Il Beta

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Perché il Beta: le sue origini ed il suo significato

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Come calcolare il beta relativo al prezzo delle azioni

Camilla Mazzoli Caterina Lucarelli

Università Politecnica delle Marche- Facoltà di Economia “G. Fuà” 1- Perché il Beta: le sue origini ed il suo significato Fin dagli inizi degli studi in materia di investimenti finanziari (anni ’30) ci si è posti il dubbio di cosa fosse il rischio e di come si potesse misurare. Negli anni ’60, con la Modern Portfolio Theory ed il CAPM di Sharpe, Lintner e Mossim, si comincia ad affermare l’idea che il rischio di un’azione sia rappresentato dal suo comportamento rispetto al mercato di riferimento. Si afferma l’idea che il “beta” esprima il rischio di mercato (rischio sistematico) di un’azione e rappresenti la misura ineliminabile di rischio. A ben vedere, si arriva a questa conclusione solo dopo aver chiarito il concetto di rischio complessivo di un’azione e gli effetti della diversificazione di un portafoglio azionario. E’ noto come il rischio complessivo di un’azione sia rappresentato dalla volalitilità dei suoi rendimenti nel tempo. Per misurare la volatilità in statistica si impiegano delle misure di dispersione, quali la varianza (σ2) e lo scarto quadratico medio (σ). Esse forniscono una misurazione della volatilità dei rendimenti di un’azione rispetto al proprio valore medio, con riferimento ad un determinato intervallo di osservazione:

( )∑=

−−

=k

tiiti rr

k 1

2

11

σ Varianza dell’azione “i” misurata nell’intervallo di osservazione t= 1…k

[1]

( )∑=

−−

=k

tiiti rr

k 111σ

Scarto quadratico medio dell’azione “i” misurato nell’intervallo t= 1…k

[2]

Si prenda l’esempio di due azioni quotate in Borsa Italiana: Pirelli e Banca Fideuram, osservate nel corso di 40 giorni (in questo caso, dal 24 luglio 2006 al 15 settembre 2006). Quale delle due è più rischiosa, nel suo complesso? La rappresentazione grafica (fig.1) dei loro rendimenti nel tempo (40 giorni) mostra come Pirelli abbia fatto registrare fluttuazioni maggiori di Banca Fideuram. Infatti, la varianza di Banca Fideuram è pari a 0,001%, mentre quella di Pirelli è pari a 0,052%. Figura 1- La dispersione dei rendimenti

-0.06

-0.05

-0.04

-0.03

-0.02

-0.01

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0 5 10 15 20 25 30 35 40

rPirellirBancaFideuram

Fonte: Dati TalDDE Realtick®.

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E’ altrettanto noto come, considerando non più un solo titolo, ma un insieme (portafoglio) di azioni, il rischio complessivo di questo aggregato non sempre corrisponda alla media dei rischi dei titoli che lo compongono. In realtà, ciò avviene soltanto se inseriamo nel portafoglio azioni con caratteristiche molto simili (es. stesso settore). Il più delle volte, i titoli presentano evoluzioni di volatilità peculiari, originate da ragioni specifiche che attengono alle singole società emittenti. Quindi, è frequente constatare che ad evoluzioni non favorevoli di prezzo di un titolo corrispondono rialzi per altri titoli, e viceversa. La conoscenza del comportamento di ogni titolo rispetto agli altri è alla base della diversificazione dei portafogli azionari. Questa consente, infatti, di ridurre il rischio complessivo di portafoglio attraverso la selezione di titoli “diversi”. Ovviamente, anche in questo caso la statistica viene in soccorso e fornisce delle misure sintetiche del comportamento di ogni titolo rispetto agli altri, o meglio di come varia il rendimento di un’azione rispetto alle altre. Si tratta della covarianza e del coefficiente di correlazione lineare:

)(*)(*1,

1,, jtji

k

ttiji rrrr

k−−= ∑

=

σ Covarianza dell’azione “i” rispetto all’azione “j” (e viceversa) nell’intervallo di osservazione t= 1…k

