Il centenario della nascita di Bruno Veronese Un ... · prezzo di un frastuono e di un caldo tali...

8
172 Il centenario della nascita di Bruno Veronese UN PRECURSORE DELLA DIFFUSIONE DELLO YACHTING di Giovanni Panella A Genova si ricorda il centenario della nascita di Bruno Veronese (1911-1991), un progettista di yacht che passò la giovinezza tra Sturla e Vernazzola, borghi marinari che sono stati una fucina di velisti e di marinai. Bruno Veronese insieme alla marchesa Elisabetta Centurione. Nella foto di fondo, la seconda L’Euridice, del 1963.

Transcript of Il centenario della nascita di Bruno Veronese Un ... · prezzo di un frastuono e di un caldo tali...

172

Il centenario della nascita di Bruno Veronese

Un precUrsore della diffUsione dello yachtingdi Giovanni Panella

A Genova si ricorda il centenariodella nascita di Bruno Veronese(1911-1991), un progettista di yachtche passò la giovinezza tra Sturla e Vernazzola, borghi marinari che sonostati una fucina di velisti e di marinai.

Bruno Veronese insieme alla marchesa Elisabetta Centurione.

Nella foto di fondo, la seconda L’Euridice, del 1963.

173

nelle foto di quelle spiagge degli anni Venti e trenta si distinguono dei ragazzi al timone di modeste

derive: tra i durand de la penne, reggio, croce, si riconosce anche il volto di Bruno Veronese. come usava a quel tempo, la sua prima barca a vela fu il Mizar, un dinghy 12 piedi. in seguito Veronese frequentò l’università di genova, dove si laureò in economia e in geografia, per poi iscriver-si all’accademia navale di livorno. nel 1935 fu imbarcato come ufficiale di rotta sul cacciatorpediniere dardo e poi su una flottiglia di Mas basata a la spezia. anche nel corso dei lunghi anni di servizio bellico non smise di pensare alla vela: nel 1944

iniziò a lavorare al suo primo libro, inti-tolato yachting, a bordo dell’incrociatore coloniale eritrea, impegnato in lunghi pat-tugliamenti nell’oceano indiano. termina-to il conflitto, Veronese, che aveva conse-guito anche la qualifica di maestro d’ascia, fece diversi anni di imbarco come capitano di lungo corso sulle navi passeggeri. infine, sempre proseguendo la sua attività di pro-gettista, divenne dirigente presso l’ente per il turismo di genova.nel panorama della vela italiana del do-poguerra egli si distinse non solo per aver prodotto un notevole numero di yacht ma anche per l’eleganza del tratto, che ren-deva facilmente riconoscibili le sue cre-ature. negli anni cinquanta, quando in Mediterraneo si progettavano ancora yacht lunghi e stretti, dalle forme influenzate delle regole delle classi internazionali, i

suoi disegni rappresentarono un punto di svolta. in quel periodo Bruno Veronese, insieme al veneziano artù chiggiato, fu infatti l’interprete, spesso originale, delle nuove tendenze progettuali che perveniva-no dal mondo anglosassone. nel suo modo di concepire l’andar per mare, le forme di uno scafo non erano scelte per raggiungere il massimo della velocità, ma per permette-re all’armatore di svolgere crociere sicure e confortevoli, tenendo sempre d’occhio l’eleganza delle linee e l’economia della costruzione. egli non dimenticò mai di essere innanzitutto un marinaio e quindi volle progettare imbarcazioni che offrissero doti di tenuta al mare e di facilità di mano-

vra: caratteristiche che rendono possibili crociere impegnative anche a yacht di di-mensioni limitate e che quindi possono av-vicinare alla vela chi non dispone di grandi fortune. per molti anni Veronese fu poi il segretario genovese della “little ship as-sociation”, che raccoglieva gli armatori che affrontavano lunghe navigazioni su piccoli scafi e fu quindi in contatto con tutti gli yachtsmen “di lungo corso” che faceva-no scalo nel porto di genova, con i quali manteneva poi lunghi rapporti epistolari. così Veronese divenne uno dei precursori della diffusione dello yachting e svolse un ruolo importante in un paese come il no-stro, dove il numero di praticanti di questo sport era nettamente inferiore a quello di altre nazioni europee. se infatti fino agli anni cinquanta l’italia aveva espresso progettisti di scafi da competizione di no-

