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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013 NUMERO 444 CULT La copertina MASSIMIANO BUCCHI e RICCARDO STAGLIANÒ Così l’era dell’oggettività sta uccidendo le scienze sociali Il libro FABIO GAMBARO Destini incrociati in California sotto il ponte del nuovo West All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Roberto Herlitzka “Volevo diventare un grande divo come Olivier” Il film PAOLO D’AGOSTINI La via crucis della monaca raccontata dall’ateo Diderot L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo La Madonna di Caravaggio DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI Lezione G IANNI C LERICI N ICOLA P IETRANGELI Johnny Rotten “Il nostro punk in pantofole” Spettacoli GUIDO ANDRUETTO Vita da broker, Lehman Brothers cinque anni dopo L’attualità VITTORIO ZUCCONI ROMA E allora non potei fare a meno di guardarlo. Come ave- vo fatto con oggetti di autentica meraviglia, il San Gio- vanni Battista di Caravaggio, la frase di Proust sulla Marchesa di Guermantes, lo stop al volo di un ormai decrepito Meazza. Quello che guardavo, con gli occhi di chi in fon- do già capiva di essere uno spettatore, dotato della consapevolez- za dell’ammirazione, era un ragazzino di sedici anni. Nel viso paf- futo sotto i riccioli, nell’espressione concentrata e dolcemente im- pegnata dei bambini quando giocano. Così come questa mattina di fine estate ci troviamo al Foro Itali- co, allora ci trovavamo su un campo del vecchio Tennis Parioli, nel- l’antica sede di viale Tiziano. Ero lì nella speranza di vincere un nuo- vo torneo di seconda categoria, un torneo che, a vent’anni compiu- ti, mi avrebbe avvicinato o ammesso all’agognata prima categoria. E quell’insolito avversario del secondo turno, ammesso forse perché figlio di un socio, perché raccomandato, mi aveva appena trafitto con un passante di rovescio come mai ne avevo visti, io che già ave- GIANNI CLERICI vo incontrati Gianni Cucelli e Marcello Del Bello, i nostri eroi di Cop- pa Davis. Un passante giocato dall’angolo sinistro, due metri fuori dal campo, a me che stavo a rete, ad aspettare una sicura, facilissima volée. Decisi di credere a un colpo di fortuna, ma già sapevo, in fon- do, quel che sarebbe avvenuto cinque punti più tardi, nella medesi- ma, identica circostanza. Avvenne, infatti, senza che il bambino mo- strasse segni di sorpresa, o di entusiasmo, e fui costretto a rasse- gnarmi al fatto che avesse un talento ben superiore al mio, e che in un prossimo futuro mi avrebbe superato: oh, di quanto! Mi rassegnai dunque a vincere la mia banale partita rimanendo indietro a palleg- giare, soprattutto sul diritto, meno pericoloso, e a stancarlo. E così accadde, in un paio d’ore di banali ribattute e di corse, so- lo a tratti interrotte da uno di quei suoi rovesci iridescenti. Ma le sorprese non erano finite. Dopo avermi stretto la mano con un an- gelico sorriso, quasi la nostra fatica altro non fosse stata che un gio- co, il bambino svicolò dal campo. Lasciata la sua unica racchetta in un angolo, lo vidi scavalcare una siepe, e affrettarsi verso il vicino rettangolo verde del campo della Lazio, dove fu accolto da grida gioiose di coetanei, e subito ammesso alla partitella degli Allievi, e rimproverato per il ritardo da un anziano allenatore. (segue nelle pagine successive) Sono gli unici due italiani inseriti nella Hall of Fame Ora lo scrittore incontra il campione per farsi raccontare i suoi ottant’anni di dritti e rovesci NICOLA PIETRANGELI, 1960 / FOTO A3 Tennis & di

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 8SETTEMBRE 2013

NUMERO 444

CULT

La copertina

MASSIMIANO BUCCHIe RICCARDO STAGLIANÒ

Così l’eradell’oggettivitàsta uccidendole scienze sociali

Il libro

FABIO GAMBARO

Destini incrociatiin Californiasotto il pontedel nuovo West

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Roberto Herlitzka“Volevo diventareun grande divocome Olivier”

Il film

PAOLO D’AGOSTINI

La via crucisdella monacaraccontatadall’ateo Diderot

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondoLa Madonnadi Caravaggio

DIS

EG

NO

DI M

AS

SIM

O J

ATO

STI

LezioneGIANNICLERICINICOLAPIETRANGELI

Johnny Rotten“Il nostro punkin pantofole”

Spettacoli

GUIDO ANDRUETTO

Vita da broker,Lehman Brotherscinque anni dopo

L’attualità

VITTORIO ZUCCONI

ROMA

Eallora non potei fare a meno di guardarlo. Come ave-vo fatto con oggetti di autentica meraviglia, il San Gio-vanni Battista di Caravaggio, la frase di Proust sullaMarchesa di Guermantes, lo stop al volo di un ormai

decrepito Meazza. Quello che guardavo, con gli occhi di chi in fon-do già capiva di essere uno spettatore, dotato della consapevolez-za dell’ammirazione, era un ragazzino di sedici anni. Nel viso paf-futo sotto i riccioli, nell’espressione concentrata e dolcemente im-pegnata dei bambini quando giocano.

Così come questa mattina di fine estate ci troviamo al Foro Itali-co, allora ci trovavamo su un campo del vecchio Tennis Parioli, nel-l’antica sede di viale Tiziano. Ero lì nella speranza di vincere un nuo-vo torneo di seconda categoria, un torneo che, a vent’anni compiu-ti, mi avrebbe avvicinato o ammesso all’agognata prima categoria.E quell’insolito avversario del secondo turno, ammesso forse perchéfiglio di un socio, perché raccomandato, mi aveva appena trafittocon un passante di rovescio come mai ne avevo visti, io che già ave-

GIANNI CLERICI vo incontrati Gianni Cucelli e Marcello Del Bello, i nostri eroi di Cop-pa Davis. Un passante giocato dall’angolo sinistro, due metri fuoridal campo, a me che stavo a rete, ad aspettare una sicura, facilissimavolée. Decisi di credere a un colpo di fortuna, ma già sapevo, in fon-do, quel che sarebbe avvenuto cinque punti più tardi, nella medesi-ma, identica circostanza. Avvenne, infatti, senza che il bambino mo-strasse segni di sorpresa, o di entusiasmo, e fui costretto a rasse-gnarmi al fatto che avesse un talento ben superiore al mio, e che inun prossimo futuro mi avrebbe superato: oh, di quanto! Mi rassegnaidunque a vincere la mia banale partita rimanendo indietro a palleg-giare, soprattutto sul diritto, meno pericoloso, e a stancarlo.

E così accadde, in un paio d’ore di banali ribattute e di corse, so-lo a tratti interrotte da uno di quei suoi rovesci iridescenti. Ma lesorprese non erano finite. Dopo avermi stretto la mano con un an-gelico sorriso, quasi la nostra fatica altro non fosse stata che un gio-co, il bambino svicolò dal campo. Lasciata la sua unica racchetta inun angolo, lo vidi scavalcare una siepe, e affrettarsi verso il vicinorettangolo verde del campo della Lazio, dove fu accolto da gridagioiose di coetanei, e subito ammesso alla partitella degli Allievi, erimproverato per il ritardo da un anziano allenatore.

(segue nelle pagine successive)

Sono gli unici due italianiinseriti nella Hall of Fame Ora lo scrittore incontra il campioneper farsi raccontarei suoi ottant’anni di dritti e rovesci

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LA DOMENICA■ 28DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

F

La madre nobile russa, il padre grossista di Lacoste. “Quando arrivammo a Roma dalla Tunisia ero un ragazzino. Tutti mi chiamavano Er Francia”Poi al Roland Garros diventò il più grande tennistaazzurro e dal Cile di Pinochet portò a casal’unica Davis italiana.Ora Nicola Pietrangelicompie ottant’anni. E li racconta all’amico ClericiChe fu tra i primi a essere trafitto dal suo rovescio

La copertinaLezione di tennis

(segue dalla copertina)

u, quello, il mio primo incontro con Nicola, unamico che avrei rivisto centinaia, forse migliaiadi volte, nella nostra lunga vita, e del quale il gior-nale mi ha chiesto un’intervista per celebrarnel’ottantesimo compleanno. Ci incontriamo da-vanti allo stadio del tennis che porta il suo nome,caso più unico che raro per un ex sportivo viven-te, il campo sul quale ha vinto due Internaziona-li d’Italia: «Ho chiesto a Petrucci, ex presidentedel Coni, perché non mi avesse intitolato invecedel vecchio il nuovo campo centrale: “Perché ilvecchio è monumento nazionale e nessuno lopuò toccare, Nicola, quell’altro no...”. Per quel-l’altro c’è tempo».

L’intervista non è di quelle facili, come sempreaccade quando il giornalista conosce troppo be-ne l’intervistato, tanto bene da aver rifiutato, an-ni addietro, di scriverne una biografia. Il lettore,certamente uno dei nostri, un aficionado, capiràquindi benissimo perché, in un simile ricordo, loscriba abbia privilegiato un paio di flash a unascheda biografica che potrebbe comunque co-minciare pressappoco così.

«Nasco a Tunisi da madre russa e padre italia-no. Non l’ho mai detto a nessuno, ma avrei po-tuto farmi chiamare conte. Imiei nonni russi erano nobili epoiché mia madre non avevafratelli maschi trasmise il suo ti-tolo a me. Sarei il conte NicolaShirinsky Pietrangeli. Quantoal mio nonno paterno era tede-sco e aveva la moglie svedese.Insomma, sono un bel bastar-do. Durante la guerra i francesici cacciarono da Tunisi. Pas-sammo la notte di Natale del ’46su una nave per Marsiglia, co-me emigranti. Quando arrivai aRoma avevo tredici anni e di-ventai molto popolare a Piazzadi Spagna. Ero “Er Francia”.Non capivo una parola di italia-no, solo russo e francese. Poi ilrusso l’ho dimenticato, per im-parare male l’italiano. Papà di-ventò rappresentate di Laco-ste, dopo aver visto giocare Cu-celli e Del Bello secondo lui con vestiti non adat-ti al tennis. Nei primi anni ’50 in un anno riuscì avendere 280 mila magliette, ognuna costava2.800 lire. Gli dissi: “Papà aggiungi cento lire inpiù per me”. Ma lui disse di no. Ho fatto i calcoli:mi sarei comprato quattro appartamenti».

