. Non posso passare dal corso senza salutare duecento persone, – Aristide si ferma e poi precisa - L’unica pecca è l’avarizia dei modicani”. Ripercorrere la storia di Ari-stide è un’impresa ardua. Sono troppe le curiosità e la sua vita è un’avventura epica iniziata 50 anni fa e tutt’ora in corso. E al-lora iniziamo dal suo gruppo musicale for-mato assieme a Carlino: I Cugini di città. “I Cugini sono nati nel 2008. L’idea è nata dal fatto che Carlino ha un ottima voce e io ci

so fare con la musica”. È il nome come lo avete scelto? “I Cugini di campagna hanno venduto la campagna e allora perché non comprarsi un palazzo in città: così sono nati i cugini di città”. La storia dei Cugini di città è pure – e soprattutto – la storia di un’amicizia lunga 40 anni. “Con Carlino ci siamo conosciuti quando eravamo piccoli, avevamo 7-8 anni. Poi io sono andato in Germania e lui dopo un po’ mi ha segui-to. In seguito Carlino è risceso perché gli mancava Modica ma poi le nostre storie si sono incrociate”. Cambia tono Aristide quando parla del suo socio: un misto tra un profondo affetto e un filo di orgoglio. “Con Carlino litighiamo moltissimo ma ci vogliamo benissimo. Abbiamo qualche piccola gelosia ma d’altronde siamo come marito e moglie” – sorride e poi – “ov-viamente non dico chi è la moglie e chi il marito”. Risate. Ma la storia di Aristide è anche quella di un figlio di un grande scrit-tore come Raffaele Poidomani e di una pianista di fama come Federica Dolcetti. “Il rapporto con mio padre era bellissimo, con mia madre bello ma a distanza. Con mia sorella è stato sempre molto affettuo-so invece con i miei fratelli non va benissi-mo”. Aristide torna a parlare di suo padre quando gli chiediamo se ha intenzione di pubblicare alcuni suoi scritti apparsi, anni fa, su un periodico locale: “Non voglio fare la fine di mio padre che è stato ricono-

sciuto dopo morto, a che gli serve adesso questa fama? Ma ovviamente sono con-tento che ci sia attenzione alle sue opere”. E poi ci sono le donne di Aristide. Gli occhi cambiano, sembrano più lucidi, parla più lentamente: “Io ho avuto quattro mogli e tre figli. L’ultima si chiama Graziella ed ha cinque anni. Non la vedo mai come neanche gli altri miei figli: sono tutti di-spersi per il mondo”. Attualmente c’è il futuro nella mente di Aristide: “Io ho 50 anni ma tantissimi progetti. Soprattutto uno con Carlino. Se il signore mi lascia qua qualcosa da fare ce l’ho”. E speria-mo bene nonostante la vita sregolata accompagnata da chilometri di Dreher. Una vita spericolata direbbe qualcuno. Una vita senza nessun rimorso: “Se do-vessi tornare indietro e saprei quello che mi è successo rifarei tutto ugual-mente”. Fra una sigaretta, un sorso di birra e un saluto Aristide continua a raccontarci di se ed ha anche un consi-glio per i giovani artisti modicani: “non fossilizzatevi qui: uscite!” – con tono paterno continua – “fate come Antonio Modica che ha viaggiato ed ora ha suc-cesso”. Il finale di questo viaggio nella vita di uno dei personaggi più amati di Modica finisce. Anzi Aristide vuole fini-re in questo modo: “I Cugini di città non moriranno mai”.

Faccia a faccia con uno dei personaggi più amati di Modica

ariStide, una Vita SenZa riMorSi Marcantonio Arturia - Giorgio Ruta

Lorenzo Urciullo abbandona momentanea-mente la veste di frontman dei siracusani AlbanoPower per calarsi, con evoluzioni can-