tevole livello, da Baglietto a costaguta, lo yachting rimaneva pur sempre un’attività riservata a una ristretta élite. Veronese non si limitava a disegnare le bar-che ma le utilizzava regolarmente in crocie-ra, attorniato da un gruppo selezionato di amici. i suoi ricordi e le foto dei porti e del-le coste italiane di quel tempo hanno un sa-pore antico: si intravedono pochissime im-barcazioni all’ancora. Una componente del suo equipaggio, silvia Minas, ricorda così l’atmosfera che si respirava a bordo dell’a-glae, una delle sue realizzazioni: «Marietto, il suo armatore, aveva voluto dal proget-tista una barca “bella pianella” impostata intorno a un pozzetto grande abbastanza da

potervi montare un tavolo degno di questo nome, che consentisse comode gioie convi-viali. le navigazioni per la capraia, che do-verosamente seguirono, erano uno spasso. il famoso motore funzionava a dovere, ma al prezzo di un frastuono e di un caldo tali da far optare quasi sempre per la vela. l’ottimo vino bianco di gavi, che l’amico lolli of-friva all’equipaggio, scendeva lieve in gola, spesso corroborato dallo squisito musciame e dalla focaccia, perfezionando quella sen-sazione di affiatamento che fa la gioia di chi è a bordo. Quando giungeva il profumo della capraia da sopravvento, le manovre per la virata si coordinavano ancora meglio, mentre sorgeva il geloso pensiero che qual-cuno o qualcosa potesse mai sciupare quel rude approdo. l’unico occasionale compa-gno dell’aglae, laggiù, era il barcone dei carcerati, pieno di aragoste appena pescate.

L’Aglae in costruzione presso il cantiere Canaletti di La Spezia nel 1966.

La prima L’Euridice sulla spiaggia di Recco.

174

e qualche volta l’equipaggio ne riceveva anche una in regalo!». si prova un senti-mento di invidia per chi ha potuto godere il Mediterraneo com’era a quei tempi…

Scafi bilanciati, a tutte le andaturenel corso della sua opera Veronese ha sem-pre sottolineato l’importanza del “bilan-ciamento” degli scafi, una caratteristica che egli definiva così: «significa timone leggero, cioè una barca che non “tira” sotto qualunque angolo di sbandamento, anche con vento rafficoso. Uno yacht è bilanciato quando, sotto qualunque combinazione di vele, una volta tesate a segno le scotte, se ne va per conto suo, senza o quasi che sia necessario toccare più il timone».in fase di progettazione, un risultato del genere si ottiene cercando di far coincidere

(o per lo meno avvicinare) il centro di carena a scafo diritto con quello a scafo in-clinato, per esempio a 25 gradi. insomma, occorre che vi sia una certa equivalenza di volumi tra il corpo poppiero e quello pro-diero dell’opera viva dello scafo. dalla ma-tita di Veronese sono quindi usciti progetti come coppelia, uno yacht di 9,40 metri che stava in rotta da solo e il Melanea di 12,80 metri, che anche nelle andature di bolina si poteva tenere in rotta con un dito sul timone. erano doti che erano dovute all’influenza di personaggi come t. harri-son Butler (1871-1945), un valente medi-co oculista che, da progettista dilettante, disegnò molti piccoli yacht da crociera nel corso degli anni Venti e trenta. Butler dedicò alle unità minori un’attenzione e una cura al dettaglio che in quei tempi erano riservate a quelle maggiori: erano

scafi che potevano reggere bene al mare e presentavano interni confortevoli. il segre-to dei suoi yacht, che erano sempre docili al timone ed equilibrati a tutte le andatu-re, derivava dall’applicazione della teoria metacentrica. Butler l’aveva sviluppata dopo un incontro con l’ammiraglio turner, che aveva svolto approfonditi studi sulla stabilità e sul bilanciamento degli scafi in condizioni di sbandamento. la teoria metacentrica era fondata sul calcolo delle aree delle sezioni immerse dello scafo, per-ché, col variare dello sbandamento, se ne modificasse il meno possibile l’equilibrio statico. ne risultavano barche che “tene-vano la rotta da sole”, anche se non c’era nessuno al timone. ancor oggi gli yacht di Butler si distinguono di lontano perché portano attrezzature veliche essenziali e

