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L’ITIN HERA RIO INVISIBILE 1 IL CICLO IDRICO Materiali di approfondimento Capitolo 2 – L’acqua, l’uomo e il territorio Indice Gli acquedotti e le grandi infrastrutture: dagli antichi Romani al Medioevo 3 Le bonifiche 4 La grande bonifica Estense 5 I metodi di bonifica 7 Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R) 7 Le dighe 8 L’approfondimento: La vittoria sull’acqua 10 L’approfondimento: Una storia lunga 2000 anni 10 Una lotta per governare l’acqua 11 L’Acquedotto della Romagna 13 La Diga di Ridracoli 13 Riferimenti bibliografici e web 15

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L ’ I T I N H E R A R I O I N V I S I B I L E

1

IL CICLO IDRICO

Materiali di approfondimento

Capitolo 2 – L’acqua, l’uomo e il territorio

Indice

Gli acquedotti e le grandi infrastrutture: dagli antichi Romani al Medioevo 3

Le bonifiche 4

La grande bonifica Estense 5

I metodi di bonifica 7

Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R) 7

Le dighe 8

L’approfondimento: La vittoria sull’acqua 10

L’approfondimento: Una storia lunga 2000 anni 10

Una lotta per governare l’acqua 11

L’Acquedotto della Romagna 13

La Diga di Ridracoli 13

Riferimenti bibliografici e web 15

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Elemento vitale, prezioso, soprattutto in alcune zone della Terra, da sempre l’acqua ha guidato le

scelte dell’uomo sia quando era nomade, sia quando ha cominciato a fermarsi per periodi lunghi:

non a caso infatti molti insediamenti umani furono storicamente localizzati proprio in luoghi nei

quali vi era grande disponibilità di acqua di buona qualità.

Con il passare del tempo, e l’aumento degli insediamenti umani, si rese necessario escogitare

metodi per l’approvvigionamento dell’acqua non immediatamente disponibile da fiumi o laghi,

scavando pozzi e inventando sistemi per trasportarla: ad esempio in Egitto si usavano palme

vuote, mentre in Cina e Giappone canne di bambù.

Anche se abitualmente si associa l'acquedotto (dal latino “aqua”, acqua, e “ducere”, condurre)

all'Antica Roma, in realtà la sua invenzione risale ad alcuni secoli prima, quando, nel Medio

Oriente, antichi popoli come i babilonesi e gli egiziani costruirono sofisticati impianti di irrigazione.

Lo shaduf per esempio è uno strumento semplice e ingegnoso adottato a partire dal II millennio

a.C. dalle popolazioni egiziane per pescare acqua da fiumi e laghi e alimentare canali a un livello

più alto o innaffiare campi coltivati, palmeti, viti, orti. L’attrezzo è composto da due pali, uniti in

alto da un’asse su cui poggia una lunga pertica. Ai due estremi della pertica vi sono un peso (un

masso) e un secchio. Un uomo da solo, manovrando la pertica, può raccogliere e sollevare circa

3000 litri d’acqua al giorno. Quando i dislivelli da risalire sono sensibili, gli shaduf vengono messi

in fila lungo il declivio.

Shaduf

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Anche in Mesopotamia venivano costruiti acquedotti che portavano l’acqua alle cittadine in

condutture protette. In Palestina l'acqua del Siloe (700 a.C.) arrivava sino a Gerusalemme grazie

a tubazioni scavate nella roccia per oltre cinquecento metri. L'antica Grecia era servita da

acquedotti con molti chilometri di condutture fittili o di condotte scavate nella roccia.

Gli acquedotti di stile romano furono usati sin dal VII secolo a.C., quando gli Assiri costruirono

una struttura di calcare alta 10 m e lunga 300 m per trasportare l'acqua attraverso una valle fino

alla capitale Ninive per una lunghezza totale di 80 km.

Gli acquedotti e le grandi infrastrutture: dagli antichi Romani al Medioevo

I romani hanno realizzato molti acquedotti nei territori da loro occupati, alcuni molto complessi

altri più semplici, ma tutti rappresentano ancor oggi esempi di alta tecnologia ingegneristica. La

stessa città di Roma ebbe la più grande concentrazione di condotte idriche, con 11 acquedotti

costruiti nell'arco di cinque secoli, con una lunghezza complessiva di circa 350 km.