tautorali e per certi versi intimiste, nei panni di Co-lapesce. E Colapesce chi è? La leggenda non ci offre un percorso univoco, si parla di una Sicilia sorretta sui fondali da colonne instabili, di un antico re dal-la curiosità eccessiva, di un ragazzo di nome Nicola che ama il mare e che per una maledizione assume le sembian-ze di un pesce, si narra di eroismo mitico. E per Lorenzo chi è Colapesce? “Colapesce è una sorta di supereroe che sacrifica la sua vita per l’amore sconfinato che prova verso la sua terra... Colapesce è un romantico, un tenace, un fiducioso, Colapesce è rimasto in fondo al mare anche per sorreggere la terra in cui cammina sua madre e la sua amata... Ma se Cola potesse vede-re in che condizioni si trova oggi la sua cara isola, la lascerebbe sprofondare nel nulla... Ne sono convinto, credo che la Ma-fia possa bastare come motivazione”. Ma andiamo a scoprire gradualmente l’essenza delle sei canzoni contenute in questo promettente ep, vincitore tra l’altro del prestigioso premio Mei per la categoria Giovani. Ad Amore Sordo l’onore dell’esordio. Brano apparentemente facile, ma che in realtà aldilà della clas-sica conformazione pop, regala voci altamente psichedeliche, una linea di basso avvolgente, un delicatissimo 5/4 che a volte viene prolungato da qualche battito in più che lascia un po’ con il fiato in sospeso. Dopo appena un minuto e cinquantacinque secondi la traccia ha già concluso il suo corso, come per dire “non me ne importa niente degli standard commerciali”. Ca-pitolo Fiori di lana: Banjo subito presente, come a sottolineare

il desiderio di avvici-narsi a un certo folk malinconico d’oltreo-ceano, voci sospirate che possono ricor-dare, volendo fare degli accostamenti, le atmosfere di una persona cara ad Ur-ciullo, ovvero Ales-sandro Raina. Il testo è un continuum di frasi da saccheggiare e riporre con la dovu-ta cautela sul proprio profilo facebook: “Un hard-disk pieno di poesie non vale nulla

se non ci sei tu”, “ti prendo, ti porto via da qui, in un posto dove non cresce l’addio”, “alberi di prosa e nostalgia, e un’anten-na che trasmette solo te”, “ti canto, proteggo l’armonia, come l’acqua dentro a un fiume, scorri via”, “con la camicia a fiori e la giacca di lana copriamo la stagione che noi due capimmo soltanto poi”. In assoluto è la canzone che ti rimane immedia-tamente dentro e non ti lascia più. La ascolti per caso la prima volta, magari navigando su myspace, e dopo il suo retrogusto ti riconduce obbligatoriamente ad essa, sempre. Il terzo brano, La guerra fredda, sterza improvvisamente, deraglia. Senza pre-avvisi ci si lascia dietro quel sapore esterofilo dalle tinte ghiac-cio/celesti per approdare a sonorità più retrò, parliamo di anni ‘60/’70, più vicine alle hit che ascoltavano le nostre mamme o addirittura le nostre nonne. I colori passano all’arancio, misto a ruggine e verde bottiglia. Unico collante la voce di Lorenzo, costante delicata, che si pone al centro dell’ascolto come una lanterna attorniata da falene. Da notare l’utilizzo, a mio avviso azzeccatissimo e calcolato con garbo, di lemmi stranieri. Tro-viamo infatti parole come “i-pod” o “input”, o anche “red bull”, che spero, e credo proprio, non abbiano solo la funzione di “fare figo”. Il nostro protagonista dà l’impressione di parlare di qualcosa di abbastanza serio, però Cola lo fa sfruttando un tono lieve, come a voler sdrammatizzare sulla Russia, sulla morte e sui cani solitari per le fredde strade di provincia. E infine lascia-temi sottolineare la commovente immagine dei Ragazzi che vanno a bere il ghiaccio... questa è un’istantanea d’altri tempi, poesia su una Sicilia che non c’è più. Un altro momento altis-simo dell’ep si raggiunge sulle note di Niente più, cover di Leo Ferrè. Devo ammettere di non aver mai ascoltato prima questa perla di Ferrè, e che dire, Colapesce riesce a resuscitare un bra-no sepolto da decenni, lo rispolvera con religiosa devozione, lo riarrangia impeccabilmente come sempre, probabilmente coa-diuvato dal resto degli AlbanoPower. Doveroso riportare qui di seguito delle porzioni di testo: “..e in questo porto senza mare lei, che ondeggiando lentamente, ora si viene ad ormeggiare”, “un grido perso negli acuti di una canzone mai finita”, “lam-pi che squarciano la nebbia, scoprendo pascoli proibiti”, “un desiderio che si spezza come una corda troppo tesa, e questo corpo che si perde come una sigaretta accesa”, etc etc (!!!). Un inchino a Ferrè e all’allievo Urciullo, al quale chiedo se la cover

