II Libro - La Passione Della Chiesa x

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8/6/2019 II Libro - La Passione Della Chiesa x http://slidepdf.com/reader/full/ii-libro-la-passione-della-chiesa-x 1/144   Leggi Manifesto „Arca della Bellezza‟ per  Arcieri Resilienti e Amici dei Borghi di Xenobia  1 1 Ecco, Io faccio nuove tutte le cose» (Gv, Rivelazione 21, 1-5) II° libro Petrus Romanus Una Vita Pietro Romano LA PASSIONE DELLA CHIESA I veli dell’Iniquo sopra la Verità e nella Rivelazione    Arca della Bellezza

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11Ecco, Io faccio nuove tutte le cose» (Gv, Rivelazione 21, 1-5)

II° libro – Petrus Romanus – Una Vita

Pietro Romano

LA PASSIONE DELLA CHIESAI veli dell’Iniquo sopra la Verità e nella Rivelazione 

 

Arca della Bellezza

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2In copertina

Le Nozze di Cana

icona

Monte Athos XIII secolo 

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33 Note dell’Editore per gli amici di buona volontà «La Passione della Chiesa» è un progetto innovativo e interattivo di inventario per riuscire agilmentea sintonizzarci con lo Spirito Santo, secondo il precetto paolino di « prendere in esame tutto ». Unasorta di nuova Enciclopedia Cattolica, narrata agli Ultimi, per gli Ultimi Tempi, e per riconoscere letraversie dei nostri tempi in una prospettiva cristiana forte, consapevole e antitetica alle varie

eresie e posizioni dominanti. Il proposito è quello di smuovere le coscienze, indagare sull‟inganno -cheper sua natura resta nascosto- ma anche mettere in mostra tutta la meraviglia delle novità promesse diGesù, in chiave escatologica e pratica; divulgare informazioni che concernono una missione, quelladegli Arcieri o dei membri che aderiscono liberamente al proposito dell‟Arca della Bellezza. Ossiac‟è da intendersi da subito: c‟è una dura battaglia morale da combattere per la conservazione dellaFede, per divulgare l‟Annuncio, difendere la Verità e andare incontro al Signore. Lo facciamo contutte le energie e la passione che servono per la Restaurazione e l‟Instaurazione del Regno. La nostraforma è la gratuità e la preghiera, con cui ci rendiamo disponibili ad aiutare tutti, nessuno escluso.

Ciononostante, non ci nascondiamo dietro proclami. Abbiamo bisogno del tuo aiuto. In che modo?I Libri che troverai nel sito internet www.parusia.info sono scaricabili gratis. Chiunque può farlo,

con preghiera anche di diffonderli. Seguiranno presto anche altri Libri, già in preparazione, oltre aidee, iniziative, attività. Varrà sempre la stessa formula: la gratuità. Lo scopo del progetto è « fare »ed informare rimanendo sintonizzati tutti in un unico Spirito, quello Santo, in attesa della Parusìa.

Nel sito www.parusia.info  è anche possibile fare comunità e movimento, mantenersi aggiornaticon le continue e sempre più frequenti notizie su ciò che avviene nel mondo, su ciò che facciamo. Evolendo, potete partecipare attivamente al forum come redattori, e ai convegni come relatori. Ilnostro scopo, pur tuttavia, resta l‟incontro, l‟esortazione alle opere di misericordia e di carità, e laorganizzazione e fondazione dei Borghi di Xenobia, alternativa alla «tossicità» del vivere moderno.

Qualcuno, inoltre, ci chiede se i Libri possono essere acquistati su supporto carteceo. Qui, la nostrarisposta è che puoi darci una mano a recapitarlo agli amici e realizzare una rete robusta, penetrantenel territorio e altrove, quindi diffusa e strutturata. Una rete che possiamo realizzare, quanto primaanche grazie al tuo aiuto e a quello di altri Amici di Gesù, di Xenobia e Nomadelfia, pronti amettersi a disposizione in forma generosa e altruistica. In che maniera?

I modi, per esserci tutti di aiuto, e armonizzare le fatiche e gli sforzi, sono cinque:- Uno: avvicinare un fotocopista amico o che conosci bene, che abbia l‟intenzione di collaborare connoi pubblicando e stampando copie dei Libri LA PASSIONE DELLA CHIESA a chi ne facesse richiesta.L‟artigiano verrà liberato da diritti di royaltes; e alle persone interessate resterebbero solo i costidelle fotocopie, e la scelta dei Libri, nel formato che loro aggrada, compresa la copia elettronica.- Due: aderire alle nostre iniziative/eventi, perchè ognuno si senta coinvolto, secondo il propriostato, le proprie possibilità e i propri mezzi, a unirsi a noi nelle battaglia di fede, avviando succursalidell‟Arca della Bellezza, ovunque si trovi, attraverso la messa a disposizione di strutture e CAERP,come indicato nel Libro VI. Ciò, senza costi, o con l‟opportunità di sentirsi utile alla causa.- Tre: chiedere di entrare in contatto con i Fondatori, le componenti di base, con l‟amministrazioneinternet, attraverso il sito internet/forum www.parusia.info , per conoscerci, scaricare il depliant,essere riconosciuti come membri, e quindi ricevere la certificazione Arca di nuove strutture (cheresteranno autonome e libere, ma potranno usufruire dei marchi di riconoscimento di affiliazione).- Quattro: attivare donazioni liberali e fondi su carta Postepay (coordinate a richiesta 3331982156).Ma noi, consapevoli della funzione de-responsabilizzante e de-formante del denaro, preferiamo lapartecipazione diretta dei cristiani, con Opere di Carità nella Vigna del Signore, secondo lo Spirito del

Vangelo e secondo le indicazioni del magistero della Chiesa Cattolica e del Santo Padre.- Cinque: costituire Gruppi di Amici di Gesù e Cappellette per l‟Adorazione Eucaristica e Rosario.

Un caro saluto, buona lettura e buone opere. Facciamoci tutti Carità 

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Pietro RomanoLA PASSIONE DELLA CHIESAI veli dell’Iniquo sopra la Verità e nella Rivelazione 

II° libro – Petrus Romanus – Una Vita

Arca della Bellezza

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55 Il racconto di una illusione e di un inganno

Vi racconterò con tutta la passione che mi deriva dall‟essere cristiano, il mio esserecattolico in seno alla Chiesa e gli inganni che di volta in volta mi si sono disvelati sullanatura di coloro che la contrastano. Purtroppo, prima di arrivare a questa considerazioneho dovuto sperimentare come anche dentro la Chiesa, per colpa di taluni uomini, vi siannidi un errore, gnostico, che compromette la struttura stessa della escatologia.

Molti, tendono a negare, abbracciando l‟eresia marcionita, l‟Antico Testamento. Strano,perchè invece un noto libro degli anni ‟70 già dimostrava che La Bibbia Aveva Ragione. Cosìcome i noachici, e così fanno altri, che di volta in volta negano o enfatizzano alcune partidelle dentellature di una chiave, cosicche, macchiando con acido corrosivo il disegno dellaChiave del Regno, sopra queste considerazione ci costruiscono sopra le Sette o i pensierisocio-culturali, i sistemi politici e filosofici, o le strutture pseudoreligiose, come gliislamici, per esempio, ma anche come i millenaristi, quali i Testimoni di Geova o iMormoni (tutti e due di estrazione massonica). Ecco che la Sposa è lei stessa macchiata.

Viene subito da pensare, quindi, che appena togli un pezzo dalla Bibbia o quando credidi rappresentarne solo una parte, o lo incapsuli salvandolo dall‟acido ecco che l‟equilibrioescatologico salta, e rendi difficile l‟utilizzo della Chiave del Regno.  

Ma perchè accade questo? Perchè Dio ci mette a disposizione un sistema di dati einformazioni che si intersecano continuamente l‟uno con l‟altro. Al centro di questosistema di dati c‟è la Parola che coincide con il Cristo, la Seconda Persona della Trinità, econ lo Spirito Santo, la Terza ed ultima Persona. L‟una è concatenata all‟altra da un vincolodivino di fusione, integrazione, armonia.

Non possiamo pertanto comprendere cosa sta succedendo e cosa succederà, se usiamo come unicocriterio la continuità lineare. L‟Antico Testamento conteneva, infatti, al suo interno il NuovoTestamento, nell‟annuncio del Messia che sarebbe dovuto arrivare. Così come il N uovo Testamento

vive dell‟Antico, che offre le chiavi di lettura per aprire e leggere il Libro della Rivelazione. SanPaolo, in tutto questo è come un traghettatore. Allora il ruolo spettò a Gamaliele. Oggi spetta aquello che Paolo ci tramanda negli Atti e con l‟esempio della sua conversione. 

Mi preme qui ricordare l‟inizio del Vangelo di San Giovanni, che una volta veniva lettoprima di ogni Messa. Precetto poi tolto con il Concilio Vaticano II, senza una spiegazioneplausibile.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 1-18) – « In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui esenza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; laluce splende nelle tenebre e le tenebre non l‟hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suonome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutticredessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nelmondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.

 A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suonome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati

 generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato lasua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni

 gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la

Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio,nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. 

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6Nasce un cristiano

A dodici anni feci la mia Prima Comunione e ricevetti la Cresima insieme con i mieifratelli maschi. Perché così tardi? A dir la verità non ce ne importava molto. La religioneera per noi qualcosa di puramente esteriore, che poteva impressionare la mamma, lanonna, la sorella o la donna di servizio (allora si chiamava così), molto sensibili allebenedizioni e ai riti vari, e sempre pronte a vedere e interpretare i segni del cielo.

Ricordo che era una gran seccatura ricevere per la Pasqua il "prete" che veniva abenedire la casa. Bisognava mettersi in ordine e subire la ramanzina, prima della nonna epoi del sacerdote, che finiva col mondarci con una buona schizzata d'acqua santa. Perciò -quando era possibile - cercavamo di non farci trovare, nascondendoci in cantina e tra leterrazze. Una volta ci scoprirono e ci trascinarono ad inginocchiarci davanti a un frate.

'Padre, li benedica, perché sono tanto cattivi". Il frate guardò le donne e sentenziò: "Nonsono cattivi i bambini, ma i grandi". Fu una notevole vittoria che cominciò a riconciliarcicon la religione. Fece poi la sua parte, in ordine alla recezione dei sacramenti, Don Andrea,il quale organizzò per noi tre giorni di ritiro alle "Cappellette di San Luigi", presso S. MariaMaggiore. Fu in quell'ambiente ovattato e severo Che io cominciai a sperimentare lastraordinaria efficacia degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio, che dovevano diventare ilpane della mia vita e il mio cavallo di battaglia. Quei tre giorni imposero una svolta allamia vita di ragazzino egoista. A scuola ero sempre ubbidiente e studioso, desideroso disuccesso; ai genitori e ai fratelli volevo bene, ma in modo viscerale; quanto a idealità nonne avevo nessuna. Debbo perciò molto a quel sacerdoti, tra i quali eccelleva Mons. Raffaele

Boyer, "il cattivo", come lo chiamavamo noi, il quale aveva il compito delle prediche piùdure e severe, come quelle sul peccato e sull'Inferno, mentre l'altro, "il buono", ci sollevavail morale parlandoci delle gioie del Paradiso e della Madonna che ci vuol bene.

Quando si trattò dell'Inferno, tutta la sala fu oscurata. Una sola candela ardeva sul tavolodel predicatore, il cui volto scarno e senza sorriso ci obbligava a meditare. I suoi argomenti eranoineccepibili. Mio fratello minore mi si accostava, sempre più impaurito. Quello maggiore -tra i guizzi della candela - rivelava un ghigno beffardo, per non fare brutta figura con noi,ma sotto sotto si vedeva che quel pensieri facevano presa anche su di lui.

Dopo quella predica, a letto nella lunga camerata."Pietro, dormi?" sussurrò Sandro. "No". "A che pensi? ". "All'Inferno". "Pure lo".

"Morammazzati di preti, ci potevano almeno far confessare prima di venire a letto!”bofonchiò Gaspare dall'altra parte. "Fanno come mamma quando ci dà la purga: non ti facorrere dove vorresti, perché prima deve far effetto bene".

Il giorno dopo, confessione. Ci credereste? Quasi tutti andammo dal più severo, per maggior  penitenza. Mi ricordo di aver pianto sinceramente i miei peccati. Come avevo potuto offendereun Dio così buono ed amante, da essersi offerto al tormenti e alla morte al posto mio?

Il guaio era che fino a quel momento, al catechismo, non mi avevano insegnato altroche formule vuote, senz'anima e senza amore.

Per questo oggi divento una belva ogni volta che sento preti insegnare dogmi eobblighi senza spiegare, senza ragionare, senza commuovere né commuoversi, come

precisi burocrati a teste di cuoio. E non mi sta bene neppure il Papa che fa la catechesicominciando dal diavolo. Ma come si può parlare del diavolo a gente che non sa più seDio esista? Il Papa è il Vescovo di Roma, e non può agire coi romani scanzonati come coi

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77polacchi che suggono la religione col latte. Qui bisogna ricominciare daccapo,dall'apologetica razionale, altrimenti non crederà più nessuno. E soprattutto non bisognadar scandalo, né con lo lor, né con altri affari.

Al primo mattino del giorno in cui dovevamo ricevere Gesù, Mons. Boyer ci terrorizzòcon questa frase: "Se qualcuno di voi non si fosse confessato bene, un raggio violetto potrebbe

 partire dall'altare e incenerirlo". Tutti tornammo a confessarci daccapo. Quell'uscita fu veramentedi cattivo gusto, ed io non me ne sono più dimenticato, per usare, da parte mia, verso le animequella delicatezza che mi ha insegnato Gesù. Ma è possibile mai che i preti debbano essere cosìbestioni? Vogliamo provare a dare il sacerdozio alle donne? Chissà che non facciano meglio.

Certamente la mia prima conquista personale di fede e di amore si operò a dodici anni.E a dodici anni imparai ad amare la Madonna, da persona responsabile. La conoscevo giàun pochino, dalle elementari, come Madonnina Immacolata alla quale cantavano "di stelle ed'angeli...", ma non mi aveva toccato molto. Ancora a dodici anni mi innamorai di Amalia,che aveva qualche mese meno di me, le trecce nere e gli occhi neri come una squaw.Andavamo in comitiva a cogliere le more che Sandro, sempre intraprendente, si affrettavaa portare a lei, ma ella gentilmente rifiutava, perché le voleva da me. Mi portò a ballare, e ame sembrava di essere uno dei Beati dell'Angelico. Eppure non ci demmo neppure unbacio. Poi la persi di vista. La rividi dopo tanti anni a Fontana di Trevi, ma non qualeAnita Ekberg, bensì quale Anitona, e mi confermai nel mio voto di castità. Entrai poi nellaCongregazione Mariana dove prestava la sua opera Mons. Boyer, di cui ho parlato, e mi detti contutta l'anima a fare il buon cristiano.  Mi confessavo e comunicavo spesso, assistevo i poveri e ivecchi, pregavo in ginocchio, bruciavo i libri proibiti, ma non smettevo per questo di studiare.  Ricordo che avevo un particolare interesse per il latino, che mi piaceva per la sua singolarecapacità espressiva e poetica. Ogni volta che terminavo una traduzione, me lo leggevo erileggevo gustandolo sempre di più, come facevo con le suonatine al Pianoforte che miamadre mi andava insegnando. Ma quello che più cercavo nello studio era la soluzione ditanti interrogativi filosofici e religiosi che mi si affollavano nella mente. Per questo fuifelice di incontrare un Padre Domenicano, Agostino Ruggi d'Aragona, che nell'Ordineaveva preso il nome di P. Enrico Domenico. Andavo da lui al Convento di San Clemente,tenuto dai Padri Irlandesi, dove era l'unico italiano, destinato soprattutto alle confessioni.

P. Ruggi era severo, aveva qualcosa del Savonarola, anche nell'aspetto, ma a meandava bene per questo. Non mi piaceva l'indulgenza nel miei riguardi, anche se con glialtri lo non riuscivo ad essere duro, se non mi ci tiravano per disperazione. I lunghissimistudi filosofici dei domenicani furono da me abbondantemente sfruttati nella persona di P. Ruggi .Ricordo anche di aver sentito il fascino della vita religiosa leggendo la vita di "Fra Candido", un

 giovane domenicano morto di recente. Un guizzo di entusiasmo per quella vita me l'avevaprocurato anche San Gabriele dell'Addolorata, Francesco Possenti, nel giorno della suacommemorazione. Anche figure di Sante mi impressionavano salutarmente, Giovannad'Arco, Caterina da Siena, Gemma Galgani, Teresa di Lisieux.   Ma forse i Santi che piùammiravo erano Luigi Gonzaga e Francesco Saverio, il primo per il suo disprezzo del potere, dellericchezze, degli onori, il secondo per il suo voler conquistare il mondo a Cristo.

Mentre nel mio interno ferveva il pensiero e l'amore cristiano, all'esterno eroperiodicamente costretto ad indossare la camicia nera. Mio padre non era affatto fascista,come ho detto, ma non voleva danneggiare me, pur ricordandomi sempre la causa del suoallontanamento dal Teatro dell'Opera, dove mi accompagnava solo a sentire i suoicantanti. 'Io la camicia la voglio bianca, la politica non è pulita come la musica". E si univaal lamenti del suo caro amico dottor Petacci, padre di Claretta.

Quando mio padre riceveva un invito a presentarsi al Fascio, radunava tutta la famigliaal bagno, strappava la cartolina, la gettava nel water e tirava la catena. Era un rito - se si

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8vuole un po' banale - che faceva da contrappeso ai riti - anch'essi senz'altro banali - dellaretorica fascista, che però nelle menti dei ragazzini avevano qualche presa. Nel primi anniinfatti la divisa di balilla moschettiere, il moschetto in miniatura che sparava sul serio, leesercitazioni militari piacevano anche a me. Mi misero di sentinella alla "Mostra delMinerale”, ed io vi stetti immobile per due ore, soddisfatto che la gente mi guardasse e mitoccasse per vedere se ero finto o vero; mi posero di guardia davanti a Palazzo Venezia, adincrociarmi al passo romano con un compagno, mentre mi riprendevano al Film "Luce”.Di recente mi sono rivisto in televisione, ed ho udito - più o meno questa didascalia:"Guardate questi fanaticucci, incitrulliti dal Fascismo”. Potrei citare la RAI TV in giudizio.Un fotogramma mio, ma di spalle, sta nel terzo volume del Brancati. Sono entrato ormainella storia. Si vede in viso il mio partner, un ragazzo bruno, che lo ammiravo perchériusciva a tenere il fez pendente senza farlo cadere (il segreto era un pettinino cucitoall'interno. Anche i bersaglieri usano lo stesso trucco).

Ricordo la trasformazione operata in via dell'Impero in occasione della visita di Hitler.Vennero innalzate delle pareti in cartone dipinto in bronzo, e tanti altri ornamenti trionfalidella stessa materia. Fu in quell'occasione che Trilussa scrisse:

Roma de travertinorifatta de cartonesaluta l'imbianchinosuo prossimo padrone.

La mia congregazione mariana, presso la Torre de' Conti, era proprio a metà delpercorso. I nostri preti erano divisi. Molti parteggiavano per il Duce della Conciliazione,altri gli erano sfavorevoli, perché dicevano che era solo un opportunista. Antonio Corsello,il prete facchino, che ha due anni più di me, scrive di aver battuto le mani a sedici anni"quando il Duce ha annunziato alla radio la dichiarazione di guerra". Io veramente mi sentiiagghiacciare, pensando istintivamente all'America che non ci avrebbe lasciati fare . E poi misembrava una gran vigliaccheria quell'attacco alla Francia prostrata. Una di quelle sere dovemmocorrere in cantina per un allarme aereo: erano i Francesi che ci lanciavano manifestini garbatissimi,ma più sferzanti di schiaffoni. Avevano ragione: ricordo di aver provato vergogna.

Mio fratello Gaspare aveva più coraggio di me. Già un anno prima, in scuola - stavamoin classe insieme, perché lui mi aveva gentilmente aspettato -, un ufficiale della Milizia, ilcapitano Frascaspada, era salito con gli stivali lucidi sulla cattedra e, mani ai fianchi, ciaveva pesantemente stimolato a base di "rammolliti, gelsomini" a prestare un ottimo saggioginnico al foro Mussolini in onore del Duce. Gaspare gli fece un gran pernacchio dalbanco. Io gelai, vedendo già i miei genitori in galera. La professoressa di latino, ligia aldovere fascista, prese mio fratello per un orecchio e lo portò fuori. "Scegli", gli disse "oandare dal Preside o prendere 2 in latino nel trimestre". Gaspare scelse: "Mi dia 2 inlatino”.  "Cretino”, gli dissi lo dopo "potevi scegliere di andare dal Preside". Questi,Amedeo Nobile, fratello di Umberto, trasvolatore del Polo, godeva fama di antifascismo.“Ti avrebbe punito per il versaccio, ma certamente graziato perché l'hai fatto al Duce". "CIho pensato", mi rispose mio fratello "ma sono sempre grane. Del resto quella mi ha offerto2: lo ho solo 1!". Era d'obbligo andare alle adunate con la divisa acquistata a proprie spese.Gaspare non ci andava, e fu per questo bocciato a scuola. Allora quel birbone si cucì alleginocchia della divisa da Avanguardista toppe di colore alquanto diverso, e si piazzò inprima fila. L'ufficiale che passava la rivista lo notò subito e lo rampognò aspramente. "Miperdoni, Signor Centurione", rispose calmo calmo ed educatissimo mio fratello” io faccioquello che posso per essere sempre in ordine, ma non sono dotato di sufficienti mezzi di

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99fortuna". "Scalcinato, straccione, vattene, non ti far più vedere, vergogna della Legione!".Se ne andò difatti, non si fece più vedere, e nessuno lo cercò più. In fondo si trattava di unesercito pacioccone. Una volta assistetti ad una degradazione. Rullarono i tamburi, e ilmalcapitato perdette i segni rossi di caposquadra dalla camicia nera. Ma gli fecero ancheun bel 7 alla camicia medesima, e allora quello urlò "Ma li mortacci vostri, e mò chi mepaga la camicia?". Il rullo dei tamburi ne copri le ulteriori invettive.

Anche a me avevano dato i gradi rossi, per merito scolastico, e sei uomini dacomandare, ma quando mi recai all‟adunata successiva arrivai tardi, e tutti i graduati sierano già accaparrati gli "uomini” migliori. A me erano rimasti uno con un posteriore così;uno con un occhio che guardava a levante e l'altro a ponente; uno con i calzoni fino alginocchio, il che ne faceva un "gelsomino"; uno con un tic nervoso; uno che parevaAndreotti da piccolo; e infine Cavasassi, detto l"'aereoplano" per le orecchie a sventola, ame noto da tempo per uno spettacolo organizzato alle elementari. Sul palcoscenico lo erovestito da pastore dell'antica Roma, e contemplavo - nel futuro - il passaggio delle glorioselegioni che entravano a destra e uscivano da sinistra, e non finivano mai. Ma l'ultimo diogni manipolo aveva regolarmente le orecchie a sventola che fuoruscivano dall'elmo.Dovetti adattarmi alla sorte: cominciai ad impartire ordini per la marcia in cortile. Nonandò tanto male: tutti erano adatti alle manovre, se si eccettuava quello dal grandedidietro che risultava meno scattante. Ma i malvagi della legione ridevano a crepapelle.

La dittatura fascista cercava di contentare il Papa, anche se ogni tanto si finiva intremende litigate, come ci diceva Mons. Boyer. Pio XI che aveva definito Mussolini'L‟uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare- diceva spesso che avrebbe preferito unnemico aperto, specialmente quando il Duce gli andava a stuzzicare l'Azione Cattolica,"pupilla dei suoi occhi". Il Duce cercava di fare del suo meglio per farsi perdonare, a modosuo, per esempio con spettacolari Messe al Campo.

Un giorno alla Legione - facevo parte della famosa 781, la legione modello di tutta Roma- nonci dettero il moschetto. Ci inquadrarono e a passo di marcia, ci condussero sulla Merulana.Davanti alla chiesa di Sant'Antonio ci dettero l'alt e l'ordine "per fila sinis ... !”. Quelloordine ci mandava diritti alla cripta della chiesa. Ci avevano detto che gli ordini sbagliatinon si eseguono. Raccomandazione curiosa: chi è che stabilisce se un ordine è sbagliato ono? E di fronte a una guerra tutta sbagliata? Ma i fascisti restringevano questa capacità digiudizio solo alle manovre da parata. Già era qualcosa. S. Ignazio fa rifiutare ubbidienza solodavanti a manifesto peccato. Io farò cosi, ma i Gesuiti non me la manderanno per buona.Meglio i fascisti. Davanti alla chiesa non eseguimmo. Ripeterono l'ordine, e allora citrovammo tutti in chiesa. C'erano molti “frati francescani” a ricevere le nostre confessioni.Avevano ricevuto cartolina precetto, per l'approssimarsi del precetto pasquale. Per fortunamantenevano indipendenza di giudizio. "Vuoi confessarti?” mi disse il mio. “Se non vuoi,ti dò una benedizione, e nessuno se ne accorge”. “Giacché ci sono, va bene” dissi io, edovetti improvvisare. Ma che strani sistemi! Una volta, a scuola, all'ora di Religione entròun ufficiale della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. Noi lo avvertimmo: “Professore,si sbaglia. Non è l'ora di ginnastica". “Sono il nuovo insegnante di Religione". Sali in cattedra,accese una sigaretta e si mise a leggere il giornale. Di religione non sapeva assolutamentenulla, ma aveva ricevuto regolare nomina dal Vicariato, come da Concordato tra Stato e Chiesa.

Oggi io non posso insegnare religione, perché il Vicariato non me lo concede, in quanto exreligioso. Ma sono veramente ex, o gli ex sono loro?  Certo Mussolini anche nella religione nonsmentiva il suo autoritarismo. E i preti che lo seguivano, cercavano di imitarlo. Tutti impettiti,cosparsi di medaglie, procedevano fieri nelle sfilate, buffissimi nella loro tonaca e nei lorocappelli rotondi fregiati di "lasagne" d'oro.   A capo c'era Mons. Bartolomasi, l'arcivescovo

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10castrense che benediceva le bandiere e i gagliardetti, c'era Mons. Giordani, che, passeggiandoper Via Nazionale con la sua greca di Generale della Milizia, troneggiava nella suasplendida figura, che era di gran lunga più imponente e maestosa di quella di Graziani, alquale assomigliava. Ma tutto questo orpello copriva la più grossa canzonatura della storiache si perpetuava e si perpetua tuttora a suo modo: l'accordo, il pateracchio tra lo Stato e laChiesa, che secondo me non ha alcuna ragione d'essere. Ne parleremo dopo.

Quando il Fascismo cadde, tutti divennero antifascisti. I portieri degli stabili intorno alnostro si misero al collo il fazzoletto rosso, e vennero a prelevare il Sig. Alfred Nolte,nostro inquilino tedesco, per "giustiziarlo" quale spia. Gaspare, che non l'aveva mai potutovedere, si vendicò a suo modo, salvandogli la vita. Vedendo avvicinarsi la plebagliaarmata, rossa per opportunismo, gli si parò davanti. "Non lo toccate. Non è una spia. Loconosco bene: è troppo cretino per essere una spia". Se ne andarono, e allora il Sig. Nolte:"Grazie Gasparino, grazie". Mio fratello era sdegnato per l'infame comportamento di queicerca-mance. Tornati a scuola, dopo le vacanze, Gaspare, che prima di allora era spessotratto fuori dalla fila degli studenti, perché non salutava romanamente il Vicepreside allasommità dello scalone, fece - l'unico - il saluto fascista in mezzo a tutti gli altri. "Giù, giù,"gli disse il Vicepreside "quel saluto è abolito". "Ah, già!" rispose Gaspare "Peccato però:proprio adesso che ero riuscito ad impararlo ... !".

 Anche gran parte dei Gesuiti era rimasta ed è tuttora fascista. E' pure vero che molti sonoantifascisti. Questo fa vedere come il connubio tra Stato e Chiesa si prestasse a diverseinterpretazioni. Quanto a me, non potevo approvare che sui muri fosse scritto "Mussoliniha sempre ragione", e che fosse istituita una religione dello Stato, ben più in là dellacattolica, che ne era dichiarata la religione ufficiale. La Nazione era una entità superioreagli individui divisi o raggruppati che la compongono. Le sue finalità trascendevanohegelianamente le sorti dei piccoli mortali, e Gentile era contento di essere una rotellinainconscia di quel superbo apparato che era lo Stato etico. Il primo articolo della Carta delLavoro, che ci facevano imparare a memoria, parlava chiaro, ed io non potevo mandarlogiù. In pratica però, come tutti gli errori e, per di più, in mezzo agli italiani scanzonati, il Fascismolasciava vivere, non potendo -né volendo- giungere ad alienazioni troppo concrete. C'era ordine,c'era pulizia, le strade erano lavate con la pompa, i treni arrivavano in orario, la posta eraconsegnata tre volte al giorno, non c'erano furti, rapine, né aggressioni private. In piùavevamo la grossa soddisfazione di poterci sfogare con le barzellette. Ce n'eranotantissime e qualcuna ironizzava sul casto connubio tra Stato e Chiesa. "Io Pio XI (lo pio undecimo)" diceva il Papa. "Ed io pio tutto, diceva Mussolini".

Non credo che nel delitto Matteotti ci fosse direttamente la mano del duce: non era cosìcretino. Ma nella questione razziale, pur deprecandone e rifiutandone gli eccessi, non potè tirarsiindietro, e finì con l'attirarsi l'odio dell'alta finanza ebraica che pur l'aveva sostenuto nel suosocialismo borghese. Posto come punto fermo che la dittatura fascista, proprio perchédittatura, era inaccettabile, non c'è molto da stare allegri con l'attuale partitocrazia. Viva ilpartito unico Russia (altro nome non conta) che dà spazio ai benpensanti. Mussolini nonera un credente in senso cattolico, ma era in fondo un buon diavolo. Posso testimoniareche il sacerdote Manlio La Greca, entrato dopo di me in Compagnia, era stato milite nellaRepubblica di Salò, e aveva ricevuto l'ordine di bruciare un paesino (dove erano rimastisolo vecchi, donne e bambini), reo d'aver dato da mangiare al partigiani delle montagne.La Greca si rifiutò di ubbidire e fu condannato a morte. Ma Mussolini, appreso il fatto, lograziò immediatamente, anzi lo elogiò per la sua umanità. 'I miei soldati non sono deimostri" disse. Non c'è dubbio che il Duce fosse avido di potere, ma non lo era certo didenaro, prova ne sia che la famiglia è rimasta povera. Ed il potere lo adoperò anche per fare

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1111cose grandi. Ho sottocchio un libriccino che parla di tanti nostri attuali politici, i quali -si dimostra-sono stati fascisti attivi, anzi "intellettuali fascisti, ed ora non si vergognano di faredell'antifascismo. Essi volevano e vogliono comunque il potere, ma non semplicemente peril bene dell'Italia. Molti di loro si professano non solo democristiani, ma ferventi cattolici.Il loro parlare e il loro agire dovrebbe essere senza doppiezza né secondi fini. Ce n'èqualcuno che di denari ne ha fatti tanti, mentre, per sua stessa dichiarazione, era partitosenza il becco di un quattrino. Non ho paura di sbagliare, affermando che la disistima chesi ha per la Chiesa affonda le sue radici anche in questo terreno di arrivisti devoti, che laChiesa stessa stima tanto come valido sostegno del suo potere religioso-politico. Paolo VInon si prodigò per il salvataggio di nessuno quanto si prodigò per Aldo Moro. Certo gliera legato da sincera amicizia, ma Moro era stato fascista e docente di dottrina fascista.

 Altre eccelse menti, che muovono oggi il carrozzone democristiano, un po' di qua, un po' di là, comeera costume di Paolo VI, hanno sostenuto il regime fascista e mangiato nel piatto in cui orasputano. I nomi? Esula dallo scopo di questo libro il farne. Del resto "Non ragioniam di lor,ma guarda e passa". Non c'è dubbio che Chiesa e Fascismo si trovassero pienamente d'accordo sudi un punto: la rovina della Massoneria, quale nemica di ogni dittatura politico-religiosa e di

imposizioni ideologiche. Questo fino a che non ci fu la guerra e la liberazione. Forse non tuttisanno che non era ancora giunto il Natale del 1922, e già il gesuita Pietro Tacchi Venturiera inviato dal Vaticano al nuovo padrone d'Italia a Palazzo Chigi, divenuto nuova sededel Ministero degli esteri, dopo l'acquisto da parte dello Stato nel 1914. Ma il governoitaliano, nel 1918, aveva acquistato anche, per un milione e centottantamila lire, labiblioteca Chigiana, che al nuovo Pontefice Pio XI, grande estimatore di libri, faceva gola.Il Papa voleva comperarsela. Non c'era riuscito da Bibliotecario della Vaticana, provavaora coi gesuiti e con Mussolini. Padre Tacchi fu introdotto dal "duce" dal SenatoreContarini. Il nuovo capo del governo, udito lo scopo della visita, usci in queste testualiparole: "Il Governo non vende la Biblioteca, ma ne fa una strenna al Pontefice". Figuratevila gioia del Pontefice medesimo, il quale riuscì a superare con sottili accorgimenti ledifficoltà dell'accettazione del dono, stante la mancanza di relazioni diplomatiche colgoverno italiano. Fin da allora, passo dopo passo, Tacchi Venturi e Mussolini prepararonola Conciliazione. Anche se non potevano essere d'accordo su tutto, Padre Tacchiapprezzava moltissimo la restaurazione dell'ordine pubblico e la ferma volontà diMussolini di giungere ad una pacificazione con la Chiesa, il duce a sua volta stimavaTacchi. "Mi sentirei di governare il mondo, se avessi il suo controllo" diceva.

E' vero che dopo la conclusione del patto d'acciaio con Hitler, Padre Tacchi disse aMussolini: "Con questo patto, Eccellenza, vi state scavando la fossa con le vostre mani", e ilduce, irritato, fini per dichiarare a Ciano essere ormai il Padre "moneta fuori corso", ma giàda quindici anni c'era stato tra i due pieno consenso riguardo alla soppressione dellaMassoneria Italiana, dopo il colloquio di Capodanno del 1925. Del resto mai Tacchi levò lasua voce a favore dei Massoni, mentre prese la difesa degli ebrei, come vedremo.

Tra i preti del dissenso c'era Monsignor Casamatta, Parroco di San Marco a PiazzaVenezia. E sacerdote -pur brontolando- era costretto a subire le angherie del fascismo,perché San Marco -come si sa- fa corpo unico con Palazzo Venezia. La polizia segreta stavatalmente dappresso a chi si fermava a pregare in Chiesa fuori delle funzioni, che nessunoci entrava più volentieri. Ma il Parroco volle la sua rivalsa. Poiché il Duce aveva fattoinstallare il suo bagno personale al piano di sopra, quasi in corrispondenza dell'altarmaggiore, Monsignore andò coraggiosamente a Palazzo, a far considerare che non eraconveniente che parroco e fedeli potessero registrare i momenti in cui il Duce tirava lacatena dello sciacquone, che mormorava meno gloriosamente del Piave. Mussolini fecespostare immediatamente il bagno. 

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12Gesuita in progetto

Dopo il bombardamento di San Lorenzo, che tanto mi aveva scosso, gli eventiprecipitarono. Il Gran Consiglio del Fascismo, l'arresto di Mussolini, la guerra sempre piùdisastrosa ... L'8 settembre ci procurò immensa letizia e, poco dopo, immenso dolore. Mitrovavo al Palazzo "de Propaganda Fide", dove lavoravo a "part-time" all'UnioneMissionaria del Clero, quando una cannonata sparata dai tedeschi (dal Gianicolo,dicevano) sfondò la facciata del palazzo al 35 di Piazza di Spagna. Visto l'enorme squarcio,attesi a lungo prima di tornare a casa.

Poi la gran fame e la preoccupazione per i miei mi fecero muovere. A Via Cavour unpiccolo carro armato italiano chiedeva aiuto al passanti. "Sono solo", diceva il militare inbustina "chi viene a darmi una mano a cacciare i tedeschi?". Ebbi un attimo di esitazione,

pensando a mia madre, e un altro saltò dentro prima di me. Non mi sono mai perdonatoquel momento di viltà, anche se mi ha salvato da sicura morte a Porta San Paolo. Dopo unlargo giro andai ad incappare proprio in mezzo alla battaglia tra carabinieri e tedeschi alColle Oppio. Sperimentai allora che veramente i proiettili di fucile fanno "miao" quando tipassano sulla testa. Tenendo la mia ben bassa dietro le siepi, riuscii a riportarla a casa. Piùtardi uscii con mio fratello minore a vedere come andavano le cose all'Orto Botanico.Acquattati nell'erba vedemmo dei carabinieri che sparavano di sotto la Chiesa di SanBonaventura. Non vi dico i rimproveri che dovetti subire a casa: "Pazzo, e ci porti anchetuo fratello?!". Fu in quei giorni che si affermò il coraggio degli umili soldati italiani, che,privi di comando, combatterono di loro privata iniziativa, mentre i vili superiori,

compreso il Re per grazia di Dio, si davano alla fuga. Certo anche questi fatti di vitavissuta contribuirono a fare di me un critico spietato nei confronti dell'autorità vigliacca,che pretende di essere rispettata e ubbidita anche a detrimento di una legge superiore.

Voglio indugiare sul potere della bellezza dell‟arte, che “a Dio quasi è nepote”. Ungiorno i tedeschi si stavano avvicinando alla nostra casa. Mia madre si nascose e poi sipose al pianoforte. Due soldati suonarono al portone ed uno di loro salì. Entrato in salotto,estasiato, chiese cortesemente di potersi trattenere in ascolto. Al gentile assenso depose ilmitra in un angolo, tolse l‟elmo dal capo biondissimo e si sedette per qualche minuto. Alleurla scomposte di quelli di sotto, precipitosamente si rimise l‟elmo, afferrò il mitra e silanciò per le scale.

A parte quell‟evento, che mi rimase impresso nella memoria, l 'occupazione nazìfascistafu insopportabile, al punto che mio cugino Marcello, che pure era stato fascista convinto,divenne oppositore. Debbo ricordare questo parente, più grande di me, perché ha influitobeneficamente nella formazione del mio carattere. Uomo fiero, era tenerissimo verso ipoveri. Da piccolo li nascondeva in casa e portava loro da mangiare. Da grandefrequentava l'Istituto Fascista, accanto al mio Leonardo da Vinci, dove corre il muricciolodi Via Frangipane, che serviva da scrittoio per copiare i compiti prima dell'ingresso."Marcello", lo stuzzicava mio fratello, utente abituale del muro "hai fatto i compiti?". "No"."E perché non li copi?" "Perché non è onesto".

Per stanarlo i fascisti gli presero la sorellina. Allora si presentò, e fu portato a Via

Tasso, dove lo torturarono inutilmente perché parlasse dei suoi "complici". Dovevanofucilarlo alla Storta, ma si salvò buttandosi giù dal camion in curva. Gli spararono, ma nonlo colsero. Divenne partigiano, ne fece quanto Carlo in Francia, e non morì. Andò poi in

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1313Venezuela, dove, per aver dato un esame di lettere in Italia, lo fecero Professore dieloquenza all'Università di Caracas. Morì a trentadue anni, sotto operazione di una cistinaal collo. Probabilmente anche il chirurgo aveva dato un solo esame. Ricordo che suo padreandò ad interpellare il veggente gesuita Padre Cappello, per sapere se quel figlio, datotante volte per morto, fosse scampato ancora una volta. Cappello, con assoluta sicurezza,gli disse di no. Come vedete, anche tra i gesuiti ci sono quelli che dicono la verità.

Venne l'ordine di consegnare tutte le armi, anche vecchie, pena la fucilazione sul posto.Mia madre si impaurì, ed lo dovetti, con dispiacere, caricarmi sulle spalle tutta lacollezione di armi da guerra di mio padre e di mio nonno. Arrivai al centro di raccolta trale risate generali. Ed lo che temevo di essere preso per un partigiano armato fino ai denti!Ma mio fratello volle salvare una bellissima pistola americana a tamburo, dal calciod'avorio, occultandola sotto il ciarpame in cantina. Quel lazzarone rischiava grosso, maper ben altri motivi. Non si era presentato alla chiamata alle armi, infischiandosene diMussolini liberato e amici nazisti. Il pericolo era grave, dato che tedeschi e fascisti rovistavano lecase alla ricerca di renitenti alla leva. Per le strade eseguivano razzie di giovani per avviarli ascavare trincee a Cassino. La mia povera madre stava in perpetuo di sentinella al balconee, appena vedeva i tedeschi bloccare la strada, ci chiudeva in uno stanzino accostandoviun leggero armadio. Ci veniva anche il tedesco del piano di sotto, sbuffando: “Mi mettonoal muro”. Non amava più Hitler, come quando percorreva Via de' Santi Quattro in camiciabruna. Aveva rifornito lo stanzino di scatolame da sostenere un assedio.

Incredibilmente, fu proprio mio padre a decidere della mia vocazione. Preoccupato perla mia vita, in pericolo continuo per le scorrerie ed irruzioni dei tedeschi e dei fascisti, amia insaputa chiese, a Plinio Paielli mio amico, di trovarmi un nascondiglio in Vaticano.Molti giovani, ed anche uomini politici, come si sa, avevano trovato asilo nei palazziapostolici e nelle Basiliche extraterritoriali. L'esercito del Papa era divenuto mastodonticocon la scusa dei tempi tristi, in realtà per salvare tantissimi giovani, gli ordini religiosiriboccavano di aspiranti ed adepti. La Chiesa non ha mai detto tante bugie, ma è suograndissimo merito. A proposito, desidero precisare a coloro che credono alla relativitàdella morale, o al suo stiracchiamento da parte dei Gesuiti che professano la dottrina dellarestrizione mentale (tipo quella del frate, che, interrogato dal briganti se avesse incontrato unsignore, rispose, infilandosi le mani nelle maniche: "Per di qui non è passato”), e soprattutto aquelli che vedono le bugie dappertutto, che la vera bugia -e ci giuro proprio- non è "locutiocontra mentem" e neppure "locutìo contra mentem communícabilem", altrimenti sarebbecolpevole di bugia anche l'imputato che si proclamasse innocente mentre non lo è, ma è"locutio contra mentem communicandam", cioè il parlare contro la verità, quando si ha ildovere di manifestarla. Si consolino quindi le ragazze che dicono al papà di non aver vistoil ragazzo che a lui non piace, mentre piace a loro e al Padreterno. E ci sono addiritturatanti casi in cui la verità si ha il dovere positivo di occultarla, anzi di negarla. Ed è il casodi cui sopra. Così lo zio frate salvò perfino Vico Fralleone, altro mio amico, dichiarandoloFrancescano autentico, mentre di frate non aveva che la tonaca, perfino adulterata da unlungo pizzo scolorito, per farne una talare adatta alla sua alta statura.  Ma il marpione, nonvolendo rinunciare alla sua libertà, aveva scelto l'umile condizione di frate cercatore e, con unabisaccia sulle spalle, girava per Roma sotto gli occhi vigili dei fascisti e dei tedeschi. E qualcuno diquesti ultimi gli faceva elemosina di pane di segale, e perfino di carne di porco razziataper le campagne, tutto ben di Dio che il pio religioso divideva con gli amici affamati.

Un giorno vidi, sotto un arco del Colosseo, un giovane barbuto cappuccino che subiva insilenzio aspri rimbrotti da parte di una ragazza, evidentemente disgustata della inconsueta

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14montura. Anch'io lo avrei rimproverato, ma per un altro motivo: dall'ampia scollatura della tonaca

 fuorusciva una camicia militare.Ma i Gesuiti -lo seppi anni dopo- avevano accettato un Comando tedesco al "Massimo".

Appena insediato, il Comandante pronunciò a voce spiegata la formula di ringraziamento,scrittagli gentilmente dagli alunni: "Padre Rettore, lei è veramente un grandissimo stronzo".

Paielli mi chiamò e mi fece sapere della richiesta di mio padre. Poi mi disse che aveva preso contatto con dei religiosi, i quali consentivano di accogliermi, a patto che lo avessi almeno unavaga intenzione di farmi prete sul serio. Risposi decisamente: "Niente da fare, allora. Non cipenso minimamente”. Paielli prese atto della mia risposta, poi aggiunse: 'Vorrei chiedertiun favore. Dì un'Ave Maria secondo la mia intenzione”. Capii qual era, ma accettai divertito.In fon do era una sfida, che potevo ben raccogliere, se non altro per farlo contento.

Quell'Ave Maria ebbe un seguito. Dando un po' di ragione a David Hume, non accettoad occhi chiusi il "post hoc, ergo propter hoc", però è certo che quella notte, analoga allanotte dell'Innominato dopo le parole di Lucia, non dormii affatto. Cominciai a rifletteresulla mia vita e la trovai molto vuota. Molto vuoto mi apparve anche il mio futuro. Nulladi veramente interessante mi attendeva. Anche scartando l'ipotesi di fare il burocrate o ilcontabile, cose che odiavo, ma alle quali naturalmente mi destinava il titolo di studio chemio padre aveva voluto, al massimo avrei potuto fare il professore riprendendo il latino einiziando il greco.  Ma perché mettermi in cattedra per fare qualcosa di utile al mio prossimo? Invece, pensando a tutto quel che di buono può fare un sacerdote, cominciai a vedermitutto inteso a realizzare un ideale di vita che portasse me e gli altri a un grande amore diDio e al vero bene del mondo. Stranamente la vita del laico sbiadiva al mio sguardo,mentre si coloriva e ingigantiva quella del prete. I grandi strumenti soprannaturali deiSacramenti, in particolare l'Eucarestia, in cui Dio, nell'eccesso del suo amore, consegna sestesso in balia dell'uomo per darsi in cibo a tutti, mi apparivano cose da non perdere. Ledonne, che pure tanto attiravano le mie simpatie, mi si presentavano in una luce nuova,come creature del Dolce Stil Nuovo da amare molto più profondamente in Cristo. Macome mai queste cose non le avevo mai pensate o, meglio, mai gustate? Come mai quegliantipatici dei preti mi stavano diventando tanto simpatici? Preso da entusiasmo, gridai:"Signore, è troppo, troppo bello! Ti ringrazio". Era ormai giorno. Non mi è mai più capitatodi non chiudere occhio per un'intera notte, neppure quando mori mia madre.

Quando gli dissi tutto, Paielli stentava a credermi. Gli feci notare: "Eppure mi haiincastrato tu, con la tua Ave Maria, occasione o causa che sia”. Una volta gioiosamenteconvinto, mi sollecitò ad accettare rifugio presso quei religiosi cui mi aveva accennato, cosiprudenti e buoni. "Tu sei matto," gli risposi "Non mi faccio prete per paura, ma per amore.Perciò devo pensare bene da chi andare. Riflettei per bene diversi giorni, poi scelsi iGesuiti, perché studiano molto, sono sbrigativi nelle cerimonie, e si tolgono i grilli dalcapo rinunciando alle dignità ecclesiastiche. Quando manifestai la mia scelta al PadreRuggi egli approvò: "Bene, così io, educato dai Gesuiti, mi sono fatto Domenicano, e tu,figlio spirituale di un Domenicano, ti fai Gesuita. Un buon travaso che smentisce leinimicizie tra i due ordini". "O le conferma?” dissi io maliziosamente. C'è un cavalcaviache collega la Chiesa di Sant'Ignazio a quella di Santa Maria sopra Minerva. Il popoloracconta che a giorni alterni vi si facevano precipitare un domenicano e un gesuita. A partegli scherzi, i Gesuiti devono molto al Domenicani, basti pensare alla filosofia di Tommasod'Aquino. E in questa lode non mi si accusi di adulazione. Dante non era certo unadulatore. Eppure gli piacque far lodare Francesco d'Assisi da Tommaso d'Aquino, eDomenico di Guzman da Bonaventura da Bagnoregio. Le vie per giungere a Cristo sonotante quante sono le virtù di Lui, perciò gli Ordini religiosi si debbono reciproca stima. E

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1515invece ho fatto esperienza di frati che sprezzavano frati come squadre di calcio avversarie,di preti secolari che dicevano male di religiosi, e viceversa. L'uomo resta sempre uomo,anzi ragazzino, anche sotto la tonaca. Perfino quel sant'uomo di Monsignor Boyer restòmale e storse il naso quando mi sentì diretto ai Gesuiti: "Avrei preferito che tu fossi deinostri”. Ma, Signore, non siamo tutti tuoi. Una volta deciso, lo dissi a mia madre. Ellasbiancò, poi si mise a piangere. "Ti dispiace?" le chiesi. "No, sono solo commossa. Ma ci haipensato bene? Credi di potercela fare?". "Perché no? Con l'aiuto di Dio, s'intende". "Alloranon dire nulla a tuo padre. Glielo dirò io".

Nonostante il tatto di lei, mio padre andò su tutte le furie. Per commedia mi avrebbevestito da prete, ma sul serio no davvero. Gesuita poi! Sul momento non mi affrontò, mami squadrava torvo in viso. Dopo qualche giorno sbottò: "Che cosa è che sento dire di te?Sei diventato matto? E' questo il modo di ringraziare i tuoi genitori che hanno fatto tantisacrifici per te? E poi finire nelle mi di quei falsi de' Gesuiti! Tu non sei adatto a loro, sebianco e rosso; loro hanno la faccia gialla o verde dalla bile e dalla ipocrisia. Basta direGesuita per dire gran bugiardo e intrallazzatore”. Andai a leggere il "Palazzi". Alla voceGesuita trovai: Religioso della Compagnia di Gesù; ipocrita, santone, furbocchio". E miopadre continuava: "Leggi Fra Paolo Sarpi e vedrai chi sono i Gesuiti. Tra l'altro è gentesenza cuore. Mio zio, Padre Ottavio Turchi, fu Provinciale dei Gesuiti. Quando i parenti glichiedevano perché mai non si facesse vedere in famiglia, rispondeva - lo non ho piùfamiglia -. Io non sopporterei di non vederti più". "Ma, papà, queste sono assurdità. Io nonfarei mai cretinate del genere". "Tu no, ma te le imporranno, e lì c'è l'ubbidienza ferrea, edovrai farne voto". "Non penserai che i Gesuiti di oggi siano così chiusi. Eppoi nonpotranno mai impormi qualcosa contro la mia coscienza".

Non ci fu verso. Mio padre si dimenticò perfino del pericolo dei tedeschi e dei fascisti.Siccome allora la maggiore età si raggiungeva a ventun anni, e papà non intendeva accordarmi il

  permesso di entrare nella Compagnia di Gesù, non c'era altro da fare che aspettare. Per nonperdere tempo cominciai a studiare il greco e tutto ciò che occorreva per la licenza licealeclassica. Il latino lo conoscevo già abbastanza per leggerlo ed incrementarlo, perché loavevo studiato nei primi quattro anni di Istituto Tecnico. Pensate: allora per diventareragioniere occorrevano quattro anni di latino. Oggi neanche chi studia Lettere all'Università èobbligato a conoscerlo. Al Ministero della Pubblica Istruzione sono preoccupati perché gli studentidel Classico e dello Scientifico non riescono ad assimilare il latino in cinque anni.

"E perché non lo rimettete alle Medie, almeno facoltativo?" ho domandato io."Perché non abbiamo più abbastanza professori che lo conoscano" mi hanno risposto.La Chiesa ha avuto il merito di conservare a lungo questa bella lingua, che è, col greco,

veste della poesia. Ora questo merito è perduto, non rendendosi conto gli ecclesiastici cheil latino è oltretutto uno strumento di quella logicità e razionalità che è presupposto dellafede. I preti oggi, salvo rare eccezioni, il latino non lo sanno più. In questo iltradizionalismo di Lefebvre, piuttosto ottuso, aveva dei punti a suo vantaggio. Il latino sistudia invece tra i negri dell'Africa. Ed era la lingua nostra. Di averci tolto quest'onere (oquesto onore) noi dobbiamo ringraziare i "sinistresi", che hanno voluto così colpirel'humanitas che contrasta troppo col materialismo. "Fascista" sono stato definito lo a scuolaper aver impartito rudimenti di latino allo scopo di far comprendere meglio l'italiano, eper aiutare coloro che hanno intenzione di proseguire gli studi. Sapere il latino male nonserve a nulla. Testifico che una professoressa delle magistrali - non la nomino - avevadomandato agli alunni come si dice "chiamare" in latino. Uno disse "Professoressa,arcesso". Lei gridò arrabbiatissima: "Sei inopportuno e maleducato nel chiedere in modocosi volgare di andare al bagno mentre stiamo lavorando”. Il poveretto aveva ragione:

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16arcesso significa infatti "chiamare per far venire", come sanno quasi tutti i miei lettori. Unminimo di latino avrebbe impedito agli organizzatori del recente convegno socialista sulgoverno dell'Urbe di commettere un grosso errore di ortografia nella scritta di fondo, edeliminerebbe lo sconcio del nostro giornalismo, scritto e orale, di espressioni usuali: "gliabitanti sono stati evacuati", "i cittadini sono stati fatti evacuare”. Pensate quante dosi dipurgante avrebbero dovuto tenere in pronto Zamberletti o Gaspari o Lagorio in previsionedi calamità nazionali.

Perfino la Chiesa ufficiale traduce male il latino. Nella Messa in italiano, per esempio,si dice "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo mentre si dovrebbe dire "che tiaddossi i peccati del mondo". E Papa Giovanni commetteva spesso degli errori di latino.Neanche in questo era infallibile.

Ero fermamente deciso ad attuare il mio ingresso nella Compagnia di Gesù, quanto loera mio padre nell'impedirmelo. Tuttavia ubbidii quando mi procurò un lavoro pressol'ufficio del censimento, proprio per dimostrargli che, finché dipendevo da lui, non avreibattuto ciglio. Il censimento mi mise in contatto con la gente più diversa. Mi avevanoassegnato via Po, zona borghese, ma c'era una notevole differenza tra i piani nobili e glialtri piani. Al seminterrati trovai persino gente che viveva miseramente. I ricchi miguardavano con sospetto o provavano a chiudermi la porta in faccia, perché pensavanoche il censimento sarebbe servito ad accertare i loro redditi, o addirittura che io fossidell'ufficio delle imposte. Cosa interessante: la maggior parte della gente aveva fiducia,anzi mi parlava di tutti i guai suoi come se lo fossi un amico di lunga data. Imparaipraticamente fin da allora che nessuno è felice, almeno in via Po (che, però, da quel che hopremesso, mi pare un buon campione), e che la maggior parte della gente è buona, ma nonsi fa notare. Mi trovai in casa della Monaco, la mia professoressa di matematica, che ascuola riempiva lavagne e lavagne mentre parlava a precipizio, ed ora con me solo parlavapacatamente della sua solitudine. Fui sorpreso di sentirmi chiamare per nome da unavecchina: era stata nientedimeno la balla di mio padre, ed ora viveva in uno scantinato,sola. Il censimento andava a rilento per la mia parte. Fui pagato bene, e spero che ilComune di Roma non mi consideri un lavativo, se più che di scrivere mi preoccupai diconsolare. Anche questo fa parte del sociale di cui il censimento vuol essere strumento. Edora dico: se i preti, invece di starsene nelle loro parrocchie o canoniche, se ne andassero atrovare la gente, tenendo soprattutto le orecchie bene aperte e disposte, non farebberoassai meglio che chieder soldi dal pulpito per aprire nuove chiese in cui non entra piùquasi nessuno? Ma ci vorrebbe una Chiesa più snella, meno ufficiale, più inserita nellarealtà, più democratica, meno paludata, in definitiva più umile. Come Gesù.

Mio padre mi studiava: ogni tanto buttava là qualche frasetta per vedere sel'infatuazione mi era passata, dopo aver conosciuto "il mondo". Io invece, calmo calmo, glifacevo vedere che la cura sortiva l'effetto contrario. Mia madre poi gli dimostrava che luinon faceva altro che perdere tempo e farlo perdere a me, che avevo intenzione di studiarequel che mi garbava, e non di certo scartoffie piene di numeri.

Intanto la Provvidenza lavorava per me. Mio padre si sfogava con gli amici. L'ateoGuido Graziosi gli diceva: "Gino, se tuo figlio avesse scelto di fare il ladro o il „pappa‟

avresti avuto ragione di opporti. Ha scelto invece i gesuiti. Lascialo andare, in nome dellalibertà". E Graziosi aveva un gran peso.

Non potendo vivere con lezioni di canto, che nessuno prendeva più durante la guerra,perché c'era poco da cantare, mio padre s'era adattato a fare l'ispettore annonario e giravaper i mercati. Si sfogava di me persino coi bottegai, poveretto. Doveva soffrire molto, equesto aumentava i miei dolori. Una volta una pizzicagnola gli disse: "Ispetto'" io ciò 'n

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1717fratello Gesuita, 'na brava persona. Lo vo' conosce?”. Fu così che il Maestro entrò incontatto col Padre Luigi Falcinelli, un uomo piccolo piccolo, con un naso lungo lungo.

La Compagnia di Gesù richiede nel suoi adepti la "species honesta", il bell'aspetto.Eppure questa è una regola che viene spesso e volentieri disattesa. Dunque vedete chel'Ordine dall'ubbidienza ferrea non è poi tanto drastico, o almeno non qui, anche perchéseguendo San Tommaso è costretto in questa particolare materia ad essere un po' elastico,dato che, per il Santo, bello è ciò che piace alla vista, cioè il bello è soggettivo. Per me èoggettivo, perché solo Dio è infinitamente bello, e le altre cose lo sono più o meno, aseconda dell'essere che il Creatore comparte loro. Di alcune pitture sono tutti d'accordoche sono belle.

Si racconta che a un Provinciale Gesuita si presentò un tale pieno di virtù e di doti, macosì brutto che tutti i religiosi erano d'accordo per escluderlo. Il Provinciale alloracondusse seco il candidato lungo la galleria dove erano esposti i ritratti dei Padri Generali,da Sant'Ignazio in poi. "Se hanno accettato loro, e per giunta li hanno fatti generali,"concluse "entra anche tu". Ma questa è una cattiveria, perché alcuni Generali non eranoaffatto antiestetici. Bruttissimo era invece il grande Padre Lippert, a vedersi uno schifod'uomo. Ma questi raccontava, ridendo, di aver rifiutato una proposta di matrimonio.“Padre Lippert", gli disse sospirando una bellissima donna "fuggiamo insieme. Così inostri figli saranno tutti belli come me e intelligenti come lei". E Lippert: "No, mia cara.Perché potrebbero essere tutti brutti come me e stupidi come lei". Non era solo brutto, maanche cafone: non si vincono così le tentazioni. E sembra che non sia stato neppureoriginale nella sua battuta. Altri dicono che Hemingway ha copiato da lui. Io non lo so.

Falcinelli invece era una gran brava persona, anche se molto astuto. Ma l'astuzia è unavirtù se si adopera per il regno di Dio, e non semplicemente per fregare il prossimo. Dabuon gesuita non prese il toro per le corna: aggirò l'ostacolo. Col suo lungo naso fiutò benel'avversario e capì che mio padre doveva prima di tutto trovare in lui un amico. Cosi gliconfidò che non si era fatto prete da ragazzo, ma che si era sposato felicemente, ed erapurtroppo rimasto vedovo. Dopo aver conosciuto il mondo, si era sentito attratto a cosepiù alte. E lui che cosa faceva normalmente nella vita? Si vedeva che non erasemplicemente un ispettore annonario: tra prosciutti e cavoli non era a suo agio. Non civoleva altro per iniziare una amicizia. Mio padre parlò della sua arte e Falcinelli gli davacorda. Gli disse che amava molto la musica, e che l'arte - ogni forma d'arte - era a Dio"quasi nepote”. Mio padre cominciò allora a domandare al Falcinelli come mai avessescelto la Compagnia di Gesù per farsi religioso, dal momento che i Gesuiti sono reputatiintriganti e più attenti al successo pratico che alla contemplazione estetica. Falcinelli rise, enon si mostrò affatto offeso. Rispose pacatamente. "Da secoli si dice male della Compagniae la si combatte. Molti nemici molto onore - ha detto qualcuno. In tutte le cose umane c'è ilbene ed il male, quindi sarà così anche tra i Gesuiti. Ma il fine e i mezzi della Compagniasono buoni. Spetta ai suoi figli fare, ciascuno, il proprio dovere. Del resto non si puònegare che l'Ordine abbia fatto un gran bene nel campo della educazione della gioventù inspecie, e in genere a vantaggio degli uomini di tutto il mondo. E quanto alla rettitudine diintenzioni, basti pensare al gran numero di Santi canonizzati tra i Gesuiti". Sentendoparlare di Santi, mio padre disse subito. "Ecco, mio figlio che vuol farsi gesuita ambisceevidentemente alla canonizzazione. Perché, non si può essere santi anche in casapropria?". "Senza dubbio”, rispose Padre Luigi "La santità consiste nell'amore di Dio, e

questo è possibile in ogni stato. Ma nella vita religiosa si rimuovono tutti gli ostacoli aquesto amore". "Ne è proprio certo, Padre?- domandò sardonicamente il Maestro. "Nonpuò essere invece, date le grosse responsabilità che assumete verso voi stessi e verso gli

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18altri, che abbiate da rendere a Dio un conto più salato? Guardi nella storia quante nehanno fatte Papi e Cardinali, che pure dovevano eccellere nell'amor di Dio. Che ne dice ilsommo Dante? E non erano ancora nati i Papi peggiori". "Ma i Papi e i Cardinali non sonoreligiosi!". "Oh questa sì che è bella. Come sarebbe a dire?". "Dico che solo i religiosi cioè ifacenti parte degli Ordini e delle Congregazioni approvati dalla Chiesa si impegnano convoto alle virtù di povertà, castità ed ubbidienza”. "Ho capito" riprese mio padre, "gli altrisuddetti non solo non ne fanno voto, ma neanche le praticano". "Vede, Maestro, Lei devesapere che i "religiosi” sono in statu perfectionis acquirendac, mentre Papi, Cardinali eVescovi sono in statu perfectionis acquisitae". "Ci credo poco, vuoi perché questadistinzione l'hanno stabilita proprio loro, vuoi perché la storia dimostra in larga parte ilcontrario. Invece consideriamo mia moglie, che non è neppure una monaca. Per me è unasanta, ma io non ho soldi per farla canonizzare, né altri li sborserà per farlo. Per essereSanto ufficialmente ci vuole pubblicità, e la pubblicità costa, come costa un processo dicanonizzazione. Solo un grosso Ordine come il vostro può affrontare tali spese. Eccoperché voi avete tanti santi. E tornando ai grossi papaveri della Chiesa, come mai essi sonoaddirittura ufficialmente perfetti, se non hanno attuato neppure i Mezzi che sono nellostato religioso?". "Alcuni di loro provengono dalle file dei religiosi, da cui sono stati trattiproprio in considerazione delle loro esimie virtù". "Ma la maggior parte vengono da unacarriera secolare. Come hanno fatto a diventare cosi bravi?!. Si può allora fare il prete incasa". Il Maestro, quando si metteva di punta era terribile. Di questa conversazione seppiprima da lui e poi dal Padre Falcinelli. Ma io tagliai subito corto: "Non voglio farmi preteper finire sull'altare tra due candele. Voglio solo offrire le mie braccia al remeggioorganizzato della barca di Pietro. Al timone sarà lui, e lui si abbia tutta la gloria e si facciachiamare Santo”. Non ricordi Oronzo Marginati in "Come ti erudisco il pupo?" Dopo lacalamità, non si dava forse la medaglia al Superiori di coloro che si erano prodigati neisoccorsi? E sulle costruzioni della Roma papale non sta forse scritto "Paulus, o Benedictuso Leo, fecit?" Ma fece veramente o fece fare agli altrì? Non importa. Si tenga questesoddisfazioni chi le desidera. Quanto a me non aspiro a scettri, a tiare o a mitrie: desiderolavorare e odio cerimonie e orpelli".

Ci credereste? Mio padre si arrese, e non solo mi dette il suo consenso, ma anche, a suomodo, la sua benedizione. Caro Papà, ti ammiro, sei stato veramente un uomo ed haimolto contribuito a forgiarmi.

Vent‟anni dopo 

Chi avrebbe mai detto che da lì in poi sarei entrato in un vortite spaventoso, una sortadi spirale purificatrice che mi ha sconvolto la vita. “Vent‟anni dopo” è il celebre romanzo diAlessandro Dumas che segue (nel 1845) “I Tre Moschettieri”. Li divorai entrambe, daragazzo. Romanzi storici, sono in realtà opera di fantasia in carne ed ossa (più ossa checarne, data la guerra appena finita). Cent‟anni dopo entrai nella Compagnia di Gesù (1945).Nel 1990 ho scritto il libro che, dopo tante sofferenze mie e della Chiesa, si è chiuso conuna speranza. Oggi, dopo vent‟anni di attività nascosta, di preghiera ardente, di umiliazioni edi sofferenze, intravedo la luce da un tunnel che sembrava non dovesse mai finire.

La vera Chiesa di Gesù è ancora viva. Il suo fondatore, il Figlio di Dio, ucciso dai nostripeccati, ridusse al minimo i tre giorni promessi per passare dalla morte alla Resurrezione.

“Ex pergefactus est dominus sicut bellator victus a vino” (come un forte inebriato ilSignore ti ridestò).  Aveva fretta oramai. Aveva per trent‟anni vissuto nel nascondimento –conl‟unica eccezione di quest‟uscita- di cui stiamo per celebrare il bimillesimo anniversario: Lui

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1919dodicenne lascia stupefatti i dottori della Legge. E‟ la Verità in Persona, che si impone all‟ignoranzadell‟uomo. E questa Verità è eterna, checché dica la mostruosa impostura della filosofiamodernista, che rialzata la testa, tiene in scacco da cinquant‟anni la Chiesa. Ora basta . Noicristiani offriamo molto perché la nostra vita è breve e vorremmo essere liberati presto dalmale. Ma noi non viviamo a tempo determinato, viviamo in eterno. Per Iddio mille annisono un soffio. Di là con Lui la nostra vita terrena parrà un attimo. Quello che èimportante è che ora non perdiamo « tempo ». Mettiamoci subito al lavoro e facciamociascuno il proprio dovere per lasciare questo mondo migliore di quello che abbiamotrovato. Il cristiano “ gheorgos serit arbores quae alteri saeculo prosit“ (semina la pianta per ilbene delle generazione che segue). Da parte mia incombe il dovere di svelare quanto malenon avevo ancora scoperto e quanto se ne è aggiunto tra l‟indifferenza generale, anzi in un

fallace tripudio di liberazione dalle catene del passato.Il Concilio Vaticano II, aperto da Giovanni XXIII, non come gli “odiosi dogmatici

Concili” della storia, ma come “assemblea pastorale” che introduce aria nuova nella

Chiesa , cercando non ciò che ci divide, ma ciò che unisce al mondo intero, si è rivelato unfallimento e un cumulo di eresie. L‟appello accorato della Madonna di Fatima, in aggiunta

a quello de La Salette, gettato via come “profezia di sventure”, è stato sostituito da un“volemose bene”, che ha contentato tutte le religioni assetate di libertà. Il Concilio è stato il

Colpo da Maestro di Satana, che ha messo il bavaglio alla Sposa di Cristo, missionaria delVangelo. La Chiesa ufficiale si è coperta di vergogna, ricorrendo al mendacio, anziall‟impugnazione della Verità conosciuta. Perfino gli scismatici ed i Protestanti hannoprotestato contro il travisamento del cristianesimo.

La Vergine Santa disturbava i piani di Giovanni XXIII, il Papa “buono”, cheperseguitava Padre Pio, acerrimo nemico del peccato. Bisognava metterla a tacere. Eccoallora che il Terzo Segreto di Fatima, affidato a Suor Lucia e da lei trasmesso, come divolontà della Madonna al Papa, è stato tenuto nascosto in Vaticano a lungo, poi rivelatocon una interpretazione che lo travisava completamente.

Nel frattempo io scrivevo su internet e mandavo fax al Pontefice;Lo studioso di Fatima Araì Daniele approfondiva sul ruolo che ebbe Giovanni XXIII nella disfattadella cultura cristiana e che ha consentito il mondo di portare il genere umano sull‟orlo dell‟abisso; Il giornalista Antonio Socci pubblicava “Il Quarto Segreto di Fatima” che metteva in evidenza lemacchinazioni del Vaticano.

Dopo molti anni dal mio rientro nel mondo, un Vescovo, che ha voluto mantenerel‟incognito per scampare alle ire del Vaticano, mi ha riammesso all‟esercizio del sacerdozio

(che non può mai essere cancellato!). Alla mia obiezione di sposato, ha risposto che ancheSan Pietro lo era, e che viviamo in un periodo di estremi pericoli per le anime, contemplatigià nei Sacri Canoni. D‟altra parte il sacerdozio in sé non è incompatibile con ilmatrimonio (come io stesso ho dimostrato nel mio libro). Ed è, oggi, un problema. Ma c‟èuna salvezza: “in dubio positivo et probabili, sine iuri sine facti, iurisdichianem suppletecclesia” (cioè supplisce il supremo legislatore, Cristo Gesù). 

“In principiis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas” (Sant‟Agostino)"Nelle cose certe, l’unità; nelle cose dubbie, la libertà; in tutte la carità"  

Vi racconto tutto quello che mi è successo dalla prima scelta a sinora. Cerchiamo insieme dicapire che ruolo avranno i gesuiti nel futuro e che ruolo hanno avuto nel passato.

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20Ma chi sono i Gesuiti, perchè nascono e quale è il loro ruolo nella Controriforma?