Gli acquedotti realizzati dai Romani potevano essere di superficie con canali artificiali, ponti,

viadotti oppure con condotte in pressione sotto il terreno.

Acquedotto romano a Nimes (Francia), risalente al 19 a.C.

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Con l’arrivo del Medioevo molte delle esperienze e conoscenze accumulate dagli antichi romani

vennero perse e in Europa la costruzione di acquedotti si interruppe fino al XIX secolo. In questi

secoli gli approvvigionamenti d’acqua vennero garantiti principalmente tramite lo scavo di pozzi,

generando, in alcuni casi, problemi di salute pubblica dovuti a falde acquifere contaminate.

Il Medioevo si contraddistingue per la scarsità di acqua potabile nei centri urbani, che ha favorito

lo svilupparsi di malattie come il colera e la malaria, legate all’uso di acqua non potabile e

all’esistenza di acque stagnanti.

La scarsa disponibilità di acqua e gli aumentati rischi igienici dovuti ai metodi di conservazione

dell’acqua hanno permesso che si diffondesse l’usanza di non lavarsi, arrivando a credere che il

bagno non fosse salutare, tanto che gli stessi ricchi, i nobili e perfino i re si lavavano assai

raramente, preferendo usare parrucche incipriate e cospargersi di profumi che nascondevano il

cattivo odore della sporcizia.

L'avversione per il bagno nel Medioevo fu influenzata anche dalla convinzione della Chiesa

cristiana che la nudità dei corpi nei bagni pubblici fosse occasione di peccato, tanto che lo stesso

battesimo non venne più praticato come in origine sulle rive dei fiumi ma in appositi battisteri

chiusi. Significativi di questa mentalità sono alcuni proverbi popolari come:"più il capro puzza, più

la capra l'ama" o "finché i pidocchi restano sulla testa la salute è buona".

Le bonifiche

Per bonifica si intende l’insieme delle azioni e degli interventi che mirano al prosciugamento di

un’area ricoperta dalle acque con lo scopo di recuperare terreno e migliorare le condizioni

igienico sanitarie di quell’ ambiente.

L’idea della bonifica delle terre padane nasce già in epoca Romana, anche se può essere

considerata solo una prima fase di difesa di un territorio dalle acque, lontani da un organico

progetto che renderà definitivi la regimazione e il controllo di un sistema idrografico. I Romani

infatti, assimilate e perfezionate le conoscenze idrauliche etrusche, sfruttando e modificando

strutture naturali (dossi, spalloni, conidi di terra), costruendo piccoli canaletti artificiali per far

passare le acque (tramite paratie di legno a saracinesca), riuscirono a convogliare l’acqua in

eccesso (che altrimenti avrebbe inondato le terre) in naturali depressioni opportunamente

arginate.

L’uomo, dall’età antica alla fine del Medioevo, riuscì a instaurare un rapporto non sempre del tutto

stabile tra la propria esistenza e il proprio habitat, le cui caratteristiche morfologiche variavano a

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seconda del clima, delle precipitazioni, delle esondazioni, dell’ampliamento degli specchi

acquitrinosi, delle variazioni di alveo e dal trasporto di limo, per cui l’uomo era costretto ad

adattarsi e molto spesso anche spostarsi.

È durante il Medioevo che l’uomo inizia la sua lunga lotta per bonificare l’area oggi occupata dal

Parco del Delta del Po, anche se fino alla fine del XIV secolo l’uomo sarà un impotente spettatore

di questo continuo variare di terre emerse e aree lacustri.

Per attivare un sistematico programma di interventi occorrerà attendere la metà del XV secolo

con l’impegno della signoria degli Estensi che darà impulso alla prima grande fase di bonifica e di

assetto di queste terre (1460-1580).

