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OPINIONI II problema del negativismo schizofrenico Gaetano Benedetti, Basilea Uno degli aspetti più interessanti che hanno carat- terizzato l'evoluzione della psicologia del profondo (Tiefenpsychologie) è stato il diverso atteggiamento del medico nei confronti della responsabilità del male psichico, che un tempo si chiamava « morale »; ossia di quel male, di cui ancor oggi si rifiuta la completa medicalizzazione, ossia la riduzione alla dimensione fisica, ritenendo che le sue radici affondano nell'uomo stesso, in quel che egli è come introiezione dei rapporti con i suoi simili. In Europa, nei secoli precedenti I'800, la malattia mentale appariva come una conseguenza di una volontà perversa, umana e demoniaca insieme. Il depressivo, l'isterica, la strega, il matto, erano responsabili della loro sofferenza. Non si provava alcuna pietà verso di loro, anzi li si puniva. Nel secolo XIX, il medico, vedendo la radice della sofferenza mentale nella malattia organica, nella « de- 71

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OPINIONI

II problema delnegativismoschizofrenico

Gaetano Benedetti, Basilea

Uno degli aspetti più interessanti che hanno carat-terizzato l'evoluzione della psicologia del profondo(Tiefenpsychologie) è stato il diverso atteggiamento delmedico nei confronti della responsabilità del malepsichico, che un tempo si chiamava « morale »;ossia di quel male, di cui ancor oggi si rifiuta la completamedicalizzazione, ossia la riduzione alla dimensionefisica, ritenendo che le sue radici affondano nell'uomostesso, in quel che egli è come introiezione dei rapporticon i suoi simili.In Europa, nei secoli precedenti I'800, la malattia mentaleappariva come una conseguenza di una volontàperversa, umana e demoniaca insieme. Il depressivo,l'isterica, la strega, il matto, erano responsabili della lorosofferenza. Non si provava alcuna pietà verso di loro,anzi li si puniva.Nel secolo XIX, il medico, vedendo la radice dellasofferenza mentale nella malattia organica, nella « de-

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generazione », nella costituzione, eccetera, affrancava ungerme ultimo della persona umana dalla responsabilitàmorale della malattia; l'uomo era adesso, quale malato, lavittima, non più il facitore del suo male.Ma il paziente mentale perdeva così, assieme alla suaresponsabilità, anche quei diritti psicologici dell'uomo, checonsistono nella possibilità di esser ascoltato comepersona anche nella psicosi.La psicologia del profondo ha trasformato questasituazione nei primi del secolo odierno. Essa ha riscopertole « radici spirituali », intese come biografiche eantropologiche, della malattia psichica, ed ha cosìtrasformato l'ammalato, che ci era divenuto distante comeuna anonima cartella clinica, in un partner dialogico.Tale psicologia dinamica non ha avuto tuttavia un compitofacile. Non solo ha incontrato l'opposizione di quellapsichiatria, che nello sforzo di una medica-lizzazione ditutta la psicopatologia non esita a negare a questa queifini apprendimenti, che pongono tanti malati mentali,proprio in quanto sofferenti, in contatto con lembi diesistenza a noi sconosciuti.Oltre a tutto ciò, la psicodinamica si è trovata di fronte alcompito formidabile di restituire al malato mentale lamalattia come « res sua », senza responsabilizzarlomoralisticamente. La risposta « classica » dellapsicoanalisi e di tutta la psicologia del profondo a questodilemma, la risposta veramente geniale che ha fondatotutta la grandezza di questo movimento di pensiero, èstato lo storicismo:non la « volontà di vivere » in sé e per sé, ma quellainfantile, con i suoi impulsi insieme perversi e innocenti, èla base della nevrosi e della psicosi. Spiegare l'origineinfantile degli impulsi di morte, dei desideri incestuosi,degli amori proibiti, degli omicidi della fantasia, significavaadesso non soltanto scoprire l'anatomia psicodinamicadella malattia psichica, ma contemporaneamenteassolvere il malato dai suoi sensi coscienti e inconscientidi colpa.

