Il caso Willy - Recto/Verso · con gli occhi da gatta che diventano di giorno ... Dobbiamo con...

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Revue Recto/Verso N° 3 – Juin 2008 © Massimo SCOTTI http://www.revuerectoverso.com 1 ISSN 1954-3174 Il caso Willy/Colette/Claudine Identità d’autore, gender e filologia par Massimo Scotti Identità biografiche C’è un marito barbuto, che si dà arie da homme de lettres, ma in realtà è un semplice maneggione dell’editoria ; c’è una giovane sposa venuta dalla provincia, che si annoia in casa, con gli occhi da gatta che diventano di giorno in giorno più tristi. E c’è un piccolo libro di memorie, scritto dalla ragazza per ordine del marito, che lo ha letto e disapprovato. Siamo alla fine del XIX secolo, che si chiuderà fra poco, fra balli e libagioni di champagne, nella Parigi mondana e cosmopolita che di quel secolo è la capitale indiscussa, e i quaderni giacciono in un cassetto. A corto di idee letterarie, il marito barbuto – che di idee ne ha sempre mille ma non sa realizzarle, se non affidandosi ai nègres delle sue “redazioni” – ritrova per caso il diario della moglie, e si dà dell’imbecille. Ha fra le mani un potenziale successo, basta rimaneggiarlo e pubblicarlo, aspettando lo scandalo. Così nasce, insieme al secolo nuovo, il ciclo delle Claudine. Il primo volume esce proprio nel 1900, per i tipi di Ollendorff, si intitola Claudine à l’école, ed è firmato dal marito barbuto, Henry Gauthier-Villars, in arte Willy (seguiranno tre titoli, nei succesivi tre anni, e vari adattamenti teatrali). Questa la vulgata biobibliografica ; la realtà è più sfumata, e la verità cambia i dettagli. Dall’agone letterario senz’altro sparirà Willy e rimarrà Sidonie-Gabrielle Colette, la moglie schiva e giovane, venuta dalla provincia, che ha sacrificato la lunga treccia, avvolta intorno a lei come un serpente 1 , sull’altare di un matrimonio infelice. Ma la figura del faccendiere Willy appare più complessa di quanto si potrebbe immaginare : è la scrittrice stessa a riconoscergli un talento superiore a quanto la sua opera abbia saputo dimostrare, un talento superiore a quello di ciascuno dei suoi nègres, se solo si fosse deciso a scrivere ; in realtà svolgeva soprattutto le funzioni di coordinatore per una schiera di laboriosissimi “aiutanti”. Frequentava, di certo, i salotti più ricercati ; da melomane e da critico musicale aveva fra i suoi consulenti artistici personaggi di prim’ordine, fra cui Vincent d’Indy e Claude Debussy ; conobbe le migliori menti della sua epoca – eppure, la maggior parte dei suoi volumi ebbe vita così effimera da non comparire più nei cataloghi della Bibliothèque nationale de France. D’altra parte, se la vita della giovane Colette sembrava ridursi, in quei primi anni di matrimonio, all’attesa del ritorno a casa del marito, si sa invece che frequentasse le redazioni giornalistiche e correggesse gli articoli di Willy, ascoltando furtivamente conversazioni letterarie, come afferma il critico Charles Maurras 2 . Come Sidonie-Gabrielle non era una semplice ragazzotta provinciale, così Henry non era soltanto un coniugale mostro. La prevaricazione, il vampirismo intellettuale, la tirannia fondata sulla differenza di sesso facevano parte della mentalità dell’epoca quanto gli impulsi libertari, la sete di indipendenza, la forza nella volontà di rivincita che Colette avrebbe dimostrato ben presto con la sua storia personale. Nelle sue più aspre ricostruzioni degli anni di matrimonio, la scrittrice non dimentica mai il suo debito verso Willy, nemmeno nell’espressione dell’acredine. Lui fu in qualche perverso modo il suo pigmalione, e senza il suo aiuto per Colette sarebbe stato senz’altro difficile pubblicare ; fu il suo mentore torturatore, che la obbligava a scrivere e poi 1 La testimonianza è dell’amica Marguerite Moreno, ed è tratta dal volume Colette, di Claude Chauvière, Paris, Firmin-Dodot, 1931, p. 55. 2 Ch. Maurras, Quand les Français ne s’aiment pas, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1916, p. 167.

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Revue Recto/Verso N° 3 – Juin 2008 © Massimo SCOTTI

http://www.revuerectoverso.com 1 ISSN 1954-3174

Il caso Willy/Colette/Claudine Identità d’autore, gender e filologia

par Massimo Scotti

Identità biografiche C’è un marito barbuto, che si dà arie da homme de lettres, ma in realtà è un semplice

