Il bambino picchiato presentazione 28 febbraio 2013

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Umberto Vitrani 1 “Poiché non credo all’efficacia delle ricette e dei consigli, perlomeno quando si tratti di un atteggiamento inconscio, ritengo che il mio compito non stia tanto nel lanciare appelli ai genitori affinché trattino i loro figli in modo diverso da quello che è loro possibile, quanto piuttosto nel far rilevare dei nessi, nell’informare, mediante immagini capaci di agire sui sentimenti, il bambino che è presente in ogni adulto. Finché a quest’ultimo infatti non è consentito di accorgersi di ciò che gli è accaduto in passato, una parte della sua vita affettiva rimarrà “congelata” e di conseguenza la sua sensibilità per le mortificazioni cui si sottopongono i bambini rimarrà attutita.” Alice Miller La persecuzione del bambino Le radici della violenza PREFAZIONE Bollati Boringhieri, 1987

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Umberto Vitrani 1

“Poiché non credo all’efficacia delle ricette e dei consigli, perlomeno quando si tratti di un

atteggiamento inconscio, ritengo che il mio compito non stia tanto nel lanciare appelli ai

genitori affinché trattino i loro figli in modo diverso da quello che è loro possibile, quanto

piuttosto nel far rilevare dei nessi, nell’informare, mediante immagini capaci di agire sui

sentimenti, il bambino che è presente in ogni adulto.

Finché a quest’ultimo infatti non è consentito di accorgersi di ciò che gli è accaduto in passato,

una parte della sua vita affettiva rimarrà “congelata” e di conseguenza la sua sensibilità per le

mortificazioni cui si sottopongono i bambini rimarrà attutita.”

Alice Miller

La persecuzione del bambino

Le radici della violenzaPREFAZIONE

Bollati Boringhieri, 1987

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Il bambino contenuto nel mio adulto non può dirvi come ci sente né cosa si impara quando si prendono botte dai genitori perché quel bambino, almeno consciamente, non ha memoria di punizioni fisiche, neppure leggere.

Tantomeno dunque sa dirvi cosa succeda dopo averle prese e nel tempo.

Ma l’adulto prodotto di quel bambino, mai dimenticato né abiurato, può proporvi delle immagini che ci aiutino a comprendere come probabilmente ci si senta.

Ad avvicinarsi a comprendere cosa si impari, cosa succeda dopo.

Comprendere: prendere dentro. Capire e sentire insieme.

Il bambino di cui vi sto parlando, che cercherò di tenere qui con me ben presente, non ricorda patacche, ma il giovane ragazzo che poi è diventato, anch’egli qui con me e con voi, ricorda bene qualche urlo mai digerito.

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• FRANZ KAFKA

Lettera al padre

“Dei primi anni ricordo bene solo un episodio. Forse anche tu lo ricordi. Una notte piagnucolavo

incessantemente per avere dell'acqua, certo non a causa della sete, ma in parte

probabilmente per infastidire, in parte per divertirmi. Visto che alcune pesanti minacce

non erano servite, mi sollevasti dal letto, mi portasti sul ballatoio e mi lasciasti là per un poco

da solo, davanti alla porta chiusa, in camiciola. Non voglio dire che non fosse

giusto, forse quella volta non c'era davvero altro mezzo per

ristabilire la pace notturna, voglio soltanto descrivere i tuoi metodi educativi e

l'effetto che ebbero su di me. Quella punizione mi fece sì tornare obbediente, ma ne riportai

un danno interiore. L'assurda insistenza nel chiedere acqua, che trovavo tanto ovvia, e lo

spavento smisurato nell'essere chiuso fuori, non sono mai riuscito a porli nella giusta

relazione. Ancora dopo anni mi impauriva la tormentosa fantasia che l'uomo gigantesco, mio

padre, l'ultima istanza, potesse arrivare nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul

ballatoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità. […]”

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Andre Agassi

OPEN

Einaudi, 2011

• (…) “Non sarebbe magnifico, Andre? Semplicemente lasciar perdere? Non giocare a tennis

mai più? Ma non posso. Non solo mio padre mi rincorrerebbe per tutta la casa brandendo la

mia racchetta, ma qualcosa nelle mie viscere, un qualche profondo muscolo invisibile me lo

impedisce. Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a

palleggiare per tutta la mattina, per tutto il pomeriggio, perché non ho scelta”(…)

(…)“Colpisci prima, grida mio padre. Accidenti, Andre, colpisci prima. Stai addosso alla palla, stai

addosso alla palla

Adesso è lui che mi sta addosso. Mi grida direttamente nelle orecchie. Non basta colpire quello

che il drago mi spara contro: mio padre vuole che colpisca più forte e più in fretta del drago.