Un altro flash. Dopo il primo, quello di un’in-tuizione non meno sicura che ovvia, me ne ritor-

na subito alla mente un secondo: la vittoria delRoland Garros del 1960, la seconda dopo quelladel ’59. Pensate che, giovane inviato de Il Giorno,il mio amato direttore, Italo Pietra, non aveva ri-tenuto importante la trasferta dell’anno prece-dente, una vittoria contro il poco conosciuto su-dafricano Vermaak, il cui serve and volley era sta-to sommerso dai passanti di Nicola. Questa vol-ta dovetti tuttavia insistere, garantire verbal-mente che una seconda vittoria sarebbe stata si-cura, e mi assisi, unico giornalista italiano, nellostadio che già avevo visitato tre volte da medio-cre giocatore.

Infine raggiungemmo — anzi, mi scuso — Ni-cola raggiunse la finale contro Ayala. Ero ottimi-sta sul risultato, ma meno ottimista di me era ilmio ospite, un genio chiamato Gil de Kermadec,già tennista francese del mio livello, segretario diSamuel Beckett tanto lucido da decidere di ces-sare di scrivere «perché è migliore lui», futurofactotum del tennis francese, inventore di unamacchina cinematografica perché «i campionisi rendano conto dei loro punti deboli». Gil, chescriveva per Paris Presse, temeva che quel mara-toneta presuntuoso del cileno riuscisse ad allun-gare la partita tanto da logorare il talento di unNicola «troppo pigro per allenarsi alla corsa». Ni-cola era, tra l’altro, segretamente preoccupatoper l’importanza di una vittoria, storicamente

insolita, di un secondo RolandGarros, torneo Slam iniziato sol-tanto nel 1925, ultimo dei BigFour. Passavamo quindi la sera,per distrarci, in un ristorante vi-cinissimo al famose night clubdi Regine, una dama allora fa-mosissima, delle cui amicheeravamo amici. Raccontarono, igiornalisti italiani assenti, cheavessimo trascorso la serata bal-lando sfrenatamente sui tavoli,in preda all’alcool, mentre amezzanotte salutammo e rag-giungemmo le nostre abitazio-ni.

«Da Regine ci andavamo tut-te le sere perché se non passava-mo portava iella. Ma a mezza-notte a casa, e quanto al resto hairagione tu: soltanto gossip».

L’amico de Kermadec aveva,al solito, visto giusto. Invece che

tentare, come i precedenti avversari, una partitad’attacco, Ayala cercò, sin dall’inizio, di logorareNic. Rispondeva ai profondi rovesci del nostrocon un malefico rovescetto avvelenato, ribatte-va ai suoi dropshot con tocchi ancor più corti, in-somma, come scrisse il grandissimo AntoineBlondin «non perdeva la ruota sull’Izoard». Era-no, a quei tempi, almeno per un (ora ex) addetto

GIANNI CLERICI

IL CAMPIONENicola Pietrangeli

è nato a Tunisi l’11 settembre 1933dall’italiano Giulio, di origini tedesche, e Anna, francese di origini russe

Il bisnonno paterno era un medico

dello zarPietrangeli è ritenuto il più grande tennistaitaliano di tutti i tempiÈ nella InternationalTennis Hall of Fame

dal 1986

La mia vitaè unoSlam

IN VIDEOL’intervista di Gianni Clerici con Nicola Pietrangelisarà trasmessa su Repubblica Tv (sul nostro sitoRepubblica.it)

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■ 29DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

ai lavori, accessibili gli spogliatoi. Ricordo di averevitato ogni suggerimento come vidi il medicodel torneo che, insieme alle calze, liberava Nicanche della pelle dei piedi. Quello che fu, più tar-di, ritenuto un “campione snob”, uno che“avrebbe fatto meglio ad allenarsi”, dopo soffe-renze degne di un martire riuscì ad allungaretanto da consentirsi una serie decisiva di win-ners nell’ultimo set.

«Finita la partita avevo i calzini rossi di sangue.Per due giorni sono andato in giro in ciabatte».

Per rimanere al Roland Garros, lo stadio checonsacrò Pietrangeli numero uno mondiale sulrosso, è giusto ricordare l’anno seguente checondusse Nic vicinissimo — un set — da una tri-pletta sino ad allora mai realizzata. Fu probabil-mente un eccesso di disinvoltura e insieme diumanità a privare Nicola del terzo titolo. Testi-mone e insieme amico, ricordo di aver palesatoun timido dubbio quando mi informò di averchiesto al giudice arbitro Ostertag, solitamenteburocraticissimo, due giorni di libertà per torna-re a casa.

«Susy, mia moglie, era incinta del nostro pri-mo figlio. E allora io vado dal giudice e gli dico“parto!”. La domenica sono partito, mio figlio ènato e ancora oggi non so perché l’ho fatto ma so-no rimasto a Roma altri tre giorni. Ritorno il gio-vedì e scopro che mi hanno aspettato: ero il piùforte in quel momento».

Fin lì Nicola aveva dominato il torneo, e il suoavversario, lo spagnolo Santana, era sì promet-tentissimo, ma non ancora affermato come poisarebbe divenuto. Inventore, sui campi rossi, dicolpi liftati, Santana si impose, nel quarto e quin-to, a un avversario che, secondo me, era mental-mente uscito dal torneo. Secondo Nicola, perchéSantana era l’unico a credere di poterlo battere.

«Santana vince, io salto la rete ma dall’altraparte non trovo nessuno. Era passato sotto,emozionato. E mi disse che era passato sotto larete perché era così che faceva quando era un po-vero raccattapalle. Lui piangeva e io ridevo».

Quel 1960 fu un anno capitale nella vita di Pie-

trangeli. Dopo il Roland Garros giunse Wimble-don, che la rapidissima erba dei tempi preclude-va, per solito, a tennisti tipici della terra battuta.La semifinale contro Rod Laver finì tanto tardi, alquinto set, che mi costrinse, come accade nelgiornalismo sportivo, a stilare due pezzi, nel pri-mo dei quali Nicola vinceva il match, nel secon-do lo perdeva. Mentre compitavo il secondo,maledicevo il primo game del quinto, in cui Ni-cola aveva servito male, e subìto un break chenon riuscì mai a recuperare, nonostante lo scoutdella partita, nelle teche del Wimbledon Mu-seum, ancora rechi una somma di punti a lui fa-vorevoli. In finale, ad attendere uno dei due, giàera pronto Neale Fraser, che poi vinse. Vecchioamico, partner di frequenti doppi a carriera fini-ta, Neale fu spesso battuto da Nicola, come a Pa-rigi nel 1959, e in più di una occasione ebbe a con-fidarmi che aveva temuto di fronteggiarlo in fi-nale, a disagio com’era, lui mancino, nel con-fronto tra i reciproci rovesci.

Ma ho parlato di un anno capitale, per Nic. Fu,il 1960, quello delle Olimpiadi romane. Dopo leultime affermazioni, Pietrangeli era stato consi-derato più che degno da Jack Kramer di far partedella sua troupe. Erano i tempi in cui i tennisti sidividevano in due gruppi di appartenenza. I pro-fessionisti, in grado di essere remunerati per leloro esibizioni, e i dilettanti, che per dilettoavrebbero giocato i tornei tra-dizionali, e in realtà percepiva-no modesti guadagni in nerodagli organizzatori o dalle Fe-derazioni. L’offerta di Kramerfu tale che, mentre Nicolaavrebbe desiderato acquistareuna Maserati, la moglie Susypreferiva un appartamento aiParioli. Ma, una volta di più, finìper prevalere il cuore di Nic.Durante la cerimonia di aper-tura dei Giochi, cui entrambipresenziammo, Pietrangeli sicommosse all’idea di un mon-do che, per denaro, stava persvendere.

«Mi misi a piangere. Avevofatto quella scelta, i professio-nisti li battevo tutti in allena-mento, era l’unico modo perguadagnare qualcosa: e miconsideravano un fuorilegge».E, dopo ore difficili, telefonò a Tony Trabert, cherappresentava Kramer. Stracciò il contratto, eme ne diede notizia che non tardai a comunica-re, nella mia cinica professione di autore discoop. «Oggi i giovani non capirebbero».

Non fu quella l’unica occasione in cui un uo-mo nato a Tunisi, che avrebbe potuto rappre-sentare Tunisia o Francia in Coppa Davis, dimo-

strò amore per l’Italia. «A diciott’anni potei sce-gliere se avere il passaporto italiano oppure no,se giocare con la Francia o la Tunisia oppure no.Scelsi di stare qui, e non so se oggi lo rifarei».

Alla fine di una carriera che ancora lo vede co-me il giocatore mondiale con il maggior numerodi presenze, 164, in Coppa Davis, (110 singoli e 54doppi), Nicola, ormai capitano non giocatore diDavis, si ritrovò di fronte la metà di un Paese chela storia, anche recente, vede diviso nelle antichefazioni di guelfi o ghibellini. Per la terza volta infinale di Davis (dopo le due perdute contro l’Au-stralia proprio da Pietrangeli con il mio ex part-ner Sirola), l’Italia, avvantaggiata da un ritiro po-litico dell’Urss, si ritrovava nel 1976 favorita in fi-nale, sempre fuori casa, con il Cile. Era, il Cile, vit-tima di una dittatura di destra, guidata dal Gene-rale Pinochet, che aveva estromesso un governocondotto dal socialista Allende. Iniziò, allora, inItalia, una campagna disinformata quanto fa-ziosa, campagna della quale fui io stesso ogget-to, mentre sia Nicola che lo scriba, tutt’altro chepro-Pinochet, erano serenamente favorevoli al-la sfida tennistica. Nicola fu minacciato, così co-me i quattro membri della squadra Panatta, Ba-razzutti, Bertolucci e Zugarelli, da gruppi di quel-li che osai definire “gli squadristi rossi”, uno deiquali si segnalò gettando macchine per scriveredalla finestra di una Federtennis della quale sa-

rebbe divenuto in seguito segre-tario. Il brillante cantautore Mo-dugno (“Volare, oh oh”) divenneancor più noto con due storiciversi che assursero a slogan:“Non si giocano volée con il boiaPinochet”. Nicola resistette confelice pacatezza alle provocazio-ni e alle minacce, affermò — co-me Panatta — che avrebbero do-vuto sequestrargli il passaportoper impedirgli la trasferta, e riu-scì infine a convincere gli interes-sati pacifisti del governo An-dreotti, e segretamente l’onestoincaricato del Pci, onorevole Pi-rastu, in favore dell’ostacolatissi-ma partenza.