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È questo nostro possente bisogno di riscuotere ilsofferente dal suo senso di colpa e dalla responsabilitàriversatagli addosso, indirettamente o inconsciamente,dalla società, che ci ha quindi fatto compiere il secondogrande passo, quello che all'inizio del mio saggiochiamavo uno degli aspetti più interessanti che hannocaratterizzato l'evoluzione della nostra disciplina: a pocoa poco, i germi della perversione morale, della inibizioneistintuale, della crudeltà repressiva, eccetera, cheoriginariamente venivano ricercati o nella struttura delSuper-io o nelle zone di fissazione della libido, einsomma nella rielaborazione Intrapsi-chica degliinevitabili traumi della vita famigliare e sociale; i germidella malattia, dico, sono stati ricercati quindi nellastruttura obbiettiva della famiglia e della società, con isuoi double-binds, le sue meta-comunicazioni, le sueansietà repressive, le sue tendenze manipolatorie, le sueproiezioni sul bimbo, le sue pseudomutualità, i suoirapporti schizoidi e schismatici, i suoi paradossipseudocomunicativi, e insomma tutta una psicopatologiatransazionale, senza la cui conoscenza, si è detto, lapsicopatologia del singolo non può essere ne compresane curata.La responsabilizzazione pre-scientifica del malatomentale era il punto di partenza delle mie riflessioni;l'affrancamento dell'uomo dalla « colpa psichica » era ilsecondo punto del mio pensiero. Vengo adesso al ferzopunto, che per essere ancora all'inizio della suaelaborazione, è certo il più incompleto.Comincerò col dire che una delle esperienze più in-teressanti della mia pratica psicoterapeutica quaran-tennale è l'insight nel fatto, che vere guarigioni, dico vereristrutturazioni della personalità psicotica, non avvengonoquasi mai prima che il paziente superi tutte le sueproiezioni (non solo, ovviamente, quelle paranoiche eparanoidi, ma anche quelle « rea-listiche ») perricostituirsi almeno in parte come il facitore tragico dellasua sofferenza; ossia come chi non può creare la suaverità che attraverso la psicopatologia.Non gli basterà più, allora, descrivere come i suoi genitorinon l'abbiano compreso; come essi lo han-

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no usato narcisisticamente; hanno proiettato i loro bisognisu di lui; lo hanno troppo o troppo poco amato; lo hannoiperprotetto o trascurato, scisso o rimosso, frammentato oinglobato simbioticamente, e via di seguito.// paziente veramente ritornato a sé stesso sente come laverità è anche dialettica; come anche lui ha contribuito acrearsi quell'ambiente, con le proprie attitudini, i proprimovimenti gestuali, i propri bisogni, i propri modi di i nterprefazione dei mondo, e forse anche — chi lo sa? — conla « scelta », che il suo spirito ha compiuto (per evolversiulteriormente) di nascere entro quella determinatafamiglia o società, in quella particolare epoca storica, conquella data costituzione, con una particolare sensibilità;che non gli permetteva l'adattamento, ma una ricarca piùprofonda di Sé proprio attraverso la psicopatologia.La tragedia della psicosi (o per lo meno una sua di-mensione tragica) è quella di dover continuare unapersecuzione iniziata altrove (nella famiglia? nel-l'Inconscio collettivo? in una pre-esistenza? nell'originemetafisica della persona?) e contro gli altri (e quindi fontedi colpa incolmabile), a patto di diri-gerla tutta contro disé, prendendone tutto il peso sul piccolo Sé-vittima.È questa, la « responsabilizzazione esistenziale ». cheequivale in fondo alla liberazione totale; è questo ilritrovamento di sé, che va al di là di qualsiasi immagine disé come prodotto degli altri; è questa quella forma diguarigione, che fa dire allora al paziente (usualmentetimoroso di ricadute): « Non riesco ad immaginare comeio possa ritornale allo stadio di prima ».È a questo punto che possono innestarsi alcune mieriflessioni di fondo sulla schizofrenia; riflessioni che, peressere breve, cercherò di esprimere in paragrafi,concatenati l'uno con l'altro, per arrivare ad unaconclusione, che non mira affatto, nel breve spazio di unsaggio, a discutere a fondo il problema della psicosi, masolo a lumeggiarne un aspetto che sta in rapporto conquanto ho esposto sopra. Mi ri-

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volgerò in particolare al « problema del male », tantoantico in filosofia, quale esso si ripete in psichiatria; e inparticolare al problema della distruttività nellaschizofrenia.