qualche volta hanno il ponte rialzato a centro barca, una soluzione che semplifica la costruzione e offre una maggiore cubatu-ra sotto coperta. Butler scrisse molto sulla stampa specializzata e nel corso degli anni cinquanta le sue idee si diffusero anche in italia. in più, in un’epoca nella quale i timoni automatici dovevano ancora vedere la luce, le barche che “tenevano la rotta da sole” erano ricercate da chi si avventu-rava sulle rotte oceaniche con equipaggi ridotti. non parliamo poi dei navigatori solitari, per i quali rimanere al timone, giorno dopo giorno, costituiva davvero un bel problema… tra chi aveva apprezzato particolarmente uno scafo bilanciato si può ricordare Joshua slocum, il primo na-vigatore solitario che, tra il 1895 e il 1898, realizzò il periplo del globo. ecco come egli descrive il comportamento della sua barca,

lo spray, nel corso di una traversata senza scalo di 23 giorni dell’oceano pacifico: «tesai le vele, presi il timone e spronai lo spray ancora per un paio di miglia fino a trovarmi di fronte lo scalo di sbarco, dove diedi fondo alle 3,30 pomeridiane del 17 luglio 1897, il ventitreesimo giorno dopo la partenza dall’isola thursday. avevo per-corso una distanza di duemilasettecento miglia in linea retta, il che poteva equiva-lere a una bella traversata dell’atlantico. fu una navigazione deliziosa! durante quei ventitré giorni non avevo passato più di tre ore complessive al timone, compreso il tempo impiegato a bordeggiare nel porto di feeling. non feci che bloccare il timone, e lasciar libero lo spray; che il vento fosse al traverso o in fil di ruota, faceva esatta-mente lo stesso: esso si mantenne sempre

in rotta». Bisogna però aggiungere che la capacità dello spray di mantenere la rotta non era frutto di un calcolo specifico, ma di una combinazione fortunata».

I progettitra il dopoguerra e gli anni ottanta, gli yacht realizzati da Veronese furono più di una trentina e molti altri progetti rimasero nel cassetto. nel 1949 la sua prima realiz-zazione, per uso personale, fu l’euridice: uno scafo a clinker di 6,70 metri, che ven-ne varato dal cantiere passalacqua sulla spiaggia di recco. il suo nome era un tri-buto alla fregata sarda da 44 cannoni l’eu-ridice, varata a genova nel 1828. come si vede, la cultura di Veronese si manifestava anche nei nomi con cui battezzava le sue creature, scelti spesso attingendo alla mi-tologia classica, sicché oggi la rilettura del-

175

la lista dei suoi progetti ha un suono fuori dell’ordinario.il disegno più popolare di Veronese fu il flora, che nacque da un concorso indetto dal giornale britannico glasgow herald: il bando richiedeva uno yacht che fosse adatto alla navigazione lungo la diffici-le costa ovest della scozia, che a bordo potesse ospitare quattro persone e il cui costo (ad esclusione dell’arredamento in-terno e del motore), non superasse le 1.000 sterline. nel disegnarlo, Veronese, che da qualche tempo desiderava sostituire il suo primo yacht con uno di maggiori dimen-sioni, mise insieme le caratteristiche del suo yacht ideale. flora non vinse, perché il costo della sua realizzazione superava il limite indicato dal bando di concorso, ma la barca era tanto piaciuta alla giuria che

il suo disegno venne pubblicato insieme a quello del vincitore. dal flora quindi nel 1963 Veronese derivò per suo uso persona-le la seconda l’euridice: era uno yacht di 9,40 metri che fu costruito dal cantiere ca-naletti di la spezia. le sue linee eleganti venivano sottolineate dalla cura dei parti-colari e dall’opera morta, trattata a vernice. anche se Veronese aveva fatto realizzare molte sue creature in cantieri prestigiosi, come costaguta, o i cantieri italiani di pisa, egli amava i piccoli cantieri artigiana-li come quello di canaletti, dove le ossatu-re prendevano forma giorno per giorno tra montagne di trucioli, vicino alle cataste di legna e alle gabbie dei conigli, mentre poco lontano razzolavano i polli. se l’euridice, a quasi cinquant’anni dal varo può ancora essere ammirata nel porticciolo duca de-gli abruzzi di genova, il suo scafo ci dice

Bruno Veronese a bordo del cacciatorpediniere Dardo nel 1935.