maneggione dell’editoria ; c’è una giovane sposa venuta dalla provincia, che si annoia in casa, con gli occhi da gatta che diventano di giorno in giorno più tristi. E c’è un piccolo libro di memorie, scritto dalla ragazza per ordine del marito, che lo ha letto e disapprovato. Siamo alla fine del XIX secolo, che si chiuderà fra poco, fra balli e libagioni di champagne, nella Parigi mondana e cosmopolita che di quel secolo è la capitale indiscussa, e i quaderni giacciono in un cassetto. A corto di idee letterarie, il marito barbuto – che di idee ne ha sempre mille ma non sa realizzarle, se non affidandosi ai nègres delle sue “redazioni” – ritrova per caso il diario della moglie, e si dà dell’imbecille. Ha fra le mani un potenziale successo, basta rimaneggiarlo e pubblicarlo, aspettando lo scandalo. Così nasce, insieme al secolo nuovo, il ciclo delle Claudine. Il primo volume esce proprio nel 1900, per i tipi di Ollendorff, si intitola Claudine à l’école, ed è firmato dal marito barbuto, Henry Gauthier-Villars, in arte Willy (seguiranno tre titoli, nei succesivi tre anni, e vari adattamenti teatrali).

Questa la vulgata biobibliografica ; la realtà è più sfumata, e la verità cambia i dettagli. Dall’agone letterario senz’altro sparirà Willy e rimarrà Sidonie-Gabrielle Colette, la moglie schiva e giovane, venuta dalla provincia, che ha sacrificato la lunga treccia, avvolta intorno a lei come un serpente1, sull’altare di un matrimonio infelice. Ma la figura del faccendiere Willy appare più complessa di quanto si potrebbe immaginare : è la scrittrice stessa a riconoscergli un talento superiore a quanto la sua opera abbia saputo dimostrare, un talento superiore a quello di ciascuno dei suoi nègres, se solo si fosse deciso a scrivere ; in realtà svolgeva soprattutto le funzioni di coordinatore per una schiera di laboriosissimi “aiutanti”. Frequentava, di certo, i salotti più ricercati ; da melomane e da critico musicale aveva fra i suoi consulenti artistici personaggi di prim’ordine, fra cui Vincent d’Indy e Claude Debussy ; conobbe le migliori menti della sua epoca – eppure, la maggior parte dei suoi volumi ebbe vita così effimera da non comparire più nei cataloghi della Bibliothèque nationale de France.

D’altra parte, se la vita della giovane Colette sembrava ridursi, in quei primi anni di matrimonio, all’attesa del ritorno a casa del marito, si sa invece che frequentasse le redazioni giornalistiche e correggesse gli articoli di Willy, ascoltando furtivamente conversazioni letterarie, come afferma il critico Charles Maurras2. Come Sidonie-Gabrielle non era una semplice ragazzotta provinciale, così Henry non era soltanto un coniugale mostro. La prevaricazione, il vampirismo intellettuale, la tirannia fondata sulla differenza di sesso facevano parte della mentalità dell’epoca quanto gli impulsi libertari, la sete di indipendenza, la forza nella volontà di rivincita che Colette avrebbe dimostrato ben presto con la sua storia personale. Nelle sue più aspre ricostruzioni degli anni di matrimonio, la scrittrice non dimentica mai il suo debito verso Willy, nemmeno nell’espressione dell’acredine. Lui fu in qualche perverso modo il suo pigmalione, e senza il suo aiuto per Colette sarebbe stato senz’altro difficile pubblicare ; fu il suo mentore torturatore, che la obbligava a scrivere e poi

1 La testimonianza è dell’amica Marguerite Moreno, ed è tratta dal volume Colette, di Claude Chauvière, Paris, Firmin-Dodot, 1931, p. 55. 2 Ch. Maurras, Quand les Français ne s’aiment pas, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1916, p. 167.

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firmava a suo nome i testi realizzati ; fu l’uomo che le insegnò a essere una donna tradita. La scoperta delle relazioni extraconiugali del marito provocò una lunga e misteriosa malattia, dalle evidenti connotazioni psicosomatiche, da cui uscì una Colette stremata, ma anche una futura scrittrice : come dice Proust, bisognerebbe ringraziare chi provoca la reazione dell’arte al dolore, colpendo profondamente la sensibilità del potenziale autore, ma non per questo si può assolvere Willy dalle sue colpe. La figura dell’intrigante marito è tanto controversa quanto fondamentale nell’evoluzione della donna Colette, dell’autrice Colette, e, come vedremo, della “irregolare” Colette.

Identità autoriali

1895. Ancora convalescente, la giovane sposa viene invitata dal marito a scrivere i suoi ricordi della vita in campagna, trascorsa nel paese borgognone di Saint-Sauveur-en-Puisaye. Lei, obbediente, compra una pila di quaderni rigati di grigio, con la linea del margine rossa, e si mette a scrivere, ordinata e indifferente, come se si trattasse di compiti scolastici. Willy scorre i quaderni svogliatamente, e li mette da parte. Saranno ritrovati per caso, durante un riordino, anni dopo, e con sorpresa : si troverà un editore, e amici recensori compiacenti, ma non proni – i migliori critici loderanno Claudine à l’école (Rachilde sul « Mercure de France », Gaston Deschamps su « Le Temps », Pierre Brisson su « Les Annales », Charles Maurras sulla « Revue Encyclopédique »). L’autrice sarà soddisfatta, soprattutto perché potrà pagare i conti del calzolaio. Soddisfatta ma stupita per la copertina, disegnata da Emilio Della Sudda, che raffigura una ragazzetta con gli zoccoli, e non la rappresenta affatto. Stupita ancor di più per il successo che arride ai suoi ricordi di scolara, accuratamente pepati da Willy. Suscitano curiosità morbose, spingono folle di scolarette a spedire le loro fotografie al presunto autore, creano la moda dell’adolescente torbida cinquant’anni prima di Lolita.