«Non mi sono mai occupato dipolitica, ma nel ’76 ero diventatopopolarissimo, o impopolarissi-mo, in Italia solo perché ognisanto giorno cercavo di convin-

cere tutti ad andare a giocare a Santiago. A me diPinochet non me ne fregava nulla. Avevo la mac-china della polizia sotto casa 24 ore su 24. Sottole finestre mi urlavano “brutto fascista ammaz-ziamo te e la tua famiglia”. Ma io insistevo. An-diamoci a Santiago, andiamoci perché sarà l’u-nica Coppa Davis che potremo portarci a casa. Ecosi siamo partiti scortati dai carabinieri. Le stes-

se cose le sostenni contro gli Usa quando decise-ro di boicottare i giochi di Mosca del 1980, peròin quel caso mi diedero tutti ragione... ».

Giunti in Cile, ci ritrovammo di fronte, nellevesti di capitano, lo stesso Ayala che Nicola ave-va superato al Roland Garros e, dopo aver ap-prezzato la sportività di un pubblico grato per ladecisione della trasferta, una squadra che, comescrisse per primo lo scriba “era zoppa dalla gam-ba destra”, a causa di uno stiramento sofferto dalsuo numero uno, Jaime Fillol. L’incontro fuquindi una passeggiata, complicata dalla reti-cenza politica di un nuovissimo presidente, l’av-vocato Galgani, tanto che, al sorteggio, la squa-dra rifiutò di annodarsi la cravatta della Feder-tennis, e preferì quella celebrativa del Club delloScriba, che Nic mi onora di portare anche oggi.Fu una facile vittoria, che rimane la nostra sola inDavis. Anche al ritorno il successo non ottenne ifavori che avrebbe meritato, tanto che, priva diun luogo di sicuro deposito, la Coppa dovettetrascorrere una notte in attesa tra le braccia diNic, nella sua stanza da letto romana.

«Al ritorno ci accolsero a insulti: dovemmoscappare come ladri da un’uscita secondaria, ro-ba da pazzi». Come premio di tutto ciò, dopo unasconfitta mal digerita della finale dell’anno se-guente, a Sydney, Nicola si ritrovò licenziato dauna squadra ingrata, e dal suo presidente Galga-ni, che avallò un colpo di stato condotto da un ge-loso direttore tecnico, Belardinelli.

«Parce sepulto» mi dice Pietrangeli, al terminedi questo incontro che spero vedrete integral-mente su Repubblica Tv. Un dialogo che riper-corre la sua vita certo meglio di questo scritto, eal termine del quale l’aficionado si domanderàperché non l’abbia scritto quel libro su Pietran-geli. Me l’ha chiesto un grosso editore, confesso,così com’è accaduto per altri tre miei famosiamici, ormai scomparsi. Ma sono convinto dinon poter scrivere biografie su gente che ho co-nosciuto troppo bene. È, probabilmente, un li-mite professionale. Non certo umano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LO SCRITTOREGianni Clerici, nato a Como

il 24 luglio 1930, ex tennista, scrive

su Repubblica dall’87Tra i suoi 17 libri

I gesti bianchi(Baldini&Castoldi,1997) e 500 anni di tennis (ArnoldoMondadori, 2007)

L’ultimo è Wimbledon(Mondadori, 2013)È nella InternationalTennis Hall of Fame

dal 2006

tornei vintiin singoloal RolandGarros:1959 e 1960

2 2tornei vintiin doppioal RolandGarros:1958 e 1959

2partitein torneidel GrandeSlam(86 vittorie)

125 1partitein CoppaDavis (110 singolarie 54 doppi)

164anniin magliaazzurra:281 partite(203 vinte)

18migliorposizionein classificamondiale(1959 e ’60)

3campionatiitalianivinti(individualie a squadre)

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‘‘PassaportoA diciott’anni poteiscegliere se essereitaliano oppure no,giocare con la Francia,la Tunisia o l’ItaliaDecisi di stare qui,e non so se oggilo rifarei

‘‘ContestatoMi urlavano sotto casa“brutto fascista,ti ammazziamo”,avevo la scortaMa io insistevo:andiamo in Cile,sarà l’unica Davische vinceremo

IL TRIONFOIn basso a sinistraNicola Pietrangeli con la Coppa Davisconquistata da ctin Cile nel 1976:da sinistra i giocatoriBarazzutti, Bertoluccie Panatta

IL CAMPOPietrangeli e Gianni Clericial Foro Italico di Roma,davanti allo stadio ora intitolato al campione:qui vinse due InternazionaliSopra, a destra, nella Club Housedurante l’intervista

Internazionalid’Italia vinti a Romain singolo:1957 e 1961

Coppa Davisvinta comecapitano non giocatorenel 1976

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Faceva il broker quando nel settembre di cinque anni fa ci raccontò dal di dentro la bancarotta del secolo Siamo tornati a intervistarlo per scoprireche le cose gli vanno anche meglio di primacome a molti altri top manager beneficiati dalla crisi“Perché in tutti i naufragi c’è chi si salva e chi annega”

15 settembre2008

La Lehman Brothersdichiara bancarotta:la più grande della storiaIl governo americanodecide di non salvarlaCrollano le borse

30 settembre2008

Il governo irlandeseannuncia che garantiràsu tutti i depositibancari del PaeseIl provvedimento entrasubito in vigore

8 ottobre2008

Falliscono le treprincipali bancheislandesi: Landbanki,Glitnir e KaupthingLa Gran Bretagnablocca i fondi

13 ottobre2008

Il governo inglesenazionalizzagli istituti di creditoRoyal Bankof Scotland, Hbose Lloyds Tsb

10 novembre2008

Le banche americanesi salvano grazieai 700 miliardidi dollari dal fondo Tarpcreato un mese primadal Congresso Usa

L’attualitàWall Street

Ritorno aLehman BrothersNEW YORK

«Sono un sopravvissutoal settembre delle sca-tole di cartone, ricor-date? Perché proprio

io, e non quelli che affondarono in silenzio, ri-succhiati nel gorgo di Wall Street quel venerdìdi settembre 2008, non so dire, ma questa è lastoria di tutti i naufragi. C’è chi si salva e chi an-nega così, senza speciali meriti o speciali ra-gioni. Io sono ancora a bordo, sulla nave, cin-que anni dopo, con qualche grado in più sullamanica, chiamato dalla stiva al ponte di co-mando a guardare l’oceano della finanza chesembra più tranquillo. Sapendo che quandos’ingrosserà di nuovo, il prossimo a esserebuttato fuori bordo sarò io, perché è sempre ilchiodo che sporge quello che prende la mar-tellata.

Dicono che in quel fine settimana di set-tembre furono trentamila i naufraghi di WallStreet, ma noi qui sappiamo che non è vero. Icaduti e i dispersi sono stati molti di più, per-ché dentro le scatole di cartone che i licenzia-ti portarono via abbracciandole, strette insie-me con i loro titoli e lauree e master in Busi-ness sui marciapiedi di Times Square, diBroadway, verso le loro Bmw, Lexus e Porschein leasing, c’erano figli e famiglie. C’erano ret-te di scuole private e provvigioni di venditoridi auto, agenti immobiliari e impiegati di ban-ca senza più i loro soldi da amministrare, neicerchi concentrici che si allargavano attornoa loro dopo il tuffo.

Per mesi e mesi ero riuscito a dormire an-che una mezz’ora in più perché i tunnel sottol’Hudson River erano molto meno ingorgati.Poi, poco alla volta, ho visto il traffico sui pon-ti e nei tunnel che portano a Manhattan infol-tirsi, e le cifre sul quadrante della mia svegliatornare a farsi più piccole. Quando le navi chedovevano affondare affondarono, quando leLehman, le Merryl, le Bear Stearns, le SmithBarney furono liquidate o risucchiate da noidelle banche troppo grosse per essere lascia-te andare a picco, le palate di soldi pubblicigettate nelle caldaie riportarono le navi in li-nea e la vertigine, la nausea cominciarono acalmarsi. Anche l’odio, la collera planetariaattorno a noi, i “grandi ladri”, i “distruttori dimondi” con i nostri prodotti finanziari ra-dioattivi, i derivati, gli hedge, i credit swap, ilcredito facile che tutti divoravano quandosembravano rendere fortune e tutti disco-nobbero come figli della colpa quando arrivòl’indigestione, cominciarono a placarsi.

Adagio adagio, chi era sopravvissuto, chiera stato fatto galleggiare o trainato dai rimor-chiatori pubblici, noi della Goldman, della JPMorgan, della Bank of America, della MorganStanley, della Citi, abbiamo ripreso ad assu-mere. I superstiti sono stati promossi, comeme. I capi che un venerdì alle cinque mi ave-vano chiamato per dirmi che trenta dei tren-tacinque che lavoravano nel mio gruppo nonsarebbero tornati il lunedì e che avrei dovuto

produrre lo stesso bilancio con un settimo delpersonale, ricominciarono a chiedermi qual-che nome, qualche curriculum per rimpolpa-re lo scheletro rimasto da quel giorno.

Ma la nuova normalità che cominciò a ca-lare dal 2010 era molto diversa dalla vecchia eoggi sappiamo che era inutile prenderselacon Obama e con il clima di regulation. Eranofiniti per sempre, almeno nel sempre di que-sto mondo che cambia come il tempo a NewYork, gli anni roventi del “Gorilla”, come noinel giro chiamavamo Dick Fuld della LehmanBrothers, quando rastrellavano con offerte fa-raoniche tutti i migliori dalle banche concor-renti. E bonus garantiti di mezzo milione, diun milione, anche di due a fine anno oltre lostipendio erano normali, perché la sua filoso-fia era quella di strappare il cuore agli avversa-ri e mangiarlo, così diceva.

La Fed di New York, da dove era partito il se-gretario al Tesoro di Obama, Geithner, la Sec,che avrebbe dovuto sorvegliare Borsa e Fi-nanza e aveva avuto disposizioni di chiuderetutti e due gli occhi, i procuratori federali, Wa-shington, il Congresso ci avevano lanciato lescialuppe, ma per tenere buono il pubblicoche avrebbe pagato tanta parte del contochiedevano di regolare almeno le retribuzio-ni e soprattutto i bonus. Era facile farlo, per chidi noi stava sul ponte di comando. Quandonessuno assume più, quando non ci sono piùgorilla alla porta pronti a strapparti il cuore,chi si salva resta ben coperto dove si trova e ac-cetta le condizioni che ti fanno. Prendere otuffarsi nella scatola di cartone fradicio.

Abbiamo fatto tanto di ciò che noi in Borsae nella finanza creativa chiamiamo il windowdressing, mettere le tendine alle finestre perfarle sembrare più belle. Parte dei bonus di-ventò stipendio, per far sembrare più piccoli etollerabili gli assegni di fine anno. Finita la fe-sta delle stock options cominciò il balletto del-le azioni ristrette, bonus pagati in azioni dellatua stessa banca ma con il divieto di toccarleper molti anni e con la perdita totale se te nevai: delle azioni posticipate, come la carota al-

la fine del bastone. Ma a ogni mossa, il gover-no, le sue braccia e i suoi occhi che devono re-golare dal 2009 la nostra attività, arrivano acontrollare che sotto le tende non si riapranole finestre degli anni folli. In cambio, non sifanno più salassi.

