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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 72 (48.396) Città del Vaticano domenica 29 marzo 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!z!@!$!; OSPEDALE DA CAMPO TEMPORE F AMIS La Chiesa in prima linea Messaggio del cardinale LUIS ANTONIO G. TAGLE Intervista al cardinale BLASE JOSEPH CUPICH Testimonianze dalla Mongolia dalla Papua Nuova Guinea, dal Kenya dal Brasile, dal Mozambico e dall’Italia DA PAGINA 5 A 8 NOSTRE INFORMAZIONI L’abbraccio di Dio all’umanità nella tempesta IN PIAZZA SAN PIETRO LA PREGHIERA DI FRANCESCO SI CARICA DEL GRIDO DI ANGOSCIA E DI SPERANZA DEL MONDO di ANDREA TORNIELLI I l Protagonista della preghiera che la sera del 27 marzo — anticipo del Venerdì Santo — Papa Francesco ha celebrato in una Piazza San Pietro vuota e sprofondata in un silenzio irreale, è stato Lui. Il Crocifisso, con la pioggia battente che gli irrigava il corpo, così da aggiungere al san- gue dipinto sul legno quell’acqua che il Vangelo ci racconta essere sgorgata dalla ferita inferta dalla lancia. Quel Cristo Crocifisso soprav- vissuto all’incendio, che i romani portavano in processione contro la peste; quel Cristo Crocifisso che san Giovanni Paolo II ha ab- bracciato durante la liturgia peni- tenziale del Giubileo del 2000, è stato protagonista silenzioso e inerme al centro dello spazio vuo- to. Persino Maria, Salus populi Romani, incapsulata nella teca di plexiglass divenuta opaca a causa della pioggia, è sembrata cedere il passo, quasi scomparire, umil- mente, di fronte a Lui, innalzato sulla croce per la salvezza dell’umanità. Papa Francesco è apparso pic- colo, e ancora più curvo mentre saliva non senza fatica e in solitu- dine i gradini del sagrato, facen- dosi interprete dei dolori del mondo per offrirli ai piedi della Croce: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». L’angoscian- te crisi che stiamo vivendo con la pandemia «smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le no- stre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità» e «ora mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: Svegliati Signore!». La sirena di un’ambulanza, una delle tante che in queste ore attra- versano i nostri quartieri per soc- correre i nuovi contagiati, ha ac- compagnato insieme alle campane il momento della benedizione eu- caristica Urbi et Orbi, quando il Papa, ancora solo, si è riaffacciato sulla piazza deserta e sferzata dal- la pioggia tracciando il segno del- la croce con l’ostensorio. Ancora, il Protagonista è stato Lui, quel Gesù che immolandosi ha voluto farsi cibo per noi e che anche og- gi ci ripete: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?... Voi non abbiate paura». Il Crocifisso bagnato dalle lacrime del Cielo Qualcosa in più della paura per la solitudine e l’abbandono N el 1955 lo scrittore inglese C.S. Lewis, da poco tempo rimasto vedovo per la morte prematura della moglie malata di tu- more, scrive all’amico Malcom, gra- vemente ammalato, una lettera per consolarlo e gli racconta la passione di Gesù, abbandonato da tutti, fla- gellato e condannato ingiustamente a morte, talmente solo che sulla cro- ce le sue parole rivolte al Padre sono “Dio mio, perché mi hai abbandona- to?”. Un modo davvero singolare di consolare. A Gesù tempo prima era stata ri- volta una domanda piena di ango- scia, la domanda sulla morte: “Non ti importa che noi moriamo?”. Sono i discepoli che svegliano Gesù che dorme sulla poppa della barca presa dalla tempesta sul lago di Tiberiade. Su questa scena raccontata dal Van- gelo di Marco si è soffermato Papa Francesco che ha ripetuto più volte questa domanda nel suo discorso pronunciato ieri pomeriggio in piaz- za San Pietro. Poi il Papa ha prega- to di fronte all’icona della Salus po- puli Romani e davanti al crocifisso della chiesa di San Marcello traspor- tato per l’occasione e messo lì in piazza, davanti alla Basilica, sotto la pioggia. Sul volto ligneo la smorfia del dolore, sembra che stia chieden- do: “Non vi importa che io muoio?”. Gesù è morto solo, condannato dal suo popolo, abbandonato dai suoi amici. È morto da solo e per le atro- ci sofferenze dovute non solo alle fe- rite ma, innanzitutto, dal soffoca- mento causato dal fatto di essere ap- peso alla croce. Un crocifisso muore di asfissia. Ieri quasi mille persone in Italia sono morte per coronavirus, sono morti da soli e per soffocamen- to, senza respiro. L’aspetto più atro- ce di questa pandemia sta proprio nella solitudine a cui ci condanna a vivere e soprattutto a morire. Tutto questo spaventa ogni uomo, ma al cristiano, oltre alla paura, dona mi- steriosamente qualcosa in più. Il cristiano sa che è Gesù che continua a soffrire in questi fratelli e sorelle, come se si stesse compiendo ciò che manca alle sue sofferenze (Colossesi 1,24). Nel finale di quella lettera a Mal- com del 1955 Lewis concludeva: «So- no convinto che quello che tu e io possiamo veramente condividere in questo momento sia soltanto l’oscu- rità; condividerla fra noi e, ciò che più conta, con il nostro Maestro. Non ci troviamo su un sentiero non ancora battuto, ma anzi sulla strada principale». ANDREA MONDA Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Professor Andrea Monda, Di- rettore de «L’Osservatore Ro- mano». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Professor Avvocato Paolo Pa- panti-Pelletier, Giudice Unico del Tribunale dello Stato del- la Città del Vaticano. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Professor Franco Anelli, Ret- tore Magnifico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Onorevole Virginia Raggi, Sindaco di Roma. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pasto- rale dell’Arcidiocesi di Me- rauke (Indonesia), presentata da Sua Eccellenza Monsi- gnor Nicolaus Adi Seputra, M.S.C. Il Santo Padre ha nominato Consigliere della Penitenzieria Apostolica il Reverendo Monsignore Giuseppe Tonel- lo, appartenente al clero ro- mano, Cancelliere, Membro del Consiglio Presbiterale e della Commissione Discipli- nare del Vicariato di Roma. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo titolare di Aretusa dei Siri il Reverendo Sacerdo- te Rami Al-Kabalan, al pre- sente Visitatore Apostolico per i fedeli siri nell’Europa Occidentale e Procuratore del Patriarcato di Antiochia dei Siri presso la Santa Sede. L’eletto ha assunto il nome di «Flaviano». Dalle Chiese Orientali Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Antio- chia dei Siri ha eletto Esarca per i fedeli siri a Gerusalem- me, Palestina e Giordania il Reverendo Sacerdote Camil Afram Antoine Semaan, fino- ra Amministratore Patriarcale della medesima circoscrizione, al quale il Santo Padre aveva concesso il Suo Assenso e gli ha assegnato la sede titolare di Gerapoli dei Siri. Alle 18 di venerdì 27 marzo Papa Francesco ha presieduto, in piazza San Pietro e nell’atrio della basilica Vaticana, un momen- to straordinario di preghiera per implorare la fine della pandemia e far giungere all’umani- tà «in balia della tempesta» l’«abbraccio consolante di Dio» che «dona salute ai corpi e conforto ai cuori». Dall’ascolto del passo evangelico di Marco (4, 35-41), il vescovo di Roma ha preso spun- to per la sua appassionata meditazione. Do- po aver sostato in preghiera davanti all’im- magine di Maria Salus populi Romani e al Crocifisso di San Marcello al Corso, il Pon- tefice ha guidato l’adorazione del Santissimo Sacramento. E ha poi impartito la benedizio- ne eucaristica, con annessa l’indulgenza ple- naria. La mattina dopo, Papa Francesco ha offer- to la messa celebrata a Santa Marta per le tante persone che, a causa delle conseguenze della pandemia, intravedono anche lo spettro della fame, vivendo situazioni sempre più estreme di povertà. E ha invitato i sacerdoti e le religiose a non aver paura di stare, in que- sta ora drammatica, in mezzo al loro popolo per testimoniare Cristo. PAGINE 9 E 10 Mattarella: solidarietà nell’interesse dell’E u ro p a ROMA, 28. «Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi sche- mi ormai fuori dalla realtà delle dramma- tiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è an- che nel comune interesse». Con queste pa- role il presidente della Repubblica italia- na, Sergio Mattarella, ha lanciato ieri un forte appello all’Unione europea nel pieno della pandemia di coronavirus. Gli ha fat- to eco il presidente francese Macron che ha detto: «Invoco solidarietà, se l’Unione può morire è perché non agisce». PAGINA 2

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 72 (48.396) Città del Vaticano domenica 29 marzo 2020

.

y(7HA3J1*QSSKKM( +"!z!@!$!;

OSPEDALE DA CAMPOTEMPORE FAMIS

La Chiesa in prima linea• Messaggio del cardinale

LUIS ANTONIO G. TAGLE

• Intervista al cardinaleBLASE JOSEPH CUPICH

• Testimonianze dalla Mongoliadalla Papua Nuova Guinea, dal Kenyadal Brasile, dal Mozambico e dall’Italia

DA PA G I N A 5 A 8

NOSTRE INFORMAZIONI

L’abbraccio di Dioall’umanità nella tempesta

IN PIAZZA SAN PIETRO LA PREGHIERA DI FRANCESCO SI CARICA DEL GRID O DI ANGOSCIA E DI SPERANZA DEL MOND O

di ANDREA TORNIELLI

I l Protagonista della preghierache la sera del 27 marzo —anticipo del Venerdì Santo —

Papa Francesco ha celebrato inuna Piazza San Pietro vuota esprofondata in un silenzio irreale,è stato Lui. Il Crocifisso, con lapioggia battente che gli irrigava ilcorpo, così da aggiungere al san-gue dipinto sul legno quell’acquache il Vangelo ci racconta esseresgorgata dalla ferita inferta dallalancia.

Quel Cristo Crocifisso soprav-vissuto all’incendio, che i romaniportavano in processione controla peste; quel Cristo Crocifissoche san Giovanni Paolo II ha ab-bracciato durante la liturgia peni-tenziale del Giubileo del 2000, èstato protagonista silenzioso einerme al centro dello spazio vuo-to. Persino Maria, Salus populiRomani, incapsulata nella teca diplexiglass divenuta opaca a causadella pioggia, è sembrata cedere ilpasso, quasi scomparire, umil-mente, di fronte a Lui, innalzatosulla croce per la salvezzadell’umanità.

Papa Francesco è apparso pic-colo, e ancora più curvo mentresaliva non senza fatica e in solitu-dine i gradini del sagrato, facen-dosi interprete dei dolori delmondo per offrirli ai piedi dellaCroce: «Maestro, non t’imp ortache siamo perduti?». L’angoscian-te crisi che stiamo vivendo con lapandemia «smaschera la nostravulnerabilità e lascia scopertequelle false e superflue sicurezzecon cui abbiamo costruito le no-stre agende, i nostri progetti, lenostre abitudini e priorità» e «oramentre stiamo in mare agitato, tiimploriamo: Svegliati Signore!».

La sirena di un’ambulanza, unadelle tante che in queste ore attra-versano i nostri quartieri per soc-correre i nuovi contagiati, ha ac-compagnato insieme alle campaneil momento della benedizione eu-caristica Urbi et Orbi, quando ilPapa, ancora solo, si è riaffacciatosulla piazza deserta e sferzata dal-la pioggia tracciando il segno del-la croce con l’ostensorio. Ancora,il Protagonista è stato Lui, quelGesù che immolandosi ha volutofarsi cibo per noi e che anche og-gi ci ripete: «Perché avete paura?Non avete ancora fede?... Voi nonabbiate paura».

Il Crocifissobagnato

dalle lacrimedel Cielo

Qualcosa in piùdella paura

per la solitudinee l’abbandono

Nel 1955 lo scrittore ingleseC.S. Lewis, da poco temporimasto vedovo per la morte

prematura della moglie malata di tu-more, scrive all’amico Malcom, gra-vemente ammalato, una lettera perconsolarlo e gli racconta la passionedi Gesù, abbandonato da tutti, fla-gellato e condannato ingiustamentea morte, talmente solo che sulla cro-ce le sue parole rivolte al Padre sono“Dio mio, perché mi hai abbandona-to?”. Un modo davvero singolare dic o n s o l a re .

A Gesù tempo prima era stata ri-volta una domanda piena di ango-scia, la domanda sulla morte: “Nonti importa che noi moriamo?”. Sonoi discepoli che svegliano Gesù chedorme sulla poppa della barca presadalla tempesta sul lago di Tiberiade.Su questa scena raccontata dal Van-gelo di Marco si è soffermato PapaFrancesco che ha ripetuto più voltequesta domanda nel suo discorsopronunciato ieri pomeriggio in piaz-za San Pietro. Poi il Papa ha prega-to di fronte all’icona della Salus po-puli Romani e davanti al crocifissodella chiesa di San Marcello traspor-tato per l’occasione e messo lì inpiazza, davanti alla Basilica, sotto lapioggia. Sul volto ligneo la smorfiadel dolore, sembra che stia chieden-do: “Non vi importa che io muoio?”.Gesù è morto solo, condannato dalsuo popolo, abbandonato dai suoiamici. È morto da solo e per le atro-ci sofferenze dovute non solo alle fe-rite ma, innanzitutto, dal soffoca-mento causato dal fatto di essere ap-peso alla croce. Un crocifisso muoredi asfissia. Ieri quasi mille personein Italia sono morte per coronavirus,sono morti da soli e per soffocamen-to, senza respiro. L’aspetto più atro-ce di questa pandemia sta proprionella solitudine a cui ci condanna avivere e soprattutto a morire. Tuttoquesto spaventa ogni uomo, ma alcristiano, oltre alla paura, dona mi-steriosamente qualcosa in più. Ilcristiano sa che è Gesù che continuaa soffrire in questi fratelli e sorelle,come se si stesse compiendo ciò chemanca alle sue sofferenze (Colossesi1,24).

Nel finale di quella lettera a Mal-com del 1955 Lewis concludeva: «So-no convinto che quello che tu e iopossiamo veramente condividere inquesto momento sia soltanto l’oscu-rità; condividerla fra noi e, ciò chepiù conta, con il nostro Maestro.Non ci troviamo su un sentiero nonancora battuto, ma anzi sulla stradaprincipale».

ANDREA MONDA

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza ilProfessor Andrea Monda, Di-rettore de «L’Osservatore Ro-mano».

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienzal’Eminentissimo CardinaleMarc Ouellet, Prefetto dellaCongregazione per i Vescovi.

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza ilProfessor Avvocato Paolo Pa-panti-Pelletier, Giudice Unicodel Tribunale dello Stato del-la Città del Vaticano.

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza ilProfessor Franco Anelli, Ret-tore Magnifico dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienzal’Onorevole Virginia Raggi,Sindaco di Roma.

Il Santo Padre ha accettatola rinuncia al governo pasto-rale dell’Arcidiocesi di Me-rauke (Indonesia), presentatada Sua Eccellenza Monsi-gnor Nicolaus Adi Seputra,M.S.C.

Il Santo Padre ha nominatoConsigliere della PenitenzieriaApostolica il ReverendoMonsignore Giuseppe Tonel-lo, appartenente al clero ro-mano, Cancelliere, Membrodel Consiglio Presbiterale edella Commissione Discipli-nare del Vicariato di Roma.

Provvista di ChiesaIl Santo Padre ha nominato

Vescovo titolare di Aretusadei Siri il Reverendo Sacerdo-te Rami Al-Kabalan, al pre-sente Visitatore Apostolicoper i fedeli siri nell’E u ro p aOccidentale e Procuratore delPatriarcato di Antiochia dei

Siri presso la Santa Sede.L’eletto ha assunto il nome di«Flaviano».

Dalle Chiese OrientaliIl Sinodo dei Vescovi della

Chiesa Patriarcale di Antio-chia dei Siri ha eletto Esarcaper i fedeli siri a Gerusalem-me, Palestina e Giordania ilReverendo Sacerdote CamilAfram Antoine Semaan, fino-ra Amministratore Patriarcaledella medesima circoscrizione,al quale il Santo Padre avevaconcesso il Suo Assenso e gliha assegnato la sede titolaredi Gerapoli dei Siri.

Alle 18 di venerdì 27 marzo Papa Francescoha presieduto, in piazza San Pietro enell’atrio della basilica Vaticana, un momen-to straordinario di preghiera per implorare lafine della pandemia e far giungere all’umani-tà «in balia della tempesta» l’«abbraccioconsolante di Dio» che «dona salute ai corpie conforto ai cuori».

D all’ascolto del passo evangelico di Marco(4, 35-41), il vescovo di Roma ha preso spun-to per la sua appassionata meditazione. Do-po aver sostato in preghiera davanti all’im-

magine di Maria Salus populi Romani e alCrocifisso di San Marcello al Corso, il Pon-tefice ha guidato l’adorazione del SantissimoSacramento. E ha poi impartito la benedizio-ne eucaristica, con annessa l’indulgenza ple-naria.

La mattina dopo, Papa Francesco ha offer-to la messa celebrata a Santa Marta per letante persone che, a causa delle conseguenzedella pandemia, intravedono anche lo spettrodella fame, vivendo situazioni sempre piùestreme di povertà. E ha invitato i sacerdoti ele religiose a non aver paura di stare, in que-sta ora drammatica, in mezzo al loro popoloper testimoniare Cristo.

PAGINE 9 E 10

Mattarella: solidarietànell’interesse dell’E u ro p aROMA, 28. «Sono indispensabili ulterioriiniziative comuni, superando vecchi sche-mi ormai fuori dalla realtà delle dramma-tiche condizioni in cui si trova il nostroContinente. La solidarietà non è soltantorichiesta dai valori dell’Unione ma è an-che nel comune interesse». Con queste pa-role il presidente della Repubblica italia-na, Sergio Mattarella, ha lanciato ieri unforte appello all’Unione europea nel pienodella pandemia di coronavirus. Gli ha fat-to eco il presidente francese Macron cheha detto: «Invoco solidarietà, se l’Unionepuò morire è perché non agisce».

PAGINA 2

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 29 marzo 2020

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Forte appello di Mattarella nel pieno dell’emergenza coronavirus

Più solidarietà nell’i n t e re s s edell’E u ro p a

Aumenta il prezzo del grano a causa della pandemia

La Fao teme una crisialimentare globale

ROMA, 28. «Stiamo vivendo una pa-gina triste della nostra storia. Abbia-mo visto immagini che sarà impossi-bile dimenticare. Alcuni territori — ein particolare la generazione più an-ziana — stanno pagando un prezzoaltissimo». Ha usato queste parole,ieri sera, il presidente della Repub-blica, Sergio Mattarella, per rivolger-si a tutti gli italiani nel pienodell’emergenza coronavirus. Standoai media, sono circa 25.000 i mortiin tutto il mondo, e i contagi au-mentano di ora in ora.

«Sono indispensabili ulteriori ini-ziative comuni, superando vecchischemi ormai fuori dalla realtà delledrammatiche condizioni in cui sitrova il nostro Continente. Mi augu-ro — ha sottolineato Mattarella —che tutti comprendano appieno, pri-ma che sia troppo tardi, la gravitàdella minaccia per l’Europa. La soli-darietà non è soltanto richiesta daivalori dell’Unione ma è anche nelcomune interesse».

Mattarella ha ringraziato le forzedell’ordine, il personale sanitario e iricercatori che in questo momentostanno lottando in prima linea perfermare i contagi e i decessi. Ha poifatto appello nuovamente alla re-sponsabilità dei singoli cittadini, cheè «la risorsa più importante su cuipuò contare uno stato democraticoin momenti come quello che stiamovivendo». La risposta del popoloitaliano è «oggetto di ammirazioneanche all’estero, come ho potutoconstatare nei tanti colloqui telefoni-ci con Capi di Stato stranieri». InItalia «sono state prese misure moltorigorose ma indispensabili, con nor-me di legge — sia all’inizio che dopola fase di necessario continuo aggior-namento — norme, quindi, sottopo-ste all’approvazione del Parlamen-to». In conclusione, uno sguardo alfuturo: «Nella ricostruzione il nostropopolo ha sempre saputo esprimereil meglio di sé».

A raccogliere l’appello del Quiri-nale per un’Europa più solidale èstato il presidente francese, Emma-nuel Macron. «Invoco solidarietà, sel’Unione può morire è perché non

agisce» ha detto il capo dell’Eliseoin un’intervista al «Corriere della se-ra». Insieme ad altri capi di stato edi governo, ha detto Macron, «ab-biamo indirizzato, prima del Consi-glio, una lettera a Charles Michelper inviare un messaggio chiaro: nonsupereremo questa crisi senza unasolidarietà europea forte, a livello sa-nitario e di bilancio. Questo è ilpunto di partenza. Gli strumentivengono in seguito e dobbiamo esse-re aperti: può trattarsi di una capaci-tà di indebitamento comune, oppuredi un aumento del bilancio Ue permettere un sostegno reale ai Paesipiù colpiti da questa crisi». Macronha fatto riferimento anche al dibatti-to attuale sui coronavirus: «Preferi-sco un’Europa che accetti divergenzee dibattiti piuttosto che un’unità difacciata che conduce all’immobili-smo».