A partire dal XV secolo erano scaturite da diverse correnti del cattolicesimo esigenze diriforma della Chiesa ed erano state esercitate critiche corrosive indirizzate alle più altecariche della gerarchia ecclesiastica, soprattutto a motivo dello scandalo rappresentato dalGrande scisma e dagli abusi che costellavano la vita della Chiesa. Così, il frate domenicanoGirolamo Savonarola condannò severamente gli atteggiamenti mondani di Papa Alessandro VI ; ilcosiddetto "movimento degli osservanti" (esponente di spicco del movimento fu tra glialtri san Bernardino da Siena), nato in seno agli ordini mendicanti, tentò di richiamare imembri a una maggiore conformità all'austerità della regola francescana; dotti umanisticome Erasmo tentarono di escogitare alternative alle sterili speculazioni della teologiaaccademica. Tuttavia, questi sforzi rimasero frammentari e privi di una prospettivaunitaria, e non incisero che sensibilmente sulle decisioni e sulle politiche della Chiesa.Eppure tutto il XVI secolo è stato segnato dai contrasti religiosi sorti a seguito dellaRiforma Protestante avviata nel 1517 da Martin Lutero, il quale sostenne le stesse critichealla gerarchia ecclesiastica. In pratica l‟Europa fu spaccata a metà : Protestante la partecentro-settentrionale; Cattolica quella meridionale. E le conseguenze furono notevoli anchesul piano culturale e sociale. In gioco non vi era solo un contrasto religioso/ideologico, mauno scontro di potere che determinò un clima di guerra combattuta con le armi dell‟eresia,della belligeranza e degli attentati politici da una parte e dell‟inquisizione, dello spionaggio e dellacaccia alle streghe dall‟altra. E questa guerra divenne sempre più cruenta con la conclusione,nel 1563, del Concilio di Trento.

Come è noto, questo Concilio, convocato nel 1545 per tentare una ricomposizione traCattolici e Protestanti, di fatto divenne il luogo di elaborazione della organizzazione dellaChiesa Romana che, con la sua Controriforma, dava una risposta alla Riforma proposta daiProtestanti. Si può definire “Controriforma”, dunque, il movimento nato in seno alla Chiesa

cattolica con lo scopo di arginare le posizioni eretiche e le devianze dottrinali dovute allaRiforma protestante, rinvigorendo l'ortodossia e dando un nuovo impulso alla Liturgia.Questo stesso movimento caratterizzò un'epoca con il tentativo di concretizzare le istanze

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2121e i fermenti di rinnovamento e di rigenerazione provenienti dall'interno del cattolicesimostesso, che trovarono una controparte nelle discussioni dei concili. Il riprendere posizionedella Chiesa non si stagnò solo in territorio italiano, dove la sua presenza era indiscussacome la sua influenza, (con gli strumenti di cui parleremo più avanti) ma la controriformarinvigorì i cattolici della Germania che non si concessero tregua dopo la pace di Augustadel 1555 (tra l'imperatore Carlo V e i Protestanti), che molti considerarono una vittoria deiluterani: sacerdoti tedeschi istruiti a Roma, come san Pietro Canisio, autore di uncatechismo che costituì un'utile, benché più modesta, controparte di quello luterano,tornarono in patria più preparati in materia teologica e più agguerriti dei loro predecessorinell'opera di proselitismo. La tensione, alimentata dalle sovvenzioni economiche e dalleingerenze straniere su entrambi i fronti, esplose nella guerra dei Trent'anni, che devastò laGermania dal 1618 al 1648, privandola del fervore religioso.

In Francia, a causa delle guerre di religione, la Controriforma ebbe inizio solo nel XVIIsecolo, dopo la proclamazione dell'editto di Nantes (1598), e fu caratterizzata dall'eserciziodevozionale della carità verso i poveri e da missioni tra i contadini . Contemporaneamente sanFrancesco di Sales, vescovo di Ginevra, pubblicò la sua Filotea o Introduzione alla vita devota (1608), opera di edificazione morale che ebbe grande diffusione.

La spiritualità della Controriforma ebbe un tono particolarmente attivista e si volse alla'evangelizzazione dei territori di recente scoperta in estremo Oriente e nelle Americhe.Pari entusiasmo animò la fondazione di confraternite, congregazioni, di associazioni dicarità, e, soprattutto da parte dei gesuiti, di scuole confessionali. Oltre al proselitismo, laSpagna della Controriforma sperimentò la fioritura della mistica, rappresentata dalle duegrandi figure di santa Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce.

Solo con l'elezione di papa Paolo III nel 1534 e l'acquisizione della porpora cardinaliziada parte di sinceri riformatori come Gasparo Contarini, la Chiesa ottenne gli strumentiefficaci per dar vita a un reale rinnovamento. Il Papa incoraggiò la formazione e l'azione diordini nuovi, come ad esempio i teatini, i cappuccini, le orsoline e specialmente i  Gesuiti che, con il loro impulso al rinnovamento dell'educazione, il fervore catechetico dell'operamissionaria e gli esercizi spirituali ignaziani che favorivano le conversioni, conferirononuovo vigore alla trasmissione della dottrina cristiana e all'apostolato.

Nel 1542 Paolo III, per difendere l'ortodossia e la coesione dottrinale, arginando letendenze eretiche che potevano sorgere all'interno della struttura ecclesiastica, istituìl'Inquisizione romana; nel 1545 convocò il Concilio di Trento per ribadire le posizioni dellaChiesa in materia di dogma e di dottrina e dirimere le questioni relative alla gerarchia ealla disciplina ecclesiastica sollevate dai protestanti. Il Papa collaborò spesso con un alleatoscomodo, l'imperatore Carlo V (ricordiamo che dopo le questioni legate al furto di oro deibanchieri Fugger e altre malefatte nelle terre appena scoperte, decise di abdicare e diritirarsi nel convento di Estremadura, lasciando al figlio Filippo II D‟Asburgo il comando

dello « Impero dove non tramontava mai il sole »), e non esitò ad adottare provvedimentidiplomatici, ma anche militari, contro i Protestanti. Sposò anche la figlia Margherita con ilnipote del Papa Farnese, Ottavio, così da sancire una unione anche di sangue.

Il suo successore, papa Paolo IV caraffa, fondatore dei Teatini, inaugurò un periodo direpressione ancora più aspra delle devianze dottrinali sostenendo vigorosamentel'Inquisizione, che in Spagna divenne addirittura uno strumento politico della corona;Filippo II in effetti se ne servì per assicurare l'ortodossia nel Paese ed eliminarecontemporaneamente l'opposizione politica e religiosa.

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22In Italia settentrionale verso la fine del secolo, in parte per effetto del Concilio di

Trento, emerse un gruppo di vescovi di valore e santi, desiderosi di riformare il clero e diistruire il popolo; il modello invocato da molti fu il cardinale Carlo Borromeo di Milano.

La chiesa cattolica ha sempre avuto un rapporto fecondo e produttivo con l‟arte. Danon dimenticare che la religione cristiana è stata l‟unica grande religione monoteistica anon bandire, per motivi ideologici, la rappresentazione artistica di figure umane e distorie. Di fatto, se nell‟Occidente europeo, dopo il tramonto dell‟età classica, se l‟arte nonscomparve, lo si deve soprattutto alla Chiesa. Chiesa che, pur avendo una posizione quasidi monopolio sulla produzione artistica (desideranda espressa addirittura nel Conciliotridentino), di fatto ha avuto sempre un atteggiamento tollerante verso la creatività degliartisti. Tolleranza che ebbe anche, con l‟avvento dell‟umanesimo, con il ritorno al mondoclassico, ai suoi precetti estetici, nonché al racconto di dei e eroi della mitologia combattutiproprio dal cristianesimo: non ci stupisce che il Concilio di Trento dettò norme anche perla produzione artistica commissionata dalla Chiesa (un maggior rispetto delle fonti, bandoalle invenzioni gratuite e alle immagini di nudi), ma più in generale la Controriforma nelsuo complesso determinò una radicale svolta dei tempi, svolta che finì per influenzarel‟arte ben al di là delle indicazioni precettistiche date. Per questo i protestanti accusavanola Chiesa romana di aver perso il senso di umiltà e povertà che aveva la chiesa delleorigini, per inseguire solo potere, ricchezza e piaceri terreni. In realtà, se pensiamo a papiquali Alessandro VI, forse non avevano tutti i torti. La Chiesa romana non poteva non fareuna autocritica su questo argomento: il risultato fu essenzialmente un clima di maggiorseverità ma applicato soprattutto verso gli altri. Venne instaurato un clima di terrore cheserviva ad arginare la diffusione dello scisma riformistico. Questo clima controriformisticodi fatto perdurò per tutto il XVII secolo, cominciando a diradarsi agli inizi del Settecentoper scomparire nel corso del secolo, soprattutto con l‟avvento dell‟Illuminismo.

Questo improvviso atteggiamento di intolleranza che la Chiesa assunse, condizionòl‟arte in maniera più profonda di quello che può apparire a prima vista. Anche perché nondobbiamo dimenticare che all‟epoca gli artisti erano al servizio delle classi dominanti(Chiesa e aristocrazia) e non si sognavano di diventare intellettuali controcorrente.

Gli artisti si adeguarono prontamente a questo nuovo clima: non più immagini chepotevano inneggiare alla gioia e alla felicità, ma immagini che suscitavano necessità dipentimento e di sacrificio. Il martirio dei santi divenne uno dei temi più ricorrenti fino atutto il Seicento, quasi a testimoniare una nuova visione della religione basata soprattuttosul dolore e sulla mortificazione.

Il problema, che investì il Concilio di Trento sull‟iconografia non era minimo, in quantoi protestanti avevano una posizione decisamente iconoclasta: soprattutto nei paesi tedeschisi diffuse la tendenza a produrre immagini, spesso a stampa, di carattere irriverente odecisamente blasfemo nei confronti della religione cattolica. Per cui non si poteva ignorareil problema di un controllo sull‟ortodossia delle immagini prodotte a fini religiosi. In realtàil Concilio di Trento non fornì norme precise, ma introdusse il principio che le operedestinate alle chiese dovevano essere approvate dal vescovo della diocesi. E se le operenon erano conformi alle aspettative, queste potevano essere rifiutate, si poteva richiedernela modifica. L‟azione di controllo, e potenzialmente di censura, fu quindi demandata aivescovi i quali ebbero atteggiamenti diversificati. In alcuni casi l‟azione fu più diretta edincisiva. San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano dal 1560 al 1584, pubblicò nel 1577delle precise istruzioni (Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae) destinate agliarchitetti e ai pittori e scultori di soggetti sacri, che rimasero quale modello di rigore perl‟arte del periodo successivo. Ma già nel 1624 il cardinale Federico Borromeo, con il suo

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2323«De pictura sacra», mostrava un atteggiamento di maggiore tolleranza, come la ebbeSant‟Ignazio, soprattutto nei confronti di Michelangelo e della sua Cappella Sistina. Incampo artistico, in realtà, non ci furono atteggiamenti fortemente intolleranti o di censura,come avvenne invece nel caso della produzione a stampa di libri o di opere scientifiche.Alla fine gli artisti cercarono di non usare eccessivamente il nudo, soprattutto femminile,che, se non scomparve del tutto, risultò più castigato e meno lascivo. E i soggettimitologici, che neppure scomparvero, furono riservati solo alle opere laiche per lacommittenza privata.

Le prime manifestazioni, diverse ma egualmente significative, della Controriforma,come abbiamo già detto, furono il nuovo ordine dei gesuiti (1540) e l'istituzione dellacosiddetta Inquisizione romana (1542) approvati da Paolo III. La potente congregazionedel Sant' Uffizio, diretta da sei cardinali inquisitori e presieduta dallo stesso Pontefice,divenne il centro di una vasta rete di tribunali locali, con facoltà di avviare processi ancheindipendentemente dall'autorità vescovile. I gesuiti si posero al servizio di Dio e del suo vicarioin terra come predicatori, missionari e insegnanti; per la loro preparazione come direttorispirituali e come educatori (soprattutto verso le classi dirigenti) e il loro attivismopolitico divennero presto la forza di punta del cattolicesimo. Quando, nel 1545, fuconvocato il Concilio di Trento, le ultime speranze di una ricomposizione dell'unità deicristiani si erano dissolte. L'aspetto dottrinale fu quindi affrontato confermando, contro lecritiche dei riformati, i dogmi, i sacramenti e la loro efficacia ex opere operato (per il solofatto di essere amministrati, indipendentemente dallo stato di grazia di chi li dispensa ), ilvalore delle opere, il Purgatorio, l'invocazione e la venerazione dei santi, il culto delle reliquie e delleimmagini, la pratica indulgenziale. Per quanto riguarda il rinnovamento della chiesa vennesancito l'obbligo della residenza per i vescovi e i sacerdoti in cura d'anime, il divieto dicumulare benefici curati, la necessità di una vita modesta e di costumi integri per tutto ilclero. Si pose ogni cura nella distinzione tra i sacerdoti e il popolo dei fedeli, ribadendo chenon era lecito a quest'ultimo discutere e giudicare su questioni di fede (la Riforma aveva alcontrario posto in discussione questa gerarchia con la dottrina del sacerdozio universale).Si stabilirono a tutti i livelli della gerarchia ecclesiastica forme precise di sorveglianza(controllo di Roma sui vescovi, dei vescovi sul clero secolare e sui monasteri, clausura per imonasteri femminili, visite annue agli istituti ecclesiastici e ai luoghi pii della diocesi).

Al termine del Concilio vennero imposti a tutta la chiesa la Confessio fidei tridentinae e ilCatechismo Romano, mentre un'apposita congregazione cardinalizia per l'uniforme applicazionedei decreti fu istituita da Pio IV (1564). Ma soprattutto l'opera di vescovi zelanti (quali CarloBorromeo e Alessandro Sauli, il cardinale Paleotti e altri) influì concretamente sui costumidel clero e sulla vita dei laici, attraverso misure quali l'imposizione dell'osservanza delle feste,la fondazione di nuove confraternite e il diretto controllo di quelle già esistenti, la condanna dimeretrici, bestemmiatori e commedianti, la soppressione delle credenze popolari (che ebbe il suoaspetto più drammatico nella caccia alle streghe). Attraverso la predicazione, l'arte sacra,la liturgia, le processioni, gli esempi di santità, la ripresa della mistica e dell'ascetica (conTeresa d'Avila, Giovanni della Croce, Francesco di Sales, San Filippo Neri) si infusero leverità della fede, sollecitando la partecipazione e l'imitazione da parte di tutti gli stratisociali. Si cercò nel contempo di cancellare le manifestazioni "eccessive" della pietàpopolare, per incanalarla verso forme ortodosse e disciplinari (culto eucaristico, devozionia Cristo, alla Madonna, ai santi). L'obbligo della confessione auricolare contribuì in modorilevante a un controllo capillare sui comportamenti dei fedeli. Nei due campi contrapposti,Cattolico e Protestante, l'irrigidirsi delle frontiere confessionali generò atteggiamenti simili:puntualizzazione dottrinale, intolleranza verso gli incerti e i dissidenti, impedimenti alla

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24circolazione delle idee, proselitismo e propaganda. Sul piano teologico, che vide fiorireuna vasta produzione controversista, il gesuita Roberto Bellarmino fu il campione dellaControriforma: con le sue Disputationes (1586-1593) intese ribattere, punto per punto, tuttele affermazioni dei riformati. Rapido fu lo sviluppo dell'ordine del Bellarmino, fondato daIgnazio di Loyola la intenzione si tesaurizza nel motto “ Ad maiorem Dei gloriam”, la storiadell‟ ordine si distingue in due fasi: fino alla soppressione del 1773, decretata da ClementeXIV dopo l'espulsione dei gesuiti dai maggiori stati europei a causa del diffuso anticurialismo; dal1814 in avanti, quando venne ricostituita da Pio VII. Alla sua guida sta il  preposito generale,nominato a vita e coadiuvato dai padri assistenti e  provinciali. A seconda dei voti i suoimembri si distinguono in:  professi (gli unici a emettere il voto di obbedienza speciale alpapa), scolastici, coadiutori spirituali e temporali e comunque la preparazione richiesta a uncandidato, se intende divenire sacerdote o "fratello coadiutore", è considerevolmente piùlunga di quella richiesta ai sacerdoti diocesani e ai membri di altri ordini: dopo due anni distudio e preghiera come novizio, il candidato pronuncia i voti semplici di povertà, castità eobbedienza e prosegue la sua preparazione, detta scolasticato, con studi linguistici efilosofici per almeno quattro anni, impegnandosi poi in studi universitari, per approdarefinalmente alla teologia (non meno di cinque anni di studio) e all'ordinazione sacerdotale.

Dopo alcuni anni di lavoro pastorale il gesuita è chiamato a pronunciare i voti solenni edefinitivi, a cui si aggiunge, per i sacerdoti più preparati, un quarto voto di obbedienza speciale alPapa. L'ordine è governato dal superiore generale eletto a vita dalla congregazione generale,che è formata da rappresentanti dei gesuiti di tutto il mondo. Le missioni costituirono findall'inizio una delle principali attività dei gesuiti, accanto all'insegnamento, praticato neicollegi secondo il metodo della Ratio studiorum  , alla lotta contro il protestantesimo, aiministeri sacerdotali, alla produzione scientifico-culturale. I risvolti politici della loro invadentepresenza a corte, e delle originali esperienze autonomistiche delle missioni paraguaiane,provocarono i provvedimenti repressivi attuati nel secondo Settecento. Riorganizzata laloro rete di case e collegi, i gesuiti estesero la loro presenza in molti paesi svolgendo unaintensa attività missionaria e educativa. Aprirono scuole e collegi in tutta Europa, esercitandoper 150 anni il loro ruolo educativo: oltre 500 erano i loro istituti nel 1640 e ben presto siaggiunse la direzione totale o parziale di numerose università, seminari e centri di studi.Durante la loro opera nel tentivo di rafforzare il cattolicesimo e nel contenere l'espansionedel protestantesimo, educarono i giovani provenienti dalle famiglie più eminenti e soprattuttonon trascurarono l'istruzione popolare.

Al fianco della Compagnia di Gesù operarono gli scolopi di Giuseppe Calasanzio, laCongregazione dei preti dell'oratorio di Filippo Neri, le scuole della dottrina cristiana, leorsoline di Angela Merici. Il potere secolare trasse indubbi vantaggi dalla pedagogia dellaControriforma, che insegnava la sottomissione all'autorità, il dovere di obbedienza,l'accettazione di buon grado della fatica quotidiana. Non per questo cessarono i ricorrenticontrasti giurisdizionali tra chiesa e potere politico, che anzi produssero momenti digrande tensione all'interno dell'area cattolica: basti ricordare lo scontro tra Carlo Borromeoe il governo milanese, o la "guerra delle scritture" tra la curia romana e Venezia, che siaffidò a Paolo Sarpi per sostenere le proprie ragioni.

Oggi posso dire di provare con gli Arcieri le stesse emozioni che provavo quando,giovincello entrai nei Gesuiti, ed intrapresi le prime esperienze nel noviziato. Sento viva laresposnabilità, questa volta ancora più forte, di aver ricevuto dal Signore una secondachance di essere suo testimone fedele e ardente, come è nel proposito di questi amici.

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2525 Novizio ma non troppo

Il 31 maggio 1945, festa di Maria Mediatrice di tutte le Grazie, entrai nel noviziato diGalloro della Compagnia di Gesù. Galloro sta sul promontorio che domina la Valle Riccia,un enorme cratere vulcanico, fertilissimo, al di sopra di Ariccia, la cittadina che accolseOrazio, hospitio modico, nel suo viaggio lungo la via Appia fino a Brindisi, e che oraospita i festivals di Rita Pavone, nonché i convegni dei preti sposati (almeno qualcuno èstato tenuto 11), ed una Chiesa protestante (al cui Pastore i ragazzini del mio catechismoandarono ignorantemente a chiedere quanto mettesse la ricotta, in tempi preconciliari). Losplendido ponte sull'Appia, prima del duplice gioiello, il Palazzo Chigi - ora fatiscente - ela Chiesa dell'Assunta, opera del Bernini, era stato fatto saltare dai tedeschi in ritirata, e lamisera corriera - gallinaio dell'immediato dopoguerra dovette fare un gran giro attraverso

il parco dei daini. Conoscevo bene Ariccia perché da bambino vi andavo tutti gli anni avilleggiare, dopo che la felice intuizione del dottor "Spiccialetti" (il medico di famiglia),fallito il tentativo delle "coppette-, cioè del fuoco sulla mia pancia, aveva risoltoimmediatamente, col cambiamento d'aria, il problema di una mia febbre meridiana che miaveva tormentato per un anno intero. Qualcuno volle vedervi un miracolo della Madonnadi Galloro e un preannuncio di futura, ma vaga, dedizione. Io non ci credo, perché a queltempi non ero affatto devoto della Madonna, né mia madre, né mia nonna eranoparticolarmente legate alla Vergine di Galloro. Ricordo anzi che allora mi davamaledettamente fastidio sentir parlare di una infinità di Madonne, con attributi e referenzediverse, una più potente dell'altra, una in concorrenza con l'altra (sotto sotto ci sono

interessi campanilistici e turistico-alberghieri, se non vogliamo parlare di quelli delle variechiese). In seguito, approfondita la teologia, con l'assidua meditazione, riuscii a capire chetante e tali sono le grandezze di Maria che non si possono racchiudere in un soloSantuario. "In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque increatura è di bontate" (Par. XXXIII). E tolleriamo pure che la speculazione ne approfitti.

L'unica che avrebbe potuto intercedere per me presso l'Immacolata di Galloro era la ziaEmilia, sorella di mia nonna, severa e monumentale vedova, che incedeva solennemente Ingramaglie dal suo villino al Santuario, ogni giorno, e che, quando ero presso di lei,pretendeva che io l'attendessi in chiesa fin dal primo mattino. Quante Messe dovevosopportare, quante scritte leggere e rileggere... Ero arrivato perfino a capire le parole: "Ave

Christi sacra parens, flos de spinis spina carens". La zia passava molto tempo a ciacolare inconfessionale con quel sant'uomo del Padre Cannella di cui dirò dopo, la cui virtùcominciò a manifestarsi fin d'allora. Reggere mia zia non era facile. Pensate che sipranzava alle quindici e trenta, cominciando da autentica colla per manifesti. La primavolta ebbi dei terribili dolori allo stomaco. Probabilmente, essendo vuoto, se ne eranoappiccicate le pareti. Vedendo i ragazzi di oggi, che comandano sui genitori, sugliinsegnanti, sugli anziani, non riesco a capire come facessi lo a sottomettermi ad unavecchia zia che aveva già seppellito due mariti. A dieci anni, durante l'ultima mia vacanzaad Ariccia, scrissi al genitori di venirmi a salvare. Non ci fu verso: dovevo restare perchéquell'aria mi era salutare. Gli unici miei divertimenti erano guardare i movimenti dei pesci

rossi, ed osservare i camerieri del ristorante attiguo che facevano contenti e gabbati iclienti, ritirando ciò che cadeva in terra e rimettendolo nel piatto in cucina.

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26Osservare e riflettere è stata sempre una passione per me. Ma questa passione mi rende

nemici quelli che mi bombardano di chiacchiere e mi accusano di essere un gran distratto.Tornavo dunque, con la sgangherata corriera, dopo circa dieci anni, al non gradito

paese della mia fanciullezza. Ma mi attendevo una vita radiosa. Mio padre aveva volutoaccompagnarmi, e con lui c'era pure suo fratello, lo zio Riccardo, gran devoto - a suo modo-, consumato volpone che durante la guerra del quindici era passato da un corso dispecializzazione all'altro per disporsi nel miglior modo possibile a servire la patria, poifedelissimo del Duce, quindi "partigiano” e democristiano convinto, e fervido baciapreti.Era allora Direttore di Banca, e in seguito fece ancora carriera. Aveva un paio di segreti: lacamicia sempre bianchissima, salvo quando indossava la nera, e l'arte di evitare ognirischio, anche a scapito degli interessi superiori. Pur essendo suo figlioccio di cresima,queste due virtù mi mancavano. Per questo sono finito male.

Nell'accomiatarsi mio padre pianse.Per mia umiliazione mi tagliarono i capelli quasi a zero, poi mi dettero una veste

pulita, ma usata. Ma non fu questo che mi fece soffrire, bensì il clima di chiusura e dianticaglia che traspariva da ogni dove. I libri ascetici erano vecchissimi, e per il momentosi dovevano leggere solo quelli: avevano ancora la stampa con la esse che sembra una effe;i compagni infatuati, della perfezione da raggiungere al più presto, stavano tutti ad occhibassi come cani bastonati, in silenzio. Ne scoprii però alcuni che sembravano diversi,perché non prendevano i regolamenti alla lettera, ma con umanità e discernimento. Non sipoteva parlare, se non a ricreazione, ed essi mi parlavano, quando mi vedevano in qualchedifficoltà. Ma la massa era proprio antipatica. Dopo solo quindici giorni andai dal Rettore,il Padre Adolfo Bachelet, fratello di Vittorio che sarebbe stato assassinato dalle BrigateRosse, e gli dissi che gettavo la spugna. "Perché?" "Perché io non son tagliato per questomortorio medievale. Credevo che la Compagnia di Gesù fosse aperta alla realtà”. Miguardò con soddisfazione: "Tu sei nel giusto: sono quei tuoi compagni che sbagliano. Masono più giovani di te, non sono vissuti nel tuo ambiente, si illudono di essere santi dopoun corso accelerato. Del resto questa oscurità è una prova prevista che tu devi superare peril tuo bene. Qui si deve stare al chiuso per pensare a noi stessi, prima di essere in grado dipensare agli altri”. Non ero molto convinto, ma almeno lui mi aveva parlato chiaro:dovevo assoggettarmi a un metodo. Ripresi coraggio, ed anche appetito.

A tavola uno mi bisbigliò: "Non sarai mai santo, se non impari a digiunare". Risposi:"Se è per questo, ho già imparato durante la guerra”. Dopo qualche giorno quelloscomparve. Si seppe da qualche indiscrezione (generalmente chi tornava a casa usciva allachetichella, perché i Superiori non volevano turbare gli altri) che il padre Bachelet, che eraanche Maestro dei Novizi, gli aveva comandato di nutrirsi meglio, e quello non avevavoluto obbedire. E la disubbidienza presso i Gesuiti è il massimo peccato. Qualche meseprima, un novizio, per una lieve disubbidienza, era morto. Si era seduto sulla ringhieradelle scale ed aveva perso l'equilibrio. Se andate a vedere, oggi la ringhiera è rialzata, inappoggio all'ubbidienza. Un anno avanti uno studente di latino e greco (un gradino dopoil noviziato) era affogato per colpevole imprudenza nel lago di Albano. Pochi giorni primasi era fatto fotografare per burla disteso sul letto tra quattro candele. Alla mamma fumandata quella foto, dato che non si ritrovava il corpo. Un altro disubbidiente lasciò ilnoviziato più semplicemente. Si tolse la tonaca, e, scavalcato il cancello, ve la lasciòappesa.

Non c'era né "mio" né "tuo", ma solo l'"uso". Uno disse: "Mia zia ... Pardon: la zia che laCompagnia mi dà in uso". Non si leggevano giornali, né si sentiva la radio. Solo di tanto intanto il Maestro ci radunava per aggiornarci sugli "accadimenti" di rilievo per noi novizi,

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2727perché pregassimo per il mondo corrotto e corruttore, prendessimo nutrimento dalleparole del Santo Padre, o ricavassimo profitto da esempi edificanti.

La prima cosa da fare per uomini che devono trattare intensamente coi loro simili èquella di togliersi i difetti esterni. Forse questo è il primo motivo per il quale i Gesuiti sonotacciati di ipocrisia: pensano prima ad apparire che ad essere. Una volta alla settimanac'era il "quarto di carità". Per un quarto d'ora i1 novizio prescelto dal Maestro dovevainginocchiarsi davanti a lui che stava in cattedra, mentre i compagni, in circolo, chiamatiad uno ad uno, erano invitati a dire quali difetti avessero riscontrato nel paziente. "E' unpo' brusco nel modi"; "Fissa troppo in viso"; "Corre per le scale"; "Non fa discorsispirituali"; "Ride un po' troppo"; "Non è corretto a tavola"; "Non osserva la modestia- (lamodestia era la decenza, e farsi vedere i calzoni era indecente); "Non fa gioco di squadra-(si giocava a palla a volo, sempre con la tonaca, che solo dopo un anno divenne piùleggera d'estate, e sembrò un'audacia innovativa); "Parla ad alta voce"; "Non lascia parlaregli altri"; "Racconta barzellette" (non certo oscene: ci avrebbero cacciato subito); "Non curaabbastanza la persona o il vestito". Il Maestro faceva anche da avvocato, ed attenuava leaccuse, ritorcendole talvolta contro chi le aveva formulate. I difetti propri sono quelli chedanno più fastidio negli altri. Per questo ci accusavamo pubblicamente delle mancanze ebaciavamo la terra che ci sopportava.

La giornata era minuziosamente regolata. Ci si alzava alle cinque e trenta; alle seiun'ora di preghiera (meditazione) individuale, poi la Messa. A tavola la regola era: "Sequalcosa manca ad alcuno, chi siede vicino ne dia avviso a chi serve". Un novizio avvisò:"Il mio vicino non ha la mosca nel latte”. Non si poteva bere un bicchier d'acqua fuori deipasti di regola, e tanto meno mangiare.

Dovevamo pulire da noi tutta la casa, compresi i bagni, detti pudicamente "segreterie",dar da mangiare al poveri, servire a tavola e ubbidire al cuoco. Una volta questi micondusse nella stalla, mi comandò di sedermi a cavalcioni del maiale più grosso e ditenerlo fermo per le orecchie. Che schifo! Poi estrasse uno spiedo e come un fulmine loimmerse nel petto dell'animale. Questo balzò in avanti e si precipitò fuori per il pendio conme sopra, in un inedito rodeo, fino a scaraventarmi a terra. Tanto può l'ubbidienza.

Ci censuravano le lettere in partenza o ìn arrivo. Si leggeva privatamente il Rodriguez,un trattato di ascetica del '600 in molti tomi, terminati i quali, si ricominciava daccapo.Edotto di questo, io me la prendevo comoda, e affrontai appena il terzo volume. Ma ilMaestro mi lodava, perché diceva che chi va in fretta non assimila le virtù. Dev'essere perquesto, però, che alcune mi mancano del tutto. Il Rodriguez, persona molto metodica,terminava ogni trattato con il capitolo "Si conferma quel che si è detto con alcuni esempi".Ma questi erano talvolta tali da farsela sotto dalle risate. E non si poteva ridere, etantomeno commentare con i compagni dì stanza. Eccovi un esempio: l'autore intendevacondannare, mi sembra, lo sfruttamento del prossimo, e allora narrava, scandalizzato, diun barbiere o cerusico (che allora era tutt'uno), il quale, volendo curare una signora cheaveva sovrabbondanza di latte, glielo cavava, e ne viveva con la sua numerosa famiglia. Ame ragioniere questo sembrò un ingegnoso sistema di utilizzo totale del prodotto, oalmeno uno splendido esempio di economia curtense. Quella matrona centrale-del-lattesarebbe stata meritevole di un cavalierato del lavoro, al nostri tempi naturalmente. Hoanticipato che il Rodriguez esaltava il meraviglioso esempio di ubbidienza dei padri deldeserto che innaffiavano "con sommo travaglio" un palo secco. Ma questo mi sembrò unesempio veramente scandaloso, perché del tutto contrario al primo, e perché deve averinfluito sia pure dopo secoli sul costume dei nostri governanti. Proprio dai cancelli delnoviziato io vedevo squadre di giovani lavoratori, che, foraggiati dal sussidi americani per

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28la ricostruzione, spostavano un mucchio di terra e poi lo rimettevano al posto di prima.Iniziava la preoccupazione per il mezzogiorno, ma non si pensava alla cena.

Il Rodriguez passava poi a descrivere "quanto orribil e perniciosa cosa sia la passiondell'amore”, non pensando evidentemente che senza quella passione lui non sarebbe nato,né noi avremmo potuto godere dei suoi insegnamenti. Ma ai novizi era utilissimo porre unantemurale ad ogni possibile assedio alla perfetta e perpetua castità, di cui dovevano farvoto.

Non vi dico quanti scrupoli nascessero dopo quella e simili letture in quelle animetenerelle, se perfino nella mia, che pure non veniva da un seminario minore, né da unascuola apostolica, si andava ingenerando l'idea di essere un'incorreggibile peccatrice. LaControriforma, ancora terribilmente in atto, rischiava di farei cadere nelle braccia dellaRiforma, di cui i Gesuiti sono stati gli storici avversari. L'Onnipotenza divina sembravaimpotente a rendere monde le nostre coscienze torbide ed ipocrite: occorreva il coperchiodi Lutero a tanta immondizia.

Per fortuna c'era il buon Padre Cannella.Giovanni Battista dei Cipolloni Cannella era rampollo di una nobile famiglia aquilana,

ora estinta con la morte, a centodue anni, dell'ultima sorella, Dolores, vergineincorruttibile e vigile vestale dei beni di famiglia: portava sempre alla cintola il chiavonedella dispensa, onde impedire che la "serva" ne traesse alcunché senza suo ordine. Tutti ibeni della famiglia sono passati, per testamento, ai Gesuiti del Collegio d'Abruzzo,eludendo l'appetito, anzi in qualche caso, addirittura la fame, dei nipoti. Si conferma conun ulteriore esempio che l'acqua va sempre al mare. Eppure la zia Dolores era stataavvertita, anche da chi non aveva interessi, che i Gesuiti non erano più quelli di una volta.Ma era come tentar di convincere un bigotto che non si devono dare soldi alla banca delVaticano. Comunque sia, i Gesuiti dell'Aquila hanno dovuto allungare il collo per moltianni, a cominciare dal Rettore Carbone.

Cantavano gli Aquilani:

"Dal balcon dei Cipollonite s'affaccia lu Padre Carboni,e per p renderne possessoce se piazza fin d'adesso".

Era il Padre Cannella un ingegnere, che dopo aver esercitato la professione edile perqualche tempo, era entrato in Compagnia di Gesù per dare una mano ad edificare laChiesa. Aveva studiato regolarmente nonostante una gravissima menomazione di vista,dovuta all'averlo la sua nutrice esposto troppo incautamente ai vapori che emanavano daun pozzo di calce. I suoi grandi occhi azzurri non gli permettevano di leggere se non quasisfiorando lo scritto. Aveva un portamento maestoso, ma era di una umiltà profonda esincera. La sua veste era logora, e anche parecchio macchiata: lui non vedeva abbastanzaper accorgersene, ed lo mi meravigliavo che i Superiori non provvedessero a rinnovarglil'abito. Quando lo entrai in Noviziato, Cannella aveva quasi ottant'anni, ma per merappresentava la perfezione dell'uomo: cultura filosofica, teologica, umanistica, scientifica,artistica. Quando lo vedevo far camminare ogni tipo di orologi, dalla pendola antica almoderni, disegnare progetti ed opere d'arte, mi sembrava Leonardo. Soprattutto erabuono. Quando parlava dell'amore che Dio ha per noi, i suoi occhi semispenti si velavanodi lacrime. Aveva un solo vizio, se vizio si può chiamare: fiutava tabacco. Mi raccontò che,

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2929entrando in Compagnia, aveva buttato via una scatola di sigari, ma allora la sua virtù eracosi scarsa che i sigari andarono a finire in un angolo da cui gli fu facile andarli a ripescare.

Questo era l'uomo adatto a fare il confessore dei novizi. Tutti i nostri scrupoli finivanoda lui, e lui allora afferrava il bastone e ce lo dava benevolmente sul groppone: "Va là,briccone, questo ti assolve da ogni colpa". C'era chi andava da lui in continuazione, e luisempre pazientemente a dire "Entrate" (la parola che voleva l'antica regola, e non"Avant?'). Qualche volta accadeva che, andandoti a confessare per regola, non sapevi checosa dirgli. E allora lui ti assolveva di tutti i peccati della vita passata, perché noi possiamosempre rinnovare a Dio il nostro pentimento, e Lui ci rinnova la grazia del sacramento.Ero tal mente abituato a questo che parecchi anni dopo, trovandomi coi miei scouts sulleDolomiti, dovetti scavalcare un monte e percorrere un fondo di valle per fare la miaconfessione settimanale, e poco mancò che il parroco del paesino mi mandasse... a quelpaese, perché gli avevo fatto perdere tempo. "Cosi da lontano, Reverendo, si viene soloquando la si è fatta grossa, perbacco!" Poveraccio, sì era precipitato quando la perpetua gliaveva detto, in birreria, che c'era un prete forestiero che si voleva confessare.

Con me Cannella si apriva più facilmente, perché ero cittadino e più anziano degli altri."Vieni qua che leggiamo un po' del nostro Gioacchino, ma non lo dire a nessuno, vabene?". "A nessuno, Padre". E allora ci immergevano nelle delizie del Belli, che bollavaPapi e Cardinali. E poi si parlava dei Gesuiti di una volta, più papalini del Papa, nemiciacerrimi della Massoneria e dell'Unità d'Italia. Cannella ricordava perfino un suoconfratello, che uscendo con lui a passeggio dal Gesù, arrestandosi davanti al monumentodi Piazza Venezia, esclamava: "Toh, ecco l'Altare della Patria! Diamogli un po' d'incenso".E spetezzava rumorosamente. "Quello che meravigliava" commentava il vecchio Padrespirituale "non era tanto la fedeltà all'impegno, quanto che avesse sempre il colpo incanna".

Dopo poche settimane dal mio ingresso era venuta a trovarmi mia madre. Poveretta,non aveva neppure potuto attraversare il parco dei daini con la corriera, perché questa siera arrestata prima per un guasto, e allora era dovuta scendere nella valle, e poi inerpicarsia piedi. Le fece molta impressione vedermi quasi rasato e con la veste addosso. "Seicontento?" lo che ormai ero uscito dal tunnel buio, le risposi di sì. "Questo è importante.Prega per noi, che ne abbiamo bisogno".

Più in là venne mio padre. Era nero; me ne disse di tutti i colori: che ero uno snaturatoa far soffrire così mia madre e lui, che me ne ero andato per egoismo, per tirarmi fuori dalguai della vita. Corsi dal Rettore. 'Povero figliuolo, mi disse "vado in Cappella a pregare".E mi piantò in asso. Incontrai il Vicerettore, Padre Falcinelli. Questi chiamò il dispensiere,Fratello Scuppa, un gigante buono, e fattolo inchinare e alzandosi sulla punta dei piedi, glibisbigliò qualcosa all'orecchio, poi mi rimandò da mio padre per fargli sapere che il suoamico Falcinelli stava per arrivare. "Ho piacere" disse mio padre, sempre scuro in volto.Venne l'amico con un fiasco dei Castelli ed altre cosucce. Dopo pochi minuti il Maestro eral'uomo più allegro del mondo. "Padre Falcinelli, io con lei divento un altro". "Con me o colbuon vino?- rispose modestamente lui. A sera lo ringraziai per l'intervento fattivo, mentreil Rettore si era eclissato. "Non dica così. Ha pregato, ed ecco l'effetto". Ma era tra il serio eil faceto.

Altra visita da parte della famiglia fu quella di mio fratello Sandro. Arrivò in biciclettain compagnia di Fausto, l'amico del cuore. Avevano una fame da lupi. Aver superato lasalita delle Frattocchie dopo cinque anni tra guerra e dopoguerra non era da poco. Anzi,quanto ad appetito, il dopoguerra era peggiore della guerra. Cominciai a portar loroqualcosa e spolverarono tutto in un baleno. Aggiunsi ancora: era come cercar di riempire

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30una voragine col cucchiaio. Recai allora una insalatiera colma di fagioli, e fui felice nelvedere che ne avevano lasciato uno nel fondo: "E' per discrezione, non per sazietà" midisse Fausto.

Naturalmente tornarono, ma ad un certo punto il Rettore mi disse severamente che eraora di smetterla. Ubbidii, ma ci rimasi molto male. Cristo ci ha chiesto di dar da mangiareagli affamati, e questo mi sembra doversi intendere finché dura la loro fame, non finchédura la nostra pazienza. Del resto noi novizi eravamo mandati - per puro esercizioascetico, e non per bisogno - a chiedere l'elemosina presso i contadini. Con che faccia, dalmomento che loro avevano più bisogno di noi? Dopo parecchi anni venni a conoscenzache le nostre casse traboccavano di quattrini, e i lasciti degli sprovveduti continuavano apiovere. Ma era tutto conforme alle nostre regole.

Per grazia di Dio io personalmente non fui mai mandato a chiedere l'elemosina. Misarei dichiarato obiettore di coscienza e mi avrebbero di sicuro cacciato via. Non fuineppure mandato in pellegrinaggio, ma adibito a "lavori umili e bassi".

Un giorno entrò in noviziato un tipo alquanto strano. Cominciò subito ad informarsisulle penitenze che noi facevamo. Dato il fatto che la maggior penitenza per noi era la vitadi comunità, con i suoi orari spezzettati e i ritmi monotoni scanditi dal suono delcampanello, che troncava a mezzo qualsiasi lavoro, e perfino la lettera dell'alfabeto che sistava scrivendo (era una regola ferrea, in fondo piuttosto stupida, che ci doveva abituarealla perfetta ubbidienza), noi non davamo molto peso alle penitenze propriamente dette.Esse consistevano nell'uso della "disciplina", cioè di una frusta o flagello a più code, fattedi cordino ritorto, e di catenelle d'acciaio irte di punte che si stringevano contro la carne,tutta roba fabbricata in casa dal novizi stessi. Per quanto queste penitenze sapessero dimedioevo (sembra che oggi siano state ufficialmente abolite, ma privatamente ciascun gesuita

  può continuare a praticarle, secondo la propria "devozione") i Superiori ci tenevanomoltissimo. lo criticavo - dentro di me, certamente con scarsa ubbidienza di giudizio, mami veniva del tutto naturale - il fatto che le frustate ce le dovessimo appioppare la seraprima di dormire: sarebbe stato molto meglio farlo di mattina, per scacciare il sonno eschiarire le idee. Ma per i Superiori chissà quali innominabili desideri ci avrebberoinsidiato tra le lenzuola: era d'uopo prevenirli col bruciore delle carni. Ed era questo checercava appassionatamente il personaggio di cui sopra, informandosi con voluttà scoperta.Era un masochista, o un fachiro indiano teso a stabilire qualche nuovo primato ascetico?Certo è che guardava con aria di sufficienza noi suoi contubernali che gli spiegavamo checosa ci dava da soffrire Mamma Compagnia. "Roba da principianti" sentenziò. A questopunto si scatenò in noi “l‟uomo vecchio", che è sempre in agguato. Decidemmo di farpassare la “vocazione” al più presto a quel dilettante della vita religiosa, professionista

della sofferenza a tutti i costi. Nello stanzone con lui eravamo: Maurizio Roberti diCastelvero (che sarebbe morto, a trentaquattro anni, in un incidente stradale), MarcelloGuerrieri (che vent'anni dopo sarebbe stato divorato dal cancro, senza smettere il sorrisodel romano di razza), un Innominabile che oggi è un grande avvocato, ed io. Di notte lastanza si divideva in quattro, con pudibondi tendaggi. Roberti, che era troppo santo,cedette il suo posto e lasciò fare a noialtri. Stabilimmo che, al segnale, avremmo preso abatterci furiosamente il palmo della mano sinistra con due dita della destra in dritto erovescio, il che imita egregiamente lo strepito delle frustate. Il piano funzionò ameraviglia. Di solito, anche ubbidendo, avevamo un margine di riguardo per le tenerecarni che erano pur sempre le nostre. Questa volta puntammo al massacro. Il malcapitatoansimava a tener dietro al nostro ritmo e alla nostra furia... Al segnale della fine ilpoveretto doveva essere agli estremi, perché il mattino dopo aveva l'aspetto dell'"ecce

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3131homo". A convincerlo definitivamente alla resa dev'essere stato proprio il nostro voltoradioso e riposatissimo. Il lettore non ci prenda però per dei cattivi, al massimo pergiustizieri della notte. Del resto compensammo la mancata penitenza col dare il volo dellalibertà e quell'illuso, a un matto in meno alla Compagnia di Gesù. La quale peraltro hasempre allevato, fin nelle Congregazioni mariane da lei dipendenti, fior di lazzaroni comeme disposti al classico crudele "scherzo da prete", purché sia "per far del bene" (nefacemmo anche a Natalino Sapegno e a Guido Calogero. Non ci riuscì con Ettore Paratore).Con ciò non si dà ragione al Machiavelli, ma ad una via di mezzo tra Papa Sisto e ilMarchese del Grillo, a un Gioacchino Belli per intenderci. Il Belli mi è sempre riuscitosimpatico. Mi trovo bene con lui, figlio fedele della Chiesa, e al tempo stesso fustigatoreatroce delle sue pecche, in un tempo, poi, in cui scrivere male dei papi-re e del loroentourage, per giunta entro lo Stato pontificio, era una colpa notevole. Il buon Gioacchino,che non ha usato altro che le parole, mi può essere di esempio, dato che, nel fatto che horaccontato, anche lo ho contribuito ad una fustigazione eccessiva e fisica. Ma, per quantofrughi nei miei ricordi, non mi pare di aver usato violenza altra volta, se non nel casi dilegittima difesa, mia ed altruí. Anzi una volta, avendo accompagnato a casa sua mio padrenovantenne, per proteggerlo dalle prepotenze di nipoti violenti, soggiacqui senzadifendermi alle sanguinose percosse loro, per non toccare i figli di mia sorella. Ma dalpeggiore di loro fui trascinato in tribunale penale nientemeno come aggressore e sareistato condannato se mio padre, che mi aveva salvato con estremo suo sforzo dalsoffocamento, non avesse testimoniato, - mentre lui è scampato, chissà come, nel processoper calunnia.

E a questo punto occorre puntualizzare quanto poco incidano sulle anime le cosiddettescuole o associazioni cattoliche: i genitori-complici di così poco onesto soggetto sono stati"educati" da monache e frati. Il padre è nientemeno Zelatore del Sacro Cuore, e la madrenon perde una Messa. Anzi voleva prendersi tutta l'eredità mia, per punirmi perché"spretato". A tanto arriva la devozione alla Chiesa, a rinnegare il fratello che ti ha sempresoccorso. Aveva ragione Gesù a rigettare gli ipocriti e ad accogliere le meretrici. Quante diqueste ho conosciute, che venivano sinceramente a chiedere aiuto spirituale, umili,generose, addirittura piene di bontà e di viva sensibilità. Io non ho avuto esitazione adabbracciarle e a farle piangere sul mio petto. E una volta fui pure rimproveratoaspramente da un Superiore al qual mi ero confidato: "Roba da Sant'Uffizio" disse, maanche Gesù fu ripreso per questo. E diverse mi sono rimaste amiche (adesso non penseretemale di tutte le mie amiche: ne ho troppe perché possiate farlo).

Riprendendo il tema delle frustate di penitenza, rifletta il buon lettore che è così grandeil nostro desiderio di felicità che perfino là dove cerchiamo la nostra afflizione vogliamoricavare la nostra consolazione, e non necessariamente quella soprannaturale.

Alla Congregazione laica del Caravita, vicino a S.Ignazio, era di prammatica la frustatadi penitenza sulle chiappe. Si spegnevano le luci in sala e ciascuno provvedeva a punirsidei suoi peccati. Una volta uno gridò: "Un momento, prima di cominciare, lo voglioconfessare in pubblico i miei peccati". "Noo!" "Sì!"

E iniziò tra i sospiri un lungo elenco di prevaricazioni orrende, una peggiore dell'altra.Arrivato al culmine gridò: "Ed ora, per mia maggiore umiliazione voglio dire anche il mionome". "Noo!" "Sì!". E disse il nome di un noto personaggio presente in sala. Figuratevi checosa successe.

Un'altra volta, un istante prima che suonasse il campanello che annunciaval'accensione delle luci, un penitente gettò una ricotta fresca nel calzoni di quello davanti.

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32Quegli non poté far altro che tirar su le brache. Ma questo era uno scherzo innocente, anziun refrigerio al bruciore. Di diverso avviso erano i Superiori gesuiti.

Quello che vorrei appunto evidenziare in questi fatti non è tanto la comprensibilevoglia di vivere, o meglio, di sopravvivere, dei devoti, quanto l'assoluta mancanza diumorismo da parte dell'autorità ecclesiastica, che punisce senza pietà queste profanazioni.Credo che un santo come Pippo buono ci avrebbe invece riso di gusto.

Gravissima per esempio era la profanazione del refettorio religioso, fedeli aSant'Ignazio che privilegiava l'ubbidienza sul digiuni e le astinenze, si mangiava ogni bendi Dio, ma sempre con la solenne berretta in capo, tanto che il P. Rubbi - scienziato -avendo pranzato senza di quella fu ripreso, all'uscita, dal Superiore. "Ha ragione, - rispose- ero distratto; ma non si preoccupi: dato che il mio pranzo non è valido, ricominceròdaccapo". In refettorio si eseguivano le solenni penitenze dell'Ordine. Lì i novizi chestavano per emettere i voti religiosi dovevano battersi con la "disciplina” davanti a tutta lacomunità che mangiava. Indossavano la veste (la "spagnola" gesuitica è una semplicevestaglia trattenuta da una fascia) al contrario, mettendo cioè l'apertura sulla schiena, ecoprendo la camicia -al solenne ingresso - con il mantello. Tolto il quale, e posti inginocchio, dovevano frustarsi sulla camicia. La cosa era evidentemente molto ridicola.Quando toccò al mio gruppo, ci imbottimmo la schiena di giornali e, seri seri, andammoall'esecuzione. La comunità reverenda impallidiva per la violenza con cui ci battevamo, e iPadri anziani, per mettere termine a quella assurda carneficina, imploravamo a cenni ilRettore. Ma questi, il Padre Adolfo Bachelet (figlio di un Generale piemontese, e moltorispettoso delle regole ed usanze della Compagnia), aveva mangiato la foglia. Il "basta"non arrivò se non quando la disciplina di un novizio, sfuggitagli di mano per lastanchezza, andò a volare in una zuppiera, inzaccherando un commensale. L'avvocato dicui sopra, anima nera della congiura, può testimoniare. Ma lo farà? Simili colpe eranopunite con la "veste corta" e col "collarone”: si doveva girare per casa con una specie di

minigonna, tenendo, invece del solito collare, quel cartone largo che protegge i dolci inconfezione.

Altra penitenza era quella di baciare i piedi al commensali. Non era molto gravosa insé. Ma il guaio era che molti di loro, per umiltà, ritiravano i piedi, e allora si andavano aposare le labbra sulla predella, il che non era molto igienico, né Piacevole, dato chestavamo in campagna, e le bestie facevano sporcare le suole delle scarpe.

Dovevamo diventare dei predicatori, e perciò i Superiori trovavano necessario farciesercitare, fin dall'inizio, nella "formula dei toni". Era questa un brevissimo compendio delmeraviglioso dramma umano-divino, dal peccato alla salvezza, che doveva prestarsi alpassaggio dell'oratore sacro dal tono narrativo al contemplativo, all'affettivo, all'esortativo,eccetera. Ma la formula era così ingenua, rapida e artefatta, e soprattutto espressa in parolecosì antiquate, che faceva crepare dal ridere, sia l'uditorio che l'oratore, il quale perciò siarrendeva fin dalle prime parole, o - nel migliore dei casi - non riusciva ad arrivare fino infondo. Ecco la formula perché anche voi possiate giudicarla.

"Avete da sapere come l'uomo, in questa mattina, è caduto in peccato, e per lo peccatosi trova in gran confusione. E però si ha da considerare la pia e liberale benignità delSalvatore, come Egli si sia degnato per te, ingrata creatura, partirsi da quella sua tantodolce e gioconda patria del cielo, dove era servito dagli Angeli, dagli Arcangeli e da tuttala corte celeste. Risguarda, o cristiano, il tuo Signore, come Egli per te si è fatto servo. OBontà infinita, o mansueto agnello, chi vi ha sforzato a pigliare le nostre colpe, a pigliare lamorte, per dare a noi, miseri e ingrati, la vita? 0 addormentati e sepolti nel sonno delpeccato, udite la voce del profeta Gioele: "Canite tuba in Sion, sanctificate iciunium, vocate

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3333coetum, congregate populum". "Cantate" dice il profeta "con la tromba nella Chiesa,santificate il digiuno, convocate le genti, radunate il popolo". 0 miseria e pigrizia vostra,che state a fare? Gridate, risuonate, convocate le genti alla salute, uomini e donne, grandi epiccoli, giovani e vecchi. E non vedete quanti se ne perdono? Piangete i vostri peccati equelli del popolo, e cosi facendo avrete in questa vita la grazia e nell'altra la gloria!".

I detti dovevano essere accompagnati dal gesti, e allora i novizi si divertivano a farnedi terribili o di beatificanti. Arrivato al punto 'T non vedete quanti se ne perdono?" unoindicò con rammarico la propria incipiente calvizie.

Se andate poi a vedere Gioele, vi accorgerete con quanta disinvoltura la Chiesaeseguiva citazioni e traduzioni.

Quando toccò a me, testa dura, lo mi proposi di non ridere e di arrivare fino in fondo.Perciò posi mente ai concetti, che sono elevatissimi, come ben vedete, e semplicementeimmaginai di essere un predicatore d'altri tempi. La cosa riuscì, e nessuno rise. Il PadreBachelet, che doveva pur criticare, disse che l'ultima parola l'avevo enfatizzata troppo. Ame interessava fargli capire che era pur ora di relegare in soffitta certe anticaglie formali.Non se ne fece nulla, come non si fece nulla di ogni altra mia successiva proposta disvecchiamento. Quando il vento del '68 abbatterà nella Compagnia anche le cose buone,dei Superiori si renderanno conto che meritavo di essere ascoltato. Di tale encomio migratificherà il Superiore delegato per l'Italia. Ma del senno del poi son piene le fosse.

Il noviziato era a buon punto, quando si ammalò gravemente Maria, la donna che findalla sua prima giovinezza, e per più di quarant'anni, era stata l'infaticabile collaboratricedomestica di casa mia. Era ormai una persona di famiglia e aveva il diritto di dire la sua sututto, come Perpetua.

"Oggi ho comprato ventun carciofolo a Piazza Vittorio"."E perché proprio ventuno?" domandava mia nonna."Perché venti erano pochi, e ventidue troppi".

Quando accompagnava noi bambini, d'inverno al Colle Oppio, nella buona stagioneall'ombrosa Villa Celimontana, raccontava per filo e per segno tutti i fatti di casa nostraalle sue colleghe. Mia sorella lo diceva alla mamma, ma lei ci rideva, divertita.

Io mi infilavo spesso nel letto di Maria, che già dormiva, quando trovavo troppofreddo il mio, ma avevo vivissimo il senso del pudore. Una volta lei mi voleva spogliare alColle Oppio per dare la mia maglia intima e le mie mutande a un bambino che era statoripescato dalla fontana. Scappai via inorridito, pur sapendo che stavo agendo da veroegoista. Però abbiate pietà di me: neppure a San Martino la coscienza aveva richiesto tanto.

La coscienza dei miei Superiori Gesuiti non si smuoveva davanti alle preghiere diMaria che voleva vedermi per l'ultima volta prima di morire. "Non si può," dicevano "sitratta di una persona di servizio". Mio padre allora andò furibondo dal Padre Provinciale:"lo ve l'ho dato," gridò "ma non permetterò che ne facciate un pezzo di marmo come voi".Mollarono, ed lo potei baciare Maria, ancora viva ed affettuosa, mentre sua sorella lesganciava la catenina d'oro. E subito dopo ritorno al noviziato: non ammetteva indugi ilmio impegno di santificazione. Quale? 

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34Studio, e volentieri

Il Rosmini pone l'ignoranza del clero tra le cinque piaghe di Santa Chiesa. Anche oggi,come allora, accanto a sacerdoti molto colti ce n'è una moltitudine di ignoranti, con ladifferenza, in peggio per i preti, che tra i laici è diffusa la cultura, e molti di loro eccellonoin qualche ramo specifico, se non addirittura nelle scienze religiose.

Per fortuna i Gesuiti studiano molto, e non approfondiscono soltanto le scienzereligiose. Hanno avuto ed hanno grandi ingegni anche nelle scienze cosiddette profane(propriamente nulla è profano davanti a Dio, per il solito principio "Ciò che non è controdi me è con me"), e sarebbe lunghissimo elencarli. Mi si consenta solo prendere comesimbolo della scienza esatta dei tanto disprezzati gesuiti, considerati dei dogmatici ad

oltranza, la palla che sovrasta la Chiesa di Sant'Ignazio, la quale, per opera del PadreAngelo Secchi, segnava col suo muoversi lo scoccare del mezzogiorno, con tale precisioneche chi doveva ordinare lo sparo del cannone sul Gianicolo stava ad osservarla colbinocolo. Si pensò bene di smontare tale congegno per coglierne il segreto delfunzionamento. Ma nessuno ci capi nulla, e la palla non si mosse più. Mi si consentaancora assumere questo sfascio come simbolo delle rovine che spesso la cosiddetta scienzalaica opera a spese della ragione e della fede. Diceva già Giuseppe Giusti:

"Il buonsenso, che già fu caposcuola,ora in molte scuole è morto affatto:

la scienza, sua figliola,l'ha ucciso, per veder com'era fatto.

Anche il Vaticano è scaduto dalla cultura di una volta. Neanch'esso sa più di latino.Abbiamo detto che già Papa Giovanni spropositava. Poi, in occasione dell'elezione di PapaLuciani, le nostre orecchie inorridirono a un "nominem”. E un macroscopico nominativo alposto di un accusativo nel "Breve" di scomunica a Lefebvre. Nè si può dire che è stato unerrore di stampa, perché è impossibile che la distrazione del tipografo coinvolga anche laconcordanza dell'aggettivo. Nè si può invocare a scusa, come si è fatto, la scarsezza delpersonale addetto al le traduzioni, solo se'preti e un laico. Nessuno di no', neppure di

fretta, direbbe, al posto di "Dove siamo arrivati?", "Dove abbiassimo giugnuto?" Perchè, oSignori, è tale, analogicamente, l'entità dell'errore. E neanche il Papa se n'è accorto. Si diràche non ha letto. Non ci credo. Un Papa non va a leggersi come suona in latino un suodocumento cosi grave, quale la scomunica di un Vescovo? Altrimenti dovremmo dire cheper lui le vacanze in montagna sono più impegnative di un anatema, cosa che non ècertamente vera.

Tra i gesuiti, finito il noviziato, il soggetto, anche se ha già la licenza liceale, devepassare almeno un anno a studiare latino e greco, dato che l'Ordine non si contenta deglistudi di fuori. A me, che ero ragioniere, e che avevo fatto solo quattro anni di latino, oltreagli studi di greco che avevo iniziato per conto mio, di anni me ne assegnarono due (ma

già nel secondo anno di noviziato mi avevano autorizzato a cominciare). Studiaiveramente molto, nell'intento di andare in fondo a tutte le discipline. Prendevo letraduzioni con lo spirito di un detective, ed ero di una cocciutaggine unica. Mi ero accorto

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3535che una normale traduzione sapeva sempre un po' di greco o di latino, e allora misembrava quello un tradimento alla mente del1'autore, per cui mi incaponivo a renderlanel miglior italiano possibile, senza allontanarmi di una virgola dal senso dell'originale. Imiei compagni, certamente più bravi di me nella grammatica e nella sintassi, miprendevano in giro e si contentavano del sei o del sette dopo tre ore di traduzione. lo neimpiegavo sei, e riuscii ad arrivare al dieci. Poi, una volta capito a fondo il testo lorileggevo, per impossessarmi della lingua. Non potevamo usare i traduttori, mi lo neapprezzo l'indubbia utilità al fine di far presto ad apprendere. Enrico Schliemann, loscopritore di Troia, imparò il greco in sei mesi leggendo l'Iliade col testo tedesco a fronte.Ho voluto indugiare su queste mie esperienze per aiutare, chi ne abbia voglia, a gustare laprofonda bellezza di queste due lingue ineguagliabili. A parte il fatto che lo sforzo deltradurre ti obbliga ad affinare la tua lingua materna.

Mi presentai come privatista al Liceo di Villa Sora di Frascati, tenuto dal PadriSalesiani. Dovetti portare per intero il programma di tutti e tre gli anni (allora non sifacevano sconti), ma mi capitarono tutte versioni che avevo già fatte. Fu in quell'occasioneche beccai il secondo schiaffo da Santa Madre Chiesa. Stavo rileggendo la traduzione dalgreco, quando tra me e il Presidente di Commissione statale si frappose, col giornaleaperto, un Salesiano, certo Don Villa, professore di matematica. "Se hai finito", mi disse"perché non passi il compito?" e mi colpì alla guancia, tenendo il giornale con la sinistra,sempre a mo' di paravento. lo stetti zitto, ma non cedetti a quella stupida violenza a favoredei suoi protetti. Poteva usare altri mezzi. All'orale il Salesiano cercò di fregarmi nella suamateria, ma non ci riuscì.

Il greco Don Fagiolo stette ad ascoltare la mia recita di una poesia di Saffo, e non vollesentire altro perché disse che da come l'avevo recitata si vedeva che l'avevo capita. Perquesto dico sempre al miei alunni che se vogliono far bella figura agli esami, senza troppafatica, devono gustare a fondo qualche brano d'autore. Difatti mi andò bene anche conCicerone.

Iniziai allora la filosofia all'Università Gregoriana. Mi interessava molto, perché avevoun mucchio di problemi intellettuali da risolvere. Avevamo degli ottimi professori: PadreBoyer per la logica, Padre Morandini per la critica, e Padre Dezza per la metafisica. Lateologia razionale era svolta dal francese Padre Arnou, la psicologia metafisica dal belgaDelanoye, la cosmologia da Padre Hoeneri, olandese. L'etica, all'ultimo anno, toccava alPadre Goenaga, spagnolo. Questi aveva alcuni punti deboli, sul quali amavamo attaccarlo.La cosa meno metafisica era il suo difendere l'eticità della corrida in Spagna. Ma in generequesti professori erano incantevoli per il rigore scientifico col quale procedevano. Sempresulla strada maestra dell'intelletto, senza indulgere alla tentazione di scorciatole.Completava il corso la psicologia sperimentale, guidata da un Padre scanzonato chediceva: "Invenire potestis librum meum apud illos iudaeos typographiae Gregorianae".Perché - non l'ho detto - il latino era allora l'unica lingua ammessa nei libri, nelle lezioni enegli esami. Si studiava in latino perfino la fisica quantica (collegata con la filosofia),insegnata dal Padri Soccorsi e Selvaggi. Seguirono poi gli esami delle "cento tesi", in cui siripeteva tutta la filosofia studiata. Era un esame riservato ai Gesuiti, ed era veramenteduro. Non si poteva ripetere. Se non passavi, andavi avanti lo stesso, perché gli esamiannuali li avevi superati, ma restavi gesuita di seconda scelta. Riuscii a superarequell'ostacolo.

Seguirono tre anni di magistero, in cui, mentre insegnavo, studiavo lettere per la laureadi stato. Mi mandarono prima a Cesena, alla scuola apostolica dove si allevavano gli"apostolini", cioè i gesuitini di dieci anni. Era una cosa strana per me dover coltivare dei

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36ragazzi per la Compagnia di Gesù, i quali avevano ancora, giustamente, tanta voglia digiocare. Tuttavia il mio compito, strettamente, era quello di farli studiare e di aprire loro lamente. Avrebbero poi loro medesimi avuto tutto il tempo di prendere delle decisionigiunti a maturità. Ma l'ambiente era propriamente quello di un seminario minore, e quindii ragazzi ne erano influenzati. Era una preoccupazione forte per me. D'altra parte ero statoformato all'ubbidienza, e non vedevo manifestamente del male in questo lavoro. La Chiesaufficiale stessa aveva istituito i seminari nel Concilio di Trento e li manteneva tuttora. Maera una cosa ben fatta? Cominciavo ad avere i miei dubbi. Voglio raccontarvi un episodioche ci mostra a che cosa può condurre una educazione artefatta in un ambiente del genere.C'era un "apostolino" talmente santo da rinunciare a tutto ciò che potesse inquinare nonsolo l'anima, ma anche il corpo. Senza dire nulla a nessuno, si mise in testa che non dovevaandare più al bagno per le occorrenze più impegnative. All'inizio soffrì un po', poi tuttoandò bene, e si persuase che la Provvidenza lo stava aiutando nella scalata allo spiritualepuro. Non era un ragazzo della mia camerata, tuttavia incontrandolo io mi accorsi di unnotevole gonfiore del suo ventre. Se fosse stata una ragazza, si sarebbe detta incinta.Vedendolo di tanto in tanto, mi accorgevo bene che il gonfiore cresceva. In breve: dovetteessere portato all'ospedale, e non vi dico che cosa successe al camici dei medici edinfermieri e addirittura alle pareti. Ma dite un poco: se quel ragazzo avesse avuto vicino lasua mamma, sarebbe potuta accadere una cosa simile? Viceversa aveva dei Superiori cheerano stati apostolini anch'essi, e apostolino era stato il suo Maestro di camerata, che eracapace di ottenere il più assoluto rispetto e il più perfetto silenzio. Alla minima mancanza,il ragazzo veniva messo al cantone al freddo del cortile, mentre gli altri facevanoricreazione, o doveva guardare mentre gli altri mangiavano. La mia camerata era la piùrumorosa, ed io ricevevo i rimproveri del Rettore, il quale mi diceva: "Si vede benissimoche lei non è stato educato in collegio". "Per mia fortuna" pensavo lo. Il Rettore, PadreGiovanni Nicolini, usava la forchetta come una forcina, e il cucchiaio come una pala, agomito alzato. Si vedeva benissimo che non era stato educato da nessuno. Ma era unottimo latinista

Una volta mi inquietai col fratello cuoco perché lo sorpresi a versare acqua nel lattedestinato al bambini. Ma chi sbagliava ero io, naturalmente. Era proibito toccare i ragazzi.Una volta che uno si fece male, rotolando giù da una scarpata, al punto di non potermuovere - temporaneamente - le braccia e le mani, dovetti essere lo a prendermi laresponsabilità di fargli fare la pipi, perché gli altri non osavano macchiarsi la coscienza.Viceversa simili tabù producevano fenomeni... inversi. Un Padre venuto dal nord sicompiaceva un po' troppo di allungare le mani sul miei ragazzini. Che schifezza! Eppurevi confesso che una volta mi fece impressione, come di peccato, tirar su un ragazzo da unabuca. Sfido, con una simile chiusura ambientale! I miei ragazzini mi volevano bene e midicevano tutto. Quelli delle altre camerate non amavano i loro Maestri (o Prefetti), ecercavano di fregarli. Ma il Rettore era soddisfatto di vederli in riga come tanti soldatini.Aveva il Rettore la mania del perfezionismo, sembrava Giuseppe II, il re sacrestano.Passava le ore a tavolino, a organizzare. "Governare è prevedere" soleva dire. Una volta sitrovò nei guai perché non aveva previsto che nel messale c'era l'episodio di Susanna albagno: i ragazzi ne furono sconvolti. Accidenti ai collegi!

Fui poi all'Istituto Massimo alle Terme, vicino alla stazione di Roma. I ragazziappartenevano a famiglie borghesi (o nobili) romane. Le spese scolastiche non eranoeccessive, e si facevano speciali agevolazioni a figli di famiglie decadute. Per le attivitàsportive si andava al campo gratuito dei Cavalieri di Colombo a San Lorenzo, sempre apiedi. Non c'era nessuna mania di grandezza o di lusso, ma già c'era qualcuno che diceva

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3737essere il Massimo vecchio e sorpassato, privo di attrezzature e di Verde. Il Generale

 Jansens, sposò l'idea del cambiamento, e il Massimo si vendette per una cifra che-sembròbastare per farne uno nuovo e moderno ai margini dell'EUR, a dodici chilometri dalcentro. Le rette scolastiche smisero di essere contenute, anzi salirono alle stelle, le famiglieche per tradizione mandavano i loro figli al Massimo non li mandarono più, ma incompenso si ebbero i figli di macellai, pizzicagnoli, bottegai in genere, arricchiti vari, chesfoggiavano addirittura titoli nobiliari falsi. Mi ricordo che il Rettore Giullo CesareFederici, molto sensibile al blasoni, andava in brodo di giuggiole per una Marchesa chenon lo era affatto. Per me, siamo tutti figli di Dio, ma confesso che mi dà fastidio il vanesio.Diceva bene il sommo Oronzo Marginati (cioè il giornalista Luigi Lucatelli, quello delTravaso delle Idee): "La nobiltà, l'educazione e i baiocchi so' tre cose che chi ce l'ha sulserio non le nomina mai". Peccato che sia ormai introvabile quel tesoro di saggezza che è"Come ti erudisco il pupo". Merita di farsi ricopiare alla Biblioteca Nazionale (dove lo find'allora andavo spesso a cercare quello che ci mancava, in particolare i libri proibiti, che aun certo punto ci veniva concesso di leggere tutti). Durante il Magistero potevamo munircianche di passaporto per l'estero. Ma a me la polizia non lo dava, perché un mio omonimoaveva commesso sei reati. Finalmente un funzionario di San Vitale mi disse: "Ma se lei èun gesuita, basta che il suo Superiore provinciale le consegni una lettera per noi cosiconcepita: - Questo signore in abito pretile è uno dei nostri -. A tale lettera, tutti qui inQuestura, a cominciare dal Questore, si calano le brache". "Dovrebbe essere uno spettacolointeressante" mi rispose il Provinciale, e scrisse la lettera. Il passaporto mi venne datoimmediatamente, ma il Questore - che pure era già in bretelle - non uscì di metafora:la sottomissione alla potenza gesuitica era già evidente.A ventotto anni, prima di iniziare la Teologia, andai in Inghilterra e in Irlanda aperfezionarmi nell'Inglese. L'avevo studiato a scuola per cinque anni, sapevo bene lagrammatica e la sintassi, scrivevo correttamente, mi facevo capire, ma non capivo unaccidente quando un inglese mi parlava. Andai col Padre Mario Lessi Ariosto, un gesuitamolto intelligente, assai più bravo di me nell'afferrare lo slang degli inglesi.Attraversammo la Francia in treno, visitammo Parigi e poi ci recammo al porto di LeHavre, poiché da poveri religiosi dovevamo scegliere il percorso meno costoso, quello piùlungo per mare. Calais-Dover era per i ricchi. Sulla Manica tutti davano di stomaco,compresi i marinai. A me non faceva impressione neanche lo spettacolo di quelli chedavano da mangiare ai pesci. Il mio stomaco - è provato - non sopporta una cosa sola:l'abuso e lo strazio che si fa della Sposa di Cristo.

