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Il capitale territoriale nelle regioni europee: un modello di crescita Bologna, Giugno 2014

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Il capitale territoriale

nelle regioni europee:

un modello di crescita

Bologna, Giugno 2014

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Il presente rapporto è stato redatto a cura della Professoressa Cristina Brasili, con la

collaborazione della Dott.ssa Valentina Aiello, della Dott.ssa Federica Benni e della

Dott.ssa Lucilla Spinelli.

Contributo presentato nell’ambito della VI edizione del Workshop UniCredit-RegiosS “Le

regioni italiane: ciclo economico e dati strutturali. I fattori di competitività territoriale”,

tenutasi a Bologna il 17 giugno 2014.

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Sommario

1. Introduzione: il capitale territoriale e la crescita economica

di Cristina Brasili ......................................................................................................................... 5

2. Il capitale territoriale nelle regioni dell’Unione europea ........................................................ 7

2.1. Le variabili per la misura del capitale territoriale

di Valentina Aiello e Federica Benni ................................................................................. 7

2.2. Il Prodotto interno lordo

di Federica Benni ............................................................................................................... 9

2.3. Il tasso di occupazione femminile

di Federica Benni ............................................................................................................. 11

2.4. La quota di popolazione che non risulta né occupata né inserita in un percorso

di istruzione e formazione (NEET)

di Federica Benni ............................................................................................................. 13

2.5. La capacità innovativa

di Valentina Aiello ........................................................................................................... 15

2.6. Il tasso di abbandono

di Valentina Aiello ........................................................................................................... 17

2.7. La “fiducia generalizzata”

di Valentina Aiello ........................................................................................................... 19

3. La crescita nelle regioni dell’UE: il ruolo del capitale territoriale, della qualità

istituzionale e della spesa per la Politica di Coesione .................................................................... 21

3.1. Il modello

di Cristina Brasili e Lucilla Spinelli ................................................................................ 21

3.2. I risultati

di Cristina Brasili e Lucilla Spinelli ................................................................................ 23

4. Conclusioni

di Cristina Brasili ....................................................................................................................... 27

Appendice

di Lucilla Spinelli ........................................................................................................................ 29

Riferimenti bibliografici .................................................................................................................. 31

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1. Introduzione: il capitale territoriale e la crescita economica

Il “capitale territoriale”, anche se manca di una definizione univoca, trova nella sua utilità

concettuale un consenso unanime. Esso, secondo gli studiosi che se ne sono occupati, racchiude

in sé un’ampia varietà di asset territoriali, tangibili e intangibili, di natura privata, pubblica o

mista. Questo insieme di risorse possono essere prodotte fisicamente (beni pubblici e privati), o

accumulate nel tempo, dalla storia, o da dotazioni di risorse di tipo culturale o naturale (OCSE,

2001; Camagni, 2009; Mazzola et altri, 2012). Le tipologie di asset citati prevedono costi di

manutenzione e uno stretto controllo dei costi di gestione. Le varie tipologie di beni possono

essere prodotti volontariamente, mediante azioni di governo o reti di coordinamento, oppure

involontariamente da interazioni e interdipendenze sociali con finalità diverse da quelle della

produzione diretta dei beni.

Non è un caso che il concetto di capitale territoriale sia stato proposto per la prima volta

in un contesto di elaborazione di politiche territoriali dall’OCSE ("Territorial Outlook", 2001) e

che chiami in causa tutti gli elementi che formano la ricchezza del territorio. La finalità è quella

di ricercare e individuare specificità che possono essere valorizzate e incrementate, e che

rappresentano la precondizione e la dotazione di base per la crescita economica del territorio.

La dotazione di capitale territoriale non è fissa, infatti, ma può essere incrementata e

costruita nell’ambito delle politiche di sviluppo così come auspica anche la Commissione

Europea (2005): “Ogni regione possiede uno specifico capitale territoriale distinto da quello

delle altre aree, che genera un più elevato ritorno per specifiche tipologie di investimento, che

sono meglio adatte per questa area e che più efficacemente utilizzano i suoi asset e le sue

potenzialità. Le politiche di sviluppo territoriale devono innanzitutto e soprattutto aiutare le

singole regioni a costruire il loro capitale territoriale.”

Nel volume “La crisi italiana nel mondo globale, Economia e società del nord” (a cura di

Paolo Perulli e Angelo Pichierri, Einaudi, 2010), Roberto Camagni e Nicola Dotti individuano

sette componenti del capitale territoriale costituite da quella produttiva, cognitiva, sociale,

relazionale, ambientale, insediativa e infrastrutturale. A queste, nel contributo di RegiosS, “Gli

indicatori per la misura del capitale territoriale” (2012), è stata aggiunta un’ottava dimensione,

il “capitale umano”. In quest’ultimo contributo (RegiosS, 2012), inoltre, è stato affrontato il tema

della misurazione delle dimensioni del capitale territoriale per le regioni italiane in due diversi

anni il 2003, pre-crisi, e per il 2009, anno in cui la crisi cominciava a manifestare i suoi effetti

più rilevanti. L’Italia è stata considerata come un “sistema chiuso” e la dotazione di capitale

territoriale di una regione relativizzata rispetto a quella delle altre. Il lavoro ha presentato diverse

e rilevanti difficoltà, soprattutto nel reperimento di variabili a livello regionale che

rappresentassero in modo esaustivo le dimensioni del capitale territoriale. Il risultato ha

evidenziato come le diverse dotazioni delle regioni italiane, sia nelle dimensioni del capitale

territoriale che nella sua totalità, nei due anni considerati, abbiano subito una riduzione, dovuta

alla crisi economica, anche se non consistente e non in tutte le dimensioni del capitale

territoriale. L’obiettivo di questo contributo è di volgere lo sguardo alle regioni europee (NUTS2

dell’UE-15) e di focalizzare l’attenzione alla relazione tra il capitale territoriale e i tassi di

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crescita del Pil delle regioni europee negli anni compresi tra il 2000 e il 2011. Riteniamo, infatti,

che il capitale territoriale con le sue componenti rappresenti simultaneamente le “precondizioni”,

in termini di beni pubblici, quali il capitale sociale, le infrastrutture e l’accessibilità, “le forze

trainanti” in termini di capitale umano specializzato e formato, imprenditorialità, piccole e medie

imprese, e i cosiddetti “filtri” sociali, per un miglioramento della produttività e dell’efficacia dei

fattori di crescita “classici” (Camagni R., Capello R., 2012). Il nostro approccio alle performance

economiche regionali dell’UE, basato su alcuni elementi del capitale territoriale, rappresenta un

tentativo di legarlo alle classiche teorie della crescita.