Intanto, ieri si è registrato unnuovo tonfo delle Borse: Londra èarrivata a perdere oltre il cinque percento. A confermare la difficoltà delmomento è anche il Fondo moneta-rio internazionale (Fmi): «È chiaroche siamo entrati in recessione,uguale o peggiore rispetto al 2009.Prevediamo una ripresa nel 2021.Una delle preoccupazioni è una pos-sibile ondata di default» così il di-rettore generale del Fmi, KristalinaG e o rg i e v a .Il presidente italiano Sergio Mattarella (Reuters)

di FRANCESCO CITTERICH

L’assalto ai supermercati chein tutto il mondo sta ac-compagnando ogni nuovo

avviso di misure restrittive per con-trastare l’avanzata minacciosa delCovid-19, non rischia soltanto diallarmare la popolazione, ma anchei governi e i mercati.

La paura genera ulteriore paurae tutto ciò ha un costo economico,che si misura nell’aumento deiprezzi delle derrate alimentari, manon solo. Lo ha sottolineato Ab-dolreza Abbassian, capo economi-sta della Organizzazione delle Na-zioni Unite per l’alimentazione el’agricoltura (Fao), secondo cuil’inflazione nei beni alimentari di-penderà soprattutto da come go-verni e imprese reagiranno ai piùelevati ritmi di consumo: «Tuttociò che serve [affinché i prezzi ali-mentari aumentino ndr] è l’acqui-sto di panico da grandi importatoricome mugnai o i governi per creareuna crisi». «Non è un problema diapprovvigionamento, ma è un cam-biamento comportamentale rispettoalla sicurezza alimentare», ha di-chiarato Abbassian all’agenzia distampa Reuters. «Che cosa succedese gli acquirenti all’ingrosso pensa-no di non poter ottenere spedizionidi grano o riso a maggio o giugno?Questo è ciò che potrebbe portarea una crisi globale dell’a p p ro v v i -gionamento alimentare».

I primi segni ci sono. I Paesi im-portatori scalpitano per accaparrarebeni come il grano — è il casodell’Indonesia, che ha prelevatogran parte dei carichi dalla regionedel Mar Nero — mentre quelliesportatori, come la Francia, corro-no per aumentare le esportazioni.La conferma che i prezzi stiano sa-lendo è data dal benchmark globa-le sui futures del grano di Chicago,aumentato recentemente di oltre il6 per cento, il più grande guada-gno settimanale in nove mesi. Undato significativo in quanto il gra-no è alla base dei consumi alimen-tari in occidente.

Secondo la Coldiretti, in Italiadall’inizio della pandemia i consu-

mi di farina sono schizzati in alto,più 80 per cento. Un dato che pe-rò è in apparente contrasto conl’indice dei prezzi dei cereali dellaFao che ha registrato a livello mon-diale una media di 167,8 punti afebbraio, in calo di 1,5 punti (0,9per cento) da gennaio. Lo stessovale per l’indice dei prezzi alimen-tari, trainati in basso da un fortecalo nei prezzi all’esportazione dioli vegetali e, in misura minore, dicarne e cereali, per una media di180,5 punti a febbraio 2020, in calodi 1,9 punti (1,0 per cento) rispettoa gennaio. Ma i dati risalgono allaprima settimana di marzo quandol’epidemia di coronavirus non eraancora stata dichiarata ufficialmen-te una pandemia. Il timore è cheun aumento nei prezzi alimentaripossa aumentare l’inflazione “dac o ro n a v i ru s ”, dovuta alla rotturadella produzione e distribuzione eil conseguente aumento nei costi diproduzione. Uno scenario che peril momento ha colpito principal-mente la Cina ma che si teme pos-sa contagiare a breve anche il restodel mondo. Anche se la produzio-ne cerealicola mondiale appare so-lida, gli effetti delle insufficientiprecipitazioni sulla produzioneagricola hanno aggiunto due paesi— Namibia e Tanzania — all’elencodella Fao dei paesi che necessitanodi assistenza alimentare esterna, ilche va a sommarsi alle difficoltà in-nescate dalle locuste.

Nonostante i problemi dell’Afri-ca orientale, nel 2019 la produzionecerealicola complessiva dei 51 Paesia basso reddito con deficit alimen-tare (Lifdc) è aumentata dell’1,0per cento, trainata dai guadagni inAsia centrale e nel Vicino Oriente.Tuttavia il fabbisogno previsto diimportazioni di cereali per i Lifdcè stimato a 719 milioni di tonnella-te, un aumento di 4,2 milioni ditonnellate rispetto all’anno prece-dente. Il fabbisogno di importazio-ni è aumentato, in particolare, inZimbabwe e Kenya a causa degliscarsi raccolti e delle scarsissimescorte, mentre è diminuito in Af-ghanistan e in Siria.

Boom di casiin Irlanda

Regno Unitoe Spagna

BRUXELLES, 28. Si fa sempre piùstringente in Europa la battagliacontro il coronavirus. Record di con-tagi e morte nel Regno Unito, con181 decessi in 24 ore, mentre in Spa-gna si registrano 769 vittime in unsolo giorno. Nel frattempo l’Irlandaordina il lockdown.

Nel Regno Unito gli ultimi datisegnalano una nuova impennata conquasi 3000 contagi in più nell’ultimogiorno. Il virus ha investito anche ilgoverno, contagiando oltre al pre-mier, Boris Johnson, anche il mini-stro della Salute, Matt Hancock.

In Spagna, dove gli ospedali sonomessi in ginocchio con 10 mila ope-ratori sanitari risultati positivi al Co-vid-19, si contano oramai quasi 5 mi-la morti. La situazione è particolar-mente preoccupante a Madrid, dovesono stati confermati 322 decessi inun giorno. L’esecutivo di Pedro San-chez sta intanto mettendo a puntoun piano per reperire centinaia diventilatori, che giacciono inutilizzatinelle cliniche private, mentre sonostate adottate ulteriori misure, tracui la proibizione dei licenziamentidurante l’e m e rg e n z a .

Nello stesso momento Dublinoimpone severe misure per contenerela diffusione del coronavirus. A par-tire dalla mezzanotte e fino al 12aprile «tutti devono restare in casa,in qualsiasi circostanza». Lo ha an-nunciato il premier Leo Varadkar,precisando che saranno possibili ec-cezioni per recarsi al lavoro, fare laspesa, andare dal medico.

General Motors convertirà la produzione e fabbricherà respiratori

Gli Usa attendono il picco epidemico

Scorte di disinfettante per le mani a Seattle (Epa)

Superati i diecimila contagi in America LatinaL’Oms preoccupata per la debolezza delle strutture sanitarie

In Africa si rischiaun’evoluzione drammatica

WASHINGTON, 28. Mentre il presi-dente Donald Trump firmava ieri ilpacchetto da duemila miliardi didollari per rilanciare l’economiaUsa, duramente colpita dal corona-virus, gli Stati Uniti superavano,unico paese al mondo, la cifra deicentomila contagi. A distanza di unmese esatto dalla prima vittima, nelpaese il numero dei decessi legati alCovid-19 è arrivato a 1600 circa ,con 345 morti nelle ultime 24 ore.Ma per il momento il tasso di mor-talità rimane molto più basso chein molti paesi europei.

Thomas Tsai, professore di sanitàpubblica ad Harvard, ha dichiaratoche sarebbe necessario uno sforzocollettivo per lo sviluppo di uncoordinamento nazionale, in quan-to «gli Stati Uniti non sono unmonolite, ci sono 50 stati conrisposte diverse dai governatori lo-cali e dai dipartimenti di sanitàpubblica».

Virologi ed epidemiologi affer-mano che il picco dell’epidemianon è ancora stato raggiunto negliStati Uniti sebbene il coronavirussembrerebbe essere già esploso nelsuo massimo potenziale. «Se fossi-mo stati in grado di rintracciare icontatti che avevano avuto le per-sone infette, forse avremmo potutotrovare molti altri casi rapidamentee isolare i luoghi di grande diffu-sione», ha spiegato il dr Gabor Ke-len, direttore del Dipartimento dimedicina d’urgenza della JohnsHopkins University, istituto impe-

gnato in prima linea nell’e m e rg e n z asanitaria. Secondo la facoltà di me-dicina dell’Università di Washin-gton il picco dell’epidemia è previ-sto intorno alla metà di aprile.

Intanto il presidente Trump ieri,ricorrendo al Defense ProductionAct, legge varata negli anni ‘50 chegli consente di riorientare la produ-

zione di alcune industrie, ha datomandato a General Motors di fab-bricare ventilatori polmonari. «Ilnostro impegno non è mai manca-to», ha ribattuto il portavoce diGm, James Caine, spiegando comel’azienda stia lavorando «24 ore algiorno soddisfare il bisogno» dellea p p a re c c h i a t u re .

GINEVRA, 28. Preoccupa la diffu-sione del Covid-19 nel continenteafricano secondo la direzione gene-rale per l’Africa dell’O rganizzazio-ne mondiale della sanità (Oms). Sirischia un’evoluzione drammaticagià con 39 paesi contagiati e circatrecento nuovi casi quotidiani perun totale di oltre duemila.

Il segretario generale delle Na-zioni Unite, António Guterres, hadichiarato che saranno necessari al-meno due miliardi di dollari peravviare un piano di risposta globa-le, al fine di circoscrivere e gestirela diffusione del coronavirus nelsud del mondo. Solo una rispostaconcertata di tutti gli attori interna-

zionali, ha sottolineato, potrà scon-giurare il peggio. Il piano del Pa-lazzo di vetro prevede di coinvol-gere l’Oms con 450 milioni di dol-lari, l’Unicef con 405 milioni e ilProgramma alimentare mondiale(Pam) con 350 milioni.

Sulla questione è intervenuto ilprimo ministro dell’Etiopia, AbiyAhmed, affermando che le istitu-zioni finanziarie internazionali e ilG20 dovrebbero lanciare un fondoglobale, per sostenere i sistemi sa-nitari in Africa. Ahmed ha messoin guardia contro un possibile ef-fetto boomerang del Covid-19 se ipaesi industrializzati non aiuteran-no l’Africa.

BRASÍLIA, 28. I contagi da Covid-19in America Latina hanno raggiuntoe oltrepassato ieri quota 10.000. Leprossime due settimane saranno de-terminanti per impedire scenaridrammatici registrati in altre partidel mondo. Lo ha riferito ieri l’O r-ganizzazione mondiale della sanità(Oms), avvalendosi dei dati fornitidalle singole autorità sanitarie na-zionali.

La preoccupazione dell’Oms perla situazione nella regione, sebbenenon esplosa come in Asia, Europa eAmerica del Nord, è legata alla de-

bolezza delle strutture sanitarie del-la maggior parte dei paesi, in soffe-renza anche di fronte alla normaleattività di assistenza alla popola-zione.

Al momento tutte le nazioni han-no adottato misure per contenere ladiffusione del virus. Alcuni hannoagito in modo più restrittivo conmisure drastiche di quarantena echiusura totale delle frontiere, comeEl Salvador e Argentina, altri han-no stabilito provvedimenti meno ri-gidi per non bloccare le attivitàproduttive e l’economia nazionale,

come Brasile, Ecuador e Cile. P ro -prio questi tre sono i paesi più col-piti dal coronavirus. Singolarmentehanno superato la cifra di oltre1.000 persone contagiate.

Il numero totale dei decessi inAmerica Latina sta per raggiungerequota 200, di cui 80 solo in Brasiledove il 27 febbraio scorso era statoregistrato il primo caso ufficiale dicontagio da Covid-19. In Argentina,invece, dove il numero totale deidecessi ha raggiunto quota 17, laprima vittima era stata segnalata il7 marzo.

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 29 marzo 2020 pagina 3

Nel nome di Matteo Ricci e della carità

Cinesi e italiani, un’amiciziache viene da lontano

Al confine tra Turchia e Grecia

Ankara mette in quarantena i migranti

di CL AU D I O GIULIOD ORI*

In questi giorni di lotta al coro-navirus ci è di grande confortola vicinanza del popolo cinese

manifestata ripetutamente negli in-terventi del presidente Xí Jìnpíng,con l’invio di medici e di materialesanitario, attraverso la solidarietà diun popolo che prima di noi è statocolpito duramente dal Covid-19.Alcuni possono rimanere sorpresi.Ci sono certamente molte ragionipolitiche e legate alla contingenza,ma non deve sfuggirci il legame piùprofondo e ben presente agli amicicinesi, forse un po’ meno agliitaliani.

Nella storia della Cina la figuradi P. Matteo Ricci, Li Madou Xitaiuna svolta sotto molti punti di vista.Sono note le sue grandi impreseculturali e missionarie a cavallo del1600. Un’avventura che sotto l’ar-dente desiderio di annunciare ilVangelo lo ha portato, assieme aisuoi compagni gesuiti, a percorrerela lunga strada che da Macao locondusse in circa 20 anni di provedurissime a Pechino, dove rimaseper altri 10 anni, fino alla morte,sotto l’alta protezione — fatto asso-lutamente nuovo ed eccezionale perquei tempi — dell’imperatore Wanlidella dinastia Ming, al potere dal1572 al 1620.

Oltre ad annunciare il Vangelo,vera e unica ragione della sua epicaimpresa, grazie alla sua straordinariaintelligenza e all’accurata formazio-ne ricevuta presso il Collegio roma-no alla scuola dei grandi maestri del

tempo, stupì il grande impero e lostesso imperatore per le sue cono-scenze astronomiche, matematiche,geografiche, letterarie, artistiche emusicali. Il grande contributo cultu-rale dato da Matteo Ricci è ben no-to a tutti i cinesi che studiano la suafigura a scuola come noi studiamoLeonardo da Vinci, e il paragone ètutt’altro che improprio.

Ma agli amici cinesi non è certa-mente sfuggito un altro aspetto for-se meno noto, ma non meno impor-tante. Lo stile di vita dei gesuiti e latestimonianza da loro data nei mo-menti di difficoltà hanno lasciato unsegno profondo. Possiamo conside-rarlo un precedente importante e il-luminante per capire quanto sta ac-cadendo. Ecco quanto Ricci scriveal Preposito Generale il 26 lugliodel 1605 a proposito delle cure pre-state dai padri gesuiti ai malati inoccasione di un’epidemia in corso aPechino mentre gli stessi amici dellepersone contagiate se ne stavano adistanza: «Quest’anno fu in questacittà una malattia, spetie di pesteper esser contagiosa, con che avessi-mo materia di mostrare a questichristiani la charità Christiana, per-ché gli agiutassimo quei che eranoinfermi con quanto potessimo; delche restorno assai edificati peressere in tempo che né gli intimiamici si avvicinavano molto a loro»(L e t t e re , Quodlibet, Macerata 2001,p. 411).

Non era la prima volta che la viadella carità si dimostrava la più effi-cace e incisiva nel creare legami distima e nel dare credibilità all’op era

di evangelizzazione. Anche in prece-denza a Zhaoqing era accadutoqualcosa di simile. Scrive Ricci al p.Ludovico Maselli sj il 29 ottobre1586: «Quest’anno anco crebbe ilfiume di questa città, tanto che en-trò per tutte le case et allagò tutticampi bottando case per terra e fa-cendo molto male. Onde molti po-veri si raccolsero in nostra casa a co-minciorno a provare alcun saggiodella charità Christiana, cosa che lo-ro non speravano. Di quel puocoche avevamo di poi anco gli dessi-mo limosine per rifare le case cadu-te a loro et agli altri christiani pove-ri, di che restò tutta la città moltoedificata» (Ibid., p. 123).

Il toccare con mano la carità cri-stiana fu per i cinesi una scopertasorprendente e destò in loro grandestupore, oltre che ammirazione per igesuiti. I battezzati ne furono edifi-cati e molti a seguito di tali testimo-nianze si accostarono alla fede. Ilpensiero e il modo d’agire dei gesui-ti aveva già suscitato molta attenzio-ne in precedenza e non solo per ilfortunatissimo libro del Riccisull’amicizia che ebbe una incredibi-le diffusione aprendo ai padri molteporte di famiglie importanti e dicittà.

Ciò che aveva colpito e interroga-to maggiormente i cinesi era statosoprattutto il perdono invocato daMatteo Ricci e dai suoi confratellinei confronti degli imputati condan-nati dopo alcuni processi per vio-lenze e calunnie subite dai padri ge-suiti (cfr. Ibid., pp. 160-161). Pur inpresenza di una sensibilità moralemolto elevata, il perdono non costi-tuiva una categoria contemplata nel-la visione filosofica e religiosa deicinesi. La benevolenza dei gesuitilasciò un segno profondo nei cinesie divenne una delle vie maestre peraccostarsi al cristianesimo. Del restoMatteo Ricci era profondamenteconvinto che «la Via del Signore delCielo è già presente nei cuori degliuomini ma essi non la comprendo-no immediatamente» (Id., Catechi-smo. Il vero Significato di “Signore delCielo”, EDS, Bologna 2013, p. 103).

Quanto seminato da Matteo Ricciin terra cinese e soprattutto nel cuo-re di questo grande popolo che luiammirava profondamente, può pro-durre ancora frutti meravigliosi sesapremo dare corso a quanto eglidisse sul letto di morte ai suoi con-fratelli a Pechino l’11 maggio 1610:«Vi lascio su una soglia aperta agrandi meriti, ma non senza moltipericoli e tribolazioni» (Id., Dellaentrata della Compagnia di Giesù eChristianità nella Cina, Quodlibet,Macerata 2000, p. 606). Ricordavacosì tutto il lavoro fatto per porre lebasi del dialogo tra Occidente eOriente. Ma nello stesso tempo in-dicava che era stata solo aperta laporta e che molto restava da fare.Queste parole ci ricordano un com-pito, ancora attualissimo, affidato atutti coloro che di questo dialogovogliono farsi interpreti. E che oggisiano i cinesi, a cui va tutta la no-stra gratitudine, a esercitare la soli-darietà nei nostri confronti non de-ve sorprenderci perché qualcunoaveva già indicato loro la Via.

* Vescovo emerito di MacerataAssistente Ecclesiastico Generaledell’Università Cattolicadel Sacro Cuore

Plauso delle Nazioni Unite

Cessate il fuoco sostenuto dai combattentidelle forze democratiche siriane

AN KA R A , 28. Le autorità turche hanno evacuato ieri di-verse centinaia di migranti e rifugiati che da un mese sierano accampati alla frontiera con la Grecia, dopo cheil governo di Recep Tayyip Erdoğan aveva annunciatoche non avrebbe più fermato chi voleva tentare di recar-si nell’Ue.

Secondo l’agenzia Anadolu, i migranti sono stati con-dotti — con il loro accordo — in alcuni centri di acco-glienza della provincia frontaliera di Edirne, dove reste-ranno in quarantena per evitare rischi di contagio dacoronavirus. Dopo il periodo di isolamento, i migrantiverranno inviati nelle province turche che si renderannodisponibili ad accoglierli. Nei giorni scorsi, diverse deci-ne di persone avevano già lasciato autonomamente lazona di confine alla luce dello stallo tra Turchia e Ue

su un possibile nuovo accordo, dirigendosi verso Istan-bul e altre città con mezzi propri, senza ricevere assi-stenza, né con altre misure di prevenzione.

Se non risulteranno casi positivi, i migranti verrannosmistati in diverse province. I timori per la nascita diun focolaio da covid-19, aggravati dalle pessime condi-zioni igienico-sanitarie, hanno spinto Ankara ad accele-rare l’evacuazione. Ufficialmente non sono stati confer-mati contagi, ma negli ultimi giorni diversi testimoniavevano riferito episodi di febbre e altri sintomi allar-manti. «Sembra che gli accampamenti di fortuna sianostati smantellati e che coloro che si trovavano nell’a re adi confine del fiume Evros se ne siano andati» ha con-fermato il premier greco Kyriakos Mitsotakis.

Urne aperte in Maliper le legislative

L’avvertimento dell’Alto commissario per i diritti dell’uomo

Il virus in carcererischia di fare strage

Proseguono i negoziatisulla Brexit

BA M A KO, 28. Il Mali si prepara alleelezioni legislative di domani nono-stante l’emergenza coronavirus edopo numerosi rinviii dovuti ai ti-mori legati alla sicurezza causatidall’insurrezione jihadista nel norddel paese. Ieri, al termine dellacampagna elettorale, il presidenteIbrahim Boubacar Keita ha confer-mato le elezioni dopo aver annun-ciato in un discorso alla nazione uncoprifuoco notturno e la chiusuradi tutte le frontiere terrestri.

Nel Paese, dove è stato dunquedichiarato lo stato di emergenza,sono stati identificati finora undicicasi di coronavirus, ma le autoritàsanitarie temono che il numero deicontagiati sia molto più alto. Intan-to le organizzazioni della società ci-

vile e i candidati chiedono l’annul-lamento delle elezioni per evitare ilrischio di contagio. Il candidatoMoussa Sinko Coulibaly e il suopartito, la Lega democratica per ilcambiamento, hanno chiesto la so-spensione di tutte le attività, con-dannando «l’atteggiamento irre-sponsabile del governo maliano».