L’emorragia di allora è diventata una pic-cola perdita continua. I capi non mi chiedonopiù massacri, e tutto sembra più soft. Mi do-mandano un paio di nomi, due o tre, da met-tere in testa alla classifica dei candidati allescatole di cartone, ma non subito, domani, ca-so mai, giusto per sapere chi rende meno. Vo-gliono che aumentiamo il volume di affari del25 o 30 per cento, e se non lo facciamo ecco chespunta dal cassetto la lista che ho dovuto pre-parare, mentre altri, più in alto, hanno fatto al-tre liste, nelle quali forse c’è anche il mio no-me. Siamo obbligati a prendere due settima-ne di ferie all’anno, obbligati, che sono sem-pre meno delle cinque settimane di riposo incampagna che i cavalli delle carrozzelle diCentral Park per legge devono fare, ma sonosempre più del “guai a chi va in ferie” di prima.

Per far vedere che le macchine hanno ri-preso a girare, ricominciamo a ingaggiare iragazzi e le ragazze freschi di lauree che sonostati scelti per gli stage estivi dalle quindicimigliori università d’America. Hanno un’ot-tima chance di essere assunti, spesso uno sudue. Ma anche qui, c’è il trucco. Se prima del2008 prendevano cento stagisti all’anno e neassumevamo cinquanta, oggi ne accettiamotrenta o quaranta per offrire contratti a quin-dici o venti. È sempre il 50 per cento, ma sonomolti di meno. Stipendi da centomila dollarilordi all’anno, che erano possibili per un pri-mo assunto con il master in Business, oggi seli sognano.

Di quelli che avevo visto uscire quel venerdìdi settembre e non tornare più il lunedì, si so-no perdute le tracce. Qualcuno ha aperto il ne-gozietto, il proprio shop finanziario, cercandodi creare fondi e banche private con i clientiche aveva servito negli anni d’oro. Altri si sonorassegnati a lavorare per il governo, a una fra-zione dei vecchi guadagni, per controllare cheoggi non si facciano più quelle acrobazie cheloro facevano prima. Altri ancora hanno la-sciato i paesi e i sobborghi del Connecticut odel New Jersey, se avevano famiglia, o i con-domini di Manhattan, se erano single. E sonosvaniti nel Grande Ovunque dell’America.

In questo settembre 2013, per la prima vol-ta da cinque anni, abbiamo cominciato a per-dere qualcuno, ingaggiato da banche concor-renti. Non siamo neppure più i cattivi dellaTerra, quelli che tutti accusavano di avere por-tato il mondo sulla soglia della bancarotta do-po averci adoperato per nascondere la loro in-capacità di amministrare. Wall Street ha ri-preso a salire e quando ci sono profitti da di-stribuire e non perdite da assegnare, noi tor-niamo a essere i buoni. Abbiamo ricomincia-to a vedere mogli, chi ancora ce l’ha, e figli, adassistere ai saggi di ballo della bambine e allepartite di football dei maschi. Guadagniamodi meno, viviamo di più».

LA DOMENICA■ 30DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

VITTORIO ZUCCONI

SETTEMBRE 2008-2013Le pagine di Repubblicadel settembre 2008con l’intervista di VittorioZucconi al broker di Wall Street

LE TAPPE DELLA CRISI

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■ 31DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

IL GIORNO PIÙ NEROLa sede della Lehman Brothers a New York il 15 settembre del 2008, quando la più potente bancad’investimento del mondo annunciò il ricorso al Chapter 11 del Bankruptcy Code dichiarando debiti per 613 miliardi di dollari. In alto Wall Street 2008: il popolo degli scatoloni

2 maggio2010

28 novembre2010

1 ottobre2011

23 luglio2012

1 maggio2013

Il parlamento di Ciproaccetta il piano di salvataggiodelle banchenegoziato con Ue,Bce e Fmi

L’Eurogruppo vara il salvataggiodella Grecia: stanziati110 miliardi di euroAtene vota il piano di austerity

Bruxelles approvail piano di salvataggioda 85 miliardi di euroin tre anni per l’IrlandaSi cerca di frenarela crisi nell’Eurozona

Una seconda tranche di aiuti alla Greciaviene concessadall’Eurogruppo: ora il prestito ammontaa 130 miliardi di euro

Il piano di aiutiper ricapitalizzarele banche spagnoleapprovato a Bruxelles La spesa ammontaa 100 miliardi di euro

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LA DOMENICA■ 32DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Non ha ancora raccontato favole a mezzo mondo quando ancora giovane

parte per Venezia, Firenze, Roma, Pompei in cerca di luce e calore. Riporterà sui suoi taccuini

le impressioni di un viaggio fantasticoE ora finalmente quegli schizzi

vengono raccolti e mostrati in un volume

L’ineditoC’era una volta

Fiabeitaliane

Asera, nelle stanze in affitto delle lo-cande, sfogliava i quaderni e ripassavacon la punta fine della china gli schizzitracciati durante il giorno esplorandole città. Come impressioni di viaggio,appunti per immagini di quello che

scopriva sotto una luce tanto lontana da quella in cuiera nato e cresciuto.

Prima, molto prima di popolare il mondo delle suefantastiche creature, prima del Brutto Anatroccolo,della Sirenetta, della Principessa sul pisello, il giova-ne Hans Christian Andersen compie il suo viaggio diformazione in Italia, fra Roma e Pompei, Verona eVenezia, a scoprire un altro mondo, lontano dallacasa della mamma giovane vedova e lavandaia persopravvivere, lontano dal freddo di Odense, il villaggio da-nese dove nacque, poverissimo, nel 1805 a qualche chilo-metro da Copenhagen e dove morì, osannato da tutti, nel1875. Il genio della fiaba, l’inventore di personaggi e storieche abitano i sogni dei bambini di mezzo mondo da ormaidue secoli, nella sua prima giovinezza viaggia alla ricerca delsuo talento, mentre ancora non sa cosa farà della sua vita. Edi talento, in quegli anni, ne mette alla prova più d’uno: pri-ma il teatro, poi le arti figurative, con tanto di cavalletto e pen-nelli nella Roma ottocentesca culturalmente vivace e inter-nazionale. Qui l’esile e allampanato Hans Christian incon-tra tanti connazionali, talvolta illustri artisti come il celebra-tissimo Bertel Thorvaldsen, ma anche tanti scrittori e poeti

alloggiati nelle sofisticate Accademie italiane. In quei me-si, con l’occhio del narratore che verrà, con curiosità distraniero e passione di ragazzo, guarda, analizza, racco-glie dettagli e informazioni e di getto, con artistica im-provvisazione, schizza quello che vede per riporlo nellabisaccia e proseguire il viaggio. Gli innumerevoli sog-giorni romani, che gli varranno a lungo una nostalgiabruciante, sono testimoniati ancora oggi da targhe inmarmo nelle strade della capitale.

E proprio a Roma, Napoli, Venezia Andersen am-bienterà poi il suo primo romanzo. Si intitola L’Im-provvisatore ed è datato 1863, trent’anni dopo il suoGrand Tour. Racconta la storia di Antonio, un giovaneche — guarda caso — si avventura fra le rovine del-l’arte classica e le strade del popolo, fra donne moltocarnali e anfratti oscuri, passando le notti dentro unColosseo abitato da fantasmi o visitando la spaven-tosa Cripta dei Cappuccini, sempre sollecitato dauna natura che lo stordisce, lo inebria, di cui assorbevariazioni, emozioni e tonalità. Un romanzo auto-biografico ora per la prima volta illustrato, nella rie-dizione italiana a cura di Bruno Berni in uscita per El-liot, con quella miriade di disegni, schizzi, cartoline.

Nell’album di viaggio di Andersen non c’è soltantoquello che ti aspetteresti dalla mano e dallo sguardo di ungiovane danese di due secoli fa (la Roma di piazza Barbe-rini, la scalinata di piazza di Spagna, i resti colossali nelcortile del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio), nonci sono soltanto prevedibili prospettive da turista nei di-segni realizzati a mano libera, ripassati spesso con i toni

FRANCESCA GIULIANI

ANDERSENHANSCHRISTIAN

Il Grand Tour illustratodel brutto anatroccolo

IL LIBRO Una nuova edizione de L’Improvvisatoreromanzo di formazione di Hans Christian Andersen, a cura di Bruno Berni e con la traduzione di Alda Castagnoli Manghi,è in questi giorni in libreria da Elliot (29 euro, 300 pagine) Con i disegni inediti del maestro della fiaba

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rossicci della sanguigna, vista certamente nelle opere dimaestri come Leonardo o i Carracci proprio nei grandimusei di Roma, Firenze, Venezia. Il suo è un delicatocahier de voyage pieno di punti di vista anche insoliti, ori-ginali. Ecco “un funerale davanti alle mie finestre a Romail 28 dicembre 1833” dove le figurette umane sfilano in cor-teo a due a due, la croce in processione, la bara sollevatada minuscoli prelati. Oppure eccolo soffermarsi sulla vi-sta su Villa Albani nel gennaio 1834, dove un viandante sene sta da una parte, solitario. O ancora le prospettive di viadelle Tre Cannelle, quel cactus curvo nei giardini del Qui-rinale, la curiosa bottega di pizzicagnolo in via Capo Le Ca-se con la sua infilata di prosciutti e salumi. Il suo viaggio,come nelle tappe prefissate del Grand Tour, rotola poi ver-so sud, prosegue verso la pianura pontina e le bellezze del-

la Campania, passando per il Circeo e Terracina, giù finoa Gaeta, Sorrento, Napoli, Pompei, Amalfi. Sempre anno-tando, disegnando, e talvolta aggiungendo al bagaglio an-che qualche stampa che gli ricordasse il viaggio, comequelle del Pinelli che, si dice, tanto hanno influenzato isuoi disegni. Quelle immagini diventeranno poi letteratu-ra: quella ancora “di formazione” del suo romanzo italia-no, scandito da una prosa, da avventure e da notazioni chesono all’origine di tutti i personaggi magnifici delle favoleche verranno, soltanto poco tempo dopo. Sono pagine incui dà il colore ai suoi disegni con le parole. La realtà dellasua vita si fa narrazione, fantasia, creazione letteraria, perarrivare al lieto fine, quando il Brutto anatroccolo diven-terà impareggiabile cigno.