Couverture de la première édition de Claudine à l’école

Je m’appelle Claudine, j’habite Montigny ; j’y suis née en 1884 ; probablement je n’y mourrai pas.

Così, con voce querula e stentorea, l’eroina si presenta al mondo, nella pagina

inaugurale della saga, veloce come una ragazza che corre e argutamente sincera (almeno nella resa letteraria).

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Quanto innocente era il testo originario di Colette ? Quanto fu trasformato, ridotto o arricchito da Willy ? Come si sviluppò in seguito la serie delle quattro Claudine ? Probabilmente non lo sapremo mai. Gli autografi originali dei primi due romanzi sono perduti (rimango quaderni manoscritti di altri episodi del ciclo, e lo vedremo fra poco). Si può comunque almeno impostare la questione, tenendo conto anzitutto che esistono tre serie di redazioni differenti. La prima è costituita dalla versione dei quaderni, vergati dalla giovane Sidonie-Gabrielle, Mme Gauthier-Villars, non ancora nota con il semi-pseudonimo che la renderà famosa ; la seconda è quella che viene rielaborata per la stampa, firmata solo da Willy ; la terza, riveduta e corretta dall’autrice, fa parte delle Œuvres complètes che vedranno la luce per le edizioni Le Fleuron, fra il 1948 e il 1950, quando ormai la celebrità di Colette sarà affermata ; questo è il corpus che dovremo prendere in considerazione, in mancanza di altri testimoni testuali e soprattutto dell’autografo scomparso.

Sulle circostanze della composizione, la voce più autorevole appartiene all’autrice, elusiva ed eloquente insieme, che rievoca la genesi delle Claudine in Mes apprentissages (pubblicati nel 1935, quindi più di tre decenni dopo la scrittura dei primi romanzi). Tale saggio autobiografico rivela anche il procedimento attuato nella “fabbrica scrittoria” del marito : Willy formula un’idea, che viene passata a un collaboratore perché la sviluppi ; il lavoro, esaminato da lui stesso, si arricchisce di particolari piccanti, allusioni alla vita mondana dell’epoca e calembours (Willy era maestro in giochi di parole complicati, lambiccati e grevemente eruditi). Quindi, il manoscritto può girare fra altri collaboratori, che aggiungono a loro volta dettagli e idee, per ritornare poi al caposquadra che lo sistema definitivamente per la stampa ; non possiamo sapere quindi se le Claudine furono composte dai soli Willy e Colette, oppure se inclusero altri interventi ; in ogni caso, sempre in Mes apprentissages, è ricordato un episodio di grande importanza, perché ne è protagonista un letterato famoso, Catulle Mendès. Anche in questo caso non si può stabilire se, a trentacinque anni di distanza, l’autrice sia stata del tutto veritiera o se abbia voluto nobilitare la propria storia personale (e la propria figura letteraria, allora oscura) con l’apprezzamento di un nome illustre ; fatto sta che Mendès avrebbe riconosciuto in lei, secondo la sua testimonianza, l’autentica creatrice di Claudine, mettendola anche in guardia : venti o trent’anni dopo, il mondo era destinato a sapere, condannando però l’autrice a rimanere per sempre schiava della tipicità da lei stessa individuata. Il ricordo riaffiora, per Colette, vedendo nella vetrina di un camiciaio linee di colletti Claudine à l’école, Claudine à Paris e Claudine s’en va, adatti, questi ultimi, a eventuali fughe.

Di sicuro il pubblico dei lettori confonde l’eroina e la sua creatrice, anche a causa dell’abile strategia del regista Willy, che fa vestire la moglie – già ventisettenne – da collegiale, e le affianca un doppio, l’attricetta Polaire, lasciando intendere che le avventure saffiche narrate nei libri di Claudine sono ispirate alla realtà. Nel frattempo, infatti, sono usciti più volumi della saga, al ritmo di uno l’anno. Gemelle e monelle, Colette e Polaire, vestite entrambe à la Claudine, sono il miglior manifesto pubblicitario vivente per la serie dei volumi, e per i suoi aspetti più pruriginosi.