Intanto in questo quadro di ten-sioni per un voto più volte riman-dato, l’ex ministro delle Finanze eattuale esponente dell’opp osizionecandidato alla presidenza del Mali,Soumaila Cissé, risulta scomparsoda ieri. Lo ha denuncia il suo parti-to Unione per la repubblica e lademocrazia (Urd). Cissé era arriva-to secondo nelle elezioni presiden-ziali del 2018.

di ANNA LISA ANTONUCCI

I l virus ha bussato anche alleporte del carcere. I primi casidi infezione si sono già regi-

strati nelle camere di sicurezza, neicentri di accoglienza per migranti,nelle residenze per anziani e negliospedali psichiatrici «dove il coro-navirus rischia di fare strage dellapopolazione vulnerabile che viveall’interno di queste istituzioni».L’allarme arriva dall’Alto commis-sario per i diritti dell’uomo delleNazioni Unite, Michelle Bachelet,secondo cui è necessario agire infretta riducendo l’affollamento incarcere, innanzitutto liberando ireclusi anziani e i malati. «Ora piùche mai — sottolinea — i governidovrebbero rilasciare chiunque siadetenuto senza una base giuridicasufficiente, compresi i prigionieripolitici e coloro che sono in pri-gione semplicemente per averespresso opinioni critiche o dissen-zienti». «In troppo Paesi i centridi detenzione sono sovraffollati —sottolinea il Commissario Onu — erappresentano dunque un pericolo.Le persone sono spesso detenutein cattive condizioni igieniche e iservizi sanitari sono inadeguati oinesistenti. La lontananza fisica el’isolamento sono praticamente im-possibili in tali condizioni», ha ag-giunto.

Secondo l’Alto commissario, igoverni, pur costretti a prenderedecisioni difficili e ad affrontare larichiesta di risorse enormi, nonpossono dimenticare i detenuti, o ipazienti delle strutture di salutementale, chi vive nelle case di ri-poso e negli istituti per minori,poiché «trascurarli potrebbe avereconseguenze catastrofiche», hadetto. «È fondamentale che i go-verni tengano conto della situazio-ne dei detenuti nel loro pianod’azione per la crisi, in modo daproteggere i reclusi, il personale, ivisitatori e, naturalmente, la socie-tà nel suo complesso».

Bachelet ha affermato che difronte all’insorgenza della malattiae al crescente numero di decessigià registrati nelle carceri e in altricentri in un numero sempre mag-giore di paesi, le autorità dovreb-bero agire ora per prevenire ulte-riori perdite di vite umane tra i de-tenuti e il personale. Dunque, ser-ve lavorare rapidamente per ridur-re il numero delle persone detenu-te, come hanno già fatto — mettein evidenza Bachelet — diversi Pae-

si che hanno intrapreso azioni po-sitive in questo senso. Le autorità,suggerisce l’Alto commissario, do-vrebbero inoltre continuare a sod-disfare le esigenze sanitarie specifi-che delle donne in carcere, com-prese le donne incinte, nonchéquelle dei detenuti disabili e mino-ri. Secondo le norme internaziona-li dei diritti umani, ricorda Bache-let, gli Stati devono adottare le mi-sure necessarie per prevenire leprevedibili minacce alla salutepubblica e garantire che chiunqueabbia bisogno di cure mediche es-senziali possa riceverle.

Per quanto riguarda le personedetenute, Bachelet richiama le nor-me minime stabilite dal regola-mento che prende il nome dal lea-der sudafricano Nelson Mandelache stabilisce uno standard mini-mo per il trattamento dei prigio-nieri e nella gestione delle carceri.In particolare, raccomanda l’Altocommissario, le misure adottatedurante una crisi sanitaria non do-vrebbero compromettere i dirittiumani dei detenuti, dovrebbero es-sere pienamente rispettate le misu-re di salvaguardia contro i maltrat-tamenti delle persone in custodiadella polizia, compreso l’accesso aun avvocato e a un medico.

Le necessarie restrizioni alle visi-te nelle carceri per contribuire aprevenire i focolai di Covid-19, ag-giunge, devono essere introdottein modo trasparente ed esserechiaramente comunicate alle perso-ne colpite. «L’improvvisa cessazio-ne del contatto con il mondoesterno rischia di esacerbare situa-zioni già tese, difficili e potenzial-mente pericolose», avverte la rap-presentante Onu. È importante,dunque, introdurre, come già fattoin alcuni paesi, l’uso diffuso di si-stemi di videoconferenza, l’aumen-to delle telefonate con i membridella famiglia e l’autorizzazione al-le e-mail.

Infine, Michelle Bachelet espri-me preoccupazione riguardo al fat-to che per far rispettare la lonta-nanza fisica, come misura preventi-va della pandemia, alcuni paesiminacciano pene detentive per co-loro che non rispettano le regole.«Ciò — avverte l’Alto commissario— rischia di esacerbare la già tesasituazione nelle carceri e di averesolo effetti limitati sulla diffusionedella malattia». «La prigionia do-vrebbe essere sempre l’ultima ratio,soprattutto durante questa crisi».

DA M A S C O, 28. «Plaudiamo alla di-chiarazione delle forze democratichesiriane (Sdf, alleanza di milizie cur-de, arabe e assiro-siriache attiva nelnordest della Siria, ndr) in cui siesprime il sostegno all’appello delsegretario generale Onu AntónioGuterres per un cessate il fuoco glo-bale immediato per facilitare la ri-sposta al coronavirus, e dove si an-nuncia il loro impegno di non intra-prendere azioni militari». È quantofatto sapere ieri dal portavoce delPalazzo di Vetro. Il segretario gene-rale «invita le altre parti del conflit-to in Siria a sostenere il suo appel-lo». L’Onu, come ha annunciatol’inviato speciale Geir Pedersen,chiede «un cessate il fuoco comple-to e immediato in tutta la Siria», eper attuarlo ha sottolineato la suadisponibilità a lavorare con tutti gliattori sul campo, nonché «con ipaesi chiave che possono garantireche il cessate il fuoco sia valido».

Nelle ultime ore non sono stateregistrate azioni di guerriglia nécombattimenti nella regione di Idlibe in altre aree del Paese. Due giornifa il ministero della Sanità di Dama-sco ha confermato un terzo caso dicoronavirus in Siria, portando aquattro il totale dei contagi.

Intanto, il presidente siriano Ba-shar al-Assad e il principe ereditariodi Abu Dhabi, Mohammed ben Za-

yed al-Nahyane, hanno avuto ieri uncolloquio telefonico centrato sulle«conseguenze della diffusione delnuovo coronavirus». Ne dà notizial’agenzia ufficiale siriana Sana checita la presidenza siriana. Il principeereditario ha assicurato ad Assad«l’appoggio degli Emirati al popolosiriano in queste circostanze eccezio-nali». Il colloquio è il primo dall’ini-

zio del conflitto in Siria nel 2011. Ilprincipe di Abu Dhabi ha detto chegli Emirati «sostengono il popolo si-riano in queste circostanze straordi-narie» e che «la Siria non sarà la-sciata sola in queste circostanze criti-che». Sette anni dopo aver interrottole relazioni diplomatiche, gli Emiratiavevano riaperto la loro ambasciata aDamasco nel dicembre 2018.

Un mercato completamente chiuso a causa dell’emergenza coronavirus a Damasco (Reuters)

Migranti al lavoro per produrre mascherine nel campo di Moria (Reuters)

BRUXELLES, 28. Nonostante la pan-demia i negoziati tra Londra e Bru-xelles sul loro rapporto post-Brexitproseguono il loro iter. Lunedì 30marzo è in programma la prima riu-nione del comitato misto Ue-RegnoUnito sulla Brexit. Si terrà in video-conferenza causa coronavirus.

Sarà presieduta dal vicepresidentedella Commissione europea e com-missario per le relazioni inter-istitu-zionali, Maros Sefcovic, per l’Ue edal ministro dell’Ufficio di Gabinet-to, Michael Gove, per la Gran Bre-tagna.

Gove, sull’attuazione del trattatodi ritiro, rappresenta il braccio de-stro del primo ministro Boris John-son che ieri ha annunciato di essererisultato positivo al coronavirus, così

come il ministro della Salute MattHanco ck.

Il comitato misto si occupa di su-pervisionare sulla corretta e comple-ta applicazione dell’accordo di di-vorzio, e tra i suoi numerosi compitiquello, molto importante, che ri-guarda la risoluzione di possibili edeventuali controversie sull’i n t e r p re t a -zione dell’intesa.

La scorsa settimana, il principalenegoziatore dell’Ue, Michel Barnier,ha annunciato di essere stato conta-giato, mentre il suo omologo britan-nico David Frost era in isolamentoperché mostrava sintomi. Nonostan-te ciò, il Regno Unito rifiuta ancoradi prendere in considerazionel’estensione dei negoziati oltre la fi-ne dell’anno.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 29 marzo 2020

Nel segno della tradizione ebraica

La fede domestica

L’opportunità di riscoprire la preghiera comune

Una Pasqua nuovaGesti e riti «di Risurrezione» in famiglia

In molti paesial suono delle campanele mamme portano i bambinia lavarsi gli occhi con l’acquaSimbolo dell’acqua della vita

Vincent Van Gogh, «La camera di Arles» (1888, particolare)

Riprendiamo da «La Rivista del Clero Italia-no», Anno LXXXVII, luglio-agosto 2006, n.7/8, pp. 802-809, un intervento del cardinaleCarlo Maria Martini, pronunciato a Lodi po-chi mesi prima. Sulla difficile trasmissione dellafede, il cardinale approfondiva il metodo apo-stolico saldamente appoggiato alla tradizionee b ra i c a .

di CARLO MARIA MARTINI

Nel Nuovo Testamento la secon-da lettera a Timoteo — insiemealla prima a Timoteo, nonchéa quelle inviate a Tito e File-mone — è una delle poche

scritte a destinatari singoli e “privati”, dalmomento che la maggioranza delle letterepaoline e delle restanti apostoliche sono perlo più indirizzate a comunità. In questopacchetto di lettere indirizzate a singoli de-stinatari, la 2 Timoteo possiede l’originalitàdi essere certamente la più affettuosa e riccadi emozioni, la più intima e familiare. Tra-boccante di affetti profondi, merita d’e s s e reletta proprio con tutta la profondità del no-stro cuore. (...) Colpisce qui che Paolo con-sideri la propria fede, il proprio apostolicoservizio di Dio collocandolo nella linea dicontinuità dei suoi stessi antenati, cioè, evi-dentemente, in virtù della sua fede ebraica!(...) Sull’onda dei ricordi, Paolo ha poi benpresente la fede schietta di Timoteo, «fedeche fu prima nella tua nonna Lòide, poi intua madre Eunìce e ora, ne sono certo, an-che in te» (1, 5). Anche qui, nessuna solu-zione di continuità.

Tra la mamma e la nonna di Timoteo daun lato e lo stesso Timoteo dall’altro, è in-

te ecco lo Yom-Kippur, il giorno solennissi-mo dell’espiazione, liturgicamente parlandopiù importante, di digiuno totale. Poi la fe-sta di Chanukkah, che celebra la rinnovazio-ne del tempio. Poi ancora Purim, una paro-la che vuol dire «sorti», il carnevale ebraico,quando si festeggia il cambio delle sorti concui gli ebrei, destinati a sterminio, furonosalvati per coraggiosa intercessione di Esterpresso il re Assuero. E infine la grande festadi Pesach, della Pasqua di liberazione delpopolo dalla schiavitù di Egitto, che è so-lennissima come da noi, cui segue la festadella Pentecoste, della Simchat-Torah, cioèdella «gioia-per-il-dono-della-Legge».

Va detto che ognuna di queste diverse fe-ste è vissuta in famiglia con speciale intensi-tà. Ognuna ha le sue preghiere proprie, chela mamma fa recitare a tutta la famiglia, atutti i bambini. Per ognuna ci sono giochi,canti e colori propri. E quindi i bambini im-parano così, celebrando nella vita, udendoraccontare la storia del popolo e di questoDio misericordioso, vicino, fedele, presente,attraverso l’esperienza quotidiana.

Tornando a noi, certamente sono moltoimportanti il catechismo e la catechesi, e co-me vorrei che quest’ultima fosse promossa eattuata in maniera vigorosa! Ma dobbiamoanche ritornare a scommettere sulla trasmis-sione in famiglia. E anche qui, appunto,non pretendendo dai genitori di trasformarsiin piccoli teologi che insegnano delle for-mule a memoria — questo lo potrannoquanti sono in grado di farlo — ma soprat-tutto perché i genitori facciano pregare i fi-gli e celebrino con loro le feste liturgichenel tempo e modo dovuto. Abbiamo moltis-sime splendide occasioni: l’Avvento, il Nata-

tervenuto nientemeno che Gesù, morto e ri-sorto. Ma nonna Lòide e mamma Eunìcecredevano con quella medesima fede comun-que giunta anche a Timoteo, e che a propriavolta raggiunge la sua pienezza con la fedenella risurrezione di Gesù, in ogni caso fon-data sulla stessa solidità su cui sta fondata lafede dei suoi antenati. Proprio questa solidafede ebraica vorrei un poco approfondire,magari di nuovo interpellando direttamentea Timoteo, domandandogli: «Timoteo, qualera questa tua fede, qual era la fede della tuanonna, la fede di tua madre?».

E ho ragion di credere che egli potrebberisponderci più o meno così: «È come la vo-stra, certamente. Forse con qualche diversasfumatura, perché voi — direbbe Timoteo —,voi occidentali, partite sempre dall’alto delledefinizioni concettuali. (...) Ecco la fedeebraica, come l’aveva ricevuta Timoteo pri-ma del battesimo: concepita non astratta-mente, ma a partire da esperienze concrete,dalle azioni messe in opera da Dio (...). Vo-glio riferirmi ancora qui all’esperienza delpopolo ebraico, quella che quotidianamentevado facendo in Israele, dove per trasmette-re la fede non ci sono catechismo, catechisti,e nemmeno ore di religione. Come viene al-lora trasmessa la fede? In famiglia, non at-traverso delle definizioni astratte, fatte im-parare a memoria, ma attraverso la celebra-zione delle varie feste.

Le feste sono il grande luogo di insegna-mento della fede per il bambino ebraico. Ele feste: per esempio in questi giorni si cele-brava la festa bellissima del capodannoebraico, Rosh-haschanah, che cade a settem-bre, appunto all’inizio dell’anno. Poi la festaautunnale di Sukkot, cioè dei Tabernacoli odelle Tende, legata al raccolto dei frutti del-la terra, quando, nel giardino di casa o sulpiccolo terrazzo, o sul balconcino ogni fa-miglia, con qualche semplice stuoia o frasca,si costruisce una casetta dove per una setti-mana si reca a pregare e a mangiare certi ci-bi, per non dimenticarsi dei quarant’anni dicammino nel deserto, quando Israele, primadi vivere dei frutti della terra promessa, ve-niva sostentato gratuitamente tutti i giornidalla mano provvida di Dio. Successivamen-

le, la Quaresima, la Pasqua, la Pentecoste, ilmese di maggio, le feste della Madonna, lefeste dei Santi, le feste del santo Patrono.

Se ogni famiglia, in qualche maniera sa-prà dare anche solo un segno per ognuna diqueste feste — non solo nella preghiera, maanche nel cibo, nei piccoli regali, anche inqualche ornamento esteriore —, allora eccoche il bambino avrà appreso senza bisognodi speciali artifizi di memoria, perché questagli si fisserà indelebilmente nelle cose, nel-

Così a poco a poco quel pensiero di Diooggi tanto lontanodal nostro mondo occidentalee spesso presentato così astrattodiventerà di nuovo concreto e vitaleE allora ci sarà la gioia sentitadi chi vive la fede profonda in Gesù

l'esperienza vissuta e quindi memorabile,consentendogli di entrare in modo graduale,simpatico, gioioso nell’atmosfera, nel mondodella fede. Ed è così che Paolo poteva ap-punto far conto sulla fede di Timoteo, e dir-gli: «La fede che tu hai ricevuto dalla tuamamma e dalla tua nonna, e che ora è an-che in te» (2 Timoteo 1, 5).

Questa grazia dunque chiediamo: che lenostre famiglie — anche quelle magari un po’più lontane — sappiano insegnare così la ca-techesi. È facile, perlomeno non così diffici-le, far pregare i bambini, incominciando ap-punto con qualche preghiera legata soprat-tutto alle feste, alle ricorrenze principali. Ecosì, a poco a poco quel pensiero di Dio og-gi tanto lontano dal nostro mondo occiden-tale, talora oltre tutto presentato così astrat-to, diventerà di nuovo concreto e vitale; e al-lora ci sarà quella gioia sentita di chi vive lafede profonda in Dio, in Gesù; di chi vive lagioia della Risurrezione del Signore, l’attesadel suo ritorno, la pienezza della grazia diDio sparsa sull’umanità intera.

di SERGIO MASSIRONI

A quale Pasqua ci stiamo pre-parando? Da alcuni giorninon circola più sottobanco:la domanda è diventata co-mune, pubblica, sofferta. Do-

vrebbe essere quella di ogni anno, per-ché mai la ripetizione della festa può es-sere stanca e scontata. Le drammatichecircostanze che hanno rapidamente av-volto larga parte dell’umanità ci strappa-no tuttavia dalle aree di comfort e im-pongono interrogativi radicali, ma forsesalutari. Quasi il nuovo irrompa già,nell’ora più buia: Pasqua che viene a

glia misteri realmente salvifici. Salvezzaper ciascuno, ognuno al suo passo. Vo-gliamo credere, insomma, che questa Pa-squa rimarrà nella memoria dei nostribambini perché avranno guardato il ve-scovo in tv e il parroco su un tablet, operché avranno compiuto con i proprigenitori dei gesti nuovi e di particolareelo quenza?

Senza lontanamente voler imbrigliarela fantasia, ecco allora un possibile sce-nario di cattolicesimo domestico, che at-tivi la ricerca di ciò che resti anche oltrel’emergenza. Non nascondiamoci, infatti,che siamo disabituati alla preghiera co-mune e che le celebrazioni del Triduopasquale, cuore dell’anno liturgico, nonsono avvertite come determinanti da lar-ga parte dei fedeli. E se ora qualcosa sirimettesse in moto dall’interno di alcuneo di molte case? È una possibilità che la-sciano almeno intravvedere gli elementichiave della liturgia stessa, che quest’an-no ci induce a riscoprire nella loro piùelementare loquacità.

Il giovedì santo, ad esempio, i segniforti della vita di Cristo potrebbero svi-lupparsi attorno alla tavola, all’ora di ce-na. Immaginiamo che si raduni l’interafamiglia, ma che anche chi vive solo pre-pari la tavola con una certa importanza.Dopo una breve introduzione, che com-porti una sorta di saluto, o di abbracciodi pace tra i presenti, la preghiera po-trebbe avviarsi con la lettura dei primiversetti di Giovanni 13, alla quale far se-guire, se le circostanze di casa lo consen-tono, la lavanda dei piedi reciproca tragli sposi e poi dei figli, piuttosto che cia-scuno del suo vicino. Sarebbe un gestoestremo, certo da non imporre, ma chenon è affatto escluso trovi diverse fami-glie predisposte. Tralasciabile, certo, op-pure — mantenendo il segno di brocca ecatino — sostituibile con un reciproco la-varsi le mani. La vera e propria cena po-trebbe poi avviarsi, anche per le personesole, con una preghiera di benedizionedella mensa — «Benedetto sei tu Signo-re» — che abbia al suo interno qualcheparola memoriale dell’ultima cena — «Inquesta notte in cui...». Al centro della ta-vola meriterebbe di trovarsi un unicogrande pane, invece di molti panini, ac-quistato o preparato in casa durante lagiornata. Dopo la benedizione, un mem-bro della famiglia potrebbe spezzarel’unico pane e distribuirne un pezzo atutti, senza nulla dire, ma dando spesso-re simbolico al gesto. Quindi la cenaproseguirebbe nella consueta e se possi-bile più intensa convivialità.

Il venerdì santo è di solito in Italia ungiorno lavorativo. Quest’anno tutto saràdiverso. Saremo fermi, a casa, con moltenotizie di dolore e di morte da interioriz-zare. Una grande sete di senso, tra do-mande che ribollono, ansia da governare,ferite da curare. Vale la pena di creareun momento di particolare raccoglimen-to, in ogni famiglia, magari nell’ora incui «si fece buio su tutta la terra». Sipotrebbe prevedere che nel primo pome-riggio le persiane vengano socchiuse e letapparelle leggermente abbassate, sianospente anche le luci e ogni altro stru-mento tecnologico, così che per circamezz’ora tutto sia avvolto da un grandesilenzio. Alle tre il suono delle campaneannuncia la morte di Cristo e fa conver-gere attorno a un crocifisso, là dove incasa è appeso, oppure appoggiato sul ta-volo del soggiorno o del tinello. Andreb-be letta la dodicesima stazione della Viacrucis, o un salmo — «Dio mio, Dio mio,

perché mi hai abbandonato?» — o la re-lativa pericope evangelica. Si potrebbequindi chiedere a ogni membro della fa-miglia di baciare con delicatezza e inten-sità il crocifisso, quindi leggere la grandepreghiera universale prevista dalla litur-gia della passione, o un suo adattamen-to, che consenta di sentire il mondo pre-sente, i sofferenti ricordati, i defunti affi-dati.

Infine la notte del sabato santo, la finedi ogni notte. Sebbene la veglia pasqualesia irriproducibile nella sua forza, è mol-to importante che la tenebra così profon-da che ha avvolto la vita collettiva sia at-traversata da segni che interrompano lanotte. Molto semplicemente, sarebbebello nel buio e nel silenzio più profon-do, a un’unica ora, tutte le campane del-la diocesi suonassero a festa per diversiminuti, annunciando la risurrezione. Inquel momento tutti potrebbero accende-re almeno un lume da mettere al davan-zale delle proprie finestre. Papa France-sco ricordava in una sua catechesi un ge-sto popolare significativo e molto adattoa una preghiera domestica: «In tantiPaesi — qui in Italia e anche nella miapatria — c’è l’abitudine che quando ilgiorno di Pasqua si sentono, si ascoltanole campane, le mamme, le nonne, porta-no i bambini a lavarsi gli occhi con l’ac-qua, con l’acqua della vita, come segnoper poter vedere le cose di Gesù, le cosenuove».