Primi tentativi di regimazione delle acque

La grande bonifica Estense

Durante il periodo estense, il ferrarese fu oggetto di diversi interventi di regolamentazione delle

acque. Sicuramente il più significativo fu la bonifica, promossa da Alfonso II, del Polesine di San

Giovanni, territorio compreso tra il Po di Venezia, il mare e il Po di Volano. I lavori iniziarono nel

1564, si interruppero per problemi finanziari, e ripresero nel 1566 seguendo un criterio, ancora

oggi utilizzato, che prevede la separazione delle acque alte, provenienti da terreni con quote

altimetriche superiori, dalle acque basse, provenienti da terreni posti a livello inferiore, per

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condurle separatamente al mare. Le acque alte vennero portate al mare attraverso un canale

collettore, il Canal Bianco che sfociava nel Po, mentre le acque basse vennero allontanate

attraverso quattro collettori principali. Due di questi, il canale Bentivoglio e il canale Seminiato, si

immettevano nel tratto finale del Po come il canal Bianco. Queste acque venivano scaricate a

mare attraverso una chiavica, detta Torre dell’Abate, le cui porte vinciane garantivano il regolare

deflusso e impedivano l’accesso delle acque marine in caso di alta marea. Gli altri due collettori

delle acque basse erano i canali Galvano e Ippolito, che sfociavano nel porto di Volano con una

chiavica simile a Torre dell’Abate.

Torre Abate, Loc. Santa Giustina (FE)

La grande bonificazione estense terminò nel 1579 ma non ebbe effetti duraturi. Il taglio di Porto

Viro, deviazione realizzata dai Veneziani nel tratto terminale del Po per impedire l’interrimento

della laguna di Venezia, annullò l’opera di bonifica intrapresa dalla signoria Estense.

Dal 1604 il fiume cominciò a scorrere nell’alveo artificiale e i depositi di sabbia si rivolsero a sud

interrando il porto di Goro e il porto dell’Abate, rendendo difficile lo scolo dei canali collettori.

Contemporaneamente, per un gioco di correnti marine, il porto di Volano, in cui sfociavano i

canali Galvano e Ippolito, venne invaso dalle acque del mare portando la distruzione della

chiavica Volano e conseguentemente rendendo impossibile lo scolo delle acque basse.

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Nel XVII secolo le acque ricoprirono gran parte dei circa 32.000 ettari di terreno bonificato da

Alfonso II.

Solo con l’avvento della bonifica meccanica nel XIX secolo il territorio ferrarese avrà un assetto

definitivo.

I metodi di bonifica

I metodi di bonifica sono diversi a seconda del territorio con il quale ci si confronta:

- la bonifica per colmata, ovvero l’innalzamento del piano di campagna al di sopra dell’acqua, e il

prosciugamento. La bonifica per colmata si ottiene arginando un’area valliva (cassa di colmata) e

immettendo in essa uno o più fiumi liberi di spagliare le loro acque; a quote diverse vengono

realizzati dei canali minori detti savenelle per far defluire le acque decantate dai detriti. I

sedimenti depositati dai corsi d’acqua determinano, con il trascorrere degli anni, l’innalzamento

del fondo del terreno. Questo sistema di bonifica riproduce artificialmente i processi di

deposizione sedimentaria a seguito di alluvioni. Il costante apporto di depositi alluvionali

determina lo stratificarsi di sedimenti che innalzano il piano di campagna.

- la bonifica per scolo naturale, possibile solo quando le aree da prosciugare presentano quote

tali che permettano il deflusso delle acque per gravità verso il mare o verso fiumi importanti.

- la bonifica per scolo meccanico, metodo più moderno per prosciugare aree sommerse dalle

acque. Dalla seconda metà dell‘800, periodo in cui si diffuse l’utilizzo di pompe a vapore, si

introdussero le idrovore per sollevare le acque. L’avvento della bonifica per scolo meccanico

permise di prosciugare vasti territori fino ad allora considerati non bonificabili per le notevoli

depressioni in cui si trovavano. Le acque sollevate di vari metri vengono immesse in canali

collettori e fatte defluire in fiumi principali o direttamente al mare.

Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R)

Il Canale Emiliano Romagnolo (C.E.R) è tra le più importanti opere idrauliche italiane. Il primo

progetto risale al 1620 quando l'abate Raffaello Tirelli di Reggio-Emilia propone al duca Cesare

d'Este l'idea di prendere le acque dal Po per irrigare le province di Piacenza, Parma, Reggio

Emilia, Modena e Bologna. Perché il progetto diventi un’opera concreta si dovrà aspettare il

1947, anno in cui il progetto trova la sua versione definitiva combinando le esigenze delle piene

del Reno con quelle dell'irrigazione della pianura bolognese e romagnola. Il C.E.R. è infatti

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l’opera voluta per risolvere i problemi di approvvigionamento di acqua delle cinque province

orientali della regione (Ferrara, Bologna, Ravenna, Forli-Cesena e Rimini).

Canale Emiliano Romagnolo, veduta aerea

Il Canale è una delle più importanti opere idrauliche dell'Italia. Garantisce, con una derivazione

dal fiume Po, l'approvvigionamento idrico di un’area di circa 3.300 ha, caratterizzata da una

intensa attività agricola e da molti insediamenti urbani e industriali, ma povero di acque

superficiali. Dopo quasi 400 anni dal primo progetto e iniziato nel 1955, il C.E.R. è in grado di

esprimere tutto il suo potenziale al servizio di una delle regioni più produttive d'Europa, su un

percorso di circa 150 km e tramite 7 stazioni di pompaggio delle acque e 7 milioni di metri cubi

d'acqua serviti annualmente.

Le dighe

La Commissione Internazionale sulle Grandi Dighe, istituita a Parigi nel 1928, definisce “diga” i

manufatti superiori a 15 metri o anche quelli compresi tra 5 e 15 metri e con un serbatoio di oltre

3 milioni di m cubi di acqua.

Le dighe sono destinate a trattenere le portate fluviali nei periodi di maggiore abbondanza, per

renderle disponibili nei mesi o negli anni di minore deflusso, oppure per formare invasi in grado di

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raccogliere le precipitazioni, evitandone l'evaporazione nell'atmosfera e l'infiltrazione nel suolo,

oppure per costituire un ostacolo all'andamento stesso del fiume, deviandolo dal suo corso

naturale verso un letto artificialmente modellato, al fine di addurre acque verso luoghi nei quali la

domanda è particolarmente intensa o ci si aspettano grandi benefici energetici e agricoli. Senza

l'immane lavoro compiuto durante tutta la storia dell'umanità attraverso la costruzione di dighe di

ogni dimensione, oggi l’uomo non potrebbe disporre se non di una modesta frazione dell'acqua

che invece può utilizzare.

Nella storia dell’uomo le dighe sono sempre esistite: da sempre gli uomini hanno costruito piccoli

sbarramenti per deviazioni, forse rispondendo a un istinto tra l’altro radicato anche negli animali,

se si considerano le straordinarie opere che i castori sono capaci di realizzare in natura.

Già durante l’antichità, nel bacino di grandi fiumi come il Nilo, il Tigri e l’Eufrate, si suppone, per

esempio, che Menes, il primo leggendario faraone, abbia fatto costruire dighe allo scopo di

deviare il corso del Nilo ed edificare la città di Menfi sui terreni sottratti alle acque. Se così fosse,

il primo sbarramento a noi noto dovrebbe essere stato costruito in Egitto circa 3-4.000 anni prima

della nascita di Cristo.

Gran parte delle antiche dighe in terra, tra cui quelle costruite dai babilonesi, facevano parte però

di complessi sistemi di irrigazione che trasformavano regioni altrimenti improduttive in fertili

pianure. Tuttavia, proprio a causa del materiale usato e dei danni provocati dalle inondazioni,

poche tracce di questi manufatti si sono conservate fino a oggi.

La costruzione di dighe "moderne" diventa possibile solo con l'avvento del cemento e del

calcestruzzo e con l'introduzione delle macchine per il movimento della terra. Le prime dighe,

infatti, erano costruite per lo più con argilla mista a fango nel centro, e caratterizzate da fiancate

esterne di pendenza uniforme: nel 1852 la diga inglese di Holmfirth, presso Hudderfield, viene

minata da un'infiltrazione, mentre nel 1964, solo dodici anni più tardi, si verifica un

impressionante disastro a Dale Dyke, nuovo bacino artificiale costruito per Sheffield, che crolla al

momento del riempimento, provocando la morte di centinaia persone. Già da tempo gli ingegneri

francesi giudicavano pericolose le dighe di terra più alte di 19 metri e così, a partire dal 1850,

presentano i primi progetti di sbarramenti basati su principi scientifici.