Sbarcati a Southampton, ci accolse una carrozza ferroviaria miserabile, tutta pezze eluridume, che ci scaricò a Londra. Per regola dovevamo preferire le case dei gesuiti, epresso di loro ci recammo. A pagamento naturalmente. Gentilezza e freddezza tutteinglesi. Il mio compagno ebbe un rabbuffo dall'economo della casa, perché aveva presodue fettine di carne. Era ancora razionata. lo suscitai le smorfie e le riprensioni dei Padriperché volevo dire "colore" e pronunciai come se dicessi "collare". L'inglese va rispettato,gli italiani no. Dall'Abbazia di Westminster fummo cacciati via, non perché italiani, maperché preti cattolici: stava per entrare per una cerimonia la Papessa Elisabetta. Indigestigli ecclesiastici inglesi, volli assaggiare Londra. Non mi contentai di vedere la city, volevoconoscere anche il circondarlo e la periferia. Ma quei bus, che non ti fanno salire se non c'èposto a sedere, non facevano per me. Dal centro allora spaccai Londra, tutto solo, fino allasua estremità: ventidue chilometri a piedi in quattro ore, fino all'ultima villetta congiardino. Alcune cose mi rimasero impresse: la compostezza degli abitanti (se notavoqualcuno gestire o parlare forte, altri non era che un italiano), l'assoluta pulizia delle

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38strade, il rispetto dell'ambiente e degli animali, e - la cosa più commovente - la curameticolosa dell'incolumità dei bambini. Una piccola con bambolina in braccio potevatranquillamente gettarsi nel traffico, sicura che tutto si sarebbe fermato d'incanto. Quantecose abbiamo da imparare dal freddi inglesi!

Certo un prete può camminare per Londra senza vedere la gente che si gratta al suopassaggio, come capita invece qui da noi. Io mi ci ero abituato, un mio confratello no:fermava il superstizioso e gli diceva: "Grattati la fronte, figliuolo, che è la stessa cosa”. Ma ipreti non hanno nessuna colpa di essere considerati iettatori? lo spesso mi sentivo addossole colpe di tutta la storia ecclesiastica.

Alla Torre di Londra sentii parlare non solo italiano, ma addirittura romano: "A Giggè,sarà bella sta tore, ma sa' quant'è meio er Colosseo?!". Giggetto rispose alla moglie:“Menomale che 'n t'ha sentito gnisuno, sennò ce menaveno. Er guaio vero però è che noinon capimo gnente de quer che dice er cicerone". Allora intervenni lo: "Signori…”. “AErvira" fece Giggetto disperato "qui c'è uno che ha capito. E mo'?". "Non si preoccupi," fecilo "vorrei piuttosto aiutarvi a seguire quello che dice la guida". "A Giggè, er reverendos'ingegna coll'italiano," disse la signora Elvira "famose aiutà pe quer bisogno nostro"."Bravo, reverendo, ce potrebbe dì indove se potrebbe beve 'n goccio de vino? Qui bevenotutti er latte...". Aprii allora la mia guida di Londra e trovai un locale.

"Al vero Frascati". I coniugi nostrani piantarono la torre e corsero via. Li seguii conl'occhio. "Ecco gente che non sa fingere" pensai compiaciuto. "Non hanno nulla del gesuita.Non per niente sono romani".

Come a Gulliver, si invertì quella sera la mia posizione. Mi trovai infatti, poveropigmeo, davanti ad una cameriera in abito nero e crestina, a non saper decifrare un menùinglese. Mi sfuggì però una parola italiana, e allora la ragazza mi domandò: "Are youitalian?" Risposi "Yes, I am". "E allora, reverendo," gridò tutta allegra "parliamo italiano.Sono italiana anch'io!".

Ma gli italiani non li digeriva il Padre Ministro gesuita di Manchester. Al nostrocomparire, la sua faccia divenne nera come la solenne "gown" che indossava, come lafacciata delle case della città (che si lavavano con lunghissimi scopettoni dal fumo delcarbone). "Italiani? No, no. Via!" urlò. "Gli italiani non pagano il conto". Ci guardammo infaccia. Poi calmi calmi gli dicemmo: "Non si inquieti, andremo in albergo". "In albergo? Maallora avete denaro?" "Certo". "Allora siete pregati di restare qui. La regola ve lo impone"."Grazie, no. Ce ne andiamo". E ce ne andammo in albergo. Al ritorno perfino il PadreProvinciale Porta, custode della santa regola, ci dette ragione, esclamando, questa voltasenza gesultismi: "Perbacco, quale regola!? Bisogna pur difendere l'onore della Patria!".

E piantammo lì anche l'Inghilterra e navigammo alla volta dell'Irlanda. Dolci gliirlandesi! Hanno qualcosa di noi (del resto sono celti, e di celtico l'Italia ha molto): caldi eaffettuosi, quanto sono freddi gli inglesi, poveri ma generosi. Curioso: mentre gli inglesirazionavano la carne, loro ce ne fornivano piattoni enormi, tanto che ci fece pure male.

Uno studente gesuita volle regalarmi nientemeno che una mela, piccola e verde (diquelle che noi diamo al porci), ma lo fece con grande amore, perché era l'unica che erariuscito ad ottenere da una sua pianta. Apprezzai molto il dono. Poi mi disse che si sentivatanto triste e aveva oppressione al petto. La gioia e il respiro gli venivano quandospuntava un po' di sole. "Voi in Italia avete il sole, vero?". "Sì. Perché non domandi divenire a studiare da noi? Ti appoggerò". Ci riuscimmo, ma con molta fatica, e dopo lungotempo. Così Brian potè far sentire a Roma l'italiano come lo pronuncia un irlandese, poicome lo pronuncia un italiano, e infine i discorsi di Mussolini come li pronunciavaMussolini. I gesuiti d'Irlanda ne avevano i dischi.

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3939Il quindici d'agosto provai a bagnarmi nel Canale di San Giorgio. Ne uscii paonazzo. E

dovetti accendere il caminetto con la torba, per riprendermi. I gesuiti irlandesi usavanofare il bagno nudi nel loro laghetti. "E voi perché non lo fate? Vi vergognate?". "Non lofacciamo perché sta piovendo". "Che matti, questi italiani: hanno paura di due gocced'acqua quando devono bagnarsi per intero".

I novizi irlandesi erano molto provati nel vestito. La loro gown sembrava una bandieravecchia - onor di capitano, perché tra loro sembrava un titolo di gloria l'averla il piùpossibile stracciata. Però non dovevano romperla loro. Ci pensavano gli alberi e i rovi.Strano. La povertà dovrebbe generare umiltà, invece produceva orgoglio, come inDiogene. Ma come è simpaticamente umano tutto questo! E poi Dio ci sorride lo stesso,contento della nostra buona fede.

Dallo Sugar Loaf, il Pan di Zucchero, attraversammo in bicicletta gran parte dellaverdissima isola. Solo ci dimenticammo di dover tenere la mano sinistra, e perciò alsopraggiungere dì un'auto, finimmo entrambi in un fosso. Le bici erano danneggiate e nonpotevano proseguire. Al più vicino centro abitato si rifiutarono di ripararle perché eradomenica e, lavorando, si sarebbe commesso un peccato. Ed erano due preti asollecitarlo...

"O dignitosa coscienza e netta...".Finalmente un operaio capi che quello era un lavoro che si poteva eseguire, perché

necessario ed urgente, dato che dovevamo raggiungere Dublino in serata, ed esaudì larichiesta, ma non volle essere pagato. Che lezione per noi cristianelli da strapazzo! Gliirlandesi sono cristiani sul serio. E' vero che uno mi disse:

"Io sono cattolico perché gli inglesi sono anglicani", ma nella prigione di Dublino nonc'era che un detenuto, per ubriachezza, il quale sarebbe stato rilasciato al più presto, comeci dissero le guardie, che, per vincere la noia, giocavano a carte in portineria.

La cosa che ci era mancata durante l'estate, un bagno al mare, ce la permettemmo alritorno, con un altro compagno. Nascondemmo i vestiti da prete in una grotta tirrenica e cituffammo. Arrivarono tre ragazzi e ci chiesero di potersi unire a noi grandi. Finito ilbagno, ci raccontarono che erano evasi per qualche ora da un collegio di preti, in cui liavevano messi prima ancora che iniziasse l'anno scolastico. "Voi li conoscete i preti?". "Unpò". "Che grandi figli di mignotta!". "Be', qualcuno sì". "Ma che qualcuno, so' uno peggiodell'altro. Ma lasciamo perde. Godemose 'sto po' de pace lontani da loro". Intanto eravenuta l'ora di tornare a casa, e noi non sapevamo come fare per rivestirci. lo pensai di faretre fagotti avvolgendoli nelle camicie bianche e di spostarci con una scusa plausibile. Mamentre stavo nella grotta uno dei ragazzi mi raggiunse. "Che fai?" E vide un cappello daprete che sfuggiva per metà all'occultamento. "E questo a chi l'hai fregato?". Era megliospiegare tutto, e lo facemmo. A noi dispiaceva guastare ai ragazzi anche quelle poche oredi libertà, a loro dispiaceva averne dette tante contro i preti. Alla fine noi dicemmo chenon ce ne importava niente, e loro proclamarono che noi eravamo un'eccezione, perché delprete non avevamo proprio nulla. Eravamo ormai amiconi, e loro non esitarono adaccompagnarci.

Terminati i tre anni di Magistero, mi applicai per quattro anni allo studio dellaTeologia. Mi interessò moltissimo la prima materia, l'Apologetica, condotta dal PadreSebastiano Tromp. Si trattava di stabilire i fondamenti razionali della fede. Vi assicuro chece ne sono in abbondanza. Un ponderoso tomo. Ma fin da allora lo pensavo Che, nellospirito del cristianesimo, di questa medesima fede partecipano ebrei, musulmani e ognicredo in cui si evidenziano i prodigi della ragione e della rivelazione. Il padre Tromp eraanche un buon istrione: sapeva stare in cattedra come su di un palcoscenico. Una volta

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40stava per starnutire, ma la cosa non gli andò in porto. Girò intorno lo sguardotremendamente deluso, poi esclamò: "Est terribile, auditores ornatissimi, quando nonvenit". Fu convincente come nelle sue lezioni. I due volumi sulla Chiesa erano scritti ecommentati dal Padre Zapelena, uno spagnolo attaccatissimo, in senso proprio e traslato, adue tirabaci richiamati dalle tempie e incollati sulla fronte, per non guastare i quali sitoglieva delicatamente la berretta con tutte e due le mani. Ma non mi convinse la suadottrina circa la Chiesa società perfetta.

Fui stupefatto di quanto può la ragione indagare nel mistero della Trinità,nell'Incarnazione del Verbo, nella Redenzione, nel Sacramenti, nella Persona della Madredi Dio... E che poesia in tutto ciò! Veramente Dio ha compiuto un'opera d'arte, dallacreazione alla salvezza.

Poi Diritto, Morale, Lingua ebraica, Sacra Scrittura. Il professore di quest'ultima, PadreAsenzio, aveva uno strano pallino: non discostarsi dalla interpretazione letterale, se nonfosse stato più che necessario. Per esempio era antievoluzionista ad oltranza (quando giàSant'Agostino parlava di "rationes seminales", cioè di un'ampia probabilità di evoluzione).Povero Galilei, se gli fosse capitato sotto! A proposito, il Papa aveva in progetto diriabilitare Galilei, rifacendogli il processo. Lasci stare, Padre Santo, che Galilei è riabilitatoda un pezzo. Vediamo piuttosto di riabilitare la Chiesa che ha emesso quella e tante altresimili condanne, mica poi tanto lontane!

Ripassavo un giorno teologia morale insieme con un mio compagno che era entratonell'Ordine da apostolino. Sentite a che punto aveva gli occhi bendati uno che, intorno aitrent'anni, stava per mettersi in confessionale.

C'erano da studiare delle nozioni di anatomia della donna. lo mi provavo a ripeterequel che sapevo e quello sgranò tanto d'occhi. Poi: "Ma che corbellerie stai dicendo?Davvero pensi che fecondazione e parto avvengano per la medesima via?” disse. "Perchétu ne conosci un'altra?" risposi io altrettanto meravigliato. "Ma certo, ignorante che sei.Non sai ancora che il parto avviene di dietro?” Io sbottai: "Da quella parte ci sarai nato tu,stronzo che non sei altro!" Poi, con santa pazienza, mi misi a dimostrargli che è più faciletrovare il passaggio a nord-ovest che individuare una via di comunicazione tra l'utero el'intestino. Finalmente persuaso, mi raccomandò di non "sputtanarlo". Difatti non dico ilsuo nome.

Venne poi il terribile esame ad gradum, in cui, in due ore d'orologio, davanti a tutti iprofessori, venivi interrogato su tutto quello che avevi studiato in sette anni tra filosofia eteologia. A quell'esame dovevi prendere almeno otto, altrimenti ti sarebbe stata preclusa laprofessione solenne, e non saresti potuto entrare nel nucleo centrale della Compagnia diGesù, la "Intellighenzia" dell'Ordine. Saresti rimasto, pur sacerdote, nel grado dicoadiutore spirituale e, al massimo, saresti potuto diventare Superiore di una casa o di uncollegio. I Professi invece potevano diventare Provinciali o Generali. A me le cariche noninteressavano affatto, tuttavia vi confesso che quell'esame mi mise addosso una granpaura. Contraddizioni dell'animo umano. Dopo la prima ora, si prendeva il thè coi biscottiin compagnia degli esaminatori, poi iniziava il secondo round di un'altra ora. Ricordo unmio compagno, molto spiritoso, il quale, presa la Simpamina, disse: "Vedo chiaro che nonso niente". Fin dall'inizio gettò la spugna, ma non c‟era niente da fare: per due ore dovevasubire l'esame. Allora propose al Professori che lo fissavano: "Visto che dobbiamo perforza stare insieme, invece di prendere il thè, non potremmo fare un bel pranzo?”.

Neanche l'apostolino di cui sopra ce la fece. A me andò bene. Potevo diventare Generale, apatto però di riuscire a superare altri due esami, di diverso genere. Il professo dell'Ordine,infatti, doveva riuscire idoneo alla prova delle tre Esse, Santità, Scienza, Salute. La santità

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4141la mettevano al primo posto, per educazione, ma poi non aveva un peso eccessivo, provane sia che accettarono me e tanti altri lazzaroni di cui ho parlato e parlerò; la salute l'avevobuona, tanto che me l'avevano lodata alla visita militare "Buono per granatiere ebersagliere”. A proposito, sapete che a quella visita il mio Superiore voleva che io midisponessi col mantello da prete "super nudum?" Lo persuasi della orribile sconcezza dellascena successiva, cioè non esercitai l'ubbidienza di giudizio.

Insomma mi ammisero alla professione solenne. Col senno del poi, se fossi stato menoschivo del potere, non mi sarebbe convenuto apparire un po' più buono ed ubbidiente, ecosi, invece di finire alla Pietro Micca, afferrare il comando per cacciare, non col flagello,ma con la scopa, tanta immondizia, come vorrà fare Papa Luciani? Non sarei finito comelui, perché quella del veleno dei gesuiti è una pura fola, e poi perché non avevo dachiudere una banca, ma un semplice bordello. Ma le arti diplomatiche e politiche non sonoil mio forte: non sono così gesuita.

Il dieci aprile 1958 noi studenti eravamo andati in pullman a Napoli e Pompei. Pompeinaturalmente per noi voleva dire solo il Santuario, perché era impensabile che unostudente gesuita potesse contemplare gli orrori di quella città imbalsamata coi suoi vizi e isuoi lupanari. A quel tempi ancora si diceva che la giustizia di Dio si era servita dellavindice lava del Vesuvio per punire tante aberrazioni. Se fosse vero questo, quanta lava civorrebbe per coprire la miseria di noi cristiani,.che, dopo aver conosciuto Cristo fiagellatoe crocifisso, siamo certamente peggiori dei gaudenti pompelani? Almeno il loro serenovivere si è riflesso nell'arte, mentre la nostra licenziosità non produce nulla.

Al ritorno eravamo molto allegri, ma alle ventidue lo fui invaso da improvvisatristezza. Arrivato a Roma il Rettore Barbalato mi annunciò che mia madre era morta,proprio alle ventidue. Ricordo che il pover'uomo si frugò nelle tasche, mi dette tutti i suoisoldi e, "Và, corri" mi disse. Per via mi sembrò che il mondo mi fosse crollato addosso.Non c'era più l'angelo della mia vita. Mancavano tre mesi alla mia ordinazionesacerdotale. Mia madre aveva atteso quel giorno con ansia per tanti anni. Ed io non avevopotuto raccogliere neanche il suo ultimo respiro... Eppure ricordo che, sia pure con unosforzo immane, riuscii a rivolgere a Dio la preghiera di Sant'Agostino: "Signore, non tidomando perché mi hai tolto una simile creatura, ti ringrazio di avermela data".

Il giorno dopo avevo un esame al Vicariato, quello che garantiva la nostra conoscenzadella morale per udire le confessioni a Roma. Avevamo già superato durissimi esami dimorale alla Gregoriana col professor Húrth, "l'osso che pensa", come lo chiamavamo noi.Ma al Vicariato non bastavano: doveva esaminarci con domande veramente sciocche, cheper quel che riguarda l'abilitazione alla pratica del confessionale non servivanoassolutamente a nulla. Avendo davanti un sacerdote, ricordo che mi sfogai con lui dellaspada che avevo nel cuore, ma quello non mi degnò neppure di uno sguardo e iniziòl'interrogatorio. Immagino come confessasse bene a Roma quel tipo: di sicuro dainquisitore. Eppoi si meravigliano che la gente non vada volentieri a confessarsi. In granparte abbiamo dei burocrati senza cuore.

Fui ordinato sacerdote dal Cardinal Traglia, che da lungo tempo amava riservarsil'ordinazione dei gesuiti. Non fu una festa. Durante la mia prima messa all'altare disant'Ignazio, assistito dal caro amico Padre Gerardi, guardando nel calice il sangue diGesù, pensavo a Maria priva del Figlio, mentre lo ero privo della madre. C'era mia nonnastraziata, a ricevere la Comunione. Eppure sentivo che quello era il modo migliore di direla Messa. Non avevo cercato la mia soddisfazione, ma il bene delle anime. E queste siredimono nel dolore. Trafitta da una spada di dolore Maria è stata corredentrice delgenere umano. Parlo per quelli che soffrono e non ne capiscono il perché. Il perché ce lo

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42danno appunto Gesù e Maria, i due innocenti. Non hanno sofferto da masochisti, anzinaturalmente avversavano la sofferenza, ma l'hanno accettata per salvarci. Accettiamo peramore la nostra parte. Un giorno il Signore asciugherà ogni nostra lacrima. Intantooffriamogliele, come ho fatto lo, per il bene di tutta la sua Chiesa, perché la renda accetta alsuoi occhi. Non pensiamo solo a noi: sarà un grande conforto sapere che gioviamo ancheagli altri.

Un giorno venni a sapere che Paolo VI si sarebbe recato all'Università degli studi diRoma, per parlare agli studenti, al quali aveva sempre dimostrato un particolareattaccamento fin dalla sua gioventù. Dato che si trattava di un incontro impegnativo, civolli andare, e notai con soddisfazione che gli universitari, radunati nella loro Cappella,pur rispettosi verso il Papa, non trascendevano in acclamazioni scomposte. Il Papa disseuna cosa veramente importante, e cioè che i giovani dovevano coltivare non il dubbiosistematico, ma il dubbio metodico. Peccato che sia incorso il vecchio Pontefice in unlapsus linguae, ed abbia detto tutto il contrario. Ma avendo parlato a persone intelligentispero che tutti lo abbiano capito, anche se nessuno ne rise. Del resto tutti in Chiesaaccettarono con maturità e compostezza un altro inconveniente dovuto all'età delPontefice. Nel momento della Comunione Paolo VI, da una grande pisside d'oro dovevadistribuire le ostie da lui consacrate a noi sacerdoti aiutanti, perché le porgessimo ai fedelida pissidi più maneggevoli. Ma avendone prese, tra l'indice e il pollice, un gran numero amo' di colonnina, le ostie gli sgusciarono via e si sparsero sul messale, sull'altare e sultappeto. Fu un momento imbarazzante: ci dovemmo mettere carponi a raccogliere le sacreparticole. Ma neanche in questo frangente gli studenti risero. Il Papa - tornando a lui - siera appellato alla ragione, nella quale occorre aver fiducia, ma al tempo stesso ne indicavai limiti e il carattere discorsivo che permette le graduali, ma sicure conquiste, capaci didisporre alla fede. Mi piacque un tale appello alla ragione. Non mi consta che l'attualePontefice abbia fatto richiami alla ragione come presupposto della fede. Giovanni Paolo Ilparla del Cristo, parla perfino del demonio, ma non dimostra ad una società scristianizzataperché bisogna credere in Cristo. Gesù stesso diceva: "Non credete a me, credete alleScritture che vi parlano di me", appellandosi chiaramente alle profezie che si eranoavverate in lui e potevano convincere la ragione. Per accettare il soprannaturale rivelatonull'altro motivo c'è che un segno straordinario accertato, cioè un miracolo. E se i miracolisono più di uno, tanto meglio. L'avverarsi a puntino di tante dettagliate profezie non ècerto opera umana, e la ragione lo comprende, quella stessa ragione che, da sola, è capacedi dimostrare l'esistenza e la natura di Dio, l'immortalità dell'anima e la possibilità di unarivelazione divina.

Ho anche recitato, e svolto il ruolo di truccatore in teatro. Durante gli studi c'era un po'di tempo per metter su degli spettacoli. Naturalmente dovevano essere più che castigati erispettosi dei Superiori. E allora ci si divertiva. Una volta un mio confratello inpalcoscenico appariva da una finestra, il volto truccato da donna.

"Vieni giù" lo invitava un altro dabbasso."Non posso"."Perché?""Perché sono senza gonna. Il Rettore non vuole che me la metta".

Un'altra volta un gesuita si presentò sul palco per un monologo alla Petrolini, con unpaio di forbicioni da giardino. Siccome il Superiore gli aveva operato delle cancellature sul

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4343copione, recitò tutto il resto, dando in aria un gran colpo di forbici ad ogni censura. Matterisate in sala, perché si capiva tutto. Naturalmente l'attore passò guai.

Qualcuno recitava anche fuori del teatro. Un grassone si accostò al Padre GiacomoMartina, lo storico:

"Martina, nessuno ci vede, me lo dai un bacio?"E Padre Martina, stupefatto e inorridito:"Va' via, zozzone!”. Il grassone uscì di Compagnia. Spero non sia stato per questo. E' certo però che molta

gente-"viva" se ne è andata. E i troppo seri sono finiti al matti. Ma noi studenti cantavamopure:

Nella vecchia Compagnia, ia ia oh,chi era matto andava via, ia ia oh;ora invece resta un fatto, che chi è mattoSuperiore te lo fan".

Io trovo che l'umorismo sia uno sfogo grandissimo di molti guai,e sono certo che ancheGesù ne sorrida. Spesso una risata scaccia persino una tentazione. Una volta una ragazzinasi era innamorata di un mio confratello, molto molto simpatico, e glielo aveva detto, tuttaturbata. Allora quello: "Vediamo, si potrebbe combinare. Però, ti avverto, io di notte mettola papalina (perché sto perdendo i capelli), la panciera e la borsa calda, poi depongo ladentiera sul comodino, tossisco e sputo; nel sonno, russo forte, parlo e tiro calci, quandonon faccio il sonnambulo".

"Davvero tutte queste cose” domandò quella, spaventata. "Tutte no, ma tra qualche anno sì. Dà retta a me, sventatella, scegliti uno più giovane".E la fanciulla a ridere, liberata. Un Superiore, informato, avrebbe disposto ipso facto il

trasferimento.In una cappellina del matroneo del Gesù c'era un puttino, un angioletto di marmo, con

un perizoma di piombo dipinto di bianco, fattovi applicare da un Rettore zelante, moltotempo prima che Andreotti anelasse alla foglia di fico per le statue del Foro dei Marmi. UnFratello che non nomino si armò di cacciavite e, con la mia complicità (venni col gesso),riportò la statua al naturale. Sotto il perizonia trovammo anche un bacherozzo. Lo spoglionaturalmente fu notato e suscitò contrastanti commenti e reazioni. Chi poteva essere stato?Si ipotizzò che qualcuno, incurante dello scandalo, fosse andato a rivendersi il piombo.Invece non fu così. Se ancora non è stato trovato, il perizorna sta su una capriata del tetto,più o meno sopra la testa di Sant'Ignazio che va in cielo. Lo scherzo è bello quando durapoco. Ma oggi che sono state tolte le foglie alla "Cacciata di Adamo ed Eva" di Masaccio,voglio vedere chi avrà il coraggio di ricoprire l'angioletto. Ora penso che se un pizzico disemplicità e di naturalezza si fosse anticipato anche da noi, la Compagnia di Gesù nonsarebbe finita in mutande. Ma allora lo ero chiamato "il dilettante della vita religiosa".

Nella Compagnia di Gesù era possibile praticare anche degli sports. Fin da piccolo lamia passione era stata la bicicletta. A dieci anni, con lo zucchero in tasca, coprii, con miofratello maggiore, la distanza di quarantaquattro chilometri da Roma a Palombara Sabina.A venticinque, col mio carissimo Padre Antonio Cassanelli - che somiglia a Celentano, e,dopo essere stato ufficiale degli Alpini, è ora Cappellano all'Ospedale di Tivoli - dissi alPadre Ministro che andavamo a fare un giretto, e, da Cesena, con due biciclette da donna,senza un soldo in tasca, raggiungemmo Forli, Ravenna e Comacchio. Ritorno in serata.Prima di arrivare a casa, Antonio cadde in un fosso, non per la stanchezza, ma per la fame.Dovetti portargli da mangiare nel fosso medesimo.

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44Quella sera il Ministro Pes ci fece un gran rabbuffo:"Non avevate detto di voler fare un giretto? Per giretto si intende curvare a

Comacchio?"Aveva ragione da vendere. Eravamo colpevoli. Ma Padre Pes era anche Prefetto della

salute, ed una volta lo gli avevo confidato e affidato un inizio di emorroidi (sfido, stavamosempre fermi!), e lui mi aveva raccomandato di non prendere pepe.

"Ma lo non lo prendo mai!""Bravo, continui a non prenderlo".Capirete che quella cura non era sufficiente. Bisognava muoversi. Ho già detto che in

noviziato si praticava la palla a volo. I superiori avrebbero avuto un grandissimo piacereche noi avessimo giocato, come San Luigi Gonzaga, nostro perfetto modello, alle piastrelle.Non so se il Santo ci si divertisse tanto. E' certo che una volta, mentre vi giocava, glidomandarono:

"Luigi, che cosa fareste se in questo momento venisse un angelo a dirvi che state permorire?"

"Continuerei a giocare" rispose lui.Niente di meglio per approntarsi alla morte. Infatti - dico io - stava giocando non per

piacere suo, ma per ubbidienza. Noi, per far piacere al superiori, riuscimmo a giocarci unavolta sola.

In noviziato non c'era il calcio, forse perché non era praticabile con la veste, che non sipoteva togliere. In seguito la cosa fu possibile. Io fui apprezzato perché tiravonaturalmente di sinistro, ma presto fui cacciato a pedate: non mi ricordavo di avercambiato campo, e centravo la mia porta. Ma una scusante l'avevo: eravamo tutti ugualicome pinguini.

Si potè anche andare al mare, ma i primi tempi il Padre Generale Jansenss impose che,per decenza, si tenesse, come pudiche verginelle, il petto coperto (con la canottiera). Fuuna ubbidienza che ci costò molto, ma l'ordine cadde presto, perché si trovò che non erasalutare tenersi il torace bagnato sulla spiaggia.

Sport appassionante, ma molto duro, era la montagna. Ci portarono per la prima voltain Abruzzo, a Campo di Giove, una ricca vedova (Duval) aveva donato alla poveraCompagnia il castello, da aggiungere al palazzo Ricciardi.

I novizi accusavano tutti, me eccettuato, mal di testa per esaurimento nervoso, e iSuperiori dovettero chiedere in alto speciale permesso perché il noviziato potesse averevalidità fuori della casa religiosa. Anche a me si dovette concedere la vacanza, altrimentinon sarebbe stato valido il mio noviziato, lontano dalla comunità religiosa. Ma guardadove va a ficcarsi il giuridismo ecclesiastico.

Ci caricarono tutti su di un camion che andava a trenta all'ora. Io avevo i piedi in unvaso da notte, e arrivai tutto bianco per la polvere della strada, allora non ancora asfaltata,perché mi avevano messo in pizzo al camion. I villici ci salutavano col "cra-cra" dei corvi.

La cura per il mal di testa era singolare. Levata alle due del mattino e ascensione dellaMaiella alla luce delle torce elettriche, per giungere al piano di 'Femmina morta- al sorgeredel sole dall'Adriatico. La veste non si poteva togliere, solo femmineamente sollevare untantino con la mano sinistra, perché il piè che saliva non inciampasse. Sembravamo tanteanime nere ammutolite, condannate a risparmiare il fiato per ascendere la montagna delPurgatorio. Col sole, si proseguiva per la cima del Monte Amaro. "Pure l'uno e l'altro marese vedea da quell'altezza". Goduria inaudita era la grattachecca ("vellica, Francisca", comeosavamo dire noi) con la neve e la marmellata. Per la salita impiegavamo sei ore; per la

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4545discesa, a precipizio lungo i ghiaioni, diciotto minuti. Demolivamo la montagna. Con laneve si discendeva ancora più presto. Non avevamo sei, ma strumenti avveniristici.

Avveniristici dovettero sembrare al paesani i cassoni dell'acqua che si installarono nellenostre case. "Come fate a lavarvi cosi in alto?" domandavano stupiti. Loro, a quel tempi,non avevano neppure il water: andavano sulla collina. Ora Campo di Giove è un postoraffinato.

Dopo anni (pensate che già Pio XI saliva in calzoni) ci si potè togliere la veste. Non socome avrei potuto fare altrimenti a discendere per ubbidienza, a corda fissa, lungo laparete del Gran Sasso. Arrivato in fondo, con le mani lacerate dalle sfilacciature rugginosedel ferro, contemplai agghiacciato le croci di quelli che vi erano precipitati. Ecco dove va acacciarsi l'ubbidienza. Eppure bisognava ubbidire al capocordata, che per l'occasione ciaveva sciolto dalla corda!

Un bel giorno venne in mente al Superiori di darci un istruttore di educazione fisica, comeci avevano dato un professore di dizione della Rai per l'oratoria. Naturalmente dovevamoubbidire a lui, come a Dio. Quello cominciò con l'imporre di darci pugni in faccia.

Ma la cosa più bella fu vedere tutti i Superiori riuniti a convegno a Villa Cavalletticorrere in fila dietro al Padre Generale, il quale aveva aderito entusiasticamente al programmadi un fine psicologo d'avanguardia, che si proponeva, attraverso quello scarpinamento, di fargiungere la "intellighenzia" dell'Ordine a una perfetta unità di intenti. Non diversamentegerarchi e gerarchetti avevano galoppato sulle orme dell'instancabile Duce. Si vedrà poi aquale mirabile unità di intenti condurrà la Compagnia il genio di Arrupe.

Un giorno di trent'anni fa i gesuiti aprirono il campo del Collegio di Moridragone pureai massimi politici democristiani che erano venuti a confabulare. Fu una partita da crepardal ridere. C'erano tutti. Ricordo che urlai ad Andreotti, che stava facendo letteralmentepena: "Se mandate l'Italia come 'sto pallone, poveri noi”. E l'Italia non l'hanno mandatamolto diversamente.

I gesuiti hanno un particolare riguardo per lo studio delle scienze. E nel tempo imparaiad apprezzare sempre più, questo. Qual è, infatti, il problema di oggi che offusca la verità?Non è solo l‟incomprensione fra Scienza e Fede, ma la crisi stessa della Scienza che, a esempio,riguardo all‟origine dell‟uomo, è divisa in due correnti di pensiero diametralmente opposte edinconciliabili: l‟evoluzionismo e il creazionismo. Sono inconciliabili perché, pur dicendoentrambe alcune verità, ciascuna delle due ha dei limiti negli stessi suoi presupposti, limitiche entrambe non sono in grado di superare. L‟evoluzionismo, credendo di aver trovato lachiave dell‟evoluzione nel „caso‟, sul quale poi interverrebbero dei fattori successivi comel‟ambiente e la selezione, si è insabbiato da solo quando non può spiegare come si passidalla materia al pensiero o come si formino organi complessi come l‟occhio e così via; ilcreazionismo, d‟altro canto, resta incompreso quando si ostina a prendere alla letteraespressioni della Bibbia che invece vanno lette con profondo rispetto perché contengonosapienti significati allegorici.

Per cui la scienza, privata di un‟etica superiore che non fa più riferimento al legittimo Creatore,si comporta in modo selvaggio compromettendo la vita stessa del pianeta e con essa quelladell‟umanità. Tuttavia queste correnti hanno dei meriti: gli evoluzionisti hanno messo inevidenza la scala biologica delle specie, mentre i creazionisti ridanno a Dio il Suo ruolo diCreatore e di legittimo Signore della vita.

Papa Giovanni Paolo II dichiarò che non vi è alcun problema per la Chiesa convenireche esiste „un continuo‟ fra tutte le specie dalle cellule primordiali all‟uomo, purché Diomantenga il Suo ruolo di diretto Creatore.

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46L‟amore di Gesù

Sono certo che a molti uomini di Chiesa non garberà la mia affermazione che dellaChiesa medesima fanno parte in qualche modo anche gli eretici e gli atei. Eppure, chipotrebbe negare che Cristo accolga nella sua Società anche il Samaritano, l'eretico pereccellenza per un vero Giudeo ortodosso? Anzi il Samaritano ha in essa un posto diprestigio, mentre il Signore ha a schifo i Sacerdoti e i leviti, seguaci a puntino del credoreligioso. Addirittura viene esaltata la semplice compassione umana, non si richiede lacarità teologale. Di contro al sacerdote che, visto il ferito, passa oltre, l'eretico si muove acompassione e soccorre il malcapitato. Non ha la Chiesa, per secoli, disprezzato lafilantropia, come nemica della carità cristiana? Ma i preti gelidi finiscono per perdere conla compassione anche la vera carità di Cristo. E la fede senza le opere è morta. Mentre "chi

fa la verità viene alla luce".Quando l'ateo Guido Graziosi, impresario del teatro San Carlo di Napoli, mi regalò una

bicicletta, i miei dieci anni conseguirono una gioia indescrivibile, ed io concepii unagrande riconoscenza per quel generoso amico di mio padre. Da grande parlavo di fede conlui, che mi diceva: "Beato te che credi; io non ci riesco". Ma soccorreva i poveri: non potevaammettere la sofferenza. Pregava per lui sua moglie Bianca Galizia, prima ballerina delSan Carlo, e coreografa, molto credente. Una settimana prima di morire, Graziosi chiese diaddormentarsi nella pace di Cristo. Gli furono amministrati i sacramenti, e ne fu felice.

Vengano ora i luminari, gli accademisti e accademici della Religione a dire che fuoridella Chiesa non vi è salvezza.

Non rimane loro che concludere che chi ama entra a buon diritto nella Chiesa. Il giornodel giudizio Cristo chiamerà alla gioia eterna i suoi eletti: "Venite, benedetti dal Padre mio,venite a prendere possesso del Regno, perché avevo fame e mi avete dato da mangiare,avevo sete e mi avete dato da bere, ero infermo e carcerato e mi avete visitato, ero ignudo emi avete vestito". E quelli - badate bene - diranno "Quando mai Signore ti abbiamoveduto?". Dunque, anche chi non conosce Gesù, ma fa il bene, avrà la Vita. E' vero cheGesù ha anche detto: "Chi crederà sarà salvo", ma la fede per essere fede esige le opere.Anche il demonio crede, ma la sua è fede che odia. La vera fede soprannaturale includel'amore, almeno un po'. E chi ama veramente si dispone egregiamente alla fede. Alloraperché dobbiamo mantenere la chiusura nel riguardi dei Massoni, che tanto si prodigano a

favore del prossimo?Ricordo di aver letto, negli anni andati, di un Monsignore che, dopo aver investito con

la sua auto un contadino e gettatolo fuori strada, senza curarsi di soccorrerlo, né di vedereche cosa era successo, era fuggito a precipizio con la macchina stessa. Tra l'altro aveva unagran fretta, dovendo tenere una importante conferenza in una città vicina. Ma la suamacchina ammaccata fu individuata e ritrovata dalla polizia: era parcheggiata davantiall'edificio dove si teneva la suddetta conferenza. 1 poliziotti attesero che il Monsignorefinisse un alato discorso sulla carità cristiana, e l'arrestarono. Certe cose lo non potrei farle,non solo per motivi morali, ma perché mi sentirei male. Badate, non sono un eroe, anzisono piuttosto un fifone, ma sento nella mia carne la sofferenza altrui. Una volta, tanti anni

fa, in un rettifilo che conduce a Senigallia, scorsi a terra un uomo travolto con la suabicicletta, Mi fermai: era appunto un contadino, tutto insanguinato. Sapevo benissimo cheavrebbero potuto dare la colpa a me, o almeno incriminarmi perché, non essendo un

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4747medico, avevo osato rimuoverlo di mia iniziativa. Ma quello soffriva, e ci sarebbe volutotroppo tempo per correre a chiedere soccorso in ospedale, mentre quelle ferite mostravanodi sanguinare da tempo. E non passava nessuno (il boom delle auto era ancora in menteDel). Da bravo scout fermai il sangue alla meglio, e deposi il contadino in macchina.All'ospedale di Senigallia, come temevo, la polizia mi fece un mucchio di domande e stavaper prendersela con me. Ma Dio è grande. Quel poveretto, riavutosi, dichiarò che non erolo l'investitore, e mi ringraziò davanti a tutti. Pensate che avrebbe potuto agevolmenteaccusarmi per lucrare il risarcimento che diversamente non gli avrebbe corrispostonessuno. E in fondo c'era l'assicurazione (che allora non era ancora obbligatoria, ma che ipreti - i Gesuiti in particolare - non mancavano di fare: ci sarebbe stato troppo da perdere).Non fece imbrogli il mio buon villico: anche se aveva i piedi talmente sporchi da suggerirel'impiego della carta smerigliata, quell'uomo era pulito dentro, il che è l'essenziale. Oh, se inostri pezzi-grossi fossero sporchi cosi! Oh, se i nostri parenti...

Agli inizi di novembre del '66 corsi con un nutrito gruppo di Rovers a dare una mano aFirenze sommersa dall'Arno. I miei giovani furono subito impiegati nei soccorsi, ma io fuiescluso perché non ero giovane come loro. Fui però reputato idoneo a sciacquare con unapompa gli stivali di chi usciva dalle cantine. Mi bastò. Era il mio bacio a Firenze.

Un Padre venuto dalla Sicilia ci fece sapere che i Gesuiti della sua città erano in buonaarmonia con la mafia. I capi di questa erano spesso invitati a pranzo (cosa riservata inCompagnia al notabili), ed essendo molto devoti, partecipavano compunti alla penitenzadel baciapiedi. Era curioso vederli inchinati, perché dalle giacche spuntavano fuori lelunghe canne delle pistole. Ed essi erano molto grati di tanta fraternità. Una volta che ilSuperiore - è sempre il racconto di quel Padre - si trovò in difficoltà con un proprietarioterriero, gli dissero senza mezzi termini: "Lo stutamo?" (cioè "lo spegniamo, louccidiamo?"). Ma il Superiore, pieno di carità cristiana, rispose che era troppo. Questo favedere, tra l'altro, che la Compagnia coinvolge nell'ubbidienza perfino i laici potenti, chechiedono il suo permesso per agire. Che cosa sarebbe successo se quel capi avessero fattocome me, che tante volte agivo di mia privata iniziativa? Quale insegnamento edincitamento ad ubbidire sempre! Abituato com'ero agli studi, e soprattutto formatodall'ora di meditazione del mattino, trassi dall'episodio quest'altra riflessione. Dovevoassolutamente moderare i miei trasporti (il P. Spirituale Cannella mi diceva che perfinoGondrand dovette pentirsene in punto di morte), e imparare da quel Superiore prudenteche "est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistererectum-, cioè che in ogni agire c'è una misura, che esistono dei termini, al di qua e al di làdei quali non può trovarsi la retta ragione. Infatti quel Superiore insinuò in quelle mentirozze e violente la possibilità di un accomodamento, di una alternativa, di un - come sidice oggi in politica con termine felice - compromesso. Difatti, senza arrivare all'omicidio,bastava una buona paura. Di questi compromessi i Superiori religiosi sono maestri, disicuro fin dal tempo del Manzoni, anzi fin dal tempo di cui trattava il Manzoni. C'è anzi dapensare che questa saggia pratica fosse in uso fin da prima, da quel poco che mi ricordodella storia. Ma mi sembra che si presentasse sotto altro nome, più solenne, che ora -stranamente ritorna. Aveva ragione il Vico assicurandoci dei corsi e ricorsi della storia.Debbo però dire che io - sono senz'altro un testone -, pur vedendo teoricamente l'indubbiautilità di questa pratica, non riesco mai ad applicarla. E per quanto a scuola lo dica sempre"non è mai troppo tardi", dubito seriamente che io possa mai arrivare a correggermi. E dilà i compromessi, i patti, i concordati non si trovano. Non so se ci si trovino quelli che lihanno fatti. Spero di sì perché il buon Dio può perdonare tutto, anche a quel mioSuperiore Maffeo che dalla sua scrivania mi esortava ad essere più accomodante, se non

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48volevo fare una brutta fine. Gli indicai il grande Crocifisso d'avorio che gli pendevadinanzi e dissi: "Neanche Lui avrebbe fatto quella brutta fine, se avesse saputo essere piùaccomodante". Non rispose. Ma dopo un istante notò: "E' ora delle litanie".

Con ciò non mi permetto di dire che non si debbano ricercare vie di mezzo peraccordare gli uomini tra loro. Oh, di questi accordi ne ho fatti tanti davvero: sono arrivatoperfino a farmi baciare dall'una e dall'altra parte. Dico che c'è un solo accordo che non sideve mai accettare: quello con la coscienza.

C'era a Galloro un contadino di nome Olivo, che mi faceva tanta tenerezza. Quel nomelo dipingeva com'era: una vecchia pianta tutta storta e gibbosa che continuava a dare i suoifrutti in silenzio. Era sempre solo a trascinare sull'omero tormentato grosse fascine epacchi di foraggio per le mucche, senza mai un lamento. La domenica si vestiva a festa eandava alla Messa in Santuario, mettendosi in fondo alla Chiesa. Tutti lo scansavanoperché emanava odor di stalla e non sapeva di che parlare. Quando incontrava unsuperiore - e chi non considerava superiore? - sforzava quella povera schiena di cireneo apiegarsi ancora. Conduceva in pace quella vita così comune alle bestie che governava. Ungiorno lo mandarono via perché era troppo vecchio. Dovette lasciare la cameretta angustache i preti gli avevano assegnato, probabilmente senza neanche una pensione, perchéallora non usava. "E adesso dove vado lo?" furono le uniche parole che gli sentii dire,mentre due lacrime gli rigavano il volto bruciato dal sole e solcato dalla fatica. Dopoqualche tempo seppi che era morto. Dove? Chissà. Ma se quella dolce pianta non si èradicata in Paradiso, chi mai può sperare di andarvi?

Oggi, chi ha cacciato Olivo si vanta di assistere gli immigrati di colore e gli anziani. LaChiesa frascheggia coi tempi.

"Avvocato delle cause perse" ero chiamato io, quando spendevo una parola perintercedere o intervenire in casi dolorosi come quello. I Superiori sanno quello che fanno,ed hanno la grazia di stato per prendere decisioni. Soprattutto devono il posto alla lorogenialità. E Padre Bachelet, divenuto Economo generale della Provincia Romana dellaCompagnia, aveva ideato un vasto piano per la sistemazione di tutti i vecchi Padri in ungrande cronicario, con sede a Galloro. Così le spese si sarebbero ridotte notevolmente. Infondo è lo stesso criterio che spinge le famiglie a liberarsi dei vecchi. Utilità. Ma a me quel"cimitero degli elefanti" non piaceva proprio, e oltretutto mi sembrava contrario a criteriutilitari di marca superiore. La permanenza di un Padre anziano nella casa dove halavorato continua ad essere utile per il consiglio e l'esperienza di lui, per attività spiritualiche non richiedano fatica fisica, per l'esempio al giovani, dalla cui vigorosa attività ilvecchio trae, a sua volta, conforto e stimolo alla preghiera. Il "De senectute" di Cicerone hainsegnato poco ai gesuiti: il cronicarlo si fece.

Un vecchio Padre, che aveva avuto una attività meravigliosa finché era stato in forze,soffriva di insonnia. I suoi nervi, sottoposti per anni a tensioni drammatiche in situazionied ambienti proibitivi, non avevano che misere possibilità di recupero: erano come queglielastici allentati che possono solo spezzarsi. Solo al mattino gli veniva un dolce sonnoristoratore: ma doveva subito interromperlo per il suono del campanello che lo chiamavaalla celebrazione della Messa. A questa non voleva certo rinunciare. Avrebbe potuto dirlaanche più tardi, ma il guaio era che a quei tempi era ancora obbligatoria la presenza di unassistente, e nessuno era disposto a fornirla, o non poteva. lo potevo benissimo, perchénella tarda mattinata avevo una interruzione di lezioni. Era una grande gioia per meservire a quel Padre che tanto aveva meritato, e lui mi era prodigo delle sue esperienze edei suoi consigli, avendo riacquistato possibilità di concentrazione. "Pensa, dormo cosìbene al mattino che non sento neanche più il campanello del corridoio”. Ma questo

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4949dipendeva probabilmente dal fatto che lo mi ero arrampicato furtivamente per attenuarneil suono. Era una colpa per un religioso, privo di permesso del Superiore. Ed io ne eroconsapevole, perché ero convinto che non l'avrei potuto avere. E non mi sono neppurepentito.

Sacerdote, mi detti con entusiasmo alla amministrazione dei sacramenti, specialmentedi quelli della penitenza e della Eucarestia. Di battesimi e di matrimoni me ne capitavanopochi, meno ancora di estreme unzioni. Venivo giusto chiamato da parenti ed amici. Ilsacramento più urgente per me era quello della penitenza, perché l'essenziale è rimetterela gente in grazia di Dio. Ma era arduo stare ore ed ore in chiese gelide, chiuso inconfessionale.

Altro compito da eseguire era quello della predicazione. Era particolarmente faticoso,anche fisicamente, perché molto spesso, nelle chiese dove andavo io, mancavano imicrofoni. Non vi dico quando mi toccava parlare agli operai sotto un capannone. Ma erafruttuoso. Si vedeva dal numero delle confessioni. Erano un po' rozze, ma sincere.

"Eh, Padre, la pazienza l'è come la piscia: quando la scappa, la scappa. Ma ,via, vedròdi trattenermi di più!";

"Bestemmiato? Be', lo stretto necessario"."Ho fatto qualche scappatella, ma a mia moglie voglio sempre bene, perbacco." "E se lo

facesse lei?”. "Ma che dice, io sono un uomo!"."Non tanto”. E poi tutti quel vocioni a cantare in coro, per la Comunione:

“O Gesù, se un giorno tu ritorni, vieni a nascere nell'officina:sopra un maglio la culla divinati riscaldi il calore dei forni.Vieni, torna buon Signore,

 per la nuova redenzione forgerai nel nostro cuoreuna croce di Passione,la tua croce.Neri t' volti a te saranno intornocoronati dal loro soffrire;

 pur le macchine mute quel giornole fatiche vorranno offrire"

Era laborioso anche preparare un discorso, perché non si poteva aprir bocca e dare

fiato, come faceva un Padre affetto da logorrea, il quale sosteneva: "Potrà mancarmi ilpensiero, ma la parola mai- (via, era sempre migliore di certi politici, che non hannoneppure quella). Mi aveva colpito in proposito l'avvertimento di un vegliardo gesuita, ilquale attendeva in sacrestia, tutto parato per la benedizione, mentre in chiesa la predicanon finiva mai: "Senti? Non riesce ad atterrare, perché non trova la conclusione. Quandotoccherà a te, ricordati di prepararti".

Un giorno il Superiore di Firenze mi mandò a Prato a predicare gli Esercizi spirituali ailavoratori della lana. Il Vescovo era Monsignor Fiordelli, quello che destò clamore, annidopo, per avere dichiarato pubblici peccatori e concubini due cristiani che si erano sposatiin Comune. Fiordelli era in realtà umanissimo. Aveva un elevato concetto del matrimonio,

e dichiarava di nutrire gran rispetto per l'uomo che porta volentieri la fede al dito.Sentendolo parlare con tanto calore dell'amore tra gli sposi, cominciai a pensare: "Ma se ilmatrimonio è tanto grande per la Chiesa, perché lo si vieta al sacerdoti secolari?".

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50Mi trovai a mio agio a Prato. Una cosa che mi lasciò perplesso fu il famoso Cingolo

della Madonna, di evidente fattura barocca, ma, non avendo lo toccato l'argomento, mivollero bene tutti, padroni e dipendenti, che lavoravano d'amore e d'accordo. E' unameraviglia vedere quali tessuti sanno tirar fuori i Pratesi dagli stracci di lana. C'è chiarriccia il naso. Perché, la pecora è più pulita?

Fiordelli volle ringraziarmi tangibilmente. Mi portò in libreria, s'arrampicò agilmente,lui lungo lungo, fino all'ultimo piano di uno scaffale, e calò giù in cassetta dieci volumi diBibbia. lo non volevo accettarla, ma non ci fu verso. Tra l'altro non sapevo come portare aFirenze quel fardello, perché avevo una moto senza portabagagli. Fiordelli me lo misesulle spalle, nel sacco.

Quella Bibbia mi fu utile. Nel commento della Prima al Corinti, i Gesuiti del PontificioIstituto Biblico negavano a spada tratta che Paolo parlasse di mogli degli Apostoli. La cosami incuriosì e allora andai a controllare l'originale greco, coi risultati che esporrò.

A lode dei gesuiti devo dire che hanno avuto il coraggio di ribadire concretemente lagratuità dei ministeri voluta da Sant'Ignazio. Al termine di ogni corso di predicazione civeniva fatto obbligo di significare al Parroci che loro non avevano alcun dovere di"pagarci”. Al massimo potevano farci un'elemosina. Ricordo che un Parroco riaprisoddisfatto la grossa busta che mi stava dando, e vi lasciò pochi spiccioli.

Ma il Superiore di Firenze, Ganzi, ci rimproverava se arrivavamo tardi al pranzo (dalquale aveva bandito il pepe, quale afrodisiaco).

Generalmente efficaci riuscivano i colloqui occasionali. Si era al tempo in cui gliattivisti comunisti erano scomunicati, quali diffusori del verbo materialista di Marx. Maperché la Chiesa aveva tanta paura del marxismo? Non era molto peggio l'idealismo cheaveva prodotto, non solo il fascismo, ma addirittura il nazismo?

Ricordo che Padre Rotondi ci aveva riferito di una conversazione colta tra duecontadini in treno:

"Va bene che Dio non esista, perché lo ha detto Marx. Ma che la Madonna non esista,via, sarebbe un po' troppo ... !"

"Hai ragione, compagno": diceva l'altro "la Madonna dev'esserci per forza. Sennòpoveri noi!".

E Rotondi si inserì in quel varco così patente, così irrazionale, ma così umano.A me, in treno, in quel di Romagna, capitarono due che cominciarono a stuzzicarmi

sulla religione, dichiarando apertamente di non credere. lo sono convinto che il vero ateotace. Difatti noi non andiamo a stuzzicare nessuno per dirgli che non crediamo alla Befana.Perciò con calma dissi la mia, appellandomi solo alla ragione. Scesi tutti insieme allastazione di Cesena, uno dei due torna indietro e mi domanda:

"Dove potrei mandare a studiare i miei figli, perché non vengano su con le mie ideebalorde?

"Buona intenzione. E l'altro?""Mi ha spinto lui".Incontro una madre, con una figlia poco più che bambina. "Padre, mi aiuti lei, questa

svergognata va a letto con tutti".Mi rivolsi alla ragazza: sorrideva come se nulla fosse. "Mi dici che ti succede?"Ho bisogno di qualcuno che mi voglia bene"."Te ne vorrò io, sul serio"."Allora non lo farò più".E mantenne.

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5151Particolarmente scaltriti e preparati bisognava essere quando si predicavano gli

esercizi spirituali alle suore. Molte di esse sono assai colte. Ma hanno anche un loro gergoche varia da convento a convento.

Una volta un mio compagno commise una gaffe. Disse a delle novizie che nel giudicaredovevano stare molto attente. Era desiderabile in loro un criterio molto ampio, anche se ilpiù ampio di tutte spettava indubbiamente alla superiora. Le novizie scoppiarono a ridere.Nel loro decentissimo gergo chiamavano "criterio" il didietro.

Una suora laureata in filosofia, dopo le prediche, veniva a parlare con me, inconfessionale, di problemi intellettuali. Dopo un po' la superiora, che aveva fatto appenala quinta elementare, le proibì questi colloqui, perché noi due eravamo troppo giovani. Lasuora me lo fece sapere, chiedendomi aiuto. Affrontai allora la beghina, senza mezzitermini: "Vuole che lo faccia sapere al Vescovo che lei sta impedendo a una suora diparlare con un sacerdote di sua scelta?"

"No, no, per carità, gliela mando anche a casa sua...""Non serve, ma potrebbe benissimo toglierle la tortura della grata e dello stare in

ginocchio così a lungo, dato che parliamo di filosofia".Ci credereste? Ottenni tutto.Ho confessato anche negli ospedali, in tante città. "Vieni qui, ché mi confesso, bel

figliuolo”, mi disse una vecchina sdentata. Inciampai nel pitale. "Da dove vuoi checominci, da quando ero giovane e bella?".

"Nonnina, siamo seri ... Non si scherza coi Sacramenti".Si confessò con serietà. Alla fine: "Però ripeto che sei bello. E anche buono. Dio ti

benedica". Mi piacque pensare che quella vecchina sarebbe tornata giovane e bella pertutta l'eternità. Come si fa a non crederci, vedendo come lo spirito di un'anziana siasempre vivo e desideroso di vivere felice? Questo è un argomento moderno perdimostrare razionalmente l'esistenza di Dio. Ed lo l'esposi con successo ai miei esami diteologia metafisica alla Gregoriana. Il Padre Arnou, francese, gongolava, perché era dallamia parte. Avversario era invece lo spagnolo, Padre Goenaga. Si misero a litigare tra loro,ed lo ci presi un bel voto, perché il resto della commissione esaminatrice era d'accordo conme. Perché anche voi siate d'accordo, e gioiosi fin da adesso, argomento così, per non farlatroppo lunga. L'uomo è, per natura, desideroso di felicità. Ogni altro essere senziente innatura cerca l'appagamento dei propri istinti ed impulsi, ed una volta saziato si placa.L'uomo no. In ogni oggetto, in ogni meta che si propone di raggiungere, si incontra e siscontra col limite. Perfino Michelangelo, si dice, scagliò il martello contro il suo bel Mosè,gridando: "Perché non parli?". Chi cerca il denaro, ne vuole sempre di più; chi cerca laconoscenza, non si ferma mai; chi ama il prossimo, vuole prodigarsi fin oltre le sue forzeper soccorrerlo. Là dove l'intelletto vede il limite, il desiderio non si placa. Questo perchél'intelletto è infinito nelle sue possibilità di indagine. In se stesso possiamo paragonarlo alfari di una macchina: arrivano fino a un certo punto. Ma la macchina può muoversi, eallora la possibilità di visione non ha più limite. Tal è la natura razionale dell'uomo, e lanatura non si cambia, né manca ai suoi fini, e neanche nel suoi mezzi.

Supponiamo che qualcuno ci abbia regalato un magnifico animale esotico. Alla nostradomanda sul tipo di cibo da dargli, non ci si può rispondere che quel cibo non esiste. Nonesisterebbe quell'animale. La natura fallirebbe. Così la naturale capacità dell'uomo diricercare l'infinito, e il naturale appetito dell'infinito, senza il quale l'uomo non raggiungela felicità che è la naturale sua meta, ci dimostrano che debba esistere l'oggetto infinitodelle nostre brame, cioè l'Essere Perfetto, il quale deve rivelarsi infinitamente intelligente,

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52bello, buono, amante, onnipotente, onnisciente, eterno, immenso, ecc., pena l'assurditàmetafisica della natura razionale.

Non è un ragionamento astratto, tipo l'argomento ontologico (in cui non credo perchédal logico al reale non c'è transito), è un argomento concreto, perché parte dal fatto egiunge alla causa. E' dunque un argomento scientifico, perché la filosofia è scienza dellecause prime. Se non sono stato esauriente, domandatemi pure. Lo spazio è tiranno, finchéè spazio, ma l'intelletto appunto va oltre lo spazio. Tutto torna.

Qualche tempo fa sulla metropolitana un tizio mi guardava insistentemente. Loriconobbi. Era uno che avevo conosciuto in carcere. Ad un certo punto mi si avvicinò: "Miriconosci?- chiese. "Sicuro" feci io. "Ma aspetta", proseguì "dove ci siamo visti?". Gli risposi:"Dev'essere stato a Regina Coeli. Sai, ci ero abbonato". Divertito rispose, come a un vecchioamico: "Anch'io". ','Aiutavo infatti ogni tanto il cappellano facendo il confessore deicarcerati e giravo per i diversi bracci. Qualche volta mi assegnavano una cella dovericevere i clienti. Confesso che, solo, davanti a certi tipi, ho pensato: questo mi dà unabotta in testa e se ne esce vestito da prete. Ma ho scacciato il pensiero veramente cattivo.La prima volta rimasi compiaciuto nel vedere in bell'ordine tanti quadretti a colori dispostilungo le pareti della cella, sette di qua e sette di là. Pensai subito che fossero le Stazionidella Via Crucis, poste a consacrare alla Penitenza quel luogo di dolore. Le immaginiservivano invece di consolazione agli impenitenti inquilini, temporaneamente assenti:presentavano Brigitte Bardot in quattordici posizioni. Dovetti adattarmi. Non si adattòforse il gesuita Messori Roncaglia a dir Messa sotto la torretta di un sommergibile, sullaquale era dipinto lo scaramantico fondo-schiena di donna?

I miei penitenti erano quasi tutti innocenti. Dico sul serio, poiché si confessavano tuttele settimane, e c'era ben poco da commettere durante una settimana di carcere. E quelloche avevano fatto prima? Non ero tenuto a domandarlo io, né loro a dirmelo, dal momentoche lo stesso buon Dio se n'era dimenticato: "Fossero pure i vostri peccati rossi come laporpora, lo li renderò bianchi come la neve". C'è tanta gente che si lamenta perché è statatormentata in confessione da interrogatori fuori luogo, e non va più a confessarsi. Ilsacerdote deve essere discreto, non ripetere a memoria lo schema dei manuali, deveintuire, lasciar parlare, senza però indulgere alle descrizioni da cinematografo, soprattuttoaccertarsi della sincerità del pentimento, che traspare da tante cose. E se qualche peccato siperde, nessuna paura. Il Signore assolve tutto. Quello che è bellissimo, è il fatto che si toccacon mano: il penitente "ex attrito fit contritus”, cioè passa, in virtù del Sacramento, dallasemplice attrizione (pentimento per il timore dei giusti castighi di Dio), alla contrizione,cioè al pentimento per amore, che lo fa disposto a pagare la pena. "L'atto di dolore non melo ricordo- mi disse uno. "Non fa niente" risposi: "Vorresti rifare quello che mi hai detto?""Me possin'ammazzà se lo rifaccio". 'Io ti assolvo dal tuoi peccati". Sfido chiunque a negareche Dio accetti un simile rito, anzi lo ho un conto personale contro la confessione degliorientali (pure cattolici), che ha un rito lunghissimo. Penso che il confessore sia come ilwater: tutti ne hanno bisogno, ma nessuno lo vuole accanto, più del dovuto. Figuratevi seè pure un rompiscatole.

Anche la penitenza da compiere dev'essere possibile. Non si danno sfilze di rosari e discale sante, specialmente agli uomini. Non eseguiranno e non si confesseranno più. lofacevo cosi. Quando c'era bisogno di una buona penitenza, alla quale il cliente non eraavvezzo, facevo ampio sconto, e il resto ce lo mettevo io. Potevo farlo: non ha pagato forseGesù per me? E se ci fossi stato io, invece di quel poveretto, nel suo ambiente, con la suapoca educazione, le sue occasioni, le sue motivazioni, non sarei stato io peggiore di lui? Misottoposero una volta ad un test psicologico: ero per natura un mandrillo porcoide, con

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5353forte inclinazione al crimine. E Orazio diceva "Naturam expelles furca, tamen usquerecurret”. Cioè, la natura puoi cacciarla fin col forcone, ma non c'è niente da fare: riciccia sempre.

Da piccolo ero stato al Santuario di Pompei. Mi accostai al confessionale: "Siete maschioo femmina? Che cosa vi rimorde la coscienza?” tuonò il frate confessore. Risposi alla primadomanda: "Sono maschio". "E se siete maschio perché non venite davanti?" urlò quelloirritato. Dovetti inginocchiarmi davanti alla sua pancia immensa, che faceva da ostacolo eda "terra di nessuno” tra le sue orecchie e i miei peccati, che dovetti lanciargli gridando.  

Risultati meno immediati, ma senz'altro più profondi e duraturi, si ottengono conl'insegnamento scolastico, in cui deve cimentarsi in modo particolare la carità del gesuita.Ebbi l‟ avventura di insegnare non solo religione, ma anche filosofia e lettere (al Leonianodi Anagni "alta latinità"). Nel mio lavoro tenni sempre presente la diversa didattica dei sacerdotiche avevo avuto a Ragioneria, la prima per escluderla, la seconda per cercare di imitarla.

Don Saraca - così lo chiamavamo - era un prete miope, triste e segaligno, che volevafarci digerire “le processioni della Trinità Santissima". Ci parlava o meglio, tentava diparlare - di come il Figlio è generato dal Padre, e lo Spirito Santo procede dal Padre e dalFiglio, materia di per sé interessantissima, perché rappresenta il massimo risultato dellafilosofia e della teologia insieme unite, ma non certo adatta alle menti di studentelli diragioneria. Oltretutto Don Saraca procedeva in modo cosi noioso e libresco che nessuno lostava a sentire, anzi la lezione si risolveva in una cagnara indescrivibile, quando non siconcludeva con l'uscita tumultuosa, dovuta alla simulazione di sirena di allarme aereo,ululata dagli ultimi banchi. Il povero prete dovette gettare la spugna. Ma chi lo avevamandato ad insegnare?

Arrivò allora Don Leone, un siciliano piccolo e nero, il quale, entrato in classe, detteun'occhiata all'ambiente, che era stato ricavato dallo sconfinamento della scuola nelpalazzo attiguo, ed aveva ancora la carta da parati.

"In quest'aula", esordì "in cui ci apprestiamo a spezzare il pane della scienza, ben altropane si spezzava ai tempi in cui si usava mangiare. Perché questa, Signori miei, eraindubitabilmente una sala da pranzo. Ma questa funzione ormai appartiene al passato.Oggi - saluto al Duce - essa è abolita. Guardate questa mia borsa. Essa vi sembra vuota, mac'è il mio pranzo. Perché ridete? Mangiate voi altrimenti che con la tessera? Siete allora deivolgari pescicani che speculano sulla guerra. Io seguo invece l'esempio della Segretariadella scuola, la quale lavora, ma non mangia".

“Ma,Professore, la Signorina Betti così magra lo è stata sempre!” "Non mi inganno,Signori miei, la Signorina Betti non mangia".

Lupus in fabula, entrò poco dopo la Signorina recando una carta per il Sacerdote, e nonriusciva a capacitarsi della nostra risata. La sua spaventosa magrezza, in contrasto conl'opulenza della fattrice mussoliniana, doveva essere ben nota da tempo alla scolaresca.

Don Leone inforcò gli occhiali e scorse il programma del predecessore: "Le processionidella Trinità? Non è pane per i vostri denti. Sesto Comandamento, piuttosto”, e qui ci squadròtutti, signorine e ragazzi, di sopra gli occhiali, " perché siete senz'altro una massa di maiali".

Quel prete ci piacque. Ma lui cominciò dalla dimostrazione dell'esistenza di Dio. Mossa felice. Mise in fila sulla cattedra la borsa vuota, il registro, il diario di classe, il breviario, la penna,il calamaio di vetro, e spinse lentamente il tutto con la mano, fino a far cadere ogni oggetto dallacattedra. Arrivato al calamaio si fermò: "Vi piacerebbe, eh? Motore immobile". Ho appreso daDon Leone (che è finito Canonico di Santa Maria Maggiore) la necessità d'essere concretonell'insegnamento, pur non rinunciando alla logica. Niente è nell'intelletto che prima non sia statonel senso. Così anche i più piccoli mi seguivano, ed erano concreti, fino a precedermi.

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54"Zi' Pre'", mi disse un ragazzino di Ariccia "lo lo so perché alle Nozze de Cana mancò 'r

vino: c'erano San Pietro e l'Apostoli che incanalavano". E se non mi capivano, ripetevo conaltre parole. E poi, con altre ancora. Alla fine avevo capito pure io.

Perché anch'io ho i miei limiti. Di recente il Provveditorato agli Studi ha mandato unIspettore solo per me, per verificare le mie capacità didattiche, dato che non sono riuscito aconciliare la lezione di arte poetica col bloccaggio fisico di uno zingaro e di un mulatto, chevengono a scuola col coltello e usano violenza alle ragazze senza che il Preside intervenga,perché siamo tutti uguali (a me sembra che però qualcuno sia più uguale degli altri)...specie nell'arte dello scaricabarile. Viceversa va bene la Suora che insegna Religione. Hascritto alla lavagna la parola “sesso",ed ha invitato i ragazzi cattolici a scrivere sulquaderno tutto ciò che quella parola evochi. Ne sono venuti fuori dei saggi letterari, che,nello spirito conciliare, preparano un gemellaggio tra il bordello e il Vicariato. Ne saràentusiasta il Cardinal Poletti, gemellato, dice Yallop, col Gen. Giudice.

Una volta una signora-bene volle invitare a pranzo, a Vigo di Fassa, un mio confratelloe me, decantando la propria arte culinaria. Per non essere scortesi accettammo. Il pranzoera a base di carne, ma lo notai che si era di venerdì (il mio confratello non ci badò), edallora la legge dell'astinenza dalle carni era ancora in vigore. Ma tacqui, per non provocaredispiacere e vergogna nella signora.

Al levar della mensa la signora ci rinfacciò di aver mangiato carne di venerdì e di avercommesso peccato. Allora io uscii dai gangheri: "Signora non molto gentile, il peccato ètutto suo, ed anche molto grave, perché ella ha organizzato scientemente questa infrazionecollettiva. Quanto a noi, sappia che abbiamo taciuto per rispetto a lei, e la Chiesa nonobbliga sotto grave incomodo di qualcuno. Quella vergogna che le abbiamo voluto evitare,e che lei tenta di scaricare su di noi, ricade molto più nera su di lei".

Un'altra volta mi capitò di essere invitato a pranzo presso la famiglia di una miaalunna. Passati in salotto, dopo un po' padre e figlia mi salutano per uscire. Rimanendosolo la madre, anch'io mi alzo per accomiatarmi. Ma lei: "Aspetti, Padre, perché debbodirle una cosa". Gira e rigira, voleva far l'amore con me.

Stavolta non mi adirai, ma calmo calmo la riportai alla ragione. Scoppiò a piangere, emi chiese scusa. Narrç la cosa senza problemi: chi non deve sapere ' Mi capitarono ancoracose simili. Ma so che Gesù tollera più la libidine che l'ipocrisia.

A un mio confratello, sotto Natale, una ragazza da marciapiede gridò: "A zi' pre', fafreddo, s'annamo a scallà?"

"Lassalo stá", la riprese un'altra ”lo sai che è peccato?". Una donna sul tipo del buon ladrone. L'amore di Gesù tiene conto di ogni buona cosa che emerge dalla palude della nostra miseria.

Raffaella De Laurentis, quando aveva 17 anni, si fermò a parlare di affari suoi con mein macchina, e mi offrì anche della pizza. Il padre, Dino, le disse che non dovevaassolutamente fidarsi di un prete così sregolato.

Un giorno fui invitato per telefono a pranzo da due coniugi che non conoscevo affatto,ma che desideravano conoscere me e parlarmi. Mi fecero vedere il ricordino della lorobambina, figlia unica, che a dodici anni aveva lasciato questa terra, pochi mesi prima. Lariconobbi. Era stata una delle partecipanti al corso di Esercizi spirituali che avevo tenutoall'Istituto dell'Assunzione a Viale Romania. Quei signori avevano chiamato me perché labambina aveva lasciato per iscritto tante riflessioni personali, su quello che aveva detto ilPadre Pietro dell'amore di Gesù. La piccola aveva maturato quei concetti in modostraordinario. I genitori, composti nel loro dolore, mi avevano voluto unito in un'agapefraterna, per propormi un loro piano di vita altamente cristiana, che si ispirava agli affettidi quell'angelo di Paradiso. Restai colpito, ed anche confuso, nel vedere come Dio si

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5555servisse di me sacerdote, indegno canale umano di grazie soprannaturali, per operareprodigi di santificazione. Quanto a me, mi sentivo come un cartello stradale che indica lavia a quelli che viaggiano, mentre esso resta fermo.

Ricordate la meretrice che salvò la vita agli esploratori di Israele? Il Signore gliene fuinfinitamente grato. Io ho ricevuto gentilezze ed atti di vera carità dalle sventurate che hoincontrato, che dal freddi superiori burocrati, che al posto del cuore hanno un codicecanonico o un registro di conti.

Si racconta che un tale stava calmissimo in una chiesa, dove, dopo la predica sullapassione di Gesù, tutti piangevano commossi i loro peccati. "E voi non piangete?” glidomandò un fedele. Rispose quello: "Non appartengo a questa parrocchia". E' un raccontoinaudito. Inaudita è anche la realtà della Chiesa burocrate. Udite, allora.