La mattina di Pasqua, poi, donne del-la risurrezione potrebbero diventare

Le celebrazioni del Triduocuore dell’anno liturgiconon sono avvertite come determinantida larga parte dei fedeliE se ora qualcosa si rimettesse in moto?

prenderci in condizione di esodo, strap-pati all’oppressione, ma ancora nel gua-do, col mare a destra a sinistra e sopra esotto, dovendo credere che non si chiu-derà prima di averlo tutti attraversato.Come vivere un memoriale? In un Occi-dente che abbiamo studiato e abitatonelle sue dinamiche di secolarizzazione,potrà la linfa ebraica nutrire, magari conla voce del più piccolo di casa, la do-manda sulla notte così diversa da tutte lealtre notti?

Il cristianesimo — sono in molti adaverlo osservato negli ultimi giorni — sitrova davanti a una sfida domestica. AlleChiese si prospettano, infatti, molteplicipossibilità. Da diverse settimane, adesempio, un grande supporto alla pre-ghiera e al rapporto tra fedeli e Parolaviene dai social-media più diversi. Imma-ginare una settimana santa in cui ognu-no, da casa, facilmente si colleghi allapropria parrocchia o al vescovo e vedacosì parzialmente ricostituirsi l’unità coifratelli è una buona possibilità, in altreepoche impensabile. Andrà dunque così,in molti casi, e questo — non ne abbiamodubbi — aiuterà, consolerà: sarà esperien-za reale e non virtuale, renderà tutt’a l t roche “a porte chiuse” ciò che material-mente si starà svolgendo là dove i pasto-ri celebrano i misteri. Eppure, è legittimoil presentimento che questo possa nonbastare. O, almeno, non esaurire le po-tenzialità del momento.

È vero: la costrizione tra quattro muranon è automaticamente riscoperta dei le-gami familiari; le case in cui la fede nonè condivisa o avvertita da tutti con lamedesima intensità sono maggioranza; lepersone che vivono sole sempre più nu-merose. Ciò nonostante, un linguaggiomai inteso può essere avvertito e dei ge-sti mai osati non è escluso diventinoplausibili: le prove scuotono, fanno vi-brare le fondamenta. Il “memoriale” do-mestico ha dalla sua una strana laicità:non odora di sacrestia, tocca i fonda-mentali dell’umanità comune. Include enon esclude, attivando in ciascuno unimmaginario sepolto che ha l’e n e rg i adell’infanzia, il sapore dei cibi elementa-ri, il richiamo a generazioni passate. Agliantipodi del “non possiamo non dircicristiani”, la via del celebrare in casa, cu-stodita nei secoli da Israele, rende con-temporanei a ogni membro della fami-

mamme e figlie, che rendano bella la ca-sa con dei fiori, là dove possono essereraccolti. La forza di vita che scorreva trail maestro di Nazareth e le sue discepole,il rapporto privilegiato tra vangelo efemminilità, la cura della Chiesa-madresi avvertiranno più facilmente nei segnidomestici che nelle liturgie codificate. Ese a tavola tornassero — anche con unatorta — latte e miele che secondo la Tra-dizione apostolica venivano offerti lanotte di Pasqua ai neo-battezzati, perchéassaporassero la dolcezza della vita nuo-va? Si potrebbe continuare a lungo espingerci a immaginare gesti audaci, checolleghino almeno idealmente una casaall’altra e tutte nell’unica Chiesa: adesempio, dove è possibile, che i preti e idiaconi, indossando i paramenti bianchidella festa, escano dalle chiese e cammi-nino, il giorno di Pasqua o nell’ottava,almeno per le vie più abitate della pro-pria parrocchia benedicendo dalla stradale case con l’acqua della veglia. Il punto— è evidente — non starebbe più nel lorogesto, ma in ciò che per loro tramite Diova benedicendo: la vita nuova rimessa incircolo tra i molti “due o tre” riuniti nelnome di Gesù. Un rovesciamento, in-somma, del convenire consueto, che ren-da non meno efficace e forse più credibi-le il nostro “risorgere con Lui”. Un gior-no, come ancora non imbarazza inOriente, potremmo arrivare a salutarcianche in Occidente con l’annuncio:«Cristo è risorto!».

In cammino verso la Settimana santa in un tempo drammatico

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 29 marzo 2020 pagina 5

OSPEDALE DA CAMPOTEMPORE FAMIS

«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi

è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.

Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia...

Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso»

Per rispondere all’emergenza covid-19

Un contagiodi carità

di LUIS ANTONIO G. TAGLE

Care sorelle e fratelli, siamo difronte a un’emergenza dovutaal coronavirus. Emergenza, dal

latino “e m e rg e re ”, si riferisce a unevento imprevisto che si presenta da-vanti a noi e richiede attenzione. Leemergenze non sono una novità pernoi. Ogni anno subiamo terremoti, ti-foni, inondazioni, siccità e malattie.Spesso però sono confinati in un luo-go e riguardano persone limitate.L’attuale emergenza covid-19 si chia-ma pandemia, dalle due parole gre-che: “pan”, che significa “tutti” e “de-mo”, che significa “popolo o popola-zione”. La pandemia colpisce tutte oquasi tutte le persone. Possiamo direche covid-19 è un’emergenza generaleo universale. Colpisce quasi tutti noi.E richiede una risposta da parte ditutti noi.

Durante le emergenze, pensiamoistintivamente prima di tutto a noistessi, alle nostre famiglie e alle perso-ne che ci sono vicine. Faremo tuttociò che è in nostro potere per proteg-gerli. Anche se questa reazione è fon-damentalmente buona, dobbiamo sta-re attenti a non finire a pensare solo anoi stessi. Dovremmo evitare che lapaura ci renda ciechi ai bisogni dellealtre persone, quei bisogni che sono inostri stessi bisogni. Dovremmo evita-re che l’ansia uccida l’autentica preoc-cupazione per il prossimo. In unaemergenza, anche il vero cuore di una

persona emerge. Da un’e m e rg e n z ache colpisce tutte le persone (pande-mia), speriamo di vedere un’e m e rg e n -za pandemica di cura, compassione eamore. Una crisi di emergenza chescoppia inaspettatamente può essereaffrontata solo con un’uguale “e ru z i o -ne” di speranza. La diffusione pande-mica di un virus deve produrre un“contagio” pandemico di carità. Lastoria giudicherà la nostra generazio-ne in base alla forza dell’amore disin-teressato che questa emergenza comu-ne avrà generato e avrà diffuso o senon sarà riuscita a farlo. Ringraziamole persone eroiche il cui amore e co-raggio sono già stati fonte di guari-gione e di speranza in queste ultimesettimane. Gli esperti dicono che do-vremmo lavarci le mani per evitare diessere contagiati dal virus e per evita-re di diffonderlo. Al processo di Ge-sù, Ponzio Pilato «prese dell’acqua esi lavò le mani davanti alla folla, di-cendo: “Non sono responsabile diquesto sangue. Pensateci voi!”» (Ma t -teo, 27, 24). Dovremmo lavarci le ma-ni, ma non come Pilato. Non possia-mo lavarci le mani della nostra re-sponsabilità nei confronti dei poveri,degli anziani, dei disoccupati, dei ri-fugiati, dei senzatetto, degli operatorisanitari, di tutte le persone, del Crea-to e delle generazioni future. Preghia-mo, attraverso la forza dello SpiritoSanto, che possa emergere un amoregenuino da tutti i cuori umani per farfronte a questa emergenza comune.

L’impegno della Chiesa in prima linea

Accanto ai “preferiti di Dio”

Colloquio con il cardinale Cupich

Temp oper recuperare

umanitàdi DEVIN WAT K I N S

Cinque volte al giorno le campane di Chicago edell’intera arcidiocesi suonano per chiamare araccolta chi vorrebbe pregare in chiesa ma non

può muoversi da casa, perché il coronavirus ha bloc-cato ogni cosa. Tre appuntamenti per ricordare i ma-lati, poi chi li cura, chi svolge lavori essenziali alla co-munità, i leader del mondo e infine i defunti. Un mo-do — spiega il cardinale arcivescovo della metropoliamericana, Blase Joseph Cupich — per vivere nel me-glio possibile questa “paralisi” indotta dalla pandemiae per “non sprecare” ciò che questa crisi mondiale staproponendo in termini di ripensamento del modo divivere, a livello sociale ed ecclesiale.

Eminenza, il governatore dell’Illinois ha recentemente or-dinato il “lockdown”, emanando un decreto per cui tutti icittadini dello stato restino a casa. Qual è la situazionenell’arcidiocesi di Chicago e la gente come sta affrontandola crisi?

Noi avevamo deciso, ancora prima del decreto delgovernatore, di chiudere tutte le nostre scuole e di so-spendere le messe già a partire dal 14 marzo. È statoun periodo difficile perché ora che dovremmo prati-care il distanziamento sociale, questa misura rende lavita un po’ più difficile. Le famiglie sono recluse nelleloro case. È il momento per loro, come famiglie, diavere un po’ di creatività per gestire tutto questo tem-po passato insieme. Lo vediamo anche nella società.Si sta producendo un effetto sull’economia perché lepersone perdono il lavoro e le fonti di reddito. Eccoperché è importante che tutti noi rimaniamo uniti e ciassicuriamo che nessuno venga dimenticato.

Come lei ha detto, questo è un momento di crescente di-stanziamento sociale. Secondo lei, in questa crisi causatadal coronavirus ci sono anche circostanze che possono tra-sformarsi in opportunità?

Prima di tutto, come ho detto, le famiglie si sonoriunite e trascorrono più tempo insieme. Viviamo inuna società molto frenetica. Spesso in famiglia ci sivede entrare e uscire e non si riesce a passare moltotempo tra tutti. In questo senso può diventare un’op-portunità per una maggiore condivisione. Penso an-che sia un momento in cui la vita di noi tutti sta ral-lentando. Abbiamo più tempo a disposizione e que-sto forse ci dà anche il tempo per riflettere sulla no-stra esistenza.

In che modo la vostra Chiesa sta aiutando la gente?

Qui in arcidiocesi lo facciamo suonando le campa-ne per chiamare i fedeli alla preghiera, cinque volte algiorno. Alle 9 chiediamo di ricordare coloro che sof-frono a causa delle malattie, specialmente per questovirus. A mezzogiorno preghiamo per gli operatori sa-nitari, alle 15 per i primi soccorritori e per quei lavo-ratori-chiave che svolgono attività essenziali. Alle 18per tutti i nostri leader e le popolazioni di tutti i pae-si e poi alle 21 concludiamo pregando per coloro chesono morti durante il giorno. Ecco, stiamo cercandodei modi per far restare unite le persone. L’altra cosache stiamo facendo è celebrare la messa trasmettendo-la on line, in tutta l’arcidiocesi. Una delle maggiorireti televisive ci sta dando la possibilità di andare inonda la domenica, così io posso celebrare in cattedra-le e la gente può unirsi. Abbiamo avuto un seguito difedeli davvero molto bello.

Siamo costretti a stare lontani, ma c’è un bisogno di uni-tà, di sentirci comunità…

Come ho scritto in un editoriale pubblicato sul«Chicago Tribune», credo dobbiamo vivere questomomento come un tempo in cui il Signore ci chiamaa essere guariti. La lettura domenicale dell’uomo natocieco di domenica scorsa è stata molto istruttiva pernoi perché prima di tutto ha rivelato che il Signoreguarisce avvicinandosi alla persona. È stato un atto diintimità molto forte: guarire gli occhi di quest’uomocon un impacco di fango fatto con la sua saliva. An-che se in questo momento non possiamo avere con-tatto fisico né vicinanza con il nostro prossimo, pos-siamo però tenerci l’un l’altro vicini nel nostro cuore.Quando ciò accade, si può guarire. Inoltre il Signoreci ricorda in quel gesto, mentre si chinava a terra pertrasformare l’argilla in fango, che siamo stati creati daun Dio che ci ha modellati a sua immagine e ci hamodellati in un modo che ci rende tutti umani. Dob-biamo usare questo tempo per recuperare la nostracomune umanità, in modo da cominciare a vedereche questo ci unisce tutti. Speriamo che queste rifles-sioni vengano portate avanti quando questa crisi saràpassata, in modo da potere raccogliere la sfida di af-frontare le altre malattie che affliggono la società, chesi tratti del contagio della violenza e della vendettanelle nostre strade o dell’infezione del razzismo edell’odio nel nostro mondo e anche della piaga dellapovertà che affligge così tante persone. Penso farem-mo bene a non sprecare tutto ciò che avremo impara-to in questi giorni a proposito della nostra comuneumanità e della nostra comune vulnerabilità, e comesiamo giudicati tutti nello stesso modo da Dio. Pensoche questo possa essere il programma per andareavanti.

di CECILIA SEPPIA

Q uando si parla di carità il pensierocorre spontaneamente al portafo-glio e al gesto di due mani diver-

se, l’una tesa a fare elemosina, l’altra a ri-ceverla. Però nel dizionario cristiano lacarità non è solo questo. Essa ha milleaspetti, mille volti, fino ad arrivare al sa-crificio estremo della propria vita, cometanti medici, suore e preti stroncati dalcovid-19, ai quali il Papa in più di unamessa a Santa Marta ha rivolto il suopensiero. Tra i destinatari delle opere dicarità messe in campo dalla Chiesa ci so-no i malati, ma anche i lavoratori precari,le famiglie che vivono in condizione didisagio, gli anziani soli che non possononemmeno uscire a fare la spesa e i “p re f e -riti di Dio” che la crisi in atto rischia dichiudere nel dimenticatoio.

L’impegno di Diocesie congregazioni religiose

La Chiesa mondiale, non solo quellaitaliana, è davvero in prima linea in que-sto momento di grave emergenza. Danord a sud, le diocesi si sono attivate intanti modi, per esempio aprendo le pro-prie strutture per ospitare persone impos-sibilitate a vivere la quarantena nella pro-pria casa, accollandosi anche il pagamen-to alberghiero di pazienti dimessi, perchémeno gravi, così da liberare posti vitali.La diocesi di Bergamo ha messo a dispo-sizione di medici e infermieri cinquantacamere singole del Seminario, altre diecile offre Lodi e così Roma, Cremona, Crema, Brescia, Taranto e tante altre finoa Siracusa. Le Congregazioni religiosemaschili e femminili che gestiscono ospe-dali e case di cura hanno risposto con al-trettanta generosità aumentando l’imp e-gno in favore dei malati di covid-19. Cisono poi suore, come le oblate di Avelli-no e le benedettine di Mercogliano, chein uno slancio di creatività hanno trasfor-mato i loro conventi in sartorie per laproduzione di mascherine, bene ancoratroppo raro e prezioso.

Aiuti Cei per la sanitàIn risposta ad alcune delle tante situa-

zioni di necessità, la Conferenza episco-pale italiana (Cei) ha deciso di stanziare

tre milioni di euro, provenienti dall’ottoper mille, in favore delle strutture sanita-rie. Il contributo raggiungerà la PiccolaCasa della Divina Provvidenza - Cotto-lengo di Torino, l’Azienda ospedalieraCardinale Giovanni Panico di Tricase,l’Associazione Oasi Maria Santissima diTroina e soprattutto l’Istituto Ospedalie-ro Poliambulanza di Brescia, che ha mu-tato radicalmente la sua organizzazioneraddoppiando la disponibilità di postiletto, 435, di cui 68 di terapia intensiva.

Fondi per salvaguardare i più poveriLa crisi colpisce tutti ma a pagarne di

più le conseguenze, come è noto, sono lefasce sociali più deboli. Per questo la Cei,che nei giorni scorsi con la Caritas italia-na ha pure lanciato una grande campa-gna di raccolta fondi della durata di unmese, ha destinato dieci milioni di euroalle 220 Caritas diocesane, soldi finalizza-ti ad aiutare sui singoli territori famigliegià in situazioni di disagio che l’e m e rg e n -za sanitaria ha messo letteralmente in gi-

nocchio. Sempre dai vescovi italiani è ar-rivato un contributo di 500 mila euro allaFondazione Banco alimentare per darelinfa alle 7.500 strutture accreditate cheaiutano ogni giorno circa un milione emezzo di persone.

Sostegno a lavoratori e carceratiPer il blocco delle attività, oggi sono

tantissimi i lavoratori in crisi. La diocesidi Milano ha istituito il Fondo San Giu-seppe mettendo a disposizione due milio-ni di euro, che con gli altri due offerti dalComune, servono ad aiutare quanti stan-no perdendo il lavoro a causa del corona-virus. Un’attenzione particolare le diocesila stanno rivolgendo anche al mondo delcarcere, dove le restrizioni hanno acuitole difficoltà, e alle condizioni di quantiescono a fine pena e si trovano senza al-ternative. Straordinario è l’impegno deicapp ellani.

La diocesi del Papa e la Santa SedeDal Papa fin dall’inizio è arrivato un

primo contributo di 100 mila euro allaCaritas italiana. La Caritas della diocesidel Pontefice tiene aperte le mense a pie-no regime, sia pranzo che cena, nel ri-spetto delle norme di sicurezza e accantoai quattro centri di accoglienza diocesaniesistenti ha aggiunto dal 20 marzo ilCentro straordinario Fraterna Domus aSacrofano per ospitare novanta persone.Una misura presa per arginare il rischiodi contagio e garantire la permanenza de-gli ospiti per tutte le 24 ore. Da partesua, l’Ospedale pediatrico Bambino Ge-sù, di proprietà della Santa Sede, ha de-dicato la struttura di Palidoro ai bambinicovid-19 positivi.

In questo momento di isolamento for-zato si intensifica anche l’impegno del-l’Elemosineria apostolica verso i povericon il cardinale Konrad Krajewski chemette a disposizione persino il suo nume-ro di cellulare per le emergenze(3481300123). Assicurati tutti i servizi:docce, dormitori, assistenza ai senza tettoe anche “il sacchetto del cuore”, prepara-to dai volontari, con dentro un pasto so-stanzioso oltre a centinaia di confezionidi latte fresco, prodotto nelle Ville Ponti-ficie di Castel Gandolfo e destinato aipiù bisognosi.

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pagina 6 domenica 29 marzo 2020 L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 marzo 2020 pagina 7

OSPEDALE DA CAMPOTEMPORE FAMIS

«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi

è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.

Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia...

Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso»

MONGOLIA - I vantaggi dei grandi spazi

Un silenzio rispettosoe adorante

di GIORGIO MARENGO*

Sono le 7.15, abbiamo appena pregato le lodimattutine e ci fermiamo come sempre in ado-razione eucaristica. Il silenzio è avvolgente,

come sempre qui ad Arvaiheer, non solo adesso;un silenzio così forte che qualcuno lo trova insop-portabile e la notte non riesce a dormire, quandoviene da noi in Mongolia. Penso al silenzio dellecittà italiane di questi giorni, di altra natura, certo,blocco forzato che nessuno avrebbe mai voluto.

Le prime luci dell’alba riflettono sulla collinadietro la missione, sormontata da uno stupa bud-dista e da un cumulo di pietre votive d’ispirazionesciamanica. Ai piedi di quella collina ci siamo noi,sparuto gruppetto di missionari e missionarie dellaConsolata, a intensificare la preghiera in questotempo di dolore globale, di sofferenza generale ecollegata, rimbalzante sui media che raggiungonoanche la steppa mongola. Vivere in un Paese gran-de cinque volte l’Italia con appena 3,5 milioni diabitanti, con immensi spazi vuoti e aridi che sepa-rano un villaggio dall’altro, in questo momento hai suoi vantaggi. Qui la chiusura delle scuole è ini-ziata a fine gennaio, seguita a ruota dalla sospen-sione di qualsiasi attività pubblica. Da quasi due

mesi celebriamo messa solo noi padri e suore, sen-za poter accogliere nessuno; anche le numerose at-tività di promozione umana che normalmente svol-giamo sono sospese a tempo indeterminato. Perora non ci sono emergenze sanitarie, se non il con-tenimento dei pochi casi di contagio, legati a citta-dini mongoli rientrati dall’estero e già prontamentemessi in isolamento. Le forze dell’ordine sono ve-nute a ispezionarci. Uscendo un agente mi ha det-to: «Lei che è italiano si ritenga fortunato ad esse-re qui e non nel suo Paese». Aveva terribilmenteragione e questo aumenta in me la frustrazione disentirmi impotente di fronte a questo male cosìgrande. Sono molti gli amici e conoscenti mongolia farsi vivi per telefono, manifestando affetto e of-frendo preghiere. Sì, il popolo mongolo, profonda-mente pervaso da un grande senso religioso-sacraledella vita, ha parole di compassione per chi soffree ricorre istintivamente alla preghiera. Grande le-zione a chi viene da un Occidente spesso scetticoverso chi si dichiara orante. In una situazione delgenere le riflessioni sui massimi sistemi lasciano iltempo che trovano; possono anche creare fastidioin animi troppo provati dal dolore. Penso moltistiano tacitamente ammettendo che tutto ciò è unritorno all’essenziale: quando tutto viene meno, ca-

dono anche le impalcature che avevamo costruito,magari “a fin di bene”.