Il pensiero mi sgomenta. Mi dico: non puoi battere il drago. Come fai a battere qualcuno che

non si ferma mai? A ben pensare il drago assomiglia un sacco a mio padre. Solo che papà è

peggio” (…)

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Marzo 1996

Sono quasi passati trent’anni, eppure non c’è notte che non mi corichi rivedendo nella mente il

film di quegli orrori. Orrori di cui fui testimone e vittima al tempo stesso. A noi allora sembrava

normale. Almeno a quelli che conservavano un minimo d’intelletto. O forse ci sforzavamo di

credere che fosse normale, che non poteva essere altrimenti. Era il nostro mondo, l’unico che

conoscevamo. L’idea che persone adulte non avessero il diritto di trattare a quel modo dei

bambini difficilmente ci sarebbe potuta passare per il cervello. D’accordo, chi di noi poi s’è

salvato magari non è diventato un esempio di virtù. Furti, rapine, spaccio per molti sono stati

l’unico modo per tirare a campare. Qualcuno poi se l’è preso la droga, qualcuno il manicomio e

qualche altro, come Alfredo, deve scontare l’ergastolo perché da vittima si è trasformato in

carnefice. E io, anche se sono riuscito a starmene fuori da certi ambienti, non posso dire di

essere sempre stato uno stinco di santo. Ma avrei voluto vedere voi, con l’educazione che

avevamo ricevuto …

MASSIMO POLIDORO

«Eravamo solo bambini»Piemme

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(…) “e allora Jacques tornava a casa con una cordicella legata intorno alla scarpa per “tenerle la bocca chiusa”.Erano le sere del nerbo di bue. A Jacques che piangeva , la madre diceva come

tutta consolazione”E’vero che costano:perché non ci stai attento? Lei però i figli non li toccava mai.(…) La nonna era capace di spingersi ancora oltre e, dopo tanti anni, Jacques non riusciva ancora a ricordare quell’episodio senza una contrazione di vergogna e disgusto * (*in cui si mescolavamo vergogna e disgusto)

(..)In verità, nessuno gli aveva mai insegnato la differenza fra bene e male.

C’erano cose vietate e le infrazioni erano punite con durezza. Altre non lo erano. Solo i maestri, quando i programmi ne lasciavano il tempo, parlavano a volte della morale, ma anche per

loro le proibizioni erano più precise delle spiegazioni.(tuttavia Jacques sapeva che nascondendo quei due franchi avrebbe commesso una cattiva azione. Non voleva commetterla.(…)

Nemmeno lui, quindi, avrebbe saputo spiegare come mai non avesse restituito subito la moneta (…)

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Il mio amico Fabrizio:

“L’ed mei ciapèri che murir”

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VISSUTO

(…) il bambino sviluppa una reazione di colpa di fronte al trauma , accusa se stesso per ciò che è accaduto, sollevando l’adulto da qualunque forma di responsabilità. La fantasia piùcomune sviluppata dai bambini è: “Se io fossi buono e perfetto, loro mi amerebbero”

Quindi molti adulti che sono stati dei bambini maltrattati non ricordano gli episodi di violenza e il racconto della loro infanzia è sempre roseo; è sempre raro trovare persone che ammettano il dolore e le umiliazioni subite.

“il mio papà era bravo … certo, qualche volta me le dava, ma era per il mio bene …

“me le davo solo se lo facevo arrabbiare”

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APPRENDIMENTO

se si educa un bambino, esso imparerà a sua volta a educare, se gli si fanno prediche morali,

imparerà anche lui a far prediche, se lo si ammonisce imparerà ad ammonire; se lo si

rimprovera imparerà a rimproverare, se lo si deride imparerà a deridere; se si ucciderà la

sua anima, imparerà ad uccidere. Gli rimarrà solo la scelta tra se stesso o gli altri, oppure

entrambi (Miller, 1988)

“COSI’ IMPARI”

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CONSEGUENZE

“Conseguentemente il bambino interiorizza un’immagine negativa di sé. Sente di non valere nulla e arriva a pensare di aver meritato i maltrattamenti o di essere nato così: CARENTE, CARENTE, INSUFFICIENTE, INCAPACEINSUFFICIENTE, INCAPACE”

Per la Miller del resto è pressoché inevitabile che chi ha ricevuto violenza poi la eserciterà: una formazione REATTIVA come unica risposta possibile per “far quadrare”una storia affettiva che inconsciamente non può tornare.