Una signora si era rivolta per i suoi problemi spirituali a un Sacerdote di chiara fama.Questi stette a sentirla con grande carità, ma appena seppe che non era della suaparrocchia la cacciò via in malo modo, perché gli faceva perdere tempo. Ecco un esempiodel giuridismo ecclesiastico che uccide la vera carità.

Noi gesuiti non avevamo questi compartimenti stagni giurisdizionali, ma ne avevamodi peggiori. Quando ti mandavano da una casa all'altra - e spesso te lo facevano apposta,perché non ti affezionassi a persone o cose - dovevi lasciare la cura delle anime, cheavevano confidato in te, al pastore che il Superiore aveva designato, come pecore checambiavano padrone. Io trovavo la cosa assurda e inumana, non solo per quei gesuiti cheavevano cuore e ci soffrivano, ma soprattutto per le persone che spesso non erano affattodisposte ad accettare come mandato da Dio un altro sacerdote che si decideva, nellamigliore delle ipotesi, a fare la loro conoscenza aprendo una pratica o una scheda ex novo.Anche per questo ritengo che la Chiesa ufficiale faccia malissimo a nominare Vescovi eparroci chiamati da lontano (salve le debite eccezioni, dovute a casi speciali). I pastoridevono ordinariamente essere espressi dal seno delle singole comunità ecclesiali. Questovale soprattutto per il Papa, il quale - non dimentichiamolo - è in primo luogo il Vescovodi Roma. Non era per semplice campanilismo che i romani gridavano: "Romano lovolemo, o almanco italiano". Del resto la storia insegna che i più grossi guai alla Chiesa lihanno portati i Papi stranieri, in primis Alessandro VI, Borgia di Spagna, e licenziososimoniaco, mentre i papi italiani non hanno mai provocato grosse lamentele.

Io sarei per un proverbio così: "Mogli, preti e buoi dei paesi tuoi".I gesuiti più umani erano del mio stesso avviso, e quelli tra loro che potevano

permetterselo, per uffici più elevati, continuavano a mantenere relazione spirituale con le"anime" che lo desiderassero, anzi talvolta si recavano di persona sul luogo dove eranonoti e amati. Il caso più bello ed edificante era quello del P. Giandomenico Maddalena,apostolo di Ferrara, il quale era stato nominato Provinciale, ma non dimenticò mai la suacarissima città, che era un piacere sentir appellare da lui con tutte quelle erre che nonsapeva pronunciare decentemente.

Una ragazza di diciotto anni, che io conoscevo da tempo, venne da me disperata:"Padre, non voglio più vivere. Ho saputo che lo non dovevo nascere, che sono figlia di unpeccato: non sono figlia di quello che ho sempre amato come padre e che mi ama, ma deldentista di mia madre. Io mi ucciderò". Era accaduto che la madre incosciente l'avevamandata a curarsi dal suo drudo, e quello le aveva manifestato la sua paternità,dimostrandogliela con la somiglianza. Dovetti accantonare lo sdegno che mi facevafremere, e risposi con calma e dolcezza: "Tu mi hai chiamato Padre, mentre neanche losono tale. Ma è giusto che mi chiami cosi, perché anch'io ti voglio bene come a una figlia.Pensa quanto te ne vuole il Padre vero, il Padre di tutti, che si è perfino servito del male,

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56per volere il bene prezioso che sei tu per Lui. E credi forse che fra tutti gli ascendenti mieie di quelli di ciascun uomo sia sempre andato tutto liscio? Sarebbe un miracolo se fossecosi. Figurati quante irregolarità! Nessun uomo allora sarebbe dovuto nascere, e finirebbel'amore creatore di Dio, che si serve della nostra stessa libertà, con tutte le scelte sbagliateche essa compie. Lo sai che neanche Gesù sarebbe nato se non ci fosse stato il pasticciacciotra David e Betsabea? E Gesù ha forse un'ombra di peccato? L'ha vinto! Coraggio figlia,vincilo anche tu!”. Si asciugò le lacrime, alzò il bel volto, e mi sorrise. Oggi è una donnaimportante. Mia cugina giornalista era andata a trovare il suo confessore gesuita, allaChiesa del Gesù, per chiedergli consiglio ed aiuto per una sua amica, rimasta incinta. "Chiglielo ha fatto fare?" fu la risposta. La cugina ci rimase molto male. Anch'io. E se Gesùdicesse a ciascuno di noi "Chi te lo ha fatto fare?", da chi andremmo noi?

Nella Compagnia di Gesù è impareggiabile il rispetto dei ruoli e la divisione dellavoro. In altri termini nessuno si impiccia degli altri e ognuno si fa i ... fatti suoi. Tutto ilcontrario di quello che avviene tra le suore. Ma la cosa presenta i suoi inconvenienti.

Una volta che, in assenza del Padre Ministro ed Economo, la Reverenda Comunità -Rettore in testa - era raccolta in Chiesa per la recita delle Litanie del mezzodì, entrarono seiuomini in tuta da lavoro, fecero una compita genuflessione al Santissimo Sacramento e uninchino agli oranti, e poi arrotolarono con calma e precisione l'enorme prezioso tappetoche scendeva dal gradini dell'altar maggiore e si stendeva per tutto il presbiterio. Le festepasquali erano ormai finite, e si sarebbe tornati al tappeto di tutti i giorni. Poscia queglioperai eseguirono in perfetta sincronia un'altra genuflessione col tappeto in spalla, e siavviarono all'uscita. Nessuno disse "a", nessuno si mosse, all'infuori del religioso piùvicino alla porta, che, con carità cristiana e rispetto del lavoro, tenne aperta la "Yale sichiude da sé", finché non fu uscito quel serpentone che un camion attendeva. Del restochiunque si fosse distratto dall'"ora pro nobis" e si fosse accorto che l'Economo non c'era,non avrebbe potuto pensare ad altro che alla solerzia ed efficienza di lui, che anche assentemuovea gli uomini della "Fulgida". Non so che faccia abbia fatto al suo ritorno, ma possoimmaginarla, anche se fosse stato complice, (cosa assai improbabile, data la sua provatasantità), quando constatò che il tappeto aveva preso il volo. Ma quella era una cosa daridere. C'erano compartimenti stagni più pericolosi.

Una sera sentii un lamento provenire dalla camera del Padre Genovesi, benemeritodell'Apostolato della Preghiera. Entrai (nessuno, eccetto il Superiore, poteva chiudere lasua camera a chiave): il Padre era scivolato in terra, non avendo le forze per salire sul letto.Ve lo deposi e lo coprii, pensando di dover chiamare qualcuno al mattino. Il Padre mi

 guardò intensamente, tenendomi la mano, e mormorò "Dio ti benedica, figlio". Mori quella notte,solo. Un altro Padre morì in camera sua, ma la cosa si venne a sapere dopo due giorni.

Dicevano dei gesuiti: "Lavorano senza conoscersi, convivono senza amarsi, muoionosenza compiangersi". Tolta l'esagerazione, resta del vero. E questo era un po' il frutto dellaeccessiva preoccupazione dei Superiori di evitare non tanto le "amicizie particolari”,quanto i legami affettivi che rendessero più difficile la nostra mobilità. Anzi all'iniziodovevamo darci del lei, e restò sempre proibito toccare in qualunque modo un'altrapersona. Per esempio il gesto che fa il Papa di accarezzare un bambino era punitogravemente. Io trovavo la proibizione molto stupida, anzi incentivo a desideri strani e astrani pensieri. Non credo che Gesù, il quale diceva: "Lasciate che i pargoli vengano a me”

non provasse a toccarli. C'è una bella canzone per bambini che dice appunto a Gesù:"Tu li chiamavi, li accarezzavi, parole facili dicevi lor".Alcuni Superiori dicevano che non toccare è segno di buona educazione. E' verissimo

che ci sono dei maleducati che ti mettono le mani addosso a sproposito, con spintoni e

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5757manate. Non parliamo poi di quelli che toccano maliziosamente donne e bambini. Sonod'accordo con Tommaso d'Aquino che perfino una stretta di mano può essere peccato. Ma quandol'affetto è puro, perché non dimostrarlo anche esteriormente? Non siamo mica dei puri spiriti. Gesùsi lasciava toccare perfino da donne di malaffare, perché il loro amore era puro. E pensate,toccavano ed amavano un persona divina, dunque la loro era virtù teologale di carità chele sbiancava di ogni peccato. Diceva Teresa di Lisieux: " Alla sera della vita saremo esaminatisull'amore”, e la profondità del suo affetto per Gesù si materializzava perfino in dispettucciverso la statuetta di Gesù bambino, anzi in autentici ma sublimi ricatti. "Non vuoi farmiquesta grazia? Ebbene te ne starai fuori della finestra, al freddo, finché non ti ricorderaidella tua Teresa". E Gesù, dopo un po', domato non dal freddo, ma dall'attesa ansiosa dellasua piccola grande amica, bussava al vetro per essere riammesso al suo bacio.

Cosa curiosa, da che il dottor Barnard ha dimostrato che il cuore non è altro che la pompa delsangue, non si parla più della devozione al Sacro Cuore di Gesù e tantomeno di quello di Maria. Maquando mai i Gesuiti, che ebbero il dolcissimo incarico di diffondere tali devozioni, potevano essereindotti a pensare che il cuore fosse l'organo elicitivo dell'amore? Ma esso ne è senz'altro l'organomanifestativo, col suo festoso pulsare o con le sue dolorose strette. O non l'avete maisentito? O siete di legno, cari confratelli? Ecco perché il cuore resta a buon diritto ilsimbolo dell'amore,e a buon diritto i fidanzati incidono i loro nomi o iniziali sui cuoritrafitti (non sul vivo degli alberi, per carità). Torniamo dunque con fiducia al cuori di Gesùe Maria. Essi battono per noi. Se anche il nostro cuore pulsasse sensibilmente d'amore perloro, noi - pensate - saremmo santi. Al santi più grandi il cuore ardeva, bruciava, al puntodi doverlo refrigerare con acqua gelida. E i discepoli di Emmaus: "Non ci ardeva forse ilcuore in petto alle sue parole?" Altro che spiritualismo platonico: l'amore di Dio vuolepossederci per intero. Non per niente Gesù ci dà a mangiare la sua carne.

E con tutto ciò resta certo che il vero amore ha sede non nella carne ma nello spirito , tantoche alcuni santi, eccezionalmente, hanno persino provato sentimenti ostili verso Dio, e voglia di

bestemmiarlo, ma sono rimasti saldi nella volontà, e quindi nell'amore sostanziale.E' evidente che l'amore di Gesù si estende anche agli animali, anzi alle piante e a tutte

le cose. "Niliil odisti eorum quae fecisti". "Non hai odiato nessuna delle cose che hai fatto".Lo dice la Scrittura. Proprio parlando della Provvidenza divina, Gesù dice: "Guardate igigli dei campi. Non filano e non tessono. Eppure neanche Salomone fu mai vestito comeuno di loro. Guardate gli uccelli dell'aria. Essi non seminano, né mietono, né raccolgononel granai. Eppure il Padre vostro celeste li nutre".

San Francesco, innamorato del creato, chiama fratello il lupo e sorella l'acqua, "pretiosaet casta", e ciò accresce il suo amore verso Dio. Per questo egli predilesse i colli ameni,mentre Bernardo scelse per la preghiera le solitarie valli alpine, e Ignazio le grandi

popolose città, dove trovare gli uomini da salvare.'Tranciscus colles, Bernardus valles, magnas Ignatius urbes"Certo la carità fraterna deve rivolgersi in senso proprio agli uomini, figli adottivi di

Dio, e solo secondariamente agli animali e alle cose che esistono per l'uomo. Ma l'uomodeve a Dio e alla sua stessa dignità il rispetto per la natura. Noi strapazzeremmo mai unqualcosa che ci abbia donato una persona amata?

Forse è proprio il vivere in città che fa si che certi Gesuiti non apprezzino a dovere glianimali e le piante. Eppure il Marcovaldo di Calvino si commuove davanti a un filo d'erbache fuoriesce dall'asfalto. Certo non è necessario né consigliabile arrivare al rispetto cheSan Giuseppe Benedetto Labre nutriva per i pidocchi della sua camicia, che rimandavadentro affettuosamente, perché non prendessero freddo, ma da quello ad accoppare conun torso di scopa un cagnolino c'è un notevole passo. Un mio confratello fece questo perpoter studiare il sistema osseo.

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58Una gattina del giardino si era messa a seguirmi, perché le avevo dato da mangiare.

Continuai a dargliene, e quella prese tanta confidenza da entrare in camera mia edaddormentarsi sul m'o letto. Per un Fratello laico fu uno scandalo. Il Padre Pietro dormivacon un animale di sesso femminile. Peccato orrendo di bestialità! Non la vidi più: ilFratello l'aveva affogata nella vasca. "L'ho fatto per il suo bene", mi disse, "dobbiamoamare solo Dio". "Grazie per l'interessamento", risposi calmo, "ma mi sta dicendo che oltreDio ama anche me. E perché non amare anche quella sua creaturina?   Amare solo Diosignifica non amare il peccato, che è odio, mentre Dio è amore". Il Fratello non sapeva più che dire.

I Vangeli apocrifi ci parlano del fanciullo Gesù che giocava con gli animali: in questocertamente non sono apocrifi.

Dolcissima è la leggenda del pettirosso che deve la sua caratteristica all'aver tolta colbecco una spina dalla fronte insanguinata di Gesù Crocefisso.

 Mi commuoveva moltissimo un canto di bambini no, in perfetta fusione con la natura animale:

Specchio segreto"S'io fossi capace, mio dolce Gesù,vorrei amarti come m‟ami tu.S'io fossi un'ape, un favo di miel

 farei sul tuo labbro, sorriso del ciel.S'io fossi augello, lieto volereie sul tuo petto il nido farei" 

Abbiamo costruito una società dell' apparire e non dell' essere. Questo per dire che

nonostante le cose dette siano vere, non saranno tanto vere le trasformazioni cosi nette esemplici ad arrivarci. L' uomo ora come ora, è incapace ad organizzarsi, e non ha evoluto ilsuo stato prettamente di esperienza e di vita, nel sapersi adattare. La trasformazione, saràcome un post atomico Einstein, a suon di clava. Un primitivismo a ogni livello. Forse sisalveranno un po' quei luoghi con ancora un senso rurale della vita. Ma anche questa e' unidea. Come tante. Infondata e campata per aria, se non retta da buon senso e da unprogetto connaturato al nostro essere.

Vige una regola che un sistema non dovrebbe mai dimenticare. Ogni nucleo di personedovrebbe, dalla sua nascita, avere una casa ed un po di terra, in cui camminandoci soprariusciamo tutti a riportare la giusta misura delle cose. Meglio sporchi e poveri, ma capacidi intendere la vita, che ricchi e giugiuloni o « mammoni ». Pure il vivere nostro, potrebbeessere cosi, anche se più agiato. Purtroppo l'ingovernabilità del sistema, così come nonriusciva a mettere giudizio nei miei fratelli gesuiti, non porta a questi equilibri. Ci devonopensare pure i politici e i ben pensanti stabilire che la libertà è tirarsi la zappa sui piedi.Così, come non è vero che il sistema comunista sia fallito, è vero anche che altri sistemicome quello attuale, non sia da buttare. Quello che non si è stati capaci di fare, e quello chenon si è voluto fare, o quello in eccesso e a dismisura che si è voluto fare, ha sempre fattola differenza, con l' aggravante, di non voler mai porre rimedio. Di non volersi maiconfrontare con le Parole del Signore. Quando lo scambio o le regole diventano impropieed escono dal lecito, ogni catastrofe è garantita.

Difficile credere che un famiglia con casa propia, auto di lusso, pc e telefonini, lauree ediplomi, armadi pieni, vacanze già prenotate, serate con gli amici, possano trovarsi ad untratto in un' altra epoca, senza terra senza viveri senza soldi e con il caos come atmosfera.

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5959 L‟antiliturgico 

Molte volte i fedeli lamentano qualcosa che non va nel servizi liturgici. Ecco che cosacapitò a me. Una volta che ero a Roma, avvicinandosi l'anniversario della morte di miononno, quale chierico della famiglia (incapace ancora di dir Messa), fui incaricato diprendere contatto con una chiesa - la più centrale possibile per il comodo di tutti - onde farprovvedere alla commemorazione e al suffragio. Mio zio Riccardo mi aiutò suggerendomila chiesa di San Bernardo alle Terme. In sacrestia trovai un fratone bianco e nero, che miaccolse con fare burbero e un accento meridionalissimo. "Che cosa volete?" tuonò.

"Una Messa per l'anniversario di mio nonno"."E perché non ve la dite da solo, Reverendo?".”Perché non sono ancora sacerdote". 

Si ammansì e mi guardò con sufficienza mista a compassione."Allora come la volete questa Messa?"."La desidererei bassa, ma seguita dall'assoluzione e dalla benedizione al tumulo"."Sono cinquemila lire" Per quei tempi (era senz'altro più di trent'anni fa) era una

somma notevole."Che cinquemila lire!- urlò una vocina di frate, pure in bianco e nero, ma in formato

ridotto, comparso improvvisamente dietro il posteriore del primo, "Settemila lire"."E perché settemila lire?- feci io, divertito, quasi stessimo giocando al "cucuzzaro".”Perché c'è il rischio della coltre"."Il rischio della coltre?".

"Certo, potrebbe - che solo - prendere fuoco o imbrattarsi di cera..."."Ma se non avviene nessuna di queste sciagure, mi ridate le duemila?"."Reverendo, non scherziamo, la tariffa è tariffa"."Stá zitto", riprese il primo frate con voce suadente, "il reverendo è un uomo che sa il

fatto suo".Io notai una lieve analogia con l'incontro di Don Abbondio coi bravi. Ma fu un attimo."Reverendo, perché non fate una bella cosa? Levate il tumulo. In fondo diciamocelo tra

noi che siamo ecclesiastici - che vi significano quei quattro schizzi intorno a una coperta?"."Ma è un sacramentale della Chiesa..."."Sì, sì... Ma io vi propongo un cambio vantaggioso: una funzione di mia ideazione (il

lettore provi a pronunciare le ultime parole con la z dolce, come fu). Vi viene solomillecinquecento lire: mille lire la messa, e cinquecento lire Gesù esposto in Sacramento".Sacramento fu pronunciato con la d al posto della t. In sostanza pensate a De Mita: comeparla lui, parlava quello. Solo che non ne aveva il carisma.

"Gesù,dissi mentalmente io, fosti tradito per trenta denari, ed ora sei esposto percinquecento lire". Ma più che da considerazione di cambio monetario o inflazionistica, fuivinto dalla curiosità. Volevo vedere in che consistesse la funzione di quel religioso dallamente fervida.

Il giorno convenuto, dopo i rituali baci e abbracci con la famiglia davanti alla chiesa,entrammo. Ci colsero le note dalla marcia nuziale di Mendelssohn. Tutta la famiglia mi

puntò minacciosa gli occhi addosso, esigendo una spiegazione. Al mio "Vi assicuro, non somente", lo zio Riccardo mi prese per un braccio e mi trascinò in sacrestia: "Dov'è la Messaper mio padre? domandò. "Gli risposero: "All'altar maggiore". "Ma lì c'è un matrimonio". -

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60"Non fa niente, la celebrazione è per gli sposi, ma l'intenzione è per il Defunto". "Ed iovado a dirlo alla sposa"."Per carità, si calmi, non dica niente, è tutto regolare". "Ma non èregolare che prendiate due volte l'offerta per la stessa celebrazione". "Va bene, marisparmierà con la funzione".

Finito come Dio volle il matrimonio, e andati gli sposi in sacrestia per le firme, eccotispuntare i due frati, quello grande avvolto in un piviale bianco, e quello piccolo con unaccendimoccoli in mano. Mentre il grande religioso attendeva ai piedi dell'altare, il piccoloaccendeva rapidamente molti mozziconi di candela, onde accogliere, in economico scialodi luci, Gesù sacramentato. Esposto il quale, il fratone si mise a invocare con la sua vocetonante tutti gli strumenti di tortura e di morte di Cristo, dal flagelli alla corona di spine,dai chiodi alla lancia, e, ad ogni invocazione, il fratino strillava, con quanto fiato aveva ingola, 'Pro defuncto Gaetano", il quale era mio nonno, in italiano. "Ma chi sono quei fratidalla voce di mascalzoni?” bofonchiava mio padre, che in fatto di voci andava lasciatodire, "Sembrano il gatto e la volpe". Cessato finalmente quello strano spettacolo, tornai insacrestia a saldare il conto. "Reverendo, vi è piaciuta la funzione?- domandò compiaciuto ilfratone deponendo il gran piviale. "Speriamo che sia piaciuta a mio nonno, che èl'importante". Non so quanti fedeli vivi e defunti abbiano goduto prima e dopo di me ivantaggi di una funzione così a buon mercato, anche se di contrabbando, perché privadella approvazione ecclesiastica, né so dirvi se la pia pratica viga ancora.

Adesso toccherò nella liturgia argomento più delicato. Forse ho torto, e per questo midichiaro disposto fin da adesso ad accettare una lavata di capo dalle autorità della Chiesa,però prego caldamente di chiarire in che cosa il mio ragionamento fa acqua. Mi riferiscoall'uso alquanto recente di impiegare e spiegare un gran numero di preti per celebrare unasola Messa. Uno dei motivi, se non il più forte, che mi aveva spinto al sacerdozio, era statoquello della scarsezza dei preti. La mia fantasia giovanile era colpita soprattutto dairesoconti di missioni che parlavano delle estenuanti marce dei poveri sacerdoti checoprivano grandi distanze a cavallo o a piedi per andare a celebrare più Messe in ungiorno, e a portare l'Eucarestia o semplicemente una medicina al poveri, al lebbrosi, o adamministrare i sacramenti al morenti. Quanti di questi missionari morivano sulla breccia,quanti si ammalavano di stenti e di fatiche, e come unica soluzione si avvolgevano in unacoperta in attesa di un esito che sarebbe stato per lo più letale... Chi li avrebbe rimpiazzati?"I poveri chiedono pane e non c'è nessuno che lo dia loro", e "La messe è molta, ma glioperai sono pochi". Nelle riunioni della Lega Missionaria Studenti cantavamo in coro: "Perogni eroe che cade le reclute son cento... Di Cristo il testamento chi tradirà?". Ed lo sentivoche era quello il modo migliore di impiegare la vita. "O Cristo Re, su questa gioventù tupuoi contar: decisa e fiera la terra intera conquisterà". Era questa la conquista che miattirava, non quella fasulla delle armate fasciste, al grido dell'"Armiamoci e partite" diMussolini. "Voglio passare il mare e nella giungla perdermi, erigere un altare e poi morir".Mi soffia in viso un vento gagliardo, d'ardimento, datemi un'arma in mano, io voglioandar lontano". La frase che più mi Muoveva era: "E' mio pilota un re che aprì le braccia invetta al crocevia de' continenti". Il mondo per me non aveva più confini; al tempo in cuiHitler e C. attuavano le discriminazioni e persecuzioni razziali, mi sentivo veramentefratello di ogni altro uomo e anelavo di correre in soccorso di tutti, perché gli aiutimancavano. Non si cantava ancora "Di che colore è la pelle di Dio?", ma molti di noi eranoconvinti che non si può parlare di razze fra gli uomini, e che non si può far attendere ifratelli. Anche senza pensare alle missioni, c'era un bisogno immenso di preti generosianche da noi. Di preti così cosi ce n'erano ancora tanti, imbucati specialmente negli ufficivaticani nei vescovadi. "Io mi domando" dicèa già Vittorio Alfieri "semai amore di libertà

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6161possa allignare nel cuore di segretario di Cardinale. Ahimé no, poiché egli è creatura nataal servaggio". Quelli non avevano palpiti di generosità. Per fare carriera lustravano lescarpe al potenti e studiavano, non scienze liberali e divine, bensi il diritto canonico, "viaad dignitates". Ma c'erano anche gli oziosi. Personalmente avevo avuto un prozio prete,certo Don Luigi, che giocava a carte, andava a caccia non solo di selvaggina, tanto che erachiamato dai fedeli "il puttaniere" (sembra anche che avesse dei figli, perché non potevaspiegarsi altrimenti l'alienazione dei suoi beni, però, ubbidiente al Concilio Tridentino,osservava il celibato), e la domenica diceva la Messa. Di fronte al trecentomila preti delsecolo scorso, il mio tempo non ne presentava che la sesta parte, con una popolazionecresciuta tre volte. Ed oggi? In pochi decenni i sacerdoti si sono dimezzati di numero e lapopolazione è salita. Per questo non capisco come si possano riempire gli altari disacerdoti che fanno tutti la stessa cosa. Questa è la Chiesa delle adunate oceaniche e deipochi fatti. A dire il vero i Gesuiti non avevano mai rivolto grande cura ed attenzione allaliturgia. Era questo l'amorevole rimprovero che rivolgeva alla Compagnia il bravo PadreRosin, proveniente dal Seminario Romano. Ma a me risultava congeniale il modo dipensare di S. Ignazio, il quale badava più all'interiore che all'esteriore. Pur lodando lecandele accese nelle chiese, le processioni, le messe cantate, non gradiva che i suoi Gesuitiperdessero tempo in cerimonie.

C'era tanto da lavorare alla ricerca dei peccatori, ad ascoltare le confessioni, ad assisterei morenti... Gli altri recitassero pure lunghe litanie; il Gesuita doveva raccogliersi da solocol suo Dio per un'ora di profonda meditazione personale (come faceva Gesù), e poiscattare al lavoro. E la Compagnia aveva il carattere di una milizia speditissima a serviziodella Chiesa, pronta ad ogni missione, al cenno del Papa. S. Ignazio dunque, purapprezzando il valore e l'importanza della liturgia, ne riduceva il tempo e ne lasciava lamaggior cura ad altri, perché per lui urgeva l'azione. La Compagnia di oggi si è invecemessa alquanto in pantofole e, da corpo d'esercito, si è ridotta a confraternita disalmodianti e di piagnoni nel campo sociale, non più di ministri del soprannaturale.Questo almeno era quando dovetti lasciarla, nella vana speranza di tornarvi quando fossetornata ad essere quella che era. "Aut sint ut sunt, aut non sint" non sono parole mie.

Quando esplose il boom del liturgico, tutti i miei confratelli si fiondarono sull'altare inparamenti sgargianti, tra chitarre, tamburelli e donnine in minigonna che leggevano laSacra Scrittura dall'ambone. Era un modo nuovo di fare spettacolo? Fatto sta cheincontrava molto tra i giovani. Durante la Messa così divertente non c'era più nessuno inconfessionale. Mi ci misi allora lo, e la gente veniva, veniva. Mi dissero che facevo male,perché li distraevo dalla liturgia. Ma quanti di quei fedeli non avevano tempo daperdere: in altra ora non sarebbero certo venuti, e sarebbero rimasti nel loro peccati. Se loho questo peccato sulla coscienza, loro almeno se ne sono tolti tanti con una buonaconfessione. E così in pace potevano fare la Comunione (alla quale oggi tanti accedonosenza neppure più confessarsi. Non era meglio prima?). Del resto io non arrivavo a faredurante la Messa quello che faceva, quando ero bambino, il caro Mons. Rinaldi, Parroco diSan Marcellino e Pietro in via Merulana. "Di che cosa ci parlerà Monsignore oggi?” dicevaansiosa mia nonna mettendomi il paltoncino rosso. E lesta lesta mi accompagnava inchiesa. Quell'uomo dallo sguardo magnetico (che sembrava fissare sempre me) facevapendere dalle sue labbra tutto il pubblico, in particolare quello femminile, durante l'interaMessa, celebrata da un pretino di second'ordine, con le spalle rivolte al popolo, che nonsentiva il suo latino biascicato a bassa voce. "Cari parrocchiani (ma molti non erano deisuoi, come me)", esordì uni volta dal pulpito, "dovete decidervi a rispettare il venerdì. Inquel giorno la carne non si mangia. E' peccato. Voi direte: - Dice bene, sor curato, tanto lei

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62a pranzo er venerdì cià la spigola - Non è vero, lo mangio il baccalà - Ma a noi er baccalà 'nce piace - Segno che non lo sapete cucinare”. 

Sentite come lo fa la donna mia. Prima lo mette a bagno bene bene per un giornoalmeno, poi prende una padella e...". La descrizione della appetitosa ricetta venivainterrotta dal suono della campanella che annunciava la Consacrazione. Allora tutti ciinginocchiavamo devotamente, e il baccalà continuava a cuocersi. Mentre Gesù attendevasull'altare, il pio curato, tutto inteso a eliminare un peccato... carnale dal conto dei suoiparrocchiani, riprendeva: "Eravamo rimasti al baccalà che incominciava a insaporirsi...".Solo mio padre, presente saltuariamente, osava ridere di tali prediche, ma,appassionato di cucina, faceva tesoro delle ricette, ed erano tante le volte che recitava talisermoni, che io saprei ridirli in tutti i particolari. Non lo faccio però, perché, grazie a Dio,mangiare il baccalà il venerdì non è più questione di coscienza. Altra volta Don Rinaldifarciva la Messa di invettive dantesche contro preti, cardinali e papi, prevenendo leobiezioni dei fedeli circa il cattivo esempio degli ecclesiastici. Naturalmente se la prendevacon personaggi non più viventi (altrimenti gli avrebbero fatto cambiare aria, anche se nonerano più i tempi per essere arrostito alla Savonarola), anzi decisamente storici, ma la cosanon mancava di fare impressione enorme, perché ne sapeva di tutti i colori. Era anchequella una strana liturgia, conclusa con l'imperativo categorico "Fa' quello che il prete dice,non quello che il prete fa".

Altre volte la liturgia di Mons. Rinaldi ricordava quella di San Bernardino da Siena, cheseparava uomini e donne in chiesa mediante un sipario, oltre il quale il Santo vietava agliuni e alle altre di "far balestruccio con gli occhi". "Cari mariti, fidanzati o fratelli", diceva ilCurato "oggi avete visto che le Vostre rispettive mogli, fidanzate e sorelle sono state,all'ingresso, dirottate da un'altra parte. In una cappella laterale c'è una Messa tutta perloro. E' stato necessario prendere questa decisione perché non vogliono darmi retta.Approfittando del caldo, vengono in chiesa in abbigliamento scollacciato e succinto,disdicevole alla casa di Dio. Quello che non so è come se la caverà il celebrante all'Oratefratres (cioè il momento in cui il sacerdote che diceva la Messa volgeva il volto ai fedeli perinvitarli alla preghiera)". Qualche intraprendente giovanotto cercava allora di dirigersi daquella parte, ma veniva prontamente fermato dal servizio d'ordine di vetuste matroneorganizzato dal Monsignore.

Altre volte sono i fedeli a volere strane liturgie.Un giorno - ero stato ordinato sacerdote da poco - me ne stavo coi miei scouts

attendato molto più giù del lago di Campotosto. Scende dalla montagna un locale cheviene a chiedermi se per l'imminente giorno dell'Assunta io possa fare il favore dicelebrare la Messa al paese di Mascioni, proprio sul lago, onde festeggiare la massimasolennità dell'anno. Il parroco era assente. Accettai volentieri. Il 15 agosto misi gli scarponie salii la montagna. Nella giornata splendente di sole mi apparve il blu intenso del lagoche sembrava voler traboccare (o tracimare, come è di moda dire oggi) da una immensatazza. Mascioni giaceva davanti a me sul fianco del monte, e per alcune ore sarebbe statain mia balia. Mi illudevo. Entrato in Chiesa, mi fecero sapere che dovevo attendere l'arrivodel maestro di musica. Nel frattempo ebbi modo di osservare il pubblico che era tuttofemminile, di età molto avanzata e vestito di nero. Ai lati del pubblico, altre due figurefemminili, anch'esse rivolte verso di me, la statua della Madonna Assunta con gli occhi alcielo e gli angioletti sotto i piedi, e la statua della Madonna Addolorata vestita di seta nera,con gli occhi in basso e il cuore d'oro trafitto da una spada. Mi preparai alla Messa, datoche nessuno chiedeva di confessarsi, ma il maestro non veniva, nonostante l'ora siapprossimasse. Al mio sollecito, mi si rispose: "Vedrai che mo' vie' . Ha da finì di scopare

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6363la piazza". Venne infine, ed io gli domandai che "tono" dovessi usare per il canto dellaMessa. "Noi cantiamo uso-musica", mi rispose solennemente il maestro - operatoreecologico. Feci allora a modo mio e tutto andò bene. Ma i guai cominciarono dopo, quandomi chiesero di muovere in processione. Il lettore già sa che io, sia perché gesuita, sia permia natura, non sono fatto per le processioni. Tuttavia di fronte al dovere non mi tiroindietro. Non potevo però accettare quello che mi imponeva lo scaccino, di condurre cioèin processione entrambe “le Madonne". "Ma come", dicevo io "oggi è la festa dell'Assunta,e perciò bisogna portare in processione la sua statua, non quella dell'Addolorata!" "Tutte edue- diceva il sacrista, "Tutte e due" ripetevano gli uomini incaricati di portare le statue inspalla, che nel frattempo erano arrivati, "Si è fatto sempre cosi, e tu vuoi fare come tipare?". Intanto gli uomini, che alla Messa non erano venuti, si affollavano per laprocessione. Compresi che non era il caso di mettermi a litigare per uno scrupolo liturgico,e sopportai in pace di portare a spasso entrambe le Madonne. D'altra parte farli ragionaresulla strana accoppiata era compito del Parroco, a tempo debito. Ci mettemmo dunque inmoto, alle note della banda paesana. Io tenevo in mano non so quale reliquia,augurandomi che non fosse “il latte della Madonna” o cosa simile. Avevamo appena fatto

pochi passi, quando gli uomini che sostenevano la Madonna Addolorata vennero trafelatia dirmi che alla statua si era spezzata una stanga e a chiedermi istruzioni. "Avete visto?"esclamai io trionfante "Non doveva uscire: ve lo avevo detto". Mi guardarono convenerazione, pari a quella che usarono i negri verso Manfredi stregone, che aveva operatoil miracolo della pioggia. Come poterono, sgomberarono la strada dalla Madonnainfortunata, e la processione riprese il suo lento cammino. Si doveva salire per unastradina stretta. L'unica Madonna che mi precedeva a braccia aperte andò a infilare lamano destra in un paio di mutande che pendevano da un filo che andava da una facciataall'altra delle case. Per quanti sforzi si facessero, non si riusciva a disincagliare la statua. Illettore mi crederà quando lo gli dico che dovevo mordermi a sangue la lingua per nonridere, ma non mi crederà quando aggiungo che nessuno dei presenti, né delle persone inprocessione, né di quelle affacciate devotamente alle finestre pavesate, perdette la serietàche si addiceva alla liturgia che si andava celebrando. Mentre la banda proseguiva il suopezzo, alcuni giovanotti salirono alle finestre per staccare il filo galeotto. "Omnia mundamundis" dovetti concludere. Il maligno ero lo che trovavo strano che la VergineImmacolata toccasse la nostra biancheria. Non è forse più strano che abbracci noi chespesso siamo più sordidi di una stecca di pollaio?

Quando ero giovane, i preti insistevano tanto perché non si uscisse di chiesa prima diun quarto d'ora dalla Comunione, quanto si presumeva durasse la presenza di Gesùsacramentato. Al punto che una volta una signora frettolosa fu fatta seguire - con suavergogna - da due chierici in cotta bianca, con candela accesa. Ora addirittura un minutodopo, senza alcun ringraziamento, ognuno se ne va per i fatti suoi.

Altra cosa che - a mio avviso - non va è la Cresima separata dalla Prima Comunione. Ilmeglio è nemico del bene. E' vero che sono due cose distinte, ma il voler protrarre laConfermazione di due anni fa sì che molti non la ricevano affatto. Bisogna inveceprofittare di quel momento felice in cui i parenti e gli amici sono uniti strettamente colbambino perfino nel regali, data la coincidenza di due eventi così importanti.

Spero che si sia notato che io non sono nemico della liturgia in sé, ma solo dei suoiabusi di fatto o delle sue esagerazioni. La liturgia è la linfa vitale della Chiesa. Le sue festenon solo commemorano ma rinnovano le grazie del Signore, perciò occorre che le suecerimonie siano degne di tanta realtà.

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64Povera Chiesa

Sono stato sempre restio ad accostarmi ai Papi, perché mi danno fastidio quelle urla

di "Viva il Papa", quel battimani frenetici, quel culto della persona che per molti cattolici èfanatica adorazione di un uomo che meno di tutti ha bisogno di essere adulato, solo comeè nella sua immane responsabilità. Tanti hanno la certezza che sia il Papa a fare la Chiesa,assistito, giorno e notte, dallo Spirito Santo, e noi tutti, come tanti pecoroni, non abbiamoche da belare al suo cospetto. A questa assurda concezione ha contribuito non poco - persecoli - il potere temporale assoluto, che addirittura fino a Bonifacio VIII ha preteso diessere universale e divino. Nella Bolla "Unam Sanctam- il Papa affermava che lo spiritualeè superiore al temporale (fin qui nulla da ridire), e poi, con incredibile disinvoltura,

concludeva che chi comanda sullo spirituale deve necessariamente comandare su chi èpreposto al temporale. Ma è una evidente fallacia. Sarebbe come dire che, essendo lacultura superiore alla mondezza, l'Assessore alla cultura del Comune di Roma devepretendere di comandare sull'Assessore alla Nettezza urbana. Giustamente quest'ultimodirebbe al primo: "Tu provvedi alla tua cultura, lo provvedo a raccogliere le immondizie".A ciascuno il suo. Chi meglio di Dio è in grado di provvedere contemporaneamente atutto! "Non si muove foglia che Dio non voglia". Eppure proprio Dio ha voluto separare icompiti e le prerogative: "Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio".E quella prepotente affermazione di principio di Bonifacio era suffragata dalla certezzaindiscussa che l'Imperatore Costantino avesse donato al Papa Silvestro l'intero Occidente,

tenendo per sé solamente l'Oriente, per gratitudine dì essere stato guarito dalla lebbra. Ilfatto era assolutamente falso. Né Costantino ebbe mai la lebbra, né Silvestro lo guari daalcun'altra malattia, né l'imperatore si sognò mai di donare l'Occidente al Papa. Unimperatore cosi accorto non avrebbe mai commesso un errore così madornale. Il fatto è chedall'anno 800, cioè dall'incoronazione di Carlo Magno, cominciò a circolare la notizia cheera in possesso della Chiesa l'atto di donazione. Tanto era il concetto che si aveva delPapato, che fu facile farlo credere. Si poteva dubitare della legittimità dell'elezione di unPapa, non dell'ambito smisurato dei suoi poteri. Gli imperatori tremavano al pensiero cheil Papa potesse sciogliere i loro sudditi dal giuramento di fedeltà. Il sommo Dante bolla diinfamia il potere temporale, ma continua a credere nella donazione:

 Abi, Costantin, di quanto mal fu matre,non la tua conversion, ma quella doteche da te prese il primo ricco patre!(Inf XIX)

Ci vollero più di seicento anni e la bravura di Lorenzo Valla, insigne filologo, perdimostrare che quello scritto era apocrifo, falso di sana pianta. Dunque una mostruosaimpostura, di cui la Chiesa, imperterrita, ha continuato a servirsi fino al giorni nostri. EValla osserva che il latinaccio del documento non aveva nulla a che vedere con il latino del

tempo di Costantino. Ho sottomano degli scritti di epoca Costantiniana. Sentite comesuona nel 313 l'esaltazione della vittoria di Ponte Milvio del panegirista di Treveri:

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6565"Quisnam te deus, quae tam praesens bortata est malestas, ut, omnibus fere tuis comitibus etducibus, non solum tacite mussantibus, sed etiam aperte timentibus, contra consilia hominum,contra karuspicum monita ipse per temet liberandae urbis tempus venisse sentires? Habes

  profecto aliquod cum illa mente divina, Costantine, secretum, quae delegata nostri ditsminoribus cura, uni se tibi dignatur ostendere".

Questo latino è ancora molto bello, cura l'eleganza e la concinnitas, anche se l'oro diCicerone è passato all'argento del misurato "barocco" (ante litteram). Paragonato a questotesto, quello della "donazione" appare di una differenza abissale. Quella carta era sorella ditante del tempo di Carlo Magno, stilata da un chierico o da un monaco impostore, gli uniciche sapessero scrivere. Ma in che modo? Un esempio:

"Unde congruum prospemmus nostrum imperium et regiam Potestatem orienitalibus transferreregionibus et in Byzantiae provinciae optimo loco nomini' nostro civitatem aedificariet illicnostrum constitui imperium ". Oltre tutto "cIvitas" significa cittadinanza; per dire cittàoccorre "urbs". In altri passi altri svarioni: "princeps sacerdotibus" per "princeps sacerdotum";

"signa" per dire insegne imperiali, mentre al massimo possono indicare i vessilli militari (in hocsigno vinces) o le statue; invece di "contubernales", "concubitores", cioè amanti; "sceptra",invece di "sceptrum"; "decrevimus quod... uti debeant", grosso barbarismo al posto di"decernimus ut utantur"...

Lo pseudo Costantino assegna al Papa il diritto di rivestire il « orum, quod imperialecircumdare solet collum", senza pensare che lorum, in latino classico, non è che il collare dicuoio che si impone al prigionieri e agli asini, o al massimo la briglia del cavallo.

Molte e molte pagine ci occorrerebbero per elencare le caratteristiche del parlarebarbaro attribuite a un periodo ancora molto erudito. E moltissime sono le ragioni non

filologiche, ma logiche e storiche. Per esempio, come può Costantino parlare dellaeminente sede ecclesiastica di Costantinopoli, quando Bisanzio non era neppure cristiana,anzi non era neppure stata edificata, come afferma chiaramente il testo? Contraddizioneimmane. E come può l'imperatore trascendere in minacce di fuoco infernale, che sonocompetenza di indignato predicatore?

Il lettore si diverta a leggere la parte saliente di questo documento e si accorgerà da séper quanti versi sia ridicolo.

"...Noi abbiamo giudicato utile che, come San Pietro è stato eletto vicario del jiglio diDio in terra, così anche i Pontefici, che fanno le veci del medesimo Principe degli apostoli,ricevano da noi e dal nostro Impero un potere di governo maggiore di quello che la

terrena clemenza della nostra serenità imperiale possiede, perché noi desideriamo che lostesso Principe degli Apostoli e i suoi vicari ci siano sicuri intercessori presso Dio.Desideriamo che la Santa Chiesa Romana sia onorata con venerazione, come la nostraterrena imperiale potenza, e che la sede santissima di San Pietro sia gloriosamente esaltatapiù del nostro Impero e del nostro trono terreno, perché noi le diamo potere, gloriosamaestà, autorità e onore imperiale. E comandiamo e decretiamo che abbia la supremaziasulle quattro eminenti sedi di Alessandria, di Antiochia, di Gerusalemme e diCostantinopoli, e su tutte le altre chiese di Dio in tutta la terra, e che il Pontefice regnantesulla medesima e santissima Chiesa di Roma sia il più alto in grado e primo di tutti isacerdoti di tutto il mondo, e decida tutto ciò che è necessario al culto di Dio e alla

fermezza della fede cristiana...E affinché la dignità pontificia non sia inferiore, ma abbia maggior gloria e potenza

dell'impero terreno, noi diamo al suddetto santissimo nostro Pontefice Silvestro, Papa

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66universale, e lasciamo e stabiliamo in suo potere per nostro decreto imperiale, comepossessi di diritto della Santa Romana Chiesa, non solo il nostro palazzo, ma anche la cittàdi Roma e tutte le province, luoghi e città dell'Italia e dell'Occidente. Perciò abbiamoritenuto opportuno trasferire il nostro impero e il potere del regno in Oriente e fondarenella Provincia di Bisanzio, luogo ottimo, una città col nostro nome, e stabilirvi il nostrogoverno, poiché non è giusto che l'imperatore terreno regni là dove l'imperatore celeste hastabilito il principato dei sacerdoti e il Capo della religione cristiana. Decretiamo che tuttequeste decisioni rimangano inviolate e integre fino alla fine del mondo. Quindi allapresenza del Dio vivo che ci ordinò di regnare, e davanti al suo tremendo giudizio,decretiamo solennemente, con questo atto imperiale, che a nessuno dei nostri successori,ottimati, magistrati, senatori e sudditi, che ora e nel futuro, dovunque e sempre, sarannosoggetti all'impero, sia lecito infrangere o in qualche modo alterare ciò. Se qualcuno - cosache non crediamo - disprezzerà o violerà ciò, sia colpito dalle stesse condanne o gli sianoavversi, ora e nella vita futura, Pietro e Paolo, principi degli apostoli, e col diavolo e contutti gli empi precipitati a bruciare nel profondo dell'inferno".

Nessuno potrebbe credere che Costantino abbia mai avuto l'intenzione di innalzarel'autorità del pontefice al di sopra della propria: ancor meno si può prestare fede allamotivazione addotta per il trasferimento della Capitale a Bisanzio. Definitivamente ilValla, nel 1440, dimostrò la falsità del documento: l'orribile latino in cui esso era redattoera certamente opera di un ecclesiastico del tempo. Il testo poi è così spudoratamentepartigiano degli interessi terreni del Papa da rivelare la sua autentica matrice. Delladimostrazione del Valla, del resto, la Chiesa non terrà alcun conto. Fino al 1788 essacontinuerà a ricevere ogni anno l'omaggio del Regno di Napoli, suo vassallo: un cavallobianco carico di settemila ducati d'oro. E non fu certo la Chiesa a rifiutarlo.

E' doloroso che dopo Costantino il clero (kleros = parte eletta) abbia acquistato lasupremazia, anche politica e finanziaria, sul laici (laos = popolo, sinonimo di ignoranza edi debolezza di fede), come detentore della dottrina, della quale, a poco a poco, si imbevveanche lo Stato. Peccato! L'editto di Milano aveva segnato nella storia il momento più belloper la Chiesa, che uscita definitivamente dalle persecuzioni, aveva ottenuto dall'autoritàstatale la piena libertà insieme a tutte le altre religioni, quella libertà che perfino Pio IXnegherà e che soltanto il Concilio Vaticano II renderà di nuovo possibile. Quando io eroragazzino mi si diceva che la Chiesa aveva ottenuto il suo pieno trionfo con Teodosio,quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero (come poi al tempo diMussolini). Falsità. La Chiesa divenne intollerante e persecutrice, il clero abusò del suoprestigio cedendo alla facile tentazione delle ricchezze, degli onori e del potere,trascinando quella che era stata per poco tempo la situazione ottimale alla costituzione delregno sacrale, alla fondazione del potere politico della Chiesa. E' vero che nel periodo dilatitanza del potere statale, dopo la caduta dell'Impero Romano, il Papato esercitò unafunzione vicaria benefica e, tutto sommato, necessaria. Ma la Chiesa rimase attaccata alpotere. Tra il 590 e il 604 il Papa Gregorio Magno amministrò Roma per contodell'Imperatore di Bisanzio (dunque la donazione di Costantino non esisteva). Giunti al728 il re longobardo Liutprando cedette al Papa il territorio di Sutri tolto al bizantini.L'origine dello Stato della Chiesa è quindi di assai dubbia legittimità, e fin dall'inizio cifurono pensatori cristiani che si opposero all'idea di un Papa sovrano, guerriero ediplomatico come tutti i potenti della terra. Purtroppo la lettura di una simile condizione ètoccata unicamente, tra tutte le religioni, al cristianesimo, proprio la religione di Colui cheha proclamato ”Il mio Regno non è di questo mondo”. Incredibile ma vero. 

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6767Per secoli e secoli la Chiesa e lo Stato si sono scontrati come due potenze avverse, in

una lotta senza senso. Perfino i patti tra loro non avevano senso perché erano tra due chesi consideravano pari. Per esempio i Patti Lateranensi dicevano: “Lo Stato e la ChiesaCattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Ma il regno di Dio,pur attuandosi nel mondo, non deve assumere i paludamenti dello Stato. Esso è un lievitointeriore che deve permeare la società civile e ispirarne le più nobili azioni, noncontrapporsi ad essa.

Mentre tutti i grandi Stati europei conseguirono relativamente presto la loro unitàpolitica, l'Italia non potè averla che in tempi recenti, perché, come aveva detto Machiavelli,né la Chiesa fu così forte da attuarla, né cosi debole da permetterla. E tuttavia la Chiesa hadifeso il suo potere temporale sostenendo che esso le è necessario per esercitareliberamente quello spirituale. Camillo Cavour, nel suo discorso alla Camera del 27 marzo1861, dichiarò giustamente che la Chiesa può essere indipendente anche senza il poteretemporale. Anzi questo le è d'impaccio. Da tre secoli essa aveva chiesto invano la libertàpolitica a tutte le grandi potenze cattoliche: di questa libertà aveva cercato di strapparealcune porzioni per mezzo di concordati, con cui il Santo Padre era costretto a concedere,in compenso, dei privilegi, anzi peggio che dei privilegi, a concedere l'uso delle armispirituali alle potenze temporali che le accordavano un po' di spazio. Questo è terribile. LaChiesa ha patteggiato, quale potenza politica, con le altre potenze politiche, rinunciandoperfino a una parte delle proprie prerogative spirituali. Pensiamo alle elezioni dei vescovi,alla stessa elezione del Pontefice, che fino a poco tempo fa sottostava al placet degli statipiù potenti. Pensiamo al Re sacrestano Giuseppe II, che aveva sottratto al Papa prerogativesue proprie, per il cui riacquisto Pio IX si piegò al definitivo tradimento della causaitaliana, rovinando perfino il programma dei suoi sostenitori neo-guelfi. Il colmo: laChiesa che canonizza i Santi ha da fare i conti con gli stati colleghi che li hannomartirizzati. E perciò spesso soprassiede. Non è pensabile che la Chiesa, la Sposa di Cristo,possa essere detentrice di ricchezza, quando lo Sposo le è stato esempio di povertà. Ma, sidirà, essendo la Chiesa anche una realtà temporale, essa ha bisogno di denaro per le suenecessità occorrenti. Nessuno lo nega. Ma altro è usare dei beni di questo mondo, altro èpossederli. Purtroppo la Chiesa è anche un Regno temporale, e come tale partecipa dellenecessità di possesso, anzi della proprietà. Ma chi le ha dato la facoltà di trasformarsi inregno mondano? E‟ proprio questa la cosa da discutere. Una volta, quando i cristiani eranoun cuor solo ed un‟anima sola, avevano tutto in comune. Era l‟attuazione del comunismo -ante litteram-, che era perfettamente libero. Ai nostri tempi questo sarebbe inattuabile, manon penso che sia inattuabile liberare la Chiesa-istituto da ogni contaminazione di interessifinanziari ed economici. Prima di tutto bisognerebbe che il Papa cessasse di essere unsovrano temporale. Si dirà che la sovranità temporale oggi è talmente esigua che quasi nonesiste. Non è vero: si è visto proprio ai giorni nostri che questa sovrani a e veramentegrande, e addirittura pericolosa, non solo per il bene della Chiesa stessa, ma anche perquello degli altri. Una Chiesa che gestisce una Banca, implicata addirittura nel crack delBanco Ambrosiano, una Chiesa che sborsa duecentocinquantamilioni di dollari disemplice transazione, e che per difendere l'operato di alcuni dipendenti colpiti damandato di cattura emesso dalla Magistratura Italiana, ricorre all'espediente di dichiararsiimmune, come Stato estero, coprendo i suoi funzionari quali agenti per conto e mandatodella Santa Sede, è una Chiesa che si è fortemente squalificata agli occhi di tutti, eccettonaturalmente di quelli che non vogliono vedere, che sono sempre tanti. E che dire deidiritti altrui, gabbati da questo comportamento? Non solo in Italia, ma anche in altri paesi,Stati Uniti per esempio, la Banca del Vaticano ha creato grossi guai finanziari (cfr Vaticano

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68spa). E viene inoltre spontaneo collegare la morte di Calvi e di Sindona con quella di PapaLuciani, avversario di ogni forma di speculazione ecclesiastica. Perché non provare alloraa tornare alla vera povertà dei primi tempi?

Non si pensi che io sia pauperista per partito preso. Quando la Banca Vaticana eradiretta dal Cardinal Alberto Di Iorio, sentivo di appellarla da chi la conosceva bene, inmodo sincopato, Istituto perdi Religione, ma non si leggevano lamentele sul giornali. Anziil Cardinale faceva anche del bene. Una volta un ex gesuita venne a trovarmi disperato(voleva ammazzarsi), perché aveva bisogno di una somma notevole: lo andai dalCardinale, che mi stimava, gli esposi il caso, e lui mi diede i tre quarti del necessario,dicendo che era suo costume dare sempre un po' meno del richiesto. Che fu almenosufficiente perché l'amico desistesse dal suicidio.

Queste però sono cose del passato. Di lorio non c'è più.C'è invece Monsignor Marcinkus, e ci sarà Monsignor De Bonis, lucano, che ai miei

tempi era il numero due dopo il Cardinal Di Iorio, ed era anche il numero due nellaassistenza spirituale e finanziaria alla mia Congregazione Mariana, che, in grazia loro, erapassata dalla miseria allo splendore. Ma - sarò cattivo - De Bonis Donato non mi ha maipersuaso, come non persuadeva Paielli, il quale lo vedeva troppo attaccato alla coda delCardinale. Veniva in macchina bella SCV, a farci la predica domenicale, che era peròfredda, distaccata. Quella del Cardinale -quando poteva venire lui- era calda, appassionata,dimostrava giovanile entusiasmo. "Innova" campeggiava nel suo stemma e nel suo cuore:era straordinario che quell'anima, pur non molto nutrita di cultura, non si fosse affattolasciata inaridire dalla prosaicità dei miliardi di dollari che conteggiava. Ma forse non liconteggiava lui: lui li elargiva, e senza guardare ai meriti, bensi ai bisogni. Quando ilpovero Paielli, divenuto funzionario dello IOR (ma senza convinzione), ricorse disperato aMonsignor De Bonis, perché aiutasse me che ero caduto in rovina proprio per aiutare laChiesa, quegli oppose un netto rifiuto. Almeno il Cardinal Benelli mi chiuse in bustabianca centomila lire, il prezzo della delazione, come apparirà a me, ferito a morte.

Ma Monsignor De Bonis non è affatto un avaro. Ha già promesso che quest'anno loIOR, nel tradizionale assegno natalizio al Papa, scriverà una cifra superiore ai quattordicimiliardi dello scorso anno. Quello che non è apprezzabile è che lo abbia fatto sapere primaalla stampa. Ma De Bonis non era stato ancora nominato ufficialmente numero uno, e laprudenza non è mai troppa. "Non dire quattro finchè non l'hai nel sacco”, però unapromessa condizionata si può sempre fare, ed aiuta l'evento. Perché il Monsignore èprudentissimo (aveva i capelli bianchi fin da giovane): mai nessuno ha potuto incriminarloper i fatti della Banca Vaticana. Una volta gli fu ritirato il passaporto, ma dovetteroridarglielo: era pulito. Cfr. "Espresso" n. 11/1989.

“Nos vero orationi et ministerio verbi instantes erimus" dicevano Pietro e gli apostoli,lasciando la cura del denaro agli altri, per occuparsi a tempo pieno della salvezza delleanime redente da Gesù. Il 31 agosto 1978, "Il Mondo" indirizzò una lettera aperta al nuovoPapa, Giovanni Paolo I, nella quale erano posti quesiti gravi: E' giusto che il Vaticano operisui mercati come un agente speculatore? E' giusto che abbia una banca che interviene neltrasferimenti illegali di capitali dall'Italia in altri Stati? E' giusto che quella Banca aiuti gliitaliani ad evadere il fisco? Perché la Chiesa tollera investimenti in società, nazionali emultinazionali, il cui unico scopo è il lucro, società che, quando è necessario, sono pronte aviolare e calpestare i diritti umani di milioni di poveri, specialmente del Terzo Mondo cheè cosi vicino al cuore di Sua Santità?

Il 3 febbraio 2010 Papa Ratzinger ha inoltre « strigliato » i prelati arrivisti.

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6969Il redattore finanziario Paolo Panerai attaccava anche Luigi Mennini e Paul Marcinkus

per le loro relazioni con "i più cinici operatori finanziari del mondo, da Sindona al padronidella Continental Illinois Bank di Chicago".

Leggo in David Yallop che Papa Luciani lesse tutto ciò. Egli aveva già avuto esperienzapersonale di come Marcinkus gestisse la Banca Vaticana, esperienza che risaliva al 1972,quando Marcinkus aveva venduto a Roberto Calvi la partecipazione di controllo nellaBanca Cattolica del Veneto, senza consultare il Patriarca di Venezia, e con grave danno deirisparmiatori.

Luciani decise di intervenire. Ma la morte troncò la sua azione.Riparato, sia pure in maniera ingloriosa, per non dire di peggio, al pericolo del penale,

ora la Banca del Vaticano, deve invece rispondere in sede civile del concorso nellabancarotta del Vecchio Banco Ambrosiano. La requisitoria scritta dal sostituto procuratoredella Repubblica di Milano Pier Luigi Dell'Osso evidenzia che la Banca Vaticana avrebbeavuto una parte preponderante -nella distrazione, nell'occultamento, nella dissipazione ecomunque nella distruzione del patrimonio sociale- dell'Ambrosiano. Quando RobertoCalvi fu trovato impiccato sotto un ponte di Londra il 18 giugno 1982, milleottocentomiliardi mancavano all'appello del Banco Ambrosiano, e gran parte di queste sommesarebbe uscita grazie alle lettere di patronato fornite a Calvi dal Vaticano nell'agostosettembre dell'anno precedente, lettere che riconoscevano la pertinenza allo IOR di societàestere, le quali si trovavano dopo pochi in posizione debiti nei riguardi dell'Ambrosianomedesimo. Chi deve risarcire gli azionisti danneggiati? E chi risarcirà il popolo cristiano diquesto scandalo, per cui è stata rovinata l'immagine della Chiesa ufficiale? Chi renderà algiovani la fiducia nel preti?

Leggiamo una pagina di Martiri Lutero, che, a mio avviso, è pienamente accettabile:"Si è trovato conveniente che i papi, i vescovi, i preti e gli abitanti dei conventi si

chiamino ceto ecclesiastico, e ceto secolare invece i principi, i signori, i commercianti e icontadini; tal cosa è una finissima e ipocrita costumanza, ma nessuno si lasci abbindolareper le seguenti ragioni: tutti i cristiani appartengono allo stato ecclesiastico, né esiste traloro differenza alcuna, se non quella dell'ufficio proprio di ciascuno; come dice San Paolo,noi tutti insieme siamo un solo corpo, ma ogni organo ha il suo compito particolare concui serve agli altri; e ciò avviene perché tutti abbiamo il medesimo battesimo, il medesimoVangelo, la stessa fede e siamo tutti cristiani allo stesso modo. Il battesimo, il Vangelo e lafede, infatti, ci fanno tutti religiosi e tutti cristiani. E la potestà del papa o del vescovo, cioèdi ungere, ordinare, consacrare e vestirsi diversamente dai laici, può rendere uno fariseo oprete consacrato, però non serve mai a rendere uno religioso o cristiano. E' anche eccessivoche la legge della Chiesa attribuisca tanta importanza alla libertà, alla persona e ai beniecclestastici, come se i laici non fossero altrettanto buoni e religiosi cristiani di loro, o nonappartenessero affatto alla Chiesa. Insomma, perché sono così liberi il tuo corpo, la, tuavita, i tuoi beni ed il tuo onore, ed i miei no? Eppure siamo egualmente cristiani edabbiamo in comune il battesimo, lo spirito e tutte le altre cose. Quando un prete vieneammazzato, un paese intero viene colpito con la scomunica: perché non succedealtrettanto quando viene accoppato un contadino? Donde proviene una tale enormedifferenza tra cristiani uguali? Solo da leggi e invenzioni . umane. In primo luogo è orribilee spaventoso vedere che il capo della Cristianità, che si proclama vicario di Cristo esuccessore di san Pietro, viva tanto lussuosamente e mondanamente che nessun re oimperatore può pretendere né ottenere l'uguale, e mentre si fa chiamare "santissimo" e"spirituale", è più terreno di quel che non sia la stessa terra. Porta la triplice corona, mentrei re più grandi ne portano una sola, si paragona alla povertà di Cristo e di San Pietro, e

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7171Come pure non approvo che per principio ci sì schieri dalla parte degli operai contro il

capitale. Se non ci fosse stato il capitale, ci sarebbe mai stata un'industrializzazione? Oggisaremmo ancora quasi tutti contadini, anzi zappaterra.

Non è giusto che l'operaio sprezzi il datore di lavoro, perché lui stesso può diventarlo.E oggi sono gli stessi lavoratori a fornire il capitale coi loro risparmi, visto che non si èavverata la predizione di Marx, e si è invece costituito un vasto ceto medio. Con questonon dico che non ci sia stata una questione operaia, alla quale la Chiesa per troppo temponon ha prestato orecchio.

Vorrei qui far notare che, a mio avviso, è stato tradotto male il Vangelo, là doveleggiamo "E' più facile che un cammello entri nella cruna di che un ricco nel regno deicieli". Davvero il cammello... non c'entra. La parola cammello e la parola gomena (corda dinave) si scrivono in ebraico antico allo stesso modo, e cioè con le stesse consonanti. Ipuntini, che compaiono solo nell'ebraico più tardo, per indicare le vocali, avrebberoevitato l'equivoco. Mi sembra che il significato di gomena sia da preferire a quello dicammello, per diverse ragioni. Prima di tutto Gesù, nella sua moderazione, non potevafare un paragone tra due cose così lontane per genere e per misura. Poi Egli parlava apescatori che non avevano i cammelli dei carovanieri o dei signori. Inoltre il contrasto tra ilfilo, sia pure quello delle reti, e la corda dei loro barconi era ben evidente agli uomini diTiberiade. Ed anche a noi.

Un esempio tipico di quanto abbia nuociuto alla Chiesa il potere temporale è stato ilcaso Mortara. Da Gesuita, col Padre Giacomo Martina, ho studiato accuratamente questofatto storico. Lo propongo succintamente. Nel 1852, durante il pontificato di Pio IX, unbambino israelita di Bologna, Edgardo Mortara, gravemente malato, fu battezzato dinascosto dalla domestica cattolica. Il bambino sopravvisse, il fatto venne - anni dopo - aconoscenza del Sant'Uffizio, e il Padre Inquisitore di Bologna ordinò che il fanciullo fossedal gendarmi pontifici sottratto all'autorità paterna, per venire educato cattolicamente aRoma. La notizia divenne di pubblico dominio, e il mondo si indignò per l'atto arbitrariodi Pio IX. Ma questi non si scompose, conscio della sua duplice autorità, quella di capodella Religione Cattolica e quella di Sovrano di Bologna, anzi attribuì tanto baccano amancanza di fede. Quanto al padre del bambino, egli era in grave difetto, perché agli ebreiera proibito tenere domestici cattolici (ma per quali motivi? Per il medesimi per cuiesistevano i ghetti). Edgardo Mortara godette delle personali paterne attenzioni di Pio IX,si fece prete, e morì a novant'anni nel 1940, sempre grato a quello che considerava il suobenefattore. I buoni cattolici videro in tutto questo la soave disposizione dellaProvvidenza. E lo è senz'altro, ma la Provvidenza usa servirsi anche del male dei suoiministri per ottenere il bene, come si servi della perfidia dei sommi sacerdoti per redime i1mondo col sangue suo divino. Però il male resta male. Non per niente Dio dice: "Guai adAssur, verga del mio furore".

Il 14 novembre del 1859, abolito in Romagna il Tribunale della Santa Inquisizione, ilgoverno del Farini aveva fatto arrestare e processare il Padre Feletti, Inquisitore diBologna, come autore del "ratto" del bambino. Ma questi, come era da attendersi, andòassolto perché l'ablazione del bambino era dovuta a volontà di Sovrano, di "Principe", cuiil Feletti aveva ubbidito.

Il Papa è Sovrano, e Sovrano assoluto. In Vaticano ha il supremo potere legislativo,esecutivo e giudiziario. Egli è uno dei pochi monarchi ancora esistenti, anzi è l'unico tra imonarchi assoluti storicamente e "legalmente" costituiti. Sua caratteristica è di non essereresponsabile di nulla. Responsabili sono i suoi ministri, ma essi non rispondono che a Lui.Se i1 Papa non fosse un Sovrano, noi oggi sapremmo di che è morto Luciani; se il Papa non

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72fosse un Sovrano, Ali Agcà non sarebbe all'ergastolo: sarebbe libero da un pezzo; se ilPapa non fosse un Sovrano, l'FBI non sarebbe stato messo alla porta perché indagava sumafia vaticana segreta, e il Governo Italiano non avrebbe avuto la porta in faccia neltrasmettere mandato di cattura per presunte azioni criminali di banchieri vaticani: essirispondono solo a Lui, ed hanno agito per suo conto. Il Vaticano ha osato dare questerisposte, senza pensare alla gravità della loro portata, senza pensare che, dietro la dignitàdi Sovrano, c'è da salvare la dignità del Capo della Chiesa, che non esce certo rafforzata dacerte vicende.

Ma chi ha dato al Papa questo potere? Non certo Gesù. Egli aveva anzi raccomandato:"Date a Cesare quel che è di Cesare" . Anzi aveva detto ancora: "Ecco io vi mando comeagnelli tra i lupi", "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi", e "Rimetti la tuaspada nel fodero". Messasi in linea con le potenze terrene, la Chiesa ufficiale ènecessariamente dalla parte della legalità costituita, dalla parte del potere, che invece intanti casi dovrebbe combattere per sua stessa missione. E col potere ha stipulato iconcordati che limitano le sue prerogative spirituali e le assicurano di potersi assidereindisturbata tra le potenze terrene. Ma che cosa le premono, i diritti delle anime a leiaffidate, o non piuttosto i suoi diritti come Istituzione Politica? Come mai tanto spesso sichiude la bocca al cristiani che denunciano soprusi nel suo stesso seno? E' mio dovereallora gridare forte che purtroppo quelli che perseguitano la Chiesa non sono più datempo i nemici di Gesù, ma i nemici delle ingiustizie e delle prepotenze sacrali. E' perquesto che i templi si spopolano e il messaggio evangelico subisce ritardi.

La Chiesa si batte - e neanche sempre - per la giustizia in casa altrui, ma non la attua incasa propria. E' giusto o no che chi ha lavorato per la Chiesa debba veder riconosciuto ilproprio diritto alla pensione, o almeno ad una liquidazione congrua? Eppure, se esiste unconcordato con lo Stato, secondo il quale i religiosi che lasciano, per qualsiasi motivo, illoro Ordine o Congregazione, non hanno nulla a pretendere, lo Stato non può in nessunmodo difendere i suoi cittadini. Si assiste cosi ad una discriminazione tra cittadini ecittadini, che è assolutamente in contrasto con l'uguaglianza proclamata dallaCostituzione. E' un‟altra dimostrazione che non è possibile che la Chiesa continui adergersi come potenza politica che baratta con un'altra potenza politica. Tanto più che nellasocietà moderna il lavoro dei religiosi viene considerato alla stregua del lavoro di qualsiasialtra persona: basti ad esempio il fatto che le scuole, principale attività dei religiosi, sonotassate dallo Stato alla pari di aziende commerciali per il lucro che esse conseguono. E ilreligioso che lascia l'abito alleggerisce dell'onere del suo mantenimento l'Ordine che si èinvece giovato dei frutti economici del suo lavoro. Non parliamo poi delle ragioni chehanno indotto tanti religiosi ad andarsene, molte volte più che legittime anche dal puntodi vista della religione cristiana. Dalla Compagnia di Gesù tantissimi se ne sono andatiproprio perché la medesima aveva operato grandi cambiamenti nelle sue regole eCostituzioni.

Chi aveva accettato la primitiva Compagnia, e non accettava la seconda, aveva ildiritto, non potendo opporsi per numero, di andarsene per dissenso. Questo eraconsiderato addirittura legittimo dalle supreme autorità. E allora perché non dare, pergiustizia, il dovuto? Tanto più che la Compagnia di Gesù è ricchissima. E' vero che le suecase professe devono vivere in stretta povertà, ma essa possiede proprietà ingenti e moltiliquidi per il mantenimento degli studenti e per le vocazioni. Come economo del CollegioInternazionale lo sapevo bene, ma non è un segreto. E' più che ragionevole che talefondazione, che si avvale di lasciti testamentari, e di oculata amministrazione, debbasovvenire anche al rischi della cosiddetta perdita di vocazioni: un Superiore, quando lo ero

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7373ancora tra loro, lo ammetteva apertamente, e non era un Superiore qualunque, era il PadreProvinciale Roberto Bortolotti, Professore di Diritto Canonico alla Università Gregoriana.Ma vi pare che i Gesuiti, spalleggiati dal Concordato della Chiesa con lo Stato, mettanomano alla borsa per adempiere alla giustizia? Tutt'al più ti possono fare una umilianteelemosina, per pura "carità cristiana". Il diritto della Chiesa calpesta dunque la giustizia,oltre che la vera carità, perché non vi è carità senza giustizia. "Ma tu sei un indegno”. Può

darsi, ma voi insegnate che a una puttana il conto va pagato, anche se ci si pente di averneusato. E a me incombe anche il dovere di avvertire coloro che sinceramente efiduciosamente offrono se stessi alla Compagnia e alla Chiesa che aveva ragione mio padrebuon'anima di dire: "Non ti fidare dei preti”. Triste ma vero. E se non si parla chiaro, lecose non cambieranno mai. Anzi c'è tanta gente che neppure davanti all'evidenza vuoleammettere che la Chiesa sbagli, neanche in queste cose. E' gravissimo che gli ecclesiasticifacciano conto di questa creduloneria (compresa la mia, per lungo tempo). Dobbiamofidarci di Dio, non degli uomini. Non per niente Gesù ha detto: "Siate semplici comecolombe, ma prudenti come serpenti". Dante ha messo nel più profondo dell'inferno itraditori di chi si fida. Quanti ecclesiastici meriterebbero la Giudecca! Dio li perdoni,perché anche per loro Lui ha pagato.

