Il Barlume

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IL BARLUME Anno 3 - Numero 11 - Novembre 2009

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Mensile di Fotografia, Poesia, Letteratura

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IL BARLUMEAnno 3 - Numero 11 - Novembre 2009

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EDITORIALE

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Dalla terra siamo venuti e alla terra torniamo. Passando per il grano e per le spighe, prima per mangiarle, poi per alimentarle. Abbiamo aperto bottiglie di novello precoce, accorciando noi stessi le giornate con l’aspettativa di un tepore di castagne e di camini, rincucciandoci, che la pioggia batte sonante sulle mani, che altro lenitivo non troviamo se non quello di stare appresso ad altra pelle. Da qui comincia il nostro autunno, per quanto i saggi dissentano trattando d’equinozi e d’ore più o meno oneste.

Una bistecca, una bottiglia di rosso, due patate al forno. Ecco l'autunno. Così, dedichiamo alla terra questo Barlume, alla terrà com'era prima di luglio, prima che la falce passasse a dire il suo e a trasformare in pane il sudore. O in alternativa, il gasolio del trattore. A dimostrare che ogni cosa è un punto di vista.

Un cuore leggero e un culo di marmo. Un campo di grano. Questa volta nel Barlume trovate l'essenziale.

(…) quegli angeli che hanno dato

la misura dell’aldilà quei piccoli amorini che vibrano

la sera sul cuore di questi ragazzi che cercano

una seconda una terza infanzia o una maturità piena

di lusinghe ragazzi che non vogliono crescere

che non cercano né il passato né l’avvenire

un florilegio di ragazze bellissime e prodigiose

che cantano lo spazio della nostra anima

In memoria di Alda Merini

Buona lettura

DePiCo

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“Non ho detto questo.”“Vorrei vedere.”“Perché se fosse?”“Saresti un coglione.”“Ah, beh.”E devo dire che in effetti. Adoro vederlo flottare.“In ogni caso. Anch'io avrei da dire delle cose.”“Su.”“Sul fatto per esempio – che so – che non mi hai mai regalato dei fiori.”“Che c'entra scusa?”“C'entra. C'entra moltissimo. Romanticismo pari a zero.”“Ma che c'entra? Stiamo parlando del tuo culo.”“Hai capito quello che dico.”“Sì ma stiamo parlando del tuo culo!”“La smetti? Ma che cavolo.”“Stiamo parlando del fatto che il tuo sacrosanto culo tostato da sei ore di palestra la settimana flotta indisturbato per la città davanti agli occhi di tutti gli altri uomini che non sono io, e stiamo parlando del fatto che lo fai flottare apposta perché sai benissimo che è un bel culo tostato da sei ore di palestra la settimana, un culo di marmo in buona sostanza.”“Sei matto.”“No. Sei tu che non capisci quanto mi rode.”“Cosa ti rode?”“Il fatto che non sia solo mio...ecco. Cioè insomma che non possa vederlo solo io. Insomma...dai hai capito.”“Sei matto ma da ricovero.”Mi accascio. Dovrebbe esistere un modo per evitare che i culi possano finire negli occhi di tutti. Dovrebbe esistere un modo per evitare che questo culo in particolare...“Potresti portare un maglione alle ginocchia quando andiamo al cinema per esempio.”“E quando vado al lavoro magari un impermeabile alla caviglia.”“Per esempio.”“Hai finito?”“No, aspetta, è peccato.”“Sono due bietole. Non muore nessuno.”“Sei insensibile ai miei problemi.”“Eppure in me c'è ancora qualcosa che ti tollera. Qualcosa di oscuro, comunque.”“Nel senso che nel profondo mi ami come non hai mai pensato che potessi amare qualcuno. Nel profondo del tuo cuore mi ami come...”“Sì beh, anche fosse, mi dispiace deluderti ma il mio cuore attualmente non è localizzato in fondo alla mia schiena.”“Sì infatti, amore, non te la prendere, ma io voglio il tuo culo di marmo sempre mio.”“Io voglio dodici rose rosse.”“Sei.”“Otto.”“Andata.”