[3]

ji

jiji σσ

σρ ,

, = Coefficiente di correlazione lineare tra l’azione “i” e l’azione “j” (e viceversa) nell’intervallo di osservazione t= 1…k

[4]

Quest’ultimo, in particolare, fornisce una misura sintetica delle attitudini di un titolo a variare in modo più o meno concorde, o discorde, rispetto ad altri. Infatti, quando tale coefficiente, per due azioni, è pari ad 1 ci si trova in una situazione di massima correlazione lineare positiva: alla diminuzione (aumento) del prezzo del primo titolo del 10%, anche l’altro titolo diminuisce (aumenta) del 10%. Quando tale coefficiente è pari a -1 si ha la massima correlazione negativa: alla diminuzione (aumento) del prezzo del primo titolo del 10%, l’altro titolo aumenta (diminuisce) del 10%. La realtà, ovviamente, presenta soluzioni intermedie (fig.2). Figura 2- La diversa correlazione tra azioni

-0.04

-0.03

-0.02

-0.01

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0 5 10 15 20 25 30 35 40

rEnirSaipem

-0.04

-0.03

-0.02

-0.01

0

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

0 5 10 15 20 25 30 35 40

rFastwebrSaipem

69.0, =enisaipemρ 19.0, −=fastwebsaipemρ

Fonte: Dati TalDDE Realtick®. I maggiori benefici delle diversificazioni si hanno quando si compone il portafoglio di titoli “diversi”, nel senso che presentano, tra loro, correlazioni negative (o comunque minori di 1). Quindi, in una logica di portafoglio non necessariamente si riduce il rischio complessivo selezionando titoli a basso rischio individuale (bassa volatilità); è invece vero che il rischio di portafoglio si riduce se si scelgono titoli che presentano rendimenti tra loro non correlati, o meglio

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con correlazione negativa. Il rischio di un portafoglio composto da una serie variabile di azioni si calcola agevolmente impiegando uno strumento che permette di “mappare” le singole varianze e le coppie di covarianze che si presentano tra i titoli, ovvero la matrice delle varianze e covarianze. Tale matrice (che si omette per ragioni si sintesi) permette di calcolare il rischio complessivo di portafoglio. Si propone un esempio riferito a 15 titoli che appartengono allo S&PMIB (stesso periodo degli esempi precedenti). Si ipotizza di costruire portafogli in cui i pesi di ciascun titolo siano uguali e pari a 1/N (dove N= numero di titoli, Nmax=15). Figura 3- Rischio complessivo di portafoglio e numero di titoli che lo compongono

Portafoglio Composizione 1 Pirelli 2 Pirelli, Fastweb 3 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa 4 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem 5 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI 6 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup 7 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari 8 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle 9 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding 10 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding, BNL 11 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding, BNL, Unicredito 12 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding, BNL, Unicredito, ENI 13 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding, BNL, Unicredito, ENI, Terna 14 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding, BNL, Unicredito, ENI, Terna, Snam Rete Gas 15 Pirelli, Fastweb, Banca Intesa, Saipem, San Paolo IMI, RCS Mediagroup, Bulgari, Seat Pagine Gialle, Ras Holding, BNL, Unicredito, ENI, Terna, Snam Rete Gas, Banca Fideuram

La figura 3 mostra l’evoluzione del rischio complessivo del portafoglio al crescere del numero dei titoli che lo compongono. Si noti come la diversificazione risulti evidentemente efficace, riducendo progressivamente il rischio complessivo del portafoglio. Ci si può chiedere se componendo un portafoglio con tutti i 40 titoli dello S&P/MIB il rischio complessivo si elimini totalmente. La risposta è negativa: resterebbe, comunque, il rischio del mercato, rappresentato (sempre nella figura 3) dalla retta parallela all’asse delle ascisse e di altezza pari alla volatilità dell’indice (meglio, pari al suo scarto quadratico medio). In altri termini, anche un portafoglio con la diversificazione massima (tutti i titoli del mercato) presenta una quota di rischio residua rappresentata, nella fig.3, dallo scarto quadratico medio dei rendimenti dello S&PMIB ( %003,0& =PMIBSσ ). Tutto ciò, dunque, fa comprendere come mai il beta, che misura il rischio di mercato di un titolo, sia ritenuto la componente del rischio non eliminabile. 2- La determinazione del Beta storico Per determinare il beta occorre distinguere se si considera un titolo singolo, o un portafoglio.