C'è tra i Gesuiti una regola che suona cosi: "Ciascuno si persuada che delle cose chesaranno in casa gli si daranno le peggiori". Ora lo feci subito questo ragionamento, che nonfu volontario, ma automatico, messo in moto dall'ascolto del testo che si leggevasolennemente dal pulpito del sacro refettorio. Chi è che darà al gesuita le cose peggiori?Evidentemente il Superiore, perché è lui che decide tutto. E le migliori a chi resteranno? AlSuperiore naturalmente. E la conferma del mio ragionamento venne poi dalla pratica. Ilgesuita Giuseppe Cascino aveva ricevuto in dono da sua madre una penna d'argento. Dabuon religioso si recò dal Superiore Padre Bernacchi per domandargli il permesso ditenerla, o meno. Il saggio presule gli fece notare che la penna d'argento è un oggetto indisaccordo con la povertà religiosa, e perciò se la fece consegnare.

Da quel momento tutti poterono vedere l'illuminato Superiore scrivere con la pennad'argento, che indubbiamente gli conferiva maggior prestigio.

Il Padre Virginio Rotondi era di una sfacciataggine unica quando si gloriava della suadimestichezza con Pio XII. "Oggi ho visto sulla scrivania del Papa una bella pennastilografica, e me la sono presa, dicendogli: - Santità, questa la terrò per suo ricordo -Giorni fa ho fatto lo stesso con un orologio. Il Papa ha lasciato fare, sorridendo eannuendo. Credetemi, con me è di una bontà unica". Anche noi sapevamo che era buono,che era buono con tutti, non solo con Rotondi, e per questo ci siamo meravigliati di sentirappellare buono per antonomasia Giovanni XXIII, il quale non fu affatto buono con quelsant'uomo di Padre Riccardo Lombardi, che aveva osato parlare chiaro dei difetti dellaChiesa ufficiale.

Il suo vice-profeta, di Vicovaro, non aveva certo la fine educazione dì Pio XII, anzi lasua "rustica progenies" era piuttosto vicina a quella di Papa Giovanni. Quando andai arilevare Padre Rotondi al "Mondo Migliore" sul lago di Albano, per condurlo ad unaconferenza in casa nostra, agli studenti, egli stava scrivendo con una splendida macchinabianca, con tanto di stemma papale, evidentemente un altro "regalo”. Al vedere lamodesta auto, di tipo più che superato, con la quale avevo osato presentarmi, storse il nasoe disse: "Se avessi saputo, avrei fatto venire una Mercedes dal Vaticano”.

Eppure Rotondi non era così quando era sconosciuto al gran pubblico. Mi dispiaceva divederlo, "cosi, semplicemente", fregare il Papa. Preferisco ricordarlo umile e modesto,quando entusiasmava i ragazzi con il gioco più impensato: la preghiera, per conquistare il

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74mondo a Gesù. Aveva fondato la C.I.D.R.O.S. (che in latino, più o meno, eral'abbreviazione di "Cuore divino di Gesù regna oggi e sempre”). CIDROS scrivevano iragazzi su tutti i muri, e la gente pensava che si trattasse di una nuova bevanda perl'estate.

Erano proprio I gesuiti di più modesta origine ad essere grandiosi. Una volta unfratello laico, rimproverato di essere troppo -ricco-, rispose: "Se avessi gradito esserpovero, sarei rimasto a casa mia".

Viceversa Maurizio Roberti di Castelvero, coltissimo, di famiglia nobile, ricca e fine,non parlava mai di sé, ed aveva abiti pulitissimi, ma consunti. Notai che perfino le scarpeerano riparate con le cosiddette "pezze invisibili". Maurizio prendeva l'autobus. Morì atrentaquattro anni, per aver cortesemente accettato un passaggio in una macchina, cheandò a fracassarsi. Signore, come è vero che tu non hai bisogno di nessuno, e che spessochiami a Te gente che per la Chiesa sarebbe preziosa, mentre lasci noi "mascelle d'asino" acombinare guai, se tu non ci aiuti!

Di preti furbi ce ne sono tanti.Ci sono quelli che intascano per sé le pubbliche offerte, tipo quello che in una festa

paesana sfamava, quale amministratore, le forze dell'ordine con pane e mortadella, mentreper esse, intervenute fin dall'alba, era previsto un pranzo regolare.

Mi raccontava un costruttore che in una grossa chiesa romana si stavano facendo deilavori di riattamento a spese dello Stato, dato che le chiese sono di proprietà del medesimo(bell'acquisto). "Qui" gli diceva il Parroco "preparerà l'appartamento per il Vescovo". QualeVescovo, se il Vescovo di Roma è il Papa, e i suoi ausiliari sono abbondantemente fornitidi alloggio? - "Perciò, mi raccomando, roba fine, materiali di prima qualità per i pavimenti,per i bagni... "Insomma sa lei cosa occorre. Da quest'altra parte, invece, l'appartamentinoper me. Perciò materiali dozzinali, di scarto, direi, da povero prete, tanto io non ci tengodavvero". Il costruttore esegui. Dopo qualche tempo ebbe occasione di tornare.Nell'appartamento del Vescovo abitava il prete, in quello del prete stavano le suore che glistiravano le camicie.

E' recente la denuncia (19 agosto 1988) della Corte dei Conti circa lo sperpero dei soldidella Protezione Civile, che quando occorrono davvero non ci sono mai. Un miliardo èstato erogato alla Chiesa parrocchiale di Frugarolo, in Provincia di Alessandria, per il suoconsolidamento, trecento milioni per il ripristino della Chiesa della Curia Vescovile diMilano (un bravo all'Arcivescovo Martini). Intanto i terremotati del Belice e dellaCampania attendono da decenni di essere soccorsi. Fuori dell'inchiesta giudiziaria, si èappreso che il Ministro Gaspari ha stanziato un miliardo e duecento milioni per il restaurodella Chiesa di Lanciano, nel suo collegio elettorale. Che senso hanno allora gli appellidella Chiesa alla carità e alla giustizia?

Quando lo ero ancora studente gesuita, mia sorella Maria Vittoria mi fece sapere che dadieci mesi non era ancora stata pagata per il suo lavoro nelle scuole popolari di Roma,gestite dalla FIDAE, nella persona di Monsignor Cameli, il quale si faceva regolarmentenegare tutte le volte che lei andava a cercarlo in ufficio. Mi appostai allora sotto la casa dilui, a Porta Angelica, lo vidi scendere dalla macchina SCV con autista, e salire le scale.Suonato il campanello, un compito maggiordomo mi significò che Monsignore non era incasa. Non fui altrettanto compito e, alzando la voce, costrinsi il Prelato a venir fuori, stupito.Mi introdusse, proprio lui, tutto impomatato e untuoso, nel suo studio, mi domandò ilmotivo della mia visita e, saputolo, esclamò: "Benedetti figliuoli, è proprio vero che non cisi contenta mai! Ma non capisce sua sorella che un anno intero di lavoro presso di me lefrutta punteggio per le scuole statali?". "Monsignore” risposi lo, "anche il Suo lavoro nella

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7575Chiesa, mi auguro, Le frutterà punteggio per il Regno dei Cieli, ma questo non toglie cheLei ne riscuota frutti anche per questa terra". Scuotendo benevolmente il capo mi firmò unassegno onnicomprensivo e mi congedò affabilmente. Il caro Monsignore godeva fama dichiedere prestazioni in natura alle belle figliuole che gli chiedevano lavoro, ma mia sorella non siera dimostrata disponibile. Oltre che alle grazie femminili, il Monsignore era sensibile allebustarelle, che a dire la verità non esigeva, ma che le suorine dei Collegi ed educandati,posti sotto la materna tutela della Chiesa, bisbigliavano essere utili per accelerare lepratiche che il solerte burocrate svolgeva. Intorno al 1970 il contenuto equo di una bustarella

 per Monsignor Cameli era calcolato (non da lui, che non sapeva nulla) un milione e mezzo dilire. La Madre Preside dell'Istituto delle Orsoline di Via Livorno, una santa e prudentereligiosa, me lo confermò. Ciò udito, mi recai a San Callisto, dove avea sede la Prefetturaecclesiastica per le Università, Seminari e Scuole. Due degni Prelati, uno dei quali eraMonsignor Carlo Confalonieri, poi divenuto Cardinale e Camerlengo di Santa RomanaChiesa, mi ascoltarono con attenzione, si guardarono in faccia e poi mi dissero: “Ci farebbecosa gradita se ripetesse queste stesse cose al Cardinal Pizzardo, Prefetto della Congregazione eGran Cancelliere della vostra Università Gregoriana, dato che finora noi non abbiamo potuto

  persuaderlo ad agire in merito". Mi feci annunciare al Cardinale, in casa sua presso SanPietro. Il porporato mi ascoltò benevolmente, poi si degnò di domandarmi: "Padre mio, midia un consiglio: che faccio? ". Rimasi stupefatto di tanta umiltà, poi arditamente risposi:"Eminenza, lo rimandi al suo paese". Era pure "burino". Il Cardinale alzò desolato gli occhi alcielo, poi disse "Non posso, è troppo protetto". "E da chi, Eminenza? Dal Papa?". Non rispose,poi, dopo matura riflessione, disse: "Gli farò fare un corso di Esercizi Spirituali". "Bastacosì, Eminenza", e me ne andai. E Monsignor Cameli continuò in Roma il suo apostolato.

Un grande indebito insulto che si reca alla memoria di Celestino V è quello di bollarlocome "colui che fece per viltade il gran rifiuto". Nulla di più falso. Non era certo a lui cheDante pensava, perché gli era troppo simile di carattere. Celestino, il monaco Pietro daMorrone, fu tutt'altro che vile. Prima di tutto non rifiutò il pontificato, anzi lo accettò e loesercitò per diversi mesi. Le sue successive "dimissioni", come diremmo oggi, furono unarinuncia, non un rifiuto. Dante conosceva bene il valore delle parole. Rinunciare a un tronoper tornare alla pietra dell'eremita richiede coraggio. Ma Pietro non era disposto acompromessi con la sua coscienza, dato che era vano lottare contro la Curia romanacorrotta e corruttrice. Abbiamo avuto di recente un altro Papa che il Vaticano ha cercato difar passare per un buono a nulla, e invece aveva l'indole del leone. Era Giovanni Paolo I, evoleva far piazza pulita di tutti gli arraffoni che mangiavano sulla Chiesa. Ma che cosa hapotuto fare? Dopo trentatré giorni i suoi nemici hanno trionfato. Non gli hanno neanche concessole ventiquattr'ore di sicurezza che si osservano in qualsiasi annuncio di decesso, né gli è stata

  praticata quella autopsia che in circostanze analoghe sarebbe stata d'obbligo per un barbonequalsiasi. Se oggi Papa Giovanni Paolo II, il quale - dice Yallop - ha in comune col suo

 predecessore soltanto il nome, rinunciasse al Papato per gli scandali che ha dato il Vaticano, noi lobolleremmo di viltà o non piuttosto lo onoreremmo per il coraggio? E i problemi che Papa Lucianivoleva risolvere si sono incancreniti, non davvero risolti. L'unico personaggio al quale siattagliano bene le parole di Dante, e che non si trova in alcun'altra parte dell'Inferno, èPonzio Pilato, il quale vigliaccamente rifiutò di esercitare il dovere (di giustizia) diassolvere e mandare libero il grande Innocente, Gesù Cristo, lavandosene le mani, solo persventare il pericolo di danni alla sua carriera. Ha voglia il mio Preside, che sta prendendola laurea in legge, di sostenere che secondo il diritto romano egli non era colpevole. Eglisolo aveva il potere di vita o di morte, e nelle cause religiose Roma non ammetteva ladamnatio capitis, la pena capitale. Ma il Preside si lava anche lui le mani, quando si trattadi difendere un professore da ingiuste accuse. E' un modo per attendere con più tranquillità ad

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76occupazioni più gratificanti.  Ma è anche una delle spiegazioni al complesso fenomeno della scuolaitaliana avviata allo sfascio. Un altro Preside faceva anche il sindacalista, e, invece di presiederei consigli, andava a beccare tangenti dal beneficati. E' fuor di luogo, però, la meraviglia, datoche l'abitudine al lavamano è propria di eccellenti personaggi ecclesiastici e laici.

Quando il meglio è nemico del bene

Mi domandavo a questo punto, quante poche cose sono mostrate nella loro chiarezza equante ingiustizie si commettono in nome dell‟efficienza, spesso figlia dell‟ignoranza e dicerto modo di fare, volersi proporre. Volli dunque approfondire, attraverso la lettura dellaValtorta, per mezzo di Guido Landolina, come Dio soccorra in « bene » e cosa voglia direessere Corredentrice? Ho deciso di non lasciarmi più gabbonare da taluna facinoria con ilquale vengono bollati alcuni messaggi celesti, che sono invece essenziali per comprenderela missione di bene all‟interno della Chiesa, di noi che siamo per giunta uomini consacrati.

Facciamo dunque un salto indietro, nell‟Eden. Il primo uomo viene creato, non generato.

«Dio crea Adamo da una ancestre» (Genesi Biblica come è stata rivelata a Don Bortolucci) e poiEva. Li crea persone, in sensibilità. Dà loro il Suo Spirito in «immagine e somiglianza», ma gli dàanche un dono: quello di generare propria sensibilità, attraverso il libero arbitrio : ciò che ci fa aprireverso gli altri. Dio era padre e madre di Adamo e dell‟umanità perchè ha creato il primo gametemaschile ed il primo gamete femminile, che hanno formato il primo zigote umano nell‟utero di Eva.Giovanni Paolo I era compagno di seminario a Feltre di don Guido Bertolucci. Un sant‟uomo feceuna profezia dove rivelerà che uno sarà destinato ad alte cariche ecclesiastiche ed un altro saràdestinato a approfondire sulla genesi. Ecco perchè Giovanni Paolo I parlerà di Dio Madre.

La Trinità è composta da Tre Persone: Padre Figlio e Spirito Santo. Della divinità fa parte anchela Comunione dei Santi, in Spirito. Unica Natura e Tre Persone di Dio preoccupò la “dittaturadello spirito puro” degli angeli, forse troppo perfetti per poter ammettere il primato della Personasulla perfezione. Lucifero è il precursore di tutti i «Dittatori», artefice della dittatura perpetua e

 padre di tutti gli uomini “prepotenti”, superbi, arroganti, massacratori del genere umano , arteficidell‟efficientismo, della razza pura. Questi, demoni e dittatori, nutrono la propria superbiacon le anime delle “persone” e portando dolore a Dio, che ci vuole tutti figli e fratelli.

Adamo, si avvicina all‟ancestre, albero del bene e del male, per dettare le condizioni sulCreato e su ciò che era posto al confine dell‟Eden, contaminando tutto con i nuovi « figlidella perdizione ». Il luogo dove, come ci ricorda Genesi, gli stessi animali erano rimasticome Dio li aveva fatti. Saranno quelli che verranno salvati da Noè nel numero di Settecoppie, contro 1 di ciò che non era stato mantenuto puro come nell‟Eden. Ora, Adamo siavvicina lì dove era Satanael, il mistificatore, uno degli angeli ribelli a Dio, il primo, sullaTerra ad aver utilizzato a suo vantaggio l‟ingegneria genetica dell‟incrocio dell‟Uomo con iprimordi e l‟inganno della mente attraverso la superbia e la propaganda. Quando finirànelle sue grinfie, l‟uomo si accorgerà che mentre Dio aveva consesso la libertà di scegliere,il Dittatore, per eccellenza, non gliela restituirà più e lo porrà sotto il suo principato. Cosìcome non permetterà ai discendenti -salvo intercessione della Grazia- di tornare nell‟Eden.Gli prospetta invece come unica soluzione, il suo eden, di corruzione e sottomissione.

Il figliol prodigo è colui che, appurata dove sta la Verità, decide per sua volontà e conle sue forze di tornare alla casa del Padre, nella Vigna del Signore, con il proposito, inSpirito, di lavorare per la Vigna, instaurando tutto in Cristo.

Evoluzione e Creazione: Caino è la chiave del mistero della conoscenza. Però, definiremoaltrove il ruolo della ancestra e la sua dipendenza da Satanael, l‟angelo Dominatore della Terra. 

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7777A questo punto subentra il ruolo di Maria Corredentrice. Chiediamolo al „mariologo‟

Roschini che, a proposito di questo titolo, scrive: “Questo glorioso titolo mariano s‟incontracon una certa frequenza negli scritti della Valtorta. Oltre ad usare con frequenza il titolo di„Corredentrice‟, la Valtorta ne dà anche il significato preciso. Dice: «divenne la Corredentrice e

 perciò riscattatrice della Terra». La Corredenzione infatti è una cooperazione al riscatto dellaTerra (=del genere umano) dalla schiavitù del  peccato e della morte (introdotta sulla terra

dall‟invidia del Diavolo), mediante il versamento di un prezzo (i meriti e le soddisfazioni delsacrificio di Cristo e di Maria). Questa definizione del Roschini con quell‟idea del riscatto,della schiavitù e del peccato mediante il versamento di un „prezzo‟, mi fa venire alla mente uncerto discorso di riscatto e di cambiali in pagamento. Quella volta non era Gesù ma laMadonna che parlava alla scrittrice e le spiegava che con il suo 'sì' - alla accettazione di unmatrimonio casto con Giuseppe, alla solitudine di un matrimonio senza maternità, allarichiesta del Signore di divenire Madre, nonostante sapesse che avrebbe provocato dolorea Giuseppe (il quale non avrebbe in un primo tempo creduto ad una sua maternità 'spirituale'),alla maternità del Figlio di Dio pur sapendo, per 'prescienza', che sarebbe stato Figlio delDolore - con il suo 'sì' a tutto, con la sua Ubbidienza a tutto, Maria spiega che lei annullò

la disubbidienza di 'Eva prima', disubbidienza che fu 'Colpa' e dalla quale nacque ilPeccato... Non si dice che la Colpa non fosse stata 'lavata' dal Sangue del Cristo, maannullata dalla Ubbidienza di Maria, vera 'Eva', in quanto il 'principio' della Colpa erastato nella disubbidienza al comando di Dio di 'non mangiare e toccare di quell'albero...'.

Ma allora Cristo? Non era stato Lui a 'lavare' la Colpa? Si dice, comunemente, che laSua Redenzione levò la Colpa, levò il frutto della Colpa, cioè il Peccato. Ma, come la Colpanacque a seguito della Disobbedienza di Eva - e con la Colpa il Peccato primo, e quellisuccessivi - con l'Ubbidienza di Maria fu lavata e cancellata la Colpa prima, venendo -con la Redenzione da Gesù operata - riscattati i peccati dei primi due e di tutti i successiviaffinché - con la buona volontà - potessero sperare di tornare al Padre senza rimanere, imigliori, nel Limbo. Quindi la Colpa fu cancellata dalla Madre di Dio. Il frutto dellaColpa: il Peccato, riscattato da Gesù. Questo va capito per comprendere quanto sia statogrande il ruolo della vera Eva, la seconda, l'Ancella di Dio, quella che, non regina delParadiso terrestre, non 'dominatrice' sulla Terra, aveva saputo, aveva voluto essere serva edominata dall'Amore del suo Signore. E’ lei che si risintonizza pienamente con Dio. 

Dirà Gesù alla Valtorta: “Mai abbastanza sarà compreso il ruolo della Madre mia,seconda -senza saperlo- dopo Dio. Lei ripara le conoscenze sessuali ancestrali errate di Adamo,dicendo: «io non conosco (sessualmente) uomo». Come dire : «cosa devo fare per non sbagliare». Leiessendo senza macchia, avendo ricevuto il gamete da Dio, non è ibridata. Se dunque Maria avevalevato o lavato Lei la Colpa, e non Gesù –che invece 'riscattò' il frutto della Colpa, cioè il Peccato ,

con il suo incarnarsi per sacrificarsi- come è mai possibile che Lei avesse tolto la Colpa prima ancorache Lui si sacrificasse sulla Croce, 33 anni dopo? I conti non tornavano perché sembrava cheLei avesse lavato la Colpa  prima ancora che Lui avesse 'riscattato' il Peccato. Mi sembrava uncontrosenso. Non riuscivo a mettere a fuoco con lucidità questo concetto… E' come se tuavessi avuto un'ipoteca con il Signore... Quando hai un'ipoteca devi o pagare, cioè riscattarla o cancellarla dagli 'Atti'.  Maria e Gesù 'operarono' insieme. Maria cancellò 'in anticipo' quelche Gesù avrebbe 'riscattato', pagando di persona, 'dopo'.  Ma in realtà, nello stesso momento incui Maria disse il grande 'Sì', il Figlio si incarnò. E cancellazione e riscatto furono contestuali anche se il ... 'pagamento' fu 'cambializzato' nel tempo... 33 anni dopo. Ecco qui un altro punto,importante sul quale riflettere. Maria fu „associata‟, quale Corredentrice, a Cristo Redentore.Anch‟ella, come Cristo suo figlio, era stata chiamata da Dio ad una missione di redentrice,quindi…‟corredentrice‟. „Ella – aveva detto il Gesù del Vangelo valtortiano – è Salvatricecome Me’... 

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78Ebrei, Gesuiti e Massoni

 Per suggerimento degli amici dell‟Arca della Bellezza, ho voluto lasciare questo capitolo così come lo avevo scritto venti anni fa, e mostrarti come può arrivare a ragionare un povero peccatoreche si è allontanato dalla Chiesa, e, che, ahimè, non conosce il vero significato delle parole e delleazioni che hanno in mente certe organizzazione filantropiche e onnipresenti nel mondo.

« Per duemila anni noi cristiani abbiamo voluto essere i maestri del mondo intero. Oggici accorgiamo che abbiamo qualcosa da imparare anche dagli altri. Non è mai troppo tardi,ma è triste che in questo modo di considerare le cose abbiamo avuto per istruttori gli"ecclesiastici-, che oggi ci tirano gli orecchi. Ci avevano sempre detto che con quelli di altrereligioni non si tratta, in particolare non si tratta con gli ebrei. Ora macchina indietro tutta.

Per fortuna le persone intelligenti già da un pezzo trattavano allo stesso modo persone dialtro credo e trovavano che tutti possono arricchirci con le loro tradizioni e la loro cultura.Ma la Chiesa non ci arrivava.

Da piccolo avrei desiderato entrare nella Sinagoga di Roma per visitarla, ma eraproibito. Si parlava ancora del ghetto, come del luogo naturale di raccolta di quegli esseritestardi e strani che non avevano mai voluto riconoscere la venuta del Messia promessodalle Scritture. Ho avuto modo di parlare con ebrei, e li ho trovati persone normalissime,anzi solitamente molto intelligenti e versate in ogni campo di attività, in particolare nellaindagine scientifica. Diversi di loro avevano abbracciato la religione cristiana. Non sonostato mai solo a soffrire per loro durante la terribile persecuzione nazista. Del resto tutti

sanno che il popolo romano ha cercato in tutti i modi di aiutare in quel frangenti coloroche - senza vera malizia - erano talvolta oggetto delle sue burle. Si è detto da qualche parteche gli ebrei sono stati i primi razzisti, perché, sempre gelosi della loro identità, non hannovoluto fondersi con gli altri. Ma, prima di tutto, dobbiamo considerare che ad isolarlisiamo stati proprio noi con gli iniqui ghetti, recintati da muro, con porte che si chiudevanodal tramonto all'alba, con tanto di gendarmi cristiani a custodirle. I poveretti dovevanoportare indumenti distintivi, esercitare attività molto circoscritte, tra le quali il prestito deldenaro ad interesse, che non era consentito ai cristiani. Ipocrisia pura: si condannaval'usura, però si faceva esercitare agli altri, perché si era capito che il denaro era ormai unamerce da comperare e vendere come qualsiasi altra. Oggi poi lo stesso Vaticano esercita

con l'Istituto per le Opere di Religione tutte le funzioni di una vera Banca.Per quello che lo so, i veri strozzini - o cravattari, come dicono a Roma - si trovano tra i

cristiani. Tutti infatti dicono che gli affari più vantaggiosi si concludono con gli ebrei, iquali non danno mai "fregature". Sono del resto troppo intelligenti per sporcarsi lareputazione.

Dobbiamo poi considerare che il popolo ebreo ha avuto da Dio stesso il mandato dicustodirsi per Lui, di evitare mescolanze con altri popoli che avrebbero potuto corromperei suoi principi morali e ostacolare la sua missione di guida spirituale. In fondo, nonfacevamo noi cristiani lo stesso, evitando contatti con quelli di altre religioni? Razzista èchi perseguita, chi mette gli altri in condizioni di inferiorità di vita, chi esercita pressioni e

violenze per "convertire". Gli ebrei non hanno mai fatto questo a noi, noi si a loro.Lasciamo perdere il Marchese del Grillo: ci sono cose ben più serie. Lo stesso Papa PaoloIV, a metà del '500 rinchiuse gli ebrei nei ghetti, sia a Roma, sia in tutte le altre città dello

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7979Stato della Chiesa. E gli ebrei erano costretti, anche a suon di botte, a sentire la predicasettimanale di un frate cristiano. Andate a leggere l'iscrizione che campeggia sulla facciatadella Chiesa accanto alla Sinagoga, in ebraico e in latino, sotto l'affresco di Cristocrocifisso:

"Ho aperto tutto il giorno le mie mani a un popolo incredulo, che cammina per una vianon buona seguendo i suoi intenti. Un popolo che sfacciatamente mi provoca sempreall'ira".

Ma chi è il provocatore vero? Io saprei risalire a S. Ambrogio.Nel corso delle cerimonie della settimana santa come l'ultima e reletta delle orazioni,

ho sentito ogni anno ripetere: "Oremus et, pro perfidis iudacis..." E “perfidus” non vuoldire perfido nel senso di cattivo, vuole dire traditore. Ma insomma che colpa ha il popoloebreo della morte di Gesù? Quando ci decidiamo a riconoscere che Gesù lo uccidiamo noiogni volta che pecchiamo? Anche contro il nostro fratello ebreo. Solo una ristretta cerchiadi ebrei, duemila anni fa, consenti alla morte di Cristo, il quale disse perfino: "Padre,perdonali, non sanno quello che fanno". Se infatti avessero saputo che Gesù era veramenteil Figlio di Dio, lo avrebbero fatto? Pensavano di uccidere un bestemmiatore, anche sediversi di loro erano responsabili in causa, perché erano rimasti sordi alle sue parole diprofeta.

Di fronte all'improvviso mutar di vento nell'atteggiamento della Chiesa nel lororiguardi, gli ebrei sono rimasti increduli, anzi sospettosi. "Che vogliono adesso questi?" sisaranno detti. Anche perché alle dimostrazioni plateali di stima non sono seguiti fatticoncreti. Perché la Santa Sede non riconosce lo Stato d'Israele (salvi sempre i diritti deiPalestinesi)? Debbo però rendere onore al Padre Tacchi-Venturi, che, pur d'accordo alloracon Mussolini su tante cose, non gli mandò liscia la persecuzione contro gli ebrei. Disbrigòmigliaia di pratiche a loro favore, dopo aver assunto netta posizione control'antisemitismo. Come membro della Commissione Governativa per la questione degliebrei, presieduta dal Ministro degli Interni Buffarini Guidi, aveva fatto opposizione agliarticoli 5 e 7 che condannavano i matrimoni tra cattolici e israeliti e imponevano lasterilizzazione dei bambini ebrei. Rimasto inascoltato, si alzò per andarsene, e concluse:"Se per domani alle dieci gli articoli 5 e 7 non saranno stati aboliti, la Radio Vaticana alletredici denunzierà il Concordato".

Gli articoli furono cancellati.L'umanità di Tacchi fu evidente anche nel discorso del 27 maggio 1940 alla sala

Borromini. Ricordò che Sant'Ignazio era solito dire che avrebbe avuto caro discendere dastirpe ebraica, perché in tal modo sarebbe stato in relazione di parentela con Gesù e Maria.Colpì nel segno, ma non poté più parlare in pubblico.

Ho ritrovato un taccuino sul quale avevo annotato una dotta lezione del PadreGiantulli, considerato il massimo specialista tra noi nella conoscenza della Massoneria,come il Padre Tormai lo era nel campo della danza. Trahit sua quemque voluptas. Ognunoha il suo pallino o hobby. Eravamo al "terz'anno di probazione- cioè nel periodo in cui,dopo il sacerdozio, ci si immerge di nuovo nelle acque termali dello spirito, come innoviziato, prima di essere lanciati al salvataggio delle anime. Particolare significatoassumeva allora la cultura sul più agguerrito nemico loro, la Massoneria, incarnazione olonga manus del demonio. Il quale personaggio non ama la pubblicità, per poter operareindisturbato, come un ladro; analogamente la Massoneria si ammanta di segreto perattuare i suoi nebulosi fini. Padre Giantulli ne era convinto (ma come faceva allora asaperne tutto?). Sentite alcune delle sue asserzioni.

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80"La Massoneria e, per essenza, partito anti Chiesa. Per combattere questa, i suoi adepti

si inseriscono in tutte le opere filantropiche e caritative, anzi perfino nelle associazionicattoliche. Ogni massone ha il compito di agire come singolo: l'Associazione non devecomparire mai. Essa è d'accordo con il comunismo, non quanto a metodo, ma quanto afine. Per questo annovera tanti socialisti tra le sue file. C'è una grande presenza di fratelliMassoni nel Ministero della Pubblica Istruzione, in quello della Giustizia e in quello dellaDifesa. Sono assertori del divorzio e della scuola libera. Detestano la scuola cattolica. Ipreti non debbono insegnare. Si danno istruzioni a donne perché corrompano i sacerdoti:sono veri trattati di psicologia.

Un esempio di come corrompano è la spedizione al malcapitato di nudi di donna infotografia. Quando il prete è stato corrotto e si è spretato, egli deve celebrare la 'Messanera", cioè dire Messa sul corpo nudo di una donna, ed introdurre l'Ostia consacrata nellavagina. In cambio della corruzione - quando questa non riesca - c'è la soppressione. Ilmodo migliore, il più usato, è quello dell'investimento automobilistico, tanto il tribunale,manovrato dai framassoni, appoggia sempre l'investitore. Per combattere leottocentosessantasei logge nostrane, divise tra Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù, igesuiti italiani devono soprattutto preparare gente competente ed onesta e spingerlaadeguatamente perché tolga i posti-chiave ai Massoni'. Ma, per sè, quando un individuovale veramente e sì impone per virtù propria, i Massoni non si impelagano a rovinarlo.Salvo eccezioni. Talvolta essi mettono i loro figli nelle scuole dei preti, perché cercano ilvero bene delle proprie creature, e a naso lo trovano".

La lezione si concludeva con una raccomandazione. Quando c'è necessità di conoscerequalcuno intus et in cute, rivolgersi al Giantulli medesimo: ha lo schedario di tutti iMassoni.

Il lettore avrà notato non solo le baggianate ma anche le contraddizioni di questo"specialista" a servizio dell'Ordine. Il quale una volta era il Direttore della celeberrimaCongregazione della Scaletta, ed ora raccomandava di educare cristianamente il ragazzonella scuola, dato il deperimento della vita associativa cattolica in genere e delleCongregazioni Mariane in specie. Sfido io! Un Generale dell'esercito mi ha raccontato,tempo fa, che lui scappò da ragazzo dalla Congregazione Mariana della Scaletta, perchéPadre Giantulli gli toccava "il pippo". Questa prassi non era in elenco nella spassosaconferenza dal titolo (ispiratore forse di Amurri e dei suoi delitti sulla carta) "Comeammazzare una Congregazione Mariana", tenuta dall'allora giovane, ma già spiritoso,Padre Giuseppe Giampietro, da Francavilla a Mare.

Il grande Tertulliano, nel suo Apologeticum, accusava i magistrati dell'impero romanodi non voler esaminare e indagare che cosa ci fosse di vero nella causa cristiana. Erainammissibile che gente di legge condannasse semplicemente un nome, senza vedere sequel nome celasse reati o no.

"Al contrario se venite a conoscenza di una qualsiasi imputazione, non state subito asentenziare, anche se il reo è confesso, circa l'accusa di omicidio, di sacrilegio di adulterio,di pubblica ostilità, ma volete conoscerne le circostanze, vale a dire la natura, il luogo, lemodalità, il tempo, i favoreggiatori, i complici del delitto. Per noi niente di tutto questo;eppure dovreste pur riuscire a provare le accuse che ci si muovono; sapere cioè quantifanciulli quel Tizio mangiò, quanti incesti quel Calo commise col favor delle tenebre, qualicuochi e quali cani vi furono presenti. Che bella gloria, davvero, per quel magistrato cheriuscisse a scovare un tale che avesse già divorato cento bambini!" (Apologetcum, cap.II).

Ma l'immenso potere dell'impero romano poteva permettersi l'immane contraddizioneche noi ritroviamo nel rescritto di Traiano a Plinio Secondo; l'immenso potere della Chiesa

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8181potrà allo stesso modo permettersi di condannare la Massoneria che non conosce, senzaaccertarsi se le terribili accuse mosse contro di essa abbiano o no un fondamento di verità.L'accusa di Tertulliano è convincente. Perché non deve essere convincente la mia? Daperseguitati, i cristiani sono diventati persecutori? Purtroppo si! Il vero trionfo dellaChiesa è stato quello dell'Editto di Milano del 313 (non discutiamo se sia stato un veroeditto o no: basti la sostanza della decisione). Costantino, persuaso dell'irrazionalità dellalotta religiosa, ammise il principio della libertà di ogni culto. Cogliamo quell'attimo,perché esso sarà irripetibile fino al giorno d'oggi. Per quasi diciassette secoli noi cristianiabbiamo errato, convinti che fosse giusto conquistare lo Stato, facendo sì che la nostrareligione fosse la sua religione ufficiale, senza renderci conto che lo Stato in se stesso nonpuò essere confessionale senza commettere ingiustizia verso quei cittadini che noncondividono l'idea cristiana. Con questo non si dice che i governanti non possano esserecristiani, ma solo che l'istituto politico debba prescindere dalle confessioni religiose. Nulladi strano. Non ci verrebbe da ridere pensando di dover rendere ufficialmente cristiana laSocietà del gas, o la Nettezza Urbana, o la Fiat? Che i gabinetti pubblici debbano esporre ilmonogramma di Cristo, o la Standa debba chiudere i battenti a chi non va a Messa? "Chec'entra?- direte voi. Lo Stato non è una entità molto diversa da quella della amministrazione di uncondominio, checché ne dica Spadolini. E condomini a tutti gli effetti sono gli ebrei o ipagani. Cristiani possono essere gli uomini, non le case o le cose tutte.   Abbiamo visto ilVicariato adibire persino qualche chiesa del centro a bottega commerciale, senza pretendere laconversione dell'ebreo che la gestisca. Ma quanto ci è voluto per capire questo! Abbiamodovuto torturare e ammazzare gli eretici, muovere guerra agli infedeli, bruciare le streghe,accecare e imbavagliare la scienza, relegare nel ghetti gli ebrei, scomunicare i Massoni,pretendere privilegi -e questo lo facciamo ancora- per l'insegnamento cattolico nelle scuoledi Stato. E a questo punto dobbiamo dire che lo Stato diventato ufficialmente cristiano conTeodosio, ha voluto rivestire di tali e tanti privilegi la Chiesa da predisporne la scalata alpotere politico e da farne una potenza che si opporrà alla sua. Mai e poi mai il Regno diDio sarebbe dovuto diventare un Regno umano che contendesse lo scettro a Cesare.Eppure Cristo l'aveva detto; "Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio".La Chiesa sarebbe dovuta restare il fermento della massa sociale, l'anima della cristianità,anzi del mondo. Ecco perché dopo duemila anni il mondo è ben lungi dal potersi direcristiano!

Noi non abbiamo capito la portata del: "Ciò che non è contro di me è con me". Solo ilCreatore e Signore di tutte le cose può dire una cosa simile. Noi invece abbiamo volutofare la nostra chiesuola che dice: "Chi non è con me, è contro di me”. Abbiamo indagatonon su ciò che ci unisce, ma su ciò che ci divide, perseguitando tutto ciò che non fossecattolico e rovinando ogni energia buona che non fosse dichiaratamente con noi. E' il casodella Massoneria. Questa società certo non coincide con la Chiesa. Ma dalla Chiesa mutuale origini, e forse ha raccolto con cura ed amore ciò che la Chiesa ha dimenticato. Chi piùdi Gesù amava la tolleranza?: "Siate figli del vostro Padre Celeste che fa sorgere il solesopra i buoni e sopra i cattivi". La Massoneria non ha mai sopportato l'intransigenza dellaChiesa, e questo la Chiesa lo chiamava indifferentismo; la Massoneria non gradisce ildogmatismo: neppure io, se per dogma si intende voler far credere per forza, senzadimostrare perché si deve credere; e se il dogma è reso oggettivamente accettabile, come sifa ad essere sicuri che esso lo sia anche soggettivamente? E' vero che Gesù ha detto: “Chicrederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato", ma aveva premesso "Andate,predicate a tutte le genti”. Lo abbiamo fatto? In che modo? La violenza è una predica? Gliscandali sono una predica? Le ricchezze della Chiesa sono un predica? 0 non dovrà

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82piuttosto il Signore ripeterci, ciò che disse un giorno alla Sinagoga dei potenti: "Per colpavostra il mio nome viene bestemmiato tutto il giorno"?.

L'anticlericalismo è l'altro difetto grave della Massoneria. Ma innanzitutto noi abbiamofatto della Chiesa una Bengodi per la parte cosi detta eletta, che è il clero, relegando alcantone il laicato, cioè il popolo ignorante e credulone, il tutto per costituire il Regno delSacro, una monarchia verticistica ed assoluta, con un potere politico territoriale cheattraversava tutta la penisola.

Quando l'Unità si è attuata, la Chiesa è rimasta sessant'anni col broncio e l'astio controlo Stato ( per affermare poi che niente di meglio si sarebbe potuto fare per il Regno di Dio che fargli

 perdere il potere temporale). Eppure era bastata al massone Garibaldi la notizia delle primelibertà di Pio IX, per fargli porre la sua spada al servizio dello Stato della Chiesa, nellasperanza che Pio IX volesse decidersi a dare unità alla Patria, in qualunque modo.

Inoltre siamo proprio certi che il potere temporale sia finito? O non si è piuttostosostituito, sulla base dei due miliardi di Mussolini, a un potere agricolo-pastorale, unpotere politico-economico-finanziario, che non ha eguali al mondo? Avete visto che dopolo scandalo dello Ior, rimasto senza punizione a causa della natura di Stato estero dellaSanta Sede, né il popolo pecorone ha cessato di battere le mani in Piazza San Pietro, né gliStati hanno preso posizione alcuna? Il Vaticano, quando deve prendere è Chiesa, quandodeve pagare è Stato estero.

Sí, è vero, il Papa "Buono" ha scorciato la coda ai cardinali ed eliminato i flabelli dipenne di struzzo, ma è rimasto un Sovrano; il Papa Paolo VI ha sciolto la guardia nobile,relegato in soffitta la Sedia gestatoria, e abolito il triregno, ma l'ha capovolto perraccoglierci le offerte. E che ha fatto per sconfiggere la mafia cardinalizia ed affini, e perabbattere l'albagia dei prepotenti che hanno fatto gemere i deboli? E quando è comparsoun Papa che aveva tutta l'intenzione di riportare la Chiesa alle origini evangeliche, comemai non è riuscito a vivere più di trentatré giorni?

Alì Agca è all'ergastolo per un reato che, in condizioni normali, gli avrebbe già ridato lalibertà. Ma egli ha colpito un Sovrano. E questo Sovrano ha difeso Marcinkus (che incondizioni normali starebbe in galera), perché egli ha agito per conto e mandato dellaSanta Sede.

Non dico altro. Ma può la Massoneria essere clericale? Posso essere io clericale, quandomi sono rovinato per difendere i diritti del clero, e loro mi hanno lasciato affogare, perchéla santità dei Pastori non può essere messa in dubbio, e per poterli esonerare bisognaattenderne la malattia mortale? lo sono cristiano, "Christianus sum", come dicevano iMartiri, ma al tempo loro c'era uguaglianza nel popolo di Dio, solo diversità di mansioni.Il Papa era il Vescovo di Roma, eletto dal popolo, ed era il primo tra i suoi fratelli, non ilpadrone del mondo come voleva Bonifacio VIII, né il Monarca che è tuttora.

La Massoneria ha come denominatore comune la fede nel Grande Architetto dell'universo, marispetta i credenti di ogni religione. Ora che la Chiesa col Vaticano Il ha ammesso il principiodella libertà religiosa, negato dal Sillabo di Pio IX, la cosa più coerente sarebbe unacollaborazione tra le due Società. Non ha trattato, ad Assisi, Giovanni Paolo Il con irappresentanti di tutte le fedi? E' vero, la Massoneria non è una religione, ma il Papa nonabbraccia solo le religioni, ma anche le squadre di calcio e le massaie. Chi professa iprincipi (cristiani!) della fraternità, uguaglianza e libertà non merita l'abbraccio del Papa?Eppure sembra ancora di no. La Massoneria ha creato la Croce Rossa internazionale,protetto e incrementato il Movimento internazionale dei Boy Scouts (la Chiesa l'ha fattoproprio, quale sistema educativo di prim'ordine), che nel suo ramo aconfessionalecontinua a proteggere. Perfino il Tribunale dell'Aia e l'O.N.U. sono creature della

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8383Massoneria. Non risolveranno tutto, d'accordo, ma come farne a meno? E i miei fratellidella Compagnia di Gesù, con una cecità da far paura, hanno sempre perseguitato laMassoneria. Hanno agito da veri giannizzeri della Chiesa. Hanno eseguito i suoi ordinisenza discutere, coi paraocchi. Eppure erano persone intelligenti. Ecco dimostrato ancorauna volta dove porta l'ubbidienza di giudizio malamente intesa. Essi sono stati i piùstrenui difensori del potere temporale. Più papalini del Papa. Pensate che, dopo che l'unitàd'Italia fu realizzata e addirittura benedetta con la Conciliazione, i Gesuiti continuarono amantenere la divisione tradizionale delle loro Province italiane:  la Torinese, corrispondenteal Regno del Piemonte e Sardegna, la Milanese, coincidente col Lombardo-Veneto austriaco, laRomana, abbracciante lo Stato della Chiesa e perfino la Toscana della duchessa Matilde, laNapoletana degli Angioini, e la Sicula degli Aragonesi.

Nel 1967, in occasione del cinquantenario degli Esploratori Cattolici, si pubblicò unmio articolo su "La Civiltà Cattolica-, che dal 1850, per ordine di Pio IX, è il periodico deiGesuiti, controllato dal Vaticano, in difesa della religione. Fin dal 1913 i Gesuiti si eranointeressati a quel metodo educativo, nato in terreno non cattolico, e si ponevano la domanda: "Non

 potrà tentarsi una cattolicizzazione dei boy scouts?” Io facevo notare che qualche tempo dopo la

rivista assumeva un atteggiamento di maggior riserva, perché la tendenza laicista, acutizzata daingerenze massoniche si era talmente impossessata del movimento da esasperarne il carattere dieducazione naturale e laica. In sé nulla di male, ma non era peraltro più che spiegabile che laMassoneria, naturale protettrice del movimento, assumesse posizioni sempre più laiche, difronte al clericalismo imperante? Sinceramente devo chiedere scusa per i miei fratelli chetanto male hanno fatto ai Massoni. Dalla croce Gesù pregava per i suoi crocefissori: "Padre,perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Non è proprio di una mente serena eobiettiva questo "sillogismo" che troviamo nel numero di Civiltà Cattolica del 3 sett. 1864:

"I Frammassoni si chiamano muratori e riconoscono per loro Dio il loro architetto. Ma essi sonomuratori nella fabbrica di cui il diavolo è architetto (architetta infatti il male). Perciò

riconoscono per loro Dio il diavolo".Aristotele, inorridisci. Incredibile! Ho dato la precedenza a questo... fiore di logica,

perché è la cosa più grave in persone che si sono sempre distinte per intelligenza epreparazione. L'unica attenuante ad errore così madornale non può essere che la malafede.Ma se è un'attenuante ad un errore di logica, è un'aggravante morale, che si aggiunge agliinsulti del 16 luglio 1864:

"I Frammassoni sono un poco come i bacherozzi; salvo però il rispetto relativo che si deve albacherozzi. Questi sucidi animali, mentre splende la luce del giorno, se ne stanno sì beneappiattati nei buchi più sozzi e più segreti di casa, che non se ne potrebbe scoprire uno, anche

volendolo pagare un occhio. Venuta la notte, sbucano non si sa ben donde, e corrono per lacasa... Così fanno i frammassoni. I quali, quando una Società è illuminata dal sole della giustiziae dei vecchi principi, se ne stanno a cospirare segretamente nei loro covi massonici e nei ritrovisettari. Ma fate che sopra un paese, qualsiasi sia, si stenda il tenebroso velo di grandi principialla moderna, e subito voi vedrete ogni casa piena di Frammassoni. Si vorrebbe allora smorbar lacasa. Ma sì. Comincia uno a dire che infine i bacherozzi sono animali innocui; e che iFrammassoni non sono poi che una Società di' beneficenza. Un altro pretende che non si è piùt'n tempo, e che bisognava pensarci prima. E si conchiude coll'accordarsi in questo che bisognao mutar casa o soffrire con rassegnazione i bacherozzi e i Frammassoni.Siccome però vi ha un rimedio certissimo contro i bacherozzi nella luce del sole o della lucerna,

la quale li caccia a rompicollo ne' loro buchi natii: cosi è cosa osservata da tutti che di nulla piùtemono i Frammassoni che della luce che si faccia come chessia sul conto loro... Tantè vero che iFrammassoni non sono tollerati da' popoli che quando portano la maschera. Appena mostrano il

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84loro vero ceffo, mettono in tutti orrore e spavento, imitando anche in questo il diavolo loro capo e

 padrone. Ma spinti come sono dal diavolo, non si curano né di amore, né di odio, e sempre con nuove curee nuove fatiche, ritessendo come ragni schifosi la trama delle loro congiure, sempre sono sultentar nuove vie per ricondurre la società al loro secol d'oro del novantatré, quando, regnandoessi senza ostacolo in Francia poterono per un po'di tempo sostituire pubblicamente il culto del

diavolo al culto di Dio".

Certo c'è da inorridire ancora, stavolta per la mancanza della ordinaria carità cristianache si deve ad essere umani. Si possono odiare le idee, ma non le persone che leprofessano. "Bacherozzi, ragni schifosi!!!" E quando i ragazzi per la strada, appellavanobacherozzi noi Gesuiti, come ci si risentiva per l'offesa! E tante volte questa parola non eradetta con la malizia usata qui, perché se io provavo a rispondere con una parola buona, michiedevano scusa dello “scherzo". 

I Gesuiti accusavano i Massoni di essere una società segreta. E dove era il segreto, seessi conoscevano dei Massoni lo Statuto, lo "specchio geografico" delle logge, coi loro

nomi, indirizzi e dipendenze? Se conoscevano perfino i nomi dei membri principali e illoro “indirizzo profano"? Mi posso consolare solo pensando che oggi le cose stannoevolvendosi. Purtroppo dobbiamo dire che i Gesuiti non erano che gli esecutori deimandati del Papa, anche se non si può escludere che in qualche caso fossero addirittura isuoi consiglieri. Ma è certo che i Papi colpirono di anatema e di scomunica la Massoneriaproibendo al cattolici di farne parte. A me non pare proprio che si possa contrabbandareper infallibilità questa vieta ed ottusa intransigenza.

E' il perpetuo atteggiamento del potente che non vuol fare neppure la fatica delragionare, del distinguere: "Sic volo, sic iubeo, stet pro ratione voluntas". Tacito chiamavail cristianesimo "exitialis superstitio", ma non sapeva dirne davvero il perché. E Tacito era

un uomo intelligente! Ma se andiamo in fondo, sia nell'Impero Romano, sia presso i Papi,una logica c'era, ed era sempre la medesima: la logica del potere, quella che animò il reErode ad ammazzare gli innocenti. I Romani, molto superstiziosi, non accettavano Cristo(che non si accontentava di aggiungersi agli altri Dei che avevano fatto grande Roma, ma livoleva spazzare via tutti) ed il cristiano che non voleva adorare l'imperatore; il Papa nonpoteva sopportare che si parlasse di libertà religiosa ad una società ormai adusa alcristianesimo, e tanto meno che si mettesse in dubbio la legittimità dei sovrani, luicompreso. Oggi il Papa parla di libertà religiosa, tanto i cristiani gli sono ormai in granparte sfuggiti di mano, non solo per colpa loro, ma per colpa di una organizzazioneecclesiastica che non incide più sulla società, anzi è addirittura scandalosa. La sovranità

temporale macroscopica è finita, ma ne rimane un'altra più sottile, e non sembra proprioche il Papa voglia deporla, anzi continua a reputarla necessaria all'esercizio del suo poterespirituale. Ma è proprio vero? Se la Chiesa fosse veramente la Chiesa di tutti, e non delsolo Papa, ci sarebbe proprio bisogno di miliardi da amministrare in una centrale, che soloadesso, dibattendosi in difficoltà economiche, dovute anche allo sfavore con il quale i"contribuenti" hanno accolto le ultime notizie sulla Banca del Vaticano e affini, si decide arendere pubblici i suoi bilanci? Se il Papa facesse il Vescovo di Roma, con sempliceprimato sulle altre Chiese, ci sarebbe proprio bisogno di una mastodontica e accentrataburocrazia, che poi in realtà, come tutte le corti di un re assoluto, fa i propri comodi eimpone le sue leggi? E in una società cristiana la Massoneria, che non è una religione,avrebbe la sua parte da compiere, affiancando, stimolando, proponendo, senza essere unaopposizione. La Chiesa stessa potrebbe aiutare la Massoneria ad assolvere al compiti che siprefigge. Ogni uomo è complemento all'altro, guai a chi è solo! E, per quel che riguarda il

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8585segreto, quale organizzazione è più segreta del Vaticano? E' morto il Papa Luciani e non si eriusciti ad avere, come spiegazione del fatto molto misterioso, altro che una serie di bugiecontraddittorie.   Al mondo cristiano e non cristiano, che si interrogava attonito,  non si è volutoapprontare neanche uno straccio di autopsia. Al mandato di cattura per Monsignor Marcinkuse i funzionari Mennini e De Stróbel non si è risposto altro che con la secca chiusura delloStato estero ad ogni domanda. I misteri sono troppi, e più duri di quelli della fede.

Del grande movimento educativo degli scouts dobbiamo essere grati al Massoni. Nonne furono i fondatori, ma i protettori sí. Nell'estate del 1967 il grande Jamboree o radunointernazionale degli esploratori nell'Idahio, tra i pellirosse. Fu una esperienzainteressantissima. Vi partecipai quale assistente ecclesiastico nazionale degli esploratoricattolici. Dovendo rappresentare degnamente l'Italia, i centocinquanta giovani, sceltiaccuratamente in tutta la penisola, ricevettero dal Ministro degli Interni Taviani settantamilioni per il viaggio e la permanenza di circa un mese. 1 capi prenotarono un volo charterperché costava meno. In seguito sapemmo che era anche meno sicuro. Taviani, al ritorno,rifiuterà la resa dei 25 milioni risparmiati, per non essere accusato di sperpero, a causadella nostra taccagneria.

Vedemmo dall'alto il nostro bel Tirreno e le sue coste, l'isola di Corsica disegnata comesulla carta, le Alpi maestose, intravedemmo Madrid sull'altopiano, poi calammo versol'immensa foce del Tago e scendemmo a Lisbona. Li le hostess a terra ci rallegrarono conun buon bicchiere di Porto. Appena ripreso il viaggio, una signorina ci dette istruzionidivertentissime in caso di ammaraggio forzato. Nessuna paura: l'aereo poteva galleggiareper venti minuti. Nel frattempo noi avremmo staccato il giubbotto di salvataggio, badandobene di non indossarlo subito per non ostacolare l'uscita, e nei battelli saremmo staticomodissimi e in allegria, in attesa di una qualche nave che sarebbe venuta certamente acercarci. Alla mia domanda sul come difenderci dal pesci-spada, coi quali i gommoni nonvanno d'accordo, la hostess rispose garbatamente che il caso non era previsto. Un'altracosa non prevista era che i nostri giovani bevessero a più non posso. Dopo due ore nonc'era più sull'aereo una goccia non dico di alcool o di bibite, ma di semplice acqua. Allanotizia, la prospettiva di un ammaraggio sembrò meno allegra del previsto.

Volammo a lungo su un mare di nuvole candide, rincorrendo il sole. Perciò il giornonon finiva mai. Poi apparve lo sconfinato Atlantico, sul quale notammo una nave che cisembrò una caravella di Colombo, tanto andava piano. Alla discesa a New York un po' dipaura. Di nuovo nuvole, bucate le quali, nebbia fitta, acqua e fulmini. L'aereo ballava, sicontorceva, gemeva, e noi con lui. Finalmente atterrammo, ma solo per prendere un altroaereo che ci avrebbe portato, di notte, fin quasi alla sponda del Pacifico. Data la lungagiornata dormimmo su tutta l'America. Ci svegliarono bruscamente ancora di notte,perché neanche questa finiva mai, all'aeroporto di Spokane, e ci meravigliarono squadre dipoliziotti elegantissimi, con cappelli tipo signora, e pistoloni a tamburo, che ci avviarono alpullman. Il giorno ci spalancò una visione di sogno. Montagne coperte di coniferealtissime, laghi di cristallo, cascate, piani verdissimi, e poi pellirosse autentici con pennevariopinte e canoe. C'erano perfino scoiattoli con la noce in bocca che ci guardavanoincuriositi. Eravamo nel paradiso terrestre. L'immenso campo scout era già preparato conle sue tende, i suoi servizi, le sue strade, i suoi cartelli, le sue centrali operative, perfino isuoi centri religiosi. Il motto del raduno era "For friendship", per l'amicizia, e veramentetutti ci sentimmo subito amici. C'erano ragazzi di ogni colore, di ogni nazione, di ognilingua, di ogni religione. Ogni gruppo aveva i propri sacerdoti, i propri pastori, i proprirabbini, le proprie guide religiose. Tutti ci regalavano qualcosa e noi facemmo altrettanto.Conservo ancora fazzoletti da collo, distintivi, medaglie, fermagli provenienti da tutto il

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86mondo. Gli scouts italiani nazionali, quelli che sono tutelati dalla Massoneria, e cheavevano organizzato il viaggio per proprio conto e a proprie spese, mi dimostrarono unaparticolare amicizia. Essendo quasi tutti cattolici vollero assistere alla mia Messa al campoe fare la Comunione. Poi mi misero al collo il loro fazzoletto color amaranto e minominarono loro cappellano. Naturalmente a loro bastava la Messa domenicale, trovavanoesagerata la Messa quotidiana.

Come si fa a dire male della Massoneria che ha sostenuto questo grandioso movimentoeducativo che rende i giovani di tutto il mondo fratelli ed amici? E badate bene, ilfondatore Lord Baden Powell era convinto che la religione ha nell'uomo un'importanzafondamentale. Ognuno deve rispettare la propria e quella altrui. Anzi per i cattolici avevain serbo la raccomandazione di ubbidire al Papa. Se pensiamo che al tempo del Congressodi Vienna il Pontefice non volle aderire alla Santa Alleanza per non trovarsi in compagniadi un sovrano ortodosso e di un altro protestante, noi vediamo quanto la Massoneria giàdal '700 abbia precorso i tempi della libertà religiosa che oggi il Vaticano riconosce esbandiera, ma il Sillabo di Pio IX negava.

Fu una cosa molto interessante il nostro rapporto con le altre religioni. Così dovrebbeessere la Chiesa, tenace nel mantenere la verità della fede, ma al tempo stesso disposta a vederenelle altre confessioni religiose le vestigia della primitiva rivelazione e il perenne apporto dellaragione. Quante cose ci possono insegnare gli altri... Per esempio noi occidentali siamo molto

 poco disposti alla preghiera, e meno ancora alla meditazione e all'ascesi, rispetto al popoli orientali .E basterebbero i mussulmani a insegnarci l'amore e il rispetto di Dio e della sua legge.

Nel campo ogni evenienza era accuratamente prevista. Nei casi in cui si verificava uneccezionale imprevisto, ci si rivolgeva ad italiani, che non prevedono e non programmano,ma sanno arrangiarsi a trarre sé e gli altri dall'impaccio.

Il genio italiano all'estero si manifestò clamorosamente sulla via del ritorno in un albergodi terz'ordine, scelto per economizzare sulle spese. Nella hall dell'albergo c'era un bagno agettone che si apriva con venticinque cents. Un quarto di dollaro per lasciare un segno diumanità era una cifra inaudita per i nostri ragazzi. Perciò si sacrificarono 25 cents iniziali epoi ognuno fu lesto ad afferrare la porta perché non si richiudesse. Furono proprio icamerieri a dire: "Che geni questi italiani". Genio non fu un prete, che si armò fino ai denti,approfittando della libera vendita. Come poteva portare in Italia quell'arsenale?

Il ritorno a New York si fece tutto in pullman, i Greyhound. Visitammo lo YellostonePark dove accostammo gli orsi col papillon rosso e ammirammo 'the old faithfull", ilvecchio fedele, il Geyser intermittente; vedemmo il monte Rushmore con su scolpite lefacce dei presidenti americani, e poi affrontammo le sterminate praterie dove ancora sivedevano le ossature dei famosi carri dei pionieri.

A Cheyenne un anziano sacerdote in tonaca ci disse nella nostra lingua: "Benvenutiitaliani, come avete fatto a pisciare in viaggio? Sentite come parlo bene l'italiano? Hostudiato a Roma, all'Università Gregoriana". Fummo ospitati in un convento di cappuccini.Il bagno era una gran sala con tante tazze in circolo, di cui una più elevata. Era destinata alSuperiore per coordinare l'evento, che si verificava conversando e fumando il sigaro.Ottimo esempio di vita comune, totalitaria e libera al tempo stesso, sul suolo americano, edi anticonformismo ecclesiale, che tanto piace ai nostri gesuiti sinistresi, i quali vorrebberoche il Papa si stringesse in tre camere e cucina al Tiburtino terzo. Certo sulla suddettacattedra non può sedersi un vescovo con mitria, pastorale e manto, per un sinododiocesano, e neanche in una montura più semplice. Quanto a me, anche se auspico povertànella Chiesa, lascio al pauperisti tali rituali da cesso. A Cheyenne c'era anche un cimiteroper cani, con lapidi commemorative e medaglioni con fotografia. Andrebbe bene per quelli

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8787che sostengono che gli animali sono soggetti del diritto. Arrivati a Chicago, fummo colpitidal clima razzista che regnava in taluni ambienti anche buoni. Ci si voleva convincere checoi negri è impossibile una convivenza civile. "Noi diamo loro delle case come le nostre, eloro staccano le porte per farne legna per il fuoco, o mettono terra nella vasca da bagno perpiantarvi le verdure". Alla fine però dovevano riconoscere che i negri educati da piccoliinsieme coi bianchi non mostravano differenze. La città di Al Capone era tuttora in predaal malviventi. Dopo le nove di sera non si poteva uscire perché si sentivano colpi d'armada fuoco. Ma lo non sapevo ancora che la città era in mano di qualcuno peggiore di Al e ditutti i mafiosi: l'Arcivescovo John Cody. Quest'uomo figlio di un pompiere di Saint Louis,aveva lasciato il segno nella diocesi di New Orleans, al punto che alla partenza di quel"bastardo" i sacerdoti vi intonarono il Te Deum laudamus, pur sapendo che la lorosalvezza significava la rovina di Chicago. Sono tutte cose appurate da David Yallop, cheattendono ancora una smentita. Cody buttò sul lastrico i sacerdoti vecchi, copri d'oro lasua amante coi beni della Chiesa, corruppe varie sezioni della Curia romana nella suasfrenata ambizione di potere. Il Papa Paolo VI non ebbe il coraggio di deporlo. Come sipoteva toccare un Arcivescovo? E non riusci neppure a chiamarlo a Roma. Qui sarebbevenuto solo a patto di essere fatto Papa. Intanto una gran parte dei suoi preti aveva lasciato il sacerdozio. Alla morte di Paolo, Papa Luciani - altra tempra - voleva cacciareCody, ma sappiamo come finì. Con Giovanni Paolo II - dice ancora Yallop - Cody mandòcentinaia di migliaia di dollari a Marcinkus, che doveva inviarli al cardinali polacchi. Solo lamorte dell'Arcivescovo liberò i due milioni e quattrocentomila cattolici. E' sempre Yallopche parla. Davanti a tante pecore imperfette non si poteva mettere in dubbio la perfezionedel pastore. Questa è la Chiesa. La vogliamo cambiare e farla come la vuole Gesù? .

Ripitolando alla  luce di quanto riferito in questo capitolo del libro sulla massoneria, non va

dimenticato che la lotta, nella Chiesa è sempre quella : impedire la supremazia delle eresie sulleverità di fede. Certamente l'egemonia spagnola nel Mediterraneo portò un sostegno decisivoall'imposizione dell'uniformità cattolica in Italia e nella penisola iberica. Dal punto di vista militare

 fu la Germania il principale terreno di lotta, dalla fondazione della Lega di Smalcalda (1531) finoalla pace di Vestfalia (1648), che sancì il riconoscimento dei diritti dei principi protestanti esancirono la divisione religiosa del territorio. La Boemia fu ricondotta al cattolicesimo soffocando la

  presenza hussita e protestante; in Polonia la restaurazione avvenne sotto il regno di StefanoBathory (1575-1586) con il contributo fondamentale dei gesuiti. In Francia, con il passaggio alcattolicesimo di Enrico di Borbone, le guerre di religione ebbero termine e si giunse alla convivenza(editto di Nantes, 1598). Sullo scorcio del Cinquecento il pericolo di infiltrazioni ereticali in Italia e

nel mondo iberico era ormai sventato; non per questo cessarono di operare gli organismi di controlloe di repressione messi a punto nei decenni precedenti. Si volsero anzi all'interno, a colpire ogniatteggiamento non conformista e ogni manifestazione di pensiero filosofico e scientifico che fosseavvertito come una minaccia per l'autorità della chiesa (condanna al rogo di Giordano Bruno, 1600;

  processo contro Galileo Galilei, 1633). Intorno alla metà del Seicento si era ormai chiusa la fasemilitare della Controriforma e la Santa sede aveva già perso il suo ruolo centrale nella politicaeuropea, mentre allargava la sua influenza nelle Americhe e in Asia attraverso le missioni. Sul

 finire del secolo la circolazione delle idee e lo sviluppo delle conoscenze iniziavano a incrinare il suocontrollo sul mondo intellettuale. Ma il processo messo in moto dalla Controriforma continuò per lungo tempo a produrre effetti sulla società, soprattutto sui comportamenti e la mentalità delle

 popolazioni cattoliche delle campagne, appena sfiorate dai ritmi della politica e del progresso.

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88Cerco l‟uomo 

Si dice che qualcuno abbia la vocazione fin dal seno materno. Anche Dante sembraseguire questa teoria. Veramente di certe persone vien fatto di dire: quello è nato prete.Mio fratello Sandro manifestò presto la passione di fare il chierichetto, ma è tutt'altro cheun prete. In sacrestia partiva all'attacco della tonaca e della cotta più desiderabili,gareggiando in spintoni e parolacce perfino col terribile Portapuzza, il "bullo- di SantaMaria in Domnica. Sui gradini dell'altare giocava a carte con gli altri chierichetti, badandobene a non farsi sorprendere da Don Mario all'Orate fratres. Nelle funzioni solenni sapevamaneggiare il turibolo con destrezza, passandolo agevolmente da una mano all'altra,manovrando con tutte quelle catenelle senza farle impicciare (come accadeva invece a meda grande), e roteando il tutto vorticosamente, di trecentosessanta gradi, senza far cadere

sul tappeto i carboni ardenti.Quanto a me, non ebbi alcuna inclinazione per tutto questo e neanche per i famosi

"altarini”, rivelatori della psiche. Un ragazzo dei miei aveva la passione di accendere e spegnere le candele. Dice Jerome

Klerome, in "Tre uomini in barca, per non parlar del cane", che, nella sua passione per illavoro, lui avrebbe passato le ore senza stancarsi, a veder lavorare. Con “Candela"- tale erail soprannome del ragazzo - il piacere era dall'una e dall'altra parte. Era bellissimo veder laluce del fuoco comunicarsi a tutte le candele, e con accortezza bustrofetica passare daquelle che svettano sul rialzo dell'altare, via via a quelle mediane, fino a quelle sullatovaglia. Candela eseguiva con amore e sveltezza, come i sampietrini che scendevano

dalla cupola da incendiare nelle notti di festa. Non gli capitava mai - cosa che distraeva,come un miracolo, chi si attardava in chiesa dopo la funzione - che una candela trattatacon lo spegnimoccoli riprendesse pian planino a brillare, come un condannato che scampa,incredulo, all'esecuzione. Ma, poveretto, non sapeva far altro, ché era corto di mente. Unavolta sua madre mi confidò che voleva fare di lui un prete.

"Veramente, Signora, non mi sembra adatto" provai a dirle."Perchè?".Non sapevo come spiegarglielo. Ma lei mi tolse dall'imbarazzo."E che altro gli faccio fare? E' così scemo!".Dovetti sconsigliare un'altra mamma, per via che c'era troppo da studiare, mentre suo

figlio non amava affatto i libri."Ha ragione", rispose "non riuscirà mai a finire quel librone che sta sull'altare".E dire che quel librone è proprio quello che non si studia.Don Abbondio s'era fatto prete per vigliaccheria, per quieto vivere. Come lui ce ne son

tanti. Molti rifuggono dalle responsabilità di metter su famiglia ("pe' no avè la seccatura despassasse 'na criatura” dice la maligna lauda di Sant'Antonio, che io confidai al confessoredi aver cantato, nel miei giovanili trascorsi), o sono misogini. Questi sono i preti che fannoodiare il sacerdozio latino. “Non fare il prete” dicono i ragazzi all'egoista o al senza cuore.

Una volta un professore di Diritto Canonico ci ammoniva che se un religioso scappa conuna donna viene scomunicato. Naturalmente, da buon giurista, aveva premesso che la

scomunica colpisce solo quando si verificano tutte le condizioni e le circostanzeespressamente previste.

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8989"Allora" azzardò un mio compagno "se uno non scappa, ma se ne va piano piano, a

braccetto, la scomunica non attacca, vero?".Questa sfumatura di umanità disorientò e irritò il freddo giurista.La Seconda Persona della Trinìtà, prima di essere Sommo Sacerdote e Redentore

dell'umanità, ha deciso di farsi uomo, e uomo completo. Invece l'uomo, per un verso o perl'altro, in tanti sacerdoti non c'è.

Il mio Superiore Provinciale, P. Emanuele Porta, marchigiano di famiglia borghese, chemi aveva accettato in Compagnia, mi confidò una volta di essere preoccupatodell'addensarsi nell'Ordine dell'elemento contadino, derivante dalla propaganda a tappetonelle campagne, svolta da specialisti nella caccia all'uomo. 1 villici restavano a boccaaperta nello scorrere le foto del Palazzo di Mondragone al Tuscolo, eretto nel '500 sottoGregorio XIII per sollievo e sollazzo di Papi e Cardinali, poi sede del Collegio dei Nobilieducati dai Gesuiti, e infine destinato a Scuola Apostolica per ragazzini decenni, aspirantiGesuiti. Papà e Mammà campagnuoli guardavano estasiati l'architettura tra rinascimentalee barocco di Giovanni Vasanzio, la loggia del Vignola e il portico di Flaminio Ponzio, ilgiardino pensile, il parco, la fontana delle ninfe, e sentivano nascere impellente lavocazione del loro figliolo. Il quale finiva generalmente col cedere di fronte alla fotoautentica della sala da pranzo. Perché non tutti cedevano: ogni tanto si incontravanovirgulti di uomo libero che non si lasciavano piegare.

La stagione delle cacce si apriva con la primavera, "primo vere". I battitori venivanoscelti tra i provenienti dalla zona, i cacciatori erano pur sempre di estrazione rustica.Grazie a Dio, perché se fosse toccato a me l'incarico, mi sarei dichiarato obiettore dicoscienza ante litteram. Ne sono certo, perché una volta la combinai grossa. Avevoesternato il mio scetticismo a un famoso accalappiacani, il quale si vantava di averecarismi persuasori infallibili. Inviperito, l'esperto cacciatore mi invitò a sentire comeriuscisse a persuadere nientemeno che una famiglia borghese romana. Altro che rustici!"Non dubito, Padre, della sua capacità di persuasione, ma della legittimità dei suoi metodie dei suoi intenti” azzardai io. 

"Per sua norma e regola, gli uni e gli altri sono pienamente legittimi, perché approvatidalla Chiesa e dai Superiori religiosi" ribattè il Padre. "Del resto, nel corso stesso dellaconversazione lei stesso si renderà conto che non c'è alcun genere di abuso".

"Andiamo”, dissi io, spinto al solito per metà dalla mia curiosità innata e per l'altrametà dalla irrefrenabile voglia, sempre mia, di contribuire a mettere posto i prepotenti.

Quella famiglia abitava "trans Tiberim, prope Caesaris hortum". Il Padre era unprofessionista, la madre senza dubbio una persona colta.

"Siamo venuti a conoscenza del fatto - esordì l'esperto cacciatore - che il vostro figliuoloha manifestato ai Padri insegnanti della sua scuola il desiderio di farsi Gesuita. Perciò iovengo a congratularmi con voi di tanto evidente vocazione del Signore e a raccomandarvidi accompagnare al più presto questa tenera pianticella nella serra della Scuola Apostolicadel nostro Ordine".

I due genitori si guardarono in faccia. Poi il padre disse: "Siamo al corrente deldesiderio di nostro figlio: l'ha manifestato anche a noi. Ma ci sembra prematuro l'ingressoin una scuola del genere".

"E' cosi piccolo" - aggiunse la madre – “ha poco più di dieci anni” ... "E' appunto l'età giusta per cominciare da noi la prima media. Così gli sarà più

semplice l'ambientazione e più naturale il corso degli studi".“A me sembra", ribattè il padre del bambino, "che sia più naturale farlo studiare in una

scuola comune, circondato dall'affetto dei genitori e degli altri parenti".