176

come sia cambiato il modo di giudicare le dimensioni degli yacht: oggi una barca del genere è considerata “fuori mercato” a causa delle sue dimensioni ridotte, che comportano sistemazioni interne sparta-ne. d’altra parte quelle di Veronese erano barche essenziali perché, come diceva: «la semplicità a bordo non sarà mai lodata abbastanza: una barca fatta per l’andar per mare non dev’essere un salotto, serve un minimo per starvi comodi e nulla più».il suo approccio allo yachting gli consen-tiva di elaborare disegni che venivano in-contro alle esigenze specifiche dei singoli armatori. ecco come presenta pandora, uno scafo che con 8,50 metri di lunghezza fuori tutto dislocava ben 5 tonnellate: «e’ una barca nata per ragioni familiari. fatta per marito e moglie che potessero navigare da soli o con la compagnia eccezionale di un amico. i requisiti aggiuntivi erano che avesse una ottima tenuta di mare, un ragionevole rendimento a vela, una buona velocità a motore… la lunghezza doveva essere la minore possibile, per poter mano-vrare facilmente o con equipaggio ridotto nel congestionato porto di portofino, resi-denza dello yacht… ha risposto allo scopo ed ha fornito già parecchie piacevoli estati ai suoi proprietari. Vi sono molte barche più grandi di pandora che non ne hanno le comodità e lo spazio interni».anche aglae, di 7,5 metri di lunghezza, rappresentava un modello a sé: relativa-mente larga per quei tempi (2,80 metri) e di pescaggio limitato, disponeva di un poz-zetto di ampie dimensioni. con clymene, Veronese sviluppava il concetto di barca da crociera costiera (6,90 metri) con de-riva mobile, di costruzione relativamente facile ed economica, alla portata di qualsi-asi cantiere non specializzato: ne sono stati costruiti alcuni esemplari in legno e una serie in vetroresina. ancora più essenziale era la sula, uno scafo a spigolo di 6 metri, che rappresentava un tentativo di proporre una barca dalla realizzazione semplice ed economica, che fosse alla portata dei co-struttori dilettanti.già nel 1950 Veronese aveva progettato selene, uno yacht di 12 metri, pensato per le navigazioni estive in Mediterraneo, caratterizzate da venti leggeri e che quin-di montava un motore piuttosto potente. Quest’esperienza lo porterà in seguito a cimentarsi nella progettazione di una serie di veloci motorsailer, come il Val ii, il nau-sicaa di 16 metri, con scafo in acciaio salda-to, costruito a sturla, il Val iii di 21 metri e infine il ro.ro. iV, varati a pisa. erano scafi

177

LE PRIME BARCHE DA CROCIERA MINORI

Se nel mondo dello yachting l’esigenza di avere delle barche a “misura d‘uomo” viene da lontano, questa tendenza rimase a lungo secondaria: si affermò solo tra pochi appassionati che presero gusto nel manovrare uno yacht senza dover dipendere dall’aiuto dei marinai. Bisogna tener presente che nel corso dell’Ot-tocento e nei primi decenni del Novecento chi avesse adottato un simile com-portamento, oggi del tutto normale, correva il rischio di passare per eccentrico, perché allora per un gentiluomo il lavoro manuale era considerato disdicevole: d’altra parte, in quei tempi si poteva sempre contare su numerosi servitori e marinai. Fu nel 1872 che nell’Essex nacque il Corinthian Yacht Club, riservato a coloro che volevano praticare in prima persona tale sport, ma ben pochi armatori adottarono questo approccio. Solo agli inizi del Novecento la filosofia dell’andar per mare in piena autonomia iniziò ad essere promossa, per merito di un personaggio affascinante: Albert Strange (1855-1917). Autodidatta, egli cominciò a produrre disegni di imbarcazioni in epoca vittoriana, un periodo nel quale l’interesse era concentrato soprattutto sulle “macchine da regata”. Stran-ge fu innanzi tutto un artista che ci ha lasciato deliziosi acquerelli che traevano

ispirazione dalla natura costiera: per lui le imbarcazioni minori erano il mezzo per raggiungere, in un modo accessibile a molti, gli scenari marini e goderseli in santa pace. I suoi yacht di sette, otto metri di lunghezza, non sono pensati per la velocità o per l’evasione in terre lontane, ma per scoprire la natura che sta sulla “porta di casa”. Egli collaborò a lungo alle maggiori riviste del tempo e in tal modo le sue idee poterono diffondersi ampiamente. Il messaggio di Strange fu che scafi di modeste dimensioni, che potevano essere portati anche in soli-tario, permettevano a un gentiluomo di passare confortevolmente alcuni giorni a bordo, senza avere da temere il mare. Era una novità per quei tempi, perché allora si pensava che per vivere su uno yacht fossero necessarie unità di grandi dimensioni, che naturalmente necessitavano di parecchi marinai. Una gustosa descrizione di questo approccio si può leggere in L’enigma delle sabbie di E. Childers, nel quale un ospite sale a bordo di uno yacht di 8 metri trascinandosi dietro un imponente baule e alcune valigie: era il bagaglio che un gentiluomo considerava indispensabile per una crociera anche breve. Negli anni Cinquanta il tema dello yacht di modeste dimensioni ebbe poi un ulteriore impulso per le traversate compiute dal Vertue di Giles, una barca la cui tenuta al mare divenne leggendaria, nonostante la sua lunghezza non superasse i 25 piedi.