è stata selezionata per caso, o se è stata frutto di una scelta ben meditata. Lui mi risponde che “la Cover di Ferrè è stata il ‘frutto di una scel-ta ben meditata per caso’ (con annessa ironica risatina). E’ un autore strepitoso che dovrebbe essere rivalutato e avere il dovuto riconosci-mento alla pari di Ciampi, Tenco, Lauzi etc. Ma noi italiani siamo così, aspettiamo il singolo-

ne della Ferreri o di Morgan per rivalutare Gaber o Gaetano (evito di dilungarmi sull’avanzato stato di necrosi della musica italiana)”. Quinto capitolo: Resistere etc. L’anomalia del disco, l’eccezione che conferma la regola. E’ il brano più fosco, scuro, guardingo. Sintetizzatore e basso anni ’80 la fanno da padroni nel tema, poi arriva un’inattesa apertura armonica sul ritornel-lo, ed alcune variazioni che danno respiro. Forse è la traccia meno incisiva dell’ep, e l’ermetismo del testo di certo non ci aiuta ad assimilarla meglio. Con buona probabilità sarà invece la più apprezzata dagli amanti dell’indie, della wave, del noise e compagnia bella. Sul brano Lorenzo ci dice che è autobiogra-fico, che parla di lui e della sua ex compagna: “A 20 anni si ha spesso la sensazione di avere tutto sotto controllo e progetti di cambiare il globo, però sono le ore 21 di un banalissimo Lu-nedì d’Ottobre e stai comodamente seduto sul tuo divano blu cobalto con la tv accesa”. Ad un certo momento la sua voce canta “lottavamo con mostri più grandi di noi”, allora gli chiedo a cosa si riferisca: “I mostri più grandi di noi sono i progetti, le aspettative, le paure, il farsi bastare i pochi soldi a disposizione per sfangare la settimana in maniera dignitosa, le problema-tiche classiche di due neoventenni innamorati che si trovano catapultati nella “vita” e non essendo all’altezza della situazio-ne spesso finiscono per farsi del male... adesso la mia ex è ‘un mostro bellissimo più grande di me’ e le voglio molto bene”. Ed eccoci arrivati all’epilogo, cullati da Sera senza fine. La chitarra acustica ci introduce all’ultima meraviglia del disco. La più dol-ce e delicata, per certi versi ricorda il miglior Bon Iver, a tratti sembra proprio di incrociare le strade di “re: Stacks” o di “The Wolves (Act I & II)”. “Con i piedi freddi nascosti dalla sabbia” Lorenzo ci porge il suo commiato, e lo fa con grande stile. As-solutamente da citare è la versione di questo brano (ripresa dall’occhio di Tunafishbanda) eseguita per Rockit. Correte a scovarla su youtube. Il video ritrae il musicista con il proprio mandolino a otto corde, perso su una spiaggia solitaria della costa siracusana. Sottofondo marino, sabbia bianca, residui di alghe a riva, un mandolino, un microfono e una vecchia sedia di legno: quanto basta per tracciare l’ultima linea di un piccolo capolavoro made in sicily.

Colapesce

i-pod e gelSoMino Davide Iacono

Piccola città

Da questo numero parte una nuova rubrica: Piccola città. Un viaggio tra i personaggi più amati, tra le professioni in via d’estinzioni, tra i vizi dei modicani. Tenteremo di scoprire l’anima di Modica: la nostra Picco-

la città.