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90"Ma lei non si rende conto" rispose l'esperto "dei pericoli che quell'animuccia corre nel

mondo malvagio e corruttore?"."Padre, non mi sembra che la nostra famiglia sia mondo malvagio e corruttore. Io non

avrò nulla in contrario se mio figlio persevererà nel suo pio desiderio, e sarò onorato sevorrà diventare sacerdote. Ma penso che sia conveniente farlo educare come tutti i suoicoetanei in un ambiente naturale”. E vedendo che io, pregato in precedenza dal confratello

di non intervenire, facevo cenni di approvazione: "Oh, ecco", - proseguì - "sentiamo checosa ne pensa questo giovane Padre".

"Penso" - dissi - "che sarei stato un ragazzo fortunato se avessi avuto un padre come lei:lo dovetti lottare due anni contro il mio per poter realizzare il mio desiderio".

”E a che età è riuscito a farlo?". "A vent'anni"."E allora che cosa conclude?"."Che suo figlio avrebbe come Padre il Rettore e come Madre l'Economo del Collegio.

Quanto a me, gli insegnamenti e gli affetti di cui ho goduto in famiglia li reputoindispensabili non al mio essere gesuita, ma al mio essere uomo".

Era fatta. Non vi dico che cosa mi disse quel religioso al ritorno con le pive nel sacco,né so che cosa possa aver detto al miei legittimi superiori. Ecco, sentivo che la miaubbidienza faceva alquanto pena al loro cospetto, ma la mia coscienza si sentiva leggeraleggera... Passarono gli anni: quel bambino, divenuto uomo, non si fece gesuita, ma iocontinuo a pensare che è molto importante non assecondare subito i desideri di unbambino, proprio in nome del rispetto che si deve alla sua personalità in formazione.

Per questo non riesco a digerire l'istituzione dei Seminari per i piccolissimi, cheaddirittura si vestivano con la tonaca nera, quando ancora avevano bisogno di giocare e dicorrere dietro ai sogni. Come rischiavano di inciampare! Molti di questi infelici sonoandati avanti ad occhi bendati, sono arrivati al sacerdozio, e poi si sono accorti di essereinadatti al regime di celibato o altro. E noi abbiamo dato loro la croce addosso chiamandolifedifraghi e traditori.

Al Seminario romano, in tempi non tanto lontani da noi, si chiudevano gli studenti achiave dentro le loro stanze, perché non avvenissero inconvenienti di amicizie particolari eloro conseguenze. Pensate che cosa sarebbe successo in caso di incendio! Ma cosa èsuccesso di gente costretta fisicamente alla disciplina ecclesiastica? Le più grosse falsità ele peggiori abominazioni lo le ho riscontrate tra i preti. Certo, della gente costretta dallecircostanze a mentire e a fingere quotidianamente per poter godere della benevolenza diSuperiori tiranni, che non si rendono conto che la natura dei ragazzi ha bisogno del caloredella famiglia, non può essere educata alla moralità che si richiede in un Ministro di Dio. Echi è che in Seminario, e poi in seguito, riesce a distinguersi meglio e a fare carriera? Chi safingere meglio. Altrimenti non si spiega come mai preti santi (che ci sono senza dubbio,ma non sono tanto frequenti) e preti sani moralmente, preparati intellettualmente - e sonoun buon numero - restino nell'ombra, e autentici marpioni (oltre tutto vere nullità ancheintellettualmente) divengano Monsignori e Cardinali. C'è una gran mafia anche nellaChiesa, ed è particolarmente disgustosa. Naturalmente non faccio di ogni erba un fascio.Ci sono persone degnissime anche tra gli alti dignitari ecclesiastici. Dico solo che laporpora cardinalizia, il violaceo del vescovo e il paonazzo del Monsignore sono spessooggetto di ambizione. Si cerca l'onore e non l'onere. Una volta erano oggetto di avarizia, edi avarizia scoperta. L'Arcivescovo Alberto di Brandeburgo, al tempo di Martin Lutero,portando una pingue "bustarella" (doveva essere un sacco, perché allora non c'era cartamoneta) in Vaticano, s'era fatto assegnare nuovo titolo dalla Curia romana, e, per rifarsi

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9191delle spese (pensate, voleva la grossa rendita del Vescovato assolutamente pulita), preteseil 50% delle elemosine per permettere la predicazione delle indulgenze nella sua diocesi,lui, "perfetto", alla faccia dei peccatori che si svenavano finanziariamente per farepenitenza e costruire quella superba chiesa la cui cupola denuncia ancora il mucchio diingiustizie commesse contro i fedeli di Germania. Sicuramente Martin Lutero sbagliòperché invece di riformare la Chiesa, riformò il Cristianesimo, ma la Curia Romana,iCardinali e il Papa che vivevano nel lusso e nella lussuria non sono responsabili di nulla?Questo è il più chiaro segno della divinità della Chiesa: essa rimane in piedi nonostante ilcontinuo formidabile attentato alla sua stabilità compiuto da tanti ecclesiastici. Ma hannoessi la vocazione? Tutti? Qualcuno ce l'ha. L'aveva anche Giuda, chiamato direttamente daCristo ("Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”), l'aveva anche Alessandro VI,chiamato dallo Spirito Santo a governare la Chiesa. Per questo sono rimasto in forsesentendo Papa Giovanni Paolo Il asserire, gioioso e soddisfatto, di essere stato scelto daCristo. Pare evidente che Cristo non scelga sempre il migliore. L'Onnipotente tiene adimostrare di non aver bisogno di nessuno e di poter operare miracoli anche con unamascella d'asino. 1 Cardinali, che vengono scelti dal Papa, è notorio che non sempreardano di quella carità di cui vuol essere garanzia il color della porpora (a Roma apparepiù rassicurante il rosso del cocomero). Più d'uno viene eletto secondo il pragmaticoprincipio curiale "promoveatur ut amoveatur" (promuoviamolo per levarcelo dal piedi),altri semplicemente in premio di qualche servizio, altri per lungo servizio "senza infamia esenza lodo", i rimanenti - speriamo - per meriti riconosciuti o per ardore serafico. Inconcreto, quando si tratta di eleggere il Papa dal Sacro Collegio, lo Spirito Santo, anche contutta la sua buona volontà, ha poco da scegliere. Non per niente, prima di un conclave, igiornalisti fanno presto a circoscrivere la rosa dei papabili, anche se lo Spirito Santo -abbiamo visto - è più indulgente dei giornalisti.

Certo è che il Card. Confalonieri (lo sentii con le mie orecchie), neo-eletto, festeggiatonell'aula magna dell'Università Gregoriana insieme con l'ultima nidiata di Cardinali,chiamato a parlare come più anziano, esordì in questi termini: "Portiamo il cappello rossoperché non abbiamo avuto il coraggio di rifiutarlo. Altri, migliori di noi, lo hanno avuto".In buon numero i colleghi si imbestialirono, segno che non avevano non solo tanto ardoredi carità, ma neanche il pizzico di umiltà del Card. Confalonieri.

A mio parere sarebbe opportuno che la Chiesa abolisse il Cardinalato, che non viene daCristo, ed ha creato tanti imbarazzi. Il Papa dovrebbe tornare ad essere eletto dal popolo edal clero, quale Vescovo di Roma. 1 Cardinali sono il chiaro segno della potenza mondanadella Chiesa. Fino a poco tempo fa godevano dell'onore riservato ai principi del sangue.Dante diceva di loro "veston dei manti loro i palafreni si che due bestie van sott'una pelle".San Filippo Neri rifiutò il Cardinalato che gli proponeva Papa Sisto V, quale tentazione deldemonio. Senza parlare dei Cardinali nepoti, creati tali in età giovanile e sregolata.Certamente oggi non siamo a quel bassi livelli, ma è certo che il Popolo di Dio non è tenerocon gli enti inutili: bastano i Vescovi.

Saverio Corradino, Gesuita molto intelligente, ex ufficiale del servizio meteorologicodell'aereonautica, quando moriva un Cardinale passabile, annunciava: "Diminuisce ladensità umana nel Sacro Collegio".

Ricordo alcuni Cardinali emblematici: Marchetti-Selvaggiani, che domandava a unbuon prete: "Che devo fare per essere amato dal romani?" "Amarli" rispose quel Micara,detto dal romani "Pomponio", leggendo un discorso commemorativo, disse con la solitanasale solennità: "L'Eterno Padre pernottando..." (c'era scritto "permettendo"); Tedeschiniera vanitoso fino all'inverosimile. in una riunione della Congregazione Mariana dei Nobili

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92fu invitato lui. Alzandosi in tutta la sua eminenza, il Cardinale disse solennemente,scandendo le parole: "Guardo avanti e trovo nobiltà, guardo a destra e trovo nobiltà,guardo a sinistra e trovo nobiltà.. ". "Guarda indietro" borbottò Guerrieri, che con me loserviva, "e vedrai che trovi". E scommise sul momento con me che il Tedeschini avea diporpora fin le brache. Alla benedizione, quando tutti erano inchinati, mentre il Cardinalesi attardava nella sua ruota come un pavone, gli sollevammo - era di rito, ma "cum moderamine” alquanto sconciamente la coda a strascico (lunga tredici metri e avvolta in spire).Sbirciai sotto, e persi la scommessa.

Papa Giovanni scorciò di tre metri la coda dei Cardinali, me pel carattere mio è sempretroppo lunga.

Non riesco a ricordare il nome di quel Cardinale che in un discorso in francese volevacommemorare tutte le sue imprese. Siccome era stato Nunzio Apostolico due volte, con unintermezzo curiale, disse solennemente (traduco in italiano): "Quando mi volgo al mio didietro, lo vedo nettamente diviso in due parti: Parigi, Ankara e in mezzo, Roma". Invece didire "mon passé ", il mio passato, aveva detto "mon derrière", il mio didietro.

Nella mia famiglia, tra gli antenati collaterali, figura il Padre Alberto Lepidi Chioti,Domenicano, Maestro dei Sacri Palazzi Apostolici, autore tra l'altro di una stupendaconfutazione di Emanuele Kant, condotta tutta a filo di finissima logica. Per la carica e peri meriti sarebbe arrivato al cappello rosso, se Merry Del Val non gli avesse fatto losgambetto, a causa di una distrazione nella concessione dell'Imprimatur a lui spettante.Ma, intelligente com'era, il Domenicano non se la prese minimamente.

Ho saputo di recente che il Vaticano si era dato da fare per liberare un VescovoBulgaro, detenuto per quattordici anni in prigione in quel paese satellite della Russia. IlVescovo fu scarcerato e spedito a Roma. Ma dopo qualche tempo il poveretto si accorse diessere passato dalla padella nella brace. Gli intrallazzi vaticaneschi non facevano per lui. Epiù coraggioso di Celestino V, senza neanche aspettare un cardinalato, preferì tornare inBulgaria a rischiare un'altra volta la prigione.

Sua Eccellenza Monsignor Ettore Cunial andava bene come parroco di Santa Lucia. Lofecero Vescovo e Viceregente di Roma (quello che Belli chiama Vicario del Vicario delVicario), e, a mio avviso, quei panni non gli stavano se non esteticamente. Un giornoosservavo il Padre Ruggi d'Aragona - quello sì che andava promosso - il quale, accanto ame, mentre Cunial teneva una delle sue interminabili prediche, segnava di rare e rapidenote un taccuino. Ad una mia occhiata interrogativa sussurrò: "Sto raccogliendo qualchefagiolo dalla broda di Monsignore".

Oggi si sa che il Vescovo Maccari è stato il persecutore di Padre Pio (per mandato diGiovanni XXII1). Sosteneva che le donne che lo guardavano peccassero contro la purezza.lo conoscevo Maccari: a guardar lui era impossibile che una donna peccasse, o che unuomo traesse lume.

Naturalmente succede che prelati ambiziosi, esperti nella scalata al potere e ai denaro,chiamino a posti chiave nella Chiesa gente come loro. E non solo nella Chiesa, anche nellasocietà civile e politica. Con le loro raccomandazioni, persone incapaci e indegne popolanobosco e sottobosco della “intelliglienzia italiana”. Il Concordato tra Stato e Chiesa fluisce e

si capillarizza nel tessuto della società civile in tanti diabolici compromessi e pasticci conpartiti ed esponenti politici. E poi succedono i guai.

Come simbolo dell'allegra amministrazione nostrana propongo la scena del ponte diAriccia. Questo superbo ponte fatto costruire da Pio IX, dopo la travagliata esperienzadella fuga a Gaeta, era stato distrutto nel suo bel mezzo. Fu ricostruito dal governo

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9393democratico e benedetto dal Vescovo Monsignor Budelacci. Ricordo il dialogo di dueariccini:

"Ahò, chi è quer tizio coll'occhi storti?""Er Vescovo"E perché s'è messo quer catubbo 'n testa?"

"Perché benediciono 'r ponte""E perché lo benediciono?""Perché 'r governo è prete".

Non passò gran tempo e il ponte crollò di nuovo al passaggio di due macchine. Ilgoverno prete non aveva saputo esprimere un tecnico decente, né la Chiesa politicante unabenedizione efficace.

Ma il crollo di un ponte è un fatto evidente. Ci sono delle cose che vanno male sempre,e nessuno sa perché, né con chi prendersela. Il compagno più ottuso della mia classe(ricordo che sapeva solo bestemmiare) è diventato Direttore Generale di un Ministero. Un

pezzo molto grosso di un grossissimo ente pubblico pativa (o meglio, ne pativano gli altri)di una occlusione intellettuale spaventosa: i primi principi della logica gli erano oscuri.Una gran puttana in servizio permanente effettivo ha avuto importanti incarichi e pingui"marchette" in una struttura religiosa, grazie all'interessamento di un pio cardinale. Ne sotante altre, ma voi forse più di me.

Qualche raccomandazione, per lavori molto meno importanti, l'ho presentata anch'iopresso parenti ed amici, ma me ne sono amaramente pentito e me ne accuso. E' vero chesenza di quelle, generalmente, non si va avanti, ma perché alcuni debbono goderne, edaltri, talvolta migliori, no?

Un mio confratello mi tormentava continuamente perché trovassi un lavoro a suo

cugino laureato che non riusciva a battere chiodo. Questi venne a trovarmi egrossolanamente tentarmi: "Che spaghettata all'amatriciana c'è per lei, se ci riesce!". Ilposto glielo trovai, lui non sapeva far nulla, ma fece carriera, per inerzia. Ma nessunaspaghettata, anzi tutte le volte che lo incontro lui volta la testa dall'altra parte. Non permancanza di gratitudine o di spaghetti, ma per non fare più del male alla società, hodeciso di non raccomandare più se non i capaci e meritevoli.

Vorrei spendere due parole per presentare i perdigiorno della Compagnia di Gesù, chesono l'edizione religiosa dei "fregnacciari" che si ritrovano in abbondanza in tutti gliambienti, coloro che i romani chiamano anche, con espressione pittoresca, "I verniciatori discoregge". Questi esemplari riescono ad ottenere tutti i permessi, anzi le benedizioni e icrismi per fare il comodo proprio. Accusando misteriose e dolorosissime cefalee, si alzanotardi al mattino, studiano poco o niente, ma in compenso "si aggiornano" alla televisione oin contatti diretti con personaggi dello spettacolo, con uomini politici, con Eminenze, albacio della cui porpora si prosternano senza remore, e alle cui spettacolari liturgiepartecipano, da invasate baccanti. E agli sprovveduti - ecclesiastici compresi - il loroprofluvio di parole difficili darà senz'altro la certezza di trovarsi davanti ad esperti dellamigliore marca. Di tutto parlano, di tutti sanno dare giudizi precisi e inappellabili. Non lisfiora mai il dubbio che il loro intervento possa perderli. Del resto preferiscono affrontarematerie fumose ed evanescenti, quali sono quelle della politica, dell'arte o dello sport. Nonmeritano neppure di essere nominati, tanto sono vuoti e insulsi. Uno di loro era statogiornalista de "Il Littoriale" (foglio sportivo fascista), poi si era fatto democristiano, quindigesuita, ma non smetteva ancora di fare il bambino. Diventato Superiore, il suo primo attofu quello di nominarsi un vice nella persona di uno che studiava sul serio (e che diventò

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94poi un professore di teologia morale). Non sapendo disporre altro, lo chiamò, davanti atutti, per affidargli il fagotto della sua biancheria da lavare. 'Poi vedremo". Ma non seppevedere altro. Ora è in Vaticano.

Un Gesuita che si riteneva critico d'arte, invitò Fellini a casa nostra. Furono tante e talile virtù dianoetiche e gli intendimenti filosofici e letterari che trovò e sviscerò nel"Maestro", che il regista se lo guardava sbalordito. "La ringrazio, Padre", dissesemplicemente "ma io tutte queste cose le ignoro: io racconto soltanto". Il pregio di Fellinista proprio nel non crearsi problemi. Io lo vidi mangiare nel piatto di un altro.

"Ossi di seppia” di Montale aveva tra noi degli estimatori d'eccezione, grazie alladiffusione operata da un grande pensatore gesuita, il quale confessava che, tutto occupatonel pensare, sbagliava sempre la giusta misura del cibo. Curioso: in eccesso, non in difetto.Il che vuol dire che a tavola più che gli ossi di seppia, valgono le seppie. Anche per i critici.Naturalmente era impensabile chiedere a certi pensatori un'opera di carità verso ilprossimo. Quella roba era per praticoni, per empirici. Loro attuavano la missione deldotto. Era questa la loro vocazione. Ricordo invece persone come il Padre Arnou,professore di teologia razionale, o il Padre Morandini, di critica, che trovavano il tempoanche di assistere i malati all'ospedale, o di soccorrere gli indigenti nel corpo e nello spirito.

Alle polemiche su Pasolini o su Zeffirelli, invece, un po' tutti partecipavano con frutto.Al "Massimo” Pasolini fu invitato, e molto vigliaccamente alcuni genitori gli lanciaronomonetine. Io gli domandai come mai nel suo “Vangelo secondo Matteo" ci avesse presentato unCristo cosí severo. Mi rispose "Perché Matteo lo presenta cosí". Non aveva torto: il Cristo diGiovanni è assai piú dolce. E‟ proprio vero: la verità è una, ma ognuno la recepisce a suo modo. Una volta un mio compagno, non romano, immerso nella lettura di Pasolini, mi domanda:"Che cosa vuol dire paràculo?". Risposi "Sposta l'accento sulla penultima e capirai". Rise.

Zeffirelli non piacque a tutti nella sua interpretazione di Gesù. lo avrei da ridire anchesu Maria con doglie. L'autore mi è parso poco attento, come quando ha scritto "sognamo"per "sogniamo". Ma non meravigliamoci troppo: Uniberto Eco ha scritto per tre volte"valige" per "valigie". E chissà che non sia scappata qualcosa anche a me, che stodisimparando dalla lettura dell'ultimo Andreotti.

Orsù, il vento spira e ci manda infiniti spiragli di autentica gioia. Dobbiamo essere

noi tanto pii da considerare la Chiesa come unico luogo in cui si confermano i segnoi dellaVerità, sebbene ciò, talvolta nasca o provenga anche da menti e da cuori non sempreallineati con la Dottrina e con Santo Pontefici. Ma prima o poi Lo Spirito Santo concederà

loro la grazie di tornare nella Vigna del Signore, diventando operatori di Pace in Cristo.“…Egli (Lo Spirito) introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unificanella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e„carismatici‟, la abbellisce dei suoi frutti”. (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,5,22).

Nella Costituzione Pastorale GAUDIUM ET SPES al cap. 44 dice: “…L‟esperienza deisecoli passati, il progresso delle scienze, i tesori nascosti nelle varie forme di culturaumana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell‟uomo e si aprono nuove vie versola verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa… È dovere di tutto il popolo di Dio,soprattutto dei pastori e dei teologi, con l‟aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente,discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla luce della

 parola di Dio, perché la verità „rivelata‟sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possavenire presentata in forma più adatta”. 

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9595 Galleria di ritratti

Tra i novizi più simpatici, c'era un certo Aldo. Non ne dico il cognome, perché a untipo come lui potrebbe seccare di essere ricordato, anche se andò via senza sua colpa, anzicon grandissimo merito. Alto e grande come una montagna, intelligente, spiritoso esempre allegro, era stato ufficiale dell'esercito in guerra.

Un giorno lui ed lo ci eravamo inoltrati nel boschi sopra il lago di Albano, nei pressidella via dei Laghi. "Fermati” mi disse improvvisamente. Mi fermai. "Questa può essereuna mina". Emergeva dalle foglie secche un coperchietto metallico. Inginocchiati loscalzammo piano piano tutto all'intorno, fino a scoprire una base ad asta. La calma di Aldoscacciava la mia paura. Ma l'asta era troppo lunga per essere quella di una mina. Il miocompagno la tirò in su: era i1 tappo dell'olio di un carro armato. Risata di sollievo. Ma un

carro c'era davvero, più in là, uno Sherman americano apparentemente intatto nella suapaurosa mole. Dentro, otto cadaveri carbonizzati. Un anticarro tedesco doveva aver presoin pieno la corona dei proiettili all'interno, penetrando dalla feritola anteriore che risultavaappena allargata. Più avanti trovammo il cannoncino e il cadavere di un soldato dellaWehermacht. Dall'elmo squarciato appariva una ciocca di capelli biondi. Con le debiteprecauzioni estraemmo un documento. Diciott'anni. Da casa spedimmo il documento inGermania. Rispolverando la lingua tedesca che avevo studiato a Ragioneria, io forniianche le necessarie indicazioni. Dopo più di un anno la famiglia andò a riesumare il corpo,che noi avevamo seppellito segnato con una croce.

Un'altra volta, al guado di Coccia sulla Maiella, da dove erano passati gli americani che

salivano dalla Val di Sangro dopo sanguinosi combattimenti, la mina c‟era davvero, ed loci stavo seduto sopra. La scoprì un soldato che veniva avanti col metal detector, mi fecealzare piano piano, disinnescò l'ordigno, e poi domandò a noi novizi perché maiandavamo a cercar guai su per i monti.

Ma fin qui tutto bene. Un giorno Aldo si trovava sulla piazza di Ariccia, prima dicominciare la lezione di catechismo al bambini, quando si accorse che una ventina di lorostava armeggiando intorno a una bomba a mano italiana che aveva già perduto lalinguetta. Uno era sul punto di darle un calcio. "Fermo!" urlò Aldo, ma, calcolato che nonc'era più tempo, si buttò col suo gran corpo sulla bomba che scoppiava. Fu crivellato dischegge, ma i ragazzi rimasero incolumi, ad eccezione di quello del calcio, che perdette

l'alluce. Grondando sangue, Aldo ebbe la forza di raggiungere la Chiesa, per morire lì. Fusalvato, ma i suoi nervi rimasero talmente scossi che si credette opportuno fargli lasciare laCompagnia di Gesù. Ancor oggi Aldo ospita nella sua carne schegge non removibili.

Ecco un uomo che meritava di essere Sacerdote, con stimmate forse ancora più gloriosedi tante altre.

C'è anche un altro Aldo, di cui posso citare il cognome: Giachi. Questo mio connovizioha esercitato, e penso che eserciti ancora, un eroismo diuturno. Vivacissimo, ardente,rimase improvvisamente paralizzato. Ebbene, sulla sua poltrona continuò a studiare epregare, a ridere e scherzare. Per distinguersi dall'altro Giachi, un Padre più anziano dilui, amava definirsi Giachi il Bello. Siccome eravamo amici intimi, scherzava anche sul suo

pallore, dicendo che noi due eravamo un uovo al tegamino, lo il rosso e lui il bianco. Nonavrebbe potuto essere ordinato sacerdote, ma Pio XII fece un'eccezione per farne l'apostolodei paraplegici. Diceva la Messa seduto, confessava e faceva un sacco di bene con la sua

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96allegria. E spero che continui. Ma devo chiedere scusa a lui di non essere stato semprepaziente di fronte alla sua continua necessità di aiuto, io che ero sano e libero.

Il Padre più ammirato da me - e forse non solo da me - è stato GiandomenicoMaddalena, detto Mimmo. Fu nominato Provinciale dopo Emanuele Porta. Era il suoopposto. Cordialissimo, compagnone, umilissimo. Quando sbagliava, chiedeva scusa:"Scusami, Pietro: ho fatto una pisciata fuori". Come suonava bene la sua erre moscia! "Nonsi preoccupi, ora asciughiamo”. Potevi tenere il broncio ad un uomo cosi? L'unico contoche teneva era quello degli onomastici e compleanni di tutti i membri della Provincia. Ovenon poteva fare gli auguri di persona, ti telefonava o ti scriveva. Come facevi a nonscattare ad un suo desiderio, che non era mai un ordine? Una volta venne in camera mia,dopo l'esame ad gradum. "Ti prego di farmi un piacere. Non so chi mettere come Ministroal Gesù. Tu sei inadatto perché sei troppo giovane. Ma credimi, non ho di meglio"."Andiamo proprio bene!" risposi lo "Non so neppure da dove cominciare: come faccio afarmi rispettare?". "Basta che non ti presenti così, col petto in fuori, a dire - Rispettatemi:sono il nuovo Ministro".

L'inattesa stima che mi aveva dimostrata era dovuta al fatto che io avevo fatto breccianel cuore dei suoi amatissimi ragazzi di Ferrara, la città pupilla dei suoi occhi, perché viaveva svolto un fruttuosissimo apostolato. Quei lazzaroni, universitari e liceali, accampatia Malga Ciapela, sulle Dolomiti, avevano messo in fuga il pio Padre Antonio Palisi,scandalizzato dalle loro parolacce da trivio. Maddalena, sapendo che io ero stato scout, mipregò di far loro da cappellano: "Pietro, vacci tu, perché stanno soli. Non pensare che leparolacce gliele abbia insegnate io: la mia peggiore è stata cazzarola". Andai e raggiunsi laMalga, dopo un viaggio complicato. I ragazzi mi squadrarono, poi andarono a prendereun paio di calzoncini: "Il Padre Palisi non se li è voluti mettere. Lei li vuole?-. "Grazie tante,ma ho già i miei nel sacco". Prima prova superata. "Lei si scandalizza se diciamo delleparolacce?- "No, non mi scandalizzo, ne ho sentite tante a Roma, in galera, ai cessipubblici.... Però, brutti porci, guai a chi se ne lascia scappare una davanti alle ragazze,quando scendiamo in paese". Seconda prova superata. "E dica", azzardarono ancora"avrebbe il coraggio di fare a botte con qualcuno di noi?" "Perché no? Anzi con moltopiacere e subito". E nonostante fossi stanco dell'ascensione capii che con quel pivelliboriosi dovevo solo strafare. Scelsi pertanto uno che sembrava un armadio.

Durai poco, perché quello mi cascò addosso e mi gravò con tutto il suo peso fin quasi asoffocarmi. Ma l'importante non era il vincere: era l'osare. Come si fa presto a conquistare iragazzi! E il Provinciale Mimmo! Padre Maddalena si faceva in quattro per difendere isuoi sottoposti. Una volta sentii dir male del Padre Egidio Guidubaldi, letterato direttoredel Grattacielo di Livorno. "Non capisco proprio che cazzarola possiate dire sul conto diGuidubaldi. Non beve, non fuma, non va a donne, fa la meditazione: che cosa volete di piùda un Guidubaldi?". Quando incontrai Guidubaldi lo ragguagliai - a mo' di serva - diquesta apologia. Il Padre ne fu soddisfatto, poi ci ripensò: "Ma mica mi piace tanto quelfinale!". Ed lo a ridere, cattivo che sono stato.

Maddalena non sembrava un prete, e meno ancora un gesuita. Questa, da parte deigiovani, voleva essere una lode non spregevole. Veramente lo dicevano sempre anche dime. Ma questa era cosa che non piaceva affatto al Provinciale successivo, Padre GiulioCesare Federici. "Rector, ne impedias musicam", è l'avvertimento minimo che si possa faread un Superiore. Federici, invece, appena insediato, cominciò a rompere le scatole a tutti ea sfasciare tutto ciò che funzionava. Perché la sua grande mente aveva progettato unaProvincia Romana tutta nuova. Mi ricordo di aver disegnato una vignetta cherappresentava la Fregata Giulio Cesare nel Mare dei Guai. Tutti preferivano gettarsi in

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9797acqua che restarci sopra. Anche a me Padre Federici cercò di sfasciare il lavoro e di farmiperdere il contatto con persone che mi stavano a cuore, ma io ricorsi al Vicario GeneraleSwain (che avremmo fatto bene ad eleggere definitivamente invece del flagello Arrupe), equesti mise a posto, almeno per quanto riguardava il mio lavoro, il Padre Provinciale,ringraziandomi anche della fiducia. Federici fremeva: "Non andiamo d'accordo. Perchénon te ne vai dalla Compagnia?". Gli risposi: “Non fa niente se non andiamo d'accordo.

Ma se Le dispiace tanto questo fatto, perché non se ne va Lei?". Be' ero veramente troppocattivo, adesso che ci ripenso, ma disubbidiente no: ero d'accordo col suo Superiore. E quivorrei far notare, con volo pindarico, a quanti mormorano "Governo ladro", che tutta laclasse degli onesti non deve dimenticare che i veri sovrani siamo noi, e che avendo da farecose assai più importanti, quali la cura della nostra personalità e del raggiungimento dellavita eterna, abbiamo incaricato alcuni professionisti della politica, incapaci di far altro chesazi la loro voglia di emergere, di occuparsi di questioni contingenti e transeunti. I qualiperò devono ben guardarsi dal deluderci, altrimenti in nome della ragione e dell'equità licacceremo via. In un ordine religioso la cosa è più difficile, ma anche li l'onesto, sia purecon un po' di pazienza, con l'aiuto di Dio, finirà per far trionfare la causa di Lui anche se èdovuto andar via. In Vaticano la ragione emergerà con molto maggiore fatica, ma vi pareche alla fine Gesù non riuscirà a spuntarla davvero? Aiutamolo a vincere con il nostrocoraggio.

Quando il Papa Paolo VI (naturalmente non lui, che non mi conosceva neppure, ma ilCardinal Cicognani, il quale neanche lui mi conosceva) mi nominò Vice Assistentenazionale degli scouts cattolici, Federici dovette accettare, anzi grato dell'onore fatto allaCompagnia, non volle neppure che io ricevessi stipendio. Però mi fece saper che non mipoteva mantenere gratis, e perciò mi dessi senz'altro da fare per guadagnarmi la vita.Discorso inaudito nella Compagnia di Gesù! Ma è il classico modo di farsi bello con lepenne del pavone. Lui generoso, io a sgobbare, per fargli fare bella figura col Papa.Siccome poi l'Associazione era guidata da professionisti che lavoravano come me mattinae pomeriggio, le riunioni dovevano farsi la sera e protrarsi fino a tarda notte. A me iSuperiori religiosi non domandavano mai dove ero stato, perché lo sapevano benissimo,ma venne il momento opportuno per dire che forse Pietro faceva altre cose.E che cosa, il viveur? O il pappone?

Non vi dico poi che cosa successe quando mi occupai, per conto del Padre Ruggid'Aragona, che mi stimava, anche del ramo femminile dello scautismo! Vi basti questo.Stavo per fare la fine del Padre Cristoforo accusato da Don Rodrigo di aver un interesseparticolare per Lucia. Il grande Giulio Cesare mi proibì allora di trattare con quelleragazze. Ma lo ero meno santo del Padre Cristoforo, il quale si adattò a morir di peste pernon ostacolare le fini trame diplomatiche del suo Provinciale dalla vista corta e dallavigliaccheria incarnita. Ricorsi in alto ancora una volta e rintuzzai l'albagia del Federici.Devo però far notare che la resistenza allora riusciva, perché la base dei discredati escontenti della Provincia aveva fatto pervenire compatta la sua protesta in alto contro gliinnumerevoli soprusi, e i Superiori sono sempre pronti a correre in aiuto dei molti control'uno. Più difficile è il contrario. Quando sarà che trionfi in ogni campo, dal civileall'ecclesiastico, la forza della ragione e non quella del numero? Per ora contentiamoci del"Vox populi, vox Dei".

Ma almeno Federici era una persona amante della cultura. Era stato invece Provinciale,prima del mio ingresso in Compagnia, un certo Padre Bitetti famoso per la sua anti-cultura. Certo gli studi nella Compagnia doveva averli fatti, ed anche bene, se no nonsarebbe diventato Provinciale, ma non poteva sopportare che si spendessero soldi per

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98nuovi libri. Se gli perveniva una richiesta in merito, conduceva il postulante in biblioteca,vasta e zeppa di volumi, e domandava: "Li ha letti tutti?". "No, certamente" rispondevaquello. "E allora prima li finisca, e poi passi da me". Era un ottimo organizzatore, ma nonperdeva tempo in teorie o in cerimonie. Una volta, per fare più presto, era entrato a pulirsile scarpe in un bugigattolo riservato agli studenti. Uno di questi scambiò il suo vastooccidente per quello di un compagno e gli affibbiò una gran pacca. Il Padre Provincialeinviperito e stupefatto gli urlò "Come si è permesso?!" "Mi scusi, Padre, c'è stato unoscambio di persona". "E lei le persone le tratta in questo modo? Dov'è la regola del tatto?".Ai tuoni seguirono i fulmini. Era terribile. Ma io lo conobbi da vecchio, quando calzava gliscarponi da montagna per andare ad assistere spiritualmente e materialmente gli sperduticiociari sugli Ernici, in mezzo alla neve. Mori di cirrosi epatica, perché per riscaldarsibeveva. Come economo dovetti sistemare le sue cose. Aveva una grossa valigia piena dilettere di emigrati in America. Ognuna conteneva dollari che il Padre non si era neanchepreoccupato di tirar fuori: ma le buste erano aperte. Quella lettura almeno era coltivata.

Una regola della Compagnia che non mi andava bene era quella che diceva che i fratellicoadiutori non devono imparare più lettere di quel che sappiano al loro ingresso. Laregola aveva lo scopo di lasciarli nell'umiltà. Allora - dicevo io - i Padri hanno il diritto dimontare in superbia. Ma quando mai lo studio fa insuperbire, se non gli stupidi? Lo studiorende umili perché fa capire che non si sa mai abbastanza, e che abbiamo bisogno deglialtri per imparare. Contro natura è dunque l'ordine di non migliorarsi culturalmente. AGalloro avevamo un vecchio fratello sacrestano ciociaro, Bartolomucci, che era rimastoproprio all'età della pietra. E' vero che colunt Ernici saxa, ma non in senso intellettuale. Cihanno dato Calo Mario, Cicerone e Tommaso d'Aquino. Nella guerra del quindici,Bartolomucci era stato soldato, e, posto di sentinella, si era messo a parlare con unaustriaco mandato in esplorazione. Fu processato per intelligenza col nemico. L'ufficialesuo avvocato, temendo il peggio, disse alla corte marziale: "Prego lor Signori di osservarese l'imputato possa dare l'impressione, non dico di aver potuto tenere intelligenza colnemico, ma semplicemente di avere intelligenza-. Fu assolto. E il buon fratello ciraccontava tutto questo, ridendo. Non era uno stupido, era solo un semplice e un pratico.Per proteggersi dalle pigne del giardino girava, lui piccolo piccolo e azzoppato dallaguerra, con in testa un elmo tedesco. Pensate a un personaggio di Sturmtruppen. Unavolta gli domandai "Fratello, possiamo noi tradire i nostri voti e la nostra fede per salvarcila pelle?". Mi sbirciò allarmato di sotto all'elmo: "E che? Vuoi perdere la palma?-. Perchéun essere cosi retto non doveva coltivarsi? Tanto più si è cristiani quanto più si è uomini.Per questo parlavo al Fratello di quel che leggevo. E lui ad ascoltare. Pregai presso la suaesile crisalide, tendente alla "palma".

Ed ora un po' di varietà. Avevamo il Padre Scatizzi, scienziato, che mi passava iromanzi di Giulio Verne (molti ne avevo letti già da ragazzo) con le sue postille censorie,spassosissime, tipo questa: "Cretino e ignorante, come puoi spedire sulla luna un proiettiledi cannone con viaggiatori all'interno? Con tutta l'imbottitura che vuoi, li spedisci solo alCreatore". E poi dovunque calcoli complicatissimi e reazioni chimiche e ragionamentiastronomici che dimostravano gli errori del Verne, riempiendo le giornate di quelvecchissimo pensatore, dalla chioma alla Leonardo. Se qualcuno andava a chiamarlo:"Padre Scatizzi, è venuto il barbiere", lui senza alzare gli occhi dal suoi calcoli, rispondeva:"Ah si? Ditegli che ne ho proprio tanto tanto piacere". Poi si alzava, ma non andava dalbarbiere, andava sulla piazza a parlare di Dio alla maniera socratica.

Padre Bianchini, invece, non aveva bisogno del barbiere perché era calvo come unapalla da biliardo. Recitava "Il sabato del villaggio” e, quando arrivava a "il petto e il crine"

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9999della donzelletta, si toccava prima il cranio implume e poi il petto villoso. Era una valangadi barzellette, di spiritosaggini e di parole fuori del vocabolario. Una volta il Superiore gliintimò di smettere con tutte quelle parolacce, e lui, umilmente, senza scomporsi, disse:"Cesso, Padre, cesso".

Chissà quanti avranno incontrato per Roma un Pope Orientale dalla venerabile barba,prima nerissima, poi sale e pepe (che ora sarà senz'altro bianca), altissimo, enorme. Sottol'alto turbante con velo nero, neri occhi scintillanti. Il nome è meglio non farlo, perché erauno di quelli del "Russicum" che dovevano andare in U.R.S.S. Una volta, per viaNazionale, un giovanotto faceva ridere i passanti prendendo in giro, con frasarioromanesco, lo strano pope, certo di non essere capito da lui. Questi lo afferrò per il baveroe, con una sola mano, lo alzò in aria. "So' romano e fijo d'un postino, stronzo". E lo ributtòa terra. Che era gesuita lo aggiungo lo. Era fenomenale quando mimava la poesia IlParlamento, imitando Alberto di Giussano, il Barbarossa, gli eserciti, i cavalli al galoppo, ilpopolo irato, perfino la bella imperatrice e il sol che ridea calando dietro Il Resegone. Maivista più una cosa simile. Invito pertanto caldamente il collega a prodursi in televisione,anche se non avrà più la scioltezza di una volta. Davanti a tanti preti attori che ciprendono in giro, uno che ci farebbe ridere di gusto.

Da un pezzo è morto il Padre Marchetti. Era considerato un grande predicatore,soprattutto di Esercizi Spirituali. Essendo anziano, si preoccupava di stare al passo coitempi, e perciò leggeva, si aggiornava, si informava, per essere più convincente epersuasivo nelle sue prediche. Un giorno domandò al ragazzi più scelti del Massimo ilnome di un locale di spettacolo dove ci si potesse divertire, senza macchiarsi l'anima.Rispose per tutti Alberto Parisi, il più grande dei cinque Parisi, dei quali quattro si fecerogesuiti, e l'ultimo rimase a perpetuare la schiatta, nonché a dirigere la fabbrica di candele.Rispose dunque quel burlone di Alberto che il locale più raccomandabile a Roma erasenz'altro l'Ambra Jovinelli (che invece veniva chiuso in continuazione per oltraggio alpudore. Curioso: oggi sarebbe davvero, con quegli spettacoli, tra i più puliti). PadreMarchetti ringraziò, e la settimana seguente iniziò un corso di Esercizi Spirituali aigiovani, ai quali tra l'altro disse: "Cari figliuoli, nessuno vi vieta di divertirvi, ma ricordatedi mantenere intatto il giglio della santa purità, che può essere appassito da spettacoliosceni. A questo scopo io vi raccomando caldamente di andare soltanto all'Ambra

 Jovinelli". I ragazzi finirono sotto i banchi dalle risate.Un altro che stava nelle nuvole era il Padre Lo Grasso, Professore di teologia morale. Io

già confessavo, ma non sapevo cosa dire alle ragazze o alle mamme che mi chiedevanoconsiglio sulla liccità dei costumi da bagno succinti. Per me il peccato stava essenzialmentenell'intenzione. Le mode mutano (certo che chi le comincia è un po' birichino, a dir poco), edi questo passo si finirà per andar nudi con la collana, come i negri del centro dell'Africa, iquali però hanno altri significativi precetti di decenza, che proteggono la morale che noiandiamo perdendo. Comunque fosse, volli sentire il parere del Padre Lo Grasso. Questi mirispose che la decenza era migliorata, perché dal costume a un solo pezzo si era passati aquello a due. "Allora - dissi lo - se lo facciamo in mille pezzi sarà ancor meglio". Capìfinalmente che aveva preso una cantonata. Era un puro teorico, col pallino di esserepratico. Ma come faceva a stare in confessionale? Una volta, pensate, venne con noi almare, per applicare una sua teoria sul nuoto (dato che si interessava anche di scienze), checi spiegò per lungo e per largo. Ebbene, non sapeva affatto nuotare, e andava a fondo.

Un altro che andò a fondo, ma senza presunzione, fu il Padre Roberto Bortolotti,Professore di Diritto Canonico all'Università Gregoriana. Un gruppo di studentidisgraziatissimi che doveva subire l'esame con lui, lo invitò al mare, lo condusse in un

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100punto dove c'erano buche, e, dopo una buona paura, gli salvò la vita. Il tutto al fine diprendere un buon voto all'esame, cosa che si avverò puntualmente. Neanche Bortolotti eraconcreto. Non riuscì a rendersi conto di quello che andava succedendo nella Compagnia edella necessità dell'intervento del Papa. I libri, quando sono troppi, annebbiano il cervello.Ci vuole la ragione, ma non si può disertare la realtà.

Ho detto sopra dei quattro fratelli Parisi, gesuiti. Avevamo nell'Ordine anche due lorocugini. Noi maligni dicevamo che il Commendator Parisi patriarca aveva attuato questospiegamento di forze nella Compagnia al fine di piazzare le sue candele. In realtà l'aziendaandò male, e, bisogna dire la verità, Arrupe si mostrò generoso nel salvare il salvabile,dato che i Parisi avevano sei benemerenze nell'Ordine. Ma quello che non posso perdonareagli intrallazzatori ecclesiastici e laici è stata la grande ascesa del Commendatore, graziealla Democrazia Cristiana. In definitiva era un fabbricante di candele, anzi il droghiere diPiazza della Maddalena. Come si è potuto farne il Sovraintendente al Teatro dell'Opera,lui che non se ne intendeva per niente? Una Rivista (se non erro, il Travaso delle Idee), uscicon la copertina "Cera una volta". Mio padre andò a trovare il Commendatore ormaiinsediato a via Torino, per farlo recedere da alcune decisioni che avrebbero danneggiato ilTeatro e la lirica. Il Sovraintendente, davanti a chi se ne intendeva, sfogliava la posta, perconcludere poi che mio padre era male informato. E il Teatro andò a rotoli, proprio perchéquelle decisioni si attuarono e il pubblico disertò gli spettacoli.

Padre Giuseppe Castellani era un sant'uomo ed lo gli volevo molto bene. Fisicamente siavvicinava alla forma della sfera. Una volta inciampò, con mia angoscia, cadde a facciaavanti, battè la pancia in terra, e tornò di rimbalzo in piedi, sano e salvo. Come nobile diSoriano del Cimino (potete ammirare il suo palazzotto con due colonne all'ingresso di quelpaese) dirigeva la Congregazione Mariana dei Nobili, intitolata all'Assunta, nell'omonimacappella attigua alla chiesa del Gesù. Quell'antiquata istituzione era dura a morire.Quando la Congregazione degli Artisti (badate bene, a Roma artista significava artigiano)perdette il suo Direttore io che ero stato richiesto da Castellani come suo vicario, tentaiuna fusione col più robusto sangue plebeo. Non l'avessi mai fatto. I primi a storcere il naso- incredibile ma vero - furono proprio gli artigiani. Eppure avrebbero avuto tutto daguadagnare, perfino il fine organista Scapin, che Castellani pagava profumatamente.Fierezza romana. Non così fieri, anzi decisamente disponibili erano i più notidell'aristocrazia, ugualmente romana.

Castellani gradiva moltissimo e curava con amore la buona tavola. Quando luisuppliva il Superiore, tutta la comunità era allegra e in buona armonia. Da bravo storicososteneva che, salve poche eccezioni, quale il caso della strage ordinata dal Duca CesareBorgia, non appena i suoi nemici convitati furono giunti alle frutta, la tavola appetitosaproduce sempre la pace. lo gli restrinsi quella eccezione alla sola persona del DucaValentino, grandissimo fedifrago e figlio di autentica puttana, dato che i suoi nemici glierano già diventati fiduciosi amici al solo profumo del convito, anzi fin dal suo annuncio.A meno che non intendiamo per pace quella che spesso facevano i Romani. Diceva Tacito:"Ubi solitudinem faciunt pacem appellant": "Fanno il deserto e lo chiamano pace". Allora sisalverebbe anche Cesare Borgia.

Castellani era abituale complice delle scorrerie che il Marchese Raffaele Travaglini diSanta Rita (la Santa degli impossibili), Presidente dell'Ente Provinciale per il Turismo,compiva in tutti i ristoranti della provincia di Roma, che gratificava di targhe e diplomi,ove avessero soddisfatto il suo palato. Beninteso, anche quello di Padre Castellani, che eral'estensore dei suoi alati discorsi. Qualche volta i due compari aggregavano anche me, chedovevo sedere accanto al l'autista, quale "pretesciocco" (guardate che cosa può

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101101l'ubbidienza. Il pranzo, direte voi). Allora vedevo il marchese rovesciare la formaggieranel piatto. Del resto la sua nobiltà risaliva all'Era fascista. Una volta che andammo al suopaese d'origine, in Lombardia, vidi un'insegna di stagnaro dal cognome Travaglini, maCastellani mi fece gli occhiacci, perché non fiatassi.

Quando accompagnai Castellani alla Utet, di cui egli curava la Storia delle religioni, cifermammo a Modena. Il mio Maestro volle assaggiare ogni tipo di bollito, ma sentendoche ad un tavolo vicino veniva proposta l'oca, che a noi non era stata data, rimproveròamorevolmente il cameriere della grave omissione. Per lui la tavola era un rito di pariimportanza a quelli liturgici. Confrontando il temperamento beatificante di Castellani conquello duro del Padre Porta, sofferente di fegato, e di altri dalla cattiva digestione, non glisi può dar torto. Non per nulla la prima Messa della storia si celebrò non in un tempio maa tavola. E anticipava ritualmente il Sacrificio della Croce.

Perciò il buon Padre non starà certo tra i golosi danteschi. Non ha mai passato lamisura del cibo e del vino, anche se un po' di dieta avrebbe giovato alla sua figura. Ma perl'appunto non era un vanitoso. Sono certo che nel giorno del Giudizio sarà tra i primi a brindarealla resurrezione della carne. Non credo che sia metaforica l'espressione di Cristo: "Vi assicuro chenon berrò più del frutto della vite, finché non lo berrò di nuovo nel Regno dei Cieli con voi".

Il giorno del cinquantenario della vita religiosa di Padre Castellani, mi travestii daciociara, con un costume che mi ero fatto prestare da una prosperosa ragazza di BovilleErnica. Colmai i vuoti con opportuni accorgimenti (approvati previamente dal PadreSuperiore, Barbalato), riempii un cesto di ogni ben di Dio e, danzando e mandando baci,andai ad offrirlo a tavola al festeggiato. Il quale, esterrefatto, mi gridò: "Donna da trivio,chi ti ha fatto entrare?- e mi scacciò con la salvietta, come una mosca. Più tardi mi spiegò ilperché della sua violenta reazione: "Non ti avevo affatto riconosciuto, ed eri purepiacente". Dunque il buon vecchio vinceva una tentazione. Ed lo ho fatto le veci deldiavolo. Colpa grossa, lo ammetto. Ma ho fornito la prova della virtù di un vero gesuita. Ilbuon Padre non mi riconobbe neppure quando me ne andai di Compagnia, e ne soffrìtremendamente. Eppure lo ero sempre lo stesso.

Avevamo al "Gesù" un fratello coadiutore, un tal Moscini, che era spassosissimo,perché simulava sempre una preparazione intellettuale superiore alla realtà. Un giorno -era di turno come portiere - si era messo a leggere un gran libro di filosofia teoretica."Fratello - gli domandò qualcuno - ci capisce qualcosa?". "Guardi - rispose lui - non si leggesolo per capire, si legge anche per farsi una cultura". Una volta aveva letto sul giornale cheun treno era andato a sbattere in stazione. "Si capisce" commentò "che il macchinista nonconosceva la finalità dello spazio". D'aspetto somigliava alle rappresentazioni di Bertoldo,e perciò muoveva la gente al riso. Gli altri non lo accompagnavano volentieri, e allorausciva sempre solo, contrariamente alla regola, che noi avevamo in cofflune coiCarabinieri, i cui "Regolamenti- furono per l'appunto dettati dai Gesuiti piemontesi. IlPadre Provinciale lo rimproverò della inadempienza, e allora Moscini: "Perché, lei ciuscirebbe con me?" Ma la cosa più irrazionale era che il Moscini, come del resto era suodiritto, si presentava come gesuita, ma non sapendo né parlare, né . star zitto, non eral'ideale immagine dell'Ordine. Tanto più che i Fratelli coadiutori vestivano ormai comenoi, per evitare distinzioni di casta. Prima invece avevano la talare... meno talare, cioèlievemente più corta, e il collare coperto.

Un altro simpatico presuntuoso era il tedesco Padre Hamman. Era convinto dipossedere la lingua italiana, e perciò si lanciava nella predicazione: "E la Verghine Mariadepose il Fanciullo Ghesù nelle brache del vecchio Simeone". Poi, migliorata la lingua:

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102"Quel martire glorioso si fece bruciare la mani nei carboni ardenti, onde non sembrasseoffrire incenso agli idoli scuotendo le brache".

Un caro amico gesuita mi confidò che lui non riusciva a soffr ire con le “catenelle” chedovevano tormentarci la carne. Lo interrogai opportunamente e capii: le metteva alcontrario e straziava i suoi indumenti. Ma non lo faceva apposta: era talmente distratto cheaccusò un progressivo abbassamento di vista, mentre la difficoltà di lettura era causata dalvetri della sua finestra, mai lavati, neri di fumo.

Alberto Parisi fu nominato Parroco di San Roberto Bellarmino al Parioli, previa unalettera del Padre Generale Arrupe che gli raccomandava di non dire più parolacce. Albertopromise, ma non mantenne. Era un romanaccio scanzonato, e i suoi parrocchiani glivollero subito bene. Naturalmente le parolacce non le diceva in chiesa, se no avrebbescandalizzato la Roma-bene. Ma a me, per esempio, ne diceva tante.

Una volta condusse i suoi ragazzi in Sardegna, a passare le vacanze tra i monti. Ebbenotizia di una indemoniata senza rimedio. Lui non credette alla possessione diabolica, mavolle andare a vedere. Quella donna di un paesino sperduto non l'aveva mai visto, eppure:"Padre Alberto", gridò "che sei venuto a fare, proprio tu che sei un peccatore?!”. E seduta

stante gli elencò tutte le colpe che lui aveva commesso in una settimana, dall'ultimaconfessione. "Per fortuna non ne avevo fatte di grosse". Ma quella, o il demonio dentro dilei, le sapeva tutte. Il Padre, senza dir parolacce, si procurò allora mandato e strumenti perl'esorcismo, e mosse all'attacco del diavolo. Annaffiò letteralmente d'acqua benedetta ladonna, la quale friggeva come una piastra rovente. Poi, in nome della Croce di Gesù Cristoche brandiva, comandò al demonio di lasciare quella poveretta, che si contorceva edemetteva spuma. La donna si calmò alfine, ma Parisi, tornato a Roma, non seppe dirmi seil suo intervento fosse stato definitivo.

Il Padre mori a poco più di sessant'anni. Troppo presto. Ne soffrii. Era un grandeuomo, non solo fisicamente, piuttosto estroverso che introverso, a differenza del secondoParisi, Francesco, missionario in Cina, e del quarto, Pio, pensatore puro. Somigliava inveceal terzo, Luigi, il bello della famiglia. Marcello, il cugino, era un felice incontro di pensieroe azione.

Ricordo di Alberto un tentativo di adeguarsi a San Paolo. "Cupio dissolvi" sospiròpensoso. Poi sorridendo si corresse "Be', facciamo semicupio".

Da ultimo voglio parlare del mio amico migliore, il Padre Luigi Gerardi, romano deRoma, amatissimo dalla gente, del quale ho già dato cenno. Ha circa un paio d'anni più dime, è entrato in Compagnia già laureato in economia e commercio, e quindi ha avutosempre il ruolo di mio consigliere. Ci siamo intesi fin da quando ci siamo conosciuti. E'strano: nella Compagnia di Gesù di allora si osteggiavano le amicizie. Si chiamavanoamicizie particolari. Naturalmente io non davo a questa espressione il senso deteriore, eperciò mi meravigliavo moltissimo che una amicizia fosse proibita. Ma la natura, quando èsana, non puoi inibirla, e perciò è impossibile che non si provi il senso dell'amicizia. AncheGesù aveva particolari amicizie, e i miei Superiori erano proprio dei freddi a non capirlo.

Con Gigi mi sfogavo di tutte le cose che non andavano, e lui era perfettamenteall'unisono con me. Mi capì anche quando me ne andai di Compagnia. Certo non potevospiegarmi fino in fondo, ma ora che esce questo libro sono certo che mi comprenderàpienamente.

Gigi mi traeva d'impaccio in ogni situazione difficile, e mi difendeva con coraggio eprudenza. Del resto tutti lo chiamavano "Virgo prudentissima". Non credo di essere statoio di giovamento a lui.

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104La donna nella Chiesa

I laici nella Chiesa contano poco. Le donne ancora meno. E' triste constatare che cisiano voluti tanti secoli perché la donna avesse il diritto di servire la Messa e di cantare dalpresbiterio o dall'organo. Se la cosa non era contraria alla morale o al diritto divino, perchénon si è avuta prima? Perché la Chiesa è stata -ed è ancora -tanto maschilista? "Mulieres inecclesia taceant". Eppure le donne sono state da sempre il più valido sostegno della Chiesa(ed ora anche della Democrazia Cristiana). La Chiesa lo ha riconosciuto, ma con sterilegratitudine: "Oremus pro devoto femineo sexu".

La donna è stata sempre sotto il dominio dell'uomo, ed ha sopportato in silenzio questosopruso, per lo più addirittura pensando che non fosse tale. Eppure Cristo avevadimostrato chiaramente di non pensarla così. Prima di tutto nell'episodio dell'adultera.

Gesù non la difende per mera "cavalleria", ma perché ella non è più colpevole dei maschi."Il più pulito di voi scagli la prima pietra". Dunque uomini e donne hanno gli stessi doveri.Eppure fino a pochi anni fa la legge puniva l'adultera e non l'adultero. E la Chiesa nongridava all'ingiustizia. Qualcuno sosteneva che la differenza di trattamento era dovuta amotivi pratici, considerati già dal diritto romano. La donna altrimenti avrebbe potutoportare in casa del marito figli non suoi. Si può obiettare che l'uomo poteva mettere figlisuoi in casa altrui. Ma già, quello che importava all'uomo era la propria casa. Mirabileconsiderazione. Dunque il maschio era prepotente ed egoista non solo con la moglie, maanche con la società.

La Chiesa è la più arretrata nella stima delle donne. Da gesuita mi è stata insegnata

questa massima: "Fuge a facie mulieris tamquam a facie colubri". Non mi risulta che anessuna suora sia stato suggerito "Fuggi il volto dell'uomo come il volto del serpente”.Oltretutto quel repellente animale si presenta al maschile. Forse pesa sulla donna la colpadi Eva. Ma si può agevolmente notare che se il maschio è tanto importante quale capodell'umanità, è a lui e non alla sua compagna che dobbiamo la trasmissione del peccatod'origine. Se Eva sola avesse peccato, e non anche quel bambagione di Adamo, non cisarebbe stata alcuna conseguenza per l'umanità. Colui invece scaricò la sua colpa sullamoglie e addirittura sul Padreterno che l'aveva creata: "E' stata la donna, che tu mi haidato". Trilussa nota sapientemente:

Nacque così er primo gentilomo

E nacque altresì la prepotenza,  perché non solo l'uomo ha sottomesso la donna con la forza fisica (che era anche l'unico strumento economico, e garanzia di potere), ma la stessa Chiesamaschilista ha ribadito la condanna, (che per me non era una condanna, ma semplicementeuna previsione): "Partorirai figli nel dolore. Verso tuo marito si trascinerà la tua passione,ma egli ti dominerà". Non vedo come il Signore Iddio potesse approvare la prepotenza.

Mi ricordo che prima del Concilio (non so se in qualche parrocchia lo si è praticatoanche dopo), la donna che aveva partorito doveva aspettare come una colpevole fuoridella porta della Chiesa. Poi veniva il sacerdote in stola violacea, la cospargeva ben bene di

acqua santa come una indemoniata, quindi dopo lunghe parole le permetteva di toccare lastola, e, tirandola per quella (o meglio era la poveretta che vi si attaccava come ad ancoradi salvezza), la reintroduceva in Chiesa. Era il rito della purificazione. Purificazione da che?

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105105Di recente il Papa ha sentito il bisogno di riabilitare la donna e di avvicinarla all'uomo.

Ma questi sono problemi che Gesù non ha mai avuto. Al tempo di Cristo la donna contavameno che meno, ma Lui la fece contare. Tutti si meravigliavano se parlava con una donna,ma Lui ci parlava lo stesso. Rinfacciava ai maschi la loro ipocrisia, ed esaltava il teneroamore delle donne che otteneva automaticamente il perdono e il loro impiego fattivo nelRegno di Dio. Le donne meritarono (sua madre certamente per prima) di annunciare lasua resurrezione. Non è vero che Gesù schifiltosamente disse alla Maddalena “Non mitoccare!", ma (se ben si intende il greco "me mou aptou"): "Basta col toccarmi, non sonoancora asceso al Padre mio (cioè “non tenermi cosi, potrai vedermi ancora") ma va'piuttosto dal miei fratelli... (a dare la notizia)". Il passo evangelico diventa così chiarissimoe umanissimo. Del resto Cristo aveva accettato che una peccatrice gli bagnasse i piedi conle sue lacrime e li asciugasse coi suoi capelli, e sempre davanti a tutti li baciasse a lungo ecospargesse di profumo preziosissimo dall'infranto alabastro. Certamente la donna è piùdebole dell'uomo quanto a forza fisica, ma gli è pari, quando non lo superi, per forzaintellettuale e morale. E la forza fisica nell'intelligente significa poco. Lo vediamosoprattutto oggi che la forza fisica viene supplita dalle macchine e perfino da armisofisticate, che anche le donne sanno usare.

Se l'uomo è più pronto ad affrontare il pericolo, la donna è più coraggiosa di lui nelsopportare il dolore. A parte il fatto che una madre è pronta spesso a rischiare, come ilpadre, ed anche di più, per il bene dei figli. Ed oserei dire, anche per l'uomo che ama. Se ladonna è più emotiva, l'uomo è più freddo. Si compensano a vicenda, appunto perché sonocomplementari. Perciò, donne, non scimmiottate l'uomo. Siate fiere della vostrapersonalità. Non avete letto nella Scrittura che ad ogni atto creativo il Signore sicompiaceva dell'opera sua? Quando ebbe fatto l'uomo, non fu soddisfatto: "Non è beneche l'uomo sia solo: facciamogli un aiuto simile a lui". Da notare che ogni cosa è fatta asomiglianza di dio, l'essere umano soprattutto. Se Dio non è soddisfatto, è segno che la suaimmagine è completa solo quando ci sono l'uomo e la donna, tutti e due. Non a caso PapaLuciani disse che Dio è padre e madre insieme.

Per questo non si può pretendere che uomini e donne debbano fare le stesse, cose.L'uomo, in genere, e più incline a determinate attività, la donna ad altre. Per esempiodifficilmente troverete una donna meccanico di auto, o chirurgo, come difficilmentetrovate un baby-sitter o un casalingo per passione.

Certamente molte inclinazioni sono favorite dal tipo di educazione ricevuta, ma è purcerto che le caratteristiche della virilità e della femminilità in alcuni tipi sonoparticolarmente evidenti, non solo nel fisico, ma anche nella psiche. Un Achille coperto dalpeplo tra le fanciulle alla corte di Licomede arderà di entusiasmo al lampo di una spada,una Giovanna d'Arco vestita di ferro vivrà con eroica ubbidienza e pena l'eccezionalitàdella sua vocazione. Ma nessuno può dubitare della pari dignità dell'uomo e della donna.

E' vergognoso che la società moderna abbia scoperto la dignità della donna solo quando ella hacominciato a portare soldi in casa. Prima non la si faceva neppure studiare. L'Alfieri sosteneva chealla donna nobile bastano e avanzano le ariette del Metastasio, da lui sprezzatissimo. "Ella n'èpazza". Hegel, teorico dell'assurdo, riteneva che la donna fosse un essere inferiore. Quandoabbiamo visto le donne studiare, abbiamo compreso quanto fossero sballate tali teorie.

Ma intanto, dirà qualche ecclesiastico, Dio si è fatto uomo, e non donna. Sì, ma l'uomoGesù Cristo è Persona divina. La più alta persona umana è una donna, sua madre:

"Tù sei Colei áe l'umana naturanobilitasti sì che il suo fattore

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106non disdegnò di farsi sua fattura"(Par. XXXIII)

E a questo punto, oso porre una domanda. Ma è proprio vero che per essere ordinativalidamente sacerdoti occorre essere maschi? Cristo ordinò dei maschi, è vero, ma comeavrebbe potuto la donna dei suoi tempi essere accettata dalla società? Abbiamo visto chegli Anglicani non hanno difficoltà ad ammettere anche le donne al sacerdozio. E gli inglesisono stati più avanzati di noi nel riconoscere dignità alla donna. Non può essere che laChiesa cattolica abbia qualcosa da imparare da loro? L'ordine sacro imprime un caratterenell'anima, non nel corpo, e il sesso non c'entra per nulla. Pensiamo a quel sacerdote che èstato allontanato dalla parrocchia perché è diventato donna. Forse di fronte a unmoribondo non avrà più il potere, anzi il dovere di assolvere? Nel tempi andati siordinavano sacerdoti gli infanti. A quell'età il sesso può essere non ben definito. E alloral'ordinazione era legata a quello?

Più di trent'anni fa io scrissi una tesina in difesa della donna. Diversi gesuiti laappoggiarono e la diffusero. In sostanza sostenevo che la persona umana si realizzacompiutamente sia nell'uomo sia nella donna, ed essendo la persona dotata di libertà, ladonna deve averla nella stessa misura dell'uomo. Al giorno d'oggi non credo che si possapiù trovare qualcuno che si opponga ragionevolmente a questo sillogismo. Si potrebberinfacciare al gesuiti di essere stati proprio loro a dare più importanza all'uomo che alladonna nel loro ministeri, per colpa di sant'Ignazio. Ed effettivamente egli raccomandavaquesto. Ma il santo intendeva esercitare il massimo influsso sulla società del suo tempo, enon potendo rivolgersi direttamente a tutti, operava una scelta: prima di tutto occorrevache il messaggio cristiano fosse rivolto agli uomini che decidevano delle sorti della società,poi al maschi piuttosto che alle femmine, dato che queste sono per natura più disposte aseguire i dettami del Vangelo (lode non piccola), e quindi hanno meno bisogno di aiuto.Inoltre le donne contavano meno ed esercitavano un influsso ridotto. Oggi -ne sonoconvinto- sant'Ignazio ragionerebbe diversamente perché le donne contano sempre dipiù,e non sono più tanto docili da accettare, senza discuterlo, il dogma cristiano. Si diceche non ci sono mai state donne filosofe. Nella storia della filosofia mancano, ma prima ditutto bisogna tener conto del fatto che le donne non studiavano, e poi considerare che ladonna è dotata di intuito naturale più che l'uomo, e là dove l'uomo prende vistosecantonate per voler ragionare troppo, la donna raggiunge più direttamente la verità colsuo buon senso, che è in definitiva la crema della ragione.

Ma allora in che cosa la donna è "il sesso debole?" La Chiesa recitava: "O Dio, che tra glialtri miracoli della tua potenza, hai concesso al sesso debole (in sexu fragili) la vittoria delmartirio…”. Ma perché, forse i martiri maschi non avevano bisogno dell'aiuto di Dio, enon era un miracolo della sua onnipotenza -oltreché, beninteso, virtù personale- il martiriodi adulti, vecchi e bambini?

Quindi si tratta dell'eterno luogo comune sfornato da sempre dai maschi e dalla Chiesamaschilista. Controprova: sono i maschi a definire la donna il "bel sesso" . Per le donne normali,il bel sesso sarà quello opposto, fatte le debite eccezioni, che valgono anche per la donne.

Trattando della congiura Pisoniana, Tacito si meraviglia che uomini di tutto rispettofossero pronti, per salvarsi, a denunciare perfino la madre, mentre una nullità di donna,Epicari, tenesse la bocca chiusa sotto i tormenti. Io non mi meraviglio affatto.

Ho esercitato la mia attenzione sulla classica paura del topo e del bacherozzo che siimputa alle donne, ed ho accertato che propriamente non si tratta di paura, ma di istintivoribrezzo. Non dimentichiamo che la donna ha una sua speciale sensibilità.

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107107In definitiva penso che sia il maschio, sia lo Stato, sia la Chiesa, dovrebbero rispettare

di più la libertà della donna. Fatte salve le debite differenze, per le quali però non si puòassolutamente dire che c'è un sesso superiore all'altro, ma semplicemente che essi sonocomplementari, ogni donna dovrebbe essere lasciata libera di fare quel che si sente di fare,anche se questo talvolta possa apparire strano e inusitato. Ma al tempo stesso -e proprioper lo stesso motivo di rispetto della libertà- bisognerebbe favorire tante donne chestarebbero volentieri in casa a curare l'educazione dei figli, i quali hanno naturalmente piùbisogno della presenza operosa della madre che di quella del padre, ed invece sonocostrette a lavorare tutto il giorno fuori di casa. Per loro si dovrebbe pensare a un part-timeo - perché no? - ad un assegno dello Stato.

L'educazione dei cittadini non è affare o interesse privato dei genitori, è necessità della interasocietà. Quanti drogati e criminali in meno vi sarebbero, se le madri si occupassero di più dei propri

 figli! Né devono sentirsi menomate nella personalità occupandosi della loro educazione(nel quale compito esse sono insostituibili). Educare al bene è la più alta attività umana.

Ma anche agli alti vertici dello stato le donne sono preziose. La legge è troppo maschiae rude. Non dimentichiamo che "summum ius summa iniuria". La donna con la suasquisita sensibilità potrebbe governare più umanamente. Quanto alla Chiesa, perché noncomincia a contare più seriamente sulla donna? Perché la proposta di creare delleambasciatrici del Vaticano è stata lasciata cadere? Forse perché la corte papale è ancora lacorte di un re assoluto. Ma se esse fossero solo ambasciatrici dell'amore?

Resta pur certo che di molte donne giovani da me interpellate non poche hannodichiarato di voler lasciare le redini della famiglia al marito, quando questi si dimostriall'altezza del suo "compito", che ritengono naturale. E non si tratta solo di donne comuni,ma anche di persone colte. Esse pensano che il marito sia il naturale capo della famiglia,quando sia saggio, coraggioso, buono, etc. "L'uomo non piange come noi, non perde la testacome noi, non prova come noi simpatie ed antipatie che ci impediscono di veder chiaro. Sa

 proteggere noi e i figli. E' più forte, anche nello spirito". A mio avviso questo potrà pur esserevero in molti casi, fermo restando che l'educazione della donna è tuttora troppo poco spartana,ma si tratta pur sempre di sfumature che non giustificano più un primato giuridico, che si può

 prestare solo a prepotenze. La nonna della ragazza di oggi si confessa ancora di non aversempre ubbidito al marito. Se la legge civile non avesse tolto l'autorità al "capofamiglia"riducendolo a capofila anagrafico, avrebbe la Chiesa depennato questo peccato? La democrazia haaiutato il Concilio ad approfondire che la famiglia è società d'amore, e nell'amore vannorisolte e composte tutte le divergenze. Non entri dunque la legge là dove la natura stessapuò suggerire senza traumi a chi spetta un certo primato tra due pari. Non mancherannocasi in cui questo sarà naturalmente nelle mani di una moglie migliore del marito.

Tutto sommato, abbiamo impiegato duemila anni per capire un pochino Gesù nel suo rispetto  per la donna. Perfino a Sant'Ignazio di Loyola scappò detto uno sproposito là dove paragonò ildemonio a donna, la quale, se la lasci fare, è la più ossessiva e prepotente delle creature, ma se usi la

  forza diventa umile e sottomessa. E Padre Tacchi Venturi raccomandava a una vedova ilregolamento del 1606: "…umiltà. che cosa può inorgoglire una vedova? Ella non ha più lasua integrità...,- ella non ha più il marito che era il suo onore e del quale porta il nome...Nel giardino della Chiesa, le vedove sono... le mammole, umili fiori ...".

Sono convinto che sia stato merito delle pie donne raccogliere e custodire il lenzuolotrovato ripiegato nella tomba di Gesù dopo la sua resurrezione; anzi a chi se non a Mariacorredentrice è spettato il compito di aver cura della Sacra Sindone, incontaminataimmagine e testimonianza della nascita della Chiesa?

Pur non essendo affatto uno specialista, ho letto e studiato molto sulla Sindone, e ne hotratto la convinzione che è ben difficile dubitare della autenticità di questo lenzuolo, che la

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108tradizione afferma aver avvolto il corpo di Cristo. Fino al 1983 esso era di proprietà di CasaSavoia. Lasciato in testamento da re Umberto alla Santa Sede, questa ha volutoletteralmente strafare per garantire, più che l'autenticità del documento, la sua propriaimmagine di amante della scienza e della imparzialità. Ma si è affidata ad esaminatori nonsicuramente imparziali, tanto che hanno permesso fughe di notizie, e non ha cercato alcuna

  garanzia di serietà scientifica. In conclusione, reggono assai più, per qualità e numero leragioni che militano per l'autenticità, che l'unica prova col carbonio 14, la quale nel casonon può dare risultati attendibili, per una varietà di motivi. Ricordiamo che lo stessoscopritore del metodo del carbonio, Libby, non accettò di indagare sulla data della Sindone. 