Alcuni studi evidenziano come i sentieri di crescita delle regioni siano estremamente

differenziati e vadano ad incidere sui diversi livelli di sviluppo delle regioni stesse. In questa

analisi, assumono importanza anche il ruolo e l’impatto della qualità istituzionale e della spesa

per la Politica di Coesione nel percorso di crescita delle regioni europee, come evidenziato nel

lavoro pionieristico di Andres Rodriguez-Pose e José Enrique Garcilazo (2012), “Quality of

government and the returns of cohesion expenditure in the European Union”, ma anche nel

contributo di RegiosS, “La Politica di Coesione e la qualità istituzionale nelle regioni”, (2013).

In questi lavori si è cercato di verificare quanto la qualità istituzionale regionale condizioni

l’efficacia degli investimenti della Politica di Coesione. Il risultato è stato positivo in entrambi i

lavori, anche se i risultati dipendono e sono differenziati dalle diverse combinazioni di dotazioni

di capitale territoriale e spesa per la Coesione. Nello studio della crescita regionale abbiamo

quindi inserito (con molte difficoltà rispetto alla disponibilità dei dati) anche le variabili della

qualità istituzionale e della spesa per la Politica di Coesione, in modo da verificare se questi

fattori intercettano e/o amplificano gli effetti della dotazione di capitale territoriale nelle regioni.

Nel secondo capitolo verranno descritte le variabili scelte a rappresentare il capitale

territoriale delle regioni dell’Unione Europea a 15. La costruzione del dataset è stata arricchita

da specifiche mappe che evidenzieranno la distribuzione dei fenomeni regionali considerati a

livello territoriale e la loro variazione nell’arco temporale.

Nel terzo capitolo verrà descritto il modello di beta convergenza (panel) utilizzato e le

sue diverse specificazioni (cross-section e time–series) nel tentativo di analizzare l’impatto della

dotazione di capitale territoriale sulla crescita regionale tenendo in considerazione (ove

possibile) la crisi e il ruolo della qualità istituzionale e della Politica di Coesione dell’Unione

Europea.

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2. Il capitale territoriale nelle regioni dell’Unione europea

2.1 Le variabili per la misura del capitale territoriale

L’obiettivo di questo lavoro è quello di evidenziare la relazione esistente tra la dotazione

di capitale territoriale e il tasso di crescita del Pil delle regioni dell’Unione europea. Per tale

motivo si è deciso di analizzare le variabili caratterizzanti il capitale produttivo, cognitivo,

umano e sociale, dimensioni sulle quali l’impatto della crisi economica sembra essere

maggiormente evidente.

La scelta delle variabili rappresentative è stata fortemente condizionata sia dalla

disponibilità dei dati a livello regionale che dal loro aggiornamento. Le unità statistiche di

riferimento sono le regioni dell’Unione europea, corrispondente alla classificazione NUTS2 e

appartenenti ai Paesi dell’UE-15 (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,

Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia). Si

è deciso di analizzare l’UE-15 per il numero di variabili disponibili, ma soprattutto per le

caratteristiche strutturali dei Paesi stessi più simili rispetto a quelle dell’UE allargata a 28 Paesi.

Il dataset utilizzato nella stima del modello di crescita comprende, oltre al Pil pro capite

espresso in parità di potere d’acquisto, 11 variabili rappresentative del capitale territoriale ed è

costituito nel modo seguente.

(1) Produttività del lavoro nell’industria in senso stretto:

(valore aggiunto dell’industria in senso stretto su unità di lavoro

dello stesso settore) Capitale produttivo (2) Occupati nell’industria in senso stretto sul totale degli occupati

(3) Tasso di occupazione femminile

(4) Addetti alla Ricerca e Sviluppo sul totale degli addetti

Capitale cognitivo (5) Capacità innovativa:

(spesa totale in Ricerca e Sviluppo in percentuale del Pil)

(6) Intensità brevettuale:

(numero di brevetti per milione di abitanti)

(7) NEET:

(la quota di popolazione che non risulta né occupata né inserita in un

percorso di istruzione e formazione)

Capitale umano

(8) Istruzione terziaria:

(percentuale di individui che ha conseguito almeno la laurea

triennale nella classe d’età 24-64)

(9) Tasso di abbandono scolastico:

(tasso di abbandono dall’istruzione e formazione da parte degli

individui che al massimo ha completato la scuola secondaria di

primo grado, nella classe d’età 18-24)

(10) Fiducia generalizzata:

(percentuale di individui che ritiene che la maggior parte della

popolazione sia degna di fiducia sul totale della popolazione)

Capitale sociale (11) Rispetto delle norme sociali:

(percentuale di individui che non ritiene giustificabile: accettare una

tangente, evadere le tasse, richiedere benefici statali quando non se

ne ha diritto)

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I dati sono disponibili e scaricabili dalla banca dati Regional statistics di Eurostat, ad

eccezione delle variabili “fiducia generalizzata” e “rispetto delle norme sociali” utilizzate come

proxy del capitale sociale e che provengono dalla quarta survey dell'European Values Study

(2008).

Non tutte le variabili presentano lo stesso aggiornamento, le serie degli occupati

nell’industria sul totale, tasso di occupazione femminile, istruzione terziaria, NEET, tasso di

abbandono sono aggiornate al 2013, i dati del Pil, addetti in ricerca e sviluppo, produttività del

lavoro nell’industria, capacità innovativa al 2011, l’intensità brevettuale al 2010 e quelle relative

al capitale sociale sono disponibili solo per il 2008 (anno della rilevazione). Pertanto si è deciso

di uniformare la dimensione temporale e di stimare un modello di crescita per gli anni dal 2000

al 2011 (si veda il paragrafo 3.1).

Di seguito analizzeremo più dettagliatamente la distribuzione regionale di alcune variabili

inserite nel modello di crescita, che caratterizzano le dimensioni del capitale territoriale

prescelte, e il Pil pro capite in quanto variabile dipendente nel modello stesso.