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Il vulcano“Io ero seduto sul balcone che guardava la piazza, con il Vesuvio davanti a me. Era mezzanotte passata, il mio occhio riposava sul monte: una colonna di fuoco si alzava dal cratere contro una cortina di nuvole sanguigneSembrava un enorme pino di fuoco e di fiamme le cui radicierano formate dal torrente di lava che circondava la collinaIl mio cuore era rapito da quel grandioso spettacolo, dal vulcano come dal tranquillo, silenzioso cielo notturno”

Notte ai Fori“La luna illuminava la parte posteriore del Campidoglio; le alte colonne gettavanolunghe ombre. Nell’erba fra le colonne abbattute erano coricate alcune mucche”

I DISEGNIA sinistra Sant’Onofrio, RomaQui sopra, le torri di Bologna e sulla strada per Ferrara. In alto,la torre dell’Orologio a Venezia e, sotto, il cortile del Campidoglioa Roma. A destra, dall’alto:Palazzo Capuleti a Verona, Villa Albani a Roma, un funerale romano e il Vesuvio

L’aria azzurra“Ero capace di starmene per ore rivolto verso la finestra aperta, a osservare la meravigliosa aria azzurra dell’Italia e il singolare gioco dei colori al tramonto.Desideravo spesso poter volare lontano, più in alto del Quirinale, verso i pini che si stagliavano sull’orizzonte di fuoco”

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LA DOMENICA■ 34DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Nel frattempo ha fatto di tuttoanche gli spot per il burro,ma non si è mai fermatoE ora Mr. John Lydon,negli anni Settantala voce più “marcia”dello storicogruppo punk,è pronto a tornareProssimamente anche in Italia

SpettacoliSu la cresta

GUIDO ANDRUETTO

La veritàDa piccolo mi ammalai di meningite

e persi la memoriaMi sono dovuto basaresui racconti degli altri

Per questo non tollero le bugie

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LONDRA

Il caos regna ancora sovrano nella vita diJohn Lydon, alias Johnny Rotten, vocedei Sex Pistols e oggi frontman dei redi-vivi Public Image Ltd, la band che formò

sul finire degli anni ’70 dopo il suo definitivo al-lontanamento dal leggendario gruppo punkcon cui aveva appena messo a ferro e fuoco il Re-gno Unito. Trentacinque anni dopo, varcare lasoglia della sua suite al sesto piano del lussuosohotel Wyndham Grand, a Chelsea Harbour, ilsuo rifugio quando si trova a Londra in trasfertada Los Angeles dove oggi vive con la moglie No-ra, è come entrare nell’appartamento in GunterGrove dove Rotten abitò tra il ’77 e il ’78. Un pe-riodo per lui eccitante e turbolento, con i Pistolsall’apice del successo (God Save the Queencon-quistò il vertice della classifica, «nonostante lacensura perfino del titolo» ricorda adesso contono divertito Rotten): in quella casa faceva leore piccole tra casse di birra e musica reggae, incompagnia, fra i tanti che vi transitarono, di SidVicious e Nancy Spungen, prima che entrambiimboccassero la strada senza ritorno verso l’in-ferno. Sorriso beffardo, cresta di capelli biondiplatinati e sguardo da eterno ragazzo, John Ly-don, cinquantasette anni, raggiunge la terrazzafra posacenere stracolmi di mozziconi e botti-glie di birra vuote. «Sì, sì, Johnny Rotten è anco-ra qui» dice ghignando, prima di buttare giù unsorso di Corona ghiacciata. «È vero, sono cam-biate un sacco di cose, ma l’attitudine a essereindipendente che avevo più di trent’anni fa l’hoconservata. Anche sul palco, con i PiL. Abbiamosuonato all’ultimo festival di Glastonbury. Èstato fantastico vedere tutta quella gente, in-tendo dire gente di ogni età, pigiata lì sotto adascoltare anche i nostri brani più nuovi, quelli diThis is PiL. Ci abbiamo messo vent’anni ma allafine la nostra è una produzione totalmente in-dipendente e io ne vado molto fiero». L’indu-stria discografica, in effetti, deve averli conside-rati troppo estremi. «Solo la Virgin all’iniziosembrava volerci sostenere, poi sono subentra-ti problemi, regole e vincoli in gran parte legatiai testi e al messaggio delle nostre canzoni, e a

Johnny Rotten.Fatevi prendere ancora un po’ a calci

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la Repubblica

quel punto è tramontato tutto. Non potevo ac-cettare compromessi. Non l’ho mai fatto». Ly-don si ferma a riflettere e subito aggiunge: «Beh,a essere del tutto onesti qualche piccolo com-promesso l’ho fatto. Ma solo per finanziare lamia musica. Mi sono messo a fare televisione, epersino la pubblicità per un famoso burro in-glese. Ho raccolto così un bel po’ dei soldi che hoinvestito nei Public Image. Del resto sono loro lamia famiglia, la mia comunità, più o meno daquando ho lasciato i Pistols».

In attesa del loro nuovo sbarco sul territorioitaliano, dove i PiL si esibiranno il mese prossi-mo (il 26 ottobre all’Estragon di Bologna e il 27all’Atlantico di Roma), John Lydon accetta dibuon grado anche l’invito a riavvolgere il nastrodei ricordi per tornare sui passaggi cruciali del-la sua vita e di una carriera incredibile in uno deigruppi più influenti della musica contempora-nea. Nato nel 1956 da genitori irlandesi emi-grati a Londra, John cresce nella zona nord del-la capitale, tra Benwell e Holloway Road, dovediventa adolescente in fretta. Un po’ per via diuna terribile meningite spinale che all’età di ot-to anni lo obbliga a passare un anno intero inospedale con strascichi pesantissimi sulla suasalute: in primis la perdita della memoria. E unpo’ (tanto) perché frequenta quella che il suoamico storico, nonché suo attuale manager,John Stevens “Rambo”, ricorda come «una del-le comitive più grandi dei primi anni Settanta aLondra». Una vera e propria banda dove il col-lante era sia la radice proletaria che la passionesfegatata per l’Arsenal, di cui Lydon continua aessere un irriducibile e fedelissimo tifoso. «Ascuola mi piaceva imparare, quello che proprionon sopportavo era il sistema educativo — ri-corda l’ex Pistols mentre dal terrazzo scruta ilporto di Chelsea — facevo molte domande manon ricevevo risposte. È che stavo cercando laverità. E forse fu anche per questo che mi cac-ciarono». Sono gli anni in cui è la musica a insi-nuarsi per sempre nella sua vita. «Mio padresuonava la fisarmonica in una band folk irlan-dese, mia madre cantava. Sono stati loro a mo-strarmi la possibilità di raccontare la realtà, laverità, attraverso una canzone. E questa è la co-sa più fantastica che mi hanno trasmesso. Èl’essenza stessa del punk, la verità. Io ne sono

ossessionato, fin da bambino. Quando perdi lamemoria com’è successo a me ti basi su quelloche ti dicono gli altri. Ed è terribile quando sco-pri che qualcuno ti ha mentito. Terribile. Da al-lora ho capito che nessuno merita delle bugie.E per questo l’assenza di verità che vedo nei go-verni e nelle istituzioni è diventata il perno at-torno a cui ruota da sempre il mio rifiuto».

Johnny Rotten, cui venne affibbiato questopoco lusinghiero soprannome per via dei suoidenti marci (rotten, appunto), entrò nei Sex Pi-stols nel ’75 per sfogare tutta la sua rabbia ecreatività. Ma ci volle l’intuizione di MalcolmMcLaren, il geniale e controverso manager checreò i “Pistols” aggregandoli attorno al “Sex”, ilnegozio di King’s Road che all’epoca gestivacon la futura stilista Vivienne Westwood, perfare di John Lydon, non ancora ventenne, il lea-der di un gruppo che sconvolgerà la società bri-tannica infiammando l’era punk e influenzan-do generazioni di musicisti e stilisti. Fu lui, Rot-ten, che per primo si tinse i capelli di verde e fe-ce a brandelli interi completi da uomo riattac-candoli con le spille da balia. «Certo, sono io cheho creato la street culture! La moda ha pescatoa piene mani dal mio stile ma non mi ha mai ri-conosciuto né restituito nulla, basta pensare agente come Westwood o a Jean Paul Gaultier. Ilproblema è che gli stilisti creano delle uniformimentre io proiettavo un’immagine sempre di-versa di me».

Controcorrente, per tutta la vita. «Con i Pi-stols ho scoperto la potenza delle parole. MickJagger ha detto che la musica non può cambia-re il mondo, invece secondo me è uno stru-mento eccezionale per fare passare idee e mes-saggi. Se Danny Boyle ha usato canzoni comePretty Vacant e God Save the Queen per la ceri-monia di apertura delle Olimpiadi di Londra, èperché ha capito l’impatto che hanno avutosulla società. Non finirò mai di ringraziarlo perquesto, Boyle è un genio. Quando mi ha spie-gato che per l’inaugurazione dei Giochi volevavalorizzare il ruolo dei lavoratori nella storiadell’Inghilterra, sono stato felice di acconsen-tire all’uso delle mie canzoni». Un repertorio li-mitato, se si considera la vita breve dei Pistols,ma che ha lasciato un segno profondissimo, daAnarchy in the U. K.a Holidays in the Sun, e non

solo nella storia della musica. «Sì, in realtà quel-lo che abbiamo fatto non si può cancellare dal-la storia di questo paese» e ricordiamo entram-bi quando, nel 1977, Rotten cantò proprio GodSave the Queen su un barcone turistico noleg-giato appositamente per “festeggiare” il Giubi-leo d’Argento di Elisabetta II: quel giorno ilDaily Mirror pubblicò una foto con la didasca-lia “Punk seminano il panico sul Tamigi”. «Di-re quello che pensavamo delle istituzioni e del-la monarchia ha rotto tutti gli schemi ed è statouno shock per l’Inghilterra. Ma non abbiamomai trasformato la nostra rabbia in violenza. Liabbiamo presi a calci nel culo ma con morbi-dissime pantofole!».