La seconda L’Euridice, che Bruno Veronese volle realizzare per uso personale, come

appare oggi nel porticciolo Duca degli Abruzzidi Genova, a circa cinquant’anni dal varo.

Venne infatti realizzata nel 1963 presso il cantiere Canaletto di La Spezia.

Nella pagina accanto, i vari di due importanti realizzazioni di Veronese: in alto,

quello del Pandora, a Genova Sturla nel 1956;nelle due foto in basso, quello del Val II,

dei Cantieri Italiani di Pisa, nel 1959.

178

innovativi, di dislocamento relativamen-te leggero e di pescaggio contenuto, che mettevano a frutto l’evoluzione dei motori navali, che erano diventati più compatti e più potenti. in questi progetti si intravede l’influenza degli studi di Jack laurent giles, tesi a realizzare dei motorsailer che potesse-ro utilizzare al meglio la propulsione velica. giudicando l’attività di Veronese in pro-spettiva, appare chiaro quanto fosse avanti rispetto al suo tempo e come il suo modo di concepire lo yachting abbia anticipato la diffusione della vela da crociera che si verificò a partire dagli anni settanta. se egli non può esser definito un progettista rivoluzionario, seppe trarre ispirazione dai

migliori modelli del suo tempo. in yacht progetto e costruzione questa sua filosofia è affermata esplicitamente, quando dice: «in pratica tutte le barche che si disegnano de-rivano, almeno come concetto, da qualche altra barca esistente: è cosa che succede in tutti i campi ed è giusto che sia così perché, se ogni volta si dovesse cominciare da zero, al mondo non esisterebbe il progresso. il caso più comune è che si voglia fare uno yacht, del genere di un altro già esistente e che piace, ma che sia, o un po’ più lungo, o un po’ più corto, o più largo, o più stretto, o con diverse proporzioni, o con diverso piano di velatura, oppure con diverse siste-mazioni interne, ecc.».

Buona parte del lavoro di progettazione di Veronese rientra in quello che oggi si suole definire come “classic yacht”. Ma cosa si-gnifica, veramente, “classico”? la ben nota risposta di italo calvino a questo quesito, per quanto riguarda la letteratura, è: «un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». se questo è vero, lo è anche per le barche: le linee di uno yacht classi-co sembrano collocarsi in una dimensione fuori dal tempo e anche dopo tanti anni continuano ad affascinarci per il perfetto equilibrio delle loro forme.

L’opera di divulgazioneVeronese ha poi avuto una parte importan-te nell’attività di ampliamento delle basi della cultura marinara: con lo pseudonimo di “capitano Black” ha collaborato assidua-mente con le più importanti testate italia-ne, mentre suoi contributi sono apparsi su yachting World, yachting Monthly e Ma-riner’s Mirror. la sua opera, negli anni del dopoguerra, fu tanto più necessaria perché durante il periodo fascista il regime non aveva visto di buon occhio la circolazione delle riviste anglosassoni, anche se dedicate ad argomenti ben lontani dalla politica. il nostro paese era quindi rimasto al margine dallo scambio di idee e di esperienze che si era sviluppato in inghilterra e negli stati Uniti. a partire dal 1945 quindi, insieme alle ultime tendenze nel campo della mu-sica, come il jazz, e a quelle della grande letteratura americana, si diffusero in italia le novità dello yachting degli anni trenta.

Il varo del Ro.Ro. IV, realizzato dai Cantieri Italiani di Pisa.

Bruno Veronese a bordo della sua prima barca, il Mizar, un dinghy di 12 piedi.