II1. La psicopatologia odierna sottolinea il concetto, chealla base della schizofrenia stia una particolare fragilità eframmentarietà della struttura egoica: descritta adesempio da Scharfetter come una perdita della «coerenza dell'Io », della « coesività dell'Io », della «demarcazione dell'Io », della « identità dell'Io » e della «attività dell'Io ».La perdita di queste cinque dimensioni della strutturadell'Io è stata valutata anche statisticamente.2. La mia critica parziale ad una siffatta concezione è cheessa è di natura essenzialmente formale, non spiega ifenomeni, ne si identifica con l'interiorità del malato.Inoltre, essa è solo una continuazione, amplificazione econferma di concetti più antichi e ormai classici:come il concetto bleuleriano di scissione o quello di unaperdita dell'integrazione (« Ich-Vollzug ») dell'Io, sempreripetuto nella psichiatria tedesca {Jaspers).3. La mia esperienza clinica mi fa vedere in certi casi taleperdita, destrutturazione o disorganizzazione odissociazione o frammentazione e scissione dell'Io, chedir si voglia, quale radicata in un processo (possibilmenteanche somatizzato, se le attuali ricerche biologicheporteranno ad un risultato) descrivibile in termini psichici.Un principio attivo di distruttività, configurato sul livellofantasmatico come « // Persecutore », erode la coesione,la coerenza, la identità dell'Io del paziente4. Una ipotesi da verificare con l'esame di casi è che » //persecutore ». in una forma o nell'altra, è semprepresente nel mondo schizofrenico; ossia che la suaemergenza non è un sintomo secondario nel senso diBleuler, ma un sintomo fondamentale della schizofrenia.

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5. Un primo passo verso tale verificazione è stato da mecompiuto: ho recentemente dimostrato in trenta casi dischizofrenia acuta che il delirio (sintoma secondario diBleuler) era presente in forma conclamata almeno in 29casi, e che un elemento persecutorio era semprepresente in esso.6. Qua I è l'origine del Persecutore? del Traditore del Sé?L'affermazione ipotetica, che l'origine potrebbe esserebiologica, non risolverebbe ancora il problema, anche senuove dimensioni fisiche del fenomeno potessero essermeglio afferrate in un futuro forse non lontano; perché larealtà « biologica » è la realtà ultima solo per la filosofiapositivista; mentre per la filosofia esistenziale essa è soloil « medium » attraverso cui si manifesta una realtà piùvasta, esistenziale o transcendentale.lo ritengo che siamo in presenza di destini umaniveramente terribili e più grandi di ogni costituzione, mache, proprio per essere così radicali, non possono nonessere anche fisici, tradursi perfino nell'ordine materialedelle cose; ma che anche non possono venir meno allaloro natura spirituale non restando opachi all'incontro.7. L'origine familiare del persecutore mi sembra di-mostrata solo in un numero, certo ben notevole, di casi.Conosco tuttavia non pochi casi in cui non c'è sufficienteproporzione fra il persecutore interno e la malignità deifattori famigliari; sia che questi vengano ricercati nella «madre schizofrenogenica » di Frieda Fromm-Reichmann,o in particolari strutture o fantasmi famigliari.Affermare che bisogna tener conto dell'elaborazioneintrapsichica di tali fantasmi e dei fatti esterni significa, infondo, riportare il problema all'Interno.8. La società o violenza sociale non è sempre la causadella schizofrenia, come vogliono certi etnopsichiatri ecerti critici della società: perché ad essa sono espostimolti individui non schizofrenici. Milioni di persone, ci diceLacan, desiderano non dovere esistere!Non è ancor oggi dimostrabile in modo univoco che esistauna correlazione fra determinati sistemi so-