Come missionario mi sento provocato verso unqualcosa che anche in tempi non sospetti mi rim-bombava dentro: la missione si può reggere solosu “cose che si fanno” o sta in piedi perché c’è unnucleo, un cuore ancora più essenziale, che sussisteanche in assenza di opere e che di esse è la ragionee ne detta lo stile? Il grande dolore che affliggel’umanità intera in questo momento, credo, ci chie-de soprattutto silenzio, un silenzio rispettoso eadorante, non rassegnato, persino fiducioso. Quel-lo del Salmo 36: «Sta in silenzio davanti al Signo-re e spera in Lui». Un silenzio che si trasforma inattenzione e prossimità operosa. Quando qualcunosta male, gli si sta vicino, senza parlare, ma tenen-dogli la mano e asciugandogli la fronte, come di-ceva il beato Pierre Claverie, martire in Algeria; èlo stesso Gesù che sta soffrendo con questa umani-tà che si riscopre più fragile di quanto non pensas-se. Lui ci mostrerà come rialzarci e lasciarci trasfi-gurare dalla sua luce.

*Missionario della ConsolataArvaiheer, Mongolia

KE N YA — L’esperienza dei bambini di strada

La fede non crollaper difficoltà materiali

di KIZITO SESANA*

Sammy, ospite di una casa perex-bambini di strada, appenami ha visto mi è venuto incon-

tro correndo a braccia spalancate perabbracciarmi. Ho teatralmente rifiu-tato l’abbraccio, gridando: «No, no,coronavirus!». Sammy mi ha scansa-to e si è buttato sul prato, rotolan-dosi e ridendo a crepapelle. L’imma-gine della felicità. Poi mi ha detto:«Padre, qui tutto è così bello! Gra-zie!». Lo guardavo e vedevo unbambino che non ha nulla, soloquello che indossa, nient’altro. Nien-te. Sammy non possiede niente dimateriale. Non è ciò che ha, è ciòche è, un nodo di relazioni con glialtri. Ciò che possiede è tutto e solointeriore, le ferite del passato e lagioia del presente. È solo amore. Gliassistenti sociali che si prendono cu-ra di Sammy e degli altri bambinisono pure quasi tutti passati dal-l’esperienza della vita di strada edhanno scelto di restare per aiutare ipiù piccoli, dopo essersi qualificatiprofessionalmente. Sanno bene comecurare le ferite di Sammy. Queste so-no le persone con le quali condividoil tempo del coronavirus in Kenya enon saprò mai ringraziare Dio a suf-ficienza per il loro dono.

Questo succedeva una settimanadopo il 13 marzo, il giorno in cui leautorità keniane hanno annunciatoche era stato trovato il primo caso dipersona infetta da covid-19, ma lagente non aveva ancora capito legravissime conseguenze che un dif-fondersi del contagio potrebbe ave-re. Oggi non più. Quando arrivo invista di una delle nostre case perbambini e giovani, tutti si tengono adistanza e mi salutano con il sorriso— ed è un sorriso che abbraccia — oporgendo il gomito.

Non è stato facile accettare le re-strizioni. Inizialmente scuole e uni-versità chiuse, poi via via tutte le al-tre restrizioni come nel resto delmondo. Da ieri sospesi anche tutti icollegamenti internazionali. Ci sipuò ancora muovere a piedi o in au-to senza restrizioni. Più difficile pen-sare che possa essere richiesto o im-posto di restare in casa. Restare acasa a Kibera, a Kawangware, a Ma-thare Valley dove un totale di alme-no un milione e mezzo di personevivono in famiglie di cinque, sette,dieci persone in stanze di pochi me-tri quadri che sono cucina e camerada letto, i servizi sono in comune

con altre 20 famiglie e l’acqua la siva a prendere in coda alla fontana?E dove vanno i bambini? In stradatutto il giorno, quando le scuole so-no chiuse.

Risalta ancora di più che a Nairobici sono due economie. Una per il 30o 35 per cento della popolazione, cheha una casa, un lavoro sicuro, che vaal ristorante, che usa la carta di credi-to e la banca online. Un’altra perquelli che vanno al ristorante o al su-permercato solo come camerieri ecommessi, o gestiscono una bancarel-la, si prestano a spingere manual-mente un carretto per fare trasporti,improvvisano una vendita di carnefresca macellando una capra o fannoqualsiasi cosa perché, se al mattinonon ci si mette in moto alle 5 e nonsi lavora tutto il giorno, alla sera nonc’è da mangiare. Per loro è impensa-bile stare a casa. Se fossero forzati afarlo, ci si può solo aspettare che inpoche settimane si potrebbe arrivarea una tensione sociale insostenibile,che potrebbe sfociare in sommosse esaccheggi dei supermercati.

Sono fra i privilegiati, ho spazioper vivere confortevolmente, se volessiisolarmi potrei farlo. Ho ridotto i mo-vimenti, ma non li ho annullati. Igiovani hanno bisogno di incoraggia-mento e di preghiera. Sanno che i lo-ro cari, i parenti, i nonni, stanno pas-sando da povertà a miseria e dispera-zione. Sì, in Africa la preghiera è im-portante anche in un momento in cuisembrerebbe che i problemi sanitaried economici debbano essere la prio-rità. La preghiera crea comunione conDio e con gli altri. La fede in un Dioche ci ama e ci ascolta non crolla perdifficoltà materiali che passeranno.

La nostra vocazione è annunciareil Vangelo rendendolo visibile nellavita fraterna. I nostri bambini e ra-gazzi cercano verità e amore. E iocredo che «la sola verità è amarsi»,come ho sentito dire da Raoul Folle-reau 50 anni fa. È ancora così. È laverità di Gesù, una verità che per es-sere annunciata ha bisogno di cura,di comunicazione personale, di vici-nanza. La vita cristiana è dare la pro-pria vita per generare nuova vita.Ogni giorno, anche attraverso le re-sponsabilità più semplici e poco ap-pariscenti. Non posso vivere per vive-re. Vivo solo se dono. Tutto è dono.Sammy è un dono immeritato.

*Missionario in Kenya

BRASILE — La forza della preghiera

Un desertoper parlare al cuore

MOZAMBICO — Intervista al missionario argentino Juan Gabriel Arias

In molti paesi africanilavarsi le mani è ancora più un lusso

di SONIA SALA*

Il Brasile è un “continente”. Isolare tutti davan-ti all’emergenza covid-19 è praticamente un’im-presa impossibile. C’è chi deve lavorare per so-pravvivere insieme alla sua famiglia. Se nonesce di casa, non guadagna e quindi non man-gia. Come se non bastasse, le misure che il go-verno federale sta prendendo davanti alla situa-zione emergenziale sono insufficienti e, invecedi promuovere e difendere i cittadini, le fami-glie, i popoli originari, le comunità più vulnera-bili, sembra approfittare dell’emergenza stessa edella fragilità sociale di tanti per imporre lapropria forza, pregiudicando i “piccoli”, invecedi strutturate politiche pubbliche a favore dellavita di tutti. Un esempio fra tanti. Oggi Davi èvenuto alla nostra porta. Chiede i soldi corri-spondenti al biglietto del pullman per tornare acasa. È andato al suo posto di lavoro stamatti-na: un servizio sottopagato per qualche settima-na. Ma oggi al lavoro non si è presentato quasinessuno e lui, come tanti altri, deve tornare acasa: a mani vuote, figli piccoli da sfamare, pri-ma, durante e dopo l’e m e rg e n z a .

Le gonfie periferie di tutte le grandi città po-trebbero raccontare migliaia di casi come que-sto. Oltre alla mancanza di minime condizionidi una vita degna di essere chiamata umana: in-teri quartieri senz’acqua da giorni ormai. Qualedisinfettante (ammesso che qualcuno possacomprarlo, dati i prezzi assurdi raggiunti inquesti giorni, dove chi può approfitta della si-tuazione) potrebbe essere utile? Senza contareche mangiare e bere è più vitale dell’alcool perpulirsi le mani. Gesti di grande solidarietà ven-gono non certo dall’alto, ma piuttosto da chi at-traversa situazioni simili. Così, nelle immenseperiferie dei grandi centri urbani, e non solo,dal Nord al Sud, c’è chi si dà da fare per ap-prontare un kit di igiene personale, con saponee poco altro da consegnare alle famiglie che vi-vono in spazi angusti e superaffollati, a quelleche non possono comprarselo, agli anziani chenon possono uscire di casa. Così, si formano fi-le numerose per ricevere, a distanza di sicurez-za, il proprio kit personale… L’emergenza è an-cora recente, il peggio lo attendiamo nelle pros-sime settimane. E probabilmente sarà una trage-dia annunciata. Né il governo federale, che ap-pare impotente verso chi non avrà come “difen-dersi” né dal virus, né dalle misure assurde dichi non ha ragione di preoccuparsi, né la situa-zione reale delle moltitudini obbligate a condi-zioni di vita “miserabili”, potranno affrontarel’e m e rg e n z a .

Accompagnando le notizie sulla situazione inItalia e della mia città d’origine, nella Bergama-sca, una delle zone più colpite, mi chiedevo co-sa sarebbe accaduto qui, entro pochi giorni.Forse non immaginavo cosa sarebbe accaduto ame, personalmente, missionaria da poco più divent’anni in questo sconfinato Paese. Ho vissuto

un po’ ovunque: San Paolo, Bahia, Amazzo-nia... Ho condiviso la vita nelle più diverse real-tà brasiliane: le periferie “gonfie” di persone; re-gioni completamente aride senz’acqua potabile;altre bagnate dall’immensità di fiumi come ilRio delle Amazzoni... Ho fatto le cose più di-verse, come tutti i missionari per raggiungere ilpiù possibile chi era “lontano”. Oggi sono aBragança Paulista, una ridente cittadina a un’ot-tantina di chilometri dalla grande e affollataSan Paolo, a servizio dell’animazione e forma-zione missionaria della diocesi locale. Non ri-cordo, in questi ultimi anni, quale sia stato ilgiorno in cui sono rimasta in casa per almenodue giorni consecutivi. Credo mai. Eppure que-sta fermata improvvisa è come se non mi avessecolto di sorpresa. Lo definisco, per me stessa,un tempo favorevole, come l’inizio della Quare-sima ci chiedeva. Sono ancora i primi giorni,ma è qualcosa di cui sento un gusto che nonimmaginavo, perché rispondono ad una seteprofonda che mi abita, da sempre, anche dentrole corse missionarie: il deserto nel quale Dioconduce per parlare al cuore. Da subito la miacomunità ha voluto unirsi al mondo con la pre-ghiera, diventata fedele e davvero universale. Lapreghiera, prima attività missionaria, per portareal mondo Dio e a Dio tutti gli uomini. Così

scriviamo nelle nostre costituzioni. Forse maistata così reale e profondamente vissuta.

E per me, personalmente, che da tempo sen-tivo la necessità di un alimento solido per lamia vita missionaria, piena di impegno a servi-zio degli altri, e probabilmente ancora pococonsegnata davvero per tutti; forse ancora trop-po piena di protagonismo più che di umile co-scienza di essere un semplice strumento nelleSue mani per raggiungere coloro che sono giàSuoi da sempre. Pochi giorni, molti altri segui-ranno. Ma già percepisco il sapore della libertàche questa coscienza nuova mi offre: sono “so-lo” cooperatrice di una missione che è Sua, acui mi è data la gioia di partecipare. E non tan-to come (o anzitutto!) “buon operaio della mes-se”, ma come figlia destinataria, come coloro acui sono inviata per pura gratuità di Dio, dellostesso immenso Amore che mi raggiunge adogni risveglio, che mi avvolge ad ogni stagionee tempo della vita. Anche quello del covid-19. Èliberante sentirsi semplicemente uomini e don-ne, fatti dello stesso prezioso fango, tutti figli efiglie amati. Perché Dio non sa fare altro chequesto. E, forse, mi sta insegnando a farlo.

*Missionaria dell’Immacolata, a BragançaPaulista, Brasile

di SI LV I N A PÉREZ

Mentre la crisi sanitaria dovuta al coro-navirus assorbe l’attenzione e le risorsedei paesi ricchi con la forza di una

centrifuga, l’altra metà del pianeta attende congrande preoccupazione ciò che sta per piombar-le addosso. L’Africa è stato l’ultimo continentedel mondo in cui è giunta la pandemia. Anchequi però il coronavirus si è infiltrato e ci sonosempre più regioni con casi positivi. Per alcunipaesi del continente il coronavirus può essereuna tempesta perfetta sotto forma di problemasanitario e, soprattutto, di crisi economica perla quale non dispongono di una rete di sicurez-za. «Se il coronavirus si diffonde in Mozambi-co, sarà una vera catastrofe», afferma padreJuan Gabriel Arias, un sacerdote missionarioargentino della missione San Benedetto diMangunde, una piccola località sita a 240 chi-lometri da Maputo, la capitale del paese, e a 35da Xai-Xai, capoluogo della provincia di Gaza.Padre Arias preferisce concentrare l’attenzionesull’immediato: la mancanza di reparti di tera-pia intensiva e di respiratori e la paura dellagente «di morire come cani perché gli ospedalinon hanno le infrastrutture necessarie». L’aller-ta è massima. Il Mozambico ha deciso d’inter-rompere i voli con i paesi dove si registranocontagi e d’imporre in tutto il paese una qua-rantena obbligatoria di un mese come misuradi prevenzione.

Il problema principale, però, è la mancanzadi risorse, sia materiali sia umane, nel sistemasanitario. Il direttore nazionale della Sanitàpubblica dello stato africano, Rose Marlene, haammesso apertamente all’Agenzia Efe che ilpaese non ha «la capacità di affrontare e dia-gnosticare il coronavirus. Abbiamo altri proble-

mi sanitari in questo momento». Il Mozambicodeve infatti far fronte ogni giorno ad alti tassidi Aids, malaria e tubercolosi, con 0,075 mediciper ogni mille abitanti e con infrastrutture ina-deguate per l’isolamento dei malati.

Di fronte all’epidemia di coronavirus che si sta dif-fondendo in alcuni paesi africani, lo scenario inMozambico sta cambiando?

Certamente. Il 26 marzo sono stati registratitre casi. Al primo se ne sono aggiunti veloce-mente altri due. Il primo contagio locale è statoquello di una donna mozambicana infettata dauna persona sudafricana. Negli ospedali manca-no letti e respiratori, i medici sono pochi e i ser-vizi come l’acqua corrente sono un lusso. Il co-ronavirus si sta diffondendo in decine di paesiafricani e le previsioni degli esperti sono dram-matiche. Sebbene il governo abbia adottato mi-sure urgenti e abbia limitato gli ingressi nel pae-se, mettendo in quarantena le persone che pro-vengono da fuori, in alcune zone preoccupa ilmancato rispetto delle norme da parte di quantipensano di potersi sottrarre alla quarantena e sispostano da una regione all’altra. Credo che sa-rà questa la principale fonte di contagio. In par-ticolare nella mia zona, dove c’è una grandissi-ma mobilità di lavoratori tra il Sud Africa e ilMozambico. I giovani pensano di essere immu-ni al coronavirus. È una situazione difficile.

Come sta reagendo la comunità di Mangunde?

La gente ha paura di ricadere in una situazio-ne simile a quella vissuta all’epoca della guerra,quando tutte le famiglie hanno pianto la mortedi un parente o di una persona cara. Pensanoche succederà la stessa cosa e c’è molta paura emolto timore tra la popolazione di “morire ab-

bandonati come cani”. Hanno paura anche per-ché capiscono che il sistema sanitario non è ingrado di far fronte a una crisi di questa portata.Ricordiamo che quando si crea un focolaio dicolera o qualche altro problema simile non cisono letti a disposizione per tutti. Nella provin-cia di Gaza, dove si trova la mia comunità,l’ospedale provinciale più vicino si trova a circaquaranta chilometri. Lì è stato appena inaugu-rato un reparto di terapia intensiva con 10/12letti per servire una popolazione di due milionidi abitanti. E noi siamo relativamente fortunatiperché ci sono altre comunità che devono per-correre 700/800 chilometri per poter accedere aun ospedale. Il problema è che non ci sono re-spiratori, e neppure ossigeno.

Com’è ora la situazione nelle città? Quali misureha dovuto prendere per fare fronte a questa situa-zione eccezionale?

In molti paesi africani lavarsi le mani era giàun lusso, ora lo è ancor di più. Con la pande-mia che sta bussando alla porta, questo lussodiventa una necessità urgente. E noi sappiamoche l’acqua è uno degli elementi più importantiper lottare contro il contagio del virus, e qui èun bene raro. Nel mio villaggio l’acqua provie-ne da un pozzo dove c’è una sola pompa e do-ve si recano madri e figli. Si concentrano tuttiattorno a quella fonte d’acqua, il che ne fa unpericoloso focolaio di contagio. Non solo per-ché tutti toccano la leva della pompa, ma ancheperché lì si concentra molta gente. Perciò ho al-lertato le autorità, che ci hanno suggerito dimettere un secchio d’acqua con del sapone perlavarsi le mani prima di prendere l’acqua dalpozzo e dopo, e un altro con acqua e varechinaper disinfettare ogni volta che una persona loutilizza. Un altro tema importante è la preven-zione. Qui non c’è elettricità e quindi non ci so-no né televisione né radio. E la gente non sa co-me prevenire. Abbiamo formato un primo grup-po di giovani perché diffondano i comporta-menti da seguire per la prevenzione del corona-virus. In questo momento stanno già fornendoinformazioni alle famiglie. Visitano le case e la-sciano un opuscolo informativo. Ogni giornopercorrono una zona.

In Italia muoiono sacerdoti e fedeli, senza messa nérito funebre. Il coronavirus sta provocando la mortedi molti sacerdoti. Lei è da tempo in prima linea,ha visto guerre, epidemie e disastri naturali. Pensadi sospendere la sua attività in Mozambico in que-sto momento?

Mai e poi mai. Se l’epidemia arriva, io devostare accanto alla mia comunità per ammini-strare l’estrema unzione e dare l’ultimo salutoai “nostri” morti nei funerali. E se nel farlo per-do la vita, che così sia. Cosa c’è di meglio didare la vita mentre svolgo il mio ministero sa-c e rd o t a l e ? .

PA P UA NU O VA GUINEA — Come spiegare la minaccia di un nemico che non si vede

Una grande opportunitàeducativa

di GIORGIO LICINI

Oggi 25 marzo preghiamo e digiuniamo. Loha chiesto il governo della Papua NuovaGuinea a tutti i cittadini. Domenica è stato

dichiarato lo stato di emergenza per due settimane.Ci si prepara al peggio nella speranza, ancora vivaperò, di rimanere indenni. La settimana scorsa èstato registrato il primo caso ufficiale di coronavi-rus, un dipendente di una miniera partito da Ma-drid e arrivato qui via Istanbul e Singapore. È sta-to male un giorno dopo il rientro sul posto di la-voro. Dopo alcune analisi incerte, la conferma del-la pericolosa infezione. Ma ora sta bene.

Da gennaio ad oggi certamente altre persone so-no entrate in Papua Nuova Guinea con il corona-virus. Io stesso ho vissuto con una certa apprensio-ne le prime due settimane di marzo al ritorno daun pellegrinaggio in Terra Santa con un gruppo diventicinque laici e sacerdoti. Vi era appena passatoil gruppo sudcoreano poi risultato positivo al rien-tro in patria. A Betlemme, alla nostra partenza —27 febbraio — tutto era ancora normale ma una set-timana dopo tutte le strutture ricettive erano giàchiuse in seguito a casi riscontrati tra il personaledegli alberghi. Non sappiamo quindi al momentose il virus vorrà colpirci, o solo darci un avverti-

mento e farci riflettere. Spiegare alla nostra gentesemplice la minaccia di un nemico che non si vedenon è cosa facile. Ma è necessario aiutarli a drib-blare il pericolo atavico e pre-scientifico di attri-buire la morte a “qualcuno” anziché a “qualcosa”.Non è cosa da poco. È la base della stregoneria edel pay-back: scoprire e uccidere per vendetta chiha “provo cato” la morte di un familiare. Dovesse ilcoronavirus diffondersi sugli altipiani interni dellaPapua Nuova Guinea, le vittime collaterali sareb-bero la parte più dolorosa della storia. Non basteràquindi isolare la gente, realizzare posti di bloccoed imporre quarantene. Il coronavirus offre para-dossalmente una grande opportunità educativa.

È difficile il discernimento pastorale. Messe e li-turgie con la partecipazione dei fedeli sospese perdue settimane. Forse poi addirittura durante laSettimana Santa? Mai successo dall’arrivo dei mis-sionari nel lontano 1882. I vescovi tentennano. Al-cuni fedeli ancora di più. Chi trova incredibile chel’acqua benedetta, e ancor più il corpo e il sanguedi Cristo, non garantiscano contro il virus, e chiteme che si preghi di meno ora che serve pregaredi più. Semplifico un po’. E mi riferisco natural-mente alle prime reazioni. Perché poi i più capi-scono che se il governo chiude le scuole e gli ufficie cerca di ridurre al minimo i contatti fisici, pur

non chiedendo espressamente la sospensione degliincontri di preghiera, è doveroso collaborare.

Chiusi in casa due settimane o, come me, da so-lo in ufficio, con i dipendenti e i responsabili dellecommissioni pastorali tutti bloccati a casa, si lavo-ra, si legge, si prega, si mandano indicazioni e sug-gerimenti alle diocesi, ci si dedica all’archivio dellaConferenza episcopale. Si tengono anche i contatticon amici, parenti e confratelli in Italia. E con lorocresce ogni giorno lo smarrimento per ciò che ac-cade. Dalle mie parti sono distrutti. Alzano Lom-bardo perde in poche settimane quasi tutti i suoinonni. Leggo dell’ecatombe dei missionari saveria-ni, una presenza storica nella cittadina della bassaValseriana. Così, tanti altri dalle diocesi lombardee dalle congregazioni. Ed ora anche tanti giovaniitaliani ammalati.