0,000%

0,010%

0,020%

0,030%

0,040%

0,050%

0,060%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

σ2P

Numero di titoli in portafoglio

σ2M = 0,003%

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Nel primo caso, ovviamente, ogni titolo presenta una propria “sensibilità” alle evoluzioni del mercato. Ciò vuole dire che ogni azione, quando varia l’intero mercato di riferimento, varia (o meglio co-varia) in modo diverso. Si comprende, dunque, che alla base del calcolo del beta vi sia la covarianza dell’azione rispetto al mercato, tenuto conto della volatilità del mercato stesso. La formula del beta, infatti, è data da:

2,

m

mii σ

σβ =

Beta del titolo “i” rispetto al mercato nell’intervallo di osservazione t= 1…n

[5]

Una formula analoga, che esprime la covarianza in funzione del coefficiente di correlazione, è data da:

m

imii σσ

ρβ ,= Beta del titolo “i” rispetto al mercato nell’intervallo di osservazione t= 1…n

[6]

Il beta di un intero portafoglio, composto di N titoli, ognuno dei quali ha un peso ω, è rappresentato dalla media ponderata dei beta dei singoli titoli:

i

N

iip βωβ ∑

=

=1

Beta del portafoglio composto di N titoli, di peso ωi, dove 11

=∑=

N

i iω [7]

Dunque, il calcolo del beta per una serie storica di rendimenti non presenta alcuna complessità. La tabella 1 mostra i risultati dell’applicazione delle formule [5] (o [6]) per i 15 titoli considerati negli esempi precedenti. L’ultima riga si riferisce alla misurazione del beta del portafoglio usato nella figura 3, composto da tutti e 15 i titoli, come pesi uguali e pari ad 1/15. Si noterà che l’elemento che discrimina i titoli, con riferimento al rischio di mercato rispettivo, è legato al fatto che il loro beta sia maggiore o minore di 1: i titoli con beta maggiore di 1 (nel nostro esempio, Banca Intesa, Bulgari, Ras, etc..) vengono definiti titoli aggressivi. Questo perché se il rendimento di mercato varia (al rialzo, o al ribasso) di 1 punto, il loro rendimento varia di più di un punto. Viceversa, i titoli con beta minore di 1 (nel nostro campione abbiamo BNL addirittura con beta negativo e viene definito “iperdifensivo”), vengono definiti titoli conservativi, in quanto il loro rendimento risente di variazioni meno che proporzionali rispetto al mercato. Gli esempi riportati nella tabella 1, per Bulgari e Snam Rete Gas, mostrano efficacemente le differenze che esistono tra titoli aggressivi e titoli conservativi, quando il mercato subisce delle oscillazioni. Tabella 1 - Il beta di un campione di 15 azioni del mercato italiano (periodo 24 luglio 2006- 15 settembre 2006) Titoli Calcolo Beta BANCA INTESA 1.59 Esempio di titolo aggressivo: Bulgari BULGARI 1.43 RAS HOLDING 1.32 Giornata di osservazione: S&PMIB Titolo SAN PAOLO IMI 1.29 26-lug-06 0.81% 1.25% PIRELLI 1.26 31-lug-06 -0.86% -1.78% UNICREDITO 1.01 RCS MEDIAGROUP 0.91 ENI 0.81 Esempio di titolo conservativo: Snam Rete Gas SAIPEM 0.76 FASTWEB 0.72 Giornata di osservazione: S&PMIB Titolo SEAT PAGINE GIALLE 0.61 25-lug-06 0.47% 0.03% TERNA 0.49 31-lug-06 -0.86% -0.19%