La curiosità è troppo forte per non chiederglise alla fine abbia mai incontrato faccia a facciala regina. Nel rispondere Lydon non rinuncia ademettere un sonoro rutto. «No, certo che no. Miè capitato di incrociare alcuni membri della fa-miglia reale e dell’aristocrazia, ma comunqueio non ce l’ho con nessuno personalmente. Re-sta il fatto che non frequento certi ambienti,neanche allo stadio mi invitano nell’area vip. Sivede che non mi considerano adeguato, ma perme è un complimento. Io arrivo da FinsburyPark. Gente integra. Eravamo tutti molto pove-ri e non c’erano opportunità ma se uno stavamale l’altro lo aiutava, esistevano valori come ilrispetto e la lealtà, oltre che un mix virtuoso dirazze e culture in cui l’Arsenal funzionava daponte. Sono cresciuto con turchi, irlandesi, gia-maicani, greci e ascoltavamo funk, reggae, folk.Questo mix allora rappresentava un arricchi-mento culturale. Le stesse tifoserie delle altresquadre restavano colpite da come noi potessi-mo restare tutti uniti. E io dicevo: è perché voisiete ignoranti e noi no!. Oggi lecose stanno in un modo un po’diverso. Oggi il divario tra ricchie poveri ha raggiunto livelli in-sostenibili, e la stessa Londra èdiventata soprattutto un’esibi-zione di ricchezza. La rivolta,questa volta, ci sarà. E sarà vio-lenta». Come a dire che i pros-simi Sex Pistols non porte-ranno pantofole ai piedi.

IERI E OGGINella foto grandeJohn Lydon oggi(57 anni). A destra, al microfono come Johnny Rotten( il suo nome d’arte,dove “rotten”sta per “marcio”)sul palco nel 1977con i Sex Pistols: a sinistra Sid Vicious,dietro Paul Cook e a destra Steve Jones In basso da bambino,dopo la meningite,e ancora ai tempi dei Sex Pistols, nel 1975

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La realtàMio padre suonava

la fisarmonica, mia madre cantavaSono stati loro a insegnarmi

quanta realtà c’è in una canzonePraticamente l’essenza del punk

Lo stileIo ho creato la street culturee e la moda mi ha copiato

senza restituirmi nullaGli stilisti sono solo capaci di inventare uniformi

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La rivoltaCiò che gridavamo

contro la monarchiaruppe tutti gli schemiMa in fondo la nostrafu una rivolta fatta in pantofole

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Filtri, siti e app. L’hi-tech corre in soccorsodei genitori in ansia per l’abuso di smartphone e videogame da parte degli adolescentiTra reale esigenza e vere ossessioni ecco le ultime frontiere del “parental control”

NextFamiglie allarmate

Big

Che fai?Dove sei?

I nostri figlisorvegliati speciali

i chiama Filip e porta il nome di un bambino. Unbambino di tre anni il cui padre, l’imprenditore eingegnere norvegese Sten Kirkbak, ha perso di vi-sta per trenta lunghi minuti. Mezz’ora di terroreche hanno cambiato la vita di Sten. Filip oggi stabene. Anzi, sta per diventare celebre grazie a unorologio intelligente che porta il suo nome. Di-spositivo resistente all’acqua, venduto in quattrodiversi colori, dimensioni adatte al polso dei mi-nori fra i tre e gli undici anni. Ma soprattutto Filippossiede un sensore Gps che gli permette di es-sere localizzato sempre e comunque ed è in gra-do, spingendo un semplice tasto, di comporre ilnumero di cellulare dei genitori e mandare sms.Non solo: si può gestire a distanza con una app.

Sintomatico che Filip sia nato dalla paura.Perché sembra sia proprio la paura a muoverequesta nuova generazione di dispositivi smart,di applicazioni e di network telefonici pensatiesclusivamente per controllare i minori. Per sa-pere sempre dove vanno, con chi interagiscono,cosa dicono. Parlare di boom è esagerato, mache il numero di questi servizi sia in crescita è co-sa certa. «Il mondo della tecnologia a volte si tin-ge di nero», racconta Alberto Pian, consulenteApple in fatto di educazione, con alle spalle unalunga esperienza di insegnamento dalle scuoleelementari all’università e nell’organizzazionedi corsi di formazione per docenti sull’impiegodel digitale. «La situazione è questa: c’è unapreoccupazione diffusa fra insegnanti e genito-ri di perdere il controllo e dall’altro la paura di un

JAIME D’ALESSANDRO

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CrescitaNon è importanteil controllo,ma la padronanzadel processoformativoe di crescita

Alberto PianConsulente Apple

BABY MONITOR PRO “Ascolta” il respiro del bambinomentre dorme e in casodi anomalie da l’allarme

SALUTEBAMBINI PLACE PARENTAL CONTROLFiltro con codice per cellulariAndoid. Utile a bloccarealcuni contenuti sconvenienti

CENSURA

SECURAFONE Serve per inviare un messaggiodi allerta automatico ai genitoriin caso di pericolo

SICUREZZALIFE360 FAMILY LOCATORUna delle app più popolariPer sapere sempre dove sonoi membri della famiglia

CONTROLLO

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■ 37DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

La forma di controllo più antica:un “filtro famiglia” (softwareo servizio) che limita la visionedi determinati contenuti

PARENTAL CONTROL

Sensore satellitare per la geolocalizzazionedivenuto ormai di seriesu smartphone e tablet

GPS

Azienda che forniscel’accesso al Websia a utenti privatiche a soggetti pubblici

PROVIDER APP NETWORK

GLO

SSA

RIO

Software per smartphone,tablet e computer scaricabilegratuitamente o a pagamentoda negozi online dedicati

In questo contesto si intendeun operatore telefonicoche fornisce servizi di telefoniafissa o mobile

mondo, quello online, che non capiscono. Para-dossalmente ora si stanno usando quelle mede-sime tecnologie per esorcizzare i timori alimen-tando il controllo». E a farlo sono genitori nor-malissimi che però hanno un know-how tecni-co profondo, come lo Sten Kirkbak che ha in-ventato il Filip. O come Ej Hilbert.

Hilbert si preoccupa dei suoi tre figli comequalsiasi altro papà. Se non fosse che è un exagente dell’Fbi, in forza nella divisione Cyberand counterterrorism, ora impiegato in unaagenzia di investigazione privata specializzatanel campo del digitale, la Kroll Advisory Solu-tions. Secondo quanto racconta il Financial Ti-mes, tre anni fa, quando aveva quarant’anni, ini-ziò a interessarsi all’app “Trova il mio iPhone”.Si tratta di un servizio Apple che sfrutta il navi-gatore satellitare per sapere sempre dov’è il no-stro smartphone. Pensata per contrastare i furti,Hilbert lo istallò sul telefonino dei suoi tre figlicosì da avere sempre idea di dove si trovassero.E il suo esempio ha fatto scuola, tanto che ora cisono applicazioni che si basano sullo stessoprincipio — è il caso di “Life360” — usate da ol-tre 45 milioni di utenti. Permette non solo di sa-pere dove si trovano tutti i membri della famiglia24 ore su 24, ma anche di contattarli via chat inogni momento.

Il cosiddetto “parental control”, ovvero il con-trollo dei genitori sui figli in campo digitale, inrealtà non è nuovo. La forma più banale sulleconsole per videogame e sui decoder della tv sa-tellitare, il filtro sui contenuti fruiti dai minori, è

norma da almeno due anni. Sui cellulari che usa-no Android invece, il sistema operativo di Goo-gle, lo hanno introdotto a luglio con la versione4.3 e anche questo è un segno. In entrambi i casiil metodo adottato è semplice e quasi tutti van-no in questa direzione: su ogni dispositivo è pos-sibile impostare diversi profili, alcuni limitati(quelli dei minori) altri no. Poco importa poi chesi tratti di poter vedere o meno video e giochitroppo violenti. E fra poco, con l’arrivo dell’XboxOne a novembre, la scelta del profilo da inserirepotrebbe diventare automatica. Il nuovo siste-ma di telecamere hd dell’ultima console Micro-soft, capirà da solo chi ha davanti in base al rico-noscimento del volto e del corpo.

Nel frattempo in Inghilterra entro la fine del-l’anno tutti gli utenti di Internet potranno impo-stare filtri anti-pornografia alla navigazione, sul-l’onda di quanto fatto dal provider TalkTalk cheè stato il primo ad avere l’idea. La Ford al contra-rio, sempre quest’anno, ha introdotto invece laMyKey: una seconda chiave programmabile chelimita la velocità della vettura, il volume dell’au-toradio e impedisce di disattivare sistemi di si-curezza come l’abs. Ha debuttato sulla Fiesta edal 2015 sarà disponibile su tutti i modelli dellacasa americana. Anche la Nissan ha una tecno-logia simile, benché per ora si tratti di una chia-ve che non mira tanto al controllo quanto a me-morizzare le nostre impostazioni preferite. Delresto se una automobile ha un sistema operati-vo complesso come quello di uno smartphone,ed è quel che sta avvenendo, allora è possibile co-

noscere in tempo reale consumi, percorsi, orari,velocità e magari anche il numero di passeggeri.

«Più sappiamo di voi, più potremo darvi servi-zi su misura», aveva quasi cantilenato Eric Sch-midt, oggi presidente di Google, proprio tre an-ni fa quando Hilbert aveva iniziato a giocare con“Trova il mio iPhone”. Intendendo che la quan-tità di dati personali comunicata e proporziona-le all’accuratezza dei servizi forniti. Che applica-to all’infanzia e all’adolescenza può trasformar-si in una osservazione costante da parte degliadulti per chetare le ansie di tanti padri e di tan-te madri. Il processo ormai è esponenziale e co-mincia dai tre anni di vita, quando i bambini ini-ziano a maneggiare il primo tablet.