Identità di gender

Dobbiamo con rammarico lasciare da parte gli aneddoti biografici che formano la leggenda Colette/Claudine, per concentrare l’attenzione sulla riscrittura dei testi, che avviene in previsione delle Œuvres complètes, pubblicate a metà del Novecento dall’editore Le Fleuron. Sarebbe l’occasione, per la scrittrice ormai affermata e ormai libera (molti anni prima, nel 1906, ha divorziato da Willy, ed è al terzo matrimonio), di rivoluzionare completamente la stesura dei quattro romanzi, Claudine à l’école, Claudine à Paris, Claudine en ménage, Claudine s’en va. In realtà, dobbiamo dirlo subito, si tratta di una revisione

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misteriosamente timida, o pigra. Colette lo considera un lavoro idiota, come racconta a Marguerite Moreno in una delle sue ultime lettere3. Ma chiede poi, incredula e ammirata, a Maurice Goudeket, il terzo marito che è anche il suo editore : “Ho davvero scritto tutto questo ?”4. Il senso del tempo e della maturità, la considerazione stessa della propria vecchiaia, rendono questo lavoro di parziale riscrittura insieme un peso, un onore, una prova di forza, un’ardua fatica. Colette è malata e da tempo costretta all’immobilità. Il confronto con l’opera compiuta assume dimensioni composite, fatte di emozioni, nostalgie, rimpianti, ma anche retaggi di autocoscienza ; l’autrice non ha più niente da dimostrare al mondo, la sua levatura è concordemente accertata, basta qualche ritocco agli scritti per comporre un monumento alla sua scrittura (che verrà apprezzata in seguito ancor di più, proprio grazie a questa poderosa edizione in quindici volumi).

Colette sceglie dunque di non riscrivere, ma di apportare soltanto un lieve maquillage ai propri testi – l’esperienza della maison de beauté, che ha diretto anni prima, le ha insegnato la leggerezza del tocco estetico nella valorizzazione di un viso, leggerezza sapiente che ha sempre perseguito nella composizione dei suoi scritti ; le correzioni, stricto sensu, almeno alle Claudine, sono quindi pochissime. Ma si può individuare con precisione la volontà che sottende la strategia ricostruttiva : se non cancellare in modo totale e definitivo le tracce degli interventi imposti da Willy, almeno eliminarne gli influssi più ingombranti. Colette comprende che le sue prime opere sono ineluttabilmente bifronti ; la presenza del padrone-pigmalione è inamovibile dal tessuto testuale e dalla struttura dei romanzi, occorrerebbe una completa rifondazione del corpus narrativo per sbarazzarsene. Ammette implicitamente che i consigli, le sollecitazioni, gli ordini di Willy hanno contribuito alla realizzazione dell’opera : lei ne è la vera creatrice, ma probabilmente non sarebbe riuscita a concluderla senza quelle costrizioni. Invece di esorcizzare l’ombra del marito, toglie almeno, si potrebbe dire, il fango dalle sue orme, ne spunta le armi più meschine.

Nel percorso redazionale del ciclo delle Claudine, due sono stati gli apporti più evidenti di Willy : il gusto per i calembours, di solito a sfondo mondano e melomaniaco (Henry Gauthier-Villars era un esperto conoscitore di pettegolezzi parigini, quanto di opera lirica), e le velenose allusioni all’omosessualità, e soprattutto all’effeminatezza, di cui il celebrato donnaiolo si compiaceva. Nel lavoro di revisione, che Colette compie da sola, più di quarant’anni dopo, proprio questi dettagli sono quelli più drasticamente eliminati. Notare questo fatto equivale a comprendere quale sia l’intento, non solo inconscio ma molto consapevole, della scrittrice : affermare la propria identità autoriale mediante l’espunzione dei segni stilistici più goffi e manierati, evidenti interpolazioni di Willy, e dimostrare una ormai acquisita comprensione dei rapporti umani e delle infinite sfumature nella sessualità propria a uomini e donne di cui ha conosciuto, negli anni, complessità e mutevolezza.

La questione del gender in letteratura è delicata quanto ormai molto approfondita ; se si verificano cadute interpretative e sono state formulate analisi di dubbio gusto o di involontario umorismo, ciò accade perché l’argomento è facilmente manipolabile e fraintendibile. Si tenterà quindi un parziale avvicinamento alla definizione del problema, dal punto di vista marginale (per l’argomento) della filologia, che tanto nei gender come nei cultural studies è purtroppo negletta. Questo saggio potrebbe dunque indicare uno spazio di attenzione necessario e fertile, perché proprio da un’analisi delle varianti a stampa, per quanto limitata, può scaturire una sequenza di deduzioni in grado di illuminare la personalità di Colette attraverso il personaggio di Claudine, e l’identità concreta dell’autrice attraverso il suo lavoro di riscrittura (derivato, a sua volta, da un’acquisizione di verità rispetto alla propria, peculiare fisionomia di gender).

3 Colette, Lettres à Marguerite Moreno, Paris, Flammarion, 1959, p. 399. 4 Cf. la biografia di Herbert Lottman, Colette, Paris, Fayard, p. 328.

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La donna che ha scritto di amori saffici ancor prima di averli vissuti, dello scambio di ruoli all’interno della coppia prima ancora di averlo praticato, e che in seguito ha avuto amanti di ogni sorta (vecchi e giovani, virili e androgini, maschi e femmine, butch e femmes), ha danzato nuda sulle scene del music-hall, ha sedotto figliastri adolescenti e conosciuto i geni più ambigui del suo tempo (Proust, Cocteau), ha descritto con ogni cura corpi fiorenti e appassiti, sensi brucianti e passioni incenerite, non può tollerare che rimangano fra le sue pagine battute grassocce sulla “inversione” sessuale, perché sa che ben poco si può “invertire”, nelle inclinazioni erotiche, rispetto a una norma che si rivela inesistente. Molto si può invece differenziare e modificare imprevedibilmente, come dimostra il mondo vivido e proteiforme che ha conosciuto, e in cui si seguivano gli istinti più eccentrici senza nominare mai la banale “trasgressione”.