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5

SNAM RETE GAS 0.44 BANCA FIDEURAM 0.05 BNL -0.06 Beta PTF 0.84

La determinazione del beta sulla base di dati storici può avvenire anche attraverso una soluzione “grafica”, riportata nella figura 4. In realtà, si tratta di una soluzione “econometrica”, legata alla relazione che esiste, dal market model del CAPM, tra rendimento di un titolo e rendimento di mercato:

imiii rar εβ ++= dove ri è il rendimento dell’azione “i”, ai è una costante, rm è il rendimento di mercato ed εi è il termine di errore

[8]

Figura 4- La soluzione grafica per la misurazione del beta Titolo aggressivo Titolo conservativo

-0.03

-0.02

-0.01

0

0.01

0.02

0.03

-0.01 -0.005 0 0.005 0.01

rBulg

ari

rSPMIB

rBulgari rispetto a rSPMIB (con retta dei minimi quadrati)

Y = 0,000710 + 1,43X

-0.015

-0.01

-0.005

0

0.005

0.01

0.015

-0.01 -0.005 0 0.005 0.01

rSnam

rSPMIB

rSnam rispetto a rSPMIB (con retta dei minimi quadrati)

Y = 0,000351 + 0,439X

Come si nota dai due grafici riportati sopra, il beta si ottiene anche come coefficiente angolare della retta di regressione lineare risultante dall’interpolazione, con il metodo dei minimi quadrati, dei punti rappresentativi delle combinazioni rendimento mercato- rendimento titolo. Questa modalità di stima del beta rende ancora più chiaro il significato discriminante del valore 1. Infatti, quando la retta che interpola le relazioni dei rendimenti tra titolo e mercato presenta un coefficiente lineare (beta) maggiore di 1, essa ha una pendenza elevata (maggiore di 45°). Ciò sta a significare che al variare dell’indice, il titolo varia più che proporzionalmente. Viceversa, se la retta è piuttosto piatta, con coefficiente angolare minore di 1, il rendimento del titolo varia meno che proporzionalmente rispetto al mercato. In realtà, la figura 4 mostra come il beta origini da un’operazione di “approssimazione”, nel senso che i punti rappresentativi le combinazioni rendimento titolo-rendimento mercato sono spesso “sparsi” attorno alla retta di regressione. Ciò significa che, specie se si stima il beta con rendimenti giornalieri, non è raro riscontrare delle “eccezioni”. Si tratta di casi in cui titoli aggressivi variano meno che proporzionalmente rispetto al mercato, e viceversa. Ne conseguono due implicazioni rilevanti in merito alla corretta stima del beta su base storica: innanzitutto, prima di applicare le formule [5] e [6] occorre scegliere sia la frequenza di rilevazione dei rendimenti, sia la lunghezza dell’orizzonte temporale. In merito al primo aspetto, una frequenza giornaliera potrebbe far emergere un rischio di non rappresentatività dei prezzi di chiusura per quelle azioni che, nell’arco della giornata di negoziazione, non abbiano fatto riscontrare un numero consistente di scambi. Gli esempi proposti in questa sede si basano su dati a frequenza giornaliera, ma ciò non pone problemi perché le azioni selezionate sono blue chip e fanno rilevare, mediamente, un numero elevato di scambi giornalieri. Un problema di scarsa rappresentatività dei