«Bisognerebbe cambiare prospettiva», riflet-te però Alberto Pian. «Non è importante il con-trollo, ma la padronanza del processo formativoe di crescita. Di questi “big mother” o “big father”mi fa paura una cosa: i genitori spesso sono as-senti e pensano di recuperare l’assenza con latecnologia. Poi certo, l’hi-tech può esser utile,ma con i figli bisogna starci. La tecnologia noncostruisce relazioni affettive, siamo noi a crear-le. Altrimenti si tratta solo di una deriva psicoti-ca». O meglio: di una deriva nata dalla paura. In-somma, per usare le parole di James Wise, im-prenditore londinese che segue con molto inte-resse questo settore «non si tratta solo di co-struire qualcosa di efficace e semplice. La sfidavera è arrivare a un dispositivo che sia i genitorisia i figli vogliano usare».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SfideIl vero obiettivoè arrivarea un dispositivoche sia i genitorisia i figlivogliano usare

James WiseImprenditore

Una nuovaforma di chiaveintelligente per le automobili:fra i vari parametridisponibiliquello per impostareil limite massimo di velocitàper la guidadei neopatentati

Orologi intelligenti dotatidi sensori, iniziando dal Gps,possono fare e riceveretelefonate ed esser gestitia distanza tramite appNe stanno lanciandouno pensato per i bambinichiamato Filip

SMARTWATCH

Una delle ultime versioni di Androidintegra il parental control per bloccarecontenuti e servizi. Su iOs si può fare la stessa cosa attraverso le app

TABLET

Da oltre due anni integrano il parental controlQuelle di prossima generazione,come l’Xbox One, potranno riconosceregrazie a una webcam hd se a giocare è un minore

CONSOLE

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Morlacco del GrappaGraukäse FormadifrantCevrìn Pannerone

LA DOMENICA■ 38DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Rosangela è nata in una forma di Parmigiano, o qua-si. I genitori si sono sposati ragazzi, appena lui è di-ventato casaro, prima bambino che sorvegliava ilfuoco sotto i calderoni di rame, poi ragazzino de-putato a governare i teli in cui si raccolgono le ca-gliate, e ancora adolescente a girare e rigirare le for-

me appena fatte, immerse nella salamoia per acquisire la giustadose di sale. Dopo tanto lavorare sotto padrone, la famiglia Gen-nari conquista una cascina tutta per sé, quattro marmocchi pron-ti a imparare il mestiere, mentre la mamma tiene i conti. Dei quat-tro figli, Rosangela è l’unica femmina, occhi celesti e spirito in-domito. Alle bambole preferisce i modellini dei trattori, si azzuf-fa con tutti, le prende ma soprattutto le dà. Scomparso il padre escomparso prima del tempo anche il primogenito, suo successo-re naturale, oggi è lei la casara dell’azienda, insieme al fratello mi-nore Paolo, mentre l’altro si occupa delle mucche — bene supre-mo di ogni caseificio che lavora il proprio latte — e la mammacontinua a occuparsi dei conti. Il loro Parmigiano viaggia con laNazionale di calcio e con gli astronauti. Ma Rosangela Gennaricontinua ad alzarsi tutte le mattine alle quattro e ha le mani cot-te dal latte cagliato, che intorno ai 60 gradi comincia a diventare

Parmigiano — ma qual è il momento giusto se non ci affondi ilbraccio dentro, non lo saprai mai.

Giandomenico, invece, è un langarolo doc, di quelli cresciuti apane e uva, naso finissimo e passione contadina. Il vino, dalle sueparti, è poco meno di una religione (davvero poco meno). Occu-parsi di vigne e bottiglie gli sembra naturale, e gli riesce anche be-

ne, tanto da diventare enologo di vignaioli importanti. A cam-biargli la vita, una gita di troppo in Alta Langa, che gli fa scoprire ildisastro delle piccole produzioni d’alpeggio, massacrate dallaconcorrenza sleale dei caseifici industriali. Da una parte, il lat-te lavorato a crudo, munto da capre lasciate libere, dall’altra

il mix di latti seriali, pastorizzati, addizionati di fermenti e conser-vanti. Giandomenico torna a studiare per scoprire le segrete al-chimie di quegli impasti candidi e profumati, entra nelle cascine,si fa raccontare, ascolta, assaggia, suggerisce correzioni. Recupe-ra una cantina, la adibisce a locale di affinamento (la stagionatu-ra dei formaggi), compra le tome a un prezzo equo, che garantiscei produttori, le vende dopo averle fatte riposare il giusto. Le Ro-biole di Roccaverano di Arbiora, l’azienda di Giandomenico Ne-gro, girano il mondo e vincono premi internazionali perfino inFrancia, terra madre dei formaggi d’autore.

È piena di belle storie come queste, la nuova edizione di “Chee-se”, che occuperà per tre giorni strade e piazze di Bra a partire davenerdì 20. Prima o dopo la gita in Langa, fermatevi a Tornarec-cio, capitale abruzzese del miele, che nello stesso fine settimanaospita una fiera monodedicata dove scoprire aromi insoliti e ori-ginali abbinamenti con i formaggi. Qui, come a Bra, non accon-tentatevi di comprare: a chi fa cibo con amore, piace raccontare,svelare, condividere la propria passione. E un boccone di Ragu-sano velato di miele d’acacia vi farà entrare nell’autunno a passodi danza.

I saporiVerdi pascoli

Mucche, capre, alpeggi, sale, tanto mestiere e altrettanta passionePerché dietro il Parmigiano o le Robiole che vincono premi perfino in Francia c’è sempre un bravo casaro.“Cheese”, la fiera dei produttori doc, li celebrerà dal 20 settembre e per tre giorni a Bra

formaggioGli artigianidel

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Se il latte diventauna forma di poesia

LICIA GRANELLO

FriuliPiemonte Lombardia Trentino Veneto

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Celestino Lussiana è uno degli ultimiartigiani a produrre le tome di capra (cevra)Camosciata nella zona di Coazze,messe in grotta, pulite e girate ogni giorno per tre mesi

La famiglia Carenaopera nel Lodigiano,dove da generazionilavora il latte intero,ancora ricco di panna(panèra) per questoformaggio senza saledal retrogustomandorlato

Agnes Laner è una maestra nella produzione del formaggio grigio,dalla consistenzagranulosa e con crostacoperta di muffa grigia,lavorato in un piccolomaso della Valle Aurina

Saverio Girolamo e la moglie Isabelallevano vaccheBurline e Frisone che pascolano all’alpe Monte OroIl formaggio, con lattedi due mungiture,riesce tenero e sapido

Giuseppe Rugoe Renato Gortani sono i casari-simbolodella toma di CarniaRecuperano le formedifettose: sbriciolate,addizionate di latte,panna, sale, pepe E poi rimesse in fuscella

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Caciocavallo podolicoCacioricotta di capra Fiore sardo dei pastori Caciocavallo di Cuminà

■ 39DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Gli indirizziSulla strada

Karoo, tulum e örgü. Il tagliere degli altri

Se diciamo formaggio pensiamo alla Fran-cia, all’Italia, alla Spagna… Difficilmente cispingiamo oltre, verso est o verso il sud del

mondo. Ma ci sbagliamo.La Turchia, per esempio, è la terra di mille tra-

dizioni casearie, frutto dell’incontro di culturedifferenti, di numerose razze autoctone e di ter-ritori molto diversi fra loro. Slow Food Turchia hagià scovato un universo straordinario, che va da-gli yogurt (anche essiccati e affumicati!) allosconfinato mondo dei tulum (formaggi custodi-ti nella pelle della pecora) ai caci a pasta filata, co-me la treccia di Dyarbak, all’örgü di Antiochia(stretto e lungo come una corda e come tale ar-rotolato e conservato) e il kerti di Erzurum, di

consistenza sfilacciata e legnosa e dal sentore difinocchio e di erba fresca.

Ma anche se lasciamo le sponde del Mediter-raneo e ci spingiamo verso il sud del mondo, sco-priamo universi interessanti legati al latte e allesue forme. In Sudafrica è nato un presidio per va-lorizzare il lavoro di un gruppo di casari che la-vorano solo il latte crudo e che hanno saputoadattare le ricette europee alle materie prime lo-cali, valorizzando le specificità dei loro territori.La varietà dei loro formaggi riflette le profondedifferenze delle regioni sudafricane: il formaggioKaroo Crumble, per esempio, è prodotto nella re-gione semidesertica del Karoo e presenta note difieno, nocciola ed erbe aromatiche; il Ganzvlei

Vastrap, prodotto in una zona poco distante dal-l’oceano caratterizzata da abbondanti precipi-tazioni, ha un sapore morbido, con note grade-volmente amare delle erbe e dei fiori di macchia.E c’è un importante movimento a favore del for-maggio artigianale a latte crudo anche in Brasile,dove numerosi formaggi (come quelli di SantaCatarina, del Rio Grande do Sul o del Minas Ge-rais) hanno ormai secoli di storia.

Il mondo del formaggio è sconfinato. Salvareun formaggio, spesso, significa salvare razze, pa-scoli, paesaggi, saperi e attività economiche dipiccole comunità. Molte saranno a “Cheese”(www.slowfood.it).

CARLO PETRINI

LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone

400 gr. di riso Carnaroli200 gr. di radicchio trevigiano150 gr. di Parmigiano Reggiano20 gr. di cipolla,1 litro di brodo vegetale40 gr. di burro, extravergine qb125 gr. di panna fresca50 gr. di Castelmagno3 cl. di aceto di lamponi, zucchero qb

Giancarlo Morelli guida lo stellato “Pomiroeu”di Seregno (Mi), dove i formaggi firmanoalcune delle ricette più golose, come quella ideata per i lettori di Repubblica

AOSTAERBAVOGLIO(formaggi di pascolo)Rue Monseigneur de Sales 14Tel. 0165 - 548661

TORINOBAUDRACCOCorso Vittorio Emanuele 42Tel. 011- 5628203

BERGAMOOL FORMAGERPiazzale Oberdan 2Tel. 035 - 239237

VARNA (BZ)DEGUSTBsackerau 1Tel. 0472 - 849873

UDINELA BAITAVia delle Erbe 1/bTel. 0432 - 510216

BOLOGNAAL REGNO DELLA FORMAVia Oberdan 45/aTel. 051- 233609

PRATOGASTRONOMIA TEMPESTINIVia Ciliani 84Tel. 0574 - 466671

ROMAPETTINIMercato di piazza San CosimatoTel. 06 - 5895220

CAMPOBASSOPIZZICHERIA DI CHIROVia Roma 33Tel. 0874 - 411092

ALGHERO (SS)CASA DEL FORMAGGIOVia Mazzini 43Tel. 0799 - 733067

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Riso, radicchio e Castelmagno

CalabriaLazio PugliaCampania Sardegna

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Massimo Antonini il primo a credere nel recupero dell’anticatecnica casearia del Pecorino Romano:latte crudo e cagliovegetale, ottenuto dal fiore del carciofo o del cardo selvatico

CaciofioreMaria Carmela Di Feogestisce l’aziendaagricola di famiglia nel Parco del Cilento,continuando la tradizionalelavorazione del latte di capre allevate allo stato semi-brado

Nicola Siciliano,vicesindaco dell’Aspromonte, con i suoi figli sorreggel'economia localeproducendo una pastafilata di latte crudo di vacca, a volte con latte caprino

Vullnet Alushani è il casaro albanese della masseriaPagliuzzo. Produce un caciocavallo dai sentori speziati e floreali, capace di lunghissimiinvecchiamenti

Roberto Logias,originario di Ovodda,culla della pastoriziadella Barbagia, si dedica da semprealla caseificazione del Pecorino Sardo,asciugato e affumicato sulle canne

Lavare e tagliare il radicchio a tocchetti di 2 cm. Caramellare un poco di zucchero con una goccia d’acqua, addizionare l’aceto e far ridurre. Aggiungere la metà

del radicchio, sfumare e mettere da parte. Ridurre la panna a fuoco basso, aggiungere il Castelmagno a pezzetti, far sciogliere e poi frullare Rosolare la cipolla finemente tritata con olio e metà burro Aggiungere il riso e l’altra parte di radicchio Far brillare i chicchi, versare il vino, sfumare e portare a cottura al dente con il brodo

Mantecare a fuoco spento con l’altra parte del burro, il Parmigiano e un poco d’olioServire il risotto con la crema di Castelmagno e il radicchio

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

La sua era una nobile famiglia romana“Negli anni della contestazioneme ne vergognavo: non essereproletari mi pareva una jatturaMa alla fine venire dall’artistocrazia

papalina decadutami ha aiutato:sono una che non ha mai avutopaura di fallire”Così, dopo successi e flop,

ha lasciato la tv per ricevere un invitodall’Onu: portare il suo spettacolocontro il femminicidio a New York

ROMA

Il giardino che circonda la villettad’epoca, nel cuore di Montever-de vecchio, uno dei più bei quar-tieri di Roma, quello di Pasolini e

dei Bertolucci, è il suo orgoglio. «Guar-di questa magnolia davanti all’ingres-so: supera il tetto e i rami quasi mi arri-vano in camera da letto, al secondo pia-no. E che fiori che fa...». Serena Dandinientra in salotto dove un bocciolo bian-co, fresco, in un bicchiere sul grande ta-volino pieno di cose, riempie di profu-mo la stanza, luminosa, spaziosa, con lefinestre aperte sul verde, femminile neldisordine coi tanti libri, i giornali, ilcomputer acceso sul divano, i due sca-toloni di cartone in un angolo con quel-l’aria di essere lì da sempre.