MMaarrttaa MMaannttoovvaannii

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AACCUUTTII

Il sonno aveva sfigurato ogni sensazione esterna, cominciando per primo col volto, reso deforme da un occhio fattosi minuto e dalle borse estese sotto ad esso e al suo fratello. Stessi occhi canali della mente che non vedevano più come prima, se non nella parte centralissima del loro campo, mentre il resto restava avvolto dalla nebbia e mutava nell’immaginario. Ma mai niente rimaneva quel che era o sembrava se non per qualche istante, per poi veder l’immagine cavalcare alata sul sentire del cuore rendendo tavoli cavalli o navi, se non invece bare, i soffitti nuvole soavi o barriere irte e insuperabili, lampadari nugoli di stelle o di mosche nere e sporche. Così il sonno come fosse ebbrezza o follia, cambiando il comune e scavalcando il ritenuto, si portava dietro il cadavere starnazzante della verità, trascinandolo per un braccio lo mostrava al nostro sguardo stupito e incerto, urlando ai nostri orecchi il suo messaggio. Verità, che da cristallina sembianza che aveva, d’un tratto diveniva nube di ogni colore, irriconoscibile e inferma come il guercio nato col sonno. Come la luce che illumina solo ciò che inquadra e ciò che lei non vede non esiste, così la mente umana crea e distrugge, scegliendo solo ciò che è lei a voler per se.

LLoorreennzzoo DDaall PPiiaazz

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UUNNIISSCCII II PPUUNNTTIINNII DDAA 11 AA 110000

Ogni mattina ti alzi, accendi il pc e cerchi lavoro. Cioè, non cerchi lavoro, cerchi quel tipo di lavoro lì. Scrivi a tutti, senza eccezioni. Le volte che ti chiamano chiedendo se vuoi stare nel pubblico ad applaudire dici di si, e poi gli butti là: una volta mi hanno aggredita. Era un immigrato. Irregolare, s’intende. Non è che vi interessa?Ai provini ci vai e quando ti piantano la telecamera in faccia dici che sei sola, Dio quanto sei sola. Se soltanto quello smottamento non avesse travolto la tua casa e ucciso tutta la tua famiglia. Quando ti chiedono chi vorresti essere dici Beth Ditto e parli di rovesciare gli stereotipi, ma loro non la conoscono Beth Ditto e ridono. Lo sai perché ridono, vero? Tu pensi che avresti dovuto rispondere Gandhi, ma poi concludi che avrebbero riso comunque, perché Gandhi era secco come un chiodo e tu, ovviamente, no. Aggrottano la fronte valutando quanto potresti essere scenograficamente oscena spalmata su un divano Ikea di una casa videosorvegliata e ti dicono le faremo sapere. Ovviamente non chiamano più.Ti annoi; è tutto un tale cliché.

Presto scopri che a quelli come te le pay tv offrono possibilità sconfinate. Ci sono programmi in cui inviti gente a cena e loro ti dicono se sei una buona ospite o meno. Altri ti risistemano la casa, dipingono, cambiano, smontano e rimontano fino quando non riconosci più nemmeno la tua tazza del cesso. Poi ci sono quelli che ti rifanno da capo a piedi: una liposuzione di qui, una rinoplastica di là. Capelli, ceretta, vestiti. Tutto nuovo. Mandi una lettera e una foto e poco dopo sei lì, in un finto ambulatorio illuminato a giorno da grosse lampade che ti fanno sudare. Un medico ti segna la pelle con un marcatore come quelli con cui si scrive sui cd, poi parla di tagli e drenaggi. Ematomi. Ti guardi allo specchio e sei pietrificata. Ti dicono sorridendo: vedrà, sarà magra e bellissima. Si sentono Gesù Cristo. Tu riesci solo a pensare: unisci i puntini da 1 a 100. E ancora: questa gente sta per farmi a pezzi. Un cameraman stringe l’inquadratura sul tuo volto da clown, tutto tratti e linee, aspettando qualcosa che non accade. Deluso, raccoglie il coraggio che ha e si mette ad ondeggiare intorno al tuo corpo immenso, quasi stesse circumnavigando il globo.Con una mano cerchi la sedia, e rannicchiata su quel trespolo rimani immobile, trattenendo il respiro.Se tu fossi molto bella e molto magra questa roba non ti interesserebbe. Cammineresti scalza nei campi di grano, vestita di un abito leggero. La tv la butteresti via, smetteresti di raccontare balle e ti compreresti un cane.Ti immagini così come sei, in una vestaglietta fiorita. Ti togli le scarpe e cammini scalza per lo studio. Tutti ti guardano ammutoliti, sgranando gli occhi.Domani ti compri un cane, hai deciso.