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2.2 Il Prodotto interno lordo

Il Pil pro capite espresso in parità di potere d’acquisto dell’UE-15 aumenta nel periodo

considerato, passando da 20.800 euro nel 2000 a 26.200 nel 2011. Tale crescita con intensità

differenti ha interessato tutti i NUTS2 oggetto di studio con la sola eccezione di una regione

della Grecia (Sterea Ellada) e del Regno Unito (Outer London) (Figure 2.1 e 2.2).

Analizzando dettagliatamente l’andamento del Pil dell’UE-15 si osserva che aumenta dal

2000 al 2007, si riduce leggermente nel 2008 e in modo più consistente nel 2009, cresce nel 2010

e nel 2011 rimanendo però su livelli inferiori a quelli del 2007 (rispettivamente 26.200 euro nel

2011 e 26.600 euro nel 2007).

Dalla rappresentazione grafica del fenomeno emerge l’ampio divario di sviluppo tra i

Paesi del Nord Europa, che presentano i più elevati livelli di Pil pro capite e quelli del

Mediterraneo con livelli inferiori; tale dualismo è maggiormente evidente nel 2011. In

particolare gli Stati membri con un livello della variabile superiore alla media dell’UE-15 sono il

Belgio, la Danimarca, l’Irlanda, il Lussemburgo, la Svezia, la Finlandia, l’Austria, i Paesi Bassi,

la Francia e la Germania (che registra nel 2011 un Pil pro capite medio pari a 30.800 euro).

Invece, la Spagna, la Grecia, e il Portogallo presentano, in entrambi gli anni considerati, livelli

della variabile inferiori alla media dell’UE-15. Il Pil pro capite del Regno Unito superiore alla

media europea nel 2000 si colloca ad un livello prossimo a quello medio nel 2011, tale Paese

però è caratterizzato da una forte eterogeneità regionale, il Galles Occidentale presenta un Pil pro

capite pari a 16.100 euro e la regione di Londra (la più “ricca” di tutta la UE), pari a 80.400 euro.

L’Italia nel 2000 presentava un Pil pro capite superiore alla media UE (20.800 euro) e pari a

22.300 euro, ma nel 2011 il Pil si attesta a 25.500 euro contro i 26.200 dell’UE-15. Emerge il

forte divario tra Nord e Sud del Paese con i livelli più bassi registrati in entrambi gli anni in

Calabria e Campania e i valori più alti in Lombardia (29.300 euro nel 2000, 33.200 euro nel

2011) e nella provincia di Bolzano (31.200 nel 2000, 36.900 nel 2011), livelli che sono

comunque inferiori ai valori più alti delle altre regioni dell’UE e che evidenziano le difficoltà del

nostro Paese.

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Figura 2.1. Il PIL pro capite in PPA nelle regioni europee (anno 2000) Figura 2.2. Il PIL pro capite in PPA nelle regioni europee (anno 2011)

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

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2.3 Il tasso di occupazione femminile

Il tasso di occupazione femminile dell’UE-15 aumenta dal 2000 al 2008, passando dal

valore iniziale di 53,9% al 60%, diminuisce nel 2009 e nel 2010 e cresce leggermente fino al

2013, attestandosi al 59,8%, livello inferiore però alla soglia del 60% fissata dalla Strategia di

Lisbona.

L’andamento del tasso di occupazione femminile è stato influenzato dalla crisi economica

iniziata nel 2008, ma il crollo dell’occupazione determinata da quest’ultima ha impattato

maggiormente sulla componente maschile. Infatti, il livello di occupazione maschile aumenta dal

2000 (72,5%) al 2008 (74%), ma inizia a diminuire a partire dal 2009 e nel 2013 risulta pari

solamente al 70,1%.

Nel periodo 2000-2013 il tasso di occupazione femminile aumenta nelle regioni del Nord

Europa, già caratterizzate dai valori più elevati e superiori alla media europea, mentre per i Paesi

del Mediterraneo la situazione appare stazionaria e su valori inferiori alla media dell’UE-15

(Figure 2.3 e 2.4). Nel 2013 i Paesi che presentano i più alti livelli di occupazione femminile

sono la Svezia (72,5%), la Danimarca (70%), i Paesi Bassi (69,9%), la Germania (68,8%), la

Finlandia (67,8%), l’Austria (67,6%) e il Regno Unito (65,9%). La Francia e il Portogallo

presentano valori prossimi alla media dell’UE-15. Invece le quote meno elevate, e fortemente al

di sotto del valore medio europeo, del tasso di occupazione femminile si registrano in Grecia

(40,1%), in Italia (46,5%) e in Spagna (49,7%).

Emergono nuovamente le rilevanti differenze tra le realtà regionali del nostro Paese, nel

2013 le uniche regioni italiane con livelli occupazionali superiori alla media UE e alla soglia del

60% sono la Provincia Autonoma di Bolzano (64,5%) e la Valle d’Aosta (60,4%) e l’Emilia-

Romagna che presenta un valore prossimo a quello medio (59,6%). Nelle altre regioni del

Centro-Nord le percentuali sono comprese tra il 57,6% della Provincia Autonoma di Trento e il

44,2% dell’Abruzzo. I tassi occupazionali femminili si riducono per le regioni del Mezzogiorno

e variano tra il livello minimo e preoccupante della Sicilia (27,1%) e quello della Sardegna

(39,7%).

Il tasso di occupazione femminile, elemento del capitale produttivo di una regione,

rappresentava uno degli obiettivi della Strategia di Lisbona, che stabiliva che il livello

occupazionale femminile avrebbe dovuto raggiungere il 60% entro il 2010. Ma nel 2013

solamente i Paesi del Nord Europa vedono realizzato tale obiettivo. L’innalzamento del tasso di

occupazione femminile diventa, quindi, una priorità su cui focalizzarsi per elevare il potenziale

di crescita di un territorio.

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Figura 2.3. Il tasso di occupazione femminile nelle regioni europee (anno 2000) Figura 2.4. Il tasso di occupazione femminile nelle regioni europee (anno 2013)

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

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2.4 La quota di popolazione che non risulta né occupata né inserita in un percorso di

istruzione e formazione (NEET)

La quota di popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni che non risulta né occupata

né inserita in un percorso di istruzione o di formazione viene indicata con l’acronimo NEET.