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prezzi/rendimenti (e, dunque, di scarsa affidabilità della stima del beta) si potrebbe porre, invece, se si calcolassero beta su basi giornaliere per azioni con bassi volumi di scambio (es. mid cap). Per quanto concerne, poi, la lunghezza dell’orizzonte temporale di valutazione, da un lato, esigenze di significatività statistica indurrebbero a scegliere serie di dati lunghe. Dall’altro lato, però, dovendo gestire con cautela i dati a frequenza giornaliera, si corre il rischio di selezionare prezzi/rendimenti molto risalenti nel tempo. Peraltro, impiegare dati troppo “obsoleti” pone nuovi problemi di affidabilità della stima del beta, visto che cambiamenti aziendali e/o di settore potrebbero modificare le attitudini di un titolo a variare rispetto al mercato. Anzi, come si vedrà di seguito, il beta di un titolo tende, nel tempo, a godere della proprietà di mean reversion, ovvero esso tende progressivamente a ri-convergere ad 1 (dunque, titoli aggressivi tendono a ridurre il loro beta e titoli conservativi tendono ad aumentarlo). Alla luce, quindi, di tutte queste considerazioni, per un stima “generalizzata” del beta è consuetudine impiegare dati con frequenza mensile e per un orizzonte temporale di cinque anni (si tratta di 60 osservazioni in totale). La tabella 2 mostra la dinamica del beta storico nel 1996, 2001 e 2006 impiegando frequenze differenti (giornaliere e mensili): Tabella 2- La determinazione del beta storico: base dati giornaliera Titoli 2006 Titoli 2001 Titoli 1996 INTESA 1,59 INTESA 0,86 INTESA 1,43 BULGARI 1,43 BULGARI 0,93 BULGARI 0,75 RAS HOLDING 1,32 RAS HOLDING 0,94 RAS HOLDING 1,18 SAN PAOLO 1,29 SAN PAOLO 0,92 SAN PAOLO 1,11 PIRELLI 1,26 PIRELLI 0,58 PIRELLI 0,82 UNICREDITO 1,01 UNICREDITO 1,18 UNICREDITO 0,94 RCS MEDIAGROUP 0,91 RCS MEDIAGROUP 0,94 (*) ENI 0,81 ENI 0,35 ENI 1,14 SAIPEM 0,76 SAIPEM 0,50 SAIPEM 0,11 FASTWEB 0,72 FASTWEB 1,29 FASTWEB (**) SEAT PAGINE GIALLE 0,61 SEAT PAGINE GIALLE (***) SEAT PAGINE GIALLE (***) TERNA 0.49 TERNA (****) TERNA (****) SNAM RETE GAS 0,44 SNAM RETE GAS (*****) SNAM RETE GAS (*****) FIDEURAM 0,05 FIDEURAM 1,37 FIDEURAM 0,55 BNL -0.06 BNL 1,02 BNL 0,16

(*) quotata dal 10.03.1997 (**) quotata dal 27.03.2000 (***) quotata dal 04.08.2003 (****) quotata dal 22.06.2004 (*****) quotata dal 05.12.2001

Tabella 3- La determinazione del beta storico: base dati mensile Titoli 2001-2006 Titoli 1996-2001 INTESA 1,52 INTESA 1,36BULGARI 1,73 BULGARI NDRAS HOLDING 0,62 RAS HOLDING 0,76SAN PAOLO 1,55 SAN PAOLO NDPIRELLI 1,30 PIRELLI 1,19UNICREDITO 0,68 UNICREDITO 0,95RCS MEDIAGROUP 1,23 RCS MEDIAGROUP (*)ENI 0,46 ENI 0,56SAIPEM 0,74 SAIPEM NDFASTWEB 2,40 FASTWEB (**)SEAT PAGINE GIALLE 1,13 SEAT PAGINE GIALLE (***)TERNA (****) TERNA (****)SNAM RETE GAS (*****) SNAM RETE GAS (*****)FIDEURAM 2,03 FIDEURAM 1,70BNL 1,38 BNL ND

(*) quotata dal 10.03.1997 (**) quotata dal 27.03.2000

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7

(***) quotata dal 04.08.2003 (****) quotata dal 22.06.2004 (*****) quotata dal 05.12.2001 ND non disponibile

Ovviamente le differenze maggiori si colgono confrontando beta di periodi molto diversi (che distano di cinque anni). Peraltro, differenze lievi si riscontrano anche confrontando il beta per lo stesso periodo, ma ottenuto con dati di frequenza differente. Non a caso Bloomberg fornisce una serie di stime del beta storico, tra cui un beta misurato su dati a frequenza settimanale, per le ultime 104 settimane, ed a frequenza giornaliera, su un orizzonte di sei mesi.