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ciali e morbosità schizofrenica e nessuno studioscientifico è riuscito finora a far ciò in maniera largamenteaccettabile.9. Per questi motivi io tendo alla rivalutazione parzialedell'intrapsichico. Questo non è semplicementel'endogeno, ossia il biologico, perché:a) fattori famigliari e sociali possono permettere ad essodi « storicizzarsi », e quindi di elevarsi a livellofantasmatico.b) {.'endogeno, così visto, può essere concettualizzatofilosoficamente «e a monte » della costituzione; cioècome quella nicchia (o quello « squarcio ») nell'originemetafisica del paziente, in cui alberga un nucleodistruttivo.e) La presenza di un nucleo distruttivo, del « persecutore» all'origine trascendente del paziente può definire ildestino terreno o mundano del malato. Talora il pazientenon assurge ad una sua identità, una coerenza ecoesione dell'Io, neanche quando la famiglia in cui eglicresce non è dimostrabilmente schizofrenogenica:RosenthaI e collaboratori hanno osservato infatti in figli digenitori schizofrenici adottati da famiglie normali, subitodopo la nascita, già entro la prima settimana di vita, chela morbidità schizofrenica non era inferiore a quella dibimbi ereditariamente analoghi, ma cresciuti nelle famigliedi origine. E neanche per M. Bleuler, il convivere di unbimbo con il suo genitore psicotico ha la minimainfluenza, statisticamente dimostrabile, sulla sua futurasalute mentale!10. Per «endogeno» io suppongo qualcosa come lapresenza archetipica del fantasma del persecutore nelpatrimonio genico del paziente; la quale attiva, stimola eingrandisce gli aspetti persecutori delle covittimedell'esistenza.L'esame fenomenologico di molti deliri schizofrenici mi faritenere possibile, che tale presenza sia dovuta ad unsegreto atto di distruttività compiuto alle originimetafisiche dell'esistenza. L'origine metafisica e transfamiliare del persecutore viene proposta a me dallagrande frequenza di immagini deliranti che si rifanno, adesempio, a situazioni, panorami e

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contesti « cosmici ». Non conosco infatti nessuna malattiamentale ove il metafisico sia un ospite così abituale comenella schizofrenia.Un paziente gravemente borderline vede, ad esempiodegli omuncoli che si combattono per tutta l'eternità su undeserto « lunare », senza la possibilità della morte cometerminazione della lotta e del sangue sparso comesacrificio di sé: la distruzione perpetua nell'inferno.Una schizofrenica afferma, che il suo persecutore non hane forma ne nome ne immagine alcuna; non è dicibile,non comprensibile o comunicabile; non conosce spazio etempo; e perciò neanche lei, l'ammalata, riesce a rendersiconto di relazioni spaziali e temporali.Oppure // persecutore è, in altri pazienti, un Sé grandiosospinto ad una dimensione metafisica, che crea intorno asé il deserto autistico: come nel caso del malato, cheafferma di aver infisso nella testa un ago invisibile, ilquale gli permette di raccogliere continuamente imessaggi di Dio; per cui quelli umani non hanno nessunaimportanza per lui.La natura esistenziale di siffatti messaggi è per meintuibile anche in seguito al fatto, che certe rispostedialogiche dello psicoterapeuta, non riduttive, le quali nonpassano neppure attraverso la trafila storico-biograficadegli eventi, hanno, nonostante la rigidità dei destini edecorsi schizofrenici, talora un'efficacia improvvisa; qualenon mi è nota nel campo delle neurosi, tanto più facili atrattare psicologicamente. Il « paziente dell'ago » reagivaimprovvisamente alla risposta del « psichiatra delterritorio », collega analizzato ed empatico: « Se Lei haun ago che Io mette in rapporto con Dio, io di aghi ne hodue, e mi accorgo così dell'infelicità in cui Lei si trova ».11. Caratteristica del vissuto schizofrenico, conscio odinconscio, mi sembra la configurazione della cop-pia:Persecutore e Perseguitato. Mentre la vittima viene dalpaziente introiettata come «Sé», il persecutore vienespesso proiettato sul mondo. Sé e Mondo perdono così iconfini che li separano. La vittima è talora proiettataanch'essa, è « l'umanità da salva-