Nel 2000 la percentuale di NEET dell’UE-15 risultava pari al 14,4% ed è aumentata

raggiungendo il 16,6% nel 2013, la crescita di tale fenomeno però non è stata costante nel tempo,

infatti il valore minimo si è registrato nel 2007 (13,8%).

La quota di NEET è più elevata tra le donne e nel 2000 era pari al 16,7%, valore di gran

lunga superiore alla media europea, tra gli uomini risultava invece inferiore al valore medio

(11,9%). Nel periodo considerato la percentuale di maschi che non studiano né lavorano è

aumentata in modo preponderante raggiungendo il 16,3%, tale crescita è stata più contenuta per

le donne che si attestano nel 2013 al 17%.

Tra il 2000 e il 2013 l’aumento di NEET non ha interessato tutte le regioni dell’UE-15,

ma si è verificato soprattutto in Spagna, Portogallo, Regno Unito e Nord Italia. Il Mezzogiorno

italiano, la Grecia, alcune regioni del Regno Unito e del Sud della Spagna presentavano valori

elevati e fortemente superiori alla media già nel 2000 (Figure 2.5 e 2.6).

Nel 2013 è l’Italia il Paese che presenta i più alti livelli di NEET, con una quota del

29,3%, seguita dalla Grecia (28,6%) e dalla Spagna (24%). Nel 2000 la situazione era analoga

ma i livelli risultavano inferiori: 23,1% per l’Italia, 22,6% per la Grecia, 14,4% per la Spagna.

La quota meno elevata di NEET nel 2013 si registra nei Paesi Bassi e in Lussemburgo

(6,7% in entrambi i Paesi), in Danimarca (8,1%), in Austria (8,7%) e in Germania (8,8%).

Analizzando i dati a livello regionale per l’Italia emerge nuovamente il dualismo Nord-

Sud che risulta più accentuato nel 2000 rispetto al 2013. In questo ultimo anno le regioni del

Mezzogiorno italiano presentano valori superiori al 30% e in alcuni casi sono prossimi al 40%

(42,3% in Sicilia, 39% in Campania e 38,7% in Calabria). Solo la Provincia Autonoma di

Bolzano (11,7%) è caratterizzata da un valore inferiore alla media UE. Mentre nelle altre regioni

del Centro-Nord si registrano percentuali elevate e comprese tra il 20,9% del Veneto e il 27,2%

del Lazio. La quota di NEET per il Friuli-Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Trento

risultano prossime alla media europea e pari rispettivamente al 17% e al 17,7%.

Un valore elevato della variabile NEET indica una quota maggiore di giovani che non

risulta né occupata né inserita in un percorso di istruzione e formazione, pertanto il suo

contributo al capitale territoriale è negativo. Una percentuale elevata di NEET riduce le

potenzialità di costruzione di un capitale umano qualificato, che possa contribuire allo sviluppo

territoriale.

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Figura 2.5. I NEET nelle regioni europee (anno 2000) Figura 2.6. I NEET nelle regioni europee (anno 2013)

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

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2.5 La capacità innovativa

La capacità innovativa, calcolata come spesa totale in Ricerca e Sviluppo in percentuale

del Pil, nell'EU a 15, nel periodo considerato, passa da poco meno del 2% nel 2000 (1,91%) ad

un valore di poco superiore al 2% nel 2011 (2,14%). Tale crescita moderata e costante ha

interessato quasi tutti i Paesi presi in esame e soprattutto il Portogallo che, però, all'inizio del

periodo considerato presentava dei valori molto bassi. Le regioni che tra il 2000 e il 2011 hanno

mostrato una variazione percentuale più elevata rispetto alle altre nella spesa in R&S sono state

Sterea Ellada (+5,25%) in Grecia e la regione del Nord (+5,65%) in Portogallo; è stata la

provincia belga del Brabante Vallone che, in percentuale del Pil, ha investito maggiormente in

R&S (negli 11 anni considerati ha investito in media il 7,5% del Pil).

Nel 2000 solo poche regioni superavano il valore medio europeo, due regioni in Francia e

una in Finlandia si attestavano su valori superiori al 3%, il resto delle regioni prese in esame

presentavano valori piuttosto uniformi. Se l'Italia sembra dividersi tra Est, con valori inferiori

all'1% del Pil, e Ovest, con valori superiori all'1%, la Spagna presenta dei valori quasi del tutto

uniformi, inferiori all'1% del Pil (Figura 2.7). Nella cartina sono presenti anche i valori dei Paesi

presi in esame che per il 2000 non dispongono di dati a livello regionale: Austria, Belgio,

Germania, Danimarca, Irlanda e Regno Unito. Solo Austria, Belgio, Germania e Danimarca

presentavano nel 2000 valori superiori alla media europea.

Nel 2011 le regioni che investono più del 5% in R&S sono in Francia, Belgio,

Danimarca, Germania e Regno Unito (Figura 2.8). L'Europa mediterranea continua a presentare

dei valori inferiori o prossimi alla media europea (con Spagna e Portogallo in crescita), mentre

sono le regioni dell'Europa continentale a presentare i valori più elevati.

La capacità innovativa, indicatore del capitale cognitivo, rientra all'interno degli obiettivi

della strategia di Europa 2020. Entro il 2020, la spesa in R&S dei Paesi europei dovrebbe essere

pari mediamente al 3% del Pil, ma nel 2011 si era ancora lontani dal raggiungimento di tale

obiettivo. Investimenti superiori in Ricerca e Sviluppo significherebbero non solo un maggior

coinvolgimento degli attori presenti nel territorio ma delineerebbero anche un percorso di

crescita basato su ricerca, innovazione e conoscenza.

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Figura 2.7. La capacità innovativa nelle regioni europee (anno 2000) Figura 2.8. La capacità innovativa nelle regioni europee (anno 2011)

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

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2.6 Il tasso di abbandono scolastico

Il tasso di abbandono scolastico nell'EU-15, inteso come abbandono dall’istruzione e

formazione da parte degli individui che al massimo hanno completato la scuola secondaria di

primo grado, nella classe d’età 18-24, tra il 2000 e il 2013 diminuisce in modo costate e di quasi

7 punti percentuali, passando da 19,3% al 12,7%. Il Paese che ha maggiormente contribuito, in

termini percentuali, a tale riduzione è stato il Portogallo (che da un tasso di abbandono scolastico

del 43,6% è passato al 19,2%). Le regioni che, tra il 2000 e il 2013, hanno manifestato una

maggiore riduzione del tasso di abbandono sono state la Tessalia in Grecia e la regione Centro in

Portogallo.