Verità filologiche

Come sempre, gli esempi, anche se pochi, possono dare un’idea della questione. La prima Claudine risulta più o meno invariata dall’edizione originale (1900) alla revisione autoriale del 1948, tranne che per alcuni dettagli davvero trascurabili. Le avventure scolastiche della protagonista vengono mantenute intatte, solo qualche nome è lievemente trasformato, per eludere la riconoscibilità immediata : molte persone del paese natale di Colette si risentirono, infatti, per esser state vilipese o ridicolizzate nei romanzi, qualche carriera fu stroncata, qualche ipocrita mascherato. Ma quasi mezzo secolo dopo era inutile cambiare pseudonimi troppo trasparenti, Colette se ne rende conto e agisce solo per scrupolo tardivo. Elimina invece, decisamente, la sorniona e melensa prefazione di Willy, che dice di aver trovato un diario adolescenziale e di averlo personalmente purgato, parodizzando il topos del manoscritto ritrovato. Tutti sapevano la verità : era stato proprio lui a pretendere, o inserire di suo pugno, episodi pruriginosi.

Couverture de la première édition de Claudine à Paris

Le correzioni si fanno invece più frequenti in Claudine à Paris, dove compare un

personaggio colto, mondano e loscamente paterno, Maugis, amante della lirica e conoscitore del mondo, dietro la figura del quale non è difficile intuire Willy. Specialmente le sue battute verranno eliminate nella riedizione per Le Fleuron. Proprio a Maugis viene chiesto di erudire la giovinetta sul bel mondo parigino :

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– Vous qui êtes un spécialiste, Maugis, désignez un peu à Claudine quelques échantillons notoires… – …du Tout Paris (prononcez ‘Tout Pourri’)5.

La parentesi, che contiene un calembour di dubbio gusto, tipico di Willy, nell’edizione

Le Fleuron è eliminata. Nella stessa pagina, Maugis si profonde in una digressione musicologica, drasticamente ridotta nella revisione :

– Ah ! Le Scudo de La Revue des Deux Mondes aurait dû le tourner sept fois dans sa bouche avant de proférer tels blasphèmes antiwagnériens… mais il lui sera beaucoup pardonné parce qu’il a beaucoup aimé Parsifal, et loué, presque autant que La Dame Blanche, la divine mélodie de la consécration qui, murmurée par des bouches invisibles, passe sur le cénacle noyé d’ombre comme un frisson de tendresse et de mélancolie… (Ça y est ! Le voilà piqué de la tarentule mystique ! Heureusement l’accès dure peu.) – Autre critique : ce petit pas beau…6

Nell’edizione Le Fleuron, resta soltanto :

– Ah ! Le Scudo de La Revue des Deux Mondes aurait dû la tourner sept fois dans sa bouche avant de proférer tels blasphèmes antiwagnériens… mais il lui sera beaucoup pardonné parce qu’il a beaucoup aimé Parsifal. Autre critique : ce petit pas beau…

Come si vede, Colette ha cancellato la seconda parte dello sproloquio di Maugis, e la

parentesi con il commento di Claudine, che ne sottolineava il tono enfatico. Non si poteva eliminare di più, perché il personaggio di Maugis è caratterizzato, nel romanzo, proprio da queste sue frequenti accensioni critiche, da allusioni liriche, da idolatrie wagneriste. Nel quadro complessivo del ciclo dedicato a Claudine, comunque, le parti sacrificate sono sempre più spesso quelle in cui Maugis prende la parola, fa le sue battute o scrive lunghe lettere ; l’antipatia per il personaggio e per il suo melomaniaco birignao si rende intuibile progressivamente, fino a mostrare i segni, da parte dell’autrice, di una vera e propria irritazione.