Tra il 1861 e il 1866 viene progettata e realizzata la diga di Furens, su un affluente della Loira,

per fornire acqua alla città di Saint-Etienne. È la prima diga a essere costruita con i nuovi principi:

nuovi materiali, pareti convesse, calcolo dei punti di maggiore pressione. Questa diga è rimasta a

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lungo la più alta del mondo. Contemporaneamente con lo sbarramento di Zola, presso Aix-en-

Provence, e la diga per l'irrigazione della Valle degli Orsi in California, vengono costruite le prime

dighe ad arco, una tipologia che però non diventerà comune fino al ventesimo secolo. Lo scopo

di costruire sbarramenti sui corsi dei fiumi, comunque, non è più solo quello di controllare le piene

o creare bacini per l'irrigazione, ma la produzione di elettricità grazie alla forza idraulica, resa

possibile dallo sviluppo del generatore elettrico (un miglioramento della turbina idraulica). Il primo

impianto idroelettrico viene costruito nel 1880 nel Northumberland, in Inghilterra. Da allora, a

causa anche della crescente domanda di elettricità che ha caratterizzato il ventesimo secolo,

gran parte dei principali fiumi della Terra sono stati sbarrati e imbrigliati con opere sempre più

ardite e complesse.

La vittoria sull'acqua

I primi imperatori si circondarono di consiglieri, il più celebre dei quali fu un certo Yao, al quale è attribuita una

delle più grandi vittorie della Cina di tutti i tempi: la vittoria sull'acqua. Mentre i suoi predecessori si sforzavano di

costruire dighe che il Fiume Giallo portava via a ogni piena, Yao fece scavare il letto del fiume e preparare i nuovi

canali per condurre fino al mare le acque eccedenti. Come ricompensa Yao fu designato erede dal suo imperatore

e fondò la dinastia degli Hsia.

Una storia lunga 2000 anni

Un quinto dell’attuale sistema idrico di Bologna è in parte garantito da un acquedotto attivo da circa 2.000 anni. I

romani per approvvigionarsi di acqua scavarono intorno all’anno 100 a.C. un tunnel che intercettava l’acqua del

Setta, che già all’epoca era più pura di quella del Reno. L'acquedotto prelevava acqua a Sasso Marconi dal fiume

Setta e la convogliava fino al palazzo oggi dell'Ente Ferrovie, angolo via d'Azeglio con via Farini, dove c'era una

vasca di decantazione. Poi da lì, attraverso il sistema delle fistulae aquariae (tubi di piombo) l'acqua veniva

distribuita a tutta la città. La condotta al momento della sua costruzione aveva una sezione libera di 0,6 m x 1,9 m,

per una lunghezza di 18 chilometri e un dislivello di 18 metri.

A causa delle invasioni barbariche l’opera non ebbe più le manutenzioni necessarie al suo corretto funzionamento

e in breve tempo venne abbandonata. Si dovranno aspettare 15 secoli perché si dia inizio ai lavori di recupero del

manufatto. Le opere di restauro durano circa 5 anni, dal 1876 al 1881, e la cerimonia di inaugurazione è datata 5

giugno 1881.

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Una lotta per governare l’acqua

Nei secoli l’uomo, tramite esperienza e ingegno, ha inventato e sperimentato diversi metodi per

cercare di “governare” e regimare l’acqua e le sue continue invasioni. Molti sono nati dalla

semplice osservazione dei fenomeni naturali, altri sono vere e proprie opera di alta ingegneria.