Nel 2000 gran parte delle regioni di Spagna e Portogallo presentavano valori molto

superiori alla media dell’UE-15 e, in generale, tutti gli Stati dell'area mediterranea erano

contraddistinti da valori elevati di abbandono scolastico. Portogallo, Spagna ed Italia erano,

infatti, i primi tre Paesi con i tassi di abbandono più elevati di tutta l'EU-15 (Figura 2.9).

Nel 2013 è piuttosto evidente la grande divisione che vi è tra l'area mediterranea e il resto

dell'EU-15. È la Spagna il Paese con il tasso di abbandono più elevato, seguito sempre da

Portogallo e Italia che, comunque, riducono di molto il fenomeno. L'Italia centrale e orientale

mostrano valori in media con quelli europei e solo la Sicilia presenta un tasso di abbandono

molto superiore alla media (25,8%). L'Europa occidentale e i Paesi del Nord mostrano dei valori

in linea se non inferiori alla media europea (Figura 2.10).

Il tasso di abbandono scolastico è un'importante componente del capitale umano, la sua

riduzione a livelli inferiori al 10% è uno degli obiettivi di Europa 2020. Il capitale umano ha

ormai assunto un ruolo fondamentale all'interno della teoria della crescita. Il capitale umano

produce diverse esternalità positive legate ad una maggiore produttività e competitività del

territorio, maggiore benessere collettivo e individuale, più elevati tassi di innovazione e un più

ampio e consapevole coinvolgimento della cittadinanza nella gestione socio-economica del

territorio.

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Figura 2.9. Il tasso di abbandono nelle regioni europee (anno 2000) Figura 2.10. Il tasso di abbandono nelle regioni europee (anno 2013)

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

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2.7 La “fiducia generalizzata”

La “fiducia generalizzata” è misurata come percentuale di individui che ritiene che la

maggior parte della popolazione sia degna di fiducia sul totale della popolazione. È disponibile

per le regioni dell'EU-15 solo per il 2008 e rilevata nella vasta indagine dell'European Values

Study (Figura 2.11).

È possibile osservare come, anche in questo caso, siano le regioni settentrionali

dell'Europa a presentare i valori più elevati e quelle dell'Europa mediterranea quelli più bassi.

L'Italia è suddivisa in due parti: il Centro-Nord assume valori in media con quelli dell'Europa a

15 mentre il Centro-Sud evidenzia dei valori inferiori alla media.

La “fiducia generalizzata” rappresenta uno degli elementi fondamentali del capitale

sociale, esso influenza in diversi modi la crescita economica. Una maggiore fiducia generalizzata

è associata, infatti, a minori costi di transazione per le imprese, ad una maggiore cooperazione

non solo tra i cittadini, ma anche tra quest'ultimi, le imprese e le istituzioni.

Una maggiore fiducia generalizzata è legata ad una maggiore partecipazione politica e

sociale, a più elevati livelli di qualità istituzionale; elementi fondamentali sia per il capitale

territoriale che per la crescita.

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Figura 2.11. La “fiducia generalizzata” nelle regioni europee (anno 2008)

Fonte: nostre elaborazioni su dati della quarta survey dell'European Values Study (2008)

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3. La crescita nelle regioni dell’UE: il ruolo del capitale territoriale, della

qualità istituzionale e della spesa per la Politica di Coesione

3.1 Il modello

Al fine di analizzare i differenti effetti delle componenti del capitale territoriale sulla

crescita regionale, abbiamo considerato un modello di specificazione che mette in relazione la

variazione del tasso di crescita del Pil con un insieme di variabili esplicative che si riferiscono

alle differenti dimensioni del capitale territoriale.

Il campione di dati su cui è stata condotta l’analisi è un panel costituito dalle 214 regioni europee

dell’UE-151 esaminate nel periodo compreso tra il 2000 e il 2011, per un totale di 2.354

osservazioni. Data la presenza di un numero rilevante di dati mancanti per alcuni anni e per

alcune regioni, il panel risulta non bilanciato.

Il modello neoclassico di crescita di Solow-Swan, al quale facciamo riferimento, prevede

che la crescita economica sia messa in relazione con un set di variabili esplicative, nel nostro

caso, che catturano l’effetto di alcune componenti del capitale territoriale. Questo modello è stato

esteso al fine di tenere conto anche di alcune variabili che riteniamo possano incidere in misura

significativa e potenziare gli effetti del capitale territoriale sulla crescita economica regionale: la

qualità istituzionale e la spesa per la Coesione.

È stato quindi stimato il seguente modello:

yi=α+β yi +γXi+δFCoei+φQualisti+υi

in cui yi è il tasso di crescita medio annuo del Pil pro-capite della i-esima regione nel periodo

2000-2011, yi è il Pil pro-capite della i-esima regione all’inizio del periodo, Xi rappresenta il

vettore delle variabili che compongono il capitale territoriale, FCoei è la spesa pro capite per la

Politica di Coesione2, Qualisti è l’indicatore che fornisce una misura della qualità istituzionale a

livello regionale ed è supposto invariante nel tempo. Essendo la Qualità Istituzionale un

fenomeno persistente nel tempo e disponendo di dati limitati si è scelto di utilizzare l'European

Quality of Government Index (EQI), unico indice disponibile a livello regionale, realizzato dal

Quality of Government Institute di Gothenburg. L'EQI è relativo all'anno 2009 e copre tutto il

territorio dell'EU a 15. Attribuisce un valore ad ogni regione basandosi su due elementi: da un

lato le performance istituzionali nazionali, misurate dai World Governance Indicators della

World Bank, dall'altro dalle singole performance regionali relative ai livelli percepiti di qualità,

imparzialità e corruzione di servizi regionali quali assistenza sanitaria, istruzione e applicazione

della legge.

1 Con l’esclusione del Lussemburgo, per il quale non erano disponibili i dati sulle variabili del capitale umano.

2 La variabile spesa per la Politica di Coesione comprende solo la quota di finanziamento dell’Unione Europea, i

dati relativi al cofinanziamento non sono disponibili, inoltre l’ultimo anno di riferimento è il 2008.