Un ultimo esempio, prima di passare alla seconda tipologia di correzioni. L’elenco di comparse parigine, nel catalogo illustrato da Maugis, comprende : ce couple vomitif (un pion à pellicules et une snobinette d’hystérie wagnérienne) que le Pompier de service, rosse enivrante, dénomma l’autre jour “Trissotin et Iseult”7. Queste righe, in cui si concentrano wagnerisimi, maldestri giochi di parole, inutili veleni e goffo gergo mondano, vengono espunte dall’edizione Le Fleuron. Ridimensionando la presenza e l’ingombro testuale di Maugis, Colette respinge e rifiuta ciò che la infastidisce di più nel ricordo del suo primo marito : la proterva signoria sulla sua vita, il dispotismo del manipolatore che si vantava di conoscere il mondo e l’arte, trattandola pubblicamente come un prezioso accessorio della sua 5 La citazione è tratta dalle Œuvres di Colette, a cura di Claude Pichois, Paris, Gallimard, coll. “Bibliothèque de la Pléiade”, 1984, t. 1, p. 290 (Claudine à Paris). Tale edizione riproduce il testo pubblicato da Ollendorff nel 1902. Si confronti la versione pubblicata per i tipi di Le Fleuron (Paris, 1948) e la traduzione italiana a cura di Maria Teresa Giaveri (Colette, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, coll. “I Meridiani”, 2000). In vista della pubblicazione di tale volume, mi era stato affidato l’incarico di confrontare i testi pubblicati da Gallimard, nella collezione della “Pléiade”, con quelli stampati per i tipi di Le Fleuron, in modo da notare eventuali modifiche. Avevo quindi segnalato le differenze, riflettendo poi sulle motivazioni e i risultati del lavoro di revisione svolto da Colette. L’idea per il presente studio nasceva proprio da tale collazione filologica, e devo ringraziare Maria Teresa Giaveri per avermi dato l’opportunità di studiare i testi in modo così approfondito, quanto a Erica Durante per avermi suggerito di pubblicare i risultati delle mie osservazioni (di cui questo articolo costituisce un sunto). 6 Colette, Œuvres, t. I, op. cit., p. 290. 7 Ibid, p. 291.

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leggenda di seduttore instancabile e di intellettuale viveur ; ma c’è un altro dettaglio che, con ancora più forza, Colette intende cancellare.

Mentalmente borghese, tipico rappresentante della sua classe nella sua epoca, Willy è un fallocrate convinto, e ama prendersi gioco di ogni tipo d’ambiguità. Se accetta, e in qualche modo favorisce, i legami saffici della moglie, è solo perché questi possono alimentare la propria fama di spregiudicatezza e arricchire le proprie fantasie erotiche ; dimostra peraltro un autentico umorismo in alcune occasioni : quando Colette diventa l’amante di Missy, marchesa di Belbeuf, Willy si diverte a viaggiare negli scompartimenti riservati alle signore, replicando ai controllori che gli chiedono spiegazioni : “Sono la marchesa di Belbeuf”8.

Meno spiritose e più stucchevoli sono alcune battute che inserisce forzatamente fra le pagine della moglie, e in particolare quelle dedicate alla figura di Marcel, petit neveu di Claudine in quanto figlio di Renaud, l’Oncle o cousin-oncle per il complicato intreccio di parentele che la ragazza, giunta a Parigi, scopre nella sua famiglia (e che lei stessa contribuirà a ingarbugliare, sposando, alla fine del romanzo, Renaud). La leziosa figura di Marcel è modellata sui tratti di un personaggio reale, il “segretario” di Willy Xavier-Marcel Boulestin. Questi fu oggetto di un amore frustrato da parte di Colette, secondo quanto ammette l’autrice stessa, in cerca di un sentimento più delicato e romantico – e soprattutto più giovanile – all’interno del rapporto con il ruvido e maturo Willy. È lei stessa a rivelare, di nuovo in Mes apprentissages, le intenzioni recondite nell’invenzione del personaggio di Marcel : “Pour ne point faire de ma privation un aveu public, j’ai créé dans Claudine à Paris un petit personnage de pédéraste. Moyennant que je les avilissais, j’ai pu louer les traits d’un jeune garçon et m’entretenir, à mots couverts, d’un péril, d’un attrait”9.

La costruzione del personaggio è accurata quanto il personaggio stesso è ridicolizzato. Nella versione per Le Fleuron, Colette si limita a cancellare alcuni incisi evidentemente dettati da Willy. Ne è un esempio la lettera scritta da Charlie Gonzales, amante di Marcel, da cui sono eliminate espressioni come “Vilaine Marcelinette chérie” e brani eccessivamente sdolcinati (“Je baise tes yeux qui palpitent, je baise te lèvres parfumées avec le regret unique, mais lancinant, de ne les pouvoir toucher d’une bouche, comme la tienne, immaculée”)10. Sempre Willy tiene molto a sottolineare qui en est, “chi è del giro”, e questo dettaglio viene regolarmente espunto nella revisione per Le Fleuron :

Le fameux prof. de philo, qui en est, comme tu le sais, comme nous le savons tous. Vu que le patron en est. Comme le “prof. de philo”, le patron en est. De quoi ? De la police ? Il a besoin d’être de la police pour que son hôtel soit sûr11.

Altri brani vengono eliminati probabilmente perché troppo artificiosi, come “Et j’ai lu

tous les livres, c’est pourquoi ma chair est triste, hélas, sauf quand ton souvenir aguicheur la vient ensoleiller”12, dove la parafrasi mallarméana è fin troppo risaputa, oltre che volgarizzata. Un altro lungo frammento, di erudizione goffamente esibita, viene cancellato. In esso si alternano passi della lettera di Charlie (in corsivo) e commenti di Claudine (in tondo) :

8 Cf. il decimo capitolo, dedicato a Missy, nella citata biografia di Lottman, nonché Sylvain Bonmariage, Willy, Colette et moi, Paris, Fremanger, 1954, p. 82. 9 Colette, Mes apprentissages, Paris, Ferenczi, 1936, p. 84. 10 Cf. Colette, Œuvres, t. I, op. cit., rispettivamente alle p. 301 e 302. 11 Ibid., p. 301, 305. 12 Ibid., p. 302.