CCrriissttiinnaa PPiicccchhii

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A parlare e parlare del tuo culo di marmo, ore e ore e ore e spazi, il tuo stupefacente dono di natura, la regalia del padreterno. E invece, sai che? Il mio culo di marmo, altroché. Il mio. Ci ho messo anni a farlo indurire. Granito è. Anni di spremuta di meningi e lievitazione di neuroni. Anni a farmi venire un bel culo di marmo levigato come il tuo. E ce l’ho, eccolo qua. Resiste a tutto, all’acqua, al gelo, ai coloranti, alla musica brutta, alle ragazzine saputelle. E secondi appena a invidiare il suo cuore leggero, ché bisogno di farmelo notare non ne aveva, che gli importava? Di niente gli importava. E anche quel prodigio volevo, diamine. Un cuore che ti lascia camminare col peso indietro, che puoi far saltare in aria, o in padella, un bel cuore trasparente, che non si intasa, non si brucia, non s’ostruisce, non si ricorda e figuriamoci se invecchia. La tua concretezza nel culo, e la sua spensieratezza nel cuore. Volevo tutto, ed ero disposta a faticare. E anni c’ho messo, e ora ce li ho. Ibrida come una macchina americana, pianificata come un figlio da troppo vecchi, ho il petto leggero e il fondo resistente. Puoi mettermi in acqua e vararmi, la bottiglia si spaccherà al primo colpo. Ma alla gravità non avevo pensato. La forza che tira il mio cuore leggero verso la luna è meno dell’attrazione del marmo verso la terra. e rimango incollata sui sassi in mezzo alla nebbia padana di questo posto qua. E il mio culo bellissimo non lo vede nessuno.

GGiiaaddaa BBaattiissttiinnii

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FFIIGGHHTT OORR FFLLIIGGHHTT

Il cuore non è leggero. E’ teso, e batte a ritmi ossessivi e tribali, intonando i quattro quarti della lancia in resta del guerriero. Il perizoma di pelle infilato tra le natiche e stretto intorno ai fianchi, il volto fiero ma affrancato dall’identità. Scisso in quattro quarti dalla pittura di pigmenti della terra.

Rosso e bianco, sangue e sperma. Jarooroo si chiede se si siano ben visibili al nemico.

L’altro essere osserva Jarooroo attraverso le foglie dall’odore pungente di eucalipto, con il taglio felino stretto negli occhi, e il muso fermo di un alligatore addormentato. E’ un essere allungato, simile a lui, ma con evidenti segni di violenze sulle braccia, sulle gambe. Segni di lotta, segni di paura sentita e di paura sconfitta. Le braccia non sono forti come le sue, e la gambe sono di gazzella.

Jarooroo si accorge che non ha i segni della guerra dipinti sul corpo, ma una pittura suggestiva che evoca la forma di un mandala tibetano, sebbene lui non sappia dare questo nome all’anomalo travestimento. Il cuore di Jarooroo è sempre più pesante.

Per un aborigeno, non è così ovvio riflettere su un proprio processo di pensiero, mentre è naturale innescare un processo di rappresentazione. Chatwin racconta della cosmogonia tramandata in una pittura-scrittura analfabetica. Basquiat. Haring.

I due esseri si incrociano in un silenzio infinito. Secondi scanditi solo dal passaggio delle nuvole che annunciano la sera nella pioggia torrenziale e minacciosa del primo pomeriggio. L’aria è carica di elettroni e già piena d’acqua. Il ritmo della terra sotto la pianta dei piedi è sismico come il suono appena percettibile di un lontanissimo didjieerido.

Jarooroo scocca la freccia, e la donna inizia a fuggire oltre l’orizzonte visibile. La gazzella si inabissa nel suo tempo onirico, e al ragazzo resta l’idea di cercare i segni tangibili del suo passaggio. Da lontano, il suo culo è stranamente leggero, eppure scolpito come un totem, nel corpo stretto e feroce. Fight or flight.

MMuussaa MMuuttaa

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Certe piazze entrano perfettamente in una casa di bambole, fra la cucina e il bagno che non c’è quasi mai; fra cubi di stanze sfitte dietro ai cartelloni pubblicitari.Quando intorno il brusio delle televisioni si farà più alto, qualcuno spengerà la rete neurale delle vetrine.

E poi C. mi guarda ed inizia a parlare di un sole in bianco e nero e di altri fotogrammi con gli odori dei camini accesi… e di camion imbronciati davanti ad un autogrill, verso nord, in gelatina d’argento.