22

Come illustrato nella parte iniziale del lavoro (paragrafi 2.1 e 2.2), le variabili prese in

considerazione per la misura del capitale territoriale sono le seguenti: la partecipazione

all’istruzione terziaria (Ter), il tasso di abbandono scolastico (Eduabb), la quota di giovani che

non studiano e non lavorano (Neet), la capacità innovativa (Innov), la percentuale di addetti in

ricerca e sviluppo (RD), l’intensità brevettuale (Brev), la produttività del lavoro nell’industria in

senso stretto (Prod), la quota di occupati nell’industria in senso stretto (Occind), il tasso di

occupazione femminile (Toccf), la misura di fiducia generalizzata (Trust) e, infine, il rispetto

delle norme sociali (Soc_norms).

Le prime tre variabili (Ter, Eduabb e Neet) fanno riferimento al capitale umano, le successive tre

(Innov, RD, Brev) al capitale cognitivo, seguite da altre tre variabili (Prod, Occind e Toccf) che

esprimono il capitale produttivo, mentre le ultime due (Trust e Soc_norms) esprimono il capitale

sociale. Queste ultime, disponibili solo a cadenza decennale, variano molto lentamente nel tempo

e sono state inserite come fisse.

Trattandosi di un modello di crescita tutte le variabili esplicative, ad eccezioni di quelle

invarianti nel tempo, sono state ritardate, e fanno quindi riferimento al periodo iniziale. Inoltre, è

stata effettuata la trasformazione logaritmica delle variabili che per costruzione non sono

espresse come tassi3. Solo la produttività dell’industria in senso stretto è stata trasformata e

inserita come tasso di crescita.

Per la stima del modello di crescita è stato utilizzato il software statistico SAS, e in

particolare la procedura “Proc Panel”, ritenuta maggiormente adeguata all’analisi di panel non

bilanciati.

L’osservazione di un elevato numero di unità costanti nel tempo indurrebbe a utilizzare

un modello di regressione panel a effetti fissi4, che però risulta impraticabile data la presenza di

alcune variabili invarianti nel tempo. Si è quindi ritenuto opportuno utilizzare un modello

pooled, corretto per la presenza di eteroschedasticità, in cui è stato inserito un set di variabili

dummy per controllare l’effetto paese. Al fine di testare la presenza degli effetti paese, è stato

condotto un test di Wald sulle variabili dummy, che ci ha portato a rigettare l’ipotesi nulla che

tutti gli effetti fissi paese siano uguali a zero5. L’inserimento delle dummy paese come effetti

fissi ci ha portato ad escludere l’intercetta dalla stima del modello per non generare

multicollinearità.

3 Le variabili espresse in logaritmi sono precedute da una “l” nella notazione.

4 Il modello a effetti fissi costituisce una specificazione adeguata se l’analisi si basa su un insieme specificato di N

unità e il panel è caratterizzato da poche osservazioni temporali (Baltagi, 2008). 5 I test e i relativi risultati sono riportati in Appendice.

23

3.2 I risultati

Il tasso di crescita del Pil risulta correlato negativamente con il livello del Pil al tempo

iniziale che evidenzia una relazione del segno atteso e nei tre modelli effettuati (A, B, D) per il

periodo 2000-2011 un coefficiente beta significativo e compreso tra -0,033 e -0,036.

Si abbassa notevolmente, pur rimanendo significativo e del segno atteso nel modello (C)

che fa riferimento agli anni dal 2000 al 2008, -0,007.

Ci sono alcune regolarità nei modelli stimati in termini di significatività delle variabili e

alcune importanti differenziazioni dovute alla necessità di limitare gli anni di analisi o di ridurre

il numero delle regioni considerate per inserire variabili disponibili solo per un numero ridotto di

esse. Inoltre nei due modelli, A e B, si è voluto tenere conto dell’avvento della crisi inserendo

una dummy che assumesse valore 0 negli anni antecedenti al 2008 e, 1, dal 2008 al 2011. La

dummy (Crisi) risulta avere un coefficiente negativo e significativo, pari a circa -0,01 (con una

significatività ben superiore all’1%) nei due modelli (A e B) ove è stata inserita. Il

sopraggiungere della crisi ha un evidente effetto negativo sui tassi di crescita a partire dal 2008.

Per presentare in modo più efficace i risultati commenteremo prima il Modello A stimato

su 184 regioni per il periodo 2000-2011 e gli altri in termini di differenziazione da esso (Tabella

3.1).

Modello A

Le variabili individuate per rappresentare il capitale umano sono del segno atteso: il tasso

di partecipazione all’istruzione terziaria contribuisce positivamente alla crescita (coefficiente

significativo al 5% e pari a 0,015) mentre, all’opposto il tasso di abbandono è inversamente

correlato al tasso di crescita del Pil (coefficiente significativo all’1% e pari a -0,00085) e anche

la crescita dei giovani che non studiano e non lavorano (NEET) ha un effetto negativo sul tasso

di variazione del Pil (coefficiente significativo al 5% e pari a -0,00057). Una variabile che

sembra risultare incoerente è il tasso di occupazione femminile che ha segno negativo ed è

significativa. Questo avviene nei primi tre modelli considerati (A, B, C) ma non nell’ultimo (D),

spiegheremo poco oltre qual è, a nostro avviso, il motivo per cui le variabili occupazionali non

hanno un comportamento facilmente prevedibile e valori diversi da quelli attesi.

Il capitale cognitivo rappresentato in questo modello dalla capacità innovativa

contribuisce positivamente al tasso di crescita del Pil (0,0022, seppure con una significatività al

limite del 10%). Il Modello B si differenzia dal modello A, sostanzialmente, perché viene

inserita la variabile relativa alla quota di addetti in Ricerca & Sviluppo sul totale degli addetti

della regione (RD), la variabile è disponibile per un numero inferiore di regioni (163 rispetto alle

178 del Modello A). L’introduzione di questa variabile finisce per catturare la portata innovativa

dell’economia ed evidenzia un coefficiente positivo pari a 0,07 (e significativo all’1%).

In relazione al capitale produttivo l’interpretazione è meno lineare, in quanto, i dati sulla

produttività del lavoro evidenziano coerentemente un coefficiente positivo e significativo e

quindi un apporto rilevante alla crescita (coefficiente significativo all’1% e pari a 0,103). Mentre

la quota di occupazione nell’industria è significativa ma negativa come il tasso di occupazione

24

femminile. Il modello D è stato formulato con l’obiettivo di verificare se le variabili

occupazionali potessero essere meglio interpretate se messe in relazione con l’avvento della crisi.