3- Il Beta atteso ed il Beta rettificato

Le considerazioni effettuate fino ad ora fanno riferimento al un concetto di beta storico; si tratta, cioè, di un valore calcolato sui rendimenti passati dei titoli azionari oggetto di analisi. Sembra lecito chiedersi se tali valori dei beta rimangano costanti nel tempo o, al contrario, siano soggetti a variazioni. A questo proposito le tabelle n.2 e 3 illustrano come il valore del beta di uno stesso titolo azionario si modifichi nel tempo. Per di più, per assumere buone decisioni di investimento occorre formulare previsioni su rendimenti, volatilità, correlazioni….. e dunque beta. Per questo, dopo aver calcolato il beta storico, è fondamentale riflettere su come stimare il beta futuro. Il beta atteso ed il beta rettificato, se pur calcolati con metodologie differenti, rappresentano stime circa l’evoluzione futura del beta.

Il calcolo del beta atteso riproduce, almeno nella metodologia, quello del beta storico. La differenza consiste nella natura dei dati che sono elaborati. Nel caso del beta storico i calcoli sono effettuati sui rendimenti storici dei titoli azionari dei quali si vuole studiare il beta e dell’indice di mercato che li rappresenta; nel caso del beta atteso, invece, i calcoli sono realizzati sulle stime dei rendimenti futuri legati a diversi scenari possibili che potrebbero verificarsi nel mercato. Per ciascuno scenario, quindi, devono essere stimati i rendimenti attesi dei titoli azionari e dell’indice, oltre che la probabilità associata al verificarsi di ciascuno scenario. In sintesi si tratta di individuare alcuni scenari del mondo e di stimare per ciascuno di questi:

- probabilità che lo scenario di verifichi; - rendimento che ci si attende dai titoli azionari; - rendimento che ci si attende dall’indice di mercato. Sulla base dei rendimenti stimati, si procede poi al calcolo del beta atteso con la stessa

metodologia illustrata per quello storico. Di seguito, si fornisce un esempio del calcolo del beta atteso per due ipotetici titoli A e B.

Tabella n.4 - Esempio di calcolo del beta atteso

Scenari Probabilità associata

allo scenario (πk) Rendimento del titolo A

Rendimento del titolo B Rendimento dell’indice di mercato

Recessione forte 20% -20% -15% -18% Recessione moderata 25% -10% 1% -20% Espansione moderata 45% 15% 7% 13% Espansione forte 10% 30% 25% 22%

Per calcolare il beta occorre stimare la varianza dell’indice e la covarianza di questo con i titoli A e B.

∑=

−=4

1

2,

2 *)(K

kIikII rr πσ [8]

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8

kIkIAk

kAIA rrrrCov π*)](*)[( ,

4

1,, −−= ∑

=

[9]

kIkIBk

kBIB rrrrCov π*)](*)[( ,

4

1,, −−= ∑

=

[10]

Dove:

kIr , è il rendimento dell’indice per lo scenario con probabilità k-esima

Ir è il rendimento medio dell’indice nei quattro scenari considerati

AIr , è il rendimento del titolo A per lo scenario con probabilità k-esima

Ar è il rendimento medio del titolo A nei quattro scenari considerati

kBr , è il rendimento del titolo B per lo scenario con probabilità k-esima

Br è il rendimento medio del titolo B nei quattro scenari considerati Il beta atteso stimato secondo la metologia appena illustrata è pari a 0,96 per il titolo A e 0,51 per il titolo B. Si tratta, quindi, di

due titoli che in prospettiva dovrebbe garantire rendimenti difensivi. L’esempio illustrato in tabella 4 mostra chiaramente come il beta atteso non abbia alcun legame

con quello storico perché è calcolato a partire dai valori stimati dei rendimenti futuri, sulla base degli scenari ipotizzati. In aggiunta, è doveroso riconoscere che, nella pratica, è molto difficile stimare gli sviluppi futuri dell’economia, del mercato e, quindi, dei rendimenti dei titoli, degli indici di mercato e del loro beta.