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C’est drôle ! Je jurerais que j’ai déjà lu quelque part cette liste d’auteurs un peu spéciaux ! J’ai évoqué le jeunes gens du banquet de Platon, les amants du bataillon sacré de Thèbes, Achille et Patrocle, Damon et Pythias, Chariton… Il me rase, j’en passe ! C’est pas Dieu possible ! Il faut qu’il ait recopié le “Dictionnaire des messieurs qui ne se sont pas ruinés avec les femmes !”. J’ai communié en toutes ces généreuses passions viriles de l’Antiquité et de la Renaissance qu’on nous vante cuistreusement… Ah ! Ah ! Je le tiens ! “Cuistreusement” m’illumine ! Le séduisant Charlie a tout bonnement transcrit une page d’Escal-Vigor : ce jeune arriviste sait jouer d’Eekhoud, dirait Maugis. Pas de danger que j’en prévienne sa petite Marcelle, c’est bien plus drôle comme ça…13

Si può dire con certezza che Colette, avendo ormai acquisito una indiscussa maestria

stilistica e narrativa, sappia calibrare il rifacimento conclusivo dei suoi testi secondo due criteri : mantenere intatta la genuina fisionomia del personaggio di Claudine, con il suo acerbo sguardo sull’esistenza e con la sincera sorpresa della scoperta di un mondo, evitando però che l’ingenuità adolescenziale della sua eroina si carichi di aspetti compiaciuti, morbosi, e infine ipocritamente moralistici.

Riassumendo, si notano tre tipologie di interventi. Vengono eliminati dettagli in qualche modo offensivi, come la definizione di Marcel e Charlie quali “gobettes en culottes qui se ‘bichent’, comme disait Luce”14. Risultano inutili anche eccessive sottolineature dello sbigottimento di Claudine rispetto alle pratiche erotiche per lei inconsuete :

– Je vais peut-être vous faire un dessin, n’est-ce pas ! Et puis leurs cols de chemise doivent les gêner, parce que, quand on s’embrasse comme ça, il faut nécessairement que l’un des deux ait la tête renversée. J’entends la grande Anaïs me répondre : – Nigaude, bien sûr que non que leurs cols de chemise ne peuvent pas les gêner15.

Infine, si preferisce evitare sovraccarichi leziosi nello stile che caratterizza la

corrispondenza fra Marcel e Charlie. Colette ritiene superfluo riportare il contenuto di due biglietti che il primo scrive al secondo (in cui Claudine sottolinea con sic le incertezze morfologiche) :

“Méchant Charlie ! Je vous ai attendu rue Lamennais plus d’une heure. Vous serez puni. La chère petite place sous l’oreille, je vous l’interdit (sic) trois jours durant… si je n’ai le courage”. Autre billet : “Viens ce soir, j’essayerai pour toi une robe étourdissante, chantilly et paillètes (sic), dans laquelle je suis à mourir”16.

Il discorso a questo punto potrebbe dirsi aperto, circa le possibilità di interpretazione

della fisionomia di gender a partire dall’analisi di tipo filologico (o genetico). Questo approccio critico permette di affrontare la questione da un punto di vista meno sguaiatamente 13 Ibid. Willy svela il suo gioco : dicendo che Charlie ha copiato da Eekhoud, e nominando Maugis, non fa che riflettere la realtà del proprio tipo di scrittura, spesso plagiaria. Il poeta e romanziere belga Georges Eekhoud (1854-1927, nominato come Eckhoud nell’edizione Gallimard, coll. « Bibliothèque de la Pléiade ») scrisse nel 1899 il romanzo “esthétique et passionnel” Escal-Vigor, che fece scandalo e costò al suo autore un processo. Il testo ha conosciuto qualche riedizione in epoca contemporanea (Paris, Persona, 1982, e Seguier 1996), nonché un adattamento teatrale (di Claus Hugo, Lausanne, GKC, 2002). 14 Colette, Œuvres, t. I, op. cit., p. 303. 15 Ibid. 16 Ibid., p. 305.

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polemico di quanto non avvenga in certi ambiti (in particolare, è comune dirlo, statunitensi), e in modo meno irruento, più pacato e scientifico, soprattutto più concreto, per quanto il campo di osservazione sembri minuscolo e limitato.

Nel caso di Colette dobbiamo fermarci a questo iniziale stadio di indagine, soprattutto perché, se i primi manoscritti delle Claudines sono stati distrutti, così non è per quello che porterà alla realizzazione del terzo volume, Claudine en ménage.

Les cahiers sur lesquels Colette avait écrit Claudine à l’école et le manuscrit de Claudine à Paris furent détruits à la demande de Willy par Paul Barlet, son secrétaire. Par amitié pour Colette – et pour se venger de Willy, qui l’exploitait comme il le faisait de tous ses collaborateurs –, Barlet sauva les cahiers manuscrits de Claudine en ménage. Offerts à la Bibliothèque Nationale par Maurice Goudeket, troisième mari de Colette, ces cahiers, au nombre de six (foliotés de 1 à 298, le dernier portant le mot “fin”), sont tels que Colette les a décrits dans sa dernière préface à la série des Claudines : des “cahiers d’école, avec leurs feuillets vergés, rayés de gris, à barre marginale rouge, leur dos de toile noire, leur couverture à médaillons et titre orné Le Calligraphe”17.