In sostanza è stata introdotta l’interazione della dummy relativa alla crisi e le variabili tasso di

occupazione femminile e quota di occupazione industriale perché riteniamo che vi sia un

cambiamento di regime (e quindi di pendenza) nelle variabili occupazionali prima e durante la

crisi. La nostra tesi sembra essere confermata e, infatti, i coefficienti del tasso di occupazione

femminile e della quota di occupazione industriale cambiano segno e diventano positive, ma solo

la quota di occupazione industriale risulta anche significativa (coefficiente pari a 0,014) (Tabella

3.1, Modello D).

Il capitale sociale rappresentato dalle variabili, “fiducia” e “rispetto delle norme sociali”

(come abbiamo visto di difficile reperimento e non disponibili in serie storica) non danno

evidenze chiare. La variabile “fiducia” ha un coefficiente positivo (0,009) ma supera la soglia

della significatività (11,7%). La variabile “rispetto delle norme sociali” ha un coefficiente

negativo e non è significativa.

La variabile relativa alla qualità istituzionale ha un coefficiente del segno atteso e

significativo ed evidenzia un contributo positivo alla crescita economica (coefficiente

significativo all’1% e pari a 0,005).

L’effetto geografico di appartenenza delle regioni al proprio paese (rappresentato da una

dummy) è positivo e significativo ed evidenzia la peculiarità e l’importanza delle politiche

nazionali nel determinare i percorsi di crescita delle proprie regioni.

Il Modello C si differenzia dagli altri perché l’analisi si ferma al 2008 e non cattura

quindi l’impatto della crisi sul tasso di crescita del Pil (Tabella 3.1). Le regioni analizzate sono

178 e sono stati considerati gli anni dal 2000 al 2008 e questa limitazione ci ha consentito di

introdurre la variabile della spesa per la Politica di Coesione (FCoe) disponibile annualmente

solo fino al 2008. I risultati in termini di incidenza della dotazione di alcune componenti del

capitale territoriale sul tasso di crescita è analogo a quello dei Modelli A e B considerati in

precedenza ma vogliamo sottolineare alcune differenze e alcune novità significative.

La variabile quota di occupazione industriale sul totale dell’occupazione ha un

coefficiente positivo e significativo (coefficiente significativo al 5% e pari a 0,01) a riprova che

l’andamento dell’occupazione industriale apporta un valore positivo alla crescita economica fino

al 2008 e poi cambia “regime” durante la crisi (l’occupazione industriale è quella che

maggiormente risente della crisi riducendosi drasticamente nelle regioni a maggiore

specializzazione manifatturiera).

La variabile “fiducia” acquista negli anni pre-crisi maggiore significatività rispetto alla

crescita (coefficiente significativo al 10% e pari a 0,005). Le variabili, qualità istituzionale e

spesa per la coesione, che riteniamo essere fondamentali per creare le condizioni affinché il

capitale territoriale delle regioni possa esprimere al massimo le proprie potenzialità, risultano

entrambe positivamente correlate con il tasso di crescita del Pil (i coefficienti sono

rispettivamente 0,005 con una significatività dell’1% per la qualità istituzionale e un coefficiente

pari a 0,00002 con una significatività del 10% per la spesa per la Coesione).

25

Tabella 3.1. Una stima dell’impatto della dotazione di capitale territoriale, della qualità istituzionale e della

spesa per la Politica di Coesione sulla crescita regionale dell’UE-15

Variabile Modello

A

Modello

B

Modello

C

Modello

D

lPIL -0.0332*** -0.0357*** -0.0073*** -0.0360***

lTER 0.0151** 0.0068 0.0199*** 0.0133**

EDUABB -0.0009*** -0.0007*** -0.0005** -0.0010***

NEET -0.0006** -0.0017*** 0.0011*** 0.0005**

lInnov 0.0022° -0.0036*

0.0011

lRD

0.0071***

lBREV

0.0018

dlPROD 0.1028** 0.0987** 0.0698** 0.1008**

lOccind -0.0054* -0.0058** 0.0098***

TOCCF -0.0011*** -0.0013*** -0.0004*

Occind*Crisi

0.0137***

TOCCF*Crisi

0.0001

Qualist 0.0054*** 0.0042*** 0.0055** 0.0013

Trust 0.0089° 0.0049 0.0052° 0.0090°

Soc_norms -0.0008 -0.0012 0.0002 0.0003

FCoe

0.00002*

AT 0.3853*** 0.4561*** 0.0663*** 0.3549***

BE 0.3735*** 0.4496*** 0.0440*** 0.3468***

DE 0.3983*** 0.4767*** 0.0550*** 0.3624***

DK 0.3891*** 0.4603***

0.3583***

ES 0.3816*** 0.4516*** 0.0723*** 0.3596***

EL 0.4031*** 0.4747*** 0.0661*** 0.3711***

FI 0.3736*** 0.4583*** 0.0547*** 0.3400***

FR 0.3621***

0.3285***

IE 0.3562*** 0.4355*** 0.0316 0.3233***

IT 0.3790*** 0.4522*** 0.0556*** 0.3503***

NL 0.3758*** 0.4492*** 0.0678*** 0.3504***

PT 0.3980*** 0.4591*** 0.0834*** 0.3650***

SE 0.3964*** 0.4769*** 0.0641*** 0.3585***

UK 0.3508*** 0.4335*** 0.0462*** 0.3171***

Crisi -0.0158*** -0.0091***

N. regioni 184 163 178 184

R-quadro 0.4322 0.4745 0.5736 0.4213

Nota: ***: significatività all’1%, **: significatività al 5%, *: significatività al 10%, °: significatività tra il 10% e il

15%

26

27

4. Conclusioni

Trarre conclusioni univoche dal quadro delle regioni dell’Unione europea a 15 non è

semplice, in quanto evidenzia caratteristiche differenziate sia della crescita economica che delle

componenti del capitale territoriale. Siamo però in grado di leggere in modo integrato alcuni

elementi.