L'impronta sul lenzuolo è un perfetto negativo fotografico, che sarebbe stato eseguitoal tempo in cui non se ne aveva neppure la più pallida idea. Le macchie brunastre nonsono dovute a reazioni chimiche o a colorazioni di alcun genere, bensì sono lievissimebruciature, tanto che hanno ispirato la suggestiva ipotesi di un fenomeno naturale nelsoprannaturale: il passaggio immediato dal freddo della morte al calore della vita, losviluppo cioè dell'energia pura della vita immortale al momento della resurrezione diCristo, avrebbe bruciacchiato la peluria del lenzuolo. Il quale sarebbe così, ad un tempo,teste della morte e teste della resurrezione.

I fori dei chiodi non sono nel palmo delle mani, ma tra le ossa dei polsi. Se la Sindonefosse un falso medioevale, nessuno si sarebbe sognato di porre la ferita dei chiodi in quelpunto. Caso mai sarebbe più facile persino asserire ciò che dice Stefano Cagnola nel ILibro : sul Dio stesso che ci ha occultato l‟originale, consegnandocene una copia. Come adire : « fate di questa quello che volete. L‟altra la conservo io ».

Ogni raffigurazione del crocefisso ha trafitto il palmo delle mani. Ed è errata, perché ledeboli ossa della mano non possono sostenere il peso del corpo: si straccerebbero. LaSindone è realista. Le impronte della fiagellazione mostrano chiaramente i quaranta colpidel flagellum romano, regolamentare, che, essendo fornito di doppia striscia terminante inun manubrio di piombo, ha prodotto centosessanta contusioni distribuite su tutto il corpo.Come poteva l'ignaro falsarlo medioevale inventare il fiagellum, che è di scoperta archeologicarecente? Sappiamo quanto i medioevali fossero approssimativi nella rappresentazionedella realtà storica, anzi addirittura fantasiosi. Di fronte alla Sindone noi avvertiamo laperfetta corrispondenza alla narrazione evangelica e agli effetti fisici di una crocefissionequali li conosce la scienza moderna. Quella speciale rigidità delle membra, la non visibilitàdel pollice, ritirato automaticamente per la lesione del nervo, la diversa distensione delledue gambe gravanti su un solo chiodo, la esatta mistura di sangue e siero, eccetera, sonoelementi troppo scientifici per essere inventati nel medioevo. I tratti somatici del crocefissosono evidentemente semitici nel volto che è di una maestà sovrumana, pur essendoappena accennato e con gli occhi chiusi.

Nessuna pittura ha rappresentato cosi il volto di Cristo, e quelle che si sono ispiratealla Sindone sono ben lontane dalla sua stupenda bellezza. Il corpo, longilineo e forte altempo stesso, farebbe invidia a un dio greco. In conclusione chi ci ha donato laimpressione sindonica è un superuomo, introvabile, se non è lo stesso Gesù.

Che fretta c'era di proporre l'esame al carbonio 14, mentre c'erano tante altre prove piùscientifiche ed interessanti, che probabilmente nessuno farà più? E chi risolverà tutti glialtri problemi rimasti insoluti circa questo straordinario reperto? Ci sarebbe davvero daarrabbiarci, se venissimo un giorno a sapere che per l'esame al carbonio 14 è stata presauna zona del tessuto non genuina, dati i rappezzi, i rammendi e le sostituzioni operati nelsecoli sul lenzuolo, oggi non facilmente distinguibili, dopo tanta umidità e fumo dicandele. Siamo infatti davanti a un capo di biancheria che da secoli -per me da due millenni- non

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109109conosce il sapone, né tampoco il candeggio. Merito di donne, in particolare di Maria. La quale,nella frase del Figlio alle Nozze di Cana, fu veramente da Lui tenuta a bada: "Che c'è tra mee te, o donna?”, ma solo per riservarla unita a sé in un compito sublime,  per l'ora che non eraancora venuta. Tale ora non era quella che pensano gli ecclesiastici, cioè l‟ora di far miracoli, maquella che, in tutto il contesto del Vangelo di Giovanni, è il momento della Redenzione del genereumano, l'ora della passione e della morte del Cristo, che si immolerà unendo nel dolore la nuova

Eva. Ma il Figlio cede davanti alla disarmante e dolcissima fermezza della Madre. E laMadre ci ha conservato delicatamente l'immagine dello strazio del Figlio, l'impronta delsuo stesso dolore. Uomo e Donna hanno salvato ciò che donna e uomo avevano perduto.

Ci rivela Renza Giacobbi, autrice del libro Genesi Biblica (ricavato dagli appunti

rivelati a Don Guido Bortoluzzi da Dio), che quel tassello mancante nella creazione, chesottometterebbe Eva ad Adamo, è quello attraverso il quale tutta la realtà diventa spiegabile. Questo nuovo elemento, finora mancante, è nell‟aver portato a conoscenza la vera storiadell‟uomo, dalla sua origine al pregiudizio che ne seguì per il cattivo uso della sua libertà che

determinò l‟involuzione della specie umana fino a farla scomparire come specie pura per lasciarlasopravvivere mimetizzata fra le specie inferiori. Solo dopo che l‟umanità ebbe toccato il fondo,iniziò il suo recupero e quella che gli evoluzionisti chiamano evoluzione, in realtà non è che la suarievoluzione, che molto meglio andrebbe definita come “la sua ricostruzione”, sorretta dallostesso Creatore. Così gli evoluzionisti, che hanno presente solo quest‟ultima fase,  possonodire di aver giustamente compreso lo sviluppo psichico e fisico dell‟essere umano e vengonoincoraggiati sul loro studio antropologico, mentre i creazionisti possono finalmente vedercoronata la loro intenzione di dare a Dio ciò che è di Dio: la creazione dell‟uomo e di ogni altraspecie. Questa rivelazione è finalizzata a chiarire con argomenti scientifici, ma accessibili atutti, i punti oscuri della Genesi. In sintesi Dio dice che ogni creazione di una nuova specie èsempre partita da un seme e che mai una pianta o un animale è stato creato allo stato già sviluppatoe adulto come per magia, sebbene questo Gli sarebbe stato possibile essendo Egli Potenza

 Assoluta. Questo principio di iniziare ogni creazione dal seme vale sia per l‟universo che per la vita. Non spiega come Dio creò la vita ai suoi albori ma, mostrando come operò per creare il

primo Uomo e la prima Donna, suggerisce di estendere questo principio anche alla creazione ditutte le altre specie. Quindi, anche il primo Uomo e la prima Donna non furono creati già adulti,come vorrebbero i creazionisti fondamentalisti, né in via di evoluzione come vorrebbero glievoluzionisti, ma vennero creati nella loro prima cellula e già nella loro perfezione assoluta.

E dove mai avrebbe potuto svilupparsi la vita in embrione se non nell‟utero di una femmina diuna specie già esistente? A questo scopo il Signore si servì, come „mezzo‟ per la creazione dell‟Uomoe della Donna, di una femmina di una specie ora estinta, quella degli ancestri (così denominatadal Signore). Perciò questo processo è stato chiamato „creazione mediata‟ perché, comedice l‟espressione stessa, Dio ha usato come „mezzo‟, o supporto, ciò che era già stato  creato: regola questa usata, prima ancora, per la creazione di qualsiasi altra nuova specie.

La sola, ma importantissima, differenza rispetto alla creazione di tutte le altre specie fuche nella creazione dell‟Uomo e della Donna Dio aggiunse, fin dall‟attimo del loro concepimento,un elemento nuovo: il Suo Spirito, così che essi divennero spiritualmente Suoi Figli. Quindi l‟Uomoderiva, ma „non discende‟ dalla specie immediatamente inferiore perché in tutto e per tutto è „nuova‟ creazione non essendo passato alcun gene dalla specie inferiore a quella superiore. Passò solo ilnutrimento. Prese in prestito solo l‟utero. Fu l‟enorme quantità di specie in progressione di

sempre maggior complessità e perfezione ad indurre in errore gli evoluzionisti chededussero che il processo evolutivo fosse spontaneo.

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110Castità e celibato

Poco dopo che avevo deciso di farmi gesuita, mi trovai a passare, una mattina, per iprati del Pincio. Qualcosa luceva tra l'erba. Raccolsi una catenina d'oro. Sul retro dellamedaglia un nome femminile e un cognome, con data di nascita: poco più che unabambina. Fin dall'ultimo rigurgito di nazismo, io avevo frequentato un corso per aiuto-istruttori degli scouts: dovevo quindi fare la mia buona azione quotidiana. A casa, presil'elenco del telefono e scelsi il cognome più prossimo al Pincio. Fui fortunato. Non vi dicola gioia dei genitori e della fanciulla. Dissi che avrei portato la catenina nel pomeriggio.Però cominciai a temere di me stesso. Già la voce dolcissima e la finezza di modi dellaragazza mi avevano conquistato: che avrei fatto se mi fossi trovato proprio davanti al miotipo? Ero proprio un debole di cuore: come sarei potuto diventare gesuita? Gesuiticamente

allora dissi a mio fratello Gaspare:"Senti, ho una catenina d'oro da riconsegnare. Ho paura che vogliano dimostrarmi

gratitudine in una forma, che come scout, non posso accettare. Vacci tu, per favore"."Certo che ci vado, bel cretino".Avevano addirittura organizzato un ricevimento e preparato un regalo. Gaspare fu

senz'altro più "gesuita” di me. Ma io avevo compiuto una ritirata per poterlo essere sul

serio e allenarmi alle future battaglie. E più grave di una battaglia mi pesò quella tatticaalla Fabio Massimo, visto che non potevo agire come Ulisse con le Sirene.

Chi si fa religioso deve, con l'aiuto di Dio, mantenere il voto di castità. Le occasioni incontrario non mancano. La prima che si presentò a me fu da una parte facilmente

superabile, da un'altra non tanto.Ero in vacanza coi miei colleghi studenti, e ci eravamo appena attendati sotto la

Camosciara, nel Parco Nazionale d'Abruzzo. Il capo-campo Pio Parisi mi mandò almattino presto, quale scout, a fare provviste al paese più vicino, Civitella Alfedena. Mivestii da montanaro ripulito, presi i soldi e il sacco e mi avviai. Non si vedevan camoscisaltare sullo stupendo anfiteatro dei monti che tanti conoscono; in terra, in compenso,tante simpatiche vipere irrigidite, che io scansavo col bastone ferrato dallo stretto sentiero.Arrivai al paese. Non si vedevano uomini, solo donne. Davanti all'unico spaccio dialimentari ce n'era una che stava pettinando una ragazza. Entrai. La donna lasciò il pettinee mi seguì chiedendomi che cosa desiderassi. Tirai fuori una carta: prosciutto, salame,

formaggi, eccetera. E lei ad affettare.“Il parmigiano non so se ce l'ho". Dopo lunghe ricerche: "Ah, sì eccolo". Doveva essere stravecchio, dimenticato così, dato che in paese come la donna diceva, si

mangiava pecorino. Riempii il sacco. La negoziante ebbe un sorriso di compiacenzaquando tirai fuori di tasca il mazzo dei soldi. "E dica, signore", mi domandò soavementenel suo forte dialetto, "non avrebbe mica intenzione di prender moglie? Qui ci sono dellebelle ragazze, come la mia qui fuori". "Veramente" risposi io sorpreso, "ero venuto per gliaffettati e i formaggi"- Intanto sulla piazzetta si era formato un bel gruppo di donnegiovani e anziane, le madri e le figlie. "Giovanotto, non te ne andare, qui siamo tutte senzauomini". "Come mal?” "Sono emigrati in Venezuela. Scegli, scegli una bella moglie!".

Effettivamente, previa un po' di toilette, diverse si potevano pure accettare. Ed allora lo misalvai così: "Siete una più bella dell'altra. Peccato che io sia già impegnato". Ma dovetti

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111111faticare notevolmente per farmi largo. Al campo riferii. Il Superiore mi guardò tra il serio eil faceto: "Potevi almeno portare qui quella già pettinata. Ti avrei detto se andava bene per te".

Altre occasioni furono più insidiose. E' facile sgominare le sfacciate, come lastudentessa che mi stendeva le tette sulla cattedra. Ci sono però donne che ci sanno faredavvero e sanno perfino cogliere il momento in cui potrebbero far breccia, anche talvoltasenza malizia. Ma lo penso che il pericolo maggiore viene da te stesso, quando incontri iltuo tipo, che magari neanche ti guarda. Tuttavia basta un attimo di riflessione interiore perun colpo d'ala che ti riporta a un amore assai più grande, anche di quella persona. Ed èpossibilissima una amicizia solida e pulita, anche costruttiva. La donna è complementodell'uomo soprattutto nello spirito.

Quello che mi ha aiutato moltissimo a fare il mio dovere è stato il desiderio di coerenzacon me stesso. Avevo scelto liberamente di entrare nell'Ordine dei Gesuiti, sapendo quelloche facevo, anche se nell'ottimismo dei miei vent'anni non avrei mai immaginato chel'Ordine (tagma tou Iesou) diventasse un disordine. Di conseguenza lo mi ero votato, conpiena coscienza, alla perpetua e perfetta castità, come alla povertà e all'ubbidienza. Non homai ammesso che un religioso possa dubitare del valore della castità, dal momento che sitratta della attuazione libera di un consiglio evangelico. Qualcuno potrebbe dire: ma se èuna libera scelta, a che serve aggiungerci il legame del voto? Risponderci: anche quella diprendere moglie è una libera scelta. Allora perché aggiungerci il vincolo del matrimonio?Il fatto è che nell'uno e nell'altro caso, l'uomo assume un impegno davanti a Dio, davantialla Chiesa e davanti alla società, che lo pone in un determinato " status", da cui nasconodiritti e doveri. Solo gli animali non hanno status, ma vivono alla giornata. L'uomo nonvive da uomo senza istituzioni e senza leggi. Diceva il Foscolo:

“ ... nozze, tribunali ed are diero alle umane belve essere pietosedi se stesse e d'altrui... "

Anzi il vincolo del matrimonio è assai più forte di quello religioso, perché questo puòessere sciolto dal Papa, e in molti casi anche dal semplice Superiore, mentre quellomatrimoniale può essere sciolto solo da Dio (vedi il caso del privilegio Paolino) o dallamorte. L'annullamento di matrimonio infatti non è altro che una dichiarazione di nullità,là dove il matrimonio non sussista.

Ma allora, si dirà, anche chi semplicemente non si sposa abbraccia uno status, tant'èvero che il suo stato civile all'anagrafe è quello di celibe o nubile, eppure non fa nessunvoto, né alcuna promessa.

Distinguere. Da una parte c'è chi è celibe e nubile perché tale è nato, ma non esclude dipotersi sposare, e allora questo è un puro stato di transizione, dall'altra c'è chi non si vuolesposare, e allora c'è uno stato definitivo (almeno nell'intenzione), da cui scaturiscono dirittie doveri diversi da quelli di chi è in attesa. Fermandoci ai doveri di castità, è chiaro peresempio che chi è in attesa ha il diritto di guardarsi attorno e di compiere determinatiapprocci, che non avrebbero alcun senso (parlo dal punto di vista cristiano) in chi non sivuole sposare. Questi peraltro avrebbe il vantaggio di più libero movimento rispetto a duefidanzati che già si ritengono, giustamente, legati dal mutuo amore. E di fronte alla societàè pur sempre una persona libera che ha il diritto di compiere ulteriori scelte di stato. Manon ci potrebbe essere una persona che, spinta dall'amore di Dio, decida in privato dimantenersi nello stato di castità evangelica?

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112Questo potrebbe farlo anche senza l'obbligo del voto. Certamente. Ma il voto

aggiungerebbe gran merito alla sua decisione, perché ha la caratteristica dell'olocausto,dell'offerta totale e irrevocabile. E' pur vero che tale voto potrebbe essere sciolto, permotivi ragionevoli, anche da un sacerdote autorizzato (vedi Padre Cristoforo nel PromessiSposi), però neanche tale voto lo pone nello stato religioso, perché gli manca ilriconoscimento ufficiale della Chiesa. Di fronte ad essa, come di fronte allo Stato, lapersona sarà semplicemente celibe o nubile.

Ritornando a me, lo non sono uscito per prendere moglie, perché nel mio caso, senzasufficienti motivi, sarei andato contro i miei doveri liberamente assunti e sanciti con votosolenne (che solo il Papa può sciogliere), ma solo perché mi sono trovato costretto dallamia propria coscienza per l'adulterazione della Compagnia che avevo scelto el'impossibilità di ubbidire. E per i motivi da me addotti, il Papa ha creduto bene disciogliermi da ogni vincolo. Naturalmente non è il Papa che ha ponderato e deciso la cosa,ma chi è stato incaricato da Lui. Dico francamente che lo, anche senza essere Papa,semplicemente se fossi stato al posto di chi doveva decidere, avrei cercato di mettermi incontatto col povero essere che mi muoveva quella petizione, per trovare insieme unasoluzione ragionevole e cristiana, che non lo portasse almeno, alla perdita dell'esercizio delsacerdozio. E' chiaro che non bastava trovare la soluzione: bisognava trovare il modo diattuarla. Ma era forse impossibile agli onnipotenti della Chiesa, che sono capaci di ben altrimiracoli? Ma proprio perché non ho mancato al mio voto di castità, lo ho le carte in regolaper difendere i miei fratelli sacerdoti, che contestano l'obbligo del celibato, di cui nonhanno fatto voto.

Un conto è la castità, un conto è il celibato. Questo è l'obbligo di non prendere moglieimposto dalla Chiesa latina. Mandai un giorno questa lettera ad un giornale, che non lapubblicò, per comprensibili motivi:

"Caro Direttore,dia un contributo alla storia pubblicando tutti i testi sull'origine del celibato ecclesiastico, di cui'sono a conoscenza. Per chi non si fidasse, consegno a Lei gli originali in latino e in greco, la cuivetustà parla da sé (come parlò da sé al Valla il latinaccio del chierico dell'800 che voleva gabbarcicon la falsa Donazione di Costantino). Così gli ecclesiastici di oggi smetteranno di dire cose false chenon piacciono a Cristo- Verità. 

Concilio di Elvira (anni 300-306)

Can. 27. Il Vescovo o qualsiasi altro chierico abbia con sé soltanto una sorella, ovvero una figlia

vergine dedicata a Dio; si ordina che non abbia assolutamente altra donna.

Cant. 33. Si ordina tassativamente ai Vescovi, preti e diaconi e a tutti i chierici collocati in serviziodi astenersi dalle loro mogli e di non generare figli: chiunque lo faccia sia spogliato della dignitàclericale.

Dalla lettera del Papa Siricio ad Imerio, Vescovo dì Tarragona (10 feb. 385)

(7,8) Veniamo ora ai sacratissimi ordini dei chierici, che nell'offesa della veneranda religioneabbiamo trovato così scherniti e confusi per le vostre province, da farci dire con le parole di Geremia:

“Chi darà acqua al mio capo, o al miei occhi la fonte delle lacrime? E piangerò questo popolo di giorno e di notte…” (Ger. 9, 1). Abbiamo saputo infatti che moltissimi sacerdoti di Cristo e leviti,dopo lungo tempo dalla loro consacrazione, hanno procreato figli sia dalle proprie mogli, sia anche

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113113da turpe amplesso, e che difendono il loro crimine con questa scusa, che nel Vecchio Testamento silegge attribuita ai sacerdoti e al loro ministri la facoltà di generare. Mi dica ora, chiunque sia, quelseguace dei piaceri sessuali: ... Perché (il Signore) avverte coloro ai quali venivano affidati i "sanctasanctorum"- "Siate santi, perché anch'io Dio vostro Signore sono santo” (Lv. 20,7 1 Petr. 1, 16)Perché si comandò anche al sacerdoti, nell'anno del loro turno, di abitare nel tempio, lontani dacasa? Per questa evidente ragione, perché non potessero esercitare commercio carnale nemmeno con

la moglie, onde splendendo per l'integrità di coscienza, potessero offrire a Dio un dono accettabile...E Gesù Signore, illuminandoci con la sua venuta, assicura nel Vangelo che è venuto per completarela Legge, non per scioglierla (Mt. 5,17). E perciò alla Chiesa, di cui è sposo, volle che la bellezzadella castità raggiasse di splendore, affinché possa ritrovarla nel giorno del giudizio, quandotornerà, "senza macchia, né ruga” (Ef 5,27), come ha stabilito per mezzo del suo Apostolo. Dellequali sanzioni teniamo stretti tutti i sacerdoti e leviti con vincolo indissolubile, affinchè dal giornodella nostra ordinazione asserviamo il nostro cuore e il nostro corpo alla sobrietà e alla pudicizia,

 per piacere in tutte le cose al Dio nostro in questi sacrifici che offriamo ogni giorno. "Coloro chesono nella carne” dice il vaso di elezione "non possono piacere a Dio” (Rom. 8,8). Quelli poi che siappoggiano alla scusa di un illecito privilegio, per asserire che ciò è loro concesso dall'antica legge,

sappiano di essere stati sbalzati da ogni dignità ecclesiastica, della quale si sono servitiindegnamente, per l'autorità della sede Apostolica, né mai possono toccare i misteri venerandi, deiquali si sono privati anelando a oscene cupidigie. E poiché gli esempi presenti ci avvertono di stareattenti per il futuro, qualsiasi' vescovo, prete o diacono, cosa che non avvenga, si scoprirà tale,sappia fin d'ora che si troverà sbarrato per mezzo nostro ogni acceso al perdono: “perché ènecessario tagliare col ferro le ferite che non rispondono alla cura delle bende".

Dalla lettera del Papa Adriano ai Vescovi di Spagna (anno 785)

... ed è invalso anche un altro immane e pernicioso errore, che anche vivente il marito, gli stessi'

cosiddetti sacerdoti prendano una donna in moglie… 

Concilio Lateranense i (anno 1123)

Can. 3. Ai preti, diaconi e suddiaconi proibiamo di convivere con concubine e mogli e di coabitarecon altre donne all'infuori di quelle che il Sinodo Niceno ha permesso per le sole necessità, cioè lamadre, la sorella, la zia paterna o la materna, o altre simili, di cui non possa nascere giusto sospetto.

Osservazioni

Non è affatto vero che il celibato sia stato praticato universalmente dagli ecclesiastici fin dai primordi della Chiesa. Dopo 300 anni e dopo un lungo periodo eroico di atroci persecuzioni, perfinoi Vescovi (coloro che sono in stato di perfezione) hanno moglie e figli. Improvvisamente l'autoritàecclesiastica impone di non procreare più e di star lontani dalle mogli, senza il consenso di queste,contro la legge di natura, contro la santità del matrimonio in atto e la dignità del sacramento.

E' un ordine rozzo, insulso, gravemente peccaminoso sia per chi lo emette, sia per chi lo esegue.La morale della Chiesa è ancora in fasce. Nessuna meraviglia: ancora nel '700 si considerava lecito,sull'affermazione ancora valida del moralista S. Alfonso de' Liguori, farsi castrare per cantar convoce bianca le lodi di Dio. Tutte queste cose la Chiesa di oggi dice giustamente che sono peccato.Curioso: il senza macchia né ruga" richiede purezza platonica, e non richiede il rispetto delsacramento del matrimonio. Le citazioni papali della S. Scrittura che dovrebbero provare lanecessità del celibato provano troppo, provano cioè la necessità universale di non vivere nella carne,non quella del celibato dei preti, perciò nel caso non provano nulla. Infatti la purezza della coscienza

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114che Dio desidera non è compromessa dal matrimonio (che lo stesso S. Paolo paragona all'amore traCristo e la Chiesa).

Il vivo ribrezzo di Papa Siricio per le "impudicizie" coniugali, accostate in modo puro e sempliceal turpe colto con la prostituta, non risente forse dell'imperante platonismo del tempo, l'unica

  filosofia nota allora compatibile con la vertiginosa spiritualità cristiana? Il richiamo al VecchioTestamento è controproducente. Gli antichi sacerdoti avevano mogli e figli, e il turno di servizio nel

Tempio era assai breve, non durava davvero un anno. Non si stanno per caso ponendo le premesse per l'eresia càtara?

I matrimoni dei preti erano validissimi: solo il Concilio Tridentino proclamerà la loro invalidità(1545-63). Il fatto stesso che si usino termini diversi per indicare la moglie e la non moglie significache la moglie era legittima. Con che diritto si . calpestavano i diritti del matrimonio? Il matrimonio

 prevale sul sacerdozio: lo afferma indirettamente Pio IX nel Sillabo del 1864 bollando come errore la proposizione: "Bonifacio VIII asserì per primo che il voto di castità emesso nell'ordinazione rendenulle le nozze".

Non sembra affatto che gli ordini della Chiesa fossero accettati senza resistenza. Si capisce così   perché i preti arrivassero a pratiche anche oggi biasimevoli. Ma la Chiesa, almeno fino al 1123,

continuava a mettere sullo stesso piano mogli e concubine.. Quello che colpisce particolarmente è la paura che l'preti mettano al mondo dei figli. Perché questa paura? E' certo che in seguito si porteràin apologia del celibato l'argomento "ne bona Ecclesiae dissipentur" (perché non vadano in fumo ibeni della Chiesa).

Di fronte a tali aberranti disposizioni, colpisce il sereno atteggiamento della Scrittura neiriguardi della natura, non solo nel meraviglioso Cantico dei Cantici, ma anche nel NuovoTestamento, là dove Paolo esalta le virtù del Vescovo che deve presiedere, prima della Chiesa, una

 famiglia modello. Sì, perché tale Vescovo ha moglie e figli, ed è lo stesso un santo. (A Tim, 113). Econ la stessa semplicità, Paolo, che pure per sé ha scelto il celibato, dice “E' meglio sposarsi cheardere" (Cor. 1, 7,9).

E non mi venga qualche prete a dire che si tratta dell'ardere dell'inferno. Da tutto il contestoemerge che si tratta dell'impulso erotico. La castità è rara. Ora io mi ergo a testimone della più grave alterazione della Scrittura operata dai preti, io che non posso essere tacciato di tirar l'acqua almio mulino, perché sono stato fino a 47 anni gesuita, e vi sarei rimasto se non mi avessero obbligatoad agire contro coscienza. Il testo (Cor. 1, 9,5), fin dal latino, è presentato così: dice Paolo "Nonavremmo anche noi il diritto di condurre con noi una donna, sorella, come gli altri' Apostoli e icugini' del Signore, e Pietro?" Per chi sa il greco è evidentissima la magagna, anche perché si trattadel greco dei primi cristiani. Il senso vero è questo: "Non avremmo anche noi il diritto di condurrecon noi una moglie credente, come gli altri Apostoli e i cugini del Signore, e Pietro?" Questaalterazione è intenzionale, anche perché è in perfetto accordo con l'intolleranza sopra dimostrata.Troppo spazio ancora ci vorrebbe per dimostrare scientificamente l'errore. Per ora basti aver dimostrato la rettitudine delle mie intenzioni.

Pietrus

Affrontiamo ora, col cervello, l'interpretazione di questo testo. Non ci si può appellarealla tradizione per determinarne il senso, perché qui non si tratta della tradizionedogmatica, come fonte della fede, ma semplicemente della tradizione storica di unainterpretazione che doveva fare da supporto a una disposizione disciplinare poco gradita.

Quanto alla affermazione che i preti fossero celibi fin dal primordi della Chiesa, essa èleggenda che può essere sostenuta solo da Don Guido Ranalli, - ottancinquenne, mioamico - e dalle altre lance spezzate della Chiesa. Ne abbiamo avuto la prova dalleimposizioni della Chiesa stessa.

La parola "ghinè" non corrisponde alla latina "mulier" (la quale, anche se ha fornitol'etimo all'italiano "moglie", significa semplicemente "donna"). "Ghinè" viene da

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115115"ghignomai" = "generare", e perciò ha una connotazione speciale. Non c'è altro termine ingreco per indicare la moglie in senso pieno. Infatti il "nímphe" è la ragazza da marito,"gameté" la sposa novella. Ci sono altri termini con diverse sfumature di senso, usati conparsimonia unicamente in poesia -il greco è lingua molto ricca- ma se si vuole dire senzaequivoci "moglie" si deve dire "ghinè". E' vero che questa parola può significare anchesemplicemente "donna", ma questo deve emergere dal contesto, cioè quando non c'è alcuncollegamento a un uomo, altrimenti esso significa senza alcun dubbio "moglie". E nel testoin questione questo collegamento c'è: tale donna deve accompagnatrice dell'apostolo nelsuoi viaggi. Se San Paolo non avesse voluto indicare proprio la moglie, lui che conoscevacosì bene il greco, si sarebbe dovuto esprimere in tutt'altro modo, data la gravitàdell'affermazione.

La traduzione ufficiale della Chiesa è "Numquid non habemus potestatem mulieremsororem circumducendi sicut et ceteri Apostoli, et fratres Domini, et Cephas? Aut egosolus, et Barnabas, non habemus potestatem hoc operancli?", i1 quale testo in italiano vale"Forse non abbiamo il diritto di portare in viaggi con noi una donna sorella, come fanno glialtri Apostoli, e i fratelli (cugini) del Signore, e Cefa (Pietro)?. O lo solo e Barnaba nonabbiamo il diritto di fare ciò?".

Prima di tutto teniamo presente che certamente Paolo e Barnaba non avevano moglie.Perché, con tanta solennità, parlano dell'esclusione, solo per loro, di una accompagnatrice?Inoltre, sorella e donna sono due sostantivi che non debbono stare insieme. La sorella ècertamente una donna, quindi è pleonastico dire una donna sorella, o una sorella donna.L'unica soluzione sta nel considerare "sorella" come apposizione aggettivante, cioè "sorellanella fede", come in realtà "adelphé" significa negli Atti degli Apostoli, ma allora"ghinaika" (accusativo) sarebbe inutile, se significasse semplicemente donna: "adelphen"ha significato compiuto anche da solo. "Adelphol" sono chiamati comunemente coloro chein seguito si appelleranno i "cristiani”. Se dunque "adelphen" è unito a "gliinaika", ciò

significa indubitabilmente che non si tratta di semplice donna, ma di donna specificatacome moglie. Difatti non è pleonastico dire "una moglie credente", "una mogliecristiana","una moglie, sorella nella fede".

Ma ragioniamo anche per assurdo. Se tutti gli altri Apostoli fossero andati in giro apredicare -ciascuno per la sua strada- con una donna singola (che doveva esserenecessariamente giovane e in gamba, dato che non c'erano ancora né aerei, né treni, néautomobili, e il somaro era per i ricchi, mentre i percorsi erano disagiatissimi), che nonfosse la loro moglie, lo scandalo sarebbe stato grandissimo. A quel tempi, quale donna, chenon fosse la legittima moglie, poteva accompagnare senza infamia un uomo? Nondimentichiamo la meraviglia che destò Gesù parlando isolatamente con una donna (laSamaritana). E questo scandalo si sarebbe provocato solo per accudire al cibo e allabevanda dell'apostolo?

E come mai proprio Paolo e Barnaba potevano farne a meno? Dunquequell'interpretazione non regge assolutamente. La Chiesa latina l'ha imposta, per darevalore scritturale alla legge del celibato, velando la realtà non solo della sussistenza deimatrimoni degli apostoli, ma del mantenimento della comunione di vita con le loro mogli.E questo è abuso gravissimo del testo, come ognuno può constatare. Ma molto più grave èil fatto che si continua a negarne l'evidenza.

Il fine è sempre il medesimo: mantenere in piedi il celibato dei preti, con ogni mezzo,anche con l'inganno. Mia povera Chiesa, come ti hanno ridotta! E il tuo Pastore, Chiavi inmano, continua a mostrarti dal balcone in analogia dell'"Ecce Homo", tuo Sposo. E, dietro,

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116Marcinkus sogghigna: i soldi della Chiesa appartengono alla Chiesa e al suoi uomini, nonalle donne.

Ed ora passiamo ad elencare i motivi per i quali la Chiesa latina esige il celibato: sipossono trovare nella "Instructio pro tonsuram et ordines recepturis”.

"Istruzione per chi sta per ricevere la tonsura e gli Ordini Sacri", con tanto diimprimatur. Tali motivi sono:

1) L'eccellenza del sacrificio eucaristico, che esige la purezza del sacerdote, dovendosisacrificare una vittima immacolata. Rispondiamo: e dov'è l'impurità nel matrimonio?Nella legge cristiana l'impurità non deriva che dal peccato. Il Matrimonio è addirittura unSacramento, ed è il simbolo dell'unione tra Cristo e la sua Chiesa.2) La natura degli uffici sacerdotali postula un uomo non distratto dalla preoccupazionedella famiglia. Rispondiamo: certo, per uno che si dà tutto al bene degli altri, è opportunonon avere altre preoccupazioni. Ma chi è che si dà tutto al bene degli altri? E perché, tra gli"altri", non ci possono essere anche i propri famigliari? E allora i Papi nepotisti (e i pretinepotisti, per non dire di peggio) non trascuravano il bene degli altri? Anzi c'è da dire chechi ha famiglia sente in modo particolare le sofferenze degli altri, mentre troppo spesso ipreti ti rispondono con una bella benedizione, perché non sentono nulla. E i soldi dei pretinon vanno in eredità al nipoti?3) Nello stato di verginità, i preti possono meglio esortare le vergini, le vedove e i celibialla continenza. Rispondiamo: l'incontinenza è un peccato, non c'è bisogno di esserevergini per aborrirlo.4) 1 fedeli avrebbero gran diffidenza ed esitazione ad aprirsi con un uomo, la padrona deicui segreti fosse la moglie. Rispondiamo: no comment, tanto l'affermazione è insultanteverso la donna e verso chiunque abbia dei segreti professionali da mantenere, medico,avvocato, magistrato, ecc., uomo o donna che sia.5) Il celibato favorisce le opere di beneficenza, gli studi scientifici, le arti, le virtù.Rispondiamo: può essere, ma con beneficio d'inventarlo. Queste cose si verificanopiuttosto nel grandi ordini religiosi.6) Se il clero fosse tutto coniugato, si aprirebbe facilmente la via alla successione ereditarianegli uffici ecclesiastici, alla dilapidazione dei beni della Chiesa in favore della moglie,della prole, dei consanguinei, e alla trascuranza dei poveri di Cristo. Rispondiamo: quidovevate venire! Mi diceva il buon vecchio Padre Castellani, storico, che la sapeva lunga:"Pietro, quando ti si elencano tanti motivi per farti fare una cosa, uno solo è al massimo,quello sincero e vero: quello che ti si adduce per ultimo". E qui è precisamente l'avariziadella Chiesa che trionfa, perché i suoi uomini vogliono conservare in privativa i suoi beni.Quando la Chiesa non aveva nulla, essa raccoglieva tante ricchezze, spontaneamentedonate, solo per riversarle sul poveri. E i suoi sacerdoti non si occupavano del denaro. Cipensavano i diaconi ad assistere i poveri. Oggi invece ci vogliono Arcivescovi e Cardinali atessere relazioni col Banco Ambrosiano, con Calvi, con Sindona, con la Mafia Americana,come ci narra, senza tema di smentite, David Yallop.

In breve: gli uomini della Chiesa latina tentano di far passare il celibato dei preti comeuna virtù evangelica. Se lo fosse, metterebbero al primo posto la povertà, la virtù predicatacome cardine evangelico da Cristo medesimo. E invece il celibato fa da supporLo allaricchezza e al potere sacrale, "Ne bona Ecclesiae dissipentur”, perché non vadano in fumo ibeni della Chiesa. Non solo quindi non c'è alcun collegamento con la virtù della povertà,ma ce ne è uno - dichiarato - col suo opposto vizio, cioè l'avarizia.

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117117A questo proposito dobbiamo ricordare che il re Enrico VIII d'Inghilterra, dopo aver

consumato lo scisma da Roma, volle che i preti mantenessero il celibato. L'intento di trarnevantaggio economico era più che evidente: il re aveva incamerato i beni della Chiesa, e livoleva liberi da oneri.

Quando ero in noviziato ci veniva dato da pescare a sorte, periodicamente, un“santino”, su cui era scritto in quali virtù ci dovevamo esercitare. Naturalmente la sorte ci

veniva assegnata dalla Provvidenza che tutto sa e dispone. L'ultima volta che presi ilsantino, mi trovai in serio imbarazzo di coscienza, anzi fui tentato di dubitare della serietàdella Provvidenza. Mi capitò infatti "Santa Godoleva maritata", una santa sconosciuta alpiù, ed anche a me. Sotto c'era scritto: "imitate le virtù coniugali". Se le avessi imitate avreimancato ai miei voti. Come avrei potuto pensare che invece la Provvidenza mi davacinque lustri di tempo per prepararmi agli impegni ben duri della vita matrimoniale?Considerate una cosa sola: nella Compagnia di Gesù, con tutto il voto di ubbidienza e gliordini che ne derivavano, avevo in pratica la massima libertà di azione nel mio apostolato,e mi capitava di rado di dover dipendere dagli altri. In famiglia si dipende incontinuazione, anche se ti si dice che "ti sei sistemato". Veramente non ti appartieni moltonella pratica, se vuoi fare il tuo dovere. E questo è senz'altro un buon motivo perché 11sacerdote, per dedicarsi meglio al Regno di Dio, scelga il celibato. Però continuo a dire chequesto non può essere imposto, e che la Chiesa non lo ha prescritto in vista del Regno diDio, ma per gli interessi del regno terreno.

Una volta stavo percorrendo in bicicletta la salita di via Quattro Novembre, quando misento strombazzare dietro. Era mio fratello Sandro in automobile. Ci fermiamo e lui midomanda: "Ma perché non ti motorizzi?" "Perché la bici mi serve di sfogo alle mie forzeeccedenti". "Ah sì? Allora se tu conoscessi la bionda che dico io, vinceresti di sicuro il Girod'Italia!". Ci risi di cuore. In altri tempi qualcuno si sarebbe scandalizzato. Del resto fino apoco tempo fa -ne parlo liberamente perché ormai siamo tutti smaliziati- nel Messale di San Pio V  (quello che piace tanto al Vescovo Lefebvre) c'era una prescrizione per il sacerdote: "Sìpollutio nocturna subsecuta fuerit, ne celebret". In caso di polluzione notturna non dovevacelebrare. Così tutti i fedeli lo venivano a sapere, e magari pensavano che il prete fosse inpeccato. Cosa strana, "pollutio" vuol dire per l'appunto peccato. Un fatto naturale, dovutoprecisamente alla mancanza, virtuosa o obbligata, di rapporti sessuali, era considerato unacolpa, come era considerato bisognevole di purificazione per una donna l'aver partorito unfiglio. E sapete voi che ci sono sacerdoti -io ne ho conosciuti tanti- che vivono autenticidrammi perché l'emissione naturale di seme eccedente non avviene. E lo sapete che cosasuccede allora? Provate a pensarci. Se non ci arrivate ve lo dico in privato. Pensate allora chequegli uomini, peraltro sanissimi, devono prendere medicine (ricordate che "farmacon"vuol dire veleno) che rovinano i nervi o l'equilibrio ormonale. Avevo un collega che con certemedicine all'uopo consigliate dal Superiore e dal medico suo tirapiedi, si vide -come effettocollaterale- arrestata la caduta dei capelli (e fin qui gli poteva anche star bene), e inturgidito ilpetto. Niente di più facile che il prete di recente diventato donna, e di conseguenzamandato via, abbia per ubbidienza praticato tali cure mostruose. Per fortuna il mioconfratello buttò via le medicine e mandò a quel paese e medico e Superiore, ubbidendoalla suprema legge della coscienza. Sono teste di tutti questi fatti, perché questi sacerdoti siconfidavano con me. Perché la Chiesa arriva a tanto? Possibile che gli intendimenti spiritualidebbano essere tarpati da una legge di castità, alla quale pochissimi sono naturalmenteidonei o vocati? Cristo lo sapeva benissimo, e perciò non la impose al suoi sacerdoti, anzineanche al Papa. E non ha detto San Paolo "meglio sposarsi che ardere"? E "nubere” è losposarsi delle donne, che non hanno i problemi suddetti. Qui non si tratta neppure di

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118ardere, si tratta di rovinarsi la salute. Mi sembra che i progressi dell'endocrinologia(dovuti soprattutto al compianto e carissimo Nicola Pende) dovrebbero renderci edotti.Invece la Chiesa si ritiene costretta, in questi casi -che sa benissimo non essere infrequenti,prova ne sia che ci sono disposizioni scritte in materia-, o a mandare via ottimi seminaristi,o a concedere la dispensa agli ordinati sacerdoti. I quali di conseguenza devonoandarsene, pur restando -badate bene- sacerdoti, con tutti i loro poteri, che non possonoperò usare. Che spreco di sane energie! Questa è davvero polluzione in senso Pregnante!Ragiono male? Si perdono ottimi soggetti pur di non toccare la legge del celibato, abusiva,ingiusta, antistorica e truffaldina perfino nel riguardi della Sacra Scrittura. E' evidente checi sono sotto interessi notevoli. Ma ora che la Chiesa -come dicono i suoi Presuli- si avviaalla povertà, che preoccupazione rimane più di perdere i beni temporali?

Fui anche in Grecia, con le alunne delle Magistrali di via Livorno, a visitare le vestigiadella nostra civiltà. Vi imperavano i Colonnelli, ed anche sul pacifici monti dell'Arcadiatrovammo impressi i simboli del loro potere. Ma nella Chiesa orientale, pure cattolica, nonc'era l'impero del diritto canonico (valido solo per la Chiesa latina). I preti avevano moglie.E lo stesso Concilio Vaticano II ammette che ci sono sacerdoti santi anche nella ChiesaOrientale. Come la mettiamo col celibato imposto dalla latina? E' questa una spina nelfianco del Papato. E' vero che la Chiesa orientale esige che il Vescovo non abbia moglie, ma qui sirivela l'influsso della latina. Del resto, per avere un prete da far Vescovo, basta un vedovo, ese ne trovano facilmente, dato che ai preti orientali è fatto divieto di sposarsi una seconda volta .Tant'è vero che in Grecia vige l'espressione "una cosa tenuta da conto come la moglie di un

 prete". Questo  perché il matrimonio deve precedere l'ordinazione sacra, mai seguirla. Ricordo iseminaristi greci dell'Università Gregoriana che avevano la fidanzata e la sposavano ilgiorno prima del sacerdozio. Anche queste sono stranezze, che Cristo non ha combinato.

Per capire il perché di queste stranezze, basta prendere la prima lettera a Timoteo (3, 2).Ivi sono elencate le virtù del Vescovo e del Diacono. Ciascuno di essi “oportet unius uxorisvirum” (dei einai mias gunaikos andra). Ebbene, ancora oggi la Chiesa latina e grecastirano entrambi i testi a dire che Vescovi e Diaconi debbano essere sposati una sola volta,mentre è chiarissimo che ciascuno di loro deve essere “marito della sola moglie”, cioè, nondeve avere amanti. Il passo tratta delle necessarie virtù degli ecclesiasti ordinati. Sposarsiuna seconda volta non è azione riprovevole. Si può osservare che il latino “unius uxoris“,può valere “della sola moglie“ o anche “di una sola moglie“, ma il greco, da cui il latino ètradotto, lo toglie d‟imbarazzo, perchè con le persone di famiglia non usa l‟articolo. E cosìviene naturale escludere che si tratti di matrimoni successivi, ma solo di viziocontemporaneo. Se ci suono pleonastico dire “marito della sola moglie“, teniamo presenteil senso pregnante di “vir“ e “ghinè“ e perciò “uomo della sola donna“.

Una controprova che alla Chiesa non interessa il celibato in sé, ma semplicemente ilnon dover spendere soldi per mogli e figli, sta nel fatto che viene concesso il sacerdoziolatino anche a professionisti affermati, sposati e con figli grandi, che non creino problemidi mantenimento. Il matrimonio resta in piedi, a tutti gli effetti. Definitiva soluzione alproblema viene dall‟ultima decisione di Benedetto XVI circa i 150 preti anglicani chehanno bussato alla porta della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II li avrebbe accettati acondizione che avessero licenziato le loro mogli. Io scrissi al giornale La Repubblica che ilPapa non poteva in nome di una legge ecclesiastica infrangere la legge divina, e raccolsiconsensi.

Sua Santità Benedetto XVI accogliendo anche le mogli di quei preti (che in fondoagivano solo per protesta contro il “vescovato alle donne”), dimostra che il “celibato non èassolutamente necessario al sacerdozio. 

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120meglio conosciuta e studiata a Roma presso l'Università Gregoriana. Fu quella la miagrande illusione. Ma non potevo assolutamente pensare che quell'accettazione avrebbesignificato la mia rovina come gesuita.

Fin dall'inizio notai che dell'antico "Collegio San Francesco Saverio per le Missioniestere della Compagnia di Gesù", tenuto dalla Provincia Romana, al quale accedevano imigliori delle altre Province, non c'erano rimaste che le mura. Lì avevo studiato per treanni filosofia, e, dopo l'intervallo del Magistero, durante i quali avevo studiato Lettere, erotornato per i quattro anni di Teologia. Allora i nostri Superiori erano severi, gli studi ancordi più. Provavo a rifarmi a ricreazione, con qualche battuta al limite del lecito... Mi chiamònel suo studio il Rettore, il burbero Padre Sillo Giorgi, detto "Cicerchia", dato che per ilcece che aveva sul naso sarebbe stato sconvenevole usare il nome di Cicerone, perché adaltra letteratura il suddetto non si dedicava che non fosse il listino dei mattoni ed altrilaterizi (essendo affetto da mal della pietra, ovverosia il pallino del costruire). "Ho saputo,Fratello, che lei spesso e volentieri dice delle parolacce". "E' vero, Padre Rettore, ma le dicotra virgolette, come citazioni di opere non mie, per sollevare il morale...". "Poche ciance, sitratta di maleducazione e basta". Qui confesso il mio peccato. Al sentirmi dare delmaleducato da un burino ciociaro, sbottai: "Mio padre mi ha sempre insegnato che lapersona educata non è quella che non dice mai una parolaccia, ma quella che la dice atempo e luogo". Ma potevo mai fregare un gesuita adulto, et quidem un Rettore? Mirispose: "Per sua norma e regola, qui non è mai né tempo, né luogo. Se ne vada". Un'altravolta mi umiliò davanti alla reverenda comunità. Dal pulpito del refettorio (da dovegeneralmente si leggeva un libro di cultura), dovevo fare la prova di predica, durante lacena. Ricordo che l'argomento era la confutazione degli anglicani. Quella sera avevo lafebbre, e la testa mi bruciava. Inoltre quell'uditorio intento a mangiare non mi ispiravaaffatto. A un certo punto dimenticai di quello che dovevo dire, e ricorsi al canovaccio cheavevo sott'occhio. "Se deve leggere, legga il libro. E' più interessante" mi gridò il Rettore.Un mio compagno non riusciva a conquistare l'uditorio di simulati peccatori , che gliridacchiavano in faccia. Concluse allora, urlando la frase del Vangelo "Andatevene nelfuoco eterno" e discese dal pulpito. Risata generale. Tornò allora su e, girato intorno losguardo, pronunciò la parola mancante: "Maledetti!". Lo scherzo gli costò caro.

Un giorno il Rettore Giorgi ci convocò tutti e ci fece una "adhortatio" con brusca estriglia. "Qui bisogna essere seri: dovete farvi santi, altro che divertirvi. "Altrimenti si diràche qui si gioca a palline". Le sue parole passarono alla storia col nome di "discorso dellepalline". Ma, dite, potevamo essere incolpati di turpiloquio? Noi non raggiungevamol'impudenza dei ragazzi del Massimo che chiamavano il Rettore Astorri (un gran buondiavolo) "Padre Sospensorio", quale Rettore del c.... né la loro burla del sacro cantando aLourdes "ave, ave, avemo fame". Non si voleva capire che se non si rideva un po', simoriva.

Avevamo la pratica del rendiconto di coscienza al Superiore, cosa in sé molto dura, mamolto producente quando il suddetto aveva fiducia in noi, e noi in lui. Una volta io mirifiutai di aprire la mia anima al Padre Provinciale Giulio Cesare Federici, il quale miaveva dimostrato sfiducia, e gli dissi che avrei adempiuto al rendiconto al suo Superiore:lo misi in crisi. Un mio compagno, pur essendo molto severo con se stesso - era il PadreRossi de Gasperis -, ci montò la scena di un Superiore ideale per il rendiconto di coscienza:"Accomodati, figliolo, lì in poltrona, e stendi pure le gambe sul tavolo. Gradisci unasigaretta o preferisci un Avana? E come va la salute? Bene? Me ne compiaccio. E la tuasantificazione? Oh, non avere troppa fretta: hai tutta la vita davanti! Se no, dopo che cosafarai?".

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121121Ma da che il Padre Generale Arrupe aveva fatto del Collegio della Provincia Romana

un istituto alle sue dirette dipendenze, a Piazza del Gesù 45 si entrava in un albergo, nonpiù in una casa religiosa. Forse per questo Francesco Rossi de Gasperis, divenuto Rettoredopo essere stato diversi anni missionario in Giappone, era venuto in urto col Generale,una volta suo Superiore Provinciale in Estremo Oriente. Rossi, romano tutto d'un pezzo,intelligente ed equilibrato, oltre che molto preparato, non poteva certo andare d'accordocon quell'arruffone di Arrupe, medico mancato, pensatore che si fondava più su Marx oTeilhard de Chardin, che su Tommaso d'Aquino, e pur pompato dai giornalisti che lofotografavano in atteggiamento da santone, generale talmente imbelle, però, che perfino labomba atomica di Hiroshima lo aveva avuto in non cale.

"La più larga sperimentazione" era lo slogan lanciato da Arrupe a subalterni e sudditi. Inostri ragazzotti, in gran parte spediti a Roma da luoghi lontanissimi e appartati, non se lofacevano ripetere due volte. Sperimentavano ogni cosa, fino alle tre di notte, e persperimentare meglio venivano a chiedermi argent de poche, "per vivere", cinquanta -centomila lire per volta, che nel 1970 erano cifre notevoli. Quale economo io avevo lacassa, ma quale vice Rettore chiesi istruzioni al Rettore. "Dia, dia" diceva questi. Ed loubbidivo, dato che in sé la cosa non era manifestamente peccato. Ma quando laCongregazione dei Religiosi mì avvisò che la polizia aveva sorpreso di notte studenti diordini religiosi tra omosessuali e spacciatori di droga, cominciai a ripensarci su. Tanto piùche avevo domandato al Monsignore che mi avvisava: "Perché non avvisate il Generale?",e quello aveva allargato le braccia e alzato desolato gli occhi al cielo. "I vostri Superiori nonci ubbidiscono più" sospirò.

Non mi passò neppure per l'anticamera del cervello la geniale intuizione del DottorMauro Filetti, mio avversario su "Il Giornale d'Italia", il quale lodava Arrupe per il suospirito missionario, avendo inviato perfino tra quegli squallidi personaggi i suoi figli, perfare del bene. Sì certo, dovunque si può fare del bene lo diceva il Manzoni. Ma nel casoneppure il Padre Generale aveva inviato, né autorizzato i nostri giovani a tal fine inquell'ambiente. I quali dunque stavano solo facendo larga sperimentazione. Al cherestrinsi i cordoni della borsa, il minimo che potessi fare. Apriti cielo! Agli occhi di tuttiero diventato un retrivo, un codino! Quando poi il Vicariato dette ordine a tutti i preti diRoma di vestire la talare o il clergyman (che non portava quasi più nessuno), provvidi adesigere che l'ordine si eseguisse anche presso di noi. Mi si rispondeva che i gesuiti sonoesenti" rispetto al Vicariato, dovendo ubbidire direttamente al Papa, ma io ribattevo chenelle nostre regole, come nelle regole di buona educazione, esiste una norma che persemplicità potrebbe esprimersi col vecchio proverbio: "Paese che vai, usanza che trovi".

Non vi dico poi gli sprechi che avvenivano a tavola. I signorini, molti dei qualivenivano dalle foreste o dai deserti, erano molto esigenti. Cibi di prima qualità, che nonpotevano essere ripresentati a mensa una seconda volta, venivano buttati via. Curioso cheproprio a quel tempi il Padre Adolfo Bachelet aveva coniato lo slogan che "noi religiosifacciamo professione di povertà, non di economia". Non so come una vita dispendiosapossa conciliarsi con la povertà. Una povertà costosa è pura esercitazione accademica.

Dei giornali si ammettevano solo quelli di sinistra. Quanto a me leggevo di tutto. C'èsempre da imparare, anche dagli avversari. Chi legge solo gli scritti amici è un insicuro.

Nel '72 si arrivò a forza di sinistrismo, al delitto Calabresi. Il Commissario LuigiCalabresi aveva trentaquattro anni quando fu assassinato. lo ne avevo dodici più di lui, edero suo grande amico ed estimatore. Eravamo stati entrambi formati alla vita cristiananella Congregazione Mariana "Mater boni consilii", che da tempo aveva spostato la suasede, dalla Chiesa di San Quirico e Giulitta, a quella di Santa Pudenziana (detta

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122erroneamente cosi, perché quella Santa non e mai esistita. L'edificio originario era laDomus Pudentiana (cioè la casa del senatore Pudente, cristiano). Gigi mi voleva bene eparlava volentieri con me, fin da ragazzo. Mi domandava spesso della mia vita. Sicomunicava spessissimo e serviva la Messa, anche la mia, con grande devozione e umiltà.Paielli gli aveva messo gli occhi addosso e sperava di farne un sacerdote come me.Effettivamente le premesse c'erano, anzi erano addirittura eccezionali. Era un giovanemolto riflessivo e di sentimenti delicatissimi. Figuratevi come rimase il povero Plinioquando seppe della decisione di Gigi di entrare nella Polizia. Non riusciva a capacitarsi.Ma Dio è grande! Di cristiani ce n'è bisogno dovunque, non c'è campo di cui non debbanooccuparsi, se non dell'ingiusto e dell'infame, come dice San Paolo. Calabresi ha combattutola buona battaglia e ha mostrato come un cristiano possa impegnarsi nella lotta contro ilcrimine. Eppure è stato infangato in ogni modo. Ma io mi domando come il mio caro Gigi,il gigante dallo sguardo dolce (aveva qualcosa di Rock Hudson), possa aver torturato escagliato dalla finestra l'anarchico Pinelli. Sono molto riconoscente a Padre VirginioRotondi, suo Padre spirituale, che prese le sue difese davanti ai giornalisti, così comeaveva preso con successo le difese di Alba Sbrighi, che rischiava di essere condannata peraver difeso a mano armata la sua onorabilità di donna, della quale la legge non si curava.

Mercoledì diciassette maggio 1972, apprendevo dal giornale radio che alle nove equindici il commissario capo della squadra politica di Milano, Luigi Calabresi, era statoassassinato con due colpi alla nuca. Paielli corse subito a Milano dalla vedova. lo rimasiaddoloratissimo, e per lungo tempo mi detti da fare per cercare di scoprire qualcosa circa imandanti dell'assassinio, mediante un ex poliziotto da me beneficato, Francesco Pantusa, ilquale mi aveva fatto sperare in una pista da lui suggerita, che aveva un certo fondamentodi credibilità, e che invece si rivelò un grosso imbroglio nel tentativo di spillarmi deiquattrini. Ma chi non avrebbe tentato di chiarire il mistero della morte di un amico? D'altraparte all'inizio ne furono incolpati i fascisti, e tra i Gesuiti di fascisti ce n'erano tanti. Poifurono sospettate le sinistre (come pensavo lo fin dall'inizio), e soprattutto le sinistre, tra iGesuiti più giovani, godevano di simpatie. Potevo io parlar chiaro coi miei confratelli? Fudalle mie indagini su Calabresi, che spesso mi portavano fuori di casa (ma come vice-superiore avevo pur diritto di muovermi), che i Gesuiti cominciarono ad avere sospetti sudi me. E ai Superiori faceva comodo alimentare certi sospetti, dato che io avevo osatorivedere le loro bucce.

Le successive continue cattiverie contro Calabresi e la sua memoria mi davano uncocente dolore. Vidi un film in cui era presentato come un uomo senza coscienza. L'unicacosa obiettiva era la maglia bianca a giro collo. Ma come si fa ad essere così settari negliatteggiamenti politici? Quanto a me non riesco ad identificarmi in nessun partito, perchétutti hanno qualcosa di buono e qualcosa di cattivo. Chi è che pensa veramente al benecomune, che dovrebbe essere il fine della politica seria? Oh, se il Papa non fosse più unsovrano, al quale i partiti hanno buon gioco nel dire di farsi gli affari suoi, come potrebbeammonire efficacemente cristiani ed anche non cristiani a fare gli affari di tutti e non solo ipropri! Sentirlo invece beffeggiato perché condanna i difetti degli altri, e non guarda allegrosse magagne del suo Stato, che addirittura strozza gli altri, e poi dice di non essereperseguibile perché Stato estero, che deve rendere conto solo a Lui, mentre Lui non deverendere conto a nessuno, è cosa veramente inaccettabile dal popolo cristiano. Pur tuttavialo confido nel tempo e nelle idee. E' significativo che ci sia voluto lo stesso tempo -più ditre lustri- per aprire uno spiraglio di luce sia sul delitto Calabresi, sia sulle responsabilitàdei Superiori Gesuiti nella collusione dei nostri studenti coi moti dei rossi dal '68 in poi.

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123123Sia pure lentamente, abbiamo fatto progressi nella nostra coscienza democratica. Speriamodi acquistare presto una coscienza ecclesiale.

Ed ora parliamo di fede. Se fosse entrato al Gesù il Santo Inquisitore, il quale nonammetteva il minimo dubbio, neanche su di una sola verità, non so chi si sarebbe salvato.Con certezza il gatto del cortile. Alcuni poi erano talmente caparbi contro veritàfondamentali della fede che non li avrebbe zittiti paura di rogo. Si fa per dire, perché inrealtà se lo avessi dato ordine al cuoco di non buttar giù la pasta finché non fosse cessataogni canea blasfema, credo che almeno il silenzio avrei potuto ottenerlo. E, a proposito,pur aborrendo la tortura, non si potrebbe usare il suddetto sistema per ottener l'effettoopposto, cioè la parola di qualcuno che si chiude nel mutismo, per esempio dopo averrapito un bambino? "Appena mi dici dov'è, si mangia". Se è giusto che non debbamangiare chi non lavora, è pur giusto che non mangi chi si comporta male. Vedreste alloraquanti pentiti nel giro di pochi secondi, senza alcuna violenza!

La volta del nostro refettorio era stata, con molta spesa, provvista di rivestimento cheassorbisse la cagnara degli studenti. Questi si distribuivano a quattro o cinque in tavoliseparati, come al ristorante. lo venivo invitato da questo o quel gruppo che volevadiscutere con me, e ne sentivo di tutti i colori. Uno non credeva alla Verginità dellaMadonna, un altro al demonio, un altro ancora al peccato originale, etc., finché mi toccòsentire un tale dell'America latina che negava la divinità di Gesù Cristo. E questo stava perdiventare sacerdote. "Ma, scusa -sbottai- non avrai per caso sbagliato indirizzo? Gente chepensa come te puoi trovarla qui dietro, a via delle Botteghe Oscure".

Quello che interessava in esclusiva a molti di loro era il campo sociale e politico,naturalmente dal lato sinistro. La lotta contro il padrone affamatore doveva essere senzaquartiere. L'arma più pacifica era lo sciopero ad oltranza, in attesa della rivoluzione cheavrebbe messo le cose a posto. E di queste idee erano partecipi anche giovani romani difamiglia borghese. Potevo capire i figli degli operai, che pure ignoravano che i loro padri,fino all'avvento dell'era industriale in Italia, erano stati contadini senza camicia, ed oraavevano l'automobile, ma quegli altri ... ! Erano pose, erano mode alla sinistrese. Mio caroGesù, tu che capisci tutto, mi dici che erano venuti a fare da noi quei sociologi socialisti,che ai loro compiti religiosi non pensavano affatto? Erano forse emissari di qualche partitopolitico? Certo è che i tuoi Papi, da questo momento in poi, hanno preso a preoccuparsidella Compagnia di Gesù, impegnata nel campo sociale, ma dimentica in gran parte deldivino. Oggi Martelli se la piglia col Padre Pintacuda che fa della politica di partito. Da unpezzo molti Gesuiti si sono dimenticati di essere innanzitutto dei religiosi.

L'8 dicembre del 1971 una strana Messa nella Cappella domestica del Collegio delGesù. Strumenti esotici, tamburi e tamburelli africani, chitarre e mandolini nostrani. Dopol'omelia del Padre Rettore sul tema dell'Immacolata Concezione, che si festeggia appuntoin quel giorno, uno studente del Nord Europa si alza e dice con voce ferma: "Sarebbe oradi finirla con queste favole”. Nessuno reagisce, nessuno si scompone. Quello studentedeve essere ordinato l'anno entrante, e il Rettore prosegue tranquillamente nellacelebrazione della Messa. Finita questa, vado in sacrestia e gli domando che intenda fare inproposito. Mi guarda meravigliato e mi risponde: "Ma io non ho sentito niente!".

Che cosa deve fare il comandante in seconda di una nave quando il capitano stagettando la medesima contro gli scogli? Afferrare subito il timone. Lo feci,infischiandomene di essere considerato un ammutinato. Il Rettore, il cui scopo era ditenersi buono il Padre Arrupe per conservarsi la poltrona a Roma, capi subito che iofacevo sul serio, e quindi mi dipinse in Curia Generalizia come un disubbidiente, chedoveva essere allontanato. Ottimo argomento contro di me era che io non stavo

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124sufficientemente in casa a fare il mio dovere. Che io non stessi molto in casa era vero, mache non facessi il mio dovere non credo, perché avevo cominciato a prendere contatto con ipersonaggi che avrebbero potuto aiutarmi nell'opera di salvezza del Collegio alla deriva.Innanzitutto coll'ottimo Cardinal Angelo Dell'Acqua. (Il 14 dicembre 1958 venne elettoarcivescovo titolare di Calcedonia e ricevette la consacrazione episcopale nella basilica diSan Pietro dalle mani papa Giovanni XXIII: nella stessa cerimonia venne ordinato vescovoAlbino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I. Il 27 marzo 1965, papa Paolo VI lo volle con sèper assistere all'apertura di una busta sigillata e alla lettura del manoscritto che conteneva.Su questa lettera, era scritto il Terzo segreto di Fatima. Nel concistoro del 26 giugno 1967papa Paolo VI lo creò cardinale prete del titolo dei Santi Ambrogio e Carlo. Vennenominato presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede -23 settembre1967- e il 13 gennaio 1968 venne nominato vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma.Dal 7 novembre 1970 fu arciprete della basilica di San Giovanni in Laterano.Morìimprovvisamente all'età di 68 anni per un attacco di cuore mentre si trovava nel santuariodi Lourdes).

Era giusto cominciare da lui per due motivi: prima di tutto perché era un uomointelligente e capace, poi perché erano proprio le sue disposizioni in materia dicomportamento esterno che venivano dai nostri violate, e perciò lo avrei trovatodisponibile a darmi una mano nella buona battaglia. Allora gli scrissi, raccomandandoglidì intervenire.

Il Cardinale mi rispose dopo qualche giorno, grato e preoccupato al contempo,assicurandomi appoggio.

Non mi fermai. Scrissi sulla Rivista interna "Notizie dei Gesuiti", di cui ero redattore,un articolo sui pericoli dell'apertura alle cosiddette idee moderne, che impedivano alnostri giovani di applicarsi allo studio serio della filosofia perenne e dei presupposti dellafede. Informai il Padre Generale e i Provinciali. Tutti si dimostravano seriamentepreoccupati, ma quanto a muoversi in concreto ben pochi fecero qualcosa. Possibile che ionon trovassi alleati su cui contare? Eppure il problema era assai più serio di quanti altrimai si fossero presentati sul tavolo di un Superiore. A me sono rimaste in mano le adesionie i consensi scritti, che conservo nel mio museo.

Erano due anni che mandavo regolarmente le mie informazioni d'ufficio alla CuriaGeneralizia, ma non accadeva nulla. Finalmente, il 10 aprile 1972, anniversario della mortedi mia madre, mi chiamò il nuovo Superiore delegato per le Case Internazionali, PadreAndrea Snoeck, di Lovanio. Respirai di speranza. Aveva in mano l'ultima lettera cheavevo inviato d'ufficio al Padre Generale. Il suo predecessore mi aveva solo raccomandatodi non far fumare gli studenti. Questi affrontava cose sostanziali. Ma fu come una docciascozzese. Mi gelò subito dopo. La mia lettera era piena di sottolineature in rosso come uncompito in classe. Alle mie rimostranze per il suo atteggiamento negativo, il Delegatorispose: "Non esiste nessuna crisi, né in casa, né nella Chiesa universale. Andiamo verso un

  periodo in cui non ci saranno più regole per gli Ordini Religiosi, ma solo la voce dello Spirito.L'autorità ecclesiastica non è più credibile in alcuni suoi ordini (tipo quello dell'abito ecclesiastico oclergyman, quello sul cinema, etc.), quindi non va ubbidita. A Dio non interessa affatto qualiconclusioni noi trarremo dalle nostre riunioni comunitarie: sono affari nostri e Lui non c entra. Quinon ci sono eresie. Lei non si trova bene in questa casa".

Stese poi, questo impareggiabile Superiore, che con le parole suddette andavanettamente contro gli ultimi documenti della Chiesa sulla vita religiosa, contro ladisciplina ecclesiastica, e contro ogni buon senso, oltre a sapere di eresia lontano unmiglio, un Memoriale elogiativo della casa che stava visitando.

Bisognava ormai che lo informassi il Santo Padre.

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125125 La rovina

Entrai in Vaticano non per il portone di bronzo, ma per il comune ingresso diSant'Anna. Eppure ero emozionato, nonostante ci fossi passato tante volte, anche per coseserie, perché quello era un ingresso decisivo. Mi avrebbero dato credito, oppure, comediceva Padre Castellani, avrei fatto un buco nell'acqua? Tanto valeva provarci. Se nonavessi ottenuto nulla neanche al massimo vertice, allora avrei dovuto concludere cheanche la Chiesa era da riformare. Intanto però "a bene sperar m'era cagione" l'udienzaconcessami da Monsignor Benelli, di fatto il numero due del Vaticano. Dice David Yallopche, se si presentasse oggi Cristo al cancello di Sant'Anna, non lo farebbero passare. iopassavo, perlomeno perché, da povero untorello, non avrei avuto potere di spiantare ilVaticano. Ma Gesù tale potere ce l'ha.

Presi l'ascensore che conduceva in Segreteria di Stato e fui guidato dalla guardiasvizzera fino all'anticamera di Monsignor Benelli. Questi era occupato con un Vescovo, emi fece contemplare per un bel pezzo le statue che sovrastano la Basilica di San Pietro. Laloro immobilità mi paralizzava. Comparve finalmente Benelli con un bel sorriso dipintosul volto e mi introdusse in un salotto oscuro e disadorno. Di notevole c'era solo un granCrocifisso su di una consolle. Guardando quello presi coraggio e vuotai il sacco. Benelli miascoltava sbalordito, senza interrompermi. Poi disse: "Lei, Padre, sta rendendo un grandeservizio alla Chiesa. Informerò immediatamente il Santo Padre. E, mi dica, chi metterebbe Lei al

 posto di Padre Arrupe?". Non mi sarei mai aspettato una simile domanda. Eppure MonsignorBenelli aveva capito immediatamente che il responsabile di tutto quel pandemonio era -

come pensavo io- il Padre Generale medesimo. Esitai un momento, poi risposi: "Che iosappia non c'è niente di meglio del Padre Dezza". Questi era uomo di grande intelligenza ecultura. Era stato mio professore di metafisica e Rettore dell'Università Gregoriana. ComeRettore era veramente magnifico. Sapeva tenere un lungo discorso, senza leggere, in latinoclassico, all'apertura dell'anno accademico, e quando concludeva il suo corso, parlando diDio conquistato con la ragione, il suo latino diventava poesia.

Aggiunsi a Benelli che l'unica difficoltà nel riguardi di Dezza poteva consistere nelfatto che era considerato da qualcuno troppo buono, perché aveva mostrato manica larganel confronti del Padre Alighiero Tondi. Questi era un gesuita entrato già adulto, il qualedopo un'attività indefessa, e in certi casi un po' strana (venne una volta a dirci che

confessava le ballerine dietro le quinte del teatro, dopo averle persuase che stavano inpeccato per la loro ...leggerezza), aveva lasciato l'Ordine e il sacerdozio per passare alcomunisti; aveva anche pubblicato un libello pieno di falsità contro di noi; infine, grazie aDio era tornato alla resipiscenza e all'ovile di Gesù. Ma io intendo spezzare una lancia infavore del Padre Dezza, in nome della verità e della giustizia. Al Gesuiti i Superiori degnidi questo nome usano concedere la massima fiducia, finché non se ne abusi apertamente(con me veramente successe tutto il contrario). Che Tondi rincasasse tardi lo sapevanotutti. Ma noi non eravamo come i Cappuccini del Manzoni che dovevano rientrare perl'Ave Maria. Quante volte è capitato anche a me di passare buona parte della notte inconfessionale o nelle riunioni coi laici dirigenti degli scouts cattolici (insieme con Mario

Maffucci della RAI e con Romano Forleo ginecologo)! Dezza gentiluomo non si permise dirimproverare Tondi per questo, dato che era adulto e vaccinato per le prove di questomondo. Andò male, ma di chi era la colpa? Perciò Benelli prese nota del nome di Padre Dezza e

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126della necessità che egli si dimostrasse medico impietoso per i mali già evidenti dellaCompagnia di Gesù. Scrivo qui subito che Dezza fu chiamato tanti anni dopo da GiovanniPaolo II a gestire la vacanza del generalato della Compagnia dopo l'allontanamento diArrupe. Non avevo quindi visto male. Dico però che la Chiesa ufficiale chiude spesso lastalla quando i buoi sono già scappati, perché vuol fare le cose senza destare meravigliaverso i suoi Antistiti. Nel caso si colse appunto l'occasione della malattia di Arrupe, ilquale stranamente senti il bisogno di giustificarsi, dicendo che lui aveva la coscienza aposto, perché aveva sempre cercato di ubbidire. Ma allora, era malato o non avevaubbidito? Non si cerca di ubbidire, si ubbidisce.