Page 9: Il Clandestino

A Miniminagghia

“Né modda enè dura mapercia i mura”

(Soluzione numero precedente: Anguria)

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“buon giorno los angeles”

James Fry Edizioni TEA 2009

Storie di uomini e donne, di vagabon-di filosofi, di bagni pubblici scambiati per abitazioni, di distese infinite di

automobili, di individui in eterna lotta con il giorno e con la notte. E poi ancora lun-ghissime autostrade, fughe perenni, motel decrepiti, vecchie auto svendute a loschi tipi dalla faccia butterata per un paio di mesi d’affitto. Ponti, strade, palazzi, uomi-ni, solitudini infinite, dialoghi troncati, fri-goriferi vuoti, birra economica non molto fredda, barbe incolte e sogni, tanti sogni e illusioni, tante illusioni. Il contenitore di tutto ciò si chiama El Pueblo de Nuestra Senora la Reina de Los Angeles de Porciun-cula. Oggi semplicemente Los Angeles. Una grande città, un enorme serbatoio di sogni infranti e di illusioni perdute. Il 4 settem-bre 1781 un gruppo di uomini, di donne e di bambini costruiscono quattro case su un terreno ubicato nei pressi del centro dell’odierna Los Angeles e chiamano l’in-sediamento con quella lunga dicitura di

cui sopra. Due terzi dei coloni sono schiavi africani, la maggior parte sono nativi ame-ricani, tre sono messicani, uno è europeo. Oggi la città è un miscuglio di razze, è un miraggio al neon che richiama e abbraccia tutte le anime perdute affinché consumino le loro storie faticose tra le braccia capienti di questa città angelica e perduta. James Fry racconta magistralmente la sua gente, che poi non è altro che la gente di questa epoca malsana, non si fatica poi molto a riconoscere nei personaggi del libro mol-tissime persone che ci stanno vicino. La gente, quella vera, assolutamente priva di sovrastrutture mentali e fisiche, la gente che vive ogni giorno con i propri sogni e le proprie illusioni. Gente che soffre perché oggi, nel nostro mondo, non c’è spazio per il proprio essere e per il proprio sentire. Perché non c’è spazio per le parole o per i dialoghi. Non c’è altruismo, non c’è solida-rietà, non c’è anima. E allora ci troviamo invasi e sovrastati da una inquietante ipo-crisia, da enormi falsità e biechi individuali-smi che dettano legge sulle nostre vite pre-carie. Non c’è aria, tutto viene rinchiuso e ristretto dentro altissimi muri di vergogna e di insensatezza. Il tutto illuminato da freddi neon ad intermittenza. Ed eccoci qui, allo-ra, a sperare nella grande città e a sperare nelle opportunità che ci offre abbagliati dai neon delle pubblicità, dalla confusione e dal perenne rumore che riempie i nostri vuoti e i nostri sogni. Partire alla volta di Los Angeles o alla volta di Milano o alla vol-ta di Parigi o di Londra o di Barcellona o che ne so io, diventa un modo per allontanarsi da noi stessi e dai nostri tempi bui. I per-sonaggi di questo grande romanzo sono i più disparati e riflettono le sofferenze di chi è consapevole, comunque, che il proprio sogno non è altro che un’illusione che si mescolerà inevitabilmente con un altra illu-sione, quella di chi incroceremo lungo il no-stro cammino. Ci imbattiamo in Amberton, un attore viziato con una passione segreta per ciò che non può avere che lo porterà a

distruggere la sua carriera, poi incontriamo il vecchio Joe, un senza fissa dimora filosofo e alcolista di Venice Beach che per salvare una tossica rischia di morire nel gabinetto pubblico che da un po’ di anni è diventata casa sua. E ancora conosciamo una coppia di giovani scappati da un buco di provincia nell’entroterra americano con un mucchio di sogni, qualche dollaro stropicciato in ta-sca, molte cicatrici non rimarginate e un amore che presto si trasformerà in lacrime in una piccola e sporca stanza di un motel di infima categoria in una periferia sporca e puzzolente. E poi c’è Esperanza, partorita quindici metri dopo il confine messicano e quindi americana a tutti gli effetti, o qua-si, che per un attimo di umiliazione rischia di perdere tutto e di bruciare il suo sogno. Accanto a loro c’è l’occhio attento di James Fry il quale ci fa vivere da vicino le vite tormentate di queste persone. Pian piano lo scrittore allarga la visuale a molti altri personaggi, alla città intera, alla nazione, a un paese intero, a una cultura moderna, ad un modo di vivere e di sentire, ad un particolare momento storico in cui tutti, e dico proprio tutti siamo costretti a vivere. “Buon giorno Los Angeles “ è un grande romanzo e James Fry è un grande scritto-re. É riuscito a trasformare la storia di una città e dei suoi abitanti in una metafora precisa e scomoda del nostro mondo e dei nostri tempi. Un realismo lirico aleggia tra le pagine del libro, un realismo sofferente e indignato grida l’ingiustizia del mondo e guarda in silenzio fiumi di automobili lun-go l’autostrada che vanno, vanno, vanno. Vanno veloci senza curarsi minimamente di ciò che sta fuori dal finestrino. E dentro gli abitacoli delle auto ci sono uomini e donne che guidano attenti con gli occhi sbarrati sulla strada dritta e lunga e vanno, vanno, vanno. Vanno finché un bel giorno chiude-ranno i loro occhi per sempre e con i loro sogni appiccicati ancora addosso si rende-ranno conto di non essere mai stati niente.