L’analisi fa emergere, già nel 2000, un’Unione europea dualistica sugli asset materiali e

immateriali del capitale territoriale. Le regioni del Nord Europa evidenziano valori

elevati e, si contrappongono a valori degradanti nelle regioni del Mediterraneo per il tasso

di occupazione femminile, per la capacità innovativa, per la “fiducia generalizzata” (nel

2008), e, all’opposto, mostrano valori progressivamente crescenti per la quota di

popolazione che non risulta né occupata né inserita in un percorso di istruzione e

formazione e per i tassi di abbandono.

Il dualismo acquista toni più evidenti nel 2011 (o nel 2013 quando disponibile), anno in

cui la crisi era già “consolidata” a beneficio delle regioni del Nord Europa pur

verificando un generalizzato miglioramento dei livelli delle variabili considerate.

Emergono, inoltre, alcune regolarità nei punti di forza e nelle criticità nell’analisi dei tassi

di crescita del Pil condizionato ad alcune variabili rappresentative del capitale territoriale e ai

fattori della qualità istituzionale e della spesa per la Politica di Coesione. Le fotografie del Pil

procapite dell’Unione Europea, al 2000 e al 2011, evidenziano valori in aumento e sembrano

mostrare velocità diverse nella crescita.

Da una lettura congiunta delle mappe del Pil pro capite e dei risultati del modello di

convergenza (che per definizione non mostra quali siano specificatamente le regioni che

convergono) emerge che a crescere più rapidamente sono le regioni del Nord Europa le quali

mostrano livelli più elevati del Pil pro capite e che, inoltre, hanno una dotazione maggiore di

capitale territoriale. Il risultato non è completamente in linea con la teoria neoclassica della

crescita economica, essa vedrebbe protagoniste di una velocità maggiore di crescita le regioni in

“ritardo” e che partono da livelli di Pil pro capite più basso. Rispetto al tasso medio europeo di

crescita del Pil pro capite, invece, sono le regioni del Nord Europa a presentare valori superiori,

mentre quelle dell’area Mediterranea hanno dei tassi inferiori alla media.

Esiste convergenza condizionata rispetto agli elementi del capitale territoriale preso in

considerazione. Eliminando quindi l’influenza della dotazione iniziale di capitale territoriale, e

quindi riconosciutane l’importanza e la significatività, il Pil pro capite delle regioni dell’UE-15

converge.

Inoltre nei modelli proposti si è tenuto conto dell’avvento della crisi, con l’introduzione

di una dummy, che risulta avere un evidente effetto negativo sui tassi di crescita a partire dal

2008.

Le variabili individuate per rappresentare il capitale umano sono del segno atteso: il tasso

di partecipazione all’istruzione terziaria contribuisce positivamente alla crescita mentre,

all’opposto il tasso di abbandono è inversamente correlato al tasso di crescita del Pil pro capite.

28

Il capitale cognitivo rappresentato dalla capacità innovativa contribuisce positivamente al tasso

di crescita del Pil mentre, per il capitale produttivo, l’interpretazione è meno lineare, in quanto, i

dati sulla produttività del lavoro evidenziano un apporto rilevante alla crescita mentre la quota di

occupazione nell’industria è significativa ma negativa così come il tasso di occupazione

femminile.

Emerge, quindi, una rilevante difficoltà nel comprendere le dinamiche occupazionali nel

periodo della crisi che non possono essere lette con i canoni classici. Nel tentativo di interpretare

il tasso di occupazione femminile e la quota di occupazione industriale, in relazione all’avvento

della crisi, e ipotizzando un cambiamento di regime la tesi sembra essere confermata: tenuto

conto dell’interazione con la crisi il contributo alla crescita diventa positivo.

Le variabili qualità istituzionale e spesa per la coesione, che riteniamo essere

fondamentali per creare le condizioni affinché il capitale territoriale delle regioni possa

esprimere al massimo le proprie potenzialità, risultano entrambe positivamente correlate con il

tasso di crescita del Pil pro capite.

È possibile, quindi, rispondere alla nostra domanda di ricerca circa l’influenza del

capitale territoriale sulla crescita delle regioni europee in modo positivo: il capitale territoriale

influenza, di molto, la crescita economica.

Questo significa che è fondamentale orientare sempre più le politiche europee e quelle

nazionali ad un incremento ed una maggiore dotazione di capitale territoriale, guardando alla

specificità di ciascun territorio e integrandole con politiche di incremento della qualità

istituzionale che garantiscano una maggior efficienza nella spesa dei Fondi strutturali. Tutto ciò,

anche, nell’ottica di ridurre il dualismo evidente tra le regioni del Nord dell’Unione europea e le

regioni del Mediterraneo promuovendo uno sviluppo più equilibrato e una convergenza verso più

alti livelli di benessere.

29

Appendice

Risultati del test sui coefficienti delle dummy: Modello A

Test Tipo Statistica Pr > ChiQuadr Etichetta

Test0 Wald 556.11 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = DK , DK = ES , ES = EL , EL = FI , FI = FR ,

FR = IE , IE = IT , IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK

Test1 Wald 943.73 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = DK , DK = ES , ES = EL , EL = FI , FI = FR ,

FR = IE , IE = IT , IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK , UK = 0

Risultati del test sui coefficienti delle dummy: Modello B

Test Tipo Statistica Pr > ChiQuadr Etichetta

Test0 Wald 560.52 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = DK , DK = ES , ES = EL , EL = FI ,

FI = IE , IE = IT , IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK

Test1 Wald 1313.7 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = DK , DK = ES , ES = EL , EL = FI ,

FI = IE , IE = IT , IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK , UK = 0

Risultati del test sui coefficienti delle dummy: Modello C

Test Tipo Statistica Pr > ChiQuadr Etichetta

Test0 Wald 74.37 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = ES , ES = EL , EL = FI , FI = IE , IE = IT ,

IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK

Test1 Wald 186.82 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = ES , ES = EL , EL = FI , FI = IE , IE = IT ,

IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK , UK = 0

Risultati del test sui coefficienti delle dummy: Modello D

Test Tipo Statistica Pr > ChiQuadr Etichetta

Test0 Wald 502.04 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = DK , DK = ES , ES = EL , EL = FI , FI = FR ,

FR = IE , IE = IT , IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK

Test1 Wald 953.6 <.0001 AT = BE , BE = DE , DE = DK , DK = ES , ES = EL , EL = FI , FI = FR ,

FR = IE , IE = IT , IT = NL , NL = PT , PT = SE , SE = UK , UK = 0

30

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