La Miller, certamente non in sintonia con tutti gli storici, spiega in questo modo la radice della violenza hitleriana e Lloyd De Mause ha pubblicato un libro che porta questo titolo:

“LE ORIGINI INFANTILI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE E DELL’OLOCAUSTO “…

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E se non parliamo di maltrattamenti ma di una “sculacciata” ( ritenuta più o meno “sana”…) ?

Certo, dal punto di vista persino legislativo non possiamo parlare di abuso e neppure di maltrattamento …

Eppure c’è qualcosa in gioco che ha profonde attinenze a analogie con l’abuso e il maltrattamento …

Specie se siamo d’accordo sul fatto che il bambino ha bisogno

“di uno spirito di famiglia collaborante, non competitivo, dove il più forteinvece di trionfare grazie alla sua forza farsene un vanto, aiuti il più debole; dove ciascuno, adulto o bambino, rispetti i bisogni degli altri e sia ascoltato nei propri”

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Il mio suggerimento è molto semplice:non è sensato ridurre la dialettica a una contrapposizione tra permissivismo e disciplina.

Il processo di sviluppo dell’umano è troppo complesso per comprimerlo all’interno di ragionamenti binari e nessuno disciplina, nessuna teoria è da ritenersi definitiva nello spiegare ciò che è determinato da milioni di variabili

Serve laicità intellettuale prima di tutto

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La questione , paradossalmente, si complica.

In sostanza ci siamo quasi certamente posti due domande quando abbiamo allungato una patacca:

Perché diamo quella sculacciata?

Perché il bambino insiste in quel comportamento?

Ma ci siamo chiesti :

Perché diamo DAVVERO quella sculacciata?

Perché il bambino insiste COSI’ TANTO in quel comportamento?

E’ difficile dare risposte franche e chiare perché si mescolano insieme variabili affettive , dinamiche inconsce, apprendimenti sociali e non ci sono tabù a protezione ( la violenza esplicita che i più naturalmente rifuggono)

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Un passo di un intervista alla “Mamma Tigre”di origine cinese Amy Chua, di cui molto si parlò nel 2011 per il libro “Il ruggito della mamma tigre”

“Lei scrive che non sa cosa potranno pensare le sue figlie di lei tra vent'anni. Teme il loro giudizio?

Beh, nessun genitore (severo o permissivo che sia) sa mai cosa i figli penseranno di lui - fa parte dell'ansia di essere genitori. Ma io sono abbastanza ottimista. I miei genitori sono stati molto severi con me e oggi io li adoro e mi piace passare del tempo con loro. Sebbene sia anch'io molto rigida, io e le mie figlie siamo sempre state molto legate (Sophia ha anche "difeso" la madre a mezzo stampa, ndr). Scherziamo, ridiamo molto, mi confidano i loro problemi. Abbiamo passato un anno difficile quando Lulu aveva 13 anni e da allora ho allentato un po' la presa e ho fatto molti cambiamenti. E poi scrivere il libro mi ha aiutato a tenere insieme la famiglia.”

http://www.marieclaire.it/Attualita/Intervista-alla-mamma-tigre-Amy-Chua

E il dibattito successivo all’uscita del libro sul blog :

http://www.bravibimbi.it/leggere/libro-il-ruggito-della-mamma-tigre/

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La questione di fondo che non è possibile trattare qui ma ènecessario almeno evocare è racchiusa in un interrogativo:

cosa pensiamo del bambino e dell’infanzia ?

Si tratta, semplificando il discorso sino a volutamente banalizzarlo, di un buon selvaggio da civilizzare che attraversa una fase primordiale dell’esistenza fondata esclusivamente su desideri incontrollabili?

( vedi la vicenda raccontata da Jean Itard e resa poesia pura da François Truffaut nel film “ il ragazzo selvaggio)

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Riflettendo per organizzare l’intervento ho pensato, per coerenza con la premessa, a quegli episodi in cui, come genitore ho appoggiato una mano minacciosa sul sedere dei miei figli. Occasioni per cui bastano le dita di una mano in tutto e che scrivendo queste note ho retrospettivamente valutato comunque troppe.