Ebbi poi istruzioni dallo stesso Monsignor Benelli. Dovevo recarmi da lui, liberamente,senza preavviso, ogni volta che lo avessi giudicato necessario. Sarebbe bastato il mio nomeper farmi entrare, e per non farmi fare anticamera. Cercai di non disturbare troppo, emantenni i miei rapporti con Benelli per lettera.

Passò qualche tempo. Poi il mio Superiore Provinciale, Padre Sabino Maffeo, al qualeavevo invano fatto presenti i rischi che correvano gli studenti della Provincia Romana nelCollegio Internazionale del Gesù, mi significò che dalla Segreteria di Stato erano giunterichieste di informazioni sul conto del Padre Pietro, il quale aveva mosso accuse contro isuoi Superiori.

Voi che faccia avreste fatto? Senz'altro quella che feci io. "Come sarebbe a dire?-esclamai. "Io vado in Segreteria di Stato del Vaticano -dopo avervi, senza risultato,raccomandato e supplicato di salvare il Collegio- e la Segreteria di Stato, invece dicoprirmi le spalle, vi informa del mio colloquio? Ma questo è un infame tradimento,indegno di così alto dicastero pontificio!". "E chi ti dice osò dire il Padre Maffeo, chi ti diceche sia stato il Segretario di Stato a chiedermi informazioni? Non ti viene l'idea che il Papastesso abbia voluto avere qualche notizia di te?". Quelle parole furono davvero per mecome il lampo che squarcia le tenebre. Effettivamente era impensabile che MonsignorBenelli medesimo si fosse messo al rischio di rivolgersi proprio al responsabili perconoscere la personalità di chi li accusava. Al massimo si sarebbe rivolto segretamente aqualche gesuita di sua fiducia. E poi, che bisogno c'era, dal momento che mi aveva giàconosciuto abbondantemente in altre occasioni, quando mi confermò Assistente Nazionaledegli scouts, quando mi mandò denaro per soccorrere una celebre cantante amica delPapa, quando mi mandò lettere per ringraziarmi della mia azione in appoggio al SantoPadre contro gli scalmanati della Provincia? Il Papa solo non mi conosceva, dal momentoche le lettere a Lui rivolte non finiscono certo nelle sue mani. D'altra parte Benelli mi avevaassicurato che lo avrebbe informato di persona.

"Il Papa?" feci lo. "Ma neanche il Papa può mettere nei pasticci chi lo informa!". "Non èvero," disse solennemente Maffeo "Il Papa non è' tenuto al segreto". "Lo dice Lei:" sussunsiio, "allora se io andassi a confessarmi dal Santo Padre, Egli potrebbe svelare i mieipeccati?". Maffeo non sapeva più che dire. Aveva parlato troppo.

Scrissi in Vaticano, dicendo quello che Maffeo aveva rivelato e suggerito. Non ebbinessuna risposta.

Aveva avuto ragione Padre Castellani - cosi addentro nella storia di tutti i tempi - neldirmi che non si possono presentare accuse a un potente contro un altro potente. Essifiniscono sempre con l'accordarsi passando sul corpo dell'inferiore che ha osato risentirsidel potere. Ne offre esempio classico Cicerone, il quale aveva fulminato Antonio con le sue"Filippiche". Antonio, per interesse politico, si era riaccostato ad Ottaviano, il quale avevascarso interesse a difendere Cicerone, anche se sarebbe stato suo dovere farlo. La mano

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127127libera alle private vendette era interesse comune dei due potenti, e il povero Cicerone fuproscritto e ucciso.

Paolo VI era uomo estremamente indeciso, lo sanno tutti. Era poco convinto delle suepossibilità. Una volta, licenziando un Vescovo sulla soglia del suo studio privato, disse:"Eccellenza, qui termina il mio potere". Francamente non riesco a capirlo. Ma come, lo nonero che un caporale, e mi davo tanto da fare per rintuzzare le prepotenze, mentre Lui cheera il Capo della Chiesa non si faceva rispettare! E se non ebbe il coraggio di chiamare aRoma l'Arcivescovo Cody che stava mettendo a sacco la diocesi di Chicago, figuratevi seavrebbe avuto quello di deporre il Papa Nero per salvare, non dico me, ma la Compagniadi Gesù. Benelli avrebbe fatto meglio a non fidarsi troppo. Del resto lui stesso fini peressere troppo scomodo al Papa, perché non gradiva Marcinkus. Ecco perché ... fupromosso Cardinale e Arcivescovo di Firenze.

Ufficialmente - sia stato Benelli, sia stato Villot o sia stato proprio il Sommo Ponteficead esigere informazioni sul mio conto - era stata la Segreteria di Stato a comunicare coiGesuiti facendo il mio nome, e fu la Segreteria di Stato a non rispondere al mio angosciosointerrogativo su chi fosse stato il responsabile. Del resto non potevo aspettarmi altro.

In regime assoluto il monarca non risponde a nessuno se non a Dio. Soli responsabilisono i suoi ministri, ma unicamente verso di Lui. Ecco la Chiesa ufficiale. Vi piace? E,badate bene, la Chiesa è cosi perché è una potenza politica e monarchica, non perché è laSposa di Gesù Cristo. La Chiesa madre dei credenti chiederebbe perfino scusa al suoi figli,essendo madre d'amore e non di potere. La Segreteria di Stato rispose inveceburocraticamente ad una seconda lettera in cui le significavo che in tale condizione io nonpotevo più trattenermi nella Compagnia di Gesù (a che fare, a litigare coi Superiori cheavevo inutilmente accusato?), e perciò intendevo avvalermi del mio diritto - qualeProfesso dell'Ordine - di passare al clero secolare e di rimanervi finché lo ritenessiopportuno, cioè finché non fosse passata la bufera. Benelli medesimo mi rispose che, perfare quello che desideravo, dovevo percorrere l'iter canonico che comportava il permessodei miei Superiori gesuiti. Assurdità sopra assurdità. Il Vaticano mi aveva rovinato pressoi Superiori, che ormai erano inveleniti contro di me, ed ora pretendeva che lo chiedessiuna grazia a loro. Chi aveva combinato il guaio avrebbe dovuto cavarmi dagli impicci, sì ono? Come prevedevo, i Superiori mi anticiparono addirittura che avrebbero negato ognipermesso, anzi, per bocca di Maffeo, mi dissero apertamente che se mi fossi rivolto a unqualche Vescovo per essere accolto, loro avrebbero dato pessime informazioni. Fu corta laloro veduta di dissuadermi dalla loro diffamazione presso qualche Vescovo, oltre cheingiusto il loro diniego. Non per nulla si dice "Ponti d'oro a nemico che fugge". Miavrebbero messo in pace con la mia vocazione. Invece cosi, sia pure dopo tanti anni, sitrovano davanti un castigamatti che svela le loro malefatte. Stavolta non parla un pentito,ma un entusiasta di quel che ha fatto, un Pietro Micca rimasto incolume, uno che nonmerita biasimo, anzi ha lucrato il diritto ad essere nutrito gratis, vita natural durante, nelPritanco. "Meglio vivere un giorno da leone che cent'anni da pecore" era scritto su di unmuro diroccato della prima guerra mondiale. Quel motto l'ho sempre fatto mio, a miomodo: non cedere mai davanti a prepotente asociale. Ad uno schiaffo personale ho spessoopposto l'altra guancia, ma ad uno schiaffo sociale occorre resistere.

A proposito dell'altra guancia, è stupido poi prendere il suggerimento alla lettera. E'uno dei paradossi usati da Gesù. Infatti quando a Lui fu dato davvero uno schiaffo da unservo del sommo sacerdote, Egli non porse l'altra guancia, ma disse: "Se ho parlato maledimostramelo; se ho parlato bene perché mi percuoti?". Si narra di un prete che volleprendere alla lettera il Vangelo. Preso uno schiaffo e porta l'altra guancia, incassò il

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128secondo schiaffo, e poi, rimboccatesi le maniche, rese botte a non finire, esclamando: "Finqui il Vangelo, ora gli Atti degli Apostoli". Cristo intendeva dire che non bisogna opporrea violenza ingiusta altra violenza ingiusta, non di non opporre argine alla violenza.Staremmo freschi: avremmo sempre le guance gonfie di schiaffi. Giusto è quindi l'effatogiuridico: "Vimi vi repellere licet".

Ero comunque in quel momento in condizione di debolezza. Non potevo restare inCompagnia, perché li avevo scelto un Ordine religioso che professava ubbidienza al Papa,non un disordine caotico che non tutelava più neanche la mia vita religiosa. Il mio voto loavrei osservato meglio da solo. Inoltre mi si era comandato di trasferirmi a Napoli, a farelo stesso lavoro presso una comunità di studenti rivoluzionarla ancora di più. Per mequesto equivaleva ad una complicità a delinquere che andava contro la mia coscienza.Non potevo continuare, non solo a dare soldi, ma a sostenere una baracca ormai tarlata,contro la stessa volontà del Papa, che non sapeva più farsi valere, ma era chiara nella suaindicazione. Se non aveva il coraggio Lui di tagliare il male alla radice, avevo almeno io lapossibilità di negare la mia partecipazione ad opere contrarie al suoi desideri. A me questasembrava l'unica vera ubbidienza possibile, perché un semplice boicottaggio era unamezza misura contraria alla mia natura che ama la schiettezza, oltre al fatto che nonavrebbe potuto dare i risultati sperati. Disubbidii allora al Generale e mi recai presso miopadre. Non posso assolutamente dire di non aver tentato tutto per salvare il miosacerdozio. Il 25 agosto 1972 avevo mandato una lettera al caro Cardinal Dell'Acquaperché mi accogliesse tra il clero secolare di Roma, in attesa che passasse la bufera, datoche come Professo avevo il diritto di ritornare in Compagnia a mio piacimento. Dell'Acquamorì due giorni dopo. Era un segno che la Provvidenza disponeva altrimenti? I gesuiti miminacciarono di scomunica quale fuggitivo. lo non tornai, ma accettai di essere ospitatopresso la casa di Grosseto onde riflettere meglio e dimostrare a loro che non compivo unpasso avventato. Il Superiore di quella casa, Porta, e il suo vicario, Pes, rimasero trasecolatia sentire il motivo del contrasto col Generale e coi Superiori maggiori. Ma il rimediopropostomi, di chiedere garanzie solo a mio vantaggio, e non ad incolumità dell'interoOrdine, mi apparve inaccettabile. Oltre tutto l'ubbidienza religiosa non ammettepatteggiamenti. Non c'era altro da fare. Molto più dei gesuiti mi capirono mio padre eduna Signora, madre di alcune mie girl-scouts, la quale è stata la prima ad incoraggiarmi ascrivere, e a leggere il mio manoscritto, con intelletto d'amore.

San Luigi Gonzaga, quando decise di farsi religioso, non sapeva ancora quale Ordinegli sarebbe convenuto scegliere. Prima di orientarsi verso la nuova e vitale Compagnia diGesù, era stato in forse sull'entrare in un Ordine scaduto dalla prisca disciplina, onderesuscitarne le forze con la sua carità. lo riconoscevo invece di non poter presumere tanto.Una volta piombata in crisi la mia Compagnia, la permanenza in essa di uno come me nonsarebbe servita a nulla. L'assetto autoritaristico dell'Ordine non mi avrebbe lasciato spazioad alcuna azione contraria. E' vero che un burlone aveva detto che "la Compagnia di Gesùè una monarchia assoluta, moderata però dalla disubbidienza dei sudditi", ma laresistenza non poteva mai essere sostanziale. Al massimo il Padre Generale potevatollerare che il vecchio Padre Salimel non venisse inquietato nel seguire l'abitudine (un po'dissonante dalla povertà religiosa) di farsi precedere da un valletto che recava la scatoladei guanti da lui acquistati nel miglior negozio. Non era mai accaduto di vedere il nobileSalimel portare in mano della merce; sarebbe stato poco prudente imporgli - alla sua età -come virtù una usanza plebea. Ma il resistere al Generale che contrabbandava come mercebuona il Capitale di Marx, tanto da spacciarlo al Concilio di Papa Giovanni, sarebbe statauna fatica improba e vana. E il Generale non dava segni di voler liberare di sé la

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129129Compagnia, come li dava invece il Padre Salimel. Giusto se ci fosse stata una pestilenza inRoma o in qualche altra parte, avrei potuto disertare gloriosamente, dichiarandomiobiettore di coscienza, e finire la vita assistendo gli ammalati, proprio come LuigiGonzaga.

Oramai invece non rimanevano più molte speranze per me. Feci l'ultimo tentativo conla Chiesa ufficiale, alla Congregazione per la Dottrina della Fede. In numerose cartelleesposi con cura la mia impossibilità di esercitare il sacerdozio con tranquillità di coscienza,a causa dei miei Superiori, che mi davano ordini in contrasto con l'espressa volontà delPapa, al quale avevo fatto voto di ubbidienza. Non trovandosi un rimedio o un appoggioda parte della Chiesa ufficiale, presentavo le mie dimissioni e la domanda di riduzioneallo stato laicale. Dato che il motivo precipuo della mia opposizione al superiori eraproprio l'impossibilità di concedere il mio assenso alla sacra ordinazione di coloro che noncredevano, quale Dicastero era più adatto di quello della Dottrina della Fede, l'ex SantoUffizio, carnefice di Giordano Bruno? Quel filosofo lo non l'avrei mai condannato, perchéaveva molta più fede dei suoi giudici, tuttavia se lui fu arso vivo per eresia, lo avreidovuto ricevere almeno una medaglia, per aver patito in difesa dell'ortodossia. Inveceniente, il che sta a dimostrare che nella Chiesa ufficiale quello che conta non è la fede, mala ragion di Stato. lo ero ormai un prete scomodo, perché sarebbe stata una brutta gatta dapelare chiamare in causa il Papa Nero. Naturalmente parlai anche della mia pochezza eindegnità di fronte alla grazia grande del Sacerdozio che avevo ricevuto. Penso cheabbiano fatto leva su questo, per ridurmi, dopo lunga attesa, allo stato laicale. locongetturavo invece che il Papa mi avrebbe chiamato per dirmi:

"Caro figlio, vedo quanto hai sofferto per la giusta causa: ecco ti faccio Cardinale". Edio avrei risposto: "Santità, La ringrazio, pensiamo piuttosto al modo di salvare al piùpresto la Compagnia di Gesù". Immaginate se ci fossi stato lo a ricevere, quale Monsignoreo Padre Domenicano, un incartamento del genere: prima di tutto mi sarei sentito fremerefin dentro i precordi, poi avrei chiamato l'interessato per capire la faccenda in tutti iparticolari, infine avrei chiesto udienza al Papa, perché fosse intervenuto. Potrebbeanch'essere che questo sia successo, ma il Papa Paolo VI, che preferì far gemere l'interaDiocesi di Chicago, far gettare sul lastrico i suoi vecchi preti, far chiudere le scuolecattoliche, sfruttare i fedeli, piuttosto che deporre l'Arcivescovo Cody, che aveva ricopertod'oro la sua amante e riempito le casse del Vaticano (lo dice Yallop, e non è stato smentito),avrebbe mai potuto dare ragione a me contro uno più potente assai di Cody? Che figuraavrebbe fatto la Chiesa, la quale ha ufficialmente dichiarato che i suoi Gerarchi sonoperfetti? Come si sarebbe più potuto pretendere che in ogni comando del Superiore sifosse visto Dio? Allo stesso modo oggi la Chiesa difende l'Arcivescovo Marcinkus, ma conla sua miope visione non si accorge che le pecore se ne vanno proprio perché ella non fagiustizia, e non per disistima di Gesù Cristo: ecco che cosa risponderei al Pastore Poletti,che piange sul latte versato, ma non scende dalla Porsche per battere la campagna allaricerca delle pecore perdute, ed ha solo buone parole per chi l'ha consolidato sullapoltrona, me compreso. Ricordo che, quando il Papa lo fece Presidente della ConferenzaEpiscopale Italiana, si dichiarò soddisfatto e onorato della benevolenza papale, nonoppresso dall'onere. E' il solito concetto: la Chiesa assegna Benefici, al resto Dio provvede.Non è forse eterna la Chiesa?

La dispensa papale - che vorrei tanto sapere quanto sia papale, dal momento che ilPapa non ha certo tempo né voglia di leggere le migliaia e migliaia di richieste, chevengono esaminate da preti burocrati stipendiati dal Vaticano, talvolta con la sigaretta inbocca, i quali poi, senza la sigaretta, le presentano a pacchi ad una solenne assise di vecchi

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130Cardinali annoiati - mi giunse tramite i Superiori gesuiti. Sempre loro in mezzo. Ma cherazza di giustizia è questa? Accuso i miei Superiori e loro entrano in giudizio, non qualiimputati, ma quali testi a carico contro di me, perché sono autorità divina, e ne esconoquali esecutori della sentenza, sempre perché sono autorità divina. Immagino la lorosoddisfazione per essermi io definitivamente levato dal piedi (ma lo sono veramente?Domani sono certo che tremeranno). Il vecchio Padre Costanzo Bizzochi, mio professore digreco, ebbe da loro il mandato di significarmi che, per l'autorità del Santo Padre, erosciolto dal voti solenni e libero di andare dove volessi. Me lo disse in un modo che parevasuonare "beato te che puoi!". Lo guardai con commozione: il povero vegliardo era ridotto atirapiedi e galoppino del Padre Provinciale. Si trascinava perfino a ritirare le bozze dellestampe ufficiali della Compagnia e mi dicevano i tipografi - regolarmente correva al luridocesso dell'officina. E quante ne doveva vedere e sentire nell'anticamera provincializia!"Padre mio -gli dissi - ho amato la Compagnia, quella vera. Voglio serbarne un buonricordo. Quest'altra se la possono pur godere loro". Il vecchio sacerdote mi impose alloradi recitare tre Pater, Ave e Gloria, al che lo mi arrabbiai: "Ah, devo fare pure lapenitenza?". Tacque. Seppi dopo che quelle preghiere avevano funzione di ringraziamentoper la dispensa ricevuta, che era per l'appunto una grazia del Pontefice. A maggior ragionenon le volli recitare. Era una grazia o un calcio nel sedere? Naturalmente benedetto, eaccompagnato probabilmente dal tacito rimprovero: “Perché non hai saputo essere tu ilpiù forte? Ci saremmo messi dalla tua parte". Mi pentii tuttavia di essermi inquietato colpovero Padre Bizzochi, che non c'entrava per niente. Ora è in cielo a godere della pazienzaesercitata in vita, anche verso gli studenti che non volevano faticare col greco.

Gli serbo particolare gratitudine per avermi fornito gli strumenti di rettainterpretazione della Sacra Scrittura, che sono lieto di far conoscere, in qualche passocontroverso, o addirittura contraffatto, a coloro che non sono addentro in quella lingua.

Dunque ero libero, libero anche di morire di fame. Perché al religioso che se ne va nonè dovuto nulla. Così dice la Chiesa, e così è recepito dal Concordato tra Stato e Chiesa. E'implicito che il torto è sempre del religioso, mai del suo Ordine, che è sempreufficialmente santo e perfetto. Ma Cristo definì sepolcri imbiancati i farisei di ogni tempo,che nel loro interno sono pieni di luridume e nefandezze. Ho insegnato per tanti anni nellescuole religiose, anche all'Istituto Massimo, che è la scuola per i ricchi, ed aveva, ed ha,della rette da capogiro. Naturalmente i gesuiti si godono la mia pensione. Pensate a quantialtri stanno nella mia situazione. Provai a rivolgermi al giudice, e questi, pur riconoscendol'assurdità del trattamento dispari nella difesa dei diritti del lavoro, perchè lo ero uncittadino italiano come gli altri, non poté far nulla contro il muro del Concordato.Comunque fosse, il povero giudice mi esentò dalle spese di giudizio: ne avevo giàsostenute troppe per l'avvocato.

Inutile dire che neanche i tribunali della Chiesa mi dettero ragione per quel cheriguardava le responsabilità dei miei Superiori. Però mi presero abbondantemente in girodandomi speranze, evidentemente per stancarmi e dissuadermi, mandandomi percompetenza da Erode a Pilato. Cosi il grande Monsignor Aurello Sabattani (di cui avevostudiato le dotte elucubrazioni in materia di cause matrimoniali), Segretario, poi Vescovo,del Tribunale della Suprema Segnatura Apostolica, mi rimise alla competenza della SacraCongregazione dei Religiosi, quella che - privatamente, si intende - mi aveva informatoche la Polizia Italiana aveva trovato studenti religiosi, di notte, tra omosessuali espacciatori di droga, e mi aveva confidato che il Generale Arrupe non ubbidiva più. Quiun tal Monsignor Lobina mi riceveva, mi rimandava di settimana in settimana, e, fumandola sigaretta, sfogliava e risfogliava il mio esposto-denuncia. Arrivò finalmente a convocare

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131131i miei Superiori Maggiori, poi mi fece sapere che quelli non si erano presentati neppure. Eallora? Lobina rimise la cosa ai Cardinali, e quelli, tra uno sbadiglio e l'altro, concluseroche lo me ne ero andato via dall'Ordine di mia spontanea volontà. Evviva la giustizia dellaChiesa! Tornai allora alla Segnatura Apostolica, competente in seconda istanza, ed essa mirispose in modo evasivo.

Ma allora che ci sta a fare questo Supremo Tribunale? A voce, un pretino, cheadoperavano alla Cancelleria per levarsi dal piedi i petulanti, mi spiegò l'arcano: "Sedovessimo dar retta a tutti quelli che vengono a chiederci giustizia in queste cose! Almassimo Lei può prendersela con qualche singolo gesuita, non con l'Ordine!". "E non l'hofatto, scrivendo nomi e cognomi?". Ma capii che non c'era niente da fare. E pensate che laChiesa si regge nonostante questi soprusi: è proprio divina. Rifacendomi allora al su citatoMons. Sabattani (il cui cognome ha origine indubbia dal Salmo biblico "Eloi, Eloi, lammasabactani" = "Signore, Signore perché mi hai abbandonato-, e si attaglia mirabilmente almio caso), pensate quante ingiustizie si fanno proprio nelle cause matrimoniali , in cuiquello era maestro. Infatti sono cause umane e richiedono lunghe indagini, etestimonianze soprattutto. La Chiesa le avoca a sé, sottraendole allo Stato. Ma mentrequesto al testimone falso commina la galera, la Chiesa che cosa gli minaccia? L'inferno. Ese quello non ci crede? Per questo mi viene tanto da dubitare della dottrina che proclamala Chiesa Società perfetta, perchè possiede perfino mezzi di coazione. Né Società etantomeno Tribunale perfetto. Se no perché il Papa si sarebbe lamentato dei troppiannullamenti di matrimoni? E' segno che si era di manica troppo larga, il che non indicaperfezione proprio per niente. Per me la dottrina della Chiesa società perfetta è statasfornata per garantire il potere temporale. La Chiesa è perfetta nella sfera sua propria, nonnello scimmiottamento dello Stato.

I primi tempi svolsi lavoro nero presso un cantiere edile, praticamente come manovale.Ero forte, ma non allenato. Un giorno un grosso trave si staccò dalla gru e poco mancò chemi accoppasse. Cosi sarebbero finite le mie sofferenze, ma non quelle della mia famiglia,perché non avevo pensione e neppure potevo essere assicurato contro gli infortuni. E aquesto punto dico che, una volta "libero", povero, solo, abbandonato da tutti come un cane(eccetto che da quell'onest'uomo di mio padre, il quale, senza neppure dirmi "Te l'avevodetto", mi rese subito la rendita di casa che lo gli avevo dato, in ragione di lire sedicimilamensili), avevo trovato un angelo di donna che mi aveva proposto di sposarla.

Ne rimasi stupefatto, perché non credevo ci fosse in me qualcosa di apprezzabile, datal'età, la miseria, la disoccupazione e l'abbattimento in cui mi trovavo. Eppoi ero fatto per ilmatrimonio io che le donne ero abituato a vederle solo come sorelle e figlie? E qui devoinnalzare un inno alla castità -scelta liberamente per il Regno di Dio - che permetteall'uomo di darsi tutto agli altri, e perciò è convenientissima al sacerdozio (ma nonnecessaria, e quindi non imponibile dalla Chiesa, che, quale autorità minore, non puòrestringere ciò che l'Autorità maggiore, nella Sacra Scrittura, ha espressamente sancitocome diritto). Ma io il sacerdozio non potevo più esercitarlo (eccetto per assolvere gente inpericolo di vita, e qui la Chiesa si dimostra Madre amorosa), né mi constava di essere unimpotente. Vi assicuro che mi venne spontanea una gran curiosità di sapere se, dopoessere stato padre di anime, avrei potuto esserlo anche di figli in carne ed ossa. Del restonon poteva essere che io avessi presunto troppo volendo volare con ali di angelo, mentreero solo un pover'uomo? Comunque sia, Sant'Ignazio voleva che i suoi gesuiti non fosserosolo gente "da sermone", ma capaci anche di agire nella vita civile, in famiglia, nel diversicampi di attività. Per i primi vent'anni avevo vissuto normalmente, ed anche lavorato eguadagnato. Si trattava di riprendere a 47 anni suonati, anzi di ricominciare daccapo e

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132addirittura di metter su famiglia con il coraggio che mi dava la donna che mi avevaaccolto, anzi raccolto. Parecchie persone, anche tra i miei parenti più stretti, in particolaremia sorella, la quale non si rassegnava all'idea di perdere un fratello futuro papa, comeasseriva una profezia di famiglia, e un papa nepotista, come sperava lei (mentre così sisarebbe ridotta l'eredità) - la guardavano con sospetto e dicevano che io ero uscito dalgesuiti per lei. Non erano assolutamente in grado di capire che una Compagniasessantottina non era più la Compagnia, ed io non mi ci ritrovavo più. "Ma che te neimporta?”, mi diceva qualcuno, "avevi da campare e ti eri anche avviato a una buonacarriera". Queste cose per me non avevano alcun senso. Debbo amaramente riconoscere,invece, che io non seppi difendere adeguatamente quella che sarebbe diventata miamoglie. Ero inceppato, ero come un insetto nella crisalide che non sa di dover diventarefarfalla: in altre parole mi sentivo ancora prete e gesuita, perché queste caratteristiche mierano state strappate mio malgrado, violentemente. Dicono i mutilati, di sentire, a tratti,ancor vive le membra perdute. Così ero io. I panni di fidanzato non mi stavano, mi sentivoridicolo a me stesso. Eppure io avevo provato la stessa impressione di ridicolagginequando mi vestii da prete e mi rasero il capo quasi a zero. Per lungo tempo i novizi piùanziani mi domandarono: "Quando sogni, ti vedi ancora borghese o già religioso?”. Allostesso modo per lungo tempo mi sognai ancora prete. E i sogni sono significativi davverodel nostro interno. Debbo ringraziare la mia donna di aver avuto tanta pazienza con me.

Altra dura prova quando si trattò di celebrare il matrimonio. Non si poteva andare inuna chiesa di nostra scelta, ma solo al Laterano, luogo controllato dal Vicario, per nonsollevare scandalo (!). Ci sposammo cristianamente (sapete che i Ministri del matrimoniosono gli sposi), alla presenza di un prete che non ci disse neppure la Messa, in unacappellina appartata che sapeva di muffa. Ricordo che un pretino giovane mi aggredì condisprezzo in sacrestia. Gli risposi che non mi vergognavo di aver dato una, sia pur strana,testimonianza di fede e di coerenza; quelli che dovevano vergognarsi erano ancora al loroposto, al quale evidentemente tenevano più che alla fede.

Ora i sacramenti li ho ricevuti tutti, tranne l'Olio degli infermi, che spero sia il mioconforto nel passare all'altra vita, ed ho fatto esperienza dell'amore coniugale, che è unacosa bellissima purché sia secondo le leggi di Dio, che sono proprio le leggi della natura.Non della natura in generale, ma della natura umana, razionale, che non accetta gliaccoppiamenti occasionali o prematrimoniali che tanto piacciono al giovani d'oggi comesegno di libertà, mentre sono una degradante servitù, che lascia l'amaro in bocca, come miavevano detto in tanti. Non ho conosciuto altra donna che mia moglie, e sono certo chemolti sacerdoti, e i religiosi in particolare, osservino la castità. Ma sono pure certo che nontutti (forse troppi) la osservano come si deve. D'altra parte la castità perfetta è un dono diDio, che è riservato a pochi, e non vedo con che diritto la Chiesa la imponga a tutti isacerdoti, che sono tanti. Ma quel che è tragico è l'impegno al celibato; la castità passa insottordine. Neanche tutte le suore sono caste, e il loro esercito è assai più numeroso. Senzaarrivare al caso della monaca di Monza, quante si fanno suore senza vera vocazione,quante si danno allo Sposo celeste per non aver trovato il principe azzurro! Il fatto è che disante non ce ne sono molte, e di belle ancor meno. Ho conosciuto una comunità di lesbicheche abusava perfino del crocefisso. Invano cercai di strapparne l'ultima arrivata.

Avrei volentieri insegnato Religione nella scuola di Stato, perché ne avevo abbondantititoli. Mi sarei anche piegato a pagare la forte tangente che i Vescovi pretendono perassegnarti l'incarico annuale (pagato dalla Pubblica Istruzione!).

Quando quegli introiti furono messi in forse dalle disposizioni di Stato, allora i Presuliricorsero all'ipocrita istanza che non si rendessero precarie le condizioni degli insegnanti

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133133di Religione, lavoratori come tutti. Ma come hanno osato dire questo, se erano loro, iVescovi, a disporre che l'insegnamento fosse precario di anno in anno, e se al minimo"sgarro" il prete, o chi per lui, tenuto al “pizzo", perdeva il posto? Tanto può l‟”auri sacrafames". E qui debbo denunziare un'altra grave colpa di parecchi Vescovi, almeno del miotempo. Non permettevano che i loro sacerdoti prendessero titoli di studio statali, per nondare loro la possibilità di cambiare vita. E poi la Chiesa parla agli altri di diritti umani...Comunque sia, a me, quale ex religioso, era ufficialmente negato di poter insegnare sìeletta materia (anzi Poletti, per i cui diritti quale Vicario lo mi ero immolato, mi negòqualsiasi altro lavoro), mentre è concesso a gente di assai dubbia fede, come gli studentigesuiti che lo non volevo far ordinare, oppure di assai dubbia preparazione, quali queilaici che sono abilitati dopo un corsetto da far ridere. Ci vuol altro! La Religione (che lochiamerei Storia della religioni, o Scienza filosofico- religiosa, o meglio Teologia) è materiaben ardua e richiede robusto intelletto nel docente, tante sono le obiezioni che occorresuperare. Religio in latino vale superstizione: i nostri antenati non ne avevano neppure ilconcetto. Era un "do ut des" con gli dei, tutti quanti fossero, per non scontentarne nessuno,non un amoroso rapporto con la divinità. Ma se la fede non è sostenuta da una profondaindagine intellettuale che la preceda e l'accompagni, non è neppure possibile, se non alivello emozionale o alla Kant, e neanche degna dell'uomo: "Il vostro ossequio siarazionale" dice il Signore. Se così non fosse non si vede perché io non dovrei aver fedenella Trimurti o in Budda. "Non crederei se non vedessi che devo credere" dice Tommasod'Aquino -ma per vedere, l'uomo, specialmente se colto in altre materie, ha bisogno di unalunga preparazione. Qualcuno dirà: "Ma allora dove sta il merito della fede?". La fede nonsta nei suoi presupposti, ma in se stessa. Anzi chi indaga accuratamente per credere, ocredere meglio, ha un merito vero e sicuro; l'altra fede può essere creduloneria. Non sipuò, non si deve credere a bocca aperta. Dio non lo vuole, non lo ammette. Gesù stesso hadetto: "Non credete a me (potrei essere un impostore), credete alle Scritture che vi parlanodi me (io le ho adempiute divinamente, dunque sono il Messia, anzi Dio stesso)". Unambasciatore deve presentare le credenziali, e questo suona tutt'altro che offesa, anzi èrispetto per chi lo ha inviato e per chi lo riceve. Un esempio che io portavo alle liceali eraquesto. "Se venisse un tizio a bussare alla porta adesso, per chiamare una di voi, dicendoleche suo padre l'ha incaricato di condurla a casa, voi ci andreste?". "No certo"rispondevano. “E vostro padre potrebbe offendersi della sfiducia?”. "No, perché non èsfiducia verso di lui”. Cosi crede da beota chiunque accetti un dogma senza assicurarsi cheDio lo abbia proposto, e il beota non può piacere a Dio, perché rischia di tradire la verafede. Questa consiste nell'accettare ad occhi chiusi tutto quello che Dio dice, sicuri chel'Autore della ragione e della fede è veritiero. Inoltre Dio ci parla in termini razionali, nonusa formule incomprensibili come -abracadabra-, quindi quello che dice può essere, entrocerti limiti, anche ulteriormente indagato e spiegato dalla ragione, come si trova la via a unproblema difficile, di cui sia stata fornita la soluzione. Perciò, quando veniamo a conoscereche Dio è in tre Persone, noi ci rendiamo ragione che non può essere che così, che il mondoè veramente fatto a sua immagine e somiglianza, l'uomo in particolare, nel processi triadicidella logica e della matematica, nella triade sostanziale che è nell'uomo (essere, intelletto evolontà), nella triade generazionale, perfino nella "tesi, antitesi e sintesi" dell'idealismotedesco, che pur non potendosi accettare, ha qualcosa di vero, che è però più pieno nell'"atto, potenza e divenire" di Aristotele, tanto bistrattato. E in materia ci sarebbe ancoratanto da dire.

Tornando al mio racconto, il Cardinal Poletti non mi ha voluto. Ha voluto invece certiignoranti da far paura, che non sanno assolutamente rispondere non solo alle mie

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134domande "socratiche", ma neppure agli interrogativi dei ragazzini. E si tratta anche disuore e di sacerdoti. Grazie a Dio, ho potuto aggirare l'ostacolo facendo domanda perl'insegnamento della Lettere e delle Scienze umane, con le quali si ha in mano unostrumento ottimo per fare molto di più che della Religione: si può fare perfino filosofiapura, che è una materia inesistente nella scuola, mentre sarebbe necessarissima, come ènecessario il diritto (che in pratica non c'è).

Naturalmente, preclusami la scuola ecclesiastica, ho dovuto accettare la scuola statale.Mi si conceda di parlare di questa, perché si tratta di uno spazio in cui Chiesa e Statoavrebbero dovuto collaborare seriamente, e invece hanno fatto entrambi pena. Comefanno pena oggi discutendo sull'ora di religione. La scuola è allo sfascio, perché da unaparte è preda del permissivismo disciplinare e del pressapochismo didattico, dall'altra èun mucchio di carte, di verbali, di consigli inutili, di ordini e di contrordini, di scioperi. Diquesti personalmente mi vergogno, perché lo sciopero è atto irrazionale, una violenzasociale, che ha come esito non la vittoria di chi ha ragione, ma del più forte. E la tantogloriosa lotta è tanto più vergognosa in quanto una delle parti ha le mani legate dallalegge. E poi con che diritto si sciopera sulla pelle dell'utente? Al quale è ridicolopromettere l'assicurazione dei servizi essenziali, quando questi difettano anche in tempinormali. Ricordo che, dopo il boom economico, i nostri grandi sindacalisti vollero spartirela torta, col risultato già predetto dalla povera Cassandra, “quae numquam credita fuit",che fu Ugo La Malfa, di portare l'Italia allo sfascio economico, da cui vanamente si diceuscito un paese con un milione e passa di miliardi di debito pubblico e tre milioni digiovani disoccupati. Debbo proclamare alto che l'insegnamento della Chiesa (assistitadavvero dallo Spirito Santo quando dice seriamente, non quando intrallazza) era veritieroquando proclamava che anche nello sciopero bisogna ricercare la giustizia, e che non sipossono toccare i diritti dei terzi, altrimenti si commette un ricatto ingiusto. Come sonoinvece da ammirare i nobili operai giapponesi che aumentavano le ore di lavoro perattirare l'attenzione sulle necessità sociali, non solo egoistiche, senza danneggiare nessuno!E la sanità morale di quel popolo (le cui virtù erano note già a San Francesco Saverio),povero di mezzi naturali, ma ricco di ingegno e di iniziative, ha condotto gli operai, che sicontentavano di un pugno di riso, a fare i signori nelle nostre contrade. Noi inveceparliamo sempre di diritti e mai di doveri, e abbiamo perfino soppresso il nome santo diPatria. E tutto questo parte dalla scuola italiana, dove l'insegnante è un ingiustoaggressore, e l'alunno, specie se è zingaro o borgataro, è degno di tutto il rispetto, perché,anche se ti buca le ruote o ti dà una bastonata, è un essere innocente, non punibile. Sei tu ilviolento che gli fai la voce grossa e gli turbi il sano sviluppo psichico. Sono d'accordo che"maxima debetur puero reverentia”, ma questo rispetto richiede anche la severità,

altrimenti il ragazzo diventerà un prepotente e stimerà giusta ogni cosa che gli piaccia. E'un concetto elementare, ma pare che i "sinistresi" non lo comprendano. Se per esempio unmaschio mette le mani addosso a una ragazza, e questa se ne lamenta col professore,questi non deve intervenire, altrimenti dimostrerebbe di non essere al passo coi tempi, cioèdi essere rimasto un moralista. Vorrei sapere come mai proprio i sinistresi, quelli che sibattono di più contro le violenze alle donne, non si accorgano che quella su citata altro nonè che una violenza in erba. A parte il fatto che la morale -che se esagerata non piaceneanche a me- è il sostegno di ogni sano diritto, e purtroppo va scomparendo.

Ci si batte tanto nella scuola per l'interdisciplinarità, parola grossa che pochi sannotradurre in concreti atti. E' interdisciplinare, per esempio, che un docente parli di Dio perdimostrarne l'esistenza, e un altro per negarla e per bestemmiare? Questo è rispetto della

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135135psiche dei giovani? E non è rispetto della psiche neanche passare l'ora di religione aripetere il catechismo parrocchiale.

I ragazzi, anche giovanissimi, hanno bisogno di risposte ai loro interrogativiintellettuali, e il catechismo puro e semplice non dà risposte ma dogmi. Per quel cheabbiamo detto sopra, soprattutto nella religione, gli studenti devono essere abituati aragionare con la loro testa (per questo, quando insegno filosofia, io invito i ragazzi a dire laloro sulle affermazioni di ciascun filosofo).

E lo studio di altre religioni non costituisce pericolo per il cristianesimo, come noncostituisce pericolo per una pietra preziosa essere messa a confronto con quelle che non losono, o non lo sono a quel grado di purezza, o che sono semplicemente diverse. La Chiesaufficiale, non si sa perché, ha sempre temuto che i suoi cristiani fossero a contatto conpersone di altra religione, anzi nel passato ha perseguitato ferocemente gli altri credi,imponendo il cristianesimo, anzi il cattolicesimo, come religione di stato, perfino nelconcordati con le altre potenze. E' il caso dell'Italia. Oggi la Chiesa pretende che si stia alPatti Lateranensi per quel che riguarda l'insegnamento religioso nelle scuole. Ma nel '29 lareligione cattolica era la religione ufficiale dello Stato italiano, e le altre religioni eranosemplicemente tollerate. Posto però -dallo stesso Concilio Vaticano II, in netta opposizioneal dettato di Pio IX- il principio della libertà religiosa, non si vede perchè lo Stato debbatenere la Chiesa Cattolica in condizione di privilegio. Perché ha il monopolio della verità?Lo Stato in quanto tale non ha veste per affermarlo. Perché la Chiesa è una potenzapolitica, uno Stato, mentre le altre comunità religiose non lo sono? Ma allora varrebbe ilprincipio della prepotenza, e di nuovo appare l'odiosità del potere temporale della Chiesa.Secondo la retta ragione, o lo Stato non dovrebbe a sue spese fornire a nessuno l'ora direligione, o dovrebbe fornirla a tutti.

La retta ragione, già. Ma che esseri sono, questi? Che differenza corre tra noi esseriumani per sembrare talvolta così diversi?

Sono tornato a rileggermi gli scritti del Bortoluzzi, e per quanto concerne i contenuti, mirendo perfettamente conto che il Signore fece vedere a don Guido come il peccato originale,

 peccato di disobbedienza, di estrema presunzione e di autosufficienza commesso dal primo Uomocon la femmina ancestre dalla quale la specie umana era derivata, inquinò la specie umana perfetta

 pregiudicando le generazioni successive. Si determinò quindi una strana situazione: da un latosi ebbe una discendenza pura e legittima derivata dalla prima coppia dei Figli di Dio,l‟Uomo e la Donna; dall‟altro una discendenza ibrida derivata dal lo stesso Uomo e dalla

femmina ancestre appartenente alla specie subumana. Quindi si ebbero due genealogie parallele, una pura e legittima con tutti i requisiti di perfezione ricevuti da Dio, ed una ibrida eillegittima che si degradò fino a perdere ogni sembianza umana per mimetizzarsi fra gli ominidi.

Le novità non sono poi tanto nuove come potrebbero sembrare a prima vista, perché ledue figure femminili, Eva, la femmina ancestre che fu la partner di Adamo nel peccato originale eche divenne madre di Caino, e la Donna, la legittima e innocente sposa di Adamo che divennemadre di Abele e di Set, sono contemplate anche nella antica tradizione ebraica la quale raccontache furono due le „cosiddette mogli‟ di Adamo: una, la prima, Lilith, che generò dèmoni emostri malvagi, l‟altra che generò uomini. Quella di Dio, dunque, fu una creazione mediata. 

Per quel che può contare, ciò mi diede un certo sollievo e mi aprì alla magnanimità, mami mostra anche lo scempio che i discendenti di Caino perpetuano ancora oggi nel mondo.

Decido pertanto di rientrare nel mio Eden per comprendere con serenità fin dove si sono spinti.

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136Le nuove frontiere del pensiero e del mondo, che avevo ignorato per ignavia

Mentre il mondo sembrava travolgermi come un‟onda, mettendo in discussione tutte lemie scelte e le mie credenze, sulla struttura sociale in cui avevo radicato le mi certezze, orami accorgo di fronte a quante cose fossi rimasto all‟oscuro. Sembrava come una chiamatache mi partiva da dentro dicendomi di « sbrogliare » l‟inganno, facendomi io portavoce diquesto nuovo modo di percepire le « frequenze » dello Spirito Santo. In questo mi sentivochiamato ad affiancare il Papa, per annunciargli la Rivelazione.

 Pensiero organicistico : natura e genesi del legame socialeNuovo ordine Mondiale e la Teoria Generale dei Sistemi  –  Tomismo contro

Sovversione. Al di là degli aspetti meramente sociologici e descrittivi, ci sono due modi,radicalmente contrapposti, di intendere la natura dei rapporti che intercorrono tra gliindividui all'interno di una realtà sociale :

Il primo modo, sicuramente il più antico, si fonda sull'idea tomistica che la società nelsuo insieme sia una totalità le cui parti costitutive sono i gruppi sociali prima ancora chegli individui singolarmente presi. Da questo punto di vista è chiaro che il tutto precede lesingole parti, nel senso che ne determina la natura, le funzioni, la stessa possibilità diesistenza. Gli individui sono solo una variabile dipendente rispetto alla società nella suatotalità. Di questa concezione totalitaria esistono almeno due varianti significative: quellapiù antica, di tipo organicistico, quella più recente, di tipo tecnologico. L'organicismoassume in modo metaforico la tesi che la società sia un vero organismo vivente e che gliindividui ne siano i piedi, le mani, la testa. Se la società vive, vivono i suoi organi ma sel'organismo muore non vivranno più né piedi né mani. Organicistico è il punto di partenzaaristotelico ma ancor di più lo è quello di Platone, per il quale l'intero universo, e non solola società, costituisce un grande organismo vivente. Nel pensiero cristiano delle origini glispunti organicistici del Vangelo che descrivono il legame dei credenti con Cristo comequello dei tralci con la vite, vengono amplificati ed estremizzati da San Paolo: « Poiché,come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte lamedesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo eciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. » (1 Corinzi 12,4-5). Per lui laChiesa è un unico corpo di cui Cristo è la testa ed i cristiani sono le membra. Siamo nelcampo del più assoluto organicismo. In alcuni autori medioevali, ad esempio John diSalisbury, la rappresentazione antropomorfica della società si spinge anche oltre lo schematripartito di origine platonica (classi dirigenti-testa; soldati-cuore; lavoratori-intestino) fino

a vedere nel principe il capo, nel senato il cuore, nei giudici e negli altri funzionari gliocchi, le orecchie e la lingua, nei soldati le mani, nei consulenti i fianchi, negli ispettoril'intestino, nei contadini i piedi, sempre a contatto con la terra. Nel Medioevo la visioneorganicista - di derivazione cristiana - è diffusa e considerata alla base dell'ordine feudale.Agli schemi dell'organicismo platonico si richiamano anche il pensiero rinascimentale(Ficino) ed in tempi più recenti quello romantico (Schelling). L'organicismo ha trovato, intempi a noi più vicini, molti sostenitori tra i biologi, sempre sulla base di una estensionemetaforica degli studi specifici compiuti sugli organismi viventi; e ha trovato sostenitoritra i sociologi, anche se la maggior parte di essi ha avvertito il carattere meramenteanalogico, e perciò in qualche misura inadeguato, di tale modello esplicativo. Tuttavia

"tutti i progressi intellettuali sono compiuti con l'aiuto di metafore ed anche i nostriconcetti astratti sono creati da immagini metaforiche, ed anche nella scienza è lecitoservirsi della metafora". (O. V. Gierke, 1902).

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137137Nel secondo modo rientra la versione che possiamo definire totalitario-tecnologica. La

teoria della società come totalità si definisce compiutamente all'interno di teorie generalidei sistemi. Alla base di questa teoria, come la formulava Ludwig von Bertalanffy nel 1950,c'era una esplicita critica delle concezioni meccanicistiche e dunque individualistiche,assunte dal pensiero sociale e politico moderno, da Hobbes in poi. Si parte dallaconsiderazione relativa alla società tecnologica avanzata e dal ruolo che in essa giocanol'automazione, la cibernetica o la biologia per scoprire l'enorme complessità della società ela quantità sterminata di interazioni che si sviluppano al suo interno attraverso l‟adozionedi nuove matrici di stampo illuministico e quindi massonico. Interpretare una societàcome sistema significa assumerla non come una realtà a sé stante, spiegabile secondo iprincipi della causalità lineare, ma come una totalità risultante dalla interazione dinamicadelle sue parti. E quando von Bertalanffy deve trovare un termine tradizionale per definireuna tale visione della realtà, allora è egli stesso a parlare di organicismo. Nella suaformulazione generale la teoria dei sistemi si applica ai campi più svariati, dallameccanica, all'elettronica, alla biologia, alla cultura. Utilizzando gli strumenti raffinatidella analisi matematica, le interazioni sistemiche vengono misurate e valutate in modosemplice con formule applicabili ai fenomeni più diversi. Né la teoria si presenta diversaquando viene specificatamente applicata in campo sociale. Talcott Parsons definisce ilsistema sociale come un organismo sostanzialmente in equilibrio che tendeautonomamente a riprodursi così come è, se non intervengano dall'esterno elementi adeterminare reazioni a catena lungo tutta la struttura del sistema.

E‟ su questi presupposti, o matrici, che si innescano i principi basilari del NuovoOrdine Mondiale e del concetto di Mammona, sua piattaforma capillare per una nuovasocietà umana. Naturalmente il grado di modificazione del sistema dipende soprattuttodalla sua elasticità, cioè dal suo carattere aperto o chiuso. La prospettiva sistemica incampo sociale ha raggiunto il suo punto più elevato nella ricerca di N. Luhmann, allievo diParsons. Dal suo punto di vista la società è un sistema che opera in un ambiente difficileche ne mette costantemente in discussione la stessa sopravvivenza. Le difficoltà maggioridiscendono dal grado crescente di complessità sociale. Più che dal suo carattere chiuso oaperto, la capacità di un sistema sociale di sopravvivere o di modificarsi dipendesoprattutto dalla attitudine a ridurre la complessità, selezionando elementi rilevanti per iprimi fini e trasformando la complessità esterna al sistema in complessità interna.Laddove vi sia questa attitudine l'evoluzione del sistema si apre verso possibilità infinite.All'interno delle concezioni organicistiche, comunque formulate, l'individuo come singoloè solo l'ultimo anello della catena sociale; la società esiste prima di lui ed ogni individuogià dalla nascita è inserito in una società data. Nel corso della sua vita il legame personaleassume le forme e le valenze del legame sociale. In una concezione siffatta è difficileassumere come base di partenza la libertà naturale dell'individuo. Ogni interpretazionedel legame sociale che partisse ignorando la priorità del tutto rispetto alla parte ecominciasse dalla parte dell'individuo, sarebbe anacronistica ed assurda, cioè unarobinsonata.

Contrariamente la maggior parte del pensiero moderno parte proprio da unarobinsonata: ossia che i singoli individui, in quanto tali, rappresentino un prius reale elogico rispetto alla società, la quale risulterebbe determinata proprio dal modo in cui levolontà dei singoli si incontrano, si scontrano, si compongono. Lo stesso concetto vieneespresso evidenziando che solo gli individui, in quanto tali, appartengono alla natura,mentre tutto il resto, società compresa, è artificio.

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138Il primo a formulare in modo esplicito e completo un tale modello individualistico-

meccanicistico fu Thomas Hobbes. In un ipotetico stato di natura gli individui isolati sonoin condizione di libertà naturale, possono esercitare un diritto illimitato su tutti e su tutto.Di conseguenza la condizione di libertà naturale determina necessariamente la guerra ditutti e contro tutti, fino al limite dell'autodistruzione. Proprio per evitare ciò gli individui,dotati di potere razionale, decidono di ricorrere all'artificio, stipulando un patto con cuiconferiscono tutti i poteri e tutti i diritti della condizione naturale, tranne quello della vita,che rappresenta la finalità primaria del patto, ad un sovrano politico. Nel suo schema,dunque, il legame sociale o è guerra o è sottomissione al potere politico. Una analogastruttura contrattualistica, che partendo dalla autonomia degli individui e dallamultiformità del suo esplicarsi, ne compone meccanicamente le risultanze sociali, èpresente anche in autori come Locke o Rousseau, che pure non condividono la totalesottomissione hobbesiana del sociale al politico. L'interpretazione individualistica dellasocietà, aldilà delle proiezioni politiche esplicite sul terreno del liberalismo e dellademocrazia, sta alla base di larga parte del pensiero moderno in tutte le sue valenze,storiche e filosofiche. Individualistiche sono, alle origini della modernità, la logica delmercante ma anche il tema rinascimentale della dignità umana. Individualistica è la nuovacollocazione, nella riforma protestante, dell'uomo rispetto a Dio, una volta eliminate levarie forme di intermediazione sociale. Individualistico è l'assunto cartesiano del dubbiometodico e della successiva accettazione di certezze, solo se evidenti alla mente delsingolo. Individualistica è pure l'istanza dell' io come viene impostata presso le correnti dipensiero esistenzialistico, e così via...

A questo punto non ci si può esimere da qualche considerazione critica in ordine ai duemodi anzidetti di intendere la natura del legame sociale. Ciò che abbiamo chiamatoorganicismo presenta indubbiamente notevoli pregi sul piano descritto. È difficile, infatti,negare che il processo di formazione dell'io avvenga prevalentemente sotto la spinta diistanze esterne e che la socializzazione, quale si realizza negli anni dell'infanzia e dellaformazione sia il risultato di dati sistemici determinati o che i ruoli sociali risultino definitia priori rispetto ai singoli individui che vanno preparandosi a ricoprirli. Tuttavia i rischiche si corrono accettando le posizioni organicistiche sono enormi: in questo caso vale tuttaintera l'accusa che Marx rivolgeva al materialismo volgare di fare dell'uomo un soggettopassivo rispetto alla realtà, data in modo deterministico, piuttosto che l'artefice attivo dellapropria condizione. Così le forme storicamente date della organizzazione sociale sonoconsegnate o ad una antistorica fissità o ad un dinamismo che prescinde dalla volontàdegli individui. Insomma, può facilmente accadere che le filosofie sociali organicisticheforniscano i presupposti culturali che favoriscono il passaggio dal totalitarismo in camposociale a quello in campo politico. Difetti e pregi del modello individualistico-meccanicistico sono simmetricamente opposti rispetto a quello organicistico. Ricorrendoad esso si evidenziano notevolmente le difficoltà di descrivere la natura della società.

L'io si gonfia smisuratamente di sé, amplificando oltre il lecito la sfera della libertà, finoa comprendervi tutti i comportamenti dei quali si ignora la causa. Il modelloindividualistico risulta comunque sicuramente preferibile sul piano normativo oprescrittivo per la sua interpretazione attiva della possibilità dei singoli e per la sua facileproiezione verso un sistema di valori liberi ed egualitari. Insomma, è su questo scenarioche si intravedono i lineamenti della popperiana società aperta, mentre su quelloorganicistico-olistico ci sono tutti i suoi nemici.

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139139Tra coloro che cercano di sfuggire, con aggiornate forme di pensiero, a quella

schematica contrapposizione di modelli, si collocano oggi alcuni studiosi, soprattuttoantropologi, come M. Douglas o C. Castoriadis, che affrontano il problema a partire dalruolo e dalla funzione delle istituzioni sociali. Riprendendo da Durkeim la convinzioneche la sociologia sia la scienza delle istituzioni, Douglas sa che i fatti sociali non possonoesaurirsi nella sfera della motivazioni e delle rappresentazioni proprie della coscienzadell'individuo; le istituzioni, in quanto nate con il preciso scopo di garantire la continuitàsociale, sono precedenti e prioritarie rispetto agli individui. Le istituzioni, pur non essendoriconducibili agli schemi della cultura organicistica, vengono considerate come svolgentifunzioni umane, quali vedere, pensare, decidere... Il modo in cui gli individuiinteriorizzano norme, credenze e valori propri delle istituzioni, costituisce lo scopospecifico delle scienze sociali.

La ricerca di Castoriadis si muove in aperta rottura con il pensiero ereditato dallatradizione: contro l'individualismo, soprattutto, laddove esso si connota di componentiutilitaristiche ma anche contro le visioni totalizzanti dei sistemi sociali che riduconol'individuo a mera conseguenza di logiche strutturaliste. Egli mette in discussione ladistinzione tradizionale tra natura e cultura, tra bisogni naturali e storia, che domina tuttoil pensiero contemporaneo, e prende le distanze da tutte quelle concezioni antropologicheche cercano di spiegare il legame sociale come un passaggio da una condizione biologicanaturale alla organizzazione sociale. Tale è anche, secondo Castoriadis, la posizioneantropologica di Gehlen. Per l'antropologo tedesco l'uomo è una mostruosità biologica,non essendo egli fornito alla nascita degli organismi necessari alla sua stessasopravvivenza. La vita dell'uomo è messa costantemente a repentaglio dall'uomo stessoche rappresenta un errore intenzionale della natura. Animale mancante o animale malato,l'uomo è costretto per sopravvivere a sviluppare tutta la sua artificiosità. Così la cultura, lascienza, la tecnica, le istituzioni, sono delle vere e proprie protesi che consentono all'uomodi uscire dalla sua condizione naturale. L'istituzione, smorzando la plasticità delle pulsioni(paura, desideri..) seleziona le regole utili alla sopravvivenza e fornisce alla esistenza unminimo di certezze. Ma neppure l'antropologia di Gehlen sfugge, secondo Castoriadis, aldeterminismo e l'uomo viene così condannato alla prigione di schemi totalizzanti, comeaccade nella teoria sistemica di Luhmann. Insomma, non si può parlare di societàescludendo gli individui: l'opposizione individuo-società è falsa.

Tra l'animale e l'uomo c'è una differenza radicale: solo la psiche umana è fornita di unacapacità di immaginazione e di rappresentazione che si dirige, a differenza di altri animali,verso funzioni totalmente libere dal determinismo della sopravvivenza. Negli esseriumani agisce il piacere della rappresentazione libera e solo negli uomini c'è la possibilitàdi muoversi verso quelle direzioni creative che Freud riconduceva al concetto disublimazione. Per Castoriadis vi è dunque una rottura radicale dell'animalità, proprioperché la psiche è fornita di una immaginazione creatrice di sensi e di significati. Se lapsiche si radica nel desiderio e se il desiderio si alimenta della mancanza, allora l'oggettoverso cui si proietta non può essere un puro dato biologico ma costituisce una creazioneoriginale.

L'insieme di queste creazioni si rapporta al singolo, configurando così unarappresentazione di sé come ciò a cui non manca nulla. Già il seno materno non è per ilbambino una mera fonte di alimentazione ma la prima apertura al mondo, la primacreazione di senso, la prima istituzione. Se la società istituita è il punto di partenza giàdato che entra in rapporto con la psiche del bambino, non si può negare che la forzaistituente risiede nella psiche che è la fonte vera di ogni significato sociale. Il processo di

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140significazione di cui la psiche è portatrice fa nascere le rappresentazioni immaginarie disenso e rappresenta la forza istituente della società. Così il sociale è creazione libera; liberaè pure la storia nel suo insieme: essa non discende da leggi naturali, né da leggi storicheoggettive. Quando si parla di istituzioni, dunque, bisogna distinguere la società istituita con i suoisignificati determinati e conclusi,  dalla società istituente che è creazione di individui sociali e ditutto il mondo umano ad essi connesso: il linguaggio, le norme, i valori, la vita e la morte.

Infine, l'organicismo - appoggiandosi alle più diverse dottrine come il darwinismo ed ilrazzismo entra in aperta polemica con la democrazia liberale di stampo giusnaturalista, finendo per costituire una delle radici ideologiche fondamentaliste (democrazia organica)di stampo socialistico.

Presupposto fondamentale dell'organicismo è nell'impossibilità dell'individuo di vivere isolato.Già Aristotele aveva postulato, infatti, che solo un Dio od una bestia potevano vivere separati dai

 propri simili, l'uomo giammai. L'individuo, infatti, quando nasce è inerme, e può sopravvivere solo grazie alle cure parentali. Si sviluppa all'interno di una società e cresce grazie ai rapporti coi proprisimili. Con essi collabora e realizza le proprie imprese. Quando è vecchio o malato, dai proprisimili ottiene aiuto e protezione. Per il pensiero organicista, dunque, l'individuo è in tutto o in

 parte dipendente dai propri rapporti sociali. Conseguenza di ciò è che gli individui non sono

detentori di diritti di per sè stessi, ma per grazia della società in cui vivono.Il paragone fra corpo sociale e corpo organico, inoltre, porta a individuare negli

individui dai comportamenti antisociali una forma di "malattia sociale": i criminali sonocosì considerati come il cancro della società, una visione che - soprattutto nel XIX Secolo -si è andata sommando a considerazioni analoghe nei confronti dei malati di mente, deivagabondi e in generale degli individui non produttivi. La concezione razzista dellasocietà nazionale ha poi spinto all'estremo questa ipotesi, suggerendo che le minoranzeallogene interne ad un corpo nazionale possano essere considerate a loro volta come"tumori" da estirpare nelle più varie (e sovente disumane) maniere. Il colmo di questaconcezione si è raggiunta con la Germania nazista, mentre - mutatis mutandis - gli stessi

concetti, applicati però su base classista anziché razziale, hanno mosso le azioni delledittature comuniste in Unione Sovietica, Cina e in molti altri paesi marxisti.

Il risveglio dalle matrici

Ci racconta   Massimo Mazzucco, che è da molti anni ormai che le scienze noetichedenunciano i limiti della visione meccanicistica del mondo, di origine newtoniana-cartesiana, e ne suggeriscono il superamento attraverso la reintegrazione del concetto dimente-energia, ma solo ora cominciano a delinearsi i principi di un nuovo paradigmascientifico che ci permetta di comprendere meglio le interazioni fra l‟uomo e l‟universo che

lo circonda. Tutto ciò è molto ben illustrato in un documentario intitolato “The LivingMatrix”, che suggeriamo a chiunque di vedere.

Sono argomenti non facili, poichè prevedono la comprensione di termini come « teoria generale dei sistemi », “campo energetico”, “iscrizione dell‟informazione” o “ologramma quantico”,che non appartengono certo alla conversazione di tutti i giorni. Ma sono illustrati consufficiente chiarezza da permetterne una comprensione intuitiva anche a chi –come ilsottoscritto– non abbia alcuna preparazione scientifica.

Già la fisica quantistica, nata circa un secolo fa, aveva rimesso in discussione molti deiprincipi della fisica classica, che vedeva un universo tri-dimensionale regolato conprecisione millimetrica dalle leggi di gravità di Newton.A queste tre dimensioni Einsteinaveva aggiunto la quarta –il tempo– ma ciò non era sufficiente a soddisfare i risultatisperimentali della quantistica, che finirono per lasciare il mondo con un‟unica certezza:dell‟universo in cui viviamo non sappiamo praticamente nulla di certo.

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141141A quel punto i limiti della scienza classica, che basa i suoi principi sulla osservabilità/ 

ripetibilità dei fenomeni, erano chiari a tutti, ma pare che gli scienziati si siano dimenticati diincorporare questo concetto nel loro modo di pensare, evitando sistematicamente di affrontareogni nuovo argomento che sfuggisse alla diretta osservabilità dei fenomeni fisici.

In altre parole, invece di indagare l‟invisibile, di cui riconoscevano apertamente l‟esistenza,hanno preferito ignorarlo.  E quando questo “invisibile” minacciava di mettere in discussione le

 fondamenta stesse del loro credo scientifico, lo liquidavano in maniera sommaria e superficiale. Accadde così, ad esempio, che un giorno si scoprì che manca nell‟universo circa il 90% della

massa per validare le leggi di Newton. Nessun problema –dissero gli scienziati- diciamo chequesta massa esiste ma non si vede, chiamiamola “materia oscura”, e tiriamo avanti. 

Questo atteggiamento, oscurantista e limitativo, ha finito per danneggiare tutte lediscipline scientifiche, non ultima fra loro la scienza medica.

Abituata fin dall‟inizio a considerare gli esseri viventi come una semplice “macchina”biochimica, la medicina moderna si è andata concentrando in modo sempre più specialistico suisingoli organi, dimenticandosi nel contempo dell‟insieme a cui appartengono.

Oggi ci sono scienziati che passano interi decenni a studiare la metà inferiore dell‟occhio dellazanzara africana. Nel frattempo è diventata di uso comune l‟espressione “il battito d‟ali diuna farfalla in Brasile può provocare un uragano in Texas”, e la quantistica ci ha insegnatoche un esperimento varia a seconda della presenza dell‟operatore. Ma tutto questo loro loignorano, e continuano a studiare imperterriti l‟occhio della zanzara, come se il proprio

occhio gli garantisse una osservazione oggettiva di quanto studiato.Purtroppo questo atteggiamento “specialistico”, basato sul dualismo cartesiano, è

talmente diffuso che ha finito per pervadere anche gli altri strati della nostra cultura: ogginoi inquiniamo un fiume, un lago o un ruscello senza tenere conto che fa parte di unorganismo unico chiamato “terra”. Oppure, sul piano politico, noi trattiamo problemicome la criminalità, la droga o l‟evasione fiscale separatamente, uno per uno, come se nonfossero tutti interconnessi da un‟unica società che li ha generati. 

 Ma è soprattutto nella medicina, come ben sappiamo, che l‟approccio “specialistico” ha creato ildisastro sanitario a cui oggi assistiamo, allargando in modo impressionante la “forbice” fra lamedicina ufficiale e quella cosiddetta alternativa. Dove per “alternativo” non si intendono soloerboristi e rimedi naturali, ma tutti quelli scienziati che hanno finalmente deciso di saltare il fosso eabbandonare il vecchio paradigma dualistico per quello nuovo, olistico.

Nasce così un documentario come “The Living Matrix”, nel quale alcuni ricercatori d‟avanguardia propongono concetti assolutamente innovativi, fino ad oggi impensabiliper la maggioranza dei comuni mortali. (Concetti che si ritrovano però, paradossalmente,nella tanto vituperata medicina ayurvedica, di 4.000 anni più antica della nostra).

Ne riassumiamo soltanto i principali, ciascuno dei quali basterebbe ad alimentare unadiscussione per intere settimane.

CERVELLO - Il cervello non sembra affatto essere la sede assoluta della memoria nèdella conoscenza. Sarebbe piuttosto una specie di “antenna ricevente”, uno strumentointermedio fra il corpo umano e una “intelligenza universale”, presente in ogni luogo nellaforma di campo energetico. Il cervello sarebbe in grado di sintonizzarsi con questo campoenergetico, dal quale attinge di volta in volta le informazioni necessarie in ogni momento.

SISTEMA NERVOSO - Insufficiente a spiegare la complessità, la velocità e lacontemporaneità di diffusione di tutti i segnali provenienti dal cervello, il sistema nervosoviene ridimensionato a “sistema di servizio”, atto a trasportare solo i segnali più lenti e

ingombranti, mentre il resto del “coordinamento” di tutte le cellule avverrebbedirettamente attraverso il campo energetico.

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142CUORE -   A sua volta non sarebbe il cervello ma il cuore, dotato di sistema nervoso e di

memoria indipendenti, l‟organo primario deputato a coordinare l‟insieme dell‟organismo umano. Viene naturale a questo punto fare il parallelo con le dottrine orientali, nelle quali il

corpo umano riceve letteralmente i flussi energetici vitali (prana) attraverso i cosiddettichakra, fra i quali è proprio quello del cuore/plesso solare ad essere il più importante.

GENETICA - I geni non hanno la funzione assoluta di determinare gli eventi fisici delnostro corpo (crescita, aspetto esteriore, malattie ecc.), ma ne avrebbero solo il “potenzialeesecutivo”, che viene azionato di volta in volta dal campo di informazioni che ci circonda.  

Essendo noi in grado di collegarci con questo campo energetico e di influenzarlo, vienespiegato un altro concetto fondamentale che fino ad oggi la medicina ufficiale si è limitataa riconoscere, senza mai volerlo approfondire: l‟effetto placebo. 

Quante volte il dottore vi ha detto “ Mi prenda tre Cibalgine due volte al dì, e stia attento anon stressarsi troppo”? Lo dicono perchè sanno benissimo che esiste una interazione mente-corpo, ma poi si dimenticano di studiarla. Attraverso lo stesso principio si può anchespiegare la capacità dei cosiddetti “ guaritori miracolosi”, sciamani e via dicendo.

In fondo, lo stesso Einstein aveva decretato, molti anni fa, che “il campo è l‟unico agenteche governa la materia”. Chissà perchè nessuno aveva mai pensato ad estendere questoconcetto alle altre discipline scientifiche?

Riporto qui un articolo de Il Corriere della Sera del 31 maggio 2008 ed insieme

cerchiamo di capire il senso di questa triste ma anche bella storia, impostata sull‟amore.WASHINGTON - I suoi genitori sfidarono le scienze e la medicina tradizionale, inventando quelloche venne ribattezzato «olio di Lorenzo». Grazie alla loro caparbietà, è vissuto quattro lustriin più rispetto alle previsioni degli esperti. Ma a 30 anni appena compiuti, la malattia ha

terminato il suo corso. E Lorenzo Odone - la cui storia aveva ispirato anche un film conSusan Sarandon e Nick Nolte (L'olio di Lorenzo) - è morto negli Stati Uniti.Augusto e Micaela Odone furono i protagonisti di un vero e proprio miracolo medico: 

cercarono disperatamente e infine trovarono una soluzione per la terribile malattia di cuisoffriva il figlio, la adrenoleucodistrofia, e che gli stava distruggendo la guaina che rivestei nervi. La malattia del ragazzo si manifestò nel 1983: difficoltà di concentrazione, calodella vista, dell'udito e della parola. Dopo aver escluso una malattia tropicale, i medicidiagnosticarono l'Adl e non diedero molte speranze ai genitori. Augusto e Micaela compreserosubito che si trattava di una malattia terribile, che provoca un accumulo incontrollato di acidi

  grassi che danneggiano la guaina protettiva dei nervi, colpendo prima le funzioni motorie e poi

quelle psichiche; ma avevano rifiutato quella condanna a morte sul loro figlio e sfidando lascienza avevano messo a punto un trattamento a base di olio di oliva e di colza che riuscì a fermare per alcuni anni la malattia perché neutralizzava l'accumulo di sostanze tossiche chedistruggevano la mielina. Sotto le sollecitazioni dei coniugi, gruppi di scienziati si misero astudiare quel composto e cercare di dimostrarne i meccanismi di azione. Il composto,costituito da alcuni acidi grassi, è stato per lunghi anni l'unica medicina per Lorenzo ingrado di bloccare il progredire della malattia.

Nell'89, nasce il progetto Mielina, un programma di ricerca che ha tutt'ora l'obiettivo dicapire perché la guaina che avvolge i nervi si distrugge progressivamente  provocandonumerose e gravi malattie che colpiscono circa un milione di persone nei Paesi occidentali. La

notizia, data da tutti i telegiornali e dalla stampa quotidiana, riempie il cuore di cordoglionelle persone perbene, altruiste, consapevoli e partecipi delle sofferenze altrui, non ancora(e forse mai) inaridite dalla lotta quotidiana per sopravvivere.

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143143 Indice

II° LIBRO –  Petrus Romanus. Una Vita 

5. Il racconto di una illusione e di un inganno 

6. Nasce un cristiano

12. Gesuita in progetto18. Vent‟anni dopo 20. Ma chi sono i Gesuiti, perchè nascono e quale è il loro ruolo nella Controriforma?

25. Novizio ma non troppo

34. Studio, e volentieri

46. L‟amore di Gesù 

59. L‟antiliturgico

 64. Povera Chiesa76. Quando il meglio è nemico del bene 

78. Ebrei, Gesuiti e Massoni

88. Cerco l‟uomo 

95. Galleria di ritratti

104. La donna nella Chiesa109. Genesi Biblica

110. Castità e calibato

119. La tempesta

125. La rovina136. Le nuove frontiere del pensiero e del mondo, che avevo ignorato per ignavia140. Il risveglio dalle matrici

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