Per questa ragione, soluzioni alternative per effettuare previsioni sul beta sono offerte dalle

stima del cosiddetto “beta rettificato”. Tale valore, fornisce una previsione dell’evoluzione del beta, a partire dai suoi valori storici. In particolare, si tratta di “aggiustare” il valore storico del beta, al rialzo o al ribasso, sulla base di due metodologie alternative:

- formula di Blume; - legame tra beta e fondamentali aziendali. Nel calcolo del beta rettificato secondo la formula di Blume si assume che, nel medio-lungo

periodo, il beta dei titoli azionari tenda a convergere verso il suo valore medio; un valore che è pari al beta dell’indice rappresentativo dell’intero mercato, cioè 1. Una delle ragioni possibili alla base di tale fenomeno di “mean reversion” potrebbe essere il comportamento dei dirigenti aziendali. Questi ultimi, infatti, consapevoli dell’aggressività del titolo potrebbero effettuare scelte volte a ridurne il rischio, al fine di ottenere l’interesse degli investitori. In ogni caso, al di là delle motivazioni del fenomeno, studi empirici dimostrano che i beta dei titoli azionari tendono ad 1 nel medio-lungo periodo(1). La figura 5 ne fornisce una dimostrazione, riferita a due titoli del mercato italiano.

1 Blume M.(1975), “Betas and their regressioni tendencies”, Journal of Finance, June; Blume M.(1979), “Betas and their regressioni tendencies: some futher evidence”, Journal of Finance, March

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9

Figura n.5 – Fenomeno di mean reversion per i titoli Unicredito e Ras Holding La formula di Blume consente di calcolare il beta rettificato come media ponderata del beta

storico e di quello di lungo periodo del mercato (che è pari ad 1). In particolare, al beta storico è attribuito il peso x mentre quello di mercato pesa (1-x). La formula è la seguente: )*)1()*( 1−−+= tMt xx βββ [11] Dove:

31

=x

Mβ è il beta di lungo periodo del mercato pari ad 1

La tabella 5 propone i valori del beta rettificato secondo l’ipotesi di Blume, partendo dai valori mensili nel periodo 1 gennaio 1996, 1 gennaio 2001.

Tabella n.5 – Beta rettificato per il campione oggetto di analisi (dati mensili dal 1996 al 2001)

Titoli Beta storico 1996-2001

Beta rettificato Blume 2001-2006

Beta effettivo 2001-2006

Errore di previsione della formula di Blume

INTESA 1,36 1,24 1,52 0,28RAS HOLDING 0,76 0,84 0,62 -0,22PIRELLI 1,19 1,13 1,30 0,17UNICREDITO 0,95 0,97 0,68 -0,29ENI 0,56 0,71 0,46 -0,25 FIDEURAM 1,70 1,47 2,03 0,56

La tabella fornisce, inoltre, un controllo della fondatezza delle previsioni del beta tra 2001 e 2006 sulla base del valore storico registrato tra 1996 e 2001. Tale controllo è effettuato attraverso il confronto tra il beta rettificato e quello effettivamente registrato tra 2001 e 2006. L’ultima colonna della tabella illustra l’errore di previsione prodotto dalla formula di Blume rispetto al valore del beta storico calcolato a posteriori. E’ evidente che, tranne nel caso di Banca Fideuram, i valori effettivi sono abbastanza vicini a quelli stimati attraverso la formula di Blume. Con riferimento alla seconda modalità per il calcolo del beta rettificato, essa è basata sull’ipotesi che esista una legame tra i fondamentali aziendali (cash flow, livello di indebitamento, etc) ed il beta del titolo azionario della società. In particolare si tratta di riconoscere che imprese con livelli di indebitamento elevati tendono ad essere caratterizzate da beta elevati. La ragione è che l’indebitamento rende l’impresa maggiormente esposta ai rischi derivanti da movimenti dei tassi di interesse. Poiché la variazione dei tassi condiziona negativamente tutto il mercato e l’esposizione a tale rischio è una componente di rischio sistematico, livelli di debito elevati sono causa, appunto, di beta elevati. Tuttavia, con riferimento alle modalità di calcolo, non esiste una formula “pragmatica”

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1996 1998 2000 2002 2004

beta

_U

C

0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1996 1998 2000 2002 2004

beta

_RAS

Page 10: Il Beta

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come quella proposta da Blume. Al contrario, la rettifica da apportare al beta storico deve essere stimata empiricamente, in relazione alle caratteristiche fondamentali di ogni singola società.