Un avvio di stagione che definire disastroso è dir poco quello del Modica Calcio nel campionato di serie D di quest’anno. Dopo un’estate trascorsa prima col dubbio

dell’iscrizione, poi con l’eventualità di un cambio di proprietà ed infine con un calciomercato votato al risparmio la società ros-soblù è rimasta in mano al presidente Radenza che ha deciso di affidarsi ai giovani, in campo e fuori. Ma le sue scelte sembrano non aver pagato, almeno per il momento. La squadra guidata dal mister Franco Rappocciolo infatti è partita davvero male, racimolando il misero bottino di 6 punti in 11 gare disputate, frutto di una sola vittoria, tre pareggi e ben sei sconfitte, con 18 gol al passivo e solo 8 all’attivo, potendo così vantare il secondo peggior attacco e la seconda peggior difesa. Un avvio di stagione così disastroso non si vedeva da tempo a Modica, forse peggiore anche della sfortunata stagione in serie C2 conclusa poi con il famoso fallimento. Scarso anche l’appoggio da parte della città, che non riesce più a seguire con la passione di un tempo le sorti

della propria squadra. Una squadra imbottita di giovani, non tutti di belle speranze, che dovrebbe essere trascinata dagli argentini Villa e Cerfoglia e da senatori come Cervillera. Ma proprio i due

argentini sono stati bloccati da impedimenti burocratici poco prima dell’avvio del campionato e solo da qualche giornata sono effettivamente arruolabili. Saro Cervillera, invece, è sta-to protagonista in negativo di uno spiacevole incontro-scontro con alcuni tifosi, in occasione della sfida infrasettimanale persa per 1-0 in casa dell’Ebolitana. Pare, infatti, che il giocatore ab-bia strappato la maglia al termine del match dopo un diverbio con alcuni tifosi che ora chiedono l’allontanamento del cen-trocampista dalla squadra. Una serie di circostanze che non fa-voriscono il recupero della squadra, ma anzi contribuiscono a mantenere uno stato confusionario, che misto alla condizione di scarso entusiasmo che fin dall’inizio della stagione aleggia attorno alla società rossoblù, rende la stagione attuale un vero e proprio calvario sia per i giocatori, che per l’allenatore, i diri-genti e i tifosi. Solo un miracolo potrebbe salvare il Modica Cal-cio da una stagione davvero scadente e avara di soddisfazioni. Non ci resta che aspettare. E sperare.

ModiCa CalCio,è notte Fonda

Giovanni Lonico

La recensione di Stefano Meli

Sport e Libri

Pagina 16 Il clandestino

Il 16 ottobre del 2008 morì Franco Antonio Belgiorno. La noti-zia arrivò come un fulmine a ciel sereno: era malato, ma nul-la faceva presagire che sarebbe morto così all’improvviso. Io