GGiiuulliioo AAllddiinnuuccccii

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22 ((CCOONNTTEENNUUTTOO DDIISSDDIICCEEVVOOLLEE)) -Mi spiace, stasera non posso.-Ma perché?-Te l’ho detto al telefono, stasera ho da fare.-Lo so che me l’hai detto, è per questo che siamo qui.Mi stavo incazzando di brutto. Lei guardò in su col naso e si arrotolò sul dito un po’ di capelli.-Cosa hai da fare stasera?Mi portai il bicchiere davanti al viso per aspettare la risposta.-Hai da fare cosa stasera?Anastrofai spostando il bicchiere di lato.-Devo vedere Franci.-Dovevi vedere me, stasera.-Devo vedere Franci.-Fanculo Franci.-E’ triste. Stasera aveva bisogno di parlare. Ha litigato col suo ragazzo.-Finocchio.Posai il bicchiere.-E stronzo!-Io sono la sua migliore amica…-Fanculo la migliore amica.-Noi possiamo vederci in qualsiasi momento.-Avevi un impegno con me, potevi vedere lei in qualsiasi momento.-Non ci ho pensato, scusa, davvero mi era passato di mente e quando me ne sono ricordata ormai…La guardai di sbieco, soffiando dal naso come una mucca incazzata.-Fai sempre come ti torna comodo. Tutto facile.-Non è vero, non sono come dici.La smorfiosetta stronza guardò in alto, molto in alto e molto a destra, dove ovviamente non c’era un bel niente da guardare apparte i suoi pensieri idioti. Quando tornò fra i mortali fu per raccogliere borsa e sciarpa, ci sentiamo dopo, e io a guardarla fasciata nel vestito e a pagare il conto.“Maestro tango malato. Stase no lez. ke vuoi far…”Brutta puttana vacca, pensai. “Non so, è un po’ tardi ormai, forse ho da fare. Ti faccio sapere” scrissi maledicendo me stesso e il fatto di non avere un cazzo da fare quella sera.-Girati.Le dissi col fiato corto. Mugolò.-Girati.Gorgogliai rauco. Si girò. Cominciai a spingere forte. Lei appoggio una mano alla testiera del letto per non farsi spingere più avanti. Le afferrai una manciata di capelli e tirai per farle inarcare la schiena. Gemette e si agitò con uno scodinzolo ribelle. Un suono secco forte, un gridolino e il segno rosso fuoco delle mie cinque dita sulla sua chiappa bianca.

MMiicchheellee BBoorrggooggnnii

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SSIIEETTEE SSOOLLOO DDEEGGLLII SSPPOOCCCCHHIIOOSSII DDII MMEERRDDAADDeennnnii RRoommoollii

Happy go lucky – Regia di Mike Leigh (2008)Breakfast on Pluto – Regia di Neil Jordan (2005)Tulpan – Regia di Sergei Dvortsevoy (2006)

Come a dir che basta la terra, senza far avanzare nemmeno un respiro di idealismo, che ai sentimenti l’idealismo non giova, guardate bene i poeti e i comunisti, bugiardi sublimi intrisi di artriti esistenziali. Come dire che sulla terra poggiamo piedi e membra, e che l’altro li poggia vicino, poco o molto che sia. Molto vicino li poggia la Poppy di Leigh, deliziosa ninfa normalissima che ti cammina accanto esistendo senza sfidare, guardando senza penetrare. E Leigh ha esaudito la speranza di coniugare turgida filosofia ed elucubrate erezioni, candidamente, lasciando che una donna saggiasse il terreno e ci indicasse la strada, un untore al contrario i cui braccialetti tintinnano inni alla vita. La stessa candidezza della Kitten del film di Jordan, adorabile figlio di un prete e di una governante, rinnegato per la sua altra mascolinità, la sua trans-sessualtà, la sua trans-nazionalità, come se la frontiera non fosse anch’essa terra su cui poggiare i piedi, come se il confine del campo tracciato da indici maschili non potesse realmente essere spostato da un solo movimento di bacino di donna. Donna rincorsa, che mette sete, sete di acqua che scorre in preziosa venerea cavità, istmo magico che divide marmo e leggiadria, cuore e culo, che rinsalda il legame con la terra stessa. E l’Asa di Tulpan non avrà né pace né terra finché non avrà una donna; un segreto questo che si tramanda da generazioni, e che solo il tuo culo e il tuo cuore mi hanno consentito di scoprire.

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Le foto di questo numero sono state scattate da

Francesco Cicconardi http://www.flickr.com/photos/francicco

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Anno 3Numero 11Novembre 2009

Mensile fondato e diretto da:

Costanza [email protected] [email protected] [email protected]