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rè », il « mondo che si dissolve e va a pezzi » (" Wel-tuntergangsstimmung »), il partner che muore, il te-rapeuta che viene infettato dal malato.E ancora: il paziente si sente continuamente esposto alpericolo di venir « risucchiato », « assorbito », « dis-solto» da qualsiasi oggetto, vivente o inanimato, che eglipercepisca intorno, e deve perciò continuamenteproteggersi con l'autismo; ma egli è contempora-neamente esposto al pericolo di distruggere tutto intornoa sé con il suo stesso autismo, di porre la sua idea diperfezione, paradossale, profetica, altiera e svuotata disé, al posto del mondo, di qualsiasi « consensualvalidation , di ogni comunità di pensiero e verità logica.Egli vive i pensieri, i sentimenti, le paure, i desideri proprigiammai come fenomeni psicologici, ma come fattiesterni, documenti di una realtà assoluta che non glipermette alcuna relativizzazione; e viceversa, egli,l'essere così pietrificato, si sfalda nell'impossibilità diafferrare realtà alcuna, la quale si trasforma così in unprisma di allucinazioni.Il paziente sembra avere una nostalgia di realtà assolutae di tendere però insieme ad un suicidio mentale che locancella. Egli non può legare gli opposti fuor che nellaparadossia del delirio, ove gli estremi coincidono e ove luistesso scompare, ingrandendosi a toccare il cosmo.Io vedo qui, nel paradosso come coesistenza di estremiche si escludono a vicenda, e come presenza di oppostiinconciliabili ma non contrapponibili dalla menteschizofrenica, la formulazione moderna (vedi ancheRacamier) di concetti classici precedenti; quale quellofreudiano dei processi primari; o quello bleuleriano dellascissione. A confronto di essi il concetto di «e paradossia» ha, a mio parere, il vantaggio, di non descrivere solonaturalisticamente una situazione psichica, ma dicomprenderla anche nella sua dimensione umana; diesprimere contemporaneamente un sintomo formale eduno contenutistico. Il paradosso scatta infatti dal ritorcercidel persecutore (o del Sé grandioso) sull'Io-vittima, senzache quest'ultimo possa definirsi, limitarsi nei confronti

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del primo; e la vittima (l'impotenza assoluta, la non-esistenza) risulta tale dal percepirsi tale senza tuttaviapotersi sentire nel suo dolore e così trascendersi; senzapoter rinunziare all'immagine « perfetta » ed autistica, chetraluce proprio in quel vuoto e seduce pur nella miseriatotale delle cose che così genera.12. La situazione della vittima nel paziente è carat-terizzata da un doppio livello:da un canto essa vittima sembra responsabile del maleprovocato dal persecutore, appunto introiettato in essa,parte di essa; il paziente ha sensi di colpa;dall'altro essa ci appare entro una « frangia » o margineimmenso di innocenza: quale capro espiatorio dellafamiglia o della società; e in certi lucidi deliri, in cui stentoa distinguere la dimensione delirante da quella di terribileveridicità (proprio tale avvicinarmi al delirio, quasi nelsenso di una folle a deux, mi ha permesso dimodificarlo!); la vittima è un nuovo Sé, « il vero Sé » diWinnicott, che con la sua sofferenza immane e innocenteneutralizza un po' il male inenarrabile di un Sé più antico,nel cui spazio abita appunto il Persecutore.La innocenza della vittima viene avvertita potentementesoprattutto nel nostro controtransfert: sotto forma diinteresse, affetto, partecipazione, che da cinque decennicaratterizza, più o meno, tutta la psicoterapia dellaschizofrenia.Così come lo psicoterapeuta percepisce nel suocontrotransfert la vittima, così, viceversa, la società «neutrale », distante dal paziente, percepisce — proprio acausa della distanza — soprattutto il persecutore: comedimostra la tendenza secolare della società adostracizzare, imprigionare, amputare, operare,esorcizzare e discriminare il malato schizofrenico. 13. Aquesto punto, dopo aver lumeggiato il ruolo dellacostituzione nella patogenesi della schizofrenia.privandolo delle sue Ipostasi biologiche e resistendoall'attuale tentazione, diffusa sia in Europa che InAmerica, di » re-medicalizzare » la schizofrenia (èquest'ultimo, un tema che nell'attuale contesto di pensieriposso solo sfiorare) mi sento in grado di