L’anno più brutto e più duro per tutti, per il no-stro Paese, dal 1944. Ma mi pare di capire, da ciòche sento e leggo, che come ogni prova atroce ilcoronavirus sta già riconducendo tutti ad una di-mensione ed un respiro più spirituale, in tempi re-centi non poco trascurato.

*Missionario del Pime in Papua Nuova GuineaSegretario generale della Conferenza episcopaledi Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, Port Moresby

Sono otto le religiose comboniane decedute a Bergamo

Non sarà il contagioa tarpare le ali della missionedi PAOLA MO GGI*

Q uella “porta chiusa” è unsupplizio, più terribile dellebombe della guerra, soprat-

tutto per noi che per vocazione sia-mo donne d’incontro e accoglienza,donne della via e della tenda che sidistende per far spazio ad altre ealtri.

In questi giorni di isolamentosuor Riccardina, quasi novantenne econ una ventennale missione da pio-niera negli Stati Uniti al tempo dellasegregazione razziale (partì che era il1953), fa memoria dei bombardamen-ti durante la seconda guerra mondia-le. Ricorda il rombo di “Pipp o”, ilminaccioso cacciabombardiere chevolava basso nella notte: quantapaura! Appena si avvicinava il suosuono cupo, le persone scappavanonei rifugi o si disperdevano nellecampagne, ma sempre insieme, vici-ne, mano nella mano; non nell’isola-mento doloroso che il covid-19 im-pone oggi a oltre due miliardi dipersone e che diventa tragico perchi, con la testa nel casco, sentel’immane fatica dei polmoni a suc-chiare ossigeno: la morte incombe emanca la rasserenante presenza dellepersone care.

D all’inizio del covid-19 a oggi,nella comunità di Bergamo otto suo-re comboniane sono decedute: le ca-se religiose, soprattutto quelle connumerose sorelle anziane o molti pa-dri infermi, sono particolarmenteesposte alla circolazione interna delvirus proprio per lo stile di vita co-mune, attualmente soggetta anch’es-sa a restrizioni. Questo tempo di di-stanziamento sociale, assolutamenteindispensabile per arginare il conta-gio e il suo manto funesto, fa violen-za alla nostra vocazione missionaria,ma non le tarpa le ali: è ancora pos-sibile coltivare le relazioni, con unachiamata al telefono o una chat.

Dal 1962 suor Franca ha attraver-sato i continenti; era in Uganda du-rante la truce dittatura di Idi AminDada. Per decenni ha vissuto in

Africa affiancando le religiose locali.Il 29 febbraio 2020 l’attendeva a Ve-rona il volo per rientrare a Kampala,in Uganda, ma proprio in quei gior-ni la situazione italiana precipita:meglio posticipare il volo al 20 mar-zo. All’inizio un senso d’angoscia:tante attività programmate attende-vano il suo ritorno. Poi, un tocco digrazia per vivere da reclusa nellagrande casa madre di Verona, dovedal 1872 Daniele Comboni ha fattocrescere le missionarie Pie madri del-la Nigrizia: c’è più tempo per prega-re e studiare e, soprattutto, per rag-giungere al telefono le persone piùsole e provate. Nel dilagante distan-ziamento sociale, quante di loro at-tendono una parola di affetto e diincoraggiamento? Franca usa telefo-nate, e-mail e collegamenti skype.

E nel tempo disteso di questegiornate, si può lasciar decantare ilproprio vissuto, raccoglierlo comeun distillato prezioso: con più calmasi può far memoria e dire grazie.Nello scorrere dei giorni che dilata-no la sosta, può emergere più consa-pevolezza per abbracciare e accarez-zare tante persone, familiari e ami-che, e tante altre fortuitamente in-contrate nel corso degli anni.

E il pensiero vola a quei volti, aquei popoli con cui abbiamo mesco-lato la nostra vita. Sono persone giàprovate da conflitti decennali e or-rende esplosioni di violenza. Nei lo-ro Paesi il sistema sanitario non co-nosce le nostre eccellenze.

In Uganda il covid-19 è ufficial-mente arrivato il 20 marzo da Dubaie proprio quel giorno suor Francanon è più potuta partire: chiunquearrivi in territorio ugandese deve tra-scorrere due settimane di quarantenain albergo a proprie spese, perché ilgoverno non ha mezzi propri per or-ganizzare la quarantena. «Io sono inquesto luogo protetto — dice Franca— con lo sguardo che spazia oltre lemura di casa; due della mia famiglia,contagiati dal virus, sono già statidimessi dall’ospedale e ora stannovivendo a casa la convalescenza, main tutta l’Uganda ci sono appenatrentacinque respiratori per oltrequarantaquattro milioni di persone:se il virus dilaga, sarà un’ecatomb e».

*Suora missionaria combonianadirettrice di Combonifem, Verona

I testi di Giorgio Licini, GiorgioMarengo, Paola Moggi, Sonia Salae Kizito Sesana sono stati raccoltida LORENZO FAZZINI Giovani volontari mobilitati per il volantinaggio con le indicazioni sanitarie per contenere l’epidemia

Page 7: IETRO LA PREGHIERA DI L’abbraccio di Dio all’umanità nella ... · Non ci troviamo su un sentiero non ancora battuto, ma anzi sulla strada principale». ANDREA MONDA ... la Città

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 domenica 29 marzo 2020

OSPEDALE DA CAMPOTEMPORE FAMIS

«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi

è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.

Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia...

Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso»

L’appello del direttore della Caritas di Roma don Benoni Ambarus

E v i t a reil contagio della paura

di MARINA PICCONE

«L’emergenza sanitariache stiamo vivendo cipone di fronte a nuove

necessità, rischiando di minare pro-prio quella che è la principale carat-teristica del nostro agire: tessere re-lazioni e curare le ferite dell’anima»,afferma don Benoni Ambarus, diret-tore della Caritas di Roma. «Lapaura del contagio tende a sacrifica-re questo tipo di rapporti. Si ha ti-more di incontrare le persone, so-prattutto i poveri, perché in essi ve-diamo gli untori. È fondamentaleinvece considerare che, proprio inquesto periodo in cui tutti si chiu-dono in se stessi, le persone più fra-gili hanno ancora più bisogno diqualcuno che li ascolti e li aiuti».Gli anziani soli, i poveri e, soprat-tutto, i senza dimora, circa ottomilaa Roma e cinquantacinquemila inItalia, quelli per cui lo slogan #iore-stoacasa suona come una beffa,stanno vivendo una condizione diparticolare disagio. Così, la Caritasdiocesana ha provveduto a riorga-nizzare i suoi servizi cercando dinon lasciare nessuno indietro e ri-spettando, per quanto possibile, idecreti della Presidenza del Consi-glio dei ministri. Le mense conti-nuano l’attività. Sono stati ampliatigli spazi in cui gli ospiti possonoconsumare il cibo, allestendo tavolinei cortili esterni o programmandogli ingressi senza creare affollamen-to. La mensa Giovanni Paolo II, aColle Oppio, è aperta sia per ilpranzo sia per la cena; la mensa divia Marsala funziona soltanto pergli ospiti del vicino ostello; la men-sa di Ostia è aperta a pranzo, men-tre la cena è riservata agli ospitidell’ostello Gabriele Castiglion.L’ambulatorio è attivo, come sem-pre, e anzi, sta funzionando a pie-no ritmo, oltre che per le prestazio-ni sanitarie, anche come centro di informazione sul coronavirus e sulleprecauzioni da prendere per evitareil contagio.

La rimodulazione si è resa neces-saria soprattutto per quanto riguar-da i centri di accoglienza in cui, se-condo le ultime disposizioni, sonostati bloccati i nuovi ingressi e le di-missioni di chi è già dentro (in pre-cedenza la permanenza prevista eradi massimo tre mesi) e si è passatida un’ospitalità limitata a 15 ore aquella di 24 ore. In posti in cui sidorme in letti a castello e in cui ladistanza è minima non si potevanogarantire le norme di sicurezza. Co-sì, dopo un periodo di grande diffi-coltà, dal 20 marzo scorso ai quattro centri di accoglienza diocesani si èaggiunto il Fraterna Domus, a Sa-crofano. Si tratta di una strutturatemporanea nella quale verrannodislocati 90 dei 360 ospiti comples-sivi delle strutture che ora sono,quindi, meno congestionate. Il cen-tro di Sacrofano verrà finanziatodalla diocesi di Roma e dalla Con-ferenza episcopale italiana (Cei) edè gestito dai frati minori della pro-vincia di San Bonaventura, di TorreAngela, e del Palatino. Questa solu-zione ha permesso di risolvere an-che la questione delle uscite non“per necessità” degli ospiti, che hacreato non pochi problemi. È di al-cuni giorni fa la notizia che cinquesenza fissa dimora, residentinell’ostello di via Marsala, sono statimultati per non aver potuto giustifi-care la loro presenza in strada. Lostesso è avvenuto a Ostia, dove so-no state fermate tre persone di unaltro dei centri di accoglienzadell’ente caritativo. Impedire diuscire non è semplice. «Le nostrestrutture residenziali non sono car-ceri, non possiamo obbligare le per-sone a rimanere dentro», spiega Lo-renzo Chialastri, responsabile del-l’area immigrati e rifugiati. «Cer-chiamo di sensibilizzare i nostriospiti, ma non possiamo fermarli.La situazione è complessa. Sentia-mo la responsabilità di tutelare loroma anche i cittadini. La grande que-stione è: come gestire un’eventualequarantena? Noi non siamo prepa-

rati a questa evenienza. La preoccu-pazione riguarda anche gli operato-ri, che avvertono l’esigenza di avererisposte». Gli stranieri sono partico-larmente coinvolti da questo statoemergenziale. «Stiamo garantendo iservizi essenziali ai nostri utenti, 140fra Sprar e parrocchie, ma abbiamodovuto chiudere il centro di ascoltodi via delle Zoccolette, che prima ri-ceveva circa 100 persone al giorno»,continua Chialastri. «I colloqui peri progetti e le attività di socializza-zione sono interrotti e i tirocini an-nullati, con grande sconcerto per lepersone interessate, che vedono ri-dotte le loro speranze per il futuro.Sono saltati anche i lavori occasio-nali e si fa sentire forte la fatica adandare avanti».

C’è poi il “caso” volontari, un’im-portante risorsa per l’organismo pa-storale della Cei, che ne vanta 1.300circa. Fino a pochi giorni fa nonpotevano operare in quanto la loroattività non era inquadrata fra quel-le previste dai decreti governativi.La mancanza di chiarezza avevacausato la quasi totale sparizionedei volontari, con la conseguente ri-duzione dei servizi. «Nelle disposi-zioni non si è tenuto conto delmondo del volontariato e della soli-darietà», aveva denunciato don Ben.Fortunatamente, il 20 marzo scorso,un’ordinanza della regione Lazio hapermesso di risolvere la questione.Il provvedimento autorizza gli spo-stamenti dei volontari impegnati adassicurare i servizi necessari alle fa-sce più deboli della popolazione egarantisce loro la possibilità di ope-rare in tutta sicurezza rispetto ai ri-schi di contagio attivo o passivo. Ivolontari ora stanno tornando, an-che se non nei numeri e nei tempiconsueti. «La maggior parte ha piùdi 65 anni, molti sono nonni, e il ri-schio di un contagio espone oltreche loro stessi anche i nipotini e ifamiliari», spiega Massimo Pasquo,responsabile dell’area promozioneumana. «Coniugare le esigenze ditutti, i più deboli, gli operatori e ivolontari, con il rispetto delle regolenon è facile. Su questi aspetti ci in-terroghiamo ogni giorno, rimodu-lando, di volta in volta, il nostro in-tervento. Siamo in continuo contat-to con le parrocchie del territorioche ci chiedono come prestare la lo-ro opera solidaristica. Perché la vo-lontà di fare non è mai venuta me-no, anzi, è aumentata. C’è chi vuole

rendersi utile e chi dona quello chepuò. Molti ristoranti, in particolare,costretti a chiudere, hanno offerto ilcibo in giacenza. Certo, i servizi sisono ridotti. Per motivi di sicurezzanon esiste più l’attività di accompa-gnamento, per visite o semplici pas-seggiate, né i servizi all’interno delleabitazioni, pulizie, compagnia. Fac-ciamo comunque sentire la nostrapresenza monitorando la situazionetelefonicamente e garantendo laconsegna di cibo o medicine».

Su tutto aleggia la minacciadell’esaurimento delle scorte di ci-bo. «Con questo ritmo reggiamo so-lo pochi giorni», è il grido d’allar-me di don Ben. «La filiera produtti-va si è ridotta e, in questo momen-to, in aggiunta, c’è la grande solleci-tazione dei rom, che prima vivevanodi espedienti e ora non sanno piùcome fare. Abbiamo urgente biso-gno di derrate alimentari e di menovincoli burocratici per fronteggiarela situazione».

Ci sono, infine, i detenuti, gli ul-timi degli ultimi. Alcune associazio-ni del mondo cattolico, fra cui laCaritas, Sant’Egidio e l’Asso ciazionevolontari in carcere, hanno chiestoal governo di mettere in campoprovvedimenti che consentano di af-frontare in maniera adeguata e ur-gente il rischio di diffusione delcontagio da covid-19 in carcere.«Occorre fare uscire le persone fra-gili e chi ha un fine pena breve»,recita l’appello, «ampliando la de-tenzione domiciliare speciale per li-berare spazi all’interno degli istitutidi pena, in un momento in cui lospazio è essenziale per fermare ladiffusione dell’epidemia».

In questa situazione di emergenzae di rischio di isolamento affettivola diocesi di Roma invita a promuo-vere iniziative di vicinanza verso lepersone più fragili, una carità «dellaporta accanto», come la definisce ildirettore della Caritas. «Bisognaevitare il contagio della paura e cer-care di farsi carico dei più deboli in-torno a noi, a partire dal proprioquartiere. Come dice Papa France-sco, possiamo ritrovare quei piccoligesti concreti di affetto, ascolto, at-tenzione, compassione per le perso-ne che ci circondano, familiari, ami-ci, vicini. Sono gesti importanti, de-cisivi. In tal modo questi giorni nonsaranno sprecati e, sono sicuro, da-ranno i loro frutti».

La Comunità di Sant’Egidio in aiuto dei più deboli

Quando la solidarietàunisce

di VALENTINO MAIMONE

Già oltre seimila telefonate,soltanto a Roma, agli anzia-ni che non possono muover-

si per consegnare loro gratuitamentela spesa in casa. Una linea telefoni-ca specifica per teleconsulti medicimultispecialistici, attiva nella capita-le e destinata alle fasce più deboliche già soffrono di patologie diversedal coronavirus. E poi ancora inter-venti diretti di sostegno ai più biso-gnosi, come i senza fissa dimora,sotto forma di pasti caldi, coperte eogni altra forma di aiuto. È solouna piccola parte di tutto quello chele migliaia di volontari della Comu-nità di Sant’Egidio stanno facendoin queste ore in cui il coronavirusimperversa in Italia. Lavorando tramille difficoltà, considerate le tantelimitazioni imposte per la sicurezzae la prevenzione dei contagi dal de-creto della Presidenza del Consiglio:«È una situazione nuova per tutti,ma stiamo cercando di adeguarci ilpiù rapidamente possibile proprioperché i più deboli, là fuori, nonpossono aspettare», osserva RobertoZuccolini, portavoce della Comuni-tà. «Più ancora del nostro lavoro,tuttavia, a essersi modificata è statala vita dei più deboli, in particolaredelle persone che vivono per strada.In condizioni normali, infatti, tuttala nostra attività è concentrata su unobiettivo: evitare che la strada, perqueste persone, diventi una condan-na. E invece, purtroppo, in questigiorni è proprio ciò che sta accaden-do. I senza fissa dimora ci appaionosempre più disorientati e incapaci direagire. E proprio per questo sonoancor più bisognosi di aiuto da par-te nostra».

Con la chiusura delle attivitàcommerciali, con le strade semprepiù prive di persone, chi vive di aiu-ti da negozi, bar e ristoranti o sem-plicemente dall’elemosina, si ritrovasenza nulla su cui poter contare:«Anche se con molti di loro abbia-mo già da tempo instaurato un rap-porto di confidenza e rispetto, è di-ventato molto difficile trovarli per-ché si spostano alla ricerca di luoghipiù frequentati dove rimediare unaiuto per sopravvivere. Quando liindividuiamo, il nostro primo obiet-tivo è spiegare loro cosa sta acca-dendo, i motivi per cui la città si èsvuotata e quali rischi ci sono per lasalute», fa notare Zuccolini.

Un occhio particolare va alla pre-venzione del contagio: «I nostrioperatori si attengono scrupolosa-mente alle norme in vigore, indossa-no mascherine e guanti ed evitanoogni rischio soprattutto per i senzacasa. Queste persone sono moltofragili, denutrite, spesso malate, nonpossono permettersi di essere infet-tate. Spieghiamo loro che possonorecarsi presso le nostre mense, cheabbiamo deciso di tenere aperte, maanche che devono imparare ad adot-tare precauzioni precise: dalla di-stanza di sicurezza all’obbligo di la-varsi le mani», continua il portavocedella Comunità.

Dalla cittadinanza, un po’ in tut-ta Italia, è arrivato un segnale fortis-simo: «Già dopo i primi giorni dicrisi — aggiunge Zuccolini — abbia-mo cominciato a ricevere tante tele-fonate da persone disposte a lavora-re con noi. È un segnale fortissimoche la solidarietà non diminuisce,anzi aumenta in questo momento diemergenza. E il dato più confortan-te è che la maggior parte delle ri-chieste proviene da giovani, nella fa-scia di età compresa tra i 25 e i 30anni». I nuovi arrivi vanno così adarricchire il piccolo esercito di vo-lontari di Sant’Egidio: «Impossibiledire con precisione quanti siamo.Però posso darle un’idea attraversola stima che abbiamo fatto in occa-sione del pranzo di Natale 2019 coni poveri: in tutta Italia hanno parte-

sito https://(www.s a n t e g i d i o . o rg ) ,una raccolta straordinaria per aiuta-re i senza fissa dimora, gli anziani, imalati e i disabili. L’obiettivo —spiega Zuccolini — è di mettere in-sieme anzitutto denaro, ma anchegeneri utili in questo contesto di cri-si come mascherine, gel e salviettedisinfettanti. Chiediamo inoltre allapopolazione di aiutarci ad ampliareil monitoraggio delle persone anzia-ne o con disabilità, che continuiamoa seguire — non potendo visitarli —con telefonate, lettere, messaggi au-dio e video, inviati in particolare achi vive negli istituti. Anche offrirsiper portare la spesa a domicilio èun’azione preziosa per limitare il di-sagio di chi è più solo e vulnerabi-le».

Restano aperte le mense per i po-veri, soprattutto in alcune zone do-ve i livelli di crisi sono elevati: «Lanostra comunità è presente anche incittà in piena emergenza come Pa-dova, Treviso e Milano, oppure inPiemonte. Abbiamo deliberatamentepreferito continuare il nostro lavoro,ovviamente nel pieno rispetto dellemisure di sicurezza, contingentandogli accessi, mantenendo le distanzetra i presenti e l’igiene. Non dobbia-mo mai dimenticare — conclude —che se il contagio ci allontana fisica-mente, la solidarietà ci unisce, cirende più forti di fronte alla paura eaiuta a proteggerci».

L’impegno dell’Unitalsi nel trovare forme diverse di assistenza

Persone del camminodi IGOR TRABONI

«C erto, i pellegrinaggi sono sospesi— e ripeto sospesi, non annullati— ma noi siamo e restiamo perso-

ne del cammino; la nostra è una storia, dovec’è un presente e un futuro, siamo personedella speranza. Per questo stiamo trovando

forme diverse per restare vicino agli assistiti».Così monsignor Luigi Bressan, arcivescovo

emerito di Trento e assistente ecclesiastico na-zionale dell’Unione italiana trasporto amma-lati a Lourdes e santuari internazionali (Uni-talsi) inquadra il particolare momento («che èanche una scuola, una prova») che sta inevita-bilmente vivendo l’associazione. Da fuori im-maginiamo un coefficiente di difficoltà mag-giore, visto che i volontari Unitalsi assistonodisabili, anche gravi; da dentro, invece, il mo-mento viene “attraversato”, e non solo vissuto,con una serena consapevolezza dell’agire co-munque, pur rispettando ovviamente tutti idettami delle autorità.

La prima vicinanza è quella di «una carez-za digitale — entra nello specifico monsignorBressan — secondo quanto scaturito da unaparrocchia di Impruneta, in Toscana, e poi al-largatosi in tutta Italia: si telefona agli anzia-ni, per farli sentire meno soli. I volontaristanno molto al telefono e li aiutano anche inquesto modo. Così come gli aiuti si fanno piùmateriali con una vicinanza concreta: i nostrivolontari portano la spesa, le medicine, anchei pasti caldi, sempre di concerto con i comunie spesso con le Caritas. Siamo partiti da Pa-ternò, in Sicilia, e anche questo gesto si è poia l l a rg a t o » .

La rete digitale sta funzionando anche tra iresponsabili e gli assistenti, per comunicazioniinterne e altro. Grande è l’attenzione verso

quello che Bressan rimarca come «l’imp egnoquotidiano della preghiera, ad iniziare dal Ro-sario. Non a caso il nostro tema pastorale del2020 è “Io sono l’Immacolata Concezione” edecco dunque che ci sentiamo sempre “collega-ti” con Maria, con la grotta di Lourdes. Ainostri sacerdoti suggeriamo una mezza gior-nata o una giornata intera di ritiro spirituale;ai nostri volontari (circa trentamila in tuttaItalia) di pregare in casa, di riscoprire il Van-gelo o la bellezza dei Salmi. Guardiamo sem-pre a Maria e a lei ci affidiamo perché tra-smetta ogni cosa a Gesù. Quel “guarda Gesùnon hanno più vino” diventa il nostro voleressere guardati perché siamo nel mare in tem-p esta».