La regolazione dei flussi dell’acqua è stata per l’uomo fondamentale, prima di tutto come

protezione dalle inondazioni, ma anche per poterla sfruttare a suo beneficio per gli usi agricoli e

industriali. Nel nostro territorio non è difficile osservare ancora in uso alcuni di questi antichi

metodi o trovarne i resti, come le casse di espansione, le briglie e gli argini: tutti sistemi che

hanno non solo modellato il territorio ma anche permesso all’uomo di occupare zone non sempre

ospitali.

Le casse di espansione

Le casse di espansione sono dei bacini idrici artificiali nei quali vengono convogliate le acque di

un fiume quando la portata dello stesso supera un certo limite. In questo modo si evita che

l'acqua esondi dagli argini causando danni agli insediamenti vicini.

Le casse di espansione sono opere molto diffuse in Emilia Romagna, presenti sia sui grandi

affluenti del fiume Po sia negli altri corsi d’acqua regionali e in particolare nel bacino del Reno. Le

Valli di Campotto, per esempio, sono bacini d’acqua dolce utilizzati come cassa di espansione

per il sistema scolante della bassa pianura bolognese afferente al fiume Reno. In questa zona

arrivano i fiumi Idice, Quaderna e Sillaro, e i canali Lorgana, Della Botte, Menata e Garda, i quali

affluiscono al Reno in località Bastia. In caso di piena dei fiumi o dei canali le acque vengono

temporaneamente immesse in bacini arginati (casse di espansione), che a Campotto coprono

una superficie di circa 850 ha e offrono un invaso di circa 30.000.000 di mc d’acqua. Le acque

vengono immesse durante le piene per essere poi successivamente scaricate, tramite pompe

idrovore, nel fiume Reno. Le casse di espansione di Campotto sono suddivise in tre comparti:

Cassa Campotto (400 ha), Valle Santa (250 ha), e Cassa Bassarone (200 ha) riallagata nel 1983.

Queste zone sono molto interessanti anche dal punto di vista naturalistico.

Altri esempi degni di nota sono le casse di espansione del fiume Secchia e quelle del Panaro.

Gli argini

L'argine è un'opera di difesa passiva del territorio che serve a impedire a un corso d’acqua di

straripare durante i periodi di piena. Generalmente è costituito da un rilievo in terra

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impermeabilizzato. Gli argini possono essere disposti in froldo, ovvero al limite dell'alveo, oppure

a una certa distanza da questo. In questo caso la fascia di terreno compresa tra l'alveo e l'argine

prende il nome di golena. L'argine si dispone in froldo quando manca spazio o l'area da difendere

ha un valore troppo elevato per sacrificarla creando la golena. La disposizione a froldo, limitando

drasticamente l'espansione laterale del fiume, comporta un forte innalzamento dei livelli di piena

ed è sottoposta ad azioni erosive molto più intense rispetto a un argine in golena.

Argini di un fiume – lavori in corso

La dimensione degli argini di un fiume o di un canale dipendono dalla intensità degli eventi di

piena previsti in un arco di tempo pluriennale (definito anche come "tempo di ritorno"), che

permette di definire la quota massima del livello idrico in questo periodo e quindi di dimensionare

l’argine.

Le briglie

La briglia è un'opera di ingegneria idraulica concepita per ridurre il trasporto di materiale solido di

fondo da parte di un corso d'acqua (torrente o fiume), creando un deposito a monte di essa. Può

essere costruita in muratura, in terra, in legname e in gabbioni. Una briglia è costituita da una

fondazione (posta sottoterra) e da un'ala (posta al di sopra), dalla gaveta (una concavità dell’ala)

e da eventuali feritoie (fori). In genere in un corso d’acqua, vengono costruite più briglie. Ogni

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briglia deve essere posta a una determinata distanza dalla successiva in modo tale da creare una

pendenza di compensazione del corso d’acqua che permetta alle briglie di diminuire la pendenza

dell’alveo formando salti di fondo fino a ridurre la capacità erosiva del corso d’acqua a valori tali

che il letto non venga eroso. Famose le briglie sul Tevere in prossimità dell'Isola Tiberina per

equilibrare il livello del fiume nei due rami che fluiscono ai lati dell'isola.

L’Acquedotto della Romagna

Circa il 50% dell’acqua potabile necessaria a soddisfare il fabbisogno delle province di Ravenna,

Forlì-Cesena e Rimini, è garantito dall'Acquedotto della Romagna.