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mostrare qua I è l'ingranaggio della « violenza sociale »nella schizofrenia.Risulta dall'esperienza clinica che i pazienti schizofrenicicon i loro simboli e i loro deliri dicono verità terribili, lequali valgono nella nostra società anche al di fuori delcaso psicopatologico: così, la verità che l'adattamento èspesso solo la collaborazione in un inganno reciproco;oppure la verità della menzogna implicita a volerechiamare amore il semplice possesso d'un altro; oancora, la verità che personalità « indipendenti » nellanostra società sono quelle che si sono meglio adattate aiprogrammi loro impartiti per motivi di egoismo,ambizione, eccetera; mentre gli schizofrenici, esseridipendenti, sono proprio quelle non-persone che,attraverso il tragico sabotaggio della malattia, si sonorifiutate ad essi.// rifiuto schizofrenico non è tuttavia mai creativo: poichéesso equivale contemporaneamente ad un tradimento delproprio Sé; il quale paga le spese del negativismorifacendo, attraverso i moduli della propria inettitudinepsicotica, proprio quanto aspettato da coloro che nonammettono altra realtà al di là dei loro programmi.È qui che sorge la domanda struggente del perché diquesto tradimento del sé; del perché di questaimpossibilità del « vero » rifiuto; il quale inizierebbeinvece quel » Sé vero » — se possiamo chiamarlo cosìcon Winnicott in opposizione al « falso Sé » — che noiintravediamo e curiamo in psicoterapia e il cui amore peresso ci fa sostenere una psicoterapia spesso impossibile;impossibile come quel sé vero! Forse che la strutturacognitiva ed affettiva della famiglia non lasciava altrascelta? In certi casi, sembra non esserci alcunaalternativa a questa tesi. In altri è possibile dubitarneseriamente. E in tutti c'è la possibilità di ritenere che unterribile contributo alla tragedia è dato dal pazientestesso, dal « Traditore » nel paziente stesso.Se noi teniamo presente questa possibilità (la quale, inultima analisi, è altrettanto indimostrabile come èindimostrabile la tesi della madre schizofrenoge-

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nica) possiamo cercare di comprendere: la strutturadell'ingranaggio per cui // «Traditore», il «Persecutore »ascoso nelle origini metafisiche del paziente (e che, chi losa?, ha forse preordinato la nascita del paziente in quelladata famiglia che sembra fatta apposta per non accoglierequelle parti di lui che non vogliono essere accolte) sisomma alla figura reale della madre.È così che io vedo la psicosi: come la più grande tragediadella società umana, presente in tutte le forme storiche diquesta società con una frequenza pressappoco simile acausa della costanza stessa dei parametri antropologici;ma come una tragedia che ripete nella sua terribileconcretezza la visione fan-tasmatica di un secondo pianodell'esistenza — cui noi non possiamo dare altro nomeche quello di « costituzione »; ma con cui possiamomisurarci psicoterapeuticamente solo se consideriamo larealtà biologica come il canale attraverso cui lo Spirito in-cessantemente comunica con noi e ci pone la sua sfida.14. E vengo in ultimo all'aspetto psicoterapeutico dellaschizofrenia. La mia concettualizzazione si realizza nellaformulazione delle tre tesi seguenti:a) La Identificazione con la vittima è fondamentale. Taleidentificazione equivale al messaggio dato al paziente:« Poiché io partecipo al tuo mondo astruso e bizzarro ene afferro tutta la sofferenza, Ti estraggo dalla tuaidentificazione inconscia col persecutore, la quale èinvece rottura di ogni dualità ». Ossia, cerchiamo dicircoscrivere il nucleo distruttivo attraverso l'amoreterapeutico.b) Questo trapianto di amore nel paziente può avvenireperò solo nella misura in cui noi accettiamo il processoreciproco: il trapianto dell'odio in noi. Noi eccettiamo cioènon solo il fatto di apparire spesso anche come lospecchio del persecutore; ma anche di provare in noi gliimpulsi distruttivi del paziente sotto forma dicontrotransfert negativo. Noi parliamo tanto delleaggressioni famigliari con-