È allora momento di prova ma anche della“grazia” particolare di riscoprire magari uncammino che rischiava di perdersi nella routi-ne o negli affanni di altre preoccupazioniquotidiane? «Questo momento — chiosa Bres-san — sicuramente ci invita ad essere più umi-li, più umani, disponibili gli uni con gli altri,a ripulirci dalla presunzione che noi uominibastiamo per noi. C’è un Signore che nonmanda castighi, ma che è ancora Padre anchequando le forze della natura si ribellano».

Sulle questioni più marcatamente logistichetorna invece Preziosa Terrinoni, presidentedella sezione romana-laziale dell’Unitalsi: «Ledate dei pellegrinaggi inevitabilmente slitte-ranno, credo a giugno e luglio. Il primo pre-

visto a Lourdes era quello del Triveneto conpartenza il lunedì in Albis e poi sarebbe tocca-to a noi, ma adesso dobbiamo rimodellaretutto, tenendo poi conto anche di come si svi-lupperà l’emergenza sanitaria in Francia». Po-stilla non a caso, tenuto conto che è statochiuso il santuario di Lourdes, per ora a tem-po indeterminato.

Anche la giornata nazionale dell’Unitalsi,utile al sostentamento dell’associazione, è sta-ta in tono minore senza la vendita degli ulivinelle piazze. «Abbiamo chiuso anche le nostresedi — aggiunge Terrinoni — però telefonica-mente siamo sempre raggiungibili per qualsia-si emergenza o necessità. Ovunque i nostrivolontari restano disponibili per il trasportodegli ammalati, per accompagnarli a fare ladialisi o le visite mediche, sempre con tutte leprecauzioni previste e secondo quanto stabili-to dalle autorità».

Un altro passaggio importante riguarda lecase di accoglienza dell’Unitalsi per ospitarele famiglie dei piccoli pazienti oncologici:«Restano tutte aperte, assolutamente. Questoservizio — conclude Terrinoni — va avanti perle tre strutture di Roma e in altre città. Unservizio gratuito per le famiglie che non pos-sono permettersi la sistemazione alberghiera;ci sono sempre i nostri volontari, così comeun impiegato per gestire e coordinare le prati-che amministrative».

cipato in sessantamila,un terzo dei quali no-stri volontari», precisaZuccolini. E l’emer-genza del coronavirusha reso necessarioqualche spostamentointerno: «Anche chi dinoi di solito lavora inaltri ambiti ora aiutaquelli che sono invecein prima linea su que-sto fronte. Per fortunafinora nessuno sembraessere stato contagiato,lavoriamo tutti con lamassima attenzione».Dal punto di vista deimezzi a disposizione,non ci sono particolarip ro b l e m i .

Ma le risorse pur-troppo non sono maiabbastanza: «Ecco per-ché abbiamo subitolanciato, con il nostro

Page 8: IETRO LA PREGHIERA DI L’abbraccio di Dio all’umanità nella ... · Non ci troviamo su un sentiero non ancora battuto, ma anzi sulla strada principale». ANDREA MONDA ... la Città

L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 29 marzo 2020 pagina 9

Nella messa a Santa Marta il Pontefice chiede a sacerdoti e religiose di testimoniare coraggiosamente Cristo in mezzo al popolo

Quando la gente ha fameC’è lo spettro della fame tra le con-seguenze della pandemia: ed è pro-prio per chi sta vivendo situazionisempre più estreme di povertà — eper i sacerdoti e le religiose che nondevono aver paura di stare in questaora drammatica in mezzo al loro po-polo per portare Cristo — che PapaFrancesco ha offerto, sabato mattina,28 marzo, la messa celebrata nellacappella di Casa Santa Marta.

«In questi giorni, in alcune partidel mondo, si sono evidenziate con-seguenze, alcune conseguenze, dellapandemia; una di quelle è la fame»ha detto, a braccio, all’inizio dellacelebrazione trasmessa in direttastreaming. «Si incomincia a vederegente che ha fame — ha insistito ilvescovo di Roma — perché non puòlavorare, non aveva un lavoro fisso,e per tante circostanze. Incomincia-mo già a vedere il “dop o” che verràpiù tardi, ma incomincia adesso». Inparticolare «preghiamo per le fami-glie che incominciano a sentire il bi-sogno a causa della pandemia» haaggiunto il Papa, che ha dato piùforza alla sua preghiera con i versidel salmo 18 (5-7), letti come antifo-na d’ingresso: «Flutti di morte mihanno circondato, mi hanno strettodolori d’inferno; nella mia angosciaho invocato il Signore, dal suo tem-pio ha ascoltato la mia voce».

«“E ciascuno tornò a casa sua”»:dall’ultima espressione del Vangelodi Giovanni (7, 40-53) proposto dal-la liturgia Francesco ha preso lemosse per la sua meditazione. «Do-po la discussione e tutto questo,ognuno tornò alle sue convinzioni»ha detto. Ma il Vangelo afferma che«c’è una spaccatura nel popolo: ilpopolo che segue Gesù lo ascolta»,ha fatto notare il Pontefice, al puntoche «non se ne accorge del tantotempo che passa ascoltandolo: la pa-rola di Gesù entra nel cuore».D all’altra parte, però, c'è «il gruppodei dottori della Legge che, a priori,rifiutano Gesù perché non opera se-condo la Legge, secondo loro».

Ci «sono due gruppi di persone»,dunque. C’è «il popolo che ama Ge-sù, lo segue; e il gruppo degli intel-lettuali della Legge, i capi di Israele,i capi del popolo». E «questo si ve-de chiaro quando “le guardie torna-rono dai capi dei sacerdoti e questidissero loro: ‘Perché non lo avetecondotto qui?’. Risposero le guardie:‘Mai un uomo ha parlato così!’. Mai farisei replicarono loro: ‘Vi siete la-sciare ingannare anche voi? Ha forsecreduto in lui qualcuno dei capi odei farisei? Ma questa gente, chenon conosce la Legge, è maledet-ta’”».

«Questo gruppo dei dottori dellaLegge, l’élite, prova disprezzo perGesù» ha fatto notare Francesco.Ma «prova anche disprezzo per ilpopolo, “quella gente” che è igno-rante, che non sa nulla». E così «ilsanto popolo fedele di Dio crede inGesù, lo segue». Mentre «questogruppetto di élite, i dottori dellaLegge, si stacca dal popolo e non ri-ceve Gesù». E viene da chiedersi«come mai», considerando che«questi erano illustri, intelligenti,avevano studiato». Il fatto è che«avevano un grande difetto: avevanoperso la memoria della propria ap-partenenza a un popolo».

«Il popolo di Dio segue Gesù»ha spiegato Francesco; anche se, haaggiunto, «non sa spiegare perché».Tuttavia «lo segue e arriva al cuore,e non si stanca». In proposito il Pa-pa ha ricordato il miracolo «dellamoltiplicazione dei pani: sono statitutta la giornata con Gesù, al puntoche gli apostoli dicono a Gesù:“congedali, perché vadano via acomprarsi da mangiare”». Persino«gli apostoli prendevano distanza,non disprezzavano ma non avevanoin considerazione il popolo di Dio:“Che vadano a mangiare”». Ma ecco«la risposta di Gesù: “Dategli voi dam a n g i a re ”». In questo modo Gesù«rimette nel popolo» i suoi apostoli.

In realtà, ha affermato il Ponteficecitando anche il primo libro di Sa-

muele, «questa spaccatura tra l’élitedei dirigenti religiosi e il popolo èun dramma che viene da lontano.Pensiamo, anche, nell’Antico Testa-mento, all’atteggiamento dei figli diEli nel tempio: usavano il popolo diDio e, se viene a compiere la Leggequalcuno di loro un po’ ateo, dice-vano: “sono superstiziosi”». È «il di-sprezzo del popolo, il disprezzo del-la gente che», è il loro pensiero,«non è educata come noi che abbia-mo studiato, che sappiamo».

«Invece il popolo di Dio ha unagrazia grande: il fiuto» ha rilanciatoFrancesco. È «il fiuto di sapere dovec’è lo Spirito». Perché il popolo «èpeccatore, come noi, è peccatore, maha quel fiuto di conoscere le stradedella salvezza».

«Il problema delle élite, dei chie-rici di élite come questi, è che aveva-no perso la memoria della propriaappartenenza al popolo di Dio» hainsistito il Papa. In sostanza, «si so-no sofisticati, sono passati a un’altraclasse sociale, si sentono dirigenti: èil clericalismo questo, che già» c’eraai tempi di Gesù.

Una mentalità clericale che rischiadi condizionare la missione con eper il popolo anche in questo tempodi pandemia. Ha affermato infatti ilPontefice: «Ma come mai — ho sen-tito in questi giorni — queste suore,questi sacerdoti che sono sani vannodai poveri a dargli da mangiare epossono prendere il coronavirus? Madica alla madre superiora che nonlasci uscire le suore, dica al vescovoche non lasci uscire i sacerdoti! Lorosono per i sacramenti! Ma a dare damangiare che il governo provveda!».

E proprio «di questo — ha ag-giunto Francesco — si parla in questigiorni: lo stesso argomento». Comea dire, il popolo è fatto di «gente diseconda classe: noi siamo la classedirigente, non dobbiamo sporcarci lemani con i poveri».

«Tante volte penso: è gente buona— sacerdoti, suore — che non hannoil coraggio di andare a servire i po-

veri» ha proseguito il Papa, facendonotare però che lì «qualcosa man-ca». Ed è proprio «quello chemancava a questa gente, ai dottoridella Legge: hanno perso la memo-ria, hanno perso quello che Gesùsentiva nel cuore», e cioè «che eraparte del proprio popolo». E invece«hanno perso la memoria di quelloche Dio disse a Davide: “Io ti hopreso dal gregge”. Hanno perso lamemoria della propria appartenenzaal gregge».

Riprendendo il filo del passoevangelico odierno, il Pontefice harimarcato come, dunque, «ciascunotornò a casa sua». C’è «una spacca-tura». Ed entra in scena «Nicode-mo, che era un uomo inquieto, forsenon tanto coraggioso, troppo diplo-matico, ma inquieto: è andato daGesù, ma era fedele con quello chepoteva». E «Nicodemo, che qualco-sa vedeva, cerca di fare una media-zione e prende dalla Legge: “La no-stra Legge giudica forse un uomoprima di averlo ascoltato e di sapereciò che fa?”». Il Vangelo riporta an-che che cosa gli dissero, ma senzaperò rispondere alla domanda sullaquestione della Legge: «Sei forse an-che tu della Galilea? Studia e vedraiche dalla Galilea non sorge profeta»Dissero in pratica a Nicodemo: «Seiun ignorante». E «così hanno finitola storia».

In questa prospettiva Francescoha invitato a pensare, «anche oggi, atanti uomini e donne qualificati nelservizio di Dio che sono bravi e van-no a servire il popolo, a tanti sacer-doti che non si staccano dal popo-lo». E ha confidato: «L’altro ieri miè arrivata una fotografia di un sacer-dote, parroco di montagna, tantipaesini, in un posto dove nevica, enella neve portava l’ostensorio aipiccoli paesini per dare la benedizio-ne. Non gli importava la neve, nongli importava il bruciore che il fred-do gli faceva sentire nelle sue mani acontatto con il metallo dell’ostenso-rio: soltanto gli importava di portareGesù alla gente».

È con il suggerimento di farel’esame di coscienza che il Papa haconcluso la sua meditazione: «Pen-siamo, ognuno di noi, di quale partesiamo: se siamo in mezzo, un po’ in-decisi, se siamo con il sentire del po-polo di Dio, del popolo fedele diDio che non può fallire» perché «haquella infallibilitas in credendo». Ma,ha detto ancora il Pontefice, «pen-siamo all’élite che si stacca dal po-polo di Dio, a quel clericalismo». E,a questo proposito, «forse ci farà be-ne a tutti il consiglio che Paolo dà alsuo discepolo, il giovane vescovo Ti-moteo: ricordati di tua mamma e ditua nonna». Se «Paolo consigliavaquesto, era perché sapeva bene il pe-ricolo al quale portava questo sensodi élite nella dirigenza nostra».

Come nei giorni scorsi, il Papa hainvitato «le persone che non posso-no comunicarsi per la distanza» afare la comunione spirituale, leggen-do la preghiera del cardinale Merrydel Val. E concludendo la celebra-zione con l’adorazione e la benedi-zione eucaristica. Per poi affidare al-la Madre Dio la sua preghiera, so-stando davanti all’immagine marianadella cappella di Casa Santa Marta,accompagnato dal canto dell’antifo-na Ave Regina Caelorum.

Poi, a mezzogiorno, nella basilicaVaticana, il cardinale arciprete Ange-lo Comastri ha rilanciato le intenzio-ni di preghiera del Pontefice con larecita dell’Angelus e del rosario.

Ve n t ’anni fa il pellegrinaggio giubilare di Papa Wojtyła in Terra Santa

A Gerusalemme ho sentito Giovanni Paolo II gridare di dolore

†La Congregazione per la Dottrina dellaFede annuncia con profondo dolore lamorte del padre della dott.ssa AnnaSabia

Signor

GIUSEPPE SABIANel partecipare al grave lutto dei fa-

miliari tutti, i Superiori e i Collabora-tori del Dicastero assicurano la loropreghiera di suffragio e chiedono allaBeata Vergine Maria di accoglierLo inPa r a d i s o .

Nomineepiscopali

Rami Al-Kabalanvescovo titolare

di Aretusa dei Siri

È nato il 17 luglio 1979 a Zaydal(Siria), dove ha frequentato lascuola primaria e secondaria. Hacompiuto gli studi istituzionali difilosofia e teologia nel seminariomaggiore di Charfet (Libano). Inseguito, inviato a Roma, risieden-do prima presso il Collegio grecoe poi presso il Seminario francese,ha conseguito la licenza in Teolo-gia alla Pontificia università Late-ranense. È stato ordinato diacononella chiesa di Santa Chiara a Ro-ma nel 2004 dal cardinale IgnaceI Moussa Daoud, allora prefettodella Congregazione per le Chieseorientali, e sacerdote nel luglio2005 da monsignor George Kas-sab, arcivescovo di Homs dei Siri,nel villaggio di Zaydal in Siria.Nel 2015, ha completato gli studidi Diritto canonico orientale nelPontificio istituto Orientale, otte-nendo il dottorato. Dal 2007 finoal suo rientro a Roma nel 2011 èstato parroco di Nabek e Yabrud(arcieparchia di Homs). Dal 2013,è postulatore della causa di beati-ficazione del vescovo Flavian Mi-khael Melki e, dallo stesso anno,assistente del procuratore pressola Santa Sede. Il 21 giugno 2017,Papa Francesco lo ha nominatovisitatore apostolico per le comu-nità siro-cattoliche nell’Europa oc-cidentale. Il 27 marzo scorso il pa-triarca Ignace Youssef III Yo u n a n ,dopo aver ottenuto il nulla osta,lo ha nominato procuratore delPatriarcato di Antiochia dei Siripresso la Santa Sede.

Camil Afram AntoineSemaan, esarca per i fedeli

siri a Gerusalemme,Palestina e Giordania

È nato il 2 maggio 1980 a Bei-rut, dove ha compiuto gli studiprimari e secondari presso l’istitu-to “Mar Bahnam Al Fanhar”. Hapoi proseguito il ciclo istituzionaledi Filosofia e Teologia pressol’università “Santo Spirito di Ka-slik” (Libano), ottenendo il bac-cellierato. Nel 2011, ha conseguitola licenza in Diritto canonicopresso l’Università “la Sagesse” aBeirut. È stato ordinato sacerdoteil 24 giugno 2006 dal patriarcaAbdel-Ahad. Dal 2006 al 2016 èstato vicario parrocchiale, segreta-rio del patriarca, cancelliere pa-triarcale, e membro del tribunalepatriarcale. Dal 2016 è stato assi-stente di monsignor GrégoireBoutros Melki, nell’esarcato pa-triarcale di Gerusalemme. Il 20novembre 2019, il patriarca IgnaceYoussef Younan lo ha nominatoamministratore dello stesso esarca-to, a seguito delle dimissioni dimonsignor Melki.

di GI A M PA O L O MAT T E I

Ho sentito Giovanni Paolo IIurlare. Un primo grido, sì,un grido di dolore. Di quelli

che ti scavano dentro e ti fanno ab-bassare, vigliaccamente, lo sguardo.Poi un altro grido. E un altro anco-ra. Insomma un grido — strappatodal forzare il movimento di gambefragili — per ogni, ripido, gradinoche porta su, al Golgota, nella basi-lica del Santo Sepolcro. Quel 26marzo di vent’anni fa, come inviatodell’«Osservatore Romano» a Geru-salemme, ho visto per davvero una“via crucis”, proprio dove — più omeno duemila anni prima — c’erastata quella vera di Via Crucis.

Nello scrivere questo articolo avent’anni dal pellegrinaggio di PapaWo j t y ła in Terra Santa, nei giornidel grande giubileo del duemila,condivido il mio ricordo di quellasingolare “via crucis” con AlbertoGasbarri, allora assistente di padreRoberto Tucci nell’o rg a n i z z a z i o n edei viaggi papali. Non esita unistante Gasbarri: «Giovanni Paolo IIche sale sul Golgota non è solo l’im-magine simbolo di quel viaggio maè, forse, anche l’immagine più im-pressionante che porto con me. Anzi— confida con un filo di voce — ognivolta che penso alla passione di Cri-sto, come in queste ore difficili, rive-do il volto di Giovanni Paolo IImentre sale le scale del Golgota».

Quella “via crucis” di GiovanniPa o l o II sul Golgota è stata così for-te, così carnalmente mistica, checontinua a testimoniare. Non è robaper l’archivio. Testimonia, ancora,metànoia, e cioè “conversione”,avrebbe detto Karol Wojtyła (proba-bilmente accompagnando la parolagreca con un colpo del pugno sultavolo, quasi a dire “su, ci vuole co-raggio!”).

Ma cosa successe veramente quel26 marzo 2000 e perché quel gestopuò assurgere a simbolo di un interoviaggio (ma non solo di quel viag-gio) che di segni ne ha mostrati aogni passo? Sul Golgota GiovanniPaolo II ha spazzato via d’un colpo— “ah, se imparassi a farlo anch’io”,mi ripeto — barriere architettonichee non solo, con la scelta di non alza-re bandiera bianca di fronte all’evi-denza di quel “lassù con quelle gam-be, mi spiace, ma non si sale”.

La mattina, era domenica, PapaWo j t y ła aveva celebrato la messaproprio lì, al Santo Sepolcro. Poi,nel pomeriggio, la sorpresa. Il pro-gramma era ormai completato: dallasede del patriarcato latino di Geru-salemme il Papa avrebbe dovutoraggiungere direttamente l’aerop ortodi Tel Aviv per congedarsi dal popo-lo israeliano che, in tutte le sue com-ponenti, lo aveva davvero accompa-gnato nel pellegrinaggio con cre-scente rispetto e amicizia.

La testa del corteo si mosse mal’auto del Papa restò ferma. «Dal fi-nestrino monsignor Stanisław Dziwi-sz mi disse che Giovanni Paolo IIdesiderava andare a pregare sul Gol-gota» ricorda Gasbarri. «Feci pre-sente, anche con la collaborazionedell’efficiente servizio di sicurezzaisraeliano — racconta — che sarebbestato impossibile: tutte le misure diprotezione nella città vecchia eranostate rimosse». Giovanni Paolo II fuirremovibile: «Io da qui non mimuovo, non rientro in Vaticano sen-za aver pregato sul Golgota».

E qui ci vuole una precisazione.Già in Vaticano, prima di partire, gliorganizzatori del pellegrinaggio ave-vano fatto notare al Papa che sareb-be stato impossibile per lui salirequei gradini. E il Pontefice aveva ac-colto il suggerimento, anche se amalincuore. Ma una volta a Gerusa-lemme, dopo sette giorni straordina-ri... beh no, non poteva non saliresul luogo esatto della crocifissione diGesù.

Così venne fuori quel blitz... spiri-tuale. «Il Papa si aggrappò al corri-mano» è il ricordo di Gasbarri. An-che lui ha ancora nel cuore quellegrida di dolore: «Lo precedevo sa-lendo i gradini all’indietro per sor-reggerlo. Rischiando però di cadereio stesso. Il comandante della Gen-darmeria, Camillo Cibin, sostenevail Papa da dietro. Nella mia posizio-ne osservavo il volto di GiovanniPaolo II letteralmente trasfigurarsiper la sofferenza, gradino dopo gra-dino».

Fa una pausa nel racconto, Ga-sbarri, come per riprendere fiato.Quasi che, al telefono con me, stesserisalendo di nuovo e all’indietro lescale del Golgota: «Arrivato in cimail Papa si mise in ginocchio, poi sichinò a terra, quasi accasciato, per

baciare il pavimento pregando. Nonlo dimenticherò. Mai». Non siamoin videochiamata, ma sono quasicerto che Gasbarri stia piangendo.