L'Acquedotto della Romagna, realizzato da Romagna Acque - Società delle Fonti e attivo dal

1988, è un complesso costituito dalla Diga di Ridracoli, dalla centrale idroelettrica di Isola, dalle

vasche di carico di Montecasale, dall'impianto di potabilizzazione e dalla rete acquedottistica che

distribuisce l'acqua agli utenti. L’Acquedotto è alimentato dall'acqua raccolta nell'invaso artificiale

di Ridracoli formato dall'omonima diga che sbarra il torrente Bidente. L'invaso, caratterizzato da

una capacità utile di 30 milioni di m3, ha un'importante funzione di compenso annuale, poiché

consente di immagazzinare l'acqua nei periodi di abbondanti apporti per poi renderla disponibile

nei periodi estivi, in cui alla scarsità di piogge si aggiunge l'elevata richiesta dovuta alle presenze

turistiche nella riviera romagnola. L'acqua è potabilizzata presso il centro operativo di Capaccio

nel Comune di Santa Sofia.

L'Acquedotto della Romagna è in grado di fornire ogni anno circa 50 Mmc d'acqua.

La Diga di Ridracoli

L'opera principale dell'Acquedotto di Romagna, e quella che sicuramente ha richiesto più

impegno per la sua costruzione, è la Diga di Ridracoli. Lo sbarramento è stato costruito in una

stretta valle a circa 10 km dall'abitato di S. Sofia e a circa 50 km a Sud-Est di Forlì nel territorio

del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. La sua posizione, nel punto di confluenza del

fiume Bidente e del Rio Celluzze, è stata individuata sulla base di alcune fondamentali

caratteristiche:

- la posizione centrale dell'invaso rispetto ai Comuni aderenti al progetto;

- la morfologia e la struttura geologica della zona;

- la qualità dell'acqua che poteva essere raccolta;

- la totale assenza di possibili fonti di inquinamento;

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- la pressoché totale copertura vegetale dei bacini imbriferi con boschi cedui e ad alto fusto;

- la quota sul livello del mare del serbatoio, che consente di portare l'acqua “per caduta” alla

quasi totalità di utenti consentendo così un notevole risparmio energetico.

La Diga e il lago di Ridracoli

Quella di Ridracoli è una diga ad arco-gravità: per ottenere resistenza sfrutta cioè un sistema

“ibrido” tra quello delle dighe ad arco (che scaricano il peso sulla parete rocciosa grazie alla

forma) e quello delle dighe a gravità, più tozze e massicce.

La diga è alta 103,5 m, con una larghezza massima di 36 m alla base e 10 m sul camminamento

superiore (“coronamento”). La lunghezza dell'arco è di 432 m, per un totale di 600 mila m3 di

calcestruzzo.

La struttura si sviluppa su 27 conci, posati su un pulvino (elemento che ha la funzione di ripartire

il carico da una struttura sovrastante a una sottostante) che segue il profilo della diga.

Nella spalla destra della diga si trovano gli impianti per la presa dell'acqua, che viene poi inviata

all'acquedotto. La presa avviene da due imbocchi distanti tra loro 50 m in verticale. L'Acquedotto

della Romagna ha una condotta principale di 33 chilometri, capace di 3000 litri al secondo. Per

completare la diga vennero impiegati 6 anni.

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L ’ I T I N H E R A R I O I N V I S I B I L E

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Riferimenti bibliografici

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AA.VV., 1990. Terra e acqua, le bonifiche ferraresi nel delta del Po. Gabriele Corbo Editore.

Miguel A. Altieri 1991. Verso una agricoltura biologica. Padova Franco Muzzio Editore.

Agricoltura, mensile dell’Ass.to Agricoltura, Ambiente e Sviluppo Sostenibile, Regione Emilia

Romagna, numeri vari.

Romagna Acque S.p.A., 1997. L’Acquedotto della Romagna.

Riferimenti Web

� www.consorziocer.it

� www.romagnaacque.it

� www.storiaurbana.it

� www.wikipedia.it