Ricordo che in quei casi, semplicemente,non avevo più i modi o il tempo o la pazienza per inventarmi altro, per cercare altro e tanto meno per mettere i miei figli in condizione di “propormi” altro.

Riguardandomi so che , tirate le somme, mettevo in scena , in quei momenti per fortuna rarissimi , l’espressione diretta della mia impotenza e della mia “superiorità”insieme.

Ricordo che oltretutto, siccome non si trattava di azioni rinforzate da convinzioni ideologiche autoritarie, mi lasciavano anche un profondo senso di colpa. Complicate dall’idea “pedagogica” un po’ “nera” che sia “giusto” segnare con gesti forti i confini dell’autorità …

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Cosa può ricavarne un piccolo se non che l’unico modo per impedire a qualcuno di oltrepassare il limite sia impiegare la forza? Poca, tanta, non importa. Perché in quei momenti i bambini, come chiunque può avvertire intuitivamente , stavano applicando argutissimi protocolli per verificare sperimentalmente ipotesi sulla relazione tra me e loro.

Quello che spesso chiamiamo capriccio, credo altro non sia che raffinatissimo esperimento , normalmente definito con espressioni quali “ mi mette alla prova”; “tira la corda”…

Se sperimenterà che la forza, poca o tanta, è il mezzo inevitabile per risolvere, ne ricaverà che questo è ciò che anch’egli potrà e dovrà fare nelle relazioni sociali e che potrà e talvolta aspettarsi dalle interazioni sociali.

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ForzaSculacciare i bambini insegna loro che i rapporti umani si basano sulla forza, che forza equivale a ragione. Più un bambino viene picchiato, maggiore è la probabilità che quel bambino da adulto tratterà gli altri decidendo non in base alla ragione e al buon esempio, ma alla forza. Che tipo di persona stiamo descrivendo? Il bulletto ne è un esempio. Lo stupratore è uno di loro. Il marito violento è uno di loro. Il ciarlatano, l'imbroglione, l'artista da strapazzo, il ladro - ognuno di loro lo è. E lo sono i codardi e i fannulloni il cui potere deriva di riflesso dall'attaccarsi ai tipi descritti in quest'elenco.

JORDAN RIAK Parlar chiaro sulle sculacciate

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Per quanto riguarda poi il rapporto micro - macro non è male a mio avviso riproporre gli

ottimi e umanitari intenti che portarono alla progettazione di questa avveniristica

costruzione. Come monito per ricordare che le buone intenzioni talvolta lastricano le vie

dell’inferno …

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PER CHIUDERE

(…) Soltanto Catherine Cormery rimaneva in un angolo senza dir nulla

E Jacques ricordava ancora quella domenica pomeriggio in cui, mentre stava

uscendo con i suoi spartiti, aveva udito una delle zie fare i complimenti a sua madre

per la sua esibizione , e lei, che rispondeva “Si è stato bravo. E’intelligente”, come se

ci fosse stato un rapporto fra queste due frasi. Ma quando si voltò, scoprì che questo

rapporto c’era. Lo sguardo di sua madre,dolce, tremante, febbrile,si era posato su di

lui con un’espressione tale che il ragazzo indietreggiò, esitò e fuggì via.

“Mi vuol bene allora,”disse, scendendo le scale e, nello stesso tempo, capi di amarla

perdutamente, di essersi augurato con tutte le sue forze di esserne amato e di averne

sempre dubitato sino a quel momento.

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Umberto Vitrani

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Percorsi

�Alice Miller. La persecuzione del bambino. Le radici della violenza.

Bollati Boringhieri, 1987

�Massimo Polidoro, Eravamo solo bambini. Piemme, 2010

�Cleopatra D’ambrosio, Psicologia delle punizioni fisiche. I danni delle relazioni educative

aggressive. Erickson, 2004

�Gianluca Daffi. Così impari. Erickson, 2011

�Franz Kafka .Lettera al padre

�Jean Itard,Il ragazzo selvaggio. SE,2003

�Albert Camus. Il primo uomo. Bompiani,2012

�http://www.naturalchild.it/lloyd_demause/Origini_infantili_seconda_guerra_mondiale_e_Olocausto.pdf

�http://www.nospank.net/

�http://www.slideshare.net/umbevit

�Francoise Truffaut. Il ragazzo selvaggio. Film. 1970

�Gianni Amelio. Il primo uomo. Film. 2012