Cinquantanove anni, capelli corti earruffati, struccata, in maglia e panta-loni, Serena è un brioso fiume di paro-le: legge ad alta voce pezzi di uno spee-ch per una conferenza sulla violenzacontro le donne, progetta la tournée diFerite a morte, il toccante spettacolocontro i femminicidi da un anno ri-chiesto ovunque, racconta di altreidee; è sicura, positiva, calorosa, cari-smatica, disinvolta, protesa al fare...«Che fa, prende in giro? — dice riden-do — Lo sanno tutti che noi donne ab-biamo una capacità di lavoro mo-struosa e siamo naturalmente portatea fare bene molte cose. Io poi ho unaformazione freak-rinascimentale, a360 gradi voglio dire, mi interessa tut-to. La curiosità è un antidepressivonaturale».

È stata la prima conduttrice tv a usa-re l’ironia, la prima a fare la cacciatricedi teste tra comici e comiche, la prima ainventarsi uno show sulle donne (La tvdelle ragazze, 1988), l’immagine della tvquando la tv trovava del tutto naturaleessere colta, spiritosa, innovativa. «Dal-l’alto della mia età dico che quello cheoggi manca alla tv — e che invece c’è nelweb — è la voglia di raccontare le storie,le vite, piuttosto che riempire spazi.Non è sempre stato così. E io di anni neho passati in quella scatola. La mia pro-fessoressa di italiano, Bianca Maria Pi-sapia, Liceo Giulio Cesare, mi aveva se-gnalato alla Rai che cercava giovani. Michiamarono in radio. Erano gli anni Ot-tanta. Anche lì stava cambiando qual-cosa e per le donne era arrivato il mo-mento di inventarsi un loro stile. Ma ionon avevo esempi. Sì, c’era Franca Ra-me, maestra di tutte noi, ma era tenutafuori dalla tv. Mi sono inventata tutto dasola, compresa la factory di artisti concui poi ho fatto Pippo Chennedy show,Avanzi, L’ottavo nano, Comici quandoandai a Mediaset. Non è stata una pas-seggiata».

L’ironia l’ha ereditata dal padre. Fer-dinando Dandini De Sylva era un avvo-cato, discendente di una antica fami-glia della nobiltà romana di ascenden-ze spagnole. «Uomo spiritosissimo cheha vissuto da gaudente. Nel ’96 al suo fu-nerale arrivarono persone mai viste aringraziarci per tutto il bene che avevafatto. Ha vissuto sperperando, con leg-gerezza». E con leggerezza anche Sere-na porta l’impegnativo cognome. «Daragazza, negli anni della contestazione,mi vergognavo. Non avere una famigliaproletaria o comunista mi sembravauna jattura. Una mia compagna discuola aveva i genitori iscritti al Pci,“beata” mi dicevo, stavo sempre da lei.Ma alla fine forse è andata meglio a meperché appartenere a una famiglia del-l’aristocrazia papalina decaduta mi hamolto aiutato negli alti e bassi della vita:le cadute non ti fanno paura». Le è capi-tato tante volte di cadere? «Come tutti».Ha sbagliato — e lo ricorda con serenità— quando ha deciso di fare su La7 Theshow must go off l’anno scorso in primaserata e di sabato, «buttando il cuore ol-tre l’ostacolo perché, una volta cacciatidalla Rai, non volevo che il gruppo chelavorava con me restasse a piedi. Ma lafollia del sabato sera era proprio una fol-lia, anche se la rivendico perché alla fi-ne sperimentare è buono. Sennò faisempre le stesse cose. Guai. Io non mi

sono fatta mancare mai niente. Da gio-vane mi sono bevuta tutta la cultura gio-vanile del post Sessantotto, mischian-do fricchettoni, comunisti, intellettua-li, jazzisti e Folkstudio. Andavo al Pipera ballare con la minigonna che poi na-scondevo in borsetta per correre alFilmstudio. Ho fatto le sedute di auto-coscienza femministe, ho avuto amicimilitanti ortodossi e amici figli dei fiori.C’è stato tutto un periodo della mia vitain cui volevo fare la vita di campagna.Col mio secondo marito lasciammoRoma per quel genere di cose: cascinasenza acqua, senza luce, senza telefo-no, l’orto, le galline, le api, le mucche, icavalli... Finì quando capimmo che nonsi poteva vivere così. Mia figlia Adelenacque in quel momento, in Umbria, aUmbertide, e ne va fiera». Adele oggi hatrentun anni, vive a Londra dove ha stu-diato lingue orientali e fa la documen-tarista. Serena nel frattempo si è sepa-rata dal padre di Adele e dal ’93 il suocompagno è il musicista Lele Marchi-telli (colonna sonora de La grande bel-

lezzadi Sorrentino). «Gli uomini si divi-dono tra quelli che accettano il con-fronto e quelli che al primo conflittofuggono, come mi raccontano le ami-che single». Lui da che parte sta? «Daquella giusta, figuriamoci. Vengo dauna linea famigliare matriarcale. Mianonna Leonarda ha fondato nel ’36 unistituto per ragazzi disabili a Romaquando i disabili venivano cacciati dicasa o nascosti, e prendeva la nave perandare ai congressi in America. Ora tie-ne tutto in mano mia sorella Saveria, lavera star di famiglia. I maschi di casa,mio fratello Leonardo ingegnere, Lele,pur essendo tutti maschi alfa, sono uo-mini dolcissimi».

Con le donne Serena Dandini ha la-vorato tutto quest’ultimo anno, con lospettacolo Ferite a Morte. «Un anno faMaura Misiti, la mia amica che fa lascienziata e si occupa di numeri e stati-stiche, mi ha mostrato i numeri dellaviolenza sulle donne in tutto il mondo.Una strage, che prosegue se pensi chesolo in Italia e solo quest’anno le donneuccise per mano maschile sono un cen-tinaio. Una strage su cui c’è il silenzio,spesso anche dei media. Dove non arri-va la scienza magari arriva la passione ela commozione, ho pensato. Così an-che per rabbia ho cominciato a farmidare delle storie di violenza realmenteaccadute e come in una Spoon River leho ri-raccontate con la voce delle don-ne che le hanno patite, come per dare laloro versione dei fatti ma anche dignitàa quelle vite. Le ho scritte alla mia ma-niera, creando un cortocircuito tradramma e ironia, perché le donne sonoironiche». Ferite a morteè stato presen-tato la prima volta a Palermo il 24 no-vembre 2012 in ricordo di Carmela uc-cisa dall’ex fidanzato della sorella: lospettacolo fu preparato in pochi giornisull’onda dell’emozione e dell’indi-gnazione di attrici e donne qualunqueche si prestarono a leggere in palcosce-nico ognuna una delle storie riscritte daSerena. E così avviene da un anno (nelfrattempo è uscito anche il libro da Riz-zoli), in ogni piazza dove è stata presen-tato, suscitando sempre emozione erabbia. Una rivelazione, tanto da esse-re richiesta, dopo il Petruzzelli di Bari il3 ottobre, il 19 novembre a Washingtonsu invito dell’Osa, l’organizzazione de-gli Stati Americani in occasione dellaconvention che vedrà insieme tutti i mi-nistri delle Pari opportunità dei 34 pae-si membri. E il 25, giornata internazio-nale contro la violenza sulle donne, dal-

l’Onu come evento ufficiale a New York.E ancora il 29 a Bruxelles al Teatro SanMichel, il 3 dicembre a Londra alla Fon-dazione Reuters Thompson in occasio-ne della Trust Women Conference conattrici e star internazionali. Con IvanCotroneo proprio a partire da Ferite aMorte, Serena sta anche scrivendo unprogetto di fiction tv. «E pensare che erail mio anno di vacanza. Segno che fa be-ne non fare tv... Certo, condurre una do-menica pomeriggio alternativa mi pia-cerebbe. E una mezza idea ce l’ho pure.Non rifarei Parla con me, anche se nonlo rinnego perché di fatto con quel pro-gramma abbiamo costruito la fascianotturna. Con Geppi Cucciari stiamoanche pensando a un programma sulle“cattive ragazze”. È che mi diverte ascrivere, mi piace la viralità, la velocitàdel web... Chissà che la Rai si apra a co-se nuove, ma il punto è che la politica lìha divorato tutto, e il conflitto di inte-ressi non ha fatto che amplificare i con-dizionamenti. Oggi perfino un trucca-tore deve essere di destra o di sinistra edella professionalità chissenefrega.Parla con mel’hanno chiuso con la scu-sa che il coproduttore era un esterno, inrealtà perché gli autori me li volevo sce-gliere io. Censura, sì. Ma inutile incapo-nirsi, e poi io non sono livorosa. Unavolta intervistavo la grande Annie Len-nox: “Non ho paura di invecchiare — miha detto — ma di diventare amara”. Ca-dere nell’autocommiserazione mai. Famale alla pelle. E i cambiamenti, gli sba-gli, le cadute sono opportunità. Non cisarebbe stato Ferite a morte, per esem-pio, che considero una delle cose piùimportanti di tutta la mia carriera».

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Gli uomini?Si dividonotra chi accettail confrontoe chi invece fuggeal primo conflittoCome mi raccontanole amiche single

Serena Dandini

ANNA BANDETTINI

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