Con più discrezione possibile erorimasto qualche passo indietro. Ri-cordo un monaco greco commossoper la visita inaspettata: si mise inun angolo e intonò un inno, a vocebassa. Ma ricordo anche che la di-scesa dei gradini fu per GiovanniPaolo II un’altra prova dolorosa. Dasotto — il dislivello tra il pavimentodella basilica e il Golgota è di cin-que metri — guardavo i suoi occhi.Mi è parso che avesse uno sguardocome a dire: ma cosa vuoi che sia ildolore che ho sentito io davanti alsacrificio che, proprio qui, ha fattoGesù? Io, almeno, quel suo sguardol’ho interpretato così.

Insomma la notizia è che, mentrestava per andare all’aeroporto, Gio-vanni Paolo II si rese interiormenteconto che proprio non poteva lascia-re Gerusalemme senza essere salitosu, al Golgota. Non rientrava nellavisione mistica dell’unico grandepellegrinaggio giubilare che lo stavaportando, in quel 2000, nei “luoghidi Dio”, alle radici della fede e dellaChiesa: dalla “sosta spirituale” a Urdei Caldei nella memoria di Abramo(al Papa venne infatti impedito diandare in Iraq ma, spiritualmente,quel viaggio lo fece, anche se non ri-

sulta negli annuari) fino all’Egitto eal Monte Sinai sui passi di Mosè. Epoi in Giordania, sul monte Nebo, efinalmente in Terra Santa. Ma, siaben chiaro, nulla di archeologico.Tu t t ’a l t ro !

Quel viaggio in Terra Santa coin-volse per davvero un popolo —ebreo, musulmano, cristiano e diqualunque orientamento religioso eculturale — che vide e ascoltò il suc-cessore di un loro antico “compaesa-no” di nome Pietro non solo nei luo-ghi di Cristo (Betlemme, il Giorda-no, il Lago di Tiberiade, Cafarnao,il Monte delle Beatitudini, Nazareth,il Cenacolo, l’Orto del Getsemani)ma anche nel campo profughi diDeheisheh, nei territori palestinesi,davanti al Muro occidentale, nellaspianata delle moschee. E a Yad Va-shem, nel memoriale della shoah,per ridare un nome e un volto aogni persona.

Cosa resta per l’oggi e per il do-mani di quel viaggio di vent’anni fa?Sì, il consolidamento di un dialogoa più voci, poi rilanciato da Bene-detto XVI e da Francesco. Sì, piùstretti legami di collaborazione, eanche di amicizia, sulle questionicentrali della pace e della riconcilia-zione, nel rispetto della dignità e deidiritti di tutti.

Resta, però, anche l’attualità diuna strategia “biblica” per costruirela pace, anzitutto in questa terra nona caso mai disgiunta dall’aggettivo“santa”. E Gerusalemme significacittà della pace. Per ebrei, cristiani emusulmani, Gerusalemme non è soloil ricordo del passato, non è solo lacittà santa del presente, è anche unappuntamento per il futuro: per tut-te e tre le fedi è il termine della sto-ria. Ecco cosa ha detto, ripetuto,quel viaggio.

La pioggia nella Bibbia è segno dibenedizione. E la pioggia il 21 mar-zo accolse l’arrivo di Giovanni PaoloII a Gerusalemme. La terra che PapaWo j t y ła ha baciato era terra bagnata.Ma è proprio quando la terra è ba-gnata che i semi, siano essi di pianteo di speranze, possono crescere e di-ventare robusti. Erano bagnati anchequei bambini — ebrei, musulmani ecristiani — che portarono al Papa ilvassoio di rame con la terra. Eranobagnati, ma a loro non importavanulla perché erano felici di vivere un

momento “storico” qui dove la Sto-ria è sempre di casa. Forse, è stato ilpensiero di quel momento, bisognatornare per davvero come bambiniper riconoscere le chiavi di letturagiuste.

C’è un altro gesto che, dopovent’anni, non si confina nella me-moria degli archivi ma continua adavere gambe proprie. Gerusalemmeporta impresso nelle antiche pietre ilsuo essere città di pace, città santa.E proprio tra le fessure di due enor-mi massi dell’antico Tempio cheGiovanni Paolo II il 26 marzo — lastessa domenica della “via crucis” sulGolgota — depose la sua fituch, chenella tradizione ebraica è un fogliosu cui si scrivono preghiere e medi-tazioni.

Ricordo Giovanni Paolo II lì, a unpasso dal Muro occidentale, il luogopiù caro e più santo per il popoloebraico. Lì solo. Il capo chino, tal-mente in preghiera da far pregarecon lui.

E a un soffio dal Muro, PapaWo j t y ła lesse, con voce flebile, lasua preghiera, la sua fituch. Era il te-sto della confessione delle colpe neirapporti con Israele, proclamato il 12marzo nella basilica Vaticana — da-vanti a quello stesso crocifisso diSan Marcello al Corso che PapaFrancesco ha voluto accanto nel mo-mento straordinario di preghiera il27 marzo 2020 — in occasione dellaGiornata del perdono: «Dio dei no-stri padri, tu hai scelto Abramo e lasua discendenza perché il tuo Nomefosse portato alle genti: noi siamoprofondamente addolorati per ilcomportamento di quanti nel corsodella storia hanno fatto soffrirequesti tuoi figli, e chiedendoti per-dono vogliamo impegnarci in un’au-tentica fraternità con il popolodell’Alleanza».

Giovanni Paolo II lasciò il fogliotra due pietre. Poi appoggiò la ma-no sul Muro e tracciò un gesto dibenedizione: il segno della croce.Osservai le reazioni degli ebrei ac-canto a me: non se lo aspettavanoquel gesto, credo. In realtà in quelmomento non sapevano ancora checosa ci fosse scritto su quel foglio dicarta che la mano del Papa aveva in-filato tra due delle loro pietre. Nonlo sapevano ancora che cosa ci fossescritto. Ma si sono fidati del Papa.

Page 9: IETRO LA PREGHIERA DI L’abbraccio di Dio all’umanità nella ... · Non ci troviamo su un sentiero non ancora battuto, ma anzi sulla strada principale». ANDREA MONDA ... la Città

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 10 domenica 29 marzo 2020

Piazza San Pietronon è mai stata

così pienaForse piazza San Pietro non è mai stata così pienacome in questo venerdì di Quaresima. Con Roma afar da sfondo a un’umanità impaurita che guarda,persino aldilà delle convinzioni religiose, allapotenza umile di Dio che Papa Francesco hamostrato urbi et orbi, orientando il gesto eucaristicobenedicente dell’ostensorio verso i quattro puntic a rd i n a l i .E anche attraverso una nuova formulazione per laconcessione dell’indulgenza plenaria, la benedizionedel successore di Pietro ha davvero raggiunto,attraverso i diversi mezzi di comunicazione, persinochi non ha potuto essere “p re s e n t e ”. Non ha potutoperché malato. Perché impegnato in prima linea aservire chi ha bisogno. Non ha potuto perchépovero. Magari perché stanco, preoccupato, deluso,impaurito, forse anche “arrabbiato” con Dio.Basta unirsi «anche solo spiritualmente, con ildesiderio» — ha assicurato il cardinale AngeloComastri, arciprete della basilica Vaticana — allabenedizione eucaristica silenziosa che ha raggiuntoogni donna e ogni uomo, ovunque stesse vivendoquell’ora.Il momento straordinario di preghiera voluto dalvescovo di Roma ha avuto inizio con un’immaginesquarciante nella sua essenzialità: in pienapandemia e sotto la pioggia, Papa Francesco èsalito sul sagrato della basilica Vaticana. A piedi.Da solo. E non è cedere alla retorica — tentazionein queste ore molto forte ma che farebbe perdere divista quel che conta, e cioè la preghiera — a f f e r m a reche il successore di Pietro non era solo, affatto.Forse mai come stavolta tante donne e tanti uominierano con lui. E per davvero.Dal centro del sagrato, con il segno della croce ilPontefice ha subito invitato alla preghiera. Lalettura del Vangelo di Marco (4, 35-41), cheracconta l’episodio della tempesta sedata da Gesù,ha orientato poi la meditazione del Papa scaturitaproprio dall’ascolto della Parola di Dio.La seconda parte di questo momento di preghieradavvero universale è avvenuta nell’atrio dellabasilica di San Pietro. Accompagnato da monsignorGuido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgichepontificie, Francesco ha però prima “salutato” i suoi“compagni di viaggio” — suoi e di tutti — in questa“avventura”, incontrandoli, a tu per tu, ai lati delcancello centrale della basilica: il crocifisso di SanMarcello al Corso e l’icona di Maria Salus populiRomani, «salvezza del popolo romano». Il Papa eraandato personalmente a “t ro v a r l i ” quei due segnidomenica 15 marzo, nel pellegrinaggio silenziosoper le strade di Roma. Ma per questa straordinariapreghiera li ha voluti accanto a sé. Accanto a tutti.Accompagnato dall’antico canto Sub tuump ra e s i d i u m il Papa si è raccolto, anzitutto, inpreghiera davanti all’immagine mariana,particolarmente cara ai romani e a lui stesso, tantoda farne meta spirituale di innumerevolipellegrinaggi nella basilica di Santa MariaMaggiore, dove è venerata.Toccante l’atteggiamento con cui Francesco hapregato davanti al crocifisso di San Marcello — daitratti molto realistici — emblema di speranza perchélegato alla memoria della fine della peste dicinquecento anni fa. Il Papa lo ha contemplato, poiha baciato i piedi e con la mano con cui haaccarezzato il legno ha tracciato su di sé il segnodella croce. Gesti accompagnati dal cantodell’antifona alla Croce, espressione delleprocessioni penitenziali.Sull’altare “mobile” di Leone XIII, al centrodell’atrio della basilica, è stato esposto ilSantissimo Sacramento per l’adorazione, in unostensorio, risalente al XIX secolo, che fa partedella sagrestia pontificia ed è utilizzato anche perla solennità del Corpus Domini. È stato unmomento di forte intensità, sostenuto dal cantoAdoro te devote. Francesco ha voluto indossare vestisemplici, austere: il piviale tessuto a San GiovanniRotondo, con un velo omerale del XIX secolo.Nell’intensa e incalzante supplica litanica sonostati, quindi, presentati a Dio «tutti i mali cheaffliggono l’umanità»: la fame, la carestia,l’egoismo, le malattie, le epidemie, la paura delfratello, la follia devastatrice, gli interessi spietati,la violenza, gli inganni. Anche la cattivainformazione e la manipolazione delle coscienze.Con umile forza è stato chiesto al Signore diguardare «la Chiesa che attraversa il deserto;l’umanità atterrita dalla paura e dall’angoscia; gliammalati e i moribondi oppressi dalla solitudine; imedici e gli operatori sanitari, stremati dalla fatica;i politici e gli amministratori che portano il pesodelle scelte». Non è mancata l'invocazione didonare il suo Spirito in questa «ora di prova esmarrimento; nella tentazione e nella fragilità; nelcombattimento contro il male e il peccato; nellaricerca del vero bene e della vera gioia; nelladecisione di rimanere in Lui e nella sua amicizia».E si è concluso con l’accorata richiesta a Dio diaprire tutti alla speranza «se il peccato ci opprime;se l’odio ci chiude il cuore; se il dolore ci visita; sel’indifferenza ci angoscia; se la morte ci annienta».Mentre risuonavano le note del Tantum ergo, PapaFrancesco ha afferrato l’ostensorio e lo hamostrato al mondo. Veramente urbi et orbi. Per unabenedizione in cui non ha dovuto pronunciare unasola parola. Non c’era bisogno. Cristo basta: ilPapa lo ha mostrato dal cancello centrale dellabasilica di San Pietro ed è come se «le braccia»del colonnato fossero state il tramite per portarequella benedizione a ciascuno. Nessuno escluso.Ma tutti inclusi nell’abbraccio. Tra il rintocco dellecampane di San Pietro e la sirena di un’ambulanzache correva sulle strade di Roma. (giampaolomattei)

L’abbraccio consolante di Dioall’umanità in balia della tempesta

Il pensiero del Papa alle tante persone comuni che con coraggio e dedizione donano la propria vita per il bene di tutti

La preghiera di Francesco si carica del grido di angoscia e di speranza del mondo

Alle 18 di venerdì 27 marzo Papa Francescoha presieduto in piazza San Pietro unmomento straordinario di preghiera perimplorare la fine della pandemia e fargiungere all’umanità «in balia dellatempesta» l’«abbraccio consolante di Dio»che «dona salute ai corpi e conforto aicuori». Di seguito il testo della sua omelia.

«Venuta la sera» ( Mc 4,35). Così inizia ilVangelo che abbiamo ascoltato. Da setti-mane sembra che sia scesa la sera. Fitte te-nebre si sono addensate sulle nostre piaz-ze, strade e città; si sono impadronitedelle nostre vite riempiendo tutto di un si-lenzio assordante e di un vuoto desolante,che paralizza ogni cosa al suo passaggio:si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo di-cono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impau-riti e smarriti. Come i discepoli del Vange-lo siamo stati presi alla sprovvista da unatempesta inaspettata e furiosa. Ci siamoresi conto di trovarci sulla stessa barca,tutti fragili e disorientati, ma nello stessotempo importanti e necessari, tutti chia-mati a remare insieme, tutti bisognosi diconfortarci a vicenda. Su questa barca... cisiamo tutti. Come quei discepoli, cheparlano a una sola voce e nell’angoscia di-cono: «Siamo perduti» (v. 38), così anchenoi ci siamo accorti che non possiamoandare avanti ciascuno per conto suo, masolo insieme.

ché avete paura? Non avete ancora fede?»(v. 40).

Cerchiamo di comprendere. In che cosaconsiste la mancanza di fede dei discepoli,che si contrappone alla fiducia di Gesù?Essi non avevano smesso di credere inLui, infatti lo invocano. Ma vediamo co-me lo invocano: «Maestro, non t’imp ortache siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa:pensano che Gesù si disinteressi di loro,che non si curi di loro. Tra di noi, nellenostre famiglie, una delle cose che fa piùmale è quando ci sentiamo dire: “Nont’importa di me?”. È una frase che feriscee scatena tempeste nel cuore. Avrà scossoanche Gesù. Perché a nessuno più che aLui importa di noi. Infatti, una volta in-vocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

La tempesta smaschera la nostra vulne-rabilità e lascia scoperte quelle false e su-perflue sicurezze con cui abbiamo costrui-to le nostre agende, i nostri progetti, lenostre abitudini e priorità. Ci dimostra co-me abbiamo lasciato addormentato e ab-bandonato ciò che alimenta, sostiene e dàforza alla nostra vita e alla nostra comuni-tà. La tempesta pone allo scoperto tutti ipropositi di “i m b a l l a re ” e dimenticare ciòche ha nutrito l’anima dei nostri popoli;tutti quei tentativi di anestetizzare conabitudini apparentemente “salvatrici”, in-capaci di fare appello alle nostre radici edi evocare la memoria dei nostri anziani,

giudizio, ma del nostro giudizio: il tempodi scegliere che cosa conta e che cosa pas-sa, di separare ciò che è necessario da ciòche non lo è. È il tempo di reimpostare larotta della vita verso di Te, Signore, e ver-so gli altri. E possiamo guardare a tanticompagni di viaggio esemplari, che, nellapaura, hanno reagito donando la propriavita. È la forza operante dello Spirito ri-versata e plasmata in coraggiose e genero-se dedizioni. È la vita dello Spirito capacedi riscattare, di valorizzare e di mostrarecome le nostre vite sono tessute e sostenu-te da persone comuni — solitamente di-menticate — che non compaiono nei titolidei giornali e delle riviste né nelle grandipasserelle dell’ultimo show ma, senza dub-bio, stanno scrivendo oggi gli avvenimentidecisivi della nostra storia: medici, infer-miere e infermieri, addetti dei supermerca-

ste ore in cui tutto sembra naufragare. IlSignore si risveglia per risvegliare e ravvi-vare la nostra fede pasquale. Abbiamoun’ancora: nella sua croce siamo stati sal-vati. Abbiamo un timone: nella sua crocesiamo stati riscattati. Abbiamo una spe-ranza: nella sua croce siamo stati risanati eabbracciati affinché niente e nessuno ci se-pari dal suo amore redentore. In mezzoall’isolamento nel quale stiamo patendo lamancanza degli affetti e degli incontri,sperimentando la mancanza di tante cose,ascoltiamo ancora una volta l’annuncioche ci salva: è risorto e vive accanto a noi.Il Signore ci interpella dalla sua croce aritrovare la vita che ci attende, a guardareverso coloro che ci reclamano, a rafforza-re, riconoscere e incentivare la grazia checi abita. Non spegniamo la fiammella

È facile ritrovarci in questo racconto.Quello che risulta difficile è capire l’atteg-giamento di Gesù. Mentre i discepoli so-no naturalmente allarmati e disperati, Eglista a poppa, proprio nella parte della bar-ca che per prima va a fondo. E che cosafa? Nonostante il trambusto, dorme sere-no, fiducioso nel Padre — è l’unica voltain cui nel Vangelo vediamo Gesù che dor-me —. Quando poi viene svegliato, dopoaver calmato il vento e le acque, si rivolgeai discepoli in tono di rimprovero: «Per-

ti, addetti alle pulizie, badanti, trasporta-tori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti,religiose e tanti ma tanti altri che hannocompreso che nessuno si salva da solo.Davanti alla sofferenza, dove si misura ilvero sviluppo dei nostri popoli, scopriamoe sperimentiamo la preghiera sacerdotaledi Gesù: «che tutti siano una cosa sola»(Gv 17,21). Quanta gente esercita ognigiorno pazienza e infonde speranza, aven-do cura di non seminare panico ma corre-sponsabilità. Quanti padri, madri, nonni enonne, insegnanti mostrano ai nostri bam-bini, con gesti piccoli e quotidiani, comeaffrontare e attraversare una crisi riadat-tando abitudini, alzando gli sguardi e sti-molando la preghiera. Quante personepregano, offrono e intercedono per il benedi tutti. La preghiera e il servizio silenzio-so: sono le nostre armi vincenti.

«Perché avete paura? Non avete ancora fe-de?». L’inizio della fede è saperci bisogno-si di salvezza. Non siamo autosufficienti,da soli; da soli affondiamo: abbiamo biso-gno del Signore come gli antichi navigantidelle stelle. Invitiamo Gesù nelle barchedelle nostre vite. Consegniamogli le nostrepaure, perché Lui le vinca. Come i disce-poli sperimenteremo che, con Lui a bor-do, non si fa naufragio. Perché questa è laforza di Dio: volgere al bene tutto quelloche ci capita, anche le cose brutte. Egliporta il sereno nelle nostre tempeste, per-ché con Dio la vita non muore mai.

Il Signore ci interpella e, in mezzo allanostra tempesta, ci invita a risvegliare e at-tivare la solidarietà e la speranza capaci didare solidità, sostegno e significato a que-

smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, elasciamo che riaccenda la speranza.

Abbracciare la sua croce significa trova-re il coraggio di abbracciare tutte le con-trarietà del tempo presente, abbandonan-do per un momento il nostro affanno dionnipotenza e di possesso per dare spazioalla creatività che solo lo Spirito è capacedi suscitare. Significa trovare il coraggiodi aprire spazi dove tutti possano sentirsichiamati e permettere nuove forme diospitalità, di fraternità, e di solidarietà.Nella sua croce siamo stati salvati per ac-cogliere la speranza e lasciare che sia essaa rafforzare e sostenere tutte le misure e lestrade possibili che ci possono aiutare acustodirci e custodire. Abbracciare il Si-gnore per abbracciare la speranza: ecco laforza della fede, che libera dalla paura edà speranza.

«Perché avete paura? Non avete ancora fe-de?». Cari fratelli e sorelle, da questo luo-go, che racconta la fede rocciosa di Pietro,stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, perl’intercessione della Madonna, salute delsuo popolo, stella del mare in tempesta.Da questo colonnato che abbraccia Romae il mondo scenda su di voi, come un ab-braccio consolante, la benedizione di Dio.Signore, benedici il mondo, dona salute aicorpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di nonavere paura. Ma la nostra fede è debole esiamo timorosi. Però Tu, Signore, non la-sciarci in balia della tempesta. Ripeti an-cora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5).E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Teogni preoccupazione, perché Tu hai curadi noi” (cfr 1 Pt 5,7).

privandoci così dell’immu-nità necessaria per far fronteall’avversità.

Con la tempesta, è cadu-to il trucco di quegli stereo-tipi con cui mascheravamo inostri “ego” sempre preoc-cupati della propria imma-gine; ed è rimasta scoperta,ancora una volta, quella(benedetta) appartenenzacomune alla quale non pos-siamo sottrarci: l’apparte-nenza come fratelli.

«Perché avete paura? Nonavete ancora fede?». S i g n o re ,la tua Parola stasera ci col-pisce e ci riguarda, tutti. Inquesto nostro mondo, cheTu ami più di noi, siamoandati avanti a tutta veloci-tà, sentendoci forti e capaciin tutto. Avidi di guadagno,ci siamo lasciati assorbiredalle cose e frastornare dal-la fretta. Non ci siamo fer-mati davanti ai tuoi richia-mi, non ci siamo ridestati difronte a guerre e ingiustizieplanetarie, non abbiamoascoltato il grido dei poveri,e del nostro pianeta grave-mente malato. Abbiamoproseguito imperterriti,pensando di rimanere sem-

pre sani in un mondo malato. Ora, men-tre stiamo in mare agitato, ti imploriamo:“Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fe-de?». Signore, ci rivolgi un appello, unappello alla fede. Che non è tanto credereche Tu esista, ma venire a Te e fidarsi diTe. In questa Quaresima risuona il tuo ap-pello urgente: “Convertitevi”, «ritornate ame con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chia-mi a cogliere questo tempo di prova comeun tempo di scelta. Non è il tempo del tuo