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tro il paziente, che indubbiamente esistono; Wing hadimostrato recentemente che ad esse, assieme allaconcomitanza di altri fattori, son dovute buona parte dellericadute. Ma perché non ci rendiamo conto che forseciascuno di noi ha avuto, in un momento o nell'altro dellesue terapie, l'impulso di eliminare il suo paziente, o, comedice Sear!es, forse di ucciderlo?Perfino tale controtransfert è anche terapeutico. Se èvero, da un canto, che un amore terapeutico altrettantogrande può neutralizzare l 'acido potente della distruttività,affinché esso non si combini chimicamente con la basedella vittima: è anche vero, d'altro canto, che tale vittima,affascinata dal suo persecutore innestato in lei, e che èinsieme la sua miseria e la sua onnipotenza, può sentireinfine i limiti di quest'ultima proprio nel contratransfertterapeutico, proprio nel fenomeno specchio; proprionell'esperienza, che la negatività rispecchiatagli dalterapeuta non è più quella intrapsichica, non è cioè cosìgrande come quella.La difesa psicotica contro la distruttività primaria mancaal malato; essa è molto spesso solo l'autodistruttività.Il paziente che nelle sue fantasie si distrugge fino araggiungere la soglia della non-esistenza, non esegue intal modo un verdetto superegoico leggittimo; ma siidentifica con la stessa forza distruttiva, da cui non puòdifendersi; ne paga le spese. L'unica vera difesa, quellaautentica, sta invece nella percezione degli aspettipositivi, amabili, della persona sofferente, e percepibili daquesta solo attraverso la percezione che di essi ha ilterapeuta. Percezione nella forma della dualizzazione.Cosa intendo io per « dualizzazione della psicopatologiae dell'insigni »?Un movimento interpretativo non solo psicoanalitico, maanche psicosintetico. Proprio la parte essenziale dellacomunicazione, il porsi del terapeuta nel mondo delpaziente, il concretizzare l'idea nella persona delterapeuta, è qualcosa di « nuovo », che non viene, cioè,derivato analiticamente dall'insieme in esame,

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ma viene aggiunto ad esso in modo creativo. E proprioquesta aggiunta creativa è il momento centrale dellapsicoterapia; perché tale creazione, iniziata dal terapeutama naturalmente continuata dal paziente, è la sintesi deiframmenti schizofrenici. Dalla semplice analisi di questinon risulterebbero che frammenti ancora più piccoli —non da essi, ma esclusivamente dal terapeuta estrae ilpaziente la sua esistenza.e) La concettualizzazione di una siffatta terapia implicadue ultime conseguenze:1. Da un canto la situazione, ove forme di transazionisimili possono articolarsi anche al di fuori di un settingpropriamente analitico (anche se così, naturalmente, nonresta tagliato fuori tutto il vasto settore psicodinamicodella schizofrenia; quest'ultimo, a mio modo di sentire, èimprescindibile per la qualità dei miglioramenti e delleguarigioni; ma di esso si dubita nelle statistiche recenti,poiché esso non può esser facilmente riservato, per motividi tempo, ai più dei malati).L'incontro con il paziente può avvenire anche, adesempio, perfino « sul territorio », come dice la psichiatriaitaliana.Il team, gli operatori sociali, il numero di pazienti sonocerto più elevati; ma perché tutto ciò non dovrebbe essereconciliabile con l'incontro, anzi essere valido solonell'incontro?Riabilitazione non è, nel senso migliore della parola,riadattamento alla norma, ma l'apertura di canali socialicomunicativi e perciò anche trasformazione della societànell'incontro con il paziente mentale.2. Dall'altro il fatto, che il risultato ultimo di questa terapia,duale o sociale che essa sia, non deve essere valutatosolo in modo statistico.Non si tratta solo di misurare i successi, importanti cheessi pur siano, gli unici veramente decisivi da un punto divista rigorosamente scientifico (io ritengo che lamisurazione della nostra attività psicoterapeutica da adessa la dimensione scientifica); ma anche di metterci alservizio del sofferente, di aprire aree di dualità, renderepossibili incontri significativi

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ed « ore fortunate », anche se purtroppo passeggere, incui sia noi che il paziente sentiamo da lontano la vocedella sua origine.In questo senso io ritengo che un aspetto della psi-coanalisi è, per la sua ricerca di dualità col sofferentementale, una » secolarizzazione » della religione, mentre,viceversa, il suo volersi comprendere anzitutto come «tecnica » la mette in svantaggio nei confronti di quelleterapie manipolative, come quelle behavioristiche, chemostrano, allo studio catamnestico, risultati tecnici forsemigliori.

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