La ricerca che abbiamo avviato deve cominciare da qui : lo studio dei rari autografi

superstiti potrà probabilmente offrire nuovi spunti di riflessione e portare a una definizione ancor più consapevole del problema di identità autoriale che il ciclo delle Claudine presenta con tanta forza e complessità ; tale problema sarà senz’altro approfondito mediante considerazioni parallele fra tematiche di gender e peripezie filologiche, come si è tentato di suggerire con questo articolo (e il futuro passo sarà una ricognizione completa di un testo nella sua interezza).

Il vero autore della saga fu quindi Colette, come compresero subito i critici coevi, e più sensibili ; Willy ne mutò probabilmente lo spirito, in maniera indelebile, e non mutabile nemmeno in una successiva revisione, senza distruggere l’opera ; nondimeno, Claudine non poteva nascere per partenogenesi, e fu necessario il contributo (per quanto invadente e maldestro) di Willy. Senza di lui un’opera del genere non poteva aspirare alla pubblicazione, senza la sua attività di agente letterario non avrebbe avuto tale risonanza, infine, Colette non sarebbe diventata Colette senza quell’iniziale successo di scandalo. Opporsi a tutto ciò, definirsi come scrittrice autonoma, autorevole e autentica, far dimenticare al mondo la dipendenza dal marito come dal personaggio che aveva creato, fu una prova essenziale nella formazione del carattere di Colette.

Non importa il sesso di chi scrive ma la capacità di proporre nuovi modelli di scrittura, che non si oppongano ad altro ma siano semplicemente altro, espressioni di singolarità e di visioni diverse, opposte alle consuetudini canoniche. L’importanza di una simile lettura è intuibile, ma va forse ribadita e precisata : coinvolge infatti questioni relative alla condizione autoriale (non solo femminile) nel Novecento, alle sue trasformazioni e alle sue conseguenze letterarie, editoriali, sociali. Il fascino della scrittura di Colette consiste anche nella sua evoluzione, durante un fertile cinquantennio di lavoro intenso, di stile e di interpretazione della realtà ; non è fondamentale il fatto che a scrivere fosse un uomo o una donna, ma quella particolare donna che fu Sidonie-Gabrielle Colette, la cui figura individuale, nella sua integrità, ha una rilevanza assoluta nella cultura francese ed europea, nella storia del costume e del gusto, nell’istituzione letteraria (fu tra l’altro la prima donna a ottenere funerali di stato in Francia)18. 17 Si cita dalla sezione introduttiva a Claudine à Paris, stilata da François Burgaud per il volume Colette, Romans, Récits, Souvenirs (1900-1919), Paris, Laffont, 1989, p. 299 18 Fra i più importanti contributi alla definizione del personaggio-Colette, ma soprattutto delle verità su Colette, è d’obbligo il riferimento al volume di Julia Kristeva, ultimo di una trilogia dedicata al “genio femminile”, che comprende peraltro saggi su Hannah Arendt (1999) e Melanie Klein (2000). J. Kristeva, Les Mots : Colette et la chair du monde, Paris, Fayard, 2003. Il titolo completo della trilogia è Le Génie féminin : la vie, la folie, les

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Non importa il sesso di chi scrive ma la capacità di proporre nuovi modelli di scrittura, che non si oppongano ad altro ma siano semplicemente altro, espressioni di singolarità e di visioni diverse, in grado di annullare le consuetudini canoniche. L’importanza di una simile lettura è intuibile, ma va forse ribadita e precisata : coinvolge infatti questioni relative alla condizione autoriale (non solo femminile) nel Novecento, alle sue trasformazioni e alle sue conseguenze letterarie, editoriali, sociali. Il fascino della scrittura di Colette consiste anche nella sua evoluzione, durante un fertile cinquantennio di lavoro intenso, di stile e di interpretazione della realtà ; non è fondamentale il fatto che a scrivere fosse un uomo o una donna, ma quella particolare donna che fu Sidonie-Gabrielle Colette, la cui figura individuale, nella sua integrità, ha una rilevanza assoluta nella cultura francese ed europea, nella storia del costume e del gusto, nell’istituzione letteraria (fu tra l’altro la prima donna a ottenere funerali di stato in Francia).

Le sofisticherie di Willy sono dimenticate, le sue battute salaci non fanno nemmeno più sorridere, la sua fama autoriale è svanita. La ragazzina di provincia, per la quale Henry Gauthier-Villars fu aguzzino ma anche pigmalione, splende di gloria autonoma, e la sua raffinatezza di autore è più importante perfino della sua emancipazione. Colette ne è tanto consapevole da dire, un giorno : “Il faut, avec les mots de tout le monde, écrire comme personne”.

mots, Paris, Fayard, 1999-2003. I tre volumi della trilogia sono stati pubblicati in Italia dall’editore Donzelli (Colette, vita di una donna, è del 2004).