179

Il ricordo di Sciarrellialla sua scomparsa, avvenuta nel 1991, venne ricordato da carlo sciarrelli con queste parole: «io ho avuto due maestri: artù chiggiato e Bruno Veronese. chi mi conosce mi ha sentito dire mille volte que-sta frase. Un veneziano e un genovese, sem-bra una scelta fatta apposta. ero giovane e volevo dei modelli. e’ dei giovani avere dei modelli, ed è da vecchi non averne. così poi si elimina un bilancio. erano maestri perché progettisti di yacht come io volevo diventare. tanti hanno progettato yacht, ma io avevo isolato questi due personaggi perché avevano un qualcosa che c’era nel mio modello ideale. non erano stranieri e dimostravano in tutto quello che produce-vano, eleganza e cultura. e anche garbo e discrezione… persone squisite; nel tempo sono diventato loro amico. specialmente con Bruno Veronese. ore passate a casa sua, a capo santa chiara, a guardare libri e disegni. perfetta casa da signore genovese. stretta e alta, incassata tra schiere di case simili nei caruggi, scale e stanze e un’ultima scaletta di ferro che dà sul tetto di lastre di lavagna da cui si vede il mare. Vecchio si-gnore solo in una casa elegante e misurata. ecco, mi dicevo, carlo sciarrelli da vec-chio… io mi sento un sopravvissuto. guar-do dalla finestra di casa mia (tre piani, da quello alto vedo il mare) e osservo: è dome-nica, il golfo è pieno di barche che vanno avanti e indietro con la randa chiusa nella cappa e issato (o rullato fuori?) solamente il genova. c’è più spazio per me in questo

Queste erano soprattutto dovute al successo incontrato dalle grandi regate oceaniche che, rispetto alle consuete competizioni al triangolo, esigevano scafi che reggessero davvero il mare: non si gareggiava più nel solent o al largo di newport, in regate della lunghezza di qualche decina di miglia, ma su estenuanti percorsi in mare aper-to di centinaia (o migliaia) di miglia. la diffusione delle regate d’alto mare aveva fatto emergere una nuova generazione di progettisti, come giles e stephens, le cui creazioni andavano illustrate e commentate criticamente. scrittore brillante, Veronese diffuse poi in italia il dibattito sulla nautica minore, che in quegli anni si imponeva nel mondo anglosassone. l’approccio di-vulgativo non lo abbandonerà mai: lo si può ritrovare anche nel suo ultimo testo, yacht progetto e costruzione, scritto con il dichiarato proposito di semplificare la metodologia di progettazione e di renderla accessibile ai semplici appassionati. Ve-ronese riteneva infatti che i concetti di base di questa disciplina potessero essere afferrati anche da chi non è del mestiere. il suo modo di lavorare era originale: si metteva all’opera tracciando linee su un tavolo da disegno di soli 100 centimetri per 70, dimensioni scelte per avere una visione immediata delle proporzioni dello scafo. se poi il disegno non stava nei limiti della sua “tavoletta”, non si faceva scrupolo di ridur-ne la scala. privilegiava quindi la visione d’insieme, il colpo d’occhio che permette di giudicare l’equilibrio delle linee.

mare? ho tirato fuori il libro yachting, del capitano Black, edizione 1948. io ho im-parato cosa è uno yacht da questo libro. libro consumatissimo, pieno di miei segni a matita... importantissimo è stato per me il capitolo con scelta e commento di disegni esemplari, dove ho letto per la prima volta nomi come giles, clark e stephens. Mi cade l’occhio sul capitolo 14°: inventario di bordo. calzoni, camicie… giacche a due petti di flanella azzurra, berretto con visiera e distintivo del circolo, due foderine per detto… una cravatta azzurra, una sciarpa o fazzoletto da collo azzurro… chissà se qual-cuno, su quelle barche col rullafiocco, porta un fazzoletto da collo, azzurro…».Bruno Veronese ha lasciato la sua ricca biblioteca di libri di mare, di cui molti sono rari o introvabili, allo Yacht Club Italiano e i suoi disegni all’associazione “Storie di barche” di Pieve Ligure ([email protected]), presso la quale sono ancora consultabili e se ne possono ottenere delle copie.

Bibliografia:Gian Marco Borea D’Olmo Maestri della yacht design BCA Demco kit, Milano, 2007.Lucia del Sol Knight, Daniel Bruce MacNaughton The Enciclopedia of yacht designers, W.W Norton Company, New York, 2006.Joshua Slocum Solo intorno al mondo con lo Spray Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1979. Bruno Veronese Yachting, U.S.V.I. Genova, 1948.Bruno Veronese Yacht Progetto e Costruzione, Editrice Incontri Nautici, Roma, 1991.

L’Euro, esposto al Salone Nautico

di Genova del 1963.

Bruno Veronese in Corsica nel 1950.