ho conosciuto Ciccio Belgiorno, in seguito alla messinscena de Il biscotto di legno di Raffaele Poidomani. Apprezzò molto la rap-presentazione, ma la cosa più pregevole è che da allora nacque un’amicizia, pretendeva addirittura che ci rivolgessimo a lui con il confidenziale “tu” piuttosto che con un distaccato “lei”. Si in-staurò, da subito, un rapporto di stima reciproca, tanto che lui più volte ci chiedeva di mettere in scena qualcosa tratta dai suoi scrit-ti, anzi quasi presagendo ci diceva con grande simpatia: “non do-vete aspettare che io muoia”. A me poi, quando ci incontravamo diceva sempre che incarnavo nell’aspetto, i capelli lunghi e i tratti mediterranei del viso, la protagonista di un suo racconto “Una santa”. Purtroppo ha avuto ragione: solo in occasione del primo anniversario della sua morte abbiamo fatto un recital per lui, con lui e su di lui, zigzagando tra le pagine dei libri da lui scritti. Io ho avuto modo di conoscerlo meglio, seguendo un suo corso, Corso di avvio alla pratica scrittoria, organizzato dalla Libreria Monda-dori di Modica; del resto tra Ciccio Belgiorno, Piera e Stefano c’era un rapporto di stima e affetto fortissimi. Dello scrittore, modicano di adozione, si è scritto tanto, ma forse non ancora abbastanza: nasce a Siracusa nel 1939, viene a Modica all’età di 10 anni, qui trascorre parte della sua giovinezza. Si trasferisce per lavoro in Germania dove svolge attività di giornalista televisivo e tradutto-re. È autore di circa 20 libri, tra cui Il Giardino e l’assenza, L’arca sicula, I guardiani di nuvole, L’accalappiatempo, Racconti dell’an-no di mezzo. Rinomata, a livello internazionale, è la sua collezione di traduzioni dell’Ulysse di J. Joice. Lo affascinava Ulisse, in fondo ognuno di noi si sente un po’ “Ulisse”. Dopo il lungo periodo in Germania, come un “Ulisse” in cerca della sua patria è tornato a Modica, dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita insieme a Brigitte, la moglie amatissima. A due anni dalla morte, io voglio ricordarlo per come l’ho conosciuto io, ho imparato ad apprezzar-lo come scrittore, ancora poco studiato dalla critica, da modicana come non ricordare le pagine dedicate a Modica: “Come un raris-simo insetto pietrificato, Modica è rimasta intatta. La storia vi è passata come un vento che talvolta ha portato via testimonianze del suo splendore, ma la gioia della pietra vi canta ancora…Da qualunque punto si osservi, Modica appare come un vascello di pietra pronto a levare gli ormeggi per ignote destinazioni”; come uomo: sono un insegnamento la sua umiltà e sincerità nei rappor-ti e il suo umorismo; come intellettuale: sono un modello il senso critico, la capacità di analisi e la schiettezza delle opinioni che lo caratterizzavano; spesso capitava di incontrarlo presso la dolceria Bonajuto o da Francesco della libreria La talpa, suo grandissimo amico, con il suo cappello a falde larghe, la sciarpa e l’imperme-abile, che esprimeva, senza ipocrisia alcuna, il suo dissenso per tante cose insensate che vedeva accadere intorno a sé, col rischio di apparire magari sgradevole; ne Il giardino e l’assenza scrive: “Le città sono come i visi delle persone, si possono riconoscere anche quando sono invecchiate…Ma arrivare oggi a Modica e vederne solamente le ferite, è come annegare in un mare prosciugato. I modicani hanno smesso di pensare verticalmente, per perdersi nella piattezza del tutto uguale. La loro incuria e la loro rasse-gnazione hanno significato guasti peggiori di quelli provocati dalla naturale consunzione dei secoli”. Quando lo vedevo amareggiato, inquieto, mi chiedevo: chissà se ha trovato il suo approdo? Mi vengono in mente, alcuni versi tratti dall’Ulisse di U. Saba: Oggi il mio regno/ è quella terra di nessuno. Il porto/ accende ad altri suoi lumi; me al largo/ sospinge ancora il non domato spirto, /e della vita il doloroso amore. È preferibile la sicurezza del porto o l’incertezza dello spingersi al largo? Chissà se mai si trova il giu-sto approdo! Belgiorno ci risponderebbe, così come ha scritto ne Il giardino e l’assenza: “Siamo Ulissi esiliati senza colpa e senza avventure, poveri raminghi capitati nelle periferie di Europe ai confini con il freddo, in terre dove l’illusione della realtà che cer-cavamo si è fatta realtà dell’illusione”.

ricordandoCiccio belgiorno

Fatima Palazzolo